PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SERVIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO xv -N. 4-5-6 APRILE-MAGGIO-GIUGNO 1963 ANNIVERSARIO Il 1 O maggio, primo anniversario della morte dell'Avvocato Generale dello Stato on. prof. Salvatore Scoca, nella sede dell'Avvocatura Generale dello Stato � stato scoperto un busto a ricordo dello scomparso alla presenza dei familiari e degli Avvocati dello Stato. L'Avvocato Generale avv. Giovanni Zappal�, ricordando brevemente i meriti e l'opera del suo predecessore, ha detto: �Non � questo certamente il luogo adatto per commemorare degnamente il nostro caro ed indimenticabile Avvocato Generale Salvatore Scoca; n� io potrei, con troppo brevi e sommari cenni, delineare qui i tratti salienti di una personalit� cos� complessa e poliedrica che ha svolto una lunga ed intensa attivit�, non solo nell'ambito del nostro Istituto, ma anche nel campo politico ed universitario ed in quello della scienza finanziaria. �Sar� possibile promuovere una solenne commemorazione, allorquando sar� pronta la grande sala al pianterreno, in corso di restauro. Frattanto, nel triste anniversario della Sua immatura scomparsa, abbiamo voluto elevare qui, con il concorso di tutti i colleghi, questo bronzo, fra queste mura che gli furono cos� familiari, fra cui Egli svolse la Sua attivit� nel nostro Istituto al servizio dello Stato. -� E' un segno della nostra riconoscenza e del nostro qtto che affidiamo ai giovani ed agli Avvocati ) Stato che ancora verranno in questo grande Jio, costruito per accogliere i devoti alla regola w dei pi� grandi padri della Chiesa, per pro �e l'opera nostra, cos� come noi, oggi, contino quella di chi ci ha preceduto, cercando, con ,veranza ed impegno, di conservare e continuare ;, lunga e luminosa tradizione e di arricchire _.tel patrimonio ideale di dignit�, probit�, alto ed umano senso di giustizia che ci � stato tramandato. �E' altamente significativo che il busto dedicato a Salvatore Scoca si affianchi qui a quello di due nostri grandi e venerati Maestri: Giuseppe Mantellini e Gaetano Scavonetti. �Giuseppe Mantellini, sommo giurista, discepolo ideale dei grandi giureconsulti dell'antica Roma, seppe trarre dai loro insegnamenti i -principi ispi 1�atori di quei suoi studi sui � conflitti di attribuiione � e su �lo Stato ed il Codice Civile � con cui sono stati tracciati, quasi un secolo orsono, alcuni dei lineamenti fondamentali del nostro diritto amministrativo. � Uomo politico di ferrea tempra ed inflessibile rettitudine, allorquando venne incaricato dell'arduo compito di organizzare la nuova Istituzione seppe, fin dall'inizio, con rara perizia e fermezza, adeguarne la struttura a quell'alta concezione dello Stato cui si era .ispirato anche in passato difendendola nel ,_ u6 Parlamento e nei Paese, con passione quasi mistica. E di questa sua creatitra egli fu vigile tutore nei primi anni difficili; la sorresse con mano sicura; la ravviv� col suo affetto; la protesse col suo personale prestigio. cc Gaetano Scavonetti, organizzato1�e ed animatore geniale, dedic� tutta la sua vita al nostro Istituto, rinunziando a quella carriera politica che pure gli si era dischiusa con tante allettanti prospettive. Viga'Fia d'ingegno, grande prestigio personale, altissima coscienza dei propri doveri gli consentirono di far fare al nostro Istituto, per il quale ebbe l'affetto pi� profondo, passi g�iganteschi, in molto breve tempo. <e I pi� anziani fra noi ricordano di aver visto inumidirsi gli occhi di quest'uomo, dal carattere cos� fermo e dalla personalit� cos� potente, il giorno in cui fu costretto, per ragioni politiche, a lasciare il nostro Istituto. cc Non gli doleva certo l'esser privato di ben pochi vantaggi materiali, dei quali, del resto, non si era mai curato; lo rattristava l'essere distaccato dal suo lavoro, dai suoi colleghi, particolarmente da quei giovani che aveva, con tanta cura, cercato ed accolto nel nostro Istituto per assicurarne l'avvenire, al quale guardava con ansiosa trepidazione. cc 1Ji questi due grandi Salvatore Scoca ebbe a raccogliere l'ideale eredit�. Gi� nella Sua personalit� era dato cogliere i tratti caratteristici dell'uno e dell'altro. Di Giuseppe M antellini la sapienza giuridica, l'amore per lo studio e per l'indagine scientifica; di Gaetano Scavonetti la capacit� organizzativa; di entrambi l'attaccamento all'Istituto, l'alta considerazione dei suoi compiti, cos� essenziali all'ordinato svolgersi dell'attivit� della Pubblica Amministrazione, il profondo senso dello Stato, l'intransigente tutela .dei pubblici interessi. e< Nell'azione di questi tre uomini � dato rilevare una sicura continuit� di intenti e di pensim�o, che costituisce, ancor oggi, una delle componenti essenziali della forza del nostro Istituto e la migliore garanzia per l'avvenire. Giuseppe Mantellini non solo fiss� con le leggi, alla cui formulazione egli attivamente partecip�, le caratteristiche sostanziali dell'Avvocatura che ne designano chiaramente i compiti e le funzioni e ne assicurano l'indipendenza di giudizio e di azione, ma col suo insegnamento, condensato in un decalogo di alto valore morale egli, soprattutto, volle stabilire un costume, ancora oggi, per fortuna, nonostante il trascorrere del tempo, cos� vivo e sentito, tanto ne sono connaturati i principi con l'essenza stessa delle nostre funzioni. cc L'opera di Gaetano Scavonetti si riallaccia a quella di Mantellini; Egli pot� realizzare quello che altri, invano, aveva auspicato: le riforme del 1923-25 che, con l'lstituzione del foro erariaie e �'unificazione nel nostro Istituto di tutti gli organi di consulenza e difesa delle Amministrazioni .$tatali, .ha,J.eso possibile quella rigida' unit� di indirizzo che � tanto essenziale all'esercizio delle nostre funzioni. cc Alle sostanziali realizzazioni di Scavonetti si riallaccia l'opera di Salvatore Scoca il quale, durante sedici anni, in tempi difficili, �non solo ha saputo preservare il nostro Istituto, che era riuscito a conservare durante i tragici eventi che avevano sconvolto il Paese, la sua sostanziale unit� e la sua dignit�, da ogni possibile involuzione, ma ha potuto anche dargli ancor maggior forza e prestigio con l'assunzione delle funzioni di difesa della legittimit� delle leggi e degli atti dell'esecutivo nei conflitti d'attri' fiuzione dinanzi la Oorte Costituzionale, con l'estensione del patrocinio alle Regioni a statuto speciale, con un razionale adeguamento degli organici alle nuove esigenze. cc La sua azione sar�, quindi, sempre ricordata come quella di colui che ha degnamente perf ezionato e consolidato l'opera iniziata da M antellini e proseguita da Bcavonetti. �Oome ho detto all'inizio, non � possibile soffermarsi sull'intensa e fruttuosa attivit� di Salvatore Scoca, svolta da giurista, professore universitario, uomo politico, n� sulle sue indagini di studioso, sui suoi scritti e discorsi dalla cattedra al banco del Governo, sulle ardue battaglie combattute nel Parlamento e nelle aule giudiziarie; n� dire con quanto senso di giustizia, coscienza dei propri doveri, non disgiunta da quell'afflato di umanit� che permeava tutta la sua personalit�, egli ha adempiuto per circa 16 anni, nel nostro Istituto, alle alte funzioni affidategli. Non posso, tuttavia, tralasciare un ricordo che � certamente presente nella mente di tutti noi: Egli era iscritto ad un. partito politico, ma 11.on fu mai uomo di parte. Un tale atteggiamento ripugnava alla fiera indipendenza del Sito carattere, all'alta considerazione che Egli aveva delle funzioni degli Avvocati dello Stato, al Suo profondo senso di giustizia, alla bont� e generosit� del Suo animo. �Ad un anno di distanza dalla Sua scomparsa noi ci ritroviamo qui con la stessa commozione, con lo stesso accoramento del momento in cui apprendemmo che Egli ci aveva lasciati per sempre. Tuttavia sen-, tiamo che Egli sar� sempre presente fra noi pr.r guidarci col suo pensiero, per rincuorarci con il suo esempio; e noi tutti prendiamo impegno di continuare nel nostro lavoro con passione e perseveranza sulla strada segnata dalla nobile tradizione del nostro Istituto. cc Sar� questo il modo migliore di ricordarlo e di onorarlo�. --�-------�-�---�-------�--�-�-��-�---�-�-�-�����-�-�----..----------�-----------------" �OSSERVAZIONI SULLA NEI GIUDIZI DINANZI 1. Fra i molti problemi interpretativi posti dalla vigente disciplina delle funzioni giurisdizionali della Corte dei Conti -non tutti, in realt�, sufficientemente approfonditi dalla dottrina -, una particolare attenzione merita la questione relativa alla esatta definizione della posizione processuale della Amministr.azione dello Stato nei giudizi (di conto, di responsabilit�, in materia di pensioni) in cui sono dedotti diritti ed interessi ad essa pertinenti. Com'� noto, la tutela processuale di questi diritti e interessi non � affidata. all'Avvocatura dello Stato, ma compete (salvo chiarire esattamente in quali modi e limiti) all'organo che presso la Corte rappresenta il pubblico ministero, ossia al Procuratore Generale. Ci� potrebbe far pensare (e, in effetti, si tratta di opinione alquanto diffusa) che nell'attivit� del Procuratore Generale si cumulino le funzioni di pubblico ministero e quelle di rappresentante in giudizio delle amminist:razioni statali, ossia di Avvocato dello Stato (1). Ma, in realt�, ad una riflessione approfondita, tale configurazione non pu� non apparire in::1,mmissibile. Alla disciplina eccezionale della competenza in ordine alla tutela processuale degli interessi dello Stato nei giudizi dinanzi alla Corte lnon pu� non corrispondere un atteggiamento del tutto particolare dei modi in cui tale tutela si esplica. La qualit� di organo del pubblico ministero che spetta per legge al Procuratore Generale (art. 1, (1) Questa duplice qualificazione delle funzioni del Procuratore Generale fu prospettata gi�. nei lavori preparatori della legge 14 agosto 1862, n. 800, che istitu� la Corte dei Conti (cfr. Relazione parlwmentare, 17 marze 1862 in �Atti parlamentari�, sess. 1861-62, 129/C). I cumulo delle attribuzioni di p. m. con quelle di rap presentante dell'Amministrazione fu aspramente criti cato dal V.ANNI : Organizzazione degli uffici finanziari, in �Primo trattato completo di dir. amm. it. >> a cura di V.E. ORLANDO, vol. IX, Milano 1902, pag. 1307 (l'illustre scrittore, rilevata la contraddittoriet� delle due attribuzioni, auspicava che, nell'interesse della maest� della legge, lo �sconcio � fosse rimosso. Contra: VroARio, La Cot;te dei Conti in Italia, Milano 1925, pag. 71 ss.). Fra gli Autori che accolgono la duplice configurazione delle funzioni del Procuratore Generale: TANGO, voce Corte dei Conti, in �Digesto italiano �; MoFFA: Il concetto di parte, la pubblica Amministrazione e le spese nei giudizi innanzi la Corte dei Conti, in � Rivista dir. pubbl. �, 1922, I, 1 ss.; id., La Corte dei Conti del Regno d'Italia, Milano 1939, p. 60 ss.; SEPE: La Corte dei Conti. Ordinamento e funzioni di controllo, Milano 1956, p. 122 ss.; ZANOBINI: Corso di diritto amministrativo, vol. II, Milano 1954, p. 337 s. DIFESA DELLO STATO ALLA CORTE DEI CO-NTI 4a comma, T.U. 12 luglio 1934, n. 1214) non � compatibile con la funzione di rappresentante della Amministrazione. Ci� poteva apparire non del tutto chiaro in passato, quando nel pubblico ministero si vedeva il � rappresentante del potere esecutivo presso la autorit� giudiziaria �. In questa formula equivoca, legata alle origini storiche dell'istituto, poteva sembrare compresa la funzione di tutela degli interessi pubblici specifici soggettivati nella pubblica Amministrazione. Oggi, per�, una simile configurazione pu� dirsi senz'altro superata. Per quanto sia tuttora aperto il dibattito relativo alla natura giuridica delle funzioni del pubblico ministero e all'inquadramento dell'organo fra quelli amministrativi o fra quelli giurisdizionali, � ormai pacifico, anche per coloro che propendono per la natura amministrativa dell'organo e delle funzioni, che l'interesse (se d'interesse pu� parlarsi) cui provvede l'attivit� del pubblico ministero non � e non pu� essere l'interesse che muove la pubblica Amministrazione nel perseguimento dei suoi fini pubblici concreti, ma si identifica con l'interesse generalissimo all'attuazione dell'ordinamento giuridico, alla realizzazione della giustizia (2). La differenza fra le funzioni del pubblico ministero e quelle dell'Avvocatura dello Stato si presenta quindi nettissima (3). Mentre l'Avvocatura assume il patrocinio dell'Amministrazione ove ad essa si opponga in conflitto l'interesse dei singoli, al pubblico ministero compete la funzione di pro (2) Sembra, in realt�, che, al di l� delle formule adoperate, su questo punto non esista contrasto. Con� fronta CmoVENDA: Istituzioni di diritto processitale civile, vol. II, Sez. I, Napoli 1934, p. 73 ss.; CRISTOFOLINI: Sulla posizione e sui poteri del pubblico ministero nel processo civile, in �Riv. dir. proc. civ. �, 1930, Il, 23; ALLORIO: Il pu.bblico ministero nel nuovo p1�ocesso civile, ivi, 1941, I, 212; CARNELUTTI: Istituzioni del nuovo processo civile italiano, vol. I, Roma 1951, p. 198 ss.; REDENTI: Diritto processuale civile, vol. I, Milano 1952, p. 86 ss.; CALA.ll!IANDREI: Istituzioni di diritto processuale civile, vol. II, Padova 1944, pag. 280 ss.; SATTA: Diritto processuale civile, Padova -1957, pag. 57 ss.; id., Commentario al cod. proc. civ., Libro I, Milano 1959, p. 230 ss. (3) Lo svolgimento storico che ha condotto alla rigorosa distinzione fra la posizione della pubblica Amministrazione parte in causa, col patrocinio dell'Avvocatura, e quella del pubblico ministero � delineato chiaramente da CmccA: L'evoluzione storica dei principi della soggezione �--alla giurisdizione e della difesa legale dello Stato, in cc Rass. Avv. Stato�, 1951, 18. Da ricordare il fondamentale contributo del Mantellini, che, cori chiara visione sistematica, decisamente si oppose alla propoi;ita di affidare al pubblico ministero la difesa legale dello Stato. -68 muovere imparzialmente la realizzazione dell'ordinamento in quei casi in cui, secondo la valutazione del legislatore, si pone� un'esigenza di attuazione dei suoi precetti indipendentemente dalle richieste e dall'attivit� delle parti interessate alla situazione o al rapporto regolati. L'Avvocatura dello Stato, cio�, impersona la. Amministrazione nel conflitto che l'oppone ad un altro soggetto dell'ordinamento. Il pubblico ministero impersona l'ordinamento stesso nella sua esigenza di realizzazione al di l� e al di sopra degli interessi dei soggetti in conflitto, sia pure fra questi soggetti si trovi I'.Amministrazione. Orbene, � chiaro che in uno stesso organo non possono assolutamente coesistere la funzione, tipica del pubblico ministero, di promuovere super partes (4) l'attuazione dell'ordine giuridico e quella, tipica dell'Avvocatura dello Stato, di rappresentare e difendere in giudizio le .Amministrazioni dello Stato cc parti in causa � contro altri soggetti. La diversit� radicale degli interessi cui le due funzioni si coordinano ne esclude il contemporaneo esercizio da parte di un sol organo. Il Procutatore Generale della Corte dei Conti, in realt�, non � pubblico ministero e avvocato dello Stato insieme, ma �, sempre e soltanto, pubblico ministero, come tale definito dalla legge e come tale, nella pratica, operante. Le sue attribuzioni si caratterizzano invariabilmente in funzione dell'interesse al promovimento dell'esatta e piena attuazione dell'ordinamento, e solo di riflesso il loro esercizio pu� involgere (non necessariamente) la tutela di specifici interessi pubblici propri dello Stato-Amministrazione. Tutto ci� � ormai chiaro alla dottrina pi� avveduta (5) ed � stato pi� volte ribadito dalla stessa (4) � nota la disputa, in atto nella dottrina processualistica, sul riconoscimento o meno al pubblico ministero della qualit� di parte. Senza entrare nel merito di tale disputa, vogliamo solo porre in rilievo il fatto che la peculiarit� della funzione del pubblico ministero segna una netta distinzione fra la sua posizione processuale e quella delle parti (o, se si preferisce, delle altre parti). Tanto � vero che anche chi riconosce al p.m. la qualit� di parte � costretto a ricorrere ad aggettivazioni (�parte imparziale �, �parte in senso formale >>, �parte pubblica �) che, in buona sostanza, finiscono col negare o col limitare grandemente la portata del principio affermato. La giurisprudenza della S.C. esclude nel pubblico ministero la qualit� di parte: cfr. sentenza, 7 febbraio 1956, in Foro it., 1956, I, 467, con la quale � stata, coerentemente, dichiarata inammissibile la condanna alle spese del p. m. soccombente. (5) DEL SERA: I motivi nuovi del Procit.ratore Generale nel giudizio p�r rimborso di quote di imposte inesigibili, in <<Corte dei Conti in sede giur. �, 1934, 179; SoLINAS Cossu: Legittimit� dell'intervento della R. Avvocatura Erariale e del Procuratore Generale nei giudiz.i di giustizia amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti, in �Riv. di ritto pubb. >>, 1911, Il, 466; AMATUCCI: Connessione e continenza di causa nei giudizi di responsabilit�, in �Corte dei Conti in sede giur. �, 1936, Il, 245 s.; ALFANO, f'oqiz. proc. qez l',G, n,elle oori,t. relative a rimborso per giurisprudenza della Corte, che non ha mancato di portare il principio alle logiche conseguenze. � stato ritenuto ammissibile, ad esempio, il ricorso del Procuratore Generale contro un �provvedimento di liquidazione di pensione anche quando la sua azione tenda all'affermazione di una tesi sfavorevole all'Amministrazione (6). Si pu� quindi senz'altro escludere che l'Amministrazione dello Stato, dinanzi alla Corte dei Conti, stia in giudizio rappresentata dal Procuratore Generale. La tutela dei suoi interessi resta affidata all'azione del Procuratore, ma non nel senso che questi sia in qualche modo vincolato alla difesa delle pretese dell' .Amministrazione. Solo nel limite in cui tali pretese, secondo il libero e insindacabile apprezzamento del Procuratore Generale, coincidano con l'interesse all'esatta applicazione della legge, esse possono trovare ingresso, attraverso l'esercizio. dei poteri del Procuratore, nello agone processuale. Nulla esclude, in principio, che quegli stessi poteri siano invece esercitati in modo sostanzialmente conforme all'interesse del privato che si pretende leso da un atto dell'Amministrazione. 2. Nei giudizi ad istanza dei privati la posizione del Procuratore Generale come pubblico ministero � sufficientemente chiara. Non sembra possa dubitarsi, in principio, che l'Amministrazione non � parte in tali giudizi (7). Di fronte alla pretesa del privato attore, il Procuratore Generale non impersona l'Amministrazione inesigibilit�, ivi Il, 16; VICARIO, op. cit.; GroGNI: Il Procuratore Generale nelle funzion�i della Corte dei Conti, in� Riv. Corte dei Conti>>, 1948, I, 16; GRECO: Il pubblico ministero della Corte dei Conti, ivi, 1955, I, 77; BORZELLINO: Sulla figura giuridica del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, in �Giust. civ.>>, 1956, Il, 27; SINOPOLI: voce Corte dei Conti, in �Novissimo Digesto Italiano�. (6) Corte dei Conti, Sezione Riunite, 16 febbraio 1955, n. 12 in �Giust. civ.>>, 1956, Il, 27. Qualche incertezza circa la posizione processuale del Procuratore Generale permane, tuttavia, nella giurisprudenza della Corte; cfr. Sez. Il, 10 aprile 1959, in �Foro amm. >>, 1959, III, 2, 46. Secondo questa sentenza, nei giudizi in materia di pensioni a totale carico dello Stato, il Procuratore Generale assommerebbe in s� le funzioni di pubblico ministero e di rappresentante della Amministrazione. La giurisprudenza della Corte � per� ferma nell'escludere la condanna alle spese del Procuratore Generale soccombente in giudizio. Tale principio viene giustificato in base a considerazioni analoghe a quelle che ispirano la ricordata giurisprudenza della Cassazione relativa al pubblico ministero nel processo civile. Cfr.: Sezioni Riunite, 11 novembre 1957, n. 52/A, in �Riv. Corte dei Conti>>, 1957, III, 175; Sezione III, 24 O'btobre 1956, n. 8542, ivi, 1957, III, 78. Contra: MoFFA: Il concetto-di parte, cit.; t'ou."'-LIRI: La condanna nelle spese ed i giudizi alla Corte dei Conti, in �Arch. rie. giur. �, 1958, 4 7 4. (7) Cfr. Corte dei Conti, Sezione III, 24 ottobre 1956, n. 8542, cit.; Sezione I, 16 maggio 1935, in �Corte dei Qonti in sede giur. �, 1~36, II, 15, -69 .contro la quale la pretesa � rivolta, ma si pone come puro tutore della legalit�. La sua attivit� potr� quindi, di volta in volta, e sempre in piena indipendenza, rivolgersi alla difesa dell'operato dell'Amministrazione oppure alla difesa delle ra gioni del privato, ovvero ancora, almeno in alcuni casi (8), potr� tendere al rigetto della pretesa nel l'attore entro limiti e per motivi diversi da quelli contemplati nell'atto amministrativo impugnato. Lo stesso vale per Pipotesi di impugnativa, da parte del Procuratore Generale, di un decreto di liquidazione di pensione. � evidente che l'azione del Procuratore � ordinata esclusivamente al fine dell'oggettiva realizzazione della legalit�, indipen dentemente da ogni preoccupazione di tutela delle ragioni dell'Amministrazione o degli interessi del privato interessato. La norma dell'art. 76 del Regolamento di pro cedura, secondo la quale il Procuratore Generale � pu� ricorrere quando !lia leso l'interesse dell'E rario�, � stata giustamente superata dall'interpre tazione giurisprudenziale, che � giunta ad affermare senza equivoci la posizione del tutto imparziale del Procuratore Generale in questa sua attivit� di promotore di un giudizio di legalit� sull'operato dell'Amministrazione, indipendentemente dalla sus sistenza di un qualunque interesse, del privato o dell'Amministrazione stessa, cui tale attivit�, di fatto, si coordini (9). In tutti questi casi (giudizi in materia di pen sione; giudizi ad istanza dei privati), si verifica dunque questa situazione: delle parti interessate alla lite, solo una {il privato) � presente nel giudizio; la partecipazione dell'altra {l'Amministrazione) non � invece prevista, mentre � imposto l'intervento del pubblico ministero a garanzia della piena e -0orretta attuazione della legge nella decisione della lite. 3. � da porre in rilievo la singolarit� di questa disciplina. Nel diritto privato, com'� noto, esiste tutta una serie di rapporti e di situazioni giuridiche rispetto .alle quali si determina, secondo l'apprezzamento del legislatore, e per ragioni di volta in volta di verse, l'esigenza di assicurare l'attuazione piena .e incondizionata della disciplina positiva, indipen dentemente dall'iniziativa e dall'attivit� dei sog getti direttamente interessati. Sono appunto i casi in cui � attribuito al pubblico :ministero il potere di agire o di intervenire fu giudizio. Indubbiamente situazioni analoghe possono de terminarsi anche nel campo del \li.ritto pubblico. � agevole rendersi conto come l'attuazione della � �disciplina pubblicistica di determinati rapporti fra le pubbliche Amministrazioni e i singoli possa .essere assunta dal legislatore ad oggetto di un in (8) Cos� nei giudizi in materia di rimborso di imposte per inesigibilit�. Cfr. Cassazione, S.U., 27 luglio 1933, in cc Foro amm. �, 1934, II, 8; Corte Conti, Sezione I, 16 maggio 1935, cit.; DEL SERA, op. cit.; .ALFANO, op. cit. (9) Sezioni Riunite, 16 febbraio 1955, n. 2, cit. teresse che supera quello delle parti {della parte privata, come dell'Amministrazione) e sia quindi affidata all'azione del pubblico ministero. Nel diritto comune, per�, la presenza nel�proeesso del pubblico ministero non comporta, di regola, l'esclusione delle parti interessate al rapporto dedqtto in giudizio. La diversit� degli interessi di cui sono portatrici la parte pubblica e le parti private ne impone, anzi, la contemporanea presenza. Nel nostro caso, invece, l'Amministrazione i cui interessi si trovano ad interferire con l'azione del Procuratore Generale � esclusa dalla partecipazione al giudizio. La legge sembra non ammettere alcuna possibilit� di valutazione autonoma, da parte della Amministrazione e con il concorso della competenza tecnica dell'organo legale, degli interessi in gioco: ogni potest� in materia � rimessa al Procuratore Generale. Tale disciplina, a ben considerare, non sembra reggere alla critica. Alla sua radice � una visione inadeguata delle funzioni del pubblico ministero, una concezione intorbidata dal difetto di una chiara consapevolezza della distinzione che va fatta fra l'interesse obbiettivo all'attuazione dell'ordinamento e gli interessi pubblici specifici soggettivati nell'Amministrazione. Certamente apprezzabile � perci� l'indirizzo giurisprudenziale inteso, in armonia con l'evoluzione dell'ordinamento generale, a liberare la funzione tipica del Procuratore Generale da ogni legame con l'interesse specifico dell'Amministrazione dedotto in giudizio. L'evoluzione della figura generale del pubblico ministero impone certamente di risolvere in questo senso le dubbiezze e le ambiguit� rilevabili nella disciplina positiva dell'attivit� dello organo del pubblico ministero presso la Corte dei Conti. La considerazione del concreto interesse pubblico che costituisce oggetto del giudizio non pu� non essere totalmente subordinata, nell'attivit� del Procuratore Generale, al perseguimento del fine obbiettivo dell'esatta applicazione della legge. Ma appunto perci� appare incoerente negare all'Amministrazione, nella quale quell'interesse si soggettiva, la facolt� di partecipare direttamente, assistita dall'Avvocatura, al dibattito processuale, sostenendo il proprio punto di vista anche quando {anzi, soprattutto quando) esso non coincide con quello patrocinato dal pubblico ministero. All'interesse pubblico non pu�, invero, mancare quella tutela processuale che la legge riconosce anche agli interessi privati interferenti con l'azione del pubblico ministero. � auspicabile, perci�, che venga ammessa la partecipazione dell'Amministrazione al giudizio, naturalmente in forme adeguate alla struttura di questo {10).. (10) La cc contumacia istituzionale� dell'Amministrazione dello Stato nei giudizi dinanzi alla Corte dei Conti viene considerata talmente connaturata al carattere di tali giudizi che � stato ritenuto non potersi giustificare la presenza dell'Avvocatura dello Stato nei giudizi relativ -70 La distinzione dell'interesse generalissimo tutelato dal Procuratore Generale e dell'interesse pubblico specific� portato in giudizio dall'Avvocatura in rappresentanza. dell'Amministrazione non pu� che giovare allo svolgimento dell'attivit� giurisdizionale della Corte, attuando, da un lato, nella maniera pi� rigorosa, il fondamentale principio del contraddittorio e contribuendo, dall'altro, alla � pi� netta e chiara caratterizzazione delle funzioni del Procuratore Generale come organo del pubblico ministero. La commistione dei due interessi o la obliterazione di uno di essi comporterebbe invece inconvenienti tali da far apparire superato l'ordinamento processuale dei giudizi dinanzi alla Corte. 4. Del resto, questa distinzione fra la tutela processuale dell'interesse all'attuazione della legge e quella dell'interesse pubblico specifico soggettivato nell'Amministrazione � attuata in tutti i giudizi dinanzi alla Corte concernenti Amministrazioni non statali, onde non si vede proprio come possa giustificarsi il diverso sistema seguito per i giudizi interessanti lo Stato. A parte i giudizi d'appello avverso le decisioni dei Consigli di Prefettura, nei quali le Province, i Comuni e gli altri Enti stanno in giudizio rappresentati dai propri legali, � da ricordare, in particolare, la disciplina dei giudizi relativi a pensioni a carico degli Enti previdenziali amministrati dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro. L'Avvocatura dello Stato sta in giudizio in rappresentanza dell'Ente liquidatore e per la tutela dei suoi interessi. Il Procuratore Generale, da parte sua, svincolato completamente dagli interessi in gioco, si limita a presentare conclusioni nell'interesse della legalit�. In questi casi, � pi� chiara e netta la tipica funzione del Procuratore Generale, svincolata da ogni legame con gli interessi in conflitto, e, d'altra parte, la specifica tutela di questi interessi � assicurata in modo pieno e completo. L'evidente razionalit� del sistema ne impone la generalizzazione. a pensioni a carico dell'Amministrazione Ferroviaria, ! se non in virt� del carattere di ente pubblico autonomo che andrebbe riconosciuto al Fondo Pensioni per i 1 personale delle F.S. (Corte Conti, Sezione II, 12 luglio 1961, in <<Foro amm. �, 1962, III, 49. Cfr. anche Sezioni Riunite 3 marzo 1911, in � Riv. Corte Conti�, 1911, 117). � da ricordare, come espressione di un indirizzo total mente diverso, la decisione delle Sezioni Riunite, 27 maggio 1911 (in �Riv. dir. pubbl. >> 1911, II, 455) che ammise l'intervento dell'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza dell'Amministrazione del Tesoro, in un giu dizio promosso da impiegati della Corte. Conf.: SoLINAS Cossu, op. cit. L'intervento delle A,mministrazioni dello Stato, rappresentate dall'Avvocatura, nei giudizi dinanzi alla Corte fu, in principio, ritenuto ammissibile senza limiti dalla stessa procura Generale nelle conclusioni presentate nel giudizio concluso con la citata decisione delle Sezioni Riunite 3 marzo 1911. 5. Una considerazione a parte richiedono i giudizi sui conti presentati dagli agenti contabili dello Stato ed i giudizi di responsabilit� promossi dal Procuratore Generale nei confronti dei dipendenti statali. �--�� �� � Trattandosi dell'accertamento di un diritto al risarcimento del danno spettante all'Amministrazione, sembrerebbe evidente che, aJmeno in questo caso, il Procuratore Generale, promovendo tale accertamento, rappresenti l'Amministrazione titolare del diritto. In realt�, anche in questo caso, � da escludere che di rappresentanza si tratti. L'attivit� del Procuratore Generale nei giudizi di conto e di responsabilit� non ha caratteri diversi da quelli che, come abbiamo visto, le son propri negli altri giudizi dinanzi alla Corte. Si tratta sempre di un'attivit� postulata dall'ordinamento in funzione della sua realizzazione rispetto a determinati rapporti, e non di un'attivit� di parte interessata al rapporto di cui si tratta. Il fatto che l'azione del Procuratore Generale tenda ad ottenere un positivo provvedimento favorevole all'Amministrazione, non significa che il Procuratore impersoni I'.Amministrazione nella sua veste di parte titolare della pretesa al risa.rcimento del danno. Significa soltanto che, nella valutazione dell'ordinamento, l'attuazione della sanzione predisposta a tutela dell'integrit� del patrimonio dello Stato (attuazione che dev'essere assolutamente garantita, rispondendo ad un rilevantissimo interesse generale) non pu� essere rimessa all'iniziativa di quegli stessi funzionari dell'Amministrazione attiva che della norma sanzionatoria sono i destinatari (11), ma deve essere assicurata in maniera obbiettiva, attraverso l'azione indipendente del pubblico ministero. � quindi sempre un'esigenza di attuazione obbiettiva dell'ordinamento, indipendentemente dalla attivit� delle parti, che spiega l'attribuzione al Procuratore Generale dei necessari poteri processuali per giungere all'accertamento della responsabilit� civile e contabile dei funzionari e agenti dello � Stato (Il-bis). � � per� da porre in rilievo il fatto che, in questa ) ipotesi, non pu� postularsi un'esigenza di integrai zione del contraddittorio mediante la partecipa ! (11) V., in proposito, VICARIO, op. cit. (Il-bis) Possono citarsi, fra le altre ipotesi di azione del p.m. per la realizzazione di diritti di soggetti determinati che, per ragioni diverse, non sono in grado di promuovere l'attuazione dell'ordinamento in proprio favore: l'azione civile nel processo penale nell'interesse del danneggiato incapace (art. 105 C.p.p.); la difesa della paternit� di un'opera dell'ingegno quando l'autore � morto e manchino o omettano di agire le persone legittimate (art. 24 D.L. 7 novembre 1925, n. 1950); la rettificazione degli atti dello stato civile nell'interesse di persone povere (art. 167 R.D. 9 luglio 1939 n:� 1237). In questi casi, secondo i pi�, il p. m. assumerebbe la-veste di �sostituto processuale� (contra: SATTA, opere citate). La tesi � seguita, per i giudizi dirianzi alla Corte dei Conti, dal GRECo, op. cit. -71 'I _: zione al giudizio delle Amministrazioni interessate. �f!'.ll'esercizio dei poteri inquisitori che' la. legge ,Le ragioni che giustificano l'attribuzione al pubblico I �emanda al Procuratore Generale, rafforzandoli . ministero della titolarit� dell'azione non possono J .on l'obbligo di denuncia a carico dei superiori non far ritenere esclusiva tale attribuzione. ' Ci� non toglie, peraltro, che tale situazione � da considerare del tutto eccezionale; il che trova, in certo modo, conferma nei casi in cui la giurisdizione della Corte vien meno per ragioni di connessione con la giurisdizione penale. Nell'esercizio dell'azione di responsabilit� contro i dipendenti della Amministrazione mediante costituzione di parte civile nel processo penale si manifesta chiaramente, col venir meno delle particolari ragioni che impongono la sottrazione dell'esercizio dell'azione all'organo legale dell'Amministrazione, la perfetta ammissibilit� delle normali attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato anche in questo campo. All'Avvocatura resta, d'altronde, devoluto l'e sercizio delrazione di responsabilit� di fronte alla autorit� giudiziaria ordinaria in tutti i casi in cui l'autore del danno all'erario, per essere vincolato all'Amministrazione da un rapporto sfornito dei caratteri della permanenza e della volontariet�, � escluso (per l'evidente insussistenza delle ragioni che, come abbiamo visto, spiegano l'attribuzione dell'azione di responsabilit� al Procuratore Gene- raie) dall'assoggettamento alla giurisdizione della Corte. Cosi in particolare, per i militari di leva. � da porre in rilievo la grave sperequazione che si verifica a carico di -questi soggetti. La loro esclusione dall'orbita della giurisdizione della Corte (indubitabile alla stregua del vigente ordinamento: cfr. Cassazione, Sezioni Unite, 18 aprile 1958, n. 1290) (12) comporta, da un lato, l'impossibilit� (12) In GiUBt. civ., 1958, I, 1040. gerarchici dell'autore del dami�; e, d�ll'iiltro, fa esclusione di quella speciale facolt� di riduzione della condanna � al risarcimento che spetta alla Corte dei Conti nei casi di sua competenza. Sopratutto quest'ultima conseguenza appare difficilmente giustificabile. Proprio per coloro che prestano un servizio occasionale e non volontario alle dipendenze dell'Amministrazione, l'esercizio dello speciale potere dispositivo del giudice sembra infatti rispondere a evidenti motivi di equit�. Sommamente auspicabile �, perci�, l'unificazione della giurisdizione relativa ai giudizi di responsabilit� nei confronti di tutti i dipendenti dello Stato, quale che sia la natura del loro rapporto di servizio. L'attribuzione di tutta la materia alla competenza della Corte dei Conti concilierebbe nella maniera migliore le esigenze di un rigoroso perseguimento dei responsabili e di una valutazione equitativa delle particolarit� di ogni singolo caso. E, va aggiunto, la necessit� di una unificazione della disciplina appare urgente anche per quanto attiene al diritto sostanziale. La responsabilit� per danni arrecati a terzi, in particolare, � limitata, com'� noto, ai casi di dolo o colpa grave soltanto nei confronti degli impiegati civili (13). La evi dente esigenza di un'uniformit� di trattamento dovr� condurre alla formazione di una disciplina generale indiscriminata per tutte le categorie dei dipendenti dell'Amministrazione. (13) In virt� della legge 31 dicembre 1962, n. 1833, lo stesso principio si applica, ora, a tutti i dipendenti dello Stato addetti alla conduzion3 di autoveicoli o di altri mezzi meccanici. MARCELLO CONTI PROCURATORE DELLO STATO NOTE DI DOTTRINA PASQUALE CARUGNO : L'espropriazione per pubblica utilit�. V ed., Giuffr�, Milano, 1962, pp. 470. La Rassegna ebbe a recensire la IV edizione di questa opera (v. pag. 112 del 1958). La nuova edizione viene pubblicata dopo la approvazione da parte del Senato di un progetto di legge per la modifica di alcune disposizioni della legge fondamentale sull'espropriazione per pubblica utilit� e dopo la promulgazione della legge 18 aprile 1962, n. 167 sulla acquisizione da parte dei Comuni di aree edificatorie, per la costruzione di case di tipo economico e popolare. L'autore si � limitato alla menzione delle suddette modifiche che non hanno dato luogo a seri rilievi nella discussione del progetto di legge. .Alla legge n. 167 sono dedicati tre paragrafi, il primo dei quali � la riproduzione di uno scritto inserito nella Rivista Ammfoistmtiva della Repubblica (v. fase. n. 1 del 1962) prima che si perfezionasse l'iter legislativo. In questo scritto, compiendosi sulla scorta .del testo (disegno definitivo) approvato dalla Camera dei deputati una prima disamina dei criteri informatori del disegno di legge, si contengono ripetuti accenni ad un progetto di legge predisposto dal Governo francese per le c.d. zone da urbani'zzare in priorit� e per quelle ad �rbanizzazione differita, che obbediva alla stessa finalit� di combattere la speculazione in materia di aree edificatorie. Con l'esposizione, integrata da opportuni raffronti, dei suddetti criteri il Carugno prendeva, adunque, posizione propugnando concetti e principi che, se si ha riguardo al tema fondamentale della origine del carattere edificatorio dei terreni compresi nell'ambito dei piani regolatori, non possono considerarsi una novit�, ma costituiscono uno svolgimento coerente ed un ulteriore approfondimento dell'indirizzo razionale perseguito nelle precedenti edizioni. Ma l'autore che si � sempre avvalso, per la definizione del requisito dell'edificatoriet�, dei richiami giurisprudenziali in rapporto ai piani regolatori, non omette in questa quinta edizione l'avvertimento che le enunciazioni della giurisprudenza devono essere intese alla stregua delle norme contenute in alcune leggi speciali e che bisogna perci� tenere conto della diversit� del procedimento cui � astretto l'interprete e di quello adottabile nel campo teorico con la necessaria libert� di impostazione e con la consapevolezza che i risultati della ricerca possono ritenersi validi solo se scaturenti da un processo logico coerente. Tenendo presente questa avvertenza, ci si pu� spiegare come il Carugno non esiti ad affermare che, grazie alla legge speciale del 1962, il vecchio e tanto discusso problema della formazione del c.d. demanio comunale di aree edificatorie sia stato per la prima volta af frontato e risolto dal nostro legislatore con criteri veramente razionali. Ci si rende conto altres� del fatto che il Carugno, opponendosi all'indirizzo prevalente, persista nella idea che il vantaggio speciale derivante dall'opera pubblica alla parte residua del fondo non espropriata non debba essere considerato alla stregua di �un vantaggio � esclusivo, ed in verit� i nuovi orientamenti del legislatore non potevano non costituire per lui che incentivo a perseverare in questa opinione. A pagina 187, n. 84, l'Autore torna ad esaminare il problema della discriminazione della competenza giurisdizionale del giudice ordinario da quella del giudice amministrativo in materia di impugnazione degli atti del procedimento di espropriazione. Ripudia, ai fini della identificazione del giudice competente la teorica della c.d. prospettazione alla quale aveva aderito nella precedente edizione ed afferma che la competenza dell'a.g. cc deve scatm'ire dalla ricognizione dei limiti rigorosi entro cui il legislatore ha inteso per determinati obbietti circoscrivere il potere di espropriazione; indugia nel rilevare la discrepanza ancora sussistente nella giurisprudenza nei rispetti dell'ipotesi della cessazione degli effetti della dichiarazione di pubblica utilit�, che egli, seguendo il prevalente indirizzo dottrinale, sostiene doversi equiparare a quella della mancanza assoluta della dichiarazione. Un nuovo paragrafo (n. 185-bis) � dedicato al tema della retrocessione dell'immobile espropriato ai sensi dell'art. 63 della legge del 1865. Anche in questo paragrafo l'Autore, muovendo dalla giusta premessa che gli effetti della dichiarazione di p.u. devono ritenersi esauriti quando l'espropriazione � stata pronunciata nel termine in essa stabilito, fa rilevare che l'espressione cc decadenza � adoperata in quel disposto con riferimento all'efficacia della dichiarazione di p.u. non sarebbe del tutto corretta e che il suo significato genuino � quello della estinzione del diritto dell'espropriante di eseguire l'opera per cui fu ordinata l'espropriazione dopo l'inutile decorso del termine suddetto. Rilievo questo che viene fatto avendo riguardo sia all'aspetto funzionale della dichiarazione di p.u., sia alla diversit� degli effetti scaturenti dall~ inosservanza del termine prescritto per il compimento dell'opera, s� che l'autore ne trae argomento anche per ribadire l'insostenibilit� della opinione che la decadenza operi ipso iure, dato che il nuovo trasferimento del bene espropriato non pu� avverarsi indipendentemente da una doman�a giudiziale dell'interessato e da una pronuncia, avente, come � noto, carattere costitutivo. Principio che egli trova modo di ribadire nelle osservazioni che illustrano la portata dell'art. 23 della legge 28 febbraio 1959, n. 43 (Gestione INA . casa), disposto nel quale si discorre di operativit� ipso iure della decadenza �dall'espropriazione� in caso di inosservanza del termine di un anno prescritto per l'inizio dei lavori (v. nota 12 a pag. 361 e segg.), e cos� pure nel commento di una decisione della Cassazione riguardante l'espropriazione regolata dalla legge 2 luglio 1949, n. 408 inserito nella stessa nota. In altre parole, la cessazione automatica degli effetti della dichiarazione di p.u. deve riconnettersi, secondo il Carugno, solo alla scadenza del termine ivi stabilito per il compimento della espropriazione, come egli rileva a pagina 117 del testo in cui illustra il contenuto della norma di cui all'art. 13 della legge del 1865 e nella nota 66 alla stessa pagina. Il richiamo, insistente anche in questa nota, della necessit� di distinguere il termine suddetto da quello prescritto per l'esecuzione dell'opera singola si spiega anche con la diversa disciplina prevista nella legge fondamentale per i piani regolatori, alla stregua della quale concependosi l'espropriazione come una delle operazioni dirette all'esecuzione del piano, il procedimento poteva . espletarsi finch� era in vigore il termine di validit� del piano. E solo in virt� di questo principio l'autore approva la sentenza della Cassazione n. 2481del1957 .tenendo conto, peraltro, della proroga accordata con la legge speciale numero 524 del 1952 dei termini per l'attuazione dei piani regolatori approvati prima dell'entrata in vigore della legge urbamstica; mentre critica il richiamo fatto in questa decisione cumulativamente ai termini indicati nell'art. 13 come inammissibile nella generalit� dei casi. Tanto impegno nella trattazione del tema dei termini facilmente spiegabile con la sua importanza, risponde al proposito dell'Autore di chiarire anche un altro concetto: che l'inosservanza del termine per l'inizio� di lavori, che pur deve essere indicato nella dichiarazione di p.u., non d� luogo all'applicazione di alcuna sanzione fatta eccezione dei casi nei quali la sanzione di decadenza � espressamente prevista, come in quelli richiamati nelle due prime note sopra citate e con effetti diversi a seconda dello stadio raggiunto dalla procedura. Anche l'ultimo capitolo del libro contiene un paragrafo nuovo, che � una pi� diffusa trattazione degli effetti della pronuncia di espropriazione inter\ enuta dopo la scadenza del termine del biennio prescritto per l'occupazione temporanea. Il Carugno saggia la fondatezza della tesi che tende a raffigurare il diritto al risarcimento del danno (permanente) come entit� gi� acquisita al patrimonio del proprietario prima dell'emanazione del decreto di esproprio, danno che, secondo la giurisprudenza, andrebbe liquidato secondo le norme di diritto comune e non sotto forma degli interessi legali sull'ammontare delle indennit� di espropriazione. Secondo il Carugno, per le occupazioni che si presentano a carattere permanente fin dall'origine (cio� quelle che attuano la trasformazione del bene mediante l'esecuzione dell'opera pubblica), se si accetta il principio che esse vengono legittimate col decreto anche se emesso dopo il biennio di cui all'art. 73 e regolate col riconoscimento del correlativo diritto alla indennit�, non si potrebbe prescindere dal regolare mediante liquidazione degli interessi (compensativi) il perio~o an~eriQr~ alla emanazione del decreto, trattandosi di occupazione anticipata, ma a titolo definitivo, destinata ad essere assorbita nel procedimento di espropriazione, cos� come avviene, secondo la giurisprudenza, per le occupazioni temporanee e regolari che si convertano nel termine in definitive. Secondo il Carugno, la unicit� del criterio da adottare per le conseguenze patrimoniali della occupazione protratta oltre il termine deriverebbe dal carattere strumentale della occupazione in relazione alla esecuzione dell'opera di p.u. e dalla correlativa necessit� di trasformazione ab initio dell'immobile occupato. Posti questi due termini, se la facolt� di espropriazione riferita ai casi di occupazione inizialmente abusiva o divenuta tale per il decorso del termine di cui all'art. 73 si pu� legittimamente esercitare, com'� pacifico, sul bene 11h'� stato gi� totalmente sacrificato (col conseguente sacrificio del diritto soggettivo) ad opera della stessa Amministrazione espropriante, e se questa non incontra altra responsabilit�, per il nostro ordinamento, se non quella per i c.d. atti legittimi, non vi sarebbe ragione per adottare un criterio diverso da quello della liquidazione degli interessi sino al giorno del provvedimento di esproprio. Il Carugno passa, quindi, ad esaminare le due r.entenze della Cassazione n. 3204 del 30 ottobre 1959 e n. 2087 del 22 luglio 1960, delle quali la prima ha escluso ogni influenza della tardiva procedura di espropriazione sulla pronuncia dei danni, negando ogni efficacia retroattiva alla procedura stessa la cui efficacia resta circoscritta al trasferimento di propriet� del bene; mentre la seconda ha ammesso che, intervenuto il decreto di esproprio in corso del giudizio di risarcimento, il proprietario ha diritto alla indennit� di esproprio liquidata nei modi di legge, oltre alla rivalsa del mancato reddito per la durata della occupazione. Fatto questo esame, il Carugno dichiara di aderire alla soluzione seguita nella prima delle due sentenze, per la considerazione che, nei casi in cui l'immobile sia stato trasformato per l'esecuzione dell'opera, cc ci� che si chiede al Giudice spiegando l'azione che � pur sempre diretta alla tutela della propriet� � una pronuncia risarcitoria per la perdita del bene irreparabilmente sofferta�, il che escluderebbe la possibilit� dell'assorbimento nel trasferimento coattivo successivamente intervenuto. Quanto al criterio per la liquidazione del danno per il periodo di occupazione, il Carugno dichiara di aderire al criterio seguito nella prima sentenza delle Sezioni Unite (n. 3204 del 1959) secondo cui, non facendosi alcuna distinzione tra il periodo di occupazione biennale e quello successivo, si dichiarano dovuti gli interessi legali sull'indennizzo equivalente al valore del bene occupato, daU'inizio della occupazione al soddisfo, escludendosi ogni altra forma di indennizzo per il caso in cui l'utilit� (reddito) di cui il danneggiato � stato privato sia di entit� superiore all'interesse legale~ L. TRACANNA -74 S. MARAS� : 'Le aziende autonome dello Stati>. Roma, 1963. . Il tema delle aziende autonome dello Stato non si pu� dire abbia ancora trovato nella dottrina pubblicistica una considerazione adeguata alla sua importanza teorica e pratica. Una pubblicazione, come questa del Maras�, � che si propone di fare il punto della situazione, riassumendo lo stato della dottrina e della giurisprudenza e indicando i problemi tuttora aperti, presenta perci� un interesse che non occorre sottolineare. Particolarmente utile ci sembra l'accurata analisi delle figure pi� importanti che vengono solitamente ricondotte alla nozione di azienda .autonoma. L'attenzione del Maras� si � particolarmente soffermata sul dilemma organo-persona giuridica, e sulla possibilit� di ravvisare nelle aziende autonome un tertium genus, una figura intermedia. Le conclusioni sono sostanzialmente negative: non � possibile, secondo il Maras�, costruire una unitaria categoria giuridica idonea a ri�ompr�nder� le varie figure di aziende autonome esistenti nel nostro ordinamento. L'affermazione ci trova consenzienti. Riteniamo per� che un ulteriore approfondimento del problema possa dare utili frutti, specialmente per quanto riguarda l'esatta definizione di quell'autonomia patrimoniale che, come gi� fu posto in rilievo dal Girola e dal Giannini, costituisce l'aspetto pi� interessante delle aziende autonome e che potrebbe, forse, ricevere un'adeguata sistei:nazione teorica attraverso l'utilizzazione dell'ampia elaborazione che quest'aspetto dell'autonomia ha ricevuto nella dottrina privatistica. �RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE COSTITUZIONE -Regione Siciliana -Potest� legislativa -Limiti -Rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato -Trattato istitutivo della Comunit� Europea. (Corte Costituzionale, 9 aprile 1963, n. 49 -Pres.: Ambrosini; Rel.: J aeger -Commissario dello Stato per la Regione siciliana c. Regione siciliana). La Regione siciliana � tenuta a rispettare, nella esplicazione della sua competenza legislativa, gli obblighi internazionali assunti dallo Stato, al quale vengono giuridicamente imputati nell'ordinamento internazionale gli atti normativi delle Regioni. � costituzionalmente illegittima la legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana in violazione delle prescr�zioni impartite dallo Stato in osservanza di obblighi internazionali, che ad esso competeva interpretare e definire. Per una pi� esatta e completa conoscenza delle delicate questioni trattate e deciee dalla Oorte Costituzionale riteniamo opportuno trascrivere integralmente la sentenza, nella sua esposizione di fatto e nella motivazione di diritto. Con ricorso in data 13 novembre 1962 il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha impugnato la legge regionale approvata dall'Assemblea il 5 novembre 1962, chiedendo che ne sia dichiarata l'illegittimit� costituzionale. Si premette nel ricorso che detta legge regionale, <ion la norma contenuta nel suo art. 1, pur conservando immutato il termine, gi� decorso, del 30 giugno 1962, entro il quale doveva essere commessa la costruzione di nuove navi per fruire delle .agevolazioni previste dalla precedente legge regionale n. 7 del 1961, ha spostato di due anni il termine del 30 giugno 1964, assegnato da questa stessa legge per il varo delle navi ammesse al beneficio. In relazione allo spostamento di tale termine la legge denunziata, all'art. 2, ha modificato il dispositivo finanziario, ripartendo la spesa globale di cinque miliardi -rimasta invariata nel suo ammontare -in sette esercizi finanziari anzich� in .cinque, ferma la decorrenza dell'esercizio 1960-61. Nel ricorso si fa, inoltre, presente che il disegno di legge (Doc. n. 582/1960: Atti Parlamentari Assemblea regionale siciliana), da cui ha tratto origine la legge regionale siciliana, con altri due disegni di legge regionali -tutti di iniziativa parlamentare e relativi alla stessa materia degli aiuti ai cantieri navali in Sicilia -furono notificati nel luglio 1962 .alla Commissione Comunit�� Economica Europea, a cura della rappresentanza permanente della Repubblica presso la Comunit� Europea in Bruxelles, in osservanza. dell'obbligo della notifica preventiva di �Nuovi aiuti� sa.ncita dall'art. 93, paragrafo 3 del Trattato di Roma. A seguito di tale notifica, la Commissione Comunit� Economica Europea, con lettera del 22 agosto 1962 indirizzata al rappresentante permanente italiano in Bruxelles, ha formulato osservazioni e richiesto chiarimenti sui tre disegni di legge regionali, con particolare riguardo a quello di cui alla legge denunziata, in relazione alle difficolt� gi� sorte dopo l'approvazione della precedente legge regionale n. 7 del 1961. Il contenuto della lettera della Commissione Comunit� Economica Europea fu quindi portato a conoscenza del Presidente della Regione siciliana con nota n. 1200/2-87 del 20 settembre 1962 del ricorrente Commissario dello Stato, perch� fossero forniti i chiarimenti e le notizie occorrenti alla rappresentanza permanente della Repubblica di Bruxelles. Il Governo regionale non dava per� riscontro alla richiesta, e, nella seduta del 5 novembre 1962, l'Assemblea approvava la legge in oggetto. Tutto ci� premesso, il Commissario dichiara, nel ricorso, di voler prescindere da qualsiasi apprezzamento di merito sull'impugnato provvedimento, essendo, a suo avviso, ovvio che qualsiasi indagine sulla compatibilit� di nuovi aiuti, ai sensi dell'articolo 92 del Trattato di Roma, esulerebbe dalla sua competenza, e si limita pertanto ad esaminare gli aspetti costituzionali concernenti l'approvazione della legge nelle circostanze sopra riferite. Al riguardo, dopo aver affermato che nessun dubbio pu� sussistere circa il dovere degli organi legislativi, anche delle Regioni a Statuto speciale, di ottemperare agli obblighi derivanti da Trattati internazionali stipulati dallo Stato, deduce che concreta una palese inosservanza di tali obblighi, da parte della Regione siciliana, l'approvazione della legge denunziata in pendenza dell'esame della Commissione Comunit� Economica Europea, e senza che il Governo regionale avesse fornito i chiarimenti e le notizie richiesti da tale Commissione. Sulla sussistenza dell'obbligo di dare tali notizie e chiarimenti, e cio� sulla necessit� della osservanza dell'art. 93, paragrafo 3 del Trattato di Roma, fa presente, infine, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva diramato le necessarie istruzioni dando anche norme particolareggiate circa le modalit� di invio delle proposte di legge regionale, af -10 finch� il Gov�rno potesse, a sua volta, provvedere � a comunicare alla Commissionti Comunit� Econo .... falca :Europea i provvedimenti compresi nella sfera di applicazione del citato art. 93, paragr. 3. Nel caso in esame le istruzioni suddette sono state osservate per quanto riguarda la preventiva notifica alla Commissione Comunit� Economica Europea del disegno di legge da cui ha avuto origine la , legge denunziata. La mancata risposta del Governo regionale alla richiesta di notizie e chiarimenti avrebbe pertanto dato luogo alla violazione denunziata. La Regione siciliana, costituitasi in giudizio con atto del 30 novembre 1962, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato, deducendo: 1) Sull'inammissibilit�: a) la mancata indicazione -ai sensi degli artt. 34 e 23 della legge 1953, n. 87 -delle norme costituzionali che si assumono violate; il ricorso si sarebbe infatti limitato ad indicare, per censurarne �la violazione, gli artt. 92 e 93, paragrafo 3, del Trattato di Roma, ratificato con legge 1957, n. 1203, che � legge ordinaria e non costituzionale; b) la mancata impugnazione della legge regionale n. 7 del 1961, da cui deriverebbe l'inammissibilit� dell'impugnazione della legge regionale attuale, avendo questa per contenuto norme accessorie rispetto alla precedente; 2) Nel merito, l'insussistenza della dedotta violazione degli artt. 92 e 93, paragrafo 3, del Trattato di Roma. Infatti: a) l'art. 92, come si ricava dal suo contenuto e dalla sua collocazione (Sez. III), riguarda gli aiuti concessi dagli Stati; invece la legge denunziata prevede benefici accordati, con fondi regionali, dalla Regione, che � ente dotato di personalit� e quindi diverso dallo Stato-persona, e che dispone di proprie risorse. Sarebbe del resto arbitrario interpretare la norma del Trattato nel senso che si riferisca a qualsiasi aiuto proveniente da un ente pubblico, sia pure a carattere territoriale, dato che, cos� intendendo la norma, si giungerebbe all'assurdo che qualsiasi beneficio accordato dalle Regioni, dalle Provincie e dai Comuni a favore di talune imprese dovrebbe essere sottoposto ai controlli previsti dal Trattato; b) l'art. 93, paragrafo 3, fa obbligo di comunicare alla Commissione i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. La legge denunziata, per�, non ha modificato gli aiuti previsti dalla precedente legge regionale essendosi limitata -oltre che a ripartire la spesa complessiva degli aiuti, rimasta invariata, in sette anzich� in cinque esercizi finanziari -a protrarre il termine per il varo delle navi ammesse al beneficio, senza modificare quello gi� scaduto per le commesse di costruzione delle navi. Sicch� nessuna nuova impresa potrebbe venire a beneficiare delle provvidenze concesse dalla legge � oltre quelle che alla data del 30 giugno avevano presentato domanda �. Lo spostamento del termine per il varo delle navi non comporta quindi modifiche che vengano ad incidere sulla sostanza dell'aiuto. Per l'art. 92 del Trattato dovrebbe trattarsi di aiuto che falsi o minacci di falsare la concorrenza. Nessuna incidenza pu� avere per� in tale direzione la modifica apportata dalla legge deminziata. P��' la quale, pertanto, non ricorre neppure l'ipotesi del successivo art. 93, paragrafo 3. Con atto depositato in cancelleria il 22 novembre 1962 si � costituita in giudizio l'Avvocatura generale dello Stato in difesa del Commissario dello Stato per la Regione siciliana. Essa ha poi depositato, in data 11 gennaio 1963, una memoria, nella quale sostiene l'infondatezza dei due motivi di inammissibilit� del ricorso addotti dalla difesa della Regione, insistendo che nel caso in esame la Regione ha violato quanto meno degli obblighi processuali, mentre il giudizio sul merito compete agli organi della Comunit�. Con memoria depositata il 24 gennaio la difesa della Regione contesta a sua volta questi argomenti, ribadendo quelli da essa gi� addotti a sostegno delle proprie conclusioni. Nella discussione orale i difensori delle parti hanno illustrato pi� ampiamente i termini delle questioni dibattute negli atti scritti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le eccezioni di inammissibilit� del ricorso proposte dalla difesa della Regione siciliana non possono essere accolte. Anche se il ricorso del Commissario dello Stato non contiene una espressa menzione delle norme della Costituzione violate dalla Regione con l'approvazione della legge regionale impugnata, non pu� sorgere dubbio nella individuazione dei principi costituzionali, dai quali la Regione si � discostata a giudizio del ricorrente e che trovano conferma nelle norme ricordate pi� oltre. N� pu� essere accolta la tesi affermata dalla difesa della Regione, secondo la quale la mancata impugnazione della legge regionale siciliana 20 gennaio 1961, n. 7, renderebbe inammissibile la impugnazione successiva della legge 5 novembre 1962, che si afferma essere accessoria rispetto al primo provvedimento; la Corte ha pi� volte affermato il principio, che ogni provvedimento legislativo ha esistenza a s� e pu� formare oggetto di autonomo esame ai fini dell'accertamento della sua legittimit� costituzionale. 2. La Corte � chiamata ad esaminare le questioni concernenti la competenza legislativa della Regione e i modi del suo esercizio, per giudicare se la Regione abbia rispettato i limiti imposti alla sua. competenza e le norme che regolano i relativi procedimenti. Il problema essenziale della controversia concerne pertanto la legittimit� di atti normativi di una Regione, in materia che abbia formato oggetto -_ di trattato internazionale, compiuti senza l'osservanza delle direttive impartite dallo Stato. La questione potrebbe essere prospettata invero per ogni figura di attivit� di qualsiasi soggetto ed ente -77 :pubblico; ma presenta ovviamente particolare im: portanza nel caso di una Regione investita di ampia :potest� legislativa, quale � appunto la Regione siciliana. La Corte ritiene che il problema non ammetta se non una soluzione . .Alle Regioni, comprese quelle a statuto speciale, la Costituzione accorda una sfera di autonomia pi� o meno ampia, ma non -0erto la sovranit�. Vi si legge infatti che � La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali>> (art. 5), che cc Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione � (art. 115), mentre cc .Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali � (art. 116). Lo Statuto speciale per la Regione siciliana ribadisce il principio, dichiarando la Sicilia cc costituita in regione autonoma... entro l'unit� :politica dello Stato italiano� (art. 1). Di fronte a questi principi fondamentali, che caratterizzano_ la struttura della Repubblica italiana, non pu� attribuirsi importanza al fatto che lo Statuto della Regione siciliana non menzioni espressamente il �rispetto degli obblighi internazionali � fra i limiti della potest� legislativa regionale, come hanno fatto altri statuti approvati suc- 0essivamente (art. 3 Statuto speciale per la Sardegna; art. 2 Statuto sp�ciale per la Valle d'Aosta; art. 4 Statuto speciale per il Trentino-Alto .Adige); anche quando non vi � alcuna disposizione espressa, -0ome � del resto nel caso delle Regioni a statuto ordinario, nessuno potrebbe supporre che a regioni autonome siano attribuiti poteri sovrani. Poich� soltanto lo Stato � soggetto nell'ordinamento internazionale e ad esso vengono imputati giuridicamente in tale ordinamento gli atti normativi posti in essere dalle Regioni, non pu� dubitarsi della illegittimit� degli atti da queste compiuti senza l'osservanza delle regole prescritte. 3. L'Avvocatura generale dello Stato ha insi. stito, nelle difese scritte e nella discussione orale, sul punto che il vizio denunciato concerne essenzialmente la violazione di un obbligo processuale da parte della Regione; la quale non si � attenuta :puntualmente alle prescrizioni di ordine procedurale, alla cui osservanza era stata richiamata dagli organi dello Stato. Tale circostanza non � contestata dalla Regione e si pu� ritenere per certo che l'approvazione del disegno di legge da parte della ..Assemblea regionale avvenne senza che gli organi della Regione avessero fornito le notizie e i chiarimenti richiesti dalla Commissione della Comunit� economica europea per il tramite della Rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso le Comunit� europee. Ci� posto, gli argomenti addotti dalla difesa della Regione per dimostrare che la legge denunniata non innova la situazione, n� reca alcun turbamento all'attuazione di quei principi di libera, �concorrenza, che il Trattato di Roma istitutivo della Comunit� economica europea si � proposto di attuare, anche se attendibili, non possono avere alcuna rilevanza ai fini del presente giudizio. Il comportamento degli organi regionali, che ha concretato la violazione delle prescrizio)li .impartite dallo Stato in osservanza di obblighi internazionali, che ad esso competeva interpretare e definire, � sufficiente -a giudizio della Corte -a determinare la dichiarazione della illegittimit� costituzionale della legge regionale impugnata. La Corte, dopo aver solennemente riaff ennctto il principio, secondo il qiiale le Regioni, pur se dotate di ampia aittonomia, sono enti amministrativi, privi della sovranit�, che spetta unicamente allo Stato, al quale solo sono imputai'i, nell'ordinamento internazionale, gli atti delle Regioni, ha precisato che anche la Sfoil�ia incontra, nell'esercizio della sua competenza legislativa, il limite del rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato. Ci� nonostante che lo Statuto Speciale per la Regione siciliana non contenga, come gli altri Statuti, un'espressa menztone di �questo limite. La Corte ha affermato, altres�, che solo lo Stato � competente ad interpretare e definire gli obbligM internazionali da esso assunti. Da questa esclusiva competenza degli organi statali conseguente al fatto che internazionalmente � lo Stato, che risponde degli atti delle Regioni, deriva, altres�, il potere dei predetti organi d'impartire direttive e prescrizioni, che le Regioni sono tenute ad osservare nell'esplicazione delle potest�, legislative ed amministrative, ad esse attribuite dalla Costituzione e dagli Statuti Sp~ciali. L'illegittimit� costituzionale dell'atto regionale deriva, perci�, non solo e non tanto dalla violaz-ione degli obblighi internazionali assunti dallo Stato, quanto dalla violazione delle direttive impartite dallo Stato per l'osservanza dei predetti obblighi. Onde la conseguenza che nessun margine di discrezionalit� � lasciato alle Regioni nella valutazione del contenuto degli obblighi stessi. G. G. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio di legittimit� costituzionale -Giudice a quo -Giudice istruttore civile. COSTITUZIONE -Legge di registro -Obbligo di re gistrazione di documenti da produrre in giudizio Eccezione di illegittimit� costituzionale -Infonda tezza. (Oorte Costituzionale, Sentenza n. 44 e 45 del 9 aprile 1963 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Fragali). 1. Il GiudLe incaricato della istruzione della causa nei procedimenti civili non � competente a promuovere direttamente il giudizio di legittimit� costituzionale ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 della legge 11 marzo. 1953, n. 87. 2. Gli artt. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 sulla legg� �ai registro e l'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548-�recante norme relative al bollo ed alla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti dvili non sono in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. -iv 1) La questione di cui alla prima massima era stata g�i� decisa dalla Corte Ccstituzionale con la sentenza 11 dicembre 1962 nel senso della invalidit� della 1�imessione disposta con Ordinanza del Giudice istruttore nel processo civile e non con Ordinanza del Collegio. La Corte ha confermato questa soluzione anche nel caso di specie, nel quale, a favore della competenza del Giudice istruttore, veniva addotto il divieto per questi, ex art. 2 della legge 30 dicembre 1942, n. 1548, di � emettere provvedimenti sugli atti e documenti non registrati �: da questo divieto si faceva deriva1�e la legittimazione diretta del Giudice Istruttore a rimettere alla Corte la questione circa la legittimit� costituzionale delle norme che impongano �il divieto. Senonch� era agevole obbiettare, anche sitl piano della interpretazione di queste norme, ed in partfoo. lare dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, che le stesse, se dispongono la sospensione (necessaria) del processo in istruttoria, allorch� si debba decidere sulla base di un atto per il quale sia prescritto ad substantiam la forma scritta (e che non sia stato registrato), non importano affatto che al Collegio la causa non possa essere rimessa (dal Giudice Istruttore) per ogni questione concernente la applicazione del divieto e, quindi, anche per la valutazione della rilevanza e per la delibazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale della norma che pone il divieto. La Corte� Costituzionale ha seguito, per risolvere la questione, una via diversa da quella della interpretazione della portata delle norme sul divieto: ha considerato l'assoluta autonomia del procedimento di rimessione della questione di legittimit� costituzionale, affermando (con evidente riferimento alla legge 11 marzo 1953, n. 87) che esso � regolato dalla legge in maniera completa da norme che non fanno riferimento a divieti di ordine tributario, che sarebbero, d'altro canto, incompatibili con la natura ilel processo costituzionale. La sentenza offre quindi alla dottrina ottimi spunti per una costruzfone della fase introduttiva del p1�ocesso costituzionale in senso autonomo ed indipendente dal sistema delle norme del codice di rito che pure regolano quella fase, giacch� essa ha origine � nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorit� giurisdizionale � secondo l'espressione usata nell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Peraltro, non v'� dubbio che dallo stesso art. 23 posto in relazione con le disposizioni del Codice di rito civile sui poteri del giudice istruttore e sulle relative ordinanze (artt. 164 e segg.) si pu�, in ogni caso, agevolmente dedurre che i presupposti per la valida instaurazione del giudizio innanzi alla Corte Costituzione devono essere valutati ed accertati, allorch� la questione di costituzionalit� insorga in un processo civile, sempre dal Collegio e non dal Giudice o Consigl-iere Istruttore. * * * 2) La questione di cui alla seconda massima era di quelle pi� importanti e delicate sottoposte al giudizio della Corte Costituzionale: se le norme della legge di registro circa le scritture private non registrate (art. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 modificato con R.D. 23gennaio 1936, n. 2313), nonch� la norma dell'articolo 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548 �sul �olla e sulla registrazione degli atti e documenti prodotti dalle parti nei procedimenti civili, fossero o meno in . contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Le norme ora indicate erano .state denunciate di illegittimit� costituzionale, in quanto creatrici di sistemi organici di Umiti alla possibilit� di tutela giurisdizionale dei diritti individuali, limiti concretantisi variamente: inerzia processuale delle ragioni della pretesa, preclusione dei poteri giurisdizionali, sanzioni e corresponsabilit� obbligatorie conseguenti allo esercizio di tali poteri. La Corte Costititzionale ha respinto queste censure con motivazione sobria ma perspicuamente espressiva della affermazione dei principi, l'importanza dei quali trascende certamente il caso e la materia in. occasione dei quali sono stati enunciati. * * * Una prima affermazione di tale genere concerne l'interpretazione dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, mentre la difesa deve essere considerata. come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. L'interpretazione gi� data dalla Corte Costituzionale dell'art. 24, 1 a e 2a comma (per la maggior parte dei casi, venuti in considerazione in connessione col principio della eguaglianza affermato nell'art. 3) era gi� stata nel senso che l'affermazione� della generica possibilit� per il cittadino di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi non escludesse la possibilit� per il legislat�re ordinario di intervenire a regolare concretamente l'esercizio di tale inviolabile diritto individuale, imponendo limiti e condizioni per l'ordinato svolgimento della anzidetta tutela. La Corte ha riaffermato questo principio nel casa in esame stabilendo che il legislatore ordinario, a tutela di un interesse pubblico costituzionalmente garantito quale � quello dello Stato alla riscossione dei tributi (art. 53 Cost.) possa �imporre prestazioni :fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo, sia che esse configurino vere e proprie tasse giudiziarie, sia che abbiano riguardo all'uso dei documenti necessari alla pronuncia finale dei giudizi�. Si �, quindi, stabilito che un interesse pubblica extra processuale, quale � quello dello Stato alla regolare percezione dei tributi, possa essere legislativamente attuato nel processo civile ed in occasione del processo (1) entro determinati limiti, i quali, nel pensiero della Corte, sono costituiti dalle due condizioni: a) che l'interesse pubblico di _�u_i sopra si presenti in stretta e razionale relazione con jl (1) Il concetto era gi� stato espresso dal CHIOVENDA: Istituzioni di dfritto processuale, Napoli 1934, II, p. 244 processo; b) che la strutturazione ed il congegno mediante il quale si attua legislativamente quello interesse non oper�i direttarnente sul diritto individtiale o sull'azione (come dice la sentenza), sibbene solo sulle concrete modalit� di esercizio di quest'ul#ma. * * * Entro l'ambito segnato dalle ora indicate premesse, la Corte ha sentenziato che i divieti e gli oneri post-i dalle norme della legge di registro e dalla legge 3 dicembre 1942, n. 1548 in materia di atti non registrati, e gli effetti che dalla inosservanza di tali oneri derivano sono intesi �a stimolare l'adempimento agli obblighi che questa (cio� la legge tributaria) determina e non sono in contrasto n� con l'art. 24 n� con l'art. 3 della Costituzione. La ratio decidendi per la Corte, come s�i des�ume anche dalla affermata diversit� del trattamento degli att�i non registrati dall'istituto del solve et repete, � stata la considerazione degli effetti processuali della mancata registrazione e del mancato adempimento, in genere, degli obblighi che la legge tributaria pone, com'� noto, anche a carico di persone diverse da quelle tra � le quali sorge il rapporto giuridico di imposta (2). � Ed � gi� un principio di somma importanza di carattere generale, mediante l'affermazione del quale la Corte sembra avere per lo meno attenuato l'opinione che una parte della dottrina, appoggiandosi a precedenti pronuncie d�lla stessa Corte, ha sostenuto circa l'esigenza di un processo legale (due process of law) sancito in altre Costituzioni (ad esempio in quella nord-americana), sotto il profilo della sostanziale rivedibilit�, ai sensi dell'art. 24, di tutti gli oneri e le limitazioni imposte dalla legge a carico delle parti nel processo ci-vile in modo che ne restino menomate le garanzie processuali (3). Alla motivazione della Corte non pu� che, consentirsi da parte nostra. * * * Ma c'� un'altra parte della motivazione della sentenza della Corte che merita di essere qui esaminata ed � la parte nella quale si coglie esattamente la vera essenza, quanto alla natura giuridica, della � alternativa � che la legge di registro pone alla parte nei confronti dell'uso, nel processo, della scrittura privata non registrata. Questo � l'aspetto certamente pi� importante della questione proposta. Per vederla completamente, attraverso le sobrie ed incisive considerazioni della sentenza, � necessa1�io risalire alla considerazione degli effetti, in generale, delle scritture non 1�egistrate e, quindi, alla natura ed agli effetti della registrazione. (2) Sulla natura di queste obbligazioni: cfr. GIANNINI A. D.: Istituzioni di diritto tributario, Milano 1960, pagg. 165-166; GuGLIELMINI-AzZARITI: Le imposte di regist�ro, Torino 1959, pagg. 163 e 166. (3) Cfr. CAPPELLETTI: Diritto di azione e di difesa e funzione conm�etizzatrice della giurisprudenza costituzionale, in � Giurisprudenza costituzionale�, 1961, p. 1284. Questa allorch� � richiesta nel nostro sistema legislativo (per gli atti scritti ed in determinati casi, per i contratti verbali) non � preordinata esclusivamente ai fini tributari, anche .se~ in oo<xt,tij<nie deila registrazione dell'atto, lo Stato a.ccerta e percepisce l'imposta indiretta di registro. La registrazione � ordinata come una pubblica pre ,stazione ed un servizio che consiste nell'annotazione degli atti e dei ttasferimenti nei pubblici registri a ci� destinati: essa accerta la legale esistenza degli atti �in genere ed imprime alle scritture la data certa di fronte ai terzi (artt. 3 e 73 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269, art. 2704 C. c.). Contemporaneamente, ma con funzione concettualmente separata, � di regola accertata e riscossa l'imposta dovitta sull'atto o sul trasferimento. L'atto non registrato ha, quindi, una sua inefficacia nei riguardi esterni che non � di natura tributaria, bens� di carattere generale e sostanziale, scaturente da norme e da principii che sono di dfritto comime. Discende certamente da questa inefficacia o inopponibilit� erga omnes dell'atto non registrato il clivieto posto negli artt. 117, 118, 120 della legge di registro, d�i1;ieto che � d�i carattere assoluto dal pimto di vista dei suoi destinatari, concerne cio� non soltanto i soggetti che agiscono nel processo e per il processo, ma tutti in genm�e i soggetti che la legge prevede che possano venire in contatto con l'atto: notai, pubblici funzionari, impiegati, comminandosi a carico di tutti costoro precise san.zioni. Si tratta, dunqt.(,e, di una inefficacia di carattere assoluto dell'atto non registrato, che concerne tutti gli aspetti e le sfere nelle quali pu� farsi valere l'atto stesso, non semplicemente qitella del processo.- Sicch�, sotto im primo profilo di carattere generale non solo non si pu� dire che l'inefficacia dell'atto non registrato sia comminata in relazione al processo, ma si pu� anche con altrettanta certezza affermare che l'aspetto processuale della inefficacia dell'atto non registrato non � che uno dei riflessi o delle conseguenze della inefficacia di ordine generale. Situazione, dunque, gi� di per s� chiaramente fitori della previsione dell'art. 24 della Costituzione e del contenuto e della portata dell'ist'ituto del solve et repete nel quale l'inadempimento all'obbl-igo di natura esclusivamente fiscale (mancato pagamento dell'imposta) determinava l'impossibilit� dell'esperimento dell'azione giudiziaria dfretta ad ottenere la tutela, della pretesa del contribuente. Ma l'estraneit� del trattamento dell'atto non registrato all'ambito d�i applicazione dell'art. 24 della Costituzione ed al cessato istituto del solve et repete risulta confermata anche ove si ponga mente al modo come la inefficacia dell'atto non registrato si comporta nel processo, nel quale l'atto stesso venga fatto valere. E', anzitutto, da escludere, sia in base alla legge che in base alla interpretazione giurisprudenziale che la mancata registrazione (non parliamo del mancato pagamento clell'imposta che non � affatto �riiJhiesto, art. 85, art. 118 n. 2 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269T -costituisca precliisione ad imped�imento alla instaurazione del giudizio ed alla sua prosecuzione e conclusione, nel caso in cui il giudizio possa essere definito indipendentemente �dall'atto non registrato: ml - es. pur agendosi in base a.cl i~na scrittura privata non registrata, si deferisca un giuramento o vi sia un riconoscimento della controparte o il Giudice riconosca fondata una eccezione di decadenza o di prescrizione. Ma anche negli alt1�i casi nei quali la pretesa dedotta in giudizio non possa essere esaminata e decisa ricorrendosi ad altri mezzi di prova se non quello costituito dall'atto scritto non registrato, il giudizio pu�. egualmente essere instaurato: solo che esso rimarr� sospeso per quanto attiene alla definizione, allorch� il Giudice debba porre a base dei suoi provvedimenti esclusivamente l'atto non reg�istrato; a meno che, anche in qitesti casi, l'interessato chieda e sia ammesso al gratuito patrocinio (artt. 111 e segg. R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269; artt. 25 e 26 D.P. 25 giugno 1953, n. 492). E' palese, quindi, che la registrazione (o la mancata registrazione) reagisce nel processo non gi� quale presupposto sostanziale dell'azione o condizione inducente un difetto temporaneo di giurisdizione (come avveniva per il solve et repete), ma unicamente sul terreno della prova, e dei conseguenti limiti al potere di 'l'alutazione e di decisione del Gfodice. CORTE DI COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Consiglio di Stato -Sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato -Motivi attinenti alla giurisdizione -Fattispecie. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 2295/62 -Pres.: Tavolaro; Est.: Flore; P.M.: Pepe (conf.) -Ministero del Tesoro c. Botti). I motivi attinenti alla giurisdizione, per i quali la Corte di Cassazioue pu� sindacare le decisioni del Con iglio di Stato o della Corte dei Conti sono soltanto quelli che incidono sulla essenza della funzione giurisdizionale, non sull'esercizio o rnJ nesso dell'esercizio di essa. Per conseguenza non � << Motivo attinente alla giurisdizione i> quello che denuncia l'essersi il Consiglio di Stato Iifiutato di decidere in difformit� da precedenti dell'adunanza plenaria, motivando il rifiuto con l'esigenza di distaccarsi da tali precedenti soltanto per gravi motivi di dissenso. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con l'unico mezzo si deduce dall'amministrazione ricorrente che il Consiglio di Stato incorse in difetto di giurisdizione per mancato esercizio della funzione giurisdizionale; e per eccesso di potere giurisdizionale. Il primo aspetto del vizio sarebbe integrato dalla :affermazione che soltanto per gravi ragioni sia consentito distaccarsi dalle decisioni adottate dall'adunanza plenaria, perch�, se cos� non fosse, l:IU La legge, cio�, fa divieto al Giudice di fondm�e il suo convincimento su di un atto non registrato, allorch� questo sia necessario ai fini del decidere. Questo divieto, di ordine meramente processuale e, comunque d'ordine generak, Ettrettamente" �ompr~so nella materia delle prove non tocca e, quindi, non pu� 'l'iolare il principio stabilito nell'art. 24, cos� , come non pu� toccare questo principio la norma che vieta al Giudice di disporre la prova testimoniale oltre determinati limiti di valore (art. 2721 e.e.) o la norma che dispone che un determinato atto possa essere fatto e, quindi, provato solo per atto pubblico (art. 782 in relazione all'art. 2699 e.e.). In sostanza, come esattamente ha detto la Corte, la parte � posta ex lege dinanzi allei alternativa di valersi o non valersi �della funzione probatoria o documentale che la scrittura � chiamata a svolgere n con la ulteriore conseguenza che, quando la scrittura � richiesta ad substantiam, oltre alla prova, la parte dispone anche del diritto sostanziale. JJ.I a qu.esta � una valutazione di competenza e di convenienza della parte, che concerne, al di fuori, l'esercizio del diritto, ma che � del tutto estranea concettualmente alla libert� di tutela del diritto stesso sancita nell'art. 24, primo aomma, della Costituzione. LUCIANO TRACANNA CASSAZIONE sarebbe stato vano che la legge avesse demandato a tale organo la decisione dei contrasti giurisprudenziali o l'esame delle questioni di massima di particolare importanza. Il secondo aspetto del vizio consisterebbe nella attribuzione di valore di diritto obbiettivo alia pronuncia dell'adunanza plenaria, dai principi affermati dalla quale non sarebbe comentito distaccarsi se non per gravi ragioni. La ricorrente amministrazione sintetizza la sua censura, ricavando dalla premessa posta daJla decisione, una violazione dell'art. 101 della Costituzione, per il qua�e i i giudici sono soggetti soltanto alla legge, perch� implicitamente il Consiglio di Stato si sarebbe ritenuto vincolato oltre che dalla legge anche dai precedenti giurisprudenziali di speciale solennit�. � da premettere che � fuori discussione che la materia della controversia rientrasse nella gi.urisdizione del Consiglio di Stato; che questo ha adottato una decisione conforme ai suoi poteri; che la composizione del Uonsiglio non dava luogo a critiche. Fino a questo punto e per quanto concerne gli anzidetti elementi un motivo attinente alla giurisdizione non � neanche ipotizzabile. Il ricorso invece si appunta contro una parte della motivazione in diritto, quella iniziale, nella quale si � sintetizzato il rifiuto di accogliere le ragiQni addotte dalla Avvocatura dello Stato contro i prece:: denti dell'adunanza plenaria e della quarta Sezione. Comunque dilatato, il mezzo, assai sottile, non � fondato. Si pu� ammettere che i motivi << attinenti -81 alla giurisdizione >> includano tutte le ragioni che incidano sulla essenza della funzione giurisdizionale (costituzione del giudice speciale; rifiuto di pronunciarsi; disconoscimento in genere o in ispecie di tutela giurisdizionale; consumazione affermata o negata della giurisdizione; distribuzione della materia contenziosa tra i. vari ordini di giudici; travalicamento dei poteri spettanti ai giudici in genere). Ma la ipotesi prospettata a questa Corte Suprema non � in nessun modo classificabile tra quelle innanzi indicate, e il motivo fatto valere contro la decisione impugnata non ha comunque attinenza con la giurj.sdizione. Il Consiglio di Stato avrebbe -al pi� -motivato inopportunamente o non esaurientemente (ci� si dice per mera ipotesi dialettica) circa l'invocato mutamento di giurisprudenza: le ragioni addotte potrebbero essere (anche "Ci� � detto in via di mera concessione) anche inesatte: ma ci� costituirebbe un vizio della pronuncia, vizio della motivazione, per meglio dire, e tale vizio -lo riconosce la stessa difesa dello Stato -se affetta una decisione del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, non � denunciabile in Cassazione. Neanche sarebbe denunciabile l'omissione totale di motivazione: qualche tentativo di riportare il difetto sotto l'angolo visuale del mancato esercizio della giurisdizione, non ha trovato fortuna presso questa Corte Suprema, perch� la motivazione � un requisito di validit� della sentenza, ma non ne costituisce l'essenza. L'Amministrazione ricorrente deve fare, del resto, uso di accorgimenti dialettici, per giustificare il non giustificabile ricorso. Deve cio� togliere ogni rilievo logico all'inciso � se non per gravi ragioni di dissenso >> con il quale il Consiglio cii Stato afferma la possibilit� di discostarsi dai precedenti giurisprudenziali dell'adunanza plenaria, per potere affermare che quel Consesso si neghi ogni potere di decisione autonoma, allorch� l'adunanza plenaria si sia pronunciata, quasi come fosse inerente al nostro ordinamento il principio stare decisis. In realt� non � cos�, il Consiglio non solo non riconobbe forza vincolante a quelle decisioni, ma afferm� che, per gravi ra,gioni di dissenso, le Sezioni possono o rinviare nuovamente la decisione alla adunanza plenaria o decidere in difformit�. In realt�, la sostanza della decisione � tutta in questo: che la Sezione non rfoonobbe le ragioni di �grave dissenso n dalla Adunanza plenaria e svilupp� gli argomenti da questa adottati con una sua propria pronuncia, motivando cos� l'accoglimento del ricorso. E del resto -quantunque la Corte Suprema non debba occuparsi dei difetti o dei pregi delle motivazioni delle decisioni del Consiglio di Stato -vale la pena di sottolineare che nell'ordinamento giuridico italiano la certezza del diritto � assicurata non soltanto dalle leggi e dalla loro stabilit�, ma anche dalla unit� e dalla uniformit� della interpretazione giurisprudenziale. L'affermazione che i precedenti giurisprudenziali di organi altissimi ai quali � devoluto risolvere i contrasti fra i giudici diversi o le questioni importanti di massima vannl) tenuti presenti, a meno che non sussistano serie ragioni di dissenso, proprio come precedenti giuri sprudenziali, � ispirata a senso di responsabilit� e non merita censura. Non si pu� arbitrariamente trasformare una simile affermazione nella espressione di un'efficacia norm:;i,tiya del_ m_ec_edente, vincolante assolutamente il giudice, proprio perch� questi ha affermato che, se dal precedente dissentisse, non si sentirebbe vincolato. Nella memoria l'amministrazione si richiama alla sentenza n. 3008 del 1952, con la quale questa Corte Suprema ritenne che l'irregolare composizione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato avesse dato luogo sia al vizio dell'inesistenza della decisione sia al vizio di difetto di giurisdizione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. Ma quella ipotesi non ha nessun punto di contatto con l'attuale: in quella infatti non veniva in discussione l'esercizio della giurisdizione da parte di organo legittimamente costituito, ma la corrispondenza tra il giudice che l'ordinamento ha istituito e quello che emise la pronuncia impugnata. Questa Corte Suprema accert� che l'organo giudicante non era l'organo previsto dalla legge e quindi che esso non solo difettava di giurisdizione ma che la sua pronuncia era inesistente. Il vizio dell'organo dunque preesisteva alla pronuncia_ e rendeva impossibile che una pronuncia giurisdizionale venisse ad esistenza nel mondo del diritto. Nel caso di specie, al contrario, nessun vizio preesisteva alla pronuncia, che emana dall'organo competente ed � compresa nell'ambito dei suoi poteri. Non vale dire che qui si ha <e mancato esercizio n della giurisdizione quoad obiectum in quanto non potrebbe dirsi decisa una questione in ordine alla quale il giudice avrebbe dichiarato di abdicare alla propria autonomia di convincimento fino a quando non gli si prospettino gravi ragioni di dissenso da un precedente giurisdizionale n. Vi sarebbe, al pi�, viziato esercizio della giurisdizione, non potendo negarsi che una pronuncia vi sia stata, ch'essa � assistita da un duplice ordine di motivi, gli uni, diretti a spiegare il diniego di revisione della giurisprudenza, gli altri diretti a giustificare la decisione sul merito del ricorso. Vi sarebbe stato ugualmente esercizio della giurisdizione -si � gi� detto innanzi -se non vi fosse stata motivazione alcuna: eppure neanche in questa ipotesi, questa Corte Suprema avrebbe potuto sindacare la pronuncia del Consiglio di Stato. Nel tormentato campo della delimitazione dei confini della giurisclizione del Consiglio di Stato e consegiwntemente clei poteri di sindacato della Corte di Cassazione la presente sentenza ci sembra che segni un passo indietro nei confronti dell'indirizzo affermatosi con la senten.za delle stesse Sezioni Unite, n. 3008 dell'll ottobre 1952 (in Foro it. 1952, I, 1321), bench� in essa si riaffermi espressamente che una violazione di legge attinente alla composizione del Collegio (nel che si sostan.ziava la questione decisa con la citata sentenza del 1952) cost-ituisce viziO attinente alla giurisdizione. La verit� � che alpari della illegale composizione del collegio o del disconoscimento di tutela giurisdizionale o del travalicamento dei poteri spettanti ai giudici in genere, anche l'assoluta mancanza di motivazione o add� -82 rittura la motivazione ob relationem si 1�i8ol�vono in itn vizio che attiene all'essenza stessa della funzione giurisdizionale e perm'.� solo sindacabt"le dal massimo organo della giurisdizione specie dopo che l'obbligo della motivazione delle sentenze e decisfoni � stato affermato dalla Costituzione (art. 111). Per rendm-si conto degli esatti: term1'.ni della grave questione ci sembra opportuno trascrivere integra.lmente il motivo di ricorso presentato cont?"O la deC'isione del Consiglio d�i Stato. DIFETTO DI GIURISDIZIONE PER MANCATO ESERCIZIO DELLA FUNZIONE GIURISDIZIONALE -DIFETTO DI GIURISDIZIONE PER ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE. ART. 360, N. 1 E 362 C.P.C. La gravit� dell'affermazione, contenuta nel terzo e quarto periodo della motivazione in diritto della decisione denunciata alla Suprema Corte, pu� sfuggire ad una superficiale e non meditata lettura. Si ha, infatti, la prima impressione di trovarsi di fronte ad innocue fasi encomiastiche dell'auctoritas rerum similiter iudicatarum ed ad un tributo di ossequio della Sezione giurisdizionale verso l'Adunanza Plenaria, reso in occasione del rifiuto di emettere un ordinatorium litis pienamente discrezionale; insomma, a frasi ininfluenti ai fini del decidere. In definitiva, un discorso generico: troppo generico perch� dia lo spunto ad una critica che possa venire manifestata alle Ecc.me Sezioni Unite. E questa impressione pu� assumere una certa illusoria consistenza, quando si tenga presente che sulle questioni controverse la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha (quanto meno in apparenza) motivatamente giudicato: bene o male, compiutamente o difettosamente, ci� non dovrebbe avere importanza ai fini della denuncia della relativa decisione alla Suprema Corte Regolatrice. Qui pu� essere visto soltanto il fatto che esiste la documentazione che un iter logico e volitivo � stato percorso per dire esercitato e consumato il potere giurisdizionale in re subiecta. Ma non crediamo che nessun cultore del diritto possa seriamente fare il torto ad una decisione del Consiglio di Stato di una lettura disattenta o fu. gace. E se l'esame si compie in profondit� e con la doverosa ponderatezza, i risultati che si conseguono sono veramente allarmanti, e tali da indurre a sollecitare l'intervento del Supremo Collegio. Invero, le idee fondamentali per una giusta visione della funzione giurisdizionale vengono sottoposte dai due periodi dianzi cennati ad una scossa radicale, tanto da fare ritenere doverosa la proposizione del presente gravame. Che cosa dice il Consiglio di Stato? In poche parole, questo: lAdunanza Plenaria delle Sezioni Giuris.dizionali del Consiglio di Stato ha avuto affidata la risoluzione dei contrasti giurisprudenziali, in atto o prevedibili, e delle questioni di massima di particolare importanza, proprio allo scopo di stabilire in giurisprudenza dei punti fermi, dai quali le singole Sezioni giurisdizionali. non possono distaccarsi se non per �gravi ragioni di dissenso)). Allo stesso livello di gravit� debbono assurgere le ragioni per le quali � consentito di rimettere alla Adunanza Plenaria, per un riesame, la q�estione di diritto su cui questa gi� una volta si sia pronun ciata. Quando siffatte �gravi ragio11.� n non rfoofrano la Sezione non pu� tenere in non cale il precedente stabilito dall'Adunanza Plenaria, il quale (ci� che �costituisce un inevitabile corollario di quanto espressamente enunciato) pu� solo essere parafrasato ed adattato alla controversia da decidere, restando escluso che la Sezione possa prendere l'iniziativa della revisione della giurisprudenza consolidata sia direttamente, sia con il mezzo del rinvio all'Adu nanza Plenaria. Con il che, sembra che non incori�a in errore chi legga in questa pronuncia una singolare integra zione dell'art. 101 della Costituzione: � i Giudici sono soggetti soltanto alla legge... e -salvo che non ricorrano gravi ragioni di dissenso -ai pre cedenti giurisprudenziali di speciale solennit� �. In altre parole, qui si ha da una parte un eccesso di potere giurisdizionale (erga legis latorem) consu mato con l'attribuirsi valore normativo di diritto obiettivo a certi precedenti giurisprudenziali, dalla altra un rifiuto di esercizio della funzione giuri sdizionale, ravvisabile nel condizionarsi a gravi ragioni di dissenso dai precedenti la possibilit� della formazione in una certa direzione del con vincimento (per definizione, libero) del Giudice, ed infine l'introduzione di un elemento di discre� zionalit� in una zona preclusa, elemento costituito dall'apprezzamento della � gravit� � delle ragioni di dissenso. In sostanza, e per chiarire meglio la portata del presente ricorso, � da ritenere che la Quarta Sezione abbia configurato il processo avanti a s� pendente come suddiviso in due momenti logici: uno (rescin� dens) inteso alla ricerca di certi motivi particolar mente qualificati per, eventualmente, non appli care al caso controverso l'autorevole precedente, e l'altro (rescissorium) diretto alla decisione della controversia. Con l'ovvia conseguenza che, avuta la prima fase esito negativo, il Consiglio di Stato non giudica pi� con quella pienezza di alternative, che � attributo inalienabile della funzione giuri sdizionale, ma deve -di necessit� -adattare il precedente giurisprudenziale alle modalit� del caso in esame, con un'operazione di riduzione a con formit� che � logicamente l'esatto opposto del giudizio. Con questo, la Difesa della Pubblica Ammini strazione non intende neppure lontanamente negare n� l'autorit� della giurisprudenza, n� la libert� di ogni Giudice di conformarvisi tutte le volte che lo creda utile ai fini del decidere, dichiari egli o meno l'intendimento di mantenersi nella linea dei pre cedenti intervenuti. Ma il fatto � che la giuri sprudenza, pur se consolidata, non assume rispetto alla legge il valore di integrazione che la teologia cattolica riconosce alla tradizione rispetto alla verit� direttamente rivelata, n� pretende all'inr perio, sia pur con la valvola costituita dalle <<gravi ragioni di dissenso�. Al giudice si chiede libera adesione ai precedenti, perch� implicitamente o esplicitamente riconosciuti giusti. ---��-----------------����� -83 Bene pu� il Giudice assolvere all'onere di moti- vazione richiamandosi a precorsi giudicati, e persino �esprimendo le ragioni del proprio convincimento -0b relationem (egli ha certo in questi casi esercitato la giurisdizione: se mai si tratter� di vedere se sia o meno incorso in difetto di motivazione. Ma, 11er giudicare, ha giudicato). Ma ci� implica che il , Giudice ha fatto propria la precorsa sentenza, ha ritenuto che quest'ultima corrisponda esattamente :al suo pensiero, e . che -in ultima analisi -la precedente sentenza sarebbe stata quella che egli avrebbe reso in assenza di precedenti in materia. Il richiamo vale, allora, per inserire la nuova 11ronuncia nel filone della tradizione e rivestirla di una certa particolare autorit�; costituisce, s�, un gesto di ossequio al Giudice che anteriormente ebbe :a risolvere il problema, ma non un atto di passivo conformismo, in cui verrebbe ad es.sere negata in radice l'essenza della funzione giurisdizionale. Si badi bene che questo � vero per il nostro ordinamento giuridico; � vero in genere per tutti i Paesi a diritto scritto; ma � vero del pari per quella :zona del diritto anglosassone dove campeggia la judge made law. Il principio stare decisis che qui domina non significa affatto alienazione della libert� di convincimento del giudice, ma soltanto che -essendo consuetudinaria la norma -questa ultima va ricercata, riconosciuta ed identificata nei 11recedenti giurisprudenziali, restandone, poi, libera l'interpretazione. Questo per la sostanza. Ma la presente doglianza non sarebbe completa, se qui la Difesa dell'Amministrazione non mettesse in risalto una singolarit� formale della pronuncia denunciata. E cio� che le affermazioni di cui si � fatto discorso, ed in cui ,_ si ripete -si compendia un vero e proprio rifiuto dell'esercizio della funzione giurisdizionale, non sono state fatte neppure in sede di decisione della controversia, ma -in sostanza -per motivare il rigetto della domanda d'un provvedimento ordinatorio, quale proprio la remissione del ricorso all'Adunanza Plenaria. Cosi che la situazione viene ad essere di questo genere: il Giudice a fronte della domanda di un provvedimento ordinatorio, dichiara che egli non lo concede, per l'espresso motivo che egli n� intende distaccarsi dal precedente giurisprudenziale intervenuto, n� vuole prendere l'iniziativa che un'altra sede riesamini tale giurisprudenza. Insomma, nella sede processuale ordinatoria, il merito della� causa �, pi� che pregiudicato o compromesso, soffocato per la dichiarata volont� del Giudice competente di non sottoporlo ad esame autonomo e libero. DONAZIONE -Atto di donazione a favore dello Stato, rogato da funzionario statale, anzich� da notaio. Nullit� assoluta. (Cassazione Sezione II, Sentenza 2892, 9 ottobre 1962 -Varallo, Serra, Caldarera (conf.) -Amministrazione Poste c. Comune di Crotone). � affetto da nullit� assoluta l'atto di donazione di un immobile a favore dello Stato, rogato da un funzionario deHa Pubblica .Amministrazione (secondo la disposizione contenuta nell'art. 16 della legge sulla contabilit� n. 2440 del 1923) anzich� mediante atto notarile (v. 416/60, 1799/59, 1218/58, 2983/57 e 470/55). La sentenza � cos� motivata: Con il primo mezzo, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12 delle preleggi: 11, 769, 782 e 2699 O.e., 3, 6, 16 della legge di contabilit� generale dello Stato 18 novembre 1923, numero 2240; 36, 37, 41, 92, 95 e 102 del relativo regolamento, e dei principi generali che regolano i contratti della P . .A. Premesso che la Corte di merito ha basato la sua decisione su due ordini di considerazioni -il carattere eccezionale dell'attribuzione di competenza, ex art. 2699 O.e., a pubblici ufficiali, diversi dal notaio, a rogare atti pubblici, dimodoch� tale competenza va riconosciuta limitatamente ad atti indicati nelle singole leggi; il riferimento della legge generale di contabilit� dello Stato ai soli contratti da cui deriva un'entrata o una spesa, a contratti cio� a titolo oneroso, con esclusione, quindi, di quelli a titolo gratuito si sostiene, in ordine al primo punto, che non si pu� considerare eccezionale l'attribuzione ai funzionari dello Stato di ricevere i contratti in forma pubblica amministrativa. Mentre nei contratti che interessano esclusivamente i privati, il notaio � l'unico pubblico ufficiale che pu� redigere l'atto pubblico (eccezionale essendo la competenza riconosciuta ai consoli dalla legge 28 gennaio 1866), nei contratti, invece, nei quali sia interessato lo Stato, � possibile alternativamente la redazione nella forma dell'atto pubblico ricevuto da notaio e in quella pubblica amministrativa che �, anzi, la normale. E non � neppure esatto che la modalit� di scelta del contraente, contemplata dalla legge di contabilit�, renda ipotizzabile solo la stipula di contratti a titolo oneroso; infatti i contratti dello Stato non debbono essere preceduti necessariamente da pubblici incanti o da licitazione privata, formalit� inconcepibile rispetto al contratto di donazione, essendo ammessa anche la trattatjva privata dalla. quale esula ogni incompatibilit� con l'istituto della donazione. Si sostiene, poi, in ordine al secondo punto, che l'affermazione della Corte di merito secondo cui i contratti, previsti dalla legge di contabilit� sono solo quelli onerosi, senza addursi alcun altro rilievo a conforto di tale tesi, si risolve in una petizione di principio. La legge di contabilit� indica soltanto i vari scopi che la P . .A. si propone di conseguire agli effetti economici derivanti dai contratti conclusi. Cosi l'art. 36 del Regolamento dispone genericamente che si provvede con contratti a tutte le forniture, trasporti, acquisti, alienazioni, ecc., onde non � possibile restringere, per gli acquisti, solo a qu�lli a titolo oneroso. Il successivo art. �37, poi, distingue i contratti che procurano un'entrata da quelli che determinano una spesa: ora, soltanto-a �� qu;est'ultimi, se mai, pu� attribuirsi la natura di contratti onerosi, e non pure ai primi che possono essere tanto onerosi quanto gratuiti. La censura non � fondata. -u-::1:: La questione fondamentale che essa pone, se i . funzionari delegati, secondo legge, a ricevere atti della .Amministrazione pubblica da cui dipendono, possano anche rogare atti di donazione �, tuttora, controversa. Questa Corte Suprema, sopratutto nella sua pi� recente giurisprudenza (v. fra le tante, sent. 2983/57), si � pi� volte pronunciato in senso negativo con riguardo a donazione posta in essere da una .Amministrazione comunale e rogata dal segretario comunale: ci� sopratutto perch�, secondo l'enunciazione da ultimo formulata nella surricordata sentenza, l'atto di donazione non pu� ritenersi compreso fra gli atti e contratti indicati dall'art. 87 del Testo unico della legge comunale e provinciale (alienazioni, locazioni,� acquisti, somministrazioni ed appalti di opere) in quanto do �rnndo, di regola, codesti atti, siccome dispone lo stesso articolo, essere preceduti da pubblici incanti o da licitazione privata, � logicamente e giuridicamente inconcepibile configurare un atto di donazione preceduto da tali formalit�, e n� pu�, questo atto, essere compreso fra �le alienazioni� contemplate dalla predetta norma (sul riflesso che anche la donazione importa attribuzione o trasmissione di un diritto o di un bene da un soggetto ad un altro), poich� le alienazioni considerate dalla norma stessa non possono essere se non quelle a titolo oneroso, attesa la suddetta esigenza formale della procedura dell'asta pubblica e della licitazione privata, che presuppone necessariamente il carattere oneroso dell'atto in relazione al quale, appunto, la procedura stessa dev'essere osservata. Ritiene la Corte, che tali argomenti valgono a SOPreggere la soluzione negativa de qua anche quando l'atto di donazione venga rogato, a sensi dell'art. 16 legge sul patrimonio e contabilit� generale dello Stato, dal funzionario designato. � Dispone, infatti, l'art. 36 del relativo regolamento (R.D. 23 maggio 1924, n. 827) che si provvede con contratti a tutte le forniture, trasporti, acquisti, alienazioni, affitti e lavori riguardanti le varie amministrazioni e i vari servizi dello Stato. Il successivo articolo, a sua volta, stabilisce che tutti i contratti dai quali deriva un'entrata o una spesa dello Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, eccetto i casi indicati da leggi speciali e quelli previsti nei successivi articoli ove viene consentita la licitazione privata o la trattativa privata secondo i casi. Com'� evidente, tale disciplina normativa �, sostanzialmente, identica a quella in materia dettata dalla, legge comunale e provinciale, si pu� dire, anzi, che questa si � modellata su quella come ne avverte lo stesso art. 87. succitato del Testo unico. Nell'una e nell'altra, invero, si contemplano, in massima, gli stessi contratti che, nell'ambito del diritto privato, lo Stato e gli enti minori pongono in essere per il conseguimento dei loro fini, con i m�desimi procedimenti particolari di formazione diretti a garantirne la maggiore convenienza possibile e ci� anche attraverso quella forma che pi� si avvicina alla libera scelta del contraente, come nelle contrattazioni fra privati, ossia attraverso la forma della trattativa privata. Dice l'articolo 92 del regolamento suddetto che esso ha luogo quando, dopo avere interpellato, se ci� sia ritenuto conveniente, pi� persone o ditte, si tratta con una di esse: quindi forma, anche codesta, che mal si concilia con l'atto di liberalit�. Ma, a convincere maggiormente che tale atto non pu� rientrare nella disciplina normativa di che trattasi, vale considerare lo scopo cui sono preordinati i .contratti in oggetto e in relazione al quale, conformemente allo schema legislativo, i contratti stessi si distinguono in contratti rivolti a procurara un'entrata (contratti attivi) e in contratti diretti a procurare beni o servizi, che importano cio� una spesa (contratti passivi). Ora, tralasciando questi, ove pi� evidente appare il carattere oneroso del negozio, e ponendo mente ai primi, si ha che con essi la P . .A. mira ad utilizzare il proprio patrimonio disponibile e questo fine attua generalmente con le locazioni e con le vendite dei prodotti anche dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile, oppure, quando occorre procurare entrata straordinaria, con le alienazioni di beni patrimoniali, onde l'atto. di � alienazione � come nelle surriferite norme indicate, non pu� essere se non quello dietro corrispettivo, cio� a titolo oneroso, essendo, appunto, volto a procurare un'entrata. Obbietta, tuttavia, la difesa erariale che qui viene propriamente in considerazione il tipo di negozio che apporta �un acquisto � e questo effetto pu� conseguirsi pur quando il negozio sia a titolo gratuito. � facile replicare che la donazione, nel caso, � atto che va riguardato rispetto al soggetto che la pone in essere e sotto tale aspetto esso � atto che importa una perdita patrimoniale; � poi da notare che cc l'acquisto � quale altro negozio contemplato in materia, rientra nella categoria dei cennati contratti passivi, in quanto diretti a procurare un bene dietro corrispettivo: il che, come ovvio, importa una spesa e quindi un onere per l'.Amministrazione. Si deve, pertanto, convenire, con la Corte di merito, la quale, si �, in massima, inspirata ai suddetti principi, che la particolare disciplina normativa de quo riflette soltanto atti a titolo oneroso, onde essa non pu� ricevere applicazione per la forma di stipulazione, in riguardo ai contratti di liberalit�. Ne consegue che anche la donazione di Ente pubblico, come nella specie, va redatta, sotto pena di nullit�, mediante atto notarile. .A) Le stesse ragioni per le quali, in ripetute occasioni, � stata negata la competenza sul segretario comunale a rogare, a norma dell'art. 87 e 89 del Testo unico delle leggi comunali e provinciali, atti di donazione da parte dei Comuni, son1J state assunte, nella riportata sentenza, per negare, per gli atti pre� detti, la competenza dei fun.zionari dello Stato delegati alla stipulazione dei contratti dello Stato a norma dell'art. 16 della legge di Contabilit� generale e 95 del relativo Regolamento (cfr. Sent. 416/60, 1799/59; 1218/58). Per entrambi i casi, infatti, la competenza del funzionario addetto viene limitata agli atti a titolo oneroso con richiamo alla necessit� per lo Stato e per gli Enti locali di far precedere le proprie contrattazioni dalla formalit� dell'asta pubblica o della licitazione privata. Di peculiare vi sono due �---�-----�---�=-?'