PUBBLICAZIONE

RASSEGNA 

DI SERVIZIO

DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ANNO xv -N. 4-5-6 APRILE-MAGGIO-GIUGNO 1963 

ANNIVERSARIO 


Il 1 O maggio, primo anniversario della morte 
dell'Avvocato Generale dello Stato on. prof. Salvatore 
Scoca, nella sede dell'Avvocatura Generale dello 
Stato � stato scoperto un busto a ricordo dello scomparso 
alla presenza dei familiari e degli Avvocati 
dello Stato. 

L'Avvocato Generale avv. Giovanni Zappal�, ricordando 
brevemente i meriti e l'opera del suo predecessore, 
ha detto: 

�Non � questo certamente il luogo adatto per 
commemorare degnamente il nostro caro ed indimenticabile 
Avvocato Generale Salvatore Scoca; n� 
io potrei, con troppo brevi e sommari cenni, delineare 
qui i tratti salienti di una personalit� cos� 
complessa e poliedrica che ha svolto una lunga ed 
intensa attivit�, non solo nell'ambito del nostro 
Istituto, ma anche nel campo politico ed universitario 
ed in quello della scienza finanziaria. 

�Sar� possibile promuovere una solenne commemorazione, 
allorquando sar� pronta la grande sala 
al pianterreno, in corso di restauro. Frattanto, nel 
triste anniversario della Sua immatura scomparsa, 
abbiamo voluto elevare qui, con il concorso di tutti 
i colleghi, questo bronzo, fra queste mura che gli 
furono cos� familiari, fra cui Egli svolse la Sua 
attivit� nel nostro Istituto al servizio dello Stato. 
-� E' un segno della nostra riconoscenza e del nostro 
qtto che affidiamo ai giovani ed agli Avvocati 
) Stato che ancora verranno in questo grande 
Jio, costruito per accogliere i devoti alla regola 
w dei pi� grandi padri della Chiesa, per pro
�e l'opera nostra, cos� come noi, oggi, contino 
quella di chi ci ha preceduto, cercando, con 
,veranza ed impegno, di conservare e continuare 
;, lunga e luminosa tradizione e di arricchire 
_.tel patrimonio ideale di dignit�, probit�, alto ed 
umano senso di giustizia che ci � stato tramandato. 

�E' altamente significativo che il busto dedicato 
a Salvatore Scoca si affianchi qui a quello di due 
nostri grandi e venerati Maestri: Giuseppe Mantellini 
e Gaetano Scavonetti. 

�Giuseppe Mantellini, sommo giurista, discepolo 
ideale dei grandi giureconsulti dell'antica Roma, 
seppe trarre dai loro insegnamenti i -principi ispi



1�atori di quei suoi studi sui � conflitti di attribuiione 
� e su �lo Stato ed il Codice Civile � con 
cui sono stati tracciati, quasi un secolo orsono, 
alcuni dei lineamenti fondamentali del nostro diritto 
amministrativo. 

� Uomo politico di ferrea tempra ed inflessibile 
rettitudine, allorquando venne incaricato dell'arduo 
compito di organizzare la nuova Istituzione seppe, 
fin dall'inizio, con rara perizia e fermezza, adeguarne 
la struttura a quell'alta concezione dello Stato cui 
si era .ispirato anche in passato difendendola nel 



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Parlamento e nei Paese, con passione quasi mistica. 
E di questa sua creatitra egli fu vigile tutore 
nei primi anni difficili; la sorresse con mano sicura; 
la ravviv� col suo affetto; la protesse col suo personale 
prestigio. 

cc Gaetano Scavonetti, organizzato1�e ed animatore 
geniale, dedic� tutta la sua vita al nostro Istituto, 
rinunziando a quella carriera politica che pure gli 
si era dischiusa con tante allettanti prospettive. 
Viga'Fia d'ingegno, grande prestigio personale, altissima 
coscienza dei propri doveri gli consentirono di 
far fare al nostro Istituto, per il quale ebbe l'affetto 
pi� profondo, passi g�iganteschi, in molto breve tempo. 

<e I pi� anziani fra noi ricordano di aver visto 
inumidirsi gli occhi di quest'uomo, dal carattere 
cos� fermo e dalla personalit� cos� potente, il giorno 
in cui fu costretto, per ragioni politiche, a lasciare 
il nostro Istituto. 

cc Non gli doleva certo l'esser privato di ben pochi 
vantaggi materiali, dei quali, del resto, non si era 
mai curato; lo rattristava l'essere distaccato dal suo 
lavoro, dai suoi colleghi, particolarmente da quei 
giovani che aveva, con tanta cura, cercato ed accolto 
nel nostro Istituto per assicurarne l'avvenire, al 
quale guardava con ansiosa trepidazione. 

cc 1Ji questi due grandi Salvatore Scoca ebbe a 
raccogliere l'ideale eredit�. Gi� nella Sua personalit� 
era dato cogliere i tratti caratteristici dell'uno e dell'altro. 
Di Giuseppe M antellini la sapienza giuridica, 
l'amore per lo studio e per l'indagine scientifica; 
di Gaetano Scavonetti la capacit� organizzativa; di 
entrambi l'attaccamento all'Istituto, l'alta considerazione 
dei suoi compiti, cos� essenziali all'ordinato 
svolgersi dell'attivit� della Pubblica Amministrazione, 
il profondo senso dello Stato, l'intransigente 
tutela .dei pubblici interessi. 

e< Nell'azione di questi tre uomini � dato rilevare 
una sicura continuit� di intenti e di pensim�o, che 
costituisce, ancor oggi, una delle componenti essenziali 
della forza del nostro Istituto e la migliore 
garanzia per l'avvenire. Giuseppe Mantellini non 
solo fiss� con le leggi, alla cui formulazione egli 
attivamente partecip�, le caratteristiche sostanziali 
dell'Avvocatura che ne designano chiaramente i compiti 
e le funzioni e ne assicurano l'indipendenza di 
giudizio e di azione, ma col suo insegnamento, 
condensato in un decalogo di alto valore morale 
egli, soprattutto, volle stabilire un costume, ancora 
oggi, per fortuna, nonostante il trascorrere del tempo, 
cos� vivo e sentito, tanto ne sono connaturati i principi 
con l'essenza stessa delle nostre funzioni. 

cc L'opera di Gaetano Scavonetti si riallaccia a 

quella di Mantellini; Egli pot� realizzare quello che 

altri, invano, aveva auspicato: le riforme del 1923-25 

che, con l'lstituzione del foro erariaie e �'unificazione 
nel nostro Istituto di tutti gli organi di consulenza e 
difesa delle Amministrazioni .$tatali, .ha,J.eso possibile 
quella rigida' unit� di indirizzo che � tanto essenziale 
all'esercizio delle nostre funzioni. 

cc Alle sostanziali realizzazioni di Scavonetti si 
riallaccia l'opera di Salvatore Scoca il quale, durante 
sedici anni, in tempi difficili, �non solo ha saputo 
preservare il nostro Istituto, che era riuscito a conservare 
durante i tragici eventi che avevano sconvolto 
il Paese, la sua sostanziale unit� e la sua dignit�, 
da ogni possibile involuzione, ma ha potuto anche 
dargli ancor maggior forza e prestigio con l'assunzione 
delle funzioni di difesa della legittimit� delle 
leggi e degli atti dell'esecutivo nei conflitti d'attri'
fiuzione dinanzi la Oorte Costituzionale, con l'estensione 
del patrocinio alle Regioni a statuto speciale, 
con un razionale adeguamento degli organici alle 
nuove esigenze. 

cc La sua azione sar�, quindi, sempre ricordata 
come quella di colui che ha degnamente perf ezionato 
e consolidato l'opera iniziata da M antellini e 
proseguita da Bcavonetti. 

�Oome ho detto all'inizio, non � possibile soffermarsi 
sull'intensa e fruttuosa attivit� di Salvatore 
Scoca, svolta da giurista, professore universitario, 
uomo politico, n� sulle sue indagini di studioso, sui 
suoi scritti e discorsi dalla cattedra al banco del 
Governo, sulle ardue battaglie combattute nel Parlamento 
e nelle aule giudiziarie; n� dire con quanto 
senso di giustizia, coscienza dei propri doveri, non 
disgiunta da quell'afflato di umanit� che permeava 
tutta la sua personalit�, egli ha adempiuto per 
circa 16 anni, nel nostro Istituto, alle alte funzioni 
affidategli. Non posso, tuttavia, tralasciare un ricordo 
che � certamente presente nella mente di tutti 
noi: Egli era iscritto ad un. partito politico, ma 11.on 
fu mai uomo di parte. Un tale atteggiamento ripugnava 
alla fiera indipendenza del Sito carattere, 
all'alta considerazione che Egli aveva delle funzioni 
degli Avvocati dello Stato, al Suo profondo senso di 
giustizia, alla bont� e generosit� del Suo animo. 

�Ad un anno di distanza dalla Sua scomparsa noi 
ci ritroviamo qui con la stessa commozione, con lo 
stesso accoramento del momento in cui apprendemmo 
che Egli ci aveva lasciati per sempre. Tuttavia sen-, 
tiamo che Egli sar� sempre presente fra noi pr.r 
guidarci col suo pensiero, per rincuorarci con il 
suo esempio; e noi tutti prendiamo impegno di 
continuare nel nostro lavoro con passione e perseveranza 
sulla strada segnata dalla nobile tradizione 
del nostro Istituto. 

cc Sar� questo il modo migliore di ricordarlo e di 

onorarlo�. 

--�-------�-�---�-------�--�-�-��-�---�-�-�-�����-�-�----..----------�-----------------" 


�OSSERVAZIONI SULLA 


NEI GIUDIZI DINANZI 


1. Fra i molti problemi interpretativi posti dalla 
vigente disciplina delle funzioni giurisdizionali della 
Corte dei Conti -non tutti, in realt�, sufficientemente 
approfonditi dalla dottrina -, una particolare 
attenzione merita la questione relativa alla 
esatta definizione della posizione processuale della 
Amministr.azione dello Stato nei giudizi (di conto, 
di responsabilit�, in materia di pensioni) in cui 
sono dedotti diritti ed interessi ad essa pertinenti. 
Com'� noto, la tutela processuale di questi 
diritti e interessi non � affidata. all'Avvocatura 
dello Stato, ma compete (salvo chiarire esattamente 
in quali modi e limiti) all'organo che presso 
la Corte rappresenta il pubblico ministero, ossia al 
Procuratore Generale. 

Ci� potrebbe far pensare (e, in effetti, si tratta 
di opinione alquanto diffusa) che nell'attivit� del 
Procuratore Generale si cumulino le funzioni di 
pubblico ministero e quelle di rappresentante in 
giudizio delle amminist:razioni statali, ossia di 
Avvocato dello Stato (1). Ma, in realt�, ad una 
riflessione approfondita, tale configurazione non 
pu� non apparire in::1,mmissibile. 

Alla disciplina eccezionale della competenza in 
ordine alla tutela processuale degli interessi dello 
Stato nei giudizi dinanzi alla Corte lnon pu� non 
corrispondere un atteggiamento del tutto particolare 
dei modi in cui tale tutela si esplica. 

La qualit� di organo del pubblico ministero che 
spetta per legge al Procuratore Generale (art. 1, 

(1) Questa duplice qualificazione delle funzioni del 
Procuratore Generale fu prospettata gi�. nei lavori preparatori 
della legge 14 agosto 1862, n. 800, che istitu� 
la Corte dei Conti (cfr. Relazione parlwmentare, 17 marze 
1862 in �Atti parlamentari�, sess. 1861-62, 129/C). I 
cumulo delle attribuzioni di p. m. con quelle di rap 
presentante dell'Amministrazione fu aspramente criti 
cato dal V.ANNI : Organizzazione degli uffici finanziari, 
in �Primo trattato completo di dir. amm. it. >> a cura 
di V.E. ORLANDO, vol. IX, Milano 1902, pag. 1307 
(l'illustre scrittore, rilevata la contraddittoriet� delle 
due attribuzioni, auspicava che, nell'interesse della 
maest� della legge, lo �sconcio � fosse rimosso. Contra: 
VroARio, La Cot;te dei Conti in Italia, Milano 1925, 
pag. 71 ss.). Fra gli Autori che accolgono la duplice 
configurazione delle funzioni del Procuratore Generale: 
TANGO, voce Corte dei Conti, in �Digesto italiano �; 
MoFFA: Il concetto di parte, la pubblica Amministrazione 
e le spese nei giudizi innanzi la Corte dei Conti, in � Rivista 
dir. pubbl. �, 1922, I, 1 ss.; id., La Corte dei Conti 
del Regno d'Italia, Milano 1939, p. 60 ss.; SEPE: La Corte 
dei Conti. Ordinamento e funzioni di controllo, Milano 
1956, p. 122 ss.; ZANOBINI: Corso di diritto amministrativo, 
vol. II, Milano 1954, p. 337 s. 
DIFESA DELLO STATO 


ALLA CORTE DEI CO-NTI 


4a comma, T.U. 12 luglio 1934, n. 1214) non � 
compatibile con la funzione di rappresentante della 
Amministrazione. 

Ci� poteva apparire non del tutto chiaro in passato, 
quando nel pubblico ministero si vedeva il 
� rappresentante del potere esecutivo presso la 
autorit� giudiziaria �. In questa formula equivoca, 
legata alle origini storiche dell'istituto, poteva 
sembrare compresa la funzione di tutela degli 
interessi pubblici specifici soggettivati nella pubblica 
Amministrazione. Oggi, per�, una simile 
configurazione pu� dirsi senz'altro superata. 

Per quanto sia tuttora aperto il dibattito relativo 
alla natura giuridica delle funzioni del pubblico 
ministero e all'inquadramento dell'organo fra quelli 
amministrativi o fra quelli giurisdizionali, � ormai 
pacifico, anche per coloro che propendono per la 
natura amministrativa dell'organo e delle funzioni, 
che l'interesse (se d'interesse pu� parlarsi) cui 
provvede l'attivit� del pubblico ministero non � 
e non pu� essere l'interesse che muove la pubblica 
Amministrazione nel perseguimento dei suoi fini 
pubblici concreti, ma si identifica con l'interesse 
generalissimo all'attuazione dell'ordinamento giuridico, 
alla realizzazione della giustizia (2). 

La differenza fra le funzioni del pubblico ministero 
e quelle dell'Avvocatura dello Stato si presenta 
quindi nettissima (3). Mentre l'Avvocatura 
assume il patrocinio dell'Amministrazione ove ad 
essa si opponga in conflitto l'interesse dei singoli, 
al pubblico ministero compete la funzione di pro


(2) Sembra, in realt�, che, al di l� delle formule adoperate, 
su questo punto non esista contrasto. Con� 
fronta CmoVENDA: Istituzioni di diritto processitale civile, 
vol. II, Sez. I, Napoli 1934, p. 73 ss.; CRISTOFOLINI: 
Sulla posizione e sui poteri del pubblico ministero nel 
processo civile, in �Riv. dir. proc. civ. �, 1930, Il, 23; 
ALLORIO: Il pu.bblico ministero nel nuovo p1�ocesso civile, 
ivi, 1941, I, 212; CARNELUTTI: Istituzioni del nuovo processo 
civile italiano, vol. I, Roma 1951, p. 198 ss.; REDENTI: 
Diritto processuale civile, vol. I, Milano 1952, 
p. 86 ss.; CALA.ll!IANDREI: Istituzioni di diritto processuale 
civile, vol. II, Padova 1944, pag. 280 ss.; SATTA: Diritto 
processuale civile, Padova -1957, pag. 57 ss.; id., Commentario 
al cod. proc. civ., Libro I, Milano 1959, p. 230 ss. 
(3) Lo svolgimento storico che ha condotto alla rigorosa 
distinzione fra la posizione della pubblica Amministrazione 
parte in causa, col patrocinio dell'Avvocatura, 
e quella del pubblico ministero � delineato chiaramente da 
CmccA: L'evoluzione storica dei principi della soggezione �--alla 
giurisdizione e della difesa legale dello Stato, in 
cc Rass. Avv. Stato�, 1951, 18. Da ricordare il fondamentale 
contributo del Mantellini, che, cori chiara visione 
sistematica, decisamente si oppose alla propoi;ita di affidare 
al pubblico ministero la difesa legale dello Stato. 

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muovere imparzialmente la realizzazione dell'ordinamento 
in quei casi in cui, secondo la valutazione 
del legislatore, si pone� un'esigenza di attuazione 
dei suoi precetti indipendentemente dalle 
richieste e dall'attivit� delle parti interessate alla 
situazione o al rapporto regolati. 

L'Avvocatura dello Stato, cio�, impersona la.
Amministrazione nel conflitto che l'oppone ad un 
altro soggetto dell'ordinamento. Il pubblico ministero 
impersona l'ordinamento stesso nella sua 
esigenza di realizzazione al di l� e al di sopra degli 
interessi dei soggetti in conflitto, sia pure fra questi 
soggetti si trovi I'.Amministrazione. 

Orbene, � chiaro che in uno stesso organo non 
possono assolutamente coesistere la funzione, tipica 
del pubblico ministero, di promuovere super 
partes (4) l'attuazione dell'ordine giuridico e quella, 
tipica dell'Avvocatura dello Stato, di rappresentare 
e difendere in giudizio le .Amministrazioni 
dello Stato cc parti in causa � contro altri soggetti. 
La diversit� radicale degli interessi cui le due funzioni 
si coordinano ne esclude il contemporaneo 
esercizio da parte di un sol organo. 

Il Procutatore Generale della Corte dei Conti, 
in realt�, non � pubblico ministero e avvocato dello 
Stato insieme, ma �, sempre e soltanto, pubblico 
ministero, come tale definito dalla legge e come 
tale, nella pratica, operante. Le sue attribuzioni 
si caratterizzano invariabilmente in funzione dell'interesse 
al promovimento dell'esatta e piena 
attuazione dell'ordinamento, e solo di riflesso il 
loro esercizio pu� involgere (non necessariamente) 
la tutela di specifici interessi pubblici propri dello 
Stato-Amministrazione. 

Tutto ci� � ormai chiaro alla dottrina pi� avveduta 
(5) ed � stato pi� volte ribadito dalla stessa 

(4) � nota la disputa, in atto nella dottrina processualistica, 
sul riconoscimento o meno al pubblico ministero 
della qualit� di parte. Senza entrare nel merito di tale 
disputa, vogliamo solo porre in rilievo il fatto che la 
peculiarit� della funzione del pubblico ministero segna 
una netta distinzione fra la sua posizione processuale 
e quella delle parti (o, se si preferisce, delle altre parti). 
Tanto � vero che anche chi riconosce al p.m. la qualit� 
di parte � costretto a ricorrere ad aggettivazioni (�parte 
imparziale �, �parte in senso formale >>, �parte pubblica
�) che, in buona sostanza, finiscono col negare o col 
limitare grandemente la portata del principio affermato. 
La giurisprudenza della S.C. esclude nel pubblico 
ministero la qualit� di parte: cfr. sentenza, 7 febbraio 
1956, in Foro it., 1956, I, 467, con la quale � stata, 
coerentemente, dichiarata inammissibile la condanna alle 
spese del p. m. soccombente. 

(5) DEL SERA: I motivi nuovi del Procit.ratore Generale 
nel giudizio p�r rimborso di quote di imposte inesigibili, 
in <<Corte dei Conti in sede giur. �, 1934, 179; SoLINAS 

Cossu: Legittimit� dell'intervento della R. Avvocatura 

Erariale e del Procuratore Generale nei giudiz.i di giustizia 

amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti, in �Riv. di


ritto pubb. >>, 1911, Il, 466; AMATUCCI: Connessione e 

continenza di causa nei giudizi di responsabilit�, in 

�Corte dei Conti in sede giur. �, 1936, Il, 245 s.; ALFANO, 

f'oqiz. proc. qez l',G, n,elle oori,t. relative a rimborso per 

giurisprudenza della Corte, che non ha mancato 
di portare il principio alle logiche conseguenze. 
� stato ritenuto ammissibile, ad esempio, il ricorso 
del Procuratore Generale contro un �provvedimento 
di liquidazione di pensione anche quando la sua 
azione tenda all'affermazione di una tesi sfavorevole 
all'Amministrazione (6). 

Si pu� quindi senz'altro escludere che l'Amministrazione 
dello Stato, dinanzi alla Corte dei 
Conti, stia in giudizio rappresentata dal Procuratore 
Generale. La tutela dei suoi interessi resta 
affidata all'azione del Procuratore, ma non nel 
senso che questi sia in qualche modo vincolato alla 
difesa delle pretese dell' .Amministrazione. Solo nel 
limite in cui tali pretese, secondo il libero e insindacabile 
apprezzamento del Procuratore Generale, 
coincidano con l'interesse all'esatta applicazione 
della legge, esse possono trovare ingresso, attraverso 
l'esercizio. dei poteri del Procuratore, nello 
agone processuale. Nulla esclude, in principio, che 
quegli stessi poteri siano invece esercitati in modo 
sostanzialmente conforme all'interesse del privato 
che si pretende leso da un atto dell'Amministrazione. 

2. Nei giudizi ad istanza dei privati la posizione 
del Procuratore Generale come pubblico ministero 
� sufficientemente chiara. Non sembra possa dubitarsi, 
in principio, che l'Amministrazione non � 
parte in tali giudizi (7). 
Di fronte alla pretesa del privato attore, il Procuratore 
Generale non impersona l'Amministrazione 

inesigibilit�, ivi Il, 16; VICARIO, op. cit.; GroGNI: Il Procuratore 
Generale nelle funzion�i della Corte dei Conti, 
in� Riv. Corte dei Conti>>, 1948, I, 16; GRECO: Il pubblico 
ministero della Corte dei Conti, ivi, 1955, I, 77; BORZELLINO: 
Sulla figura giuridica del Procuratore Generale 
presso la Corte dei Conti, in �Giust. civ.>>, 1956, Il, 27; 
SINOPOLI: voce Corte dei Conti, in �Novissimo Digesto 
Italiano�. 

(6) Corte dei Conti, Sezione Riunite, 16 febbraio 
1955, n. 12 in �Giust. civ.>>, 1956, Il, 27. 
Qualche incertezza circa la posizione processuale del 
Procuratore Generale permane, tuttavia, nella giurisprudenza 
della Corte; cfr. Sez. Il, 10 aprile 1959, in 
�Foro amm. >>, 1959, III, 2, 46. Secondo questa sentenza, 
nei giudizi in materia di pensioni a totale carico dello 
Stato, il Procuratore Generale assommerebbe in s� le 
funzioni di pubblico ministero e di rappresentante della 
Amministrazione. 

La giurisprudenza della Corte � per� ferma nell'escludere 
la condanna alle spese del Procuratore Generale 
soccombente in giudizio. Tale principio viene giustificato 
in base a considerazioni analoghe a quelle che ispirano la 
ricordata giurisprudenza della Cassazione relativa al 
pubblico ministero nel processo civile. Cfr.: Sezioni 
Riunite, 11 novembre 1957, n. 52/A, in �Riv. Corte dei 
Conti>>, 1957, III, 175; Sezione III, 24 O'btobre 1956, 

n. 8542, ivi, 1957, III, 78. Contra: MoFFA: Il concetto-di 
parte, cit.; t'ou."'-LIRI: La condanna nelle spese ed i 
giudizi alla Corte dei Conti, in �Arch. rie. giur. �, 1958, 4 7 4. 
(7) Cfr. Corte dei Conti, Sezione III, 24 ottobre 1956, 
n. 8542, cit.; Sezione I, 16 maggio 1935, in �Corte dei 
Qonti in sede giur. �, 1~36, II, 15, 

-69


.contro la quale la pretesa � rivolta, ma si pone 

come puro tutore della legalit�. La sua attivit� 

potr� quindi, di volta in volta, e sempre in piena 

indipendenza, rivolgersi alla difesa dell'operato 

dell'Amministrazione oppure alla difesa delle ra


gioni del privato, ovvero ancora, almeno in alcuni 

casi (8), potr� tendere al rigetto della pretesa nel


l'attore entro limiti e per motivi diversi da quelli 

contemplati nell'atto amministrativo impugnato. 

Lo stesso vale per Pipotesi di impugnativa, da 

parte del Procuratore Generale, di un decreto di 

liquidazione di pensione. � evidente che l'azione 

del Procuratore � ordinata esclusivamente al fine 

dell'oggettiva realizzazione della legalit�, indipen


dentemente da ogni preoccupazione di tutela delle 

ragioni dell'Amministrazione o degli interessi del 

privato interessato. 

La norma dell'art. 76 del Regolamento di pro


cedura, secondo la quale il Procuratore Generale 

� pu� ricorrere quando !lia leso l'interesse dell'E


rario�, � stata giustamente superata dall'interpre


tazione giurisprudenziale, che � giunta ad affermare 

senza equivoci la posizione del tutto imparziale 

del Procuratore Generale in questa sua attivit� 

di promotore di un giudizio di legalit� sull'operato 

dell'Amministrazione, indipendentemente dalla sus


sistenza di un qualunque interesse, del privato o 

dell'Amministrazione stessa, cui tale attivit�, di 

fatto, si coordini (9). 

In tutti questi casi (giudizi in materia di pen


sione; giudizi ad istanza dei privati), si verifica 

dunque questa situazione: delle parti interessate 

alla lite, solo una {il privato) � presente nel giudizio; 

la partecipazione dell'altra {l'Amministrazione) non 

� invece prevista, mentre � imposto l'intervento 

del pubblico ministero a garanzia della piena e 

-0orretta attuazione della legge nella decisione 

della lite. 

3. � da porre in rilievo la singolarit� di questa 
disciplina. 
Nel diritto privato, com'� noto, esiste tutta una 

serie di rapporti e di situazioni giuridiche rispetto 

.alle quali si determina, secondo l'apprezzamento 

del legislatore, e per ragioni di volta in volta di


verse, l'esigenza di assicurare l'attuazione piena 

.e incondizionata della disciplina positiva, indipen


dentemente dall'iniziativa e dall'attivit� dei sog


getti direttamente interessati. 

Sono appunto i casi in cui � attribuito al pubblico 

:ministero il potere di agire o di intervenire fu 

giudizio. 

Indubbiamente situazioni analoghe possono de


terminarsi anche nel campo del \li.ritto pubblico. 

� agevole rendersi conto come l'attuazione della 

� �disciplina pubblicistica di 
determinati rapporti fra 
le pubbliche Amministrazioni e i singoli possa 
.essere assunta dal legislatore ad oggetto di un in


(8) Cos� nei giudizi in materia di rimborso di imposte 
per inesigibilit�. Cfr. Cassazione, S.U., 27 luglio 1933, 
in cc Foro amm. �, 1934, II, 8; Corte Conti, Sezione I, 
16 maggio 1935, cit.; DEL SERA, op. cit.; .ALFANO, op. cit. 
(9) Sezioni Riunite, 16 febbraio 1955, n. 2, cit. 
teresse che supera quello delle parti {della parte 
privata, come dell'Amministrazione) e sia quindi 
affidata all'azione del pubblico ministero. 

Nel diritto comune, per�, la presenza nel�proeesso 
del pubblico ministero non comporta, di regola, 
l'esclusione delle parti interessate al rapporto dedqtto 
in giudizio. La diversit� degli interessi di cui 
sono portatrici la parte pubblica e le parti private 
ne impone, anzi, la contemporanea presenza. 

Nel nostro caso, invece, l'Amministrazione i cui 
interessi si trovano ad interferire con l'azione del 
Procuratore Generale � esclusa dalla partecipazione 
al giudizio. La legge sembra non ammettere alcuna 
possibilit� di valutazione autonoma, da parte della 
Amministrazione e con il concorso della competenza 
tecnica dell'organo legale, degli interessi in gioco: 
ogni potest� in materia � rimessa al Procuratore 
Generale. 

Tale disciplina, a ben considerare, non sembra 
reggere alla critica. 

Alla sua radice � una visione inadeguata delle 
funzioni del pubblico ministero, una concezione 
intorbidata dal difetto di una chiara consapevolezza 
della distinzione che va fatta fra l'interesse obbiettivo 
all'attuazione dell'ordinamento e gli interessi 
pubblici specifici soggettivati nell'Amministrazione. 


Certamente apprezzabile � perci� l'indirizzo giurisprudenziale 
inteso, in armonia con l'evoluzione 
dell'ordinamento generale, a liberare la funzione 
tipica del Procuratore Generale da ogni legame 
con l'interesse specifico dell'Amministrazione dedotto 
in giudizio. L'evoluzione della figura generale 
del pubblico ministero impone certamente di risolvere 
in questo senso le dubbiezze e le ambiguit� 
rilevabili nella disciplina positiva dell'attivit� dello 
organo del pubblico ministero presso la Corte dei 
Conti. 

La considerazione del concreto interesse pubblico 
che costituisce oggetto del giudizio non pu� non 
essere totalmente subordinata, nell'attivit� del Procuratore 
Generale, al perseguimento del fine obbiettivo 
dell'esatta applicazione della legge. Ma 
appunto perci� appare incoerente negare all'Amministrazione, 
nella quale quell'interesse si soggettiva, 
la facolt� di partecipare direttamente, 
assistita dall'Avvocatura, al dibattito processuale, 
sostenendo il proprio punto di vista anche quando 
{anzi, soprattutto quando) esso non coincide con 
quello patrocinato dal pubblico ministero. 

All'interesse pubblico non pu�, invero, mancare 
quella tutela processuale che la legge riconosce 
anche agli interessi privati interferenti con l'azione 
del pubblico ministero. 

� auspicabile, perci�, che venga ammessa la 
partecipazione dell'Amministrazione al giudizio, naturalmente 
in forme adeguate alla struttura di 
questo {10).. 

(10) La cc contumacia istituzionale� dell'Amministrazione 
dello Stato nei giudizi dinanzi alla Corte dei Conti 
viene considerata talmente connaturata al carattere di 
tali giudizi che � stato ritenuto non potersi giustificare la 
presenza dell'Avvocatura dello Stato nei giudizi relativ 

-70 


La distinzione dell'interesse generalissimo tutelato 
dal Procuratore Generale e dell'interesse pubblico 
specific� portato in giudizio dall'Avvocatura 
in rappresentanza. dell'Amministrazione non pu� 
che giovare allo svolgimento dell'attivit� giurisdizionale 
della Corte, attuando, da un lato, nella 
maniera pi� rigorosa, il fondamentale principio 
del contraddittorio e contribuendo, dall'altro, alla � 
pi� netta e chiara caratterizzazione delle funzioni 
del Procuratore Generale come organo del pubblico 
ministero. La commistione dei due interessi o la 
obliterazione di uno di essi comporterebbe invece 
inconvenienti tali da far apparire superato l'ordinamento 
processuale dei giudizi dinanzi alla 
Corte. 

4. Del resto, questa distinzione fra la tutela 
processuale dell'interesse all'attuazione della legge 
e quella dell'interesse pubblico specifico soggettivato 
nell'Amministrazione � attuata in tutti i 
giudizi dinanzi alla Corte concernenti Amministrazioni 
non statali, onde non si vede proprio 
come possa giustificarsi il diverso sistema seguito 
per i giudizi interessanti lo Stato. 
A parte i giudizi d'appello avverso le decisioni 
dei Consigli di Prefettura, nei quali le Province, 
i Comuni e gli altri Enti stanno in giudizio rappresentati 
dai propri legali, � da ricordare, in particolare, 
la disciplina dei giudizi relativi a pensioni 
a carico degli Enti previdenziali amministrati dalla 
Direzione generale degli Istituti di previdenza 
presso il Ministero del Tesoro. L'Avvocatura dello 
Stato sta in giudizio in rappresentanza dell'Ente 
liquidatore e per la tutela dei suoi interessi. Il 
Procuratore Generale, da parte sua, svincolato 
completamente dagli interessi in gioco, si limita a 
presentare conclusioni nell'interesse della legalit�. 

In questi casi, � pi� chiara e netta la tipica 
funzione del Procuratore Generale, svincolata da 
ogni legame con gli interessi in conflitto, e, d'altra 
parte, la specifica tutela di questi interessi � assicurata 
in modo pieno e completo. 

L'evidente razionalit� del sistema ne impone la 
generalizzazione. 

a pensioni a carico dell'Amministrazione Ferroviaria, ! 

se non in virt� del carattere di ente pubblico autonomo 
che andrebbe riconosciuto al Fondo Pensioni per i 1 
personale delle F.S. (Corte Conti, Sezione II, 12 luglio 
1961, in <<Foro amm. �, 1962, III, 49. Cfr. anche Sezioni 
Riunite 3 marzo 1911, in � Riv. Corte Conti�, 1911, 117). 

� da ricordare, come espressione di un indirizzo total mente 
diverso, la decisione delle Sezioni Riunite, 27 
maggio 1911 (in �Riv. dir. pubbl. >> 1911, II, 455) che 
ammise l'intervento dell'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza 
dell'Amministrazione del Tesoro, in un giu dizio 
promosso da impiegati della Corte. Conf.: SoLINAS 
Cossu, op. cit. 

L'intervento delle A,mministrazioni dello Stato, rappresentate 
dall'Avvocatura, nei giudizi dinanzi alla 
Corte fu, in principio, ritenuto ammissibile senza limiti 
dalla stessa procura Generale nelle conclusioni presentate 
nel giudizio concluso con la citata decisione delle Sezioni 
Riunite 3 marzo 1911. 

5. Una considerazione a parte richiedono i giudizi 
sui conti presentati dagli agenti contabili 
dello Stato ed i giudizi di responsabilit� promossi 
dal Procuratore Generale nei confronti dei dipendenti 
statali. �--�� �� � 
Trattandosi dell'accertamento di un diritto al 
risarcimento del danno spettante all'Amministrazione, 
sembrerebbe evidente che, aJmeno in 
questo caso, il Procuratore Generale, promovendo 
tale accertamento, rappresenti l'Amministrazione 
titolare del diritto. In realt�, anche in questo caso, 
� da escludere che di rappresentanza si tratti. 
L'attivit� del Procuratore Generale nei giudizi 
di conto e di responsabilit� non ha caratteri diversi 
da quelli che, come abbiamo visto, le son propri 
negli altri giudizi dinanzi alla Corte. Si tratta sempre 
di un'attivit� postulata dall'ordinamento in 
funzione della sua realizzazione rispetto a determinati 
rapporti, e non di un'attivit� di parte 
interessata al rapporto di cui si tratta. Il fatto che 
l'azione del Procuratore Generale tenda ad ottenere 
un positivo provvedimento favorevole all'Amministrazione, 
non significa che il Procuratore impersoni 
I'.Amministrazione nella sua veste di parte 
titolare della pretesa al risa.rcimento del danno. 
Significa soltanto che, nella valutazione dell'ordinamento, 
l'attuazione della sanzione predisposta 
a tutela dell'integrit� del patrimonio dello Stato 
(attuazione che dev'essere assolutamente garantita, 
rispondendo ad un rilevantissimo interesse 
generale) non pu� essere rimessa all'iniziativa di 
quegli stessi funzionari dell'Amministrazione attiva 
che della norma sanzionatoria sono i destinatari (11), 
ma deve essere assicurata in maniera obbiettiva, 
attraverso l'azione indipendente del pubblico ministero. 
� quindi sempre un'esigenza di attuazione obbiettiva 
dell'ordinamento, indipendentemente dalla 
attivit� delle parti, che spiega l'attribuzione al 
Procuratore Generale dei necessari poteri processuali 
per giungere all'accertamento della responsabilit� 
civile e contabile dei funzionari e agenti dello 
� Stato (Il-bis). � 
� per� da porre in rilievo il fatto che, in questa 
) ipotesi, non pu� postularsi un'esigenza di integrai 
zione del contraddittorio mediante la partecipa


! 

(11) V., in proposito, VICARIO, op. cit. 
(Il-bis) Possono citarsi, fra le altre ipotesi di azione 
del p.m. per la realizzazione di diritti di soggetti determinati 
che, per ragioni diverse, non sono in grado di promuovere 
l'attuazione dell'ordinamento in proprio favore: 
l'azione civile nel processo penale nell'interesse del 
danneggiato incapace (art. 105 C.p.p.); la difesa della 
paternit� di un'opera dell'ingegno quando l'autore � 
morto e manchino o omettano di agire le persone legittimate 
(art. 24 D.L. 7 novembre 1925, n. 1950); la rettificazione 
degli atti dello stato civile nell'interesse di persone 
povere (art. 167 R.D. 9 luglio 1939 n:� 1237). 

In questi casi, secondo i pi�, il p. m. assumerebbe la-veste 
di �sostituto processuale� (contra: SATTA, opere 
citate). 

La tesi � seguita, per i giudizi dirianzi alla Corte dei 
Conti, dal GRECo, op. cit. 


-71


'I 

_: zione al giudizio delle Amministrazioni interessate. �f!'.ll'esercizio dei poteri inquisitori che' la. legge 
,Le ragioni che giustificano l'attribuzione al pubblico I �emanda al Procuratore Generale, rafforzandoli 
. ministero della titolarit� dell'azione non possono J .on l'obbligo di denuncia a carico dei superiori 


non far ritenere esclusiva tale attribuzione. ' 

Ci� non toglie, peraltro, che tale situazione � 
da considerare del tutto eccezionale; il che trova, 
in certo modo, conferma nei casi in cui la giurisdizione 
della Corte vien meno per ragioni di 
connessione con la giurisdizione penale. 

Nell'esercizio dell'azione di responsabilit� contro 
i dipendenti della Amministrazione mediante costituzione 
di parte civile nel processo penale si manifesta 
chiaramente, col venir meno delle particolari 
ragioni che impongono la sottrazione dell'esercizio 
dell'azione all'organo legale dell'Amministrazione, 
la perfetta ammissibilit� delle normali attribuzioni 
dell'Avvocatura dello Stato anche in questo campo. 

All'Avvocatura resta, d'altronde, devoluto l'e


sercizio delrazione di responsabilit� di fronte alla 

autorit� giudiziaria ordinaria in tutti i casi in cui 

l'autore del danno all'erario, per essere vincolato 

all'Amministrazione da un rapporto sfornito dei 

caratteri della permanenza e della volontariet�, � 

escluso (per l'evidente insussistenza delle ragioni 

che, come abbiamo visto, spiegano l'attribuzione 

dell'azione di responsabilit� al Procuratore Gene-

raie) dall'assoggettamento alla giurisdizione della 

Corte. Cosi in particolare, per i militari di leva. 

� da porre in rilievo la grave sperequazione che 

si verifica a carico di -questi soggetti. La loro 

esclusione dall'orbita della giurisdizione della Corte 

(indubitabile alla stregua del vigente ordinamento: 

cfr. Cassazione, Sezioni Unite, 18 aprile 1958, 

n. 1290) (12) comporta, da un lato, l'impossibilit� 
(12) In GiUBt. civ., 1958, I, 1040. 
gerarchici dell'autore del dami�; e, d�ll'iiltro, fa 
esclusione di quella speciale facolt� di riduzione 
della condanna � al risarcimento che spetta alla 
Corte dei Conti nei casi di sua competenza. Sopratutto 
quest'ultima conseguenza appare difficilmente 
giustificabile. Proprio per coloro che prestano un 
servizio occasionale e non volontario alle dipendenze 
dell'Amministrazione, l'esercizio dello speciale 
potere dispositivo del giudice sembra infatti 
rispondere a evidenti motivi di equit�. 

Sommamente auspicabile �, perci�, l'unificazione 
della giurisdizione relativa ai giudizi di responsabilit� 
nei confronti di tutti i dipendenti dello 
Stato, quale che sia la natura del loro rapporto di 
servizio. L'attribuzione di tutta la materia alla 
competenza della Corte dei Conti concilierebbe nella 
maniera migliore le esigenze di un rigoroso perseguimento 
dei responsabili e di una valutazione 
equitativa delle particolarit� di ogni singolo caso. 

E, va aggiunto, la necessit� di una unificazione 

della disciplina appare urgente anche per quanto 

attiene al diritto sostanziale. La responsabilit� per 

danni arrecati a terzi, in particolare, � limitata, 

com'� noto, ai casi di dolo o colpa grave soltanto 

nei confronti degli impiegati civili (13). La evi


dente esigenza di un'uniformit� di trattamento 

dovr� condurre alla formazione di una disciplina 

generale indiscriminata per tutte le categorie dei 

dipendenti dell'Amministrazione. 

(13) In virt� della legge 31 dicembre 1962, n. 1833, 
lo stesso principio si applica, ora, a tutti i dipendenti 
dello Stato addetti alla conduzion3 di autoveicoli o di 
altri mezzi meccanici. 
MARCELLO CONTI 

PROCURATORE DELLO STATO 



NOTE DI DOTTRINA 


PASQUALE CARUGNO : L'espropriazione per pubblica 
utilit�. V ed., Giuffr�, Milano, 1962, pp. 470. 

La Rassegna ebbe a recensire la IV edizione di 
questa opera (v. pag. 112 del 1958). 

La nuova edizione viene pubblicata dopo la 
approvazione da parte del Senato di un progetto di 
legge per la modifica di alcune disposizioni della 
legge fondamentale sull'espropriazione per pubblica 
utilit� e dopo la promulgazione della legge 18 
aprile 1962, n. 167 sulla acquisizione da parte dei 
Comuni di aree edificatorie, per la costruzione di 
case di tipo economico e popolare. 

L'autore si � limitato alla menzione delle suddette 
modifiche che non hanno dato luogo a seri 
rilievi nella discussione del progetto di legge. 

.Alla legge n. 167 sono dedicati tre paragrafi, il 
primo dei quali � la riproduzione di uno scritto 
inserito nella Rivista Ammfoistmtiva della Repubblica 
(v. fase. n. 1 del 1962) prima che si perfezionasse 
l'iter legislativo. In questo scritto, compiendosi 
sulla scorta .del testo (disegno definitivo) 
approvato dalla Camera dei deputati una prima 
disamina dei criteri informatori del disegno di 
legge, si contengono ripetuti accenni ad un progetto 
di legge predisposto dal Governo francese 
per le c.d. zone da urbani'zzare in priorit� e per 
quelle ad �rbanizzazione differita, che obbediva 
alla stessa finalit� di combattere la speculazione 
in materia di aree edificatorie. Con l'esposizione, 
integrata da opportuni raffronti, dei suddetti criteri 
il Carugno prendeva, adunque, posizione propugnando 
concetti e principi che, se si ha riguardo 
al tema fondamentale della origine del carattere 
edificatorio dei terreni compresi nell'ambito dei 
piani regolatori, non possono considerarsi una 
novit�, ma costituiscono uno svolgimento coerente 
ed un ulteriore approfondimento dell'indirizzo razionale 
perseguito nelle precedenti edizioni. 

Ma l'autore che si � sempre avvalso, per la 
definizione del requisito dell'edificatoriet�, dei richiami 
giurisprudenziali in rapporto ai piani regolatori, 
non omette in questa quinta edizione l'avvertimento 
che le enunciazioni della giurisprudenza 
devono essere intese alla stregua delle norme contenute 
in alcune leggi speciali e che bisogna perci� 
tenere conto della diversit� del procedimento cui 
� astretto l'interprete e di quello adottabile nel campo 
teorico con la necessaria libert� di impostazione 
e con la consapevolezza che i risultati della ricerca 
possono ritenersi validi solo se scaturenti da un 
processo logico coerente. Tenendo presente questa 
avvertenza, ci si pu� spiegare come il Carugno 
non esiti ad affermare che, grazie alla legge speciale 
del 1962, il vecchio e tanto discusso problema 
della formazione del c.d. demanio comunale di 
aree edificatorie sia stato per la prima volta af


frontato e risolto dal nostro legislatore con criteri 
veramente razionali. 

Ci si rende conto altres� del fatto che il Carugno, 
opponendosi all'indirizzo prevalente, persista nella 
idea che il vantaggio speciale derivante dall'opera 
pubblica alla parte residua del fondo non espropriata 
non debba essere considerato alla stregua di 
�un vantaggio � esclusivo, ed in verit� i nuovi 
orientamenti del legislatore non potevano non 
costituire per lui che incentivo a perseverare in 
questa opinione. 

A pagina 187, n. 84, l'Autore torna ad esaminare 
il problema della discriminazione della competenza 
giurisdizionale del giudice ordinario da quella del 
giudice amministrativo in materia di impugnazione 
degli atti del procedimento di espropriazione. 

Ripudia, ai fini della identificazione del giudice 
competente la teorica della c.d. prospettazione alla 
quale aveva aderito nella precedente edizione ed 
afferma che la competenza dell'a.g. cc deve scatm'ire 
dalla ricognizione dei limiti rigorosi entro cui il 
legislatore ha inteso per determinati obbietti circoscrivere 
il potere di espropriazione; indugia nel 
rilevare la discrepanza ancora sussistente nella 
giurisprudenza nei rispetti dell'ipotesi della cessazione 
degli effetti della dichiarazione di pubblica 
utilit�, che egli, seguendo il prevalente indirizzo 
dottrinale, sostiene doversi equiparare a quella 
della mancanza assoluta della dichiarazione. 

Un nuovo paragrafo (n. 185-bis) � dedicato al 
tema della retrocessione dell'immobile espropriato 
ai sensi dell'art. 63 della legge del 1865. Anche in 
questo paragrafo l'Autore, muovendo dalla giusta 
premessa che gli effetti della dichiarazione di p.u. 
devono ritenersi esauriti quando l'espropriazione � 
stata pronunciata nel termine in essa stabilito, 
fa rilevare che l'espressione cc decadenza � adoperata 
in quel disposto con riferimento all'efficacia 
della dichiarazione di p.u. non sarebbe del tutto 
corretta e che il suo significato genuino � quello 
della estinzione del diritto dell'espropriante di 
eseguire l'opera per cui fu ordinata l'espropriazione 
dopo l'inutile decorso del termine suddetto. Rilievo 
questo che viene fatto avendo riguardo sia all'aspetto 
funzionale della dichiarazione di p.u., 
sia alla diversit� degli effetti scaturenti dall~ 
inosservanza del termine prescritto per il compimento 
dell'opera, s� che l'autore ne trae argomento 
anche per ribadire l'insostenibilit� della 
opinione che la decadenza operi ipso iure, dato che 
il nuovo trasferimento del bene espropriato non 
pu� avverarsi indipendentemente da una doman�a giudiziale 
dell'interessato e da una pronuncia, 
avente, come � noto, carattere costitutivo. Principio 
che egli trova modo di ribadire nelle osservazioni 
che illustrano la portata dell'art. 23 della 



legge 28 febbraio 1959, n. 43 (Gestione INA


. casa), disposto nel quale si discorre di operativit� 
ipso iure della decadenza �dall'espropriazione� in 
caso di inosservanza del termine di un anno prescritto 
per l'inizio dei lavori (v. nota 12 a pag. 361 
e segg.), e cos� pure nel commento di una decisione 
della Cassazione riguardante l'espropriazione regolata 
dalla legge 2 luglio 1949, n. 408 inserito nella 
stessa nota. In altre parole, la cessazione automatica 
degli effetti della dichiarazione di p.u. deve 
riconnettersi, secondo il Carugno, solo alla scadenza 
del termine ivi stabilito per il compimento della 
espropriazione, come egli rileva a pagina 117 del 
testo in cui illustra il contenuto della norma di 
cui all'art. 13 della legge del 1865 e nella nota 
66 alla stessa pagina. Il richiamo, insistente anche 
in questa nota, della necessit� di distinguere il 
termine suddetto da quello prescritto per l'esecuzione 
dell'opera singola si spiega anche con la 
diversa disciplina prevista nella legge fondamentale 
per i piani regolatori, alla stregua della quale 
concependosi l'espropriazione come una delle operazioni 
dirette all'esecuzione del piano, il procedimento 
poteva . espletarsi finch� era in vigore il 
termine di validit� del piano. E solo in virt� di 
questo principio l'autore approva la sentenza della 
Cassazione n. 2481del1957 .tenendo conto, peraltro, 
della proroga accordata con la legge speciale numero 
524 del 1952 dei termini per l'attuazione dei 
piani regolatori approvati prima dell'entrata in 
vigore della legge urbamstica; mentre critica il 
richiamo fatto in questa decisione cumulativamente 
ai termini indicati nell'art. 13 come inammissibile 
nella generalit� dei casi. 

Tanto impegno nella trattazione del tema dei 
termini facilmente spiegabile con la sua importanza, 
risponde al proposito dell'Autore di chiarire 
anche un altro concetto: che l'inosservanza del 
termine per l'inizio� di lavori, che pur deve essere 
indicato nella dichiarazione di p.u., non d� luogo 
all'applicazione di alcuna sanzione fatta eccezione 
dei casi nei quali la sanzione di decadenza � espressamente 
prevista, come in quelli richiamati nelle 
due prime note sopra citate e con effetti diversi 
a seconda dello stadio raggiunto dalla procedura. 

Anche l'ultimo capitolo del libro contiene un 
paragrafo nuovo, che � una pi� diffusa trattazione 
degli effetti della pronuncia di espropriazione inter\
enuta dopo la scadenza del termine del biennio 
prescritto per l'occupazione temporanea. 

Il Carugno saggia la fondatezza della tesi che 
tende a raffigurare il diritto al risarcimento del 
danno (permanente) come entit� gi� acquisita al patrimonio 
del proprietario prima dell'emanazione del 
decreto di esproprio, danno che, secondo la giurisprudenza, 
andrebbe liquidato secondo le norme di diritto 
comune e non sotto forma degli interessi legali 
sull'ammontare delle indennit� di espropriazione. 

Secondo il Carugno, per le occupazioni che si 
presentano a carattere permanente fin dall'origine 
(cio� quelle che attuano la trasformazione del bene 
mediante l'esecuzione dell'opera pubblica), se si 
accetta il principio che esse vengono legittimate 
col decreto anche se emesso dopo il biennio di cui 

all'art. 73 e regolate col riconoscimento del correlativo 
diritto alla indennit�, non si potrebbe prescindere 
dal regolare mediante liquidazione degli 
interessi (compensativi) il perio~o an~eriQr~ alla 
emanazione del decreto, trattandosi di occupazione 
anticipata, ma a titolo definitivo, destinata ad 
essere assorbita nel procedimento di espropriazione, 
cos� come avviene, secondo la giurisprudenza, 
per le occupazioni temporanee e regolari che si 
convertano nel termine in definitive. 

Secondo il Carugno, la unicit� del criterio da 
adottare per le conseguenze patrimoniali della 
occupazione protratta oltre il termine deriverebbe 
dal carattere strumentale della occupazione in relazione 
alla esecuzione dell'opera di p.u. e dalla correlativa 
necessit� di trasformazione ab initio dell'immobile 
occupato. Posti questi due termini, se 
la facolt� di espropriazione riferita ai casi di 
occupazione inizialmente abusiva o divenuta tale 
per il decorso del termine di cui all'art. 73 si pu� 
legittimamente esercitare, com'� pacifico, sul bene 
11h'� stato gi� totalmente sacrificato (col conseguente 
sacrificio del diritto soggettivo) ad opera della 
stessa Amministrazione espropriante, e se questa 
non incontra altra responsabilit�, per il nostro 
ordinamento, se non quella per i c.d. atti legittimi, 
non vi sarebbe ragione per adottare un criterio 
diverso da quello della liquidazione degli interessi 
sino al giorno del provvedimento di esproprio. 

Il Carugno passa, quindi, ad esaminare le due 
r.entenze della Cassazione n. 3204 del 30 ottobre 
1959 e n. 2087 del 22 luglio 1960, delle quali la 
prima ha escluso ogni influenza della tardiva procedura 
di espropriazione sulla pronuncia dei danni, 
negando ogni efficacia retroattiva alla procedura 
stessa la cui efficacia resta circoscritta al trasferimento 
di propriet� del bene; mentre la seconda ha 
ammesso che, intervenuto il decreto di esproprio 
in corso del giudizio di risarcimento, il proprietario 
ha diritto alla indennit� di esproprio liquidata nei 
modi di legge, oltre alla rivalsa del mancato reddito 
per la durata della occupazione. 

Fatto questo esame, il Carugno dichiara di aderire 
alla soluzione seguita nella prima delle due 
sentenze, per la considerazione che, nei casi in cui 
l'immobile sia stato trasformato per l'esecuzione 
dell'opera, cc ci� che si chiede al Giudice spiegando 
l'azione che � pur sempre diretta alla tutela della 
propriet� � una pronuncia risarcitoria per la perdita 
del bene irreparabilmente sofferta�, il che escluderebbe 
la possibilit� dell'assorbimento nel trasferimento 
coattivo successivamente intervenuto. 

Quanto al criterio per la liquidazione del danno 
per il periodo di occupazione, il Carugno dichiara 
di aderire al criterio seguito nella prima sentenza 
delle Sezioni Unite (n. 3204 del 1959) secondo cui, 
non facendosi alcuna distinzione tra il periodo di 
occupazione biennale e quello successivo, si dichiarano 
dovuti gli interessi legali sull'indennizzo 
equivalente al valore del bene occupato, daU'inizio 
della occupazione al soddisfo, escludendosi ogni altra 
forma di indennizzo per il caso in cui l'utilit� 
(reddito) di cui il danneggiato � stato privato sia 
di entit� superiore all'interesse legale~ 

L. TRACANNA 

-74


S. 
MARAS� : 'Le aziende autonome dello Stati>. Roma, 
1963. . 
Il tema delle aziende autonome dello Stato non 
si pu� dire abbia ancora trovato nella dottrina 
pubblicistica una considerazione adeguata alla sua 
importanza teorica e pratica. 

Una pubblicazione, come questa del Maras�, � 
che si propone di fare il punto della situazione, 
riassumendo lo stato della dottrina e della giurisprudenza 
e indicando i problemi tuttora aperti, 
presenta perci� un interesse che non occorre sottolineare. 


Particolarmente utile ci sembra l'accurata analisi 
delle figure pi� importanti che vengono solitamente 
ricondotte alla nozione di azienda .autonoma. 

L'attenzione del Maras� si � particolarmente 
soffermata sul dilemma organo-persona giuridica, 

e sulla possibilit� di ravvisare nelle aziende autonome 
un tertium genus, una figura intermedia. Le 
conclusioni sono sostanzialmente negative: non � 
possibile, secondo il Maras�, costruire una unitaria 
categoria giuridica idonea a ri�ompr�nder� le varie 
figure di aziende autonome esistenti nel nostro 
ordinamento. 

L'affermazione ci trova consenzienti. Riteniamo 
per� che un ulteriore approfondimento del problema 
possa dare utili frutti, specialmente per 
quanto riguarda l'esatta definizione di quell'autonomia 
patrimoniale che, come gi� fu posto in rilievo 
dal Girola e dal Giannini, costituisce l'aspetto pi� 
interessante delle aziende autonome e che potrebbe, 
forse, ricevere un'adeguata sistei:nazione teorica 
attraverso l'utilizzazione dell'ampia elaborazione 
che quest'aspetto dell'autonomia ha ricevuto nella 
dottrina privatistica. 



�RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 

CORTE COSTITUZIONALE 


COSTITUZIONE -Regione Siciliana -Potest� legislativa 
-Limiti -Rispetto degli obblighi internazionali 
assunti dallo Stato -Trattato istitutivo della Comunit� 
Europea. (Corte Costituzionale, 9 aprile 1963, 

n. 49 -Pres.: Ambrosini; Rel.: J aeger -Commissario 
dello Stato per la Regione siciliana c. Regione siciliana). 
La Regione siciliana � tenuta a rispettare, nella 
esplicazione della sua competenza legislativa, gli 
obblighi internazionali assunti dallo Stato, al quale 
vengono giuridicamente imputati nell'ordinamento 
internazionale gli atti normativi delle Regioni. 

� costituzionalmente illegittima la legge approvata 
dall'Assemblea regionale siciliana in violazione 
delle prescr�zioni impartite dallo Stato in 
osservanza di obblighi internazionali, che ad esso 
competeva interpretare e definire. 

Per una pi� esatta e completa conoscenza delle 
delicate questioni trattate e deciee dalla Oorte Costituzionale 
riteniamo opportuno trascrivere integralmente 
la sentenza, nella sua esposizione di fatto e 
nella motivazione di diritto. 

Con ricorso in data 13 novembre 1962 il Commissario 
dello Stato per la Regione siciliana ha 
impugnato la legge regionale approvata dall'Assemblea 
il 5 novembre 1962, chiedendo che ne 
sia dichiarata l'illegittimit� costituzionale. 

Si premette nel ricorso che detta legge regionale, 
<ion la norma contenuta nel suo art. 1, pur conservando 
immutato il termine, gi� decorso, del 30 
giugno 1962, entro il quale doveva essere commessa 
la costruzione di nuove navi per fruire delle 
.agevolazioni previste dalla precedente legge regionale 
n. 7 del 1961, ha spostato di due anni il termine 
del 30 giugno 1964, assegnato da questa stessa 
legge per il varo delle navi ammesse al beneficio. 
In relazione allo spostamento di tale termine la 
legge denunziata, all'art. 2, ha modificato il dispositivo 
finanziario, ripartendo la spesa globale di 
cinque miliardi -rimasta invariata nel suo ammontare 
-in sette esercizi finanziari anzich� in 
.cinque, ferma la decorrenza dell'esercizio 1960-61. 

Nel ricorso si fa, inoltre, presente che il disegno 
di legge (Doc. n. 582/1960: Atti Parlamentari Assemblea 
regionale siciliana), da cui ha tratto origine 
la legge regionale siciliana, con altri due disegni 
di legge regionali -tutti di iniziativa parlamentare 
e relativi alla stessa materia degli aiuti ai cantieri 
navali in Sicilia -furono notificati nel luglio 1962 
.alla Commissione Comunit�� Economica Europea, 

a cura della rappresentanza permanente della Repubblica 
presso la Comunit� Europea in Bruxelles, 
in osservanza. dell'obbligo della notifica preventiva 
di �Nuovi aiuti� sa.ncita dall'art. 93, paragrafo 3 
del Trattato di Roma. 

A seguito di tale notifica, la Commissione Comunit� 
Economica Europea, con lettera del 22 agosto 
1962 indirizzata al rappresentante permanente italiano 
in Bruxelles, ha formulato osservazioni e 
richiesto chiarimenti sui tre disegni di legge regionali, 
con particolare riguardo a quello di cui alla 
legge denunziata, in relazione alle difficolt� gi� 
sorte dopo l'approvazione della precedente legge 
regionale n. 7 del 1961. 

Il contenuto della lettera della Commissione 
Comunit� Economica Europea fu quindi portato 
a conoscenza del Presidente della Regione siciliana 
con nota n. 1200/2-87 del 20 settembre 1962 del 
ricorrente Commissario dello Stato, perch� fossero 
forniti i chiarimenti e le notizie occorrenti alla 
rappresentanza permanente della Repubblica di 
Bruxelles. Il Governo regionale non dava per� 
riscontro alla richiesta, e, nella seduta del 5 novembre 
1962, l'Assemblea approvava la legge in 
oggetto. 

Tutto ci� premesso, il Commissario dichiara, nel 
ricorso, di voler prescindere da qualsiasi apprezzamento 
di merito sull'impugnato provvedimento, 
essendo, a suo avviso, ovvio che qualsiasi indagine 
sulla compatibilit� di nuovi aiuti, ai sensi dell'articolo 
92 del Trattato di Roma, esulerebbe dalla sua 
competenza, e si limita pertanto ad esaminare gli 
aspetti costituzionali concernenti l'approvazione 
della legge nelle circostanze sopra riferite. 

Al riguardo, dopo aver affermato che nessun 
dubbio pu� sussistere circa il dovere degli organi 
legislativi, anche delle Regioni a Statuto speciale, 
di ottemperare agli obblighi derivanti da Trattati 
internazionali stipulati dallo Stato, deduce che 
concreta una palese inosservanza di tali obblighi, 
da parte della Regione siciliana, l'approvazione 
della legge denunziata in pendenza dell'esame 
della Commissione Comunit� Economica Europea, 
e senza che il Governo regionale avesse fornito i 
chiarimenti e le notizie richiesti da tale Commissione. 


Sulla sussistenza dell'obbligo di dare tali notizie 
e chiarimenti, e cio� sulla necessit� della osservanza 
dell'art. 93, paragrafo 3 del Trattato di Roma, fa 
presente, infine, che la Presidenza del Consiglio 
dei Ministri aveva diramato le necessarie istruzioni 
dando anche norme particolareggiate circa le modalit� 
di invio delle proposte di legge regionale, af




-10


finch� il Gov�rno potesse, a sua volta, provvedere � 
a comunicare alla Commissionti Comunit� Econo


.... falca :Europea i provvedimenti compresi nella sfera 
di applicazione del citato art. 93, paragr. 3. Nel 
caso in esame le istruzioni suddette sono state 
osservate per quanto riguarda la preventiva notifica 
alla Commissione Comunit� Economica Europea 
del disegno di legge da cui ha avuto origine la , 
legge denunziata. La mancata risposta del Governo 
regionale alla richiesta di notizie e chiarimenti 
avrebbe pertanto dato luogo alla violazione 
denunziata. 
La Regione siciliana, costituitasi in giudizio con 
atto del 30 novembre 1962, ha chiesto che il ricorso 
sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato, 
deducendo: 

1) Sull'inammissibilit�: 

a) la mancata indicazione -ai sensi degli 
artt. 34 e 23 della legge 1953, n. 87 -delle norme 
costituzionali che si assumono violate; il ricorso 
si sarebbe infatti limitato ad indicare, per censurarne
�la violazione, gli artt. 92 e 93, paragrafo 3, 
del Trattato di Roma, ratificato con legge 1957, 

n. 1203, che � legge ordinaria e non costituzionale; 
b) la mancata impugnazione della legge regionale 
n. 7 del 1961, da cui deriverebbe l'inammissibilit� 
dell'impugnazione della legge regionale 
attuale, avendo questa per contenuto norme accessorie 
rispetto alla precedente; 

2) Nel merito, l'insussistenza della dedotta 
violazione degli artt. 92 e 93, paragrafo 3, del 
Trattato di Roma. Infatti: 

a) l'art. 92, come si ricava dal suo contenuto 
e dalla sua collocazione (Sez. III), riguarda gli 
aiuti concessi dagli Stati; invece la legge denunziata 
prevede benefici accordati, con fondi regionali, 
dalla Regione, che � ente dotato di personalit� 
e quindi diverso dallo Stato-persona, e che dispone 
di proprie risorse. Sarebbe del resto arbitrario 
interpretare la norma del Trattato nel senso che 
si riferisca a qualsiasi aiuto proveniente da un 
ente pubblico, sia pure a carattere territoriale, 
dato che, cos� intendendo la norma, si giungerebbe 
all'assurdo che qualsiasi beneficio accordato dalle 
Regioni, dalle Provincie e dai Comuni a favore di 
talune imprese dovrebbe essere sottoposto ai controlli 
previsti dal Trattato; 

b) l'art. 93, paragrafo 3, fa obbligo di comunicare 
alla Commissione i progetti diretti a istituire 

o modificare aiuti. La legge denunziata, per�, non 
ha modificato gli aiuti previsti dalla precedente 
legge regionale essendosi limitata -oltre che a 
ripartire la spesa complessiva degli aiuti, rimasta 
invariata, in sette anzich� in cinque esercizi finanziari 
-a protrarre il termine per il varo delle 
navi ammesse al beneficio, senza modificare quello 
gi� scaduto per le commesse di costruzione delle 
navi. Sicch� nessuna nuova impresa potrebbe venire 
a beneficiare delle provvidenze concesse dalla legge 
� oltre quelle che alla data del 30 giugno avevano 
presentato domanda �. 
Lo spostamento del termine per il varo delle 
navi non comporta quindi modifiche che vengano 

ad incidere sulla sostanza dell'aiuto. Per l'art. 92 
del Trattato dovrebbe trattarsi di aiuto che falsi 

o minacci di falsare la concorrenza. Nessuna incidenza 
pu� avere per� in tale direzione la modifica 
apportata dalla legge deminziata. P��' la quale, 
pertanto, non ricorre neppure l'ipotesi del successivo 
art. 93, paragrafo 3. 
Con atto depositato in cancelleria il 22 novembre 
1962 si � costituita in giudizio l'Avvocatura generale 
dello Stato in difesa del Commissario dello 
Stato per la Regione siciliana. Essa ha poi depositato, 
in data 11 gennaio 1963, una memoria, 
nella quale sostiene l'infondatezza dei due motivi 
di inammissibilit� del ricorso addotti dalla difesa 
della Regione, insistendo che nel caso in esame 
la Regione ha violato quanto meno degli obblighi 
processuali, mentre il giudizio sul merito compete 
agli organi della Comunit�. 

Con memoria depositata il 24 gennaio la difesa 
della Regione contesta a sua volta questi argomenti, 
ribadendo quelli da essa gi� addotti a sostegno 
delle proprie conclusioni. 