<!T--=c----------------- �-affm�mazioni: l'una per la quale la disciplina norma tiva delle ricorclate leggi concerne soltanto i contratti 1�ivolti a procurare un'entrata mediante l'utilizzazione del proprio patrimonio ed �i contratti rivolti a pro curare beni e servizi mediante un corrispettivo; l'altra per la quale la disciplina normativa delle leggi stesse �, per la trattativa privata, collegata all'oppor tunit� di interpellare pre1Jentivamente pi� persone o , ditte (art. 92 del Regolamento d�i Contabilit� geneNtle). L'indiri.zzo negativo gi� assunto dalla ricordata giurispruden.w, pei effetto di quest'ultimet senten.za, si avvia verso un lleciso consolidamento, anche se nella sentenw stessa, si d� atto che la questione � controversa. Non pu�, tuttavia, sottacersi che le limi tazioni apportate dalle ricordate due affermazioni alla disciplina dei contratti dello Stato mal st'. con ciliano con l'autonomia del Diritto Amministrativo rispetto al Diritto Privato, costantemente riconosciuta dalla Dottrina Pubblic�istica nel nostro Ordinamento Giuridico. Le norme della Contabilit� generale dello Stato che trattano il particolare argomento fanno parte di un corpo autonomo di norme poste a disciplina dell'attivit� di diritto privato della P . .A. prevista nella sua interezz!f,. L'art. 11, infatti, del Codice civile vigente, a somiglian.za dell'art. 2 del Codice civile abrogato, in attuazione della ricordata auto nomia, precisa che le persone giuridiche pubbliche godono dei propri diritti � secondo le leggi e gli usi osservati come Diritto Pubblico>>. Particolari cautele, pertanto, richieste per la mi gliore tutela dell'interesse pubblico, in determinati settori (scelta del contraente nei contratti onerosi), non si risolvono necessariamente in limitazioni al sistema generale, dal quale, al contrario, 1�estano regolati ,i settori per i quali le cautele stesse non sono necessarie o addirittura compatibili. Traccia di ci� pu� rinvenirsi nella parit� che lo stesso Codice civile all'art. 2699 attribuisce agli atti rogati da notaro ed a quelli rogati dagli altri Pubblici Ufficiali autm�izzati e nella conseguente facolt� che, nel settore pubblicistico, a norma dell'art. 102 del Regolamento di Contabiz.it� generale, hanno le parti contraenti di preferire l'una o l'altra delle due categorie di Ufficiali roganti. IMPOSTA DI REGISTRO -Associazione in partecipazione -Massa imponibile. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 18 febbraio 1963, n. 391 -Pres.: Torrente; Est.: Pece; P.M.: Reale (conf.) -Soc. Italstrade c. Finanze). Nell'associazione in partecipazione la massa imponibile, ai fini dell'imposta di registro, � costituita dalla somma dei valori apportati dall'associante e dall'associato, senza che possa distinguersi tra beni conferiti dall'associato e beni conferiti dall'associante. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. Con i primi due mezzi del ricorso principale la Soc. Italstrade e la Ditta Volpe assumono che, nella ipotesi di associazione in partecipazione, lo imponibile, ai fini della imposta di registro, � rap presentato solo dal valore dell'apporto dell'asso-ciato (nella specie, importo delle L. 2 milioni apportate dalla Ditta Volpe) e non anche dal valore dell'apporto dell'associante (nella spe�~e1 importo� di 2 milioni dell'associante Italstrade nonch� lire 500 milioni, importo dell'appalto costruzioni idro-elettriche, aggiudicato alla Ifalstra.de in proprio e da questa apportato alla associazione in partecipazione). Pi� specificamente, i ricorrenti principali assumono che: 1) dovendosi distinguere tra il concetto giuridico di societ� e quello di associazione in partecipazione, e non potendosi -d'altra parte -concepire un conferimento senza trasferimento di propriet�, l'art. 81 della tariffa allegato A alla legge di Registro deve essere interpretato nel senso che il valore dell'imponibile � dato solo dal valore lordo del capitale conferito dall'associato, senza che possa essere computato in alcun modo anche il valore dei beni conferiti dall'associante, dato che detti beni restano di propriet� dell'associante medesimo; 2) che, ai sensi del terzo comma dell'art. 4 della legge di Registro, la tassa proporzionale colpisce solo i trasferimenti di beni a titolo oneroso,. sicch� la interpretazione data dalla Corte d'Appello all'art. 81 della tariffa deve ritenersi o inesatta oppure in contrasto con il menzionato articolo 4 della Legge di Registro e, come tale, illegittima. Le esposte censure sono infondate. Gi� altre volte questa Corte Suprema (sentenza n. 134 del 1947; sentenza n. 2465 del 1935) ha affermato che nell'associazione in partecipazione la massa imponibile, ai fini dell'imposta di Registro, � costituita dalla somma dei valori apportati dall'associante e dall'associato, senza che possa distinguersi tra i beni conferiti dall'associato e i beni conferiti dall'associante. Il suesposto indirizzo giurisprudenziale deve essere tenuto fermo. � esatto che, come affermato dai ricorrenti principali, il concetto giuridico dell'associazione in partecipazione si differenzia da quello di societ�. Tale differenza � stata affermata anche da questa Corte Suprema (sentenza n. 2992 e n. 2727 del 1958) ponendosi in evidenza che nell'associazione in partecipazione difetta un capitale sociale mentre la titolarit� dell'impresa resta nel solo associante, senza che il vincolo tra associante ed associato dia vita ad un ente a s� con autonoma personalit� giuridica. L'accennata distinzione, per�, non � decisiva ai fini del quesito in esame, postoch� l'art. 81 della tariffa parla di �conferimento �e non � esatto che, come invece affermato dai ricorrenti principali, il concetto di conferimento coincida con quello di trasferimento. Anzitutto, atteso il carattere speciale della legge di Registro, ben sarebbe stato ipotizzabile che quest'ultima avesse inteso adottare, ai fini specifici della imposta di Registro, un concetto di conferimento diverso da quello del diritto comum~.�Ma la verit� si � che nel diritto privato il concetto di con:.~ ferimento ha un significato pi� ampio di quello di trasferimento, in quanto si riferisce ad ogni prestazione, avente anche solo valore � di uso di un determinato bene. Il che importa, precisamente~ �che i conferimenti previsti dall'art. 81 della tabella allegato A possono anche prescindere dall'effetto giuridico del trasferimento sicch� l'imposta di Registro sia legittimamente riferita anche al valore di uso dei beni che l'associante, pur conservandone la propriet�, ha destinati alla realizzazione dell'affare per il quale � stata stipulata l'associazione e che restano cos� contrassegnati, rispetto al residuo patrimonio dell'associante medesimo, da un'autonomia funzionale, direttamente collegata, con rapporto di strumentalit�, con quella realizzazione. Ci� corrisponde anche alla ratio dell'art. 81, in quanto l'oggetto dell'imposta de qua non � dato �dai singoli beni dell'associato o dell'associante, ma dal fenomeno economico-giuridico della riunione �(anche solo, per quanto attinente all'associante, :sotto l'accennato profilo della utilizzazione) dei beni e dell'associato e dell'associante. N� la esposta interpretazione dell'art. 81 della tariffa A urta contro l'art. 4 della Legge di Regitro, come -invece -affermato dai ricorrenti J>rincipali. Anzitutto, le norme delle tariffe allegate alla legge si trovano in un rapporto di semplice specificazione, e non anche di subordinazione, rispetto .alle disposizioni della legge stessa, cosi come � testimoniato dall'esplicito rinvio fatto alle voci delle tariffe dall'art. 5 della legge e come � ribadito nel testo della Relazione, la quale ha espressamente qualificato le tabelle come sostitutive di .altrettante norme della legge, giustificandone la -elencazione separata con motivi di mera sinteticit� -e chiarezza. Inoltre, il terzo comma dell'art. 4 della legge non J.imita l'applicabilit� della tassa proporzionale ai soli trasferimenti a titolo oneroso di propriet� ma -estende tale applicabilit� anche agli atti che contengono obbligazioni o liberazione di somme o -prestazioni. E cio� l'art. 4 contempla anche, come -� pacifico, le obbligazioni ex contractu. A tutto ci� va aggiunto che un dubbio sulla Tilevanza, ai fini fiscali, anche dell'apporto dello .associante poteva sembrare giustificato, da un punto di vista meramente formale, dalla dizione dell'art. 77 della tariffa allegata al Testo unico 20 maggio 1897, n. 217, il quale richiamava solo le �cose od oggetti diversi da denaro � conferiti o somministrati dai soci o dagli �associati �. Con che poteva dubitarsi, da un punto di vista letterale, -che il termine �associato � fosse stato usato nel .senso tecnico-giuridico rigoroso con esclusione di -ogni riferimento all'associante. Ogni dubbio per� deve ritenersi successivamente :superato dal particolare che meditatamente l'articolo 8 della legge 23 aprile 1911, n. 509, prima, -ed il vigente art. 81 della tabella A, poi, hanno :Sancita espressamente la equiparazione, ai fini tributari, delle associazioni in partecipazione alle �Societ� e si sono riferite genericamente ai conferimenti di beni o di contratti qualsiasi di locazioni �di cose o di opere, senza pi� alcuna specificazione �tra associato ed associante. Le considerazioni fin qui esposte tolgono rile- vanza al richiamo, fatto dai ricorrenti principali, .alla giurisprudenza di questa Corte Suprema in tema di tassazione delle promesse di vendita. Se. condo l'assunto dei ricorrenti, tale giurisprudenza avrebbe affermata la illegittimit� delle disposizioni delle tabelle che fossero non aderenti all'art. 4 della legge di Registro. Al riguardo � opp9rtmio precisare che questa Corte (sentenza n. 1473 del 1948) ebbe solo ad interpretare l'art. 5 della tariffa !lillegato A, pervenendo alla conclusione che la promessa bilaterale di compravendita � equiparabile, ai fini dell'applicazione della Tassa di Registro, alla vendita definitiva solo se abbia efficacia traslativa e non anche quando ha natura meramente obbligatoria. Senza addentrarsi in una questione estranea alla presente decisione,� va rilevato che mentre l'art. 5 della tariffa allegato A � collocato sotto la rubrica dei �trasferimenti a titolo oneroso�, l'art. 81 della stessa tariffa, e che � il solo che qui interessa, ha una sua rubrica e un suo contenuto autonomo, si da restare estraneo alla interpretazione dell'articolo 5. Per tutto quanto detto deve concludersi che esattamente la Corte d'Appello ha affermato il principio che nell'associazione in partecipazione, e ai fini dell'imposta di Registro, deve aversi riguardo, non solo all'apporto dell'associato, ma anche a quello dell'associante. Con la sopra riportata sentenza le Sezioni Unite hanno confermato la costante giurisprudenza della Corte Suprema ormai pressoch� secolare (v. Cassa� zione, Roma 21 aprile 1879 in La Corte Suprema di Roma, 1879, 353; id. 7 febbraio 1895 in Le Massime, 1895, 258; id. 25 aprile, ivi, 255; Sezioni Unite, 27 agosto 1896 in Giur. It., 1896, I, 1, 897; 10 settembre 1906, ivi, 1906, I, 1, 1006; 2 marzo 1907, ivi, 1907, I, 1, 443; 24 maggio 1916, ivi, 1916, I, 1, 1154; 25 giugno 1935 in Riv. leg. fisc., 1935, 863; 6 febbraio 1947 in Giur. Completa Cass. Civ., 1947, II, 4). I.G.E. -Imposta erroneamente corrisposta -Rimborso -Decisione Amministrativa in via gerarchica Azione Giudiziaria -Termini. (Cassazione, _Sezioni Unite, n. 3051, 26 luglio-20 ottobre 1962-Est.: Stile. Soc. Balestrini c. Finanze). Nei casi in cui, per conseguire il rimborso della imposta generale entrata erroneamente corrisposta, il contribuente abbia proposto ricorso agli Organi dell'Amministrazione Finanziaria ed abbia conseguito un provvedimento negativo definitivo, il termine per proporre azione giudiziaria non � quello di prescrizione di dieci anni, ma quello di decadenza di sei mesi dalla comunicazione del provvedimento predetto. Il testo della sentenza, nella parte dalla quale la massima � stata tratta, � del seguente tenore; OMISSIS. � ... la ricorrente per incidente denuncia la violazione dell'art. 33 della legge 23 aprile 1911, n. 509, in relazione all'art. 360 n. 1, C.p.c. e deduce che, -87 :stabilendo la norma menzionata il termine di sei mesi della decisione amministrativa dell'organo gerarchicamente superiore per adire il giudice ordinario, termine esteso dal R.D. 19 aprile 1923, n. 938, ad ogni pronuncia con carattere di definitivit�, la Corte del merito avrebbe dovuto dichiarare improponibile la domanda perch� erano de-� corsi i sei mesi dalla decisione del Ministro. Questa censura � fondata. L'art. 47 del R.D. 9 gennaio 1940, n. 2, innanzi menzionato, dispone, nel secondo comma che la "istanz.a per il rimborso all'Intendente di Finanza o al Ministero delle Finanze, deve essere prodotta �nel termine di un anno dall'effettuato pagamento dell'imposta; e questa Corte Suprema ha affermato che il suddetto termine � applicabile solo nel caso di istanza di rimborso prodotta in via amministrativa e non pu� riferirsi all'azione giudiziaria {Sezioni Unite, 7 novembre 1957, n. 4259). Ora se � esatto che, non essendo prescritto alcun termine per l'azione giudiziaria, di cui, in materia �di imposte�indirette, il ricorso amministrativo non costituisce presupposto, valgono per essa i termini -di prescrizione, diversa � la situazione quando, �proposto il ricorso o l'istanza, interviene la decisione amministrativa dell'Intendente e del Mini. stro con la conseguente comunicazione. La tesi dell'Amministrazione delle Finanze, in: fatti, � gi� stata accolta da queste Sezioni Unite che, con la sentenza 2.6 ottobre 1955, n. 3493, :hanno affermato che dal complesso delle norme del .sistema tributario italiano (artt. 146, legge R.D. 30 -dicembre 1923, n. 3269, 94 legge sulle successioni R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, 29 R.D.L. 7 .agosto 1936, n. 1639) si evince che, ove il contri �buente sia insorto contro l'operato degli Uffici .Finanziari, rivolgendosi ad organi gerarchicamente superiori, le decisioni da questi emesse rivestono --0arattere di definitivit�, e valgono, quindi, a porre in moto il decorso del termine di sei mesi (stabilito _gi� dall'art. 1 D. L. 19 aprile 1923, n. 938) al di l� -del quale non � pi� consentito di adire l'Autorit� giudiziaria ordinaria, e nel principio si inquadra il caso di specie stante la definitivit� �del provvedimento ministeriale. N� pu� obiettarsi che l'improponibilit� della .azione non pu� estendersi oltre i limiti espressamente previsti (art. 14 disp. prel. al Cod. civ.); infatti, il termine suddetto trova giustificazione nella medesima ratio che permea tutta la materia tributaria nella sua unit� :finalistica �. A) Il principio piu volte affermato dalla Corte -di Cassazione (Sezioni Unite, 7 novembre 1957, �n. 4259) secondo il quale per conseguire, in via giu- diziaria, il rimborso dell'ige erroneamente corrisposta, il termine da osservare � quello di prescrizione, � -dalla sentenza annotata limitato ai soli casi in cui, per il rimborso stesso, non sia intervenuto un pi�ov- vedimento negatii'o definitivo degli organi dell' Amministrazione Finanziaria. In tali ultimi casi il :termine da osserva1�e � quello di decadenza di sei �mesi dalla comunicazione del provvedimento predetto. Tale limitazione, nella gi� vexata quaestio della portata giuridica dell'art. 47 della legge 19 giugno 1940, n. 762 e del termine"ivi previsto, � di indubbia esattezza e, nella interpretazione all'articolo predetto data dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, trova i suoi precedenti normativi negli artt. 33 della legge 23 aprile 1911, n. 509 e del R.D. 19 aprile 1923, n. 938. Il termine, infatti, di .sei mesi posto dall'art. 33 della legge 509 del 1911 dalla decisione amministrativa per adire, in tema di imposte indirette, il Giudice 01�dinario fu dal regio decreto n. 938 del 1923 esteso ad ogni pronuncia con camttm�e di definitivit� emessa dall'organo amministrativo investito in via gerarchica. Lo stesso termine � stato riprodotto espressamente nelle leggi relative a quelle imposte indirette, la cui disciplina � ritenuta di generale applicazione (articolo 146 della Legge di registro, 94 di quelle di successione, 36 di quelle di manomorta, 10 di quelle ipotecarie) nonch� nel D.L. 7 agosto 1~6, n. 1639 posto a disciplina del contenzioso tributario in generale. Esso, inoltre, 'rispondendo a necessit� logiche e giuridiche di diritto sostanziale e processuale, trova la sua giustificazione nella dovuta unit� finalistica della materia tributaria. Con il ricm�so in via amministmtiva, infatti, la contestazione � in atto e, sotto il profilo strettamente processuale, � soggetta all'esperimento continuativo dei mezzi tutti apprestati dal contenzioso tributario . (Cfr. in �Dottrina�, GIANNINI: Istituzioni di Diritto Tributario, Ed. 1960, pag. 230 e Autori citati in nota). La necessit� di una r.1pida definizione della lite tributaria e la conseguente continuit� dei mezzi del suo contenzioso � connessa alle esigenze tipiche delle Entrate e delle Uscite del Bilancio dello Stato e tale necessit� in mancanza di espressa previsione legislativa in contrario, non consente, fra le i�arie imposte indirette, discriminazioni che si risolverebbero in deviazioni dal sistema generale, sfornite di qualsiasi giustificazione. IMPOSTE E TASSE-Prescrizione attinente all'estinzione del debito d'imposta -Prescrizione del decreto accessorio della pena pecuniaria -Differenze -Disci� plina dei due istituti. IMPOSTE E TASSE-Prescrizione -Domanda del de� bitore d'imposta -Interruzione della prescrizione a favore di entrambe le parti -Nuovo periodo di prescrizione -Decorrenza -Inizio. (Corte di Cassa.. zione, Sezione I, Sentenza n. 2768/62 -Pres.: Torrente; Est.: Di Majo; P.M.: Toro (conf.)-Ditta Luxi e Ragazzo c. Finanze). Nel sistema tributario i due termini di prescrizione l'uno attinente all'estinzione del debito d'imposta, 'l'altro a quello del debito accessorio della pena pecuniaria, sono ben differenziati e, per quanto attiene al secondo, la legge 7 gennaio 1929, n. 4 stabilisce espressamente che il..djritto alla pena pecuniaria si prescrive con il decorso di _ cinque anni dal giorno della commessa violazione (art. 17, 10 comma), senza alcun riferimento quindi al termine prescrizionale previsto per il tributo, come invece avviene per la sopratassa, il cui corrispondente diritto della Finanza si estingue -88 con il decorso del tempo stabilito per la prescrizione del tributo medesimo (art. cit. 2� comma). Non pu� perci� estendersi all'esplicito regolamento dell'una fattispecie ildiverso regolamento dell'altra. Nel rapporto tributario la domanda del debitore, cos� in via amministrativa che in via giudiziaria, interrompe la prescrizione a favore di entrambe le parti e il nuovo periodo di prescrizione ricomincia , a �decorrere dalla data della definizione del procedimento amministrativo o di quello giudiziario. Trascriviamo la motivazione in diritto clella sentenza che ha accolto la tesi dell'Av�vocatura. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3 e 45 legge 19 giugno 1940, n. 262 (IGE) in relazione all'art. 294 7 O.e. e 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4, con riferimento all'articolo 360, n. 3 C.p.c. Si sostiene l'erroneit� della decisione della corte di merito per avere questa affermato che il diritto dello Stato a percepire il tributo IGE si pr8scrive (giusta l'art. 45 del R.D.L. 9 gennaio 1940, numero 762) nel termine di 10 anni. L'errore della corte di merito consi3terebbe, secondo l'a~sunto del ricorrente, nel non aver tenuto presente che la pena pecuniaria, relativa alle evasioni IGE, si prescrive nel pi� breve termine di cinque anni, e che nella specie il rapporto fra l'ammontare superiore della pena pecuniaria (L. 100.000), e l'ammontare inferiore del tributo (L. 95.582) comporterebbe come conseguenz11, attesa la dipendenza e accessoriet� del tributo, perch� minore, alla pena pecuniaria, perch� maggiore, che la regolamentazione della somma maggiore assorbe e disciplina la regolamentazione della somma minore. Da ci� la conclusione che il termine di prescrizione di 5 anni si sarebbe dovuto ritenere applicabile, nel caso concreto, al tributo evaso. In sostanza il ricorrente fa una question3 di quantit� e ritiene che la sola circostanza dell'ammontare minore del tributo, rispetto alla pena pecuniaria, possa modificare la disciplina normativa del tributo medesimo sul punto della prescrizione. La tesi non ha alcuna consistenza. Esattamente la corte di merito ha considerato distinti i due diversi periodi di prescrizione, l'uno attinente all'estinzione del debito di imposta (IGE) l'altro a quello del debito accessorio della pena pecuniaria. Nel sistema tributario i due termini sono infa.tti ben differenziati, e per quanto attiene al secondo la legge 7 gennaio 1929, n. 4 stabilisce espressamente che il diritto alla pena pecuniaria si prescrive col decorso di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 17, 1� comma) senza alcun riferiIl). ento quindi al termine prescrizionale previsto per il tributo, come invece avviene per la sopratassa, il cui corrispondente diritto della finanza si estingue con il decorso del tempo stabilito per la prescrizione del tributo medesimo (art. cit. 2� comma). Fattispecie quindi ben nette e differenziate, per cui � agevole scorgere come al chiaro ed esp)icito regolamento legislativo dell'una non possa estende1 �si il diverso regolamento dell'altra. Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 45 e 52 'della legge sull'IGE in relazione all'art. 2033 O.e. e con riferimento all'art. 360 n. 3 C.p.c. Osserva il ricorrente che nel giud:lzfo' d� appello fu eccepito che la prescrizione decennale 8i riferisce al credito dello Stato per l'imposta non corrisposta, mentre nel caso concreto si trattava di imposta a pena pecuniaria pagata e non dovuta. Anche questa censura non ha pregio. Come gi� detto in narrativa, la corte di1 meritoha sottolineato che il punto in discussione riguardava soltanto la questione se l'azione dello Statoper la riscossione del tributo fosse o meno prescritta, e non gi� l'altra concernente la prescrizione del diritto del contribuente a ripetere l'imposta pagata e non dovuta; ed in proposito ha posto� in risalto detta corte che la dedotta prescrizione non sussisteva, considerato che il termine previsto dalla legge (art. 45 legge IGE) � di 10 anni, e che il credito dell'amministrazione, sorto nel 1949, era alla data della contestata lite (28 ottobre 1957) pienamente azionabile. Che il tributo fosse o meno dovuto e quindi potesse chiedersene il rimborso all'amministrazione. costituiva poi tutt'altra questione (di merito) che non tocca il punto impugnato dalla sentenza della corte di Cagliari. Con il terzo mezzo si denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 57 legge 7 gennaio 1929, n. 4 in relazione all'art. 17 della stessa legge. e agli art. 2940 e 2943 O.e. e 247 e 248 disp. att. C.c., con riferimento all'art. 360 n. 3 C.p.c. Si assume che la ditta nel giudizio di merito� aveva dedotto che il pagamento eseguito a forza del provvedimento del ministro delle finanze non poteva considerarsi spontaneo, ma coatto, a causa. della autoritariet� inerente allo steEso provvedimento, anche se nessun atto di esecuzione fosse stato promosso in base adesso, e quindi non doveva escludersi in pregiudizio di essa ditta la ripetizione di quanto pagato. La sentenza denunciata vuol superare questo� sistema difensivo, col rilievo che non si fosse verificata la prescrizione quinquennale del diritto dello. Stato alla percezione della pena pecuniaria, in quanto tale termine sarebbe stato interrotto una prima volta il 20 gennaio 1951 con la notifica dell'ordinanza della intendenza e una seconda volta il 17 febbraio 1951 in dipendenza del ricorso presentato in tale data dalla ditta ricorrente e ci� in esecuzione della norma prevista dall'art. 141 della legge di registro. Al riguardo -spiega il ricorrente -non ha conE<iderato la corte di merito che questo ultimo articolo di legge � stato modificato dal Codice civile in quanto non si prevedono pi� ca�se sospensive della prescrizione, mentre le cam;e interruttive si sostanziano nelle domande del rimborso di tasse e nelle domande di opposizione-a. richiesta di tassa, domande che non ricorrono nella presente. controversia. Anche queste censure non colgono nel segno ed in proposito � sufficiente considerare, per dimostrarne h inconsistenza, che, da un lato, come gi� -89 �detto innanzi, il punto impugnato concerne l'ac �certamento sulla prescrizione o meno del diritto dello Stato alla riscossione del tributo e della pena pecuniaria, e non gi� sulla pretesa del contribuente a ripetere la somma pagata e non dovuta; e dall'altro che se � vero che l'art. 247 delle disp. .att. Codice civile ha volut.o le cause di sospensione della prescrizione non previste dal codice stesso, non � meno vero che nel caso concreto la corte di appello ha applicato il principio ben diverso in tema di interruzione della prescrizione (desumendolo dagli art. 140 e 141 legge registro) secondo cui la domanda del debitore, cos� in via amministrativa che in via giudiziaria, interrompe la prescrizione a favore di entrambe le parti e il nuovo periodo di prescrizione ricomincia a decorrere dalla data della definizione del procedimento amministrativo o di .quello giudiziario. �OPERE PUBBLICHE -Nuovo Capitolato Generale di appalto -Entrata in vigore -Norme sostanziali e norme processqali. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 67/1963 -Pres.: Celentano; Est. DiMajo; P .M.: Silocchi -Comune cli Napoli c. Cassa del Mezzogiorno). Le norme di carattere sostanziale del nuovo -0apitolato generale di app~lto approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063 ed entrato in vigore il 1� settembre 1962 non regolano i contratti di appalto stipulati sotto l'impero del precedente capitolato del 1895. Invece le norme processuali contenute nel detto Capitolato del 1962, e cio� quelle che regoiarno il modus procedendi dell'arbitrato, debbono considerarsi entrate immediatamente in vigore alla in!licata data del 1� settembre 1962 anche in relazione ai contratti di appalto stipulati sotto l'impero del vecchio capitolato. La Cassazione ha motivato affermando che le norme che iregolano il modus procedendi dell'arbitrato �come tutte le norme clhe regolano le situazioni giuridiche di cw�attere processuale, sono di immediata applicazione e devono perci� regolare gli arbitrati in corso e quelli. scaturenti dai contratti di appalto anteriori al 1� settembre 1962 ȥ Con questa sentenza la Corte Suprema accoglie la tesi sostenuta dall'Avvocatura fin dal momento dell'entrata in vigore del nuovo capitolato, quando furono impartite agli uffici competenti direttive proprio nel senso affermato dalla sentenza. E', in particolare, evidente che tutti i lodi arbitrali pronunciati dopo l'entrata in vigore del Capitolato del 1962 o, per i quali, se anche pronunciati prima, non erano scaduti i termini per l'azione di nullit�, possono essere impugnati per violazione delle regole di diritto secondo il disposto degli articoli 50 e 51 del nuovo capitolato in relazione all'art. 829 del C.p.c. Sull'argomento si veda anche la nota pubblicata in questa Rassegna (infra pag. 00). CONSIGLIO DI STATO I RICORSO GIURISDIZIONALE -Noti'f�cazione alla Autorit� emanante -Omissione -Inammissibilit�. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Espropriazione -Scelta dell'area -Discrezionalit�. (Consiglio di Stato, IV Sezione, Decisione n. 3 del 9 gennaio 1963 -Pres.: Meregazzi; Est.: Cuccia -D'Urso c. Min. Poste e Telecomunicazioni e Societ� Radio Audizioni Italiana Televisione). Anche dopo l'entrata in vigore della legge 25 marzo 1958, n. 260, � inammissibile il ricorso giurisdizionale che non sia stato notificato all'Autorit� che ha emanato l'atto impugnato; n� tale omissione pu� essere attribuita ad errore scusabile al fine di poter rimettere in termini il ricorrente. La scelta dell'area sulla quale deve essere eseguita un'opera pubblica e che forma oggetto di un provvedimento di espropriazione per pubblica utilit� � fatta in base ad una valutazione tecnicodiscrezionale della P.A., sottratta al controllo di legittimit� del Consiglio di Stato. Trascriviamo la motivazione in diritto della deci. sione: I resistenti -Ministero delle Poste e delle Tele. comunicazioni, e RAI Televisione Italiana -hanno eccepito in via pregiudiziale che il ricorso in parola, per quanto concerne il decreto di occupazione � inammissibile, per difetto di notificazione all'Autorit� amministrativa, il Prefetto di Foggia, che lo ha emanato. All'udienza di discussione del ricorso la difesa del ricorrente ha chiesto la concessione dell'errore scusabile, dati i dubbi di interpretazione cui ha dato luogo l'applicazione della legge 25 marzo 1958, n. 260. Tale richiesta � stata resistita dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha rilevato che, sia nell'epigrafe del ricorso, . che nella relata dell'ufficiale giudiziario, non si rinviene alcun accenno da cui possa desumersi che il ricorso sia stato, quanto meno, notificato al Prefetto presso il Ministro competente. Osserva il Collegio che la questione va esaminata alla stregua dei principi affermati dall'Adunanza plenaria nella decisione 15 gennaio 1960, n. 1, con la quale � stato ritenuto che la legge n. 260/1958 non ha abrogato anche l'art. 36, secondo com.ma, Testo unico 26 giugno 1924, n. 1054, modificato dall'art. 41, secondo comma, R.D.L. 23 ottobre 1924, n. 1672, sicch� debbono ritenersi validi e regolari i ricorsi proposti innanzi alle giurisdizioni amministrative che, a norma del citato art. 36, siano stati notificati all'Autorit� che ha emanato -'tl\J l'atto impugnato. Con la stessa decisione si � riconosciuto che le incertezze provocate dal difetto di coordinamento fra la legge n. 260/1958 e il Testo unico, n. 1054/1924 possono costituire fondato motivo per ritenere scusabile l'errore, ma si � esclusa la possibilit� della remissione in termini nei casi in cui non sia stato osservato il precetto relativo alla rappresentanza dell'Amministrazionein giudizio, e quindi il ricorso sia viziato nel suo contenuto intrinseco. Ci� si � proprio verificato nella specie perch�, come si � visto, � mancata quella notificazione del ricorso all'Autorit� che ha emanato il provvedimento �impugnato, e cio� al Prefetto, per cui non � stabilito il contraddittorio fra le parti, che � caratteristico dei procedimenti giurisdizionali. In altri termini, qui non si fa questione del modo con cui � stata effettuata la notificazione, ma della mancanza della notificazione stessa, che produce nullit� insanabile. Pertanto l'eccezione di inammissibilit� sollevata dalle parti resistenti � pienamente fondata. Ci� posto, l'esame del merito va circoscritto all'unico motivo dedotto contro il decreto 24 novembre 1999, emesso dal Ministro delle Poste, al quale il ricorso � stato notificato. Con tale motivo si denuncia eccesso di potere e violazione della legge 25 giugno 1865, n. 2359. L'eccesso di potere si concreterebbe nella circostanza che il ripetitore � ubicato nel ciglio della strada comunale della Maddalena, e poich� tale strada � molto pi� breve rispetto a quella di cui era previsto l'asservimento, si sostiene che la RAI avrebbe potuto pi� agevolmente conseguire il fine di pubblico interesse mediante l'utilizzazione della strada comunale esistente, anzich� mediante l'occupazione di terreno produttivo appartenente a privati. La violazione di legge viene invece prospettata sotto il profilo che la RAI, sempre col citato D.M. 24 novembre 1959, veniva autorizzata a richiedere l'imposizione di servit� e le limitazioni di propriet� ritenute necessarie all'esercizio e al funzionamento degli impianti. Ora la censura di eccesso di potere � palesemente inammissibile, in quanto, i criteri seguiti dal Ministero nella scelta dell'area attengono ad un apprezzamento di merito, che l'Amministrazione ha posto in essere nell'esercizio del potere discrezionale e che quindi sfugge al sindacato di legittimit�. In tali sensi si � consolidata la giurisprudenza di questo Consiglio, la quale, nel particolare settore che ne occupa ha affermato che rientra anche nella discrezionalit� tecnica dell'Amministrazione stabilire, non solo come meglio si debba provvedere alla costruzione degli impianti stessi, cui l'espropriazione � preordinata, ma anche alla sistemazione dei servizi occorrenti per il loro funzionamento, fra cui essenziale quello delle vie di accesso e di comunicazione, e quindi ancora se si debba stabilire la servit� d'ace.esso su determinazione fondi. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione di urgenza -Termine -Decorso del biennio -Effetti. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione di urgenza -Varie -Omessa impugnativa del decreto che approva il progetto della opera -Effetti. (Consiglio di Stato, IV Sezione, Decisione n. 34 del 18 gennaio 1963-' Pres.~ D'Avino; Est.: Crisci -Trentacapilli c. Ospedale civile S. Maria del Carmine di Pizzo Calabro, Prefetto di Catanzaro. e Min. Lavori Pubblici). Il decorso del termine biennale previsto dallo art. 73 legge 25 giugno 1865, n. 23159 senza che la. occupazione temporale sia stata convertita in defrnitiva, attraverso un decreto di esproprio, fa s� che divenga illecito il protrarsi dell'occupazione stessa, ma non invalida ab origine il provvedi-� mento. � Non sono ammissibili in sede di ricorso proposte>contro un provvedimento di occupazione di urgenza le censure che concernono l'estensione della area occupata, se non sia stato impugnato il decreto ministeriale che approva il progetto della costruenda opera pubblica, delimitando l'area da occupare. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Impugnazione -Affittuario del bene -Carenza di' interesse. (Consiglio di Stato, IV Sezion�, Decisione� n. 40 del 23 gennaio 1963 -Pres.: Potenza; Est.: De Capua -Borriello ed altri c. Prefetto di Napoli e Provveditore alle Opere Pubbliche per la Campania. e il Molise). L'affittuario dell'immobile espropriato � titolare di un semplice interesse di fatto alla legittimit� del provvedimento di espropriazione e non � perci� legittimato a chiederne l'annullamento in sede, giurisdizionale. CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE -Partecipazione del Presidente della Regione alle sedute del Consiglio� dei Ministri -Difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato. (Consiglio di Stato, Sezione VI, decisione 111/63 -Pres.: Stumpo; Est.: Melito -Regione siciliana c. Presidenza del Consiglio e Min. dei Trasporti). � inammissibile il ricorso, col quale la Regione denuncia l'illegittimit� di un provvedimento per violazione dell'art. 21 S.S.Sic., non avendo il Presidente della Regione partecipato alla seduta del Consiglio dei ministri, nella quale il provvedimento stesso fu adottato, perch� la questione integra un conflitto di attribuzione costituzionale devoluto� alla esclusiva cognizione della Corte Costituzionale. La Regione <lenuncia col ricorso l'illegittimit� del'. decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1959, n. 875 per violazione dell'art. 21 dello Statuto. speciale siciliano, a norma del quale il .Presidente della Regione stessa partecipa al Oonsiglio dei -Mk-_ nistri, con rango di Ministro; e con voto .deliberativo� nelle materie che interessano la Regione. Nella specie, invero, col citato decreto presidenzialefu disposta la soppressione dei servizi ferroviari sulla, -91 linea a scartamento ridotto Agrigento-L-icata e sulla diramazione Margonia-Canicatt�, a norma dell'arti colo 4 del R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 1575, su pro posta del Ministro per i Trasporti e sentito il Consi glio dei Ministri, ma senza che al Consiglio ora detto fosse invitato a partecipare e prendesse parte il Pre sidente della Regione siciliana. Donde l'illegittimit� lamentata dalla ricorrente Regione, posto che sempre secondo l'assunto di quest'ultima, non potrebbe con testarsi che la soppressione o meno di una linea f er roviaria secondaria costituisca materia interessante la Regione. Cos� precisati i termini della controversia non pu� dubitarsi che la questione sollevata dalla Regione siciliana integri un conflitto di attribuzione costitu zionale e rientri perci� nella sfera della competenza della Corte Costituzionale. Deve, infatti, ritenersi per certo che leda la sfera di attribuzioni costituzionali di un ente sia l'atto che invade positivamente la sfera giuridica dell'ente medesimo usurpando una sua funzione, sia l'atto che impedisce all'ente l'esercizio di una sua funzione cost~tuzionalmente garantita. E la partecipazione del Presidente della. Regione siciliana al Consiglio dei Ministri tutte le volte che debba deliberarsi su materie che interessano la Regione � chiaramente un'attivit� che rientra nella sfera delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, posto che il suo svolgimento � previsto da una precisa e tassativa disposizione dello Statuto speciale siciliano, cio� da una norma di carattm�e costituzionale, tutelante in via diretta, e non occasionale, un interesse costituzionale della Regione: e cio� appunto Vinteresse a partecipare con il suo Presidente alle riunioni del Consiglio �dei Ministri, quando questo tratti affari riguaManti la Regione. Un tale interesse, dunque, pu� trovare la sua tutela giurisdizionale esclusivamente nel rimedio previsto dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e la sua violazione non pu�� di conseguenza essere dedotta dinanzi a questo Consiglio di Stato. Deve, pertanto, dichiararsi il difetto di giurisdi zione del Consiglio stesso in ordine al ricorso in esame. * * * La decisione, che ha accolto l'eccezione d'inammis sibilit� dedotta dall'Avvocatura, � senza dubbio esatta. L'interesse della Regione a partecipare, a mezzo del suo Presidente, alle sedute del Consiglio dei Ministri, nelle quali si trattino affari, che riguardano partico larmente la Regione stessa, � tutelato direttamente, non occasionalmente, dall'art. 21 S.S.Sic., che � norma costititzionale. Esso, pertanto, non pu� qua lificarsi interesse legittimo della Regione; soprattutto, esso � un interesse costituzionalmente garantito, onde l'esclusiva competenza della Corte Costituzionale. La motivazione della decisione, fondata essenzial mente sulla natura costituzionale della questione, conforta l'assunto, che da tempo sosteniamo (Ras segna .Avv. Stato: 1957, 188; 1958, 79; 1959, 19; 1959, 51; 1960, 65; 1961, 109) e secondo il quale la violazione di una norma costituzionale, qual' � nella specie l'art. 21 S.8.Sic., non pu� �essere deitutta dai privato come vizio di legittimit� di un atto amministrativo, che direttamente lo interessi. La norma~ i'Yjfatti, non tutela occasionalmente un interesse p1�ivato, ma solo un interesse della Regione e, comunque~ attiene alla ripartizione costituzionale della competenza fra lo Stato e la Regione, per cui ogni controversia ad essa relativa � devoluta alla esclusiva cognizione della Corte Costituzionale e pit� essere introdotta esclusivamente dagli Enti, nel cui interesse la norma � posta (vedansi in proposito i lavori preparatori della legge 11 marzo 1953, n. 87 in questa Rassegna,. 1950, p. 162 e 1960, p. 67). Sui limiti e sugli effetti dell'intervento del Presidente della Regione alla seduta del Consiglio dei ministri ha avuto occasione di pronunziarsi recentemente, sia pure con particolare 1�iguardo all'impitgnativa di una legge regionale, la Corte Costititzionale la quale, con sentenza n. 13 del 1963, ha affermato che, �anche a prescindere dall'indagine circa gli effetti sulla validit� delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri del mancato intervento alle sue sedute del Presidente della Giunta regionale, nei casi previsti dall'art. 4 7 u.c. St. sardo, non pu� esser dubbio che l'intervento medesimo non sia richiesto allorch�� il Governo deliberi sul promuovimento della questione di legittimit� o di quella di merito nei confronti di una legge deliberata dal Consiglio regionale, ai sensi dell'art. 33 Statuto. Infatti, mentre � da escludere che le deliberazioni in tal senso (rivolte come sono ad ottenere il rispetto o della sfera di competenza riservata allo Stato, o dei principi sanciti dalla Costituzione, o degli interessi nazionali) possano riguardare <<particolarmente � la Regione, e cos� realizzare la condizione che l'articolo 4 7 richiede per l'intervento in parola, � da osservare che inconsistente � il motivo addotto dalla difesa della Regione a sostegno della pretesa fatta valere, secondo cui dovrebbe essere consentita al Presidente la possibilit� di illustrare il proprio punto di vista sui rilievi sollevati dal Governo,. dato che tale esigenza viene pienamente soddisfatta attraverso la procedura del riesame prescritta dal citato art. 33 Statuto, in seguito al rinvio che di essa dispone il Govern-0: riesame che, quando si concluda con la riapprovazione, consente di mettere in evidenza tutti i motivi atti a contrastare le censure sollevate dagli organi statali, sicch� nulla altro ru� rimanere al Presidente regionale da aggiungere ad essi�. A nostro avviso, comunque, la partecipazione alla seduta del Consiglio dei ministri dei Presidenti delle Regioni autonome della Sardegna e della Sicilia, prevista dagli artt. 47 S.S.Sa. e 21 S.8.Sic., � una facolt� loro concessa, che, peraltro, non attiene alla validit� delle deliberazioni adottate dal Consigli.o .dei. ministri, il quale non � certamente obbligato a provocare una tale partecipazione. GIUSEPPE GUGLIELMT. �ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI :DELLE CORTI DI MERITO �COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Danni di guerra -Calcolo dei coefficienti -Competenza del giudice ordinario. (C. d'Appello di Milano -Sezione I, Sentenza 20 aprile 1962 -Pres. Ghirardi -Est. Ali. brandi -Mazzanti c. Min. del Tesoro). Appartiene alla competenza del giudice ordinario �decidere sulla pretesa del beneficiario d'un provvedimento di indennizzo o contributo per danni di ,guerra, il quale contesti l'esattezza della applica. zione delle norme relative ai coefficenti di rivalu tazione. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza e i motivi del ricorso per difetto di giurisdizione. Rileva il collegio essere fuori di dubbio che alla legge 27 dicembre 19~3, n. 968, in base alla quale � stato liquidato al Mazzanti l'indennizzo del cui .importo egli si duole, si applicano gli stessi prin cipi che erano applicabili alla legge 26 ottobre 1940, n. 1543, che regolava anteriormente la materia. Vigente quest'ultima legge la Suprema Corte .a Sezioni Unite aveva statuito che ilrisarcimento dei danni cagionati da fatti di guerra non era riconosciuto come diritto perfetto del singolo, non fondandosi esso su presupposti di responsabilit� contrattuale o extra contrattuale. Traeva, invece, �origine esclusivamente da considerazioni di solidariet� nazionale, che avevano indotto lo Stato ad accollarsi, sia pure in misura inadeguata, l'onere dei danni patrimoniali subiti dai singoli, ripartendoli in tale modo su tutti i cittadini. Pertanto il loro risarcimento veniva ad essere informato agli stessi criteri che inducevano lo Stato ad intervenire per il risarcimento dei danni cagionati da pubbliche calamit�. In tutte tali ipotesi non sussistendo un obbligo giuridico dello Stato al risarcimento dei danni non poteva sorgere nei singoli un correlativo diritto a conseguirlo, ma soltanto un interesse opportunamente tutelato. Coerentemente a questi principii la Suprema Corte ha affermato la regola che il cittadino che ritenga essergli ingiustamente negato l'indennizzo o che il liquidato sia di misura inferiore a quello che egli reputa dovuto non pu� invocare la tutela dell'autorit� giudiziaria ordinaria, perch� non � titolare di un diritto perfetto da fare valere (sentenza 23 febbraio 1954, n. 491, in Giur. Cmnpl. Cass. Civ., 1954 4� Bim. n. 1988 della raccolta). Sui principi cosi fissati dal Collegio Supremo non sono sorte opinioni divergenti e lo stesso appellante non ne nega il legittimo fondamento. Con succes ----------------�--�-�-��-�-�����������-������ siva sentenza, pure a Sezioni Unite, dell'll ottobre 1955, n. 2995, ai cui criteri � poi rimasta ferma (sentenza 28 aprile 1959, n. 1254, in Mass. F. I., 1955 col. 233 e 18 giugno 1959 n. 1917, in Mass. F.I., 1959 col. 359) la Corte di Cassazione, ha approfondito il concetto di diritto affievolito (che, quanto alla tutela, � del tutto assimilabile all'interesse), al quale la difesa dell'Amministrazione si riconduce per la risoluzione della presente controversia . La Suprema Corte, contrariamente ad un movimento dottrinale secondo cui in materia di diritto affievolito, quando si � in presenza di un potere discrezionale della pubblica amministrazione, la competenza esclusiva del Consiglio di Stato opera solo per le questioni attinenti al vizio di eccesso di potere, mentre per quelle relative alla violazione di legge o ad incompetenza la cognizione spetterebbe sempre al giudice ordinario, ha affermato che anche per queste ultime, la competenza esclusiva � del giudice amministrativo. Ha anche ulteriormente precisato che opera la competenza esclusiva del Consiglio di Stato non soltanto quando si � in presenza di un potere discrezionale dell'amministrazione, bens� anche quando l'amministrazione agisce sulla base di una norma vincolante, la quale, perci�, di per s� non � sufficiente a creare in capo al singolo un diritto perfetto e, conseguentemente, a discriminare le due competenze. Non basta, ha statuito la Suprema Corte, che uno dei momenti della condotta della pubblica Amministrazione sia tassativamente imposto, senza margine di discrezionalit�, perch� da ci� si debba desumere l'attribuzione di un diritto soggettivo al privato. Giova in proposito riflettere che tra i vizi deducibili davanti al giudice amministrativo sono l'incompetenza e la violazione di legge. Tali vizi implicano evidentemente la denuncia della inosservanza di norme, che indubbiamente vincolano la condotta della Pubblica Amministrazione, senza lasciare ad essa margine di discrezionalit� alcuna in relazione al momento in cui vengono in considerazione. La completezza o il difetto di elasticit� delle norme non sono sufficienti per la discriminazione della situazione oggettiva del privato. Il criterio � dato, invece, dalla funzione del comando rispetto all'azione della pubblica amministrazione ed alla posizione che vi assume l'interesse in essa protetto. Se la norma stessa -� .diretta a regolarne l'attivit� in vista del perseguimentg_ dell'interesse pubblico (norma di azione) la tutela del privato non pu� non essere subordinata, indiretta, riflessa. Se, invece, il precetto legislativo riconosce al privato una posizione autonoma, con -93 rilevanza esterna, che esorbita cio� dalla sfera della �Pubblica .Amministrazione, per assicurare immediatamente e direttamente la situazione soggettiva del privato, ivi si � di fronte ad un diritto soggettivo perfetto, tutelabile davanti al giudice ordinario. Deve trattarsi, quindi, di una norma di relazione intesa alla protezione diretta di un in teresse individuale. La difesa dell'Amministrazione, richiamando que sti principii non dubita che gli artt. 25 e 28 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 siano norme di azione, norme strumentali, non attributive di un diritto soggettivo in testa al beneficiario dell'in dennizzo. Secondo essa, in nessun caso il privato in ma teria di danni di guerra pu� fare valere� le sue doglianze davanti al giudice ordinario. Infatti il sistema predisposto dagli artt. 16 e 17 della legge fa �onfluire necessariamente verso il Consiglio di Stato la definitiva tutela, prevedendo le due norme la possibilit� di ricorrere al Ministro per il Tesoro avverso il decreto dell'Intendente di finanza, il quale Ministro decide definitivamente, sentita la Commissione tecnico-amministrativa centrale. Senonch� il Collegio osserva in contrario che non � sufficiente, come sembra ritenere la difesa della .Amministrazione, che sia apprestata la tutela da vanti al Consiglio di Stato avverso un provvedi mento dell'autorit� amministrativa perch� possa essere esclusa la competenza del giudice ordinario. Invero l'art. 26 del Testo unico sul Consiglio di Stato appresta questa tutela giurisdizionale ammi nistrativa per le questioni che attengono a deci sioni che abbiano ad oggetto un interesse dei sin goli, ma fa esplicitamente salva la competenza del giudice ordinario quando i ricorsi presuppongano la violazione di diritti soggettivi. Onde non si pu� aprioristicamente affermare che tutte le questioni che possono insorgere nella ma teria in esame debbano essere escluse dalla com 'petenza del giudice ordinario . .Anche per essa oc corre, invece, indagare se si verte in un caso di interesse o di diritto, essendo essi e soltanto essi che possono dettare il criterio discriminatore della competenza. Sembra al collegio fuori dubbio che i test� esa minati principi formulati dal Supremo Collegio siano pienamente validi e siano applicabili quanto all'ammissibilit� all'indennizzo e alla sua entit� o, come si esprime la norma (art. 17 della legge ci tata), �sulla somma da porre a base per la loro (cio� del contributo o dell'indennizzo) determina zione i>. Sicch� avverso il decreto dell'Intendente che stabilisce se il contributo o l'indennizzo � o meno dovuto e che ne determina, nel primo caso, l'am montare � dato solo ricorrere al Ministro per il Tesoro e, in ultima istanza, al Consiglio di Stato, perch� la norma � senza alcun dubbio di azione: tende cio� a regolare l'attivit� dell'Amministra zione in funzione esclusiva dell'interesse pubblico. Ma, una volta che l'organo competente ha am messo il singolo all'indennizzo e di questo ha fis sato l'ammontare (nella specie, a norma degli artt. 17, 25 e 28), �non possono pi� essere consi derate norme di azione quelle che stabiliscono coefficienti e misure con cui si deve operare per l'accertamento del quantum dell'indennizzo (citati articoli 25 e 28). Qui il privato a,equista un-a.posizione autonoma, in virt� del precetto legislativo, il quale gliela assicura in forma diretta ed immed~ ata, tanto che non � neppure pi� previsto per questo quantum in tale modo determinato il ricorso al Ministro per il Tesoro (con successiva possibilit� di adito al Consiglio di Stato). Si verte, quindi non solo in tema di norme vincolanti ma anche di norme di relazione, che danno al singolo il potere di adire il giudice ordinario, se esse vengono violate. MOTIVO UNICO DEL RICORSO VIOLAZIONE DELL'ART. 2 DELLA LEGGE 20 lliARZO 1865, N. 2248 �LLEGATO E IN RELAZIONE AGLI ARTT. 25 E 28 DEL:tA LEGGE 27 DICEllrBRE 1928, N. 968 SUI DANNI DI GUERRA E ALL'ART. 360, N. 1 C.P.C. -DIFETTO DI GIURISDIZIONE. La difesa dell'Amministrazione aveva richiamato, nel giudizio di appello, la consolidata giurisprudenza della Corte Suprema, secondo cui, in materia di indennizzo per danni di guerra (o di contributo di ricostruzione), non sussiste in nessun caso (Sezioni Unite, sentenza 1a aprile 1958, n. 1190), un diritto soggettivo del privato, ma solo un interesse legittimo, sicch� non � dato al privato di proporre azione davanti all'.Autorit� giudiziaria ordinaria. Ed aveva, anche, fatto presente come, nelle disposizioni degli artt. 25 e 28 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, che stabiliscono, rispettivamente, la � base di commisurazione � e i �limiti � dell'indennizzo per danni di guerra, non possano ravvisarsi � norme di relazione � con conseguente nascita di diritti soggettivi perfetti a favore del privato, tutelabili davanti al giudice ordinario, ma bens� �norme di azione� dirette a regolare l'attivit� della Pubblica .Amministrazione in vista del perseguimento dell'interesse pubblico con conseguente tutela subordinata, indiretta e riflessa dell'interesse legittimo del privato. La Corte d'.Appello, pur ricordando espressamente la giurisprudenza del Supremo Collegio, ha ritenuto di poter affermare la giurisdizione del giudice ordinario, rilevando -essenzialmente -che, in materia di indennizzo per danni di guerra, � una volta che l'organo competente ha ammesso il singolo all'indennizzo e di questo ha fissato l'ammontare (nella specie, a norma degli artt. 17, 25 e 28), non possono pi� essere considerate norme di azione quelle che stabiliscono coefficienti e misure con cui si deve operare per l'accertamento del quantum dell'indennizzo (citati artt. 25 e 28) �. In tal caso -secondo la Corte di merito �il privato acquista una posizione autonoma, in virt� del precetto legislativo, il quale gliela� assi-�~ cura in forma diretta ed immediata, tanto che non � neppure previsto per questo quantum in tale modo determinato, il ricorso al Ministro per il Tesoro (con successiva possibilit� di adito al Consiglio di Stato) �. -\14 Si verterebbe, quindi, sempre secondo la Corte di merito, non solo in tema di norme vincolanti, ma anche di norme di relazione, che danno al singolo il potere di adire il giudice ordinario, se esse ven gono violate. Siffatte statuizioni sono sicuramente errate. Deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite (vedasi la citata sentenza n. 1190 del 1958 ed in senso conforme le sentenze 20 giugno 1959, n. 1954, 15 novembre 1957, n. 4399, 9 maggio 1955, n. 1320, 22 febbraio 1954, n. 491, 25 ottobre 1954, n. 4087, 29 gennaio 1953, n. 235), le norme in materia di indennizzo per danni di guerra costituiscono -�avuto riguardo alla prevalente direzione di esse, volte al fine della ricostruzione del paese, in funzione dell'interesse generale e della solidariet� nazionale, al di l� e al di fuori di un preciso obbligo giuridico che possa legalmente riconnettersi ad un titolo di responsabilit� dello Stato per il fatto distruttivo . della guerra, nelle misure legislativamente predisposte, onde lenire i danni sofferti nei loro beni dai privati -provvidenze rimesse alla funzione amministrativa sotto forma di sovvenzioni erogabili sia p�re con vincolo di osservanza di prestabiliti criteri �; e �pertanto, alle relative pretese dei privati danneggiati fanno corrispondentemente riscontro, e fin dall'origine, non gi� diritti soggettivi perfetti ma soltanto interessi legittimi, come tali giuridicamente tutelabili innanzi al giudice degli interessi nei modi e con i limiti per detta giurisdi zione stabiliti )), Ma, la Corte d'Appello ha ritenuto di ravvisare delle eccezioni ai suesposti principi, nelle disposi zioni degli artt. 25 e 28 della legge n. 963, i quali costituirebbero cc norme di relazione� intese alla protezione diretta di interessi individuali. Non pu� tralasciarsi, a questo punto, di porre in rilievo una grave contraddizione da cui risulta inficiato il ragionamento dei giudici di merito, i quali, da un lato, ammettono che la fase prece dente il momento in cui si fissa l'ammontare dello indennizzo (a norma degli artt. 17, 25 e 28) � in tessuta di cc norme di azione� e, dall'altro, affer mano che sono cc norme di relazione � cc quelle che stabiliscono coe:ffi.cienti e misure con cui si deve operare per l'accertamento del quantum dell'in dennizzo�. Comunque, non � tanto la contraddizione, quanto l'assoluta inesattezza del ragionamento, che qui s'intende censurare. Deve premettersi che, quando si deduce la vio lazione di determinate norme giuridiche alla cui osservanza lAmministrazione Pubblica sia vin colata, non basta che l'azione davanti all'Autorit� giudiziaria ordinaria si basi su tale violazione, ma occorre, altresi, che le stesse norme siano rivolte alla tutela dell'interesse individuale dando a questo la consistenza e la garanzia del diritto subbiettivo. In altre parole, anche quando l'attivit� dell'Am ministrazione venga a risultare vincolata dalla legge,� si tratter� di vedere se non ci si trovi di fronte ad un vincolo formale, posto in considera zione esclusiva dell'interesse pubblico e non di questo o di quell'interesse individuale. - Vale, quindi il seguente insegnamento dato dalle Sezioni Unite della-, Suprema Corte nella sentenza 11 ottobre 1955, n. 1994: �Il criterio � dato dalla funzione del comando (della norma) rispetto all'azi�ne delta Pubblica Amministrazione e dalla posizione che vi assume l'interesse in esso protetto: se la norma stessa � diretta a regolare l'attivit� della Pubblica Ammi� nistrazione in vista del perseguimento dell'interesse pubblico (norma di azione) la tutela del privato non pu� non essere subordinata, riflessa o indiretta. Se, invece, il comando legislativo riconosce al privato una posizione autonoma, con rilevanza esterna, che esorbita, cio�, dalla sfera della Pubblica Amministrazione per assicurare, immediatamente e direttamente, la situazione soggettiva del privato, ivi si � di fronte ad un diritta soggettivo perfetto, tutelabile davanti al giudice ordinario �. Lo stesso insegnamento � ribadito in una successiva pronuncia delle stesse Sezioni Unite (sentenza 15 marzo 1956, n. 762) in termini pi� chiari: cc Per determinare quando si faccia questione di diritti soggettivi perfetti nei confronti dell'Amministrazione Pubblica sar� necessario considerare il contenuto delle norme che si dicono violate: se esse disciplinano rapporti fra i singoli e l'Amministrazione, dai quali scaturiscano diritti e doveri reciproci o diritti del privato, la violazione di essi, se compiuta dall'Amministrazione, costituisce un illecito, lede un diritto soggettivo e dovr� conoscerne il. giudice ordinario. Nei casi, invece, nei quali le norme, che si dicono violate, sono poste nell'interesse pubblico, a guida dell'Amministrazione nella sua attivit�, e concernono appunto i criteri e il modo dell'azione di essa, non potr� scaturire un diritto soggettivo. L'interesse del privato rispetto� all'Amministrazione non pu� essere mai oggetto, in questo caso, di protezione diretta ed immediata da parte della norma: ma, o si confonder� con quello generale della collettivit�, considerato dalla norma, o, al pi�, a:ffi.orer� sul piano generale dell'interesse diffuso, che la norma tende a tutelare per una particolare situazione di coincidenza e assumer� la consistenza di un interesse legittimo �. Posta questa premessa, e ricordata la qualificazione delle norme sull'indennizzo per danni di guerra, fatta dalla Corte Suprema nella sentenza n. 1190 del 1958, resta agevole comprendere come anche gli artt. 25 e 28 della legge n. 968 del 1953, in quanto stabiliscono, rispettivamente, la � base di commisurazione � e i �limiti � dell'indennizzo da cc concedersi � ai privati, costituiscano � norme di azione � dirette a regolare l'attivit� della Pubblica Amministrazione in vista del perseguimento dell'interesse pubblico della ricostruzione del paese in funzione e perci� stesso con i limiti della solidariet� nazionale, al di l� e al di fuori di un preciso obbligo giuridico. Pare evidente che, dovendosi, per solidariet� na-_ .zionale, -e non a titolo di responsabilit� dello Stato per il fatto distruttivo della guerra, -provvedere a favore di tutti col denaro pubblico, e cio� col denaro di tutti, conseguentemente lenendo, 95 e non risarcendo, i danni da ogni singolo cittadino � sofferti, le norme che, come quelle degli artt. 25 e 28, concernono i criteri e i limiti della � azione � dell'.Am.ministrazione, relativa alla �concessione� degli indennizzi, non possano essere altrimenti considerate che come � norme di azione � poste, nell'interesse generale, a guida dell'..Amministra zione medesima. Pertanto, l'interesse dei privati alla � concessio ne � dell'indennizzo nei modi e nei limiti legislati vamente predisposti, non pu� assurgere a oggetto di protezione diretta ed immediata (diritto sog gettivo) davanti al giudice ordinario, ma, sola mente, pu� affiorare sul piano generale dell'inte resse diffuso (interesse pubblico), che le norme in parola. tendono a tutelare, e, per una particolare situazione di coincidenza con tale stesso interesse, assumere la consistenza di un interesse legittimo tutelabi(e in maniera riflessa o indiretta davanti al giudi�e ordinario amministrativo; Per ripetere le parole della relazione alla legge n. 968, �l'interesse privato viene assunto come strumento giuridico per la realizzazione dell'interesse pubblico � .. La sentenza della Corte di .Appello di Milano �, quindi, da annullarsi per avere ritenuto il contrario di quanto, con ogni desiderabile evidenza, risulta dalle :.orme di legge in discussione e dalla conso lidata giurisprudenza del Supremo Collegio, reite ratamente ma vanament~ ricordata dalla difesa dell'Amministrazione ai giudici di merito. Prima di concludere, deve ancora rilevarsi un ulteriore errore in cui � incorsa la Corte di merito, la quale non ha esitato ad affermare che � non � neppure previsto per il quantum (determinato in base agli artt. 25 e 28) il ricorso al Ministro per il Tesoro con successiva possibilit� di adito al Consi glio di Stato �. L'abbaglio della Corte ha probabilmente radice in un grave errore di interpretazione del 1� capo verso dell'art. 17, legge n. 968 del 1953, in cui � stabilito che: �in base alle risultanze degli atti... l'Intendente stabilisce, con suo decreto, se � do vuto... l'indennizzo e ne determina l'ammontare �. Sembra che la Corte abbia ritenuto che codesto ammontare non sia lo stesso di quello determinato ai sensi degli artt. 25 e (ove la misura di base abbia superato -come nella specie -i 5.000.000) 28 della legge in esame. Donde la presunta conse guenza che, mentre rispetto all'� ammontare � in dicato nell'art. 17. la posizione del cittadino rimar rebbe al livello dell'interesse legittimo, tant'� che viene appositamente tracciato, nel medesimo arti colo 17, l'iter della giurisdizione amministrativa; rispetto, invece, all'� ammontare>> determinato a mente degli artt. 25 e 28, l'interesse del cittadino sarebbe tutelato in forma diretta e immediata, tant'� -conclude, come si � detto, la Corte cc che non � neppure pi� previsto per questo quan tum in tale modo determinato, il ricorso al Mini stro per il Tesoro, con successiva possibilit� di adire il Consiglio d� Stato �. � subito intuibile la fallacia di un simile ragionamento, frutto di una disamina superficiale del testo di legge. ccL' ammontare � menzionato nell'art. 17 � precisamente quello -e del resto l'unico che la legge consideri -ottenuto dopo aver eseguito i calcoli di commisurazione :fissati dall'art:-.25 e; eventualmente, quelli di riduzione :fissati dall'articolo 28. L'ammontare, insomma, che -come pl.'e non si manc� di ribadire in appello -prende corpo ed acquista rilevanza esterna contestualmente al provvedimento terminale, determinativo dell'indennizzo, costituito dal decreto dell'Intendente di Finanza, dove in effetti esso assume per la prima volta espressione numerica, consentendo al beneficiario, se insoddisfatto, di rivolgersi al giudice amministrativo, per la difesa del suo interesse legittimo, laddove le sue lagnanze si appuntino -come nel caso -sulla violazione che, in ipotesi, l'Amministrazione avrebbe commesso delle norme, nessuna esclusa, comprese nella legge numero 968 del 1953 in rapporto a tutto ci� che precede l'emanazione di quel provvedimento finale. Il grave equivoco originato dall'inesistente dualismo tra � ammontare � ai sensi dell'art. 17 e (successivo) cc ammontare � ai sensi degli articoli 25 e 28 spiega fra l'altro la contraddittoriet� di motivazione che si � rilevata all'inizio di queste deduzioni. COMPROMESSO E _4RBITRI -Lavori del Genio Mili tare -Controversie relative a lavori extra contrat tuali. (Lodo Arbitrale, 22 gennaio 1963 -S.I.N.C.I.E.S. c. Amministrazione Difesa-Aeronautica). La Competenza del Collegio .Arbitrale previsto dalle Condizioni Generali per l'appalto dei Lavori del Genio Militare (R.D. 17 marzo 1932, n. 366) comprende anche le controversie relative ai compensi per opere extracontrattuali. Ove l'appaltatore abbia eseguito i lavori extracontrattuali senza una preventiva intesa (o mediante un'intesa giuridicamente non vincolante) con l'Amministrazione quanto alle nuove condizioni afferenti a tali lavori, il compenso deve essere determinato -salvo eventuali intese transattive -con il sistema a misura, previe le nuove necessarie indagini tecnico-contabili �. Trascriviamo la motivazione del lodo nelle parti che si riferiscono alle massime: Ed in proposito � bene aggiungere, prima di ogni altro rili�vo, che infondatamente si nega dall'Amministrazione convenuta la competenza arbitrale in ordine a controversie relative a lavori extracontrattuali, competenza che dovrebbe essere rigidamente limitata alle questioni sorgenti dal contratto, con la conseguenza che ogni contestazione circa i ritenuti lavori extracontrattuali dovrebbe essere, invece, devoluta alla cog$.i9ne delF.A.utorit� Giudiziaria Ordinaria. Di vero, come pi� volte ha affermato la giurisprudenza e, segnatamente, quella del Supremo Collegio (Cassazione, Sezioni Unite 23 giugno 1941, n. 1876), anche le controversie per compensi extracontrattuali -al pari di quelle sui compensi fondati sull'utile ver . -1-Jij sione -debbono considerarsi comprese nella clausola compromissoria, non solo per l'ampiezza della relativa formula, ma anche per la considera zione decisiva che si tratta di contestazioni, le quali -come appunto quella in esame -si tro vano in rapporto di continenza e di necessaria connessione con quelle contrattuali. Chiarito, cos�, senza possibilit� di dubbio che si' tratta di opera non compresa nel contratto, in quanto da questo non prevista, resta da stabilire quali siano i criteri che dovranno essere seguiti per la determinazione del compenso. In proposito il Collegio ritiene che, mentre non si possa aver riguardo al compenso a corpo in riferimento ad opera non contrattuale e del tutto diversa da quella per la quale i contraenti avevano fissato tipo di compenso, il quale si basa necessariamente su particolari studi tecnici preventivi di specie, e non possa questo neppure applicarsi parzialmente per quei tratti di opera che eventualmente coincidessero con il tracciato originariamente previsto in contratto, non essendo giuridicamente possibile per un'opera nuova applicare, in parte, con irrazionale contaminazione, un compenso previsto per altra opera contrattuale non eseguita, senza incorrere in un palese arbitrio, neppure � da ritenersi applicabile il criterio suggerito dalla attrice. La quale vorrebbe che la nuova opera fosse contabilizzata secondo le norme dei compensi a misura previsti nei cottimi in esame. Ma anche questo criterio, come l'altro da ultimo considerato, pecca di' arbitrio, essendo evidente che non � consentito estendere compensi a misura pattiziamente fissati per opere determinate, e solo per quelle, ad opere del tutto diverse e fuori del contratto. Ritiene invece, il Collegio che se l'appaltatore abbia eseguito i lavori extracontrattuali senza una preventiva intesa (ovvero mediante un'intesa giuridicamente non vincolante) con l'Amministrazione quanto alle nuove condizioni afferenti a tali lavori e sia stata formulata, come appunto si verifica nel caso, tempestiva riserva di fronte ad un allibramento dello stato dei lavori che assuma come base arbitraria una quota del compenso a corpo stabilito dall'originario contratto, bene l'appaltatore abbia diritto ad una remunerazione riferibile alla intera opera nuova, intesa nel complesso del sistema organizzativo dei lavori, dei mezzi e degli accorgimenti impiegati. Il qual compenso non potr� essere determinato -salvo eventuali intese transattive -che col sistema a misura, previe le nuove necessarie indagini tecnico-contabili, senza che possa procedervi il collegio arbitrale, chiamato a decidere soltanto, come risulta dal quesito sottopostogli, tj_uale tipo di compenso sia applicabile alla specie, con esclusione di ogni altra indagine anche in ordine a qualsiasi ulteriore eventuale pretesa della societ� appaltatrice. Avuto riguardo alla natura ed ai limiti della controversia, il Collegio ritiene di dover porre a carico dell'Amministrazione soccombente le spese di causa e gli onorari di avvocato, e a carico della SINCIES le spese per il proprio funzionamento nei limiti della somma depositata. l� La pronunC'ia arbitrale surriportata ci sembra criticabile sotto diversi punti di vista. In primo luogo, se si pone a confronto la decis-ione con le richieste delle parti, si profila chiaramente a vizio di ultra petita. � � � La controversia sottoposta al giudizio degli arbit-ri pu� essere cos� sinteticamente riassunta. Il contratto di appaUo prevedeva, fra l'altro, lei costruzione di determinate opere stradali: alcune avreb bero dovuto essere realizzate ex novo; altre mediante adattamento e sistemazione di tronchi stradali pree sistenti. Per le prime era stabilito un compenso a misura; per le seconde un compenso forfettario a corpo. Il tracciato di alcune strade del secondo gruppo fu successivamente modificato per determinazione clel l' Amministrazione. In sede di allibramento dello stato di avanzamento dei lavori, all'Impresa venne per� ugualmente accreditata una quota del compenso �a corpo� previsto nel contratto. L'Impresa, con ap posita riserva, sostenne invece che, data la radicale diversit� fra l'opera cui il contratto si riferiva nello stabilire il compenso a corpo e l'opera effettivamente realizzata, il compenso si sarebbe dovuto calcolare sulla base dei prezzi �a misura � fissati dal con tratto. Questi, dunque, i termini della controversia. Gli arbitri erano chiamati a decidere su due domande di accertamento contrapposte: quella dell'Impresa, ten dente a far affermare l'applicabilit� dei prezzi a misura, e quella dell'Amministrazione, tendente a una declaratoria della legittima applicazione del compenso a corpo. Gli arbitri, in sostanza, hanno respinto tanto la prima, quanto la seconda domanda, ma, invece di limitarsi a questa pronuncia meramente negativa, hanno ritenuto di dover andare oltre, affermando la <e extracontrattualit� � dell'opera realizzata e l'appli cabilit�, ad essa, di un generico criterio di valutazione �a misura �, sulla base di nuove indagini tecnico contabili da effettuare senza alcun riferimento alle tariffe accolte nel contratto di appalto. Sembra evidente che, in tal modo, la pronuncia arbitrale sia andata ultra petita e che, pertanto, ricorra l'ipotesi di nullit� prevista dall'articolo 829, n. 4 O.p.c. (1). (1) � incontestabile che la norma richiamata, nel riferirsi ad una pronuncia emessa �fuori dei limiti del compromesso �, comprenda tanto le ipotesi in cui il lodo abbia pronunciato su una domanda estranea allo oggetto del patto compromissorio, quanto quelle in cui esso contenga pronunce che eccedano dai limiti della domanda, non importa se, in quest'ultimo caso, il contenuto della decisione si ponga o no al di fuori anche -dell'originario oggetto del compromesso o della clausola compromissor~a. Il limite dei poteri degli arbitri, la cui inviolabilit� � garantita dalla norma in discorso, � infatti segnato, in definitiva, dal concreto atteggiamento della controversia sottoposta al loro esame. Il compromesso o la clausola compromissoria (come anche la norma di diritto oggettivo che imponga un arbitrato obbligatorio) esauriscono la loro funzione nel fissare il limite (non inderogabile) entro il quale � con -97 L'oggetto del giudizio m�a limitato all'accerta mento dell'applicabilit� dell'una o dell'altra delle due tariffe contrattuali alle opere effettivamente realizzate. La questione relativa alla natura di q1teste opere (contrattuali -ossia eseguite in adempimento di un obbligo contrattuale -o extracontrattuali) non si poneva affatto come oggetto principale della contro versia, ma 1�ivestiva il semplice carattere di una questione pregiudiziale, la cui soluzione, secondo il punto di vista accolto dagli arbitri, si rendeva neces saria per pronunciare sulle domande delle parti. L'Impresa appaltatrice fondava la sua pretesa esclusivamente sul fatto che, a suo avviso, l'opera realizzata era diversa da quella prevista dalla clausola contrattuale che fissava il compenso a corpo. Che poi l'opera dovesse addirittura ritenersi estranea all'attuazione del rapporto contrattuale oppure costituisse pur sempre l'adempimento di un obbligo assunto con il contratto, non spostava minimamente, sempre secondo l' Impresa, i termini della questione: il petitum restava sempre lo stesso, la dichiarazione dell'applicabilit� dei compensi contrattuali a misura (considerati, in certo modo, come suscettibili di applicazione generale �ad ogni opera comunque connessa con l'attuazione dell'appalto). Gli arbitri hanno ritenuto (non esaminiamo qui se a torto o a ragione) che effettivamente le opere stradali in concreto realizzate fassero del tutto diverse da quelle per le quali il contratto prevedeva il compenso � � forfait�. In conseguenza, e logica1nente, hanno respinto la domanda di accertamento dell'Amministrazione. Ponendosi, per�, l'ulteriore problema della riferibilit� o meno dell'opera realizzata al contratto, hanno ritenuto di doverlo risolvere negativamente e ne hanno tratto la conseguenza della inapplicabilit� anche degli altri criteri di compenso previsti nel contratto. sentito alle parti di chiedere agli arbitri una decisione sulle proprie pretese, restando correlativamente esclusa la competenza del giudice ordinario. Saranno poi le concrete domande formulate dalle parti a determinare l'effettiva attribuzione del potere decisorio agli arbitri e la sua precisa delimitazione. E nulla esclude, ovviamente, che l'oggetto del giudizio arbitrale possa risultare pi� ristretto di quanto, in astratto, sarebbe stato consentito, abbracciando solo una parte o un aspetto della controversia insorta tra le parti. N�, del resto, � escluso che, al contrario, l'oggetto del giudizio possa legittimamente estendersi oltre i limiti del patto compromissorio, essendo sufficiente, a tal :fine, che, in presenza di una domanda esorbitante da quei limiti, l'altra parte non si avvalga della sua facolt� di impedire, con una apposita eccezione, l'ampliamento del " thema decidendi � (art. 817 C.p.c.). In definitiva, il problema della competenza degli arbitri si pone negli stessi termini in cui si pone, nel processo ordinario, il problema della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, salva l'ulteriore indagine, che deve per� essere sollecitata da un'apposita eccezione formulata nel corso del giudizio arbitrale, sulla eventuale eccedenza del � chiesto � dai limiti fissati dal patto compromissorio o dalla norma che impone l'arbitrato obbligatorio. � A questo punto, l'indagine si sarebbe dovuta fm�mare. Respinta l'una domanda e l'altra, si sarebbe f armato esclusivamente un giudicato negativo circa l'applicabilit�, alle opere in ditteussione, �deir eriteri di valutazione patrocinati dalle due parti. Imprese giudicate sarebbero rimaste, non solo le questioni u~teriori relative alla concreta liquidazione del compenso e, quindi, alla scelta del criterio applicabile, ma anche la questione (meramente pregiudiziale, come abbiamo visto, e quindi da decidere � incidenter tantum n) della contrattualit� o extracontrattitalit� delle opere. Nulla avrebbe escluso che, in un siwcessivo giudizio, ritenuta la contrattualit�, il criterio d�i liquidazione del compenso fosse desunto (magari mediante commistione dei vari criteri previsti) dalla disciplina contrattuale, ferma sempre l'inapplicabilit� di quelle precise clausole che avevano f armato oggetto del precedente giudicato. Solo in questo modo i limiti dei poteri degli arbitri sarebbero stati rispettati. Ogni pronuncia diversa dall'accoglimento di una delle due domande formulate dalle parti o dal rigetto di entrambe non pit� che ritenersi nulla per eccesso di potere. In particolare, nel nostro caso, gli arbitri hanno ritenuto di dover decidere �principaliter n e non �incidenter tantum n la questione dell'extracontrattualit� delle opere, che non costituiva affatto l'oggetto della controversia. Peggio ancora, hanno indicato un criterio di valutazione delle opere stesse diverso da quelli sostenuti da una pm�te e dall'altra, finendo, in tal modo, per decidere una controversia diversa da quella loro sottoposta, una controversia, per giunta, non effettiva ma che solo eventualmente sarebbe potuta sorgere in seguito alla loro pronuncia. La decisione ha, in definitiva, pregiud-icato tutta una serie di questioni che, essendo rimaste assolutamente estranee alla lite, non potevano in alcun modo costituire oggetto di giudizio. Respinte entrambe le pretese fatte valere dalle parti, la definitiva soluzione della controversia alla stregua di criteri diversi da quelli originariamente prospettati non rientrava fra i compiti degli arbitri, ma doveva esser lasciata alla libera determinazione delle parti (1). Nessuna domanda in tal senso era stata infatti formulata, n� certo da una simile domanda si poteva prescindere, dato il concreto atteggiamento assunto dallac ontroversia. Se oggetto del giudizio fosse stata la liquidazione in denaro del compenso dovuto, sarebbe stato sostenibile che gli arbitri potessero adottare un punto di vista giuridico del tutto diverso da quello prospettato dalle parti per giungere a determinare, nei limiti della domanda, la somma dovuta. Ma nel nostro caso era proprio e soltanto l'esattezza dei criteri giuridici (1) E di ci� si sono, in certo modo, resi conto gli arbitri, come dimostra il fatto che, nello stabilire il criterio per la definitiva liquidazione del compenso, hanno sentito il bisogno di precisare che esso non ~yr~bbe dovuto operare che in mancanza di �intese transattive � _ tra le parti. Il che, in una pronuncia giudiziale, suona veramente strano: si avrebbe, dunque, una sentenza che, invece di risolvere la lite, si rimette alla buona volont� delle parti, indicando soltanto un criterio succedaneo di decisione. -98 di liquidazione invocati dalle parti, ossia l'applicabilit� o meno di determinate clausole contrattuali alla fattispecie concreta, che costituiva l'oggetto della domanda e del giudizio. Liberi, sempre, gli arbitri di adottare una qualificazione giuridica diversa, ma solo al fine di respingere la domanda, e non mai per trarre, dalla qualificazione adottata, tutte le ulteriori conseguenze rispetto a interessi che le parti non avevano affatto dedotto nella lite. Il vizio di ultra petita ci sembra perci� innegabile. 2) A prescindere da quanto pi� sopra esposto, � seriamente contestabile che gli arbitri potessero (anche se fosse esistita -in tal senso -una domanda di parte) determinare i diritti e gli obblighi delle parti rispetto ad opere effettuate (in ipotesi) al di fuori del contratto, senza alcuna attinenza agli obblighi contrattuali. Nell'interpretazione dell'art. 42 del vecchio Capitolato Generale per gli appalti delle opere dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici (D. M. 28 maggio 1895), si � andato affermando in giurisprudenza il principio secondo cui << rientra nella competenza del collegio arbitrale qualsiasi controversia che con i patti contrattuali venga a trovarsi in rapporto di connessione necessaria, tra cui anche quella circa la pretesa di pagamento, da parte dell'appaltatore, ancorch� a titolo di utile versione, di opere non ordinate o non debitamente ordinate in aggiunta ai lavori appaltati � (cfr., da ultimo, Cas~azione, 19 gennaio 1963, numero 67). A questo indirizzo giurisprudenziale si sono richia mati gli arbitri, senza peraltro considerare che, trat tandosi nella specie di applicare gli artt. 50 e 51 delle Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio militare (R.D. 17 marzo 1932, n. 366), la cui formulazione � notevolmente diversa e pi� ristretta di quella dell'art. 42 Capitolato Generale 1895 (1), non si poteva escludere a priori la possibilit� di una diversa soluzione. Del resto, anche a voler prescindere da ci�, ci sem bra indubbio che, in ogni caso, la competenza arbi trale rispetto alle opere extra-contratto, ove pure la si ammetta in principio, non pu� non incontrare precisi limiti. La funzione delle norme che impongono l'arbitrato in materia di opere pubbliche, a parte ogni questione relativa alla loro natura (regolamentare o negoziale), corrisponde perfettamente, senza alcun dubbio, a quella della �clausola compromissoria � prevista nel l'art. 808 C.p.c. L'ambito di applicazione di queste norme (al pari di quanto pacificamente si ritiene per la clausola compromissoria) non pu�, pertanto, estendersi, senza (1) Mentre l'art. 42 deferisce al giudizio degli arbitri �tutte le vertenze tra l'Amministrazione e l'appaltatore, cos� durante l'esecuzione come al termine del contratto... quale che sia la loro natura, tecnica, amministrativa o giuridica, ninna esclusa�, l'art. 50 R.D. n. 366/1932, riferendosi alle �riserve o domande dell'impresa relative all'appalto�, non lascia dubbi circa la necessaria attinenza al rapporto contrattuale delle questioni devolute al giudizio arbitrale. snaturarne la ratio, oltre le controvers,ie � nascenti dal contratto �, intesa questa formula nel senso che la contestazione deve riguarda,re una pretesa fondata sul contratto (o, eventualmente, sulla sua .. invalidit� o risolubilit�). Non pu� invece ritenersi sufficiente a fondare la competenza arb-itrale un semplice nesso occasionale, di fatto, fra la pretesa azionata e l'esecuzione del contratto. Se si tengono presenti questi ovvi principi, appare evidente che, rispetto alle opere non espressamente previste dal contratto e non regolarmente ordinate dall'Amministrazione, la competenza deglj, arbitri pu� sussistere solo in quanto esse siano in qualche modo riferibili o riconducibili al contratto, rendendosi possibile l'applicazione, in via diretta o per adattamento, dei prezzi contrattuali. Solo in questo preciso senso pu� accogliersi il criterio giurisprudenziale della �connessione necessaria � con i patti contrattuali. La competenza degli arbitri si estende, insomma, quanto si estende l'applicabilit� delle norme contrattuali, e, in particolare, dei prezzi contrattualmente stabiliti. Eseguita dall'appaltatore, nullo iure cogente, un'opera non prevista nel contratto, la questione di competenza viene perci� a dipendere dalla questione di merito relativa all'applicabilit� della disciplina contrattuale (1). Se pu�, quindi, ammettersi, in linea di principio, che non basta l'accertamento dell'� extracontrattua lit� � dell'opera per escludere la competenza arbitrale, ci sembra assolutamente innegabile che, ove venga altres� esclusa ogni possibilit� di applicare all'opera stessa la disciplina contrattuale, giudice delle relative controversie non pu� essere il collegio arbitrale. Nulla di diverso presenterebbero infatti queste con troversie, dal punto di vista giuridico, rispetto a quelle che si riferiscano a prestazioni effettuate senza alcun nesso, neppure occasionale, con un contratto di ap palto: il diverso trattamento, quanto alla competen.za, non avrebbe perci� alcun senso. Nel nostro caso, quindi, gli arbitri hanno errato nel ritenersi competenti a stabilire il criterio di valutazione delle opere effettuate dall'appaltatore, dal momento che essi stessi avevano escluso l'applicabilit� delle clausole contrattuali. 3) Qualche osservazione, infine, sul punto delle spese. L'art. 60 R.D. 17 marzo 1932, n. 366 attribuisce espressamente agli arbitri il potere di stabilire a (1) Nell'ipotesi di appalto di lavori del Genio Militare, la competenza arbitrale potr� quindi sussistere solo nei casi in cui, a norma degli articoli 18, ultimo comma, e 28 delle Condizioni generali, si renda possibile l'applicazione o l'adattamento dei prezzi contrattuali alle opere non previste nell'appalto e non regolarmente ordinate. Fuori da questa e da altre ipotesi partfoofari, l'applicazione delle clausole contrattuali a fattispecie diverse da quelle originariamente previste deve, di massima, ritenersi impossibile, non potendosi ammettere l'interpretazione analogica (di questo in definitiva, si tratterebbe) di un negozio di diritto privato. -99 carico di quale parte debbano gravare le spese. Nessun � dubbio che, in proposito, valgano le nor.me degli articoli 91 e 92 C.p.c. e che, quindi, operi il principio generale della soccombenza come presupposto necessario e sufficiente della condanna nelle spese. Quanto, poi, alla liquidazione, l'art. 60 distingue le �spese dell'arbitramento >>, che vanno liquidate dagli arbitri, dalle competenze ed onorari degli arbitri stessi, per i quali � stabilito uno speciale procedimento di liquidazione (art. 61). Orbene, nel nostro caso, il lodo ha posto a carico dell'Amministrazione, senza peraltro liquidarle, le �spese di causa e gli onorari di avvocato �, e a carico dell'Impresa �le spese per il funzionamento del Collegio, nei limiti della somma depositata �. Non occorre spendere molte parole per dimostrare l'assoluta arbitrariet� di una simile decisione. Anzitutto, nella liquidazione, si � seguito esattamente il crit�rio opposto a quello dettato dall'art. 60: sono state liquidate le competenze degli arbitri e sono state lasciate assolutamente indeterminate le spese di causa. La condanna dell'Amministrazione rispetto a queste ultime �, perci�, assolutamente. inoperante: resta solo l'onere degli onorari degli arbitri a carico della Impresa, ossia della parte che, stando alla motivazione (e a prescindere dal rilevato vizio di ultra petita) deve ritenersi pienamente vincitrice. La contraddittoriet� della .pronuncia � talmente latente ohe non ci sembra contestabile la sua rilevanza invalidante ai sensi d~ll'art. 829 n. 4 C.p.o. * * * Cogliamo l'occasione per rilevare come, negli ultimi tempi, negli arbitrati relativi a controversie insorte fra imprese appaltatrici e P.A. sia invalsa l'abitudine di porre, con le motivazioni pi� varie, a carico dell'impresa, a prescindere dal principio genm�ale che le spese seguono la soccombenza, gli onorari degli arbitri nei � limiti della somma depositata dall'impresa �, il cui ammontare non solo non risulta generalmente n� dal lodo arbitrale n� da altri atti ufficiali regolarmente depositati e registrati, ma anche, molto spesso, � ignoto alla stessa amministrazione parte nel giudizio. Tale modo semiclandestino di liquidare gli onorari degli arbitri e di riscuoterne l'ammontare deve essere sotto ogni aspetto disapprovato. E' noto che n� il codice di procedura n� i capitolati generali di appalto consentono agli arbitri di chiedere depositi �a garanzia dei loro onorari n� li autorizzano a procedere direttamente alla loro liquidazione. Anzi, qualche capitolato come quello del Ministero della Difesa per l'appalto delle provviste di materiali del Genio Militare, al paragrafo 39 dispone che agli arbitri sar� dovuto il rimborso delle spese di viaggio dalla loro ordinaria residenza al luogo di costituzione del Collegio arbitrale (f"Yitorno alla loro residenza, il rimborso della spesa di viaggio per i sopraluoghi, un'indennit� giornaliera per,tutto il :tempo in cui dovranno rimanere fuori dell'ordinaria residenza nonch� una speciale retribuzione da computarsi per ogni vacazione non maggiore di due ore, con facolt� di accumulare, al massimo, quattro vacazioni al yiorno. Solo il Capitolato per gli appalti dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici del 1895 disponeva all'art. 49 che: �le spese del giudizio arbitrale saranno anticipate dalla parte che avr� presentato la domanda per l'arbitramento. Gli arbitri decideranno a carico di quale delle parti, ed in quale proporzione, debbano andare le spese del giudizio �. Tale disposizione aveva poi finito con l'essere applicata anche nel caso di lavori regolati da altri capitolati. Ma il nuovo Capitolato Generale approvato con Decreto del Presidente della Repubblica il 16 luglio 1962, n. 1063 espressamente prescrive all'articolo 51 che la liquidazione delle spese e degli onorari degli arbitri ha luogo nei modi stabiliti dall'art. 814 del Codice di procedura civile. Nella relazione allo schema di Capitolato Generale presentato al Consiglio dei Ministri si legge che �E' da segnalare, infine, l'eliminazione dell'istituto del deposito preventivo delle spese e degli onorari che, oltre ad essere inutilmente oneroso per la parte richie dente l'arbitrato, appare chiaramente incostituzionale, alla stregua della nota sentenza della Corte Costitu zionale n. 67 del 1960 ohe dichiar� l'illegittimit� costituzionale dell'art. 98 codice procedura civile, dettante disposizione analoga �. Non appare quindi dubbio che a decorrere dal 1� settembre 1962, cio�, dall'entrata in vigore del nuovo capitolato sia fatto divieto agli arbitri cos-�, di chiedere ad entrambi o, peggio ancora, alla sola impresa appaltatrice anticipazioni di somme a ga ranzia del pagamento degli onorari, come di proce dere direttamente alla liquidazione di essi. La liqui dazione, .infatti, dovr� essere sempre effettuata dal Presidente del Tribunale a norma dell'art. 814 C.p.c. � (vedi anche sopra a pag. 89 la sentenza n. 63 del 1963 della Corte Suprema di Cassazione). E' questa una delle norme innovatrici del nuovo Capitolato che, avendo anche riscosso il plauso delle categorie interessate (espresso chiaramente nel Com mento teorico-pratico al nuovo Capitolato Gene rale d'Appalto, pubblicato a cura dell'Associazione Nazionale Costruttori edili (pag. 98), � da attendersi verr� sempre e puntualmente osservata. I N D I e E s I s T E M A T I-e o DELLE CONSULTAZIONI L� FORMULAZI�NE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN' ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DAT..4 ACQUE PUBBLICHE DERIVAZIONE DI ACQUE -DECRETO PREFETTIZIO DI .. ESPROPRIAZIONE. 1) Se la competenza ad istruire il ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto avverso un decreto prefettizio di espropriazione in materia di cj.erivazione di acque per usi idrici in favore della Cassa per il Mezzogiorno spetti al Ministero dei Lavori Pubblici o alla suddetta Cassa (n. 73). REGIONE SICILIANA -RISCOSSIONE CANONI. 2) Se sia lecito all'Ente Acquedotti Siciliani, tenuto per legge ad affidare la i:-iscossione dei canoni all'Esat.tore delle imposte dirette, addebitare agli utenti oltre al nolo dei contatori anche l'aggio esattoriale, con ci� prescindendo dal provvedimento del C.I.P. che autorizza gli Enti acquedottisti a porre a carico degli utenti un unico diritto fisso, comprensivo anche del diritto di esazione (n. 74). AGRICOLTURA E FORESTE TRATTURI -LIQUIDAZIO]).TE. Se il diritto di prelazione spettante ai proprietari frontisti di tratturi soggetti a liquidazione, nel caso che frontista sia una comunione, possa essere esercitato da uno solo dei comproprietari e se unicamente a suo favore debba essere fatta la vendita anche in mancanza di una espress� dichiarazione di rinuncia degli altri comproprietari (n. 33). ANTICHITA' E BELLE ARTI REGIONE SICILIANA -TRASFERIMENTO BENI. Se tra i beni dello Stato da trasferirsi alla Regione Siciliana a norma del D.P. 1� dicembre 1961, n. 1825 siano compresi anche i beni appartenenti al c.d. demanio artistico dello Stato (n. 50). BELLEZZE ARTISTICHE E NATURALI V ALLE D'AOSTA -TUTELA DEL PAESAGGIO. 1) Se, a seguito della dichiarazione di illegittimit� costituzionale degli artt. 1 e 18, 20 comma, legge regionale valdostana 28 aprile 1960, n. 3, siano applicabili nella Regione le norme statali in materia di tutela del paesaggio (n. 8). 2) Se dopo la pronuncia di incostituzionalit� di dette norme, permanga nel Presidente della Giunta regionale Valdostana il potere attribuitogli dall'art. 3 della citata legge regionale (n. 8). CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO APPROVAZIONE ATTO DI ALIENAZIONE DI IMMOBILE PA� TRIMONIALE. Se l'approvazione del contratto relativo all'alienazione degli immobili patrimoniali appartenenti all'Azienda di Stato per i servizi telefonici debba essere data con de~ creto del Ministro P.T. (n. 189). COSTITUZIONE RISARCIMENTO PER INCIDENTI DI SERVIZIO. 1) Se la prescrizione delle azioni relative al risarcimento dei danni derivati ai dipendenti dello Stato da incidenti di servizio verificatisi prima del 14 aprile 1950 e da attribuirsi a colpa dell'Amministrazione, cominci a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza 30 gennaio 1962, n. 1 della Corte Costituzionale dichiarante l'illegittimit� costituzionale del R.D.L. n. 313 del 1936, che escludeva il diritto di azione dei dipendenti dello Stato (n. 16). LEGGE REGIONALE VALDOSTANA -TUTELA DEL PAESAG� GIO. 2) Se, a seguito della dichiarazione di illegittimit� costituzionale degli artt. 1 e 18, 2� comma, legge regio' nale valdostana 28 aprile 1960, n. 3, siano applicabili nella Regione le norme statali in materia di tutela del paesaggio (n. 17). 3) Se dopo la pronuncia di incostituzionalit� di dette norme, permanga nel Presidente della Giunta regionale Valdostana il potere attribuitogli dall'art. 3 della citata legge regionale (n. 17). DAZI DOGANALI BOLLETTA DI SDOGANAMENTO. 1) Se l'Amministrazione Finanziaria dopo il rilascio della bolletta di sdoganamento e l'uscita della merce dagli spazi doganali possa in qualsiasi tempo e senza -101 � instaurare alcuna procedura di accertamento, rivedere il valore e la qualificazione della merce stessa in base ad elementi non risultimti dagli atti e dalle scritture doganali ma acquisiti successivamente aliunde che siano tali da convincere l'Amministrazione di avere errato nel corso delle operazioni doganali (n. 20). COSTRUZIONE DI ISOLA METALLIOA IN MARE �PERTO. 2) Se un'isola di acciaio costruita in mare aperto a km 6,5 dalla costa debba considerarsi parte del territorio nazionale, sottoposta alla giurisdizione civile e penale dello Stato italiano e assimilarsi alle navi ed agli aeromobili (n. 21). 3) Se il materiale acquistato all'estero per la costruzione dell'isola stessa debba fruire della esenzione doganale relativa alle merci in transito ovvero debba considerarsi come materiale importato in territorio nazionale (n. 21). DEMANIO BENI DEL CESSATO P.N.F. 1) Se per la cessione di beni gi� appartenenti al p.n.f. sia in ogni caso necessaria la forma del decreto di cui all'art. 38, D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159 e se, in mancanza di detto decreto, possa ritenersi nulla la vendita di una area ad una cooperativa edilizia sovvenzionata (n. 173). 2) Se, inoltre, l'istituto d�ll'usucapione decennale, di cui all'art. 2059 e.e., possa trovare applicazione nella ipotesi di acquisto di beni immobili, gi� appartenenti al p.n.f., e la cui cessione, da parte dell'Amministrazione finanziaria, sia avvenuta senza il rispetto delle forme di cui al citato art. 38 D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159 (numero 173). ESECUZIONE FORZATA CITT� DEL VATICANO. Se sia possibile e con quali modalit� iniziare in virt� di ingiunzione fiscale l'espropriazione di beni mobili di un debitore esistenti nello Stato Citt� del Vaticano (n. 31). FALLIMENTO DIOHIARAZIONE DI FALLIMENTO -CAPACIT� PROCESSUALE DEL FALLITO. 1) Se la perdita� da parte del fallito della capacit� processuale possa essere fatta valere solo dalla massa dei creditori (n. 74). SOCIET� -FALLIMENTO. 2) Se la chiusura del fallimento di una societ� ne determini l'estinzione (n. 75). FERROVIE ABBONAMENTI A TARIFFA RIDOTTA. 1) Se possa essere accordato l'abbonamento a tariffa ridotta agli studenti iscritti a scuole private non pi� soggette, per effetto della sentenza della Corte Costitu zionale 4 giugno 1958, all'autorizzazione cui si riferisce l'art. 44, comma 4� delle Condizioni e tariffe per i trasporti delle persone nelle F.S. (n. 342) .. PASSAGGI A LIVELLO PEDONALI. '2) Se, dopo l'entrata in vigore del nuovo codice della strada, possa ritenersi legittima -da parte dell'Amministrazione ferroviaria -la conservazione di passaggi a livello pedonali muniti di � girello �, e se in prossimit� degli stessi debba essere installato il segnale di cui all'art. 15, 40 comma codice stradale (Croce di S. Andrea) (numero 343). IMPIEGO PUBBLICO RISARCIMENTO Plll'R INCIDENTI DI SERVIZIO. Se la prescrizione delle azioni relative ai risarcimenti dei danni derivati ai dipendenti dello Stato da incidenti di servizio verificatisi prima del 14 aprile 1950 e da attribuirsi a colpa dell'Amministrazione, cominci a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza 30 gennaio 1962, n. 1 della Corte Costituzionale dichiarante la illegittimit� costituzionale del R.D.L. n. 313 del 1936, che escludeva il diritto di azione dei dipendenti dello Stato (n. 547). IMPORTAZIONE -ESPORTAZIONE TABACCHI -ESPORTAZIONE DIBETTA. Se l'autorizzazione amministrativa per l'esportazione di tabacchi possa essere ,ubordinata al versamento da parte delle Ditte concessionarie delle coltivazioni, che esportino direttamente il prodotto, dei contributi previsti dall'art. 3, D.L.L. 26 marzo 1946, n. 297 a favore dell'Istituto scientifico sperimentale per i tabacchi (n. 28). IMPOSTA DI REGISTRO SOCIET� -AUMENTO DEL CAPITALE. Se le delibere di aumento del capitale sociale per conguaglio monetario debbano scontare il tributo vigente al momento della delibera stessa o quello vigente a momento della omologazione (n. 192). IMPOSTA ,DI RICCHEZZA MOBILE BORSE DI STUDIO. 1) Se sulle somme dovute a titolo di borse di studio ai sensi della legge 24 luglio 1962, n. 1073 sia applicabile a ritenuta diretta per imposta di R.M. (n. 23). INDENNIT� DI ANZIANIT�. 2) Se l'indennit� di anzianit� debba considerarsi reddito avente natura retributiva e se, in quanto tale, debba essere assoggettata alla ritenuta di R.M. (numero 24). -102 IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA IMPORTAZIONE DI NAVI. 1) Se sia applicabile l'art. 17 della legge organica dell'I.G.E. per la importazione delle navi al di fuori del periodo di applicazione della legge 15 luglio 1957, n. 587 (n. 100). � PRESCRIZIONE. 2) Se la pendenza del ricorso gerarchico avverso la ordinanza intendentizia di condanna per evasione alla I.G.E. sia ostativa alla decorrenza della prescrizione della pena pecuniaria (n. 101). IMPOSTE E TASSE TASSA DI CONCESSIONI AMMINISTRATIVE. Se le trascrizioni di alcuni atti delle societ� previste dall'abrogato codice di commercio e mantenute in vigore dall'art. 100 disp. att. al codice civile fino all'istituzione del registro . delle imprese, vadano soggette alla tassa di concessione amministrativa, pur non risultando tra gli atti amministrativi che la tabella A della legge dichiara soggetti alla tassa medesima (n. 355). MEZZOGIORNO CASSA DEL MEZZOGIORNO -DERIVAZIONE DI ACQUA. Se la competenza ad istruire il ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto avverso un decreto prefettizio di espropriazione in materia di derivazione di acque per usi idrici in favore della Cassa per il Mezzogiorno spetti al Ministero dei Lavori Pubblici o alla suddetta Cassa (n. 23). :MILITARI PENSIONATI -RIOHIAM:O IN SERVIZIO. Se, per i dipendenti militari dello Stato, sia consentito il cumulo della pensione privilegiata ordinaria con gli assegni di normale attivit� di servizio (n. 17). MONOPOLI BANANE -CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE. 1) Se il Consiglio di Amministrazione ed il Consigliere Delegato dell'Azienda Monopolio Banane possano compiere atti di ordinaria amministrazione una volta scaduto il loro mandato e prima della nomina dei nuovi componenti (n. 39). T.ABACCm -ESPORTAZIONE DIRETTA. 2) Se l'autorizzazione amministrativa per l'esportazione di tabacchi possa essere subordinata al versamento da parte delle Ditte concessionarie delle coltivazioni, che esportino direttame:qte il prodotto, dei contributi previsti dall'art. 3, D.L.L. 26 marzo 1946, n. 297 a favore dell'Istituto scientifico sperimentale per i tabacchi (numero 40). NAVE E NAVIGAZIONE COSTRUZIONE IN MARE APERTO DI UN'ISOLA METALLICA. 1) Se un'isola di acciaio costruita in mare aperto a km 6,5 dalla costa debba considerarsi parte del territorio nazionale, sottoposta alla giurisdizione civile e penale dello Stato italiano e assimilarsi alle navi e agli aeromobili (n. 109). 2) Se il materiale acquistato all'estero per la costruzione deli'isola stessa debba fruire della esenzione doganale relativa alle merci in transito ovvero debba considerarsi come materiale importato in telTitorio nazionale (n. 109). IMPORTAZIONE DI NAVI. 2) Se sia applicabile l'art. 17 della legge organica sull'I.G.E. per la importazione delle navi al di fuori del periodo di applicazione della fegge 15 luglio 1957, n. 587 (n. 110). NOTAIO SCAMBI E VALUTE. Se l'obbligo del notaio di denunziare all'Ufficio Italiano dei Cambi tutte le operazioni comportanti investimenti stranieri in Italia compiute col suo intervento sussista anche nell'ipotesi in cui l'attivit� del notaio si sia limitata alla autenticazione della firma nella scrittura privata concernente l'investimento (n. 11). PENSIONI DIPENDENTI MILITARI. 1) Se, per i dipendenti militari dello Stato, sia consentito il cumulo della pensione privilegiata ordinaria con gli assegni di normale attivit� di servizio (n. 105). RIDUZIONE A MET� DELLA :PENSIONE. 2) Se l'art. 184, T.U., 21 febbraio 1895, n. 70; che prevede la riduzione a met� della pensione durante la espiazione di pena detentiva superiore ad un anno, possa essere applicato anche nei confronti del pensionato che, nell'impossibilit� di pagare una pena pecuniaria, abbia subito la commutazione della medesima in pena detentiva (n. 106). POSTE E TELECOMUNICAZIONI CONCESSIONI. Quale sia il criterio discriminatore tra concessioni ad uso pubblico e concessioni ad uso privato in materia di telecomunicazioni, e se possano ritenersi esenti da ogni canone le concessioni di esercizio di stazioni radio installate a servizio di impianti realizzati da un consorzio generale di bonifica (n. 93). �� � CONCESSIONI SERVIZIO RECAPITO ESl'RESSI. 2) Se il risarcimento spettante all'Amminisrazione postale allorch� il concessionario del recapito di corrispondenza espressa nell'ambito di un Comune ometta di ---------------��----------------�--- 103 � appiicare su ogni invoiucro ia speciale marca di affrancatura di L. 20 debba determinarsi nella misura di questa ultima tassa ovvero deila affrancatura ordinaria (n. 94). 3) Se l'Amministrazione Postale possa ugualmente pretendere il pagamento delle marche non applicate quando sia intervenuta sentenza penale passata in giudicato che assolve il concessionario perch� il fatto non costituisce reato essendo provato che questi, pur non avendo applicato le marche, ha tuttavia inoltrato la corrispondenza con l'affranca.tur . ordin�ria (n. 94). DANNI ALLE LINEE TELEGRAFICHE. 4) Se la disposizione contenuta nell'art. 1 del Regio Decreto 1925, n. 2500 modificato dalla legge 1953, n. 95 e dal D.P.R. 1956, n. 708, che pone a carico delle altre amministrazioni dello Stato, di enti societ� e privati una quota di spese generali in misura del 15 per cento sull'ammontare complessivo dei lavori e delle prestazioni eseguite dall'Amministrazione P.T., possa trovare applicazione oltre i casi in essa espressamente previsti � (n. 95). PROPRIETA' SUOLI TRATTURALI -LIQUIDAZIONE. Se il diritto di prelazione spettante ai proprietari frontisti di tratturi soggetti a liquidazione, nel caso che frontista sia una comunione, possa essere esercitato da uno solo dei comproprietari e se 1micamente a suo favore debba essere fatta la vendita anche in mancanza di una espressa dichiarazione di rinunzia degli altri comproprietari (n. 33). REGIONI REGIONE SICILIANA -CREDITO AGRARIO. 