Nella discussione orale i difensori delle parti 
hanno illustrato pi� ampiamente i termini delle 
questioni dibattute negli atti scritti. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Le eccezioni di inammissibilit� del ricorso 
proposte dalla difesa della Regione siciliana non 
possono essere accolte. Anche se il ricorso del 
Commissario dello Stato non contiene una espressa 
menzione delle norme della Costituzione violate 
dalla Regione con l'approvazione della legge regionale 
impugnata, non pu� sorgere dubbio nella 
individuazione dei principi costituzionali, dai quali 
la Regione si � discostata a giudizio del ricorrente 
e che trovano conferma nelle norme ricordate pi� 
oltre. 
N� pu� essere accolta la tesi affermata dalla 
difesa della Regione, secondo la quale la mancata 
impugnazione della legge regionale siciliana 20 
gennaio 1961, n. 7, renderebbe inammissibile la 
impugnazione successiva della legge 5 novembre 
1962, che si afferma essere accessoria rispetto al 
primo provvedimento; la Corte ha pi� volte affermato 
il principio, che ogni provvedimento legislativo 
ha esistenza a s� e pu� formare oggetto di 
autonomo esame ai fini dell'accertamento della sua 
legittimit� costituzionale. 

2. La Corte � chiamata ad esaminare le questioni 
concernenti la competenza legislativa della Regione 
e i modi del suo esercizio, per giudicare se la Regione 
abbia rispettato i limiti imposti alla sua. 
competenza e le norme che regolano i relativi procedimenti. 
Il problema essenziale della controversia concerne 
pertanto la legittimit� di atti normativi di 
una Regione, in materia che abbia formato oggetto -_ 
di trattato internazionale, compiuti senza l'osservanza 
delle direttive impartite dallo Stato. La 
questione potrebbe essere prospettata invero per 
ogni figura di attivit� di qualsiasi soggetto ed ente 


-77 


:pubblico; ma presenta ovviamente particolare im:
portanza nel caso di una Regione investita di ampia 
:potest� legislativa, quale � appunto la Regione 
siciliana. 

La Corte ritiene che il problema non ammetta 
se non una soluzione . .Alle Regioni, comprese quelle 
a statuto speciale, la Costituzione accorda una 
sfera di autonomia pi� o meno ampia, ma non 
-0erto la sovranit�. Vi si legge infatti che � La 
Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove 
le autonomie locali>> (art. 5), che cc Le Regioni 
sono costituite in enti autonomi con propri poteri 
e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione
� (art. 115), mentre cc .Alla Sicilia, alla Sardegna, 
al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia 
Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme 
e condizioni particolari di autonomia, secondo 
statuti speciali adottati con leggi costituzionali � 
(art. 116). Lo Statuto speciale per la Regione siciliana 
ribadisce il principio, dichiarando la Sicilia 
cc costituita in regione autonoma... entro l'unit� 
:politica dello Stato italiano� (art. 1). 

Di fronte a questi principi fondamentali, che 
caratterizzano_ la struttura della Repubblica italiana, 
non pu� attribuirsi importanza al fatto che 
lo Statuto della Regione siciliana non menzioni 
espressamente il �rispetto degli obblighi internazionali 
� fra i limiti della potest� legislativa regionale, 
come hanno fatto altri statuti approvati suc-
0essivamente (art. 3 Statuto speciale per la Sardegna; 
art. 2 Statuto sp�ciale per la Valle d'Aosta; 
art. 4 Statuto speciale per il Trentino-Alto .Adige); 
anche quando non vi � alcuna disposizione espressa, 
-0ome � del resto nel caso delle Regioni a statuto 
ordinario, nessuno potrebbe supporre che a regioni 
autonome siano attribuiti poteri sovrani. 

Poich� soltanto lo Stato � soggetto nell'ordinamento 
internazionale e ad esso vengono imputati 
giuridicamente in tale ordinamento gli atti normativi 
posti in essere dalle Regioni, non pu� dubitarsi 
della illegittimit� degli atti da queste compiuti 
senza l'osservanza delle regole prescritte. 

3. L'Avvocatura generale dello Stato ha insi.
stito, nelle difese scritte e nella discussione orale, 
sul punto che il vizio denunciato concerne essenzialmente 
la violazione di un obbligo processuale 
da parte della Regione; la quale non si � attenuta 
:puntualmente alle prescrizioni di ordine procedurale, 
alla cui osservanza era stata richiamata dagli 
organi dello Stato. Tale circostanza non � contestata 
dalla Regione e si pu� ritenere per certo che 
l'approvazione del disegno di legge da parte della 
..Assemblea regionale avvenne senza che gli organi 
della Regione avessero fornito le notizie e i chiarimenti 
richiesti dalla Commissione della Comunit� 
economica europea per il tramite della Rappresentanza 
permanente della Repubblica italiana presso 
le Comunit� europee. 
Ci� posto, gli argomenti addotti dalla difesa 
della Regione per dimostrare che la legge denunniata 
non innova la situazione, n� reca alcun turbamento 
all'attuazione di quei principi di libera, 
�concorrenza, che il Trattato di Roma istitutivo 
della Comunit� economica europea si � proposto 

di attuare, anche se attendibili, non possono avere 
alcuna rilevanza ai fini del presente giudizio. 

Il comportamento degli organi regionali, che ha 
concretato la violazione delle prescrizio)li .impartite 
dallo Stato in osservanza di obblighi internazionali, 
che ad esso competeva interpretare e definire, � 
sufficiente -a giudizio della Corte -a determinare 
la dichiarazione della illegittimit� costituzionale 
della legge regionale impugnata. 

La Corte, dopo aver solennemente riaff ennctto il 
principio, secondo il qiiale le Regioni, pur se dotate 
di ampia aittonomia, sono enti amministrativi, privi 
della sovranit�, che spetta unicamente allo Stato, al 
quale solo sono imputai'i, nell'ordinamento internazionale, 
gli atti delle Regioni, ha precisato che anche 
la Sfoil�ia incontra, nell'esercizio della sua competenza 
legislativa, il limite del rispetto degli obblighi 
internazionali assunti dallo Stato. Ci� nonostante 
che lo Statuto Speciale per la Regione siciliana non 
contenga, come gli altri Statuti, un'espressa menztone 
di �questo limite. 

La Corte ha affermato, altres�, che solo lo Stato 
� competente ad interpretare e definire gli obbligM 
internazionali da esso assunti. Da questa esclusiva 
competenza degli organi statali conseguente al fatto 
che internazionalmente � lo Stato, che risponde degli 
atti delle Regioni, deriva, altres�, il potere dei predetti 
organi d'impartire direttive e prescrizioni, che le 
Regioni sono tenute ad osservare nell'esplicazione 
delle potest�, legislative ed amministrative, ad esse 
attribuite dalla Costituzione e dagli Statuti Sp~ciali. 

L'illegittimit� costituzionale dell'atto regionale deriva, 
perci�, non solo e non tanto dalla violaz-ione 
degli obblighi internazionali assunti dallo Stato, 
quanto dalla violazione delle direttive impartite dallo 
Stato per l'osservanza dei predetti obblighi. Onde la 
conseguenza che nessun margine di discrezionalit� � 
lasciato alle Regioni nella valutazione del contenuto 
degli obblighi stessi. 

G. G. 
CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio di legittimit� 
costituzionale -Giudice a quo -Giudice istruttore 
civile. 

COSTITUZIONE -Legge di registro -Obbligo di re


gistrazione di documenti da produrre in giudizio 


Eccezione di illegittimit� costituzionale -Infonda


tezza. (Oorte Costituzionale, Sentenza n. 44 e 45 del 

9 aprile 1963 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Fragali). 

1. Il GiudLe incaricato della istruzione della 
causa nei procedimenti civili non � competente a 
promuovere direttamente il giudizio di legittimit� 
costituzionale ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 della 
legge 11 marzo. 1953, n. 87. 
2. Gli artt. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 del 
R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 sulla legg� �ai registro 
e l'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548-�recante 
norme relative al bollo ed alla registrazione 
degli atti e documenti prodotti dalle parti 
nei procedimenti dvili non sono in contrasto con 
gli artt. 3 e 24 della Costituzione. 

-iv


1) La questione di cui alla prima massima era 
stata g�i� decisa dalla Corte Ccstituzionale con la 
sentenza 11 dicembre 1962 nel senso della invalidit� 
della 1�imessione disposta con Ordinanza del Giudice 
istruttore nel processo civile e non con Ordinanza 
del Collegio. 

La Corte ha confermato questa soluzione anche 
nel caso di specie, nel quale, a favore della competenza 
del Giudice istruttore, veniva addotto il divieto 
per questi, ex art. 2 della legge 30 dicembre 1942, 

n. 1548, di � emettere provvedimenti sugli atti e documenti 
non registrati �: da questo divieto si faceva 
deriva1�e la legittimazione diretta del Giudice Istruttore 
a rimettere alla Corte la questione circa la legittimit� 
costituzionale delle norme che impongano �il 
divieto. 
Senonch� era agevole obbiettare, anche sitl piano 
della interpretazione di queste norme, ed in partfoo.
lare dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548, 
che le stesse, se dispongono la sospensione (necessaria) 
del processo in istruttoria, allorch� si debba 
decidere sulla base di un atto per il quale sia prescritto 
ad substantiam la forma scritta (e che non 
sia stato registrato), non importano affatto che al 
Collegio la causa non possa essere rimessa (dal 
Giudice Istruttore) per ogni questione concernente la 
applicazione del divieto e, quindi, anche per la valutazione 
della rilevanza e per la delibazione della 
non manifesta infondatezza della questione di legittimit� 
costituzionale della norma che pone il divieto. 

La Corte� Costituzionale ha seguito, per risolvere 
la questione, una via diversa da quella della interpretazione 
della portata delle norme sul divieto: ha 
considerato l'assoluta autonomia del procedimento 
di rimessione della questione di legittimit� costituzionale, 
affermando (con evidente riferimento alla 
legge 11 marzo 1953, n. 87) che esso � regolato dalla 
legge in maniera completa da norme che non 
fanno riferimento a divieti di ordine tributario, che 
sarebbero, d'altro canto, incompatibili con la natura 
ilel processo costituzionale. 

La sentenza offre quindi alla dottrina ottimi spunti 
per una costruzfone della fase introduttiva del p1�ocesso 
costituzionale in senso autonomo ed indipendente 
dal sistema delle norme del codice di rito che pure 
regolano quella fase, giacch� essa ha origine � nel 
corso di un giudizio dinanzi ad una autorit� giurisdizionale
� secondo l'espressione usata nell'art. 23 
della legge 11 marzo 1953, n. 87. 

Peraltro, non v'� dubbio che dallo stesso art. 23 
posto in relazione con le disposizioni del Codice di 
rito civile sui poteri del giudice istruttore e sulle 
relative ordinanze (artt. 164 e segg.) si pu�, in ogni 
caso, agevolmente dedurre che i presupposti per la 
valida instaurazione del giudizio innanzi alla Corte 
Costituzione devono essere valutati ed accertati, allorch� 
la questione di costituzionalit� insorga in un 
processo civile, sempre dal Collegio e non dal Giudice 
o Consigl-iere Istruttore. 

* * * 

2) La questione di cui alla seconda massima era 
di quelle pi� importanti e delicate sottoposte al giudizio 
della Corte Costituzionale: se le norme della 

legge di registro circa le scritture private non registrate 
(art. 85, 106, 108, 118, 121 e 122 del R.D. 30 
dicembre 1923, n. 3269 modificato con R.D. 23gennaio 
1936, n. 2313), nonch� la norma dell'articolo 
2 della legge 3 dicembre 1942, n. 1548 �sul �olla 
e sulla registrazione degli atti e documenti prodotti 
dalle parti nei procedimenti civili, fossero o meno in 

. contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. 
Le norme ora indicate erano .state denunciate di 
illegittimit� costituzionale, in quanto creatrici di 
sistemi organici di Umiti alla possibilit� di tutela 
giurisdizionale dei diritti individuali, limiti concretantisi 
variamente: inerzia processuale delle ragioni 
della pretesa, preclusione dei poteri giurisdizionali, 
sanzioni e corresponsabilit� obbligatorie conseguenti 
allo esercizio di tali poteri. 
La Corte Costititzionale ha respinto queste censure 
con motivazione sobria ma perspicuamente espressiva 
della affermazione dei principi, l'importanza dei 
quali trascende certamente il caso e la materia in. 
occasione dei quali sono stati enunciati. 

* * * 

Una prima affermazione di tale genere concerne 
l'interpretazione dell'art. 24, primo e secondo comma, 
della Costituzione, secondo cui tutti possono agire 
in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi 
legittimi, mentre la difesa deve essere considerata. 
come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. 


L'interpretazione gi� data dalla Corte Costituzionale 
dell'art. 24, 1 a e 2a comma (per la maggior 
parte dei casi, venuti in considerazione in connessione 
col principio della eguaglianza affermato nell'art. 
3) era gi� stata nel senso che l'affermazione� 
della generica possibilit� per il cittadino di agire 
in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi non 
escludesse la possibilit� per il legislat�re ordinario 
di intervenire a regolare concretamente l'esercizio di 
tale inviolabile diritto individuale, imponendo limiti 
e condizioni per l'ordinato svolgimento della anzidetta 
tutela. 

La Corte ha riaffermato questo principio nel casa 
in esame stabilendo che il legislatore ordinario, a 
tutela di un interesse pubblico costituzionalmente 
garantito quale � quello dello Stato alla riscossione dei 
tributi (art. 53 Cost.) possa �imporre prestazioni 
:fiscali in stretta e razionale correlazione con il 
processo, sia che esse configurino vere e proprie 
tasse giudiziarie, sia che abbiano riguardo all'uso 
dei documenti necessari alla pronuncia finale dei 
giudizi�. 

Si �, quindi, stabilito che un interesse pubblica 
extra processuale, quale � quello dello Stato alla regolare 
percezione dei tributi, possa essere legislativamente 
attuato nel processo civile ed in occasione 
del processo (1) entro determinati limiti, i quali, 
nel pensiero della Corte, sono costituiti dalle due 
condizioni: a) che l'interesse pubblico di _�u_i sopra 
si presenti in stretta e razionale relazione con jl 

(1) Il concetto era gi� stato espresso dal CHIOVENDA: 
Istituzioni di dfritto processuale, Napoli 1934, II, p. 244 

processo; b) che la strutturazione ed il congegno 
mediante il quale si attua legislativamente quello 
interesse non oper�i direttarnente sul diritto individtiale 

o sull'azione (come dice la sentenza), sibbene solo 
sulle concrete modalit� di esercizio di quest'ul#ma. 
* * * 

Entro l'ambito segnato dalle ora indicate premesse, 
la Corte ha sentenziato che i divieti e gli oneri post-i 
dalle norme della legge di registro e dalla legge 3 
dicembre 1942, n. 1548 in materia di atti non registrati, 
e gli effetti che dalla inosservanza di tali oneri 
derivano sono intesi �a stimolare l'adempimento 
agli obblighi che questa (cio� la legge tributaria) 
determina e non sono in contrasto n� con l'art. 24 
n� con l'art. 3 della Costituzione. 

La ratio decidendi per la Corte, come s�i des�ume 
anche dalla affermata diversit� del trattamento degli 
att�i non registrati dall'istituto del solve et repete, 
� stata la considerazione degli effetti processuali 
della mancata registrazione e del mancato adempimento, 
in genere, degli obblighi che la legge tributaria 
pone, com'� noto, anche a carico di persone diverse 
da quelle tra � le quali sorge il rapporto giuridico 
di imposta (2). � 

Ed � gi� un principio di somma importanza di 
carattere generale, mediante l'affermazione del quale 
la Corte sembra avere per lo meno attenuato l'opinione 
che una parte della dottrina, appoggiandosi a 
precedenti pronuncie d�lla stessa Corte, ha sostenuto 
circa l'esigenza di un processo legale (due 
process of law) sancito in altre Costituzioni (ad 
esempio in quella nord-americana), sotto il profilo 
della sostanziale rivedibilit�, ai sensi dell'art. 24, di 
tutti gli oneri e le limitazioni imposte dalla legge a 
carico delle parti nel processo ci-vile in modo che ne 
restino menomate le garanzie processuali (3). 

Alla motivazione della Corte non pu� che, consentirsi 
da parte nostra. 

* * * 

Ma c'� un'altra parte della motivazione della sentenza 
della Corte che merita di essere qui esaminata 
ed � la parte nella quale si coglie esattamente la vera 
essenza, quanto alla natura giuridica, della � alternativa 
� che la legge di registro pone alla parte nei 
confronti dell'uso, nel processo, della scrittura privata 
non registrata. 

Questo � l'aspetto certamente pi� importante della 

questione proposta. 

Per vederla completamente, attraverso le sobrie 
ed incisive considerazioni della sentenza, � necessa1�io 
risalire alla considerazione degli effetti, in generale, 
delle scritture non 1�egistrate e, quindi, alla natura ed 
agli effetti della registrazione. 

(2) Sulla natura di queste obbligazioni: cfr. GIANNINI 
A. D.: Istituzioni di diritto tributario, Milano 1960, 
pagg. 165-166; GuGLIELMINI-AzZARITI: Le imposte di 
regist�ro, Torino 1959, pagg. 163 e 166. 
(3) Cfr. CAPPELLETTI: Diritto di azione e di difesa e 
funzione conm�etizzatrice della giurisprudenza costituzionale, 
in � Giurisprudenza costituzionale�, 1961, p. 1284. 

Questa allorch� � richiesta nel nostro sistema legislativo 
(per gli atti scritti ed in determinati casi, 
per i contratti verbali) non � preordinata esclusivamente 
ai fini tributari, anche .se~ in oo<xt,tij<nie deila 
registrazione dell'atto, lo Stato a.ccerta e percepisce 
l'imposta indiretta di registro. 


La registrazione � ordinata come una pubblica pre


,stazione ed un servizio che consiste nell'annotazione 
degli atti e dei ttasferimenti nei pubblici registri a 
ci� destinati: essa accerta la legale esistenza degli 
atti �in genere ed imprime alle scritture la data certa 
di fronte ai terzi (artt. 3 e 73 del R.D. 30 dicembre 
1923 n. 3269, art. 2704 C. c.). Contemporaneamente, 
ma con funzione concettualmente separata, � di regola 
accertata e riscossa l'imposta dovitta sull'atto o sul 
trasferimento. 

L'atto non registrato ha, quindi, una sua inefficacia 
nei riguardi esterni che non � di natura tributaria, 
bens� di carattere generale e sostanziale, 
scaturente da norme e da principii che sono di dfritto 
comime. 


Discende certamente da questa inefficacia o inopponibilit� 
erga omnes dell'atto non registrato il clivieto 
posto negli artt. 117, 118, 120 della legge di 
registro, d�i1;ieto che � d�i carattere assoluto dal pimto 
di vista dei suoi destinatari, concerne cio� non soltanto 
i soggetti che agiscono nel processo e per il processo, 
ma tutti in genm�e i soggetti che la legge prevede 
che possano venire in contatto con l'atto: 


notai, pubblici funzionari, impiegati, comminandosi 
a carico di tutti costoro precise san.zioni. 


Si tratta, dunqt.(,e, di una inefficacia di carattere 
assoluto dell'atto non registrato, che concerne tutti 
gli aspetti e le sfere nelle quali pu� farsi valere 
l'atto stesso, non semplicemente qitella del processo.-


Sicch�, sotto im primo profilo di carattere generale 
non solo non si pu� dire che l'inefficacia dell'atto non 
registrato sia comminata in relazione al processo, 
ma si pu� anche con altrettanta certezza affermare 
che l'aspetto processuale della inefficacia dell'atto 
non registrato non � che uno dei riflessi o delle conseguenze 
della inefficacia di ordine generale. 


Situazione, dunque, gi� di per s� chiaramente fitori 
della previsione dell'art. 24 della Costituzione e del 
contenuto e della portata dell'ist'ituto del solve et 
repete nel quale l'inadempimento all'obbl-igo di natura 
esclusivamente fiscale (mancato pagamento dell'imposta) 
determinava l'impossibilit� dell'esperimento 
dell'azione giudiziaria dfretta ad ottenere la tutela, 
della pretesa del contribuente. 


Ma l'estraneit� del trattamento dell'atto non registrato 
all'ambito d�i applicazione dell'art. 24 della Costituzione 
ed al cessato istituto del solve et repete 
risulta confermata anche ove si ponga mente al modo 
come la inefficacia dell'atto non registrato si comporta 
nel processo, nel quale l'atto stesso venga fatto valere. 


E', anzitutto, da escludere, sia in base alla legge 
che in base alla interpretazione giurisprudenziale che 
la mancata registrazione (non parliamo del mancato 
pagamento clell'imposta che non � affatto �riiJhiesto, 
art. 85, art. 118 n. 2 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269T -costituisca 
precliisione ad imped�imento alla instaurazione 
del giudizio ed alla sua prosecuzione e conclusione, 
nel caso in cui il giudizio possa essere definito 
indipendentemente �dall'atto non registrato: ml 



-

es. pur agendosi in base a.cl i~na scrittura privata non 
registrata, si deferisca un giuramento o vi sia un 
riconoscimento della controparte o il Giudice riconosca 
fondata una eccezione di decadenza o di prescrizione. 


Ma anche negli alt1�i casi nei quali la pretesa dedotta 
in giudizio non possa essere esaminata e decisa 
ricorrendosi ad altri mezzi di prova se non quello 
costituito dall'atto scritto non registrato, il giudizio 
pu�. egualmente essere instaurato: solo che esso 
rimarr� sospeso per quanto attiene alla definizione, 
allorch� il Giudice debba porre a base dei suoi provvedimenti 
esclusivamente l'atto non reg�istrato; a 
meno che, anche in qitesti casi, l'interessato chieda 
e sia ammesso al gratuito patrocinio (artt. 111 e 
segg. R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269; artt. 25 e 
26 D.P. 25 giugno 1953, n. 492). 

E' palese, quindi, che la registrazione (o la mancata 
registrazione) reagisce nel processo non gi� 
quale presupposto sostanziale dell'azione o condizione 
inducente un difetto temporaneo di giurisdizione 
(come avveniva per il solve et repete), ma unicamente 
sul terreno della prova, e dei conseguenti 
limiti al potere di 'l'alutazione e di decisione del Gfodice. 


CORTE DI 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Consiglio di 
Stato -Sindacato della Corte di Cassazione sulle 
decisioni del Consiglio di Stato -Motivi attinenti 
alla giurisdizione -Fattispecie. (Corte di Cassazione, 
Sezioni Unite, Sentenza n. 2295/62 -Pres.: Tavolaro; 
Est.: Flore; P.M.: Pepe (conf.) -Ministero del Tesoro 

c. Botti). 
I motivi attinenti alla giurisdizione, per i quali 
la Corte di Cassazioue pu� sindacare le decisioni 
del Con iglio di Stato o della Corte dei Conti 
sono soltanto quelli che incidono sulla essenza 
della funzione giurisdizionale, non sull'esercizio 

o rnJ nesso dell'esercizio di essa. Per conseguenza 
non � << Motivo attinente alla giurisdizione i> quello 
che denuncia l'essersi il Consiglio di Stato Iifiutato 
di decidere in difformit� da precedenti 
dell'adunanza plenaria, motivando il rifiuto con 
l'esigenza di distaccarsi da tali precedenti soltanto 
per gravi motivi di dissenso. 
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


Con l'unico mezzo si deduce dall'amministrazione 
ricorrente che il Consiglio di Stato incorse 
in difetto di giurisdizione per mancato esercizio 
della funzione giurisdizionale; e per eccesso di potere 
giurisdizionale. 

Il primo aspetto del vizio sarebbe integrato dalla 
:affermazione che soltanto per gravi ragioni sia 
consentito distaccarsi dalle decisioni adottate dall'adunanza 
plenaria, perch�, se cos� non fosse, 

l:IU 

La legge, cio�, fa divieto al Giudice di fondm�e il 
suo convincimento su di un atto non registrato, allorch� 
questo sia necessario ai fini del decidere. 

Questo divieto, di ordine meramente processuale e, 
comunque d'ordine generak, Ettrettamente" �ompr~so 
nella materia delle prove non tocca e, quindi, non 
pu� 'l'iolare il principio stabilito nell'art. 24, cos� 

, 
come non pu� toccare questo principio la norma che 
vieta al Giudice di disporre la prova testimoniale 
oltre determinati limiti di valore (art. 2721 e.e.) o 
la norma che dispone che un determinato atto possa 
essere fatto e, quindi, provato solo per atto pubblico 
(art. 782 in relazione all'art. 2699 e.e.). 

In sostanza, come esattamente ha detto la Corte, 
la parte � posta ex lege dinanzi allei alternativa di 
valersi o non valersi �della funzione probatoria o 
documentale che la scrittura � chiamata a svolgere 
n con la ulteriore conseguenza che, quando la 
scrittura � richiesta ad substantiam, oltre alla prova, 
la parte dispone anche del diritto sostanziale. 

JJ.I a qu.esta � una valutazione di competenza e di 
convenienza della parte, che concerne, al di fuori, 
l'esercizio del diritto, ma che � del tutto estranea 
concettualmente alla libert� di tutela del diritto stesso 
sancita nell'art. 24, primo aomma, della Costituzione. 

LUCIANO TRACANNA 

CASSAZIONE 

sarebbe stato vano che la legge avesse demandato a 
tale organo la decisione dei contrasti giurisprudenziali 
o l'esame delle questioni di massima di particolare 
importanza. 

Il secondo aspetto del vizio consisterebbe nella 
attribuzione di valore di diritto obbiettivo alia 
pronuncia dell'adunanza plenaria, dai principi affermati 
dalla quale non sarebbe comentito distaccarsi 
se non per gravi ragioni. La ricorrente amministrazione 
sintetizza la sua censura, ricavando 
dalla premessa posta daJla decisione, una violazione 
dell'art. 101 della Costituzione, per il qua�e i 
i giudici sono soggetti soltanto alla legge, perch� 
implicitamente il Consiglio di Stato si sarebbe 
ritenuto vincolato oltre che dalla legge anche dai 
precedenti giurisprudenziali di speciale solennit�. 

� da premettere che � fuori discussione che 
la materia della controversia rientrasse nella gi.urisdizione 
del Consiglio di Stato; che questo ha 
adottato una decisione conforme ai suoi poteri; che 
la composizione del Uonsiglio non dava luogo a 
critiche. Fino a questo punto e per quanto concerne 
gli anzidetti elementi un motivo attinente alla 
giurisdizione non � neanche ipotizzabile. Il ricorso 
invece si appunta contro una parte della motivazione 
in diritto, quella iniziale, nella quale si � 
sintetizzato il rifiuto di accogliere le ragiQni addotte 
dalla Avvocatura dello Stato contro i prece:: 
denti dell'adunanza plenaria e della quarta Sezione. 


Comunque dilatato, il mezzo, assai sottile, non 
� fondato. Si pu� ammettere che i motivi << attinenti 



-81 


alla giurisdizione >> includano tutte le ragioni che 
incidano sulla essenza della funzione giurisdizionale 
(costituzione del giudice speciale; rifiuto di pronunciarsi; 
disconoscimento in genere o in ispecie 
di tutela giurisdizionale; consumazione affermata 

o negata della giurisdizione; distribuzione della 
materia contenziosa tra i. vari ordini di giudici; 
travalicamento dei poteri spettanti ai giudici in 
genere). Ma la ipotesi prospettata a questa Corte 
Suprema non � in nessun modo classificabile tra 
quelle innanzi indicate, e il motivo fatto valere 
contro la decisione impugnata non ha comunque 
attinenza con la giurj.sdizione. 
Il Consiglio di Stato avrebbe -al pi� -motivato 
inopportunamente o non esaurientemente (ci� 
si dice per mera ipotesi dialettica) circa l'invocato 
mutamento di giurisprudenza: le ragioni addotte 
potrebbero essere (anche "Ci� � detto in via di 
mera concessione) anche inesatte: ma ci� costituirebbe 
un vizio della pronuncia, vizio della motivazione, 
per meglio dire, e tale vizio -lo riconosce 
la stessa difesa dello Stato -se affetta una decisione 
del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, 
non � denunciabile in Cassazione. Neanche sarebbe 
denunciabile l'omissione totale di motivazione: 
qualche tentativo di riportare il difetto sotto l'angolo 
visuale del mancato esercizio della giurisdizione, 
non ha trovato fortuna presso questa Corte 
Suprema, perch� la motivazione � un requisito 
di validit� della sentenza, ma non ne costituisce 
l'essenza. 


L'Amministrazione ricorrente deve fare, del resto, 
uso di accorgimenti dialettici, per giustificare il 
non giustificabile ricorso. Deve cio� togliere ogni 
rilievo logico all'inciso � se non per gravi ragioni 
di dissenso >> con il quale il Consiglio cii Stato afferma 
la possibilit� di discostarsi dai precedenti giurisprudenziali 
dell'adunanza plenaria, per potere 
affermare che quel Consesso si neghi ogni potere 
di decisione autonoma, allorch� l'adunanza plenaria 
si sia pronunciata, quasi come fosse inerente 
al nostro ordinamento il principio stare decisis. In 
realt� non � cos�, il Consiglio non solo non riconobbe 
forza vincolante a quelle decisioni, ma 
afferm� che, per gravi ra,gioni di dissenso, le Sezioni 
possono o rinviare nuovamente la decisione alla 
adunanza plenaria o decidere in difformit�. In 
realt�, la sostanza della decisione � tutta in questo: 
che la Sezione non rfoonobbe le ragioni di �grave 
dissenso n dalla Adunanza plenaria e svilupp� gli 
argomenti da questa adottati con una sua propria 
pronuncia, motivando cos� l'accoglimento del ricorso. 

E del resto -quantunque la Corte Suprema 
non debba occuparsi dei difetti o dei pregi delle 
motivazioni delle decisioni del Consiglio di Stato 
-vale la pena di sottolineare che nell'ordinamento 
giuridico italiano la certezza del diritto � assicurata 
non soltanto dalle leggi e dalla loro stabilit�, ma 
anche dalla unit� e dalla uniformit� della interpretazione 
giurisprudenziale. L'affermazione che i 
precedenti giurisprudenziali di organi altissimi ai 
quali � devoluto risolvere i contrasti fra i giudici 
diversi o le questioni importanti di massima vannl) 
tenuti presenti, a meno che non sussistano serie 
ragioni di dissenso, proprio come precedenti giuri


sprudenziali, � ispirata a senso di responsabilit� e 
non merita censura. Non si pu� arbitrariamente 
trasformare una simile affermazione nella espressione 
di un'efficacia norm:;i,tiya del_ m_ec_edente, 
vincolante assolutamente il giudice, proprio perch� 
questi ha affermato che, se dal precedente dissentisse, 
non si sentirebbe vincolato. 

Nella memoria l'amministrazione si richiama 
alla sentenza n. 3008 del 1952, con la quale questa 
Corte Suprema ritenne che l'irregolare composizione 
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 
avesse dato luogo sia al vizio dell'inesistenza della 
decisione sia al vizio di difetto di giurisdizione 
ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. Ma quella 
ipotesi non ha nessun punto di contatto con l'attuale: 
in quella infatti non veniva in discussione 
l'esercizio della giurisdizione da parte di organo 
legittimamente costituito, ma la corrispondenza 
tra il giudice che l'ordinamento ha istituito e quello 
che emise la pronuncia impugnata. Questa Corte 
Suprema accert� che l'organo giudicante non era 
l'organo previsto dalla legge e quindi che esso 
non solo difettava di giurisdizione ma che la sua 
pronuncia era inesistente. Il vizio dell'organo 
dunque preesisteva alla pronuncia_ e rendeva impossibile 
che una pronuncia giurisdizionale venisse 
ad esistenza nel mondo del diritto. 

Nel caso di specie, al contrario, nessun vizio 
preesisteva alla pronuncia, che emana dall'organo 
competente ed � compresa nell'ambito dei suoi poteri. 
Non vale dire che qui si ha <e mancato esercizio 
n della giurisdizione quoad obiectum in quanto 
non potrebbe dirsi decisa una questione in ordine 
alla quale il giudice avrebbe dichiarato di abdicare 
alla propria autonomia di convincimento fino a 
quando non gli si prospettino gravi ragioni di dissenso 
da un precedente giurisdizionale n. Vi sarebbe, 
al pi�, viziato esercizio della giurisdizione, 
non potendo negarsi che una pronuncia vi sia stata, 
ch'essa � assistita da un duplice ordine di motivi, 
gli uni, diretti a spiegare il diniego di revisione 
della giurisprudenza, gli altri diretti a giustificare 
la decisione sul merito del ricorso. Vi sarebbe 
stato ugualmente esercizio della giurisdizione -si 
� gi� detto innanzi -se non vi fosse stata motivazione 
alcuna: eppure neanche in questa ipotesi, 
questa Corte Suprema avrebbe potuto sindacare 
la pronuncia del Consiglio di Stato. 

Nel tormentato campo della delimitazione dei confini 
della giurisclizione del Consiglio di Stato e 
consegiwntemente clei poteri di sindacato della Corte 
di Cassazione la presente sentenza ci sembra che 
segni un passo indietro nei confronti dell'indirizzo 
affermatosi con la senten.za delle stesse Sezioni Unite, 

n. 3008 dell'll ottobre 1952 (in Foro it. 1952, I, 
1321), bench� in essa si riaffermi espressamente che 
una violazione di legge attinente alla composizione 
del Collegio (nel che si sostan.ziava la questione 
decisa con la citata sentenza del 1952) cost-ituisce 
viziO attinente alla giurisdizione. La verit� � che alpari 
della illegale composizione del collegio o del 
disconoscimento di tutela giurisdizionale o del travalicamento 
dei poteri spettanti ai giudici in genere, 
anche l'assoluta mancanza di motivazione o add�

-82 


rittura la motivazione ob relationem si 1�i8ol�vono in 
itn vizio che attiene all'essenza stessa della funzione 
giurisdizionale e perm'.� solo sindacabt"le dal massimo 
organo della giurisdizione specie dopo che l'obbligo 
della motivazione delle sentenze e decisfoni � stato 
affermato dalla Costituzione (art. 111). 

Per rendm-si conto degli esatti: term1'.ni della grave 
questione ci sembra opportuno trascrivere integra.lmente 
il motivo di ricorso presentato cont?"O la deC'isione 
del Consiglio d�i Stato. 

DIFETTO DI GIURISDIZIONE PER MANCATO ESERCIZIO 
DELLA FUNZIONE GIURISDIZIONALE -DIFETTO 
DI GIURISDIZIONE PER ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE. 
ART. 360, N. 1 E 362 C.P.C. 

La gravit� dell'affermazione, contenuta nel terzo 
e quarto periodo della motivazione in diritto della 
decisione denunciata alla Suprema Corte, pu� 
sfuggire ad una superficiale e non meditata lettura. 

Si ha, infatti, la prima impressione di trovarsi di 
fronte ad innocue fasi encomiastiche dell'auctoritas 
rerum similiter iudicatarum ed ad un tributo di 
ossequio della Sezione giurisdizionale verso l'Adunanza 
Plenaria, reso in occasione del rifiuto di 
emettere un ordinatorium litis pienamente discrezionale; 
insomma, a frasi ininfluenti ai fini del 
decidere. In definitiva, un discorso generico: troppo 
generico perch� dia lo spunto ad una critica che 
possa venire manifestata alle Ecc.me Sezioni Unite. 

E questa impressione pu� assumere una certa 
illusoria consistenza, quando si tenga presente che 
sulle questioni controverse la Quarta Sezione del 
Consiglio di Stato ha (quanto meno in apparenza) 
motivatamente giudicato: bene o male, compiutamente 
o difettosamente, ci� non dovrebbe avere 
importanza ai fini della denuncia della relativa 
decisione alla Suprema Corte Regolatrice. Qui pu� 
essere visto soltanto il fatto che esiste la documentazione 
che un iter logico e volitivo � stato percorso 
per dire esercitato e consumato il potere 
giurisdizionale in re subiecta. 

Ma non crediamo che nessun cultore del diritto 
possa seriamente fare il torto ad una decisione del 
Consiglio di Stato di una lettura disattenta o fu. 
gace. E se l'esame si compie in profondit� e con la 
doverosa ponderatezza, i risultati che si conseguono 
sono veramente allarmanti, e tali da indurre a 
sollecitare l'intervento del Supremo Collegio. Invero, 
le idee fondamentali per una giusta visione 
della funzione giurisdizionale vengono sottoposte 
dai due periodi dianzi cennati ad una scossa radicale, 
tanto da fare ritenere doverosa la proposizione 
del presente gravame. 

Che cosa dice il Consiglio di Stato? In poche 
parole, questo: lAdunanza Plenaria delle Sezioni 
Giuris.dizionali del Consiglio di Stato ha avuto 
affidata la risoluzione dei contrasti giurisprudenziali, 
in atto o prevedibili, e delle questioni di massima 
di particolare importanza, proprio allo scopo 
di stabilire in giurisprudenza dei punti fermi, dai 
quali le singole Sezioni giurisdizionali. non possono 
distaccarsi se non per �gravi ragioni di dissenso)). 
Allo stesso livello di gravit� debbono assurgere 

le ragioni per le quali � consentito di rimettere alla 

Adunanza Plenaria, per un riesame, la q�estione di 

diritto su cui questa gi� una volta si sia pronun


ciata. 

Quando siffatte �gravi ragio11.� n non rfoofrano la 
Sezione non pu� tenere in non cale il precedente 
stabilito dall'Adunanza Plenaria, il quale (ci� che 
�costituisce un inevitabile corollario di quanto espressamente 
enunciato) pu� solo essere parafrasato ed 
adattato alla controversia da decidere, restando 
escluso che la Sezione possa prendere l'iniziativa 
della revisione della giurisprudenza consolidata sia 
direttamente, sia con il mezzo del rinvio all'Adu


nanza Plenaria. 

Con il che, sembra che non incori�a in errore chi 

legga in questa pronuncia una singolare integra


zione dell'art. 101 della Costituzione: � i Giudici 

sono soggetti soltanto alla legge... e -salvo che 

non ricorrano gravi ragioni di dissenso -ai pre


cedenti giurisprudenziali di speciale solennit� �. 

In altre parole, qui si ha da una parte un eccesso 

di potere giurisdizionale (erga legis latorem) consu


mato con l'attribuirsi valore normativo di diritto 

obiettivo a certi precedenti giurisprudenziali, dalla 

altra un rifiuto di esercizio della funzione giuri


sdizionale, ravvisabile nel condizionarsi a gravi 

ragioni di dissenso dai precedenti la possibilit� 

della formazione in una certa direzione del con


vincimento (per definizione, libero) del Giudice, 

ed infine l'introduzione di un elemento di discre� 

zionalit� in una zona preclusa, elemento costituito 

dall'apprezzamento della � gravit� � delle ragioni 

di dissenso. 

In sostanza, e per chiarire meglio la portata del 

presente ricorso, � da ritenere che la Quarta Sezione 

abbia configurato il processo avanti a s� pendente 

come suddiviso in due momenti logici: uno (rescin� 

dens) inteso alla ricerca di certi motivi particolar


mente qualificati per, eventualmente, non appli


care al caso controverso l'autorevole precedente, 

e l'altro (rescissorium) diretto alla decisione della 

controversia. Con l'ovvia conseguenza che, avuta 

la prima fase esito negativo, il Consiglio di Stato 

non giudica pi� con quella pienezza di alternative, 

che � attributo inalienabile della funzione giuri


sdizionale, ma deve -di necessit� -adattare il 

precedente giurisprudenziale alle modalit� del caso 

in esame, con un'operazione di riduzione a con


formit� che � logicamente l'esatto opposto del 

giudizio. 

Con questo, la Difesa della Pubblica Ammini


strazione non intende neppure lontanamente negare 

n� l'autorit� della giurisprudenza, n� la libert� di 

ogni Giudice di conformarvisi tutte le volte che lo 

creda utile ai fini del decidere, dichiari egli o meno 

l'intendimento di mantenersi nella linea dei pre


cedenti intervenuti. Ma il fatto � che la giuri


sprudenza, pur se consolidata, non assume rispetto 

alla legge il valore di integrazione che la teologia 

cattolica riconosce alla tradizione rispetto alla 

verit� direttamente rivelata, n� pretende all'inr 


perio, sia pur con la valvola costituita dalle <<gravi 

ragioni di dissenso�. Al giudice si chiede libera 

adesione ai precedenti, perch� implicitamente o 

esplicitamente riconosciuti giusti. 



---��-----------------����� 

-83 

Bene pu� il Giudice assolvere all'onere di moti-
vazione richiamandosi a precorsi giudicati, e persino 
�esprimendo le ragioni del proprio convincimento 
-0b relationem (egli ha certo in questi casi esercitato 
la giurisdizione: se mai si tratter� di vedere se sia 

o meno incorso in difetto di motivazione. Ma, 
11er giudicare, ha giudicato). Ma ci� implica che il , 
Giudice ha fatto propria la precorsa sentenza, ha 
ritenuto che quest'ultima corrisponda esattamente 
:al suo pensiero, e . che -in ultima analisi -la 
precedente sentenza sarebbe stata quella che egli 
avrebbe reso in assenza di precedenti in materia. 
Il richiamo vale, allora, per inserire la nuova 
11ronuncia nel filone della tradizione e rivestirla di 
una certa particolare autorit�; costituisce, s�, un 
gesto di ossequio al Giudice che anteriormente ebbe 
:a risolvere il problema, ma non un atto di passivo 
conformismo, in cui verrebbe ad es.sere negata in 
radice l'essenza della funzione giurisdizionale. 

Si badi bene che questo � vero per il nostro ordinamento 
giuridico; � vero in genere per tutti i 
Paesi a diritto scritto; ma � vero del pari per quella 
:zona del diritto anglosassone dove campeggia la 
judge made law. Il principio stare decisis che qui 
domina non significa affatto alienazione della libert� 
di convincimento del giudice, ma soltanto 
che -essendo consuetudinaria la norma -questa 
ultima va ricercata, riconosciuta ed identificata nei 
11recedenti giurisprudenziali, restandone, poi, libera 
l'interpretazione. 

Questo per la sostanza. Ma la presente doglianza 
non sarebbe completa, se qui la Difesa dell'Amministrazione 
non mettesse in risalto una singolarit� 
formale della pronuncia denunciata. E cio� che 
le affermazioni di cui si � fatto discorso, ed in cui 
,_ si ripete -si compendia un vero e proprio 
rifiuto dell'esercizio della funzione giurisdizionale, 
non sono state fatte neppure in sede di decisione 
della controversia, ma -in sostanza -per motivare 
il rigetto della domanda d'un provvedimento 
ordinatorio, quale proprio la remissione del 
ricorso all'Adunanza Plenaria. 

Cosi che la situazione viene ad essere di questo 
genere: il Giudice a fronte della domanda di un 
provvedimento ordinatorio, dichiara che egli non 
lo concede, per l'espresso motivo che egli n� intende 
distaccarsi dal precedente giurisprudenziale 
intervenuto, n� vuole prendere l'iniziativa che 
un'altra sede riesamini tale giurisprudenza. 

Insomma, nella sede processuale ordinatoria, il 
merito della� causa �, pi� che pregiudicato o compromesso, 
soffocato per la dichiarata volont� del 
Giudice competente di non sottoporlo ad esame 
autonomo e libero. 

DONAZIONE -Atto di donazione a favore dello Stato, 
rogato da funzionario statale, anzich� da notaio. 
Nullit� assoluta. (Cassazione Sezione II, Sentenza 
2892, 9 ottobre 1962 -Varallo, Serra, Caldarera 
(conf.) -Amministrazione Poste c. Comune di Crotone). 


� affetto da nullit� assoluta l'atto di donazione 
di un immobile a favore dello Stato, rogato da 
un funzionario deHa Pubblica .Amministrazione 

(secondo la disposizione contenuta nell'art. 16 
della legge sulla contabilit� n. 2440 del 1923) 
anzich� mediante atto notarile (v. 416/60, 1799/59, 
1218/58, 2983/57 e 470/55). 

La sentenza � cos� motivata: 

Con il primo mezzo, si deduce la violazione e la 
falsa applicazione degli artt. 12 delle preleggi: 11, 
769, 782 e 2699 O.e., 3, 6, 16 della legge di contabilit� 
generale dello Stato 18 novembre 1923, numero 
2240; 36, 37, 41, 92, 95 e 102 del relativo 
regolamento, e dei principi generali che regolano i 
contratti della P . .A. Premesso che la Corte di merito 
ha basato la sua decisione su due ordini di considerazioni 
-il carattere eccezionale dell'attribuzione 
di competenza, ex art. 2699 O.e., a pubblici 
ufficiali, diversi dal notaio, a rogare atti pubblici, 
dimodoch� tale competenza va riconosciuta limitatamente 
ad atti indicati nelle singole leggi; il 
riferimento della legge generale di contabilit� dello 
Stato ai soli contratti da cui deriva un'entrata o 
una spesa, a contratti cio� a titolo oneroso, con 
esclusione, quindi, di quelli a titolo gratuito si 
sostiene, in ordine al primo punto, che non si pu� 
considerare eccezionale l'attribuzione ai funzionari 
dello Stato di ricevere i contratti in forma pubblica 
amministrativa. Mentre nei contratti che interessano 
esclusivamente i privati, il notaio � l'unico 
pubblico ufficiale che pu� redigere l'atto pubblico 
(eccezionale essendo la competenza riconosciuta ai 
consoli dalla legge 28 gennaio 1866), nei contratti, 
invece, nei quali sia interessato lo Stato, � possibile 
alternativamente la redazione nella forma dell'atto 
pubblico ricevuto da notaio e in quella pubblica 
amministrativa che �, anzi, la normale. E non � 
neppure esatto che la modalit� di scelta del contraente, 
contemplata dalla legge di contabilit�, 
renda ipotizzabile solo la stipula di contratti a 
titolo oneroso; infatti i contratti dello Stato non 
debbono essere preceduti necessariamente da pubblici 
incanti o da licitazione privata, formalit� 
inconcepibile rispetto al contratto di donazione, 
essendo ammessa anche la trattatjva privata dalla. 
quale esula ogni incompatibilit� con l'istituto della 
donazione. 

Si sostiene, poi, in ordine al secondo punto, che 
l'affermazione della Corte di merito secondo cui 
i contratti, previsti dalla legge di contabilit� sono 
solo quelli onerosi, senza addursi alcun altro rilievo 
a conforto di tale tesi, si risolve in una petizione 
di principio. La legge di contabilit� indica soltanto 
i vari scopi che la P . .A. si propone di conseguire agli 
effetti economici derivanti dai contratti conclusi. 
Cosi l'art. 36 del Regolamento dispone genericamente 
che si provvede con contratti a tutte le forniture, 
trasporti, acquisti, alienazioni, ecc., onde 
non � possibile restringere, per gli acquisti, solo a 
qu�lli a titolo oneroso. Il successivo art. �37, poi, 
distingue i contratti che procurano un'entrata da 
quelli che determinano una spesa: ora, soltanto-a �� 
qu;est'ultimi, se mai, pu� attribuirsi la natura di 
contratti onerosi, e non pure ai primi che possono 
essere tanto onerosi quanto gratuiti. 

La censura non � fondata. 



-u-::1::


La questione fondamentale che essa pone, se i 

. funzionari delegati, secondo legge, a ricevere atti 
della .Amministrazione pubblica da cui dipendono, 
possano anche rogare atti di donazione �, tuttora, 
controversa. Questa Corte Suprema, sopratutto 
nella sua pi� recente giurisprudenza (v. fra le tante, 
sent. 2983/57), si � pi� volte pronunciato in senso 
negativo con riguardo a donazione posta in essere 
da una .Amministrazione comunale e rogata dal 
segretario comunale: ci� sopratutto perch�, secondo 
l'enunciazione da ultimo formulata nella surricordata 
sentenza, l'atto di donazione non pu� ritenersi 
compreso fra gli atti e contratti indicati 
dall'art. 87 del Testo unico della legge comunale e 
provinciale (alienazioni, locazioni,� acquisti, somministrazioni 
ed appalti di opere) in quanto do
�rnndo, di regola, codesti atti, siccome dispone lo 
stesso articolo, essere preceduti da pubblici incanti 

o da licitazione privata, � logicamente e giuridicamente 
inconcepibile configurare un atto di donazione 
preceduto da tali formalit�, e n� pu�, questo 
atto, essere compreso fra �le alienazioni� contemplate 
dalla predetta norma (sul riflesso che anche la 
donazione importa attribuzione o trasmissione di 
un diritto o di un bene da un soggetto ad un altro), 
poich� le alienazioni considerate dalla norma stessa 
non possono essere se non quelle a titolo oneroso, 
attesa la suddetta esigenza formale della procedura 
dell'asta pubblica e della licitazione privata, che 
presuppone necessariamente il carattere oneroso 
dell'atto in relazione al quale, appunto, la procedura 
stessa dev'essere osservata. 
Ritiene la Corte, che tali argomenti valgono a 
SOPreggere la soluzione negativa de qua anche 
quando l'atto di donazione venga rogato, a sensi 
dell'art. 16 legge sul patrimonio e contabilit� generale 
dello Stato, dal funzionario designato. � 

Dispone, infatti, l'art. 36 del relativo regolamento 
(R.D. 23 maggio 1924, n. 827) che si provvede 
con contratti a tutte le forniture, trasporti, 
acquisti, alienazioni, affitti e lavori riguardanti le 
varie amministrazioni e i vari servizi dello Stato. 
Il successivo articolo, a sua volta, stabilisce che 
tutti i contratti dai quali deriva un'entrata o una 
spesa dello Stato debbono essere preceduti da pubblici 
incanti, eccetto i casi indicati da leggi speciali 
e quelli previsti nei successivi articoli ove viene 
consentita la licitazione privata o la trattativa 
privata secondo i casi. 

Com'� evidente, tale disciplina normativa �, 
sostanzialmente, identica a quella in materia dettata 
dalla, legge comunale e provinciale, si pu� 
dire, anzi, che questa si � modellata su quella come 
ne avverte lo stesso art. 87. succitato del Testo 
unico. Nell'una e nell'altra, invero, si contemplano, 
in massima, gli stessi contratti che, nell'ambito 
del diritto privato, lo Stato e gli enti minori pongono 
in essere per il conseguimento dei loro fini, 
con i m�desimi procedimenti particolari di formazione 
diretti a garantirne la maggiore convenienza 
possibile e ci� anche attraverso quella forma che 
pi� si avvicina alla libera scelta del contraente, 
come nelle contrattazioni fra privati, ossia attraverso 
la forma della trattativa privata. Dice l'articolo 
92 del regolamento suddetto che esso ha 

luogo quando, dopo avere interpellato, se ci� sia 
ritenuto conveniente, pi� persone o ditte, si tratta 
con una di esse: quindi forma, anche codesta, 
che mal si concilia con l'atto di liberalit�. Ma, a 
convincere maggiormente che tale atto non pu� 
rientrare nella disciplina normativa di che trattasi, 
vale considerare lo scopo cui sono preordinati 
i .contratti in oggetto e in relazione al quale, conformemente 
allo schema legislativo, i contratti 
stessi si distinguono in contratti rivolti a procurara 
un'entrata (contratti attivi) e in contratti 
diretti a procurare beni o servizi, che importano 
cio� una spesa (contratti passivi). Ora, tralasciando 
questi, ove pi� evidente appare il carattere oneroso 
del negozio, e ponendo mente ai primi, si ha che 
con essi la P . .A. mira ad utilizzare il proprio patrimonio 
disponibile e questo fine attua generalmente 
con le locazioni e con le vendite dei prodotti 
anche dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile, 
oppure, quando occorre procurare entrata 
straordinaria, con le alienazioni di beni patrimoniali, 
onde l'atto. di � alienazione � come nelle surriferite 
norme indicate, non pu� essere se non quello 
dietro corrispettivo, cio� a titolo oneroso, essendo, 

appunto, volto a procurare un'entrata. 

Obbietta, tuttavia, la difesa erariale che qui 
viene propriamente in considerazione il tipo di negozio 
che apporta �un acquisto � e questo effetto 
pu� conseguirsi pur quando il negozio sia a titolo 
gratuito. 

� facile replicare che la donazione, nel caso, � 
atto che va riguardato rispetto al soggetto che la 
pone in essere e sotto tale aspetto esso � atto che 
importa una perdita patrimoniale; � poi da notare 
che cc l'acquisto � quale altro negozio contemplato 
in materia, rientra nella categoria dei cennati contratti 
passivi, in quanto diretti a procurare un bene 
dietro corrispettivo: il che, come ovvio, importa 
una spesa e quindi un onere per l'.Amministrazione. 

Si deve, pertanto, convenire, con la Corte di merito, 
la quale, si �, in massima, inspirata ai suddetti 
principi, che la particolare disciplina normativa 
de quo riflette soltanto atti a titolo oneroso, onde 
essa non pu� ricevere applicazione per la forma 
di stipulazione, in riguardo ai contratti di liberalit�. 

Ne consegue che anche la donazione di Ente 
pubblico, come nella specie, va redatta, sotto pena 
di nullit�, mediante atto notarile. 

.A) Le stesse ragioni per le quali, in ripetute 
occasioni, � stata negata la competenza sul segretario 
comunale a rogare, a norma dell'art. 87 e 89 del 
Testo unico delle leggi comunali e provinciali, atti 
di donazione da parte dei Comuni, son1J state assunte, 
nella riportata sentenza, per negare, per gli atti pre� 
detti, la competenza dei fun.zionari dello Stato delegati 
alla stipulazione dei contratti dello Stato a norma 
dell'art. 16 della legge di Contabilit� generale e 95 
del relativo Regolamento (cfr. Sent. 416/60, 1799/59; 
1218/58). Per entrambi i casi, infatti, la competenza 
del funzionario addetto viene limitata agli atti a 
titolo oneroso con richiamo alla necessit� per lo 
Stato e per gli Enti locali di far precedere le proprie 
contrattazioni dalla formalit� dell'asta pubblica o 
della licitazione privata. Di peculiare vi sono due 



�---�-----�---�=-?'<!T--=c-----------------


�-affm�mazioni: l'una per la quale la disciplina norma


tiva delle ricorclate leggi concerne soltanto i contratti 

1�ivolti a procurare un'entrata mediante l'utilizzazione 

del proprio patrimonio ed �i contratti rivolti a pro


curare beni e servizi mediante un corrispettivo; 

l'altra per la quale la disciplina normativa delle leggi 

stesse �, per la trattativa privata, collegata all'oppor


tunit� di interpellare pre1Jentivamente pi� persone o , 

ditte (art. 92 del Regolamento d�i Contabilit� geneNtle). 

L'indiri.zzo negativo gi� assunto dalla ricordata 

giurispruden.w, pei effetto di quest'ultimet senten.za, 

si avvia verso un lleciso consolidamento, anche se 

nella sentenw stessa, si d� atto che la questione � 

controversa. Non pu�, tuttavia, sottacersi che le limi


tazioni apportate dalle ricordate due affermazioni 

alla disciplina dei contratti dello Stato mal st'. con


ciliano con l'autonomia del Diritto Amministrativo 

rispetto al Diritto Privato, costantemente riconosciuta 

dalla Dottrina Pubblic�istica nel nostro Ordinamento 

Giuridico. Le norme della Contabilit� generale dello 

Stato che trattano il particolare argomento fanno parte 

di un corpo autonomo di norme poste a disciplina 

dell'attivit� di diritto privato della P . .A. prevista 

nella sua interezz!f,. L'art. 11, infatti, del Codice 

civile vigente, a somiglian.za dell'art. 2 del Codice 

civile abrogato, in attuazione della ricordata auto


nomia, precisa che le persone giuridiche pubbliche 

godono dei propri diritti � secondo le leggi e gli usi 

osservati come Diritto Pubblico>>. 

Particolari cautele, pertanto, richieste per la mi


gliore tutela dell'interesse pubblico, in determinati 

settori (scelta del contraente nei contratti onerosi), 

non si risolvono necessariamente in limitazioni al 

sistema generale, dal quale, al contrario, 1�estano 

regolati ,i settori per i quali le cautele stesse non sono 

necessarie o addirittura compatibili. Traccia di ci� 

pu� rinvenirsi nella parit� che lo stesso Codice civile 

all'art. 2699 attribuisce agli atti rogati da notaro ed a 

quelli rogati dagli altri Pubblici Ufficiali autm�izzati e 

nella conseguente facolt� che, nel settore pubblicistico, 

a norma dell'art. 102 del Regolamento di Contabiz.it� 

generale, hanno le parti contraenti di preferire 

l'una o l'altra delle due categorie di Ufficiali roganti. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Associazione in partecipazione 
-Massa imponibile. (Corte di Cassazione, Sezioni 
Unite, 18 febbraio 1963, n. 391 -Pres.: Torrente; 
Est.: Pece; P.M.: Reale (conf.) -Soc. Italstrade 
c. Finanze). 


Nell'associazione in partecipazione la massa imponibile, 
ai fini dell'imposta di registro, � costituita 
dalla somma dei valori apportati dall'associante 
e dall'associato, senza che possa distinguersi 
tra beni conferiti dall'associato e beni conferiti 
dall'associante. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. 


Con i primi due mezzi del ricorso principale la 
Soc. Italstrade e la Ditta Volpe assumono che, 
nella ipotesi di associazione in partecipazione, lo 
imponibile, ai fini della imposta di registro, � rap


presentato solo dal valore dell'apporto dell'asso-ciato 
(nella specie, importo delle L. 2 milioni 
apportate dalla Ditta Volpe) e non anche dal valore 
dell'apporto dell'associante (nella spe�~e1 importo� 
di 2 milioni dell'associante Italstrade nonch� lire 500 
milioni, importo dell'appalto costruzioni idro-elettriche, 
aggiudicato alla Ifalstra.de in proprio e da questa 
apportato alla associazione in partecipazione). 

Pi� specificamente, i ricorrenti principali assumono 
che: 

1) dovendosi distinguere tra il concetto giuridico 
di societ� e quello di associazione in partecipazione, 
e non potendosi -d'altra parte -concepire 
un conferimento senza trasferimento di propriet�, 
l'art. 81 della tariffa allegato A alla legge di 
Registro deve essere interpretato nel senso che il 
valore dell'imponibile � dato solo dal valore lordo 
del capitale conferito dall'associato, senza che possa 
essere computato in alcun modo anche il valore 
dei beni conferiti dall'associante, dato che detti 
beni restano di propriet� dell'associante medesimo; 

2) che, ai sensi del terzo comma dell'art. 4 
della legge di Registro, la tassa proporzionale 
colpisce solo i trasferimenti di beni a titolo oneroso,. 
sicch� la interpretazione data dalla Corte d'Appello 
all'art. 81 della tariffa deve ritenersi o inesatta 
oppure in contrasto con il menzionato articolo 
4 della Legge di Registro e, come tale, illegittima. 

Le esposte censure sono infondate. 

Gi� altre volte questa Corte Suprema (sentenza 

n. 134 del 1947; sentenza n. 2465 del 1935) ha 
affermato che nell'associazione in partecipazione 
la massa imponibile, ai fini dell'imposta di Registro, 
� costituita dalla somma dei valori apportati 
dall'associante e dall'associato, senza che possa 
distinguersi tra i beni conferiti dall'associato e i 
beni conferiti dall'associante. Il suesposto indirizzo 
giurisprudenziale deve essere tenuto fermo. 
� esatto che, come affermato dai ricorrenti principali, 
il concetto giuridico dell'associazione in 
partecipazione si differenzia da quello di societ�. 
Tale differenza � stata affermata anche da questa 
Corte Suprema (sentenza n. 2992 e n. 2727 del 
1958) ponendosi in evidenza che nell'associazione 
in partecipazione difetta un capitale sociale mentre 
la titolarit� dell'impresa resta nel solo associante, 
senza che il vincolo tra associante ed associato dia 
vita ad un ente a s� con autonoma personalit� 
giuridica. 

L'accennata distinzione, per�, non � decisiva ai 
fini del quesito in esame, postoch� l'art. 81 della 
tariffa parla di �conferimento �e non � esatto che, 
come invece affermato dai ricorrenti principali, il 
concetto di conferimento coincida con quello di 
trasferimento. 

Anzitutto, atteso il carattere speciale della legge 
di Registro, ben sarebbe stato ipotizzabile che 
quest'ultima avesse inteso adottare, ai fini specifici 
della imposta di Registro, un concetto di conferimento 
diverso da quello del diritto comum~.�Ma la 
verit� si � che nel diritto privato il concetto di con:.~ ferimento 
ha un significato pi� ampio di quello di 
trasferimento, in quanto si riferisce ad ogni prestazione, 
avente anche solo valore � di uso di un 
determinato bene. Il che importa, precisamente~ 


�che i conferimenti previsti dall'art. 81 della tabella 
allegato A possono anche prescindere dall'effetto 
giuridico del trasferimento sicch� l'imposta di Registro 
sia legittimamente riferita anche al valore di 
uso dei beni che l'associante, pur conservandone la 
propriet�, ha destinati alla realizzazione dell'affare 
per il quale � stata stipulata l'associazione e che 
restano cos� contrassegnati, rispetto al residuo 
patrimonio dell'associante medesimo, da un'autonomia 
funzionale, direttamente collegata, con 
rapporto di strumentalit�, con quella realizzazione. 

Ci� corrisponde anche alla ratio dell'art. 81, in 

quanto l'oggetto dell'imposta de qua non � dato 
�dai singoli beni dell'associato o dell'associante, ma 
dal fenomeno economico-giuridico della riunione 
�(anche solo, per quanto attinente all'associante, 
:sotto l'accennato profilo della utilizzazione) dei 
beni e dell'associato e dell'associante. 

N� la esposta interpretazione dell'art. 81 della 
tariffa A urta contro l'art. 4 della Legge di Regitro, 
come -invece -affermato dai ricorrenti 

J>rincipali. 

Anzitutto, le norme delle tariffe allegate alla 
legge si trovano in un rapporto di semplice specificazione, 
e non anche di subordinazione, rispetto 

.alle disposizioni della legge stessa, cosi come � 
testimoniato dall'esplicito rinvio fatto alle voci 
delle tariffe dall'art. 5 della legge e come � ribadito 
nel testo della Relazione, la quale ha espressamente 
qualificato le tabelle come sostitutive di 
.altrettante norme della legge, giustificandone la 
-elencazione separata con motivi di mera sinteticit� 
-e chiarezza. 

Inoltre, il terzo comma dell'art. 4 della legge non 
J.imita l'applicabilit� della tassa proporzionale ai 
soli trasferimenti a titolo oneroso di propriet� ma 
-estende tale applicabilit� anche agli atti che contengono 
obbligazioni o liberazione di somme o 
-prestazioni. E cio� l'art. 4 contempla anche, come 
-� pacifico, le obbligazioni ex contractu. 

A tutto ci� va aggiunto che un dubbio sulla 
Tilevanza, ai fini fiscali, anche dell'apporto dello 
.associante poteva sembrare giustificato, da un 
punto di vista meramente formale, dalla dizione 
dell'art. 77 della tariffa allegata al Testo unico 
20 maggio 1897, n. 217, il quale richiamava solo 
le �cose od oggetti diversi da denaro � conferiti 

o somministrati dai soci o dagli �associati �. Con 
che poteva dubitarsi, da un punto di vista letterale, 
-che il termine �associato � fosse stato usato nel 
.senso tecnico-giuridico rigoroso con esclusione di 
-ogni riferimento all'associante. 
Ogni dubbio per� deve ritenersi successivamente 
:superato dal particolare che meditatamente l'articolo 
8 della legge 23 aprile 1911, n. 509, prima, 
-ed il vigente art. 81 della tabella A, poi, hanno 
:Sancita espressamente la equiparazione, ai fini 
tributari, delle associazioni in partecipazione alle 

�Societ� e si sono riferite genericamente ai conferimenti 
di beni o di contratti qualsiasi di locazioni 
�di cose o di opere, senza pi� alcuna specificazione 
�tra associato ed associante. 
Le considerazioni fin qui esposte tolgono rile-
vanza al richiamo, fatto dai ricorrenti principali, 
.alla giurisprudenza di questa Corte Suprema in 

tema di tassazione delle promesse di vendita. Se. 
condo l'assunto dei ricorrenti, tale giurisprudenza 
avrebbe affermata la illegittimit� delle disposizioni 
delle tabelle che fossero non aderenti all'art. 4 
della legge di Registro. Al riguardo � opp9rtmio 
precisare che questa Corte (sentenza n. 1473 del 
1948) ebbe solo ad interpretare l'art. 5 della tariffa 
!lillegato A, pervenendo alla conclusione che la promessa 
bilaterale di compravendita � equiparabile, 
ai fini dell'applicazione della Tassa di Registro, 
alla vendita definitiva solo se abbia efficacia traslativa 
e non anche quando ha natura meramente 
obbligatoria. 