1) Se siano competenti gli organi dello Stato o quelli della Regione Siciliana: a) a concedere agli istituti ed Enti esercenti il credito agrario l'autorizzazione, di cui all'art. 1 n. 25 luglio 1956, n. 838, a prorogare le scadenze delle operazioni di credito agrario di esercizio effettuate con aziende agricole danneggiate dalle avversit� atmosferiche (numero 104). b) a determinare le zone danneggiate ai fini della concessione del contributo sugli interessi relativi alle operazioni prorogate, previsto dalla legge 21 luglio 1960, n. 739 (n. 104). REGIONE SICILIANA -TRASFERIMENTO BENI. DEMANIO ARTISTICO. 2) Se tra i beni dello Stato da trasferirsi alla Regione Siciliana a norma del D.P. 10 dicembre 1961, n. 1825 siano compresi anche i beni appartenenti al C.D. demanio artistico dello Stato (n. 105). REGIONE SICILIANA -RISCOSSIONE CANONI. 3) Se sia lecito all'Ente Acquedotti Siciliani, tenuto per legge ad affidare la riscossione dei canoni all'Esattoria delle imposte dirette, addebitare agli utenti oltre al nolo dei contatori anche l'aggio esattoriale, con ci� prescindendo dal provvedimento del C.!.P. che autorizza gli Enti acquedottisti a porre a carico degli utenti un unico diritto fisso, comprensivo anche de1 diritto di esazione (n. 106). Y..ALLE D'AOSTA -TUTELA Dl!JL PAESAGGIO. 4) Se a seguito della dichiarazione di illegittimit� costituzionale degli artt. 1e18, 2� comma, legge regionale valdostana 28 aprile 1960, n. 3, siano applicabili nella Regione le norme statali in materia di tutela del paesaggio (n. 107). 5) Se, dopo la pronuncia di incostituzionalit� di dette norme, permanga nel Presidente della Giunta Regionale Valdostana il potere attribuitogli dall'art. 3 della cit�ta legge regionale (n. 107). RICORSI AMMINISTRATIVI RICORSO AL CAPO DELLO STATO. Se la competenza ad istruire il ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto avverso un decreto prefettizio di espropriazione in materia di derivazione di acque per usi idrici in favore della Cassa per il Mezzogiorno spetti al Ministero dei Lavori Pubblici o alla suddetta Cassa (n. 8). SCAMBI E VALUTE BOLLETTA DI SDOGANAMENTO. 1) Se l'Amministrazione Finanziaria dopo il rilascio della bolletta di sdoganamento e l'uscita della merce dagli spazi doganali possa in qualsiasi tempo e senza instaurare alcuna procedura di accertamento rivedere il valore e la qualificazione della merce stessa in base ad elementi non risultanti dagli atti e dalle scritture doganali ma acquisiti successivamente aliunde che siano tali da convincere l'Amministrazione di avere errato nel corso delle operazioni doganali (n. 18). NOTAIO. 2) Se l'obbligo del notaio di demmziare all'Ufficio Italiano dei Cambi tutte le operazioni comportanti investimenti stranieri in Italia compiuti col suo intervento sussista anche nell'ipotesi in cui l'attivit� del notaio si sia limitata alla autenticazione della firma della scrittura privata concernente l'investimento (n. 19). SOCIETA' FALLIMENTO. 1) Se la chiusura del fallimento di una societ� ne determini l'estinzione (n. 100). IMPOSTA DI REGISTRO -AUMENTO DEL CAPITALE. 2) Se le delibere di aumento del capitale sociale per conguaglio monetario debbano scontare il tributo vigente al momento della delibera stessa o quello vigente al momento della omologazione (n. 101). -104 TASSE DI CON��ESSIONlii A.M:Ml:NISTRATIVA. 3) Se le trascrizioni di alcuni atti delle societ� previste dall'abrogato codice di commercio e mantenute in vigore dall'art. 100 disposizioni di attuazione al codice civile fino all'istit,uzione del registro delle imprese, vadano soggette alla tassa di concessione ammi-, nistrativa, pur non risultando tra gli atti amministrativi che la tabella A della legge dichiara soggetti alla tassa medesima (n. 102). STAMPA Quale sia la differenza tra �riproduzione � e �rielaborazione � della cartografia ufficiale e se le �rielaborazioni � -che per la legge 2 febbraio 1960, n. 68 devono contenere l'indicazione dell'organo statale produttore della carta al quale sono dovuti i diritti d'autore possano ravvisarsi anche allorch� siano state utilizzare varie carte e documenti ufficiali inlibero commercio (n. 7). STRADE CONCESSIONI IDRJOHE. 1) Se, nell'ipotesi di passaggio di strade da uno ad un altro Ente Pubblico, possa ritenersi opponibile all'Ente nuovo proprietario una concessione idrica assentita a favore di terzi dall'Ente precedente proprietario (n. 46). p ASSAGGI A LIVELLO :PEDONALI. 2) Se, dopo l'entrata in vigore del .nuovo codice della strada, possa ritenersi legittima -da parte della Amministrazione ferroviaria -la conservazione di pas saggi a livello pedonali muniti di << girello �, e se in pros simit� degli stessi debba essere installato il segnale d cui all'art. 15, 4� comma, codice stradale (Croce di S. Andrea) (n. 47). ~ Si6 L l O Ti.!CA PUBBLICAZIONE RASSEGNA ~' --V DI SERVIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO xv -N. 7-8-9 LUGLIO-AGOSTO-SETTEMBRE 1963 LA CORTE COSTITUZIONALE NEI PRIMI SETTE ANNI DELLA SUA ATTIVIT� Discorso pronunciato dal Presidente della Corte Gaspare Ambrosini il 22 gennaio 1963 alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni SOMMARIO. -I -Genesi della Oorte e \7ariet� delle controversie trattate. -II -Oontenuto della giurisprudenza della Oorte con riferimento agli argomenti seguenti : Competenza della Corte ed instaurazione dei giudizi -Interpretazione -Diritti e doveri -Il principio d'uguaglianza e gli altri prinJip1 delle � Dispo3izioni fondamentali � della Costituzione -I diritti tradizionali di libert� (libert� personale, di circolazione, di riunione ed associazione, di manifestazione del pen siero, di agire e di difendersi in giudizio, ecc.) -Il lavoro e la tutela del lavoratori -Oontratti collettivi di lavoro e diritto di sciopero -Iniziativa economica, propriet� privata, finalit� sociali, espropriazione ed indennizzo -L'esercizio della funzione legislativa ed interpretazione autentica delle leggi -L'eserc~zio della giurisdizione -L'unit� della giurisdizione costituzionale -Caratte ristiche di taluni dispositivi delle sentenze -Oome � applicato dalla Oorte il principio collegiale. III -La necessit� della Oorte per la vita ed il progresso dell'ordinamento costituzionale. I -Genesi della Corte e variet� delle controversie tratt�te Il sistema del controllo di legittimit� costituzionale delle leggi � strettamente collegato col sistema della Costituzione rigida, la cui ragione di essere discende dall'esigenza di una realizzazione pi� completa del valore superiore delle norme della Carta fondamentale rispetto a quelle delle leggi ordinarie. E ci� allo scopo di dare una maggiore garanzia ai diritti dei cittadini e di assicurare che l'attivit� degli stessi poteri sovrani venga esercitata nei limiti formali e sostanziali stabiliti dalla Oostituzione. Si tratta di un'esigenza che era gi�. stata avverta, dai Padri della Costituzione americana, e spedn1mente da .Alexi:Jinder Hamilton, il quale sostenne �''i essendo il Costituente il potere superiore dal .�1ale il Legislativo ha attribuite funzioni e facolt� ~ #rminate, non pu� questo, cio� il potere legisla' vn. esercitarle al di l� dei limiti od in senso conra. rio a quello stabilito dal Costituente nella Carta fondamentale, e che in conseguenza non pu� essere �itenuta valida una legge che contrasti con la Costi, uzione. Il principio venne poi in concreto applicato dalla (:orte Suprema, a cominciare dalla celebre senJ-,, nza resa nel 1803 per il caso Marbury v. Madison, dia quale la Corte presieduta da John Marshall :<fferm� che �un atto legislativo contrario alla ,13tituzione non � legge �. In verit� l'affermazione del potere della Corte Suprema di sindacare le leggi approvate dal Congresso non avvenne senza resistenze e senza riserve e critiche mosse anche da grandi personalit� della storia americana, a cominciare da J efferson ed a finire ai due Roosevelt. Ma ogni opposizione fu superata per la logica del sistema della Costituzione rigida che era stato adottato dalla Convenzione di Filadelfia, per la sapienza e l'alto senso di responsabilit� dei giudici e per la sensibilit� del popolo americano, che, pur tra tanti contrasti, ha sempre visto nella Corte Suprema l'organo di garanzia dei principi di libert� e di democrazia. * * * In Italia l'esigenza di dare la garanzia massima ai diritti dei cittadini e di evitare che rappresentanti degli organi sovrani travalichino i limiti della loro competenza istituzionale e di garantire, inoltre, l'attuazione del nuovo ordinamento regionale fu sentita, dopo la seconda guerra mondiale, non da ristretti gruppi politici, ma da larghe correnti del Paese, ed in modo determinante dalla maggioranza dei deputati dell'Assemblea costituente, che adott� il sistema della costituzione rigida o il sistema del controllo di costituzionalit�, affidandolo ad un organo apposito, la Corte costituzionale. La formazione della Corte costituzionale doveva perci� avvenire de plano, giacch�, a differenza della costituzione americana, che non fa alcuna specificazione in proposito (ragione per la quale era stata perfino messa in dubbio la stessa legittimit� del suddetto potere di controllo sulle leggi da parte della Corte Suprema), la Costituzione italiana non solo dispone espressamente l'istituzione di tal~ organo particolare, ma ne indica in modo specifico i compiti. Senonch� quei motivi di opposizione e di diffidenza, che erano stati addotti nei riguardi della Corte Suprema degli Stati Uniti, o motivi simili, od altri motivi dovuti alle particolari condizioni politiche del nostro Paese, e fors'anche il ricordo del fallimento della Corte costituzionale istituita in Germania dopo la prima guerra mondiale secondo il disposto della Costituzione di Weimar del 1919, influirono nell'ostacolare la formazione della Corte. E particolarmente, forse, influ� il rilievo che il sistema di controllo della Corte costituzionale contrasterebbe (siccome sottoline� Vittorio Emanuele Orlando alla Costituente ed ancora dopo, in uno scritto del1951 sulla forma di governo in Italia) col sistema del regime parlamentare. � da ricordare inoltre che taluni, anche in buona fede, dicevano che la Corte avrebbe avuto poco da fare, e che l'ufficio di giudice costituzionale sarebbe stato una sinecura. Per varie ragioni adunque passarono quasi otto anni dalla entrata in vigore della Costituzione, prima che la Corte costituzionale venisse costituita. Il 15 dicembre 1955 i Giudici prestarono giuramento, al Quirinale, nelle mani del Presidente Gronchi, il quale, in un alto e nobile discorso rivolto ai Giudici ed al Paese, disse, tra l'altro, che la Corte si inserisce nel complesso sistema di separazione ed equilibrio tra i vari poteri, cc come elemento direi nello stesso tempo moderatore e, per taluni rispetti, anche propulsore delle attivit� legislative ed esecutive �. Subito dopo il giuramento, i Giudici si riunirono al Palazzo della Consulta, e procedettero all'elezione del primo Presidente, l'antico parlamentare ed ex Capo provvisorio dello Stato e primo Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola. Nei primi tre mesi 9-el 1956 la Corte provvide alla propria organizzazione interna ed all'emanazione delle Norme integrative per lo svolgimento dei giudizi intesi alla decisione delle questioni di legittimit�. costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra Stato e Regioni. * * * Il 23 aprile 1956, alla presenza del Presidente della Repubblica, ebbe luogo la prima udienza inaugurale con un memorabile discorso pronunciato dal Presidente De Nicola. Da allora la Corte ha svolto la sua alacre e feconda attivit� con i risultati che passer� aCi esporre. Diversi problemi attinenti al funzionamento della Corte sono stati in questo periodo di tempo risolti; altri per� ne restano, pure di carattere fondamentale che siamo certi saranno anch'essi presto risolti, come quello attinente alla .continuit�. divita .della Corte alla scadenza del dodicennio dalla sua fondazione, come l'altro della posizione, anche formale, della Corte nell'ambito degli organi costituzionali dello Stato, e l'altro ancora del necessario coordinamento dell'attivit� della Corte con quella degli altri supremi organi costituzionali nella formazione ed esecuzione delle leggi. * * * Nel discorso inaugurale prounziato il 23 aprile 1956, alla presenza del Capo dello Stato, il Presidente De Nicola credette opportuno enunciare gli intendimenti con i quali la Corte si accingeva ad adempiere la sua missione. cc Spetta a me -egli disse -di dire a Voi qui ed al popolo italiano fuori di qui, con semplicit� e chiarezza, senza opulenze verbali, con quali intendimenti ci accingiamo ad adempiere l'alta missione che ci � stata affidata nel regime democratico che si fonda sul saggio equilibrio delle forze in perenne ed inevitabile contrasto �. E dopo varie considerazioni aggiunse: cc Noi abbiamo questo dono necessario per l'adempimento dei nostri compiti: la fede, accompagnata da una infrangibile fermezza che non ha nulla da vedere con l'arbitrio. Non avremo bisogno n� di sprone n� di freni per la nostra opera non effimera ma duratura attraverso una nuova giurisprudenza, che avr� uno straordinario impulso sulla vita nazionale �. Sia consentito oggi a me, che pur ho tanta minore autorit�. del Presidente De Nicola, ma tuttavia non minore fede, di dire a Voi, qui, ed al popolo italiano, fuori di qui, come la Corte ha assolto la sua missione nei primi sette anni della sua attivit�, e di sottolineare il contributo che ha dato con la sua giurisprudenza allo svolgimento ed alla applicazione di molte disposizioni della Costituzione e degli Statuti delle Regioni (Sicilia, Sardegna, V alle d'Aosta e Trentino-Alto Adige). * * * Non mi dissimulo che sette anni di attivit� possono sembrare pochi per giudicare un istituto, che non aveva precedenti nel passato ordinamento, rispetto al quale costituisce anzi una innovazione profonda, ma si tratta dei primi sette anni di attivit�, che per le difficolt� stesse del passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento e per la gravit�, delicatezza ed urgenza dei compiti affidati al nuovo iAtituto, rappresentano un vero ciclo storico. � infatti in questo primo periodo di tempo che la Corte costituzionale ha preso sempre pi� nettamente forma e vitalit� quale custode e g�r�nte d~lla_ legge fondamentale. Le cifre sulle controversie proposte davanti alla Corte e sulle decisioni emanate basterebbero gi� a dimostrare quale � stata l'entit� del suo lavoro. -107 Se si raffronta il numero dei casi esaminati dalla Corte italiana con quelli della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che fu istituita nel 1790 e che ha perci� 172 anni di vita, si vede quanto pi� accentuato sia in questo campo il volume di attivit� della Corte italiana. Secondo i calcoli del Corwin, in pi� di un secolo e mezzo di vita, la Corte Suprema americana ha deciso pi� di 4000 casi di controversie costituzionali; la Corte italiana in sette anni ne ha deciso proporzionalmente un numero molto superiore. Certamente � difficile dare a tale differenza di cifre un concreto valore, anche ed anzitutto perch� i presupposti e la portata dell'attivit� delle due Corti sono diversi; ma, comunque, � fuori dubbio che l'entit� del lavoro della Corte italiana � imponente. * * * Dall'inizio della sua attivit�, cio� dal 1956 a tutto il dicembre 1962, sono pervenuti alla Corte gli atti introduttivi di 1364 giudizi, dei quali: 1165 relativi a questioni di legittimit� costituzionale di leggi o atti aventi forza di legge proposti in via incidentale con ordinanze dei giudici delle cause principali, 124 relativi a giudizi di legittimit� costituzionale proposti in via principale con ricorsi dello Stato e delle Regioni, e 75 relativi a giudizi per conflitti di attribuzione proposti con ricorsi dello Stato e delle Regioni e della provincia di Bolzano. Nel settennio trascorso non � stato proposto alla Corte alcun giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, n� si � fatto luogo -e speriamo che non si far� mai luogo -a giudizi su atti di accusa. Non si � fatto e non avrebbe potuto nemmeno farsi luogo, dato lo stato della legislazione, a giudizi sull'ammissibilit� di referendum abrogativo. Quanto ai giudizi di legittimit� costituzionale proposti in via principale, in tutto 124, � da rilevare che 83 furono proposti dallo Stato contro leggi delle quattro Regioni a statuto speciale e della provincia di Bolzano, e 35 dalle suddette Regioni e Provincia contro leggi statali. Si debbono aggiungere 6 ricorsi proposti dalla provincia di Bolzano contro leggi della Regione Trentino-Alto Adige. In tema di conflitti di attribuzione furono proposti, sempre dal 1956 al 1962: 32 ricorsi dello Stato contro atti delle quattro Regioni e della provincia di Bolzano, 41 da queste contro atti statali; e 2 dalla provincia di Bolzano contro atti della Regione. La provincia di Trento figura in questo quadro soltanto per un ricorso proposto nei riguardi dello Stato. In tutto adunque furono proposti 75 ricorsi Le sentenze e le ordinanze emanate dalla Cor te ammontano rispettivamente a 397 e 199, in tutto 596. Con tali decisioni sono stati per�, in realt�, risolti, per effetto di pronuncie emanate con unica sentenza od ordinanza su controversie aventi oggetto simile o strettamente connesso, 1183 giudizi, dei quali 994 giudizi di legittimit� costituzionale proposti in via incidentale, 117 giudizi proposti in via principale e 72 conflitti di attribuzione. � da notare che delle 994 questioni di legittimit� costituzionale proposte in via incidentale, 416 vennero giudicate fondate con conseguente dichiarazione di illegittimit� costituzforiale d�lle--norme impugnate, mentre 578 vennero dichiarate non fondate. -Dei 117 ricorsi per questioni di legittimit� proposte in via principale, vennero accolti, con conseguente pronuncia di illegittimit� delle norme impugnate, 64 ricorsi, dei quali: 51 dello Stato contro leggi delle quattro Regionie d~lla provincia di Bolzano, 11 di dette Regioni contro leggi statali, e 2 della provincia di Bolzano contro leggi della Regione. Ne vennero invece respinti 40, dei quali 13 dello Stato contro leggi regionali, 24 delle Regioni contro leggi statali, e 3 della provincia di Bolzano contro leggi della Regione. Venne pronunciata inoltre l'estinzione di 13 giudizi. Nessun ricorso fu presentato dalla provincia di Trento, n� contro di essa. Dei 72 ricorsi per conflitti di attribuzione, ne vennero accolti in tutto 33, dei quali 22 presentati dallo Stato contro atti delle quattro Regioni e della provincia di Bolzano, 10 dalle suddette Regioni e provincia contro atti dello Stato, ed uno dalla provincia di Bolzano nei riguardi della Regione. Vennero invece respinti 35 ricorsi, dei quali: 5 dello Stato, 29 delle Regioni e provincie di Bolzano e di Trento contro atti dello Stato, ed uno della provincia di Bolzano rispetto alla Regione. Quattro giudizi furono dichiarati estinti. * * * Non mi soffermo sui raffronti e sulle considerazioni cui possono dar luogo le cifre che sono venuto esponendo; qui mi basta averle indicate per mostrare quanto notevole sia stata l'attivit� svolta dalla Corte nei primi sette anni della sua vita. Rilevo soltanto che il numero delle questioni proposte con ordinanze emesse dai giudici della causa principale non � diminuito, siccome taluni ritenevano dovesse avvenire. Nel 1962 infatti il numero dei giudizi di legittimit� costituzionale proposti in via incidentale � stato di 210, maggiore quindi rispetto alla media di 169 dei precedenti sei anni. � da notare, d'altra parte, che � diminuito il numero degli atti introduttivi dei giudizi di legittimit� costituzionale in via principale e dei conflitti di attribuzione; il che pu� indicare che da parte dello Stato e delle Regioni si tiene conto dei principi affermati dalla Corte nelle sentenze degli anni precedenti. Nello stesso decorso anno il numero delle que stioni di legittimit� proposte in via incidentale decise dalla Corte � salito a 238, con un notevole aumento rispetto alla media degli anni precedenti, dal 1957 al 1961, che era 126. Nei primi venti giorni del corrente mese di gennaio sono gi� pervenute alla Cancelleria della Corte ben 24 ordinanze di proposizione di questioni di legittimit� in via incidentale. 108 II -Contenuto della Giurisprudenza della Corte Competenza della Corte ed instaurazione dei giudizi Passo ad occuparmi della giurisprudenza della Corte, cominciando dalla parte attinente alla sua competenza ed alla instaurazione dei giudizi dinanzi ad essa, particolarmente per il sindacato di legit-, timit�� costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Giova premettere che nel nostro sistema la Corte non ha potere di miziativa, e che, d'altra parte, n� i cittadini n� altri soggetti dell'ordinamento possono adirla dfrettamente, giacch� soltanto allo Stato ed alle Regioni � riconosciuto il diritto di impugnare direttamente in via cosidetta principale, l'uno le leggi delle seconde, e viceversa. Ai cittadini ed agli altri soggetti, come al Pubblico Ministero, � riconosciuta la facolt� di sollevare la questione di legittimit� costituzionale soltanto in via cosidetta incidentale, cio� nel corso di un giudizio pendente avanti un organo giurisdizionale al quale poi spetta la potest� di decidere sulla richiesta, ed anche di proporre la questione di ufficio. Orbene, in relazione specialmente ai giudizi proposti in via incidentale, che hanno costituito e costituiscono la maggior parte del contenzioso di legittimit� costituzionale, va rilevato che l'interpretazione data dalla Corte alle norme attinenti alla sua competenza ed alle forme e condizioni di introduzione dei giudizi ha facilitato agli interessati la possibilit� di arrivare, sia pure in via in�,identale, a sottoporre all'esame di essa il maggior numero di questioni. * * * Nella sua prima sentenza (la n. 1 del 1956) la Corte ha respinto l'assunto che il giudizio di legittimit� costituzionale si riferisse soltanto alle leggi posteriori alla Costituzione, ed ha affermato invece che si estende anche alle leggi anteriori, sia perch�, dal lato testuale, l'art. 134 della Costituzione e l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, non fanno alcuna distinzione, sia perch�, dal lato logico, << � innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali ed il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali �. Riguardo ai decreti legislativi delegati, il cui contrasto con le leggi di delegazione era pur stato prospettato nello stesso giudizio come contrasto tra leggi ordinarie non sottoponibili come tali al sindacato di legittimit� costituzionale, la Corte ha ritenuto che anche questi decreti possono essere oggetto di sindacato, per la considerazione che nella violazione, che si riscontri in essi, dei criteri e limiti stabiliti nella legge delegante si sostanzia altres� una violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione (sent. n. 3 del 1957). In base agli stessi criteri, la Corte ha ritenuto che il giudizio di legittimit� costituzionale si estende anche alle cosiddette leggi-provvedimento, cio� ai decreti che hanno forza di legge in virt� di una legge di delegazione, ma che non contengono norme giuridiche, sibbene provvedimenti particolari (sent. n. 59 del 1957). La Corte ha inoltre affrontato il problema del sindacato sulle norme di attuazione degli statuti regionali approvati con legge costituzionale, risolvendolo nel senso che anche a tali norme si estende il giudizio di legittimit�, per la ragione che esse non posi;;ono considerarsi come norme di mera esecuzione degli statuti regionali (sent. n. 20 del 1956, e nn. 14, 67, 83 del 1962). * * * Quanto al concetto di autorit� giurisdizionale legittimata, siccome si � detto, a proporre, su istanza di parte o di ufficio, la questione di legittimit� costituzionale, la Corte, intendendo il concetto stesso in senso ampio ed estensivo, ha compreso tra i suddetti organi non solo il giudice ordinario in sede di volontaria giurisdizione, ma altres�: 1) i Consigli comunali nella materia del contenzioso elettorale (sent. n. 42 del 1961); 2) le Commissioni tributarie (sent. n. 12 del 1961); 3) il Commissario liquidatore degli usi civici (sent. n. 78 del 1961); 4) la Commissione dei ricorsi in materia di brevetti (sent. n. 4 del 1958); 5) i Comandanti la Capitaneria di porto (sent. n. 41 del 1960). Natura del tutto particolare, a questo riguardo, presenta la facolt� che la Corte ha dovuto ricono-, scere a se stessa, di proporre, nel corso di un giudizio dinnanzi ad essa pendente, una questione di legittimit� in via incidentale, quando la risoluzione di questa avesse carattere strumentale ai fini della definizione del giudizio gi� instaurato. E ci� in quanto non pu� <<ritenersi che proprio la Corte, che � il solo organo competente a decidere delle questioni di costituzionalit� delle leggi, sia tenuta ad applicare leggi incostituzionali � (ord. n. 22 del 1960). Parimenti favorevole all'esperimento dei procedimenti di legittimit� � stata l'interpretazione della Corte relativamente alla constatazione che nell'ordinanza di proposizione della questione di legittimit� il giudice a quo deve fare, a norma dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, circa la non manifesta infondatezza della questione e circa la rilevanza di questa ai fini della decisione della causa principale. La Corte ha ritenuto: a) per quanto si riferisce alla non manifesta infondatezza della questione, che sia bastevole la menzione nell'ordinanza del dubbio che ha in proposito il giudice a quo; b) per quanto attiene al requisito della rilevanza della questione stessa ai fini della� risoluzi.~me_ della causa principale, che il giudizio sulla rilevanza � di competenza del giudice a quo, e che il controllo della Corte � in materia limitato soltanto all'accertamento che tale giudizio sia stato compiuto e sia sufficientemente motivato. -109 - N� la Corte ha ritenuto di sindacare, rispetto �alla causa principale, la competenza del giudice che ha emesso l'ordinanza di proposizione della questione di legittimit�, purch� tale ordinanza provenga da un'autorit� giurisdizionale. Ril<:vando che il giudizio di legittimit� costitu zionale si svolge non nell'interesse privato ma pub blico, e che ha perci� caratteristiche proprie che lo differenziano da qualsiasi altro procedimento, la Corte ha stabilito che il processo di costituzionalit� non � suscettibile di essere influenzato dalle vicende del processo principale dal quale ha ricevuto im pulso: non trovano perci� applicazione nel processo costituzionale le norme sulla sospensione, interru zione ed estinzione del processo ordinario (sent. n. 50 del 1957) . .Avuto una volta ingresso con l'ordinanza di rinvio, il giudizio di costituzionalit� diventa autonomo, assolutamente indipendente dal giudizio principale che lo ha occasionato (sent. n. 57 del 1961). * * * Vengo ora a parlare del contenuto sostanziale della giurisprudenza della Corte, che si esplica nella interpretazione sia delle leggi ordinarie impugnate che delle norme della Costituzione addotte come violate da tali leggi. Sarebbe oltremodo interessante, se il tempo a disposizione lo consentisse, esaminare anzitutto i criteri di interpretazione adottati. In proposito basti dire che la Corte non ha seguito criteri rigidi, ma ha fatto ricorso, secondo la parti colarit� dei casi ed il carattere speciale delle norme e degli istituti sottoposti al suo esame, ai vari me todi e criteri di interpretazione. Ricorder� soltanto, per il rilievo che ha avuto in tante sentenze, quello evolutivo, del quale la Corte si � avvalsa fin dalla prime sentenze (nn. 3 e 8 del 1956), affermando che cc non pu� non tenere il debito conto di una costante interpretazione giurisprudenziale che conferisce al precetto legislativo il suo effettivo valore nella vita giuridica, se � vero, come � vero, che le norme sono non quali appaiono proposte in astratto, ma quali sono applicate nella quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci �, ed interpretando cos� la norma in esame cc non nel sistema in cui essa storicamente ebbe nascimento, bens� nell'attuale sistema nel quale vive�. E ricorder� altres� il metodo logico-sistematico, per il quale basta citare la sentenza n. 121 del 1957, nella quale la Corte ha fatto esplicitamente richiamo al principio << che le norme della Costituzione non vanno considerate isolatamente, bens� coordinate fra di loro, onde ricavarne lo spirito al quale la Costituzi�ne si � informata e secondo il quale deve essere interpretata�. Questo metodo logico-sistematico, che natural mente vale per la interpretazione di tutte le norme giuridiche, assume maggior rilievo per le norme della Costituzione, non soltanto per la particolare natura di queste ultime, ma anche per il fatto che la Costituzione, avendo carattere composito, affer ma princip1 che potrebbero apparire divergenti se non addirittura contrastanti (come il principio della solidariet�, sociale rispetto a quello dei diritti individuali), e che la Corte, nella sua interpretazione, deve coordinare ed armonizzare nel quadro unitario dell'ordinamento costituzionale. Credo opportuno indicare, rispetto aU'interpre-�. tazione delle leggi ordinarie, un altro principio affermato dalla Corte. ,Quando la disposizione di legge impugnata d� adito a varie interpretazioni, taluna in senso non contrastante e taluna in senso contrastante con la norma costituzionale addotta come violata, la Corte si � ispirata al criterio che debba prevalere l'interpretazione conforme alla Costituzione (sentenze nn. 3, 8 del 1956; 26 del 1961). * * * Non m1 e possibile, in questa sede, per ovvie ragioni di tempo, dare neanche la semplice indicazione delle leggi ed atti aventi forza di legge impugnati, attinenti alle materie pi� disparate, su cui la Corte ha portato il suo esame, n� tanto meno mi � possibile accennare al contenuto di alcuna pronuncia. Credo invece che non posso omettere di fare menzione, sia pur sommaria, della giurisprudenza della Corte in ordine alle norme costituzionali che nei vari e numerosi giudizi sono state assunte come violate, e sulle quali perci� la Corte ha dovuto egualmente portare il suo esame . .Al quale proposito � opportuno notare che l'interpretazione delle norme costituzionali � pi� delicata ed impegnativa di quella delle leggi ordinarie, sia per la interdipendenza e la complessit�, cui ho dianzi accennato, delle disposizioni della Costituzione, sia per il carattere naturalmente pi� ampio e generico proprio di tanti articoli di essa, e sia ancora, e maggiormente, per gli effetti e le ripercussioni che l'interpretazione delle norme della Carta fondamentale determina non soltanto nei casi di dichiarazione di illegittimit� costituzionale delle norme ordinarie impugnate che cessano di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, ma anche, data l'autorit� morale di tali pronunce, nei casi nei quali le questioni sottoposte al giudizio della Corte vengono dichiarate infondate. Ci� non toglie in questa seconda ipotesi, dato che le sentenze della Corte non hanno, come nella prima, carattere di definitivit� ed irrevocabilit�, che le questioni con esse decise possano nuovamente venire sottoposte all'esame della Corte stessa (sent. n. 21 del 1959). * * * Mi limiter� ad accennare, sia pur in modo inadeguato ed inevitabilmente lacunoso, ad alcuni principi affermati dalla Corte che, per la loro vasta portata, possono considerarsi pi� caratteris:t.icj e fondamentali. Va anzitutto considerato il sistema di quei diritti dell'uomo, che provengono dalle Dichiarazionia mericana e francese, ma che assumono una portata pi� ampia nelle Costituzioni attuali, e specie in quella italiana, -110 Nella Costituzione italiana, infatti, vi ha non soltanto l'innovazione, comune alle altre costituzioni, dell'estensione dei diritti dal tradizionale campo strettamente giuridico a quello economicosociale, ma una innovazione maggiore, in quanto la Costituzione considera l'uomo, siccome dice l'art. 2, �sia come singolo, sia nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalit� �,, ed in quanto, dopo la proclamazione dei diritti, afferma, altres�, l'esigenza dell'� adempimento dei doveri inderogabili di solidariet� politica, economica e sociale �. Gi�, nella sua prima sentenza la Corte affront� il problema della coesistenza e del contemperamento dei diritti e dei doveri, affermando che la disciplina dell'esercizio di un diritto non importa di per s� violazione o negazione di esso, e che, � se pure si pensasse che dalla disciplina dell'esercizio pu� derivare indirettamente un certo limite del diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto di limite � insito nel concetto di diritto e che nello ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessit� limitarsi reciprocamente, perch� possano coesistere nell'ordinata coesistenza civile�. Ribadendo in altre sentenze questo principio generale, la Corte ha altresi affermato che l'intervento del legislatore nel dettare una tale disciplina dell'esercizio dei diritti deve ritenersi ammissibile non soltanto quando la stessa Costituzione faccia in proposito un espresso rinvio alla legge ordinaria (come negli artt. 14, 16, 21, 39, ecc.), ma anche in mancanza di un tale espresso rinvio. La Corte, d'altra parte, ha nel contempo affermato: 1) che tale intervento del legislatore incontra anzitutto un confine insuperabile nella necessit� che il diritto di cui si regola l'esercizio cc non ne rimanga snaturato attraverso una compressione o una riduzione del proprio ambito�; 2) e che, in ogni caso, quando per tale disciplina il legislatore conferisca dei poteri ad altra autorit�, occorre che tali poteri siano adeguatamente specificati e delimitati in modo da evitare che il loro esercizio possa degenerare in arbitrio (vedi, per tutte, le sentenze n. 36 del 1958 e n. 1 del 1960). * * * Per i riflessi di ordine generale sulla delimitazione della sfera dei diritti df libert� in funzione dei poteri attribuiti all'autorit�, degna di particolare rilievo � la sentenza n. 19 dell'8 marzo 1962, con la quale la Corte ha ritenuto che � l'esigenza dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non � affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, n� � incompatibile con essi �. Con la detta sentenza, in particolare, la Corte ha altres� ritenuto che �al regime democratico e legalitario consacrato nella Costituzione vigente, e basato� sull'appartenenza della sovranit� al popolo (art. 1), sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero della legge (artt. 54, 76, 79, 97, 98, 101, ecc.), � connaturale un sist�ma giuridico in cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non possono essere realizzati se non con gli strumenti e attraverso i pro�ediinenti � pr�Visti dalle leggi, e non � dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o addirittura di violenza �. * * * Fondamentale importanza ha assunto, nella giurisprudenza della Corte, l'interpretazione dell'art. 3, riguardante il principio di uguaglianza. Questo principio non pu� essere inteso in senso cc meccanicamente livellatore �. Non � infatti << concepibile -ha affermato la Corte -che il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, debba intendersi nel senso che il legislatore non possa dettare norme diverse, per regolare situazioni che esso considera diverse, adeguando cosi la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita sociale anche al fine di conseguire i risultati additati dal secondo comma dello stesso art. 3 � (sent. n. 28 del 1957). D'altra parte, da questa stessa interpretazione consegue che non � neppure ammissibile che a situazioni diverse sia imposta una identica disciplina legislativa. � <e Senza dubbio -ha detto la Corte nella sentenza n. 53 del 1958 -la valut.azione delle diverse situazioni � riservata al potere discrezionale del legislatore. Non contraddice per� a questa affermazione, n� si compiono valutazioni di natura politica se si dichiara che il principio di eguaglianza � violato quando vengano assoggettate ad una indiscriminata disciplina situazioni che lo stesso legislatore considera diverse� (sent. n. 53 del 1958). A questi principi generali discendenti dalla e< disposizione fondamentale � dell'art. 3, la Corte si � costantemente orientata nell'interpretare molte disposizioni di altri articoli della Costituzione e degli statuti delle Regioni (sentenze nn. 53, 56 del 1958; 5, 12, 15, 33 del 1960; 42, 64 del 1961; 5, 7, 8, 29, 48, 65 del 1962). * * * Lo stesso � a dirsi per i principi generali affermati nelle successive cc disposizioni fondamentali �. Riguardo all'art. 4, ai sensi del quale cc la Republica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto �, la Corte ha detto, nella sentenza n. 3 del 1957, che cc trattasi di un'affermazione sul piano costituzionale della importanza sociale del lavoro, che costituisce un invito al legislatore a che sia favorito il massimo impiego delle attivit� libere nei-rapposti economici �; e nella sentenza n. 53 dello stesso anno ha affermato che cc � appunto nell'ambito di questa generale direttiva (art. 4) � che deve mantenersi il legislatore. 111 * * * .Al lume dei principi affermati nell'altra � disposizione fondamentale � dell'art. 5 sono state emanate numerose sentenze, specie, siccome dir� appresso, per la decisione delle controversie riguardanti l'ordinamento regionale . .Al principio affermato dal successivo art. 6 circa la tutela delle minoranze linguistiche si ricollegano le pronunce con le quali sono state decise questioni relative all'uso della lingua nelle Regioni mistilingui Alto-Adige e Valle d'Aosta (sent. nn. 32 del 1960 e 116 del 1961). * * * Del sistema degli artt. 7 e 8 la Corte ha precisato i lineamenti nella sentenza n. 125 del 1957: << Negli artt. 7 e 8 -ha affermato la Corte il Costituente ha dettato, rispettivamente per la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, norme esplicite, le quali non ne stabiliscono la ~<parit� �, ma ne differenziano invece la situazione giuridica, che �, si, di eguale libert� (come dice l'art. 8, primo comma), ma non di identit� di regolamento dei rapporti con lo Stato. Infatti, mentre l'art. 7, primo comma, dichiara che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ognuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani�, -l'art. 8, secondo comma, detta che � le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con lo �rdinamento giuridico italiano �. * * * � opportuno infine notare che la Corte ha avuto l'occasione di occuparsi del principio sancito nello .art. 10, per cui l'ordinamento giuridico italiano si -conforma alle norme del diritto internazionale .generalmente riconosciute. A questo proposito mi sia concesso rilevare che nel nuovo clima di cooperazione mondiale, che � stato rafforzato anche dagli eventi del Concilio ecumenico, i principi di libert� e di democrazia costituiscono ormai un linguaggio comune, talch�, anche se diverse sono le vie che conducono alla loro realizzazione e quindi varie le procedure e le modalit� della loro garanzia, quella favella comune avvicina ed affratella gli individui e i popoli e quindi coloro che, come noi, sono chiamati ad interpretarne gli ordinamenti; dico, come noi, Giudici delle Corti costituzionali. Sotto questo .aspetto particolarmente proficui, ritengo, sono stati i contatti che la Corte italiana ha avuto con quella della Germania federale, specie nelle riunioni di stu �dio tenute a Roma e a Karlsruhe e con le Corti degli altri Paesi. Oggi mi � pertanto gradito rivolgere un parti- colare saluto alla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che per prima afferm� il principio del controllo di legittimit� costituzionale delle leggi, e che compie ora 172 anni di vita. Ed un caro saluto 3 rivolgo ai colleghi della Corte della Germania di Bonn, nata quasi contemporaneamente alla nostra, ed a quelli del lontano Giappone, delle Filippine, con i quali si sono avuti rapporti diretti; ed alle Corti di tutti i Paesi che, si pu� ben dire, costituiscono supreme assise del diritto, fondamento degli Stati e presto, speriamo, anche della Comunit� internazionale. * * * Dopo questi brevi cenni sulle suindicate << disposizioni fondamentali � della Costituzione, vengo a parlare della giurisprudenza della Corte su alcuni dei tradizionali diritti di libert� contemplati nel titolo 1� della parte prima, riguardante i << rapporti civili�. Rispetto al diritto di libert� personale, di cui all'art. 13, la Corte ha affermato che la disposizione di tale articolo non va intesa << quale garanzia di indiscriminata libert� di condotta del cittadino � o quale << illimitato potere di disposizione della propria personalit� fisica, bensi come diritto a che l'opposto potere di coazione personale, di cui lo Stato � titolare, non sia esercitato se non in determinate circostanze e col rispetto di talune forme �. Si tratta del riconoscimento dei tradizio� nali diritti di habeas corpus. << La libert� personale si presenta pertanto come diritto soggettivo perfetto nella misura in cui la Costituzione impedisce alle autorit� pubbliche l'esercizio della potest� coercitiva personale� (sentenze nn. 2 e 11 del 1956). La Corte ha d'altra parte escluso che, in base all'art. 13, il cittadino possa pretendere di essere esente dagli obblighi imposti dalla solidariet� sociale, come, ad esempio, quelli segnati dell'art. 652 prima parte, del Codice penale (sent. n. 49del1959). Riguardo all'art. 16, che afferma la libert� di circolazione sul territorio nazionale salvo le limitazioni che la legge stabilisce << per motivi di sanit� e di sicurezza �, la Corte, mentre ha recisamente esclusa qualsiasi restrizione determinata da ragioni politiche, ha precisato che ai << motivi di sanit� e di sicurezza � possono ricondursi anche i motivi di<< ordine, sicurezza pubblica e pubblica moralit��. La Corte ha respinto la tesi che il termine << sicurezza � riguardi solo l'incolumit� fisica, affermando che <<sembra razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola <<sicurezza� il signicato di << situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto � possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di libert� che la Costituzione garantisce con tanta forza �. Quanto alla << moralit� �, la Corte ha escluso che si possa tenere conto delle convinzioni intime del cittadino di per se stesse incoercibili, nonch� delle teorie in materia di moralit�. Ha per�, d'altra parte, nettamente affermato che<< i cittadini.hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifesta-zioni immorali, quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanit� o creino situazioni ambientali favorevoli allo sviluppo della � delinquenza comune � (sent. n. 2 del 1956 e, da ultimo, sent. n. 126 del 1962). -112 Riguardo alla libert� di riunione, di cui allo art. 17, la Corte ha, tra l'altro, affermato che le norme di tale articolo valgono per ogni speQie di riunione (comprese quelle di carattere religioso), osservando che esse norme si ispirano � a cos� elevate e fondamentali esigenze della vita sociale da assumere necessariamente una portata ed efficacia generalissime, tali da non consentire la possibilit� di regimi speciali� (sent. n. 45 del 1957). Circa il diritto di associazione, di cui all'art. 18, la Corte ha ritenuto che esso debba essere garantito non soltanto nell'aspetto positivo, ma anche in quello negativo, cio� nella libert� di non associarsi. � da rilevare che nell'interpretare in questo senso l'art. 18, la Corte ha fatto ricorso, come gi� in una delle prime sentenze (la n. 4 del 1956, relativa all'istituto del � maso chiuso � proprio della provincia di Bolzano), al criterio storico, affermando che il precetto dell'art. 18 deve essere interpretato �nel contesto storico che lo ha visto nascere, e che porta a considerare quella libert� non soltanto sotto l'aspetto che � stato definito positivo, ma anche sotto l'altro, negativo, che si risolve nella libert� di non associarsi � (sent. n. 69 del 1962). * * * Numerose sono le sentenze della Corte sulla libert� di manifestazione del pensiero di cui allo art. 21. Ne richiamo solo alcune: la prima (la n. 1 del 1956), nella quale si respinge la tesi che la Costituzione importi una distinzione tra � manifestazione ii e � divulgazione � del pensiero, e si afferma il principio per cui la stampa non pu� essere assoggettata ad autorizzazione, escludendo tuttavia che � con la enunciazione del diritto di libera manifestazione del pensiero la Costituzione abbia consentito attivit� le quali turbino la tranquillit� pubblica, ovvero abbia sottratta alla polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei reati; le sentenze nn. 31 e 115 del 1957, nelle quali, in base ai principi gi� enunciati nella suddetta sentenza, si afferma che deve distinguersi in materia di stampa tra <e autorizzazione � non ammessa e semplice <e registrazione i> che � invece ammissibile; la sentenza n. 33 del 1957, che tale distinzione applica nei confronti dell'art. 121 del testo unico leggi di P. S., relativo ai vari mestieri girovaghi, tra cui quello di venditore e di~tributore di scritti, disegni o stampati; la sentenza n. 121 del 1957 in materia di spettacoli teatrali e cinematografici, dove si precisa la distinzione tra il controllo sul contenuto delle opere da rappresentare, che non � ammesso, e quello che pu� chiamarsi � polizia dello spettacolo i> che � ammesso; la sentenza n. 44 del 1960, nella quale si esclude che sotto il termine cc censura i> (vietata per la stampa dall'art. 21) possa comprendersi il controllo che il direttore del giornale � tenuto a compiere sotto la sua responsabilit� su quanto nel giornale stesso si pubblica; la sentenza n. 38 del 1961 nella quale si precisa che per <e stampa ii deve intendersi, ai sensi dello art. 21, la manifestazione del pensiero a mezzo della stampa e su stampati, e non anche .Pattivit� materiale che ne permette la riproduzione. .Alle sentenze riguardanti la libera manifesta , zione del pensiero possono ricollegarsi quelle sulla h'bert� di insegnamento e sulla scuola in genere, di cui agli artt. 33 e 34. ** * Degne di particolare rilievo, anche per le immediate ripercussioni di ordine economico, sono le numerose decisioni riguardanti il principio, che storicamente diede luogo all'avvento della rappresentanza politica e che � ora enunciato nell'art. 23, per cui nessuna prestazione personale o patrimoniale pu� essere imposta se non in base alla legge. La Corte ha precisato anzitutto che il !termine cc prestazione patrimoniale� assume un'ampia significazione � comprensiva di ogni prestazione imposta senza che la volont� dell'obbligato vi abbia concorso, e quale che ne sia la denominazione (corrispettivo, sconto obbligatorio, ecc.) (sentenze nn. 4t 30, 47, 122 del 1957, ecc.); col che si � riconosciuta la maggiore ampiezza della garanzia posta dallo art. 23. Per altro, il principio della riserva legislativa affermato in questo articolo non va inteso nel senso che la istituzione del tributo debba avvenire �per legge�, �cio� che tutti i presupposti e gli elementi della prestazione ricavino dalla legge la loro determinazione �, ma va inteso nel senso che avvenga, cc in base alla legge �, di talch� � consentito cc che sia rinviata a provvedimenti amministrativi la determinazione degli elementi o presupposti della prestazione n. Resta per� ben fermo, anche in questi casi, il principio generale che il legislatore deve, al fine della effettiva garanzia della libert� e propriet� individuale, fissare i criteri idonei a limitare la discrezionalit� delle autorit�, s� da evitare ogni eventuale loro arbitrio nella determinazione della prestazione (si vedano, per tutte, la sent. n. 47 del 1957 e la n. 48 del 1961). * * * Circa il diritto di agire e di difendersi in giudizio~ di cui all'art. 24, la Corte ha affermato che tale� diritto, che � riconosciuto per tutti, non pu� essere negato, n� il suo esercizio pu� avere limitazioni per i cittadini meno abbienti. Ed in conseguenza ha dichiarato illegittimo l'antico principio del solve et repete (sent. n. 21 del 1961). La Corte ha poi affermato che il diritto di difesa spetta al cittadino non solo per i procedimenti giudiziari, ma anche per quelli amministrativi e,. che requisito imprescindibile di tale ..diritto �, tra gli altri, il �contraddittorio� (sentenze n.-2 -del 1956 e n. 59 del 1959). Circa le norme degli artt. 25 e 27 riguardanti l'ordinamento giuridico penale, hanno trovato in_ varie sentenze naturale precisazione i princip� -113 fondamentali del giudice naturale precostituito per legge, della legalit� della pena, e della tassativit� in genere della legge penale, della personalit�, della responsabilit� penale, dell'irretroattivit� della legge; principio quest'ultimo che, secondo la Corte, la Costituzione ha accolto soltanto per le leggi penali (sentenze n. 118 del 1957, n. 29 del 1958, n. 27 del 1961, nn. 15, 29, 88 del 1962). Circa il principio della responsabilit� civile dello Stato, di cui all'art. 28, va richiamata la sentenza n. 1 del 1962, nella quale la Corte ha ritenuto che tale responsabilit� dello Stato sussiste anche verso i suoi dipendenti; osservando che, � per quanto ampia possa essere, in ipotesi, la sfera nella quale il legislatore pu� regolare i rapporti tra lo Stato e i suoi dipendenti anche agli effetti della responsabilit� verso di essi, non � lecito disconoscere che nrebbe in contrasto con il precetto fondamentale contenuto nell'art. 28 della Costituzione una legge che adottasse una disciplina tale da escludere in tutto, pi� o meno manifestamente, la responsabilit� �. * * * Rispetto alla materia del lavoro e della tutela dei lavoratori specialmente contemplata negli artt. 35, 36, 37 e 38 della Costituzione, la Corte si � sempre orientata nelle sue decisioni ai principi fondamentali dell'art. 1, che pone il lavoro a fondamento della Repubbli�a democratica, dell'art. 3, che dichiara essere compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libert� e l'eguaglianza dei cittadini, e dell'art. 4 che, dopo aver affermato il diritto ed il dovere del lavoro, proclama che la Repubblica �promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto �. Al lume di questi principi genemli sono state interpretate le disposizioni specifiche dei suaccennati artt. 35-38 per la soluzione delle questioni concernenti le condizioni e la tutela del lavoro, la retribuzione ed il minimo di trattamento economico dei lavoratori, la loro formazione professionale, le garanzie per la donna lavoratrice, l'occupazione dei mutilati ed invalidi di guerra e del lavoro, il riposo settimanale, le ferie annuali retribuite, l'assistenza e previdenza sociale, ecc. (sentenze nn. 52, del 1957; 7, 30, 32, 66, 78 del 1958; 30, 38, 70 del 1960; 55 del 1961; 41, 76 del 1962). * * * Particolarmente delicata si � presentata la soluzione delle controversie riguardanti la effettiva portata degli artt. 39 e 40; e ci� principalmente a causa della non ancora avvenuta emanazione delle leggi sull'esercizio dei diritti contemplati in questi articoli. Quanto all'art. 39, che attribuisce ai sindacati liberamente costituiti e registrati, la potest� di stipulare contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, la Corte ha affermato, in una recente sentenza (n. 106 del 1962), che �una legge la quale cercasse di conse guire questo medesimo risultato in maniera diversa da quella stabilita dal � precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittimaJ>~ Considerando tuttavia che non � stata ancora emanata la legge necessaria per i�egolare le forme ed il procedimento previsti dall'art. 39, la Corte ha ritenuto che la legge impugnata del 14 luglio 1959, n. 7 41, contenente delega al Governo di emanare norme giuridiche con l'obbligo di uniformarsi alle clausole dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali prima dell'entrata in vigore della legge stessa, potesse considerarsi di natura �transitoria, provvisoria ed eccezionale �, e come tale non diretta ad attuare il sistema previsto dall'art. 39 della Costituzione, e perci� con esso non contrastante. D'altra parte, secondo questo stesso criterio, la Corte ha ritenuto viziata da illegittimit� costituzionale la legge successiva 1� ottobre 1960, n. 1027, per la ragione che essa legge conteneva una reiterazione della delega disposta con la suddetta legge n. 741 del 1959, e che pertanto, a differenza di questa, non le si potevano riconoscere i suaccennati caratteri di transitoriet� ed eccezionalit�. * * ::~ Pronunciandosi sul disposto dell'art. 40, per cui <<il diritto di sciopero � esercitato nell'ambito delle leggi che lo regolano �, la Corte ha affermato, nella recente sentenza n. 123 del 1962, che lo sciopero � legittimo allorch� � rivolto a conseguire fini di carattere economico; ha tuttavia chiarito che la tutela concessa ai rapporti economici non rimane circoscritta alle sole rivendicazioni di indole salariale, ma che si estende a tutte quelle riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori. Il diritto di sciopero non pu� essere disconosciuto nei confronti dei dipendenti di imprese di gestione di servizi pubblici (come quelli svolti dai dipendenti di una azienda tramviaria automobilistica municipale) che non sono attinenti alla soddisfazione di esigenze assolutamente essenziali alla vita della collettivit� nazionale. Nell'individuare, in mancanza della suddetta regolamentazione legislativa prevista dall'art. 40, i limiti in cui l'esercizio del diritto di sciopero pu� ritenersi consentito, la Corte ha ritenuto che si possono fare valere solo quelle limitazioni che si desumono in modo necessario o dal concetto stesso dello sciopero oppure dalla necessit� di contemperare le esigenze dell'autotutela di categoria con �e altre discendenti da interessi generali, i quali trovano ugualmente diretta protezione in altri principi consacrati nella Costituzione. � pertanto da considerarsi legittimo lo sciopero di solidariet� allorch� la sospensione del lavoro venga effettuata in appoggio a rivendicazioni di carattere economico cui si rivolga uno sciop�ro gi� in via di svolgimento ad opera di lavoratori appar-tenenti alla stessa categoria dei primi scioperanti, e sia accertata l'affinit� delle esigenze che motivano l'agitazione degli uni e degli altri; ma non pu� invece comprendersi nell'ambito del diritto riconosciuto dall'art. 40 lo sciopero di carattere politico. -114 Ribadendo i principi generali enunciati in questa sentenza n. 123, la Corte ha precisato nella successiva sentenza (n. 124 del 1962) sullo sciopero dei marittimi, che il diritto di sciopero, in via di massima ad essi non disconoscibile, incontra un limite invalicabile segnato dalla necessit� di evitare il pericolo di danni a beni e sopratutto a persone, ed ha aggiunto che un pericolo di tal genere � inerente << ad ogni sospensione o irregolarit� della prestazione del lavoro da parte dell'equipaggio di una nave, dopo l'inizio del viaggio e durante l'intero periodo della navigazione, fino al compimento del medesimo n. * * * Riguardo agli artt. 41 e 42, che riconoscono diritti economici (iniziativa economica e propriet� privata), sottoponendoli nel contempo, per fini di utilit� sociale, a vincoli e limiti da stabilirsi con legge, ed in riguardo all'art. 43, in base al quale ugualmente ai fini di utilit� generale, la legge pu� riservare originariamente o trasferire allo Stato o ad enti pubblici o a comunit� di lavoratori o di utenti determinate imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio, la Corte ha precisato, in numerose sentenze, la portata delle norme di tali articoli, considerandole nel loro sistema unitario, in un quadro di insieme. Molte di queste sentenze meriterebbero di essere richiamate; ma, non essendomi qui possibile farlo, ne indicher� solo qualcuna particolarmente interessante in ordine alla disciplina dell'esercizio dei poteri in materia attribuito al legislatore. Mi riferisco principalmente alla precisazione di quel principio della riserva di legge, che, come ho gi� detto, � elemento essenziale della garanzia della libert� in generale, e che i suddetti artt. 41, 42 e 43 riaffermano in ordine ai vari casi in essi contemplati. La Corte ha precisato che per l'adempimento del detto principio non basta che la legge determini i fini di interesse sociale da raggiungere, ma che occorre altres� che essa contenga la specificazione di tali fini, la precisazione dei criteri da seguire per il raggiungimento dei fini stessi, l'indicazione dei mezzi e la determinazione degli organi preposti alla loro attuazione (vedi, tra le tante, la sentenza n. 35 del 1961). � opportuno ricordare che tra i fini di utilit� sociale che giustificano i limitf costituzionali alla libert� di iniziativa economica, la Corte ha compreso l'esigenza dell'assunzione obbligatoria nelle imprese private di mutilati e invalidi di guerra e del lavoro (sent. n. 38 del 1960). * * * Per i riflessi sulla estensione della libert� di iniziativa economica privata, sembra degna di particolare menzione la sentenza n. 129 del 12 dicembre 1957, con la quale la Corte ha affermato che: << tra i fini sociali in funzione dei quali la Costituzione consente di porre con legge ordinaria limiti alla libera iniziativa economica ed alla propriet� privata, preminente � assicurare l'adempimento dell'obbligo tributario e la progressivit� delle imposte, principi consacrarti nell'-a,rt, 53 della Costituzione, alla cui attuazione non � dubbio che la nominativit� dei titoli azionari possa essere ,diretta n. * * * La Corte si � altres� occupata dei concetti di espropriazione e di indennizzo, non accogliendo la tesi che l'indennizzo debba necessariamente com misurarsi al valore venale, ma contemporanea mente affermando che, in ogni caso, <<l'esigenza �i un indennizzo non pu� ritenersi soddisfatta con disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo apparente o puramente simbolico � (sentenze nn. 61 e 118 del 1957; 46 e 47 del 1959; 5 del 1960). Per la precisazione dei caratteri dei fini di utilit� generale e delle situazioni di monopolio di cui all'art. 43, va particolarmente citata, anche per la risonanza che ha avuto, la sentenza n. 59 del 1960 sui servizi della radiotelevisione. .Alla norma dell'art. 44 si riconnettono numerose sentenze emanate dalla Corte in materia di riforma fondiaria. * * * Riguardo ai rapporti politici di cui al titolo 4 della parte prima, la Corte si � pronunziata, tra l'altro, sul principio dell'eguaglianza del voto, sui requisiti stabiliti dalla legge per l'accesso dei cittadini alle .carriere pubbliche, sul diritto dei cittadini chiamati a funzioni pubbliche elettive a conservare il loro posto di lavoro, ecc. (sentenze n. 56 del 1958; n. 6 del 1960 e n. 43 del 1961). * * * Particolare rilievo meritano alcune sentenze che in vario modo si riferiscono all'esercizio della fun zione legislativa. Richiamo la sentenza n. 9 del 1959, nella quale la Corte ha affermato che � costituzionalmente sindacabile il procedimento di formazione delle leggi anche rispetto alla cosiddetta procedura decentrata prevista dall'art. 72, terzo comma. Non sembra dubbio che <<se la procedura cos� detta decentrata fosse applicata per l'approvazione di un disegno di legge rientrante tra quelli elencati nell'ultimo comma dell'art. 72, si avi�ebbe un vizio del procedimento di formazione della legge costitu zionalmente rilevante, perch� consistente in una violazione della stessa Costituzione ii. D'altra parte la Corte ha escluso �che l'art. 72, deferendo al regolamento della Camera di stabi)ire in quali casi e forme un disegno di legge pu� essere assegnato a Commissioni in sede legislativa, abbia posto una norma in bianco con la consegu�nza c!J.e _ le disposizioni inserite a tale riguardo da una Camera nel suo regolamento assumano il valore di norme costituzionali �. Ed in . conseguenza ha ritenuto, che per ci� che riguarda l'interpretazione dell'art. 40 del regolamento della Camera, che -115 cisclude la procedura decentrata per l'approvazione dei progetti in materia tributaria, debba considerarsi decisivo l'apprezzamento della Camera stessa, e che non possa perci� farsi luogo al sindacato di legittimit� costituzionale. Nella stessa sentenza la Corte ha affermato la sindacabilit� del procedimento di formazione della legge anche in riguardo all'osservanza dell'art. 70, per cui, essendo il potere legislativo esercitato dalle due Camere collettivamente, occorre che il testo approvato dall'una concordi con quello approvato dall'altra, ed ha altes� precisato il senso dei termini �votazione finale � e � approvazione definitiva ii adoperati nel primo e nel terzo comma dell'art. 72. La successiva sentenza n. 39 del 1959 contiene, a sua volta, una notevole precisazione circa il significato dell'espressione (( tempo limitato ii, la cui determinazione da parte delle Camere e la cui osservanza da parte del Governo costituiscono una condizione prescritta dall'art. 76 per la legittimit� dell'esercizio del potere legislativo delegato da parte del Governo. La Corte, dopo avere rilevato che ((funzione legislativa ii � quella che, secondo l'art. 70 della Costituzione, � esercitata collettivamente dalle due Camere, ha affermato che (( il tempo limitato ii da prestabilirsi nella legge di delegazione, (( concerne precisamente l'esercizio. di tale funzione, e non comprende invece adempimenti successivi a quell'esercizio, che si � esaurito con l'emanazione del provvedimento legislativo, posto che gli adempimenti stessi competono ad altri organi di natura amministrativa �. ((D'altra parte (ha aggiunto) la pubblicazione nei fogli ufficiali, diretta a rendere note legalmente le disposizioni legislative, � condizione di efficacia, non requisito di validit� della legge, che esiste validamente anche prima della sua pubblicazione �. Naturalmente, s'intende, da ci� non pu� dedursi che i competenti organi dell'Esecutivo possano dilazionare quegli adempimenti successivi all'emanazione del provvedimento legislativo che sono necessari per la sua entrata in vigore. * * * La Corte si � occupata altres� del problema della legittimit� costituzionale dell'interpretazione autentica della legge. Pur in mancanza di una disposizione espressa nella vigente ' Costituzione, ha ritenuto che questa non esclude la possibilit� di legge interpretativa. E riferendosi al problema della interferenza delle leggi interpretative nella sfera del potere giudiziario, ha affermato che <( il fatto della emanazione di una legge interpretativa non rappresenta, di per s� solo, una interferenza nella sfera del potere giudiziario �, aggiungendo per� che, ((comunque, � certo che non pu� essere considerata lesiva della sfera del potere giudiziario una legge interpretativa che rispetti i giudicati e non appaia mossa dall'intento di interferire nei giudizi in corso n (sentenze nn. 118 del 1957 e 9 del 1959). * * * Per il contributo alla determinazione del concetto di libert� ed indipendem~a del giudice, degna di menzione � la sentenza n. 8 del 20 febbraio 1962, con la quale la Corte ha stabilito che gli artt. 101, 102, 104 e 111 della Costituzione garantiscono la libert� e l'indipendenza del giudice nel senso di vincolare la sua attivit� alla legge e solo alla legge, in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza interferenze ed interventi al di fuori di essa, che possano influire sulla formazione del suo libero convincimento; ma, d'altra parte, non escludono la possibilit� che il legislatore emani norme le quali, senza incidere su tale principio, tendano a regolare l'attivit� degli organi giurisdizionali dettando disposizioni vincolanti per il giudice. * ~:: * Uno dei problemi principali che la Corte ha dovuto affrontare in riguardo all'ordinamento giurisdizionale � stato quello della sopravvivenza delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione. La Corte ha ritenuto che dal principio dell'unit� della giurisdizione, affermato dall'art. 102, sarebbe, indubbiamente derivata la cessazione del funzionamento di tali giurisdizioni se altrimenti non fosse stato disposto, e che perci� non alla automatica soppressione di esse doveva addivenirsi, sibbene alla ((loro revisione n ad opera del legislatore ordinario. Questa volont� del Costituente di procedere gradualmente a tale revisione risulta indirettamente dai successivi artt. 103 e 111, nei quali si fa riferimento a giurisdizioni speciali diverse dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, e ancora pi� espressamente dalla VI disposizione transitoria. Circa quest'ultima norma, che stabilisce il termine di cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione per tale opera di revisione, la Corte ha ritenuto che questo termine non ha carattere perentorio. Ha, d'altra parte, precisato che anche presso gli organi di tali giurisdizioni devono essere garantiti sia il diritto di difesa, sia l'idoneit�, l'indipendenza e l'imparzialit� del giudicante, osservando che tale garanzia, prima ancora di essere scritta in disposizioni particolari della Costituzione, come l'art. 108, riposano nel complesso delle norme costituzionali relative alla magistratura e al diritto di difesa (sentenze nn. 12 e 41 del 1957 e �92 del 1962). Quanto alle sezioni specializzate che possono venire istituite presso gli organi giudiziari ordinari in base all'art. 102, secondo comma, la Corte ha ritenuto che l'istituto delle sezioni specializzate va configurato non come un tertium genns fra le giurisdizioni speciali e la giurisdizione ordinaria, bens� come species di questo ultimo. E mentre ha escluso che sia motivo di illegittimit� costituzionale la prevalenza numerica nella composizione di -talune di queste sezioni degli (( esperti ii rispetto ai giudici togati, ha tuttavia ribadito che anche questi esperti debbono avere quei requisiti di idoneit� ed indipendenza ed imparzialit� che,� siccome si � detto, sono necessari per tutti i giudici in genere (sent. n. 108 del 1962). -116 I1a Corte si � anche occupata delle disposizioni della Costituzione riguardanti i Tribunali militari (sentenze nn. 119 del 1957 e 29 del 1958). Con riferimento all'art. 112, la sentenza n. 22 del 1959 ha affermato il principio dell'obbligo dell'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero, escludendo che tale esercizio possa essere rimesso ad una valutazione discrezionale. Il quale principio dell'obbligatoriet� non impedisce, peraltro, che la legge stabilisca in via generale determinate condizioni perch� l'azione penale possa essere promossa e proseguita. * * * Largamente impegnata � stata l'attivit� della Corte nel campo dell'ordinamento regionale. Nel risolvere,le questioni sottoposte al suo esame dallo Stato e dalle singole Regioni finora costituite, Jiia in sede di sindacato di legittimit� costituzionale delle leggi statali o regionali, sia in sede di decisione di conflitti di attribuzione per atti amministrativi ch� lo Stato o le Regioni assumevano rientrare nella. sfera della propria competenza, la Corte ha sempre sentita ed affermata la necessit� di coordinare ed armonizzare i due principi fondamentali dell'unit� ed indivisibilit� dello Stato, da �un lato, e dell'autonomia regionale, dall'altro, che sono stati contemporaneamente posti a base del nuovo ordinamento politico-territoriale dal disposto generale dell'art. 5 della Costituzione e dalle disposizioni specifiche contenute nel titolo 50 della seconda parte di essa, e negli statuti speciali delle Regioni: Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige. A titolo pmamente esemplificativo, richiamer� talune sentenze nelle quali trovano particolari riconoscimenti, a seconda della singolarit� dei casi, l'una o l'altra e3igenza. In riguardo alla prima esigenza va anzitutto notato che la Corte ha fin dalle prime sentenze affermato, ed in seguito costantemente ribadito, che le Regioni, anche a statuto speciale, sono tenute al rispetto di quei principi espressamente enunciati dalla Costituzione od anche impliciti necessariamente discendenti dal principio generalissimo della unit� ed indivisibilit� della Repubblica, che l'art. 5 pone come una delle basi fondamentali del nostro Stato e che perci� costituisce un limite insuperabile per le autonomie regionali. A questa prima esigenza possono ricondursi, per esempio, le pronuncie della Corte nelle quali si afferma: l'unit� della giurisdizione costituzionale (sentenza n. 38 del 1957); l'applicazione alle Regioni delle norme contenute negli artt. 51, 81, 97, 120, ecc. della Costituzione (sentenze nn. 6 del 1956; 105 del 1957; 13, 49 del 1961); l'esclusione di una competenza regionale in materia penale (sent. n. 6 del 1956) e nelle materie regolate dal diritto privato ed in particolare dal codice civile, salvo eccezioni nei rapporti intersubiettivi privati giustificate da situazioni ambientali particolari nelle singole Regioni, circoscritte nel tempo (sent. n. 109 del 1957); l'incompetenza delle Regioni a leg'iferare su materie che non siano loro attribuite da esplicita �disposizione costituzionale (sent. nn. 124 del 1957 e 66 del 1961); l'impossibilit� che si applichino in via analogica istituti che non siano per esse previsti nella Costituzione e negli statuti regionali, quali la decretazione di urgenza e la delegazione legislativa (sentenze nn. 50 del 1959 e 32 del 1961); la necessit� che il puro e semplice rinvio alla �legge � fatto dalla Costituzione venga riferito unicamente alla legge dello Stato (sent. n. 4 del 1956). Quanto invece all'altra esigenza della garanzia costituzionale delle autonomie regionali, indico, sempre a titolo puramente esemplificativo, alcune sentenze nelle quali si afferma: che deve escludersi la facolt� del Governo dello Stato di annullare di propria autorit� gli atti amministrativi del Governo regionale, in base al potere generale di annullamento di atti illegittimi che trova il suo fondamento nella legge comunale e provinciale; e ci� per la ragione che, essendo proponibile rispetto agli atti regionali che invadono la competenza dello Stato il conflitto di attribuzione, � esperibile da parte del Governo dello Stato questo rimedio e non anche quello dell'annullamento d'nfficio (sent. n. 38 del 1959); che non � consentito l'assoggettamento della Regione ad ordini o direttive dell'Amministrazione statale in materie rientranti nella competenza amministrativa della Regione, perch� ci� costituisce violazione non solo della competenza di essa, ma degli stessi principi fondamentali dell'autono. mia (sent. n. 15 del 1957); che violano il principio dell'autonomia regionale le norme delle leggi statali che pongano alla Regione l'obbligo di cc provvedere d'intesa� con lo Stato nell'esercizio di funzioni amministrative demandate alla competenza della sola Regione, nonch� quelle norme che prevedono l'impugnativa. in via amministrativa delle pronunce degli organi di controllo, sugli atti degli enti locali costituiti dalle Regioni (sentenze nn. 22 del 1956 e 73 del 1961). Accanto ai due suindicati gruppi di pronunce, potrebbe configmarsene un terzo, nel quale la competenza dello Stato e quella della Regione in determinate materie sono considerate coesistenti. Cos�, ad esempio, la sentenza n. 43 del 1958, che dichiara spettare alla Regione siciliana la competenza a determinare le tariffe nei trasporti in concessione regionali in Sicilia, nonch� ad autorizzare mutamenti successivi di esse, e che nel contempo afferma competere agli organi dello Stato il potere di coordinamento generale dei prezzi; la sentenza n. 40 del 1961, nella quale si afferma che il diritto allo scioglimento dei consigli dei comuni e degli enti locali spetta alla Regione siciliana, quando la causa del provvedimento sia la persistente violazione della legge, e cli.e -spetta invece allo Stato quando la causa risieda nell� tutela dell'ordine pubblic), ecc., Degno di menzione � il principio enunciato dalla Corte che la legge dello Stato � operativa in tutto il territorio della Repubblica anche per le materie -117 di competenza esclusiva o primaria delle Regioni, * * * ma che non ha efficacia o cessa di averla qualora nelle dette materie sia prima intervenuta o interPer valutare appieno l'efficienza del lavoro della venga dopo la legge regionale valida (sent. n. 7 Corte � bene tenere anche presente come fa1e lavoro del 1958). viene svolto. Credo opportuno sottolineare inoltre che la Corte, Le grandi questioni, che nella giurisprudenza nell'affermare che l'effettivo trasferimento alle -della Corte trovano soluzione, sono dibattute non Regioni di f"ilnzioni statali � condizionato dall'emanazione di norme di attuazione da parte dello Stato, ha posto in luce l'esigenza che si provveda a completare la serie delle << norme di attuazione � degli statuti regionali in modo da consentire alle Regioni di esercitare in concreto la potest� di cui sono titolari nel quadro del sistema della unit� politica dello Stato. * * * Per quanto attiene alla materia di cui alla sez. 1a. del titolo sesto riguardante la Corte costituzionale, � da segnalare, oltre la suindicata sentenza n. 38 d�l 1957, con la quale la Corte afferm� l'unit� della giurisdizione costituzionale, la sentenza n. 13 del 1960, con la quale, dopo avere precisato la materia e la portata della sua funzione di controllo costi-. tuzionale, ha messo in rilievo: � � pertanto da respingere l'opinione che la Corte possa essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati degli organi giurisdizionali n. * * * Hanno formato oggetto del giudizio della Corte anche diverse disposizioni transitorie e finali, come la VI, l'VIII, la IX, la XII, la XV (sentenze nn. 1, 32, 41, 119 del 1957; 40, 45, 58, 74 del 1958; 11, 30 del 1959; 41 del 1960; 22, 42, 49 del 1961; 14, 65, 83, 87 del 1962). * * * Un cenno giova infine fare alla particolarit� di taluni dispositivi delle decisioni della Corte. .Allo scopo di meglio adeguare le pronunce ai casi concreti la Corte ha adottato talvolta varie formule o tipi di dispositivo. Cos�, ad esempio, quando per la dichiarazione di illegittimit� della disposizione impugnata ha adottato la formula �in parte � o � per la parte in cui�, e sopratutto quando ha 'adoperato l'altra formula � illegittima in quanto �, ed ancora pi� quando ha fatto riferimento alla motivazione con la formula � ai sensi e nei limiti della motivazione �. .Altra volta invece, come in una delle primissime sentenze (la n. 3 del 1956), nel dichiarare non fondata la questione di legittimit� sollevata contro una norma (quella contenuta nell'art. 57, n. 1, del Codice penale), la Corte, rendendosi interprete della necessit� di un intervento chiarificatore del legislatore, ha nello stesso dispositivo aggiunto: �salva la revisione del testo dell'art. 57, n. 1, Codice penale, al fine di renderlo anche formalmente pi� adeguato alla norma costituzionale �. nell'atmosfera accesa dei conflitti politici, ma nell'aria serena propria di una Corte di giustizia, dopo ampi approfonditi dibattiti condotti da eminenti avvocati, sia dell'.A.vvocatUl'a dello Stato che del libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto contributo, e dopo approfondite discussioni dei Giudici nella Camera di consiglio. .A. quest'ultimo riguardo va notato che tali di scussioni non si limitano alla sola decisione della controversia, ma si estendono alla motivazione ed alla elaborazione dell'intero testo della sentenza, cosicch� ne risulta di molto pi� oneroso illavoro dei Giudici, con indubbio vantaggio per� per la pon deratezza delle decisioni. Per precisare ancora il modo con cui i Giudici svolgono il proprio lavoro, giova aggiungere che, a differenza del metodo comune alla decisione dei giudizi da parte delle autorit� giurisdizionali, secondo il quale � sempre indicato il nome dell'estensore, la Corte costituzionale ha adottato, con le Norme integrative da essa stessa dettate, un sistema per cui il nome dell'estensore non deve essere indicato. In tal modo il contenuto delle sentenze risulta. il prodotto di una attivit� ispirata all'applicazione integrale del principio della collegialit�, con la. conseguenza che la personalit� dell'estensore viene assorbita e si trasfonde in quella unita1ia del Collegio. Ho creduto doveroso fare questi accenni perch� possano anch'essi servire al futuro storico della. Oorte. III -La necessit� della Corte per la vita ed il progresso dell'ordinamento costituzionale Da questa, sia pur sommaria e necessariamente incompleta esposizione dell'attivit� della Corte costituzionale, mi pare risulti chiaramente che, attraverso le sue pronunce, si � venuta formando una somma di giurisprudenza costituzionale di indubbia vasta portata. L'evidente importanza di questa giurisprudenza trova conferma tra l'altro, nel fatto che in molte ordinanze, con le quali i giudici di merito propon gono alla Corte questioni di legittimit� costitu zionale, si fa riferimento, oltre che alle disposi zioni della Costituzione, anche alle sentenze della. Corte, e trova altres� conferma nell'interesse teo rico e pratico con cui le sue decisioni sono�attese e . quindi esaminate sia dai giuristi che dal grande' - �pubblico. � opportuno, a questo punto, rilevare che, nel suo compito di suprema interprete e garante della Costituzione, la Corte costituzionale continua bens�, in un certo senso, attraverso l'interpretazione, -118 l'opera del Costituente, ma che non diventa per ci� un organo superlegislativo, giacch� anche quando prospetta, come ha fatto in parecchie pronunce a cominciare da quella n. 3 del 1956 poc'anzi citata, l'esigenza obbiettiva di un intervento del legislatore, non ne tocca la sfera di sua esclusiva competenza, siccome � stato riaffermato nella sentenza n. 64 del 1961 ed in quella pi� recente n. 30 del 1962. Con le sue sentenze la Corte costituzionale ha apportato ed apporta un contributo essenziale alla chiarificazione e talora anche all'integrazione stessa dell'ordinamento costituzionale, ma sempre attraverso l'interpretazione della Carta fondamentale. * * * Guardando, nel complesso, l'attivit� svolta dalla Corte in questi primi sette anni formativi della sua vita, che rappresentano, siccome ho detto, un ciclo di importanza storica nell'attuarsi della Costituzione, pu� adunque ben dirsi, senza tema di esagerare, che ormai lordinamento costituzionale italiano vigente non pu� essere integralmente conosciuto ed inteso senza la conoscenza della giurisprudenza della Corte costituzionale. � quindi evidente che la vita ed il regolare funzionamento dell'ordinamento costituzionale non possono scompagnarsi dalla vita e dalla efficienza della Corte costituzionale per la garanzia di quei principi di rispetto della persona umana, di libert�, di democrazia e di giustizia, che stanno a base della Costituzione, e la cui integrale attuazione � indispensabile per l'ordinato vivere dei cittadini ed il pacifico progresso civile e sociale della Nazione. * * * Ohi non ha avuto la possibilit� di essere presente alla pubblica udienza del 22 gennaio scorso nella quale l'illustre Presidente della Corte, on. prof. Gaspare Ambrosini, alla presenza del Capo dello Stato, ebbe a pronunciare un discorso di estremo interesse sull'attivit� di quel supremo consesso nei primi sette anni del suo funzionamento, sar� certamente lieto di poter leggere il discorso stesso riportato nel nostro periodico. Discorso di estremo interesse sopratutto per la sintesi mirabile con la quale l'oratore � riuscito a delineare, in una visione chiarissima, non solo la genesi e le �diverse competenze della Corte, ma anche l'ampiezza del lavoro fin qui compiuto attraverso un riassunto, sia pure per rapidi cenni, di tutta la giurisprudenza della Corte. Arduo compito, invero, che solo chi come il Presidente Ambrosini ha partecipato, fin dall'inizio, quotidianamente, al lavoro dti/,la Corte portandovi il contributo di una somma dottrina e di una profonda esperienza nel campo giuridico ed in quello sociale e politico, ha potuto affrontare ed assolvere con pieno successo. Molto felicemente l'oratore ha voluto ricordare le parole pronunziate il 23 aprile 1956 dal Presidente della Corte De Nicola nel discorso inaugurale: �Noi abbiamo questo dono necessario per l'adempimento dei nostri compiti: la fede, accompagnata da una infrangile fermezza, che non ha nulla da vedere con l'arbitrio. Non avremo bisogno n� di sprone n� di freni per la nostra opera non effimera, ma duratura attravm�so una nuova giurisprudenza, che avr� uno straordinario impulso sulla vita nazionale�. Noi che abbiamo seguito, non da semplici spettatori ma da collaboratori, l'opera della Corte dando vita a quel contraddittorio che la Corte stessa ha sottolineato essere cc il metodo considerato pi� idoneo dal legislatore costituente per ottenere la collaborazivne dei soggetti e degli organi meglio informati e pi?'i sensibili rispetto alle questioni da risolvere ed alle conseguenze della decisione� (sent. n. 13 del 1960} constatiamo, quotidianamente, come essa abbia mantenuto fermamente e puntualmente' l'impegno assunto. Il Presidente Ambrosini ha nel suo discorso anche tenuto giustamente a sottolineare come il lavoro della Corte viene svolto, rilevando che �le grandi questioni~ che nella giurisprudenza della Corte trovano soluzione sono dibattut,e '>ion nell'aJ;mosfera accesa dei confiitti politici, ma nell'aria serena propria di una Corte di giustizia dopo ampi approfonditi dibattiti, condotti da eminenti avvocati sia dell'Avvocatura dello Stato che del libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto contributo, e dopo approfondite discussioni dei Giudici nella Camera di Consiglio �. Siamo vivamente grati al Presidente ed alla Corte dell'alto apprezzamento dimostrato nei riguardi dell'opera, fin qui svolta, dagli Avvocati dell'Avvocatura Generale dello Stato i quali hanno sempre posto, e porranno anche in futuro, il massimo impegno nell'esercizio delle funzioni loro affidate dal legislatore, ben consapevoli che la collaborazione prestata alla Corte nella soluzione di problemi costituzionali di grande importanza per l'incidenza che la soluzione stessa ha sull'ordinato sviluppo della vita del Paese, qualifica ed eleva, su un piano del tutto nuovo e particolare, l'attivit� che essi svolgono nell'intere.~se della collettivit� nazionale. ' ..... -�--��--~-------- NOTE DI DOTTRINA M.ARco JANNI : Riflessi processuali del trasferimento all' E.N.E.L. delle Aziende elettriche (in �Riv. dir. . proc. �, 1963, p. 273. L'A. si propone il quesito se ai rapporti processuali pendenti che la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 trasferisce .all'E.N.E.L., si applichi l'art. 110 o il successivo art. 111 del Codice di rito e perviene alla conclusione che l'ipotesi rientra integralmente nella fattispecie contemplata dall'art. 111 C.p.c. Nella specie, infi:i.tti, secondo l'A., non si verifica una successione a titolo universale dell'Ente sia perch�, almeno nella maggior parte dei casi, il precedente titolare del rapporto non si estingue, sia perch�, comunque, l'estinzione sarebbe successiva al trasferimento, che, invece, nella successione a titolo universale trova e deve trovare la sua causa nell'estinzione del titolare. In definitiva l'A. ravvisa nella. ipotesi legislativa un trasferimento di azienda, che, peraltro, esclude si verifichi a titolo originario e per effetto di un provvedimento espropriativo. La soluzione accolta non ci convince. A nostro avviso essa contrasta non solo con l'insegnamento della giurisprudenza (Cass., 6 luglio 1942, I, 1, 483, con nota adesiva di Di Blasi), la quale � escluso che l'art. 111 0.p.c. si applichi all'ipotesi di vendita forzata immobiliare, cio�, di trasferimento coatto del diritto controverso, quanto con la chiara ed inequivoca volont� del legislatore, che, peraltro, s'inquadra in un ben preciso, recente indirizzo di politica legislativa. N� poteva trascurarsi la considerazione, di per s� assorbente, che l'art. 111 O.p.c. regola l'ipotesi di successione per atto tra vivi a titolo particolare, cio�, di acquisto derivativo negoziale del diritto, non del debito. Pertanto, se si esclude l'ipotesi della successione a titolo universale e, quindi, l'applicazione dell'art. 110 C.p.c. non pu� che darsi atto di una lacuna della legge pr()cessuale, la quale, peraltro non poteva disciplinare ex-professo una fattispecie eccezionale, quale � la nazionalizzazione delle aziende. elettriche, tanto pi� che, com'� stato gi� affermato dalla giurisprudenza. essa non disciplina direttamente neppure l'ipotesi del trasferimento coattivo del diritto controverso. N� pu� dubitarsi della natura espropriativa del provvedimento, che trasferisce le imprese elettriche all'E.N.E.L., e, conseguentemente, della natura originaria, non derivativa dell'acquisto da parte di questo ente. L'art. 43 Cost., che espressamente prevede la possibilit� di trasferire, mediante espropriazione, e salvo indennizzo allo Stato o ad altri enti pubblici determinate imprese o categorie di 4 imprese, esclude ogni dubbio in proposito. Il trasferimento ew lege delle imprese elettriche all'E. N.E.L. � una vera e propria espropriazione, espressamente prevista e come tale disciplinata, sulla base della Costituzione, dalla legge 6 dicembre 1962, n. 1643. Escluso che la fattispecie possa ritenersi dir~t;,. tamente disciplinata dagli artt. 110 e 111 C.p.c'.,. occorre aver riguardo, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. Naturalmente, nella ricerca delle norme da applicare l'interprete deve tener nel massimo conto la volont� del legislatore e deve in primo luogo accertare se la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 abbia inteso trasferire all'E.N.E.L., insieme con le imprese, i debiti ed i crediti ad essa afferenti, estraniando definitivamente dal rapporto l'originario titolare dell'impresa debitore o creditore. In questa indagine l'interprete non pu�, a nostro avviso, trascurare alcune altre, recenti leggi speciali, che hanno previsto e disciplinato il trasferimento di debiti. La legge 4 dicembre 1956, n. 1404 dispone in merito alla soppressione e liquidazione degli enti superflui; la legge 18 marzo 1958, n. 356, al fine di evitare che la pendenza di qualche giudizio ritardasse la chiusura delle operitzioni di liquidazione degli enti soppressi � autorizzato il Ministro per il Tesoro a trasferire, con proprio decreto, i debiti in contestazione da uno ad altro ente. La predetta legge dispone che �l'ente debitore � liberato dell'obbligazione, anche senza adesione del creditore, con effetto dalla data di pubblicazione del decreto �. In questo caso la volont� del legislatore � esplicita: il trasferimento, disposto al fine di chiudere le operazioni di liquidazione dell'ente a quo, ne consente ed impone l'estinzione, con la conseguenza che titolare del rapporto processuale in corso diventa esclusivamente l'ente ad q_uem. Verrebbe meno lo scopo del trasferimento e si tradirebbe la lettera e, sopratutto, lo spirito della legge se si ritenesse che il processo possa proseguire nei confronti dell'ente liberato dall'obbligazione in virt� dell'imminente sua estinzione e che ba, perci�, fornito all'ente ad quem, come prescrive la legge speciale, la provvista occorrente. Altre due recenti leggi regolano fattispecie� analoghe: la legge 14 febbraio 1963, n. 60, che ha isti--tuito la Gestione case per lavoratori (GESCAL), e la legge 15 febbraio 1963, n. 133, che � istituito l'I.S.E.S. (Istituto per lo sviluppo dell'edilizia sociale); le predette leggi dispongono (rispettiva -.l~U mente agli artt. 35 e 2) che il nuovo ente as.sume, �con effetto dalla data di entrata in vigore della legge, la titolarit�. attiva e passiva di tutti i rapporti processuali degli enti soppressi (Gestione INA-Casa, Comitato UNRRA-Casa). Qui la volont�. del legislatore � chiarissima anche perch� � disciplinata direttamente la fattispecie processuale, cio�, la successione nel processo. Alle stesse conseguenze, deve, a nostro avviso, pervenirsi per i debiti. ed i crediti relativi alle imprese trasferite all'E.N.E.L. La legge 6 dicembre 1962, n. 1463 dispone (art. 4, nn. 1 e 9) che il trasferimento ha ad oggetto �il complesso dei beni organizzati per l'esercizio delle attivit� ed i relativi rapp<lrli giuridici � nonch� �con tutti gli obblighi e i diritti, le concessioni ed autorizzazioni amministrative in atto attinenti la produzione, il trasporto, la trasformazione e la distribuzione dell'energia�. � chiaro, quindi, che la legge vuole attuare, con effetto dalla data del provvedimento di trasferimento, che potr�., non dovr�. individuare anche i rapporti trasferiti all'E.N.E.L. (art. 4, n. 10), una successione dell'E.N.E.L. in tutti i diritti e gli obblighi relativi alle imprese elettriche trasferite, con la immediata liberazione dell'originario titolare dell'impresa. Alcuni argomenti di contorno confortano questa tesi: l'indennizzo, ai sensi dell'art. 5, � determinato con riferim�nto alla media dei valori del capitale delle societ�., quale risulta dai prezzi di compenso delle azioni nel periodo 1 gennaio 1959-31 dicembre 1961; dalla data di entrata in vigore della. legge i legali rappresentanti delle societ�. esercenti le imprese soggette a trasferimento sono costituiti custodi delle imprese stesse senza poteri di disposizione (art. 12, primo comma); gli atti -d:Hlisposizione compiuti dopo il 10 dicembre 1961 possono. essere dichiarati nulli su istanza dell'E.N.E.L.t quando abbiano diminuito la consistenza patrimoniale ed economica o l'efficacia produttiva e tecnica dell'impresa (art. 12, secondo comma). Ci� significa, a nostro avviso, che l'originario� titolare dell'impresa, al quale gi�. dalla data di entrata in vigore della legge � negato ogni potere, di disposizione del debito, ne viene definitivamente liberato con effetto dalla data �del provvedimento di trasferimento e non pu� ulteriormente. risponderne anche perch� l'indennizzo � per legge� determinato con riferimento alla posizione debitoria e creditoria dell'impresa alla data del ;n dicembre 1961. Il trasferimento dell'impresa, con i crediti e i debiti relativi, all'E.N.E.L. fa, perci� venir meno, la legittimazione sostanziale e processuale dell'originario titolare dell'impresa e del rapporto processuale, ponendo in essere una fattispecie analoga a quella regolata dagli artt. 110, 299 e 230 C.p.c.~ con la conseguenza che il processo deve essere dichiarato interrotto,. salvo che l'E.N.E.L. si costituisca volontariamente o l'altra parte provveda. a citarlo in riassunzione. G. G. �RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE COSTITUZIONE -Leggi regionali -Assunzioni a pubblici impieghi-Obbligo dell'osservanza art. 51 Costituzione. (Corte Cost.ituzionale, Sentenza, 25 maggio-8 giugno 1963, n. 86 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Branca Presidenza del Consiglio dei Ministri c. Regione Tren� tino Alto Adige. a) Contrasta con gli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione il disegno di legge 6 novembre 1962 della Regione Trentino Alto Adige che limita la partecipazione ai concorsi per sanitario condotto nei comuni delle provincie di Trento e di Bolzano di sanitari che, alla data del bando, figurino iscritti negli albi professionali delle rispettive provincie; b) Il legislatore regionale � regolarmente vincolato all'osservanza dei divieti posti dall'art. 120 della Costituzione, divieti che comprendono anche la ipotesi che ha speciale disciplina nell'art. 51, primo comma della Costituzione. Trascriviamo la ?notivazione in diritto della sentenza: La Presidenza del Consiglio sostiene che la legge regionale, ammettendo ai concorsi indetti per medici, veterinari ed ostetriche solo i professionisti iscritti nell'albo della provincia, entro cui � bandito il concorso, contrasta con gli artt. 3, 51 e 120 della Costituzione. La questione � fondata. La legge impugnata ha l'effetto, per non dire lo scopo, di escludere dai concorsi per i suddetti uffici pubblici i professionisti iscritti in albi diversi da quelli di ciascuna provincia altoatesina; esclude cio�, nella sostanza, coloro i quali risiedono nelle altre provincie .dello Stato. Ci� si concreta in una discriminazione che per un verso, non trova adeguata giustificazione, per l'altro verso rivela una tendenza non scevra di pericoli, a lungo andare, per la stessa unit� e indivisibilit� dello Stato. Non trova giustificazione poich� l'iscrizione nell'albo di una provincia piuttosto che d'un'altra, lungi dall'essere un requisito attitudinale, non ha alcuna particolare attinenza con le funzioni che sono chiamati a svolgere i sanitari nelle provincie del Trentino-Alto Adige, funzioni analoghe a quelle che si svolgono in ogni altra parte del territorio nazionale; n� per assolverle in quella regione � necessaria, a differenza che altrove, una particolare conoscenza dell'ambiente. Tanto e vero che una tale disciplina � assolutamente ignota e contra stante alle leggi vigenti in ogni altra parte dello Stato (il che s'� gi� detto, per un caso analogo e con ampia motivazione, nella sentenza n. 104 del 1957). La legge impugnata, inoltre, riserbando gli impieghi sanitari ai soli residenti, pone una barriera, fra provincia e provincia e rispetto al resto del territorio nazionale, che tutt'al pi� potrebbe essere consentita alla legislazione statale; infatti questo sistema di escludere dagli uffici i non residenti, se si estendesse, finirebbe per minacciare quell'unit� dello Stato che trova il suo riconoscimento, fra l'altro, nell'art. 5 della Costituzione e la sua difesa contro arbitri regionali nell'art. 120 della stessa Costituzione. Il quale ultimo � stato a ragione invocato dalla Presidenza del Consiglio poich� il suo significato va oltre le singole ipotesi che vi sono espressamente contemplate ed abbraccia anche il caso che ha speciale disciplina dello art. 51 primo comma. La Corte, cos� pronunciando, non fa che confermare la propria giurisprudenza. Le sentenze n. 15 del 1960 e n. 68 del 1961 non ne costituiscono una deviazione, ma si spiegano, perch� vi si giudicava, nella prima, d'una legge statale e, in tutte e due, di situazioni assolutamente particolari e contingenti disciplinate con metro particolare e contingente. Il caso deciso nella sentenza che annotiamo � il seguente: Con disegno di legge impropriamente intitolato : Norma transitoria per i concorsi a posto di sanitario condotto, La Regione Trentino-Alto Adige aveva disposto la limitazione della partecipazione di concorsi stessi ai �sanitari che, alla data del bando di concorso, figurano regolarmente iscritti negli albi professionali delle rispettive provincie �. Il Governo aveva rinviato il disegno di legge al Consiglio regionale, ai sensi ed agli effetti dell'art. 49 dello Statuto speciale approvato con legge costituzionale 20 febbraio 1948, n. 5, perch� l'anzidetta limitazione doveva ritenersi in contrasto con gli (J;rticoli 51 e 120 della Costituzione. Il Consiglio regionale riapprovava il diSf!ff'f!-O di legge nell'identico schema che era stato censurato e ._ rinviato dal Governo, anzi riproducendo con carattere permanente la norma precedentemente prevista solo in via transitoria. Da qui il ricorso del Governo, ai sensi dell'art. 49, 2� comma dello stesso statuto speciale, col quale veniva sollevata la questione di legittimit� costitu -122 zionale della anzidetta legge regionale, in relazio1be agli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione, nonch�. allo art. 4 n. 12 dello fltatuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige. ' � � La Corte Costituzionale ha accolto integralmente il ricorso ravivisando nella limitazione introdotta con la proposta di legge una discriminazione ingiustificata sotto il profilo dei c. d. requisiti attitudinali ed escludendo che la legge regionale possa riservare gli impieghi pubblici ai soli ?"esidenti nella Regione, in base al principio f onda�mentale della U?iit� dello Stato sancito nell'art. 5 della Costituzione. Vale la pena di segnalare l'una e l'altra massima, per la loro importanza che tmscende i limiti del caso concreto. * * * In ordine alla prima, rileviamo: La Regione Trentino-Alto Adige ha competenza legislativa primaria in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera� in forza dell'art. 4 n. 12 dello Statuto speciale approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. . Peraltro, la suddetta competenza � limitata dal rispetto della Costituzione, dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e degli interessi nazionali, nonch� delle norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica. Adunque, al pari del legislatore statale, il legislatore regionale � vincolato al rispetto del principio fondamentale della eguaglianza dei cittadini sancito nell'art. 3 della Costituzione e del principio, da esso derivato, circa l'eguale diritto dei cittadini nei riguardi dell'accesso ai pubblici uffici (art. 51, comma 1� della Costituzione); anzi, come si vedr� a proposito della seconda massima, il legisla.tore regionale resta ancora piu specificamente vincolato dall'art. 120 della Costituzione nonch� dalle altre fondamentali norme delle leggi costituzionali che, in sede di approvazione degli statuti delle regioni a statuti speciali, abbfono posto limiti invalicabili per la legislazione regionale anche primaria, com'� per esernpio, del limite del rispetto dei �principi dell'ordinamento giuridico dello Stato� (1) stabilito nall'art. 4, primo comma. dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Pertanto, la validit� di una legge 1�egionale la quale restringa l'accesso ad impieghi o ad uffici locali ai cittadini nati o, come avviene nella specie, residenti nella regione si prestava ad ess�1�e sindacata, cos� come � stata sindacata, alla stregua delle fondamentali disposizioni, sopra richiamate, degli artt. 3, 51 e 120 della Costituzione in relazione all'art. 4 dello Statuto speciale T.A.A. Sotto il profilo del contrasto con i principi sanciti negli artt. 3 e 51 <lella Costituzione, intesi nella loro connessione, � (1) Com'� noto, questi prinmpu m relazione ed ai fini degli artt. 4 e 11 dello Statuto speciale TrentinoAlto Adige sono stati definiti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 6 del 1956. da ricordare, anzitutto, ohe l'orientamento giurisp1 �udenziale della Ecc.ma Corte, affermato sia fo, tema di interpretazione dell'art . .3 considerato da solo che in connessione con l'art.� 51, fJ nel senso che il principio della eguaglianza, come limite alla legge, se importa il divieto di adozione di cause dis- criminatrici di capacit� del tipo di quelle espressamente elencate nel primo comma dell'art. 3 (sesso, razza, lingua, ecc.), consente, peraltro, che in sede di determinazione concreta dei �requisiti � per questo o per quello ufficio, il legislatore possa adottare una disciplina differenziata in base a quelle stesse cause o ad altre non espressamente menzionate nell'art. 3 considerate non piu come condizioni (astratte) �i capacit�, bens� come requisiti attitudinali, dei quali il legislatore dovrebbe dare espressamente conto e che sono, comunque, soggetti, quanto alla differenziazione con essi operata, al controllo della Corte Costituzionale, sotto il profilo della loro sufficienza e giustificatezza e della loro ragionevolezza. Si puo vedere, al riguardo, tutta la giurisprudenza della Corte, ormai costante, in tema di interpretazione del principio di eguaglianza in genere (a partire dalle sentenze 26 gennaio 1957, 14 luglio 1958 n. 53 a venire alle sentenze 15 luglio 1959 n. 46, e cos� via via fino alle sentenze nn. 7 e 8 del 27 febbraio 1962); nonch� in tema eguaglianza nell'accesso ai pubblici uffici (sentenza n. 56 del 3 ottobre 1958; sentenza n. 15 dei 28 marzo 1960; Folie contro Commissario Governo Regione Trentino-Alto Adige; sentenza n. 33 del 18 maggio 1960: Oliva contro Presidenza del Consiglio dei Ministri). Si tratta, quindi, di valutare, caso per caso, se la differenziazione adottata in ragione del sesso, della razza, della lingua ecc. si possa ritenere adeguatamente giustificata come requisito attitudinario rimesso, entro i sopra indicati limiti, alla valutazione del fogislatore o se, invece, si tratti di discriminazioni non giustificate; peggio, poi, se adottate in via generale e senza alcun apprezzabile connessione e riferimento con situa.zioni particolari e locali. Il controllo della ratio e del contenuto di questa disciplina diff m�enziata � non solo ammissibile, ma anche necessario da parte della Corte Costituzionale; proprio a garanzia certa e completa del rispetto del principio della eguaglianza da parte sia del legislatore statale che di quello regionale, giacoh�, altrimenti, sarebbe aperta la via all'eventuale arbit1 �io da parte del legislatore in materia di disciplina differenziata, con manifesta violazione del principio della eguaglianza. E, come � stato esattamente osservato anche in dottrina (2), non dovrebbero esservi preoccupazioni circa il controllo dell'uso della c. d. discrezionalit� legislativa (non ammesso, com'� noto, dalla Corte Costituzionale); giacch� si tratta di controlli di genere e contenuto diversi, dei qiiali quello sulla sussistenza di un giustificato ?notivo di differenziazi?.n~ � non (2) Cfr. PALAijIN: Una questione di egtiaglianza nello accesso a pubblici uffici, in cc Giurisprudenza Costituzionale �, 1960 p. 149. -123 so"lo pienamente ammissibile, 'Ylha altresl doveroso, giitsta quanto si � gi� rilevato (3). La Oorte ha, qu�indi, ammesso questo controllo e lo ha esercitato positivamente, ai fini della dichiarazione di illegittimit� costititzionale del disegno di legge impugnato col ricorso. La soluzione appare, ineccepibile, sotto ogni pro-� filo. Non 'l.''� dubbio che il disegno di legge impugnato attuasse ed, anzi, si proponesse addirittura lo scopo di attua1�e, come esattamente ha detto la Oorte, una disciplina differenziatrice tra i cittadini della Repubblica per quanto attiene alle condizioni di ammissibilit�. ad un particolare impiego od ufficio pubblico quale � quello per i posti di medico, veterinario ed ostetrica condotti nei Comuni delle Pro'l.1incie dell'Alto Adige. Invero, era sufficiente leggere il testo del disegno di legge per convincersi che ai concorsi indetti per i suddetti posti possono partecipare soltanto i sanitari che, alla data del bando di concorso, figurassero regolarmente iscritti negli albi professionali delle �rispettive � pro�vince. Ii che significa, se non andiarno errati, che mentre per tutto il testo del territorio nazionale i concorsi a posti di sanitario condotto sono aperti a tutti i cittadini aventi i normali requisiti per partecipare ai concorsi del genere e residenti in qualunque parte dello stesso territorio, in una parte della Regione T.A.A. (e neanche in tutta la Regione) la partecipazione ai suddetti concorsi veniva limitata ai sanitari iscritti, alla data dei bandi, negli albi professionali delle dite provinc-ie; con l'ulteriore specificazione che, essendo la tenuta degli albi professionali delle professioni sanitarie organizzata su base provinciale (a.rtt. 3, 7 ed 8 del D.L.O.P.S. 13 settembre 1946, n, 233), ai concorsi indetti per la provincia di Bolzano non avrebbm�o potuto partecipare neanche i sanitari iscritti nell'albo professionale della provincict di Trento e viceversa. La memoria difensiva della Regione -non certo il disegno di legge, che non dava alcuna ragione od accenno di ragio�ne di tale disciplina differenziatct -spieg� al riguardo, che si sarebbe inteso assumere et <1 reqitisito attitudinale � per l'accesso ai concorsi di sanitario condotto nelle due provincie lii residenza in ciascuna delle provincie stesse, pe1� quanto indirettamente, cio� attraverso la iscrizione nell'albo professionale. Senonch�, anche se considerata come �requisito attitudinario � la limitazione non poteva sfuggire alla censura d'una� assoluta e manifesta arbitrariet� sotto il profilo della violazione. del principio della eguaglianza -concla.ma.ta. da un com.plesso di M1identi ragioni. Nella memoria della Regione si tent� di integrare le deficienze del provvedimento e di sottrarlo allei censura di arbitrariet� e, comunque, di non giustificata discrim.inazione, asserendosi che la giustifi (3) Appare, al riguardo, del tutto convincente il parallelo con l'orientamento giurisprudenziale della Corte Costituzionale della Germania occidentale la quale, mentre si � rifiutata di sindacare il merito delle leggi, si � sempre ritenuta competente a sindacare l'arbitrio del legiSlatore in materia di eguaglianza. cazione sarebbe stata nella esige?J,za che i sanitari abbiano quella conoscenza dei problemi locali che pu� ad essi venire dal vivere a contatto con. la popo lazione, ed invocandosi, a pi1) riprese;�-U �prCce dente � che sarebbe costituito dalla decisione della Corte Oostititzionale n. 15 del 28 marzo 1960. Mci, l'aiitorit� di questo <1 precedente � � stata dalla Oorte rettamente esclusa nel caso in esame, sia perch� si trattava di specie del tittto particolare e di�Dersa (legge statale che limitava agli <1 oriundi � la frequenza dei corsi di preparazione pm� i concorsi a segretario comunale nei ruoH provinciali di Bol zano), sia perch� nella stessa sentenza n. 15 del 1960 � detto espressamente che la decisione � stata dettata dalle conside1�azioni particolarissime del caso di specie (posti di segretario di piccoli comuni alpe stri in zone di confine) non escludendosi, neanche nella stessa particolare materia, che <1 per altre zone del territorio nazionale e per altri uffici della stessa provincia di Bolzano una norma di questo genere non sarebbe o �potrebbe non essere giustificata ... �; ed � anche detto che, se invece di legge statale si fosse tratta.to di legge r�gionale, la decisione sarebbe stata esattamente opposta, in considerazione dei limiti deri vanti al legislatore regionale dall'art. 120 della Costi tuzione, limiti che la Oorte ha ritenuto invalicabili e che, invece, risultarnno disini1Gltamente tmsgrediti . nel caso in esame. Tornando alla <1 g-iustificazioni � (delle qitali non � traccia nella legge) del trattamento differenziato dei cittadini in ordine all'accesso ai concorsi in questione, era evidente che esse non avessero fondamento. Invero, per i concorsi dei sanitari condotti n� la residenza e anche la nascita in itna determinata localit� del territorio nazionale possono indurre una ragionevole presunzione che i residenti od i nativi esercitino la funzione sanitaria meglio in quella localit� che nelle restanti parti del territorio e, quindi, possono mai concretare �1�equisito attitudinario �. Questo preteso requisito non sarebbe stato in alcuna relazione col fatto della residenza (e, tanto meno, col fatto della nascita.), residenza che, oltre tutto, poteva essere, anche in base al disegno di legge impugnato~ meramente occasionale ed accidentale ed anche di recentisEima acquisizione (in tesi, itn giorno prima dalla data del bando!). Comunque, non vi era, n� poteva essere dimostrata, alcuna seria e ragionevole correlazione tra l'esplica zio1ie delle funzioni proprie del sanitario condotto e la iscrizione agli albi professionali nelle provincie di Trento o di Bolzano o con la residenza dalla iscri zione stessa presuppo8ta: anzi, la comitne esperienza in 1nateria doi1eva insegnare che spesso proprio sanitari gi� esercenti in loco la libera professione possono essere portati a trascurare, sotto t'ari a.spetti, le funzioni dell'ufficio pubblico (condotta) al quale vengano assunti. E poi, non vi era., n� vi poteva essere alcuna ptoi1a che i sanitari iscritti agli albi professionali delle due p1�ovincie conoscessero-i pro blemi e le condizioni locali (quali ~) meglio di quelli - clte avessero, ad es. esercitato per anni la professione localmente e si fossero in seguito trasferiti altrove ! Quindi, il �requisito� doveva, se mai, vertere su altre �attitudini �, non sulla semplice e non meglio definita iscrizione negli albi professionali delle due provincie, non senza rilevare che la limitazione del --124 l'accesso all'ufficio di sanitario con-dotto ai residenti ed iscritti negli albi delle due provincie localizzava e circoscrii1eva agli iscritti a questi albi, con una spMie di rito1�no al passato addirittura..... medievale, la partecipazione ad un concorso che doveva essere, in11ece, aperta a tutti gli iscritti agli albi tenuti da tutti gli Ordini e Oollegi provinciaU d'Italia. La giustificazione della difierenziazione di,veniva., infine, assurda oi1e si fosse considerato che, in base al disegno di legge, il sanitario iscritto all'albo professionale dei medici di Bolzano non poteva neanche concorrere cii posti di medico condotto bandito per la provincia di Trento e viceversa! La soluzione ?iegati�M dcita dalla Oorte a questo aspetto di legislazione regionale �merita, quindi, il piu. ampio consenso. * * * Importantissima �, poi, l' aff ei�mazione di principio ribadita, con la seconda massimci, in tema di limiti alla legislazione regionale in genere, cio� compresa quella a statuto speciale. La Corte Oostituzionale ha riaffm�mato la interpretazione dell'art. 120 della Oostituzione, data gi� con la sentenza n. 15 del 28 marZ-O 1960, nel senso che i limiti in esso contenuti sono assoluti ed inderogabili per il legislatore regionale, mentre � consentito solo al legislatore statale di valutare ed identificare particolari settori di territorio o di popolazione al fine di dettare per essi una disciplina differenziata, nel quadro dell'intensse generale della collettivit� nazionale. Questa i1alutazione -ha ribadito l'attita.le sentenza -non pii� essere fatta, a seni dell'art. 120 dal legislatore regionale, in quanto andrebbe contro �la stessa unit� ed indivisibilit� dello Stato � che la Costituzione, pur prevedendo l'� ordinamento regionale � ha inteso garantire con le fondamentali disposizioni degli artt. 5 e 120. La sentenza ha soggiunto che l'art. 120 ha un significato ed una portata che va oltt�e le singole ipotesi che vi sono espressamente contemplate ec1 abb,raccia anche il caso che ha speciale disciplina nell'art. 51, primo comma della Oostituzione. La riaffermazione del principio � tanto piu importante, in quanto essei segue alla opinione nettamente opposta o manifestata da parte della dottrina, in ordine alla questione stessa, subito dopo la piibblicazione della senttn.za 28 marzo 1960, n. 15 (4). LUCIANO TRAC.ANNA COSTITUZIONE -Nomina dei giudici da parte della suprema magistratura artt. 135 e 137, legge 11 marzo 1953, n. 87, artt. 1 e 2. (Corte Costituzionale, sentenza 27 giugno-3 luglio 1963, n. 111 -Pres.: Ambrosini; Rei.: Cassanrlro. 