Senza addentrarsi in una questione estranea alla 
presente decisione,� va rilevato che mentre l'art. 5 
della tariffa allegato A � collocato sotto la rubrica 
dei �trasferimenti a titolo oneroso�, l'art. 81 della 
stessa tariffa, e che � il solo che qui interessa, ha 
una sua rubrica e un suo contenuto autonomo, si da 
restare estraneo alla interpretazione dell'articolo 5. 

Per tutto quanto detto deve concludersi che esattamente 
la Corte d'Appello ha affermato il principio 
che nell'associazione in partecipazione, e ai 
fini dell'imposta di Registro, deve aversi riguardo, 
non solo all'apporto dell'associato, ma anche a 
quello dell'associante. 

Con la sopra riportata sentenza le Sezioni Unite 
hanno confermato la costante giurisprudenza della 
Corte Suprema ormai pressoch� secolare (v. Cassa� 
zione, Roma 21 aprile 1879 in La Corte Suprema di 
Roma, 1879, 353; id. 7 febbraio 1895 in Le Massime, 
1895, 258; id. 25 aprile, ivi, 255; Sezioni Unite, 
27 agosto 1896 in Giur. It., 1896, I, 1, 897; 10 
settembre 1906, ivi, 1906, I, 1, 1006; 2 marzo 1907, 
ivi, 1907, I, 1, 443; 24 maggio 1916, ivi, 1916, I, 1, 
1154; 25 giugno 1935 in Riv. leg. fisc., 1935, 863; 
6 febbraio 1947 in Giur. Completa Cass. Civ., 1947, 
II, 4). 

I.G.E. -Imposta erroneamente corrisposta -Rimborso 
-Decisione Amministrativa in via gerarchica Azione 
Giudiziaria -Termini. (Cassazione, _Sezioni 
Unite, n. 3051, 26 luglio-20 ottobre 1962-Est.: Stile. 
Soc. Balestrini c. Finanze). 

Nei casi in cui, per conseguire il rimborso della 
imposta generale entrata erroneamente corrisposta, 
il contribuente abbia proposto ricorso agli Organi 
dell'Amministrazione Finanziaria ed abbia conseguito 
un provvedimento negativo definitivo, il 
termine per proporre azione giudiziaria non � 
quello di prescrizione di dieci anni, ma quello di 
decadenza di sei mesi dalla comunicazione del 
provvedimento predetto. 

Il testo della sentenza, nella parte dalla quale la 
massima � stata tratta, � del seguente tenore; 

OMISSIS. 

� ... la ricorrente per incidente denuncia la violazione 
dell'art. 33 della legge 23 aprile 1911, n. 509, 
in relazione all'art. 360 n. 1, C.p.c. e deduce che, 



-87



:stabilendo la norma menzionata il termine di sei 
mesi della decisione amministrativa dell'organo 
gerarchicamente superiore per adire il giudice ordinario, 
termine esteso dal R.D. 19 aprile 1923, 

n. 938, ad ogni pronuncia con carattere di definitivit�, 
la Corte del merito avrebbe dovuto dichiarare 
improponibile la domanda perch� erano de-� 
corsi i sei mesi dalla decisione del Ministro. 
Questa censura � fondata. 

L'art. 47 del R.D. 9 gennaio 1940, n. 2, innanzi 
menzionato, dispone, nel secondo comma che la 
"istanz.a per il rimborso all'Intendente di Finanza 

o al Ministero delle Finanze, deve essere prodotta 
�nel termine di un anno dall'effettuato pagamento 
dell'imposta; e questa Corte Suprema ha affermato 
che il suddetto termine � applicabile solo nel caso 
di istanza di rimborso prodotta in via amministrativa 
e non pu� riferirsi all'azione giudiziaria 
{Sezioni Unite, 7 novembre 1957, n. 4259). 
Ora se � esatto che, non essendo prescritto alcun 
termine per l'azione giudiziaria, di cui, in materia 
�di imposte�indirette, il ricorso amministrativo non 
costituisce presupposto, valgono per essa i termini 
-di prescrizione, diversa � la situazione quando, 
�proposto il ricorso o l'istanza, interviene la decisione 
amministrativa dell'Intendente e del Mini.
stro con la conseguente comunicazione. 

La tesi dell'Amministrazione delle Finanze, in:
fatti, � gi� stata accolta da queste Sezioni Unite 
che, con la sentenza 2.6 ottobre 1955, n. 3493, 
:hanno affermato che dal complesso delle norme del 
.sistema tributario italiano (artt. 146, legge R.D. 30 
-dicembre 1923, n. 3269, 94 legge sulle successioni 

R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, 29 R.D.L. 7 
.agosto 1936, n. 1639) si evince che, ove il contri
�buente sia insorto contro l'operato degli Uffici 
.Finanziari, rivolgendosi ad organi gerarchicamente 
superiori, le decisioni da questi emesse rivestono 
--0arattere di definitivit�, e valgono, quindi, a porre 
in moto il decorso del termine di sei mesi (stabilito 
_gi� dall'art. 1 D. L. 19 aprile 1923, n. 938) al di l� 
-del quale non � pi� consentito di adire l'Autorit� 
giudiziaria ordinaria, e nel principio si inquadra 
il caso di specie stante la definitivit� �del provvedimento 
ministeriale. 
N� pu� obiettarsi che l'improponibilit� della 
.azione non pu� estendersi oltre i limiti espressamente 
previsti (art. 14 disp. prel. al Cod. civ.); 
infatti, il termine suddetto trova giustificazione 
nella medesima ratio che permea tutta la materia 
tributaria nella sua unit� :finalistica �. 

A) Il principio piu volte affermato dalla Corte 
-di Cassazione (Sezioni Unite, 7 novembre 1957, 
�n. 4259) secondo il quale per conseguire, in via giu-
diziaria, il rimborso dell'ige erroneamente corrisposta, 
il termine da osservare � quello di prescrizione, � 
-dalla sentenza annotata limitato ai soli casi in cui, 
per il rimborso stesso, non sia intervenuto un pi�ov-
vedimento negatii'o definitivo degli organi dell' Amministrazione 
Finanziaria. In tali ultimi casi il 
:termine da osserva1�e � quello di decadenza di sei 
�mesi dalla comunicazione del provvedimento predetto. 

Tale limitazione, nella gi� vexata quaestio della 
portata giuridica dell'art. 47 della legge 19 giugno 

1940, n. 762 e del termine"ivi previsto, � di indubbia 
esattezza e, nella interpretazione all'articolo predetto 
data dalla consolidata giurisprudenza della Corte di 
Cassazione, trova i suoi precedenti normativi negli 
artt. 33 della legge 23 aprile 1911, n. 509 e del 

R.D. 19 aprile 1923, n. 938. Il termine, infatti, di 
.sei mesi posto dall'art. 33 della legge 509 del 1911 
dalla decisione amministrativa per adire, in tema 
di imposte indirette, il Giudice 01�dinario fu dal 
regio decreto n. 938 del 1923 esteso ad ogni pronuncia 
con camttm�e di definitivit� emessa dall'organo amministrativo 
investito in via gerarchica. 
Lo stesso termine � stato riprodotto espressamente 
nelle leggi relative a quelle imposte indirette, la cui 
disciplina � ritenuta di generale applicazione (articolo 
146 della Legge di registro, 94 di quelle di successione, 
36 di quelle di manomorta, 10 di quelle 
ipotecarie) nonch� nel D.L. 7 agosto 1~6, n. 1639 
posto a disciplina del contenzioso tributario in generale. 
Esso, inoltre, 'rispondendo a necessit� logiche 
e giuridiche di diritto sostanziale e processuale, trova 
la sua giustificazione nella dovuta unit� finalistica 
della materia tributaria. 

Con il ricm�so in via amministmtiva, infatti, la 
contestazione � in atto e, sotto il profilo strettamente 
processuale, � soggetta all'esperimento continuativo 
dei mezzi tutti apprestati dal contenzioso tributario . 
(Cfr. in �Dottrina�, GIANNINI: Istituzioni di Diritto 
Tributario, Ed. 1960, pag. 230 e Autori citati 
in nota). La necessit� di una r.1pida definizione 
della lite tributaria e la conseguente continuit� dei 
mezzi del suo contenzioso � connessa alle esigenze 
tipiche delle Entrate e delle Uscite del Bilancio dello 
Stato e tale necessit� in mancanza di espressa previsione 
legislativa in contrario, non consente, fra le 
i�arie imposte indirette, discriminazioni che si risolverebbero 
in deviazioni dal sistema generale, sfornite 
di qualsiasi giustificazione. 

IMPOSTE E TASSE-Prescrizione attinente all'estinzione 
del debito d'imposta -Prescrizione del decreto 
accessorio della pena pecuniaria -Differenze -Disci� 
plina dei due istituti. 

IMPOSTE E TASSE-Prescrizione -Domanda del de� 
bitore d'imposta -Interruzione della prescrizione 
a favore di entrambe le parti -Nuovo periodo di 
prescrizione -Decorrenza -Inizio. (Corte di Cassa.. 
zione, Sezione I, Sentenza n. 2768/62 -Pres.: Torrente; 
Est.: Di Majo; P.M.: Toro (conf.)-Ditta Luxi 
e Ragazzo c. Finanze). 

Nel sistema tributario i due termini di prescrizione 
l'uno attinente all'estinzione del debito d'imposta, 
'l'altro a quello del debito accessorio della 
pena pecuniaria, sono ben differenziati e, per 
quanto attiene al secondo, la legge 7 gennaio 
1929, n. 4 stabilisce espressamente che il..djritto 
alla pena pecuniaria si prescrive con il decorso di _ 
cinque anni dal giorno della commessa violazione 
(art. 17, 10 comma), senza alcun riferimento quindi 
al termine prescrizionale previsto per il tributo, 
come invece avviene per la sopratassa, il cui 
corrispondente diritto della Finanza si estingue 



-88 

con il decorso del tempo stabilito per la prescrizione 
del tributo medesimo (art. cit. 2� comma). 
Non pu� perci� estendersi all'esplicito regolamento 
dell'una fattispecie ildiverso regolamento dell'altra. 

Nel rapporto tributario la domanda del debitore, 
cos� in via amministrativa che in via giudiziaria, 
interrompe la prescrizione a favore di entrambe le 
parti e il nuovo periodo di prescrizione ricomincia , 
a �decorrere dalla data della definizione del procedimento 
amministrativo o di quello giudiziario. 

Trascriviamo la motivazione in diritto clella sentenza 
che ha accolto la tesi dell'Av�vocatura. 

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la 
violazione degli artt. 3 e 45 legge 19 giugno 1940, 

n. 262 (IGE) in relazione all'art. 294 7 O.e. e 17 
legge 7 gennaio 1929, n. 4, con riferimento all'articolo 
360, n. 3 C.p.c. 
Si sostiene l'erroneit� della decisione della corte 
di merito per avere questa affermato che il diritto 
dello Stato a percepire il tributo IGE si pr8scrive 
(giusta l'art. 45 del R.D.L. 9 gennaio 1940, numero 
762) nel termine di 10 anni. L'errore della 
corte di merito consi3terebbe, secondo l'a~sunto 
del ricorrente, nel non aver tenuto presente che la 
pena pecuniaria, relativa alle evasioni IGE, si 
prescrive nel pi� breve termine di cinque anni, e 
che nella specie il rapporto fra l'ammontare superiore 
della pena pecuniaria (L. 100.000), e l'ammontare 
inferiore del tributo (L. 95.582) comporterebbe 
come conseguenz11, attesa la dipendenza e accessoriet� 
del tributo, perch� minore, alla pena pecuniaria, 
perch� maggiore, che la regolamentazione 
della somma maggiore assorbe e disciplina la regolamentazione 
della somma minore. 

Da ci� la conclusione che il termine di prescrizione 
di 5 anni si sarebbe dovuto ritenere applicabile, 
nel caso concreto, al tributo evaso. 

In sostanza il ricorrente fa una question3 di 
quantit� e ritiene che la sola circostanza dell'ammontare 
minore del tributo, rispetto alla pena 
pecuniaria, possa modificare la disciplina normativa 
del tributo medesimo sul punto della prescrizione. 

La tesi non ha alcuna consistenza. 

Esattamente la corte di merito ha considerato 
distinti i due diversi periodi di prescrizione, l'uno 
attinente all'estinzione del debito di imposta (IGE) 
l'altro a quello del debito accessorio della pena 
pecuniaria. 

Nel sistema tributario i due termini sono infa.tti 
ben differenziati, e per quanto attiene al secondo 
la legge 7 gennaio 1929, n. 4 stabilisce espressamente 
che il diritto alla pena pecuniaria si prescrive 
col decorso di 5 anni dal giorno della commessa 
violazione (art. 17, 1� comma) senza alcun riferiIl).
ento quindi al termine prescrizionale previsto 
per il tributo, come invece avviene per la sopratassa, 
il cui corrispondente diritto della finanza si estingue 
con il decorso del tempo stabilito per la prescrizione 
del tributo medesimo (art. cit. 2� comma). 

Fattispecie quindi ben nette e differenziate, per 
cui � agevole scorgere come al chiaro ed esp)icito 
regolamento legislativo dell'una non possa estende1
�si il diverso regolamento dell'altra. 

Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e 
falsa applicazione degli art. 45 e 52 'della legge 
sull'IGE in relazione all'art. 2033 O.e. e con riferimento 
all'art. 360 n. 3 C.p.c. 

Osserva il ricorrente che nel giud:lzfo' d� appello 
fu eccepito che la prescrizione decennale 8i riferisce 
al credito dello Stato per l'imposta non corrisposta, 
mentre nel caso concreto si trattava di imposta 
a pena pecuniaria pagata e non dovuta. 

Anche questa censura non ha pregio. 

Come gi� detto in narrativa, la corte di1 meritoha 
sottolineato che il punto in discussione riguardava 
soltanto la questione se l'azione dello Statoper 
la riscossione del tributo fosse o meno prescritta, 
e non gi� l'altra concernente la prescrizione 
del diritto del contribuente a ripetere l'imposta 
pagata e non dovuta; ed in proposito ha posto� 
in risalto detta corte che la dedotta prescrizione 
non sussisteva, considerato che il termine previsto 
dalla legge (art. 45 legge IGE) � di 10 anni, e che il 
credito dell'amministrazione, sorto nel 1949, era 
alla data della contestata lite (28 ottobre 1957) 
pienamente azionabile. 

Che il tributo fosse o meno dovuto e quindi 
potesse chiedersene il rimborso all'amministrazione. 
costituiva poi tutt'altra questione (di merito) che 
non tocca il punto impugnato dalla sentenza della 
corte di Cagliari. 

Con il terzo mezzo si denuncia la violazione ed 
errata applicazione dell'art. 57 legge 7 gennaio 
1929, n. 4 in relazione all'art. 17 della stessa legge. 
e agli art. 2940 e 2943 O.e. e 247 e 248 disp. att. 
C.c., con riferimento all'art. 360 n. 3 C.p.c. 

Si assume che la ditta nel giudizio di merito� 
aveva dedotto che il pagamento eseguito a forza 
del provvedimento del ministro delle finanze non 
poteva considerarsi spontaneo, ma coatto, a causa. 
della autoritariet� inerente allo steEso provvedimento, 
anche se nessun atto di esecuzione fosse 
stato promosso in base adesso, e quindi non doveva 
escludersi in pregiudizio di essa ditta la ripetizione 
di quanto pagato. 

La sentenza denunciata vuol superare questo� 
sistema difensivo, col rilievo che non si fosse verificata 
la prescrizione quinquennale del diritto dello. 
Stato alla percezione della pena pecuniaria, in 
quanto tale termine sarebbe stato interrotto una 
prima volta il 20 gennaio 1951 con la notifica 
dell'ordinanza della intendenza e una seconda 
volta il 17 febbraio 1951 in dipendenza del ricorso 
presentato in tale data dalla ditta ricorrente e ci� 
in esecuzione della norma prevista dall'art. 141 
della legge di registro. 

Al riguardo -spiega il ricorrente -non ha 
conE<iderato la corte di merito che questo ultimo 
articolo di legge � stato modificato dal Codice 
civile in quanto non si prevedono pi� ca�se sospensive 
della prescrizione, mentre le cam;e interruttive 
si sostanziano nelle domande del rimborso 
di tasse e nelle domande di opposizione-a. richiesta 
di tassa, domande che non ricorrono nella presente. controversia. 


Anche queste censure non colgono nel segno ed 
in proposito � sufficiente considerare, per dimostrarne 
h inconsistenza, che, da un lato, come gi� 



-89 


�detto innanzi, il punto impugnato concerne l'ac


�certamento sulla prescrizione o meno del diritto 
dello Stato alla riscossione del tributo e della 
pena pecuniaria, e non gi� sulla pretesa del contribuente 
a ripetere la somma pagata e non dovuta; 
e dall'altro che se � vero che l'art. 247 delle disp. 
.att. Codice civile ha volut.o le cause di sospensione 
della prescrizione non previste dal codice stesso, 
non � meno vero che nel caso concreto la corte di 
appello ha applicato il principio ben diverso in 
tema di interruzione della prescrizione (desumendolo 
dagli art. 140 e 141 legge registro) secondo cui 
la domanda del debitore, cos� in via amministrativa 
che in via giudiziaria, interrompe la prescrizione a 
favore di entrambe le parti e il nuovo periodo di 
prescrizione ricomincia a decorrere dalla data della 
definizione del procedimento amministrativo o di 
.quello giudiziario. 

�OPERE PUBBLICHE -Nuovo Capitolato Generale di 
appalto -Entrata in vigore -Norme sostanziali e 
norme processqali. (Corte di Cassazione, Sezione I, 
Sentenza n. 67/1963 -Pres.: Celentano; Est. DiMajo; 
P .M.: Silocchi -Comune cli Napoli c. Cassa del Mezzogiorno). 


Le norme di carattere sostanziale del nuovo 
-0apitolato generale di app~lto approvato con decreto 
del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, 

n. 1063 ed entrato in vigore il 1� settembre 1962 
non regolano i contratti di appalto stipulati sotto 
l'impero del precedente capitolato del 1895. 

Invece le norme processuali contenute nel detto 
Capitolato del 1962, e cio� quelle che regoiarno il 
modus procedendi dell'arbitrato, debbono considerarsi 
entrate immediatamente in vigore alla 
in!licata data del 1� settembre 1962 anche in relazione 
ai contratti di appalto stipulati sotto l'impero 
del vecchio capitolato. 

La Cassazione ha motivato affermando che le 
norme che iregolano il modus procedendi dell'arbitrato 
�come tutte le norme clhe regolano le situazioni 
giuridiche di cw�attere processuale, sono di immediata 
applicazione e devono perci� regolare gli arbitrati 
in corso e quelli. scaturenti dai contratti di appalto 
anteriori al 1� settembre 1962 ȥ 

Con questa sentenza la Corte Suprema accoglie la 
tesi sostenuta dall'Avvocatura fin dal momento dell'entrata 
in vigore del nuovo capitolato, quando furono 
impartite agli uffici competenti direttive proprio nel 
senso affermato dalla sentenza. 

E', in particolare, evidente che tutti i lodi arbitrali 
pronunciati dopo l'entrata in vigore del Capitolato 
del 1962 o, per i quali, se anche pronunciati prima, 
non erano scaduti i termini per l'azione di nullit�, 
possono essere impugnati per violazione delle regole 
di diritto secondo il disposto degli articoli 50 e 51 del 
nuovo capitolato in relazione all'art. 829 del C.p.c. 

Sull'argomento si veda anche la nota pubblicata 
in questa Rassegna (infra pag. 00). 

CONSIGLIO DI STATO 

I 

RICORSO GIURISDIZIONALE -Noti'f�cazione alla 
Autorit� emanante -Omissione -Inammissibilit�. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Espropriazione 
-Scelta dell'area -Discrezionalit�. 
(Consiglio di Stato, IV Sezione, Decisione n. 3 del 9 
gennaio 1963 -Pres.: Meregazzi; Est.: Cuccia -D'Urso 

c. Min. Poste e Telecomunicazioni e Societ� Radio 
Audizioni Italiana Televisione). 
Anche dopo l'entrata in vigore della legge 25 
marzo 1958, n. 260, � inammissibile il ricorso giurisdizionale 
che non sia stato notificato all'Autorit� 
che ha emanato l'atto impugnato; n� tale omissione 
pu� essere attribuita ad errore scusabile al fine di 
poter rimettere in termini il ricorrente. 

La scelta dell'area sulla quale deve essere eseguita 
un'opera pubblica e che forma oggetto di un 
provvedimento di espropriazione per pubblica utilit� 
� fatta in base ad una valutazione tecnicodiscrezionale 
della P.A., sottratta al controllo di 
legittimit� del Consiglio di Stato. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della deci.
sione: 

I resistenti -Ministero delle Poste e delle Tele.
comunicazioni, e RAI Televisione Italiana -hanno 

eccepito in via pregiudiziale che il ricorso in parola, 
per quanto concerne il decreto di occupazione � 
inammissibile, per difetto di notificazione all'Autorit� 
amministrativa, il Prefetto di Foggia, che lo 
ha emanato. All'udienza di discussione del ricorso 
la difesa del ricorrente ha chiesto la concessione 
dell'errore scusabile, dati i dubbi di interpretazione 
cui ha dato luogo l'applicazione della legge 25 
marzo 1958, n. 260. Tale richiesta � stata resistita 
dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha rilevato 
che, sia nell'epigrafe del ricorso, . che nella relata 
dell'ufficiale giudiziario, non si rinviene alcun accenno 
da cui possa desumersi che il ricorso sia stato, 
quanto meno, notificato al Prefetto presso il Ministro 
competente. 

Osserva il Collegio che la questione va esaminata 
alla stregua dei principi affermati dall'Adunanza 
plenaria nella decisione 15 gennaio 1960, n. 1, con 
la quale � stato ritenuto che la legge n. 260/1958 
non ha abrogato anche l'art. 36, secondo com.ma, 
Testo unico 26 giugno 1924, n. 1054, modificato 
dall'art. 41, secondo comma, R.D.L. 23 ottobre 
1924, n. 1672, sicch� debbono ritenersi validi e regolari 
i ricorsi proposti innanzi alle giurisdizioni 
amministrative che, a norma del citato art. 36, 
siano stati notificati all'Autorit� che ha emanato 



-'tl\J 


l'atto impugnato. Con la stessa decisione si � riconosciuto 
che le incertezze provocate dal difetto di 
coordinamento fra la legge n. 260/1958 e il Testo 
unico, n. 1054/1924 possono costituire fondato 
motivo per ritenere scusabile l'errore, ma si � 
esclusa la possibilit� della remissione in termini 
nei casi in cui non sia stato osservato il precetto 
relativo alla rappresentanza dell'Amministrazionein 
giudizio, e quindi il ricorso sia viziato nel suo 
contenuto intrinseco. Ci� si � proprio verificato nella 
specie perch�, come si � visto, � mancata quella 
notificazione del ricorso all'Autorit� che ha emanato 
il provvedimento �impugnato, e cio� al Prefetto, 
per cui non � stabilito il contraddittorio fra 
le parti, che � caratteristico dei procedimenti giurisdizionali. 
In altri termini, qui non si fa questione 
del modo con cui � stata effettuata la notificazione, 
ma della mancanza della notificazione stessa, che 
produce nullit� insanabile. Pertanto l'eccezione di 
inammissibilit� sollevata dalle parti resistenti � 
pienamente fondata. 

Ci� posto, l'esame del merito va circoscritto 
all'unico motivo dedotto contro il decreto 24 novembre 
1999, emesso dal Ministro delle Poste, al 
quale il ricorso � stato notificato. Con tale motivo 
si denuncia eccesso di potere e violazione della 
legge 25 giugno 1865, n. 2359. L'eccesso di potere 
si concreterebbe nella circostanza che il ripetitore 
� ubicato nel ciglio della strada comunale della Maddalena, 
e poich� tale strada � molto pi� breve rispetto 
a quella di cui era previsto l'asservimento, 
si sostiene che la RAI avrebbe potuto pi� agevolmente 
conseguire il fine di pubblico interesse mediante 
l'utilizzazione della strada comunale esistente, 
anzich� mediante l'occupazione di terreno 
produttivo appartenente a privati. La violazione 
di legge viene invece prospettata sotto il profilo 
che la RAI, sempre col citato D.M. 24 novembre 
1959, veniva autorizzata a richiedere l'imposizione 
di servit� e le limitazioni di propriet� ritenute 
necessarie all'esercizio e al funzionamento 
degli impianti. 

Ora la censura di eccesso di potere � palesemente 
inammissibile, in quanto, i criteri seguiti 
dal Ministero nella scelta dell'area attengono ad 
un apprezzamento di merito, che l'Amministrazione 
ha posto in essere nell'esercizio del potere 
discrezionale e che quindi sfugge al sindacato di 
legittimit�. In tali sensi si � consolidata la giurisprudenza 
di questo Consiglio, la quale, nel particolare 
settore che ne occupa ha affermato che rientra 
anche nella discrezionalit� tecnica dell'Amministrazione 
stabilire, non solo come meglio si debba 
provvedere alla costruzione degli impianti stessi, 
cui l'espropriazione � preordinata, ma anche alla 
sistemazione dei servizi occorrenti per il loro funzionamento, 
fra cui essenziale quello delle vie 
di accesso e di comunicazione, e quindi ancora se 
si debba stabilire la servit� d'ace.esso su determinazione 
fondi. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' 


Occupazione di urgenza -Termine -Decorso del 

biennio -Effetti. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione 
di urgenza -Varie -Omessa impugnativa 
del decreto che approva il progetto della 
opera -Effetti. (Consiglio di Stato, IV Sezione, 
Decisione n. 34 del 18 gennaio 1963-' Pres.~ D'Avino; 
Est.: Crisci -Trentacapilli c. Ospedale civile S. Maria 
del Carmine di Pizzo Calabro, Prefetto di Catanzaro. 
e Min. Lavori Pubblici). 

Il decorso del termine biennale previsto dallo 
art. 73 legge 25 giugno 1865, n. 23159 senza che la. 
occupazione temporale sia stata convertita in defrnitiva, 
attraverso un decreto di esproprio, fa s� 
che divenga illecito il protrarsi dell'occupazione 
stessa, ma non invalida ab origine il provvedi-� 
mento. � 

Non sono ammissibili in sede di ricorso proposte>contro 
un provvedimento di occupazione di urgenza 
le censure che concernono l'estensione della 
area occupata, se non sia stato impugnato il decreto 
ministeriale che approva il progetto della costruenda 
opera pubblica, delimitando l'area da occupare. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Impugnazione 
-Affittuario del bene -Carenza di' 
interesse. (Consiglio di Stato, IV Sezion�, Decisione� 

n. 40 del 23 gennaio 1963 -Pres.: Potenza; Est.: 
De Capua -Borriello ed altri c. Prefetto di Napoli 
e Provveditore alle Opere Pubbliche per la Campania. 
e il Molise). 
L'affittuario dell'immobile espropriato � titolare 
di un semplice interesse di fatto alla legittimit� 
del provvedimento di espropriazione e non � perci� 
legittimato a chiederne l'annullamento in sede, 
giurisdizionale. 

CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE -Partecipazione 
del Presidente della Regione alle sedute del Consiglio� 
dei Ministri -Difetto di giurisdizione del Consiglio 
di Stato. (Consiglio di Stato, Sezione VI, decisione 
111/63 -Pres.: Stumpo; Est.: Melito -Regione siciliana 
c. Presidenza del Consiglio e Min. dei Trasporti). 

� inammissibile il ricorso, col quale la Regione 
denuncia l'illegittimit� di un provvedimento per 
violazione dell'art. 21 S.S.Sic., non avendo il Presidente 
della Regione partecipato alla seduta del 
Consiglio dei ministri, nella quale il provvedimento 
stesso fu adottato, perch� la questione integra un 
conflitto di attribuzione costituzionale devoluto� 
alla esclusiva cognizione della Corte Costituzionale. 


La Regione <lenuncia col ricorso l'illegittimit� del'. 
decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 
1959, n. 875 per violazione dell'art. 21 dello Statuto. 
speciale siciliano, a norma del quale il .Presidente 
della Regione stessa partecipa al Oonsiglio dei -Mk-_ 
nistri, con rango di Ministro; e con voto .deliberativo� 
nelle materie che interessano la Regione.


Nella specie, invero, col citato decreto presidenzialefu 
disposta la soppressione dei servizi ferroviari sulla, 



-91


linea a scartamento ridotto Agrigento-L-icata e sulla 

diramazione Margonia-Canicatt�, a norma dell'arti


colo 4 del R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 1575, su pro


posta del Ministro per i Trasporti e sentito il Consi


glio dei Ministri, ma senza che al Consiglio ora detto 

fosse invitato a partecipare e prendesse parte il Pre


sidente della Regione siciliana. Donde l'illegittimit� 

lamentata dalla ricorrente Regione, posto che sempre 

secondo l'assunto di quest'ultima, non potrebbe con


testarsi che la soppressione o meno di una linea f er


roviaria secondaria costituisca materia interessante 

la Regione. 

Cos� precisati i termini della controversia non pu� 

dubitarsi che la questione sollevata dalla Regione 

siciliana integri un conflitto di attribuzione costitu


zionale e rientri perci� nella sfera della competenza 

della Corte Costituzionale. 

Deve, infatti, ritenersi per certo che leda la sfera 

di attribuzioni costituzionali di un ente sia l'atto che 
invade positivamente la sfera giuridica dell'ente medesimo 
usurpando una sua funzione, sia l'atto che 
impedisce all'ente l'esercizio di una sua funzione 
cost~tuzionalmente garantita. E la partecipazione del 
Presidente della. Regione siciliana al Consiglio dei 
Ministri tutte le volte che debba deliberarsi su materie 
che interessano la Regione � chiaramente un'attivit� 
che rientra nella sfera delle attribuzioni regionali 
costituzionalmente garantite, posto che il suo svolgimento 
� previsto da una precisa e tassativa disposizione 
dello Statuto speciale siciliano, cio� da una 
norma di carattm�e costituzionale, tutelante in via 
diretta, e non occasionale, un interesse costituzionale 
della Regione: e cio� appunto Vinteresse a partecipare 
con il suo Presidente alle riunioni del Consiglio 
�dei Ministri, quando questo tratti affari riguaManti 

la Regione. 

Un tale interesse, dunque, pu� trovare la sua tutela 

giurisdizionale esclusivamente nel rimedio previsto 

dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e la 

sua violazione non pu�� di conseguenza essere dedotta 

dinanzi a questo Consiglio di Stato. 

Deve, pertanto, dichiararsi il difetto di giurisdi


zione del Consiglio stesso in ordine al ricorso in 

esame. 

* * * 

La decisione, che ha accolto l'eccezione d'inammis


sibilit� dedotta dall'Avvocatura, � senza dubbio esatta. 

L'interesse della Regione a partecipare, a mezzo del 

suo Presidente, alle sedute del Consiglio dei Ministri, 

nelle quali si trattino affari, che riguardano partico


larmente la Regione stessa, � tutelato direttamente, 

non occasionalmente, dall'art. 21 S.S.Sic., che � 

norma costititzionale. Esso, pertanto, non pu� qua


lificarsi interesse legittimo della Regione; soprattutto, 

esso � un interesse costituzionalmente garantito, onde 

l'esclusiva competenza della Corte Costituzionale. 

La motivazione della decisione, fondata essenzial


mente sulla natura costituzionale della questione, 

conforta l'assunto, che da tempo sosteniamo (Ras


segna .Avv. Stato: 1957, 188; 1958, 79; 1959, 19; 
1959, 51; 1960, 65; 1961, 109) e secondo il quale la 
violazione di una norma costituzionale, qual' � nella 
specie l'art. 21 S.8.Sic., non pu� �essere deitutta dai 
privato come vizio di legittimit� di un atto amministrativo, 
che direttamente lo interessi. La norma~ 
i'Yjfatti, non tutela occasionalmente un interesse p1�ivato, 
ma solo un interesse della Regione e, comunque~ 
attiene alla ripartizione costituzionale della competenza 
fra lo Stato e la Regione, per cui ogni controversia 
ad essa relativa � devoluta alla esclusiva cognizione 
della Corte Costituzionale e pit� essere introdotta 
esclusivamente dagli Enti, nel cui interesse la norma 
� posta (vedansi in proposito i lavori preparatori 

della legge 11 marzo 1953, n. 87 in questa Rassegna,. 
1950, p. 162 e 1960, p. 67). 