1) Rimessa ritualmente, mediante il procedi mento incidentale all'uopo previsto, una questione <li legittimit� costituzionale all'esame della Corte, questa non pu� procedere alla indagine sulla com (4) Cfr. PALADIN: Cna qu.est�ione, ecc., p. 152. . petenza del Giudice che ha emesso la ordinanza di rinvio, cos� come non pu� esaminare questioni attinenti alla giurisdizione, n� alla regolarit� della costituzione del rapporto processuale presso questo Giudice. 2) L'art. 2, lettera c) della legg�e 11 marzo 1953, p.. 87 sulla composizione. dello speciale collegio elettorale presso la Corte dei Conti per la elezione del Giudice costituzionale da parte di quella Magistratura, non � in contra8to con l'art. 135 della Costituzione. Per ima completa informazione delle gravi e nuove questioni trattate, riteniamo opportuno trascrivere integralmente la sentenza, nella esposizione di fatto e nella motiMzione cli di1'itto. , RITENUTO IN FATTO 1. Con ricorso notificato il 26 febbraio 1963 e depositato il 28 dello stesso mese, il dott. Pasquale Paone ed altri 37 primi referendari e referendari della Corte dei conti chiesero alle Sezioni riunite che fosse annullato, o quantomeno dichiarato illegittimo e illecito, il decreto 15 febbraio 1963, n. 12, con il quale il Presidente della Corte dei conti aveva convocato il collegio per l'elezione del giudice costituzionale riservata a detta Corte; e che la stessa dichiarazione si dovesse fare, unitamente o disgiuntamente, del comportamento del medesimo Presidente. I ricorrenti desumevano i motivi del ricorso dal fatto che il citato decreto dichiarava che del collegio elettorale dovessero far parte soltanto il presidente, i presidenti di Sezione, il procuratore generale, i consiglieri e i vice procuratori generali (tranne coloro tra essi che fossero in posizione di aspettativa o di fuori ruolo per esercitare funzioni non d'istituto); e ci� in violazione dell'art. 135 della Costituzione che, parlando dei giudici costituzionali da nominarsi dalle �supreme magistrature ordinaria e amministrative n, ha certamente ricompreso tra queste la Corte dei conti e tra i magistrati di questa anche i primi referendari e i referendari. Nello stesso tempo i ricorrenti sollevavano, come necessariamente pregiudiziale, la questione di legittimit� costituzi'Onale dell'art. 2, lettera c, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, determinando la composizione del collegio elettorale nel modo sopraesposto e puntualmente osservato nel decreto del Presidente della Corte dei conti, avrebbe violato il richiamato art. 135 della Costituzione. Le Sezioni riunite hanno preliminarmente affermato che il decreto denunciato ben poteva essere enucleato dal complesso procedimento, che si conclude con la proclamazione del giudice costituzionale, e autonomamente impugnato, in quanto esso comporta il disconoscimento del pret�so �dirittQ_ di Yoto dei primi referendari e referendari, nonch� dell'e;;eruizio di code!ltu diritto. In conseguenza esso opera la violazione di un diritto soggettivo perfetto e fa sorgere un interes:>e attuale al ricorso, interes;;e che permane, permanendo la lesione, nella -125 :t,ma attualit�, anche dopo la conclusione del procedimento. In secondo luogo affermavano che non pu� �ssere messa in dubbio la giurisdizione-com: petenza delle Sezioni riunite a conoscere della controversia, giurisdizione-competenza che risulta dall'art. 65 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, sul �contenzioso d'impiego della Corte dei conti, che assegna a questa la competenza a pronunziare sui rnclami dei propri dipendenti, riguardino essi diritti soggettivi o interessi legittimi. E poich� non potrebbe negarsi che il preteso diritto al voto per lelezione del giudice costituzionale sia un diritto ,soggettivo di ordine funzionale, ricompreso tra gli .attributi che costituiscon� lo status dei magistrati della Corte dei conti, se ne deve trarre la conse _guenza che la controversia � di quelle devolute alla giurisdizione-competenza di detta Corte. Sul merito della questione la Corte, ricordato �Che le parti hanno richiamato a sostegno della loro tesi i lavori parlamentari relativi alla legge n. 87 del 1953, riconosce che questi offrono uno scarso ausilio per l'interpretazione della formula adoperata nella Costituzione � supreme magistrature ordinaria e amministrative n, ma aggiunge che �essi forniscono, tuttavia, <e apprezzabili ragioni di dubbio in ordine alla rispondenza delle norme di legge ordinaria al precetto costituzionale n. In conseguenza ha ritenuto la questione, a suo avviso di evidente rilevanza ai :(�ni del giudizio principale, non manifestamente infondata e~ con ordinanza 25 aprile 1963, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti a questa Corte. L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comuni �cata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, � stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 132 -del 18 maggio 1963. 2. Nel presente giudizio si sono costituiti i dott. Pasquale Paone, Giuseppe Mareddu e Ugo D'Orso, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo Fornario e Massimo Severo Giannini. Nelle deduzioni, depositate il31 maggio 1963, la difesa sostiene la tesi che l'art. 135 della Costituzione, laddove parla di supreme magistrature amministrative, intende fare riferimento a tutti i magistrati che concorrono a costituirlo, non gi� a coloro che rive. stono i gradi gerarchici pi� elevati. La soluzione adottata dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, che si potrebbe definire dei <e supremi magistrati delle .supreme magistrature �, sarebbe una soluzione restrittiva del disposto costituzionale. I primi referendari, i referendari e i sostituti procuratori generali, come risulta dalla legislazione relativa alla Corte dei conti, hanno sempre fatto parte del gruppo che la difesa chiama cc di magistratura �, contrapponendolo a quello � non di magistratura n. Vero � che i vice referendari e gli aiuto referendari facevano un tempo parte del personale di concetto della Corte dei conti, ma � altrettanto vero che la legge 21 marzo 1953, n. 161, soppresse questo gruppo e cre� un unico ruolo di magistratura del quale fanno parte i primi referendari e i referendari, i quali, pertanto, concorrono :a costituire la suprema magistratura amministra tiva di cui parla Fart. 1S5 della Costituzione. Del che sarebbe conferma il fatto che i ricord.ati magistrati della Corte dei conti, come si evince-anche dal sistema, svolgono funzioni � oggettivamente e soggettivamente n proprie dei tre uffici principali della Corte dei conti: di controllo, giurisdizionale edella procura generale, e non diverse, perci�, da quelle dei consiglieri e dei vice procuratori generali, insieme con i quali sono addetti a sezioni giurisdizionali o ad attivit� di controllo. Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'illegittimit� costituzionale dell'art. 2, lettera e, della legge 11 marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135 primo comma, ultima parte, della Costituzione. 3. � intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. La tesi dell'Avvocatura, quale risulta dall'atto di intervento depositato il 30 maggio scorso, si articola su tre punti, due pregiudiziali e uno di merito. I) Il rapporto processuale di merito, il provvedimento di rimessione e, di conseguenza, il rapporto processuale in questa sede sarebbero viziati dal fatto che la Corte dei conti non ha considerato, ai fini dell'ammissibilit� del ricorso e della sussistenza dei presupposti per un valido instaurarsi del giudizio davanti alla Corte costituzionale, la posizione di colui che fu proclamato eletto, �unico controinteressato al ricorso n e comunque legittimato a contraddire anche in ordine alla sollevata questione di costituzionalit�, n� . quella dei magistrati che fanno parte del collegio elettorale, anch'essi senza dubbio controinteressati all'impugnativa del decreto de quo. II) La questione sarebbe inammissibile perch�, riferendosi essa alla validit� della nomina di un giudice costituzionale, rientrerebbe nell'ambito della competenza-prerogativa di questa Corte, esclusiva di ogni altra giurisdizione generale o speciale, e tale da estendersi ad ogni atto del procedimento di nomina, sia questo atto preparatorio, o terminale e conclusivo. Avrebbe qui vigore il principio costituzionale, che si applica ai giudizi sui titoli di ammissione dei componenti delle due Camere (art. 66 della Costituzione), sulla base dell'assoluta autonomia e indipendenza della Corte costituzionale. La quale, nell'esercitare questa sua competenzaprerogativa, potrebbe decidere, secondo l'Avvocatura, ogni questione pregiudiziale circa la costituzionalit� delle norme � che regolano la formazione del titolo �. III) La questione � infondata nel merito, perch� nello stabilire quali siano i requisiti per la nomina dei giudici costituzionali riservafa � alle �supreme magistrature, si deve tener conto della situazione qual'era al momento in cui il Costituente dispose mediante un rinvio recettizio sostanziale a una norma di grado inferiore, non gi� ai sopravvenuti mutamenti che comporterebbero una modifica della norma costituzionale ad opera della legge -126 ordinaria. Deve perci� intendersi per membro o componente della suprema magistratura chi riveste in effetti la qualifica e ne esercita la relativa fun zione �con partecipazione necessaria ed incondi zionata e con le relative garanzie �, non gi� chi aspira alla prima ed esercita la seconda soltanto a titolo semipieno o suppletivo, come avveniva per gli aiuto referendari al momento dell'entrata in vigore della Costituzione e come avviene tuttora per i referendari, che hanno funzioni limitate nel tempo e per il contenuto. L'Avvocatura riprende, infine, un accenno che si legge nell'ordinanza di rinvio circa la particolare �forza ii e natura della legge 11 marzo 1953, n. 87, rimettendosi alla Corte per quanto attiene, nei riguardi di questa legge, ai limiti del controllo di costituzionalit� della Corte stessa. 4. In un'ampia memoria depositata questo 7 di giugno, la difesa dei ricorrenti respinge le eccezioni pregiudiziali dell'Avvocatura. La sua tesi � che occorre distinguere tra questioni relative al diritto elettorale e questioni relative alle operazioni elettorali e che danno luogo a un giudizio di convalida, il quale sarebbe un giudizio amministrativo con. tenzioso, ossia un giudizio non giurisdizionale. Le questioni del primo tipo, quando si tratti, come nel caso, di elezione-nomina, non sono mai di com petenza del giudice della convalida o dell'elettorato passivo. E poich� il ricorso contro il decreto del Presidente della Corte dei conti � un ricorso avente ad oggetto un diritto di elettorato attivo di rile vanza costituzionale, ne dovrebbe conseguire: 1) che non si possa parlare di controinteres sati, ma, se mai, di autorit� resistente; 2) che non sussiste la. pretesa competenza assoluta ed esclusiva di questa corte, giudice, viceversa, della � convalida i>. N� il fatto che la controversia, trattandosi di un collegio elettorale di formazione automatica, in quanto la qualit� di membro � legata al possesso di uno status giuridico, possa sorgere soltanto quando sia convocato il collegio, � circostanza sufficiente a trasformare la controversia in una controversia relativa alle operazioni elettorali. Nel merito, la difesa, distinte le funzioni della Corte dei conti in funzioni di pubblico ministero e funzioni di decisione (a loro volta distinguibili in giurisdizionali e di controllo), sostiene che i primi referendari e i referendari assolvono alle mede sime funzioni dei consiglieri con .qualche differenza, che � � del tipo di quelle che si ascrivono alle esi genze tecnico-funzionali�, differenze che poi nelle funzioni di pubblico ministero non esisterebbero punto. Replicando poi alla tesi della mancanza di pienezza di garanzie di cui soffrirebbero referendari e primi referendari, con particolare riferimento alla guarantigia di inamovibilit� dalla quale quelli sarebbero esclusi ai sensi dell'art. 8 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, la difesa asserisce che tale norma deve intendersi tacitamente abrogata dalla legge 21 marzo 1953, n. 161, e, nel caso ci� non si ritenesse, formula espressa domanda giudiziale perch� la Corte sollevi direttamente dinanzi a se stessa, secondo le norme di rito, la relativa questfone di legittimit� costituzionale. Quanto, infine, . alla competenza della Corte a sindacare la legittimit� costituzionale della legge 11 marzo 1953, n. 87, la difesa sostiene che, quale che sia la categoria nella quale questa legge debba 'essere iscritta, sarebbe certo il suo carattere di legge non costituzionale e quindi la sua assoggettabilit� all'esame di questa Corte. 5 . .Anche l'Avvocatura in una non meno ampia memoria del 7 scorso ripropone le sue tesi, ribadendole con copiosi richiami ai lavori preparatori e alle leggi che hanno regolato e regolano la Corte dei conti. .Ai fini di una migliore precisazione dei termini della controversia � sufficiente richiamare i seguenti punti: 1) la competenza esclusiva della Corte costituzionale, che deriva dal principio della divisione dei poteri, sarebbe giustificata anche dal fatto che, nei collegi previsti dalla legge per l'elezione dei giudici costituzionali da parte delle superme magistrature, l'elettorato attivo coinciderebbe con quello passivo, sicch� ogni questione relativa alla partecipazione a quei collegi diventerebbe insieme questione relativa alla capacit� di essere eletto e, come tale, necessariamente devoluta a una .� competenza unitaria))' qual'� quella spettante a questa Corte in sede di verifica dei titoli. La quale competenza sarebbe diversa da quella normalmente attribuita dall'art. 134 della Costituzione nel senso che essa si eserciterebbe indipendentemente dalle condizioni e dai presupposti stabiliti nei casi ordinari dalla legge, potendo la Corte conoscere � sovranamente ed esclusivamente � di tutte le questioni che attengano alla � validit� del titolo � e, ove necessario, risolvere direttamente e di ufficio le eventuali questioni di legittimit� costituzionale. I singoli interessati e gli organi ghuisdizionali e non giurisdizionali che si trovassero di fronte a questioni relative alla validit� del titolo, potrebbero avvalersi della facolt� di farne denuncia alla Corte costituzionale, al solo fine di eccitarne <e il potere sovrano ed esclusivo di decisione in materia )); 2) conferma della tesi che la norma di attuazione impugnata non contrasti con l'art. 135, si trarrebbe da questo medesimo articolo, laddove stabilisce la nomina dei cinque giudici riservata alle supreme magistrature ordinaria e amministrative senza riferirsi ai magistrati cc tutti ii di tali magistrature, e laddove indica, come requisiti dei giudici costituzionali in genere, la particolare qualifica di magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori, di professori universitari e di avvocati. Tale indicazione deve necessariamente riflettersi, sostiene l'Avvocatura, sulla composizione dei collegi, stante la circostanza gi� messa in rilievo che coloro i quali sono chiamati a far parte dei collegi, sono anche quelli che possono -� essere eletti. 3) la partecipazione all'esercizio dell'attivit� giurisdizionale non � per i primi� referendari e i referendari necessaria e incondizionata, ma eventuale e subordinata al verificarsi di determinati pre ��-�-----------------------1 -127 supposti, collegati in sostanza a una valutazione discrezionale del superiore gerarchico (nomina a relatore, incarico di sostituzione). Primi referendari e referendari sono in conseguenza gli unici magistrati della Corte a non godere della cosiddetta � inamovibilit� perfetta �. Infine, l'art. 105 del Testo unico del 1934, richiamato e mantenuto in vigore anche dalla pi� recente legge sull'ordinamento della Corte dei conti (20 dicembre 1961, n. 1345, art. 11) stabilisce che il numero complessivo dei primi refererendari e dei referendari non pu� essere superiore a due nelle singole sezioni e a quattro nelle sezioni riunite, assicurando cos� sempre la prevalenza della volont� dei magistrati delle categoria qualificate, cio� di quelli che rivestono la qualifica ed esercitino la funzione propria di magistrato della Corte dei conti. 6 . .All'udienza del 14 giugno 1963, le parti hanno illustrato i punti salienti delle rispettive tesi e hanno insistito nelle loro conclusioni. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In primo luogo deve essere respinta l'eccezione pregiudiziale dell'Avvocatura dello Stato, giusta la quale la Corte dei conti sarebbe incompetente a conoscere la questione oggetto del ricorso davanti alle Sezioni riunite. La tesi della difesa del Presidente -del Consiglio che, trattandosi di una questione relativa alla validit� della nomina di un giudice costituzionale, sussisterebbe una competenza esclusiva ed assoluta di questa Corte, non pu� trovare ingresso in questa sede. La Corte � stata, infatti, chiamata a giudicare della legittimit� costituzionale di una norma di legge e non pu� procedere all'indagine sulla competenza del giudice che ha emesso l'ordinanza di rinvio, come non pu� esaminare e risolvere questioni attinenti alla giurisdizione. Su questi punti la giurisprudenza della Corte � costante e ferma (cfr. da ultimo la sentenza n. 65 del 7 giugno 1962). .Alla Corte spetta soltanto di accertare che la questione provenga da un'autorit� giurisdizionale, sia sorta nel corso di un giudizio e ne sia sufficientemente dimostrata la rilevanza ai fini della decisione del giudizio principale. Tutte e tre queste condizioni si verificano nel caso presente, non potendosi porre in dubbio il carattere giurisdizionale dell'organo che ha proposto 'la questione, n� che l'ordinanza sia stata pronunciata nel corso di un giudizio; e non essendo stata affacciata nemmeno dall'Avvocatura la tesi che la questione non fosse in rapporto di pregiudizialit� col giudizio principale. Tutto quanto precede non tocca la questione, affatto diversa, dell'estensione dei poteri della Corte in tema di giudizio sulla validit� dei titoli dei suoi membri o dei titoli di ammissione dei suoi componenti, che norme costituzionali riservano ad essa sola (art. 3 legg~ costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e art. 3 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1). Le eventuali questioni che sorgessero-a questo proposito devono rimanere pertanto affatto impregiudicate. 2. Le medesime ragioni valgono a fortiori nei confronti dell'altra eccezione di inammissibilit�, -fondata sul fatto che non sarebbero stati presenti nel giudizio a quo coloro che l'Avvocatura ritiene necessari controinteressati (il presidente di sezione eletto giudice costituzionale e gli appartenenti al collegio elettorale convocato dal Presidente della Corte dei conti). Questa infatti � una eccezione che riguarda il legittimo instaurarsi del rapporto processuale davanti al giudice a quo, sul quale ancora meno pu� portarsi il giudizio di questa Corte, che deve, in conseguznza, procedere ad esaminare nel merito la questione di legittimit� dello art. 2 lettera e della legge 11 marzo 1953, n. 87. 3. Le parti hanno a lungo discusso sullo status dei primi referendari e dei referendari per trarne sostegno alle loro opposte tesi. La difesa dei ricorrenti non ha negato che qualche differenza esista tra essi e i consiglieri della Corte dei conti, ma ha qualificato codeste differenze << del tipo di quelle che si ascrivono alle esigenze tecnico-funzionali�. Viceversa, l'Avvocatura ha insistito sulla circostanza che la partecipazione all'esercizio dell'attivit� giurisdizionale da parte dei primi referendari e dei referendari non � necessaria e incondizionata, ma eventuale e subordinata al verificarsi di presupposti collegati, in sostanza, a una valutazione discrezionale di altri organi, e che essi, pertanto, esercitano la funzione che � propria dei consiglieri soltanto a titolo semiproprio o suppletivo. Detto diversamente, primi referendari e referendari svolgerebbero le funzioni giurisdizionali e anche quelle di pubblico ministero non gi� istituzionalmente, sul fondamento diretto della legge, che organizza e regola l'attivit� della Corte dei conti, ma, in ogni caso, per il tramite di un atto di preposizione allo ufficio del Presidente della Corte o del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 2 R. D. 13 agosto 1933, n. 1038; art. 5 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214; art. 11 legge 20 dicembre 1961, n. 1345) . 4. Tuttavia la Corte, pur rendendosi conto del peso e dell'importanza degli argomenti addotti dall'Avvocatura, ritiene che il sistema creato dalla Costituzione e dalle leggi che per questa parte la integrano e la attuano, offra elementi sufficienti per dichiarare non fondata la sollevata questione di costituzionalit�. L'art. 135 della Costituzione stabilisce che un terzo dei giudici della Corte siano eletti dalle � supreme magistrature ordinaria e amministrative �. Si tratta, come � chiaro, di un precetto che ha bisogno di essere integrato e specificato, come lo stesso Costituente riconosce (e non soltanto in relazione a questa specifica norma), quando rinvia�nel succ�ssivo art. 137 a una legge costituzionale per quel che attiene alle condizioni, le forme e i termini di proponibilit� dei giudizi di legittimit�. costituzionale e alle garanzie di indipendenza dei giudici della Corte (primo comma); e alla legge -128 ordinaria per le << altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte �. Il che trova conferma nell'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, che ribadisce ilrapporto sistematico che intercorre tra carta costituzionale, leggi costituzionali e legge ordinaria, la quale ultima definisce come �emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali �. Da ci� non pu� dedursi, come qualche cenno dell'ordinanza di rimessione e i pi� aperti assunti della difesa del Presidente del Consiglio potrebbero far ritenere, che .questa legge si ponga a un grado diverso da quello della legge ordinaria nella gerarchia delle fonti, con conseguenze che si rifletterebbero perfino sul controllo di costituzionalit�; ma se ne pu� ricavare soltanto che ad essa � lasciato dal precetto costituzionale, pi� che non accada nel caso di altri rinvii alla legge cos� frequenti nella Costituzione, uno spazio pi� ampio, e che le � ass'egnato, per la funzione che deve svolgere, un carattere che potrebbe consentire di accostarla alle norme di attuazione degli Statuti regionali, sulla natura, i limiti e l'efficacia delle quali la Corte ha gi� avuto, del resto, occasione di manifestare il proprio pensiero (sentenza n. 14 del 15 giugno 1956; sentenza n. 20 del 29 giugno 1956). 5. Ora, nel dettare la norma dell'art. 2 lettera c, che � quella impugnata, il legislatore ordinario non ha travalicato i-limiti impliciti nel rinvio alla legge di attuazione, che, ovviamente, sono quelli di non contrastare con le norme costituzionali, nell'integrare ed attuare il sistema, le cui basi sono poste dalla Costituzione, e segnatamente dall'art. 135. Vero � che questo articolo parla di �supreme magistrature ordinaria e amministrative �, od � anche vero che qui �magistrature � non sta al luogo di << magistrati �, ma � altrettanto vero che il richiamo � fatto alle magistrature, non gi� nella loro composizione ordinaria, ma ad esse in quanto speciali collegi elettorali, investiti dall'alto compito di designare un terzo dei componenti della Corte costituzionale, l'organo a cui � affidato il compito di controllare la costituzionalit� delfe leggi e l'ordinata ed equilibrata convivenza degli organi costituzionali, tra i quali si suddivide l'esercizio della sovranit� statale. Sicch�, limitando la composizione del collegio ai consiglieri, ai presidenti di sezione, ai vice procuratori generali, al procuratore generale e al presidente della Corte dei conti, la legge non ha violato alcuna norma costituzionale, ma piuttosto ha attuato l'intento del Costituente, affidando compito cos� grave a collegi, che, sotto ogni aspetto, ha considerato supremi. Del che � conferma la norma contenuta nel secondo comma del medesimo art. 135 Cost., strettamente collegata col primo, al quale d� o dal quale riceve luce, che, ispirata al medesimo intento, limita l'eleggibilit� ai magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori, ai professori ordinari di universit� in materie giuridiche e agli avvocati dopo venti anni di esercizio: categorie, per prestigio ed esperienza, omogenee tra loro e con quelle che concorrono a costituire i collegi elettorali. E, infine, integra il sistema, in conformit� col precetto costituzionale, rivolta com'� al fine di rendere rigorosa e meditata la scelta, la norma dell'art. 3 della stessa legge, che, ponendo quelle che un tempo si dicev;;1ino �13tr(:l_tt.ezzze ))' stabilisce che i giudici nominati dal Parlamento devono essere eletti da questo in seduta comune , delle due Camere, a scrutinio segreto e con maggioranza di tre quindi dell'Assemblea nel primo scritinio, e dei tre quinti dei votanti negli scrutini successivi. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione sollevata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, sulla legittimit� costituzionale dell'art. 2 lettera c, della legge 11 marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135, primo comma ultima parte, della Costituzione. 1) Con la motivazione contenuta nella prima mas sima, la Corte Costituzionale ha ritenuto di non po tersi occupare delle due questioni pregiudiziali solle vate dalla Avvocatura, relative: a) la prima, alla competenza esclusiva della Corte a giudicare della validit� dei titoli di immissione dei suoi componenti, ai sensi dell'art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 10 e dell'art. 3 dell'altra legge costituzionale 11 marzo 1953, n. l, come competenza -prerogativa esclusiva ed assorbente, per il particolare obbietto, di quella di qualsiasi altra giurisdizione del nostro ordinamento, sia essa generale o speciale; b) la seconda, al difetto di contraddittorio nel giudizio di merito in quanto si traduceva necessariamente in un difetto di contraddittorio del giudizio costituzionale. La Corte non ha esaminato n� l'una n� l'altra que stione, richiamandosi alla propria giurisprudenza in materia di pregiudizialit� della questione di giurisdi zione o di competenza del Giudice a quo sulla que stione di legittimit� costituzionale (da ultimo, sent. n. 65 del 7 giugno 1962). Benonch� � da osservare che le due questioni sollevate erano, questa volta, essenzialmente diverse da quelle obbietto delle precedenti pronuncie della Corte. Invero, quanto alla prima, si trattava di affer mare o di negare, in ordine alla materia in contro versia, la competenza-prerogativa della Corte a giu dicare della validit� della nomina dei propri compo nenti ed, in particolare, il contenuto ed i ltimiti di questa competenza. La Corte Costituzionale era, quindi, chiamata questa volta a giudicare, non della competenza o giurisdizione del Giudice a quo, bens� della propria competenza a decidere della quistione sollevata in sede di esame della validit� dei titoli dei propri com ponenti neo nominati, ai sensi delle citate norme costituzionali; il che avrebbe escluso la possibilit� alla stessa Corte di occuparsene in altra sede e pre cisamente nella normale sede dei giudizi incident�li. Si trattava, cio�, di stabilire se la Corte potes8e, nel caso in esame, esercitare la sua ordinaria oompetenza di cui all'art. 134 della Costituzione od, invece, come era sostenuto dalla Avvocatura, se tale competenza non fosse esclusa dalla di ��------���-�-----���--�--------' -129 -versa competenza circa la validit� dei titoli, competenza che si esercita dit�ettamente, cio� indipendentemente dalle condizioni e dai presupposti stabiliti per l'esercizio della prima (in particolare, dalla insorgenza della questione in via incidentale) e con assoluta pienezza di valutazione anche di merito. Nell'esercizio di questa speciale attribuzione costi-' tuzionale, la Corte ha il potere di risolvere diretta� mente e d'tc/ficio le eventttali questioni di legittimit� costituzionale. Le cose stavano in termini pressoch� analoghi per quanto riguarda l'altra questione circa la regola.rit� del contraddittorio. Partendo dal principio, ribadito anche da. una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (sent. 44 del 9 aprile 1963) secondo etti il procedimento di rimessione � regolato dalla legge (ll marzo 1953, n. 87) in modo completo ed autonomo dalle ordinarie norme del codice di rito civile, era sembrato e sembra alla Avvocatura che quel procedimento, considerato, appunto nella sita autonomia, abbia un necessario ed inderogabile presupposto: quello del rispetto del principio del contraddittorio (art. 101 C.p.c.) nella fase di questo procedimento che si svolge dinanzi al giudice di merito. Il rispetto di tale principio non ha, se ben si osserva, soltanto valore e rilevanza di ordine proces suale ordinario, ma valore e rilevanza di ordine costituzionale, cio� direttamente influenti sulla vali dit� del processo costituzionale che, se nasce viziato in quella fase iniziale, trasferisce necessariamente il vizio di origine anche nella fase di decisione della questione innanzi alla Corte. � sufficiente, al riguardo, osservare, che l'anzidetto procedimento di introduzione del giudizio costittt zionale d� a ciascuna delle parti il potere di istanza in ordine al promuovimento della questione di legit timit� costituzionale (art. 23 della n. 87 del 1953), cos� come d� a ciascuna delle parti il potere di costi tuirsi innanzi alla Corte e di presentare memorie difensive e di partecipare alla discttssione orale. Il controllo, quindi, di tale presupposto, che � presupposto di validit� anche per la instaurazione del processo innanzi alla Corte, dovrebbe essere fatto da quest'ultima. 2) Nel merito, la sentenza ha accolto integralmente le argomentazioni dell'Avvocatura, sia di ordine gene� rale, relative cio� alla interpretazione dell'art. 135 della Costituzione in relazione al carattere, al contenuto ed alla portata della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, cio� della legge di prima� attuazione, sotto il profilo della composizione della Corte, dell'art. 135 della Costituzione; sia di ordine particolare, relative cio�, alla posizione organica dei primi referendari e dei referendari della Corte dei conti nell'ordinamento della Corte stessa, in relazione alle funzioni giurisdizionali ad essi attribuite. Per una completa informazione dei lettori riportiamo la parte di merito della memoria dell' A vvocatura. III) Sulla infondatezza della questione di illegitimit� costituzionale nel merito. -La questione sarebbe, comunque, infondata nel merito, appa rendo evidente la insussistenza dell'asserito contrasto tra l'art. 2 lettera c) della legge di prima attuazione delle norme costituzionali sulla, composizione e sul funzionamento della Corte e l'art. 135 della Costituzione. A) Interpretazione dell'art. 135, primo e secondo comma della costituzione. -� opportuno, anzitutto, intendere il contenuto precettivo dell'art. 135, primo e secondo comma della Costituzione, col quale deve essere confrontato l'art. 2 della legge ordinaria di prima attuazione, ai fini dell'anzidetto, asserito contrasto. Com'� noto, la Costituzione, all'art. 135, traccia le linee generali del sistema di nomina dei componenti della Corte Costituzionale, avendo cura di attribuire in misura eguale la nomina dei diversi poteri, s� che la Corte risulti nel suo complesso formata in modo che sia la espressione dei vari poteri e di nessuno di essi: cinque Giudici sono di nomina del Presidente della Repubblica, altri cinque delle Camere ed, infine, altri cinque�� delle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa � (art. 135, primo comma). Premessa questa ripartizione, la Costituzione fissa, sempre in via generale, la qualit� o, se si vuole il livello, che deve essere raggiunto con la nomina dei componenti della Corte, limitando la possibilit� di scelta a categorie di persone ritenute particolarmente idonee, come quelle di magistrati (anche a riposo) delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrativa, dei professori ordinari di universit� in materia giuridica e degli avvocati dopo venti anni di esercizio (art. 135, secondo comma). Com'� anche noto. l'art. 137 della Costituzione stabilisce, al secondo comma, che con legge ordinaria dovevano essere poste �le altre norme necessarie per la costituzione ed ilfunzionamento della Corte �, oltre alle norme sulle condizioni, le' forme, i termini di proponibilit� dei giudici e le garanzie dei giudici, riservate alla legge costituzionale. La previsione della legge ordinaria, in tema di costituzione e funzionamento della Corte venne ribadita dalla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, art. 1, laddove la legge ordinaria viene indicata come: ǥ�� emaJ;1.ata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali �. B) I lavori preparatori della legge 11 marzo 1953, n. 87. -La legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87 ebbe un lunghissimo e meditato iter legislativo, come risulta dai la~ori preparatori (2), nel quale furono posti e discussi tutti i problemi concer( 2) Cfr. ReJ,azione DE GASPERI; in �Atti Senato, doc. n. 3 "; ia Relazione PERSICO per la seco~d~ Commissione del Senato, in � Atti Senato, doc. n. 23-A �.;. Ia Relazione TESAURO per la Commissione speciale della Camera, in �Atti Camera doc. n. 469-A �; 26 Relazione PERSICO per la Commissione del Senato, in �Atti Senato, doc. 23-0 "; 2a Rel,azione TESAURO per la Commissione speciale della Camera, in �Atti Camera doc. n. 469-0 �; riportati ne La legislazfone ltaliana 1954, pp. 364 -435. -130 nenti l'attuazione delle anzidette norme costituzionali sulla composizione e sul funzionamento della Corte. Si lavor�, in sostanza, su due disegni di legge predisposti rispettivamente, dalla seconda Commissione del Senato e della Commissione speciale della Camera, i quali furono pi� volte modificati e, comunque, discussi articolo per articolo. Per quanto concerne. pi� da vicino la questione della nomina dei Giudici, si stabili fin da principio, che il sistema di nomina doveva essere quello della elezione (3) e che questa dovesse avvenire in tre distinti Collegi, uno per ogni �magistratura suprema �. Per ci� che concerne la partecipazione ai Collegi, si deline� subito una divergenza ti'a orientamento del Senato e quello della Camera dei Deputati, giacch� mentre il primo intendeva per � supreme magistrature n i tre organi di giurisdizione superiore (Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti), la Commissione speciale della Camera propendeva per la interpretazione del termine nel senso che esso comprendesse �i magistrati dei gradi pi� alti n indipendentemente dalla natura dell'organo presso il quale essi esercita.no �le loro funzioni ( 4). Secondo questo orientamento, e quindi secondo il progetto della Commissione speciale della Camera, dei tre Collegi elettorali potevano far parte (ed essere eletti) anche i presidenti di Corte d'Appello ed i procuratori generali, mentre ne venivano esclusi i consiglieri di Corte d'appello addetti alla Cassazione. Peraltro, l'anzidetta soluzione del cc grado� rivestito dal magistrato veniva accolta, in questa fase, in forma dubitativa, soggiungendosi che sarebbe spettato all'Assemblea stabilire, in definitiva, se la cerchia degli elettori dovesse estendersi fino a comprendere tutti i magistrati di cassazione ovunque esercitassero le funzioni, o se, invece, dovessero da essa escludersi anche i primi presidenti ed i procuratori generali di aorte d'appello. La stessa riserva per la discussione in aula veniva fatta a proposito dei referendari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i quali ultimi erano stati esclusi dal testo del Senato ed inclusi in quello della Commissione, sempre con anzidetta riserva. Quando il disegno di legge fu discusso innanzi alla Camera dei deputati nella seduta del 1� febbraio 1951, ( 5) vi erano due emend~mentipresentati l'uno dall'on. Costa e l'altro dall'on. Colitto che davano corpo a concretezza al dubbio ed alla riserva espressi dalla Commissione, nel senso che la partecipazione ai Collegi dovesse essere limitata ai Consiglieri di Cassazione ed ai Magistrati di grado superiore della Stessa Corte effettivamente addetti (3) Cfr. ia Relazione PERsioo, in �Atti Senato, doc. 23-A �. (4) Ofr. la citata Relazione TusATRo, riportata in La legislazione it<iliana, 1954 pag. 612. (5) Cfr. Atti parlamentai; Oamera dei Deputati, seduta 1 febbraio 1951, p. 252817. alle funzioni di Cassazione, ed ai Consiglieri di Stato e della Corte dei Conti escludendosi i referendari. Nella discussione che segu�, (6} sia il relartore Tesauro che il rappresentante del Governo ebbe:J;O modo di chiarire, senza possibilit� di equivoci, il concetto ispiratore dell'emendamento Costa che fu approvato sia dalla Camera che dal Senato e pass�, quindi, come testo di legge. C) Oonfronto tra il contenuto normativo dell'art. 2 della legge 11 marzo 9153, n. 87 e l'art. 135 della Costituzione. -Premesso l'anzidetto excursus sui lavori preparatori della legge ed, in. particolare, dell'art. 2, si pu� fondatamente affermare che questo articolo sia in contrasto con l'art. 135 della Costituzione, per quanto attiene particolarmente alla composizione del Collegio speciale elettorale della Corte dei Conti Y La risposta negativa a noi non pare dubbia. Diciamo subito che ci sembra del tutto vano lo sforzo col quale i ricorrenti hanno cercato di dimostrare nel giudizio di merito (cfr. la loro Memoria inanzi la Corte dei Conti, pagg. 7 e segg.) la pretesa oscurit� e la pretesa incoerenza� con le quali da parte della Camera dei deputati si sarebbe proceduto alla approvazione dell'emendamento Costa, nelle circostanze sopra riferite. I ricorrenti hanno tacciato questo emendamento di illogicit� e di incoerenza, asserendo che con esso si sarebbe venuto ad operare, nelle magistrature superiori, un cc taglio n diverso a seconda che si trattasse della Corte di Cassazione o del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. .Affidandosi a questa argomentazione (che probabilmente sar� ripetuta anche nella loro memoria nell'attuale Sede) i ricorrenti dimenticano che l'emendamento Costa fu approvato a seguito di discussione nella quale tutti si trovarono d'accordo, e dimenticano altres� i concetti ed i principii che erano a base dell'emendamento e della discussione, quali si erano venuti delineando gi� nelle precedenti discussioni sui disegni di legge del Senato e della Commissione della Camera. � bene quindi, fermare alcuni punti fondamentali. L'organo legislativo ordinario doveva, in sede di prima attuazione dell'art. 135 della Costituzione, porre norme sulla composizione e sul funzionamento della Corte Costituzionale, norme espressamente previste dall'art. 137 della Costituzione e dell'art. 1 della legge 11 marzo 1953, n. 1. Non vogliamo, neanche in questa Sede, prendere posizione nei riguardi della tesi, sostenuta in dottrina, circa la cc forza n o la natura delle norme dtilla legge ordinaria espressamente prevista, sia pure come tale, da norme costituzionali concernenti l'organizzazione ed il funzionamento della Corte. Ai fini del nostro problema, � sufficiente ..riJevare che, per espressa disposizione delle citate norme_ costituzionali, le norme emanate con la legge ord� (6) Ofr. Atti parlamentari, cit. p. 252818 ---------~----------- -131 naria 11 marzo 1953 n. 87 sono norme di <ittuazione, e precisamente di prima attuaiione delle predette norme costituzionali. Esse si trovano, quindi, quanto meno, nei riguardi di �queste ultime, in posizione analoga a quella delle norme di attuazione degli Statuti speciali regionali: il che significa che esse non debbon9 andare contra Constitutionern, ma possono bene attuare ed anche integrare la regolamentazione tracciata solo a grandi linee dalla Costituzione, ove non ne vengano a menomare i principi fondamentali informatori della. regolamentazione stessa (7). Un primo problema che, entro gli anzidetti limiti, il legislatore ordinario doveva risolvere in questa materia era quello del sistemo o modo di nomina: e lo ha risolto adottando il sistema della elezione, che non si pu� dire in contrasto con la Costituzione, anche se non espresimmnete previsto per la nomina dei Giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Altro problema era quello se alla elezione-nomina da parte della �suprema magistratura n dovesse provvedersi da un Collegio unico o da tre Collegi distinti: ed. il legislatore ha accolto questa ultima soluzione, per le ragioni che diffusamente si leggono nei citati lavori preparatori. Vi era, poi, il terzo problema relativo alla composizione dei tre speciali Collegi elettorali, per il quale problema, come risulta dagli stessi lavori preparatori, il legisJatore ordinario si trovava di fronte a questi termini fondamentali: a) l'elemento costitl�to dalla nor1na costituzionale dell'art. 135 che, al primo comma, stabilisce la nomina di 5 Giudici � dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa � senza neanche riferirsi ai magistrati tutti di tali magistrature; mentre, al secondo comma, in tema di requisiti dei Giudici costituzionali in genere, indica le particolari qualifiche (magistrati superiori, professori, avvocati), e la indicazione deve necessariamente riflettersi anche nei riguardi della composizione dei collegi, cio� dell'elettorato attivo, in quanto nella specie � pacifico che coloro che sono chiamati a far parte del Collegio possono da esso anche essere eletti; b) la possibilit� di interpretare la espressione costituzionale � Sitpreme llfagistrature ordinaria ed amministrativa� con riferimento al corpus o complesso di magistrati che, al momento della elezione compongono ciascuna suprema magistratura ed in essa esercitano funzioni, pur rivestendo qualifiche diverse ed eventualmente inferiori a quelle proprie delle funzioni esercitate (ad esempio i consiglieri di appello addetti alla Cassazione), ovvero esercitino anche funzioni meno piene di quelle proprie della � magistratura suprema n (caso dei referendari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti). c) la possibilit�, invece, di interpretare la norma costituzionale con riferimento esclusivo al corpus dei magistrati che rivestano, nel contempo, la qualifica propria del magistrato supremo (consigliere di Cassazione ed equiparati) ed esercitino (7) Cfr. per le norme di attuazione degli statuti speciali: della Oorte Costituzionale n. 20 del 1956. effettivamente la funzione corrispond~nte a.Ila qualifica con carattere di attualit� riferito al momento della elezione. In base a questa interpretazione, vengono esclusi dal Collegio elettorale (e dalla possibilit� di essere eletti) sia i magistrati che, pur rivestendo (come grado) la qualifica, non esercitano attualmente presso le giurisdizioni superiori (magistrati di Cassazione nominati presidenti di Corte d'Appello o di Tribunale) sia, all'-fni1erso, i magistrati inferiori ehe svolgono att1wlmente le funzioni superiori ma non ne hanno la qualifica (consiglieri di appello addetti alla Ca::;sazione). X e sono, per altro ver::;o, esclusi i magistrati che non hanno la qualifica propria delle ma,gistrature superiori e che esercitano le funzioni, peraltro in maniera affievolita, cio� semipiena ed adventicia, per le particolari limitazioni che la legge stessa pone all'esercizio delle funzioni. E questo � il problema particolare dei referendari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, problema che � stato ben presente ed � stato discusso, come si � visto, in sede di formazione della legge in questione. Questa, partendo dalla considerazione del dato costituzionale (sub a), ha deliberatamente e meditatamente adottato la interpretazione (sub c) come la pi� rispondente alla lettera ed alla ratio del precetto costituzionale. Perci�, non pu� seriamente parlarsi di pretesa incoerenza e di illogicit� del legislatore, facendosi leva su di una elemento che � altrettanto ovvio quanto irrilevante ai fini della questione di costituzionalit�, e cio� la diversit�, peraltro non sostanziale, con la quale il problema si presentava, in termini pratici, nei riguardi della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Il problema � stato, a nostro avviso, bene impostato e bene risolto dal legislatore ordinario con la norma attualmente in vigore che � stata, nel recente passato, applicata senza dar luogo a contestazioni di sorta, in ciascuno dei tre Collegi che hanno pro-ceduto alla nomina. D) Sulla funzione dei referendari in base all'ordina- mento della Corte dei Conti. -La nostra convinzione riceve conferma, oltre che daUe considerazioni fino ad ora esposte, dall'esame delle vigenti norme sull'ordinamento della Corte dei Conti, per quanto, come si � detto nelle deduzioni di intervento, orcorrerebbe considerare solo l'ordinamento vigente all'entrata in vigore della CoAittuzione. Comunque, in base alle norme attualmente vigenti i magistrati della Corte si distinguono, secondo le funzioni, in varie categorie (art. 10 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345). Gi� questa distinzione, nella stessa magistratura superiore, di magistrati (ivi compresi i referendari) ~e�ondo le funzioni, � sintomatica e significativa, ai fini che _ _ __ qui interessano: giacch�, com'� noto, una distin-� zione del genere non si riscontra nell'ambito della Corte di Cassazione in cui i magistrati che rivestono la qualifica propria esercitano tutti la stessa funzione, quella di cc mag�istrato di Cassazione n. -13'2 La sola differenziazione che tra essi si riscontra deriva dalla preposizione di alcuni ad uffici direttivi, ma ci� non importa, ovviamente, alcuna diversit� nei riguardi della pienezza della funzione giurisdizionale propria del magistrato di Cassazione. Invece, e proprio nei riguardi della funzione giurisdizionale di magistrato superiore, le cose non stanno esattamente allo stesso modo per i primi referendari ed i referendari della Corte dei Conti. Si evince, infatti, dall'art. 11 della citata legge 20 dicembre 1961, n. 1345 che le funzioni giurisdizionali dei primi referendari e dei referendari sono meno piene ed affievolite nei confronti delle funzioni proprie dei magistrati della Corte dei Conti. Invero i referendari, che normalmente coadiuvano i primi referendari negli uffici di controllo, intervengono nelle sezioni giurisdizionali con voto deliberativo soltanto per � gli affari dei quali sono relatori n. I primi referendari hanno, inoltre, riconosciuta a differenza dei referendari, una funzione vicaria nel senso che nelle sezioni giurisdizionali possono essere chiamati dal Presidente della Corte a supplire -ed in questo caso hanno voto deliberativo i consiglieri assenti ed impediti. Come si vede, quindi, mentre la partecipazione di tutti gli altri magistrati della Corte (presidente, presidenti di Sezione, procuratore generale, consiglieri e vice procuratori generali) all'esercizio dell'attivit� giurisdizionale � partecipazione necessaria ed incondizionata (come per tutti i magistrati di Cassazione), quella degli appartenenti alle due predette categorie risulta soltanto eventuale, ed �, subordinata al verificarsi di determinati presupposti, che si ricollegano sostanzialmente ad una valutazione discrezionale del superiore gerarchico (nomina a relatore, incarico di sostituzione). Correlativamente a questa capacit� giurisdizionale adventicia e minus plena l'ordinamento vigente non riconosce ai primi referendari ed ai referendari le particolari garanzie di inamov�ibilita che, previste in un primo tempo dall'art. 8 del testo unico del 1934 solo per il Presidente ed i Consiglieri, vennero poi estese dall'art. 4, u. p. del D. L. 5 maggio 1948, n. 589 anche nei confronti del procuratore generale e dei vice procuratori generali. I primi referendari ed i referendari sono gli unici magistrati della Corte a non fruire della cosiddetta cc inamovibilit� perfetta �, la quale, come � risaputo, intende tutelare la funzione esercitata, in vista della sua particolare importanza. Ma un elemento ancora pi� significativo pu� desumersi dalla disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 5 del Testo unico del 1934, espressamente richiamato e mantenuto in vigore anche dalla pi� recente legge sull'ordina.mento della Corte dei Conti (20 dieembre 1961, n. 1345 art. 11). Secondo tale norma, il numero complessivo dei primi referendari e dei referendari non pu� essere superiore a due nelle singole sezioni n� maggiore di quattro nelle Sezioni Riunite. Tenendo presente che ciascuna Sezione giudica con l'intervento di cinque votanti, i quali nelle Sezioni Riunite sono fo numero di 11 (art. 2 legge 21 marzo 1953, n. 161)~ rhmlta evidente la ratio della disposizione intesa ad as8frurare srmpre la prevalenza alla volont� dei magistrati delle categorie qualificate, cio� dei magistrati che rivestono la qualifica e esercitano le funzioni proprie di magistrato della Oorte dei Oonti. Ora, invece, ad un criterio coropJetam~n,t.I} 9pposto si sarebbe ispirato il legislatore ordinario, se avesse ammesso la partecipazione dei primi referendari e dei referendari alle operazioni di voto per l''elezione dei Giudici costituzionali: infatti, secondo l'ultimo ruolo organico, allegato alla legge citata del 1961, i magistrati di tali categorie assommano complessivamente a 433 (203 primi referendari e 230 referendari), mentre il numero di tutti gli altri magistrati della Corte � appena di 96: e, deve rilev. arsi, tale sproporzione numerica, se pure un p� meno accentuata, gi� esisteva nei ruoli abr.ogati. Ne conseguirebbe, pertanto, che nelle elezioni i voti delle due categorie anzidette assumerebbero un peso preponderante: e questo non pu� certo riconoscersi come intenzione del Costituente allorch� ha parlato di nomina delle cc Supreme Magistrature �, con la possibilit� che ciascuno degli elettori sia anche eletto ! IV) Concludendo, la norma di attuazione ha accolto una soluzione che, nel silenzio della Costituzione circa la composizione dei collegi che debbano eleggere i Giudici di nomina delle cc Supreme Magistrature �, nel mentre ha corrisposto alla finalit� propria dell'attuazione delle norme costituzionali, non pu� ritenersi in contrasto con alcuna norma o principio inderogabile della Costituzione stessa. � Anzi, a seguito della disamina di tutti gli aspetti della controversia, sembra potersi ritenere che la genericit� usata nella norma costituzionale, che non si riferisce esplicitamente e direttamente ai magistrati tutti delle cc Supreme ~Iagistrature � ma solo e genericamente a queste ultime, sia stata anche voluta, sia perch� il Costituente non poteva ignorare, da un lato, che in alcune delle magistrature considerate esistono profonde differenziazioni in ordine alla capacit� funzionale dei componenti, sia perch� non pu� in ogni caso ammettersi che il Costituente stesso intendesse annullare determinati principi propri dell'ordinamento interno di alcuni corpi giurisdizionali e, nel nostro caso, della Corte dei Conti, fino a rendere possibile la prevalenza numerica delle categorie con funzioni giurisdizionali affievolite, quando queste stesse categorie sono mantenute dalla legge di organizzazione '�n condizioni di numerica inferiorit� prop1�io nell'esercizio della funzione giurisdizionale ed a causa, delle limitazioni di questa funzione. CORTE COSTITUZIONALE -Procedimento -Limiti del giudizio di costituzionalit� -Foro dello Stato Legittimit� costituzionale. (Corte Costituzionale, 9 luglio 1963, n. 119 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Chiarelli Societ� immobiliare Gilpa e Societ� Sugherifici(') itali ano c. Comune di Olbia e. Regione sarda. La Corte pu� esaminare la questione di legittimit� costituzionale solo entro i limiti nei quali risulta formulata nell'ordinanza di rinvio. -133 L'art. 25 C.p.c. e l'art. 55 D. P. 19 maggio 1949, n. 250, che estende alla Regione autonoma della Sardegna il principio del foro dello Stato, sono costituzionalmente legittimi e non contrastano con l'art. 25 della Costituzione. Data l'importanza della questione riteniamo oppor-' tuno riportare integralmente la motii,azione della. sentenza, con la quale la Oorte, accogliendo la tesi sostenuta dall'Avvocatura, ha dichiarato costituzionalmente legittimo non solo il principio del foro dello Stato e la sua estensione alle Regioni, ma anche il principio -ritenuto conseguenziale -dell'obbligatoriet� della notificazione degli atti giudiziari presso gli uffici della Avvocatitra dello Stato competente per territorio. CONSIDERATO IN DIRITTO La sola questione di cui questa Corte � investita nel presente giudizio, a termini dell'ordinanza di rimessione, riguarda la legittimit� costituzionale dell'art. 55 D. P. R. 19 maggio 1949, n. 250, in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione. N� potrebbe la Corte esaminare detta questione oltre i limiti nei quali risulta formulata dall'ordinanza stessa, dovendo essa tener conto, secondo la sua costante giurisprudenza, delle deduzioni difensive solo in quanto sviluppino ed illustrino il contenuto delle ordinanze, e non in quanto sollevino questioni nuove (sent. n. 48 del 1961 e n. 65 del 1962). In relazione alla questione dedotta; va premesso che l'art. 55 del citato decreto, estendendo le funzioni dell'Avvocatura dello Stato all'Amministrazione regionale sarda, stabilisce nel capoverso che nei confronti della detta Amministrazione si applicano gli artt. 25 (foro della P. A.) e 144 (not:if�cazioni alle Amministrazioni dello Stato) O. p. c. Secondo la tesi delle Societ� Gilpa e Sugherificio italiano, ritenuta non manifestamente infondata dal Tribunale di Tempio Pausania, le ricordate disposizioni sarebbero incostituzionali, in quanto attribuiscono alla Regione sarda un giudice diverso da quello che il legislatore ha istituito con criterio generale nell'art. 20 C. p. c., con la conseguenza che il privato che intenda convenire in giudizio la Regione si trova nella necessit� di far ricorso al giudice del cosiddetto foro della P. A., anzich� al giudice che s�rebbe competente a norma del predetto art. 20. ' Ritiene la Corte che la questione non � fondata. Va innanzi tutto rilevato che l'art. 20 C. p. c. indica un foro facoltativo, concorrente col foro generale delle persone fisiche e delle persone giuridiche, di cui ai precedenti artt. 18 e 19. Inoltr�, Io stesso foro generale � stabilito da questi ultimi articoli con salvezza che la legge disponga altrimenti. � Da quanto precede deriva che l'art. 20 O. p. c. non enuncia un criterio generale, inderogabile, come � stato sostenuto dalla difesa delle due Societ�. Esso, al pari dell'art. 25 dello stesso codice, fa parte di quel sistema di norme regolatrici della competenza nel processo civile, le quali, preordinate, come sono, all'insorgere delle singole controversie, non contrastano col precetto C()~t!tuzio.nale del rispetto del giudice naturale. Questa Corte ha avuto ripetutamente occasione di affermare che la nozione di �giudice naturale � corrisponde a quella di giudice istituito in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie, in modo che sia data al cittadino la certezza circa il giudice che lo deve giudicare (sentenze n. 29 del 1958, n. 22 del 1959, n. 88 del 1962). Nel caso in esame, tanto l'art. 55 D. P. R. 19 maggio 1949, quanto l'art. 25 C. p. c., stabiliscono la competenza del cosidetto foro della P . .A. in maniera generale, per tutte le categorie di controversie in cui � parte la Regione o la Pubblica Amministrazione. Le disposizioni in essi contenute non ammettono alcuna possibilit� che la competenza venga determinata in relazione a una controversia gi� insorta, e danno al cittadino la previa certezza del giudice che dovr� conoscere delle sua causa. Alla stregua dei criteri ricordati, pu� ben dirsi che il giudice la cui competenza � determinata, per il richiamo contenuto nell'art. 55 citato, dalla legge sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e dall'art. 25 O. p. c., � esso stesso un giudice naturale precostituito per legge. Nessuna illegittimit� costituzionale � dato, pertanto, scorgere nella indicata norma legislativa che deferisce ad esso le controversie in cui � parte la Regione sarda, e nella norma conseguenziale che regola le notificazioni alla Regione secondo le disposizioni dello art. 144 C. p. c. COSTITUZIONE -Regione siciliana -Presidente Funzioni statali decentrate -Modo di esercizio Mantenimento dell'ordine pubblico. (Corte Costitu zionale, 13 luglio 1963, n. 131 -Pres.: Ambrosini; Rei.: Chiarelli -Presidente del Consiglio c. Regione Siciliana). Il mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio della Regione siciliana � attribuito al Presidente della Regione nella qualit� di organo dello Stato. Egli non pu� esercitare questa funzione mediante uffici od organi della Regione, ma deve esercitarla esclusivamente a mezzo della polizia dello Stato. Riportiamo integralmente la motivazione della sentenza, che, a nostro avviso; trascende il caso di specie, espressamenie regolato dall'art. 31 S.S.Sic. I principi affermati dalla Oorte, infatti, sono applicabili a tutte le ipotesi di esercizio di attivit� statali decent1�ate ad organi individuali della Regione (art. 20 P.c., u.p. S.S.Sic. e art. 1 D.L.O.P.S. 30 � giugno 1947, n. 567, art. 44 P.c. S.S. V A}: � Solo nelle ipotesi, in cui l'esercizio di funzion~ statali sia delegato all'Ente-Regione (art. 6 u.p., articolo 47 O.e. e art. 49 S.S.Sa., art. 35 S.S.T.A., art. 44, II c. S.S. VA.), gli organi di questa potranno perci�, servirsi degli uffici e della organizzazione regionale. Nella prima ipotesi, invece, l'esercizio -134 delle funzioni stataU decentrate dovr"� essere effettuato dal Presidente e dagli Assessori esclusivamente a mezzo degli Uffici e della organizzazione statale. CONSIDERATO IN DIBITTO Il ricorso del Commissario dello Stato investe gli artt. 2 e 7 della legge sull'ordinamento del governo e dell'amministrazione centrale della Regione siciliana, approvata dall'Assemblea regionale il 20 novembre 1962, in quanto l'art. 2 lette1�a q, richiamandosi all'art. 31 dello Statuto, comprende tra le attribuzioni del Presidente ivi elencate il mantenimento dell'ordine pubblico, e l'art. 7 comprende tra gli uffici, mediante i quali il Presidente della Regione esplica le attribuzioni di sua compet~ nza, un Ispettorato regionale di polizia. Il ricorso � fondato. � fuori dubbio, e non forma oggetto di discussione tra le parti, che la funzione di provvedere al mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio della Regione � attribuita dall'art. 31 Statuto siciliano al Presidente della Regione nella qualit� di organo dello Stato. Ma pu� ritenersi ugualmente certo che il Pre8idente non pu� esercitare questa funzione mediante uffici ed organi della Regione. Se, infatti, � vero che, come rileva la difesa della Regione, il Presidente di questa � investito di funzioni statali non come persona fisica; ma in quanto copre l'ufficio di Presidente della Regione, (si ha, cio�, una specie di unione reale e non personale), resta tuttavia distinta la figura della presidenza della Regione, come organo di quest'ultima da quella del Presidente della Regione, come ufficio pubblico con distinte funzioni, di organo r�gionale e di organo statale; o, in altre parole, come organo di due enti diversi, ciascuno con proprio ordinamento e con propria organizzazione. Certo, anche la Presidenza della Regione pu� avere una propria organizzazione di uffici ausiliari; ma attraverso questa organizzazione non possono essere trasferite ad uffici e ad agenti dipendenti dalla Regione funzioni che sono del Presidente come organo dello Stato. Diverso � il caso dell'ente che agisce come organo di un altro ente, e che non pu� non servirsi della propria organizzazione e del proprio apparato: il Presidente della Regione non � un ente che, come tale, non pu� agire se non attraverso una propria organizzazione e un proprio apparato, ma �, come si � detto, un ufficio che, essendo investito di funzioni regionali e di funzioni statali, � distintamente incardinato nello ordinamento dell'ente Stato e dell'ente Regione, senza la possibilit� che nella sua :figura vengano a confondersi o a sovrapporsi le rispettive organizzazioni di questi due enti. N� vale il dire che, nella specie, le funzioni attribuite all'Ispettorato regionale 'di polizia dall'art. 7 si esauriscano nella organizzazione interna della Presidenza della Regione. .A parte. il fatto che non si vede come l'esercizio di funzioni di polizia sia pure in collaborazione con l'attivit� del Pres_ dente, possa esaurirsi nell'ambito interno dell'Amministrazione, � lo Statuto ad impedire che il Presidente possa svolgere la funzione di provvedere al mantenimento dell'ordine pubblico mediante organi regionali. L'art. 31 di esso, infatti, dispone che �al mantenimento dell'ordine pubblico provvede il Presidente regionale a mezzo della polizia dello.Stato, la quale nella_ Regione dipende disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzazione, dal Governo regionale�. Il Governo della Regione, dunque, pu� disporre dell'impiego e dell'utilizzazione della polizia statale, servendosi dei poteri che lo Statuto gli attribuisce; ma � escluso che al.mantenimento dell'ordine pubblico si possa provvedere a mezzo di una polizia diversa dalla statale. � chiaro, pertanto, il contrasto tra la riportata norma dell'art. 31 e la formula adottata nell'art. 7 della legge de qua; �Ispettorato regionale di polizia -Collaborazione alla attivit� del Presidente per quanto concerne l'esercizio delle funzioni indicate nella lettera q dello art. 2 -Polizia amministrativa�. .Altrettento evidente � la violazione delle norme statutarie sulla competenza legislativa della Regione. Dall'art. 31 dello Statuto siciliano discende che solo una legge costituzionale potrebbe stabilire, in sede di revisione, che il Presidente regionale possa servirsi di organi non appartenenti alla polizia statale; e, d'altra parte, solo una legge della Repubblica pu� stabilire l'ordinamento degli organi di polizia, di cui il Presidente e il Governo della Regione possono disporre. Con le impugnate norme la Regione ha, per tanto, travalicato i limiti della competenza legislativa fissati dagli artt. 14 e 17 dello Statuto siciliano, i quali, coerentemente con l'art. 31, non comprendono la materia dell'ordinamento della polizia. .Anche per quanto riguarda la polizia ammini strativa deve dichiararsi illegittima la impugnata disposizione dell'art. 7, perch�, in attuazione dell'ultimo capoverso dell'art. 31 dello Statuto siciliano, si sarebbe potuto prevedere la organiz zazione di corpi speciali, destinati alla tutela di particolari servizi ed interessi, ma non poteva farsi una generica attribuzione delle funzioni di polizia amministrativa all'Ispettorato regionale. Va ugualmente dichiarata l'illegittimit� dell'arti colo 2, lettera q, che si richiama all'art. 31 dello Statuto siciliano, perch� nel sistema della legge l'art. 2, lettera q e l'art. 7, parte impugnata, sono tra loro collegati, insieme esorbitando dalla com petenza regionale. ��---------- -135 CORTE DI CASSAZIONE COMPETENZA -Concessione in uso di bene demaniale -Imposizione di un canone -Controversia relativa alla legittimit� dell'imposizione -Competenza del giudice amministrativo. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 1666/63 -Pres.: Lonardo; Est.: Pece; P. M.: Criscuoli -Soc. Sogene c. Ministero dei Lavori Pubblici). Nel caso in cui il privato, che ha ottenuto dalla Pubblica Amministrazione la concessione in uso di , un bene demaniale contesti la legittimit� dell'imposizione di un canone relativo alla concessione stessa, la controversia, investendo la maniera con la quale la Pubblica .Amministrazione ha esercitato in concreto il proprio potere discrezionale, rientra nella competenza del giudice amministrativo e non gi� in quella del giudice ordinario. Oon questa sentenza la Oorte conferma i criteri -ormai consolidati -di discriminazione fra giurisdizione ordinaria e amministrativa in materia di concessioni, precisando che rientrano nella prima tutte e sole le controversie, le quali abbiano ad oggetto l'interpretazione e l'adempimento di una clausola inerente al regolamento convenzionale conseguente alla concessione e con questa connesso (concessione contratto) mentre' sono devolute alla giurisdizione amministrativa quelle, che riguardino il contenuto, intrinsecamente unitario ed inscindibile, delZ'atto amministrativo di concessione. Nella specie non si trattava d'interpretare una clausola del disciplinare, che costituisce il regolamento convenzionale conseguente alla concessione; ma di accertare la legittimit� dell'atto amministrativo, con il quale la Pubblica Amministrazione, nell'esercizio del suo potere discrezionale, aveva ritenuto di concedere l'uso eccezionale di un bene demaniale eto~usivamente previo pagamento di un canone, commisurato all'utilit�, che dalle concessioni il privato avrebbe tratto. L'intrinseca unit� ed inscindibilit� dell'atto amministrativo e del suo contenuto non consentiva altra soluzione, essendo evidente che il pagamento del canone era la causa o, quanto meno, una delle cause dell'atto amministrativo, che, il giudice ordinario non poteva modificare senza interferire -contro il divieto posto dall'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E -nell'esercizio dell'attivit� discrezionale riservata alla Pub'blica Amministrazione, ponendo, con la sentenza, l'equipollente di un diverso atto di concessione. Trascriviamo la motivazione della sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE La Societ� ricorrente ha dedotto che nella specie doveva essere ritenuta la giurisdizione ordinaria perch� veniva in contestazione il potere o meno, nella Pubblica Amministrazione, di imporre il pagamento di un canone, quale corrispettivo per il godimento in concessione di un bene demaniale. La censura � infondata. � esatto che ripetutamente queste Sezioni Unite hanno affermato il concorso della giurisdizione ordinaria quando il privato contesti, nei confronti della Pubblica .Amministrazione, la stessa esistenza di un potere discrezionale; il richiamo a tale indirizzo giurisprudenziale non �, per�, rilevante nel caso in esame. Infatti, la stessa Sogene non contesta gi� che rientri nel potere discrezionale della Amministrazione il concedere o meno in uso un bene demaniale~ ma nega che l'.Amministrazione possa condizionare tale uso al pagamento di un canone da parte del privato concessionario. Poich�, per�, la imposizione del canone attiene, in realt�, al modo di utilizzazione del bene concesso in uso, nel senso che si risolve nella determinazione di un onere relativo alla concessione, in realt� la contestazione ha per oggetto il modo che l'Amministrazione ha ritenuto meglio rispondente al pubblico interesse per la utilizzazione dello specifico bene demaniale dato in concessione. Ne segue che la illegittimit� dedotta dalla Sogene investe, in definitiva, la maniera con la quale la Pubblica .Amministrazione ha esercitato in concreto il proprio potere discrezionale, sicch� l'accertare la sussistenza o meno della dedotta illegittimit� rientra nella competenza del giudice amministrativo e non gi� in quella del giudice ordinario. D'altra parte, la censura della ricorrente vorrebbe operare una inammissibile frattura nel contenuto, intrinsecamente unitario ed inscindibile, dell'atto amministrativo in esame, non potendosi~ nella specie e contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, fare ricorso allo schema giuridico della concessione-contratto. Infatti, non sono venuti in discussione la interpretazione o l'adempimento di una clausofa, inerente ad un regolamento convenzionale conseguente alla concessione, postoch� nessun contratto era intervenuto tra la Pubblica .Amministrazione e la Sogene. Al contrario, era in discussione solo un atto autoritativo della Pubblica .Amministrazione~ del quale atto la Sogene, lungi dall'accettare il contenuto, ha contestata la legittimit�. Ancora pi� chiaro � poi il difetto della giurisdizione ordinaria in relazione alla domanda subordinata, con la quale la Sogene aveva richiesta al Tribunale la riduzione del canone di concessione,. comech� eccessivo. Tale riduzione, infatti, avrebbe importata quella modifica dell'atto amministrativo che �, invece~ istituzionalmente sottratta al potere del giudice ordinario. Concludendo, deve essere affermata la giurisdizione del giudice ammini.strativo e, per l~~fj:etto, il ricorso deve essere rigettato. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Contratti di locazione con la Pubblica Amministrazione -Rinno vazione tacita -Questione di diritto soggettivo. -13G AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Volont�; implicita della Pubblica Amministrazione -Inconfigurabilit� -Rinnovazione tacita del contratto di locazione Inammissibilit�. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 1817/63 -Pres.: Lonardo; Est.: Jannelli; P. M.: Criscuoli (conf.) -Rovegno c. Amministrazione Finanze dello Stato). 1) � competente il giudice ordinario a decidere della questione di rinnovazione tacita del contratto <li locazione concluso tra il privato e la Pubblica Amministrazione. 2) La volont� di obbligarsi della Pubblica .Amministrazione non pu� desumersi da facta concludentia, ma deve essere espressa nelle forme di legge e tra cui la forma scritta, richiesta ad sub-stantiam. Pertanto, in caso di locazione di un immobile <li propriet� della Pubblica Amministrazione, non pu� trovare applicazione l'istituto della rinnovazione tacita del contratto, che viene posto in essere con una manifestazione tacita di volont� di entrambe le parti contraenti -desunta dal fatto che il conduttore, alla scadenza del contratto, rimane nella detenzione della cosa locata senza l'opposizione del locatore -e che d� luogo a un negozio giuridico nuovo. La prima massima � di ovvia esattezza e non si comprende come la questione possa essere stata solleva. ta. La seconda massima, accogliendo la tesi dell'Avvocatura, conferma un indirizzo giurisp�rudrnziale ehe pu� ben dirsi ormai costante. DANNI DI GUERRA -Contributo per riparazioni Recupero spese. Cassazione, I Sezione Civile, Sentenza) 14 marzo 1963, n. 644 -Pres.: Celentano; Est.: Stella Richt.er; P. M.: Out.rupia -Finanze c. Colella). L'art. 55 della legge n. 968 del 1953, il quale fa obbligo al Ministero del Tesoro di liquidare d'ufficio i contributi per i danni di guerra a favore di persone fisiche o giuridiche i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra, siano stati ripristinati direttamente dallo Stato o da enti controllati dallo Stato con :finanziamenti concessi dallo Stato o dagli enti medesimi, demandando ad un successivo decreto presidenziale di stabilire le norme per il recupero della differenza tra gli esborsi anzidetti ed il contributo liquidato ove non vi provvedano gi� le disposizioni , vigenti, non � incompatibile con l'art. 40 del decreto legislalivo n. 261 del 1947, che impone al proprietario dell'edificio riparato dal genio civile di rimborsare i due terzi della spesa per la riparazione, ma si limita a stabilire il s�iiema di riscossione in dipendenza del credito che il privato abbia nei confronti dell'Amministrazione, nel senso che l'obbligo del proprietario di rimborsare i due terzi della 13pesa sostenuta dallo Stato � condizionato alla preventiva liquidazione del contributo attribuito dalla legge del 1953 �d � limitato quantitativamente per effetto della detrazione dell'ammontare della spei:m dell'importo del contributo. � La sentenza � cos� motivata : La tesi sostenuta dall'Amministrazione ricorrente pu� cos� compendiarsi: l'ar1r. 40 del D.L.C.P.S. 10 aprile 1947, n. 261 dispone che i proprietari dei fabbricati danneggiati per fatto di guerra, che siano tipristinati di ufficio dal Genio Civile, sono tenuti al rimborso delle spese di riparazione limitatamente ai due terzi. Tale disposizione � perfettamente compatibile con quella dell'art. 55, comma 3� della legge 27 dicembre 1953; n. 968, secondo la quale il Ministro del Tesoro provvede di ufficio alla liquidazione dei contributi a favore di persone i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra siano stati ripristinati direttamente dallo Stato o mediante :finanziamenti concessi dallo Stato o per suo conto. Da queste combinate norme risulta che i proprietari, nell'indicata ipotesi, sono tenuti al rimborso dei due terzi della spesa sostenuta dallo Stato, salvo ad aver diritto ad un contributo, che sar� liquidato tenendo conto dell'onere del rimborso anzidetto. La disposizione dell'art. 40 del decreto del 1947, �, invece, incompatibile con quella dell'ultimo comma dell'art. 55 della legge del 1953, secondo la quale con decreto del Presidente della Repubblica sarebbero state dettate le norme per il recupero, a favore dello Stato, dalla differenza tra gli esborsi per il ripristino dei beni e il contributo liquidato (decreto poi emanato il 30 giugno 1959, n. 638.) Ci� dimostra che l'ultimo comma dell'art. 55 della legge del 1953 regola una materia diversa da quella regolata dall'art. 40 del decreto del 1947, come � fatto palese dall'inciso finale �ove non provvedano gi� le disposizioni vigenti �. E la materia sarebbe quella dei lavori di ripristino dei fabbricati eseguiti ai sensi delle leggi 9 luglio 1940, n. 938 e 26 ottobre 1940, n. 1543, che non prevedevano l'obbligo dei proprietari di rimborsare le spese, vale a dire anteriormente alle leggi per il ricovero dei senza tetto (D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366; D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305 e D. L. O. P. S. 10 aprile 1947, n. 261). Quindi la norma in esame si applica solo rispetto ai lavori di ripristino iniziati prima del 31 agosto 1944, data di riferimento del D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366, che per primo sancisce l'obbligo del rimborso delle spese. In conclusione, qualora si tratti di lavori di riparazione o ricostruzione eseguiti sotto l'impero delle leggi per il ricovero di senza tetto, il proprietario � tenuto al rimborso dei due terzi della spesa sostenuta dallo Stato, senza poter invocare che dal relativo importo sia detratto il contributo spettantegli. La tesi � infondata. � da ricordare che hi; legge 26 ottobre 1940, n. 1543, la quale prevedeva un risarcimento integrale dei danni di guerra, ha avuto una limitatissima applicazione, per la gravit� dei danni e l'incertezza della situazione bellica, nonch� per la m�ncata iniziativa dei privati nella riparazione o ricostru~--zione dei fabbricati. Ma, essendosi determinata la mancanza di abitazioni, si sono dovute emanare le disposizioni legislative del 1944, 1945 e 194 7 sopra richiamate, in virt� delle quali lo ~tr tQ IHY -����--��----��-��-�-------��----------------------------- -137 vide al ripristino dei fabbricati, al fine di offrire un ricovero ai senza tetto. Lo Stato non ritenne poi di poter sostenere l'onere del risarcimento integrale dei danni di guerra, dato l'ammontare ingentissimo di essi, ma di dover solo dare un indennizzo parziale o un contributo alle ricostruzioni o riparazioni, e, in attesa di disciplinare tali sovvenzioni, stabil� l'obbligo dei proprietari di rimborsare i due terzi della spesa occorsa per il ripristino, calcolando che l'altro terzo pot�sse rappresentare l'indennizzo .a titolo di risarcimento. E appunto per la man- 0anza, in quel tempo, della disciplina del risarcimento, fece rinvio ad un secondo tempo per il -0omputo del dare e dell'avere: l'art. 87 del decreto del 1947, infatti stabilisce che l'ammontare della spesa doveva essere comunicato all'intendente di :finanza �ai fini di eventuali conguagli a favore del proprietario in sede di liquidazione di indennit� per danni di guerra� (analoga disposizione conteneva l'art. 65 del D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305). La nuova legge del 1953 disciplina gli indennizzi ~ i contributi per i danni di guerra: nell'art. 27 pone il criterio per la commisurazione dei contributi �e nell'art. 55 scioglie la detta riserva. Il credito da recuperare non � pi� quello indicato in via prov- visoria nei due terzi della spesa, ma solo quello dato dalla differenza tra l'importo della somma erogata nel ripristino e l'ammontare del contributo dovuto secondo la nuova legge, e che non pu� .in alcun modo eccedere i due terzi di quella somma, mentre di regola sar� minore. Invero l'art. 55 stabilisce che il Ministero deve provvedere di ufficio alla liquidazione dei contributi a favore delle persone i eui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra, siano stati ripristinati dallo Stato o con finanziamenti da esso concessi ovvero da enti controllati dallo Stato o con :finanziamenti dei medesimi. E demanda poi ad un successivo provvedimento le norme per il 1�ecupero della differenza fra i detti esborsi e il contributo liquidato, ove gi� per tale recupero non provvedano le disposizioni vigenti. In tali sensi statuiscono gli ultimi tre commi dello articolo, i quali non possono non essere considerati intimamente connessi tra loro, tanto pi� che l'ultimo richiama esplicitamente gli .altri due. Ora siffatto ultimo comma pone due principii, l'uno � che il contributo per danni di guerra va detratto all'ammontare degli esborsi effettuati per il ripristino dei fabbricati, appunto perch� il contributo � liquidato di ufficio, ai� sensi dei commi precedenti; l'altro � che le modalit� per il recupero della differenza saranno stabilite con decreto del Presidente della Repubblica, salvo che siano gi� stabilite dalle disposizioni vigenti. Quest'ultimo inciso perci� si riferisce solo alle modalit� per il detto recupero, modalit� in effetti stabilite dal D. P. R. 30 giugno 1959, n. 638, che riferendosi al 3� e 4� comma dell'art. 55 della legge del 1953, prevede l'emanazione di decreto del Ministero del Tesoro, determinativi delle somme, la notificazione di essi, il pagamento in unica soluzione o mediante ratizzazione, le impugnazioni e l'esecuzione. ~e consegue che il primo dei due principi enun ciati, vale a dire quello della detraibilit� del contri buto dell'ammontare della spesa da rimborsare, si applica in tutti i casi in cui il contributo �� spetta. Esso quindi si pone come una norma limitativa rispetto a quella dell'art. 40 della legge del 1947, .nel senso che l'obbligo del proprietario di rimborsare i due terzi della spesa sostenuta dallo Stato � condizionato alla preventiva liquidazione del contributo attribuito dalla successiva legge del 1953 ed � limitato quantitativamente per effetto della detrazione dell'ammontare della spesa dell'importo del contributo. La esposta interpretazione non contrasta con la natura di mero interesse legittimo riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza di questo Supremo Collegio e dalla dottrina all'aspettativa per il risarcimento dei danni di guerra. In vero la liquidazione del contributo resta rimessa all'amministrazione senza possibilit� di tutela avanti alla autorit� giudiziaria: se tale liquidazione non ha luogo, l'interessato non pu� richiederla al giudice, e cosi se essa non � adeguata, non pu� dolersene avanti al giudice. Ma la liquidazione medesima, essendo imposta all'amministrazione ed essendo necessaria per la determinazione della somma che il privato � tenuto a pagarle a titolo di rimborso della spesa per la ricostruzione, si pone come condizione per l'esercizio dell'azione, da parte dell'Amministrazione medesima per il recupero della differenza tra la somma erogata e l'ammontare del contributo. Per queste considerazioni il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine alle spese. Con la sentenza sopra riportata la Corte Suprema ha ritenuto illegittimo il comportamento fin qui seguito dall'Amministrazione, la quale aveva provveduto a richiedere, ai proprieta1�i degli immobili riparati a spese dello Stato, il rimborso dei dite terzi delle spese di riparazione, prescindendo dalla liquidazione del contributo per danni di guerra. Tale comportamento aveva, peraltro, ottenuto il conforto, sia pure implicito, di altra sentenza della stessa Corte di Cassazione (Sent. 6 ottobre 1960, n. 2577, in Giur. It., 1961, I, l, 9). L'Amministrazione ha deciso di adeguarsi alla ultima pronuncia del Hupremo Collegio. DOMICILIO -RESIDENZA -Trasferimento residenza all'estero -Opponibilit� al terzo di buona fede -For� malit� da osservare. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1921/63 -Pres.: Vistoso; Est.: D'Amico; P. M.: Caldarera (conf.) -Salviati c. Amministrazione Finanze dello Stato). La doppia dichiarazione, fatta al Comune che si abbandona e al Comune ove si fissa la nuova-. residenza � richiesta per la validit� del trasferimento nei confronti dei terzi di buona fede solo per il trasferimento di residenza da un comune all'altro nella Repubblica Italiana ma non � richiesta per il trasferimento in un Comune di Stato -lJl:S estero non potendo la legge italiana imporre adempimenti agli uffici comunali esteri; in tale fattispecie � sufficiente la sola dichiarazione del comune che si abbandona, .con la indicazione del Comune dello Stato estero ove si trasferisce la residenza. L'omessa indicazione del Comune estero rende il trasferimento inopponibile al terzo di buona fede , o immutata la residenza originaria. Trascriviamo la 1notivazione in diritto della sen tenza: Con il primo mezzo i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 142, 291 C.p.c. in relazione all'art. 44 e.e., sostengono che nel giudizio di appello doveva essere rilevata la nullit�: della notifica dell'atto di riassunzione, notifica eseguita in Roma, dopo la morte di Giacomo Salviati, anche per gli eredi Agnese e Gherardo, mentre risultava dai certificati anagrafici esibiti che avevano trasferito la residenza, la prima in Francia e il secondo nel Congo. Risulta dagli atti di causa -l'indagine di fatto � consentita a questa Corte, trattandosi di errore in procedendo -che, nella prima udienza istruttoria del giudizio di appello, si costitu� lo avv. Pacifici per Maria Teresa Salviati, quale erede di Giacomo S,alviati, deceduto nel corso del giudizio. Il Consigliere Istruttore dispose la integrazione nei confronti degli altri eredi. La Amministrazione delle Finanze provvide all'integrazione con atto del 25 marzo 1960, notificandolo ad Agnese, Bona e Gherardo Salviati, figli di Giacomo, e alla vedova Maria Immacolata Ca.pece Galeata; le copie furono consegnate, nel loro domicilio in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia, n. 11, all'addetto al servizio Luigi Rossi, nella loro precaria assenza. Restarono contumaci Agnese e Gherardo Salviati e la vedova Salviati. Dai certificati anagrafici del Comune di Roma, esibiti nel giudizio di appello, risulta che Agnese Salviati, maritata con Guido De Tulle di Villa.franca, � emigrata in Thennisei (Francia) il 6 luglio 1947, e che Gherardo Salviati � emigrato nel Congo il 27 aprile 1959. Ora, prendendo innanzitutto in esame ht notifica eseguita nei confronti di Agnese Salviati, non pu� dubitarsi che essa doveva essere fatta a norma dell'art. 142 C.p.c., come a persona non residente n� dimorante n� domiciliata ~n Italia. Il trasferimento della residente pu� essere opposto ai terzi se � stato denunciato nei modi prescritti dalla legge (art. 44 e.e.), e cio� con la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e a quello dove si intende fissare la dimora abituale: nella dichiarazione fatta al comune che si abbandona deve risultare il luogo in cui � fissata la nuova residenza (art. 31 delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile). Se per� si tratta di trasferimento della residenza all'estero non � richiesta la doppia dichiarazione: essa riguarda soltanto i trasferimenti da un comune all'altro dello Stato, non potendo la legge italiana imporre i correlat.ivi adempimenti agli uffici comunali esteri (Cass., 28 aprile 1949, n. 1014). Agnese Salviati, indicando all'ufficio anagrafico di Roma esattamente il luogo della sua nuova. residenza (Comune di Theri.n�sei in FfaiJ.cia) ha adempiuto gli obblighi di legge. N� pu� dirsi che essa abbia cqnservato il domicilio in Italia;. innanzitutto quando si trasferisce altrove la residenza, s'intende trasferito anche il domicilio, tranneche nell'atto in cui � stato denunciato il trasfer�-� mento della residenza si sia fatta una diversa dichiarazione (art. 44 e.e.); in secondo luogo la Salviati � coniugata e la moglie �ha il domicilio del marito (art. 45 C.c.). N� vale apporre che nella specie la prova della permanenza� del domicilio e� comunque della residenza in Roma � data dalla. attestazione dell'ufficiale giudiziario che provvide alla notifica della riassunzione, consegnandola a persona dipendente che dichiar� di riceverl::i, nella precaria assenza della destinataria. L'atto dello� ufficiale giudiziario fa fede fino a querela di falso� di ci� che egli attesta compiuto da lui e alla sua presenza, ma non delle verit� � delle dichiarazioni di chi riceve l'atto; la non rispondenza a verit� di queste dichiarazioni pu� essere dimostrata da prova contraria, e nel),�.l specie la prova � stata data con l'esibizione del certificato anagrafico. Deve ritenersi invece regolare la notifica eseguita nei confronti di Gherardo Salviati, che si era limitato a denunciare all'ufficio anagrafico di Roma il suo trasferimento nel Congo, omettendo di indicare la precisa localit�, richiesta invece dall'articolo 31 delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile; in mancanza deve ritenersi immutata la residenza originaria per i terzi di buona fede (Cass.,. 11 marzo 1958, n. 818; 13 aprile 1960, n. 872). ESECUZIONE FISCALE -Entrate patrimoniali dello Stato -Procedimento ingiunzionale speciale -Art. 1 n. 639 del 1910 -Ambito di applicabilit�. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1729/63 -Pres.! Torrente; Est.: Del Conte; P. M.: Trotta (conf.) Finanze c. C.R.A.L. di Cordignano). Per l'ampio e generico riferimento all'entrata patrimoniale, contenuto nell'art. 1 della legge n. 639 del 1910, lo Stato o gli altri enti pubblici ivi previsti possono avvalersi dello speciale procedimento ingiunzionale non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato. Tale procedimento, tuttavia, per la natura sui generis che cumula in s� le caratteristiche del titolo esecutivo e del predetto, e per il suo fondamento derivante dal potere di autoaccertamento della Pubblica amministrazione non pu� estendersi anche alle ipotesi in cui, come quella del risarcimento dei danni per fatto illecito, mancano i requisiti della certezza e della liquidit�-del credito o sia la causa giuridica che la prova della sussi-stenza e dell'ammontare del credito stesso, essendo completamente al di fuori della sfera. della Pubblica amministrazione, non possono essere apprezzate che dall'autorit� giudiziaria. . -�-�----��-�------------------------------------- -139 ESECUZIONE FISCALE -Entrate patrimoniali dello Stato -Ingiunzione di cui al T. U. 14 aprile 1910, n. 639 -Applicabilit� p�r crediti liquidi, esigibili e certi -Inapplicabilit� per crediti risarcitori. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1950/63; Pres.: Celentano; Est.: Di Majo; P. M.: Silocchi (conf.) -. Amministrazione Finanze Stato c. Soc. Cave Reno). L'ingiunzione fiscale di cui al Testo unico 14 :aprile 1910, n. 639 ha per suo fondamentale presupposto che il credito' in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la somma sia liquido, esigibile e quindi certo. Pertanto, la Pubblica Amministrazione non ha il potere di autotutelarsi con la speciale procedura coattiva di cui al detto Testo unico in ordine alle sue pretese di soddisfazione dell'obbligazione risarcitoria di terzi, trattandosi di crediti che mancano dei requisiti di liquidit�, esigibilit� e certezza. Trascriviamo la motivazione in diritto della se- conda sentenza. :E' da ritenere ohe l'indirizzo della Corte Suprema �nella materia debba considerarsi ormai consolidato. Con i due motivi del ricorso, che sono strettamente connessi, la Amministrazione ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione delle norme relative alle riscossioni delle entrate patrimoniali dello Stato (T.U. 14 aprile 1910, n. 630), deduce che erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto di escludere il potere di autoaccertamento della Pubblica Amministrazione, ai sensi delle indicate norme, di un credito risarcitorio derivante dalla abusiva occupazione di un bene demaniale. La censura � infondata. Non si dubita che l'ingiunzione :fiscale di cui al Testo unico n. 639 del 1910 tenda alla sollecita riscossione delle entrate patrimoniali e dei pro- venti del demanio pubblico e dei pubblici servizi dello Stato e degli altri enti pubblici indicati nello .art. 1 di detto Testo unico, e che l'ingiunzione medesima costituisca una estrinsecazione del potere di supremazia dello Stato e di detti Enti in relazione ai fini c1 i �:ecessaria utilit� generale perseguiti dalla Pubb: __: Amministrazione (sent. 381/1959; 2125/1961). Ma � agevole considerare, nel quadro del sistema generale dell'ordinamento giuridico, che trattasi pur sempre d'ingiunzione, la quale ha a suo fondamentale presupposto che il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la somma dovuta sia liquido, esigibile e quindi certo (sentenza Sezioni Unite, n. 3156 del 1936). Il che ov- viamente non � configurabile per i crediti risarcitori in genere che l'Amministrazione pu� vantare verso terzi appunto perch� tali crediti mancano di quei requisiti di liquidit�, esigibilit� e certezza, che -costituiscono condizione necessaria per il sorgere di quel potere di supremazia estrinsecantesi nell.a ingiunzione. In relazione poi al non discutibile principio che �di regola solo il giudice ordinario pu� assicurare la tutela dei diritti . soggsttivi g-a:ran.titi . dalla norma giuridica, anche nei riguardi della Pubblica Amministrazione, deve ritenersi che non � sicuramente consentito all'Amministrazione stessa il potere di autotutelarsi, con la� speciale procedura coattiva del 1910, in ordine alle sue pretese di sodisfazione dell'obbligazione risarcitoria di terzi (come quella di cui � causa), la quale obbligazione pu� acquistare carattere di certezza, nei rapporti controversi, soltanto, come si diceva, attraverso il crisma del giudice e nei modi ordinari. IMPOSTA DI REGISTRO -Finanziamenti accordati da Istituti di credito con contestuale rilascio di cambiali -Assorbimento dell'imposta di registro dovuta per il finanziamento in quella di bollo scontata sulle cambiali. (Cassazione, Sezione I, 5 aprile-11 luglio 1963, n. 1873 -es.: Vistoso; Rei.: Caporaso; Pr. M.: Cutrupia -Finanze. c. S.p.A. Ercole Marelli). Sia secondo il Regio decreto 19 marzo 1936, n. 2170 che secondo la legge 4 aprile 1953, n. 261, con norme di favore per l'imposta di registro sui finanziamenti accordati da Istituti di Credito in relazione a cessioni di credito verso Pubbliche Amministrazioni dipendenti da appalti o forniture, l'imposta di registro dovuta per i :finanziamenti � surrogata, nel caso di contestuale rilascio di cambiali, dalla imposta di bollo scontata per queste ultime anche se le cambiali, integralmente trascritte, non siano rilasciate solvendi causa, ma con mera funzione di garanzia. In diritto la sentenza � cos� motivata: Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione delle Finanze lamenta che la questione :fiscale di cui si tratta sia stata decisa in base alla legge 4 aprile 1953, n. 261, la quale � successiva al tassato rogito Mossolin 11 giugno 1951: perci� non � applicabile nella specie . Senza dubbio la norma tributaria vigente alla epoca della stipulazione dell'atto di :finanziamento concesso dalle Casse di Risparmio alla ditta Marelli e garantito da cessioni di credito verso il Comune di Napoli era quella contenuta nell'art. 1 del regio decreto 19 dicembre 1936, n. 2170, esattamente richiamato nella parte espositiva della sentenza impugnata. La quale per�, nel precisare i termini della norma di legge applicabile nella specie, si � esclusivamente riferita alla cc nota� dell'art. 2 della citata legge 4 aprile 1953, n. 26. Ci� sul presupposto, del resto pacifico fra le parti, che per le operazioni di :finanziamento da parte degli istituti di credito di cui al decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, con corrispettive cessioni di credito verso la Pubblica Amministrazione, l'esenzione fiscale prevista dalle due successive norme di legge sia rimasta fondamenta1--mente immutata. La stessa Amministrazione aveva, sia nell'atto di appello sia nella comparsa conclusionale, testualmente premesso, che l'agevolazione tributaria, prevista dall'art. 1 del Regio decreto legge -19 settembre 1936, n. 2170 corrispondev.a -140 - esattamente a quella previ3ta dalla nota dell'articolo 2 della legge 4 aprile 1953, n. 261 e proseguiva affermando che per tale agevolazione la legge pone due condizioni: a) che il finanz~amento sia posto in essere con le cambiali; b) che le cambiali siano trascritte nell'atto. L'Amministrazione poneva quindi la questione, come tuttora la pone, negli stessi termini e con le stesse argomentazioni gi� svolte in fattispecie identiche, sicuramente regolate dalla nuova legge dell'aprile del 1953 (vedi, da ultimo, Oass., 14 febbraio 1963, n. 321). Ci�, del resto, si spiega agevolmente col fatto che la lettera, il contenuto e la ratio delle due norme si identificano in maniera evidente, poich� l'una parla di � finanziamento posto in essere con cambiali>> e l'altra di �finanziamento posto in essere mediante cambiali>>. La questione sorta in questo come altri precedenti giudizi � dunque sempre la medesima, stabilire, se, alla stregua dell'una e dell'altra norma di legge, il beneficio sia dovuto solo se si tratti di rapporto di credito posto in essere mediante rilascio di cambiali solvendi causa (tesi dell'Amministrazione Finam~iaria), ovvero anche se si tratti di finanziamento collegato ad un rapporto cambiario accessorio, avente funzione di garanzia. Di questo problema si occupa il secondo motivo di ricorso. Ma, come si � gi� accennato, la questione � stata risolta da precedenti _ decisioni di questo stesso Collegio il quale h� accolto la tesi che anche nel caso in cui il rilascio di cambiali da parte del debitore sia solo a garanzia del finanziamento concesso dalla banca dietro cessione di crediti verso enti pubblici per appalti di lavori e forniture di merci, la tassa graduale di bollo scontata dalle cambiali medesime assorbe quella proporzionale di registro dovuta per l'atto di finanziamento (Sent. n. 1044 del 1961 e 321 del 1963). Tale massima si fonda principalmente sul rilievo che secondo la stessa previsione della legge deve trattarsi di due diversi rapporti, di finanziamento e cambiario, certamente collegati tra loro, ma non fino al punto che le cambiali debbano necessariamente essere rilasciate solvendi causa e non a scopo di garanzia del finanziamento medesimo. Il rapporto cambiario pu� avere anche uno scopo semplicemente sussidiario e strumentale, cio� concorrente al pi� rapido e sicuro recupero della sovvenzione accordata al soggetto passivo dell'operazione di finanziamento. Pertanto, alla surrogazione della imposta proporzionale di registro, si ha diritto anche nella ipotesi in cui le cambiali assolvono, come nel caso concreto, una funzione di garanzia della obbligazione assunta dal sovvenuto. Con le precedenti decisioni di cui sopra questa Corte ha altres� ritenuto che � irrilevante la presenza di clausole contrattuali dirette a disciplinare le modalit� del finanziamento indipendentemente dal rapporto cambiario, sempre per la medesima ragione che trattasi di due distinti rapporti, sebbene funzionalmente collegati. Per conseguenza non ha fondamento neppure il terzo ed ultimo motivo di ricorso con il quale si sostiene la tesi contraria, facendosi richiamo alla giurisprudenza relativa al t.rattamento tributario delle cambiali ipotecarie. Ma � stato gi� rilevato che � divers�' il presupposto del regime tributario in materia di ca,.mbiali ipotecarie, sicch� i principi . st~bj}iti per quella fattisp�cie non possono valere anche per la diversa ipotesi disciplinata con l'art. 1 della _bgge del 1936 e pci dall'art. 2 della legge del 1953. A) Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha confermato, anche per la legge 19 marzo 1936, nu mero 2170, quello che in ripetute occasioni (cfr. Sen tenze 1044/61-1046/61 e 321/63) ha affermato, per il regime agevolato, ai fini dell'imposta di registro, dei finanziamenti concessi dagli Istituti di credito, contemplati dal decreto-legge 375 del 1936, in relazione a cessioni, pro soluto o pro solvendo, di crediti verso Pubbliche Amministrazioni dipendenti ?da appalti, lavori o forniture di merci. La lettera, : il contenuto e lo spirito sia dell'una che dell'altra nm�ma di legge -precisa. la Corte di Cassazione portano a ritenere che l'assorbimento delle imposte di registro per il finanziamento in quelle di bollo per le cambiali riceve applicazione non solo nel caso in cui le cambiaU predette svolgono il ruolo di titolo costitutivo e pi� precisamente di me.zzo di attuazione del finanziamento, ma anche nel caso in cui svolgono il ruolo di garanzia, di titolo parato concorrente al pi� rapido e sicuro recupero della sovvenzione. .AZle argomentazioni in contrario addotte sia con richiamo alla lettera della legge finanziamento posto in essere mediante cambiali che alla posizione, nei singoli atti, di clausole che disciplinano, di solito, il finanziamento in modo diverso dal rapporto cambiario, la Corte di Cassazione ha opposto che nella stessa previsione legislativa si contemplano due diversi rapporti -finanziamento e cambiali -e che lo scopo del particolare trattamento fiscale � quello di escludere il concorso delle imposte graduali di bollo smle cambiali e delle imposte proporzionali di registro sul finanziamento. I)a ci� la necessit� di un collegamento fra finanziamento e rapporto cambiario e non anche di una loro compenetrazione. Le ripetute pronunce, in tale senso, intervenute nella particolare materia, costituiscono, ormai, giurisprudenza costante, alla quale non resta che uniformarsi. IMPOSTA DI REGISTRO-Pagamento dell'imposta Privilegi nei confronti del terzo acquirente -Termine di decadenza di quattro anni. (Corte di Cassazione, Sezione I, Civile 24 aprile 1963, n. 1086 - Lucertoni c. Lunghi). L'azione esecutiva del Fisco (o di chi gli si surroga) per la riscossione del credito per imposta di registro e il relativo privilegio nei confronti del terzo acquirente dell'immobile sono soggetti al termin�,di decadenza di quattro anni decorrente dalla data di registrazione dell'atto di compravendita ciii -si riferisce il tributo: tale termine, previsto dal 2� comma dell'art. 97 della legge di registro, � di decadenza e non di prescrizione e come tale non � soggetto a sospensione n� ad interruzione. ".,.... ,.,...., ..,�--�-�------------------------~"'"" -141 ;,__ Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con il quarto mezzo il ricorrente, denunciando la violazione degli art. 97, u.c. e 98 regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3269, in relazione all'art. 360 n. 3 C.p.c., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, gli atti che interrompono la prescrizione ai sensi dell'art. 141 legge registro se esplicano la loro efficacia nei confronti di tutti i condebitori solidali dell'imposta, non spiegano alcun �ffetto nei confronti del te~ossessore, il quale non � un condebitore solidale, ma � invece un responsabile; con la conseguenza che non pu� non verificarsi la prescrizione quando nessun atto interruttivo venga posto in essere direttamente contro il terzo possessore. Questa censura � fondata. La risoluzione della questione proposta col mezzo postula ovviamente la :risoluzione dell'altra circa la natura del termine previsto dall'art. 97, ultimo comma, della legge del registro, se cio� trattisi di termine di prescrizione o di decadenza. Come � ben noto, l'art. 97 cit., nello stabilire al 1o comma che lo Stato ha privilegio, secondo le norme stabilite dal Codice civile, per la riscossione delle tasse di registro sui mobili ed immobili cui la tassa si riferisce, privilegio che garantisce anche la tassa di registro dovuta sul maggior valore accertato nel giudizio di stima, detta poi nel 2� comma che �l'azione si estingue nei termini stabiliti dalla presente legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento �. La Corte del merito ha ritenuto che tale termine sia di prescrizione e non di decadenza facendo leva sull'argomento che il cennato precetto fa esplicito riferimento agli� articoli contenuti nel titolo VI capo I della legge di registro che tratta cc delle prescrizioni n e precisamente agli art. 136 e 137 (successivamente modificati dall'art. 1, n. 1 della legge 25 giugno 1940, n. 799 che ha prolungato di un anno il termine di tre anni); si � detto al riguardo che la legge ha voluto in sostanza misurare la vita dell'azione reale contro il terzo possessore sulla durata concreta dell'azione personale nei riguardi del debitore d'imposta per evitare, che con il passaggio dei beni, il privilegio potesse estinguersi prima e indipendentemente dal credito di imposta e si � concluso che pertano gli atti interruttivi che impediscono la prescrizione contro il :!" persllonalmalente �obtb1!g~tot impediscono ugu(alment~ , que a re e con ro i 1erzo possessore come s1 era veri.1:�&to nel caso di spede) Ma questa interpretazione, come ha esattamente osservato il Procuratore generale nella requisitoria orale, non pu� essere condivisa. Il termine previsto nell'art. 97, 2� comma legge di registro � di decadenza e non di prescrizione. L'argomento addotto-dai Giudici del merito non sembra effi� ciente a favore della tesi da essi adottata: che anzi da esso si rilevano ragioni contrarie alla tesi medesima. Infatti, � agevole osservare che il richiamo fatto dah'art. 97 (collocato nel capo eh.e si intitola �~el pagamento della tassa e dell'azione personale e reale per la loro riscossione�) agli artt. 136 e 137� (posto inveca nel capo �delle prescrizioni�) sarebbe stato del tutto inutile se si fosse traittato di termine di prescriz:one,perch� i diritti reali argaraniia, in cui sono attratti i privilegi specia.li, non possono che seguire, per la loro stessa struttura, le sorti ,del credito cui accedono. Una volta estinto il credito principale � ovvio che quello di garanzia non pu� autonomamente rimanere in vita. Escluso, per ragion di sistema, che il legislatore abbia voluto enunciare con l'art. 97, 2� comma, Iun precetto del tutto superfluo, indub!:>Jamente il 1 precetto stesso deve avere altra ratio. E precisa . mente quella che si identifica nella avvertita necessit� di porre un limite ben determinato alla durata del privilegio. �Posto infatti che tale garanzia reale (svincolata anche da ogni pubblicit� immobiliare) consente allo Stato creditore (o a chi ad esso si surroga) di perseguire il bene anche quando questo �~assato dal patrimonio del deoitore nelle mani di t~zi, estranei al debito d'imposta, si � ritenuto opportiiii�~- per"�onsfileraif�n.r��ar. ordine pubblico, che attengono al principio di certezza e tutela della propriet� immobiliare, di prefiggere appunto un termine rigido entro il quale la azione priv!!,.egiata possa essere esercitata. E la locuzione usata nella norma in esame offre ulteriore argomento a conforto della tesi qui sostenuta (e seguita in tal senso dalla prevalente dottrina del diritto tributario), giacch� nell'art. 97, 2� comma, della legge di registro si dice che l'azione si estingue richiamandosi cos� un concetto di eliminazione automatica (ipso iure) del corrispondente diritto soggettivo. Per vero il Codice civile abrogato, cui la legge di registro � ovviamente adeguata, a proposito della prescrizione, non parlava di estinzione, ma diceva invece che � tutte le azioni tanto reali quanto personali si prescrivono n (art. 2135) e l'art. 137 della legge cennato usa infatti la stessa espressione nel capo che regola le prescrizioni (l'azione della Finanza... si prescrive ... ) a differenza del Codice vigente che, risolvendo l'antica questione se con la prescrizione si estingua il diritto soggettivo materiale o l'azione, detta che �ogni diritto si estingue per prescrizione� (articolo 2934). Deve ritenersi perci� che il legislatore abbia voluto ancorare l'estinzione del privilegio unicamente al fatto oggettivo della mancanza di esercizio del relativo diritto nel tempo stabilito (che coincide con quello della prescrizione del debito d'imposta), e non gi� al fatto soggettivo della inerzia del titolare protratta per il tempo medesimo. E questo porta a concludere che trattasi di decadenza e non di prescrizione con la necessaria conseguenza che la decadenza non tollera n� sospensione, n�� interruzioni (art. 2964). � Fermo in definitiva l'indirizzo segnato da questa Corte Suprema a Sezioni Unite secondo cui il ven-ditore il quale �bbia pagato per conto del compratore la tassa (principale o complementare) di registro ha diritto di rivalsa sull'immobile gravato dal privilegio,. a chiunque questo appartenga, giacch� la garanzia reale, per il diritto di seguito si tra -142 :sferisce ai successivi acquirenti dell'immobile (sentenza 1468 del 1955, Foro It., 1956, I, 66), la. censura del mezzo deve essere accolto sul punto di cui si � discorso con rinvio della causa ad altra .Sezione della stessa Corte di appello che nel nuovo esame si atterr� al principio di diritto che qui viene , enunciato: �In conformit� alle esigenze di sicurezza nella circolazione dei beni, specie immobi ( liari, il termine previsto dall'art. 97, 2� comma della legge di rfgistro � di decadenza e non di prescrizione e come tale non subisce n� sospensioni n� interruzioni, sicch� l'azione esecutiva del Fisco . {o di chi ad esso si surroga) per la riscossione del �credito privilegiato sull'immobile oggetto del privilegio si estingue col decorso di quattro anni che l._ decorrano dalla data di registrazione dell'atto di compravendita cui si riferisce il tributo �. A) L'azione esecuti'Va reale, per la riscossione del credito per imposta di registro, sui beni ai quali la imposta stessa si riferisce, si estingue nel termine di tre anni, indicato dal combinato disposto degli artt. 97 e 136 della L.O.R. e non di quattro anni. La legge 25 giugno 1940, n. 799, infatti, ebbe a porre in 'Via del tutto occasionale ed eccezionale, una proroga ai termini di prescrizione e di decadenza previsti dalla L.O.R. per ragioni connesse con lo stato di guerra. .A simiglianza, invero, di quanto avvenuto per la guerra 1915-1918 per effetto del -decreto legge 21 maggio -1916, n. 621; decreto legge 1� aprile 1917, n. 558; legge 11agosto1921, n. 1083; �legge 6 dicembre 1923, n. 2696 e regio decreto legge 2 maggio 1925, n. 622, per la guerra 1940-45 la legge 25 giugno 1940, n. 799 prorog� i termini sud- detti di un solo anno solare. Perdurando lo stato di ,guerra, alla scadenza di tale anno, avvenuta il 15 luglio 1941, intervenne la legge 4 luglio 1941, n. 693 che prorog�, sempre in via eccezionale ed occasionale, i termini stessi fino ad un anno dopo J,a dichiarazione della cessazione dello stato di guerra e precisamente fino al 15 aprile 194 7 (la cessazione -d~llo stato di guerra fu dal D.L.L., n. 49 del 1946 fissata al 15 aprile 1946). Per ragioni connesse con il passaggio dalla legi. slazione di guerra a quella di pace, tale ultimo .termine fu ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1947 con il D.L.C.P.S. 16 novembre 1946, n. 476; al 31 dicembre 1949 con il D.L.C.P.S. 23 dicembre 1947, n. 1464 e per ultimo al 31 dicembre 1951 �con la legge 23 dicembre 1949, n. 926. Nella sentenza annotata, intervenuta fra parti private della proroga di un anno recata dalla legge 25 giugno 1940, n. 799 � stato dato atto, senza, per�, che fosse affrontata e risolta la natura occasionale �della stessa, le ragioni che l'hanno determinata ed il carattere essenzialmente temporaneo, a chiare note dimostrato dalle ricordate leggi successive e dai :richiami ai precedenti legislativi in esse contenuti. B) Il carattere di decadenza del termine in que �Stione contrasta con l'indirizzo giurisprudenziale formatosi al riguardo con la sentenza 8 luglio 1920 �della stessa Corte di Cassazione e con le decisioni 6 maggio 1941, n. 40903; 18 febbraio 1943, n. 66798; :26 maggio 1947, n. 90212 e 6 maggio 1931, n. 20902 della Commissione centtale delle Imposte. Contrasta anche con autorevole Dottrina (Cfr. I.AMMARINO: Commento alle Leggi di Registro, 'Vol. II pag. 43; RASTELLO: L'Imposta di Registro, Pllfl.:. 