Sui limiti e sugli effetti dell'intervento del Presidente 
della Regione alla seduta del Consiglio dei ministri 
ha avuto occasione di pronunziarsi recentemente, 
sia pure con particolare 1�iguardo all'impitgnativa 
di una legge regionale, la Corte Costititzionale 
la quale, con sentenza n. 13 del 1963, ha affermato 
che, �anche a prescindere dall'indagine circa gli 
effetti sulla validit� delle deliberazioni del Consiglio 
dei Ministri del mancato intervento alle sue sedute 
del Presidente della Giunta regionale, nei casi previsti 
dall'art. 4 7 u.c. St. sardo, non pu� esser dubbio 
che l'intervento medesimo non sia richiesto allorch�� 
il Governo deliberi sul promuovimento della questione 
di legittimit� o di quella di merito nei confronti 
di una legge deliberata dal Consiglio regionale, 
ai sensi dell'art. 33 Statuto. Infatti, mentre 
� da escludere che le deliberazioni in tal senso 
(rivolte come sono ad ottenere il rispetto o della 
sfera di competenza riservata allo Stato, o dei principi 
sanciti dalla Costituzione, o degli interessi 
nazionali) possano riguardare <<particolarmente � la 
Regione, e cos� realizzare la condizione che l'articolo 
4 7 richiede per l'intervento in parola, � da 
osservare che inconsistente � il motivo addotto 
dalla difesa della Regione a sostegno della pretesa 
fatta valere, secondo cui dovrebbe essere consentita 
al Presidente la possibilit� di illustrare il proprio 
punto di vista sui rilievi sollevati dal Governo,. 
dato che tale esigenza viene pienamente soddisfatta 
attraverso la procedura del riesame prescritta dal 
citato art. 33 Statuto, in seguito al rinvio che di 
essa dispone il Govern-0: riesame che, quando si 
concluda con la riapprovazione, consente di mettere 
in evidenza tutti i motivi atti a contrastare le 
censure sollevate dagli organi statali, sicch� nulla 
altro ru� rimanere al Presidente regionale da aggiungere 
ad essi�. 

A nostro avviso, comunque, la partecipazione alla 
seduta del Consiglio dei ministri dei Presidenti delle 
Regioni autonome della Sardegna e della Sicilia, 
prevista dagli artt. 47 S.S.Sa. e 21 S.8.Sic., � una 
facolt� loro concessa, che, peraltro, non attiene alla 
validit� delle deliberazioni adottate dal Consigli.o .dei. 
ministri, il quale non � certamente obbligato a provocare 
una tale partecipazione. 

GIUSEPPE GUGLIELMT. 


�ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
:DELLE CORTI DI MERITO 


�COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Danni di guerra 
-Calcolo dei coefficienti -Competenza del giudice 
ordinario. (C. d'Appello di Milano -Sezione I, 
Sentenza 20 aprile 1962 -Pres. Ghirardi -Est. Ali. 
brandi -Mazzanti c. Min. del Tesoro). 

Appartiene alla competenza del giudice ordinario 
�decidere sulla pretesa del beneficiario d'un provvedimento 
di indennizzo o contributo per danni di 
,guerra, il quale contesti l'esattezza della applica. 
zione delle norme relative ai coefficenti di rivalu


tazione. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza 
e i motivi del ricorso per difetto di giurisdizione. 


Rileva il collegio essere fuori di dubbio che alla 
legge 27 dicembre 19~3, n. 968, in base alla quale � 
stato liquidato al Mazzanti l'indennizzo del cui 
.importo egli si duole, si applicano gli stessi prin


cipi che erano applicabili alla legge 26 ottobre 
1940, n. 1543, che regolava anteriormente la materia. 
Vigente quest'ultima legge la Suprema Corte 
.a Sezioni Unite aveva statuito che ilrisarcimento dei 
danni cagionati da fatti di guerra non era riconosciuto 
come diritto perfetto del singolo, non fondandosi 
esso su presupposti di responsabilit� contrattuale 
o extra contrattuale. Traeva, invece, 

�origine esclusivamente da considerazioni di solidariet� 
nazionale, che avevano indotto lo Stato 
ad accollarsi, sia pure in misura inadeguata, l'onere 
dei danni patrimoniali subiti dai singoli, ripartendoli 
in tale modo su tutti i cittadini. Pertanto il 
loro risarcimento veniva ad essere informato agli 
stessi criteri che inducevano lo Stato ad intervenire 
per il risarcimento dei danni cagionati da 
pubbliche calamit�. In tutte tali ipotesi non sussistendo 
un obbligo giuridico dello Stato al risarcimento 
dei danni non poteva sorgere nei singoli 
un correlativo diritto a conseguirlo, ma soltanto 
un interesse opportunamente tutelato. 

Coerentemente a questi principii la Suprema 
Corte ha affermato la regola che il cittadino che 
ritenga essergli ingiustamente negato l'indennizzo 

o che il liquidato sia di misura inferiore a quello 
che egli reputa dovuto non pu� invocare la tutela 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria, perch� non � 
titolare di un diritto perfetto da fare valere (sentenza 
23 febbraio 1954, n. 491, in Giur. Cmnpl. 
Cass. Civ., 1954 4� Bim. n. 1988 della raccolta). 
Sui principi cosi fissati dal Collegio Supremo non 
sono sorte opinioni divergenti e lo stesso appellante 
non ne nega il legittimo fondamento. Con succes


----------------�--�-�-��-�-�����������-������ 

siva sentenza, pure a Sezioni Unite, dell'll ottobre 
1955, n. 2995, ai cui criteri � poi rimasta ferma 
(sentenza 28 aprile 1959, n. 1254, in Mass. F. I., 
1955 col. 233 e 18 giugno 1959 n. 1917, in Mass. 
F.I., 1959 col. 359) la Corte di Cassazione, ha 
approfondito il concetto di diritto affievolito (che, 
quanto alla tutela, � del tutto assimilabile all'interesse), 
al quale la difesa dell'Amministrazione 
si riconduce per la risoluzione della presente controversia 
. 

La Suprema Corte, contrariamente ad un movimento 
dottrinale secondo cui in materia di diritto 
affievolito, quando si � in presenza di un potere 
discrezionale della pubblica amministrazione, la 
competenza esclusiva del Consiglio di Stato opera 
solo per le questioni attinenti al vizio di eccesso di 
potere, mentre per quelle relative alla violazione di 
legge o ad incompetenza la cognizione spetterebbe 
sempre al giudice ordinario, ha affermato che 
anche per queste ultime, la competenza esclusiva 
� del giudice amministrativo. Ha anche ulteriormente 
precisato che opera la competenza esclusiva 
del Consiglio di Stato non soltanto quando si � in 
presenza di un potere discrezionale dell'amministrazione, 
bens� anche quando l'amministrazione 
agisce sulla base di una norma vincolante, la quale, 
perci�, di per s� non � sufficiente a creare in capo 
al singolo un diritto perfetto e, conseguentemente, 
a discriminare le due competenze. Non basta, ha 
statuito la Suprema Corte, che uno dei momenti 
della condotta della pubblica Amministrazione sia 
tassativamente imposto, senza margine di discrezionalit�, 
perch� da ci� si debba desumere l'attribuzione 
di un diritto soggettivo al privato. Giova 
in proposito riflettere che tra i vizi deducibili 
davanti al giudice amministrativo sono l'incompetenza 
e la violazione di legge. Tali vizi implicano 
evidentemente la denuncia della inosservanza di 
norme, che indubbiamente vincolano la condotta 
della Pubblica Amministrazione, senza lasciare 
ad essa margine di discrezionalit� alcuna in relazione 
al momento in cui vengono in considerazione. 
La completezza o il difetto di elasticit� delle 
norme non sono sufficienti per la discriminazione 
della situazione oggettiva del privato. 

Il criterio � dato, invece, dalla funzione del comando 
rispetto all'azione della pubblica amministrazione 
ed alla posizione che vi assume l'interesse 
in essa protetto. Se la norma stessa -� .diretta a 
regolarne l'attivit� in vista del perseguimentg_ 
dell'interesse pubblico (norma di azione) la tutela 
del privato non pu� non essere subordinata, indiretta, 
riflessa. Se, invece, il precetto legislativo 
riconosce al privato una posizione autonoma, con 



-93


rilevanza esterna, che esorbita cio� dalla sfera della 
�Pubblica .Amministrazione, per assicurare immediatamente 
e direttamente la situazione soggettiva 
del privato, ivi si � di fronte ad un diritto soggettivo 
perfetto, tutelabile davanti al giudice ordinario. 
Deve trattarsi, quindi, di una norma di 
relazione intesa alla protezione diretta di un in


teresse individuale. 

La difesa dell'Amministrazione, richiamando que


sti principii non dubita che gli artt. 25 e 28 della 

legge 27 dicembre 1953, n. 968 siano norme di 

azione, norme strumentali, non attributive di un 

diritto soggettivo in testa al beneficiario dell'in


dennizzo. 

Secondo essa, in nessun caso il privato in ma


teria di danni di guerra pu� fare valere� le sue 

doglianze davanti al giudice ordinario. Infatti il 

sistema predisposto dagli artt. 16 e 17 della legge 

fa �onfluire necessariamente verso il Consiglio di 

Stato la definitiva tutela, prevedendo le due norme 

la possibilit� di ricorrere al Ministro per il Tesoro 

avverso il decreto dell'Intendente di finanza, il 

quale Ministro decide definitivamente, sentita la 

Commissione tecnico-amministrativa centrale. 

Senonch� il Collegio osserva in contrario che non 

� sufficiente, come sembra ritenere la difesa della 

.Amministrazione, che sia apprestata la tutela da


vanti al Consiglio di Stato avverso un provvedi


mento dell'autorit� amministrativa perch� possa 

essere esclusa la competenza del giudice ordinario. 

Invero l'art. 26 del Testo unico sul Consiglio di 

Stato appresta questa tutela giurisdizionale ammi


nistrativa per le questioni che attengono a deci


sioni che abbiano ad oggetto un interesse dei sin


goli, ma fa esplicitamente salva la competenza del 

giudice ordinario quando i ricorsi presuppongano 

la violazione di diritti soggettivi. 

Onde non si pu� aprioristicamente affermare che 

tutte le questioni che possono insorgere nella ma


teria in esame debbano essere escluse dalla com


'petenza del giudice ordinario . .Anche per essa oc


corre, invece, indagare se si verte in un caso di 

interesse o di diritto, essendo essi e soltanto essi 

che possono dettare il criterio discriminatore della 

competenza. 

Sembra al collegio fuori dubbio che i test� esa


minati principi formulati dal Supremo Collegio 

siano pienamente validi e siano applicabili quanto 

all'ammissibilit� all'indennizzo e alla sua entit� o, 

come si esprime la norma (art. 17 della legge ci


tata), �sulla somma da porre a base per la loro 

(cio� del contributo o dell'indennizzo) determina


zione i>. 

Sicch� avverso il decreto dell'Intendente che 

stabilisce se il contributo o l'indennizzo � o meno 

dovuto e che ne determina, nel primo caso, l'am


montare � dato solo ricorrere al Ministro per il 

Tesoro e, in ultima istanza, al Consiglio di Stato, 

perch� la norma � senza alcun dubbio di azione: 

tende cio� a regolare l'attivit� dell'Amministra


zione in funzione esclusiva dell'interesse pubblico. 

Ma, una volta che l'organo competente ha am


messo il singolo all'indennizzo e di questo ha fis


sato l'ammontare (nella specie, a norma degli 

artt. 17, 25 e 28), �non possono pi� essere consi


derate norme di azione quelle che stabiliscono coefficienti 
e misure con cui si deve operare per l'accertamento 
del quantum dell'indennizzo (citati articoli 
25 e 28). Qui il privato a,equista un-a.posizione 
autonoma, in virt� del precetto legislativo, il 
quale gliela assicura in forma diretta ed immed~
ata, tanto che non � neppure pi� previsto per 
questo quantum in tale modo determinato il ricorso 
al Ministro per il Tesoro (con successiva possibilit� 
di adito al Consiglio di Stato). Si verte, quindi 
non solo in tema di norme vincolanti ma anche di 
norme di relazione, che danno al singolo il potere 
di adire il giudice ordinario, se esse vengono violate. 


MOTIVO UNICO DEL RICORSO 

VIOLAZIONE DELL'ART. 2 DELLA LEGGE 20 lliARZO 
1865, N. 2248 �LLEGATO E IN RELAZIONE AGLI 
ARTT. 25 E 28 DEL:tA LEGGE 27 DICEllrBRE 1928, 

N. 968 SUI DANNI DI GUERRA E ALL'ART. 360, 
N. 1 C.P.C. -DIFETTO DI GIURISDIZIONE. 
La difesa dell'Amministrazione aveva richiamato, 
nel giudizio di appello, la consolidata giurisprudenza 
della Corte Suprema, secondo cui, in materia 
di indennizzo per danni di guerra (o di contributo 
di ricostruzione), non sussiste in nessun caso (Sezioni 
Unite, sentenza 1a aprile 1958, n. 1190), un 
diritto soggettivo del privato, ma solo un interesse 
legittimo, sicch� non � dato al privato di proporre 
azione davanti all'.Autorit� giudiziaria ordinaria. 
Ed aveva, anche, fatto presente come, nelle disposizioni 
degli artt. 25 e 28 della legge 27 dicembre 
1953, n. 968, che stabiliscono, rispettivamente, la 
� base di commisurazione � e i �limiti � dell'indennizzo 
per danni di guerra, non possano ravvisarsi 
� norme di relazione � con conseguente nascita di 
diritti soggettivi perfetti a favore del privato, 
tutelabili davanti al giudice ordinario, ma bens� 
�norme di azione� dirette a regolare l'attivit� della 
Pubblica .Amministrazione in vista del perseguimento 
dell'interesse pubblico con conseguente tutela 
subordinata, indiretta e riflessa dell'interesse 
legittimo del privato. 

La Corte d'.Appello, pur ricordando espressamente 
la giurisprudenza del Supremo Collegio, ha 
ritenuto di poter affermare la giurisdizione del giudice 
ordinario, rilevando -essenzialmente -che, 
in materia di indennizzo per danni di guerra, � una 
volta che l'organo competente ha ammesso il singolo 
all'indennizzo e di questo ha fissato l'ammontare 
(nella specie, a norma degli artt. 17, 25 
e 28), non possono pi� essere considerate norme di 
azione quelle che stabiliscono coefficienti e misure 
con cui si deve operare per l'accertamento del 
quantum dell'indennizzo (citati artt. 25 e 28) �. 

In tal caso -secondo la Corte di merito 
�il privato acquista una posizione autonoma, in 
virt� del precetto legislativo, il quale gliela� assi-�~ 
cura in forma diretta ed immediata, tanto che 
non � neppure previsto per questo quantum in 
tale modo determinato, il ricorso al Ministro per 
il Tesoro (con successiva possibilit� di adito al 
Consiglio di Stato) �. 



-\14 

Si verterebbe, quindi, sempre secondo la Corte di 

merito, non solo in tema di norme vincolanti, ma 

anche di norme di relazione, che danno al singolo 

il potere di adire il giudice ordinario, se esse ven


gono violate. 

Siffatte statuizioni sono sicuramente errate. 

Deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza 

consolidata delle Sezioni Unite (vedasi la citata 


sentenza n. 1190 del 1958 ed in senso conforme le 
sentenze 20 giugno 1959, n. 1954, 15 novembre 
1957, n. 4399, 9 maggio 1955, n. 1320, 22 febbraio 
1954, n. 491, 25 ottobre 1954, n. 4087, 29 gennaio 
1953, n. 235), le norme in materia di indennizzo 
per danni di guerra costituiscono -�avuto riguardo 
alla prevalente direzione di esse, volte al fine 
della ricostruzione del paese, in funzione dell'interesse 
generale e della solidariet� nazionale, al 
di l� e al di fuori di un preciso obbligo giuridico 
che possa legalmente riconnettersi ad un titolo di 
responsabilit� dello Stato per il fatto distruttivo 
. della guerra, nelle misure legislativamente predisposte, 
onde lenire i danni sofferti nei loro beni 
dai privati -provvidenze rimesse alla funzione 
amministrativa sotto forma di sovvenzioni erogabili 
sia p�re con vincolo di osservanza di prestabiliti 
criteri �; e �pertanto, alle relative pretese dei 
privati danneggiati fanno corrispondentemente riscontro, 
e fin dall'origine, non gi� diritti soggettivi 
perfetti ma soltanto interessi legittimi, come tali 
giuridicamente tutelabili innanzi al giudice degli 
interessi nei modi e con i limiti per detta giurisdi


zione stabiliti )), 

Ma, la Corte d'Appello ha ritenuto di ravvisare 

delle eccezioni ai suesposti principi, nelle disposi


zioni degli artt. 25 e 28 della legge n. 963, i quali 

costituirebbero cc norme di relazione� intese alla 

protezione diretta di interessi individuali. 

Non pu� tralasciarsi, a questo punto, di porre in 

rilievo una grave contraddizione da cui risulta 

inficiato il ragionamento dei giudici di merito, i 

quali, da un lato, ammettono che la fase prece


dente il momento in cui si fissa l'ammontare dello 

indennizzo (a norma degli artt. 17, 25 e 28) � in


tessuta di cc norme di azione� e, dall'altro, affer


mano che sono cc norme di relazione � cc quelle che 

stabiliscono coe:ffi.cienti e misure con cui si deve 

operare per l'accertamento del quantum dell'in


dennizzo�. 

Comunque, non � tanto la contraddizione, quanto 

l'assoluta inesattezza del ragionamento, che qui 

s'intende censurare. 

Deve premettersi che, quando si deduce la vio


lazione di determinate norme giuridiche alla cui 

osservanza lAmministrazione Pubblica sia vin


colata, non basta che l'azione davanti all'Autorit� 

giudiziaria ordinaria si basi su tale violazione, 

ma occorre, altresi, che le stesse norme siano rivolte 

alla tutela dell'interesse individuale dando a questo 

la consistenza e la garanzia del diritto subbiettivo. 

In altre parole, anche quando l'attivit� dell'Am


ministrazione venga a risultare vincolata dalla 

legge,� si tratter� di vedere se non ci si trovi di 

fronte ad un vincolo formale, posto in considera


zione esclusiva dell'interesse pubblico e non di 

questo o di quell'interesse individuale. 

-

Vale, quindi il seguente insegnamento dato dalle 
Sezioni Unite della-, Suprema Corte nella sentenza 
11 ottobre 1955, n. 1994: 

�Il criterio � dato dalla funzione del comando 
(della norma) rispetto all'azi�ne delta Pubblica 
Amministrazione e dalla posizione che vi assume 
l'interesse in esso protetto: se la norma stessa � 
diretta a regolare l'attivit� della Pubblica Ammi� 
nistrazione in vista del perseguimento dell'interesse 
pubblico (norma di azione) la tutela del privato 
non pu� non essere subordinata, riflessa o 
indiretta. Se, invece, il comando legislativo riconosce 
al privato una posizione autonoma, con rilevanza 
esterna, che esorbita, cio�, dalla sfera della 
Pubblica Amministrazione per assicurare, immediatamente 
e direttamente, la situazione soggettiva 
del privato, ivi si � di fronte ad un diritta 
soggettivo perfetto, tutelabile davanti al giudice 
ordinario �. 

Lo stesso insegnamento � ribadito in una successiva 
pronuncia delle stesse Sezioni Unite (sentenza 
15 marzo 1956, n. 762) in termini pi� chiari: 

cc Per determinare quando si faccia questione di 
diritti soggettivi perfetti nei confronti dell'Amministrazione 
Pubblica sar� necessario considerare il 
contenuto delle norme che si dicono violate: se 
esse disciplinano rapporti fra i singoli e l'Amministrazione, 
dai quali scaturiscano diritti e doveri 
reciproci o diritti del privato, la violazione di essi, 
se compiuta dall'Amministrazione, costituisce un 
illecito, lede un diritto soggettivo e dovr� conoscerne 
il. giudice ordinario. Nei casi, invece, nei 
quali le norme, che si dicono violate, sono poste 
nell'interesse pubblico, a guida dell'Amministrazione 
nella sua attivit�, e concernono appunto i 
criteri e il modo dell'azione di essa, non potr� 
scaturire un diritto soggettivo. L'interesse del privato 
rispetto� all'Amministrazione non pu� essere 
mai oggetto, in questo caso, di protezione diretta 
ed immediata da parte della norma: ma, o si confonder� 
con quello generale della collettivit�, considerato 
dalla norma, o, al pi�, a:ffi.orer� sul piano 
generale dell'interesse diffuso, che la norma tende 
a tutelare per una particolare situazione di coincidenza 
e assumer� la consistenza di un interesse 
legittimo �. 

Posta questa premessa, e ricordata la qualificazione 
delle norme sull'indennizzo per danni di 
guerra, fatta dalla Corte Suprema nella sentenza 

n. 1190 del 1958, resta agevole comprendere come 
anche gli artt. 25 e 28 della legge n. 968 del 1953, 
in quanto stabiliscono, rispettivamente, la � base 
di commisurazione � e i �limiti � dell'indennizzo da 
cc concedersi � ai privati, costituiscano � norme di 
azione � dirette a regolare l'attivit� della Pubblica 
Amministrazione in vista del perseguimento dell'interesse 
pubblico della ricostruzione del paese in 
funzione e perci� stesso con i limiti della solidariet� 
nazionale, al di l� e al di fuori di un preciso obbligo 
giuridico. 
Pare evidente che, dovendosi, per solidariet� na-_ .zionale, 
-e non a titolo di responsabilit� dello 
Stato per il fatto distruttivo della guerra, -provvedere 
a favore di tutti col denaro pubblico, e 
cio� col denaro di tutti, conseguentemente lenendo, 



95 


e non risarcendo, i danni da ogni singolo cittadino 
� sofferti, le norme che, come quelle degli artt. 25 
e 28, concernono i criteri e i limiti della � azione � 
dell'.Am.ministrazione, relativa alla �concessione� 
degli indennizzi, non possano essere altrimenti 
considerate che come � norme di azione � poste, 
nell'interesse generale, a guida dell'..Amministra


zione medesima. 

Pertanto, l'interesse dei privati alla � concessio


ne � dell'indennizzo nei modi e nei limiti legislati


vamente predisposti, non pu� assurgere a oggetto 

di protezione diretta ed immediata (diritto sog


gettivo) davanti al giudice ordinario, ma, sola


mente, pu� affiorare sul piano generale dell'inte


resse diffuso (interesse pubblico), che le norme in 

parola. tendono a tutelare, e, per una particolare 

situazione di coincidenza con tale stesso interesse, 

assumere la consistenza di un interesse legittimo 

tutelabi(e in maniera riflessa o indiretta davanti 

al giudi�e ordinario amministrativo; 

Per ripetere le parole della relazione alla legge 

n. 968, �l'interesse privato viene assunto come 
strumento giuridico per la realizzazione dell'interesse 
pubblico � .. 
La sentenza della Corte di .Appello di Milano �, 

quindi, da annullarsi per avere ritenuto il contrario 

di quanto, con ogni desiderabile evidenza, risulta 

dalle :.orme di legge in discussione e dalla conso


lidata giurisprudenza del Supremo Collegio, reite


ratamente ma vanament~ ricordata dalla difesa 

dell'Amministrazione ai giudici di merito. 

Prima di concludere, deve ancora rilevarsi un 

ulteriore errore in cui � incorsa la Corte di merito, 

la quale non ha esitato ad affermare che � non � 

neppure previsto per il quantum (determinato in 

base agli artt. 25 e 28) il ricorso al Ministro per il 

Tesoro con successiva possibilit� di adito al Consi


glio di Stato �. 

L'abbaglio della Corte ha probabilmente radice in 

un grave errore di interpretazione del 1� capo


verso dell'art. 17, legge n. 968 del 1953, in cui � 

stabilito che: �in base alle risultanze degli atti... 

l'Intendente stabilisce, con suo decreto, se � do


vuto... l'indennizzo e ne determina l'ammontare �. 

Sembra che la Corte abbia ritenuto che codesto 

ammontare non sia lo stesso di quello determinato 

ai sensi degli artt. 25 e (ove la misura di base abbia 

superato -come nella specie -i 5.000.000) 28 

della legge in esame. Donde la presunta conse


guenza che, mentre rispetto all'� ammontare � in


dicato nell'art. 17. la posizione del cittadino rimar


rebbe al livello dell'interesse legittimo, tant'� che 

viene appositamente tracciato, nel medesimo arti


colo 17, l'iter della giurisdizione amministrativa; 

rispetto, invece, all'� ammontare>> determinato a 

mente degli artt. 25 e 28, l'interesse del cittadino 

sarebbe tutelato in forma diretta e immediata, 

tant'� -conclude, come si � detto, la Corte 


cc che non � neppure pi� previsto per questo quan


tum in tale modo determinato, il ricorso al Mini


stro per il Tesoro, con successiva possibilit� di 

adire il Consiglio d� Stato �. 

� subito intuibile la fallacia di un simile ragionamento, 
frutto di una disamina superficiale del testo 
di legge. 

ccL' ammontare � menzionato nell'art. 17 � precisamente 
quello -e del resto l'unico che la 
legge consideri -ottenuto dopo aver eseguito i 
calcoli di commisurazione :fissati dall'art:-.25 e; 
eventualmente, quelli di riduzione :fissati dall'articolo 
28. L'ammontare, insomma, che -come 
pl.'e non si manc� di ribadire in appello -prende 
corpo ed acquista rilevanza esterna contestualmente 
al provvedimento terminale, determinativo 
dell'indennizzo, costituito dal decreto dell'Intendente 
di Finanza, dove in effetti esso assume per 
la prima volta espressione numerica, consentendo 
al beneficiario, se insoddisfatto, di rivolgersi al 
giudice amministrativo, per la difesa del suo interesse 
legittimo, laddove le sue lagnanze si appuntino 
-come nel caso -sulla violazione che, in 
ipotesi, l'Amministrazione avrebbe commesso delle 
norme, nessuna esclusa, comprese nella legge numero 
968 del 1953 in rapporto a tutto ci� che precede 
l'emanazione di quel provvedimento finale. 

Il grave equivoco originato dall'inesistente dualismo 
tra � ammontare � ai sensi dell'art. 17 e 
(successivo) cc ammontare � ai sensi degli articoli 
25 e 28 spiega fra l'altro la contraddittoriet� di 
motivazione che si � rilevata all'inizio di queste 
deduzioni. 

COMPROMESSO E _4RBITRI -Lavori del Genio Mili


tare -Controversie relative a lavori extra contrat


tuali. (Lodo Arbitrale, 22 gennaio 1963 -S.I.N.C.I.E.S. 

c. Amministrazione Difesa-Aeronautica). 
La Competenza del Collegio .Arbitrale previsto 
dalle Condizioni Generali per l'appalto dei Lavori 
del Genio Militare (R.D. 17 marzo 1932, n. 366) 
comprende anche le controversie relative ai compensi 
per opere extracontrattuali. 

Ove l'appaltatore abbia eseguito i lavori extracontrattuali 
senza una preventiva intesa (o mediante 
un'intesa giuridicamente non vincolante) 
con l'Amministrazione quanto alle nuove condizioni 
afferenti a tali lavori, il compenso deve essere 
determinato -salvo eventuali intese transattive 
-con il sistema a misura, previe le nuove necessarie 
indagini tecnico-contabili �. 

Trascriviamo la motivazione del lodo nelle parti 
che si riferiscono alle massime: 

Ed in proposito � bene aggiungere, prima di 
ogni altro rili�vo, che infondatamente si nega 
dall'Amministrazione convenuta la competenza arbitrale 
in ordine a controversie relative a lavori 
extracontrattuali, competenza che dovrebbe essere 
rigidamente limitata alle questioni sorgenti dal 
contratto, con la conseguenza che ogni contestazione 
circa i ritenuti lavori extracontrattuali dovrebbe 
essere, invece, devoluta alla cog$.i9ne 
delF.A.utorit� Giudiziaria Ordinaria. Di vero, come 
pi� volte ha affermato la giurisprudenza e, segnatamente, 
quella del Supremo Collegio (Cassazione, 
Sezioni Unite 23 giugno 1941, n. 1876), anche le 
controversie per compensi extracontrattuali -al 
pari di quelle sui compensi fondati sull'utile ver




. -1-Jij 

sione -debbono considerarsi comprese nella 

clausola compromissoria, non solo per l'ampiezza 

della relativa formula, ma anche per la considera


zione decisiva che si tratta di contestazioni, le 

quali -come appunto quella in esame -si tro


vano in rapporto di continenza e di necessaria 

connessione con quelle contrattuali. 

Chiarito, cos�, senza possibilit� di dubbio che si' 
tratta di opera non compresa nel contratto, in 
quanto da questo non prevista, resta da stabilire 
quali siano i criteri che dovranno essere seguiti 
per la determinazione del compenso. 

In proposito il Collegio ritiene che, mentre non 
si possa aver riguardo al compenso a corpo in riferimento 
ad opera non contrattuale e del tutto diversa 
da quella per la quale i contraenti avevano 
fissato tipo di compenso, il quale si basa necessariamente 
su particolari studi tecnici preventivi di 
specie, e non possa questo neppure applicarsi 
parzialmente per quei tratti di opera che eventualmente 
coincidessero con il tracciato originariamente 
previsto in contratto, non essendo giuridicamente 
possibile per un'opera nuova applicare, in 
parte, con irrazionale contaminazione, un compenso 
previsto per altra opera contrattuale non 
eseguita, senza incorrere in un palese arbitrio, 
neppure � da ritenersi applicabile il criterio suggerito 
dalla attrice. La quale vorrebbe che la nuova 
opera fosse contabilizzata secondo le norme dei 
compensi a misura previsti nei cottimi in esame. 

Ma anche questo criterio, come l'altro da ultimo 
considerato, pecca di' arbitrio, essendo evidente 
che non � consentito estendere compensi a misura 
pattiziamente fissati per opere determinate, e solo 
per quelle, ad opere del tutto diverse e fuori del 
contratto. 

Ritiene invece, il Collegio che se l'appaltatore abbia 
eseguito i lavori extracontrattuali senza una 
preventiva intesa (ovvero mediante un'intesa giuridicamente 
non vincolante) con l'Amministrazione 
quanto alle nuove condizioni afferenti a tali lavori 
e sia stata formulata, come appunto si verifica 
nel caso, tempestiva riserva di fronte ad un allibramento 
dello stato dei lavori che assuma come 
base arbitraria una quota del compenso a corpo 
stabilito dall'originario contratto, bene l'appaltatore 
abbia diritto ad una remunerazione riferibile 
alla intera opera nuova, intesa nel complesso del 
sistema organizzativo dei lavori, dei mezzi e degli 
accorgimenti impiegati. Il qual compenso non potr� 
essere determinato -salvo eventuali intese transattive 
-che col sistema a misura, previe le nuove 
necessarie indagini tecnico-contabili, senza che possa 
procedervi il collegio arbitrale, chiamato a decidere 
soltanto, come risulta dal quesito sottopostogli, 
tj_uale tipo di compenso sia applicabile alla 
specie, con esclusione di ogni altra indagine anche 
in ordine a qualsiasi ulteriore eventuale pretesa 
della societ� appaltatrice. 

Avuto riguardo alla natura ed ai limiti della 
controversia, il Collegio ritiene di dover porre a 
carico dell'Amministrazione soccombente le spese 
di causa e gli onorari di avvocato, e a carico della 
SINCIES le spese per il proprio funzionamento nei 
limiti della somma depositata. 

l� La pronunC'ia arbitrale surriportata ci sembra 

criticabile sotto diversi punti di vista. 

In primo luogo, se si pone a confronto la decis-ione 

con le richieste delle parti, si profila chiaramente a 

vizio di ultra petita. � � � 

La controversia sottoposta al giudizio degli arbit-ri 

pu� essere cos� sinteticamente riassunta. 

Il contratto di appaUo prevedeva, fra l'altro, lei 

costruzione di determinate opere stradali: alcune avreb


bero dovuto essere realizzate ex novo; altre mediante 

adattamento e sistemazione di tronchi stradali pree


sistenti. Per le prime era stabilito un compenso a 

misura; per le seconde un compenso forfettario a 

corpo. 

Il tracciato di alcune strade del secondo gruppo fu 

successivamente modificato per determinazione clel


l' Amministrazione. In sede di allibramento dello 

stato di avanzamento dei lavori, all'Impresa venne 

per� ugualmente accreditata una quota del compenso 

�a corpo� previsto nel contratto. L'Impresa, con ap


posita riserva, sostenne invece che, data la radicale 

diversit� fra l'opera cui il contratto si riferiva nello 

stabilire il compenso a corpo e l'opera effettivamente 

realizzata, il compenso si sarebbe dovuto calcolare 

sulla base dei prezzi �a misura � fissati dal con


tratto. 

Questi, dunque, i termini della controversia. Gli 

arbitri erano chiamati a decidere su due domande 

di accertamento contrapposte: quella dell'Impresa, ten


dente a far affermare l'applicabilit� dei prezzi a 

misura, e quella dell'Amministrazione, tendente a 

una declaratoria della legittima applicazione del 

compenso a corpo. 

Gli arbitri, in sostanza, hanno respinto tanto la 

prima, quanto la seconda domanda, ma, invece di 

limitarsi a questa pronuncia meramente negativa, 

hanno ritenuto di dover andare oltre, affermando la 

<e extracontrattualit� � dell'opera realizzata e l'appli


cabilit�, ad essa, di un generico criterio di valutazione 

�a misura �, sulla base di nuove indagini tecnico


contabili da effettuare senza alcun riferimento alle 

tariffe accolte nel contratto di appalto. 

Sembra evidente che, in tal modo, la pronuncia 

arbitrale sia andata ultra petita e che, pertanto, 

ricorra l'ipotesi di nullit� prevista dall'articolo 

829, n. 4 O.p.c. (1). 

(1) � incontestabile che la norma richiamata, nel 
riferirsi ad una pronuncia emessa �fuori dei limiti del 
compromesso �, comprenda tanto le ipotesi in cui il 
lodo abbia pronunciato su una domanda estranea allo 
oggetto del patto compromissorio, quanto quelle in cui 
esso contenga pronunce che eccedano dai limiti della 
domanda, non importa se, in quest'ultimo caso, il contenuto 
della decisione si ponga o no al di fuori anche 
-dell'originario oggetto del compromesso o della clausola 
compromissor~a. Il limite dei poteri degli arbitri, la cui 
inviolabilit� � garantita dalla norma in discorso, � 
infatti segnato, in definitiva, dal concreto atteggiamento 
della controversia sottoposta al loro esame. 

Il compromesso o la clausola compromissoria (come 
anche la norma di diritto oggettivo che imponga un 
arbitrato obbligatorio) esauriscono la loro funzione nel 
fissare il limite (non inderogabile) entro il quale � con




-97 

L'oggetto del giudizio m�a limitato all'accerta


mento dell'applicabilit� dell'una o dell'altra delle due 

tariffe contrattuali alle opere effettivamente realizzate. 

La questione relativa alla natura di q1teste opere 

(contrattuali -ossia eseguite in adempimento di un 

obbligo contrattuale -o extracontrattuali) non si 

poneva affatto come oggetto principale della contro


versia, ma 1�ivestiva il semplice carattere di una 

questione pregiudiziale, la cui soluzione, secondo il 

punto di vista accolto dagli arbitri, si rendeva neces


saria per pronunciare sulle domande delle parti. 

L'Impresa appaltatrice fondava la sua pretesa 
esclusivamente sul fatto che, a suo avviso, l'opera realizzata 
era diversa da quella prevista dalla clausola 
contrattuale che fissava il compenso a corpo. Che 
poi l'opera dovesse addirittura ritenersi estranea 
all'attuazione del rapporto contrattuale oppure costituisse 
pur sempre l'adempimento di un obbligo assunto 
con il contratto, non spostava minimamente, 
sempre secondo l' Impresa, i termini della questione: 
il petitum restava sempre lo stesso, la dichiarazione 
dell'applicabilit� dei compensi contrattuali a misura 
(considerati, in certo modo, come suscettibili di applicazione 
generale �ad ogni opera comunque connessa 
con l'attuazione dell'appalto). 

Gli arbitri hanno ritenuto (non esaminiamo qui 
se a torto o a ragione) che effettivamente le opere 
stradali in concreto realizzate fassero del tutto diverse 
da quelle per le quali il contratto prevedeva il 
compenso � � forfait�. In conseguenza, e logica1nente, 
hanno respinto la domanda di accertamento 
dell'Amministrazione. Ponendosi, per�, l'ulteriore 
problema della riferibilit� o meno dell'opera realizzata 
al contratto, hanno ritenuto di doverlo risolvere 
negativamente e ne hanno tratto la conseguenza della 
inapplicabilit� anche degli altri criteri di compenso 
previsti nel contratto. 

sentito alle parti di chiedere agli arbitri una decisione 
sulle proprie pretese, restando correlativamente esclusa 
la competenza del giudice ordinario. Saranno poi le 
concrete domande formulate dalle parti a determinare 
l'effettiva attribuzione del potere decisorio agli arbitri 
e la sua precisa delimitazione. E nulla esclude, ovviamente, 
che l'oggetto del giudizio arbitrale possa risultare 
pi� ristretto di quanto, in astratto, sarebbe stato 
consentito, abbracciando solo una parte o un aspetto 
della controversia insorta tra le parti. N�, del resto, � 
escluso che, al contrario, l'oggetto del giudizio possa 
legittimamente estendersi oltre i limiti del patto compromissorio, 
essendo sufficiente, a tal :fine, che, in presenza 
di una domanda esorbitante da quei limiti, l'altra parte 
non si avvalga della sua facolt� di impedire, con una 
apposita eccezione, l'ampliamento del " thema decidendi 
� (art. 817 C.p.c.). 

In definitiva, il problema della competenza degli arbitri 
si pone negli stessi termini in cui si pone, nel processo 
ordinario, il problema della corrispondenza fra il 
chiesto e il pronunciato, salva l'ulteriore indagine, che 
deve per� essere sollecitata da un'apposita eccezione 
formulata nel corso del giudizio arbitrale, sulla eventuale 
eccedenza del � chiesto � dai limiti fissati dal patto compromissorio 
o dalla norma che impone l'arbitrato obbligatorio. 
� 

A questo punto, l'indagine si sarebbe dovuta fm�mare. 
Respinta l'una domanda e l'altra, si sarebbe 
f armato esclusivamente un giudicato negativo circa 
l'applicabilit�, alle opere in ditteussione, �deir eriteri 
di valutazione patrocinati dalle due parti. Imprese 
giudicate sarebbero rimaste, non solo le questioni 
u~teriori relative alla concreta liquidazione del compenso 
e, quindi, alla scelta del criterio applicabile, 
ma anche la questione (meramente pregiudiziale, 
come abbiamo visto, e quindi da decidere � incidenter 
tantum n) della contrattualit� o extracontrattitalit� 
delle opere. Nulla avrebbe escluso che, in un siwcessivo 
giudizio, ritenuta la contrattualit�, il criterio d�i 
liquidazione del compenso fosse desunto (magari 
mediante commistione dei vari criteri previsti) dalla 
disciplina contrattuale, ferma sempre l'inapplicabilit� 
di quelle precise clausole che avevano f armato 
oggetto del precedente giudicato. 

Solo in questo modo i limiti dei poteri degli arbitri 
sarebbero stati rispettati. Ogni pronuncia diversa 
dall'accoglimento di una delle due domande formulate 
dalle parti o dal rigetto di entrambe non pit� che 
ritenersi nulla per eccesso di potere. 

In particolare, nel nostro caso, gli arbitri hanno 
ritenuto di dover decidere �principaliter n e non 
�incidenter tantum n la questione dell'extracontrattualit� 
delle opere, che non costituiva affatto l'oggetto 
della controversia. Peggio ancora, hanno indicato un 
criterio di valutazione delle opere stesse diverso da 
quelli sostenuti da una pm�te e dall'altra, finendo, in 
tal modo, per decidere una controversia diversa da 
quella loro sottoposta, una controversia, per giunta, 
non effettiva ma che solo eventualmente sarebbe potuta 
sorgere in seguito alla loro pronuncia. 

La decisione ha, in definitiva, pregiud-icato tutta 
una serie di questioni che, essendo rimaste assolutamente 
estranee alla lite, non potevano in alcun modo 
costituire oggetto di giudizio. Respinte entrambe le 
pretese fatte valere dalle parti, la definitiva soluzione 
della controversia alla stregua di criteri diversi da 
quelli originariamente prospettati non rientrava fra 
i compiti degli arbitri, ma doveva esser lasciata alla 
libera determinazione delle parti (1). Nessuna domanda 
in tal senso era stata infatti formulata, n� 
certo da una simile domanda si poteva prescindere, dato 
il concreto atteggiamento assunto dallac ontroversia. 

Se oggetto del giudizio fosse stata la liquidazione 
in denaro del compenso dovuto, sarebbe stato sostenibile 
che gli arbitri potessero adottare un punto di 
vista giuridico del tutto diverso da quello prospettato 
dalle parti per giungere a determinare, nei limiti della 
domanda, la somma dovuta. Ma nel nostro caso era 
proprio e soltanto l'esattezza dei criteri giuridici 

(1) E di ci� si sono, in certo modo, resi conto gli arbitri, 
come dimostra il fatto che, nello stabilire il criterio 
per la definitiva liquidazione del compenso, hanno 
sentito il bisogno di precisare che esso non ~yr~bbe 
dovuto operare che in mancanza di �intese transattive � _ 
tra le parti. Il che, in una pronuncia giudiziale, suona 
veramente strano: si avrebbe, dunque, una sentenza 
che, invece di risolvere la lite, si rimette alla buona 
volont� delle parti, indicando soltanto un criterio succedaneo 
di decisione. 

-98


di liquidazione invocati dalle parti, ossia l'applicabilit� 
o meno di determinate clausole contrattuali alla 
fattispecie concreta, che costituiva l'oggetto della domanda 
e del giudizio. Liberi, sempre, gli arbitri di 
adottare una qualificazione giuridica diversa, ma solo 
al fine di respingere la domanda, e non mai per trarre, 
dalla qualificazione adottata, tutte le ulteriori 
conseguenze rispetto a interessi che le parti non 

avevano affatto dedotto nella lite. 

Il vizio di ultra petita ci sembra perci� innegabile. 

2) A prescindere da quanto pi� sopra esposto, � 
seriamente contestabile che gli arbitri potessero (anche 
se fosse esistita -in tal senso -una domanda di 
parte) determinare i diritti e gli obblighi delle parti 
rispetto ad opere effettuate (in ipotesi) al di fuori del 
contratto, senza alcuna attinenza agli obblighi contrattuali. 


Nell'interpretazione dell'art. 42 del vecchio Capitolato 
Generale per gli appalti delle opere dipendenti 
dal Ministero dei Lavori Pubblici (D. M. 28 maggio 
1895), si � andato affermando in giurisprudenza il 
principio secondo cui << rientra nella competenza del 
collegio arbitrale qualsiasi controversia che con i patti 
contrattuali venga a trovarsi in rapporto di connessione 
necessaria, tra cui anche quella circa la pretesa 
di pagamento, da parte dell'appaltatore, ancorch� a 
titolo di utile versione, di opere non ordinate o non 
debitamente ordinate in aggiunta ai lavori appaltati � 
(cfr., da ultimo, Cas~azione, 19 gennaio 1963, numero 
67). 

A questo indirizzo giurisprudenziale si sono richia


mati gli arbitri, senza peraltro considerare che, trat


tandosi nella specie di applicare gli artt. 50 e 51 

delle Condizioni generali per l'appalto dei lavori del 

Genio militare (R.D. 17 marzo 1932, n. 366), la cui 

formulazione � notevolmente diversa e pi� ristretta 

di quella dell'art. 42 Capitolato Generale 1895 (1), 

non si poteva escludere a priori la possibilit� di una 

diversa soluzione. 

Del resto, anche a voler prescindere da ci�, ci sem


bra indubbio che, in ogni caso, la competenza arbi


trale rispetto alle opere extra-contratto, ove pure la si 

ammetta in principio, non pu� non incontrare precisi 

limiti. 

La funzione delle norme che impongono l'arbitrato 

in materia di opere pubbliche, a parte ogni questione 

relativa alla loro natura (regolamentare o negoziale), 

corrisponde perfettamente, senza alcun dubbio, a 

quella della �clausola compromissoria � prevista nel


l'art. 808 C.p.c. 

L'ambito di applicazione di queste norme (al 

pari di quanto pacificamente si ritiene per la clausola 

compromissoria) non pu�, pertanto, estendersi, senza 

(1) Mentre l'art. 42 deferisce al giudizio degli arbitri 
�tutte le vertenze tra l'Amministrazione e l'appaltatore, 
cos� durante l'esecuzione come al termine del contratto... 
quale che sia la loro natura, tecnica, amministrativa o 
giuridica, ninna esclusa�, l'art. 50 R.D. n. 366/1932, 
riferendosi alle �riserve o domande dell'impresa relative 
all'appalto�, non lascia dubbi circa la necessaria attinenza 
al rapporto contrattuale delle questioni devolute 
al giudizio arbitrale. 
snaturarne la ratio, oltre le controvers,ie � nascenti 
dal contratto �, intesa questa formula nel senso che 
la contestazione deve riguarda,re una pretesa fondata 
sul contratto (o, eventualmente, sulla sua .. invalidit� 

o risolubilit�). Non pu� invece ritenersi sufficiente 
a fondare la competenza arb-itrale un semplice nesso 
occasionale, di fatto, fra la pretesa azionata e l'esecuzione 
del contratto. 
Se si tengono presenti questi ovvi principi, appare 
evidente che, rispetto alle opere non espressamente 
previste dal contratto e non regolarmente ordinate 
dall'Amministrazione, la competenza deglj, arbitri 
pu� sussistere solo in quanto esse siano in qualche 
modo riferibili o riconducibili al contratto, rendendosi 
possibile l'applicazione, in via diretta o per 
adattamento, dei prezzi contrattuali. Solo in questo 
preciso senso pu� accogliersi il criterio giurisprudenziale 
della �connessione necessaria � con i patti 
contrattuali. 

La competenza degli arbitri si estende, insomma, 
quanto si estende l'applicabilit� delle norme contrattuali, 
e, in particolare, dei prezzi contrattualmente 
stabiliti. Eseguita dall'appaltatore, nullo iure 
cogente, un'opera non prevista nel contratto, la 
questione di competenza viene perci� a dipendere 
dalla questione di merito relativa all'applicabilit� della 
disciplina contrattuale (1). 

Se pu�, quindi, ammettersi, in linea di principio, 

che non basta l'accertamento dell'� extracontrattua


lit� � dell'opera per escludere la competenza arbitrale, 

ci sembra assolutamente innegabile che, ove venga 

altres� esclusa ogni possibilit� di applicare all'opera 

stessa la disciplina contrattuale, giudice delle relative 

controversie non pu� essere il collegio arbitrale. 

Nulla di diverso presenterebbero infatti queste con


troversie, dal punto di vista giuridico, rispetto a quelle 

che si riferiscano a prestazioni effettuate senza alcun 

nesso, neppure occasionale, con un contratto di ap


palto: il diverso trattamento, quanto alla competen.za, 

non avrebbe perci� alcun senso. 

Nel nostro caso, quindi, gli arbitri hanno errato nel 
ritenersi competenti a stabilire il criterio di valutazione 
delle opere effettuate dall'appaltatore, dal momento 
che essi stessi avevano escluso l'applicabilit� 
delle clausole contrattuali. 

3) Qualche osservazione, infine, sul punto delle 
spese. 
L'art. 60 R.D. 17 marzo 1932, n. 366 attribuisce 
espressamente agli arbitri il potere di stabilire a 

(1) Nell'ipotesi di appalto di lavori del Genio Militare, 
la competenza arbitrale potr� quindi sussistere solo 
nei casi in cui, a norma degli articoli 18, ultimo comma, 
e 28 delle Condizioni generali, si renda possibile l'applicazione 
o l'adattamento dei prezzi contrattuali alle 
opere non previste nell'appalto e non regolarmente 
ordinate. 
Fuori da questa e da altre ipotesi partfoofari, l'applicazione 
delle clausole contrattuali a fattispecie diverse 
da quelle originariamente previste deve, di massima, 
ritenersi impossibile, non potendosi ammettere l'interpretazione 
analogica (di questo in definitiva, si tratterebbe) 
di un negozio di diritto privato. 



-99 



carico di quale parte debbano gravare le spese. Nessun 

� 
dubbio che, in proposito, valgano le nor.me degli articoli 
91 e 92 C.p.c. e che, quindi, operi il principio 
generale della soccombenza come presupposto necessario 
e sufficiente della condanna nelle spese. 

Quanto, poi, alla liquidazione, l'art. 60 distingue le 
�spese dell'arbitramento >>, che vanno liquidate dagli 
arbitri, dalle competenze ed onorari degli arbitri 
stessi, per i quali � stabilito uno speciale procedimento 
di liquidazione (art. 61). 

Orbene, nel nostro caso, il lodo ha posto a carico 
dell'Amministrazione, senza peraltro liquidarle, le 
�spese di causa e gli onorari di avvocato �, e a carico 
dell'Impresa �le spese per il funzionamento del 
Collegio, nei limiti della somma depositata �. 

Non occorre spendere molte parole per dimostrare 
l'assoluta arbitrariet� di una simile decisione. Anzitutto, 
nella liquidazione, si � seguito esattamente il 
crit�rio opposto a quello dettato dall'art. 60: sono 
state liquidate le competenze degli arbitri e sono state 
lasciate assolutamente indeterminate le spese di causa. 
La condanna dell'Amministrazione rispetto a queste 
ultime �, perci�, assolutamente. inoperante: resta 
solo l'onere degli onorari degli arbitri a carico della 
Impresa, ossia della parte che, stando alla motivazione 
(e a prescindere dal rilevato vizio di ultra 
petita) deve ritenersi pienamente vincitrice. La contraddittoriet� 
della .pronuncia � talmente latente ohe 
non ci sembra contestabile la sua rilevanza invalidante 
ai sensi d~ll'art. 829 n. 4 C.p.o. 

* * * 

Cogliamo l'occasione per rilevare come, negli ultimi 
tempi, negli arbitrati relativi a controversie insorte 
fra imprese appaltatrici e P.A. sia invalsa l'abitudine 
di porre, con le motivazioni pi� varie, a carico 
dell'impresa, a prescindere dal principio genm�ale 
che le spese seguono la soccombenza, gli onorari degli 
arbitri nei � limiti della somma depositata dall'impresa 
�, il cui ammontare non solo non risulta generalmente 
n� dal lodo arbitrale n� da altri atti ufficiali 
regolarmente depositati e registrati, ma anche, 
molto spesso, � ignoto alla stessa amministrazione 
parte nel giudizio. 

Tale modo semiclandestino di liquidare gli onorari 
degli arbitri e di riscuoterne l'ammontare deve 
essere sotto ogni aspetto disapprovato. 

E' noto che n� il codice di procedura n� i capitolati 
generali di appalto consentono agli arbitri di 
chiedere depositi �a garanzia dei loro onorari n� li 
autorizzano a procedere direttamente alla loro liquidazione. 
Anzi, qualche capitolato come quello del 
Ministero della Difesa per l'appalto delle provviste di 

materiali del Genio Militare, al paragrafo 39 dispone 
che agli arbitri sar� dovuto il rimborso delle 
spese di viaggio dalla loro ordinaria residenza al 
luogo di costituzione del Collegio arbitrale (f"Yitorno 
alla loro residenza, il rimborso della spesa di viaggio 
per i sopraluoghi, un'indennit� giornaliera per,tutto 
il :tempo in cui dovranno rimanere fuori dell'ordinaria 
residenza nonch� una speciale retribuzione da computarsi 
per ogni vacazione non maggiore di due ore, 
con facolt� di accumulare, al massimo, quattro vacazioni 
al yiorno. 

Solo il Capitolato per gli appalti dipendenti dal 
Ministero dei Lavori Pubblici del 1895 disponeva 
all'art. 49 che: �le spese del giudizio arbitrale saranno 
anticipate dalla parte che avr� presentato la domanda 
per l'arbitramento. Gli arbitri decideranno a carico 
di quale delle parti, ed in quale proporzione, debbano 
andare le spese del giudizio �. 

Tale disposizione aveva poi finito con l'essere applicata 
anche nel caso di lavori regolati da altri capitolati. 
Ma il nuovo Capitolato Generale approvato 
con Decreto del Presidente della Repubblica il 16 
luglio 1962, n. 1063 espressamente prescrive all'articolo 
51 che la liquidazione delle spese e degli onorari 
degli arbitri ha luogo nei modi stabiliti dall'art. 814 
del Codice di procedura civile. 

Nella relazione allo schema di Capitolato Generale 

presentato al Consiglio dei Ministri si legge che 

�E' da segnalare, infine, l'eliminazione dell'istituto 

del deposito preventivo delle spese e degli onorari che, 

oltre ad essere inutilmente oneroso per la parte richie


dente l'arbitrato, appare chiaramente incostituzionale, 

alla stregua della nota sentenza della Corte Costitu


zionale n. 67 del 1960 ohe dichiar� l'illegittimit� 

costituzionale dell'art. 98 codice procedura civile, 

dettante disposizione analoga �. 

Non appare quindi dubbio che a decorrere dal 

1� settembre 1962, cio�, dall'entrata in vigore del 

nuovo capitolato sia fatto divieto agli arbitri cos-�, 

di chiedere ad entrambi o, peggio ancora, alla sola 

impresa appaltatrice anticipazioni di somme a ga


ranzia del pagamento degli onorari, come di proce


dere direttamente alla liquidazione di essi. La liqui


dazione, .infatti, dovr� essere sempre effettuata dal 

Presidente del Tribunale a norma dell'art. 814 C.p.c. � 

(vedi anche sopra a pag. 89 la sentenza n. 63 del 

1963 della Corte Suprema di Cassazione). 

E' questa una delle norme innovatrici del nuovo 

Capitolato che, avendo anche riscosso il plauso delle 

categorie interessate (espresso chiaramente nel Com 


mento teorico-pratico al nuovo Capitolato Gene


rale d'Appalto, pubblicato a cura dell'Associazione 

Nazionale Costruttori edili (pag. 98), � da attendersi 

verr� sempre e puntualmente osservata. 



I N D I e E s I s T E M A T I-e o 
DELLE CONSULTAZIONI 


L� FORMULAZI�NE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN' ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DAT..4 

ACQUE PUBBLICHE 

DERIVAZIONE DI ACQUE -DECRETO PREFETTIZIO DI

.. 

ESPROPRIAZIONE. 

1) Se la competenza ad istruire il ricorso straordinario 
al Capo dello Stato proposto avverso un decreto prefettizio 
di espropriazione in materia di cj.erivazione di 
acque per usi idrici in favore della Cassa per il Mezzogiorno 
spetti al Ministero dei Lavori Pubblici o alla 
suddetta Cassa (n. 73). 

REGIONE SICILIANA -RISCOSSIONE CANONI. 

2) Se sia lecito all'Ente Acquedotti Siciliani, tenuto 
per legge ad affidare la i:-iscossione dei canoni all'Esat.tore 
delle imposte dirette, addebitare agli utenti oltre al 
nolo dei contatori anche l'aggio esattoriale, con ci� 
prescindendo dal provvedimento del C.I.P. che autorizza 
gli Enti acquedottisti a porre a carico degli utenti un 
unico diritto fisso, comprensivo anche del diritto di 
esazione (n. 74). 

AGRICOLTURA E FORESTE 

TRATTURI -LIQUIDAZIO]).TE. 

Se il diritto di prelazione spettante ai proprietari 
frontisti di tratturi soggetti a liquidazione, nel caso 
che frontista sia una comunione, possa essere esercitato 
da uno solo dei comproprietari e se unicamente a suo 
favore debba essere fatta la vendita anche in mancanza 
di una espress� dichiarazione di rinuncia degli altri comproprietari 
(n. 33). 

ANTICHITA' E BELLE ARTI 

REGIONE SICILIANA -TRASFERIMENTO BENI. 

Se tra i beni dello Stato da trasferirsi alla Regione 
Siciliana a norma del D.P. 1� dicembre 1961, n. 1825 
siano compresi anche i beni appartenenti al c.d. demanio 
artistico dello Stato (n. 50). 

BELLEZZE ARTISTICHE E NATURALI 

V ALLE D'AOSTA -TUTELA DEL PAESAGGIO. 

1) Se, a seguito della dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale degli artt. 1 e 18, 20 comma, legge regionale 
valdostana 28 aprile 1960, n. 3, siano applicabili 

nella Regione le norme statali in materia di tutela del 
paesaggio (n. 8). 

2) Se dopo la pronuncia di incostituzionalit� di dette 
norme, permanga nel Presidente della Giunta regionale 
Valdostana il potere attribuitogli dall'art. 3 della citata 
legge regionale (n. 8). 

CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO 

APPROVAZIONE ATTO DI ALIENAZIONE DI IMMOBILE PA� 
TRIMONIALE. 

Se l'approvazione del contratto relativo all'alienazione 
degli immobili patrimoniali appartenenti all'Azienda di 
Stato per i servizi telefonici debba essere data con de~ 
creto del Ministro P.T. (n. 189). 

COSTITUZIONE 

RISARCIMENTO PER INCIDENTI DI SERVIZIO. 

1) Se la prescrizione delle azioni relative al risarcimento 
dei danni derivati ai dipendenti dello Stato da 
incidenti di servizio verificatisi prima del 14 aprile 1950 
e da attribuirsi a colpa dell'Amministrazione, cominci 
a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza 
30 gennaio 1962, n. 1 della Corte Costituzionale dichiarante 
l'illegittimit� costituzionale del R.D.L. n. 313 
del 1936, che escludeva il diritto di azione dei dipendenti 
dello Stato (n. 16). 

LEGGE REGIONALE VALDOSTANA -TUTELA DEL PAESAG� 
GIO. 

2) Se, a seguito della dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale degli artt. 1 e 18, 2� comma, legge regio'
nale valdostana 28 aprile 1960, n. 3, siano applicabili 
nella Regione le norme statali in materia di tutela del 
paesaggio (n. 17). 

3) Se dopo la pronuncia di incostituzionalit� di dette 
norme, permanga nel Presidente della Giunta regionale 
Valdostana il potere attribuitogli dall'art. 3 della citata 
legge regionale (n. 17). 

DAZI DOGANALI 

BOLLETTA DI SDOGANAMENTO. 

1) Se l'Amministrazione Finanziaria dopo il rilascio 
della bolletta di sdoganamento e l'uscita della merce 
dagli spazi doganali possa in qualsiasi tempo e senza 



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� instaurare alcuna procedura di accertamento, rivedere 
il valore e la qualificazione della merce stessa in base 
ad elementi non risultimti dagli atti e dalle scritture 
doganali ma acquisiti successivamente aliunde che siano 
tali da convincere l'Amministrazione di avere errato nel 
corso delle operazioni doganali (n. 20). 

COSTRUZIONE DI ISOLA METALLIOA IN MARE �PERTO. 

2) Se un'isola di acciaio costruita in mare aperto a 
km 6,5 dalla costa debba considerarsi parte del territorio 
nazionale, sottoposta alla giurisdizione civile e penale 
dello Stato italiano e assimilarsi alle navi ed agli aeromobili 
(n. 21). 

3) Se il materiale acquistato all'estero per la costruzione 
dell'isola stessa debba fruire della esenzione doganale 
relativa alle merci in transito ovvero debba considerarsi 
come materiale importato in territorio nazionale 
(n. 21). 

DEMANIO 

BENI DEL CESSATO P.N.F. 

1) Se per la cessione di beni gi� appartenenti al p.n.f. 
sia in ogni caso necessaria la forma del decreto di cui 
all'art. 38, D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159 e se, in mancanza 
di detto decreto, possa ritenersi nulla la vendita di 
una area ad una cooperativa edilizia sovvenzionata 

(n. 173). 
2) Se, inoltre, l'istituto d�ll'usucapione decennale, di 
cui all'art. 2059 e.e., possa trovare applicazione nella 
ipotesi di acquisto di beni immobili, gi� appartenenti 
al p.n.f., e la cui cessione, da parte dell'Amministrazione 
finanziaria, sia avvenuta senza il rispetto delle forme di 
cui al citato art. 38 D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159 (numero 
173). 

ESECUZIONE FORZATA 

CITT� DEL VATICANO. 

Se sia possibile e con quali modalit� iniziare in virt� 
di ingiunzione fiscale l'espropriazione di beni mobili di 
un debitore esistenti nello Stato Citt� del Vaticano 

(n. 31). 
FALLIMENTO 

DIOHIARAZIONE DI FALLIMENTO -CAPACIT� PROCESSUALE 
DEL FALLITO. 

1) Se la perdita� da parte del fallito della capacit� 
processuale possa essere fatta valere solo dalla massa 
dei creditori (n. 74). 

SOCIET� -FALLIMENTO. 

2) Se la chiusura del fallimento di una societ� ne determini 
l'estinzione (n. 75). 

FERROVIE 

ABBONAMENTI A TARIFFA RIDOTTA. 

1) Se possa essere accordato l'abbonamento a tariffa 
ridotta agli studenti iscritti a scuole private non pi� 
soggette, per effetto della sentenza della Corte Costitu


zionale 4 giugno 1958, all'autorizzazione cui si riferisce 
l'art. 44, comma 4� delle Condizioni e tariffe per i trasporti 
delle persone nelle F.S. (n. 342) .. 

PASSAGGI A LIVELLO PEDONALI. 

'2) Se, dopo l'entrata in vigore del nuovo codice della 
strada, possa ritenersi legittima -da parte dell'Amministrazione 
ferroviaria -la conservazione di passaggi a 
livello pedonali muniti di � girello �, e se in prossimit� 
degli stessi debba essere installato il segnale di cui 
all'art. 15, 40 comma codice stradale (Croce di S. Andrea) 
(numero 343). 

IMPIEGO PUBBLICO 

RISARCIMENTO Plll'R INCIDENTI DI SERVIZIO. 

Se la prescrizione delle azioni relative ai risarcimenti 
dei danni derivati ai dipendenti dello Stato da incidenti 
di servizio verificatisi prima del 14 aprile 1950 e da 
attribuirsi a colpa dell'Amministrazione, cominci a decorrere 
dalla data di pubblicazione della sentenza 30 
gennaio 1962, n. 1 della Corte Costituzionale dichiarante 
la illegittimit� costituzionale del R.D.L. n. 313 del 1936, 
che escludeva il diritto di azione dei dipendenti dello 
Stato (n. 547). 

IMPORTAZIONE -ESPORTAZIONE 

TABACCHI -ESPORTAZIONE DIBETTA. 

Se l'autorizzazione amministrativa per l'esportazione 
di tabacchi possa essere ,ubordinata al versamento da 
parte delle Ditte concessionarie delle coltivazioni, che 
esportino direttamente il prodotto, dei contributi previsti 
dall'art. 3, D.L.L. 26 marzo 1946, n. 297 a favore 
dell'Istituto scientifico sperimentale per i tabacchi 

(n. 28). 
IMPOSTA DI REGISTRO 

SOCIET� -AUMENTO DEL CAPITALE. 

Se le delibere di aumento del capitale sociale per 
conguaglio monetario debbano scontare il tributo vigente 
al momento della delibera stessa o quello vigente a 
momento della omologazione (n. 192). 

IMPOSTA ,DI RICCHEZZA MOBILE 

BORSE DI STUDIO. 

1) Se sulle somme dovute a titolo di borse di studio 
ai sensi della legge 24 luglio 1962, n. 1073 sia applicabile 
a ritenuta diretta per imposta di R.M. (n. 23). 

INDENNIT� DI ANZIANIT�. 

2) Se l'indennit� di anzianit� debba considerarsi reddito 
avente natura retributiva e se, in quanto tale, 
debba essere assoggettata alla ritenuta di R.M. (numero 
24). 


-102


IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA 

IMPORTAZIONE DI NAVI. 

1) Se sia applicabile l'art. 17 della legge organica 
dell'I.G.E. per la importazione delle navi al di fuori 
del periodo di applicazione della legge 15 luglio 1957, 

n. 587 (n. 100). � 
PRESCRIZIONE. 

2) Se la pendenza del ricorso gerarchico avverso la 
ordinanza intendentizia di condanna per evasione alla 

I.G.E. sia ostativa alla decorrenza della prescrizione della 
pena pecuniaria (n. 101). 
IMPOSTE E TASSE 

TASSA DI CONCESSIONI AMMINISTRATIVE. 

Se le trascrizioni di alcuni atti delle societ� previste 
dall'abrogato codice di commercio e mantenute in vigore 
dall'art. 100 disp. att. al codice civile fino all'istituzione 
del registro . delle imprese, vadano soggette alla tassa di 
concessione amministrativa, pur non risultando tra gli 
atti amministrativi che la tabella A della legge dichiara 
soggetti alla tassa medesima (n. 355). 

MEZZOGIORNO 

CASSA DEL MEZZOGIORNO -DERIVAZIONE DI ACQUA. 