961 e segg.). Sia l'iina che l'altra hanno, infatti, costantemente ritenuto che il termine fosse di prescrizione e che l'interruzione 'Validamente operata nei confronti 'del soggetto passi'Vo di imposta, spiegasse i propri effetti anche nei confronti del terzo possessore. La ragione � stata rav'Visata nel fatto che l'azione reale per la riscossione dell'imposta di registro ha la stessa durata, per espressa norma di legge, di quella personale e gli atti interrutti'Vi di questa seconda azione, notificati al soggetto passi'Vo, hanno efficacia interrutti'Va anche nei riguardi del terzo possessore (contra cfr. BERLIRI: Legge di Registro 1952, pag. 376 e segg.; UKMAR, III 136 e segg.; PERRICONE: Trattato di Diritto Tributario di Registro, pag. 626). La qual cosa, appare esatta dato che, la formula zione stessa della norma contenuta nell'art. 97 della L.O.R. porta a ritenere che la estinzione del privilegio segue, come conseguenza necessitata, alla estinzione del diritto di credito per a'V'Venuta prescrizione. Il principio della certezza e della tutela della propriet� immobiliare non resta sacrificato. Poich� il diritto di prelazione nasce al momento della registrazione, il terzo possessore � in condizioni, al momento dell'acquisto del bene, di accertare se, giusto quanto stabilisce l'art. 10 della legge 12 giugno 1930, n. 762, presso l'Ufficio del Registro competente, 'Vi siano accertamenti in corso. IMPOSTA DI REGISTRO -Prorr.essa di vendita Registrazione a tassa fissa -Promessa di vendita costituente vera e propria vendita., -Art. 5 Tariffa all. A -Tassa proporzionale. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 11/63 -Pres.: Varallo; Est.: Rossano; P. M.: Silocchi (conf.) -Amministrazione delle Finanze dello Stato c. Baravelli) La promessa bilaterale di vendita immobiliare ha per oggetto non il trasferimento della propriet�. dell'immobile, ma l'obbligo di concludere il contratto che attua tale trasferimento, ed �, pertanto, soggetto alla tassa fissa e non a quella proporzionale di registro; peraltro, qualora il contratto sia qualificato dalle parti come promessa bilaterale di vendita, ma costituisca una vera e propria vendita, in quanto le parti abbiano voluto attuare il trasferimento del dominio, � applicabile la tassa proporzionale a norma dell'art. 5 della tariffa, allegato .A, della legge 30 dicembre 1923, numero 3269. Trascri'Viamo la moti'Vazione della sentenza, che conferma la giurisprudenza ormai costante della Corte Suprema (in senso conforme sent. n. 1927 del 15 luglio 1963 in causa Oanna'V� o. Finanze. L'.A'Vvocatura dello Stato si adeguer� a��tdle indirizzo giurisprudenziale. Con l'unico motivo del ricorso principale denunciandosi la violazione dell'art. 5 della tariffa. allegato .A della legge di registro 30 dicembre 1923, . �����-��-�----------------- 143 n. 3269, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che per la registrazione degli atti contenenti promesse bilaterali di vendita sia dovuta la tassa fissa anzich� quella proporzionale. Al riguardo si deduce che tale interpretazione sarebbe contraria. al chiaro dettato della legge, la quale stabilisce che � dovuta la tassa proporzionale �per le promesse di vendita se esiste il consenso delle parti sulla cosa e sul prezzo �. La censura � infondata. Come questa Corte ha pi� volte affermato, (vedi da ultimo sentenza n. 1473 del 1948) la promessa bilaterale di vendita immobiliare, avendo per oggetto non il trasferimento della propriet� dell'immobile, ma l'obbligo di concludere il contratto che attua tale trasferimento, � soggetta alla tassa fissa e non a quella proporzionale di registro, la qua.le, a norma dell'art. 4 della legge di registro � applicabile alle cc trasmissioni a titolo oneroso di propriet� �. � vero che l'art. 5 della tariffa allegato A di detta legge assoggetta alla tassa proporzionale le promesse di vendita di immobili, ma tale norma, che si ricollega attraverso le precedenti tariffe del 1897, del 187 4, del 1866, del 1862 e del 1854 a.I Codice Albertino, e, quindi, al Codice Napoleonico, secondo il quale la promessa di vendita equivale alla vendita se vi sia il consenso delle parti sulla cosa e sul prezzo (art. 1589), fu formulata in relazione a questa, concezione, che era dominante nel momento in cui la .tariffa fu compilata. Ora, poich� per effetto della elaborazione dottrinale e giurisdizionale la promessa bilaterale di vendita � concepita non pi� come equivalente alla vendita se sussistono i requisiti essenziali di questo contratto, ma come rapporto sinallagmatico avente per oggetto l'obbligo di concludere la vendita, l'interpretazione del citato articolo non pu� prescindere da tale mutamento di concezione e, pertanto, deve ritenersi che esso si riferisca a quei contratti che, pur qualificati promesse bilaterali di vendita, sono delle vere e proprie vendite, in quanto con essi le parti abbiano voluto attuare il trasferimento del dominio. Tale interpretazione, peraltro, trova conferma nel fatto che l'articolo � posto sotto la rubrica Trasferimento a titolo oneroso. �, quindi, estranea alla norma in esame la fattispecie in cui il contratto comporta soltanto l'obbligo di concludere una successiva convenzione senza ancora produrre il trasferimento della propriet� della cosa, la fattispecie, cio�, che la moderna concezione, recepita nell'art. 1351 del Codice civile, qualifica come contratto preliminare meramente obbligatorio. ~}{i Nella specie, la Corte di merito si � puntualmente uniformata a tale interpretazione perch�, accertato, con incensurabile apprezzamento di fatto, che con l'atto qualificato promessa di vendita le parti non vollero trasferire la propriet� delle aree edificabili, ma si obbligarono ad addivenire alla vendita di esse in un momento successivo, ha ritenuto che esso fosse soggetto alla tassa fissa di registro. IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Aziende eIstituti di credito -Reddito di Categoria B -Pagamento im posta per interessi passivi in -sostituzione. ..dei depo-� sitanti -Rinunzia esercizio facolt� di rivalsa -Per dita e non spesa -Indetraibilit�. (Corte di Cassazione~ Sezione I, Sentenza n. 1115/63 -Pres.: Vistoso; Est.� Malfitano; P. M.: Trotta (conf.) -Finanze c. Banca. Popolare Milano). Il pagamento dell'imposta di Ricchezza Mobile di categoria A eseguito dalle Aziende e dagli Istituti di credito, in sostituzione dei depositanti,. sugli interessi da questi percepiti, non d� luogo ad una spesa inerente alla produzione del reddito di categoria B che tali aziende e istituti ritraggono. dall'esercizio della loro normale attivit�, ma fa sorgere a favore degli enti medesimi un credito verso i depositanti fondato sul diritto alla rivalsa della somma pagata, espressamente sancito dallo art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231. La rinunzia all'esercizio di tale diritto di creditosi risolve in un onere di esercizio qualificabile come cc perdita �. La somma di denaro nella quale si sostanzia la. perdita � detraibile dal reddito di categoria B delle aziende e degli istituti anzidetti soltanto nel caso che la rinunzia sia imposta da cause del tuttoestranee alla volont� del creditore. La Oommissione Oentrale aveva ritenuto -con la decisione n. 32148 in data 12 ottobre 1960 della Sezione I -che l'imposta di Ricchezza Mobile, categoria A, corrisposta dagli istituti e dalle aziende di credito -con rinunzia all'esercizio del diritto di rivalsa previsto dall'art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231 -sugli interessi aventi natura d� redditi di capitale, riconosciuti a favore dei depositanti, dovesse detrarsi, come spesa necessaria alla produzione del reddito (art. 32 T.U., 24 agosto 1877, n. 4021), dall'imponibile di Ricchezza Mobile, categoria B determinato nei confron# degli istituti e delle aziende medesime. Siffatto carattere di spesa necessaria alla produzione del reddito, riconosciuto dalla Oommissione Oentrale al mancato esercizio della rival8a d'imposta} sarebbe derivato dal fatto che la riminzia sarebbe stata imposta dalle inderogabili condizioni di mercato (usi, cartello bancario, ecc.). L'Amministrazione delle Finanze, impugnando con ricorso per Oassazione ex art. 111 Oost. tale decisione, rilev� che il pagamento dell'imposta d� categoria A in luogo dei depositanti non fa sorgere -per gli effetti di cui al citato art. 32 del Testo unico, n. 4021 -un costo o una spesa per le aziende ed istituti di credito, ma determina pi� esattamente il sorgere di un credito verso i reddituari, fondato sul diritto, dichiarato dalla legge, all'esercizio della rivalsa. Solo successivamente, e cio� q-q._a~do le aziende rinunciano alla realizzazione del creditoh si manifesta un onere di esercizio qualificabile come perdita per insussistenza di attivo. In altri termini, trattandosi di un onere facente carico al percipiente del reddito, non pu� parlarsi di cc spesa >) per le aziende ed istituti di credito, ma di � perdita �. -144 Precis� l'Amministrazione che la definizione giu �ridioa dell'onere assume notevole rilievo, in quanto, mentre per le cc spese �l'indagine diretta alla ricerca del carattere d'inerenza, richiesto dalle disposizioni in materia ai fini della detrazione, si arresta dinanzi alla constatazione della relazione di causalit� economica esistente fra le spese ed il reddito da assoggettare a tassazione, nel caso di cc perdite � per mancato realizzo di credito l'indagine supera tali limiti e si estende alla ricerca della volontariet� o meno della rinunzia al credito, in quanto l'onere relativo pu� trovare considerazione tributaria, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 31 del Testo unico, n. 4021, solo nel caso che, ferma restando la relazione di afferenza o inerenza alla produzione del reddito tassabile, la rinuncia sia imposta da situazioni estranee alla volont� del creditore, potendosi altrimenti configiirare un mero atto di liberalit� o comunque di rinunzia che non pu� incidere sul reddito da acquisire alla tassazione, come ritiene la copiosa giurisprudenza della stessa Commissione Centrale. La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza sopra massimata, ha accolto il ricorso dell'Amministrazione, cos�. motivando nella parte essenziale: Il pagamento dell'imposta di ricchezza mobile di categoria A eseguito dalle aziende e istituti di credito, in sostituzione dei depositanti, sugli interessi da questi percepiti, non d� luogo a una spesa inerente alla produzione del reddito, di categoria B che tali aziende e istituti ritraggono dall'esercizio della loro normale attivit�, ma fa sorgere a favore degli enti medesimi un credito verso i depositanti, fondato sul diritto all'esercizio della rivalsa della somma pagata, espressamente sancito dalla legge (art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231). Se, poi, le aziende o gli istituti non esercitano tale diritto, il pagamento dell'imposta si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita. Ora, mentre per le spese inerenti alla produ . zione l'indagine diretta ad accertare tale inerenza, richiesta dalla legge come condizione necessaria per la loro detraibilit� dal reddito medesimo, si esaurisce di fronte alla constatazione dell'esistenza del rapporto di causalit� economica tra le spese e il reddito, per la perdita dovuta alla rinunzia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito, tale indagine si estende alla ricerca della volontariet� o meno della rinunzia, in quanto la somma di denaro nella quale si sostanzia la perdita, � detraibile dal reddito soltanto nel caso che la rinunzia sfa imposta da cause del tutto estranee alla volont� del creditore. Nella specie, la Commissione Centrale non si � uniformata a tali principi perch� ha ritenuto che la somma pagata dalla Banca Popolare di Milano per imposta di ricchezza mobile di categoria A sugli interessi percepiti dai depositanti fosse una spesa inerente alla produzione del reddito derivante dalla sua normale attivit� e che tale somma fosse detraibile da questo ai fini della determinazione dell'imponibile di ricchezza mobile di categoria B, sebbene non fosse stato accertato che la rinuncia da parte della Banra alla rivalsa della somma :pagata non fosse volontaria. N� la volontariet� della rinunzia poteva essere esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza di usi e accordi interbancari in tal -senso, perch� questi, invece, confermano tale volontariet�. I. G. E. -Ricostruzione di naviglio sinistrato per cause di guerra -Esenzione -Pagamenti effettuati dai cantieri per lavori rientranti nel quadro della ricostruzione -Applicabilit�. SPESE GIUDIZIALI -Onere -Azione per rimborso I. G. E. oltre termine art. 41 legge n. 762 del 1940 Soccombenza Amministrazione -Esenzione. RIMBORSO DI TRIBUTI NON DOVUTI -Interessi Decorrenza -Legge 26 gennaio 1961 n. 29 -Applicabilit� ai rapporti pregressi non ancora esauriti. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1114/63 - Pres.: Celentano; Est.: Caporaso; P. M.: Trotta (couf.)Finanze c. Soc. O.T.O.). L'esenzione dall'I.G.E., prevista dall'art. 9 del decreto legislativo 29 giugno 1947, n. 779 � applicabile, non soltanto ai pagamenti effettuati dai committenti proprietari od armatori ai cantieri incaricati dell'esecuzione di lavori di costruzione, riparazione, modificazione o trasformazioni navali, ma anche agli acquisti di materiali e di macchinari effettuati dai cantieri navali per eseguire lavori che rientrino nel quadro della ricostruzione del naviglio sinistrato dalla guerra, ed ai pagamenti effettuati dai cantieri stessi per singole prestazioni. La norma demanda al Ministero della Marina Mercantile di certificare che il pagamento concerne in concreto un contratto avente ad oggetto un complesso di lavori eseguiti per una determinata nave, corrispondenti alle :finalit� della ricostruzione del naviglio e dell'attivazione dell'industria delle costruzioni navali e dell'armamento . L'art. 148 della legge di registro, secondo il quale l'.A.m.ministrazione non � tenuta al pagamento delle spese giudiziali quando il contribuente non abbia prima sperimentato la via amministrativa, ponendo in grado l'Amministrazione di adottare essa direttamente il provvedimento di rimborso, � espressione di un principio generale valevole anche per le altre controversie in materia di tasse ed imposte indirette, e quindi anche in materia di I.G.E. N� l'art. 47 della legge sull'I.G.E., che commina la decadenza dal rimborso in via amministrativa dell'imposta indebitamente pagata, per la mancata presentazione della relativa istanza entro un anno, � d'ostacolo all'applicazione della regola anzidetta, perch� la decadenza non determina la inammissibilit�, ma rende soltanto inevitabile l'azione giudiziaria, nella quale per� l'Amministrazione � esente dall'onere delle spese del giu-_ dizio. La legge 26 gennaio 1961, n. 29, la quale ha stabilito che sulle somme pagate per tasse ed imposte indirette sugli affari, ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa --���-�-�-����----------- -145 �o giudiziaria, spettano al contribuente gli interessi di mora dalla data della domanda di rimborso, si applica anche ai pagamenti indebiti effettuati prima dell'entrata in vigore della legge stessa dei quali sia stata chiesta la restituzione senza che J,;ia.. sta.ta definita la relativa controversia. In tale jpotesi gli interessi decorrono dalla data di entrata in vigore della legge. La motivazione della sentenza dellci Corte S-upremci sulle questioni delle << spese gi1idiziali >> e degli � interessi >> � la seguente: Devesi ora esaminare il ricorso incidentale della -0.T.O., anche esso basato su due distinte censure. La seconda delle quali concerne la pronunzia in ordine alle spese del giudizio, che la Corte di Appello ha ritenuto di dover compensare in quanto era mancata nella specie la preventiva domanda di rimborso in via amministrativa. La sentenza impugnata pone a base della sua tesi la norma contenuta nell'art. 148 della legge di registro, considerandola come espressione di un _principio generale, valevole anche per le altre controversie in materia di tasse ed imposte indirette e quindi in materia di l.G.E. Questa Corte ritiene esatta la tesi, rilevando �Come non soltanto per la legge di registro, sibbene .anche per l'imposta sull~ successioni (art. 96 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270) vige il medesimo principio, .che l'Amministrazione non � tenuta al pagamento delle spese giudiziali qualora il contribuente non .abbia prima sperimentato la via amministrativa, ponendo in grado l'Amministrazione di adottare essa, direttamente, il provvedimento di rimborso. ~� l'art. 47 che commina la decadenza dal rimborso in via amministrativa dell'I.G.E. indebitamente pagata, � d'ostacolo all'applicazione della regola di cui sopra. La decadenza per il decorso di un anno senza pre. sentazione della prescritta istanza di rimborso non . determina la inammissibilit�, mci rende inevitabile l'azione in 1;ia giudiziaria, nella q�uale per� l'Amministrazione � esente dall'onere dell,e spese del giudizio. Poich� la decisione impugnata � fondata sul principio di diritto sopra accennato, la censura della O.T.O. non � accoglibile. Resta, pertanto, da esaminare la prima censura del ricorso incidentale, relativo agli interessi legali .sulle somme dovute dall'Amministrazione a titolo di rimborso. Sostiene la O.T.O. cbe detti interessi dovrebbero decorrere quanto meno, dalla domanda _giudiziale e non mai dal passaggio in giudicato della sentenza che ordina il rimborso. Anche su tale punto la impugnata decisione � esattamente conforme al principio di diritto imperante al momento della decisione medesima. La giurisprudenza era ormai ferma nel ritenere che il diritto del contribuente alla percezione degli interessi moratori sorgeva al momento del passaggio in giudicato della sentenza che dichiarava non dovuta l'imposta pagata dal contribuente stesso P, .ne ordinava la restituzione. Ma, successivamente alla pronunzia d'appello, � .intervenuta la legge 26 gennaio 1961, n. 29, la quale ha stabilito che sulle somme pagate per tasse ed imposte indirette sugli affari, ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede ammi nistrativa o giudiziaria, spettano al contribuente gli interessi di mora dalla data della domanda di rimborso (art. 5). , La legge ribadisce che l'obbligo della restituzione � subordinato pur sempre all'esistenza di un prov vedimento amministrativo o giudiziario, il quale riconosca non dovuto il tributo pagato, ma anti cipa la decorrenza degli interessi alla data della istanza di restituzione. In mancanza di disposizione transitoria, nasce il dubbio sull'applicabilit� della norma nuova (di cui come ius superveniens, la Corte deve tener conto) ai rapporti di tassa e d'imposta indiretta sorti anteriormente, per i quali sia tuttora pen dente la controversia, non essendosi ancora formato il giudicato n� sulla legittimit� dell'effettuato paga mento dei tributi n� sugli interessi n� sulla loro decorrenza. La tesi dell'Amministrazione appare fondata su di una rigida ed astratta concezione della regola della irretroattivit� contenuta nel citato art. 11 non considerando che nel caso di situazioni giuridi che le quali non si esauriscono in un determinato momento come quello in specie, detta regola lascia pur sempre aperta la questione dell'applicabilit� della legge nuova alla situazione ancora in atto ed agli effetti non ancora prodotti o tuttora pen denti di un rapporto giuridico sorto anteriormente. Sono note le diverse soluzioni proposte dalla dottrina, ma la giurisprudenza (Cass., 5 agosto 1957, n. 3304), posta di fronte al problema, lo ha praticamente risolto nel senso che la nuova norma si applica allorquando concorrono le seguenti condizioni: a) che il rapporto giuridico, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i suoi effetti; b) che la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto o l'atto generatore del rapporto, sibbene gli effetti di esso . Con questi criteri sono stati risolti i conflitti di norme tra codice vigente e codice abrogato, tra cui quello relativo al risarcimento dell'ulteriore danno, oltre gli interessi moratori, nell'ipotesi di ritardato adempimento dell'obbligazione pecuniaria. Si � a tal proposito parlato di una situazione di mora che si rinnova de die in diem, onde non pu� dirsi che essa si sia interamente verificata sotto l'impero del vecchio Codice e per nulla sotto il nuovo . Le medesime considerazioni ed il medesimo cri terio valgono dunque anche per il caso in esame, nel quale l'obbligazione degli interessi a carico dell'Erario sorge del pari dalla mora debendi. Comunque, � certo che al momento dell'entrata in vigore della legge del 1961, il rapporto avente ad oggetto tanto il debito di restituzione dell'im posta quanto il pagamento degli interessi moratori, non si era affatto esaurito, dappoich� i.i �paga-_ mento eseguito dal contribuente prima della legge pu� costituire, se mai, il fatto generatore della obbligazione principale di rimborso (subordinata al provvedimento di riconoscimento dell'indebito) ma, a tale fatto segue tutta una ulteriore situazione (la mora del debitore) con gli effetti giuridici che -146 vi sono connessi, situazione che la nuova legge tributaria trova in atto ed in pieno svolgimento. La quale legge, come si � gi� accennato, � certamente diretta a regolare tali effetti, indipendentemente e ferma la disciplina sul rimborso dei tributi indebitamente percetti. L'art. 5 in modo particolare, determina solamente ed esplicitamente il momento da cui decorrono gli interessi a carico dell'Erario, interessi che la giurisprudenza riconosceva dovuti e che erano ugualmente condizionati all'esistenza di un provvedimento definitivo che dichiarasse non dovuta l'imposta pagata dal contribuente. Fino a che tale provvedimento non sia stato emesso, il rapporto, specialmente per quanto riguarda gli interessi, non si � certamente esaurito e quindi, per il principio sopra detto, � ad esso applicabile la sopravvenuta disposizione del menzionato art. 5. . Per altro, se si guarda allo scopo della legge entrata in vigore nel 1961 quale risulta anche dai lavori preparatori ed in special modo dalla relazione al Senato sul disegno di legge presentato dal Ministro delle Finanze, si nota come essa sia diretta a porre in armonia con le norme del diritto privato la disciplina giuridica del ritardato adempimento cos� della obbligazione del contribuente come della obbligazione di rimborso della Pubblica Amministrazione con il dichiarato intento di risolvere i vari dubbi e di eliminare una situazione di disparit� di trattamento �in atto esistente�. Cosicch� la stessa ratio della disposizion� di legge induce a ritenere e sta a confermare che essa � diretta ad operare anche nei confronti delle situazioni pendenti, cio� nei confronti dei pagamenti d'imposta effettuati prima dell'entrata in vigore della legge medesima dei quali era stata chiesta la restituzione ma non era stata ancora definita la relativa controversia. L'atto introduttivo del procedimento, amministrativo o giurisdizionale, tiene logicamente luogo della �domanda di rimborso�, richiesta dall'art. 5 ai fini della decorrenza degli interessi moratori sulle somme da restituire al contribuente. Da tutto quanto sopra deriva che concorrono entrambe le condizioni necessarie, secondo la citata giurisprudenza per l'applicabilit� della norma nuova ai rapporti pregressi non ancora esauriti. � Conseguentemente deve ritenersi che l'art. 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29 spiega la. sua efficacia anche nei riguardi dei pagamenti indebiti anteriori alla legge predetta, per i quali vi sia, al momento della entrata in vigore della legge stessa, una contestazione non ancora definita. In tale ipotesi, gli interessi decorrono dalla data di entrata in i1igore della. legge. IMPOSTA SULL'ENTRATA -Corresponsione -In frazione -Pagamento -Solidariet� dei soggetti Sopratasse e pene pecuniarie -Pagamento -Onere. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1937 /63 - Pres.: Varallo; Est.: Pece; P. M.: Tavolaro (conf.); Fi nanze c. Soc. Montecatini). In tema di corresponsione dell'imposta generale sull'entrata, anche quando la relativa infrazione sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto economico generatore dell'imposta, i predetti sog getti sono solidalmente obbligati, verso lo Stato" al pagamento dell'imposta stessa; al contrario,, al pagamento delle tasse e delle sopratasse e delle pene pecuniarie � tenuto sofo il soggette. al qualel'infrazione � imputabile. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza che ha a.ccolto la tesi dell'Avvocatura: I primi due mezzi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente. Con essi l'Amministrazione ricorrente denunzia:� a) che l'art. 14 del D.L. 3 maggio 1948,. n. 799 avrebbe innovato, in tema di solidariet� tra i soggetti debitori dell'imposta g�enerale sulla entrata, non solo in relazione al R.D.L. 3 giugno1943, n. 452, ma anche in relazione all'art. 11 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 contenente le norme� generali per la repreEsione delle violazioni sulle leggi finanziarie. E cio�, secondo la ricorrente, nella materia della imposta generale sull'entrata, la solidariet� tra i vari soggetti obbligati all'imposta sarebbe insensibile alla imputabilit� della infrazione, non solo ai fini dell'imposta, ma anche ai fini della pena pecuniaria e della sopratassa, nel senso che, anche se l'infrazione sia addebitabile ad uno solo dei soggetti obbligati, questi ultimi risponderebbero� sempre in solido, verso lo Stato, e per la taRsa eper la sopratassa e per la pena pecuniaria. b) che, in via subordinata, l'art. 14 del decretolegislativo 3 maggio 1948, n. 799 ha innovato all'art~ 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 in tema di solidariet� per la imposta, nel senso che al pagamento di quest'ultima sono sempre obbligati in solido entrambi i soggetti dell'atto economico, con l'unica eccezione della ipotesi in cui l'atto economico, nei confronti di chi esegu'e il versamento dei compensi e corrispettivi costituenti l'entrata, non sia comunque connesso ad una attivit� industriale o commerciale. E cio�, all'infuori della ipotesi ultima, nella quale non sussiste solidariet�, in tutte le altre ipotesi i soggetti dell'atto economico sono solidalmente obbligati, verso lo Stato, al versamento dell'I.G.E., anche se il mancato pagamento di ta.Je imposta sia imputabile ad uno solo dei predetti soggetti. Al contrario, la solidariet� non sussiste, per quanto attiene alla sopratassa ed alla pena pecuniaria, nella ipotesi in cui il mancato pagamento dell'l.G.E. sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto, economico. La censura di cui alla lettera a) � infondata; deve essere, invece, accolta la censura di cui alla lettera b). Poich� la prima parte del secondo comma dello art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452, nella ipotesi di trasferimento di materie, merci.~ prodotti fra commercianti ed industriali, sanciva esplicit~-_ mente la solidariet� di entrambe le parti contraenti,. non solo rispetto alle sopratasse ed alle pene pecuniarie, ma anche rispetto al pagamento dell'imposta, la conclusione di detta solidariet� (nella ipotesi, contemplata nella seconda parte dPll0> -147 'btesso secondo comma, di imputabili~� della infrazione ad una sola delle parti) si estendeva, oltre che alle sopratasse ed alle pene pecuni~rie, anche al pagamento della imposta. 'i Da ci� derivava, in materia di I.G.E., una eccezione al principio generale, fissato nell'art. 11 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (recante norme generali per la repressione delle violazioni alle leggi finanziarie), in virt� del quale principio, nel caso in cui la violazione delle leggi finanziarie, .sia imputabile ad uno solo dei soggetti obbligati, la solidariet� tra costoro cessa in relazione alla pena pecuniaria ed alle sopratasse, ma permane per la obbligazione dell'imposta. L'art. 14 del decreto legislativo 3 maggio 1948, n. �799 (recante modifiche in materia di I.G.E.) ha sostituita una nuova regolamentazione in tema di solidariet�. Anzitutto, ha generalizzata quella solidariet� (rispetto al pagamento dell'imposta non .corrisposta, della sopratassa e delle pene pecuniarie), �che la prima parte del secondo comma dell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 dettava solo per l'I.G.E. riferibile ad atti economici fra commer. cianti ed industriali ed ha sostituito una pi� limitata� eccezione di carattere oggettivo a tale solidariet�, escludendo quest'ultima nella ipotesi in -cui l'atto economico (indipendentemente dalla qualit� dei soggetti tra i quali � intervenuto) non sia -comunque connesso (nei riflessi di chi esegue il versamento dei compensi e corrispettivi costituenti l'entrata) ad una attivit� industriale o commerciale. In secondo luogo, l'art. 14 del decreto legislativo .3 maggio 1948, n. 799 non ha pi� disciplinata la ipotesi nella quale risulti che l'infrazione � imputabile ad una sola delle parti. E cio� ha soppresso la seconda parte del secondo comma dell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452. La abrogazione dei primi due commi del decreto legislativo, n. 799 del 1948 risulta da due concorrenti ragioni che integrano, rispettivamente, la prima e la terza ipotesi di abrogazione ex art. 15 delle preleggi. CONSIGLIO CONSIGLIO DI STATO -Ricorso in sede giurisdi� zionale -Effetti della dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma applicata dall'atto. . . CONSIGLIO DI STATO -Ricorso in sede giurisdizionale -Sopravvenuta dichiarazione di illegittimit� costituzionale di una norma attributiva di potest� discrezionale della Pubblica Amministrazione -Effetti sulla giurisdizione. (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 10 aprile 1963 -Compagnia Industrie Saccarifere S. Eufemia Lamezia c. Ministero Agricoltura e ForE>ste e Ministero Industria e Commercio). Dichiarata la illegittimit� costituzionale della norma applicata da un atto amministrativo impugnato avanti al Consiglio di Stato, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dello atto. Infatti, statuendo: �In tali sensi restano modificate le disposizioni di cui al primo ed al secondo comma dell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 �, � lo stesso le,,,,D'islatore ad indicare cne non si tratta di mera modifica, ma di vera e propria sostituzione di norme nel senso che al posto dei "Commi primo e secondo, devono ritenersi inserite, nell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 19i3, n. 452, i nuovi commi. Il che potr� anche intlndersi come modifica rispetto all'art. 24 predetto nella sua interezza, ma non pu� non intendersi (ed � il punto che interessa la causa) come sostituzione rispetto ai due commi in discussione, che il legislatore del 1948 non si � limitato a ritoccare, ma ha formulato ex novo per intero. Tale abrogazione sostitutiva dei due commi in discussione � confermata dal particolare che il nuovo contenuto dei due commi ex art. 14 decreto � legilativo 3 maggio 1948, n. 799 regola completamente la solidariet� per l'imposta principale, che era gi� regolata dai primi due commi ex� art. 24 R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452. Da quanto sopradetto, per�, non deriva la conseguenza espressa dalla .Amministrazione ricorrente con la censura di cui alla lettera A. Non deriva, cio�, che anche nella ipotesi in cui resti accertato che la infrazione sia imputabile ad uno solo dei soggetti, anche in tal caso i soggetti partecipi all'atto economico generatore dell'imposta restano obbligati solidalmente (verso l'Erario), oltre che per il pagamento dell'imposta, anche per le sopratasse e le pene pecuniarie . Stante i suespressi principi, poich�, nella specie, � in discussione la solidariet� solo per l' imposta e non anche per le sopratasse e le pene pecuniarie, resta assorbito il terzo mezzo del ricorso con il quale l'Amministrazione ha denunziato che la Corte di Trieste avrebbe en�ato nell'escludere la responsabilit� della Montecatini in ordine al mancato versamento dell' I.G.E. all'Erario. DI STATO L'atto amministrativo emanato in virt� di potest� discrezionale, conferita alla Pubblica .Amministrazione da una norma di cui sia dichiarata la illegittimit� costituzionale, costituisce esercizio non di potere inesistente, bens� di potere viziato, per riflesso del vizio di incostituzionalit� che inficia la norma, e conseguentemente la giurisdizione resta radicata presso il giudice amministrativo. Il testo della decisione � pubblicato nella rivista � Il Consiglio di Stato � 1963, 508 e segg-.. � La decisione interviene a risolvere un contrasta-- giurisprudenziale: che ne � del ricorso giu1�isdizionale per l'annullamento di mi atto amministrativo, una volta �he la. Corte Costituzionale, �investita della questione di legiti'imit� della norma applicata dallo atto, si sia pronunciata per l'illegittimit� della stessa. -148 Le tesi, accolte da alcune recenti decisioni del Consiglio di Stato, richiamate nella pronuncia della .A.dunan.m Plmaria, sono std.te: a) iinpro�edibilit� del ricorso per inesistenza dell'atto impugnato. Si argomenta: la declcratoria di illeggittimit� cost;tuzionale di una norma comporta che questa debbct ritenersi come non mai esistita nell'ordinamento giuridico. E se la norma � inesistente, inesistenti sono pure l'oi�gano da quella norma istituito e gli atti emanati in base ad essa; b) cessazione della materia del contendere. Dalla pronuncia di incostituzionalit� deriverebbe per l'Amministrazione il dovere giuridico di considerare invalido l'atto che abbia fatto applicazione della norma incostituzionale. Lo atto, cio�, verrebbe automaticamente tolto di mezzo, a seguito della pronuncia della Corte. Il Consiglio di Giustizia A m�ministrativa della Regione Siciliana ha, in proposito, rilevato (dec�isione n. 19 del 19 gennaio 19<32, in Foro It., 1962, III, 150) che: la illeggittimit� costituzionale della norma, sulla quale risulta fondato l'atto impugnato, costringe la Pubblica Amministrazione a considera.re l'atto stesso privato di ogni giuridica validit� data stessa, data in cui la Costituzione dichiara cessata l'efficacia della norma legislativa illeggittima, cio� dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Da quel giorno si ha un sostanziale ritiro dell'atto che in precedenza, spiegando giuridica efficacia, aveva potuto minacciare interP-ssi legittimi privati, determinando per questo particolari impugnazioni in sede giurisdizionale. Impugnazioni che successivamente non hanno pi� efficacia di determinare una decisione di illegittimit�, in vista della gi� avvenuta eliminazione dell'atto impugnato; c) accoglimento del ricorso e conseguente annullamento dell'atto. E' la soluzione cui � pervenuta l'Adunanza Plenaria, dopo la critica delle precedenti tesi. Invero, secondo la ripo�rtata decisione, non potrebbe accogliersi la soluzione di cui sub a), perch� � da escludere che la norma incostituzionale debba considerarsi inesistente, dal momento che gli effetti irreversibili e definitivi da essa prodotti non possono in alcun modo eliminarsi. Proprio a causa di questa attitudine della norma a produrre effetti ineliminabili, il vizio di incostituzionalit� comporterebbe annullabilit� e non inesistenza della norma. In secondo luogo, pur accogliendo la tesi dell'inesistenza della norma, dovrebbe nondimeno riconoscersi che, attesa l'autonomia dell'atto, espressione del potere esecutivo, rispetto alla norma, espressione del potere legislativo, l'atto non possa essere travolto eo ipso dalla cessazione d'efficacia della norma. . Nemmeno la soluzione di cui sub b) sarebbe valida, ad avviso della Adunanza Plenaria, giacch� il ritiro sostanziale dell'atto (di cui � cenno nella decisione del Cons. Giust . .A.mm. Reg. Sic.) non � il ritiro formale, che si ottiene solo con l'annullamento e che � il solo capace di assicurare una effettiva tutela degli interessati. I quali, poi, ove la Amministrazione non ritenesse di dover considerare invalido l'atto, non avrebbero pi� alcuno strumento di tutela, una volta consumato il potere di impugnazione dell'atto nel giudizio conclusosi con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. * * * Dunque, s.econdo la riportata decisione, deve accogliersi il ricorso e pr01mnciarsi rannuUa(@ertto dell'atto Senonch� l'annullabilit� di un atto � conseguenza di un vizio orginario, e non sopravvenuto, dell'atto� stesso e, nella specie, non pu� a nostro avviso sostenersi che l'atto s�ia ab origine viziato, proprio per la ragione, sottolineata dalla sentenza, che, attesa la autonomia tra momento legislativo e momento amministrativo, non pu� riferirsi quello che � un vizio� della legge incostit�uz-ionale all'atto amministrativo emanato {n base a quella legge. In altri termini, l'atto -al momento della sua emanazione -non. presentii vizi tali da comprometterne la validit�: a) non puo, invero, parlarsi di violazione di legge perch�, per ipotesi, l'atto costituisce proprio appli-� cazione della legge; b) neanche di incompetenza, giacch� se tale vizio non concreta altro che violazione� di una normrt relati11a al soggetto investito del potere di emettere l'atto 1)ale quanto detto prima; e) n�, infine, pu� parlarsi di eccesso di potere, perch�� l'autorit� ammini8trat-iva, nell'emanare l'atto tende proprio al perseguimento degli scopi prefissati dalla norma. Rimane, allora, solo una via per sostenere l'annullabilit� dell'atto: ritenerlo, cio� ab origine viziato per effetto della dichiarazione di incostituzionalit�, che retroagisce ex tunc. Poich� dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte, la legge non ha pi� efficacia, non solo per quanto riguarda la disciplina giuridica dei fatti futuri, ma anche per quel che attiene alla val1,tazione dei fatti passati, questi ultimi, quando siano ancora sub indice, sarebbero da giudicare come se la n01�ma di legge non fosse mai esistita. Il giudizio di legittimit� di un atto amministrativo dovrebbe, allora, fondarsi sull'ordinamento giuridico qual'era al momento della emanazione del provvedimento, senza considm�a1�e la norma incostituzionale. Si prospetterebbe, cio�, il. problema dell'accoglimento del ricorso giitrisdizionale per un motivo che, tutt'al pi�, andrebbe considerato solo come implicitamente dedotto dal ricorrente. Accogliendo, peraltro, simile tesi, verrebbe a superarsi il postulato di partenza, affermato nella decisione, secondo cui momento legislativo e momento amministrativo sono autonomi, anche se connessi: si riferirebbe, infatti, il vizio originario della legge all'atto. Sembra, dunque, che il concetto di annullabilit� non possa utilizzarsi in relazione all'atto amministrativo emesso in base a una norma dichiarata. successivamente incostituzionale. Ed invero, il p1�0blema della validit� o invalidit� di un atto giuridico � sempre in rapporto alle norme vigenti al momento del sorgere dell'atto, cos� come l'annullamento trova il suo fondamento sempre in una causa contemporanea alla emissione dell'atto, con la conseguenza che il fenomeno non si verifica quando Vinvalidit� (se di invalidit� possa parlarsi) trae origine da -cause sopravvenute. La materia offre, chiaramente, favorevole campo di indagine per i sostenitori della dottrina della invalidit� successiva. Ma sembra pii� opportiino . ----------------------- -149 ricorrere, in simili ipotesi, al concetto di inutilit� �sopravvenuta. Scrive il GIANNINI (voce .Atto amministrativo, in � Enc. dir. �) che in simili ipotesi <e l'atto non gi� si invalida, bens� diviene inidoneo a produrre ulteriori effetti per l'avverarsi di un fatto giuridico che non pu� neppure dirsi estintivo, ma solo impeditivo, ossia agente sull'efficacia dell'atto, e quindi sul rapporto, e non sull'atto medesimo�. E' proprio questa, secondo noi, la sorte del provvedimento (lmministrativo, una vo.lta dichiarata l'incostituzionalit� della norma posta a base dell'atto, sorte che si spiega in termini di efficacia-inefficacia e non di validit�-invalidit�. Si obietta che vi sono delle situazioni in cui, per l'effettiva tutela degli interessi del ricorrente, si rende necessaria una rimozione reale dell'atto, conseguibile solo con l'annullamento, e si aggiunge che, continuando l'atto amministrativo a vivere di vita autonoma, pur dopo la declaratoria di incostituzionalit� della norma, persiste l'intm�esse ad ottenere l'annullamento. Il che � vero e risponde ad una evidente esigenza di equit�, quando per� si ritenga l'atto tuttora in grado di spiegare effetti. Ma non � pi� vero, una .volta riconosciuta l'inettt'.tudine del provvedimento, ormai privato del suo stesso presupposto, a spiegare ancora efficacia. Ove, poi, di fatto, la situazione giuridica rimanesse tale quale s'era determinata a seguito dell'emanazione dell'atto, potrebbe nondimeno l'interessato sollecitare presso la Amministrazione l'emanazipne di ulteriori provvedimenti che, per ipotesi, si rendessero necessari a ripristinare lo status quo, essendo evidente che l'eventuale rifiuto di siffatti provvedimenti non potrebbe sottrarsi al sindacato di legittimit�. La tesi dell'annullabilit� dell'atto non appare, insomma, sostenibile neppure sotto un generico pro filo di equit�. Fondamentalmente, comunque, non appare sostenibile una volta rilevata, come esatta mente ha fatto la sentenza, l'autonomia del momento amministrativo rispetto a quello legislativo, in virt�, della quale il vizio di incostituzionalit� della norma non pu� reagire se non mediatamente sull'atto, pri vandolo cio� di efficacia e non invalidandolo ab origine. E che l'atto non possa ritenersi invalida mente sorto, lo ammette la stessa decisione quando afferma che, dichiarata la incostituzionalit� di una norma attributiva di potest� discrezionale alla Pub blica Amministrazione, non pu� sostenersi che l'atto sia stato emesso nell'esercizio di un potere inesistente con la conseguenza che la giurisdizione resta radicata presso il giudice amministrativo. Il che equivale a dire che l'atto risulta validamente er)'lanato. * * * Dalla inettitudine del provvedimento a spiegat�e ulteriori effetti consegue, a nostro avviso, il venir meno dell'interesse al ricorso. Invero, deve riconoscersi che -privato l'atto autoritativo di ogni efficacia -le situazioni giuridiche soggettive che dallo atto siano rimaste compresse riassumono il contenuto e la latitudine originari, e la necessit� di una. pronuncia giurisdizionale, che ripristini una situazione conforme al diritto, viene meno. N� � a dire che il ricorrente conservi interesse a una pronuncia. dichiarativa che accerti il riprist-ino dello status quogiacch� evidentemente siffatto accertamento � di per s� contenuto nella declaratoria di inammissibilit� del . ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. In una sola ipotesi, a nostro avviso, permane la necessit� di una pronuncia giurisdizionale: nell'ipotesi, pi� sopra accennata, in cui, restando esclusa di fatto la automaticit� degli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale, ulteriori provvedimenti si rendessero necessari a ripristinare la situazione giuridica incisa dall'atto. Ma l'interesse alla pronuncia sorgerebbe, in tal caso, solo di fronte alla constatata inerzia della Pubblica Amministrazione, sollecitata all'emanazione degli opportuni provvedimenti; e sarebbe, comunque, un interesse rivolto a ben altro tipo di pronuncia. Comunque, una volta accolta la tesi dell'annullabilit� dell'atto, una volta cio� affermato che l'atto emesso in virt� di una norma incostituzionale debbaritenersi viziato fin dall'origine, suscita qualche perplessit� la soluzione accolta nella decisione in ordine al problema della individuazione del giudice competente a pronunziare. Sembra, in altri termini, che~ data quella premessa, le conseguenze non possano essere quelle di cui alla pronuncia della Adunanza Plenaria. Si � detto quale sia la soluzione prospettata dalla . sentenza: dovendo l'atto amministratiVo ritenersi emanato non gi� nell'esercizio di un potere inesistente, ma nell'esercizio di un potere viziato per riflesso del� vizio di costituzionalit�, che inficia la norma attributiva, le posizioni incise dal provvedimento restano� sempre di interesse legittimo e competente a cono-. scerne �, quindi, il giudice amministrativo. Mentre, dunque, la dichiarazione di incostituzio-. nalit� della norma produrrebbe, per il caso sub iudice, l'effetto retroattivo di invalidat�e l'atto, esponendolo ad annullamento come viziato ab origine, . per quanto attiene al problema della giurisdizione� siffatta retroattivit� non sarebbe pi� operante, dal� momento che il giudice dovrebbe pur se�mpre ritenere esistente, anche se viziato, il potere discrezionale esercitato con l'emanazione dell'atto. A nostro avviso, per�, una volta affermata l'annullabilit� del prov-vedimento e, quindi, una volta ritenuto che l'atto. emanato in base a norma incostituzionale debba ritenersi viziato fin dall'origine, dovrebbe conseguentemente ammettersi che l'incostituzionale attribuzione� di potere discrezionale reagisca, fin dall'origine,_ sull'atto, facendolo ritenere emesso nell' esercizio. di potere inesistente. Con le conseguenze inevitabili in ordine alla individuazione del giudice � competente. Sul tema, com'� noto, si sono pronunciate anche le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 1603 del 17 maggio 1958 (Foro It., 1958, I, 1108), richiamata dalla riportata decisione. Qualora -ha rilevato la Cassazione -uno specifico potere discrezionale della Pubblica Amministrazione non: residuasse affatto a seguito della pronuncia di incostituzionalit�, tale pronuncia porterebbe a d-0ver considerare ex tunc con qualificazione di diritti soggettivi le posizioni gi� dedotte in caitsa come� interessi legittimi. -.LU\J E deve aggiungersi, inoltre, ohe una simile ipotesi 'PU�. inquadrarsi .nel generico oonoatto di ius superveniens, ohe trova automatica ed immediata applioa .zione 1958, in n. tema di 2066). giurisdizione (Oass., 16 maggio SERGIO LA.PORTA PROOUlliTORE DELLO STA.TO 'REGIONI -Conflitti di attribuzione -St�to e provincia di Bolzano -Difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato. (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, Decisione n. 11/1963 -Pres.: Bozzi; Est.: Danile Provincia di Bolzano c. Commissario del Governo per la Regione Trentino-Alto Adige). Nel conflitto di attribuzione previsto dalla Co. stituzione l'invasione nella sfera delle competenze costituzionalmente garantite pu� essere denunziata .solo da soggetti legittimati a proporre il giudizio di costituzionalit�. in via principale. Se l'incompetenza viene dedotta da altri soggetti si ha non un conflitto di attribuzione, ma un comune vizio -di legittimit�., della cui fondatezza pu� ben giudicare il Consiglio di Stato. La Provincia di Bolzano non pu� far valere innanzi il Consiglio di Stato i vizi di un provvedimento, col quale si � disposto di alcuni alloggi dell'Istituto Autonomo Case Popolari di Bolzano perch� non ha poteri di disposizione degli alloggi stessi n� ha dichiarato di agire in sostituzione dello Istituto ed in virt� del suo potere di controllo sugli .atti dello stesso. Per una migliore comprensione della questione riteniamo opportuno riportare integralmente la decisione, nella sua esposizione in fatto e nella sua motivazione in diritto. FATTO Il vice commissario del Governo della Regione �Trentino-Alto Adige con decreto, n. 12647 del 18 novembre 1960 requisiva tredici alloggi dello Istituto autonomo delle Case popolari siti in Bolzano, via Palermo e via Milano allo scopo di :assicurare alloggio a talune famiglie, che abitavano in lo�ali pericolanti e che erano state colpite da una ordinanza di sgombero, emessa dal Sindaco di Bolzano. Con atto 18 gennaio 1961 la Regione Trentino. Alto Adige proponeva, in relazione al citato decreto, ricorso per conflitto di attribuzioni avanti alla Corte Costituzionale, ricorso che veniva dichiarato infondato con sentenza 30 dicembre 1961, n. 72. Avverso lo stesso decreto la Provincia di Bolzano ha proposto ricorso a questo Consiglio deducendo i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 4, 13 e 46 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 in relazione all'art. 56 della legge regionale 17 maggio 1956, n. 7; incompetenza. Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato avrebbe invaso la sfera ��di competenza della Provincia in quando i provvedimenti d'urgenza, nella Regione Trentino-Alto Adige spetterebbero al Presidente della Giunta provinciale e non gi� agli organi dello Stato; 2) violazione degli artt. 11 e 13 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5� in relazione agli artt 1, 6 e 7 segg. D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 8. In base allo Statuto la competenza in materia di .case popolari spetta alla Provincia. Il provvedimento impugnato disponendo in sostanza di case popolari ha posto in essere un' assegnazione di case, che era riservata alla competenza della Provincia; 3) violazione dell'art. 7 legge 20 marzo 1885, n. 2248, allegato E; eccesso di potere per mancanza di presupposto e per vizio di causa ed illogicit� sotto forma di sviamento e di difetto di motivazione. La falsit� della causa risiede in ci� che il motivo dedotto (pericolo per l'incolumit�. pubblica) vale a giustificare l'ordinanza di sgombero, ma non il decreto di requisizione, che ha la sua causa nell'assegnazione dell'alloggio agli sfrattati. Il difetto di motivazione si concreta nella mancata indicazione dei motivi per i quali sono stati scelti gli Alloggi dell'Istituto anzich� altri alloggi disponibili, mentre la falsit� della causa sarebbe costituita dall'intendimento di pervenire, attraverso un provvedimento di requisizione, alla assegnazione degli alloggi, senza l'osservanza delle norme all'uopo applicabili; 4) Violazione dell'art. 76 dello Statuto Trentino- Alto Adige in relazione all'art. 16 del D.P.R. 12 dicembre 1948, n. 14-14. Il potere d'ordinanza non rientrava fra i poteri delegabili; pertanto esso doveva essere esercitato dal Commissario e non dal vice Commissario; 5) eccesso di potere per errore, inesistenza di causa, difetto di motivazione. Non sussiste il presupposto del pericolo di crollo, dedotto dalla ordinanza sindacale; tale pericolo � stato affermato sulla base di cause imprecisate; il che sta anche a concretare un difetto di motivazione. L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in difesa dello Stato, ha controdedotto: 1) i primi due motivi attengono a diritti soggettivi epper� in ordine ad essi va dichiarata la carenza di giurisdizione del Consiglio di Stato; nei riguardi degli altri motivi la Provincia ha solo un interesse di fatto non tutelato neppure in via indiretta; 2) nel merito il ricorso � infondato: i due provvedimenti dello sgombero e della requisizione sono fra loro collegati come causa ed effetto e pertanto non possono essere presi isolatamente e valutati indipendentemente l'uno dall'altro; 3) � esatto che la requisizione non pu� essere adottata per interessi privati ed il reperimento di un alloggio di regola costituisca un fatto di privato interesse. Ma nella specie il provvedimento � motivato con l'esigenza di evitare il pericolo di disgrazia alle persone; . . . 4) non esistano norme che impediscano ~ Commissario di delegare al Vicecommissario i poteri che gli sono stati riconosciuti dallo Stato; 5) il pericolo di crollo � stato accertato nella competente sede dagli organi tecnici. -151 Conclude pertanto l'Avvocatura per il rigetto del ricorso con le conseguenze di legge. La ricorrente Provincia ha depositato memorie contestando le eccezioni dell'Avvocatura sulla. base della decisione della Sezione IV, 24 ottobre 1962, n. 524 ed insistendo sui motivi di ricorso. Con ordinanza 17 ottobre 1962 la Sezione IV, ha rimesso il ricorso alla decisione di quest'Adunanza Plenaria. DIRITTO Esattamente, nella discussione orale, � stato posto in rilievo dalle parti che l'interesse alla impugnativa del decreto del Vicecommissario, deve essere valutato in diverso modo, in relazione ai primi due e altri motivi di ricorso. Con i primi due motivi, la Provincia ricorrente censura il provvedimento impugnato, in quanto con esso il Vice-commissario avrebbe invaso la sfera di competenza riservata alla Provincia dallo Statuto Trentino-Alto Adige. In astratto deve riconoscersi alla Provincia l'interesse a dedurre la violazione di norme che le attribuiscano un potere; in tali casi si ha la violazione del c.d. diritto di autarchia che, come bene pone in luce la ricorrente, � un interesse legittimo, poich� le norme che lo riconoscono sono dirette in via diretta e principale a tutelare un pubblico generale interesse. Ma nella specie � da esaminare se, in deroga ai principi generali, la tutela dell'interesse sia stata affidata ad altro soggetto e ad un giudice diverso da quello normalmente competente. La risposta affermativa a tale quesito � stata gi� data dalla Corte Costituzionale con la sentenza 30 dicembre 1961, n. 72, emanata in relazione allo stesso provvedimento, ora impugnato. La citata sentenza ha posto in rilievo che i conflitti di attribuzione fra le Provincie della Regione Trentino-Alto Adige e lo Stato vanno decisi dalla Corte Costituzionale su ricorso della Regione, legittimata ad agire anche nell'interesse delle Provincie. La decisione della Corte Costituzionale circa la spettanza del potere, non pu� quindi non fare stato anche nei riguardi della Provincia. Ci� � stato anche ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza 26 gennaio 1957, n. 22 nella quale si legge che la pronunzia della Corte sul ricorso della Regione, sola legittimata ad agire, �ha uguali effetti per entrambe le Provincie, giacch� la causa e i motivi di essa sono inscindibili.' Si ba, riguardo a questi effetti, una posizione analoga al litisconsorzio necessario, con la differenza che, nel caso in esame, la legittimazione attiva spetta unicamente alla Regione, che rappresenta entrambe le Provincie e ne tutela gli interessi, e quindi non si fa luogo alla rappresentanza in giudizio di ciascuna di esse ... �. Vero � che, come la giurisprudenza di questo Consiglio ha pi� volte affermato (Sez. IV, 9 giugno 1959, n. 663; Sez. VI, 17 ottobre 1956, n. 697, 10 dicembre 1958, n. 919, 30 dicembre 1959, n. 1049; 30 novembre 1960, n. 995, 7 dicembre 1960, n. 1051), deve farsi distinzione fra la denunzia di incompetenza avanzata davanti al giudice amministrativo e quella di conflitto di attribuzione, proposta dinanzi alla O.orte Costituzionale. Nel �conflitto di attribuzione � previsto dalla , Costituzione, l'invasione della sfera delle competenze costituzionalmente garantite, pu� essere denunziata solo da soggetti legittimati a proporre il giudizio di costituzionalit�, in via principale. Se l'incompetenza viene dedotta da altri soggetti si ba non un conflitto di attribuzioni, ma un comune vizio di legittimit�, della cui fondatezza pu� bene giudicare il Consiglio di Stato. Ma � da avvertire che, nel caso in esame, non si tratta di valutare la legittimit� dell'atto, viziato. di incompetenza, in relazione alla lesione dell'interesse di un soggetto, estraneo al giudizio di costituzionalit�. Invero, nella specie, la questione della spettanza o non del potere alla Provincia � stata esaminata e decisa dalla Corte Costituzionale, in relazione al medesimo atto ora impugnato, con una sentenza che, come si � detto, non pu� non fare stato anche verso la Provincia. La tesi della ricorrente (accolta dalla decisione della Sezione IV, 24 ottobre 1962, n. 517) che afferma la competenza del Consiglio a pronunziarsi sulla medesima questione ed in relazione allo stesso atto, comporta non solo un inammissibile bis in idem, ma anche la sostanziale inutilit� del giudicato della Corte Costituzionale che (pur essendosi pronunziata sulla spettanza o meno del potere alla Provincia) sarebbe stato solo fra Regione e Stato e non fra la Provincia (che � il soggetto direttamente interessato) e lo Stato. Ritiene quindi il Collegio che la questione, gi� decisa dalla Corte Costituzionale della legittimit� dell'impugnato decreto del vice commissario, sotto il riflesso che il potere di requisizione di cui allo. art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E spetta allo Stato e non alla Provincia, non sia proponibile dalla ricorrente in questa sede, per la. preclusione che discende dal giudicato. Nei riguardi degli altri motivi del ricorso la questione dell'interesse si presenta in modo diverso. Con detti motivi non si fa pi� questione della spettanza o meno del potere alla Provincia ma si contesta la legittimit� del provvedimento di requisizione per inosservanza di disposizioni di legge e. per eccesso di potere. Eccepisce l'..s\vvocatura generale dello Stato, in relazione a tali motivi, il difetto di interesse della Provincia, in quanto sarebbero soggetti, legittimati a ricorrere, solo l'Istituto, proprietario dei beni, e i privati aventi titolo all'assegnazione degli alloggi. Oppone la ricorrente Provincia che il bene leso dal provvedimento impugnato sarebbe costituito dal �complesso dei suoi poteri giuridici connessi all'edilizia popolare�: la Provincia dispone invero di poteri di vigilanza e di direttiva sugli istituti delle case popolari e di tale potere, nella specie essa si era gi� avvalso impartendo direttive con atto 10 novembre 1960; cosicch� l'atto impugnato avrebbe praticamente tolto efficacia a tale atto della Provincia. -152 Il Collegio non ritiene che sia necessario soffermarsi a considerare se, quando l'atto impugnato non neghi all'ente pubblico il potere di esercitare� una determinata funzione la disponga di beni sui quali la funzione possa essere esercitata (se, cio�, quando l'atto interferisca non nella sfera giuridica dell'ente bens0 incida solo sulla possibilit� di fatto di esercitare il potere sulla cosa, resa indisponibile) esista quel collegamento diretto fra l'interesse leso e la norma violata che, in base alla giurisprudenza causa di legittimazione al ricorso. Invero basta qui considerare che la Provincia non ha, nella specie, poteri di disposizione degli alloggi degli Istituti delle Case popolari. Come ha ritenuto la Corte Costituzionale (sentenza 26 gennaio 1960, n. 2) la competenza a nominare gli organi amministrativi straordinari degli istituti 11utonomi delle case popolari nella Regione Trentino- Alto Adige spetta allo Stato;� sicch� non � pensabile neppure ad un potere di sostituzione della Provincia all'istituto. Ma, anche a voler concedere che tale potere sussistesse, certo � che in concreto la Provincia non ha dichiarato di volerlo esercitare; poich�, come bene ha rilevato l'� vvocatura generale dello Stato, nelpresente giudizio la Provincia non si � presentata quale sostituto degli organi dell'istituto. Infine, all'osservazione che, in seguito al provvedimento di requisizione, resterebbe privo di effetti l'atto di direttiva 10 novembre 1960, � da . rilevare che trattasi di un interesse di mero fatto, non tutelabile in questa sede. Con questa decisione l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, modificando l'indirizzo giurisprudenziale della IV Sezione, ha in parte accolto le tesi sostenute dall'Avvocatura, declinando la propria giurisdizione, anche in considerazione della circostanza che sullo stesso atto e per gli stessi motivi si era gi� pronunziata la Corte Costituzionale (la Jentenza � pubblicata in questa Rassegna, 1961, pag. 71). La motivazione, laddove afferma che ci sarebbe stata giurisdizione se il ricorso fosse stato proposto, per gli stessi motivi, da soggetto non legittimato a -proporre il giudizio di costituz�onalit�, � evidentemente errata, non potendo la giurisdizione affermarsi o negarsi esclusivamente con riguardo ai soggetti, senza tener alcun conto dell'oggetto del giudizio (vedasi in questa Rassegna: 1960, p. 65; 1961, p. 109; 1962, p. 72; 1963, p. 28). Il confiitto di attribuzione costituzionale con il suo specifico oggetto, cio�, la appartenenza di un potere al.lo Stato o alla Regione, resta sempre tale anche se chi lo faccia valere � un soggetto non legittimato a proporre l'azione di costituzionalit�. Esso � in ogni caso devoluto alla esclusiva cognizione della Corte Costituzionale e la circostanza che il privato non sia legittimato a proporre, n� in via principale n� in via incidentale, l'azione di costituzionalit� sta a significare che non � titolare di un interesse legittimo (costituzionale), non gi� che possa adire alfJro giudice, privo di giurisdizione sulla questione. Anche la seconda massima, sostanzialmente conforme alle conclusioni dell'Avvocatura, contiene delle riserve, che non possono condividersi. La Provincia di Bolzano, come la stessa decisione riconosce, non ha competenza a nominare gli organi straordinari dell'Istituto; ma, ancorch� l'avesse avuta, si sarebbe dovuto pur sempre negare una sua legittimazione al ricorso. Il potere di controllo sostitutivo sull'ente, infatti, non autorizza mai a proporre azioni o ricorsi in vece dell'ente stesso, ma solo eventualmente ed anche su questo nutriamo forti dubbi -a nominare un Commissario sfJraordinario per il compimento di questa attivit�. GIUSEPPE GUGLIELM:I �-����-��-~--����-�---- �ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERIT<O IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Inventario formalmente valido -Omissione di un bene ereditario Accertamento presuntivo -Inammissibilit�. (Corte di Appello di Milano, 4 dicembre 1962 -Mutti Liliana c. Amministrazione Finanziaria). 1) La sussistenza di un inventario dei beni di eredit� beneficiata formalmente valido fa venir meno la facolt� degli uffici finanziari di ricorrere all'accertamento presuntivo previsto dall'art. 31 della legge sulla imposta di successione. 2) L'omissione non maliziosa di un bene ereditario in uno degli inventario previsto dall'art. 31 -0itato non rende l'atto inefficiente a vincere la presunzione legale di cui alla prima parte dello stesso articolo. Trasoriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con unico mezzo gli appellanti deducono che i primi giudici sono pervenuti alla reiezione della domanda in base all'erronea premessa che l'arti- colo 31 della legge organica sulla imposta di sue- cessione (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270), ai fini di escludere l'accertamento presuntivo della .esistenza di gioielli, denaro e mobilia, non faccia riferimento agli inventari in quanto tali, ma in quanto atti pubblici che fanno piena prova dei fatti verificatisi in presenza del pubblico ufficiale o da lui �compiuti (art. 2700 O.e.), e da tale premessa hanno altrettanto erroneamente ritenuto .che l'efficacia probatoria, ai fini fiscali, dell'inventario, resti vulnerata allorch� la corrispondenza dell'inventario medesimo alla realt� risulti smentita dai fatti o dalle successive dichiarazioni dello stesso erede (caso in esame). Sostengono in contrario che J;inventario dei beni di eredit� beneficiata, valido ed efficace ai .fini civili, lo � ugualmente ai fini tributari e che, non contenendo la legge tributaria alcuna limita. zione, il richiamo all'istituto civilistico della eredit� beneficiata vale a rendere applicabile anche la disposizione dell'art. 494 O.e., per cui l'inventario perde la sua efficacia solo quando l'omissione dei beni sia stata operata in mala fede. L'appello � fondato, ma non tutte le ragioni che lo sorreggono possono essere condivise. L'art. 31 della legge organica, dopo avere stabilito la presunzione legale dell'esistenza di gioielli, denaro, mobilia, in determinate percentuali cal colate sul valore lordo del compendio ereditario, aggiunge che al cennato criterio presuntivo non si ricorre quando da inventario di tutela o di eredit� beneficiata, o fallimentare, o da apposizione di sigilli, risulti un valore inferiore o anche l'inesistenza di gioielli, denaro, mobilia. Si tratta di una presunzione juris tantum che trova la sua ragion d'essere nella necessit� di fornire agli uffici fiscali un mezzo di accertamento di beni che, per la loro natura, sono difficilmente accertabili in quanto si prestano a facili occultamenti rendendo pressoch� impossibile per la finanza non soltanto la prova della quantit� di essi, ma addiritt:ura quella della loro esistenza. La presunzione ammette la prova contraria, ma la situazione di sospetto che la suddetta natura dei beni ingenera, ha indotto il legislatore a limitare siffatta prova agli inventari di tutela, di eredit� beneficiata, fallimentari, o compilati in seguito di apposizione di sigilli, cio� a quegli atti che, redatti in adempimento di specifici obblighi disposti dalla legge, sono inoltre collegati a controllo e responsabilit� che rendono affidanti i relativi accertamenti, sicch�, sulla base di essi possa l'organo finanziario fondatamente ritenere acquistata l'individuazione dell'intero compendio ereditario. In tali sensi eloquente � la evoluzione storica della disposizione in esame, evoluzione alla quale i primi giudici hanno attinto per affermare che mentre la prova contraria poteva, ai sensi dell'art. 52 del Testo unico 20 maggio 1897, n. 217, esser data con � inventari legalmente attendibili, ed anche con atti di notoriet�, i numerosi abusi riscontrati in sede di applicazione della norma, inducessero il legislatore a limitare (articolo 2 R.D. 27 agosto 1916, n. 1058; art. 3 legge 24 maggio 1920, n. 1300; art. 31 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270) solo agli inventari sopracennati la prova in questione. Non ricorre dubbio, che nella categoria degli inventari siano stati scelti dal legislatore quelli che, siccome redatti da pubblico ufficiale, hanno l'efficacia probatoria degli atti pubblici. Non �, quindi, che gli atti menzionati nell'art.� 31 della legge tributaria non vengono in considerazione come inventari, e pertanto non come atti disciplinati dagli artt. 769 e segg. Codice civile, ma � che ad essi la legge affida la capacit� di vincere la presunzione stabilita nella .. prima parte della norma proprio perch� essi sono redatti con le formalit� e le garanzie dell'atto pubblico. E poich� deve ammettersi che ove la legge tributaria manchi di una disciplina specifica di determinati fatti o rapporti, � consentito far ricorso ai concetti -J_;)-1, ed agli istituti di diritto civile per la nozione e la qualificazione di tali fatti o rapporti, se ne desume che � alle norme generali in tema d'inventario, nonch� a quelle particolari che disciplinano le singole specie menzionate nell'art. 31 che occorre far ricorso ai fini dell'accertamento della validit� formale dell'atto. In questi sensi deve convenir~i che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili, � � ugualmente valido ed efficace ai fini tributari. Ma non � qui questione di validit� formale dell'inventario che gli odierni appellanti oppongono alla pretesa di accertamento presuntivo della finanza. Si tratta, invece, di stabilire se l'omissione di un bene ereditario in uno degli inventari indicati nell'art. 31, renda l'atto inefficiente a vincere la presunzione legale prevista dalla prima parte della stessa norma, come i primi giudici han ritenuto, o se, invece, debba il quesito risolversi sulla base del richiamo alle disposizioni che disciplinano gli istituti nell'ambito dei quali operano gli inventari in questione e, nel caso in esame, alla norma dello art. 494 C.c. che regola le omissioni e le infedelt� nell'inventario e la conseguente decadenza dal beneficio. L'art. 31 della legge sull'imposta di successione non prevede e non disciplina con norme particolari il caso in cui nell'inventario si riscontrino omissioni o infedelt�. La soluzione propugnata dagli odierni appellanti, ed a volte condivisa dalla Commissione Centrale, procede dall'affermazione che, per risolvere il problema, si debba far ricorso ai principi che regolano l'eredit� beneficiata, ed in particolare a quello posto dall'art. 494 e.e. Gi� si � rilevato che, in via di principio, � lecito far ricorso ai concetti ed agli istituti del diritto civile allorch� la norma tributaria manchi di una disciplina specifica di determinati fatti o rapporti. Ma va considerato che � la stessa legge tributaria con le proprie norme e le finalit� cui esse tendono a segnare il limite del rinvio. Orbene, se gli inventari vengono in considerazione perch� la legge tributaria attribuisce loro la particolare efficienza di prova contraria alla presunzione legale, ed in vista della forza probante che il legislatore ha ritenuto tranquillante al fine indicato, non � ragione alcuna per estendere il rinvio alle regole della eredit� beneficiata, nell'ambito del quale istituto l'inventario opera nel campo civilistico. Quel che interessa ai fini fiscali non � gi� la regolamentazione del beneficio d'inventario, sibbene � l'inventario come documento redatto nel quadro degli incombenti volti a realizzare quel particolare istituto, che la legge considera quale atto idoneo alla rilevazione della consistenza dell'asse ereditario, e sono, invece, indifferenti la funzione che ad esso assegna la legge civile ed i particolari effetti che in quell'istituto giuridico l'inventario stesso pu� conseguire. Non � contestabile, infatti, che un inventario escluda la presunzione di cui all'art. 31 pure se, ad esempio, nel frattempo l'erede abbia rinunciato al beneficio, pure se il fallimento sia stato revocato, e ci� perch� il suo valore tributario � del tutto insensibile alle vicende dei rapporti civilistici nei quali esso opera. E per converso, � ben possibile che permangano gli effetti del bene ficio d'inventario, della dichiarazione di fallimento,. della tutela, e la finanza lo disattenda provando che esistono denaro, gioielli e mobilia che l'inventario aveva escluso. Ora, la norma dell'art. 49'1 C.c. � regoia senza dubbio le omissioni e le infedelt� nell'inventario, ma al fine specifico della decadenza dal beneficio, vale a dire di quegli effetti che la legge (art. 490 e.e.) riconnette all'istituto, i quali effetti non hanno alcun rilievo per la legge tributaria che si appaga della validit� formale del documento. Tanto ci� � vero che altri, oltre quello ora considerato, sono i casi di decadenza previsti dalla legge, e non pu�, certo, fondatamente sostenersi che le ipotesi di cui all'art. 505 e.e. importino l'invalidit� ai fini fiscali dell'inventario. D'altra parte il minore che non osserva l'obbligo della formazione dello inventario non potr� vincere la presunzione dello art. 31 per difetto del documento prescritto dalla norma, ma non decade dal beneficio se non quando dopo un anno dal compimento della maggiore et�, non abbia provveduto a formare l'inventario. Il quesito, quindi, non pu� trovare soluzione con l'inammissibile richiamo a norma dettata per tutt'altro fine. In sostanza la presunzione legale posta dall'art. 31 pi� volte citato opera solo nei casi tassativamente indicati nel terzo comma, sicch�, ove sussista la validit� formale dell'inventario, cade la facolt� degli uffici finanziari di ricorrere all'accertamento presuntivo. Nel caso in esame -gi� si � detto -la validit� formale del documento non viene in discussione, ma l'Amministrazione finanziaria sostiene che la certezza che l'inventario non comprendeva tutti i beni � circostanza efficiente ad abilitarla a ricorrere allo accertamento presuntivo; il che pone in diversi limiti il problema, e cio� se un fatto accertato successivamente alla forma.zione del documento possa rendere quest'ultimo invalido ai fini fiscali. Or, se si tiene presente la finalit� che la legge ha inteso perseguire allorch� ha limitato la prova contraria alla presunzione di cui all'art. 31, cio� quella di evitare, con l'occultamento della ricchezza, le frodi fiscali, e si tiene conto, aj.tres�, che gli inventari indicati sono dalla legge considerati efficienti a dare l'esatta rilevazione dei beni ereditari, si deve ritenere che il fatto posteriormente accertatodeve essere di tale natura da vulnerare sia detta finalit�, sia la rilevazione che il documento � destinato ad offrire. Tale � senza dubbio l'omissione maliziosa nell'inventario di alcuni beni. Ma allorch� tale omissione non � da ascriversi a mala fede, e risulta, anzi, come nel caso esame, che essa � addebitabile ad ignoranza sulla esistenza dei beni omessi, e dei quali, per di pi�, l'erede si � affrettato a denunciare l'esistenza agli organi tributari, non pu� affermarsi che l'inventario abbia perduto ogni idoneit� a contrastare l'accertamentopresuntivo. In definitiva l'amministrazione finanziaria, per negare la validit� probatoria.dElll'inventario ed affermare la legittimit� dell'accertamen_to _ _ in via presuntiva, si vale, a ben riflettere, a sua. � volta di un elemento presuntivo consistente nel fatto che l'inventario non contiene menzione delle 162 azioni della Sez. Tritone, ed argomenta che se ����-�-�---�-..-�----�---------------....... -155 quel bene fu omesso, se ne deve dedul'l'e che lo inventario non contiene la rilevazione della insussistenza del denaro, dei gioielli, della mobilia. Ma l'elemento presuntivo non � efficiente a disconoscere la validit� sostanziale dell'inventario quando risulta che l'omissione fu, come nel caso in esame, incolpevole, e quando gli eredi hanno subito portato a conoscenza degli organi tributari l'esistenza di dette azioni. Illegittimo � pertanto l'accertamento operato in via presuntiva dall'Ufficio e conseguentemente gli appellanti hanno diritto al rimborso dell'imposta pagata. La questione, ampiamente trattata dalla Corte di Appello nella sentenza che si annota, non � nuova alle Commissioni Tributarie e, quel che pi� conta, non � pacificamente risolta (1). Com'� noto, l'art. 31 della legge sull'imposta di ~uccessione sancisce la presunzione dell'esistenza �i gioielli, denari, mobilio ecc... per un valore in ragione di una determinata percentuale sull'ammontare globale del compendio ereditario. Detta presunzione � di applicazione generale; si ammette, peraltro, la prova contraria, ma in modo restrittivo e con mezzi . tassativi. Questi mezzi sono esclusivamente gli inventari di tutela e di eredit� beneficiata o fallimentare o fatti a segiiito di apposizioni di suggelli ecc. Poich� la norma nulla detta sulla nozione degli in ventari riferiti, si impone la necessit� di ricercare il loro giuridico significato ri�orrendo a norme, anche di natura diversa da quella tributaria, che contengano gli estremi per una corrispondente qualificazione. In altri termini, ci� che � necessario per la vitalit� .della disposizione in parola � unicamente l'esatta conoscenza giuridica di quei fatti che vanno sotto il nome di inventario di tutela, di eredit� beneficiata. Questa sola � un dato essenziale, ed estraneo al con. tempo, alle norme tributarie, mentre la regolamentazione di quei fatti, cio� il loro svolgimento, gli effetti, la loro funzione, si deduce chiaramente dalla ratio stessa -della norma tributaria, contenuta nello articolo cita.to. Di qui discende il richiamo alle norme civili unicamente per la qualificazione giuridica del fatto {( inventario �, come esattamente osserva la Corte di Appello, e non per la sua regolamentazione. Rinvio, dunque, alla legge civile per la determinazione dello inventario come fatto giuridico e, in modo particolare, come documento redatto con specifici requisiti di forma e di sostanza per la rilevazione della consistenza dello .asse ereditario. Ogni altro rinvio alla legge civile che, sia pure marginalmente, attenga alla disciplina dell'inventario nell'ambito dell'istituto civilistico di cui fa parte, deve respingersi. Data veste giuridica al fatto �cc inventario �, nulla manca perch� il disposto dello art. 31 possa venir applicato. Il come e il quando applicarlo � questione che afferisce alla interpretazione dell'articolo e per cui non � necessario alcun ulteriore richiamo a disposi. zioni di diritto civile. (1) V. Comm. Centr. 26 ottobre 1945, n. 6496, in Riv. leg. fisc., 1951, 1033; Comm. Centr. 12 novembre 1954, n. 65400; idem, 1955, 708; Comm. Centr. 19 di� cembre 1960, n. 35655; idem, 1962, 134. Se ci� � vero, (e, almeno in parte, ci sembra concordi la Corte di Milano) non � possibile poi affermare che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili, � ugualmente valido ed efficace � ai fini � irtbutari. Validit� ed efficacia sono termini di valore sostanziale, che afferiscono non all'esistenza, ma alla vitalit� e capacit� (si intende giuridica) di un fatto o rapporto. La validit� e l'efficacia di un atto sono determinate da una o pi� norme che regolano l'atto stesso in relazione alle finalit� volute dal legislatore. Non � possibile rinviare ad altre norme la determinazione dell'invalidit� e dell'inefficacia di un fatto senza, nel contempo, ammettere che, per quel fatto, sono state applicate norme dettate per una situazione diversa. Se proprio si vuole fare una equiparazione, l'unica consentita � questa: l'inventario giuridicamente esistente ai fini civili � giuridicamente esistente ai fini tributari. Posta la necessit� di richiamarsi ad altre norme, unicamente per la determinazione e cognizione giuridica di un atto, ci sembra ovvio che il richiamo debba essere fatto a quelle norme che determinano e qualificano l'atto nella sua tipicit� e perfezione e non nei suoi aspetti atipici o patologici . L'inventario � un atto-documento, con certi requisiti di forma e di sostanza, che accerta e certifica l'esistenza e l'entit� di tutti i beni di un patrimonio. Un inventario, che ometta l'indicazione di taluni beni effettivamente esistenti in un patrimonio, � un inventario imperfetto, che potr�, o non, avere effetti a seconda della norma che lo considera. Ma non � naturale estendere il richiamo alle norme che debbono dare la qualificazione giuridica di un atto tipico e perfetto anche alle norme che disciplinano lo stesso atto nel suo aspetto atipico e imperfetto. Da queste premesse ci sembra potersi concludere che, di fronte ad un inventario incompleto (cio� . imperfetto), non sia lecito richiamarsi alle norme del Codice civile (alla buona o mala fede che ha determinato l'omissione), per stabilirne l'efficacia in una sede cos� strutturalmente e funzionalmente diversa come � quella tributaria, ma sia doveroso mantenersi esclusivamente nell'ambito dell'art. 31 citato. In questo ambito dovr� procedersi ad una normale operazione interpretativa, cio� stabilire se un fatto, non perfettamente corrispondente a quello inteso dalla norma, possa o no produrre i suoi effetti. A noi pare che, se solo si vuole considerare con un poco di attenzione, al di l� delle mere espressioni, la fimzione dell'articolo, inserito dinamicamente nel complesso delle norme che regolano l'imposta di successione, il carattere generale della presunzione da esso posto, la tassativit� dei mezzi atti a vincere la presunzione stessa, la peculiarit� di tutte le norme tributarie, che � quella di garantirsi da ogni possibile frode, non pu� non riconoscersi che, con l'attribuire effi.cacia (quella particolare efficacia) ad un inventario incompleto, si verrebbe a frustrare lo scopo della norma, e ci� per mezzo di uno strumento che dovrebbe costituire, dato il suo carattere pubblico e fidefacente, la migliore garanzia per la norma stessa. GIANCARLO FERRERO PROCCRATORE DELLO STATO -156 IMPOSTE E TASSE -Agevolazion! tributarie -Atte stazioni di organi non fiscali� -,potere di controllo dell'Amministrazione Finanziaria -Sussiste. IMPOSTA DI REGISTRO -Aumento di capitale di societ� per azioni connesso a fusione -Tassa "fissa Limiti di applicazione. (Corte di Appello di Torino, 16 novembre-31 dicembre 1962 -Pres.: Casoli; Est.,: Malinverni -Soc. Genepesca c. Finanze. L'accertamento delle condizioni di applicabilit� delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 41 della legge 11 gennaio 1959, n. 25, demandato al Ministro, dell'Industria e del Commercio non elimina n� rende superfluo l'accertamento dei requisiti sostanziali per la concessione del beneficio tributario, attribuito all' .Amministrazione Finanziaria dalle disposizioni di legge precedenti. Il beneficio della tassa fissa di registro previsto dall'art. 3 decreto-legge 7 maggio 1948, n. 1057 spetta solo nel caso in cui tra l'aumento di capitale e l'atto di fusione vi sia un rapporto direttamente causa.le. * * * La sentenza della Oorte torinese, passata in giudicato, ha fatto buon governo delle norme che concedono agevolazioni fiscali �agli aumenti di capitale deliberati per facilitare le fusioni e le concentrazioni di societ� e, in occasione -di queste �, respingendo una interpretazione estensiva di tali norme accolta talvolta dalla giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Genova, 16 gennaio 1957 in Rep. F.I. 1957, Registro, n. 297) e, ancora recentemente, dalla Oorte di Oassazione (Sent. 10 agosto 1962, n. 2521 in Foro It., 1963, I, 1008; interpretando l'analoga legge 6 agosto 1954, n. 603 art. 29). La prima massima � pacifica in giurisprudenza (cfr. Appello Roma, 17 luglio 1959 in Giur. It., 1960, 1, 2, 626 e Oomm. Oentr. Sez. VII, 11 luglio 1958 in Riv. Leg. fisc., 1959, 797). Esattamente ha osservato in proposito la Oorte torinese: La legge, n. 1057 del 1948 aveva ammesso, tra l'altro, al beneficio dell'imposta fissa di registro gli atti di fusione delle societ�. per azioni, e. i contemporanei aumenti di capitali, deliberati nell'occasione delle fusioni al fine di facilitarle. La legge, n. 25 del 1951, con l'art. 41, prorog� il termine delle accennate agevolazioni, purch� queste ultime fossero state autorizzate dal Ministero della Industria e del Commercio, sentito quello del Tesoro. Pertanto, trattandosi di una legge di proroga, non pu� intendersi la portata di una disposizione da essa introdotta, ai fini dell'agevolazione stessa, senza ulteriori limitazioni riferite all'intrinseco della norma agevolatrice, prorogata, se non in senso restrittivo, e particolarmente relativo alla finalit� cui logicamente dovette essere diretta la specifica limitazione, finalit�. di ordine economico, e di convenienza nel campo produttivo e commerciale, finalit�., infine, la considerazione delle quali � attributo esclusivo, per la particolare competenza onde � investita, dell'.Amministrazione preposta all'industria e al commercio, e cui � estranea, perch� non esperta, lAmministrazione finanziaria. In altre parole, la proroga fu condizionata a una preventiva autoriz zazione, da concedersi previo l'accertamento di quei requisiti, che fossero stati ritenuti dal Mini stero competente (quello, ovviamente, q~ll:;t, indu stria e del commercio) necessari per dare vita, �ol mezzo della fusione, a un organismo economica_ mente solido e vitale_ Ma il detto accertamento, cui fu condizionata la proroga, non deve intendersi preclusivo dalle normali indagini, cui � tenuta l'.Amministrazione delle Finanze per constatare la ricorrenza, oppure no, degli altri requisiti, consistenti nella contem poraneit�. della destinazione del detto aumento al fine di facilitare la fusione nell'occasione della quale l'aumento stesso � stato deliberato -requi siti -ripetesi -il cui accertamento fu dalla legge del 1948, n. 1057 affidato agli uffici finanziari, e ai quali non pot�, come non pu�, essere sottratto senza una specifica disposizione, tale non potendosi ritenere quella, di cui all'art. 41 della legge 7 maggio 1948, n. 1057, subordinante la proroga del beneficio ammesso con la legge precedente, a un altro accer tamento, costituente pertanto, quest'ultimo, una condizione necessaria, e non sufficiente. Infatti l'autorizzazione del Ministero dell'Industria e Com mercio, ha posto essenzialmente il punto sulla effi cienza del nuovo organismo che sarebbe derivato dalla fusione, come si evince dal contenuto del nulla. osta, dato perch� l'operazione risponde a un fine economico, in quanto riguarda tre societ�. complementari, per cui dalla loro fusione risulta un organismo pi� razionale ed efficiente con una conseguente semplificazione amministrativa ed eco nomica di gestione nell'esercizio dell'attivit�. delle. dette imprese. E invero non tanto l'autorizzazione ministeriale investe le agevolazioni finanziarie, direttamente, quanto le fusioni stesse e i contemporanei aumenti di capitali, deliberati in quelle occasioni per facilitare l'attuazione, onde la portata della detta autorizzazione �, in sostanza, quella di un nulla osta all'atto di fusione, e all'aumento del capitale sociale in funzione della fusione stessa, e pertanto di un nulla osta, che apra la via� degli accertamenti � richiesti dalla legge 1057 del 1948 a.i fini della agevolazione tributaria. La seconda massima � molto pi� interessante fissando essa limiti di applicabilit� di un beneficio che, da parte dei contribuenti, si tende ad allargare oltre le previsioni legislative. La fattispecie era in breve la seguente: in occasione della fusione delle societ� Pescoatlantica e Frigo Industriale con la Genepesca quest'ultima aveva deliberato due aumenti di capitali, in uno stesso atto, uno corrispondente alla somma dei capitali delle societ� che si fondevano e un altro, di importo supe riore, diretto a facilitare, senza meglio specificare, la fusione stessa. Si � sostenuto dalla Genepesca che �l'aumento di capitale corrispondente alla somma dei capitali delle societ� che si fondono deve considerarsi non gi� 'Un -- aumento << deliberato per facilitare la fusione �, bens�, pi� esattamente, una conseguenza necessaria della operazione di fusione per incorporazione e per tale motivo gi� esentato in virt� dell'art. 1 del decreto-legge -157 7 maggiQ 1948, n. 1054, � trattandcsi di una operazione costitutiva della fusione stessa e con essa inscindibilmente connessa �. Quindi il beneficio di cui all'art. 3 non avrebbe potuto che riferirsi ad un aumento di capitale diverso da quello suaccennato. La tesi � erronea nelle due premesse e quindi nella conseguenza. La prima premessa errata � che l'aumento corrispondente alla somma dei capitali delle societ� che si fon dono � una operazione costitutiva della fusione stessa. Il BRUNETTI (Trattato del diritto delle societ�, Giuffr� 1948, vol. II, pag. 647) afferma che �la fusione per incorporazione produce una alterazione nello stato giuridico della societ� consistendo in un incremento patrimoniale ed, eventualmente, ma non necessariamente, nell'aumento di capitale sociale dello incorporante � e pi� oltre afferma che, �il codice nulla dice riguardo all'assegnazione di azioni, o di quote, del soc. incorporante ai soci di quella incorporata � che possono essere anche tacitati in denaro. Il GRECO (Le societ�, Giappichelli, 1959, pagina 464) afferma che l'aumento di capitale della societ� incorporante pu� non essere necessario, cos� nel caso che questa possedesse gi� l'intero pacchetto azionario della societ� incorporata, o che abbia in portafogli un numero sufficiente di proprie azioni da attribuire a tutti i soci di detta societ� �, e cita l'opinione del VIVANTE {Trattato, II, n. 766, del FERRARA: Impr. e Soc., pag. 423 e del VISENTINI in Riv. Dir. Comm., 1942, II, 294). La seconda premessa � che l'aumento di capitale corrispondente alla somma dei capitali sociali delle Societ� sia gi� esentato in virt� dell'art. 1 del regiodeoreto 7 maggio 1948, n. 1057, il che � puramente gratuito perch� l'art. 1 esenta gli atti di fusione e non parla affatto dei contemporanei aumenti di capitale; ora, come abbiamo visto, l'aumento di capitale pu� essere una modalit� del procedimento di fusione ma non � la fusione stessa come � di tutta evidenza. La conseguenza errata � che l'aumento di capitale di cui all'art. 3 debba essere diverso da quello stretta mente necessario per l'operazione di fusione. E' invece da rilevare al contrario che, appunto perch� trattasi di operazioni distinte sia pure dello stesso procedimento, non si sarebbe potuto applicare l'esenzione fiscale agli aumenti di capitale, quan tunque connessi con l'operazione di fusione, se non con una esplicita disposizione legislativa, e a tal fine � stato emanato l'art. 3 (cfr. PERRICONE: .Aziende e Societ� nell'imposta di registro, Giuffr� 1950, pa gina 288). D'altro canto se il solo aumento di capitale inscindibilmente connesso con la fusione � quello corrispondente alla somma dei due capitali sociali, come si giustificherebbe, in armonia con la ratio legis che � quella di facilitare le fusioni, una agevolazione per un aumento di �capitale non connesso con la fusione stessa. 'i Ohe la ratio legis fosse quella di facilitare, con la riduzione dei costi fiscali che tali operazioni comportano, il ridimensionamento delle aziende sociali per rafforzare, attraverso la fusione di aziende minori, l'economia nazionale � indubbio (cfr. ROMANO: .Agevolazioni tributarie agli effetti dell'imposta di registro e concentrazioni d'azienda in �Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. �, 1959, 711 e .ANTONINI: Cob:Sidera~ zioni intorno ad alcuni aspetti tributari delle concentrazioni aziendali in cc Gius. It. �, 1960, IV pag. 57 e segg.). E se, l'aumento di capitale superiore alla somma dei capitali sociali delle societ� che si fondono non � cc inscindibilmente connesso �, con la fusione, per quale motivo il legislatore. avrebbe dovuto concedere le agevolazioni fiscali? Ma, si � obiettato, se cos� fosse~ la considerazione di contemporaneit� imposta dallo art. 3 sarebbe superfiua in quanto l'aumento d� capitale corrispondente all'importo dei capitali delle societ� incorporate � necessariamente contemporaneo alla fusione. Se anche l'obiezione fosse fondata non proverebbe granch� in quanto le leggi sono piene di pleonasmi, specie quelle tributarie che sono tutt'altro che tecnicamente ineccepibili. Ma, in realt�, it requisito, della contemporaneit� non era affatto superfiuo in quanto, come abbiamo visto, la fusione non importa necessariamente un aumento di capitale; per collegare l'aumento alla fusione ed estendere al primo gli stessi benefici della seconda � quindi necessaria la contemporaneit� cronologica, senza che per� questa sia sufficiente essendo esplicitamente richiesto anche l'altro requisito della strumentalit� dell'aumento di capitale, che deve essere diretto a facilitare la fusione. Sulla portata di tale ultimo requisito la Genepesca~ giocando sulla elasticit� lessicale della parola � f acilitare � ha sostenuto che il secondo aumento cc era destinato a consentire la pi� efficiente organizzazione imposta dalla deliberata fusione e, quindi, in definitiva, a facilitare la fusione stessa nelle sue proprie finalit��. � stato facile obiettare che il risultato di facilitare la fusione sarebbe in tal caso secondario, indiretto e mediato, mentre immediato, diretto e principale � lo scopo di consentire una pi� efficiente organizzazione aziendale. Ora, tenendo presenti i criteri interpre tativi in tema di agevolazioni tributarie (cfr. Cont. dello Stato per gli anni 1942-50, vol. I, pag. 475, n. 344) sintetizzati nella formula secondo cui � necessaria� la connessione diretta dell'oggetto del negozio per il quale si discute dell'applicabilit� dell' agevolazione con l'ipotesi di riduzione delle leggi previste �, � evidente che non pu� consentirsi un tale allargamento della portata della norma di favore. La circolare ministeriale 18 agosto 1948, n. 117855 ha precisato, proprio in previsione di una tale situazione di fatto che: �si deve ritenere compreso nelle agevolazioni di cui sopra esclusivamente l'aumento di capitale che sia strettamente collegato alla fusione sociale mentre � da considerarsi escluso quello rivolto al potenziamento della societ� �. La Commissione Centrale ha chiarito che l'agevolazione � non pu� riferirsi che agli aumenti di .capitale resi necessari dall'operazione di fusione e concen----trazione e per la parte corrispondente all' ammonta1�e delle aziende o stabilimenti conferiti o al capitale delle societ� incorporate�, aggiungendo che cc � insufficiente ai fini della concessione dell'esenzione tributaria, la circostanza che il menzionato conferimento --158 .:.._ forma un presupposto inderogabile della fusione, giacch� essa, se ha rilievo in rapporto alle cause che la determinano, non costituisce un elemento essenziale dell'operazione (Oomm. Oentr., 10 marzo 1950, numero 11065 in Riv. Leg. Fisc., 1950, 1008 e, per qualche riferimento, Oomm. Oentr. 26 maggio 1954, n. 61747&in Riv. Leg. Fisc. 1954, 1511). Se si escludesse la connessione diretta tra l'aumento di capitale e la fusione, il <e rapporto direttamente eausale � per usare l'espressione della Oorte torinese, ne deriverebbe che qualsiasi aumento di capitale deliberato in occasione di una fusione potrebbe ,genericamente essere considerato come diretto a f aci litarla. E' ovvio che in ogni caso un'aumentata dispo nibilit� di capitali facilita lo sviluppo e la riorganiz .zazione �dell'azienda: se davvero il legislatore avesse voluto uno scopo cos� ampio era sufficiente che si limitasse a richiedere il solo requisito della contem poraneit� dell'aumento di capitale con la fusione, essendo evidente che, nel senso voluto dai contribuenti, tutti gli aumenti di capitale facilitano indirettamente la fusione potenziando l'azienda incorporante. Se il legislatore ha voluto oltre al requisito della eontemporaneit� anche quello della connessione diretta dell'aumento con la fusione � perch� non tutti gli aumenti di capitale (che certo facilitano e non ostacolano la fusione) possono essere esenti dall'imposta bens� solo quelli che hanno per scopo immediato, per causa effettiva, per oggetto diretto la fusione e non anche il potenziamento-dell'azienda incorporante che solo indirettamente finisce con il facilitare anche la fztsione. Onde a noi sembra che esattamente la Oorte di Torino ha concluso la pregevole motivazione della sua sentenza affermando che: va ritenuto, pertanto, che l'esigenza di un rapporto direttamente causale tra l'aumento di capitale societario e l'atto di fusione si evince chiaramente dalla lettera della legge, onde collegando la menzionata finalit�. agevolatrice della fusione con la pur menzionata condizione che l'aumento debba essere deliberato contemporaneamente alla fusione e nell'occasione di essa, si trae la conseguenza che la legge abbia preteso, all'effetto del beneficio fiscale, un vero e proprio collegamento diretto tra la deliberazione maggiorativa del capitale stesso e la deliberazione di fondere (o concentrare) due o pi� societ�.. GIOVANNI FIERRO ESPROPRIAZIONE PER P. U, -Retrocessione Relitti -Determinazione del giusto prezzo, in man canza di amichevole pattuizione -La preventiva perizia di cui agli articoli 32 e 33 della legge � condi zione di ammissibilit� della domanda giudiziale. (Tribunale Potenza 12 marzo 1963, n. 121/63 Est.: Nesti -Appio c. Finanze). In analogia a quanto � disposto per la determinazione dell'indennit�. di espropriazione, l'azione giudiziaria per la determinazione del giusto prezzo di retrocessione di un relitto va intesa come mezzo di impugnazione di una, precedente stima eseguita in fase non contenziosa. Pertanto, anche rispetto a tale azione, la perizia prevista dagli artt. 32 e 33 della legge si pone come un prius logico, che condiziona l'ammissibilit�. della relativa domanda. Oo'IR. la sentenza che si segnala, il Tribunale di Potenza -oltre a decidere (nel senso di cui sopra e , secondo la tesi dell'Avvocatura) la questione di ammissibilit� della domanda di determinazione giudiziale del prezzo d'un relitto -ha cercato di fissare, sullo stesso argomento, alcuni principi, che sembrano interessanti, per la rarit� di precedenti. In particolare, dopo aver premesso che il prezzo dei fondi oggetto di retrocessione, ove non sia amichevolmente pattuito, viene stabilito giudizialmente, in seguito a perizia da eseguirsi a norma degli articoli 32 e 33 della legge, il Tribunale ha precisato: Il mezzo per la determinazione del prezzo dei beni non � quindi diverso da quello stabilito per la determinazione dell'indennit�. di espropriazione. La stima deve, di conseguenza, essere eseguita da un perito nominato dal Tribunale territorialmente competente, entro il termine fissato col decreto di nomina. Per quanto, poi, riguarda il soggetto, ad, impulso �el quale -in caso di disaccordo -debba richiedersi la nomina del perito, avvertita la carenza di una esplicita indicazione legislativa (in quanto l'art. 60 si limita a richiamare i precedenti artt. 32 e 33), il Tribunale stesso ha espresso l'avviso che (a differenza di quanto avviene nel caso d'indennit� di espropriazione, in cui tale iniziativa compete al Prefetto), nella ipotesi in questione, in caso di disaccordo, una qualsiasi delle parti possa dare impulso al procedimento per la determinazione del prezzo di retrocessione, mediante istanza o richiesta al Tribunale territorialmente competente, per la nomina del perito. Infine, circa i termini per� la impugnativa di tale stima, il Tribunale ha ritenuto che la relativa azione giuiJ,iziaria sia svincolata dall'osservanza di termini di decadenza, a differenza di quanto dispone l'art. 51 della legge per il caso d'indennit� di esproprio. GIUSEPPE ADOBBATI RESPONSABILITA CIVILE -Danno subito da dipen� dente in servizio -Prescrizione. (Tribunale di Firen� ze, Io luglio 196.3 -Pres.: Est.: Cerrini Feroni-Galardi c. FF.SS.). Il diritto del dipendente statale al risarcimento del danno, che abbia subito, per colpa dell'Amministrazione, in servizio ed a causa di servizio, si prescrive in 5.anni, che, per i fatti avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore della Costituzione (e, quindi, anteriormente anche alla legge 6 marzo 1950, n. 104), decorre da questa e non dalla data della sentenza, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il R.D.L. 6 febbraio 1936, nu---mero 313 (30 gennaio 1962). La sentenza, che ha accolto in pieno le tesi sostenute dall'Avvocatura, cos� motiva al riguardo: -159 L'atto di citazione introduttivo di questo giudizio � stato, infatti, notificato il giorno 16 dicembre 1962. A tale data erano gi� maturati i termini di prescrizione preveduti rispettivamente dagli artt. 2947 e 2951 O.e. poich� erano gi� trascorsi pi� di cinque anni, e perci� a maggior ragione pi� di un anno, dal giorno in cui il diritto oggi vantato dal Galardi poteva essere fatto valere (articolo 2935 O.e.). Ed invero, ad avviso del Collegio come non v'� dubbio che al Galardi era precluso in passato, cio� all'epoca in cui si verific� il fatto dannoso ed anche successivamente, l'esercizio del diritto di richiedere all'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato l'integrale ristoro del danno sofferto per effetto della legislazione speciale allora vigente (D.L.G. 21 ottobre 1915, n. 1558 e R.D.L. 6 febbraio 1936, n. 313 convertito nella legge 28 maggio 1936, n. 1126) che escludeva l'azione risarcitoria dell'impiegato infortunato nei confronti della Pubblica Amministrazione, cosi sembra altrettanto certo che tale preclusione venne a cessare al momento dell'entrata in vigore della nuova Costituzione dello Stato o quantomeno al momento in cui trov� effettiva attuazione la legge 11 marzo 1953, n. 87 (cio� nel 1956). In altri termini, a prescindere dal fatto della sopravvivenza della legge abrogativa 6 marzo 1950, n. 104 alla quale le parti hanno fatto solamente un accenno e dalla quale potrebbero sorgere questioni di dubbia risoluzione, la preclusione dello esercizio del diritto all'intero ristoro del danno invocato dal Galardi, per effetto della nuova costituzione e perci� ancora prima che intervenisse la sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 1962, n. 1 non era, come rileva la convenuta, di carattere assoluto ma relativo in modo da consentire allo stesso attore di esercitare il diritto solo attualmente fatto valere. La illegittimit� della abrogata legislazione preclusiva dell'azione riparatrice del danno, � derivata infatti, da contrasto con i principi dell'art. 28 della Costituzione. Ne deriva come logica conseguenza che questo motivo di illegittimit� poteva essere sollevato inizialmente dinanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria, poi dinanzi al Giudice Costituzionale, facendosi contemporaneamente valere il diritto risarcitorio, senza che perci� quest'ultimo trovasse pi� quella preclusione assoluta ad essere azionato che invece valeva per il passato. , Questa soluzione, secondo il parere del Tribunale trova il suo sostegno nel principio che le sentenze della Corte Costituzionale le quali accertano la illegittimit� di una legge non fanno che rilevare la nullit� (per difformit� ai principi costituzionali) della legge stessa; tale servizio peraltro esiste fin dal momento in cui si verific� l'anzidetta difformit�, ossia dal momento in cui la legge o, se questa � anteriore alla Costituzione, (come nel caso in esame) dal momento dell'entrata in vigore di questa ultima. Conseguentemente � a tale momento che deve farsi risalire il giorno iniziale della relativa decorrenza secondo il principio dell'art. 2935 O.e. Infatti, era da quel momento che il Galardi avrebbe potuto esercitare il proprio diritto verso la Pubblica Amministrazione, sollevando contemporaneamente ai fini delle relative declaratorie giudiziali la questione di illegittimit� delle leggi ordinarie, che fino allora gli aveva precluso ogni azione, per il vizio consistente nella difformit� con i principi dell'art. 28 della nuova Carta Costituzionale. N� pu� essere presa in considerazione l'ultima obiezione sollevata dall'attore, secondo il quale il corso della prescrizione opposta dalle Ferrovie dello Stato si sarebbe interrotto per effetto del risarcimento del debito da parte della stessa Amministrazione (art. 2944 O.e.). Infatti le manifestazioni provenienti dalla convenuta ed a tal fine indicate dal Galardi, cio� a dire fornitura di un arto �artificiale fino al 1956, sollecitazione dello I.N.A.I.L. perch� venisse corrisposta all'infortunato una rendita mensile, ed infine concessione di uno speciale distintivo di onore, non sono idonei a interrompere la prescrizione. Essi, non rappresentano manifestazioni espresse dal risarcimento del diritto patrimoniale dedotto in giudizio, ma espressioni di solidariet� sociale e di comprensione. �I N D I e E s I s� T E M A T I e o DELLE CONSULTAZIONI L.J. FURMUL.J.ZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN .J.L�JUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE liJ STATA DAT� ACQUE PUBBLICHE REGIONE TRE:l'l'TINO-Ar.To ADIGE. Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per la Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui allo art. 10 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige in base alla quale a detta Regione spetta un diritto di preferenza a parit� di condizioni nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico (n. 75). APPALTO FALLIMENTO -P AG.AMENTI. Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante a garanzia dei versamenti di legge agli istituti previdenziali e assicurativi debbano, intervenuto il fallimento dell'appaltatore, essere versate al curatore o agli istituti stessi (n. 268). AUTOVEICOLI E AUTOLINEE MANU'TENZIONE -RESPONSABILIT�. Se il periodico controllo degli organi meccaru01 e l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente ad esonerare il proprietario dalla responsabilit� di cui al 4� comma dell'art. 2054 O.e. (n. 65). CIRCOLAZIONE STRADALE CARICHI SPORGENTI. Se le norme contenute nell'art. 119 e 32 del Codice della Strada tutelino interessi diversi ed abbiano un diverso ambito di applicazione (n. 5). CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO PROCURA IBREVOCABILE ALL'INCASSO' -p AGAMENTO AL TITOLARE DEL CREDITO. Se, in presenza di una procura irrevocabile per incasso, il pagamento fatto al dominus abbia piena efficacia liberatoria (n. 190). COMUNI E PROVINCIE TASSA PER OCC1UPAZIONE DI SUOLO PuBBLICO -SPAZI DEMANI.ALI. Se sia applicabile la tassa comunale di occupazione di aree pubbliche alle concessioni di spazi demaniali marittimi (n. 103). DANNI DI GUERRA CITTADINI TEDESCHI. 1) Se l'accordo di reciprocit� italo-germanico ratificato il 26 ottobre 1942 e reso esecutivo con legge 7 dicembre 1942, n. 1855 in virt� del quale i cittadini tedeschi avevano diritto al risarcimento dei danni di guerra da parte dello Stato Italiano, debba considerarsi estinto alla data di inizio delle ostilit� tra la Germania e il Regno d'Italia essendo in conseguenza illegittimi e ripetibili i pagamenti fatti in virt� di detto trattato dall'Amministrazione delle Finanze nel corso delle ostilit� medesime (n. 112). 2) Se in base alla legge 27 dicembre 1953, n. 968 possa accogliersi la domanda di risarcimento di danni di guerra presentata da una Societ� italiana il cui pacchetto azionario al momento del verificarsi del danno apparteneva interamente a cittadini tedeschi e che pertanto ai sensi della precedente legge sui danni di guerra 26 ottobre 1940, n. 1543 doveva� considerarsi� straniera e quindi esclusa dal risarcimento (n. 112). DAZI DOGANALI AzIONE DI RIMBORSO -PRESCRIZIONE. 1) Se l'azione di rimborso di diritti doganali indebitamente pagati fuori dei casi previsti dall'art. 29 legge 25 settembre 1940, n. 1424 sia soggetta a prescrizione ordinaria (n. 22). 2) Se sia sottoposta a tale prescrizione l'azione di rimborso dell'imposta di conguaglio, istituita con l'articolo 1 secondo comma legge 31 luglio 1954, n. 570, pagata in pi� del dovuto in dipendenza dell'applicazione di criterio di calcolo del valore diverso da quello stabilito nell'art. 18 legge 19 giugno 1940, n. 762 (numero 22). DEMANIO DEMANIO LACUALE -DISTANZE DE!JLE COSTRUZIONI. 1) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo, oppure se debba tenersi a distanza non inferiore a metri tre da esso confine (n. 174). SPAZI DEMANIALI MARITTIMI -TASSA COMUNALE PER_. OCCUPAZIONE DI SUOLO PUBBLICO. 2) Se sia applicabile la tassa comunale di occupazione di aree pubbliche alle concessioni di spazi demaniali lllarittimi (n. 175). 161 EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE ALLOGGI INA-CASA -ALIENAZIONE ALLOGGI A RISCATTO. 1) Se l'art. 15 della legge 28 febbraio 1948, n. 43 che prevede per gli alloggi a riscatto INA-Casa un divieto di cessione per un termine di 5 anni sia ancora applicabile dopo l'entrata in vigore della legge 14 febbraio 1963, n. 60 il cui art. 29 dispone il divieto di alienazione per un periodo di dieci anni per gli alloggi assegnati immediatamente in propriet� con pagamento rateale e garanzie ipotecarie (n. 134). ALLOGGI POPOLARI -CESSIONE IN PROPRIET�. 2) Se all'acquirente con patto di riservato dominio di un alloggio di tipo popolare ed economico ai sensi del decreto presidenziale 17 gennaio 1959, n. 2, spetti la qualifica ed i diritti del condominio anche prima del pagamento integrale del prezzo (n. 135). GESTIONE INA-CASA -UTILIZZAZIONI PARTI COMUNI. 3) Se la modificazione o l'utilizzazione particolare delle parti comuni di un edificio dell'INA-casa sia condizionata al consenso degli assegnatari (n: 136). ALLOGGI POPOLARI -ALIENAZIONE. 4) Se per l'opponibilit� ai terzi del divieto di alienazione degli alloggi a tipo popolare, realizzati col contributo dello Stato, sia indispensabile la trascrizione (n. 137). 5) In particolare, se -nelle provincie soggette al regime dei libri fondiari -sia praticamente eludibile il divieto di alienazione di detti alloggi (n. 137). COOPERATIVE EDILIZIE.. 6) Quali siano i criteri per giudicare dell'adeguatezza di un alloggio posseduto da un socio di cooperativa edilizia ai fini della sua esclusione dalla stessa (n. 138). ELEZIONI LISTE ELETTORALI. Se, a norma dell'art. 53 D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, debba ritenersi nulla la votazione �nell'ipotesi in cui le liste elettorali siano state sottoscritte solamente da due scrutatori (n. 5). ELETTRICITA' ED ELETTRODOTTI LINEE ELETTRICHE -NORME TECNICHE. 1) Se le Norme Esplicative che sono riportate in relazione a ciascun articolo del regio-decreto, n. 1969 del 1940, contenente norme per l'esecuzione delle linee elettriche stesse, abbiano efficacia modificatrice delle norme dettate dal suddetto regio-decreto (n. 8). 2) Se, nel calcolo dei sostegni delle linee elettriche, lo sforzo uguale a 1/3 del maggiore dei tiri laterali esercitati dai conduttori (art. 7, comma 20 e 40 regiodecreto, n. 1969 del 1940) vada calcolato in corrispondenza della mensola situata al vertice del palo di sostegno o di quella situata al centro (n. 8). 3) Se la disposizione contenuta nel quart'ultimo comma del regio-decreto n. 1969 del 1940, come modificato dall'art. 5 delle -Varianti approvate con D.P.R. 1 febbraio 1948, n. 63, sia appli�!tbile, nel mtso �di conduttori fissati ai sostegni mediante catene di sospensione, oltre che al morsetto che collega il conduttore alle .catene, al complesso del dispositivo di isolamento (numero 9). ESECUZIONE FISCALE ESECUZIONE PRESSO TERZI. 1) Se, nell'ipotesi di imposte suppletive di successione, il privilegio reale spettante all'Erario ex articolo 2772 C.c. possa essere esercitato in danno dei terzi acquirenti gli immobili caduti in successione (n. 63). 2) Quali siano le modalit� da osservare nell'esecuzione fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario del bene gravato da privilegio reale (n. 63). PIGNORAMENTO -OGGETTI D'ORO. 3) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64). 4) In quale ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi �d'oro � agli effetti di cui agli artt. 539 C.p.c. e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64). ESECUZIONE FORZATA ESECUZIONE PRESSO TERZI. 1) Se il debitore assoggettato a espropriazione forzata presso terzi possa efficacemente autorizzare il terzo pignorato a versare le somme vincolate in favore del creditore procedente (n. 32). ESTINZIONE DEL PROCEDIMENTO. 2) Se l'art. 627 (che disciplina la riassunzione del processo esecutivo dopo la definizione giudiz?�ale del procedimento di opposizione) sia applicabile anche quando il procedimento di opposizione si estingua per inattivit� delle parti (n. 33). PIGNORAMENTO -MORTE DEL DEBITORE. 3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento sia necessario riassumere la procedura esecutiva nei confronti degli eredi (n. 34). PIGNORAMENTO -REATI DEL CUSTODE. 4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto a seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di ufficio per mancata consegna dei beni al momento della vendita (n. 35). 5) Se la nullit� degli atti esecutivi escluda--la sussistenza dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p;~ (n. 35). 6) Sugli effetti che la sanatoria delle nUllit� processuali dell'esecuzione forzata determina� in ordine alla configurabilit� dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p. (n. 35). -162 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' DECRETI DI ESPROPRIAZIONE -IDENTIFICAZIONE DEI PROPRIETARI ESPROPRIATI. 1) Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente, nelle note di trascrizione dei medesimi sia obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione della data e del luogo di nascita, ai sensi della legge 21 dicembre 1955, n. 1064 (n. 177). INDENNIT� -OPPOSIZIONE AL PAGAMENTO. 2) Se sia ammissibile opporsi al pagamento della indennit� di espropriazione per ragioni di credito derivanti da obbligazione estranee al rapporto di espropriazione (n. 178). ENFITEUSI. 3) Sulla disciplina dei rapporti tra concedente ed enfiteuta in ipotesi di espropriazione per pubblica utilit� dell'immobile concesso enfiteusi (n. 178). FALLIMENTO APPALTO -PAGAMENTI. 1) Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante a garanzia dei versamenti di legge agli istituti previdenziali e assicurativi debbano, intervenuto il fallimento dell'appaltatore, essere versate al curatore o agli istituti stessi (n. 76~. STATO PASSIVO -INSINUAZIONE TARDIVA. 2) Quali siano le modalit� richieste per la costituzione in giudizio del creditore che ha proposto ricorso per insinuazione tardiva nel passivo fallimentare agli effetti di impedirne la decadenza prevista dall'art. 98 della legge sul fallimento (n. 77). FERROVIE PERSONALE FERROVIARIO -ART. 3 LEGGE, N. 304 DEL 1963. Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal 10 ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge, n. 304 del 1963, si debba tener conto, con la ricostruzione economica della carriera dell'interessato, dei benefici economici gi� attribuiti in virt� degli artt. 20 e 21 della legge 8 dicembre 1961, n. 1165 (n. 344). IMPIEGO PUBBLICO IMPIEGATI SOGGETTI ALLA LEGGE SULL'IMPIEGO PRIVATO -LICENZIAMENTO. 1) Se il licenziamento di pubblico impiegato soggetto alla legge sull'impiego privato possa essere disposto in relazione a fatti di rilevanza disciplinare senza il rispetto della garanzia del contraddittorio (n. 548). PERSONALE FERROVIARIO -ART. 3 LEGGE, 304 DEL 1963. 2) Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal 1� ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge n. 304 del 1963, si debba tener conto, con la ricostruzione economica della carriera dell'interessato, dei benefici economici gi� attribuiti in virt� degli artt. 20 e 21 della legge 8 dicembre 1961, n. 1265 (n. 549). TUTELA DEL LAVORO. 3) Se sia legittimo, nel settore del pubblico impiego, l'intervento dell'Ispettore del lavoro per la tutela della legge sul lavoro e sulla previdenza sociale (rr. �550). IMPOSTA DI CONSUMO MATERIALI DA COSTRUZIONE. Se la legge 19 luglio 1961, n. 659 che estende agli edifici contemplati dall'art. 2 regio-decreto 21 giugno 1938, n. 1094 l'esenzione dall'imposta di consumo per i materiali da costruzione disposta dall'art. 16 legge 2 luglio 1949, n. 408 faccia riferimento a quest'ultima legge anche per quanto concerne il limite di tempo entro il quale deve essere iniziata la costruzione perch� vi sia titolo ~ll'esenzione (n. 13). IMPOSTA DI REGISTRO TRASFERIMENTO SIMULTANEO DI MOBILI ED IMMOBILI. Se l'art. 46 della legge di registro (a sensi del quale al trasferimento simultaneo di mobili ed immobili, ove sia stato pattuito un prezzo unico complessivo, si applica l'aliquota per i trasferimenti immobiliari) contenga una norma di carattere eccezionale che non consente estensione a casi diversi da quello dalla stessa legge espressamente previsto (n. 193). I.G.E. INTERESSI SULL'I.G.E. EVASA. Se gli interessi da corrispondersi prima dell'entrata in vigore della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sulle somme dovute per I.G.E. evasa, sopratassa e pena pecuniaria decorrano dal giorno in cui s'� verificato il presupposto tributario o piuttosto dalla data dell'ingiunzione di pagamento del tributo e della sopratassa ovvero dal decreto che abbia inflitto la pena pecuniaria (n. 102). IMPOSTA DI SUCCESSIONE PRIVILEGI. Se, nell'ipotesi di imposta suppletiva di successione, il privilegio reale spettante all'Erario ex art. 2772 O.e. possa essere esercitato in danno dei terzi acquirenti gli immobili caduti in successione (n. 34). Quali siano le modalit� da osservare nell'esecuzione fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario del bene gravato da privilegio reale (n. 34). IMPOSTE E TASSE IMPOSTA CEDOLARE. 1) Se la delibera assembleare di una societ� per azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio degli utili a riserve e la distribuzione agli "�zionisti di sonrme prelevate dal fondo sovraprezzo azionario dia -luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalle diversit� di forma e di denominazione, ad una distribuzione di utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cui alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 356). 2) Se nei confronti della Societ� che abbia omesso il versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio Tributario possa procedere all'accertamento d'ufficio ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza attendere anche la vana decorrenza del termine previsto per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno in corso, quando gi� da documenti ufficiali risulti la dichiarazione degli utili stessi e quindi l'avvenuta violazione della legge (n. 356). IMPOSTE COMUNALI -RICORSI. 3) Se il termine previsto per la presentazione dei ricorsi in materia di finanza locale debba essere inteso con riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione dei ricorsi stessi (n. 357). IPOTECHE CAUSE DI SOSPENSIONE DIPENDENTI DALLO STATO DI GUERRA. 1) Se il termine di efficacia delle iscrizioni ipotecarie sia stato sospeso per il periodo previsto nel R.D.L. 3 gennaio 1944, n. 1 e nel R.L.L. 24 dicembre 1944, n. 392, contenenti norme per la sospensione del corso delle prescrizioni dei termini di decadenza e dei termini processuali in dipendenza dello stato di guerra (n. 16). 2) Se le stesse cause di sospensione siano applicabili in tema di usucapione ventennale di diritti immobiliari, nei confronti del terzo possessore (n. 16). LOCAZIONI AUMENTI DI CANONE -DECORRENZA. 1) Quale sia il termine iniziale di decorrenza per gli aumenti del canone previsti dalla legislazione vincolistica in tema di locazione (n. 116). RINNOVO TACITO. 2) Se il contratto di locazione a tempo determinato debba intendersi tacitamente rinnovato quando il locatario conservi il godimento della cosa oltre il termine di scadenza (n. 117). 3) Se sia ipotizzabile la tacita riconduzione nei confronti della Pubblica Amministrazione (n. 117). LOTTO E LOTTERIE CONCORSI A PREMI. 1) Se l'aggiunta di premi, da estr�rsi a sorte, alle obbligazioni emesse dall'I.R.F.I.S. costituisca un concorso a premi, a sensi dell'art. 43 della legge sul lotto (n. 18). 2) Se fra i cc titoli di prestiti pubblici e privati '' i quali a norma dell'art. 51 della legge sul lotto non possono costituire premi di lotterie -debbano ritenersi compresi anche i libretti di risparmio al portatore (n. 18). 3) Se l'imposta annua di abbonamento, dovuta, secondo l'art. 1 legge 27 luglio 1962, n. 1228, dallo I.R.F.I.S. e dagli istituti similari sia sostitutiva anche della c.d. tassa di lotteria (n. 18). PENSIONI PENSIONI DI GUERRA -TRATTENUTE PER DEBITI VERSO LO STATO. . _,,., Se sia possibile recuperare un credito erariale a mezzo di ritenute sulla pensione di guerra (n. 107). PIGNORAMENTO OGGETTI D'ORO. 1) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. e il regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5). 2) In quali ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi cc d'oro " agli effetti di cui agli artt. 539 C.p.c. e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5). MoRTE DEL DEBITORE. 3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento sia necessario riassumere la procedw�a esecutiva nei confronti degli eredi (n. 6). REATI DEL CUSTODE. 4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto a seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di ufficio per mancata consegna dei beni al momento della vendita (n. 7). 5) Se la nullit� degli atti esecutivi escluda la sussistenza dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p. (n. 7). 3) Sugli effetti che la sanatoria delle nullit� processuali dell'esecuzione forzata determina in ordine alla configurabilit� dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p. (n. 7). POSTE E TELECOMUNICAZIONI INCETTA DI CORRISPONDENZA. 1) Se possa configurarsi il reato di incetta previsto nell'art. 35 del Codice Postale anche nell'ipotesi prevista dall'art. 37, lettera b) dello stesso Codice, e cio� nella ipotesi di trasporto e del recapito di corrispondenze epistolari per le quali sia stato soddisfatto il diritto postale, nei modi di cui all'art. 20, n. 1 del Regolamento 18 aprile 1940, n. 689 (n. 96). PUBBLICIT� POSTALE. 2) Se, a seguito dell'emanazione del D.M. 1� dicembre 1961, sia tuttora consentito all'Amministrazione PP.TT. svolgere attivit� pubblicitaria a favore di enti ed Istituti non aventi fini di lucro e se -ed in quali casi sia possibile consentire che gli utenti di macchine affrancatrici apportino variazioni alle dimensioni ed al contenuto delle targhette-leggenda (n. 97). PROCEDIMENTO CIVILE GIURISDIZIONE VOLONTARIA -PROVVEDIMENTI DI AUTORIT� STRANIERE. 1) Sull'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione (n. 30). -104: 2) In quali ipotesi l'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisd~zione siano condizionati al procedimento di delibazione previsto dallo art. 801 del codice di procedura civile (n. 30). 3) In particolare, se sia necessaria la delibazione per le deliberazioni rese dal Consiglio di famiglia previsto dagli artt. 405 e seguenti del Codice civile francese (numero 30). PROPRIETA' CONDOMINIO -ASSUNZIONE PERSONALE. 1) Se l'assunzione del personale di custodia da parte dell'Amministratore del condominio sia condizionata alla preventiva deliberazione dell'Assemblea dei condomini (n. 34). PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLIOHE. 2) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica che intenda piantare alberi ai bordi della strada sia tenuto al rispetto delle istanze legali dalle propriet� limitrofe (n. 35). 3) Se possa competere al privato proprietario di fondo confinante con strada pubblica il diritto della autotutela di cui all'art. 896 e.e. per la recisione dei rami protesi e delle radici che si insinuassero nel suo fondo (n. 35). PROPRIET� CONFINANTI COL DEMANIO LACUALE. 4) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo, oppure se debba tenersi a distanza non inferiore a metri tre da detto confine (n. 36). PROPRIET� INTELLETTUALE BREVETTO -ESPROPRIAZIONE DA PARTE DELLO STATO. 1) Se l'espropriazione di un brevetto da parte dello Stato, limitato al diritto di uso, la~ci al titolare del brevetto la facolt� di disporre dell'invenzione salvo che nei confronti dello Stato espropriante (n. 21). 2) Se sia legittimo, nel decreto di espropriazione del diritto di uso di un brevetto, l'inserimento dell'obbligo -senza limiti temporali -di mantenere le invenzioni segrete (n. 21). REGIONI REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE -ACQUE PUBBLICHE. Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui all'art. 10 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige in base alla quale a detta Regione spetta un diritto di preferenza a parit� di condizioni nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico n. 108). RESPONSABILITA' CIVILE AUTOVEICOLI -OMESSA MANUTENZIONE. Se il periodico controllo degli organi meccanici e l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente ad esonerare il proprietario dalla responsabilit� di cui al 4� comma dell'art. 2054 e.e. (n. 202). RICORSI AMMINISTRATIVI RICORSO GERARCIDCO. Se il termine previsto per la presentazione dei ricorsi in materia di finanza locale debba. essere ~!}tE)SO con riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione dei ricorsi stessi (n. 9). SERVITU' SERVIT� cc AMOENITATIS CAUSA �. Se sia ammissibile la costituzione di una servit�amoenitatis causa comportante per il proprietario del fondo servente l'obbligo di conservare le alberature esistenti e di metterne a dimora nuove .(n. 35). SOCIETA' IMPOSTA CEDOLARE. 1) Se la delibera assembleare di una societ� per azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio degli utili a riserva e la distribuzione agli azionisti di somme prelevate dal fondo sovraprezzo azionario dia luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalla diversit� di forma e di denominaziol';le, ad una distribuzione di utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cui alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 103). 2) Se nei confronti della Societ� che abbia omesso il versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio Tributario debba procedere all'accertamento d'ufficio ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza attendere anche la vana decorrenza del termine previsto per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno in corso, quando gi� da documenti ufficiali risulti la dichiarazione degli utili stessi e quindi l'avvenuta violazione della legge (n. 103). STATO CIVILE DECRETI DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�... Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente, nelle note di trascrizione dei medesimi sia obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione della data e del luogo di nascita, ai sensi della legge 21 ottobre 1955, n. 1064 (n. 6). STRADE PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLICHE. 1) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica ch�~ intenda piantare alberi ai bordi della strada sia tenut~;; al rispetto delle distanze legali dalle propriet� limft> on trofe (n. 48). ~. � 2) Se possa competere al privato proprietario di fon�ff confinante con strada pubblica il diritto all'autotuteTu" di cui all'art. 896 O.e. per la recisione dei rami e del?� radici che si insinuassero nel suo fondo (n. 48). ) TELEFONI CONCESSIONI TELEFONICHE -AUMENTO DEI CANONI. Quale sia l'interpretazione dell'art. 52 delle convenzioni riguardanti le concessioni telefoniche alle Soceit� S.T.I.P.E.L. e T.E.T.I. (n. 23). PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SERVIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO xv -N. IO-U-I2 OTTOBRE-NOVEMBRE-DICEMBRE 1963 DECISIONI DI �RIGETTO DELLA CORTE COSTITUZIONALI; ED�. ESTINZIONE DEL PROCESSO Dt APPELLO INCIDENTATO 1� (bi .� marg�ne ad un �recente caso giztdiziario) I. Una recente pronunzia del Tribunale di Nap�li; (1') conoscendo degli effetti delPestinzione d�l processo d'appello contro, una sua prt;1Cedente sen� teiiza, che, nel 1955, prima. dell'entrata in funzione della Corte� Costituzionale, aveva dichiarato in�oidenter tantum (a norma della VII disp. tl'ans .. della Costituzione) l'illegitfil:tnit� costituzional� di mi decr. eto 'legislativo di espropriazione a favore della Sezione Speciale per la riforma fondiaria presso l'O.N.C., disapplicandolo, ha ritenuto inutiliter data la sentenza della Corte Costituzionale, che, investita successivamente della questione dal giudice d'appello, l'aveva dichiarata infondata, affermando che l'estinzione del processo a quo, per mancata riassllllzione a norma dell'art. 297 C;p.c., ha comportato il passaggio in giudicato della propria sentenza del 1955. Il Tribunale � pervenuto a tale conclusione, negando che la decisione della Corte Costituzion�.le possa annoverarsi fra quei �provvedimenti pronunciati nel procedim~nto estinto �, che, modificando la sentenza impugnata, ne impediscono il passag: o in giudicato (art. 338 C. p. c.), e ci� p�rch� il udizio incidentale di costituzionalit� ex artt. 1 !:ge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 'ge 11 marzo 1953, n. 87, non sarebbe una fase, pure devoluta alla cognizione di un giudice erso, dello stesso processo in cui la questione ~ne sollevata. Non lo sarebbe, perch�, secondo il .ribunale, <e siffatta configurazione mal si concilia Jon la indipendenza del processo costituzionale, che non soltanto prescinde dalla costitU.zione delle parti (art. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87) e non propone una causa petendi ed un petitum uguali a quelli del processo principale, ma � svincolato dalle vicende processuali che successivamente si svolgono nel giudizio che ha dato occasione alla que~ stione incidentale, come � ribadito espressamente dall'art. 22 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale del 16 marzo.1956, il quale, disponendo che Je norme sulla sospen" sione, interruzione ed estinzione del processo non si applicano ai giudizi davanti alla Corte Costituzionale neppure nel caso in cui per qualsiasi causa sia venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'autorit� giurisdizionale che ha promosso il giu" dizio di legittimit� costituzionale, prevede la possibilit� di una sopravvivenza .autonoma del giudizio di costituzionalit� )). Non lo sarebbe, perCh�, sempre secondo il Tribunale, positivamente il rapport� fra processo costituzionale e processo principale � riconducibile allo schema della pregiudizialit� in senso tecnico-giuridico, �di cui riveste le caratteristiche essenziali date dall'esistenza di una questione, la cui risoluzione � necessaria per la decisione della� causa ... e dal trasformarsi di questa questione in causa, che per volont� di legge deve essere decisa in via principale )). La conversione della questione in vera e propria �causa � suppone, per6, che nel nuovo processo sia proposta un'azione diversa e distinta da quella in co1�so nel processo incidentato e non solo un mero rapporto di pregiudizialit� logica della questione rispetto alla controversia originaria. La configurazione del processo ex artt. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge. 11 marzo 1953, n. 87 nello schema della pregiudizialit� in senso tecnico comporta, pertanto, non gi� l'affermazione di un caso di giurisdizione senza azione, ma il tentativo. di trasformare la mancanza di autonomia genetica di quel processo da�-oggettiva in soggettiva, nel senso che la legittimazione ad agire sarebbe costituita dalla qualit� di parte o di giudice nel processo a quo. � questo, precisamente, ilpensiero del Tribunale, secondo il quale �le numerose e sovente sottili obiezioni sollevate contro tale configurazione sono destinate a cadere di fronte agli argomenti prospettati da acuta dottrina)) (2). -166 II. � ben noto, tutta.via, che codesta dottrina., poich� nel nostro sistema positivo l'istanza. di parte o del Pubblico Ministero non � ti.n dato costante, potendo la questione essere sollevata di ufficio dal giudice a quo (art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87), ravvisa nell'ordinanza di trasmissione di quel giudice l'atto introduttivo del processo costituzionale, come vero e proprio esercizio di un diritto d'azione (3). E poich� non poteva sfuggirle il paradosso di un giudice, che, essendo tenuto per la sua stessa funzione ad applicare la legge conforme ai detta.mi costituzionali, n� avendo ricevuto dalla Costituzione il potere di disapplicare definitivamente, ai fini della decisione della causa, quella, della costituzionalit� della quale non sia convinto, si faccia parte ed impugni l'atto legislativo innanzi alla Corte Cost�tuzionale ed in questo processo venga a trovarsi in lite (4) con lo stesso soggetto del processo a quo interessato alla validit� della legge, o col Presidente del Consiglio o della Giunta Regionale, o con altro organo dello Stato o delle Regioni, che vi siano intervenuti (artt. 20 e 25 legge n. 87 del 1953), non ha trovato altro modo di spiegare l'istituto secondo il paradigma della pregiudizialit� tecnico-giuridica, se non eliminando addirittura la lite e facendo (o credendo di fare, come si vedr�) del processo costituzionale un processo di stato, col che l'� parso di sottrarsi anche alla grave disputa sull'efficii.cia delle pronunzie della Corte. Si tratta, per�, a nostro avviso, soltanto di un tentativo pur se ingegnoso e certamente assistito da vastit� di apparato. Alla sua base sta l'idea che l'efficacia della legge incostituzionale (5) possa considerarsi in astratto e subiettivarsi, tuttavia, in una situazione giuridica (sostanziale e preliminare) (6) prima ancora del verificarsi della fattispecie ipotizzata dalla norma e, quindi, del verificarsi dei suoi effetti concreti. Si tratterebbe di un indifferenziato status di soggezione di tutta l'universitas civium (7), riguardante, per�, direttamente (8) solo i giudici. Con questa idea si accomunano le parti litiganti ed il giudice del processo a quo in un'unica situazione (9) ed in un unico interesse, distinto da quelli in conflitto, interesse a liberarsi dalla soggezione (10), che sarebbe occasionalmente protetto soltanto a favore del giudice, (11) al quale sarebbe concesso il diritto di agire per �l'annullamento>> dello status (12), consumando (in caso di accoglimento) l'azione per tutti i collegittimati (13). Ora il concetto di soggezione in senso tecnico indica la situazione di chi non pu� impedire che con l'esercizio di un potere altrui si produca un certo effetto nella propria sfera giuridica (14) e cio� implica sempre una relazione intersoggettiva, a differenza di quanto assume quella teoria, secondo la quale si tratterebbe, invece, di una relazione ... con l'ordinamento, di una qualificazione preliminare alla nascita di rapporti intersubiettivi. Ma � facile accorgersi, allora, che una tale subtiUtas non � in grado di indicare in che si distinguerebbe tale qualificazione della impersonale universitas civium dalla qualificazione della stessa legge come-�norma� vig�ente ed efficace (15), finch� non ne sia dichiarata la illegittimit� dall'apposito organo a ci� predisposto dall'ordinamento medesimo. Di preliminare alla rilev�nza giuiiili�a d�lla fattispecie concreta v'�, poi, subiettivamente, il c. d. presupposto soggettivo di quaJ:ii�cazion� '(15-bis) e cio� il singolo soggetto (16), a cui sar� imputato l'effetto, in 'base ad un problema di leggittimazione (17), che non pu� essere certo astratta qualificazione di una universitas, di una collettivit�, n� pu� consistere in una situazione giuridica sostanziale, la quale suppone gi� avve nuta. tale imputazione. E, d'altra. parte, come parlare di status (18) subiectionis dell'universitas civium, senza personi ficare (19) la collettivit�, contrapponendola. allo Stato Oonditor legum, tornando, cosi, alla relazione inte:r:subiettiva? Se, invece, la collettivit� non � personificata, come pu� parlarsi di status e di si tuazione soggettiva unica? E se, infine, questa immaginaria situazione giuridica della collettivit� si trasforma nella somma di tanti status indivi duali, quanti sono i suoi componenti (20), come � possibUe pensare che �l'annullamento>> (21) di uno status individuale coinvolga quello di tutti coloro che non hanno partecipato al processo? Non ci si accorge, inoltre, che, se l'interesse all'annullamento dello status � tutelato occasionalmente, solo quando sia gi� sorto un processo nel quale sorga questione sulla. costituzionalit� della norma da cui promana la predetta soggezione, e si parla di legittimazione per categoria, ci� vuol dire che l'azione di �annullamento � dello status sarebbe concessa proprio a chi non � pi� titolare della mera. situazione preliminare nel. senso ipotizzato dalla teoria, ma di una situazione, in tal senso, definitiva? E se la prima non si trasforma o non � assorbita necessaria.mente nella seconda, ma ne resta sempre distinta, come presupposto di una serie aperta di poteri, doveri o rapporti, non riesce possibile distinguere queste pretese, innumerevoli situazioni preliminari di soggezione, corrispondenti ad ogni norma dell'ordina.mento, subiettivamente dalla capacit� giuridica del singolo, che � precisamente l'attitudine alla titolarit� di situazioni giuridiche e di rapporti, ed obiettivamente dalla vigenza stessa della norma (la qualificazione dell'universitas civium come subiecta legi latae si riduce alla proposizione che quella legge, fi.nch� non ne sia accertata nel modo prescritto l'incostituzionalit�, produrr� necessariamente il suo effetto nei confronti di qualsiasi membro dell'universitas che venga a trovarsi nella prevista relazione con la fattispecie concreta, corrispondente a quella ipotizzata dalla norma, ossia afferma che a un dato fatto seguir� ineluttabilmente un dato effetto sub specie juris nei confronti di un certo o di certi soggetti). Ed ancora, come pu� essere proprio questa situazione di soggezione alla norma da applicare nel -processo, che il giudice, anzi -solt>--il giudice, � legittimato a fare <<annullare�, se l'obbligo di applicarla, ove conforme alla costituzione, non gli deriva, certo, dalla stessa norma e se, d'altra parte, egli � tanto poco soggetto ad essa, da avere il potere di sospenderne l'applicazione, -167 � finch� non si sia pronunziata la Corte Costitu: zionale'l Cosi quella teoria � costretta e ripiegare sull'affermazione che lo status subiectionis dei giudici :alla legge incostituzionale sarebbe creato non da .quest'ultima, ma... dalla Costituzione, la quale �pone un divieto ai giudici di disapplicare n (definitivamente) le leggi contrarie ad essa (22). Ma basta questa nuova formulazione della tesi a rinnegare il concetto di soggezione prima adottato, al quale � connaturale lo stato di passivit� e di inerzia. La Costituzione non rende il giudice inerte, passivo innanzi alla norma incostituzionale, incapace di impedirne l'efficacia, ma, col ricono: scergli il potere di saggiarla e di astenersi dall'applicarla, in attesa che la incostituzionalit� sia conosciuta principaliter da uno speciale Giudice, a .ci�. fatto competente dall'ordinamento, non lo degrada a parte interessata, attribuendogli le legittimazione ad agire per l'annullamento di uno .status della collettivit�, ma rispetta la sua posizione di giudice disinteressato e super partes, per il quale la norma resta oggetto di ricerca, conoscenza -ed applicazione (23). Innanzi alla Corte Costituzionale non si presenta il giudice a quo per farsi liberare da uno status personale, ma per chiedere .ed ottenere istruzione necessaria ai fini dell'espletamento della jurisdictio; hanno, invece, diritto di presentarsi le parti del processo a quo ad illustrare, in contraddittorio, i vari aspetti della questione di costituzionalit� della legge denunziata (24), oltre :alla facolt� di intervento degli organi di cui agli :artt. 20 e 25 legge n. 87 del 1953. Da ultimo, deve osservarsi che la teoria in esame, con l'ammettere, sia pure implicitamente, l'impropriet� del concetto di � annullamento n di uno status (sono suscettibili di invalidit� e di annullamento gli atti dei soggetti e non gi� le qualifiche in s� dell'ordinamento) e col riconoscere che trattasi della normale conseguenza dell'annullamento della stessa legge incostituzionale (25), iinisce per tornare, senza accorgersene, al punto -di partenza: processo di annullamento di atti e non gi� processo di stato, ritrovando innanzi a s� tutti quei gravi inte;rrogativi, che il sistema positivo autorizza ad opporre a tale configurazione e .che essa aveva ritenuto di superare. III. Con autorevole interpretazione, ben pi� :aderente ai testi, � stato, invece, riconosciuto che il giudizio costituzionale incidentitle cc in quanto J>Ossiede la caratteristica .di sorgere in occasione e in vista della risoluzione di una questione pregiudiziale, relativa a un giudizio pendente innanzi :a un'altra magistratura, viene a porsi in posizione strumentale e ausiliaria rispetto a quest'ultimo� (26) -e che, fin quando la pronuncia della Corte resta -<e una pronuncia giurisdizionale in senso proprio n, -essa non pu� operare che nel processo a quo (27). -<e Nata dal giudizio a quo e per il giudizio a quo, per essere risolta in sede giurisdizionale, la questione ritorna al giudizio a quo, risolta appunto da una decisione giurisdizionale n (28). Il fatto che il processo in esame, cc oltre ai .caratteri del procedimento propriamente giurisdi zionale >> (29), possieda anche altri caratteri (30), non pu� inficiare questa verit� fondamentale. Come espressione dell'esercizio di giurisdizioJ.l.e, esso � una fase del processo a quo e non un processo obiettivamente autonomo, appunto perch� non vi si esercita un'azione distinta e diversa da quella in corso nel primo e perch�, di conseguenza, l'effetto dell'esercizio di quella potest� giurisdizionale deve prodursi nel processo principale (31). Parlare di azione del giudice nel nostro ordinamento (32) � arbitrario ed aberrante. Se, quando ritiene manifestamente infondata la questione di costituzionalit� -e ci� nei vari gradi 'e fino a giungere alla Corte di Cassazione -il giudice ordinario si sostituisce alla stessa Corte Costituzionale ed in propria competenza giudica della costituzionalit� della legge, non si vede come e perch�, quando ritiene la questione non manifestamente infondata e per ragio}\e di competenza la sottopone allo speciale Giudice costituzionale, dovrebbe cessare di esplicare attivit� di giudice e divenire, invece, �parte n attrice, tanto pi� se si pensi che sarebbe ben strana l'attribuzione di un diritto di azione, che la parte del processo a quo, prima dell'ordinanza di trasmissione, pu� ben escludere, rinunciando al giudizio in corso (33), cosi come potrebbe escluderla, in presenza di una eccezione di incostituzionalit�, l'eventuale conciliazione delle parti (art. 185 C. p. c.) intervenuta prima di quell'ordinanza (34). Epper� � stato autorevolmente osservato che, anche nel caso in cui la questione sia rilevata d'ufficio dal giudice a quo, essa cc rimane ugualmente una controversia fra le parti, come tale considerata e regolata dalla legge n (35), cosicch� << non � della legge in astratto che si decide, ma in quanto si applica al caso concreto n (36). La configurazione trova riscontro nell'analogo caso in cui, a norma dell'art. 23 legge 7 gennaio 1929, n. 4, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono investite con ordinanza del giudice a quo della eventuale questione di inapplicabilit� (in relazione all'art. 1 legge n. 4 del 1929) di norme penali contenute in leggi concernenti i singoli tributi e la decidono con efficacia di e< giudicato irrevocabile� (cit. art. 23, legge n. 4 del 1929) fra le parti (37). Come fase (38) del processo incidentato, il procedimento innanzi alla Corte Costituzionale adempie alla funzione di accertare in via contenziosa, con la possibilit� di contradittorio fra le parti del processo incidentato e degli interventi previsti dagli artt. 20 e 25 legge 11 marzo 1953, n. 87, la conformit� o meno di una data formula (39) legislativa ad una o pi� norme della Costituzione, facendo conoscere al giudice del processo a quo, se la norma, da questi ritenuta applicabile al caso solo condizionatamente al favorevole esito del controllo di costituzionalit� richiesto alla Corte, vada o meno applicata. La Corte accerta in definitiva (se una data formula costituisca) una �regula juris valevole per un caso concreto ed il controllo che essa compie della esistenza e della chiarezza della valutazione di rilevanza della questione, fatta dal giudice a quo, � espressione dello stesso suo dovere di accertare e< il titolo o il -168 presupposto dell'esercizio in con::ireto della propria competenza� (40) . .Alla Corte di Cassazione compete, invece, di stabilire se una data <e regola )) si attagli perfettamente al caso concreto (41). Nell'uno e nell'altro caso si tratta di pronunzie che non si riferiscono direttamente al rapporto controverso, ma ad una questione di diritto, pregiudiziale alla pronunzia di merito (42). E la regola �, pertanto, identica: la vincolativit�. della decisione della questione non solo nel processo a quo, ma cc anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda)) (art. 393 O.p.c.) (43). Epper�, mentre � semplicemente un fuor d'opera negare che dalla pronuncia della Corte sorga anche solo una preclusione per il giudice a quo, poich� si tratterebbe di processi diversi, mentre quella opera nello stesso processo, appare, peraltro, tendenzioso e preconcetto opporre il contenuto dell'art. 22 del Regolamento interno della Corte Costituzionale per pretendere di snaturare l'istituto, attribuendogli caratteri che positivamente esso non ha. Ad orientare nella giusta direzione gli interpreti di questa norma valga, anzitutto, la lettura dell'art. 14 legge 11 marzo 1953, n. 87, comma primo, secondo il quale: cc La Corte pu� disciplinare l'esercizio delle sue funzioni con regolamento approvato a maggioranza dei suoi componenti n, ma non pu� certo modificare le precise linee dell'istituto del controllo della legittimit�. delle leggi em artt. 1 legge costitlfzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, com'� ribadito, se ce ne fosse bisogno, dall'art. 1 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (cc La Corte costituzionale esercita le sue funzioni nei limiti ed alle condizioni di cui alla Carta Costituzionale, alla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 ed alla legge ordinaria emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali �). Il sullodato art. 22 Reg. int. Corte Costituzionale si spiega, pertanto, agevolmente, ove si ricordi che, oltre alla funzione propriamente giurisdizionale di cui innanzi, la Corte ne esplica eventualmente un'altra, (44) come espressione di potest�. sui generis, (45) di cui l'ordinamento, checch� possa dirsi per dottrinarismo o per passionalit�., non le ha consentito l'esercizio autonomo, ma soltanto condizionato al legittimo esercizio della funzione giurisdizionale (ancorata, a sua volta, ineluttabilmente, alla denunzia del giudice di una controversia concreta ed agli atti del processo principale). E proprio per disciplinare il contemporaneo, eventuale esercizio di quest'altra funzione, la Corte, senza snaturare quella giurisdizionale affidatale, epper� continuando a giudicare della legge nei limiti della questione sollevata �dal giudice a quo e sempre sugli atti del processo incidentato, ha sancito una regola di irrilevanza delle successive vicende di quel processo, che conferma, anzitutto, la vincolativit�. inter partes della sua pronunzia di diritto anche al di fuori del processo incidentato e finch� la controversia possa essere riproposta in un altro processo fra le stesse parti (46). Bene � stato osservato, in proposito, che questa pretesa indipendenza del processo costituzionale non consente alla Corte di �svellere � la sua pronunzia cc da qualsiasi riferimento sia pure potenziale alla causa in cui � sorta la questione sulla legge � ( 4 7 ). Quest'altra funzione della Corte non pu� confondersi con quella giurisdizion.a,le da essa normalmente esplicata, se non a patto di tornare a postulare nel processo costituzionale una vera e . propria azione, diversa e distinta da quella del processo principale, la regola di legittimazione del primo �, invece, esclusivamente commisurata agli effetti che. dovr� produrre la sentenza del giudice a quo (48). La Corte Costituzionale non annulla l'atto legislativo, perch� non v'� un'azione di annullamento (49-50). Ed il Costituente non ha voluto attribuire ad un organo pubblico e tanto meno ad un privato (51) questo diritto di azionet n� alla Corte il potere di eliminare addirittura le manifestazioni di volont� del Parlamento; e cos� non � stata conferita al processo costituzionale fa stuttura adeguata ad un vero e proprio processo� di annullamento della legge in generale ed in astratto (52), sospingendosi quella pi� vasta funzione di interesse generale quasi al margine del processo (53). Quando la Corte dichiara la non conformit� costituzionale di una legge, da questa declaratoria consegue, oltre all'effetto vincolante per il giudice (o i giudici) della controversia. incidentata (inapplicabilit� della norma), la generale cessazione di efficacia della legge erga omnes (art. 136 Cost.) (54). La conferma della diversit�. e della non confondibilit�. delle due funzioni si trae� dal fatto che questo effetto erga omnes (55) � stato attribuito soltanto alle pronuncie di accoglimento� e non anche a quelle di rigetto (56-57), in aderenza alla specifica natura della seconda funzione~ espressione della potest� propria della Corte di assicurare il rispetto dei limiti (58) posti dalla Costituzione all'attivit� del legislatore; si trae� ancora dalla diversit� delle fattispecie produttive dei due effetti, quello proprio del processo costituzionale e quello che si determina al di fuori di esso,. cc identificandosi la fattispecie per gli effetti inter partes con la sentenza in s� e per s�, e richie� dendo, per gli effetti erga omnes, gli ulteriori fatti -esterni alla sentenza -della pubblicazione ai sensi dell'art. 30 cit. I comma, e della. vacatio fino al giorno successivo>> (59). Ohe il Costituente abbia voluto soltanto la. cessazione di efficacia della legge incostituzionale, si spiega, poi, sia col fondamentale principio dell'autonomia dei poteri fondamentali dello Stato (60) (col quale mal si sarebbe conciliata l'applicazione di sanzioni contro l'atto legislativo), (61) che con l'intento di evitare in linea di principio� la revivisceza del diritto abrogato (62) e di giustificare il controllo costituzionale del diritto preesistente (63). IV. Appare, pertanto, dimostrata l'erroneit�. der ragionamento del Tribunale di Nap~l,i,_ irretito� dalle conclusioni di una tesi dottrinale viziata a]la. base (64). La sentenza della Corte Costituzionale era intervenuta nel processo di appello, allorch� questo non si era ancora estinto ed aveva modificato il precedente giudizio del Tribunale, (65) nella premessa, laddove esso aveva ritenuto la illegit -169 timit� costituzionale della legge-provvedimento di cui trattasi ! Questo rilievo, assorbendo ogni altra critica, vale a confutare anche l'assunto della Corte di Appello di Catanzaro (66), che in un caso analogo a quello deciso dal Tribunale di Napoli, pur ammettendo che la pregiudiziale costituzionale si distingue dalle pregiudiziali disciplinate dal diritto comune (penale, civile, amministrativo), cc perch� priva della caratteristica dell'autonomia rispetto all'oggetto della domanda principale sotto il duplice profilo che la questione di legittimit� non pu�, come questione astratta, :formare oggetto di un processo autonomo e che anche la Corte Costituzionale la sottopone ad esame come semplice premessa logica per la decisione del caso concreto � (67), ha ugualmente ritenuto inutiliter data la sentenza della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato la infondatezza della questione di costituzionalit� di un decreto legislativo di esproprio, e ci� perch� �quando il processo principale viene, comunque, a cessare, viene anche meno l'efficacia diretta della . sentenza, perch� non esiste pi� la controversia ancorata alla decisione della pregiu diziale costituzionale, o, perch�, come nella specie, la controversia � rimasta irrevocabilmente decisa dal giudice che all'epoca era <;iompetent~ a riso.I~ vere la stessa pregiudiziale� (68). Evidentemente, � sfuggito alla Corte di Catanzaro che l'estinzione del processo di appello, per mancata riassunzione a norma dell'art. 297 C.p.c. nel termine perentorio di sei mesi dal deposito della decisione della Corte Costituzionale, non poteva operare che dalla (inutile) scadenza di tale termine (69), ossia dopo che in quel processo era gi� intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale a modificare la sentenza di primo grado, impedendone il passaggio in giudicato (art. 338 C. p. c.). V . .A corroborare definitivamente questo risultato, non resta che citare, a m� di conclusione, lo stesso insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui la decisione della Corte Costituzionale che dichiari l'infondatezza della questione di costituzionalit� cc si deve ritenere emessa dal giudice a quo del processo e deve avere la stessa portata di una sua decisione incidentale sulla questione� (70). FRANCO C.ARUSI NOTE (1) La si veda pubblicata in �Terni Napoletana, 1962, 396 ss. ed in Giux. it. �, 1963, I, 2, 205, ss. (2) � la nota tesi svolta dal CAPPELLETTI in La pregiudizialit� costituzionale nel processo civile, Milano, 1957, pagg. 4 e segg. (3) CAPPELLETTI, op. cit., pag. 52, 100, 210. (4) Cos� il CAPPELLETTI, op. cit., pag. 20, conviene col MoNTESANO (v. appresso a nota 61) che nel nostro ordinamento l'incostituzionalit� della legge pu� essere oggetto di questione ma non di lite. (5) Cfr. KELSEN: Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano 1952, p. 160; PIERANDREI; Oorte Costituzionale, in cc Enciclopedia del Diritto�, vol. X, Milano, 1962, pag. 972. (6) CAPPELLETTI, op. cit., pagg. 24, 25 (in nota), 140, 171. Secondo il predetto autore (op. cit. pag. 25, nota 42) si tratterebbe di una mera qualifica dell'ordina mento e non gi� di un rapporto intersubiettivo. Si tratterebbe di una situazione sostanzia~e preliminare. Ma la preliminarit� o prodromicit� � una categoria dellii. concreta efficacia della norma, che suppone gi� verificata una frazione della fattispecie da questa ipotizzata; � gi� un rapporto, v. in argomento RUBINO: La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, pag. 127 e segg.; sugli effetti preliminari osserva il FALZEA: Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano 1939, pagine 15-16, essere cc possibile che, pux non essendo esistenti tutti gli elementi necessari perch�, intervenendo la qualificazione concernente la situazione di fatto, sorgano le conseguenze giuxidiche predisposte, questi elementi semplici, possano, per s� stessi, essere oggetto di una qualificazione autonoma � e perci� sono dei veri e propri fatti giuridici e che (pag. 17) cc la situazione di fatto parziale, qualificata, produce delle conseguenze giuxidiche autonome, indipendentemente dalla possibilit� di divenire totale... salva la interdipendenza funzionale � degli effetti preliminari e di quelli definitivi. (7) CAPPELLETTI: op. cit., pag. 140, testo e nota 59. (8) Id., op. cit., pagg. 76 e segg., 139 e segg. (9) Id., op. cit., pag. 171. (10) Interesse proprio anche della parte che fonda la sua difesa precisamente sulla norma rispetto alla quale venga sollevata la questione di costituzionalit� ? (Il) CAPPELLETTI: op. cit., pag. 142-149; 192, nota 145. (12) Id., op. cit., pagg. 79, 84, 141 e segg. (13) Id., op. cit., pag. 171. (14) Trattasi, cio�, della situazione correlativa. al potere o al diritto potestativo di un altro soggetto: cfr. SANTORo-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, pag. 55; SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1952, pag. 47, nonch� AA. citati da CASSARINO. Le situazioni giuridiche e l'oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano 1956, pag. 233, nota 46. Questo A. osserva, peraltro, (op. cit .� pag. 234), che la necessit� di subire gli effetti dell'esercizio del potere cc non significa nulla, poich� ogni necessit�. in tanto � concepibile in quanto abbia ad oggetto un determinato comportamento. Nel caso della soggezione non viene in rilievo alcun comportamento, ��neanche_ negativo... Si tratta, quindi, nient'altro che della generica. posizione in cui si trova ogni soggetto, in capo al quale. possono produxsi effetti giuxidici. .. a seguito di comportamenti altrui giuxidicamente rilevanti �. (15) CAPPELLETTI, op. cit., pag. 41, ove critica la.. nota concezione dell'EsPOSITO della legge nulla, ma esecu -170 � toria; v. anche a pagg. 82-84. Sul ptinto v. le considerazioni del PIER.ANDREI, Corte Costituzionale, in �Enciclopedia del Diritto��, vol. X, pag. 972, il quale osserva che � difficile ritenere che le leggi incostituzionali �mentre vigono e il loro vizio non sia appariscente e sospettato e comunque non ancora accertato, non si pongano come obbligatorie al pari di tutte le altre leggi per il fatto che sia possibile sollevare n loro confronti la questione (in rapporto ad un potere non ancora esercitato e ohe non si sa quando verr� esercitato)�. Sulla questione di �responsabilit�� dei cittadini v. P.ALADIN Cenni sul sistema delle responsabilit� civili per l'applicazione di leggi incostituzionali in �Giur. Cost. �, 1960, 1029 e segg. (15-bis) Cfr. FALZEA, op. cit., pag. 7 e 78 (v. avvertenza a pag. 79 ed artt. I, comma secondo, 462, 600, 643, 784 Cod. civ.). (16) Dire soggetto significa dire capacit� giuridica, ossia attitudine ad essere pnnto di legittimazione soggettiva di conseguenze giuridiche v. F.ALZEA, op. cit., pag. 74; SANDULLI, Manuale cit., pag. 40. (17) Non ha senso, pertanto, postulare ulteriori qualificazioni soggettive rispetto alla singola norma, se non appunto in termini di legittimazione all'effetto concreto. Se prima del fatto la norma non esiste se non nel testo, come formula, mentre �opera � soltanto quando avviene il fatto, al quale deve essere applicata (v. la interessante polemica fra AscARELLI e CARNELUTTI, in << Riv. di dir. proc�, 1957, pagg. 351, 364 ed ivi, 1958, pagg. 14-26; in particolare, CARNELUTTI, ibidem, pag. 24; v. anche Corte Cost., sent. 23 giugno 1956, n. 3, � Giur. Cost. �, 1956, pag. 574), l'unico modo di essere del soggetto, che pu� avere significato, � precisamente la legittimazione all'effetto. Il che esclude, anche, melius re perpensa, che rispetto alla norma di legge avente carattere generale possa parlarsi di legittimazione unica ed indivisibile. Ogni effetto concreto pone un problema di legittimazione, per poter essere imputato al singolo soggetto (�effettivo� destinatario della norma: ANDRIOLI, L'intervento nei giudizi di legittimit� costituzionale, in �Giur. Cost. �, 1957, pag. 284). Con la divisibilit� della legittimazione pu� giustificarsi, peraltro, anche il fenomeno della c.d. sopravvivenza del diritto abolito, per cui una legge, pur se abrogata, continua a costituire la regola dei rapporti sorti prima dell'abrogazione e non ancora esauriti. (18-19) Il concetto di status �sta appunto a indicare l'appartenenza di un soggetto ad una certa categoria caratterizzata da una particolare sfera di capacit��: SANDULLI, Manuale cit., pag. 41; v. anche SANTORO PAsSA.RELLI: Dottrine generali, eco., cit. pag. 7-8. (20) V. sopra, nel testo in oorrisp~ndenza delle note (16, 17). (21) V. appresso, nel testo, in corrispondenza della nota (25). (22) CAPPELLETTI, op. cit., pag. 78. (23) Di mediazione col fatto direbbe il CARNELUTTI: Risposta al prof. Ascarelli, in << Riv. Dir. proc. �, 1958, 25, il quale -ivi, pag. 26 -riconosce che l'Ascarelli ~<ha ragione quando riduce l'applicazione nel quadro dell'interpretazione�. (24) Il SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce della Corte Costituzionale sulla legittimit� delle leggi, in << Riv. trim. di dir. pubbl. �, 1959, pag. 28, in nota, avverte che �ci� che � indispensabile in ogni procedi mento a carattere contenzioso � soltanto che i soggetti che l'ordinamento considera legittimi contradittori siano messi in grado, mediante la comunicazione dell'inizio del procedimento, di conoscere che �della questione sia. stata investita l'autorit��. (25) CAPPELLETTI, op. cit., pagg. 38 segg. 82, 91. -(26) SANDULLI, Natura, funzione ed effetti, eco., cit., pag. 33. (27-28) Id., op. cit., pag. 36. (29) Id., op. cit., pag. 35. (30) Cfr. LIEBMAN: Contenuto ed effecacia delle decisioni della Corte Costituzionale, in �Riv. dir. proo. >>, 1957, pag. 523: << il processo costituzionale � destinato ad esercitare eventualmente una doppia funzione, perch� deve decidere una questione del processo principale e nello stesso tempo, se la decisione sar� positiva, spiegher� una efficacia indiretta e secondaria che trascende l'ambito di quel processo e raggiunge il piano degli elementi costitutivi dello stesso ordinamento giuridico �. (31) Cfr. LIEBMAN, op. cit., pag. 523, il quale sottolinea che secondo i dati positivi il processo costituzionale �appare configurato dalla legge come legato al processo principale da un rapporto non soltanto genetico, ma funzionale, che perdura inalterato, salvi eventi straordinari, fino alla sua conclusione: � per cos� dire una propaggine del processo principale, qualche cosa come un ramo che se ne diparte e vi ritorna � pur essendo dotato, altres�, di �caratteristiche diverse ed altamente significative, che gli danno un'identit� propria non confondibile � in vista della sua �funzione indiretta >>, su cui v. nota precedente; cfr. anche GARBAGNATI, Sull'effecacia delle decisioni della Corte Costituzionale, in Scritti giuridici in onore di F'. Carnelutti, vol. IV, Padova 1950, pagg. 196-198 e 210, ove mette in evidenza l'analogia con la <<fase processuale che in base all'art. 23 legge 7 gennaio 1929, n. 4 si svolge dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per la decisione della questione sulla inapplicabilit� di norme penali contenute in leggi concernenti i singoli tributi �,su cui v. anche AzzARITI, Considerazioni sulla disciplina del sindacato sulla costituzionalit� delle leggi, in <<Foro Padano>>, 1948, IV, col. 52; cfr., infine, appresso, nota 38. (32) Quando il CAPPELLETTI, op. cit., pag.. 143, osserva che cc la configurazione del ricorso costituzionale come azione (anche) del giudice del processo pregiudicato� non dovrebbe stupire chi ricordi che l'istituto ex art. 100, comma I, della Costituzione di Bonn viene definito dalla dottrina tedesca come Richterklage, ossia, precisamente, �azione del giudice�, questo A. non considera la differenza che passa fra actio e Klage, in cui il momento prevalente non � l'affermazione di diritto in giudizio, ma la querela intesa ad ottenere l'attivit� del giudice, � �l'invocazione del giudice � cfr. CroVENDA, l'Azione nel sistema dei diritti -Saggi di dir. proc. civ., vol. I, Roma 1930, pag. 7 a 57; v. anche SATTA, Sui rapporti, ecc., cit., pag. 593 � parlare di nna azione del giudice, come si dice dagli scrittori tedeschi, non � proprio per il nostro ordinamento�. Epper� non di azione si tratta, ma di denuncia: ofr. CALAMANDREI, L'illegittimit� costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova; 1950,_ pag. 52 e segg.; ANDRIOLI, L'intervento nei giudizi, ecc., cit., pag. 283; REDENTI, Legittimit� delle leggi e Corte Costituzionale, Milano 1957, pag. 41 e 57; LIEBMAN, Contenuto, ecc., cit., pag. 520, il quale ritiene ohe non sia neppure necessario pensare a una vera e propria -171 denuncia, mettando in evidenza che il giudizio di costituzionalit� � promosso dal giudice della causa perch� egli �ha sempre il compito di stabilire liberamente quale sia la norma giuridica applicabile ai fatti della causa (iura novit curia) e in questa attivit� rientra necessariamente anche l'indagine sulla validit� costituzionale della norma stessa. Sebbene egli non abbia pi� oggi il potere di decidere la questione, � peraltro suo dovere proporsela e, in caso di dubbio, rimetterla alla Corte �; NIGIDO, Il procedimento nei giudizi di legittimit� costituzionale, in '' La Corte Costituzionale " (Raccolta di studi}, suppl. de �La Rassegna mensile dell'Avvocatura dello Stato>>, Roma 1957, pag. 150. (33) Cfr. SATTA, Sui rapporti fra la giurisdizione co;tituzionale e il processo (a proposito di un recente libro}, in "Riv. Trim. dir. e proc. civ.�, 1959, pag. 593, ove si osserva che �Il giudice agisce sempre nella sua funzione di giudice, che fura novit, anche se in luogo di pronunciare sull'eccezione a norma dell'art. 112, seconda parte, si limita a sollevarla per lo speciale meccanismo della legge �. (34) Cmcco e CORONAS, L'inte1�pretazione giudiziale della Costituzione, in �La Corte Costituzionale ll, cit, pag. 619. (35) AzzARITI, Gli effetti delle pronunzie sulla costituzion�ilit� delle leggi, in �Riv. dir. proc. >>, 1950, I, pag. 189 e pag. 190 (cc non mi sembra... che sia giusto considerare la questione sollevata d'ufficio dal giudice come una denunzia fatta nell'interesse generale, perch� si rimane sempre nell'ambito di.una controversia pregiudiziale, la risoluzione della quale sia ritenuta necessaria per la decisione della causa in corso�) e in Problemi attuali di diritto costituzionale, Milano, 1951, pag. 157. (36) SEGNI, Il processo civile nello Stato contemporaneo in cc Jus >>, 1954, p. 36; PIERANDREI, Corte Costituzionale, cit., pag. 947, ove si mette in evidenza che la prima condizione dell'incidente di costituzionalit�, ossia la rilevanza della questione, �implica che la legge impugnata sia precisamente quella che deve trovare immediata applicazione �. (37) D'AMELIO, La Corte di Cassazione come giudice di prima istanza,, in �Riv. di dir. Pubbl. �, 1930, pag. 6 e segg. (a pag. 10 sottolinea che cc l'art: 23 non dichiara che la decisione abbia efficacia anche in confronto di estranei al giudizio�). Sulle differenze fra i due istituti v. AzZARITI, Gli effetti delle pron�uncie, ecc., in �Riv. dir. proc. >>, 1950, I, pag. 188. (38) Cfr. Ordinanza 23 giugno 1956 delle Sezioni Unite Civ. della Corte di Cassazione in causa Mazza c. Min. Agricoltura ed Opera Valorizzazione Sila, in cc Giust. Civ. >>, 1956; CXXI: �la questione non pu� sorgere in via astratta, avulsa da un inte-resse specifico all'attribuzione di un bene della vita o (nel processo penale) all'affermazione della inesistenza (o d(;llla esistenza) di una pretesa punitiva verso soggetto determinato per un fatto storicamente avvenuto� ed ancora (ivi): �l'incidentalit� intesa ai fini della sollevabilit� della questione di legittimit� costituzionale non postula quella rigorosa separazione concettuale tra la questione stessa e l'oggetto principale del giudizio, ma soltanto che la risoluzione della questione valga alla decisione di una controversia concreta"� (39) V. SANDULLI, Atto legislativo, Statuizione legislat �iva e giudizio di legittimit� costituzionale, in �Riv. trim. dir e proc. civ.>>, 1961, pagg. 6 e segg.; MONTESANO, Norma e fm�mula legislativa nel giudizio costituzionale, in �Riv. dir. proc >>, 1958, pagg. 524 e segg.; Id., Le sentenze costituzionali e l'individuazione delle norme, ivi, 1963, pagg. 20 e segg.; v. anch(;l..DE FINA1.JZ controllo sulla legislazione, ivi, 1961, pag. 48. (40) Cfr. PIERANDREI, Corte Costituzionale, cit., pagine 962, 963, ove mette in rilievo perch� quel controllo non solo � giustificato, ma necessario ed in nota (337) elenca numerose pronunce della Corte in ordine al controllo medesimo circa l'esistenza e la sufficienza del giudizio (del giudice a quo) sulla rilevanza della questione. Sul punto, di recente, v. Corte Cost., 9 aprile 1963, n. 45, in Sentenza ed ordinanze della O. O. suppl. della Giurisprudenza Costituzionale�, 1963, 127. (41) SATTA, Corte di Cassazione (dir. proc. civ.), in " Enciclopedia del diritto >>, vol. X, Milano 1962, pag. 823. (42) GARBAGNATI, Sull'effecacia delle decisioni, ecc., cit., pag. 211. (43) Il GARBAGNATI, O{[J. cit., pag. 213, sottolinea che le decisioni della Corte Cpst. hanno l'efficacia processuale della cosa giudicata, analogamente a quelle delle Sezioni Unite a norma dell'art. 23 legge 7 gennaio 1929, n. 4: i loro effetti non si esauriscono nell'ambito del processo a quo, ma si estendono a qualsiasi processo nel quale fra le stesse parti dovesse successivamente sullevarsi la questione. Sul punto v. anche il nostro studio: Gli effetti delle pronunzie della Corte Costituzionale, ecc. in �La Corte Costituzionale� (Raccolta di Studi) cit., pagg. 239 e segg., ove si segnala anche la differenza fra efficacia �panprocessuale � ed efficacia " materiale � del giudicato. (44) Che si tratti di funzione distinta non �propriamente � giurisdizionale ammette il SANDULLI, N atura, funzioni ed effetti delle pronunce, ecc., cit., pagg. 35 e segg.; v.ancheLIEBMAN,Contenuto, ecc., cit., pag. 523 (45) Che la Corte Costituzionale costituisca un potere distinto dai tre tradizionali mette in evidenza il GuGLIELMI, I confiitti di attribuzione tra i potm�i dello Stato in �La Corte Costituzionale� (Raccolta di studi), cit., pag. 424, 425; v. anche REDENTI, Legittimit� delle leggi e Co1�te Costituzionale, Milano 1957, pagg. 33-34; TESAURO, La Corte Costituzionale, in �Rass. Dir. Pubbl. >>, 1950, pagg. 205 e segg., il quale sottolinea che la Corte � al di fuori e al di sopra dei vari poteri dello Stato (pag. 244245); ha natura anfibia (pag. 245) e la sua decisione (di accoglimento) ,; � un atto supergiurisdizionale, perch� ha una efficacia superiore e vincolante nei confronti di tutte le manifestazioni dell'attivit� degli organi giurisdizionali � (pag. 227); SANDULLI, op. cit., pag. 24, nota 3, secondo il quale, per�, �l'individualit�, l'indipendenza e l'autonomia riconosciute a ciascun potere nell'ordinamento costituzionale non sono collegate alle funzioni esercitate, bens� al piano sul quale esse vengono esercitate� (op. loc. cit.). (46) Ed infatti la Corte Costituzionale continua a giudicare nei limiti della questione sollevata dal giudice a quo e sugli atti del processo principale, di modo che non pu� dirsi che oggetto di quel giudizio divenga la legge in s�, ma deve dirsi, soltanto, che l'eventui;i}e_ inutilit� dell'effetto principale della decisione (spetta semm:-e __ cc al giudice non costituzionale, ove e quando se ne presenti l'occasione, decidere se lo scioglimento di quella questione possa avere efficacia o rilevanza tra le parti della causa � : MONTESANO, Le sentenze costituzionali ,e l'individuazione delle norme, cit. in "Riv. dir. proc. � -17::l 1963, cit., pag. 43) non impedisce alla decisione di spiegare ugualmente �il suo effetto secondario... totalmente estraneo� al processo a quo, cfr. LIEBMAN, Contenuto ed effecacia delle decisioni, ecc., cit., pag. 523. (47) MONTESANO, op. ult. cit., pag. 43. (48) Cfr. ANDRIOLI, Profili processuali del controllo giurisdizionale delle leggi, in �.Riv. Dir. Pubbl. �, 1950, I, pag. 44. (49) E ci�, del resto, neppure nell'altra ipotesi di giudizi di legittimit� costituzionale instaurati in via principale: cfr. SANDuLLI, Sulla discriminazione delle competenze, ecc. in �Foro it. �, 1956, IV, col. 50-52, nota 3; v. anche appresso, nota 61. (50) Lo stesso CAPPELLETTI, op. cit., pag. 187 esclude un potere della Corte Costituzionale di annullare le leggi sine act\one. (51) <<Si � voluto evitare la proposizione di una lite tra il singolo e il legislatore�, cfr. ordinanza 23 giugno 1956, Cass. SS. UU. Civ., cit., in � Giust. Civ.>>, 1956, CXXI; v. anche per la storia dei lavori preparatori AzZARrn, Gli effetti delle pronunzie, ecc., cit., in �Problemi attuali di dir. cost. � cit., pagg. 144 e segg. (52) C:fr. ANDRIOLI, Profili processuali, eec., cit., loc. cit.,: �invano si andrebbe in cerca di un organo o rappresentante cui fosse commessa la cura di una massa di interessi che � differenziata solo dalla qualit� di destinatari della norma di cui si discute: non il P.M., che � s� il rappresentante della legge, ma presso il potere esecutivo e per giunta della legge con !'elle maiuscola, non i presidenti delle due Cqmere, non tanto perch� la chiamata in causa non� si addice alla loro dignit�, quanto e sopratutto perch� la legge, una volta entrata in vigore, � affare che interessa ai suoi destinatari e non agli autori�, v. anche le osservazioni del PICCARDI, La Corte Costituzionale in Italia, in ccRiv. Amministrativa�, 1951, pagg. 239-241. (53) Cfr. LIEBMAN, Contenuto ed effecacia delle decisioni, ecc., cit., pag. 522. (54) Osserva il SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce, ecc., cit., pag. 40, che cc nell'imporre ai giudici comuni di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimit� costituzionale delle norme legislative che altrimenti dovrebbero applicare nel corso di un giudizio questo articolo (I legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. I) implica appunto che la pronuncia di incostituzionalit� � destinata senz'altro a operare nel giudizio a quo (il quale, infatti, viene sospeso in attesa di quella pronuncia: art. 23, 2� comma, legge 11 marzo 1953, n. 87). Perch� possa prodursi tale operativit� -la qual� discende direttamente e immediatamente dalla pronuncia e si realizza quindi col semplice perfezionarsi di essa (vale a dire col deposito in cancelleria: art. 26, 3� comma, legge 11 marzo 1953, n. 87) -non occorre dunque la pubblicazione della sentenza della Corte ai sensi dell'art. 30, 1� comma, legge ult. cit. � e che la disposizione dell'art. 136 Cost., �redatta e approvata quando non ancora si prevedeva l'adozione nel nostro sistema del giudizio costituzionale incidentale (introdotto con la successiva legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1), si riferisce palesemente agli effetti erga omnes delle sentenze di accoglimento della Corte �. (55) Osserva l'AZZARITI, Gli effetti delle pronunzie, ecc. cit., in cc Problemi attuali di diritto costituzionale>>, cit., pag. 151 che esso cc � indubbiamente fuori del nostro sistema processuale, secondo il quale ogni pronunzia � destinata a produrre� effetti tra le parti e non gi� in confronto di coloro che sono estranei al giudizio �. (56) Mentre, se si trattasse di azione di annullamento della legge in s�, non si giustifich�rebbe questa diversa estensione soggettiva del giudicato secundum eventum litis: il SANDULLI, Appunti sull'atto amministrativo collettivo, ecc., in �Scritti giuridici per il centenario della casa editrice Jovene >>, Napoli, s.d., pag. 439, nota 64, avverte che la tesi della variabilit� dell'estensione della cosa giudicata secundum eventum litis � decisamente superata; v. anche nostro studio Gli effetti delle pronuncie, ecc., cit., pag. 221. (57) Sulla efficacia vincolante delle pronunce di rigetto in ogni altro� processo in cui fra �1e stesse parti fosse riproposta la questione, v. GARBAGNATI, op. cit., pag. 212-213; sull'efficacia vincolante delle pronunce medesime non solo nel giudizio a quo, ma anche in altro giudizio che fra le stesse parti e sulla stessa controversia fosse instaurato ex novo, in caso di estinzione del processo incidentato, v. GIONFRIDA, Giudizio di legittimit� costituzionale della legge, ecc., in cc Studi in onore di E. Eula >>, Milano 1957, pag. 116, anche in nota; SEGNI, L'unit� del processo, �Riv. it. �, scienze giurid. >>, 1954, 235, nota; PIERANDREI, Corte Costituzionale, cit., pagg. 978-979, il quale (pag. 979) si riporta al principio del ne bis in idem, che vincola i giudici a non pi� pronunciarsi sull'oggetto del precedente giudicato ed a conformarsi ad esso quando debbano decidere questioni che lo presuppongono; v. anche � Cass. Sez. Un.�, 22 gennaio 1958, n. 147, in cc Giust. Civ.>>, 1958, p. 1, pagg. 1093 e segg. ed ivi nota con ampie citazioni di dottrina. Al principio del ne bis in idem si rif� anche il CHIEPPA, Ancora su.lla riproponibilit� di questione di legittimit� costituzionale, ecc., in � Giur. Cost. >>, 1961, pag. 1063. (58) Il REDENTI, Legittimit� delle leggi, ecc., cit., pag. 34, designa la Corte cc custode supremo degli argini �. (59) SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce, ecc., cit., pag. 43, il quale, pur parlando di �effetto di annullamento � sottolinea che esso � non discende...... dal dispositivo della sentenza� (ibidem). (60) Osserva il PIERANDREI, Corte Costituzionale, cit., pag. 968, che cc il nostro sistema, se da un lato non ritiene che le disposizioni legislative incostituzionali siano affette dal vizio della nullit�� {v. infatti, ivi, pag. 972) cc dall'altro lato non consente, a tutela della autonomia degli organi fondamentali, che le manifestazioni di volont� degli organi stessi vengano direttamente eliminate da un altro organo�. {61) Cfr. MoNTESANO, Legge incostituzionale, processo e responsabilit�, in �Foro it. �, 1952, IV, Col. 157, il quale, per�, negando che vi sia �un'applicazione giurisdizionale di sanzioni� contro l'atto incostituzionale, ritiene di potere affermare che �l'atto legislativo incostituzionale non � annullabile, ma nullo� (op. loc. cit.). Sulla critica della concezione che l'invalidit� costituisca una pura conseguenza logica della difettosit� della fattispecie, v. ScoGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, pag. 369 e segg., .. il-quale giustamente rileva che cc l'invalidit� non � la sola conse--� guenza della disformit� al diritto... potendosi avere sanzioni diverse o addirittura la semplice inefficacia, onde la necessit� di rifarsi al disposto del legislatore� (pag. 401); v. anche CANNADA-BARTOLI, L'inappli ------------------���-�-����-��-�----���� -173 cabilit� degli atti amministrativi, Milano 1950, pag. 31, �� altro � la teoria delle forme di divergenza, altro la teoria delle conseguenze della divergenza ed altro ancora la teoria delle cause di divergenza�. (62) Mentre, non trattandosi di abrogazione legislativa (v. le osservazioni del GARBAGNATI, Sull'efficacia delle decisioni, ecc., cit., pagg. 206-208; v. anche SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce, ecc., cit., pagg. 24-25), quella cessazione di efficacia � radicale, nel senso che esclude ogni ultrattivit� della legge dichiarata incostituzionale (cfr. PmRANDREI, op. cit., pag. 968, nonch� nostro studio, Gli effetti delle pronunce della Corte Costituzionale, ecc., cit., pag. 247). (63) Si veda il rilievo del TRACANNA, La illegittimit� costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, in <e La Corte Costituzionale� (Raccolta di studi) cit. pag. 323, il quale, op. cit., pag. 300, osserva che <( l'istituto della illegittimit� costituzionale riguarda la valutazione della costituzionalit� attuale della norma, considerata come astratta dall'atto legislativo e la attitudine della norma stessa a disciplinare fatti attuali. � solo la illegittimit� dell'atto legislativo che sar� valutato alla stregua dell'ordinamento vigente al momento della emissione dell'atto stesso�. (64) Le critiche del CAPPELLETTI, op. cit., pag. 10 e segg., ad un processualista della tempra dell'A.NDRIOLI non colpiscono, pertanto, nel segno. (65) E ci� a prescindere dalla esattezza dell'affermazione della sentenza del Tribunale di Napoli, di cui si discorre nel testo, secondp la quale l'ordinanza di trasmissione degli atti della Corte di Appello non era idonea a modificare gli effetti della sentenza di primo grado. Contro la natura meramente ordinatoria del provvedimento di trasmissione potrebbe, infatti, opporsi che il suo contenuto rappresenta l'esercizio di un potere di <( valutazione che implica un giudizio sui termini e sui limiti della controversia e sulla norma da applicare nel caso concreto� (cos� la Corte Costituzionale nella sentenza 9 aprile 1963, n. 40, in �Giur. it. �, 1963, 822, con cui � stato escluso che il P.M. possa disporre la trasmissione degli atti alla Corte (<in quanto non ha potere di emettere provvedimenti decisori n; v. anche Corte Costituzionale, sentenza 20 dicembre 1962, n. 109, in supplemento della ((Giurisprudenza Costituzionale� 1962, 447, dove si esclude che il potere di sollevare la questione di costituzionalit� competa al Giudice Istruttore del processo a quo e si ribadisce che esso spetta solo al Collegio, trattandosi di attivit� ((tale da interferire sul1' attivit� di giudizio�. Il contenuto decisorio del potere del giudice a quo di delibare la questione pu� apparire pi� evidente, allorch� egli la dichiari manifestamente infondata (Cass. SS. UU. civ., ordinanza 23 giugno 1956, cit., in <( Gius. civ. >>, 1956, cit. CX.XI: <(l'infondatezza deve risultare da un esame in limine, ma che pure escluda ogni possibilit� di dubbio di una soluzione differente �) e lo stesso provvedimento sia adottato nei successivi gradi del giudizio, precludendo definitivamente la possibilit� di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per l'esame della questione. E la natura dell'attivit� esercitata dal giudice a quo e del provvedimento da lui adottato non pu� certo mutare... a seconda del risultato a cui pervenga ! Non si ometta neppure di considerare che l'ordinanza di trasmissione degli atti � irrevocabile (cfr. PmRANDREI, Corte Costituzionale, cit. pag. 953), mentre la revocabilit� � caratterii?ti(la del prov:yedimento ordinatorio e cos� del provvedimento di sospensione (App. Torino 13 aprile 1954, <e Foro it. �, I, 1064; Trib. Roma 16 giugno 1945, cc Giur. Compl. Cass. Civ.>>, 1945, 1 '299; Trib. Varese 7 luglio 1953, � Giur. it. �, 1954, 1, 2, 2434, ecc.) esclude che l'ordinanza di rimessione della questione di costituzionalit� possa ascriversi fra i ccprovvedimenti pronunciati nel procedimento estinto�, che, a norma dell'art. 338 C.p.c., impediscono il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, il CARNELUTTI, Un caso singolare, ecc. in ccRiv. di Dir. Proc. >>, 1963, 669. In questo breve scritto non si esamina, per�, la questione trattata nel testo e cio� se, dato che il giudizio di costituzionalit� ex art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 costituisca una fase del giudizio incidentato, la pronuncia della Corte che lo conclude debba essere consider;'tta provvedimento idoneo ai sensi dell'art. 338 C.p.c. ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. � da ritenere, per�, che, se la questione fosse stata posta, l'A. non avrebbe mancato di tener conto di quanto gi� scritto (Una pezza all'art. 136 della Costituzione? in ccRiv. di Dir. Proc.�, 1958, 243) per avallare la tesi del LIEBMAN (v. supra, note 30 e 31), collimante con quella sostenuta, qui, nel testo. In ordine al punto che la sentenza confermativa d'appello modifica, ai sensi e per gli effetti dell'art. 338 C.p.c., gli effetti della sentenza di primo grado, che sostituisce, sebbene non ne modifichi il dictum e cio� giunga alle medesime conclusioni, v. GroDICEANDREA, Estinzione del procedimento d'appello, ecc., in e< Giur. it. �, 1953, I, 1, 62. Sul principio che �la natura di un provvedimento del giudice va desunta non dalla qualifica ad esso attribuita o dalla forma di cui � rivestito bens� dal suo contenuto sostanziale e dagli effetti che esso produce in ordine alla materia cui di riferisce� v. di recente Cass., 20 aprile 1963, n. 975, cc Mass. Giur. it. >>, 1963, 326. (66) App. Catanzaro 22 novembre 1961, in cc Giur. it. �, 1963, col. 210 e segg. (67) App. Catanzaro, 22 novembre 1961, cit. in cc Giur. it. >>, 1963, col. 212. (68) App. Catanzaro 22 novembre 1961, cit. in cc Giur. it. �, 1963, cit. col. 213. (69) L'espressione �l'estinzione opera di diritto�, di cui all'ultimo comma dell'art. 307 C.p.c., significa che il provvedimento dichiarativo dell'estinzione retroagisce al momento in cui si � verificata la causa dell'estinzione, cfr. ANDRIOLI, Commento al Codice di procedura civile, vol. Il, Napoli, 1956, pag. 339; MAssARI, Questioni intorno alla proroga del termine, ecc., nota a Cass. civ., 27 ottobre 1956, n. 4005, in �Giur. it. >>, 1957, I, 1, col. 1378. Nella specie, pertanto, il processo si estinse allorch� fu scaduto inutilmente il termine di sei mesi � dal passaggio in giudicato � della sentenza della Corte Costituzionale (art. 297 C.p.c.). (70) Cassazione, Sezioni Unite, 18 aprile 1962, n. 770, in � Giust. Civ. >>, 1962, p. 3, pag. 253; v. ari.che Corte Costituzionale, 11 luglio 1961, n. 54 in <e Giur. it. ,;-; 1961, I, 1, col. 1237 e segg. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE COSTITUZIONE -Leggi in materia costituzionale Approvazione. COSTITUZIONE -Consiglio Superiore della Magi� stratura -Elezione dei componenti -Art. 23 legge 24 marzo 1958, n. 195. COSTITUZIONE -Consiglio Superiore della Magi� stratura -Poteri di iniziativa del Ministro. COSTITUZIONE -Consiglio Superiore della Magi� stratura -Provvedimenti di esecuzione delle delibe� razioni -Atti amministrativi. (Corte Costituzionale, Sentenza n. 168 del 23 dicembre 1963 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Manca. I �disegni di legge in materia costituzionale � previsti dall'art. 72 della Costituzione non sono altro che i disegni di �leggi di revisione della Costituzione e di altre leggi costituzionali � di cui al successivo art. 138. Non viola, pertanto, l'art. 72 della Costituzione la legge 24 marzo 1958, n. 195 per il fatto di essere stata approvata in sede deliberante dalla competente Commissione della Camera dei Deputati. Non sussiste� illegittimit� costituzionale dello art. 23, primo, terzo e quarto comma della legge 24 marzo 1958, n. 195 in relazione agli artt. 104 e 107 della Costituzione per il fatto che detto art. 23 regola l'elettorato attivo e passivo dei magistrati in relazione alla elezione dei componenti del Consiglio Superiore in maniera differenziata a seconda della diversit� delle funzioni svolte. � costituzionalmente illegittimo l'art. 11 primo comma della legge 24 marzo 1958, n. 195, in rife� rimento agli artt. 104, 1� comma, 105 e 110 della Costituzione, in quanto per le 'materie indicate nel n. 1 dell'art. 10 della legge stessa esclude la iniziativa del Consiglio Superiore della Magistratura attribuendo tale iniziativa in via esclusiva al Ministro di Grazia e Giustizia. Non sussiste illegittimit� costituzionale dello art. 17, 1� comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, in quanto stabilisce i provvedimenti del Consiglio Superiore sono adottati con decreto del Capo dello Stato controfirmato dal Ministro di Grazia e Giustizia ovvero in determinati casi preveduti dalla legge con decreto del Ministro stesso. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 1. Preliminarmente non si ritiene fondato il dubbio cui accenna l'Avvocatura dello Stato (pur rimettendosi al giudizio di questa Corte), circa la non adeguata giustificazione, nelle ordinanze di rinvio, della rilevanza delle questioni sollevate. In proposito la Corte non pu� che riferirsi alla sua costante giurisprudenza, secondo la quale � rimesso al giudice del merito accertare se le ques_ tioni sollevate costituiscano presupposto necessario per la definizione della lite: accertamento che, quando, come nel caso, sia sufficientemente motivato, si sottrae al controllo di questa Corte. 2. Nel merito si osserva che, nelle ordinanze e nelle difese di parte, come si � accennato, � dedotta, in via principale, l'illegittimit� della legge 24 marzo 1958, n. 195 (istitutiva del Consiglio superiore della magistratura) da un punto di vista formale, in quanto detta legge � stata approvata dalla competente Commissione della Camera dei deputati in sede deliberante, e non gi� dall'Assemblea, con la procedura ordinaria. Il che sarebbe in contrasto con il quarto comma dell'art. 72 della Costituzione, trattandosi, come si sostiene, di legge che, emanata in attuazione delle norme costituzionali concernenti il Consiglio superiore della magistratura, riguarderebbe sostanzialmente materia costituzionale, sia per l'organo cui si riferisce, sia per le disposizioni che formano oggetto della legge stessa, attinenti cio� all'ordinamento giudiziario. La questione quindi consiste nell'esaminare se, come si sostiene, il citato quarto comma, l� dove dispone che la procedura decentrata � esclusa per �i disegni di legge in materia costituzionale � si riferisca a un tipo di leggi che, pur avendo la forma ordinaria, tuttavia, per la sostanza, siano da considerare comprese nella materia anzidetta: leggi perci� differenziate dalle leggi di revisione della Costituzione e dalle altre leggi costituzionali menzionate nell'art. 138. Tale opinione, a. favore della quale non risultano elementi di chiarificazione dai lavori preparatori, non pu� essere accolta. Ad avviso della Corte, invero, la disposizione del citato 40 comma, deve intendersi riferita al successivo art. 138 e, con esso, logicamente coordinata nell'armonia del sistema. ��������-------------------------------~-----~"""""""""""'"""'""' -.1.1u L'argomento che si adduce in contrario, nelle ordinanze e nelle difese di parte, oltre che sulla di.versa dizione usata nei due testi legislativi (rispettivamente, �di.segni di legge in m�.teria costituzionale n e �leggi costituzionali�), si fonda specialmente sul rilievo che, se ai detti due testi legislativi si attribuisse lo stesso contenuto, si giungerebbe alla conseguenza che la disposizione del 4� comma dell'art. 72 resterebbe priva di qualsiasi portata pratica, costituendo un'inutile ripetizione. Ci� per il motivo � �he l'esclusione della procedura decentrata per l'approvazione delle leggi costituzionali, risulterebbe implicitamente dallo stesso art. 138; il quale, prevedendo, per tali leggi, la seconda lettura con una speciale maggioranza, presupporrebbe la sussistenza di una prima lettura in Assemblea, con la maggioranza ordinaria. A parte peraltro la scarsa importanza della diversit�. di formulazione, il rilievo anzidetto non appare risolutivo del problema, nel senso prospettato. Pur ammettendo, infatti, che le disposizioni si riferiscano, come la Corte ritiene, allo stesso oggetto, ci� non toglie che ad esso, nell'ambito del sistema, debba attribuirsi una propria funzione: alla prima (cio� quella dell'art. 72), perch� compresa nelle norme dettate, in via generale, per la formazione di tutte le leggi, medi.�nte l'approvazione con la procedura ordinaria, abbreviata o decentrata, salvo, riguardo a quest'ultima, le eccezioni espressivamente prevedute, alle altre (quelle dell'art. 138), perch� concernenti, �n particolare, le garanzie che circondano le leggi costituzionali, mediante la seconda lettura, con l'intervallo non minore di tre mesi, l'approvazione con la maggioranza assoluta .dei componenti di ciascuna Camera e la possibilit�. del referendum. N�, che alla formula� di.segni di legge in materia costituzionale n siano da attribuire significato e portata di.versi da quelli ora precisati pu� indurre, come si assume, il solo fatto che, nel testo legislativo, � menzionata insieme alla materia elettorale: materia disciplinata peraltro con leggi ordinarie concernenti anche le elezioni amministrative, sulla natura della quale, nella incertezza della dottrina, nessun chiarimento, nel senso sostenuto negli scritti difensivi, si pu� desumere dai lavori preparatori. Data l'interpretazione seguita della Corte, per tanto, la disposizione del 4� comma, pi� .volte ricordata, in base al coordinamento con l'art. 138, cui si � accennato, viene, in definitiva, a costi tuire un'espressa limitazione, che opera nel senso di escludere la procedura decentrata riguardo a quelle norme, alle quali il Parlamento, per finalit�. di carattere politico, intenda attribuire efficacia di legge costituzionale. Non opera invece per le leggi ordinarie, per le quali pu� avvalersi anche della procedura decentrata, ovviamente con quelle cau tele rispondenti all'esigenza che l'atto legislativo sia, per quanto possibile, sottoposto all'esame della Assemblea, con la pubblicit�. che il regolamento sta bilisce; come, del resto, � gi� preveduto dall'art. 40 del regolamento della Ca.mera dei deputati, che esclude la procedura decentrata per le leggi tri buta.rie. Deriva da quanto si � esposto che l'anzidetta legge del 24 marzo 1958 non pu� ritenersi illegittima., perch� approvata. dalla Commissione di giustizia in sede deliberante. 3. Circa le questioni concernenti alcune disposizioni della legge ora ricordata, � da osservare -che, negli scritti difensivi di parte, si � preliminarmente sostenuto che il sistema, adottato dalla legge anzidetta, non garantirebbe la indi.pendenza della magistratura, la quale sarebbe anzi, inconseguenza di quel sistema, soggetta alle ingerenze del potere esecutivo. Ora, la Corte non pu� non rilevare che l'indipendenza della magistratura trova la prima e dondamentale garanzia nel senso del dovere dei magistrati e nella loro obbedienza alla legge morale, che � propria dell'altissimo ufficio e che consiste nel rendere imparzialmente giustizia: principi questi ai quali si � costantemente uniformata la magistratura italiana. Ma, a prescindere da ci�, la Corte osserva che il sistema legislativo attualmente in vigore, considerato nel suo complesso e nelle linee generali, non appare inidoneo al fine assegnatogli di garantire l'indipendenza e l'autonomia della magistratura. 4. Venendo all'esame delle sollevate questioni di incostituzionalit�., � da premettere che, nelle ordinanze, � stato prospettato il dubbio circa la incostituzionalit�. dell'art. 23, 10, 30 e 40 comma, relativi all'elezione dei componenti il Consiglio superiore; dell'art. 11, 1� comma, riguardante la richiesta del Ministro per la giustizia; e dell'art. 17, il quale, nella prima parte del 1� comma, stabilisce che i provvedi.menti del Consiglio superiore concernenti i magistrati sono adottati con decreto del Capo dello Stato, o, nei casi previsti dalla legge, con decreto del Ministro per la giustizia. Non sono state invece ritenute rilevanti dal Pretore le eccezioni di incostituzionalit�., dedotte dalle parti nel giudizio di merito e riproposte avanti a questa Corte, relative alle altre disposizioni dell'art. 11, degli artt. 12 e 13 e del 2� comma dell'art. 17; questioni quindi che, in questa sede, non possono essere esaminate, non essendo comprese nelle ordinanze di rimessione. 5. L'impugnazione del 10 comma dell'art. 23 si riferisce, come si � in precedenza accennato, al numero maggiore dei componenti il Consiglio superiore (sei), da eleggere fra i magistrati di Corte di cassazione, in confronto dei quattro da eleggere rispettivamente, fra i magistrati delle Corti di appello e dei Tribunali. Si violerebbe, in tal maniera, il principio (contenuto negli artt. 104, 1� comma, e 107 della Costituzione), circa la parit�, nella composizione dell'organo, della rappresentanza di tutte le categorie dei magistrati, attribuendo una posizione di superiorit�. ad una delle� categorie stesse. La questione non � fondata. � da premettere che, nel sistema adottato dalla. Costituzione, eccetto alcune disposizioni fondamentali, come ad esempio quelle sancite dall'art. 48, la disciplina della materia elettorale, date le modificazioni eventuaJ.mente determinate dalle mutate esigenze, resta deferita al legislatore ordinario (in proposito, da ultimo la sentenza n. 111 del 1963, relativamente all'elezione dei giudici costituzionali). Il principio deve essere applicato anche per quanto attiene al Consiglio superiore della magistratura, per la formazione del quale, dal punto di vista dell'elettorato passivo, il precetto costituzionale esige soltanto che i componenti siano scelti fra i magistrati appartenenti alle varie categorie (art. 104, 40 comma). Ora, n� questo precetto, n� l'altro contenuto nell'art. 107, 3� comma (secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversit� di funzioni) possono ritenersi elusi, come si assume, per il fatto che la disposizione impugnata attribuisce un maggior numero di rappresentanti alla categoria dei magistrati di cassazione (compresi due con ufficio direttivo), in confronto alle altre due categorie. Se � vero, infatti, che, secondo la Costituzione, a coloro che fanno parte dell'ordine giudiziario, non si applicano le disposizioni relative all'ordinamento gerarchico statale, ci� non significa che, a tutti i magistrati ordinari, sia riconosciuta, sotto altro aspetto, una posizione di assoluta parificazione. Questa sussiste, invero, in relazione all'art. 101, 20 comma, della Costituzione (i giudici sono soggetti soltanto alla legge) per quanto riguarda l'esercizio delle funzioni istituzionali e gli atti che ad esse si ricollegano, i quali devono essere emanati in base alla legge e sono sottratti a qualsiasi sindacato, che non sia quello espressamente preveduto dalle leggi processuali. Non sussiste invece relativamente alla posizione soggettiva che, al di fuori delle predette funzioni, i magistrati assumono nell'ordinamento giudiziario; poich� anche l'art. 107, 30 comma della Costituzione, sopra citato, postula una differenziazione, che si riconnette ai tre gradi della giurisdizione previsti dall'ordinamento processuale. E, in attuazione appunto del precetto costituzionale, la legge del 24 maggio 1951, n. 392, stabilisce, nell'art. 1, che i componenti dell'ordine giudiziario, fatta eccezione per gli uditori, si distinguono in magistrati di tribunale, di corte di appello e di cassazione, compersi il primo presidente, il procuratore generale e i magistrati con ufficio direttivo. Ora, la disposizione impugnata ha preveduto una rappresentanza numerica pi� elevata per la categoria dei magistrati di cassazione, ispirandosi, non tanto al numero dei componenti d-elle varie categorie, quanto alla qualificazione di coloro che com pongono l'anzidetta categoria dei magistrati di cassazione. E ci�, non soltanto in relazione alle esigenze del funzionamento del Consiglio superiore, dato il numero dei componenti e i compiti che gli sono assegnati, ma tenuto conto, in particolare, della maggiore esperienza dei magistrati di cassazione, derivante dalle funzioni alle quali essi pervengono a seguito delle selezioni prevedute dalla legge, e dal prestigio che coerentemente spetta ai magistrati stessi. Se quindi, nella disposizione impugnata, si riscontra una disparit� di trattamento fra le varie categorie dei magistrati, essa non pu� ritenersi in contrasto con la Costituzione, essendo consentito al legislatore ordinario, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, di disciplinare diversamente situazioni diffm"enziate, c(}uandor come nel caso, per le ragioni accennate, trovino logica giustificazione. _N�, d'altra parte, appare fondato il dubbio che l'accennata composizione dell'organo possa esercitare una qualche influenza sulle sue deliberazioni. Giacch� ad un tale inconveniente, se mai sussistesse, ovvierebbe la funzione equilibratrice, che, in seno al collegio, viene esercitata dai componenti, non magistrati, eletti dal Parlamento, fra i quali � scelto il vice-presidente (art. 104, 5� comma, della Costituzione). 6. Nella legge del 1958, (art. 23, 3� comma) alla distinzione fra le varie categorie dei magistrati, si fa riferimento, pure per ci� che riguarda l'elettorato attivo. .Anche questa disposizione �. impugnata, perch� lederebbe il precetto dell'eguaglianza del voto, sancito dall'art. 48 della Costituzione e i principi che si desumono dagli artt. 104, 105 e 107, secondo i quali, nel Consiglio superiore, la magistratura dovrebbe essere rappresentata con carattere unitario ed omogeneo, e non gi� in relazione alle singole categorie dei magistrati. La questione non pu� ritenersi fondata. Il principio dell'eguaglianza del voto (che si assume violato), come ha precisato questa Corte nella sentenza n. 43 del 1962, deve intendersi nel senso del divieto del voto multiplo o plurimo e della pari efficacia potenziale del medesimo. Questo principio peraltro non appare vulnerato dalla disposizione denunziata. Con essa il legislatore ordinario attribuisce a tutti indistintamente i magistrati il diritto di partecipare alla formazione elettiva del Consiglio superiore, ma, per quanto attiene alla modalit� dell'elezione, ha adottato il sistema della votazione per categorie, in corrispondenza con la eleggibilit�, pure per categorie, stabilita dallo stesso art. 104 della Costituzione. Tale sistema, peraltro, dettato da apprezzabili ragioni di opportunit� inerenti alla scelta del candidato, non impedisce che i magistrati siano posti in grado di esprimere il voto in condizioni di perfetta parit� fra loro; e, rispetto all'eletto, con pari efficacia. Onde la composizione dell'organo resta omogenea, nel senso che i componenti, pur provenienti da categorie differenziate, si trovano tutti in posizione giuridica, sotto ogni aspetto, parificata. D'altra parte, se � vero che la Costituzione prevede la distinzione per categorie, con rifer�-� mento soltanto all'elettorato passivo, da ci� non pu� deriva come si assume, la illegittimit� delle norme di attuazione, per il fatto che, agli stessi criteri di ripartizione, si � attenuto per la formazione dei collegi elettorali. Gia~~h.� la rispondenza fra questi e le condizioni di eleggibilit� (come si � del resto gi� rilevato nella ricordata sentenza n. 111 del 1963) non pu� ritenersi ingiustificata, anche in questo caso, dato lo speciale carattere dell'organo elettivo, preposto dalla -1'7 Costituzione al governo della magistratura e per garantirne l'indipendenza. ~on � infine esatto il rilievo che, con il sistema della votazione per categorie, si riprodurrebbe nel Consiglio superiore, anche dal punto di vista formale, una rappresentanza di interessi non consentanea con il carattere unitario dell'organo, perch� , una tale differenziazione deriverebbe, se mai sussistesse, non gi�. dalla disposizione impugnata, bens� direttamente dallo stesso precetto costituzionale, che, per la scelta dei magistrati, alle varie categorie espressamente si riferisce. 7. Non � neppure fondata la questione relativa al 40 comma dell'art. 23, che esclude gli uditori giudiziari dall'elettorato attivo, � vero che questi, superate le prove del concorso, entrano a far parte della magistratura, ma non conseguono, perci� solo, la stabilit�, n� sono investiti per legge delle funzioni giudiziarie. Essi infatti sono dispensati dal servizio se, entro quattro anni dalla nomina, non si presentano all'esame per la prom�zione ad aggiunto giudiziario, o se, nel detto periodo, non superano, per due volte, tale prova (art. 136 dell'ordinamento approvato con decreto del 20 gennaio 1941, n. 12, per questa parte tuttora in vigore e che riproduce disposizioni contenute nelle leggi precedenti). Ed inoltre, il conferimento delle funzioni giurisdizionali, in base all'ordinamento del 1941 (art. 129) e alle leggi successivamente emanate (11 ottobre 1942, n. 1352, art. 6; 14 febbraio 1948, n. 113, art. 1, e 15 febbraio 1956, n. 59), non spetta ad essi di diritto, come per gli altri magistrati, ma deriva da un provvedimento facoltativo, demandato, prima al Ministro per la giustizia, ed ora al Consiglio superiore della magistratura; provvedimento che pu� essere revocato. Ed � perci� che la gi�. ricordata legge del 24 maggio 1951, n. 392, nella tabella allegata, non comprende gli uditori nelle tre categorie dei magi.strati, ma li considera separatamente, e che la disposizione impugnata li esclude dal partecipare all'elezione dei componenti il Consiglio superiore. La disposizione stessa quindi non pu� ritenersi in contrasto con l'esigenza costituzionale che tutti i magistrati partecipino alle elezioni dei componenti il Consiglio superiore, poich� gli uditori, per le ragioni accennate, non possono considerarsi magistrati compiutamente per tutti gli effetti preveduti dall'ordinamento . .A questi soltanto, dato il delicato compito loro affidato nell'elezione, deve intendersi riferito il precetto ' della Costituzione; al quale si adeguano le norme di attuazione, assicurando il diritto di voto a tutti indistintamente i magistrati, compresi quelli fuori ruolo o con incarichi speciali, anche non giudiziari (art. 5 del decreto legislativo del 16 settembre 1958, n. 916, contenente disposizioni di attuazione e di coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195). 8. Dell'art. 11 � impugnato, come si � accennato, soltanto il 1� comma, circa il quale, nelle ordinanze, si pone in rilievo come la necessit� della richiesta, da parte del Ministro, per promuovere le deliberazioni riguardanti i magistrati, sarebbe in contrasto con le disposizioni, fra loro coordinate, degli artt. 104, 10 comma, 105 e 110 della Costituzione. La richiesta, infatti, lederebbe l'autonomia del Consiglio superiore e qui:wli. indirettamente dell'ordine giudiziario, limitando, o addfrittura escludendo, l'attivit� dell'organo nelle materie indicate nell'art.105, e mantenendo un'indebita ingerenza del potere esecutivo sullo stato giuridico dei magistrati. Questa opinione si ricollega, come si accenna anche negli scritti difensivi, ad un'interpretazione restrittiva dell'art. 110 della Costituzione; nel senso che i servizi, l'organizzazione e il funzionamento dei quali spetta al Ministro, sarebbero soltanto quelli inerenti al personale delle cancellerie e segreterie, agli ufficiali giudiziari, alle circoscrizioni giudiziarie, ai locali, all'arredamento dei medesimi, ed, in genere, a tutti i mezzi necessari per l'esercizio delle funzioni giudiziarie. Tale interpretazione non pu� essere accolta. Dall'autonomia riconosciuta al Consiglio superiore, nelle materie indicate nell'art. 105 della Costituzione, non deriva, secondo che si sostiene, una netta separazione di compiti fra il Ministro guardasigilli e l'Organo preposto al governo della magistratura; come si verificherebbe se, a questo ultimo, fosse riconosciuta (il che non �, come r1sulta chiaro dai lavori preparatori) una autonomia integrale, compresa quella finanziaria, riguardante l'ordine giudiziario. Se quindi tale autonomia esclude (come pure si desume dai lavori preparatori) ogni intervento del potere esecutivo nelle deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, non esclude peraltro, che, fra i due organi, nel rispetto delle competenze a ciascuno attribuite, possa sussistere un rapporto di collaborazione: il quale importa che i servizi, affidati al guardasigilli dall'art. 110 della Costituzione, non sono limitati a quelli sopra accennati, ma, vi si comprendono altres�, sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all'attivit� e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti. Che in questo senso non restrittivo debba intendersi l'art. 110 risulta anche dalla considerazione che al Ministro l'art. 107, 2� comma, della Costituzione attribuisce la facolt� di promuovere l'azione disciplinare, ed � confermato dal fatto che le attribuzioni anzidette e gli oneri finanziari che necessariamente vi si ricollegano, impegnano la responsabilit� politica del guardasigilli, come esponente del Governo, verso il Parlamento, per l'esercizio dei poteri che istituzionalmente a questo competono. Dalle osservazioni finora esposte discende che la richiesta, cui si riferisce la disposizione impugnata (richiamando espressamente l'art. 10, n. 1), considerata quale espressione della collaborazione, di cui si � fatto cenno, e volta a segnalare all'organo competente le esigenze sopra in~~~te, per i necessari provvedimenti, non pu� ritenersi, di ner_ s�, lesiva dell'autonomia del Consiglio superiore, che ovviamente resta libero nelle sue determinazioni. Onde, sotto questo aspetto, la disposizione anzidetta, non pu� ravvisarsi in contrasto con i richiamati precetti costituzionali. -178 9. Tuttavia la disposizione stessa non sfugge . al vizio di illegittimit� se considerata in relazione alla portata che viene ad assumere nel sistema della legge del 1958, come mezzo esclusivo stabilito per promuovere l'attivit� del Consiglio su periore. � da ricordare, in proposito, che, nel progetto ministeriale, la disposizione non era isolata, ma era seguita da un'altra, che attribuiva al predetto Consiglio, la facolt� di deliberare anche di ufficio, sentito il Ministro, il quale poteva fare osservazioni e proposte nel termine stabilito dallo stesso Consiglio. E, nella relazione, si chiariva che la disposizione era dettata dal concetto che l'autonomia dell'organo non poteva subire limitazioni, e dalla necessit� di evitare che, un'eventuale inerzia del Ministro, potesse recar pregiudizio al funzionamento dei servizi. Si trattava quindi di due disposizioni, dal necessario coordinamento delle quali, risultava chiarito che, alla richiesta del Ministro, non si poteva attribuire carattere determinante rispetto all'attivit� del Consiglio superiore, nelle materie di sua competenza: carattere ch'e ha assunto invece, data la soppressione della seconda disposizione, nell'ulteriore elaborazione legislativa. Di guisa che il fatto che la dispo sizione impugnata sia rimasta isolata nel testo definitivo, sta a dimostrare che ad essa si � inteso attribuire carattere tassativo, nel senso di esclusivit� del potere attribuito al Ministro: condizionando, in tal maiera, come si rileva nelle ordinanze, l'attivit� dell'organo collegiale. Si verificaquindi la dedotta lesione dell'autonomia del medesimo in contrasto perci� .con i precetti della Costituzione. 10. L'art. 17 della legge in esame, nella prima parte del 10 comma, come si � accennato, � impugnato, in quanto stabilisce che i provvedimenti del Consiglio superiore sono adottati con decreto del Capo dello Stato controfirmato dal Ministro, ovvero con decreto di quet'ultimo nei casi preveduti dalla legge, in contrasto con l'art. 105 della Costituzione. La questione non � fondata. � vero che, in base al precetto che distingue i magistrati secondo le funzioni, essi come si � gi� accennato, non possono ritenersi inquadrati nell'ordinamento gerarchico dell'amministrazione statale. Ma da ci� non deriva che la magistratura sia avulsa dall'ordinamento generale dello Stato, dato il carattere unitario del medesimo, in relazione al precetto dell'art. 5 della Costituz'ione. Ne consegue che ai magistrati, salve le garanzie per l'indipendenza, sono applicabili i principi fondamentali dell'ordinamento medesimo. A tali principi non ha inteso derogare il legislatore costituente, essendosi affermato, nella relazione al progetto, che, con le norme intese a garantire l'indipendenza della magistratura, non si intendeva stabilire una forma piena di autogoverno. Ne� deriva pertanto che i provvedimenti emanati dal Consiglio superiore, ai sensi dell'art. 105 della Costituzione e della disposizione dell'art. 17 della legge in esame, debbono assumere, dato il carat tere sostanzialmente amministrativo dei provvedimenti stessi, anche per quanto attiene al controllo finanziario, la forma che, sulla base dei principi fondamentali del sistema,. � prescritta per i provvedimenti del genere : la forma cio� def decreto del Capo dello Stato controfirmato dal Ministro; ovvero di questo nei casi stabiliti dalla legge. La disposizione impugnata pertanto non pu� ritenersi in contrasto con i precetti costituzionali richiamati, donde l'infondatezza della questione. 1) Ancora un esempio di sapienza e di illuminata giustizia che ci viene dalla Oorte Oostituzionale. Sulla posizione costituzionale della Magistratura, sulla legittimit� del suo organo di autogoverno, sui rapporti di quest'ultimo con l'esecutivo, si erano levate -e non sempre dal terreno della pura speculazione giuridica -brume di dubbi e di incertezze. Era necessario che la luce tornasse a diffondersi. E questo ha fatto la Oorte Oostituzionale, in quattro proposizioni. 2) Prima proposizione: � i disegni di legge in materia costituzionale>> di cui all'art. 72 della Oostituzione non sono altro che i disegni di �leggi di revisione della Oostituzione e (di) altre leggi costituzionali � di cui al successivo art. 138. La riserva della procedura di approra::ione in aula vige solo per questo tipo di leggi. Per tutte le altre � pienamente legittima la procedura decentrata in Oommissioni. Spetta all'apprezzamento politico del Parlamento attribuire efficacia di leggi costituzionali a determinati atti normativi, determinando cos� per i relativi progetti, l'operativit� della riserva in questione. Per le leggi ordinarie non c'� normalmente riserva, ma apprezzamento discrezionale, e la procedura decentrata � del tutto legittima. Oonclusione: l'isolamento di una categoria dogmatica di �leggi in materia costituzionale �,-altra da quella delle leggi costituzionali vere e proprie non � consentita. Il Oonsiglio Superiore della Magistratura, � stato legittimamente istituito dalla legge 24 marzo 1958, n. 195, approvata in Oommissione in sede deliberante dalla Camera del Deputati. 3) Seconda proposizione: esatto che i Magistrati non sono inseriti in un ordinamento di carattere gerarchico, ed altrettanto vero che essi, tutti, sono egualmente soggetti soltanto alla legge. Ma questo principio (non fosse altro, per la differenziazione insita nell'esistenza di gradi di giurisdizione) non impone di tener conto unicamente del dato numerico ai fini dell'elettorato passivo e non postula che non abbia affatto peso quanto ha tratto all'esperienza ed al prestigio derivanti e dall'anzianit� e dalla sele zione. Inesistenza di una gerarchia e pari sogge zione alla legge non comporta di necessit� l'implica zione dall'eguaglianza assoluta e l'abolizione ili ogni considerazione di peso specifico. Tale argomento d� la chiave per risolvere, in senso positivo, la questione dell'elettorato attivo differen ziato e della formazione dei collegi, dove � chiaro che non possa ravvisarsi voto multiplo. Appropria ....................-...�------------------- -179 tamente qui viene ricordata la sentenza n. 111del1963, ed in genere la giurisprudenza della Oorte, secondo la quale � consentito al legislatore ordinario di disciplinare diversamente situazioni differenti, quando ci� .abbia adeguata giustificazione. 4) Terza proposizione: non si dice che ogni inter� 'Vento del Ministro di Grazia e Giustizia nel funzio-' namento del Oonsiglio Superiore della Magistratura .sia illegittimo. E non lo si pu� dire senza ignorare la realt�, dato che il Oonsiglio Superiore non dispone �di un apparato burocratico, che, quanto meno, gli .segnali l'esistenza di una materia del deliberare, �compia le istruttorie, ecc. Si dice, invece, che l'iniziativa del Ministro non � esclusiva; e si dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 11 della legge, in quanto stabilisce non potere deliberare il Oonsiglio senza l'impulso del: l'esecutivo. Giustissimo. Ma, ove si consideri l'impossibilit� �di una sanzione alla delibera del Oonsiglio Superiore, .adottata in vigenza dell'art. 11, delibera che sia stata emessa senza richiesta ministeriale, ove si considerino, ancora, come dovuti gli atti amministrativi di esecuzione di siffatta delibera, dovuti -ripetiamo �in ogni caso, anche se il Ministro sia convinto .dell'illegittimit� di essa, la dichiarazione d'illegittimit� costituzionale assume -quanto meno in pratica -senso e valore di un Schlag in die Lebre, per altro altamente apprezzabile e di indubbia esattezza. 5) Quarta proposizione: i Magistrati non fanno parte dell'ordinamento amministrativo. Gli atti che li concernono non sono, quindi, atti (soggettiva mente) amministrativi. Ma la, Magistratura non � .avulsa dall'ordinamento dello Stato, e ne segue quindi, in mancanza di una deroga espresssa, le regole. .Abbia1no quindi: a) delibere del Oonsiglio Superiore, .che sono atti �di tipo � amministrativo; b) decreti del Ministro o del Oapo dello Stato, che sono atti di mera esecuzione. Le delibere non possono essere sin dacate se non in quella Sede di gravame che � il plenum del Oonsiglio Superiore; i decreti solo per 1Jizio proprio, o per difformit� dalla delibera che li .determina, in sede di giurisdizione amministrativa di .legittimit�. Oi� -naturalmente -restando salvo il controllo finanziario. 6) La nobilt� della sentenza che si � venuti rias: sit1nendo, rifulge allorquando essa -trattando del. l'indipendenza della Magistratura -istituzionalizza �in una formula giuridica, l'esigenza morale della .sua indipendenza. � � � ������ la Corte non pu� non rilevare -osserva .la sentenza -che l'indipendenza della Magistratura �trova la prima e fondamentale garanzia nel senso . del dovere dei Magistrati e nella loro obbedienza : alla legge morale, che � propria all'altissimo ufficio . e che consiste nel rendere imparzialmente giustizia; � principi questi ai quali si � costantemente unifor mata la Magistratura italiana �. Non si poteva .dire meglio: e la Oorte in queste brevi frasi si � vera mente resa interprete dello stato d'animo di tutto "il Paese. CORTE COSTITUZIONALE -Questione di legittimit� costituzionale pormossa da Consiglio comunale Inammissibilit�. (Corte Costituzionale, 13 dicembre 1963, n. 157 -Pres.: An:ll:>rosini;. ~~l.. :. Bia!lca). Il Consiglio comunale, nel corso d'un procedimento relativo alla decadenza di componenti la commissione amministrativa di aziende municipalizzate, non pu� sollevare questioni di costituzionalit�. Oon questa sentenza la Oorte ha confermato la natura eccezionale della funzione giurisdizionale attribuita ai Oonsigli comunali (e provinciali) limitatamente alla materia elettorale, escludendo ancora una volta che il Oonsiglio comunale possa, in occasione di procedimenti amministrativi, sollevare questioni di costituzionalit�. La sentenza cos� motiva: CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Occorre innanzi tutto esaminare l'eccezione d'inammissibilit� fondata sugli artt. 1 leggi costituzionali 1948, n. 1 e 1953, n. 1, nonch� sull'art. 23 legge 1953, n. 87: infatti l'Avvocatura dello Stato assume che il procedimento, attraverso cui il Consiglio comunale dichiara la decadenza d'un componente della commissione amministrativa di una azienda municipalizzata, non � giurisdizionale; perci�, nel corso di tale procedimento non pot.rebbe essere proposta una questione di legittimit� costituzionale. L'eccezione � fondata. Il Consiglio comunale non ha di regola funzioni giurisdizionali; ma le svolge eccezionalemnte quando decide delle controversie in materia elettorale: e questa singolare potest�., com'� noto, ha la sua origine in un'antica tradizione di autonomia cittadina, alla quale si richiama il principio che primo giudice della composizione d'un organo eletto dal popolo debba essere lo stesso organo su cui � confluito il voto popolare. Poich� invece la commissione amministratrice dell'azienda municipalizzata si compone di persone non elette col voto cittadino, ma nominate dal Consiglio comunale, le deliberazioni consigliari che le riguardano non toccano la materia del contenzioso elettorale e in conseguenza non sono atti giurisdizionali. Il Consiglio comunale, avendo la potest� di nomina e di controllo delle commissioni amministratrici, quando dichiara la decadenza d'un loro componente, esercita nient'altro che questa potest� e pertanto svolge attivit� amministrativa. Il relativo procedimento � analogo a quello, ritenuto da alcuni giurisdizionale, che conduce alla dichiarazione di decadenza d'un consigliere comunale (art. 160 R. D. 12 febbraio 1911, n. 297); ma l'analogia � solo parziale ed esterfoie, determinata soprattutto dalla stessa esigenza di inte-ressare i cittadini all'attivit� delle aziende comunali (onde la facolt� dell'elettore o del contribuente di avanzare una proposta di decadenza) e di mettere gli stessi componenti della commissione ammini -180 stratrice in condizione di difendersi. Del resto per escludere la giurisdizionalit�. del procedimento ririguardante le commissioni amministrative, pu� anche rilevarsi innanzi tutto che la dichiarazione relativa alla decadenza d'un consigliere comunale apre il campo ai vari stadi tipici del c. d. contenzioso elettorale in virt� dell'art. 160, terzo comma, mentre niente di simile ha disposto il legislatore rispetto alla dichiarazione di decadenza d'.n componente della commissione amministratrice di aziende municipalizzate: per cui � da credere che, in quest'ultimo caso, dopo la dichiarazione del Consiglio comunale si debba seguire la via della giurisdizione amministrativa ordinaria; o pu� rilevarsi, in secondo luogo, che un semplice regolamento esecutivo, come quello che conferisce al Consiglio comunale la potest� di dichiarare la decadenza dei componenti le commissioni amministrative, non poteva introdurre una nuova giurisdizione ed estendere ad altra materia una potest� giurisdizionale avente c�rattere di eccezionalit�. e limitata alle controversie elettorali. Si conclude che il Consiglio comunale, nel corso d'un procedimento relativo alla decadenza di componenti la commissione amministratrice di aziende municipalizzate, non pu� sollevare questioni di costituzionalit�.. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione non attuale -Inammissibilit�. (Corte Costituzionale 19 dicembre 1963, n. 164 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Castelli Avolio -Regione Autonoma della Sardegna c. Presidente del Consiglio). Non � ammissibile la richiesta preventiva di regolamento di competenza. Per una pi� completa cognizione delle questioni, si ritiene opportuno trascrivere integralmente la motivazione della sentenza: 1. Superata la fase del procedimento riguardante la domanda di sospensione, viene ora la causa all'esame della Corte per la decisione del merito. Il quale � sostanzialmente prospettato dalle parti in causa sotto tre distinti riflessi: a) illegittimit�., in se stesso, del provvedimento impugnato, in quanto, con conseguente invasione della sfera di competenza della Regione, sarebbe errata la attribuzione del carattere demaniale allo stagno Tortoli; b) invasione della sfera di attribuzione della Regione, in quanto al provvedimento si attribuisca l'effetto conseguenziale della revoca o decadenza della concessione di pesca fatta dalla Regione in tempo anteriore alla dichiarazione di demanialit�. dello stagno; c) se al procedimento non si riconosca tale effetto conseguenziale, si richiede dalla Corte una pronuncia preventiva circa l'attribuzione, in base alla norma statutaria (art. 3, lettera i, dello Statuto speciale), del potere della Regione di provvedere alle concessioni di pesca anche se si tratti di acque marittime.. 2. Sul primo punto -a parte ogni questione sulla competenza della Corte all'accertamento della demanialit�. dello stagno, � quale presupposto del conflitto di attribuzione -la difesa della Regione non ha insistito; si deve ritener� che �b'6Ia; anzi1 abbandonato ogni richiesta in proposito. Gi� nel ricorso si adombrava un'interpretazione del provvedimento impugnato, indipendente da ogni accertamento sulla demanialit�. e da una possibile conseguente questione che implicasse un confl;tto di attribuzione, quando si affermava che la interpretazione del decreto impugnato poteva risolversi in una mera affermazione relativa alla propriet� demaniale dello stagno, senza incidere sui diritti di pesca che su di esso si esercitano: il che significa completa indipendenza della dichiarazione di demanialit�. dello stagno dalla concessione di pesca precedentemente accordata alla Regione quando lo stagno era formalmente incluso fra i beni di sua pertinenza a norma dell'art. 14 dello Statuto regionale. Da ultimo poi, nella seconda memoria, conclusiva del proced:. mento, la difesa della Regione, dopo aver rilevate le affermazioni contenute nelle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, che un provvedimento di decadenza della concessione assentita dalla Regione �non � stato ancora emanato e, in verit�, neppure in concreto minacciato�, e che un atto di ingerenza diretta dell'Amministrazione statale in tema di diritto di pesca non sarebbe implicito nel decreto ministeriale impugnato, n� dovrebbe essere prospettato come un suo necessario sviluppo, in base a queste affermazioni dichiarava che, se cos� dovesse ritenersi, il campo della competenza amministrativa regionale non sarebbe stato invaso, n� i suoi confini risulterebbero contestati. Onde aper� tamente riconosceva che � conseguentemente il ricorso potrebbe essere considerato come una precauzione inutile �. Se cosi � -ed �, come si vedr� -non vi sarebbe luogo ad un giudizio per conflitto di attribuzione. 3. � vero -e questo riguarda il secondo punto innanzi ricordato -che l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto di potere affermare, in un primo momento, che la nuova qualificazione delle acquet siccome acque salse o salmastre, come tali facenti parte del demanio marittimo ai sensi dell'art. 28 del Codice della navigazione e in relazione all'art. 14 dello Statuto sardo, comporterebbe la illegittimit�. della concessione precedentemente accordata dalla Regione; e questa spiega che sarebbe stata indotta a proporre il ricorso per c�nflitto di attribuzione per il caso che l'Amministrazione dello Stato intendesse, appunto, essendosi modificata la qualificazione delle acque dello stagno, non� fare una mera questione di propriet�., ma mettere in discussione il potere della Regione di rilasciare concessioni di pesca nelle dette acque. .Aggiunge, anzi, la difesa. della Regione, che questa ipotesi potrebb~� forse trovare un fondamento nell'ordine dato, nella seconda parte del provvedimento impugnato, alla Intendenza di finanza di Nuoro di �provvedere alla formale presa di possesso dello stagno �. Ma, in verit�, il provvedimento impugnato non legit__________________, __________________ -181 tima affatto simili illazioni e quella perentoria. conclusione. In esso si premette che lo stagno, quale bene di demanio marittimo, come tale riconosciuto a seguito degli accertamenti tecnici eseguiti, doveva rimanere escluso dall'elenco dei beni trasferiti alla Regione sarda, e che pertanto si era reso necessario provvedere alla sua restituzione formale al demanio pubblico dello Stato, e si dispone, con l'art. 1, la revoca del trasferimento alla Regione dello stagno, in primo tempo avvenuta in base all'art. 14 dello Statuto sardo, e, -0on l'art. 2, si manda all'Intendenza di finanza di Nuoro di provvedere alle conseguenti �variazioni delle scritture ipotecarie e catastali � e di provvedere, con le Amministrazioni interessate, << alla formale presa di possesso della realit�, quale bene del demanio pubblico marittimo �. Ma, provvedere alle variazioni sui registri immobiliari e prendere il forma1e possesso della �realit� �, cio� del bene immobile, da parte dell'autorit� marittima non significa far decadere tutti i diritti che siano stati legittimamente costituiti sull'immobile, e quindi anche la concessione di pesca, a suo tempo accordata dalla Regione quando aveva potest� di accordarla in base ad una norma statutaria ed ha ancora potest�. di farlo in base alla norma stessa tuttora in vigore. Sembra di tutta evidenza che, in siffatte circostanze, occorreva una dichiarazione espressa di decadenza della concessione assentita dalla Regione, e solo di fronte ad un atto simile o ad una sia pure non formale ma chiara, univoca determinazione di volont� dell'Amministrazione nel .senso della decadenza della precedente concessione fatta dalla Regione, poteva questa ritenersi legittimata a proporre il conflitto di attribuzione, per non sentir menomato il suo diritto -riconosciuto altresi da questa Oorte con le ricordate sentenze, nn. 23 del 1957 e 49 del 1958 -ad accordare le concessioni di pesca anche in acque marittime, .sia pure con certe limitazioni, nell'interesse nazionale, e quindi d'intesa con la competente Amministrazione statale. 4. La mancanza di un atto formale o, almeno, .fil una univoca non formale manifestazione di -volont� -come pure � stato ammesso da questa Corte (v. sentenze 18 gennaio 1957, nn. 11 e 12) -con cui si affermi il diritto di esercitare un potere, per competenza propria, in contrasto con l'affermazione di altro ente o amministrazione che pretenda che quel potere a s� competa, non pu� legitmare, come precedentemente si � visto, l'ammis. sione del procedimento per conflitto di attribuzione �dinanzi a questa Oorte. A parte il rjlievo -che pure � stato fatto dall'Avvocatura dello Stato in �occasione della discussione orale -che agendosi, .in materia, in via di ricorso, una richiesta preventiva di regolamento di competenza, cui in definitiva -� giunta la difesa della Regione, costituirebbe una domanda nuova e perci� inammissibile, l'istituto del conflitto di attribuzione deve essere mantenuto entro i confini ad esso segnati dalla Oostituzione, per non trasformare la Corte costituzionale in un organo meramente consultivo, N� si vede come la Oorte possa preventi.vamente esaminare un caso che pu� dar luogo a c.onflitto d.Lattribuzione, quando, in mancanza di una precisa determinazione dei presupposti, delle ragioni e dei motivi che possano indurre, in concreto, un ente � od una amministrazione ad affermare la propria competenza, la Corte dovrebbe decidere in base ad astratte formulazioni di ipotesi, che potrebbero non trovare concreto riscontro nella realt�. E pertanto, rispetto al caso in esame, soltanto quando venisse revocata o dichiarata decaduta la concessione di pesca accordata dalla Regi.one, o, sia pure non formalmente, ma in modo chiaro, fosse espressa la volont�, in tal senso, dall'Amministrazione, solo allora, palesandone i concreti motivi, la Corte potrebbe giudi.care se il caso possa essere inquadrato entro la sfera di un conflitto di attribuzione costituzionalmente rilevante e se, nel merito, competa il potere all'Ente o all'Amministrazione che ha agito. Sotto tutti i profili il ricorso proposto dalla Regione sarda � pertanto da dichiarare inammfasibile. Con questa sentenza la Corte conferma l'inammissibilit�, del ricorso per regolamento preventivo di competenza, che porterebbe ad una pronuncia mm�amente ipotetica, ma con una motivazione, che, interpretando estensivamente l'art. 39 legge 11marzo1953, n. 87, riconduce l'atto, con cui lo Stato e la Regione invadono la sfera di competenza riservata alla Costituzione all'altro ente, ad una qualsiasi non formale purch� univoca manifestazione di volont�, che determini con precisione i presupposti, le ragioni ed i motivi, che inducono uno dei due enti in confiitto ad affermare la propria competenza. IZ confiitto, perch� possa esserne chiesta la risoluzione alla Corte, deve essere, a�i sensi degli artt. 134 Cost. e '39 legge 11 marzo 1953, n. 87, positivo e reale; ma l'atto concreto che lo pone in essere, non � necessario che abbia i requisiti, di forma e di sostanza, del provvedimento amministrativo. Non solo una circolare, che dia istruzioni ad organi periferici, ma qualunque manifestazione univoca di volont�, ancorch� non formale, � sufficiente a porre in essere il confiitto e� a legittimare la proposizione del ricorso per regolamento di competenza. La ,sentenza, perci�, non pregiudica, a nostro avviso, la questione relativa all'ammissibilit�, del ricorso prima che sia emanato un provvedimento con efficacia esterna quando fra Stato e Regione non si sia potuto raggiungere una intesa sulla ripartizione di competenza, essendo, peraltro, ben precisi e determinati i presupposti, le ragioni e i motivi, per cui entrambi gli enti ritengono di affermare la propria competenza. In tal caso, infatti, il ricorso non potrebbe dirsi proposto per il regolamento preventivo di competenza, perch� il confiitto sarebbe in "�tto, reale. _ preciso e determinato nei suoi presupposti e nel suo contenuto. -182 CORTE DI CASSAZIONE DEMANIO -Aerodtomi militari -Suolo -Esclusione. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1710/63 - Pres.: Stella Richter; Est.: Rossano; P. M.: Maccarone ( conf.) -Amministrazione Difesa Aeronautica c. Comune Catania). Gli aerodromi, se destinati alla difesa nazionale, appartengono al demanio statale. La natura demaniale si riferisce alle sole opere che sono il risultato dell'attivit� dell'uomo e non al suolo che � da esse separabile, secondo quanto risulta dal titolo o dalla legge. La s(}ntenza � pubblicata in cc Giust. Oiv. �, 1963, I, 1811. L'argomento centrale della Oorte pu� riasswrnersi in questa proposizione: �gli aerodromi, se destinati alla funzione della difesa nazionale, in quanto sono opere con immediata destinazione alla funzione, non possono che appartenere allo Stato )); la parola � opere )) comprende, secondo il significato suo proprio, i beni che siano il risultato dell'attivit� dell'uomo, non le cose naturalmente esistenti, quindi le costruzioni, non anche il suolo �. Il salto logico dal quale � viziata la sentenza risulta evidente sol che si rifletta -che il concetto di �opera � nei riguardi di un aerodromo non ha la stessa portata che ha nei riguardi di altre parti del demanio militare classico ad esempio le fortezze. In un aerodromo � da escludere che le �opere )) possono limitarsi solo alle costruzioni vere e proprie (aviorimesse, edifici per la truppa, per il comando, ecc.), esse comprendono certamente anche le piste che non � agevole distinguere dal suolo, tanto pi� che; per certi aerodromi (e pa.rticolarmente per quelli militari) sono costituite proprio solo dal suolo appena spianato e ripulito dalle piantagioni. Il vizio � tanto pi� grave in quanto, col progresso e la trasformazione della organizzazione della difesa nazionale e dei suoi strumenti, appa.re ormai inadeguato l'uso dei criteri tradizionali per identificare le cose appartenenti al demanio militare, non potendo pi� la categoria delle opere destinate alla difesa nazionale limitarsi a comprendere solo le costruzioni intese nel senso classico di opere eseguite sopra il suolo ma dovendo sempre pi� CQmprendere le opere eseguite sotto il suolo stesso. La verit� � che come dice giust'amente il GmcCIARDI (Il demanio); � Oedam ))' 1934, pag. 114) cc nel demanio militare non rientrano diritti reali parziari )) e se una porzione del suolo viene trasformata in un bene che sia suscettibile di utilizzazione diretta per la di.fesa nazionale (aerodromo) questo bene diventa integralmente demaniale non appena .la trasformazione � completata dato che con questa trasformazione si verifica la combinazione dei due mondi, oggettivo e soggettivo, essenziali per l'inizio della demanialit� (v. GmccIARDI, op. cit., pag. 164). E, secondo noi, il pensiero del Guicciardi dev'essere chiarito e integrato nel senso che, con questa trasf or mazione, si determina il trasferimento dell'irnmobile al demanio militare dello Stato, sia che esso gi� appartenesse al patrimonio dello Stato (o ad altra categoria di demanio), sia che esso appartenesse a privato proprietario. In altri termini, il fatto amministrativo cc esecuzione di opera destinata alla difesa nazionale )) costicostituisce modo di acquisto della propriet� demaniale, fermo restanto, beninteso, il diritto del precedente privato proprietario all'indennizzo doviito a tutti coloro che subiscono espropriazioni a causa di pubblica utilit�. Ohe di questo1 in sostanza si tratta: di una espropriazione per pubblica utilit� effettuata in forme diverse da quella ordinaria, ma non per ci� solo lesiva delle situazioni di interesse legittimo e di diritto subiettivo che si presentano a fronte di qualsiasi ordine di espropriazione ch� anzi l'effettiva esecuzione dell'opera destinata alla difesa nazionale da parte dell'autorit� pubblica cui spetta la competenza di eseguirla elimina in radice ogni dubbio per eventuali vizi di sviamento di potere o di cattivo uso di esso. � Probabilmente, ed � questo uno spunto suscettib�il& di proficuo approfondimento, bisogne�r� convincersi che la categoria dell'acquisto per accessione nello� istituto della propriet� demaniale funziona in senso inverso a �quello regolato in relazione all'istitutodella propriet� privata. Dobbiamo convenire che la giurisprudenza della Oorte Suprema � finora orientata in senso nettg,mente� contrario, in quanto esclude recisamente che la propriet� dell'immobile che sia stato trasformato mediante esecuzione di opera pubblica, si trasferisca nella Amministrazione senza che si faccia luogo alla. regolare procedura di espropriazione (v. per tutte� sent. n. 2087 /60 delle Sezioni Unite in questa �Rassegna ll1 1960, pag. 78), ma � anche vero che la stessa giurisprudenza riconosce esplicitamente che il diritto del privato proprietario si limita al risarcimento del danno essendo �inconcepibile la restituzione del bene� occupato, stante la radicale trasformazione da questo� subito per effetto della attuazione dell'opera pubblica)). Sulla particolare natura degli aerodromi e sulla loro connessione essenziale con la difesa nazional& v. infra, pag. 194. IMPOSTA DI REGISTRO -Sentenze -Imposta df registro sulle sentenze -Limiti di applicazione. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 2495/62 - Pres.: Celentano; Est.: Del Conte; P. M.: Tavolaro. (conf.) -Frascaro c. Amministrazione Finanze dello. Stato). A norma dell'art. 93 n. 1 della legge di registro, l'imposta sulle convenzioni si applica a tutte le� parti contraenti; viceversa, l'imposta sulle sentenze, prevista dal n. 2 dello stesso �art. 93, prescinde dalla partP;cipazione all'atto o al contratto. ���������-�-�����--�-�------�--------�-�--�-------�-�------- -183 enunciato ed ha riguardo unicamente alla posizione formale di parti istanti o che fanno uso della sentenza. Pertanto essa comprende anche coloro che siano del tutto estranei all'atto o 'al contratto medesimo. La motivazione della sentenza, che ha accolto la � tesi dell'Amministrazione, � sostanzialmente riprodotta sulla mr:issima... lMPOSTA DI REGISTRO -Transazione dichiarativa Transazione novativa -Contratto d'appalto stipulato in occasione di transazione novativa. (Corte di Cassa zione, Sezione I, Sentenza n. 2526/62 -Pres.: Celenta no; Est.: Bartolomei; P. M.: Pedace (conf.)-Soc. Fab brica Accumulatori Partenope (F.A.P.) c. Ammini , strazione delle Finanze). .Ai sensi dell'art. 60 della legge di Registro, mentre l'atto contenente una transazione dichia rativa � soggetto a tassa fissa, quello contenente una transazione novativa � invece soggetto alla tassa dovuta secondo la natura del negozio attra verso il quale le parti hanno novato la preesistente situazione giuridica. Pertanto, se in occasione di una transazione novativa, � stato stipulato un contratto di appalto, l'atto contenente l'appalto e la transazione � sog getto alla tassa di registrazione dovuta per l'intero ammontare de! prezzo di appalto, anche se, ai fini specifici della transazione sia, stata utilizzata solo una parte del predetto prezzo. Le conc�usioni, cui � pervenuta la sentenza che si annota, non possono non essere condivise. Gravi perplessit� suscita, invece, l'iter logico della decisione. In sostanza il ragionamento della Cassazione � il seguente: premesso che la transazione ha normal mente natura dichiarativa, nel senso che essa tende rebbe non gi� a modificare la preesistente sitazione giuridica, ma solo ad accertarla con efficacia t�ra le parti, si afferma che unicamente a tale situazione sarebbe applicabile la prima parte dell'art. 60 della legge del Registro relativa alla tassa fissa di registra zione. Ove le parti eliminando la insorta controversia dessero, invece, vita ad un nuovo rapporto negoziale, la transazione assumerebbe carattere novativo; in tal caso, dovendosi considerare come effettivamente conclusi due distinti negozi (il negozio nuovo, i cui effetti vengono utilizzati ai fini, della transazione, nonch� la transazione stessa), l'art. 60 sopracitato, ai fini della registrazione dell'atto, darebbe la preva lenza al nuovo negozio con la conseguenza che questo ultimo andrebbe tassato secondo la natura sua propria. Appare evidente che tale ordine di idee si inse risce in quell'orientamento che afferma la natura dichiarativa della transazione (cos�, in dottrina, POLACCO: Del contratto di transazione, Roma 1921; GROPALLO: La natura giuridica della transazione, in cc Riv. Dir. Oi1,, n, 1931, 320; EUTERA: Delle transazioni, Torino, 1933; STOLFI: La transazione, Napoli, 1931; CoVIELLO: Trascrizione, in cc Nuovo Dig. it. �, XII, 2, 290; pi� di recente, cfr. CARRESI, La transazione, in <(Trattato dir. civ. it. �, Torino, 1954); orientamento che, pur potendosi considerare tradizionale in senso eminentemente storico (si riallaccia, infatti, al diritto intermedio ed alla letteratura francese formatasi intorn� al Code Napol�on), deve considerarsi -nel vigore del nuovo Codice ed alla luce dei pi� recenti studi (cfr. VALSECCHI: La transazione, in cc Trattato dir. civ. it., �, a cura di CICU e MESSINEO, Milano, 1954; PUGLIATTI: La transazione, in cc Comm. cod. civ. �, Firenze, 1949; SANTORO PASSARELLI: La transazione, N apoli, 1958. Ancora sotto l'impero del vecchio codice si esprimevano per la costitutivit� della transazione: NrnoL�: Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e della novazione dell'obbligazione, in Annali Universit� di Messina, vol. VII, 1932-33, 377; GUICCIARDI, La transazione degli enti pubblici, in cc Arch. Dir. Pen. �, 1936, I, 64; VITERBO: L'assicurazione della responsabilit� civile, Milano, 1936; GIORGIANNI: Il negozio di accertamento, Milano, 1939), definitivamente superato. . Se questo � vero, la decisione della Cassazione appare manchevole nel suo stesso presupposto. �, per�, da ritenere che al fondo di siffatta impostazione della sentenza in esame sia quel pa�rticolare atteggiamento della dottrina tributaria, che (in ci� divergendo dalla soluzione civilistica) ripete ancor oggi il dogma della dichiarativit� della transazione (cos�, tra i maggiori, UBERTAZZI: La legge del registro, Gasale Monferrato, 1924, 241; CAPPELLOTTO: Le tasse di registro, Venezia, 1932, 551; .lARACH: Principi per l'applicazione delle tasse di registro, Padova, 1937, 46 sgg.; e, pi� di recente, UcKMA.R: La legge del registro, Padova, 1953, I, 185 e II, 405; J AMMARINO: Commento alla legge sulle imposte di registro, Torino, 1959, I, 566; cos� anche BERLmI: Le leggi di registro, Milano, 1960, 391, il quale, per�, con maggior consapevolezza, precisa che, ove non vi fosse la regola enunciata nel 10 comma dell'art. 60, la transazione non andrebbe soggetta alla semplice tassa fissa, ma ad una tassa graduale o proporzionale). La decisione annotata sembra, tuttavia, andare oltre queste affermazioni (che, valide su di �n piano unicamente tributario, non possono essere estese ol tre l'ambito del 10 comma dell'art. 60: n� pu� in que sta sede aff1�ontarsi il raffronto tra detta norma e i principi del Oodice civile), affermando generica mente un preteso carattere dichiarativo della transa zione, con un riferimento (non si sa bene quanto consapevole) a funzioni di accertamento, che par rebbe riecheggiare la vecchia tesi dottrinale della quali ficazione dell'atto di transazione come negozio di accer tamento. In questo senso la sentenza non fa che inserirsi in un insegnamento ormai tradizionale. Tuttavia, ai fini della presente decisione, sarebbe stato prefe ribile procedere in un diverso ordine concettuale, che -evitando di prendere posizione sul problema della natura dichiarativa o costitutiva della transazione .:::..... avrebbe consentito alla Cassazione di sottrarsi alla esigenza di certe affermazioni, quanto meno discutibili. Come s'� visto in precedenza, infatti, la sentenza, premessa la affermazione circa la natura normalmente dichiarativa dell'atto transattivo, ha poi fatto -184 leva, per giungere alle conclusioni accolte, sul concetto di transazione nO'IJativa, tale ritenendo tipicamente l'ipotesi in discussione. Ed allora, il richiamo alla normale dichiarativit� della transazione appare inconferente, ben potendosi risolvere la questione in esame nell'ambito esclusivo del concetto di transazione novativa. Si trattava, infatti, di una pluralit� di controversie, insorte tra le parti in dipendenza dell'esecuzione di un precedente contratto di appalto, controversie che erano state transatte mediante posizione di un nuovo (e complesso) regolamento negoziale. Discutendosi dell'applicazione della tassa di registro, la Oassazione ha ritenuto trattarsi di una transazione con effetti novativi stabilendo conseguentemente l'applicabilit� alla specie della seconda parte dello art. 60 della legge del registro. Giova soffermarsi brevemente su questi concetti. * * * Non par dubbio che, ai fini dell'imposta di regi stro, debba farsi distinzione tra transazione novativa e non novativa, dovendosi applicare soltanto nella seconda ipotesi la tassa fissa. In questo senso � esplicito l'art. 60 della legge sul registro, 'con una norma che -considerata in relazione all'epoca in cui fu posta -appare retrospettivamente come un .esempio notevole di anticipazione sulla futura legislazione. Vigente l'art. 1772, I comma Oodice civile 1865, infatti, era opinione assolutamente dominante che la transazione non potesse produrre effetti novativi sui rapporti preesistenti (in tal senso tutti gli autori meno recenti: unica voce in contrario quella del NICOL�, op. cit., il quale, partendo dal presupposto che pu� aversi novazione sia quando il secondo rapporto costituito dalla dichiarazione novativa si viene a trovare in una situazione di obbiettiva incompatibilit� con il rapporto al quale si � sostituito, sia quando la incompatibilit� fra i due rapporti non attiene alla loro natura ma deriva da uno speciale atteggiamento della volont� delle parti (animus novandi), deduceva essere ben concepibile una transazione la quale, realizzando una situazione di diritto obbiettivamente incompatibile con quella precedente, ne determinasse l'estinzione per una forza che � nella natura delle cose prima ancora che nella volont� degli uomini. Sulle orme di NICCOL� cfr. anche GIORGIANNI, op. cit. Una impostazione originale del problema, sotto il profilo della rinnovazione del negozio, era in OARNELUTTI, Documento e negozio giuridico, in �Riv. dir. proc. civ.�, 1926, 181 sgg.). Il nuovo Oodice, affermando alliart. 1976 che la risoluzione della transazione per inadempimento non pu� essere richiesta se il rapporto preesistente � stato estinto per novazione, ha riacceso la disputa. Facendo leva sulla dizione letterale dell'art. 1976 (senza peraltro approfondire ulteriormente il pro blema) ammettono l'idoneit� della transazione a produrre effetti novativi il V.ALSECCHI ed il OARRESI. Anche il BETTI:. Teoria generale del negozio giu ridico, Torino, 1955, 263 sgg., pur ritenendo che si tratti di istituti sostanzialmente differenti, ammette che la transazione possa avere effetti novativi. Gravi e sostanziali critiche, dalle quali non pu� prescin dersi, sono state per� autorevolmente mosse a tale concezione (PUGLIATTI: Della transazione, in cc Oomm. cod. civ.�, Firenze, 1949, 448 sgg.; SANTORO PASSARELLI, op. cit.). Si �, cos1., detto che il termine di novazione in riferimento alla� transazione sarebbe usato dalla legge in senso improprio, per indieare ogni ipotesi di sostituzione di una precedente situazione con altra successiva, posta in essere appunto con il negozio transattivo. Ma la inidoneit� della transazione a produrre effetti novativi in senso tecnico si dovrebbe desumere dalla struttura diversa e reciprocamente incompatibile dei due istituti (cos� SANTORO PASSARELLI, op. cit., 83). Il problema merita una ulteriore considerazione. * * * Precisiamo iinmediatamente che non si tratta di vedere se l'effetto novativo sia tipico e costante della transazione. Su questo punto non si fa questione. Lo stesso art. 1976 Oodice civile., ammettendo la possi bilit� che il rapporto preesistente sia estinto per nova zione, fa intendere che si tratta di una mera eventua lit�. Occorre invece indagare se la produzione di effetti nO'IJativi sia compatibile con lo schema negoziale della transazione, in rapporto alla struttura dei due istituti. Per esprimere il concetto della funzione della novazione si parla spesso di causa novandi. L'espressione � impropria, se si accetta la tesi secondo la quale la novazione non � (o almeno non � necessariamente) un negozio tipico, indiviflruato e distinto dagli altri previsti dal nostro ordinamento, ma � invece un evento in rapporto di effetto a causa con un precedente atto. Tale tesi � confortata dal testo legislativo, il quale ricollega l'effetto estintivo ad ogni ipotes�i in cui si abbia sostituzione della obbligazione originaria con quella successiva, richiedendo solamente l'aliquid novi e l'animus novandi. Non v'� dubbio che il concorso di questi due requisiti non � di per s� sufficiente ad individuare un contratto tipico. � vero piuttosto che l'art. 1234 Oodice civile, introduce un elemento causale che potrebbe indurre a conclusioni diverse; ma di tale articolo vedremo in seguito la portata e il valore. Quindi, anzich� di novazione dovr� pi� correttamente parlarsi di effetti novativi, collegati ad un atto negoziale che pu� assumere una qualunque delle forme previste dall'ordinamento, esclusi -ben s'intende -quei negozi che per loro struttura sono inidonei a tali effetti. Quanto si � detto finora non esclude che le parti possano dare vita a un distinto negozio innominato, che sia rivolto unicamente al fine di novare. In questo caso legittimamente potr� dirsi ohe si � posto in essere un negozio individuato dalla specifica causa novandi, cio� dalla funzione di estinguere una precedente obbli gazione per creazione di altra successiva, che alla pri ma si sovrappone. Qui acquista il suo pieno rilievo la norma dell'art. 1234 Oodice civile la quale, stabi lendo che la novazione � senza effetto nel caso di ine- sistenza (o di nullit�) dell'obbligazione originaria, fa in sostanza rife�rimento a una ipotesi di man canza di causa, che determina secondo i principi il venir 'meno del negozio di novazione. In questo caso veramente pu� pm�larsi con piena consapevo -185 ' lezza tecnica di causa novandi, giaoch� si � presenza in di un elemento essenziale del contratto, che proprio da tale elemento � individuato e scolpito nella sua struttura tipica. Ma fuori di questa ipotesi, che � concettualmente l'eccezione, la regola rimane pur sempre che l'effetto novativo pu� nascere da un qualsiasi contratto, il quale -inquadrandosi nella propria struttura causale -produrr�, oltre i suoi effetti tipici, anche ulteriori effetti novativi, perch� la volont� delle parti si � a ci� specialmente indirizzata. Pertanto non � necessario ohe gli effetti novativi siano individuati da una causa tipica. In altri termini, quel che la legge costantemente richiede � l'animus, cio� la volont� delle parti di novare; ci�, per�, non significa che l'animus non possa essere inserito in un negozio individuato da una causa tipica diversa da quella novandi, di modo che il negozio oltre i suoi effetti normali produca anche effetti novativi. Una tale coesistenza sarebbe impossibile solo quando la causa tipica del negozio fosse concettualmente incompatibile con la novazione. Oos� non potrebbero le parti fare ricorso a un negozio di accertamento (ove si ammetta tale figura negoziale) al fine di novare, giaoch� la funzione di accertamento importa per definizione la conservazione del rapporto accertato. Ma questo non � il caso della transazione rispetto alla quale, dopo gli ampi risultati ottenuti dalla dottrina pi� recente (SANTORO PASSARELLI, op. eit.), sareb~e veramente un fuor d'opera insistere sul punto che essa non pu� inquadrarsi nella figura dell'accertarnento. *** Richiamati i suesposti principi in materia di novazione, sembra agevole dedurre ohe non si potrebbe per la transazione invocare contro l'ammissibilit� di effetti novativi l'impossibilit� concettuale di ammettere la simultanea presenza di due distinte cause negoziali (e cc novandi � e �transigendi �), Il riferimento alla causa novandi, infatti, � legittimo solo nell'ipotesi in cui la novazione sia attuata mediante uno specifico negozio individuato dalla unica funzione di estinguere una precedente obbligazione mediante l'assunzione di un'altra. Ma in tutte le altre ipotesi {che costituiscono, come si � visto in precedenza, la normalit�) l'effetto novativo non discende da una specifica causa dello stesso genere, qualificandosi, al contrario, come conseguenza ulteriore di un distinto schema negoziale. Sotto questo profilo, per affe,rmare l'inidoneit� della transazione a novare i precedenti rapporti sui quali essa opera, dovrebbe affermarsi l'impossibilit� concettuale di apporre alla tipica caus� transigendi un ulteriore atteggiamento della volont� delle parti, indirizzata all'estinzione per novazione dei precedenti rapporti obbligatori. Nulla, per�, consente una simile affermazione. Al contrario ci sembra ohe l'estinzione del rapporto litigioso possa essere, in un certo senso, normale alla composizione della lite, in quanto mezzo ed, a un tempo, effetto della composizione: mezzo, in quanto inquadrabile nell'ambito delle concessioni che le parti reciprocamente si fanno; effetto, in quanto dal nuovo assetto di interessi realizzato con la transazione discender� normalmente il superamento integrale della situazione precedente. Deve, quindi, concludersi che la funzione di comporre la lite mediante reciproche con�essioni, .n,9ri, essendo incompatibile con l;estinzione del rapporto (o dei rapporti) precedente, ben consente l'apposizione allo schema negoziale, mediante il quale tale funzione si realizza, di quell'elemento volontaristico che tradizionalmente si designa come << animus novandi �. *** L'obbiezione fondamentale che si muove alla tesi della compatibilit� di effetti novativi oon la transazione � che gli eventuali vizi dell'obbligazione navata reagiscono su quella successiva diversamente da quel che avviene nella transazione per i vizi afferenti al titolo, relativamente al quale la transazione � stata fatta. A tale obbiezione, per quanto ci risulta, non � stata ancora data una valida risposta. N � sembra sufficiente il puro e semplice richiamo al testo dello art. 1976 Oodioe civile., i"Z quale in realt� non d� alcuna ragione dell'eccezione mossa. Qui occorre precisare che, quando la legge parla di titolo, si riferisce indubbiamente al fatto da cui sorge il rapporto obbligatorio, in ordine al quale � insorta la lite. Parlare di invalidit� del titolo equivale, quindi, a parlare di invalidit� dell'obbligazione che ne deriva. Trazionalmente si dice che la inesistenza (cui � parificata la nullit�) dell'obbligazione navata determina nullit� della novazione, indipendentemente da ogni considerazione sull'atteggiamento psicologico delle parti. Per la transazione, invece, in virt� dello art. 1972, II comma, Oodioe civile, la eventuale nullit� dell'obbligazione dedotta in lite opera sul negozio transattivo solo per il tramite del vizio della volont� delle parti. Si dovrebbe da ci� desumere che la transazione, essendo nel suo meccanismo causale svincolata dall'eventuale invalidit� delZ'obbligazione precedente, non � compatibile con la novazione, la quale � per definizione individuata dal collegamento delle due obbligazioni. Osserviamo anzitutto che la disciplina dell'art. 1972 Oodice civile non si applica a tutte le ipotesi di transazione. Oi riferiamo a quei casi che una autorevole dottrina ha di recente assunto sotto il concetto di transazione non innovativa, quella transazione cio� in cui �la situazione preesistente non � interamente dedotta in lite, e quindi non � interamente sostituita, ma integrata da quella creata con la transazione � (cos� SANTORO PASSARELLI, op. cit., 79). Ooncretereobe tale ipotesi la transazione che, lasciando immutato il titolo del rapporto litigioso, ne modificasse l'oggetto, come chi transigesse sul quantum della prestazione, ovvero sostituisse la prestazione con altra qualitativamente diversa (ad esempio una somrna di denaro in luogo di una cosa determinata). In tal caso il rapporto, anche dopo la transazione, � sempre sorretto dal fatto costitutivo originario, onde l'eventuale nullit� (o inesistenza) di tal fatt� importer� il venir meno di tutta la situazione successiva, anche per quegli effetti che dipendevano dalla transazione. La nullit� (o inesistenza) del. titolo originario opera di per s�, indipendentemente dall'atteggiamento delle parti, a nulla rilevando se esse conoscessero o meno il vizio qua.ndo si indussero alla transazione. -186 Ecco dunque che nel caso di tranaazione in esame si applicano, quanto agli effetti che sulla transazione possono operare gli eventuali vizi del titolo in riferimento al quale si � transatto, le stesse norme della novazione. Ora, pu� dubitarsi che una transazione siffatta abbia tutti i requisiti occorrenti per novare ? Non ci sembra. Circa l'animus novandi, di cui abbiamo in precedenza dimostrato la compatibilit� con lo schema negoziale transattivo, esso ricorre per ipotesi se assumiamo che le parti transigendo 'l'Ogliano ottenere il risultato di novare i precedenti rapporti obbligatori. Quanto all'aliquid novi, la diversit� dell'oggetto � sufficiente a concretare il mutamento richiesto dalla legge. Se poi la diversit� dell'oggetto debba essere qualitativa, o possa anche essere meramente quantitaUva, � problema che qui non interessa. Basti dire che, almeno nel caso in cui le parti abbiano sosUtuito la prestazione originaria con altra qualitativamente diversa, esprimendo a un tempo la loro volont� di novare, si sono verificate tutte le condizioni necessarie perch� si abbia novazione. Ben pu� dunque una transazione che lascia inalterato il titolo,� relativamente al qua.le si transige, realizzare la novazione dell'obbligazione precedente, e, poich� s'� gi� visto che in tale ipotesi l'efficacia novativa non pu� essere contesta,ta neppure sotto il profilo dell'art. 1972 O.e., dovr� concludersi, contrariamente alla dottrina prevalente, che vi sono casi in cui la transazione pu� certamente novare. * * * La conclusione apparentemente paradossale ohe, almeno per quanto attiene alla transazione c. d. non innovativa, non sia lecito invece dubitare della possi bilit� che si producano effetti novativi, � di per s� sufficiente a dimostrare il nostro assunto. Ma ci sembra sia possibile ampliare tale conclusione anche alla ipotesi in cui la situazione preesistente sia inte ramente dedotta in lite. In tal caso non v'� dubbio che trovi applicazione la disciplina dell'art. 1972, 2� comma, Codice civile. Se ne deduce che la situazione creata con la transa zione �, rispetto alla situazione precedente, ad un grado di indifferenza molto pi� elevato di q1tanto accade nella novazione. Qui la seconda obbligazione � funzionalmente collegata con quella precedente, sicch� gli eventuali vizi di quest'ultima reagiscono necessariamente sull'altra. Il meccanismo � obbiet tivo e riposa su.lla str1ittura dell'istituto. Nella tran sazione, invece, il vizio del preced�nte rapporto pu� diventa,re rilevante solo quando si risolva in un vizio della volont� delle parti (SANTORO p ASSARELLI, op. cit., 142). La differenza del dettato legislativo va riportata al fatto che funzione tipica del negozio di transazione non � di novare ma di comporre la lite. Rispetto alla causa transattiva (di composizione) l'eventuale effetto novativo sar� necessariamente indifferente. Cos� si comprende che il collegamento fra le due obbligazioni non pu� essere obbiettivo. Per chiarire ta.le sitiiazione occorre rifiettere che, mentre l'art. 1234 Codice civile ha presente l'ipotesi di novazione per cos� dire pura, nel caso in cui si novi mediante transazione inter viene una causa tipica (quella transattiva), che � diretta a produrre effetti ai quali quello novativo � indifferente. Sicch� � naturale che l'eventuale vizi<> del titolo dell'obbligazione novat� urti contro tl dia� framma di� una causa diversa da quella novativa. Non potrebbe infatti l'invalidit� del negozio, che� ha una sua struttura e una sua funzione tipica, essere determinata dal vizio di una obbligazione che � collegata solo con un effetto eventuale, non tipico, del negozio stesso. Se cos� non fosse, si dovrebbe arnmettere che l'effetto novativo � necessariamente tipic<> di un contratto individuato da una speciale causa novandi. Si dovrebbe cio� escludere che novazione possa essere determinata genericament� da un qualsiasi schema negoziale, giacch� � evidente che non solo rispetto alla transazione, ma in genere rispetto a qualsiasi contratto la reazione del vizio dell'obbligazione precedente sarebbe paralizzata dalla ca1isa. tipica del contratto, cui l'effetto novativo inerface. Deve, quindi, concludersi che l'ipotesi dell'art. 1234 Codice civile va limitata al caso in cui la novazione sia operata attraverso un contratto innominato, costruito escl�usivamente al fine di novare, e quindi individuato da una a�utonoma causa novandi. Qui veramente l'estinzione dell'obbligazione mediante creazione di un'altra non � pi� un semplice effetto di un negozio individuato da una propria e diversa causa, ma � essa stessa causa di un nuovo negozio individuato al fine di produrre quell'effetto. Come si � dett<> in precedenza, in questa ipotesi pu� esattamente parlarsi di causa novandi. JJJ ovvio quindi che la nullit� dell'obbligazione novata, risolvendosi in mancanza della causa del negozio di novazione, importi nullit� di qiiest'ultimo e della obbligazione che ne deriva. Ci� non potrebbe dirsi nel caso della transazione. Nell'ipotesi dell'art. 1234 Codice civile la nuova obbligazione � nulla per forza obbiettiva d�i cose, giac ch� non pii� essere novato quello che non esiste. E poich�, d'altra parte, la stipulazione novativa non aveva altro senso che quello di novare, essa non ha pi� ragione d'essere, e cade interamente.Nella transa zione, invece, pnr se l'effetto novativo non .si potr� produrre per mancanza del rapporto da novare, ci sono ben altri effetti ( i pi� importanti, i tipici) da far salvi. � logico, quindi, e coerente ai principi che il contratto sia salvo nei limiti di cui all'art. 1972 Codice civile. * * * Se si accettano le conclusioni che precedono circa la compatibilit� di effetti novativi con l'atto di transa zione (ci� che, del resto, la giurisprudenza -pur senza adeguato approfondimento -ha sempre ammesso: cos�, sotto l'impero del vecchio Codice, Cassazione, 14 gennaio 1933, n. 115, in �Foro it. Rep. )>, 1933, voce: Transazione, n. 17, e, di recente, Appello, Firenze 31gennaio1962, in� Giur. Tosc.�, 1962, 352), la sentenza annotata appare aver fatto buon governo della legge, non potendosi seriamente dubitare che nella specie si trattasse di una transa~ zione ad effetti novativi. V a piuttosto rilevato -per compiutezza d'inda gine -che, ferma rimanendo su di un piano teorico l'esattezza delle massime affermate dalla sentenza annotata, ai fini della decisione di specie si sarebbe --���--�-------�� --------------- �-187 potitto addirittura prescindere dall'affronta;re la vexata quaestio, dei rapporti fra transa:~ione e novazione. Trattandosi, infatti, senza alcun dubbio di una transazione c. d. mista (di una transazione, cio� in cui la causa transattiva concorre con altro schema negoziale: nella specie, di appalto), si sarebbe potiito senz'altro ritenere applicabile l'ultimo inciso dello; seconda parte dell'art. 60 della legge di registro, che si riferisce appunto a siffatta specie di transazione (cos�. implicitamehte, BERLIRI: Le leggi di registro, Milano, 1960, 392). Anche in tal caso, comunque, la soluzione non sarebbe mutata in virt� del principio di cui all'art. 8 della legge di registro. �, pertanto, sotto ogni profilo -pur con le riserve esposte in ordine alla motivazione -non pu� che concordarsi nelle conclusioni assunte dalla sentenza in esame. T. ALIBRANDI IMPOSTA DI REGISTRO -Errori in procedendo Poteri del� Giudice di Diritto -Impugnativa di sen tenza -Riesame della controversia -Societ� di fatto fra societ� di capitali e societ� di persone o persone fisiche -Inammissibilit� -Tassazione conferimenti Presupposti -Societ� ed associazione in partecipa zione -Imponibile -Appalto conferito contestual mente a pi� imprese--Associazione per l'esecuzione. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 342/63 - Pres.: Farallo; Est.: Di Maio -Finanze c. Ferrobeton). 1) La denuncia di errore in procedendo (preclitsione da giudicato nello stesso processo) abilita il G-iudice di diritto a conoscere delle questioni relative anche attraverso indagini al merito. 2) Il giudicato parziale si forma solo su capi distinti cd autonomi di una sentenza c non su capi necessariamente legati ad altro capo impugnato, pm�ch� l'accoglimento della impugnazione relativa a quest'ultimo fa venir meno anche la decisione sul capo esplicitamente non impugnato collegato a quello riformato o annulla.to. Nel caso, pertanto, di appello che, per effetto dell'impugnativa di un punto fondamentale della causa, investa tutta la sentenza, il giudice di secondo grado ha il dovere di esaminare la intera controversia con conseguente possibilit� di dare al rapporto �giuridico controverso, anche di sua iniziativa, una configurazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti o ritenuta dal primo giudice. 3) Non � configurabile nell'ordinamento positivo vigente, cui partecipa la legge organica di registro, un rapporto di societ� di fatto fra una societ� di capitali, con personalit� giuridica, ed una persona fisica o una societ� di persone. 4) L'imposizione disciplinata dall'art. 81 della T.A. annessa alla Legge organica di registro colpisce il fenomeno della produzione associata ed a tal fine si ha, ai fini del tributo di registro, una equiparazione fra Societ� ed Associazione in partecipazione. 5) La realizzazione del conferimento, oggetto della imposizione predetta, esige elementi soggettivi ed oggettivi: gli uni sono dati dalla Societ�, Associazione o altro organismo che, in 'via di aniilOgia, a norma dell'art. 8 della Legge organica di registro, conseg1ia il raggiungimento, sul piano giuridico economico, degli stessi effetti tipici, che operi il trapasso di un bene o 1_ialore di cui � titolare ad altro soggetto od organismo; gli altri sono dati dal bene o valore effettivamente trasferito per la sua utilizzazione nella prod1izione associata. 6) La base imponibile in tali casi e rappresentata dalle somme dei valori apportati. 7) Il conferimento di un appalto ad �imprese riunite� non integra l'ipotesi .contemplata nell'art. 81 della T. A. annessa alla L. O. R. escludendo tale fatto la possibilit� di configurare l'associazione in partecipazione quale � caratterizzata dal fatto che la titolarit� dell'impresa � nel solo associante e la partecipazione dell'associato � limitata ai risultati della impresa medesima. La sentenza � cos� motivata: Con il primo mezzo di denuncia la violazione art. 2909 O.e., 99, 112, 329, 342 O.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 e 4 stesso Codice. Si assume che la corte di merito abbia violato il giudicato (parziale) che si sarebbe formato con la sentenza del tribunale sul punto (non impugnato in appello) in cui i primi giudici avevano ritenuto che il rapporto attuato in concreto con la scrittura del 5 giugno 1951 costituiva una societ� in nome collettivo irregolare in luogo della dichiarata associazione in partecipazione. Si spiega infatti al riguardo che avendo la :Ferrobeton contestato nei suoi motivi di appello non l'esistenza del rapporto, n� la sua qualificazione, bens� solo gli estremi in concreto del conferimento, l'esame di detto punto non impugnato si risolveva nella violazione del principio dispositivo sancito nell'art. 112 0.p.c., relativo alla corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. La censura non ha consistenza. Trattandosi di denunciato errore in procedendo (pretesa preclu sione da giudicato nello stesso processo) al supre mo collegio � consentito conoscere delle questioni relative anche attraverso indagini di merito (cfr. sent. 348 e 31.36/60). Ora, in proposito � decisivo rilevare che la Ferrobeton aveva chiesto in appello, in riforma della sentenza dei primi giudici, la declaratoria di illegittimit� della imposizione tributaria controversa con la conseguente domanda di rimborso delle somme pagate, censurando in particolare sotto molteplici profili (nel primo, secondo, terzo e quinto motivo del relativo atto di impugnativa) il ritenuto �conferimento n di beni, che secondo l'avviso del tribunale era costituito dall'appa;tto;sicch� risulta manifesto che la pronuncia di primo grado veniva impugnata in toto, e l'accertamento essenziale della controversia (conferimento) implicava ovviamente l'indagine sulla qualificazione giuridica del rapporto� 8ocietario configurato (soc. -188 collettiva irregolare) che del conferimento rap. presentava il necessario presupposto. � ben noto che il principfo se�ondo cui il giudice di appello non ha il potere di riesaminare i punti della sentenza di primo grado non investiti me diante appositi motivi di gravame non opera allQr ch� per effetto della impugnativa di un punto fon damentale della causa l'appello investa tutta la sentenza del primo giudice, in quanto in tale ipo tesi ilgiudice di secondo grado ha il dovere di esami nare l'intera controversia con la conseguente possibilit� di dare al rapporto giuridico contro verso, anche di sua iniziativa, una configurazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti ritenuta dal primo giudice (cfr. sent. n. 2251 e 2773/60). Il che vale quanto dire che il giudicato (parziale) pu� formarsi "solo su capi distinti ed autonomi di una sentenza e non gi� su capi che siano necessariamente legati ad altro capo impu gnato giacch� l'accoglimento della impugnazione relativa a questo ultimo fa venir meno anche la decisione sul capo non esplicitamente impugnato, collegato a quello riformato o annullato (cfr. sent. 3512/58-1032/59-3265/60). Come appunto � avvenuto nel caso concreto, in cui i giudici di appello, per giudicare delle condi zioni di legittimazione della pretesa tributaria (contestata in radice), hanno dovuto indirizzare la loro prima indagine su uno degli elementi costi tutivi della fattispecie, ossia sulla qualificazione del rapporto (societario o associativo) che solo avrebbe potuto legittimare in concreto l'oggetto dell'imposizione conferimento ai sensi dell'art. 81 della tariffa allegata alla legge del registro. Il primo mezzo del ricorso � quindi da respingere. Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 8, 11, 12, 14 e art. 81 tariffa allegato A del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269, dell'art. 112 C.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, 4 e 5 C.p.c. Spiega la ricorrente .Amministrazione delle Finanze che la corte del merito, allorch� � pervenuta a.Ila dichiarazione di illegittimit� dell'imposizione tri butaria controversa, ha errato perch� non ha esa minato in concreto la natura giuridico-economica del contratto 5 giugno 1951. Di fronte al fatto della costituzione di un vincolo, non bastava limitarsi a dichiarare la impossibilit� giuridica di tale vincolo, ma se ne dovevano specificamente esaminare na tma giuridica ed effetti economici (art. 8 legge registro). N� potevarilevare ilvizio dell'atto,. dato che la do manda della Ferrobeton non era fondata sulla nulli t� dell'atto ma sulla intassabilit� del confeiimento. Si aggiunge infine che la corte di appello ha anche omesso l'esame di un punto decisivo relativo al contenuto concreto dell'atto, quanto meno in ra gione dell'analogia esistente fra tale atto e quello preveduto dalla norma dell'art. 81 applicato da essa .Amministrazione Finanziaria. .Anche questa censura deve essere disattesa. La corte del merito a sostegno del decisum ha considerato che: a) una soc. di fatto o irregolare fra soc. di capitali e soc. di persone ovvero fra soc. di capitali e imprese individuali, non era nel caso ipotizzabile per l'impossibilit� giuridica di una coesistenza, in un rapporto associativo a carattere personale di enti o persone caratterizzate intuitu personae e enti caratterizzati intuitu rei; b) una associazione in partecipazione era poi st~.ta gi� esclusa dal tribunale e il relativo capo della sentenza non era stato impugnato da alcuna delle parti; e) il rapporto convenuto con la scrittura privata 5 giugno 1951 partecipava dei contratti innominati, nella nozione datane dall'art. 1322 e.e. perch�, non rientrando in alcuno dei tipi forniti di una disciplina particolare, era diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela; d) la natura del contratto, in concreto attuato, data la inosservanza dei requisiti richiesti dal diritto comune per un rapporto associativo tipico, escludeva la configurazione di un conferimento di beni, che solo � preso in considerazione dall'art. 81 della tariffa della legge di registro. Orbene, questo ragionamento sfugge, dal punto di vista logico e giuridico, alle critiche che ad esso vengono rivolte dalla ricorrente. In primo luogo pu� subito dirsi che tali critiche si muovono su di un piano del tutto astratto, perch� non dicono esse stesse, contro le argomentazioni dei giudici di appello, quale sarebbe stato nel caso concreto, nell'ambito di applicazione della legge tributaria, il rapporto (associativo o societario o comunque a questo analogo) c1� le parti vollero dar vita con la scrittura del. 5 giugno 1951. E ci�, se non � detto della parte interessata, non pu� certo esser detto dalla cassazione, che � giudice di legittimit� e non di merito. Sul piano poi strettamente giuridico non � certamente contestabile l'esattezza del principio richiamato nell'impugnata decisione secondo cui non � configurabile nel nostro ordinamento positivo (cui partecipava ovviamente la legge di registro) un rapporto di societ� di fatto fra una societ� di capitali con personalit� giuridica e una persona fisica o una societ� di persone. Tale principio � conforme all'indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza del supremo collegio e non vi sono ragioni per discorstarsene (cfr. sent. 2024 e 3035 del 1958). Se perci� nella fattispecie in esame si trattava unicamente di stabilire l'applicabilit� o meno dell'art. 81 della tariffa allegato A della legge di registro, occorreva tener presente che questa norma, in collegamento con l'art. 8 della legge organica di registro, indica l'aliquota e quindi la misma della imposta sugli atti che implicano, nella costituzione di societ� di qualunque specie o di associazione in partecipazione, conferimenti di beni o valori che il conferente intende trasferfre, ancorch� in semplice uso o godimento, alla soc. o alla associazione cui il bene o il valore � destinato (cfr. sent. 2016 del 1955, 2727 del 1958). ... Occorrono quindi, per la realizzazione piena della fattispecie prevista (conferimento) estremi soggettivi ed oggettivi, vale a dire da un lato un soggetto (societ�, associazione o altro organismo che in via analoga, ex art. 8 legge registro, possa della societ� o associazione conseguire il raggiungimento sul �----��-----------� . --------- piano giuridico economico degli stessi effetti tipici), il quale, essendo titolare di un certo bene o valore, lo conferisca ad altro soggetto od organismo, e quindi altro soggetto od organismo destinatario del conferimento, e dall'altro un bene o valore oggetto del conferimento medesimo; sicch�, nel complesso, svolgimento della sequenza prevista, a tacer d'altro, ci� che � necessario � appunto la sussistenza di un soggetto od organismo destinatario dello apporto o conferimento che trapassa a detto soggetto od organismo dal suo titolare originario. E, al riguardo, la sentenza impugnata ha escluso per la gi�. detta impossibilit�. giuridica di un nesso sociale tra soc. di capitali e soc. di persone, la configurazione di ente collettivo irregolare, ed ha del pari escluso (alla stregua di quanto ritenuto dal tribunale e non impugnato) la configurazione di un'associazione in partecipazione. Questa invero si sarebbe potuta C!:mfigurare solo nell'ipotesi in cui i'appalto fosse stato conferito ad uno dei due soggetti contraenti. In tal caso infatti, giusta un vecchio e conoolidato indirizzo di questo supremo collegio, atteso che il legislatore fiscale ha voluto equiparare ai fini dell'imposta di registro i due istituti (soc. e associazione in partecipazione) si � ritenuto che la specifica imposizione qui viene a colpire il fenomeno di produzione associata, alla stessa guisa di quanto accade nell'ambito societario (cfr. sent. 2465del1935,174 del1947). Ma, una volta accertato in fatto -come del resto era pacifico, che l'appalto venne conferito coli.giuntamente � alle impi-ese riunite � (FerrobetonDe Lieto) esulava completamente la possibilit�. di configurare l'asoociazione in partecipazione, la quale � caratterizzata dal fatto che la titolarit�. della impresa � nel solo associante e la partecipazione dell'associato limitata ai risultati dell'impresa medesima (cifr. sent. 2292) del 1958, 2791del1959). Tutto ci� ha detto e bene la corte del merito, alla quale non pu� poi essere addebitata indagine monca o deficiente; perch� i giudici di appello hanno a.vuto cura di aggiungere che nella scrittura del giugno 1951 (su cui l'ufficio applic� l'imposta in questione in base all'art. 81 della indicata tariffa) non vi era nemmeno menzione di conferimenti nel senso tecnico-giuridico e specialmente di �conferimento � del contratto di appalto, ma solamente si poteva ritenere che i contraenti vollero consacrare nello scritto di unire i loro mezzi e le loro attivit�. ((per l'esecuzione dei lavori relativi alla costruzione dell'opera n. Mera quindi unione delle attivit�. e dei mezzi dei singoli contraenti (ognuno dei quali rimaneva titolare della propria posizione originaria) con esclusione perci� nel negozio documentato della capacit�. di attivare quel movimento di ricchezza (ossia il conferimento) che � a base della specifica tassazione. E questo � d'altra parte giudizio di mero fatto congruamente motivato sull'interpretazione dei negozi giuridici, che sfugge come tale al controllo di legittimit�. del supremo collegio. .A) Le affermazioni contenute nella 1a e 2a massima costituiscono giurispritdenza consolidata (cfr. sent. 348 e 3146/60; 2051 e 2773/60; 3512/58; 1032/59; -�� �-�����----�--�------------------- -189 3265/60) anche se nella economia della sentenza il principio relativo non risulta integralmente osservato. In ordine, infatti, alla configurazioa:i.e .. giuriilica del rapporto, per la quale era mancata una specifica impugnativa, il principio di cui alla massima ha operato per ritenere erronea la configurazione riconosciuta e non anche per quella dagli stessi primi giudici esclusa. A tale riguardo � stato sottolineato nella sentenza quella mancata specifica impugnativa che, prima, era statti dichiarata non necessaria. B) Le affermazioni contenute nelle massime 3, 4, 5 e 6 costituiscono anche esse giurisprudenza consolidata: per la 3a cfr. sent. 2024 e 3035 del 1958; per la 4, 5 e 6 cfr. sent. 2016 del 1955, 2727 del 1958 e 391 del 1963 in �Rassegna Mensile dell'Avvocatura dello Stato n, 1963, pag. 85 e segg. con nota di richiamo. O) L'affermazione contenuta nella 7a massima � frutto di un accertamento di fatto che la sentenza ha dato per acquisito e che, al pari di quanto ai1evano fatto i giudici di appello, � stato utilizzato per negare la configurazione, nel caso di specie, dell'istituto della associazione in partecipazione. In ci� la sentenza si rivela lacunosa. Per escludere nel caso concreto l'operativit� dell'art. 81 della T. A. annessa alla L. O. R. non basta affermare che il rapporto in concreto attuato non costituiva n� societ� di fatto fra societ� di capitali e persone fisiChe, o societ� di persone n� una associazione in partecipazione, ma un contratto atipico, innominato del genere. previsto dall'art. 1332 del Codice civile. Per il principio, infatti, racchiuso nel secondo comma dell'art. 8 della L.O.R. sa1�ebbe stato necessario -e a tale riguardo era stato proposto esplicito motivo di ricorso accertare se il rapporto in concreto attuato, atipico, innominato, partecipava, in via di analogia, della disciplina fiscale posta dal ricordato art. 81 della T. A. Nel sistema della legge di registro il fatto giuridico che determina il sorgere del rapporto di imposta � noto -non � il trasferimento di �un bene o l'assunzione di una obbligazione, ma la stipulazione di un atto, capace di provocare un mutamento dello stato gfaridico preesistente. Determinante, perci�, � l'esistenza di un atto che, considerato in s� e per s�, sia capace di produrre la obbligazione o di attuare il mutamento suddetto, indipendentemente da tutte le circostanze che possano impedire la produzione dei suoi effetti (cfr. Cassazione, 10 luglio 1954, Montana c. Finanze in �Riv. Leg. Fiscale n, 1954, 1331). E poich� la tassazione � eseguita in relazione al contenuto dell'atto, l'art. 8 della legge organica 30 dicembre 1923, n. 3269, posto a disciplina della ricerca di detto contenuto, stabilisce che le tasse sono applicate secondo la intrinseca natura (giuridica) e gli effetti (economico-giuridici) dello atto, quali sono rnanifestatati dal docurn;(}n_to oggetto della registrazione e della conseguente tassazigne_ _ (cfr. Cassazione, 14 luglio 1952, III, n. 3166), in � relazione alle singole voci della Tariffa e con le aliquote ivi stabilite . Dato, per�, che per il principio relativo alla autonomia contrattuale, gli atti in concreto posti in essere, possono non rientrare negli schemi tipici, che soli -190 � sono stati contemplati nella tariffa, recependoli dal diritto comune, l'art. 8 citato, ad evitare che atti capaci di determinare una modificazione dello stato giuridico preesistente sfuggano alla dovuta loro tassazione, ha stabilito che un atto, il quale per la sua natura e per i suoi effetti risulti, secondo le norme stabilite nello art. 4 della Legge, soggetto a tassa progressiva, proporzionale e graduale, ma non si trovi nominativamente indicato nella tariffa, � soggetto alla tassa stabilita per l'atto con il quale, per la sua natura e per i suoi e/etto ha maggiore analogia. Oon tale precisazione, mentre resta stabilito che le voci indicate nella tariffa sono esemplificative e non ta.ssative, resta anche confermato che: a) l'imposta di registro incide sugli effetti non soltanto giuridici o soltanto economici dell'atto, bens� sugli effetti economici e giuridici al tempo stesso; b) che in ptesenza di un atto che rientri nelle categorie poste dall'art. 4 della L. O. R. per la tassazione con la proporzionale, progressiva o la graduale, la individuazione della natura e dei suoi effetti va eseguita in funzione delle singole �voci della tariffa che indicano . le singole aliquote e che, per gli atti in esso non indicati, pone il ricordato criterio analogico. In tale stato di cose le indagini che, per la decisione sitlla legittimit� della imposizione controversa si imponeva ai giudici di appello, era di un duplice ordine: a) quello di sta.bilire se il rapporto in concreto attuato rientrava nella previsione tipica del rapporto associativo in genere ,o dell'associazione in partecipazione, espressamente contemplate nell'art. 81 della T. A..; b) in caso negativo, quello di stabilire se il rapporto suddetto, per il suo contenuto concreto quale era dato desumere dalla scrittura privata che ne aveva sanzionata la posizione in applicazione dei principi posti dall'art. 1322 del Oodice civile, non risultando nominati'l.1amente indicato nella T. A.., poteva e doveva, in via analogica, essere tassato a norma dell'art. 81 della T. A. pi� volte detto, applicato dall'Amministrazione Finanziaria. I giudici di appello, per�, hanno del tutto omessa la seconda indagine e da ci� i Giudici di diritto non pare abbiano tratto le dovute conseguenze, investendone, al riguardo, i giudici di rinvio. La indagine eseguita, infatti non ha accertato se il rapporto in.concreto attuato aveva la potenzialit� e la efficacia strumentale a produrre quei determinati effetti che, secondo l'art. 81 della T. A.. importavano per il caso di specie il pagamento della imposta controversa. La T. A.. allegata alla legge organic'a di registro alla quale si riferisce l'articolo 8 della legge predetta allorch� dispone sulla ricerca del contenuto dell'atto ed al secondo comma rinvia all'istituto dell'analogia, nell'art. 81 ha tratto infatti ai rapporti in cui si verifica il fenomeno della cooperazione di pi� forze per il compimento di un affare, di una serie di affari o di una determinata attivit� in comune. L'imposta proporzionale, nella economia di detto articolo, colpisce la entit� economica del rapporto ed il termine �conferimento� prescinde sia dalla titolarit� del diritto di propriet� del bene conferito sia della necessit� di itn trasferimento giuridico del bene stesso, ma ha tratto alla destinazione del bene. Per effetto di tale destinazione, infatti, diviene lo strumento necessario per il compimento dell'affare, della serie di affari, dell'attivit� comune in vista delle quali cose il negozio giur~diCo � stato .ideato ed attuato dalle parti. IMPOSTA DI REGISTRO -Bonifica Integrale -Pri� vilegio oggettivo -Estremi e limiti. (Corte di Cassazione, Sezione I, n. 1724/63 -Consorzio di Bonifica del Salto c. Finanze). L'art. 6 della legge 24 dicembre 1928, n. 3134 e l'art. 9 lettera a) del T. U. 30 dicembre 1923, n. 3256 sono stati abrogati dall'art. 119 del Testo unico 13 febbraio 1933, n. 215 e trasfusi nell'art. 2 di detto Testo unico, il quale, elencando, in modo organico, tutte le opere di bonifica, comprese quelle stradali di cui ai ricordati art. 6 della legge 3134/28 e 9 del Testo unico 3256/23, nettamente distingue le opere stradali predette, considerate nella lettera g dell'art. 2 del Testo unico 215/33 sia dalle opere di bonifica idraulica, considerate nella lettera b) dell'articolo stesso sia dalle opere interessanti la montagna considerate nella lettera a). Oonseguentemente le opere stradali esulano dalle agevolazioni previste, ai fini della imposta di registro, dall'art. 88 del Testo unico 215/33, che, per il privilegio oggettivo, limita le agevolazioni stesse alle opere di bonifica idraulica (lettera b) dell'art. 2 citato) o di sistemazione montana (lettera a dello stesso art. 2). La sentenza � cos� motivata in diritto: Oon il primo motivo, il ricorrente lamenta che la Oorte abbia escluso la registrazione con tassa fissa, nella considerazione che 1'<< opera non rientrava tra quelle di bonifica idraulica in base alla distinzione contenute nella elencazione di cui allo art. 2 del T. U. 13 febbraio 1933, n. 215. Secondo il ricorrente, invece, per accertare se ricorre".'a la ipotesi del c. d. privilegio tributario oggettivo,. e cio� del privilegio stabilito in relazione alla natura di opera di bonifica idraulica, occorreva far riferimento alle leggi anteriori al menzionato Testo unico, dato il rinvio alle leggi stesse contenuto nell'art. 88. Inoltre, il ricorrente lamenta che la Oorte abbia escluso il privilegio anche in base alla legislazione anteriore e deduce la violazione dell'art. 9 lettera a) del Testo unico 30 dicembre 1923, n. 3256, che prevedeva fra le opere di bonifica idraulica la costruzione delle strade necessarie, per mettere il territorio bonificato in comunicazione con i prossimi centri abitati, nonch� dell'art. 6 della legge 24 dicembre 1928, n. 3134, che equiparava alle strade di bonifica idraulica quelle necessarie alla trasformazione fondiaria dei terreni del Mezzogiorno. La doglianza � infondata. Invero, come questa Suprema Oorte ha osser vato, con le sentenze n. 787 del 13 aprile 1961 e 788 del 13 aprile 1961, l'art. 6 della legge 24 di cembre 1928, n. 3134 � stato abrogato dall'art. 119 del T. U. 13 febbraio 1933, n. 215 e trasfuso -191 nell'art. 2 di detto Testo. unico il quale, elencando quale � posto, in via generale, il principio del norin modo organico tutte le opere di bonifica, commale trattamento fiscale. (Ofr. �Contenzioso dello prese quelle stradali di cui al menzionato art. 6 Stato n, 56, 60, vol. II, pag. 630-624) . .Per effetto della legge n. 3134 del 1928, nettamente distingue dell'abrogazione che l'art. 119 del Testo unico 215/33 le dette opere stradali considerate nella lettera g) ha fatto della legislazione anteriore in materia di di esso art. 2 sia dalle opere di ")onifica idraulica, bonifica idraulica, di sistemazione montana e di considerata nella lettera b) dell'articolo stesso, sia ' miglioramento fondiario, il rinvio contenuto nel ricordalle opere interessanti la montagna considerate dato art. 88, 2� comma del Testo unico 215/33 alla nella lettera a) e induce perci� a ritenere che non legislazione, predetta resta limitato alla posizione del possono le ripetute opere stradali essere inquadrate privilegio per le opere di bonifica idraulica e di fra le opere di bonifica idraulica o di sistemasistemazione montana (art. 33 in relazione all'art. 66 zione montana, e che conseguentemente non � del Testo unico 3256/23) e non anche ai criteri che, possibile far rientrare le prime nella previsione nella legislazione abrogata, disciplinavano e classifidell'art. 88 del Testo unico 215 del 1933, il quale cavano le une e le altre opere (art. 9 del Testo unico per la applicabilit�. del privilegio tributario ogget3256/ 23 e 4 e 6 della legge 3134/1928). I criteri diftivo in esso contemplato richiede che si tratti ferenziali delle opere pi� volte dette, dato il carattere di opere di bonifica idraulica o di sistemazione oggettivo del privilegio, non possono essere diversi montana. da quelli che, nell'assetto definitivo dato alla bonifica Quanto poi all'art. 9 lettera a) del Testo unico integrale con il Testo unico 215/33, distinguono, 30 dicembre 1923, n. 3256 va ripetuto lo stesso attraverso una dichiarata differenziazione, in caterilievo, giacch� anche tale Testo unico � stato gorie nettamente separate, distinte e non comunicanti, abrogato dall'art. 119 del Testo unico n. 215 le opere stesse. Il Testo unico 215/33, infatti, emadel 1933 e trasfuso in quest'ultimo Testo unico. nato in forza della delegazione dei poteri conferita D'altronde come ha posto in evidenza lo stesso dalla legge 3134 del 1928, dopo aver nell'art. 1 prericorrente, dal contesto della sentenza impugnata cisato che la bonifica integrale comprende le opere si rileva che la Corte d'appello, ha in sostanza, di bonifica e di miglioramento f ondiar_io e dopo aver escluso la natura di opere di bonifica idraulica definito le une, comprendendovi sia le opere idrauliche della strada in questione, anche in base alla legiche di sistemazione montana, e le altre, all'art. 2 slazione anteriore al T,esto unico, n. 215 del 1933. elenca le opere necessarie ai fini generali di bonifica Orbene, al riguardo non sussiste la lamentam e distingue: 1) le opere di sistemazione montana a.lla violazione di legge, in quanto la costruz;one di lettera a); 2) le opere di bonifica idraulica alla letuna strada di bonifica non rientra di per se stessa tera b); 3) il consolidamento delle dune e la piantanel concetto di bonifica idraulica o di trasformagione di alberi frangivento alla lettera c); 4) le opere zione fondiaria (equiparata per il Mezzogiorno alla di provvista di acqua potabile per le popolazioni bonifica idraulica) secondo le anzidette leggi, ben rurali alla lettera d); 5) le opere di difesa delle acque, potendo invece rientrare nel pi� ampio regime della di provvista e i1tilizzazione agricola di esse alla letbonifica integrale. tera e); 6) le opere afferenti la distribuzione della Infatti, da un lato l'art. 9 lettera a) del Testo energia elettrica per gli usi agricoli alla lettera f); unico 30 dicembre 1923, n. 3256 richiede che si 7) le opere stradali alla lettera g); 8) le costituzioni tratti di strade che siano in connessione con opere di unit� fondiarie alla lettera h). di bonificazione di laghi, stagni, paludi e terre In tale classificazione e distinzione le opere di paludose (art. 1 di detto Testo unico); dall'altro bonifica idraulica, alla lettera b), sono state limitate l'art. 6 della legge 24 dicembre 1928, n. 3134, alle �opere di bonificazione dei laghi e stagni, delle richiede che le strade siano necessarie alla trasforpaludi e delle terre paludose o comunque deficienti mazione fondiaria dei.terreni. di scolo � e le opere di sistemazione montana, alle Nella specie, invece, l'esistenza sia dell'uno che lettera a), sono state limitate alle �opere di rimbo dell'altro presupposto non risultava provata e nemschimento e ricostituzione di boschi deteriorati, di meno dedotta: onde esattameme la Corte ha ritecorrezione dei tronchi montani di corsi di acqua, di nuto che l'opera non potesse considerarsi di bonifica rinsaldamento delle relative pendici, anche mediante idraulica neanche in base alle suddette norme�. creazione di prati o pascoli alberati, di sistemazione idraulica agraria delle pendici stesse, in quanto Il privilegio oggettivo mantenuto in vita, dall'art. 88, tali opere siano volte ai fini pubblici �. 2� comma del Testo unico 215/33, per le opere di In tale delimitazione sono state assorbite le opere bonifica idraulica e di sistemazione montana, ha gi� enunciate negli artt. 9 del Testo unico 3256/23 ricevuto, con la sentenza annotata, il suo assetto e 4 e 6 della legge 3134/28, dichiaratamente abrogati, naturale. La Corte di Cassazione~ infatti, nel confere la ulteriore p�recisazione e caratterizzaZione dalle mare l'indirizzo assunto al riguardo, con le sentenze stesse subite, attraverso l'assorbimento predetto, va 787 e 788 del 1961, fornisce un parametro certo per lendo ai fini generali della legislazione della bonifica individuare le opere di bonifica privilegiate, ponendo non possono non valere, per ragioni di �imeneuti!!_a .fine alle incertezze determinate, in passato, dalla letterale. logica e finalistica ai fini del trattamento difficolt� di stabilire la linea di demarcazione fra il tributario, che la stessa legislazione ha ritenuto nel- regime della bonifica idraulica e di sistemazione l'ambito della bonifica integrale, di dover affrontare montana da quello della bonifica integrale, per il e differenziare per determinati rami della stessa. r,. c. -192 IMPOSTE E TASSE -Terzo acquirente di immobile gravato da privilegio speciale per debito di imposta Pagamento dell'imposta garantita -Sgravio totale Parziale -Conseguenze nei confronti del terzo. (Corte di Cassazione, Sezione I, 14 marzo 1963 Finanze c. Berselli, Masini e Sutti). L'acquirente, terzo possessore dell'immobile gravato da privilegio speciale per debito di imposta, non � obbligato personalmente al pagamento della imposta garantita, ma � tenuto al mero comportamento passivo di subire l'espropriazione forzata dell'immobile nel caso che il debitore non assolva il suo debito. Esso, peraltro, ha la facolt�, concessa a qualsiasi terzo, di pagare l'imposta stessa (art. 66 del Testo unico n. 1401 del 1922 e 204 del Testo unico n. 645 del 1958) con conseguente estinzione del processo di esecuzione e cessazione di ogni rapporto con l'Amministrazione Finanziaria in ordine al debito di imposta. Lo accertamento successivo della insussistenza totale o parziale del debito fra i soggetti del rapporto, non esplica, pertanto, nei confronti del terzo acquirente, alcuna influenza sull'eseguito pagamento. La Corte ha, cos� motivato: Omissis. La sentenza impugnata ha ritenuto che gli opponenti Berselli, avendo pagato l'imposta di lire 3.416.855 per sottrarre l'immobile da essi acquistato dal debitore dell'imposta di contingenza Sutti alla esecuzione immobiliare, fossero divenuti proprietari della somma di lire 2.088.000, che il decreto di sgravio aveva messo a disposizione del Sutti, dopo l'accoglimento del suo reclamo. Essa ha giustificato tale convincimento considerando che, sebbene per il pagamento del debito di imposta di contingenza l'Amministrazione avesse privilegio reale sull'immobile e quindi diritto a subastarla, tuttavia gli acquirenti, quali condebitori o responsabili d'imposta avevano pagato l'intero debito, e la loro posizione, se doveva valere ai fini della riscossione, non poteva non valere anche ai fini del rimborso, di tal che era del tutto identica a quella dello originario contribuente Sutti. I Berselli invece non erano condebitori del debito di imposta n�, comunque, responsabili del debito di imposta. In vero l'acquirente, terzo possessore dell'immobile sul quale � accordato il privilegio reale di imposta, non �, in quanto tale e fuori di ogni previsione legislativa, obbligato personalmente al pagamento dell'imposta. Ncn vale opporre, per dedurne una generica figura di condebitore di imposta, applicabile nei confronti del terzo possessore di immobile soggetto a privilegio reale, che questi, secondo l'opinione di parte della dottrina, � surrogato all'Amministrazione per conseguirne il rimborso dell'imposta pagata quale condebitore, nei confronti defdebitore d'imposta a norma dell'art. 98 della legge di registro R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269 e dell'art. 69' della legge sulla successione R. D. 30dicembre1923, n. 3270. Le norme su indicate non fanno alcun riferimento alla figura del condebitore di imposta, qualificabile tale soltanto perch� paga un debito di imposta di altri, ma a colui che paghi il debito d'imposta di altri � a termini delle rispettive leggi per conto di altri �: l'art. 98 della legge di registro, invero, riguarda �gli ufficiali pubblici e tutti coloro i quali, a termini della legge di registro � hanno pagato la tassa di registro per conto delle parti obbligate e l'art. 64 legge sulle successioni, sebbene pi� genericamente, concerne tutti coloro i quali, a termini. della legge medesima, hanno pagato l'imposta di successione. N� la questione � stata dalla dottrina esaminata sotto l'aspetto generico, sostenuto dai resistenti nei confronti dell'Amministrazione e l'opinione della stessa dottrina, nemmeno nei limiti della. surrogazione nei confronti del debitore di imposta, � stata accolta da questo supremo Collegio, il quale (sentenza 16 gennaio 1942, n. 140 �Foro it. n, Rep. 1942, voce Registro, n. 136-138) ha affermato che occorre applicare nei confronti del terzo possessore i principi di diritto comune sulla surrogazione e non la citata norma della legge di registro. � L'opinione non pu� ritenersi confermata dall'articolo 15 D. P. 29gennaio1958, n. 645, come sostengono i resistenti. Tale articolo dispone che colui il quale, in forza di particolare disposizione di legge, � obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatto o situazione esclusivamente riferibile a questi, ha diritto a rivalsa. Occorre pertanto una disposizione di legge che stabilisca l'obbligo di pagare l'imposta e riconosca con ci� rilevanza a particolari circostanze o rapporti, come nei casi di coloro che sono obbligati a richiedere la registrazione di atti e a provvedere al pagamento della imposta (notai, cancellieri, 'tutori, esecutori testamentari, eredi: art. 80, 84, 93, n. 6, legge del registro), e di tutti coloro che sono solidalmente tenuti al pagamento della imposta di successione (art. 66 legge di successione). N� il terzo possessore dell'immobile soggetto a. privilegio � obbligato al pagamento dell'imposta, come sostituto di imposta. Tale figura, quale �stata precisata, conformemente alla legislazione anteriorei dall'art. 127 T. U. 29 gennaio 1958, n. 645, ha riferimento ai casi in cui la legge sostituisce al soggetto, che dovrebbe pagare l'impos~a, altri in considerazione di un rapporto� tra il bene, presupposto del tributo, e la persona che � sostituita nel debito. Nessmra -previsione di legge sostituisce invece il terzo posses-sore dell'immobile soggetto a privilegio reale al debitore. Egli � tenuto soltanto al comportamento meramente passivo di subire l'espropriazione forzata. ---��-���-���------------- -193 dell'immobile nel caso che il dabitore non paghi. � questo un effetto sia dell'atto di accertamento della imposta che ha natura di atto ammtnistrativo autoritativo con efficacia esecutoria nei . limiti previsti dalla legge che autorizza l'esecuzione, sia della natura del credito accertato, il quale, per essere privilegiato con efficacia reale, implica un diritto di seguito dell'Ammi1�strazione (art. 2741, capv., 2746, 2770 segg. Cod. civ.). Il terzo possessore, peraltro, se non ha l'obbligo di pagare il debito come condebitore o sostituto di imposta pu� avvalersi della facolt�, concessa a qualunque terzo, di pagarlo con gli accessori (art. 66 T. U. 17 ottobre 1922, n. 1401 ed ora 204 T. U. 29 gennaio 1958, n. 645), con l'effetto della estinzione del processo di esecuzione. E se di tale facolt� si avvale, con l'estinzione del processo, cessa ogni rapporto con l'Amministrazione, relativamente al debito d'imposta accertato, per il quale l'Amministrazione ha proceduto, e conseguentemente nessuna influenza pu� avere sull'eseguito pagamento un accertamento successivo dell'insussistenza totale o parziale del debito fra i soggetti del rapporto di imposta. La posizione giuridica del terzo acquirente di immobile gravato da privilegio speciale per debito di imposta � stata, nella riportata sentenza, definita dalla Corte di Oassaz�me con nettezza di contorni, in stretta aderenza ai principi che disciplinano il rapporto giuridico d'imposta dal suo nascere alla .estinzione. Esclusa per il terzo possessore un'obbligazione personale al soddisfacimento del credito di imposta .sia perch� manca al riguardo una espressa previ. sione normativa sia perch� il diritto alla rivalsa al terzo escusso riconosciuto � in attuazione dell'istituto della s'urrogazione civilistica (cfr. Oassaz., Sent.enza 140/42), la soluzione adottata � conseguenziale alla necessit� obiettiva di escludere, nel terzo, sia la figura .di responsabile che di sostituto di imposta. L'una perch�, estranea alla discussa distinzione fra debito e responsabilit�, importa l'estensione dell'obbligazione tributaria a persone che non si trovano con il presupposto del tributo nella prevista relazione (cfr. GIANNINI: Istituz. Diritto Tributario, Ediz. 1960, pag. 105); l'altra perch�, nella sua struttura tecnicagiuridica, importa non l'aggiunta, Uii la sostituzione, in luogo del soggetto passivo, di altra persona nello intero rapporto di imposta e non soltanto nella fase relativa alla riscossione. ' La facolt�, indubbiamente riservata al terzo, di pagare il debito di imposta � diretto ad evitare, nel suo esclusivo interesse, l'esecuzione sull'immobile gravato da privilegio speciale e una volta esercitata, comportando la estinzione del processo esecutivo, comporta la cessazione di ogni rapporto diretto nei confronti dell'Amministrazione. Il terzo, resta pertanto, titolare di un diritto �di credito, di natura civilistica, nei confronti del .debitore d'imposta, anche nel caso di eventuali .sgravi del tributo assolto nell'esercizio della facolt� predettx. PRESCRIZIONE -Prescrizione e decadenza -Differente fondamento dei due istituti. APPALTO -Pubblica Ammiri�sli'azion� ::::�Fornituf'e Condizioni generali d'oneri dello Stato -Norme regolamentari -Forza vincolante per il privato Termini di decadenza posti in dette condizioni generali d'oneri -Liceit� e legittimit�. (Corte di Cassazione, Sezione III, Sentenza n. 1568/63 -Pres.: Naso; Est.: Laporta; P. M. Trotta -Soc. Unione Manifatture c. Amministrazione Difesa-Esercito). Tanto per la legislazione anteriore (Cod. civ. del 1865) quanto per quella attuale (Cod. civ. del 1942) il fondamento della prescrizione � la presunzione di abbandono di un diritto per inerzia del titolare, mentre fondamento della decadenza � la esigenza obiettiva del compimento di particolari atti entro un termine perentorio, stabilito dalla legge o dalla volont� dei privati, indipendentemente dalle circostanze subiettive ed obiettive dalle quali dipende l'inutile decorso del tempo. Le disposizioni contenute nelle condizioni generali d'oneri dello Stato hanno carattere di norme regolamentari (regolamenti di organizzazione), sempre che si tratti di contratti interessanti lo Stato, nei cui confronti il privato contraente � in un rapporto di subordinazione, che giustifica la sua sottoposizione a norme regolamentari obbligatorie. Al carattere normativo delle dette disposizioni consegue la loro forza vincolante, che � ribadita dal richiamo, di solito espresso, fatto ad esse nel contratto. Non pu�, pertanto, dubitarsi della liceit� e legittimit� della determinazione di termini di decadenza con le disposizioni delle Condizioni generali d'oneri: invero; l'art. 2966 C. c. che ammette che il termine di decadenza possa essere stabilito dal contratto o da una norma di legge, va correttamente inteso nel senso dell'ammissibilit� di termini di decadenza per determinazione pattizia o normativa (legislativa o regolamentare) . Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza nella quale � riaffermata la natura regolamentare dei capitolati generali di oneri. Il primo mezzo d(}l ricorso principale denuncia la impugnata sentenza per violazione dell'art. 2936 C. c., in relazione all'art. 83 del Capitolato generale approvato con D. M. 20 giugno 1930, per avere ritenuto che il termine di sei mesi stabilito nel detto art. 83 � di decadenza e non gi� di prescrizione, nonostante che la norma parli espressamente di prescrizione. La censura � priva di fondamento. Il giudice, nell'interpretare la norma, deve attribuirle il senso che � fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione, sempre che tale significato (lettera della legge) appaia chiara e sicura la volont� del legislatore. Quando la lettera d� luogo a dubbi, il giudice deve ricercare quale sia stata la precisa intenzione del legislatore. La Corte di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi di ermeneutica, in riferimento alla norma citata dell'art. 83 delle -194 Condizioni generali d'oneri per le forniture alle forze armate. Essa, infatti, ha rilevato che l'espressione cc s'intendono prescritti ed estinti�, che nella detta norma si legge, � ambigua, perch� riferita sia alle azioni, diritti e ragioni per restituzione di multe inflitte in dipendenza dei patti contrattuali, sia alle azioni, ai diritti ed alle ragioni per pagamento di interessi che fossero dovuti, essendo indiscutibile la propriet� della terminologia soltanto con riguardo all'azione per il pagamento degli interessi, rispetto alla quale pu� parlarsi tecnicamente di prescrizione. Invero, con riguardo alla azione per restituzione di multe, il termine fissato per l'esercizio va logicamente ricollegato alla esigenza di pronta definizione dei rapporti nascenti dal capitolato (esigenza che costituisce il fondamento dello istituto della decadenza) e non gi� alla presunzione di abbandono dei diritti non esercitati dal titolare (che costituisce il fondamento logico-giuridico dell'istituto della prescrizione). Siffatto ragionamento va condiviso. Infatti, tanto per la legislazione anteriore (Cod. civ. del 1865) quanto per quella vigente (Cod. civ. del 1942), il fondamento della prescrizione � la presunzione di abbandono di un diritto per inerzia del titolare, mentre fondamento della decadenza � la esigenza obiettiva del compimento di particolari atti entro un termine perentorio, stabilito dalla legge o dalla volont� dei privati, indipendentemente dalle circostanze subiettive od obiettive dalle �quali dipende l'inutile de corso del tempo. Col secondo motivo si denuncia l'impugnata sentenza per violazione degli artt. 2936 e 2966 C. c., e 113 della Costituzione, assumendosi che la Corte di merito sarebbe incorsa in errore nel ritenere opponibile il termine di mesi sei, ci� sia nella ipotesi che si tratti di termine di decadenza, sia in quella che si tratti di termine di prescrizione; perch� la decadenza pu� essere stabilita soltanto da legge formale o da convenzione e non da un atto normativo di carattere regolamentare, quale il Capitolato, e perch�, per il principio della inderogabilit� delle norme sulla prescri.zione, il terwinedi questa non poteva essere abbreviato se ~1on con legge formale, ed, infine, perch�, per �Fflil't. 11-0. della Costituzione deve ritenersi abrogata ogni limitazione alle impugnazioni giudiziali contenuta nei Capitolati d'oneri. Anche tale censura � infondata. � costante l'insegnamento di questa Suprema. Corte (v. sent. 23 giugno 1958, n. 2219; 21 maggio 1959, n. 1523; e 9 giugno 1960, n. 1524) secondo cui le disposizioni contenute nelle condizioni generali d'oneri dello Stato hanno carattere di norme� regolamentari (regolamenti di organizzazione), sempre che si tratti di contratti interessanti lo Stato,. nei cui confronti il privato contraente � in un rapporto di subordinazione, che giustifica la sua sottoposizione a norme regolamentari obbligatorie. Al carattere normativo delle dette disposizioni consegue la loro forza vincolante, che � ribadita. dal richiamo, di solito espresso (come nel caso),. fatto nel contratto, ad esse. Non �, pertanto,. a dubitare della liceit� e legittimit� della determinazione di termini di decadenza con le disposi-� zioni delle Condizioni generali d'oneri; invero,. l'art. 2966 C. c. che ammette che il termine di decadenza possa essere stabilito dal contratto o da una norma di legge, va correttamente inteso nel senso dell'ammissibilit� di termini di decadenza. per determinazione pattizia o normativa (legislativa o regolamentare). Il richiamo, fatto nel motivo di ricorso, al principio della inderogabilit� delle norme sulla prescrizione, di cui all'art. 2936 C. c., � fuori di luogo,. posto che, come si � innanzi precisato, nel caso si verte in tema di decadenza. Non pertinente �, altres�, il richiamo all'art. 113� della Costituzione, essendo chiaro che la fissazione� di un termine di decadenza non importa violazionedel principio della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione, in quanto lo presuppone .. CONSIGLIO DI STATO SERVIT� -Servit� militari -Opere a cui vantaggio la servit� � imposta -Natura militare -Estensione ad opere, anche non militari, interessanti la difesa dello Stato -Aeroporti civili. (Consiglio di Stato, Sezione IV, decisione 30 ottobre 1963, n. 667 - Pres.: De Marco; Est.: Santaniello -Consiglio dei Orfanotrofi e Pio A. Trivuglio c. Ministero Difesa Aeronautica). Le servit� militari possono essere imposte sul diritto di propriet� sia in relazione ad opere esclusivamente militari (ad esempio: fortificazioni, depositi di munizioni, polveriere, ecc.), sia in relazione ad altri beni che ricevono la stessa tutela non per la loro natura (che pu� essere anche non militare), bens� in ragione della loro funzione che pu� interessare, anche non attualmente, la difesa dello Stato. In tale seconda categoria rientrano appunto gli aeroporti (quale sia sia la loro natura, militare� o civile, pubblica o privata), giacch� la navigazione� aerea di per s� stessa costituisce un'attivit� che,. direttamente o di riflesso, pu� sempre essere connessa o comunque incidere su esigenze di difesa. militare. (Art. 1, legge 20 dicembre 1932, n. 1849;. articolo unico, legge 10 ottobre 1935, n. 1998~. art. 15, D. P. R. 28 giugno 1950, n. 1106; legge27 gennaio 1936, n. 245). Trascriviamo la motivazione in diritto della decisione. Il primo mezzo si scinde in varie censure, nessuna delle quali � assistita da fondamento. Fra. tali doglianze va esaminata per prima, in ordine logico, quella relativa al difetto di motivazione; ed,. in proposito, osserva il Collegio che non sussiste -195 il denunciato vizio, giacch� ciascuno dei quattro atti impugnati contiene l'enunciazione sommaria, ma sufficiente -in relazione al tipo e alla natura dei provvedimenti -delle ragioni su cui si fonda la determinazione adottata dall'Amministrazione. Gli atti medesimi sono stati emessi dall'Autorit� militare nell'esercizio di un'attivit�� caratterizzata da una netta discrezionalit�, quale potere di imporre la servit� nei casi di urgenza (art. 4, 50 comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849): sicch� le ordinanze in parola, con la indicazione delle ragioni essenziali che h�mno indotto l'Autorit� ad emanarle (necessit� di garantire il regolare funzionamento degli impianti aeronautici installati nel territorio del Comune di Peschiera, quanto ai provvedimenti 3 maggio e 24 maggio 1960; necessit� di assicurare il funzionamento del servizio radar, 4uanto al provvedimento 17 dicembre 1960; necessit� di garantire la sicurezza del volo sulla pista aeroportuale, quanto al provvedimento 16 febbraio 1961) contengono elementi di per s� bastevoli ad individuare la presenza di una motivazione concisa, ma sufficiente, entro i limiti imposti dalla speciale natura dell'atto. N� ha pregio l'altra censura, con cui si assume la falsa applicazione degli artt. 1 e segg. della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 e, comunque, l'eccesso di potere sul riflesso che i provvedimenti impugnati non parlano di opere militari, ma fanno riferimento ad impianti genericamente aeronautici o al servizio radar o alla pista aeroportuale, senza specificare la loro destinazione a scopi militari: e che, nella specie, il carattere militare delle opere sarebbe anzi da -escludere, proprio in relazione alla circostanza che il sistema aeroportuale in questione � adibito al traffico aereo civile. Siffatta tesi non pu� essere condivisa dal Collegio, per il seguente ordine di considerazioni: a) l'opinione del ricorrente poggia sull'erroneo presupposto che le servit� militari siano imponibili solo in presenza di un'opera esclusivamente militare: senonch� l'art. 1 della ridetta legge n. 1849 del 1932 ricomprende nella sua previsione normativa non solo le �opere militari , di qualunque genere, occorrenti per la difesa dello Stato n e gli stabilimenti militari i>, ma altres� gli �aeroporti ii e i � campi di fortuna �, senza alcuna differenziazione -per tali due ultime categorie di beni -fra quelli militari e quelli civili, fra quelli pubblici e quelli privati; b) la ratio della norma sembra palese; mentre alcuni beni sono suscettibili di essere tutelati nelle forme e nei modi previsti dalla ridetta legge n. 1849 del 1932, solo in quanto abbiano struttura di opera direttamente ed esclusivamente militare (ad esempio fortilizi; fortificazioni; depositi di munizioni; polveriere ecc.) altri beni, invece, ricevono la stessa tutela non pi� in relazione alla loro natura (che pu� essere anche non militare), ma in ragione della loro funzione, che pu� interessare -anche a prescindere dalla specifica destinazione� in atto -la difesa dello Stato. In tale secondo n�vero rientrano per l'appunto gli aeroporti (quale che sia la loro natura, militare o civile; pubblica o privata): giacch� la navigazione aerea di per s� stessa costituisce una attivit� che, direttamente o di riflesso, pu� sempre essere connessa o comunque incidere su esigenze di difesa militare. Onde anche l'aeroporto destinato al traffico aereo civile pu� .acquistare. rilevanza, di guisa che si faccia luogo alla imposizione dei vincoli previsti dalla legge del 1932 sulle servit� militari. E che si fidi della tutela predisposta dall'ordine citato complesso di norme, gli aeroporti prescindano dalla qualificazione militari o civili, desume altres� -oltre che dalla dizione letterale� del gi� menzionato art. 1 -dell'esame dei lavori preparatori della legge stessa: dai quali risulta esplicito l'intento legislativo di ricomprendere nella. nuova disciplina normativa non solo le opere fortilizie e i depositi e stabilimenti militari (gi� �previsti dal Testo unico approvato con R. D. 16 maggio 1900, n. 401, e del relativo Regolamento approvato con R. D. 2 gennaio 1901, n. 32), ma di estendere i vincoli stessi agli aereoporti e ai campi di fortuna in genere, con astrazione dalla loro specifica. qualificazione. DANNI DI GUERRA -Requisiti per la concessione� dell'indennizzo -Necessit� della loro esistenza alla� data del decreto di concessione. (Consiglio di Stato, Sezione IV, decisione 30 ottobre 1963, n. 655 - Pres.: D'Avino; Est.: Trotta -Fiorino Gostino c. Ministero del Tesoro). Ai fini della concessione di indennizzi e contributi per danni di guerra, il requisito della cittadinanza. italiana deve sussistere alla data del decreto di concessione, e non anche al tempo dell'erogazione essendo irrilevante, ai fini della legittimit� della. concessione, ogni mutamento nella cittadinanza che abbia luogo successivamente alla data di quel decreto (art. 1, legge 27 dicembre 1953, n. 968). Trascriviamo la motivazione in diritto dellci clecisione. Nel merito il ricorso si appalesa fondato, essendo� ininfluente ai fini dell'indennizzo che l'avente� diritto abbia in tempo successivo al decreto di concessione acquistato una cittadinanza straniera. L'Amministrazione resistente oppone che il requi sito della cittadinanza deve sussistere anche al momento dell'erogazione, poich� � in tale momento che viene soddisfatta la pretesa del cittadino al risarcimento del danno di guerra, che ha natura. e consistenza di interesse legittimo e non di diritto soggettivo. L'annullamento operato dovrebbe per tanto ritenersi regolare, essendo stato eliminato un atto emanato sulla base di un presupposto che in seguito � venuto a mancare. Pur convenendo, secondo la ben nota giurispru denza di questo Consiglio e della Corte di Cassa zione che la pretesa alla reintegrazion�� dei dal!P� di guerra si concreta in un interesse legittimo, la� tesi dell'Amministrazione resistente non pu� tut tavia essere condivisa poich� � irrilevante ai fini di detta reintegrazione, ogni mutamento sullo stato di cittadinanza che si verifichi posteriormente allo� atto che costituisce il titolo per la concessione~ -196 . Tale atto infatti, appena emanato eompie ed esaurisce la sua funzione ponendo l'interessato nella teorica condizione di poterne subito realizzare il .contenuto con l'effetto che ogni mutamento intervenuto in tempo successivo all'emanazione del decreto non pu� produrre alcuna conseguenza ai fini dell'avvenuta concessione. PORTI -Opere portuali -Spese di manutenzione e riparazione -Provvedimenti di ripartizione -Impugnativa -Competenza dell'A.G.O. (Consiglio di Stato, Sezione IV, decisione 30 ottobre 1963, n. 665 - Pres.: Meregazzi; Est.: Santaniello �� Comune di Capannori c. Ministero Lavori Pubblici). Esula dalla giurisdizione del Consiglio di Stato il provvedimento ministeriale con il quale sono ripartite fra gli enti interessati, in base ai criteri fissi stabiliti dal R. D. 12 luglio 1912, n. 974 e con esclusione di ogni discrezionalit� amministrativa, le spese occorse per opere portuali. (Cfr. IV Sezione, 29 maggio 1963, n. 383, �Il Consiglio di Stato �, 1963, 716, con note di richiamo). Trascriviamo la motivazione in diritto della deoisione. Il Collegio ritiene fondata l'eccezione di difetto di giurisdizione, opposta dalla Amministrazione resistente, sul profilo che esula dalla presente .controversia ogni posizione di interessi legittimi o di diritti affievoliti, data la natura della obbligazione pecuniaria di cui si discute l'assenza di ogni discrezionalit� della determinazione dell'obbligazione stessa. Come � stato gi� affermato da questa Sezione in una fattispecie del tutto analoga (v. dee. 29 maggio 1963, n. 383), esula dalla giurisdizione del Consiglio di Stato il provvedimento ministeriale .con il quale sono ripartite fra gli enti interessati, in base a criteri fissi stabiliti dal R. D. 12luglio1912, n. 974, e con esclusione di ogni discrezionalit� amministrativa, le spese occorrenti per opere portuali. Ed, invero, va considerato che l'attivit� della P. .A. nella determinazione delle spese occorrenti per opere relative ai porti e nella ripartizione delle .spese stesse fra le varie amministrazioni centrali .e locali interessate, � strettamente vincolata la legge fondamentale (R. D. 2 apri~e 1885, n. 3092 che approva il Testo unico delle leggi sulla-dedotta materia) stabilisce, in primo luogo, in base a criteri del tutto obbiettivi, come debba procedersi alla classificazione dei porti in categorie e classi; 'stabi~ lisce, poi, sempre in base a criteri obbiettivi quale quota delle spese per i porti di seconda categoria sia posta a carico dello Stato e quale parte faccia carico alle provincie ed ai comuni. .Anche il riparto tra le provincie e comuni si effettua sulla base di percentuali fissate dalla legge. E quest'ultima determina anche i criteri in base ai quali si deve accertare quali provincie e quali comuni debbano ,considerarsi come �interessati >> alla costruzione, al miglioramento e alla manutenzione del porto, qualificando come tali le provincie e i comuni che si servono del porto per la esportazione dei loro prodotti agricoli e industriali e l'importazione delle derrate e di qualsivoglia altro prodotto per uso e consumo dei rispettivi abitanti. Nel regolamento approvato con R. D. 26 settembre 1904, n. 713 si precisa, sempre in base a criteri oggettivi, quali siano le opere nuove straordinarie e quali quelle di manutenzione e di miglioramento quali siano le opere che riguardano i porti, le spiagge ed i fari soggetti alle disposizioni del regolamento stesso. Il procedimento di ripartizione delle spese fra pi� comuni interessati ad un medesimo porto, regolato dal R. D. 12 luglio 1912, n. 974, che ha sostituito l'art. 18 del R .D. n. 713 del 1904 sopra richiamato, prevede l'attribuzione a ciascuno dei comuni iscritti negli elenchi di un coefficiente variabile, a seconda che si tratti di comune sede di porto o luogo di residenza delle agenzie e dei commercianti o di comune per il quale non ricorrano dette condizioni. La quota di concorso � la risultante della combinazione di tre quote, determinate rispettivamrnte in ragione del principale dei contributi diretti, in ragione della popolazione e in ragione inversa della distanza dal porto. Come risulta da questa particolareggiata regolamentazione, il potere che l'Amministrazione � chiamata ad esercitare nella determinazione e nella ripartizione della spesa di che trattasi � regolarmente vincolato, esulando da esso ogni margine di discrezionalit�. N� puo dirsi anoora ohe la norma sia dettata nel prevalente pubblioo interesse. giacch� essa discrimina l'onere in base alle prestazioni di cui possono fruire gli enti interessati: Deve quindi dichiararsi il difetto di giurisdizione di questo Consiglio. -������-������-�------------ ������-�--�-�----�---------_;___________. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO GIURISDIZIONE E COMPETENZA -Controversie agrarie -Sezioni Specializzate per le controversie agrarie -Concessioni di pertinenze idrauliche e di bonifica -Proroga legale -Comp.etenza funzionale del Foro dello Stato. (Tribunale di Firenze, Sezione Specializzata per le controversie agrarie) 13 marzo 17 aprile 1962 -Pieraccini e Coop. Ponti di Badia c. Amministrazione Finanziaria dello Stato e Ente per la Colonizzazione della Maremma Tosco Laziale). La competenza funzionale affidata dall'art. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094 alle Sezioni Specializzate per le controversie agrarie, traendo origine dal modo di costituzione dell'organo giudiziario, prevale su qu!'llla funzionale del foro dello Stato prevista dall'art. 25 del C. p. c. e fi e 7 del Testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611. Il Tribunale di Firenze ha cos� motivato: Fin dal 1� maggio 1959, con memoria depositata in Cancelleria, il ricorrente Pieraccini aveva prospettato l'incompetenza territoriale di questa Sezione e correlativamente la competenza territoriale della Sezione Specializzata per le Controversie Agrarie presso il Tribunale di Grosseto. A sostegno di tale eccezione cosi sollevata il Pieraccini produceva copia della sentenza 17 marzo 1958, n. 3016 della Corte di Cassazione in causa Amministrazione delle Finanze dello Stato contro Cooperativa Agricola <<Unit� e Lavoro>> di Macchiascadona ed altri. Si legge, in tale sentenza, fra l'altro e senza specifica ulteriore motivazione, che cc va... dichiarata la competenza della S�zione Specializzata per le Controversie Agrarie presso il Tribunale di Grosseto, dove sono situati i fondi in controversia >>. In memoria di replica il Pieraccini si � poi richiamato alla sentenza del 27 gennaio 1962, n. 52 in causa La Castiglionese c. Amministrazione Finanziaria dello Stato, con la quale sentenza la Corte di Appello di Firenze, per essere il terreno in contestazione in quella causa ubicato nel Comune di Grosseto, dichiara l'incompetenza territoriale di questa Sezione e la competenza della Sezione Specializzata per le Controversie Agrarie presso il Tribunale di Grosseto. Questa ultima sentenza, ampiamente motivata, induce il Collegio a riesaminare la prospettata questione alla luce di nuovi argomenti che si dimostrano fondati. Infatti, l'art. 6 R. D. 30 ottobre 1933, n. 1611 che, per le cause nelle quali � parte l'Amministra zione dello Stato, radica la competenza territoriale presso l'Ufficio Giudiziario dove ha sede l'Ufficio dell'Avvocatura dello Stato, viene derogato per espressa disposizione del successivo art. 7 nelle varie ipotesi in questo previste, ipotesi che rendono nuovamente applicabili i principi generali in materia di competenza, salvo per quanto attiene al giudizio di appello. Ora l'intenzione del legislatore (cfr. articolo 12 delle Preleggi), nel costituire con l'art. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094 un organo specializzato della Magistratura Ordinaria, ha avuto di mira la creazione di una competenza funzionale, e come tale inderogabile, non soltanto per ragione di materia, ma altres� per ragione di territorio. Lo si desume dal fatto che i quattro esperti, chiamati a far parte della Sezione, debbono essere� designati dalle organizzazioni provinciali di categoria, con un riferimento, perci�, all'ambito della provincia ossia ad un territorio rispetto al quale gli esperti sono in grado di integrare sul piano tecnico, economico e sociale le cognizioni del giudice collegiale. Il nome stesso di << esperto � indica. come questo componente debba conferire al Collegio non un puro e semplice apprezzamento in. materia di contrapposizione sindacale di contrastanti interessi economici, bens� una esperienza di usi, consuetudini, terreni, culture, sistemi di conduzioni ed in genere di situazioni legate a quel particolare territorio nel cui ambito l'organo giudiziario � chiamato ad esercitare la propria gimisdi zione. Pertanto, il principio della inderogabilit� della. competenza funzionale delle Sezioni Specializzate � destinato a prevalere anche rispetto alla competenza territoriale del foro erariale il quale tutela. un interesse secondario rispetto a quello che determina il modo di costituzione dell'organo giudiziario. E poich� i rapporti sui quali si controverte� nel presente giudizio hanno per oggetto terreni posti nel Comune di Grosseto, la competenza a� giudicare di tali rapporti appartiene alla sezione Specializzata per le Controversie A.grarie presso� quel Tribunale. La novit� e la difficolt� della questione giustifica l'integrale compensazi.�?n.e tra le parti delle spese di questo giudizio )), A) A seguito di tale pronuncia, nell'interesse� dell'Amministrazione Finanziaria dello Stato �� stato proposto Ricorso per Regolamento di Giurisdizione ed istanza per R:egolamento di Competenza. -198 B) Rilevato il carattere ctssolutamente pregiudiziale della questione di giurisdizione, espressamente proposta dall'Amministrazione Finanziaria sotto il profilo della improponibilit� assolu.ta della �domanda diretta ad ottenere il riconoscimento dello istituto della proroga legale delle affittanze agrarie � per le Concessioni Amministrative di pertinenze idrauliche e di bonifica, la giurisdizione dell'A; G. O. � stata contestata con richiamo al fatto che il rapporto che, in concreto, ha caratterizzato la utilizzazione dei beni Qggetto di concessione, costituisce, sia nelle forma che nella sostanza, un rapporto tipico di diritto pubblico e precisamente una concessione amministrativa, attraverso la quale gli artt. 822 e 825 del Codice civile consentono appunto la utilizzazione da parte di privati di beni, che, natura rerum o destinationis causa, fanno parte del demanio dello Stato o del patrimonio indisponibile (Ofr. Oassaz. Sez. Unite, n. 1067 del 1949). C) La esclusione, per le cont?'oversie agrarie, della Qperativit� del Foro dello Stato � stata censurata con il motivo che integralmente si trascrive: Violazione delle norme sulla competenza -Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094; 4 della legge 18 agosto 1948, n. 1140; 2 e 5 della legge 26 giugno 1949, n. 359 con norme sulla competenza per le controversie relative alla proroga dei contratti agrari di affitto dei fondi rustici in relazione all'art. 25 del O. p. c., 6 e 7 del Testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611 con norme sulla mppresentanza e difesa in giudizio dello Stato. Art. 42 O. p. c. 1) Il Tribunale di Firenze, con la sentenza denunciata, ha dichiarato che esso, adito, a suo tempo, sia dal Pieraccini che dalla Coop . .Agricola Ponti di Badia in osservanza delle norme sul Foro dello Stato, � sfornito di competenza territoriale ed ha affermato quella del Tribunale di Grosseto. Ha ritenuto il Tribunale suddetto che la competenza funzionale ed inderobabile del Foro dello Stato dovesse cedere di fronte a quella, parimenti funzionale e inderogabile, delle Sezioni Specializzate per la risoluzione delle controversie agrarie operanti presso i singoli Tribunali. Ci� in considerazione del fatto che, per queste ultime, il carattere funzionale � stato determinato dalla partecipazione di esperti designati dalle .Associazioni di categoria, i quali sono forniti sia di particolare conoscenza della situazione agricola sia di parti�olare esperienza sui problemi economici del luogo. Ha tratto conforto, al riguardo dal fatto, posto in rilievo dalla giurisprudenza formatasi sull'argomento, che la partecipazione degli esperti suddetti conferisce al Collegio �non un puro e semplice apprezzamento in materia di contrapposizione sindacale di contra. stanti interessi economici, bens� una esperienza di usi, consuetudini, terreni, culture, sistemi di conduzione ed in genere di situazioni legate a quel particolare territorio nel cui ambito l'organo giudiziario � chiamato ad esercitare la propria funzione>>. Nessun dubbio che la competenza delle Sezioni .Specializzate � funzionale. Nessun dubbio del pari che le ragioni le quali hanno determinato il rilevato carattere funzionale sono quelle precisate dal Tribunale di Firenze. N� l'uno n� l'altro argomento, per�, � decisivo pe1� affermare nhe la competenza� territoriale delle Sezioni Specializzate prevalga su quella, funzionale anche essa, del Foro dello Stato e ,che quest'ultima tuteli un interesse secondario rispetto a quella suddetta, che si ripercuote sul modo di costituzione dell'organo giudiziario. 2) La ricorrente .Amministrazione finanziaria non si nasconde la delicatezza della questione, ma ritiene necessario sottoporre all'esame della Ecc.ma Corte un duplice ordine di motivi che, trovando riscontro in norme positive, dovrebbero escfodere la affermata prevalenza. Il primo ordine di motivi � dato dal fatto che le norme sul Foro dello Stato, nella loro interpretazione letterale logica e finalistica, istituiscono un Foro speciale per un oggetto determinato nel quale si compongono, in unit� di intenti, gli elementi del territorio e della materia e richiedono, in vista di ci�, una norma derogativa espressa. Orientative a riguardo sono le eccezioni tassativamente poste dall'art. 7 del Testo unico n. 1611 del 1933 ed il carattere di ordine pubblico attribuito alla disciplina cos� sancita dall'art. 9 successivo. Rispetto a tale situazione, la natura di organi di giurisdizione ordinaria serbata dalle Sezioni (vedasi in � Giurisprudenza ))' Cassazione, 11 dicembre 1950, n. 2711; id. 23dicembre1950, n. 28130 13 gennaio 1951, n. 80; in cc Dottrina )) TORRENTE, in � Giurisprudenza sui Contratti .Agrari ))' pagina 12-13; CARRARA, cc Contratti .Agrari))' pag. 317 in nota) posta in relazione al fatto che le leggi istitutive delle Sezioni Specializzate per la proroga legale (art. 7 della legge 1094del1948 e 2 e 5 della legge 353 del 1949) hanno disciplinato la competenza delle stesse soltanto ratione materiae, senza nulla statuire rat~one loci, porta a ritenere che, territorialmente, valgono le norme ordinarie di competenza con la inderogabilit� sancit� dalle norme comuni, rispetto alle quali il Foro speciale dello Stato risulta prevalente. L'art. 28, infatti, del C. p. c. oltre i casi espressi di inderogabilit�, richiede, per eventuali altri casi, un'apposita disposizione di legge. Il secondo ordine di motivi � dato dal fatto che, mentre per le Sezioni Specializzate per la proroga legale, il legislatore ha disciplinato la competenza soltanto ratione materiae, per le Sezioni Specializzate per l'equo canone il legislatore ha disciplinato la competenza sia ratione materiae che ratione loci. Le prime trovano la loro disciplina nelle leggi 1094 cel 1948 e 392 del 1950; le seconde nella legge 1140 del 1948 con la quale fu disposta la sostituzione delle Commissioni .Arbitrali istituite dal D. L. C. P. S. n. 277 del 1947. Di diversa composizione nella scelta degli esperti, le prime hanno, ai fini della competenza, la determinazione della meteria; le seconde non solo della materia, ma anche del luogo, richiedendosi espressamente dall'art. 10 della legge 277del1947, che la domanda introduttiva sia presentata cc presso il Tribunale nella cui giurisdizione � posto il fondo oggetto della controversia �. -199 La diversa intensit� con la quale il legislatore � intervenuto nella particolare materia consente di ritenere che, se un rapporto di prevalenza fra il Foro dello Stato e la competenza delle Sezioni debba affrontarsi, le ragioni addotte dal Tribunale di Firenze sono pertinenti per l'equo canone pi� di quanto non lo siano per la proroga legale: per il primo, infatti, � di particolare rilievo la produttivit� del fondo, la situazione agricola contingente ed i problemi tecnici del luogo nel quale risiedono gli esperti; per la seconda, gli aspetti determinanti sono la natura giuridica del rapporto e la qualifica di coltivatore diretto del conduttore. La conferma di una diversa disciplina fra le due specie di Sezioni si pu� rinvenire anche nel fatto che le rispettive decisioni sono soggette a distinti mezzi di impugnazione: quelle della Sezione per la proroga ai mezzi consueti e quelle per l'equo canone al solo ricorso per Cassazione. IMPOSTA DI REGISTRO -Mutuo contratto dai Comuni con Istituto di credito -Delegazioni di pagamento sulle imposte di consumo in gestione diretta, emesse dal Comune ad estinzione del mutuo ed accet� tate con obbligo del non riscosso per riscosso dalla Tesoreria Comunale -Tassazione autonoma dei due rapporti -Esclusione. (Corte di Appello di Torino, S�ntenza 25 ottobre -Il novembre 1963-Pres.: Prati; Est.: Marigardi -Amministrazione Finanziaria c. Citt� di Torino. Le delegazioni di pagamento sulle imposte di consumo rilasciate dai Comuni per la estinzione di un mutuo da essi contratto, in mancanza di altri cespiti delegabili, costituiscono mandati di pagamento non soggetti ad autonoma tassazione di registro in aggiunta e diRtintamente dalla tassazione del mutuo, cui si riferiscono. A) La Corte di Torino ha cos� motivato: Il problema che si propone alla Corte � inteso a stabilire se il mutuo e le delegazioni di pagamento contemplati nel medesimo atto debbano considerarsi negozi distinti e singolarm�nte tassabili oppure costituiscano disposizioni � necessariamente connesse e derivanti per l'intrinseca loro natura le une dalle altre � in modo da consentire l'applicazione dell'art. 9 Cpv. Legge di Registro che, nella seconda ipotesi, considera l'atto quanto all'imposta come � se comprendesse la sola disposizione che da luogo all'imposta pi� grave �. L'unicit� del negozio giuridico di mutuo e delegazioni � contestata dall'Amministrazione delle Finanze sul rilievo che mediante la delegazione il delegante ed il delegato assumono precisi obblighi che non possono considerarsi come elementi costitutivi di un unico negozio di mutuo: che la delegazione integra una obbligazione autonoma -non necessariamente connessa con quella di mutuo con la quale le parti stabiliscono l'assunzione di obblighi da parte del delegato e le modalit� di pagamento, cos� stipulando una vera e propria garanzia indipendente ed autonoma rispetto al contratto di mutuo. Trattasi di interpretare la norma dell'art. 9 Legge di Registro e di stabilire la sfera�di,applicazione della stessa. Non ritiene questa Corte che sia accettabile il criterio dell'Amministrazione ap , pellante secondo cui la lettera della norma ed il criterio informatore della stessa precisano che l'ambito di applicazione della norma abbraccia unicamente la concatenazione strutturale, oggettiva, concettuale delle disposizioni secondo lo schema tipico del negozio e con una causa giuridica che assolva la stessa funzione economica e sociale. In sostanza l'Amministrazione Finanziaria con criterio restrittivo limita la connessione agli obblighi che in un determinato tipo di contratto assumono la natura di elementi strutturali, come le obbligazioni che costituiscono il corrispetti;vo della prestazione principale oppure i corolla:ui giuridici delle contrapposte obbligazioni. :.i�1 Premesso che quella prevista dall'articolo citato deve essere connessione oggettiva, non rimessa cio� alla determinazione dei contraenti, agli effetti di stabilire il collegamento tra pi� disposizioni di un medesimo atto per l'applicazione della sola imposta relativa alla disposizione che d� luogo all'imposta pi� grave, ritiene questa doversi adeguare Corte alla interpretazione che della norma ha fatto il Supremo Collegio (Cass., 4 ottobre 1958, n. 3106): �agli effetti dell'art. 9 della Legge di Registro secondo cui se un atto contiene pi� disposizioni indipendenti ognuna di queste � sottoposta a tassa. come se formasse un atto distinto, la nozione di disposizione indipendente va intesa nel senso di negozio giuridico autonomamente previsto dalla tariffa e la necessaria connessione tra pi� disposizioni derivanti le une dalle altre, si verifica solo allorquando tra le varie disposizioni esiste per forza di legge e non per semplice volont� delle parti una concatenazione tale da poter avere riassunta in un unico rapporto tassabile �. � da ritenersi cio� che la formulazione dell'art. 9 Legge di Registro non fa riferimento ad un legame necessario tra le varie disposizioni derivante dal sinallagma tipico contrattuale nel senso di escludere da tassazioni distinte ed autonome soltanto le obbligazioni che siano corrispettive di quella principale ovvero siano corollari giuridici delle contrapposte obbligazioni: il testo della norma har portata pi� vasta considerando e comprendendo tutte le ipotesi in cui la pluralit� delle disposizioni e la loro concatenazione sono cagionate da forza di legge e non dalla discredionalit� dei contraenti. La connessione deve ritenersi ricorrente anche quando dipende da norme che pur non incidendo direttamente sulla disciplina del contratto tipico, debbono, necessariamente, essere osservate nella, stipulazione di un particolare contratto. Il legame si ha cos� tutte le volte che una disposizione viene ad aggiungersi a quelle tipiche strutturali del con-~ tratto tipo per virt� di una norma legislativa che la impone in relazione anche a finalit� non proprie del negozio ma di carattere pubblico. Ci� premesso occorre considerare se il Comune di Torino abbia rilasciato le delegazioni di paga -200 mento di cui trattasi perch� costJ.�ettovi dalla legge . e se la Cassa di Risparmio le abbia accettate con la clausola del non riscosso a sua volta costrettovi per forza cogente. La risposta al quesito non � dubbia ove si considerino le norme legislative che regolano la materia. La Legge Comunale e Provinciale (T. U. a marzo 1934, n. 383) stabilisce all'art. 299 n. 3 l'obbligo per il Comune di garantire l'ammortamento del mutuo determinando i mezzi per provvedervi nonch� i mezzi per il pagamento degli interessi. A sua volta l'art. 94 del Testo unico sulla Finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175 dispone che se non sussistono altri cespiti comunali delegabili per legge (e questo � il caso di specie) il Comune � tenuto a rilasciare delegazioni sull'imposta di consumo. Del che consegue che rilasciando le delegazioni sull'imposta di consumo il Comune di Torino non ha scelto liberamente un mezzo, ma ha ottemperato ad una modalit� di pagamento del mutuo :alla cui osservanza era tenuto per forza di legge. Il che svuota di ogni contenuto l'argomentazione .dell' .A.mministraziohe Finanziaria secondo la quale l'avere il Corriune di Torino esaurito gli altri .cespiti e l'essere stato costretto a ricorrere ai proventi futuri delle imposte di consumo non deriva da norme cogenti ma dalla situazione patrimoniale .contingente che riconosciuta nella competente sede gerarchica, abilita all'esercizio della facolt� ipotizzata dall'art. 94 del Testo unico sulla Finanza locale. Non vi � dubbio infatti -si sostiene . che se ilComune di Torino avesse in concreto potuto .ricorrere ad altre fonti patrimoniali per fronteggiare gli oneri del prestito il ricorso ai proventi delle imposte di consumo sarebbe mancato senza .che, per tale fatto, venisse a mancare anche il mutuo. Pare facile l'obiezione che se � indubbio .che la situazione patrimoniale del Comune ha rilevanza, la stessa va per� rapportata al sistema della legge che �, ripetesi, nel senso che nel difetto di .altri cespiti comunali delegabili il Comune, sempre per garantire l'ammortamento del mutuo, deve .rilasciare delegazioni sulle imposte di consumo a norma dell'art. 94 del citato Testo unico, in ottemperanza cio� ad una facolt�. Le difese dell'Amministrazione appellante postulano un particolare esame della clausola del � non .riscosso per riscosso �. � canone fondamentale prescritto all'esattore dalla legge per riscossione delle imposte dirette quello del �non riscosso per riscosso � (art. 5 legge 17 ottobre 1922, n. 1401). .Sull'assunto che tale obbligo � pos'to a carico dell'Esattore per i tributi comunali esigibili mediante :ruoli si sostiene che per le imposte di consumo in gestione diretta, per le quali il Comune provvede direttamente all'accertamento ed alla riscossione .affidandone il solo esercizio di cassa ad un ente distinto, Tesoriere Comunale, l'obbligo predetto non .� posto dalla legge n� dal contratto esattoriale .che nel particolare sistema non entra affatto in .gioco: con la conseguenza che se, non potendo parlarsi d'obbligo imposto dalla legge, il Teso: riere lo assume, ci� va riportato alla sua volont� .con la conseguenza ulteriore della costituzione di un negozio di garanzia distinto da quello di mutuo, non legato a questo da alcuna correlazione di necessit� e quindi autonomamente tassabile. L'argomentazione con � fondata. L'art. 94 del Testo unico sulla Finanza locale. pone . come specif�. ca, imprescindibile condizione per le delegazioni sull'imposte di consumo che la riscossione sia data in carico all'appaltatore delle dette imposte e, nel caso di gestione diretta, all'esattore delle imposte dirette e al Tesoriere comunale con le condizioni stabilite dalla legge sulla riscossione delle imposte dirette. Ne consegue che la Cassa di Risparmio -tesoriere Comunale, alla quale i ricevitori delle imposte di consumo versano gli importi di dette imposte con correlativo obbligo di ricevimento, � tenuto nell'esercizio del suo servizio all'osservanza delle condizioni di legge per la riscossione delle imposte' dirette. Si � detto che canone fondamentale della riscossione delle imposte dirette � quello cel �non riscosso per riscosso�. I capitoli normali esattoriali (D. M. Finanze 18 settembre 1823) che hanno natura di norme integrative delle disposizioni contenute nella legge e nel regolamento di riscossione dispongono che l'esattore ed il ricevitore provinciale sono tenuti a firmare le delegazioni emesse dai Comuni e dalla provincia, ed a versarne l'importo alle scadenze con l'obbligo del �non riscosso per riscosso �. Lo stesso obbligo � �applicabile per le delegazioni sui proventi del dazio consumo e delle tasse comunali affidati in riscossione agli esattori emesse in garanzia di mutui fatti dalla Cassa Depositi e Prestiti o da altro Istituto (art. 9). Pare evidente, e lo ha gi� rilevato il Tribunale, che dal complesso delle disposizioni summenzionate risulta che il presupposto per emettere delegazioni sulle imposte di consumo � appunto che la riscossione nel caso di gestione diretta sia affidata allo esattore o al Tesoriere con l'obbligo del �non riscosso per riscosso �, e che il tesoriere, nel caso di gestione diretta � posto dalla legge nelle condizioni stesse dell'esattore o in quella dell'appaltatore nel caso di gestione appaltata. Non pu� pertanto parlarsi di obbligo liberamente assunto dalle parti, ma trattasi dell'osservanza di un precetto legislativo che vincola il comportamento del mutuante. Solo per la compiutezza di motivazione va rile vato che dal contesto del rogito Burlando nulla appare che consenta di ritenere l'assunzione di un obbligo diretto tra la Cassa di Risparmio e l'Istituto mutuante: la sottoscrizione del rappresentante della Cassa vale unicamente come accettazione passiva delle pattuizioni intervenute tra mutuante e mutua tario, ma non implica l'assunzione di una qualche particolare specifica obbligazione diretta della stessa verso l'Istituto San Paolo. Ritiene pertanto questa Corte, ribadendo quanto gi� affermato in sentenza 20 aprile ...... che le delegazioni di pagamento sulle imposte di consumo, rilasciate in mancanza di altri cespiti delegabili, ---� siano da considerarsi mandati da pagamento non soggetti ad autonoma tassazione di registro in aggiunta e distintamente dalla tassazione del mutuo cui si riferiscono. Onde l'appello va respinto. -201 B) La sentenza della Oorte di Torino � stata gravata di Ricorso in Oassazione sulla base dei due seguenti motivi: I -Violazione e falsa applicazione dell' a?�t. 9 della Legge d~ Registro 30dicembre1923, n. 3269 nonch� dell'art. 30 della tariffa A annessa alla legge di Registro precletta -Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione -Ai sensi e per gli effetti dell'art. 360 nn. 3 e 5 del O. p. c. A) L'imposta di registro, della cui legittimit� i giudici di appello erano stati investiti, concerneva, fra l'altro, la tassazione a norma dell'art. 30 della tariffa A della L. O. R. di 12 delegazioni semestrali di pagamento, emesse dalla Citt� di Torino sui proventi delle imposte di consumo, sottoscritte dal Sindaco, accettate dalla Cassa di Risparmio di Torino, alla quale � affidato il servizio di Tesoreria Comunale, e consegnate all'Istituto Bancario San Paolo di Torino per l'importo complessivo di L. 116.071.272, a fronte del mutuo da detto Istituto concesso alla Citt� di Torino con il rogito Burlando 17 aprile 1958, n. 4232 di rep. per il maggior importo di L. 217.000.000, da restituirsi con versamenti semestrali in 25 anni. La tassazione predetta, contestata in sede giudiziaria dalla Citt� di Torino, era stata operata, in via suppletiva, in occasione della verifica delle percezioni eseguite dall'Ufficio s1� rogito Burlando, con la iscrizione dell'art. 19010 A. C. Chieri nell'importo di L. 2.437 .507. I Giudici di appello, al pari dei primi giudici, hanno affermato l'illegittimit� della eseguita tas sazione, giacch� il mutuo concesso alla Citt� di Torino e le delegazioni di pagamento sulle imposte di consumo accettate dalla Cassa di Risparmio, incaricata del servizio di Tesoreria Comunale, inte grando delle disposizioni necessariamente connesse e derivanti le une dalle altre, vanno disciplinati, ai fini del tributo di registro, dal secondo comma dell'art. 9 della L. O. R.: tassazione dell'unica dispo sizione che d� luogo alla tassa maggiore. Hanno, infatti, affermato i giudici di appello che: <e ��� la formruazione dell'art. 9 Legge di Regi stro non fa riferimento ad un legame necessario tra le varie disposizioni derivanti dal sinallagma tipico contrattuale nel senso di escludere da tas sazioni distinte ed autonome soltanto le obbliga zioni che siano corrispettive di quella principale ovvero siano corollari giuridici delle contrapposte obbligazioni: il testo della norma ha portata pi� vasta considerando e comprendendo tutte le ipo tesi in cui la pluralit� delle disposizioni e la loro concatenazione sono cagionate da forza di legge e non dalla discrezionalit� dei contraenti. La concessione deve ritenersi ricorrente anche quanto dipenda da norma che pur non incidendo direttamente sulla disciplina del contratto tipico, debbono, necessariamente, essere osservate nella stipruazione di un particolare contratto. Il legame -proseguono i giudici di appello -si ha tutte le volte che una disposizione viene ad aggiungersi a quelle tipiche strutturali del contratto tipo per virt� di� una norma legislativa che la impone in relazione anche a finalit� non proprie del negozio, rna di carattere pubblico. �. L'obbligo posto ai Comuni� dall'art; ��'299 n. 3 della Legge Comunale e Provinciale del 3 marzo 1934, n. 383 di garantire l'ammortamento dei mutui ,da essi contratti determinando i mezzi per provvedervi; la mancanza per la Citt� di Torino di cespiti delegabili per legge, con conseguente esercizio da parte dello stesso della facolt� prevista dall'art. 94 del Testo unico sulla Finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175; e l'obbligo posto dall'art. 9 del D. M. 18 settembre 1923 con i Capitoli Normali Esattoriali per gli Esattori Comunali di accettare le delegazioni con l'assunzione dell'onere del� non riscosso per riscosso>>, sono stati assunti, nell'economia della sentenza impugnata, in conseguenza della adottata interpretazione dell'art. 9 della L. O. R., ad elementi determinanti la << connessione necessaria �, presupposto della unicit� della tassazione. In tali statuizioni le violazioni denunciate sono certe. B) L'art. 9 della L. O. R., al secondo comma stabilisce che << un atto � che comprende pi� disposizioni necessariamente connesse e derivanti, per l'intrinseca loro natura, le une dalle altre, � considerato, quanto alla tassa di registro, come comprendesse la sola disposizione che d� luogo alla tassa pi� grave �. La lettera della norma -disposizioni necessariamente connesse e derivanti, per la intrinseca loro natura, le une dalle altre -ed il criterio ispiratore della stessa -evitare il carattere vessatorio� delle distinte tassazioni nei casi in cui le disposizionir anche se distinte, sono caratterizzate da una concatenazione logica s� da essere riassorbite nell'unico rapporto oggetto di tassazione -precisano, a chiare note, che l'ambito di sua applicazione abbraccia unicamente e soltanto la concatenazione� strutturale, oggettiva, concettuale delle disposizioni, secondo lo schema tipico del negozio e con una causa giuridica che assolva la stessa funzione economica e sociale. Ne restano escluse le concatenazioni occasionali soggettive, non concettuali, quale che sia la finalit�. che le concatenazioni stesse vogliono attuare. In tali casi, infatti, delle singole disposizioni � dato concepirne l'esistenza anche senza la concatenazione predetta. L'insegnamento della Corte di Cassazione � tassativo al riguardo. Nella sentenza 3 ottobre 1958r n. 3087 e 4 ottobre 1958, n. 3106 (la motivazione di quest'rutima � riportata nella <e Riv. Leg. Fisc. �, 1959 col. 214 e segg.) � detto che, �ai sensi e per gli effetti dell'art. 9 della legge sull'imposta di Registro 30 dicembre 1923, n. 3269, se in un atto sono comprese pi� disposizioni indipendenti o non derivanti necessariamente le une dalle altre, ciascuna di esse � sottoposta ad imposta come se--�� formasse un atto distinto; nella quale norma di legge la nozione di disposizione indipendente va intesa nel senso di negozio giuridico autonomamente previsto dalle tariffe allegate alla legge di registro mentre quella di disposizioni necessariamente deri -202 'Vanti le une dalle altre si delimita nel senso che essa � si verifica solo allorquando esista fra esse in forza di legge e non per mera volont� delle parti, una concatenazione logica necessaria, cos� da essere tutte riassorbite, per la loro natura, quali elementi indispensabili, nell'unico rapporto giuridico tassabile ai fini del registro. Nella sentenza 4 agosto 1941 Finanze contro Banca Trentino .Alto .�dige, � detto che: � .. . ove uno o pi� disposizioni siano necessariamente connesse, cio� interceda fra. loro un rapporto tale che l'una genera l'altra per la sua stessa indole, e soggetta a tassazione solo la disposizione che d� luogo alla tassa pi� grave �. Nella sentenza 29 maggio 1942, n. 1498 Banco Bertolli contro Finanze � affermato lo stesso prin- 0ipio: << perch� si abbiano due disposizioni connesse, .a norma dell'art. 9, � necessario che fra le due disposizioni vi sia una connessione informata a Tagioni di compenetrazione obiettiva, in guisa che non si possa concepire la sussistenza giuridica dell'una senza quella dell'altra �. Sempre lo stesso principio � affermato nella sentenza 13 febbraio 1951 Soc. Selt -Va.Jdarno contro Finanze in� Riv. Fiscale�, 1951, 279; 9 maggio 1956, n. 1520 in <e G. Civ. Mass. ))' 1956, 513. In applicazione di tale principio � stata esclusa la connessione necessaria (cfr. Cassaz. 7giugno1947, n. 864 Istituto Romano Beni Stabili contro Finanze in cc Foro Ital. ))' 1947, 268) persino nel caso dell'obbligo del pagamento del prezzo nella compravendita qualora detto obbligo viene disciplinato dalle J>arti in modo particolare, con una speciale rateazione, col pagamento di interessi corrispettivi ad un tasso superiore a quello legale, con rimborso dell'imposta di ricchezza mobile, rilascio di cambiali e garanzia ipotecaria consensuale, perch� l'obbligo stesso viene ad assumere una fisionomia che, J>er sua natura, non deriva dal negozio di vendita. Lettera, pertanto, spirito informatore della norma .ed applicazione giurisprudenziale portano, necessaTiamente, a ritenere che: a) disposizione indipendente � quella di rapporto o negozio giuridico autonomamente previsto dalle Tariffe allegate alla legge di registro; b) tale disposizione � tassata in via separata .e distinta sempre che non costituisca un elemento integratore del negozio giuridico posto in essere, :Secondo lo schema tipico del negozio, quale � fis. sato dalla legge; c) l'intervento della legge, dovendo soddisfare .all'esigenza di una connessione obiettiva ed inscindibile fra le varie disposizioni, che assolva alla .medesima causa giuridica -cc per l'intrinseca loro natura � richiede lo art. 9 citato -deve determinare una situazione non di accessoriet� della disposizione, ma di connaturale compenetrazione, con .esclusione di quei casi in cui la stessa impone delle cautele richieste da esigenze di opportunit� .amministrativa, che non influiscono sulla possibilit� di concepire il negozio ginridico anche senza le -0autele predette. O) I tre ordini di ragioni, pertanto, nei quali i giudici di appello hanno riscontrato gli estremi della connessione necessaria sono in violazione della dovuta interpretazione delle norme e sono frutto di un vizio logico di motivazione. Essi, infatti, integrano cautele indicate dalla legge per finalit� non proprie del negozio, ma per esigenze di buona ammi nistrazione. � � � .. � L'art. 299 n. 3 del Testo unico della legge Comunale e Provinciale del 1934 disciplina le condizioni che abilitano i Comuni e le provincie a contrarre mutui, ma tale disciplina non risponde alla causa giuridica del negozio generale di mutuo ed a questo risultino legati da un vincolo di accessoriet� e non di connaturalezza, nel senso voluto dalle norme, di compenetrazione strutturale, oggettiva, concettuale. La disciplina predetta, prevedendo per i Comuni l'obbligo della garanzia e della indicazione dei mezzi di pagamento, assolve ad esigenze di buona amministrazione, di necessit� di bilancio e tali cose hanno una causa giuridica che assolve una funzione economica e sociale diversa da quella propria del mutuo, nello schema tipico previsto dalla legge civile. La mancanza per la Citt� di Torino di cespiti delegabili per legge con il conseguente esercizio della facolt� prevista dall'art. 94 del Testo unico, della Finanza Locale e l'assunzione da parte del Tesoriere Comunale, incaricato dei servizi di riscossione delle imposte di consumo dell'onere del non riscosso per riscosso, sono estrinsecazioni concrete della disciplina posta dal ricordato articolo 299 n. 3 della legge Comunale e Provinciale e rispondono alla causa giuridica della disciplina suddetta, con esclusione assoluta della compenetrazione strutturale e concettuale con il negozio di mutuo. Le disposizioni relative alle delegazioni di pagamento costituiscono, infatti una voce separata e distinta dalla tariffa A della legge di Registro -art. 30 e, per la loro natura, la loro funzione, la loro causa giuridica nei contratti di mutuo stipulati dai Comuni, sono rishieste da norme diverse, separate e distinte da quelle regolatrici del contratto. Il mutuo dei Comuni, peraltro pu� essere garantito e soddisfatto anche con mezzi diversi senza che per tale fatto perda la �sua fisionomia e la sua vitalit�. Le delegazioni sui proventi delle imposte di consumo richiamano, pertanto, il concetto della accessoriet� e non della connaturalezza con il negozio di mutuo garantito a norma dell'art. 299, terzo comma della Legge Comunale e Provinciale. II -T1iolazione e falsa applicazione dell'art. 9 della Legge di Registro 30 dicembre 1923, n. 3269, dell'art. 5 della legge 17 ottobre 1922, n. 1401 sulla riscossione delle Imposte Dirette, dell'art. 9 del Decreto del Ministero delle Finanze 18 settembre 1923 con norme esecutive ed interpretative della legge sulle riscossioni (Capitoli Normali esattoriali) -Omessa insuff�ciente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo. -Ai sensi e per gli effetti dell'art. 360, nn. 3 e 5 del O. p ... c: A) I giudici di appello nel presupposto che la connessione necessaria derivante da norme di legge, non � soltanto quella strutturale propria fra le varie obbligazioni a seconda del tipo del contratto, ma anche quella resa necessaria da norme cogenti --���------- ---�-------------------------~-----~---------------- -203 diverse da quelle regolatrici del contratto, hanno poggiato la loro decisione su tre ordini di motivi: -a) sull'oblbligo posto ai Comuni dell'art. 299, n. 3 della legg-e Comunale e Provinciale del 1934 di garantire l'amm01�tamento dei mutui determinando i mezzi per provvedervi ; b) sulla mancanza per la Oitt� di Torin� -di ,oospiti de1'egabiji iper le1gge con consegue-nte esercizio della facolt� prevista - dall'art. 94 del T-esto unico sulla finanza locale del 1931; o) sull'obbligo .del non riscosso per riscosso posto dall'art. 9 dei Capitoli Normali per Esattori Comunali di accettare le delegazioni di pagamento tratte dai Comuni. La erroneit� del presupposto dal quale i giudici idi appello haru10 �preso le mosise, iJ.}ustrata nel primo motivo, travolge, la sentenza da Essi pronunciata.. Pari erroneit�, per� inficia-, sia sotto il profilo di violazione di legge che di vizio logico di motivazione, con omesso esame di punto decisivo, l�e affermazfoni che, nel presupposto predetto, sono state fatte in pa1�ticolare. B) sub a) L'art. 299, terzo comma della legge ComunaJ,e e Provinciale del 1934 impone ai Comuni l'obbligo di garantire l'ammortamento dei mutui determinando i mezzi per provvedervi. Le delegazioni .sono in estrinsecazione dell'obbligo generale suddetto e sono frutto della libera .scelta della parte che alle stes�se fa ricorso per ~1ssolv�ere non le �esLg-e.nie causali -e fun.zionaJi del mutuo, ma quelle della buona amministrazione e della situazione contingente dei bilanci. sub b) L'avere la Citt� di Torino esaudto gli altri cespiti e l'essere stata costretta. a� ricorrere ai proventi futuri delle imposte di consumo, non deriva da norme cogenti, ma dalla situazione patrimoniale contingente che, riconosciuta. nella .competente sede gerarchfoa, abilita. all'esercizio della facolt� ipotizzata nell'art. 94 del Testo unico della Finanz-Hi locale del 1931. Non vi � dubbio, infa, tti che se i1a Oi-tt� di TiOrino aviesse in 00n10reto potuto ricorrere ad altre fonti patrimoniali per fronteggiare gli oneri del prestito, il ricorso ai p~ov,enti de'IJle iim�poste di 00ill�SUIDO sairebbe lIIlaillcato, senza che, per tale fatto, sarelbbe ma-ncato .anche il mutuo. Nell'ambito stesso delle delegazi, oni di pa-gamen to JVi � di1stinzion�e d':ra facoltatwe ed obbligatorie: le une, v. � Nuovissimo Digesto Italiano�, Yoc.e Delegazioni di pagamooto -Diritto Finanziario) 5, pag. 358, �sono quelle che i <Comuni e gli altri Enti in veste, di mandatari si -obbligano a rilasciare in base ad un accordo con gli Enti mutnanti liberamente -stipulato, facendo ricor-so alla facolt� prevista dal ricordato art. 94 del Tei,;to unico della Finanza locale ; le altre sono -quelle che i Comuni sono obbligati a rilasciare a favore degli Enti Comunali di assistenza, deHe Amministrazioni degli Ospedali e delle Istituzioni di Beneficenza, quando sono debitori verso questi Enti per le spese di speda1it� da essi anticipate. sub e) L'obbli~go del n-0-n .riscosso IJ)er riscosso � �posto a cariCi) dell'Esattore per i tributi comunali esigibili mediante Ruoli, in quanto tale obbligo :sorga per legge o per contratto Esattoriale. L'art.5 -ultima pa.rte della legge di Riscossione del 1922 � tassativa al riguardo. Per le imposte di consumo in gestione diretta per le qua-li il Comune provvede direttamente all'accertamento ed alla riscossione, affidandone il solo esercizio di .cassa ad,_nn Ente distinto, Tesoriere Comunale, l'obbligo predetto non � posto n� dalla legge n� dal contratto Esattoriale che, nel particolare sistema, non entra affatto in gioco. E questo � il caso della citt� di Torino. Essa infatti provvede alla gestione diretta del s-ervizio delle imposte di consumo e la Cassa di Risparmio in quella sede, in funzione di Tesoriere, ha solo il servizio di cassa. Il richiamo all'art. 94 del Testo unico sulla Finanza Locale non � affatto risolutivo in contrario. Detto articolo precisa soltanto che, nel concorso di varie altre condizioni, sono delegabili le imposte di consumo la cui riscossione sia data in carico all'appaltatore delle imposte stesse e, nel caso di gestione diretta, all'Esattore delle imposte dirette o al Tesoriere Comunale, con le condizioni stabilite dalla legge sulla riscossione delle imposte dirette. In mancanza le imposte pi� volte dette non sono delegabili. Esso, pertanto, non pone affatto l'obbligo per l'Esattore o il Tesoriere dell'assunzione della riscossione con la clausola del non riscosso per riscosso, n� avrebbe potuto porlo non essendo l'art. 94 la sede che regola i rapporti di Esattoria e di Tesoreria. L'assunzione predetta resta una mera facolt� della Tesoreria e se ricorre, ci� avviene per libera determinazione contrattuale. In mancanza di tale assunzione volontaria il Tesoriere, diversamente per quanto avviene per i tributi riscuotibili mediante Ruoli e per i quali agisce in funzione di Esattore Comunale, non ha affatto, per le imposte di consumo, l'obbligo di versare l'importo accertato, del qua1e, per� non sia stato possibile l'esazione. Il Tesoriere Comunale estingue i mandati nei limiti dei fondi stanziati in bilancio e se non sono conformi alle disposizioni di legge pu� rifiutarsi di pagarli (T. U. 3 marzo 1934, n. 383 art. 325). Egli ha dunque nei confronti dell'ordine di paga mento fattogli dalla Amministrazione una certa facolt� discrezionale di apprezzamento circa le circostanze in cui avviene o deve avvenire il paga mento. Per le delegazioni, pertanto, sui proventi delle imposte di consumo in gestione diretta l'obbligo giuridico per il Tesoriere di firmare le delegazioni stesse e di versarne alla scadenza l'importo relativo con l'onere del non riscosso per riscosso, non ricorre affatto. L'art. 9 dei Capitoli Normali Esattoriali, approvato con D. M. 18 settembre 1923, infatti, tale obbligo giuridico pone per le delegazioni sui proventi delle imposte di consumo, che siano state �affidate in riscossione agli Esattori�, e ci� ovvia-_ mente, in appalto o con altro sistema. In mancanza -� il caso della Citt� di Torino -il Tesoriere Comunale che esplicando il solo servizio qJ ~assa, sottoscriva le delegazioni ed accetti in maniera_ espressa l'obbligo di versarne alla scadenza l'importo con l'onere del non riscosso per riscoAso, assume una obbligazione autonoma . che esula dal normale rapporto di Tesoreria, quale � regolato dalla legge e dal Contratto Esattoriale e di Tesoreria. -204 Chiarito, pertanto, che per i Tesorieri Comunali non ricorre affatto l'obbligo di legge, per i proventi delle imposte di consumo in gestione diretta dei Comuni, di accettare le delegazioni di pagamento e di versarne alla scadenza l'importo ultra vires, l'obbligazione in concreto assunta, d� luogo ad un negozio che, distinto da quello di mutuo, � chiamato a spiegare una vera e propria funzione di garanzia che si affianca, per volont� delle parti, al sinallagma proprio dei rapporti Citt� di Torino Istituto Bancario di San Paolo a quella sede. L'Ingrosso, in cc Foro Ita�. �, 1938, 546, parla, infatti, di accollo cumulativo. Non a caso, d'altra parte, nel rogito Burlando: a) l'obbligazione pi� volte detta del versamento con l'onere del non riscosso per riscosso � stata espressamente sancita, con la partecipazione del Tesoriere Comunale, attraverso una precisa manifestazione di volont� dello stesso; b) il Comune ha assunto l'obbligo di far sottoscrivere le future delegazioni con l'onere del cc non riscosso per riscosso � dal futuro Tesoriere ovvero dell'appaltatore, nel caso di gestione in appalto. Il carattere convenzionale dell'obbligazione da detta manifestazione di volont� non poteva prescindere e, con i rilevati caratteri, non risulta affatto legata da connessione necessaria, per forza di legge, con il negozio di mutuo. IMPOSTA DI REGISTRO -Decisione delle Commis� sioni Amministrative in tema di valutazione -Ricorso all'A.G.o. a norma dell'art. 29 del R.D.L. 1 agosto 1936, n. 1639 -Decisione Definitiva -Nozione Estremi. (Tribunale L'Aquila, 24 aprile-10 giugno 1963 -Pizzoferrato ed altri c. Finanze). La decisione pronunciata dalla Commissione Distrettuale�delle Imposte in sede di determinazione del valore nei trasferimenti della ricchezza, non impugnata nei termini e nei modi prescritti alla Commissione Provinciale delle Imposte, � definitiva ed avverso la stessa � ammissinile l'azione giudiziaria prevista dall'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 per mancanza ed insufficienza di calcolo e per grave ed evidente err�re di apprezzamento. Proposto, per�, il ricorso alla Commissione Provinciale l'azione giudiziaria � ammissibile solo dopo la decisione che dalla stessa sar� emessa. La sentenza � cos� motivata: Come � noto, anche in materia di imposte indirette -senza alcuna limitazione -l'Autorit� Giudiziaria ordinaria pu� essere adita per questioni di diritto e per questioni di fatto connessa a questioni di diritto (estimazione complessa). Vale, quindi, anche per dette imposte il principio ipotizzato nell'art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ribadito, peraltro, in successive disposizioni di legge in base al quale dalla competenza dell'Autorit� giudiziaria sono escluse le questioni di estimazione semplice. E ci� anche se l'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 che suddivide le controversie relative alle imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza in due categorie, attinente la prima alla dete:rminazione . .Q.el valore (terzo comma) e la seconda all'applicazione della legge (quarto comma) abbia, con la prima di dette categorie, introdotto una eccezione a tale prin, cipio (sia pure limitata., come si chiarir� in seguito) permettendo, a maggiore tutela degli interessi del contribuente, che l'Autorit� giudiziaria ordinaria possa esercitare, per grave ed evidente errore di apprezzamento o insufficienza di calcolo, un controllo sulle questioni di determinazione del valore (quindi, di estimazione semplice) ed anche se, per tale controllo, ed in ispecie per il potere di annullamento della decisione viziata, non possa escludersi che, in de1�oga al principio dell'autonomia dei due giudizi (e sia pure per il solo controllo dell'errore di apprezzamento o della insufficienza di calcolo), una certa interferenza abbia a verificarsi tra giurisdizione speciale e giurisdizione ordinaria. Contrariamente a quanto avviene per le imposte dirette riscuotibili col sistema dei ruoli, per le quali l'azione giudiziaria pu� proporsi soltanto dopo che si sia reclamato alla giurisdizione speciale, e, propriamente, soltanto dopo che sia intervenuta una decisione definitiva anche soltanto della Com missione distrettuale o di quella provinciale, in materia di imposte indirette, invece, l'azione giu diziaria pu� proporsi indipendentemente da quella amministrativa, ed anche durante, e dopo, la pendenza del giudizio davanti alle Commissioni amministrative. N� pare sostenibile che ilD. L. del 1936, n. 1639, con gli artt. 28 e 29, quarto comma abbia, in modo diretto o mediato, aibrogato alle disposi zioni ipotizzate nell'art. 93 della legge tributaria. sulle successioni, approvata con R. D. 30 dicem bre 1933, n. 3270 e nell'art. 145 della legge di re gistro R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269; disposi zioni che, facultando il contribuente ad opporsi all'ingiunzione fiscale o in via amministrativa o in via giudiziaria, consentono di dedurre che il debi tore possa ricorrere alla Autorit� Giudiziaria ordi naria direttamente e cio� senza che prima sia stata. adita l'autorit� amministrativa. Invero l'art. 28 dalla citata legge del 1936, in base al quale la risoluzione in via amministrativa. delle controversie relative all'applicazione delle imposte di registro, di successione ed in surroga gazione di manomorta ed ipotecarie, � demandata alle Commissioni amministrative per le imposte dirette, autorizza a ritenere che il legislatore abbia inteso cc unificare l'organo giurisdizionale chiamato a decidere in sede amministrativa le controversie tributarie, senza distinzione tra imposte dirette ed indirette� (Cass. 19 novembre 1954, n. 4246), ma. non ad estendere alla categoria delle imposte indi rette il sistema processuale proprio delle imposte. dirette (esercizio dell'azione giudiziaria subordina tamente all'esperimento del ricorso in via amminF strativa), essendo una tale estension� completa mente estranea alla sua sfera normativa. A sua volta l'art. 29, quarto ed. ultimo comma, della stessa legge del 1936, concernente la determi -205 nazione della competenza della Commissione amministrativa in materia di imposte indirette, se � vero che fu salvo il ricorso alla Autorit� giudiziaria, avvalorando l'interpretazione che il ricorso stesso non possa che essere successivo al reclamo amministrativo, � altrettanto vero, per�, che lo fa salvo nei modi e termini stabiliti dalle vigenti leggi, e cio� richiamando le precedenti norme sul contenzioso delle imposte indirette (cfr. sentenza citata). Ad avvalorare l'affermazione di principio in esame concorre, poi, �nche l'art. 39 R. D. 1937, n. 1516, il quale -e si badi bene con espresso richiamo al quarto ed ultimo comma del pi� volte <iitato art. 29 della legge del 1936 -stabilendo il modo in cui debbono essere inviati alla Commissione per la. decisione di merito gli atti relativi al ricorso �in sede di procedura coattiva contro la quale sia stata fatta dal contribuente opposizione giudiziale �, chiaramente lascia intendere che il debitore possa immediatamente adire lAutorit� giudiziaria ordinaria, prescindendo dal ricorso :amministrativo. Se il caso specifico previsto dal terzo comma. del pi� volte citato art. 29 della legge del 1936 si estranea -c�me gi�, innanzi si � detto -in via di limitata eccezione (e di limitata eccezione, perch� l'intervento dell'Autorit� giudiziaria ordinaria nella determinazione del valore � limitato soltanto al .controllo dell'errore di apprezzamento o della man. canza o insufficienza di calcolo), dal principio sopra riferito, in base al quale; anche in tema di imposte indirette, lAutorit� giudiziaria ordinaria non pu� essere adita per le questioni di diritto o promiscue e non per le questioni di estimazione semplice, lo stesso caso specifico del terzo comma si estranea pure dall'altro principio pure sopra riferito, in base al quale, sempre in tema di imposte indirette e per questioni di diritto o promiscue, l'azione giurisdizionale amministrativa non � condizione per l'azione giudiziaria. E si estranea da quest'ultimo principio in primo � luogo per il modo letterale in cui lo stesso comma terzo lo esprime. Invero detto comma, nello stabilire che il giudizio delle Commissioni provinciali sulle questioni �che si riferiscono alla determinazione di valore � definitivo, fa salvo �il ricorso all'autorit� giudiziaria per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per mancanza o insufficienza di calcolo nella determinazione del valore �; ma non lo fa salvo come nel successivo quarto comma e cio� � nei modi e termini stabiliti dalle vigenti leggi �. Orbene se, per avere il legislatore espressamente :richiamato nel comma quarto i << modi e termini .stabiliti dalle vigenti leggi �, s'� sopr� respinta, in tema di controversie per questioni di diritto o �Complesse, l'interpretazione che il ricorso non possa .che essere successivo, e cio�, che l'Autorit� giudiziaria non possa che essere adita posteriormente .alla decisione amministrativa, il non averli invece, .detti modi e termini, espressamente richiamati nel precedente comma terzo, sta per contrario, ad :avvalorare la tesi che, in tema di controversie per il controllo dei gravi ed evidenti errori di apprezzamento o della mancanza o insufficienza di calcolo, il ricorso non possa che essere successivo alla decisione amministrativa. Ed in secondo luogo si estranea per il suo stesso contenuto sostanziale. Invero il caso previsto dal rip.etuto colll..ma ter~o non pu� che presupporre necessariament~ una precedente decisione, non apparendo ovviamente possibile sindacare la legittimit� di una decisione ti per di pi� annullarla, senza che essa esista. A maggior ragione, poi, se si considera che secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, l'art. 29 (terzo comma) in esame va posto in relazione all'art. 42 del R. D. del 1937, n. 1516, che l'esistenza di una decisione espressamente prevede, laddove stabilisce che �le decisioni delle Commissioni distrettuali e di quelle provinciali ... debbono contenere una sommaria motivazione ... � Che detta decisione possa dar luogo all'azione giudiziaria ordinaria per grave ed evidente errore di apprezzamento o mancanza o deficienza di calcolo soltanto dopo che sia divenuta definitiva, non pare che possa dubitarsi (cfr. Cass., 23 marzo 1957, n. 988). � lo stesso comma terzo dal citato art. 29 a fare riferimento ad una decisione definitiva. D'altra parte, un sindacato di legittimit� nei limiti ristretti del grave ed evidente errore di apprezzamento e della mancanza o deficienza di calcolo potrebbe non risultare utile se dovesse riguardare una decisione che non fosse definitiva . Che detta decisione, per essere definitiva, debba poi necessariamente essere emessa dalla Commis sione provinciale � ipotesi da escludere. . Secondo il costante insegnamento della S. C. (tra altre, citata sentenza n. 988 del 1957) la deci sione �, infatti, definitiva, oltre che per il suo con tenuto sostanziale, principalmente perch� non � pi� �soggetta ad impugnazione o ad ulteriore im pugnazione in via amministrativa per difetto di gravame nei termini e nei modi prescritti �, Nel caso in esame -e con espresso richiamo a quanto gi� si � detto in narrativa -pu� darsi atto che contro la decisione della Commissione distret tuale pende ricorso alla Commissione provinciale. Ne � prospettabile, in base a quanto risulta dagli atti; l'ipotesi di una rinunzia al ricorso stesso; rinunzia, peraltro, non prospettata neppure dagli interessati, tanto meno in modo circostanziato e formale. Manca quindi per potersi considerare validamente adita l'autorit� giudiziaria ordinaria (e, di conseguenza, questo Tribunale) il presupposto della decisione definitiva prescrittio dal citato comma terzo dell'art. 29. DEL RICORSO ALL'A.G.0. AVVERSO LE DECISIONI EMESSE DALLE COMMIS~IONI AMMINISTRATIVE IN TEMA DI VALUTAZIONE, PER MANCANZA E INSUFFIOENZA DI CALCOLO E PER GRAVE ED EVIDENTE ERRORE DI APPREZZAMENTO. Il D. L. 7 agosto 1936 (convertito nel:l:a � legge 7 giugno 1937, n. 1061 che con il D. R. 8 lugliodel 1937, n. 1516 ha riformato il preesistente ordinamento) ha disciplinato con p1�ocedu�re diverse, pur provvedendo all'unificazione dell'organo di giurisdizione speciale, la ri8oluzione delle controversie aventi -206 per oggetto le imposte dirette e quelle aventi per oggetto le controversie in tema di impost6 indirette. Infatti gli artt. 22 e segg. della legge citata hanno stabilito che la 1�isoluzione di tiitte le controversie in tema di imposte dirette � demandata, rispettii,amente in primo e secondo grado, alle Commissioni Distrettuali, ed a qiwlle Pr01iinciali e che contro le decisioni delle Commissioni provinciali, quando si tratti di questioni di diritto (in esse comprese quelle di <cestimazione complessa �) � ammesso ricorso alla Commissione centrale. Lo stesso articolo espressamente ammette 1'.Z diretto ricorso all'autorit� giudiziaria, contro una decisione della Com1nissione provinciale o distrettuale, purch� si tratti di questione non riguardante semplice estimazione dei redditi (cfr. art. 6 legge 20 marzo del 1865, allegato E). Dalla lettera della legge risulta con evidenza un primo punto e cio� che le controversie di semplice estimazione sfuggono in ogni grado all'esa'Ylie dell'.A..G.O. Diverso � invece il sistema fissato dal legislatore in materia d'imposte indirette. L'art. 29 della legge sopra citata dispone infatti che: cc la competenza delle Commissioni amministrative in m�teria di imposte indirette sui trasf erimenti di ricchezza � determinata nel modo seguente: le controversie che si riferiscono alla determinazione del valore sono decise in prima istanza dalle Com missioni distrettua.li e in secondo grado da quelle provinciali �. Il giudizio delle C6m1nissioni provinciali sulle questioni di cui al comma precedente � definitivo, salvo ricorso all'autorit� giudiziaria per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per man canza o insufficienza di calcolo nella determinazione del valore. Tutte le altre controversie relative all'applicazione della legge sono decise in primo grado dalle Com missioni provinciali e in secondo grado dalla Com missione centrale, salvo il ricorso all'autorit� giudi ziaria nei modi e termini di legge �. Dalla lettura della norma sopra riportata risulta chiaro che il legislatore ha inteso .nettamente distin guere, pur nell'ambito delle controversie in materia di imposte indirette, due distinti procedimenti: 1) quelli aventi ad oggetto questioni relative all'ap plicazione della legge i quali sono di competenza in prima istanza delle Commissioni provinciali (nella speciale composizione prevista dall'art. 30) ed in seconda istanza della Commissione centrale. Contro quest'ultima decisione � ammesso ricorso all'autorit� giudiziaria (alla quale, peraltro, il contribuente o la Finanza possono sempre ri�orrere anche senza l'esperimento dell'azione amministrativa quando ci� sia consentito dalle leggi rifiettenti il tributo contro verso; vedi ad esempio art.. 145 legge di registro; 2) quelli aventi ad oggetto la risoluzione di questioni relative alla � determinazione del valore �, i quali invece sono devoluti alla competenza delle Commis sioni distrettuaLi in I grado, provinciali in grado di appello. Contro quest'ultima � ammesso il ricorso all'autorit� giudiziaria, ma ci� per soli vizi di legit timit� della decisione. La conseguenza immediata di tale distinzione � che mentre le controversie aventi ad oggetto la riso 02ii~ luzione d�i questioni di diritto possono essere portate contemporaneamente all'esame sia della giurisdizione amministrativa sia dell'autorit� giudiziaria ordinaria, senza interferenze tra i due giudizi (fatto, q1testo, che ha portato all'affermazione del-principio di perfetta a.utonomia delle due giurisdizioni: confermo Cassazione Sezioni Unite, 19 gennaio 1957, -in � Riv. Leg. Jfiscale �, 1957, 725; conf. ved. DE MARINI in �Riv. Prat. Trib. �, 1949, II, 89; Cassazione 12 aprile 1957 in �Dir. Prat. Trib.�, 1959, II, 297; Cassazione 7 litglio 1959 in �Riv. Leg. Fiscale�, 1958, 1727; CONTRA .ALLORIO, �Diritto Processuale Tributario�, Torino 1962, 400 e segg., il quale ritiene invece che tra giitdizio avanti la giu.risdizione speoia.le tributaria e l'autorit� giudiziaria ordinaria vi sia la stessa dipendenza che esiste nei giudizi di gravame. Per le controversie, invece, aventi ad oggetto la risuluzione di questioni relative alla determinazione del valore, il ricorso all'.A..G. d� luogo ad un controllo di legitti'Yliit� che non si sovrappone n� si sostituisce alla deeisione amministrativa; ma che porta o al riconoscimento della validit� delle decisioni o al loro annullamento. In quest'ultimo easo l'.A..G., la quale accerti l'illegittimit� della decisione della Commissione, non pu� sostituirsi al giudice amministrativo per determinare il giusto apprezzamento o l'esatto calcolo da seguire per stabilire il valore del bene, ma deve limitarsi (ove ne ricorrano~ beninteso, gli estremi fissati inderogabiwnente dalla;. legge; grave ed evidente errore di apprezzamento; assenza ed insufficienza di ea.lcolo), ad annullare la. decisione impugnata rimettendo quindi la vertenza;. alla stessa Commissione per riesame (la giitri8prudenza � costante sul punto cfr. Ca.~sazione 26 settembre 1956, n. 3265 in �Mass. Foro It. �, 1956, 601, Cassazione 11 marzo 1958, n. 828 �Foro It. �, 1958, I, 332; Cassazione 29 novembre 1958, n. 3818 �Foro It. Mass. �, 1958, n. 792; Cassazione 15 gennaio 1960, n. 24, ivi 1960~ 5, e da ultimo Cassazione Sezione Inite, 6 ottobre 1962, n. 2828 in �Giur. It. �, 1962; I, 1, 1486 oppure in �Foro Padano �> 1962, 1, 1121). Da ei� dfacende, come ulteriore conseguenza., che in tema di controversia aventi ad oggetto la congruit�. del valore, non pit� parlarsi di autonomia del procedimento contenzioso amministrativo rispetto al giudizio avanti la giurisdizione ordinariti. Riconosciuto infatti che nelle controvers�ie rifiettenti le imposte dirette, nei giudizi di estimazione� non � ammesso il sindacato dell'.A..G.O. sulle decisioni delle Commissioni); e che in tema di valutazione in materia di imposte indirette ricorre autonomia del giudizio amministrativo rispetto a quello davanti all'.A..G. per essere quest'ultimo un controllo di legittinit� che ha come necessario presupposto una decisione �Definitiva '' delle Commissioni amministrative, l'ammissibilit� dell'impugnazione diretta di una decisione della Commissione distrettuale davanti all'.A..G. resta radicalmente esclusa. La. Cassazione in un suo solo e non recente ar.resto (sentenza 11 aprile 1951 in � Riv. Leg. Fiscale �, 195J., .. _ 611) � stato di diverso avviso e nello stesso senso si � pronunciato, in seguito il Tribunale di Milano (sentenza 17 giugno 1957 in � Foro Pad. �, 1957> 2, 1019). -207 Il S. O. ha basato la tesi acfJolta sugli artt. 148 legge di registro e 39 secondo comma della legge 8 luglio 1937' n. 1516. Ha ritenuto, in particolare, la Oassazione che, prevedendo gli articoli sopra citati, la possibilit� di ricorso all'A.G. anche prima dell'esperimento dell'azione amministrativa, non fosse dubitabile che, l'art. 29 della legge 1936, facendo salvo il ricorso all'A.G. abbia altres� escluso che il reclamo alla Oommissione Prm,inciale possa costituire condizione di procedibilit� dell'azione stessa. Ma tale argomentazione non pu� condividersi. Sia infatti, l'art. 148 sia l'art. 39 sopra citati trovano applicazione solo nelle controversie aventi ad oggetto una questione di diritto �non in quelle in tema di valutazione n. Il primo comma dell'art. 39 secondo comma, richiama espressamente ed esclusivamente le controversie previste dal quarto comma dell'art. 29; (che prevede appunto le controversie relative all' applicazione della legge). Parimenti per l'art. 148 della legge di registro; gli artt. 34, 35, 36, 37 e 38 della stessa legge (ora abrogati proprio dalla legge n. 1639 del 1936) infatti prevedevano per le contestazioni in tema di valutazione un particolare procedimento in sede giurisdizionale speciale e ne dichiaravano espressamente l'inderogabilit� (vedasi sopratutto al riguardo l'art. 36), obbligando l'Amministrazione a promuovere, in seguito alla opposizione del contribuente contro l'accertamento fiscale, gli atti relativi. Al collegio peritale sono state sostituite, con la legge del 1936, le Oommissioni amministrative, ma non � perci� venuta meno l'obbligatoriet� della proposizione dello speciale preliminare procedimento. Pi� gravi, ma superabili, sono i motivi addotti dal Tribunale di Milano nella decisione pi� sopra citata. A sostegno della tesi accolta il Tribunale ha richia1nato come conforme la giurisprudenza del Supremo Oollegio (sentenze 1 febbraio 1947, n. 123 in cc lf'oro It. n, 1947, I, 893 con nota di Berliri; 3 aprile 1949, n. 1069 in << lf'oro It. �, 1949, I, 833; Oassazione, 19novembre1954, n. 4264 in cc Giur. Oompl. Oass. n, 1956, VI, 3497); ma tale richiamo non � pertinente. Tutte le decisioni sopra citate prendono in esame il diverso problema della esperibilit� dell'azione giudiziaria in tema di controversie di diritto, su cui, come d'altronde � stato gi� chiarito, non possono sussistere dubbi. Si afferma inoltre che la parola � definitiva n usata dal terzo comma dell'a1�t. '29 della legge 1639 del 1939 non pu� avere altro significato se non quello di escludere il ricorso alla Oommissione centrale (che � invece la regola in tema di controversie relative all'applicazione della legge) contro le decisioni emesse dalla Oommissione provinciale in tema di controversie di valore, mentre la stessa espressione non riguarderebbe l'impugnazione avanti all' A utorU� Giudiziaria delle stesse decisioni; che anzi avendo il legislatore usato le stesse parole adoperate nel comma seguente dello stesso articolo (il quale contempla controversie per le quali � pacifico che l'azione davanti l'A.G. � esperibile anche prima di ogni decisione delle Oommissioni) per far salva l'azione avanti ��l'A.G., implicitamente avrebbe confermata l'ammissibilit� di tale azione anche contro una decisione della Oommissione distrettuale. Aggiunge ancora la decisione che ulteriore argo1mento a sostegno della tesi accolta pu� trarsi dal raffronto dell'art. 29 con l'art. 22 della stessa legge. Quest'ultimo articolo concede infatti la facolt�. di adire l'A.G., anche contro una decisione �definitiva della Oommissione distrettuale o provinciale, purch� l'imposta sia stata iscritta a ruolo n. Dal che i giudici milanesi hanno tratto l'osservazione che sarebbe molto strano che il legislatore usando nell'art. 29 le stesse parole adoperate nell'art. 22, avesse attribuitoad esse un significato tanto diverso. Gli argomenti addotti, per quanto aouti, non sono� decisivi. Non convince innanzitutto il richiamo alla identit�. di espressioni usate dal terzo e quarto comtn(l, dell'art. 29, perch� tale identit� non sussiste in quantoil quarto comma, mentre omette di richiamare proprio la parola �definitiva� (che non ha solo il significato che gli ha attribuito il Tribunale di escludere il ricorso alla Oommissione centrale, ma ha anche quella di non consentire il ricorso all'A. G. contro una decisione non definitiva, che non abbia cio� percorso tuttol'iter previsto dalla legge), richiama invece la norma.tiva vigente per ciascuna imposta, il che consente (specie in materia di imposta di registro) il ricorsa all'A. G., senza che sia stata addirittura iniziata l'azione davanti alle Oommissioni aniministr<itive: vedi artt. 145e148. N� conviene il richiamo allart. 22, nel quale risulta evidente che la parola definitiva ha un significato (non soggetto a gravame per scadenza del termine) ben diverso da quello che la stessa parola ha nell'art. 29 (impugnabile solo davanti all'A. G.). Il Tribunale non ha considerato infatti (mentre proprio il richiamo all'art. 22 avrebbe su ci� dovuta richiamare l'attenzione) che in tema di imposte dirette l'azione davanti all'autorit� giudiziaria � consentita solo per le controversie che abbiano ad aggetta questioni non attinenti alla semplice estimazione dei redditi (cio� questioni di diritto), mentre le controversie in tema di estimazione semplice sfuggonoaddirittura all'esame dell'autorit� giudiziaria ordinaria. E sfuggita in sostanza al Tribunale la natura del tutto particolare che riveste il giudizio di valutazione in materia di imposte indirette previsto dall'art. 29, terzo comma della legge del 1936. Ammettendo infatti un cont1�ollo, sia pure di mera legittimit�, sull'operato delle Oommissioni da parte dell'autorit� giudiziaria ordinaria, il legislatore ha creato un istituto nuovo� che non ha riscontro alcuno per le imposte dirette. Oi� precisato, due motivi sono decisivi per l'opposta tesi: l'uno di origine storico letterale, l'altrodi ordine logico-sistematico. Il primo rifiette il significato della pm�ola defini� tivo usato dal legislatore del 1936. Non sembra iflubbio oggi, anche a coloro che pi� strenuamente difendono- la tesi dalla natura giurisdizionale delle QQmmissioni tributarie (ved. ALLoRro, op. cit., pag. 578 dqve_ _ viene �riesaminata funditus tutta la questione e dove si rimettono anche ampi richiami di giurisprudenza e dottrina) che l'intendimento iniziale del legislatore, anche se poi l'evoluzione della legislazione e dell'interpretazione ha portato ad accogliere la soluzione -;aul) contraria, fosse quello di creare con le Commissioni tributarie degli organi amministrativi (e non giuri. sdizionali) di controllo e di giustizia nell'ambito della Amministrazione Finanziaria. Da questa constatazione deriva che la parola � definitivo n usa,ta nel terzo comma del pi� volte citato art. 29 non pu� avere altro significato se non quello che la parola � definitivo n ha per gli atti amministrativi. Ora non sembra dubbio, secondo l'insegnamento costante della dottrina e della giurisprudenza, che un atto amministrativo � definitivo, non quando siano .scaduti i termini per impugnarlo davanti all'organo .superiore, ma solo allorch� abbia percorso tutti l'iter gerarchico. e l'organo superiore in grado abbia emesso una valutazione ultima e per questo detta definitiva. Ora quando l'art. 29 dichiara che � definitiva la decisione della Commissione Provinciale vuol non .solo dire che contro di essa non � ammesso ricorso alla Commissione centrale, ma sopratutto che tale decisione rappresenta l'ultima e cio� definitiva nella scala gerarchica; il che esclude l'amniissibilit� del ricor.'lo contro una decisione della Commissione di. strettuale che, se non impugnata nel termine, deter� mina in modo definitivo il valore del bene della cui valutazione si tratta, ma che mai potr� qualificarsi decisione definitiva e quindi soggetta al controllo dell'autorit� giudiziaria ordinaria. Il secondo motivo, di ordine logico e sistematico, .si ricava per assurdo portando alle estreme conseguenze la tesi avversata. Se infatti fosse ammissibile, come ritiene il Tribunale nella annotata decisione, impugnare davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria una deeisione di una Commissione distrettuale nei cui confronti sia scaduto il termine di impugnativa avanti alla Commissione provinciale (o ii cui s� sia rinunziato), si verificherebbe che, qualora l'autorit� giiidiziaria ordinaria dovesse ritenere esistente alcuno dei vizi denunziati, dovrebbe annullare la decisione e rimettere gli atti ad una diversa Commissione distrettuale per nuovo esame, rendendo cos� possibile, contro la decisione emessa in questa nuova sede, l'esperimento del ricorso alla Commissfone provinciale, quando da tale diritto (vuoi per effetto della scadenza del termine vuoi per rinunzia) si era in precedenza decaduti. L'assurdit� delle conseguenze dimostra altres� l'erroneit� della tesi che si contrasta ed � ulteriore e definitivo argomento della soluzione prospettata. N � si obbietti che ci� potrebbe verificarsi anche per le imposte dirette per le quali l'art. 22 ammette il ricorso all'autorit� giudiziaria ordinaria, anche contro una. decisione della Commissione distrettuale, purch� �definitiva n. L'obiezione infatti prescfode da quanto gi� chiarito e cio� che il giudizio dell'A.G.O. in tema di imposte dirette � ammesso solo in tema di controversie di diritto, per le quali non � previsto n� consentito un giudizio di controllo da parte dell'A.G.O. trattandosi invece di giudizio autonomo e quindi senza rimessione alle Commissioni. ADRIANO ROSSI PROCURATORE DELLO STATO INDICE SISTEMATICO DELLE e o N s u L T A zI o���N I LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN �LOUN MODO LA SOLUZIONE �OHE NE E' STATA DATA ACQUE PUBBLICHE LAGHI. Se un lago, quale il lago di Lesina, che sia in diretta comunicazione col mare, quando la efficienza di tale comunicazione sia condizionata all'opera dell'uomo di escavazione dei materiali che si accumulano lungo i canali, abbia le caratteristiche di libera comunicazione col mare volute dall'art. 28 lettera b) del Codice della Navigazione per essere considerato bene del demanio (n. 76). AERONAUTICA E AEROMOBILI !'ILOTI MILITARI IN CONGEDO -PREMIO DI ALLENAMENTO AL VOLO. 1) Se il premio di allenamento al volo per i militari piloti in congedo concesso con R. D. L. 20 luglio 1934, n. 1302 spetti anche a coloro che compiono le prescritte <>re di addest.ramento presso organizzazioni aeronautiche civili (n. 12). 2) Se al premio di allenamento al volo sia applicabile la prescrizione biennale di cui al R. D. 19 gennaio 1939, n. 295 (n. 12). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA CONCESSIONARI DI OPERE PUBBLICHE. 1) Se il concessionario di opere pubbliche possa acquisire i poteri di rappresentante dell'Amministrazione concedente per l'acquisto di aree necessarie alla esecuzione dell'opera concesAa (n. 269). �CONSIGLIO NAZIONALE RICERCHE -CANONE DI ABBONAMENTO TELEFONICO, 2) Se spetti anche al Consiglio Nazionale delle Ricerche il trattamento a riduzione per il canone di abbonamento telefonico urbano del quale fruiscono le Amministra: zioni dello Stato (n. 270). CONTRATTI DI ASSICURAZIONE. 3) Se le Amministrazione dello Stato possano stipulare contratti di assicurazione per i danni dalle medesime patiti o arrecati a terzi (n. 271). CROCE ROSSA ITALIANA -ACQUISTO DI BENI IMMOBILI. 4) Se sia necessaria l'autorizzazione governativa per l'acquisto di beni immobili da parte della C. R.I. (n. 272). FORO ERARIALE. 5) Se, a norma delle disposizioni sul foro erariale, il giudice competente a conoscere della causa relativa ad un infortunio occorso in occasione di un trasporto ferroviario sia la Corte di Appello nel cui distretto si trova il luogo dell'incidente anche se il tratto in cui questo si � verificato appartenga ad un Compartimento della Amministrazione ferroviaria sito entro il distretto di altra Corte di Appello (n. 273). POSTE E TELECOMUNICAZIONI -DIRITTO DI ESCLUSIVA. 6) Se il diritto di esclusivit� che spetta alla Amministrazione postale per i servizi di posta e telecomunicazione, e, in particolare per quelli relativi alla raccolta, trasporto e distribuzione della corrispondenza espistolare, sia operante anche nei confronti delle altre Amministrazioni statali (n. 275). UNIONE NAZIONALE INCREMENTO RAZZE EQUINE. 7) Se l'U.N.I.R.E. sia da considerarsi ente pubblico economico (n. 276). ASSICURAZIONI CONTRATTI DI ASSICURAZIONE. Se le Amministrazioni dello Stato possano stipulare contratti di assicurazione per i danni dalle medesime patiti o arrecati a terzi (n. 60). -210 CAMBIALI IMPOSTA DI BOLLO. Se una cambiale gi� compilata e rimasta inutilizzata possa in un secondo tempo essere usata per la emissione di un nuovo titolo, previe le opportune correzioni ed eventualmente la integrazione del bollo mediante apposizione di marche (n. 7). CITTADINANZA OPTANTI ALTO-ATESINI. Se coloro che siano nati cittadini italiani ed abbiano quindi acquisito la cittadinanza germanica per avere il loro genitore optato per quest'ultima ai sensi della legge 21 agosto 1939, n. 1341 possa ottenere il riacquisto della cittadinanza italiana dopo che ci� sia stato definitiva � mente negato al genitore per indegnit� in applicazione del D. L. 2 febbraio 1948, n. 23 avvalendosi, come residenti in Italia, delle disposizioni di cui agli artt. 3, n. 1 e 2 e 9 n. 1 della legge organica 13 giugno 1912, n. 555 (n. 14). COMMERCIO ASSUNZIONE SERVIZIO DI RISOALDAMENTO -IMPOSTA DI REGISTRO. Se i contratti con i quali le aziende grossiste di olio combustibile assumono la gestione degli impianti di riscaldamento invernale presso i condomini, ai fini del trattamento tributario di registro, debbano qualificarsi vendite o appalti (n. 19). COMPROMESSO ED ARBITRI ART. 45 LETTERA d) Nuovo CAPITOLATO D'APPALTO PER I LAVORI DELL'AMMINISTRAZIONE DEI LAVORI PUBBLIOI. Se competa all'Amministrazione dei Lavori Pubblici la nomina dell'arbitro, di cui all'art. 45 lettera d) del nuovo Capitolato generale di appalto approvato con D. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063, nell'ipotesi in cui la Amministrazione appaltante sia un ente diverso dallo Stato e l'appalto si riferisca ad opera finanziata con contributo statale .(n. 16). COMUNI E PROVINCIE DONAZIONI. 1) Se si debbano criticamente esaminare gli atti di alienazione dei beni ceduti ai Comuni e Provincie in esecuzione dell'art. 20 D. Lgt. 7 luglio 1866, n. 3036 quando non siano impostati su base economica e se il Ministero dell'Interno sia tenuto ad indirizzare l'attivit� di controllo dei prefetti e della G. P. A. ad una maggiore aderenza agli interessi pubblici e ad una corretta interpretazione delle norme in vigore (n. 104). 2) Se l'Amministrazione demaniale possa intervenire direttamente richiedendo, eventualmente, che l'immobile venga trasferito allo Stato ovvero che venga alienato� dal Comune con rispetto delle disposizioni regolatrici delle materie e con imputazione del ricav�t�...arproprio bilancio (n. 104). 'IMPOSTA DI FAMIGLIA, 3) Se le norme di cui agli articoli 93 legge comunale e provinciale, 117 T. U. Finanza locale, 44 legge 11 gennaio 1951, n. 25 e 18 legge 16 settembre 1960, n. 1014, relativi all'imposta di famiglia, possano ritenersi in contrasto con il disposto dell'art. 23 della Costituzione (n. 105). ORDINANZE DEL SINDACO IN MATERIA DI IGIBNE E SANIT�. 4) Se le ordinanze emanate dal Sindaco in materia � di igiene e sanit�, ai sensi dell'art. 54 T. U. legge comunale e provinciale, siano vincolanti anche per le Amministrazioni dello Stato (n. 106). PIANI REGOLATORI. 5) Se le prescrizioni dei programmi di fabbricazione dei Comuni sprovvisti di piano regolatore siano vincolanti anche relativamente alla viabilit� (n. 107). CONCESSIONI CONCESSIONI A SEGUITO DI PUBBLICO INCANTO -CANONE AFFITTO FONDI RUSTICI. Se la legislazione vincolistica in materia di equo canone di affitto di fondi rustici debba applicarsi anche nell'ipotesi in cui il fon.do appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato sia dato in concessione al privato a seguito di pubblico incanto (n. 70). CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO GARA -INTERVENTO DEL NOTAIO. 1) Se nell'eccezione, espressa per i casi di incanto per asta pubblica, al divieto per il notaio di rivevere atti nei quali intervengano il coniuge, i suoi parenti od affini ecc. (art. 28 legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89) si possa ricomprendere anche la licitazione privata (n. 191). MANDATO. 2) Se la revoca della procura c. d. irrevocabile ritualmente comunicata abbia efficacia rispetto al terzo (n. 192). CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI CREDITO PESOHEREOOIO. 1) Se il versamento delle rate di ammortamento a] Fondo di rotazione del credito peschereccio, da parte-~ degli Istituti di credito che provvedono alla erogazione dei mutui, possa cessare, in caso di inadempienza dei mutuatari, prima della dichiarazione forinale di perdita. del credito (n. 47). -211 2) Se debba far carico al Fondo cl.i rotazione il pagamento degli interessi di mora, per il ritardo nei pagamenti da parte dei mutuatari, nella stessa misura pretesa dall'Istituto di credito nei confronti dei mutuatari medesimi (n. 47). INTERESSI. 3) Se la dizione �interessi normali �usata in una Convenzione Tesoro-IRFIS per determinare la ripartizione delle perdite di una operazione finanziaria tra il Fondo di rotazione e Istituto finanziatore esprima il tasso di interessi in vigore al momento della conclusione del -0ontratto di finanziamento o al momento della stipulazione della predetta Convenzione (n. 48). COSTITUZIONE IMPOSTA DI FAMIGLIA. 1) Se le norme di cui agli articoli 93 legge comunale e provinciale, 117 Testo unico Finanza locale, 44 legge 11 gennaio 1951, n. 25 a 18 legge 16 settembre 1960, n. 1014, relative all'imposta di famiglia, possano ritenersi in contrasto con il disposto dell'art. 23 della Costituzione (n. 18). LEGGI REGIONALI. 2) Se debba ritenersi viziata di illegittimit� costitu- zionale, in relazione alrart. 15, 30 comma, S.S.T.A., la norma di una legge regionale che attribuisce al Vice- Provveditore agli studi di Bolzano funzioni aventi rilevanza esterna ed esorbitanti dai fini pervisti dalla -citata norma della S.S.T.A. (n. 19). DANNI DI GUERRA ltICOSTRUZIONE AllITAZIONI -M!SUltA DEI CONTRIBUTI. 1) Se la misura dei contributi per la ricostruzione di .abitazioni distrutte da eventi bellici debba stabilirsi oSecondo la legislazione vigente all'epoca della emana �~ione della � determina � di concessione ovvero secondo la diversa legislazione intervenuta prima della comuni- cazione della �determina � all'interessato, ma dopo la emanazione (n. 113). 2) Se le liquidazioni dei suddetti contributi effet- tuate in forza di una legge successiva alla legge 26 ottobre 1940, n. 1513, e divenuta definitiva per mancata impugnazione, siano soggette a revisione in virt� della legge n. 968/1953 (n. 113). DEMANIO :BENI [GI� A.J.>P.ARTENENTI ALLA CORONA -CESSIONE IN USO. 1) Se i beni gi� appartenenti alla Corona siano soggetti a regime giuridico diverso da quello degli altri beni .appartenenti al patrimonio dello Stato (n. 176). .BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI -ALIENAZIONE. 2) Quali eleme.ti caratterizzano l'appartenenza di un ibene al patrimonio indisponibile dello Stato (n. 177). 3) Se la alienazione di un bene patrimoni~le indisponibile, senza che ne sia avvenuto il formale mutamento di destinazione da parte della P. A., sia da considerarsi nulla o annullabile (n. 177). CONCESSIONI BENI PATRIMONIALI. 4) Se la legislazione vincolistica in materia di equo canone di affitto di fondi rustici debba applicarsi anche nell'ipotesi in cui il fondo appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato sia dato in concessione al privato a seguito di pubblico incanto (n. 178). DEMANIO MARITTIMO -COSTRUZIONI AJIUSlVE -SANZIONI. 5) Se colui che costruisca abusivamente su terreno appartenente al demanio marittimo sia soggetto alla sanzione penale dell'art. 1161 Codice della navigazione o a quella dell'art. 633 C. p. (n. 179). CHIESA S. IGNAZIO IN ROMA -CONDIZIONE GIURIDICA. 6) Se la Chiesa di S. Ignazio in Roma debba ritenersi di propriet� del Demanio o del Fondo per il Culto (n. 180). LAGHI. 7) Se un lago, quale illago di Lesina, che sia in diretta comunicazione col mare, quando l'efficienza di tale comunicazione sia condizionata all'opera dell'uomo di escavazione di materiali che si accumulano lungo i canali, abbia le caratteristiche di libera comunicazione col mare volute dall'art. 28 lettera d) del Codice della Navigazione per essere� considerato bene del demanio (n. 181). Uso DI BENI DELLO STATO DA PARTE DI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SUPERIORE. 8) Se gli osservatori astronomici, geofisici e vulcano� logici e le istituzioni universitarie di assistenza abbiano diritto, alla pari delle universit� e degli istituti superiori universitari, all'uso gratuito e perpetuo degli immobili dello Stato destinati al loro servizio, qualunque sia l'epoca in cui l'assegnazione � stata o sar� realizzata (n. 182). DONAZIONI COMUNI E PROVINCIE. 1) Se si debbano cr:iticamente esaminare gli atti di alienazione dei beni ceduti ai Comuni e Provincie in esecuzione dell'art. 20 D. Lgt. 7 luglio 1866, n. 3036 quando non siano impostati su base economica e se il Ministero dell'Interno sia tenuto ad indirizzare l'attivit� di controllo dei prefetti e della G. P. A. ad una maggiore aderenza agli interessi pubblici e ad una corretta interpretazione delle norme in vigore (n. 34):. _ 2) Se l'Amministrazione demaniale possa interve~ __ direttamente richiedendo, eventualmente, che l'immobile venga trasferito allo Stato ovvero che venga alienato dal Comune con rispetto delle disposizioni regolatrici delle materie e con imputazione del ricavato al proprio bilancio (n. 34). 212 ENTI E BENI ECCLESIASTICI CHIESA S. IGNAZIO IN ROMA -CONDIZIONE GIU1UDICA. Se la Chiesa di Sant'Ignazio in Roma debba ritenersi di propriet� del Demanio o del Fondo per il Culto (n. 39). ESECUZIONE FISCALE ESATTORE -INDENNIT.�, DI MORA. 1) Se il termine �notifica� degli addebiti agli esattori di cui all'art. 3 legge 8 luglio 1957, n. 579 debba intendersi esclusivamente in senso tecnico (n. 65). 2) Se l'indennit� di mora possa applicarsi agli esattori anche quando manca una espressa delegazione (n. 65). RISCOSSIONE ENTRATE PATRIMONIALI. 3) Se l'Amministrazione possa avvalersi del particolare procedimento ingiunzionale disciplinato dal Testo unico del 1910 per accertare e liquidare in via autoritativa le somme ad essa dovute per risarcimento de i danni (n. 66). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� OCCUPAZIONE D'URGENZA. 1) Se nella occupazione di urgenza al deposito dell'indennit� stabilita dal Prefetto debba seguire la sua determinazione in sede giudiziaria non contenziosa ai sensi dell'art. 31 della legge sull'espropriazione per p.u. (n. 179). SCELTA DELLE AREE -CRITERI. 2) Se, per procedere alla valutazione comparativa d'idoneit� tra un'area designata per l'espropriazione ed altra indicata dall'espropriando in sede di opposizione, occorra che l'opponente abbia la disponibilit� dell'area indicata (n. 180). FALLIMENTO RISCOSSIONE CREDITI. Se occorra l'autorizzazione del Giudice delegato per la riscossione da parte del curatore di capitali di spettanza del fallito (n. 78). FERROVIE� COADIUTORI DEGLI ASSUNTORI F. S. 1) Se sussista rapporto d'impiego tra l'Amministrazione e i coadiutori degli assuntori delle F. S. (n. 345). DANNI ALLE PERSONE -FORO COMPETENTE. 2) Se, a norma delle disposizioni sul foro erariale il giudice competente a conoscere della causa relativa ad un infortunio occorso in occasione di un trasporto ferroviario sia la Corte di Appello nel cui distretto si trova il luogo dell'incidente anche se il tratto ferroviario in cui questo si � verificato appartenga ad un Compartimento dell'Amministrazione ferroviaria sito entro il distretto di altra Corte di Appello (n. 346). FERROVIE CONCESSE -IMPOSTA FABBRICATI E TERRENI. 3) Se le societ� concessionarie di ferrovie sottoposte a gestione governativa siano soggette alle imposte sui fabbricati e sui terreni destinati ai serviziO ferr�viario (n. 347). dESTIONE DI MAGAZZINO FERROVIARIO PER RICOVERO MERCI DA SDOGANARE. 4) Se la gestione di un magazzino ferroviario per il ricovero di merci estere da sdoganare possa essere affidata a soggetti diversi dai facchini nominati dal Direttore Compartimentale della Dogana ai sensi dell'art. 1 Reg. approvato con R. D. 4 dicembr� 1864, n. 2046 (n. 348). IMPIEGO PUBBLICO AGENTI TECNICI DEI TRASPORTI. 1) Se, agli agenti tecnici dei trasporti, applicati presso i Centri Automezzi P. T., possano essere attribuiti, in base alla legge 21 dicembre 1961, n. 1406, le mansioni di riparazione meccanica ed elettrica nonch� quelle di carrozziere e garagista (n. 551). CESSIONE DI STIPENDIO. 2) Se la detrazione dalla liquidazione disposta dalla legge a favore dell'I.N.P.S. per la ricostituzione della posizione assicurativa del dipendente che cessa dal rapporto senza diritto a pensione prevalga sulle cessioni effettuate dal dipendente a favore dell' E. N. P. A. S. (n. 552). IMPIEGATI ADIBITI ALLA CONDUZIONE DI AUTOVEICOLI RESPONSABILIT� PATRIMONIALE. 3) Se la legge 31 dicembre 1962, n. 1833, [recante modificazioni ed integrazioni alla disciplina della responsabilit� patrimoniale dei dipendenti dello Stato adibiti alla conduzione di autoveicoli o altri mezzi meccanici,. sia applicabile anche alla ipotesi di veicoli non circolanti per via terra (n. 553). IMPOSTA DI BOLLO CAMBIALI. Se una cambiale gi� compilata e rimasta inutilizzata. possa in un secondo tempo essere usata per la emissione di un nuovo titolo, previe le opportune correzioni ed eventualmente la integrazione del bollo mediante apposizione di marche (n. 23). IMPOSTA DI REGISTRO CONTRATTI ASSUNZIONE SERVIZIO RISCALDAMENTO- Se i contratti con i quali le aziende grossiste di olio. combustibile assumono la gestione degli impianti di riscaldamento invernale presso i condomini, ai fini del trattamento tributario di registro, debbano qualificarsi vendite o appalti (n. 194). ���������------------------ -213 I. G.� E. CASSA DEL MEZZOGIORNO -ANTICIPATA E PROVVISORIA GESTIONE DI ACQUEDOTTI. Se lo speciale regime di abbonamento previsto per la Cassa del Mezzogiorno in materia di imposta possa applicarsi anche alle entrate, sia pure a titolo di rimborso spese, conseguenti alla gestione provvisoria che la Cassa fa ai Comuni mettendo in attivazione anticipata acque� dotti non ancora interamente costruiti o collaudati (n. 103). IMPOSTE E TASSE l:MPOSTA DI FAMIGLIA. 1) Se la norma di cui agli articoli 93 legge comunale e provinciale, 117 T. U. Finanza locale, 44 legge 11 gennaio 1951, n. 25 e 18 legge 16 settembre 1960, n. 1014, relative all'imposta di famiglia, possa ritenersi in contrasto con il disposto dell'art. 23 Costituzione (n. 358). !MPOSTA FABBRICATI E TERRENI. 2) Se le�societ� concessionarie di ferrovie sottoposte a gestione governativa siano soggette alle imposte sui fabbricati e sui terreni destinati al servizio ferroviario (n. 359). ISTRUZIONE SUPERIORE Uso DI BENI DELLO STATO. Se gli osservatori astronomici, geofisici e vulcanologici e le istituzioni universitarie di assistenza abbiano diritto, alla pari delle universit� e degli istituti superiori universitari, all'uso gratuito e perpetuo degli immobili dello Stato destinati al loro servizio, qualunque sia la epoca in cui l'assegnazione � stata o sar� realizzata (n. 14). LAVORO SERVIZIO MILITARE DI LEVA. Se, a seguito della pubblicazione della sentenza n. 8 del 1963 della Corte Costituzionale, sussista comunque il diritto del lavoratore al computo del tempo trascorso in servizio militare di leva sulla anzianit� e se detto computo debba essere effettuato non solo ai fini della liquidazione della indennit� di quiescenza ma a tutti gli altri effetti (n. 35). LOCAZIONI LEGGE 30 SETTEMBRE 1963 N. 1307 -PROROGA ESECUZIONE SFRATTI. Se l'art. 1 della legge 30 settembre 1963, n. 1307, disponente la facolt� del pretore di prorogare l'esecuzione degli sfratti, sia applicabile alle locazioni d'immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione o dall'attivit� artigiana, ed in particolare se sia applicabile agli immobili locati ad uso di uffici pubblici (n. 118). LOTTO E LOTTERIE SMARRIMENTO BOLLETTE VINCENTI DA PARTE DEL RICE� VITORE. 1) Se debba procedersi al pagamento di una vincit� al lotto quando siano andate smarrite le bollette vincenti debitamente consegnate dal giocatore al ricevitore (n. 19). 2) Se possa ritenersi responsabile il ricevitore per aver spedito le bollette vincenti, di poi smarritesi, a mezzo di raccomandata invece che di assicurata, e se la sua responsabilit� possa estendersi all'Amministrazione (n. 19). MANDATO MANDATO IRREVOCABILE -REVOCA. Se la revoca della procura c. d. irrevocabile ritualmente comunicata abbia efficacia rispetto al terzo (n. 9). MEZZOGIORNO CONSORZI PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE -ESPROPRIA� ZIONE DI IMMOBILI. 1) Se i Consorzi per lo sviluppo industriale previsti dalla legge 29 luglio 1957, n. 634 possano procedere all'espropriazione di immobili per l'esecuzione di opere di attrezzatura industriale dichiarate di pubblica utilit� dalla stessa legge indipendentemente dalla redazione dei piani regolatori previsti dall'art. 21 cit., aventi in virt� di tale disposizione efficacia giuridica identica ai piani territoriale di coordinamento (n. 24). I. G. E. -ANTICIPATA E PROVVISORIA GESTIONE DI ACQUE� DOTTI. 2) Se lo speciale regime di abbonamento previsto per la Cassa del Mezzogiorno in materia di imposte possa applicarsi anche alle entrate, sia pure a titolo di rimborso spese, conseguenti alla gestione provvisoria che la Cassa fa ai Comuni mettendo in attivazione anticipata acquedotti non ancora interamente costruiti o collaudati! (n. 25). MILITARI CONDUCENTI MILITARI -A.zlONE DI RIVALSA DELLA P. A. 1) Se sia rinunciabile, nelle forme e nei limiti previsti dall'art. 8, 20 comma, legge 31 dicembre 1962, n. 1833, il diritto dell'Amministrazione a rivalersi nei confronti del dipendente militare riconosciuto responsabile di un incidente automobilistico, con decisione della Corte dei Conti anteriore alla entrata in vigore della predetta legge e che non abbia accertato il grado di colpa del dipendente (n. 18). MILITARE IN SERVIZIO DI LEVA. 2) Se la limitazione di responsabilit� stabilita nella legge n. 1833 del 1962 sia applicabile al militare di leva che, alla guida di una autovettura dell'Amministrazione per un servizio non autorizzato, cagioni un danno alla. Amministrazione medesima (n. 19). 214 -:- MONOPOLI LICENZA COLTIVAZIONE TABACCO, 1) Se la licenza per coltivazione di tabacco, oggetto di legato da parte del concessionario ad una persona giuridica, debba essere a questa intestata con riferimento .alla data della morte del testatore o a quella della autorizzazione governativa ad acquistare il legato (n. 41). 2) Se, in attesa dell'autorizzazione governativa ad .acquistare il legato, la licenza per la coltivazione di tabacco, legata ad una persona giuridica, possa essere provvisoriamente intestata all'erede ed esecutore testamentario (n. 41). OPERE PUBBLICHE ARBITRATO. 1) Se competa all'Amministrazione dei Lavori Pubblici la nomina dell'arbitro, di cui all'art. 45 lettera d) del nuovo capitolato generale di appalto approvato .con D. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione appaltante sia un ente diverso dallo Stato e l'appalto di riferisca ad opera :finanziaria con .contributo statale (n. 54). POTERI DEL CONCE.SSIONARIO. 2) Se il concessionario di opere pubbliche possa acquisire i poteri di rappresentante dell'Amministrazione concedente per l'acquisto di aree necessarie alla esecuzione dell'opera concessa (n. 55). PENE PENE PECUNIARIE. Se la quota di compartecipazione alle pene pecuniarie �spettante, in forza della legge 5 aprile 1961, n. 322, agli .scopritori delle frodi nella preparazione e commercio dei prodotti agrari e delle sostanze di uso agrario, debba .ess,ere attribuita globalmente, in relazione all'accertamento di trasgressione, ovvero ad ogni singolo agente o funzionario scopritore (n. 18). POLIZIA LOCALI DI MERETRICIO. Se, a seguito dell'entrata in vigore d,ella legge 20 febbraio 1958, n. 75 (legge Merlin) debbano considerarsi .abrogati gli artt. 190 e 191 del Testo unico di Pubblica sicurezza e l'art. 346 del Relativo Regolamento di ese. cuzione (n. 29). POSTE E TELECOMUNICAZIONI ASSEGNI POSTALI LOCALIZZATI -PRESCRIZIONE -RINNOVO. 1) Se gli assegni. postali localizzati, caduti in prescrizione, possano essere rinnovati (n. 98). AGENTI TECNICI DEI TRASP~RTI. 2) Se agli esperti tecnici dei trasporti, applicati presso i Centri Automezzi P. T., possano essere attribuiti, in base alla legge 31 dicembre� 1961, �n: 1406, -le mansioni di riparazione meccanica ed elettrica nonch� quelle di carrozziere e garagista (n. 99). DmITTO DI ESCLUSIVA. 3) Se il diritto di esclusivit� che spetta alla Amministrazione Postale per i servizi di posta e telecomunicazione e, in particolare, per quelli relativi alla raccolta trasporto e distribuzione della corrispondenza epistolare sia operante anche nei confronti delle altre Amministrazioni statali (n. 100). PREVIDENZA ED ASSISTENZA IMPIEGATI STATALI -CESSIONE STIPENDIO. Se la detrazione dalla liquidazione disposta dalla legge a favore dell'I.N.P.S. per la ricostituzione della posizione assicurativa del dipendente che cessa dal rapporto senza diritto a pensione prevalga sulle cessioni effettuate dal dipendente a favore dell'E.N.P.A.S. (n. 42) . REGIONI REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE -LEGGE REGIONALE. Se debba ritenersi viziata di illegittimit� costituzionale, in relazione all'art. 15; 30 comma, S.S.T.A., la norma di una legge regionale che attribuisca al Vice-Provveditore agli studi di Bolzano funzioni aventi rilevanza esterna ed esorbitanti dai fini previsti dalla citata norma dello S.S.T.A. (n. 109). RESPONSABILITA CIVILE AzIONE DI RIVALSA. 1) Se sia rinunciabile, nelle forme e nei limiti previsti dall'art. so, 20 comma, legge 31 dicembre 1962, n. 1883, il diritto dell'Amministrazione a rivalersi nei confronti di un dipendente militare riconosciuto responsabile di un incidente automobilistico, con decisione della Corte die Conti anteriore alla entrata in vigore della predetta legge e che non abbia accertato il grado di colpa del dipendente (n. 203). CONTRATTI DI ASSICURAZIONE. 2) Se le Amministrazioni dello Stato possano stipulare contratti di assicurazione per i danni dalle medesime patiti o arrecati a terzi (n. 204). IMPIEGATI STArALI -RESPONSABILIT� PATRIMONIALE. 3) Se la legge 31 dicembre 1962, n. 1833, �recante modificazioni ed integrazioni alla disciplina della responsabilit� patrimoniale dei dipendenti dello Stato adibiti alla conduzione di autoveicoli o altri mezzi meccanici, sia applicabile anche alla ipotesi di veicoli non circolanti per via terra (n. 205). "�----------------------~,,,_-""""""' -215 �MILITARE IN SERVIZIO DI LEVA. 4) Se la limitazione di responsabilit� stabilita nella legge n. 1833 del 1962 sia applicabile al militare di leva �che, alla guida di una autovettura dell'Amministrazione per un servizio non autorizzato, cagioni un danno alla Amministrazione medesima (n. 206). .RES:PONS.A.BILIT� DEL :MAGISTRATO. 5) Se la responsabilit� in cui sia incorrn il magistrato nell'esercizio di funzioni giurisdizionali poe1:a estendersi . all'Amministrazione (n. 207). RICORSI AMMINISTRATIVI :RIOORSO GERAROHIOO. 1) Se indipendentemente dalla presenza di altri requi �siti di sostanza e di forma possa qualificarsi come ricorso gerarchie(! la lettera indirizzata sia all'Autorit� periferica che ha provveduto sia all'Amministrazione Cen trale gerarchicamente superiore con la quale si chieda �una revisione del provvedimento da parte dell'organo �che lo ha emanato (n. 10). 2) Se l'autorit� gerarchicamente superiore abbia il potere di revocare d'ufficio per motivi di merito il provvedimento emanato dall'organo inferiore (n. 10). STRADE .ALBERATURE ESISTENTI AI LATI DELLE STRADE. 1) Se la responsabilit� per i danni cagionati dalla im �missione di radici o rami nel fondo altrui sia esclusa o 1imitata dal mancato esercizio da parte del proprietario �danneggiato del diritto di autotutela attribuitogli dall'art. 896 C. c. (n. 49). . A:e:PROV AZIONE :PROGETTI. 2) Se il Ministro dei Lavori Pubblici che abbia appro �vato il progetto di variante ad una strada statale, sia competente anche ad approvare il progetto, necessario per l'esecuzione dell'opera, di spostamento di un elettrodotto ferroviario (n. 50). TELEFOJ\11 CANONE. 1) Se spetti anche al Consiglio Nizio;aie delle Ricerche il trattamento a riduzione per il canone di abbonamento telefonico urbano del quale fruiscono le :Amministrazioni dello Stato (n. 24) . RIMOZIONE IMPIANTI -SEQUESTRO APPARECCHI. 2) Se il potere conferito all'Amministrazione P. T . di rimuovere gli impianti e di sequestrare gli apparecchi nel caso previsto dall'art. 178 del Codice postale (esercenti esclusivi di linee di telecomunicazioni) si riferisca solo a fatti commessi a bordo di navi nazionali oppure si estenda a tutti gli altri casi di concessionari inadempienti o di esercenti abusivi di linee telefoniche ad uso privato, in qualsiasi luogo esistano i relativi impianti (n. 25). 3) Se per la rimozione degli impianti e per il sequestro degli apparecchi esistenti nel domicilio o nel fondo altrui, sia necessario osservare le norme che garantiscono costituzionalmente l'inviolabilit� dell'altrui domicilio (n. 25). TRANSAZIONI A:e:PROVAZIONE. Se dopo l'entrata in vigore della legge 31 dicembre 1962, n. 1833 gli organi centrali dell'Amministrazione abbiano conservato le competenze ad approvare le transazioni stipulate ai sensi della legge citata, il cui importo non superi il limite di tre milioni di lire (n. 9) � TRATTATI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI AccORDO ITALO-FRANCESE 29 NOVEMBRE 1947 . Se il Governo italiano, cessionario del Governo francese in esecuzione dell'accordo italo-francese del 29 novembre 1947, possa pretendere da ditte italiane la restituzione di anticipi corrisposti dal governo francese in relazione a contratti di fornitura rimasti ineseguiti per l'intervenuto stato di guerra tra i due Paesi (n. 12). .,'�. :i� ����--------