Se la competenza ad istruire il ricorso straordinario 
al Capo dello Stato proposto avverso un decreto prefettizio 
di espropriazione in materia di derivazione di 
acque per usi idrici in favore della Cassa per il Mezzogiorno 
spetti al Ministero dei Lavori Pubblici o alla 
suddetta Cassa (n. 23). 

:MILITARI 

PENSIONATI -RIOHIAM:O IN SERVIZIO. 

Se, per i dipendenti militari dello Stato, sia consentito 
il cumulo della pensione privilegiata ordinaria con gli 
assegni di normale attivit� di servizio (n. 17). 

MONOPOLI 

BANANE -CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE. 

1) Se il Consiglio di Amministrazione ed il Consigliere 
Delegato dell'Azienda Monopolio Banane possano compiere 
atti di ordinaria amministrazione una volta scaduto 
il loro mandato e prima della nomina dei nuovi 
componenti (n. 39). 

T.ABACCm -ESPORTAZIONE DIRETTA. 

2) Se l'autorizzazione amministrativa per l'esportazione 
di tabacchi possa essere subordinata al versamento 
da parte delle Ditte concessionarie delle coltivazioni, che 
esportino direttame:qte il prodotto, dei contributi previsti 
dall'art. 3, D.L.L. 26 marzo 1946, n. 297 a favore 
dell'Istituto scientifico sperimentale per i tabacchi (numero 
40). 

NAVE E NAVIGAZIONE 

COSTRUZIONE IN MARE APERTO DI UN'ISOLA METALLICA. 

1) Se un'isola di acciaio costruita in mare aperto a 
km 6,5 dalla costa debba considerarsi parte del territorio 
nazionale, sottoposta alla giurisdizione civile e 
penale dello Stato italiano e assimilarsi alle navi e agli 
aeromobili (n. 109). 

2) Se il materiale acquistato all'estero per la costruzione 
deli'isola stessa debba fruire della esenzione doganale 
relativa alle merci in transito ovvero debba considerarsi 
come materiale importato in telTitorio nazionale 

(n. 109). 
IMPORTAZIONE DI NAVI. 

2) Se sia applicabile l'art. 17 della legge organica 
sull'I.G.E. per la importazione delle navi al di fuori 
del periodo di applicazione della fegge 15 luglio 1957, 

n. 587 (n. 110). 
NOTAIO 

SCAMBI E VALUTE. 

Se l'obbligo del notaio di denunziare all'Ufficio Italiano 
dei Cambi tutte le operazioni comportanti investimenti 
stranieri in Italia compiute col suo intervento 
sussista anche nell'ipotesi in cui l'attivit� del notaio si 
sia limitata alla autenticazione della firma nella scrittura 
privata concernente l'investimento (n. 11). 

PENSIONI 

DIPENDENTI MILITARI. 

1) Se, per i dipendenti militari dello Stato, sia consentito 
il cumulo della pensione privilegiata ordinaria con 
gli assegni di normale attivit� di servizio (n. 105). 

RIDUZIONE A MET� DELLA :PENSIONE. 

2) Se l'art. 184, T.U., 21 febbraio 1895, n. 70; che 
prevede la riduzione a met� della pensione durante la 
espiazione di pena detentiva superiore ad un anno, possa 
essere applicato anche nei confronti del pensionato che, 
nell'impossibilit� di pagare una pena pecuniaria, abbia 
subito la commutazione della medesima in pena detentiva 
(n. 106). 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

CONCESSIONI. 

Quale sia il criterio discriminatore tra concessioni ad 
uso pubblico e concessioni ad uso privato in materia 
di telecomunicazioni, e se possano ritenersi esenti da 
ogni canone le concessioni di esercizio di stazioni radio 
installate a servizio di impianti realizzati da un consorzio 
generale di bonifica (n. 93). �� � 

CONCESSIONI SERVIZIO RECAPITO ESl'RESSI. 

2) Se il risarcimento spettante all'Amminisrazione 
postale allorch� il concessionario del recapito di corrispondenza 
espressa nell'ambito di un Comune ometta di 


---------------��----------------�---
103 


� appiicare su ogni invoiucro ia speciale marca di affrancatura 
di L. 20 debba determinarsi nella misura di questa 
ultima tassa ovvero deila affrancatura ordinaria (n. 94). 
3) Se l'Amministrazione Postale possa ugualmente 
pretendere il pagamento delle marche non applicate 
quando sia intervenuta sentenza penale passata in 
giudicato che assolve il concessionario perch� il fatto 
non costituisce reato essendo provato che questi, pur 
non avendo applicato le marche, ha tuttavia inoltrato 
la corrispondenza con l'affranca.tur . ordin�ria (n. 94). 

DANNI ALLE LINEE TELEGRAFICHE. 

4) Se la disposizione contenuta nell'art. 1 del Regio 
Decreto 1925, n. 2500 modificato dalla legge 1953, 

n. 95 e dal D.P.R. 1956, n. 708, che pone a carico delle 
altre amministrazioni dello Stato, di enti societ� e privati 
una quota di spese generali in misura del 15 per 
cento sull'ammontare complessivo dei lavori e delle prestazioni 
eseguite dall'Amministrazione P.T., possa trovare 
applicazione oltre i casi in essa espressamente 
previsti � (n. 95). 
PROPRIETA' 

SUOLI TRATTURALI -LIQUIDAZIONE. 

Se il diritto di prelazione spettante ai proprietari 
frontisti di tratturi soggetti a liquidazione, nel caso 
che frontista sia una comunione, possa essere esercitato 
da uno solo dei comproprietari e se 1micamente a suo 
favore debba essere fatta la vendita anche in mancanza 
di una espressa dichiarazione di rinunzia degli altri 
comproprietari (n. 33). 

REGIONI 

REGIONE SICILIANA -CREDITO AGRARIO. 

1) Se siano competenti gli organi dello Stato o quelli 
della Regione Siciliana: 

a) a concedere agli istituti ed Enti esercenti il credito 
agrario l'autorizzazione, di cui all'art. 1 n. 25 luglio 
1956, n. 838, a prorogare le scadenze delle operazioni 
di credito agrario di esercizio effettuate con aziende 
agricole danneggiate dalle avversit� atmosferiche (numero 
104). 

b) a determinare le zone danneggiate ai fini della 
concessione del contributo sugli interessi relativi alle 
operazioni prorogate, previsto dalla legge 21 luglio 
1960, n. 739 (n. 104). 

REGIONE SICILIANA -TRASFERIMENTO BENI. DEMANIO 

ARTISTICO. 

2) Se tra i beni dello Stato da trasferirsi alla Regione 
Siciliana a norma del D.P. 10 dicembre 1961, n. 1825 
siano compresi anche i beni appartenenti al C.D. demanio 
artistico dello Stato (n. 105). 

REGIONE SICILIANA -RISCOSSIONE CANONI. 

3) Se sia lecito all'Ente Acquedotti Siciliani, tenuto 
per legge ad affidare la riscossione dei canoni all'Esattoria 
delle imposte dirette, addebitare agli utenti oltre 
al nolo dei contatori anche l'aggio esattoriale, con ci� 

prescindendo dal provvedimento del C.!.P. che autorizza 
gli Enti acquedottisti a porre a carico degli utenti un 
unico diritto fisso, comprensivo anche de1 diritto di 
esazione (n. 106). 

Y..ALLE D'AOSTA -TUTELA Dl!JL PAESAGGIO. 

4) Se a seguito della dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale degli artt. 1e18, 2� comma, legge regionale 
valdostana 28 aprile 1960, n. 3, siano applicabili nella 
Regione le norme statali in materia di tutela del paesaggio 
(n. 107). 

5) Se, dopo la pronuncia di incostituzionalit� di dette 
norme, permanga nel Presidente della Giunta Regionale 
Valdostana il potere attribuitogli dall'art. 3 della cit�ta 
legge regionale (n. 107). 

RICORSI AMMINISTRATIVI 

RICORSO AL CAPO DELLO STATO. 

Se la competenza ad istruire il ricorso straordinario 
al Capo dello Stato proposto avverso un decreto prefettizio 
di espropriazione in materia di derivazione di 
acque per usi idrici in favore della Cassa per il Mezzogiorno 
spetti al Ministero dei Lavori Pubblici o alla 
suddetta Cassa (n. 8). 

SCAMBI E VALUTE 

BOLLETTA DI SDOGANAMENTO. 

1) Se l'Amministrazione Finanziaria dopo il rilascio 
della bolletta di sdoganamento e l'uscita della merce 
dagli spazi doganali possa in qualsiasi tempo e senza 
instaurare alcuna procedura di accertamento rivedere 
il valore e la qualificazione della merce stessa in base 
ad elementi non risultanti dagli atti e dalle scritture 
doganali ma acquisiti successivamente aliunde che siano 
tali da convincere l'Amministrazione di avere errato nel 
corso delle operazioni doganali (n. 18). 

NOTAIO. 

2) Se l'obbligo del notaio di demmziare all'Ufficio 
Italiano dei Cambi tutte le operazioni comportanti 
investimenti stranieri in Italia compiuti col suo intervento 
sussista anche nell'ipotesi in cui l'attivit� del 
notaio si sia limitata alla autenticazione della firma della 
scrittura privata concernente l'investimento (n. 19). 

SOCIETA' 

FALLIMENTO. 

1) Se la chiusura del fallimento di una societ� ne 
determini l'estinzione (n. 100). 

IMPOSTA DI REGISTRO -AUMENTO DEL CAPITALE. 

2) Se le delibere di aumento del capitale sociale per 
conguaglio monetario debbano scontare il tributo vigente 
al momento della delibera stessa o quello vigente al 
momento della omologazione (n. 101). 


-104


TASSE DI CON��ESSIONlii A.M:Ml:NISTRATIVA. 

3) Se le trascrizioni di alcuni atti delle societ� previste 
dall'abrogato codice di commercio e mantenute 
in vigore dall'art. 100 disposizioni di attuazione al 
codice civile fino all'istit,uzione del registro delle imprese, 
vadano soggette alla tassa di concessione ammi-, 
nistrativa, pur non risultando tra gli atti amministrativi 
che la tabella A della legge dichiara soggetti alla tassa 
medesima (n. 102). 

STAMPA 

Quale sia la differenza tra �riproduzione � e �rielaborazione 
� della cartografia ufficiale e se le �rielaborazioni
� -che per la legge 2 febbraio 1960, n. 68 devono 
contenere l'indicazione dell'organo statale produttore 
della carta al quale sono dovuti i diritti d'autore possano 
ravvisarsi anche allorch� siano state utilizzare 
varie carte e documenti ufficiali inlibero commercio (n. 7). 

STRADE 

CONCESSIONI IDRJOHE. 

1) Se, nell'ipotesi di passaggio di strade da uno ad un 
altro Ente Pubblico, possa ritenersi opponibile all'Ente 
nuovo proprietario una concessione idrica assentita a 
favore di terzi dall'Ente precedente proprietario (n. 46). 

p ASSAGGI A LIVELLO :PEDONALI. 

2) Se, dopo l'entrata in vigore del .nuovo codice della 
strada, possa ritenersi legittima -da parte della Amministrazione 
ferroviaria -la conservazione di pas 
saggi a livello pedonali muniti di << girello �, e se in pros 
simit� degli stessi debba essere installato il segnale d 
cui all'art. 15, 4� comma, codice stradale (Croce di 

S. Andrea) (n. 47). 

~ 

Si6 L l O Ti.!CA 

PUBBLICAZIONE

RASSEGNA ~' --V 

DI SERVIZIO

DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ANNO xv -N. 7-8-9 LUGLIO-AGOSTO-SETTEMBRE 1963 

LA CORTE COSTITUZIONALE 


NEI PRIMI SETTE ANNI DELLA SUA ATTIVIT� 

Discorso pronunciato dal Presidente della Corte Gaspare Ambrosini 
il 22 gennaio 1963 alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni 

SOMMARIO. -I -Genesi della Oorte e \7ariet� delle controversie trattate. -II -Oontenuto della 

giurisprudenza della Oorte con riferimento agli argomenti seguenti : Competenza della Corte ed 

instaurazione dei giudizi -Interpretazione -Diritti e doveri -Il principio d'uguaglianza e gli 

altri prinJip1 delle � Dispo3izioni fondamentali � della Costituzione -I diritti tradizionali di 

libert� (libert� personale, di circolazione, di riunione ed associazione, di manifestazione del pen


siero, di agire e di difendersi in giudizio, ecc.) -Il lavoro e la tutela del lavoratori -Oontratti 

collettivi di lavoro e diritto di sciopero -Iniziativa economica, propriet� privata, finalit� sociali, 

espropriazione ed indennizzo -L'esercizio della funzione legislativa ed interpretazione autentica 

delle leggi -L'eserc~zio della giurisdizione -L'unit� della giurisdizione costituzionale -Caratte


ristiche di taluni dispositivi delle sentenze -Oome � applicato dalla Oorte il principio collegiale. 


III -La necessit� della Oorte per la vita ed il progresso dell'ordinamento costituzionale. 

I -Genesi della Corte 
e variet� delle controversie tratt�te 


Il sistema del controllo di legittimit� costituzionale 
delle leggi � strettamente collegato col 
sistema della Costituzione rigida, la cui ragione 
di essere discende dall'esigenza di una realizzazione 
pi� completa del valore superiore delle norme della 
Carta fondamentale rispetto a quelle delle leggi 
ordinarie. E ci� allo scopo di dare una maggiore 
garanzia ai diritti dei cittadini e di assicurare che 
l'attivit� degli stessi poteri sovrani venga esercitata 
nei limiti formali e sostanziali stabiliti dalla 
Oostituzione. 

Si tratta di un'esigenza che era gi�. stata avverta, 
dai Padri della Costituzione americana, e spedn1mente 
da .Alexi:Jinder Hamilton, il quale sostenne 

�''i essendo il Costituente il potere superiore dal 
.�1ale il Legislativo ha attribuite funzioni e facolt� 
~ #rminate, non pu� questo, cio� il potere legisla' 
vn. esercitarle al di l� dei limiti od in senso conra.
rio a quello stabilito dal Costituente nella Carta 
fondamentale, e che in conseguenza non pu� essere 

�itenuta valida una legge che contrasti con la Costi, 
uzione. 
Il principio venne poi in concreto applicato dalla 
(:orte Suprema, a cominciare dalla celebre senJ-,,
nza resa nel 1803 per il caso Marbury v. Madison, 

dia quale la Corte presieduta da John Marshall 
:<fferm� che �un atto legislativo contrario alla 
,13tituzione non � legge �. 

In verit� l'affermazione del potere della Corte 
Suprema di sindacare le leggi approvate dal Congresso 
non avvenne senza resistenze e senza riserve 
e critiche mosse anche da grandi personalit� della 
storia americana, a cominciare da J efferson ed a 
finire ai due Roosevelt. 

Ma ogni opposizione fu superata per la logica 
del sistema della Costituzione rigida che era stato 
adottato dalla Convenzione di Filadelfia, per la 
sapienza e l'alto senso di responsabilit� dei giudici 
e per la sensibilit� del popolo americano, che, pur 
tra tanti contrasti, ha sempre visto nella Corte 
Suprema l'organo di garanzia dei principi di libert� 
e di democrazia. 

* * * 

In Italia l'esigenza di dare la garanzia massima 
ai diritti dei cittadini e di evitare che rappresentanti 
degli organi sovrani travalichino i limiti della 
loro competenza istituzionale e di garantire, inoltre, 
l'attuazione del nuovo ordinamento regionale 
fu sentita, dopo la seconda guerra mondiale, non 
da ristretti gruppi politici, ma da larghe correnti 
del Paese, ed in modo determinante dalla maggioranza 
dei deputati dell'Assemblea costituente, 
che adott� il sistema della costituzione rigida o 
il sistema del controllo di costituzionalit�, affidandolo 
ad un organo apposito, la Corte costituzionale. 




La formazione della Corte costituzionale doveva 
perci� avvenire de plano, giacch�, a differenza della 
costituzione americana, che non fa alcuna specificazione 
in proposito (ragione per la quale era stata 
perfino messa in dubbio la stessa legittimit� del 
suddetto potere di controllo sulle leggi da parte 
della Corte Suprema), la Costituzione italiana non 
solo dispone espressamente l'istituzione di tal~ 
organo particolare, ma ne indica in modo specifico 
i compiti. 

Senonch� quei motivi di opposizione e di diffidenza, 
che erano stati addotti nei riguardi della 
Corte Suprema degli Stati Uniti, o motivi simili, 
od altri motivi dovuti alle particolari condizioni 
politiche del nostro Paese, e fors'anche il ricordo 
del fallimento della Corte costituzionale istituita 
in Germania dopo la prima guerra mondiale secondo 
il disposto della Costituzione di Weimar 
del 1919, influirono nell'ostacolare la formazione 
della Corte. 

E particolarmente, forse, influ� il rilievo che il 
sistema di controllo della Corte costituzionale contrasterebbe 
(siccome sottoline� Vittorio Emanuele 
Orlando alla Costituente ed ancora dopo, in uno 
scritto del1951 sulla forma di governo in Italia) 
col sistema del regime parlamentare. 

� da ricordare inoltre che taluni, anche in buona 
fede, dicevano che la Corte avrebbe avuto poco da 
fare, e che l'ufficio di giudice costituzionale sarebbe 
stato una sinecura. 

Per varie ragioni adunque passarono quasi otto 
anni dalla entrata in vigore della Costituzione, 
prima che la Corte costituzionale venisse costituita. 

Il 15 dicembre 1955 i Giudici prestarono giuramento, 
al Quirinale, nelle mani del Presidente 
Gronchi, il quale, in un alto e nobile discorso rivolto 
ai Giudici ed al Paese, disse, tra l'altro, che la Corte 
si inserisce nel complesso sistema di separazione 
ed equilibrio tra i vari poteri, cc come elemento 
direi nello stesso tempo moderatore e, per taluni 
rispetti, anche propulsore delle attivit� legislative 
ed esecutive �. 

Subito dopo il giuramento, i Giudici si riunirono 
al Palazzo della Consulta, e procedettero all'elezione 
del primo Presidente, l'antico parlamentare 
ed ex Capo provvisorio dello Stato e primo Presidente 
della Repubblica, Enrico De Nicola. 

Nei primi tre mesi 9-el 1956 la Corte provvide 
alla propria organizzazione interna ed all'emanazione 
delle Norme integrative per lo svolgimento 
dei giudizi intesi alla decisione delle questioni di 
legittimit�. costituzionale delle leggi e degli atti 
aventi forza di legge, e dei conflitti di attribuzione 
tra i poteri dello Stato e tra Stato e Regioni. 

* * * 

Il 23 aprile 1956, alla presenza del Presidente 
della Repubblica, ebbe luogo la prima udienza inaugurale 
con un memorabile discorso pronunciato dal 
Presidente De Nicola. 

Da allora la Corte ha svolto la sua alacre e feconda 
attivit� con i risultati che passer� aCi esporre. 

Diversi problemi attinenti al funzionamento della 
Corte sono stati in questo periodo di tempo risolti; 
altri per� ne restano, pure di carattere fondamentale 
che siamo certi saranno anch'essi presto risolti, 
come quello attinente alla .continuit�. divita .della 
Corte alla scadenza del dodicennio dalla sua fondazione, 
come l'altro della posizione, anche formale, 
della Corte nell'ambito degli organi costituzionali 
dello Stato, e l'altro ancora del necessario coordinamento 
dell'attivit� della Corte con quella degli 
altri supremi organi costituzionali nella formazione 
ed esecuzione delle leggi. 

* * * 

Nel discorso inaugurale prounziato il 23 aprile 
1956, alla presenza del Capo dello Stato, il Presidente 
De Nicola credette opportuno enunciare gli 
intendimenti con i quali la Corte si accingeva ad 
adempiere la sua missione. 

cc Spetta a me -egli disse -di dire a Voi qui 
ed al popolo italiano fuori di qui, con semplicit� e 
chiarezza, senza opulenze verbali, con quali intendimenti 
ci accingiamo ad adempiere l'alta missione 
che ci � stata affidata nel regime democratico che 
si fonda sul saggio equilibrio delle forze in perenne 
ed inevitabile contrasto �. 

E dopo varie considerazioni aggiunse: cc Noi 
abbiamo questo dono necessario per l'adempimento 
dei nostri compiti: la fede, accompagnata da 
una infrangibile fermezza che non ha nulla da vedere 
con l'arbitrio. Non avremo bisogno n� di sprone 
n� di freni per la nostra opera non effimera ma duratura 
attraverso una nuova giurisprudenza, che 
avr� uno straordinario impulso sulla vita nazionale
�. 

Sia consentito oggi a me, che pur ho tanta minore 
autorit�. del Presidente De Nicola, ma tuttavia non 
minore fede, di dire a Voi, qui, ed al popolo italiano, 
fuori di qui, come la Corte ha assolto la sua missione 
nei primi sette anni della sua attivit�, e di sottolineare 
il contributo che ha dato con la sua giurisprudenza 
allo svolgimento ed alla applicazione di 
molte disposizioni della Costituzione e degli Statuti 
delle Regioni (Sicilia, Sardegna, V alle d'Aosta 
e Trentino-Alto Adige). 

* * * 

Non mi dissimulo che sette anni di attivit� possono 
sembrare pochi per giudicare un istituto, che 
non aveva precedenti nel passato ordinamento, 
rispetto al quale costituisce anzi una innovazione 
profonda, ma si tratta dei primi sette anni di attivit�, 
che per le difficolt� stesse del passaggio dal 
vecchio al nuovo ordinamento e per la gravit�, delicatezza 
ed urgenza dei compiti affidati al nuovo 
iAtituto, rappresentano un vero ciclo storico. 

� infatti in questo primo periodo di tempo che 
la Corte costituzionale ha preso sempre pi� nettamente 
forma e vitalit� quale custode e g�r�nte d~lla_ 
legge fondamentale. 

Le cifre sulle controversie proposte davanti alla 

Corte e sulle decisioni emanate basterebbero gi� 

a dimostrare quale � stata l'entit� del suo lavoro. 



-107


Se si raffronta il numero dei casi esaminati dalla 
Corte italiana con quelli della Corte Suprema degli 
Stati Uniti d'America, che fu istituita nel 1790 e 
che ha perci� 172 anni di vita, si vede quanto pi� 
accentuato sia in questo campo il volume di 
attivit� della Corte italiana. 

Secondo i calcoli del Corwin, in pi� di un secolo 
e mezzo di vita, la Corte Suprema americana 
ha deciso pi� di 4000 casi di controversie costituzionali; 
la Corte italiana in sette anni ne ha deciso 
proporzionalmente un numero molto superiore. 

Certamente � difficile dare a tale differenza di 
cifre un concreto valore, anche ed anzitutto perch� 
i presupposti e la portata dell'attivit� delle due 
Corti sono diversi; ma, comunque, � fuori dubbio 
che l'entit� del lavoro della Corte italiana � imponente. 


* * * 

Dall'inizio della sua attivit�, cio� dal 1956 a 
tutto il dicembre 1962, sono pervenuti alla Corte 
gli atti introduttivi di 1364 giudizi, dei quali: 1165 
relativi a questioni di legittimit� costituzionale di 
leggi o atti aventi forza di legge proposti in via 
incidentale con ordinanze dei giudici delle cause 
principali, 124 relativi a giudizi di legittimit� costituzionale 
proposti in via principale con ricorsi 
dello Stato e delle Regioni, e 75 relativi a giudizi 
per conflitti di attribuzione proposti con ricorsi 
dello Stato e delle Regioni e della provincia di 
Bolzano. 

Nel settennio trascorso non � stato proposto alla 
Corte alcun giudizio per conflitto di attribuzione 
tra poteri dello Stato, n� si � fatto luogo -e speriamo 
che non si far� mai luogo -a giudizi su 
atti di accusa. 

Non si � fatto e non avrebbe potuto nemmeno 
farsi luogo, dato lo stato della legislazione, a giudizi 
sull'ammissibilit� di referendum abrogativo. 

Quanto ai giudizi di legittimit� costituzionale 
proposti in via principale, in tutto 124, � da rilevare 
che 83 furono proposti dallo Stato contro leggi 
delle quattro Regioni a statuto speciale e della 
provincia di Bolzano, e 35 dalle suddette Regioni 
e Provincia contro leggi statali. Si debbono aggiungere 
6 ricorsi proposti dalla provincia di Bolzano 
contro leggi della Regione Trentino-Alto Adige. 

In tema di conflitti di attribuzione furono proposti, 
sempre dal 1956 al 1962: 32 ricorsi dello Stato 
contro atti delle quattro Regioni e della provincia 
di Bolzano, 41 da queste contro atti statali; e 2 
dalla provincia di Bolzano contro atti della Regione. 
La provincia di Trento figura in questo quadro 
soltanto per un ricorso proposto nei riguardi dello 
Stato. In tutto adunque furono proposti 75 ricorsi 

Le sentenze e le ordinanze emanate dalla Cor


te ammontano rispettivamente a 397 e 199, in 

tutto 596. 

Con tali decisioni sono stati per�, in realt�, risolti, 
per effetto di pronuncie emanate con unica sentenza 
od ordinanza su controversie aventi oggetto 
simile o strettamente connesso, 1183 giudizi, dei 
quali 994 giudizi di legittimit� costituzionale proposti 
in via incidentale, 117 giudizi proposti in via 
principale e 72 conflitti di attribuzione. 

� da notare che delle 994 questioni di legittimit� 
costituzionale proposte in via incidentale, 416 vennero 
giudicate fondate con conseguente dichiarazione 
di illegittimit� costituzforiale d�lle--norme 
impugnate, mentre 578 vennero dichiarate non 
fondate. 

-Dei 117 ricorsi per questioni di legittimit� proposte 
in via principale, vennero accolti, con conseguente 
pronuncia di illegittimit� delle norme impugnate, 
64 ricorsi, dei quali: 51 dello Stato contro 
leggi delle quattro Regionie d~lla provincia di Bolzano, 
11 di dette Regioni contro leggi statali, e 2 
della provincia di Bolzano contro leggi della Regione. 
Ne vennero invece respinti 40, dei quali 13 
dello Stato contro leggi regionali, 24 delle Regioni 
contro leggi statali, e 3 della provincia di Bolzano 
contro leggi della Regione. 

Venne pronunciata inoltre l'estinzione di 13 
giudizi. 
Nessun ricorso fu presentato dalla provincia di 
Trento, n� contro di essa. 

Dei 72 ricorsi per conflitti di attribuzione, ne 
vennero accolti in tutto 33, dei quali 22 presentati 
dallo Stato contro atti delle quattro Regioni e della 
provincia di Bolzano, 10 dalle suddette Regioni e 
provincia contro atti dello Stato, ed uno dalla provincia 
di Bolzano nei riguardi della Regione. Vennero 
invece respinti 35 ricorsi, dei quali: 5 dello 
Stato, 29 delle Regioni e provincie di Bolzano e di 
Trento contro atti dello Stato, ed uno della provincia 
di Bolzano rispetto alla Regione. 

Quattro giudizi furono dichiarati estinti. 

* * * 

Non mi soffermo sui raffronti e sulle considerazioni 
cui possono dar luogo le cifre che sono venuto 
esponendo; qui mi basta averle indicate 
per mostrare quanto notevole sia stata l'attivit� 
svolta dalla Corte nei primi sette anni della sua 
vita. 

Rilevo soltanto che il numero delle questioni 
proposte con ordinanze emesse dai giudici della 
causa principale non � diminuito, siccome taluni 
ritenevano dovesse avvenire. 

Nel 1962 infatti il numero dei giudizi di legittimit� 
costituzionale proposti in via incidentale � stato 
di 210, maggiore quindi rispetto alla media di 169 
dei precedenti sei anni. � da notare, d'altra parte, 
che � diminuito il numero degli atti introduttivi 
dei giudizi di legittimit� costituzionale in via principale 
e dei conflitti di attribuzione; il che pu� indicare 
che da parte dello Stato e delle Regioni si tiene 
conto dei principi affermati dalla Corte nelle sentenze 
degli anni precedenti. 

Nello stesso decorso anno il numero delle que


stioni di legittimit� proposte in via incidentale 

decise dalla Corte � salito a 238, con un notevole 

aumento rispetto alla media degli anni precedenti, 

dal 1957 al 1961, che era 126. 

Nei primi venti giorni del corrente mese di gennaio 
sono gi� pervenute alla Cancelleria della Corte 
ben 24 ordinanze di proposizione di questioni di 
legittimit� in via incidentale. 


108


II -Contenuto della Giurisprudenza della Corte 
Competenza della Corte ed instaurazione dei giudizi 

Passo ad occuparmi della giurisprudenza della 
Corte, cominciando dalla parte attinente alla sua 
competenza ed alla instaurazione dei giudizi dinanzi 
ad essa, particolarmente per il sindacato di legit-, 
timit�� costituzionale delle leggi e degli atti aventi 
forza di legge. 

Giova premettere che nel nostro sistema la Corte 
non ha potere di miziativa, e che, d'altra parte, 
n� i cittadini n� altri soggetti dell'ordinamento 
possono adirla dfrettamente, giacch� soltanto allo 
Stato ed alle Regioni � riconosciuto il diritto di 
impugnare direttamente in via cosidetta principale, 
l'uno le leggi delle seconde, e viceversa. 

Ai cittadini ed agli altri soggetti, come al Pubblico 
Ministero, � riconosciuta la facolt� di sollevare 
la questione di legittimit� costituzionale soltanto 
in via cosidetta incidentale, cio� nel corso 
di un giudizio pendente avanti un organo giurisdizionale 
al quale poi spetta la potest� di decidere 
sulla richiesta, ed anche di proporre la questione 
di ufficio. 

Orbene, in relazione specialmente ai giudizi proposti 
in via incidentale, che hanno costituito e 
costituiscono la maggior parte del contenzioso di 
legittimit� costituzionale, va rilevato che l'interpretazione 
data dalla Corte alle norme attinenti 
alla sua competenza ed alle forme e condizioni di 
introduzione dei giudizi ha facilitato agli interessati 
la possibilit� di arrivare, sia pure in via in�,identale, 
a sottoporre all'esame di essa il maggior 
numero di questioni. 

* * * 

Nella sua prima sentenza (la n. 1 del 1956) la 
Corte ha respinto l'assunto che il giudizio di legittimit� 
costituzionale si riferisse soltanto alle leggi 
posteriori alla Costituzione, ed ha affermato invece 
che si estende anche alle leggi anteriori, sia perch�, 
dal lato testuale, l'art. 134 della Costituzione e 
l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, 

n. 1, non fanno alcuna distinzione, sia perch�, dal 
lato logico, << � innegabile che il rapporto tra leggi 
ordinarie e leggi costituzionali ed il grado che ad 
esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle 
fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie 
anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali �. 
Riguardo ai decreti legislativi delegati, il cui 
contrasto con le leggi di delegazione era pur stato 
prospettato nello stesso giudizio come contrasto 
tra leggi ordinarie non sottoponibili come tali al 
sindacato di legittimit� costituzionale, la Corte ha 
ritenuto che anche questi decreti possono essere 
oggetto di sindacato, per la considerazione che nella 
violazione, che si riscontri in essi, dei criteri e limiti 
stabiliti nella legge delegante si sostanzia altres� 
una violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione 
(sent. n. 3 del 1957). 

In base agli stessi criteri, la Corte ha ritenuto 
che il giudizio di legittimit� costituzionale si estende 
anche alle cosiddette leggi-provvedimento, cio� 

ai decreti che hanno forza di legge in virt� di una 
legge di delegazione, ma che non contengono norme 
giuridiche, sibbene provvedimenti particolari (sent. 

n. 59 del 1957). 
La Corte ha inoltre affrontato il problema del 
sindacato sulle norme di attuazione degli statuti 
regionali approvati con legge costituzionale, risolvendolo 
nel senso che anche a tali norme si estende 
il giudizio di legittimit�, per la ragione che esse 
non posi;;ono considerarsi come norme di mera esecuzione 
degli statuti regionali (sent. n. 20 del 1956, 
e nn. 14, 67, 83 del 1962). 

* * * 

Quanto al concetto di autorit� giurisdizionale 
legittimata, siccome si � detto, a proporre, su 
istanza di parte o di ufficio, la questione di legittimit� 
costituzionale, la Corte, intendendo il concetto 
stesso in senso ampio ed estensivo, ha compreso 
tra i suddetti organi non solo il giudice ordinario 
in sede di volontaria giurisdizione, ma altres�: 

1) i Consigli comunali nella materia del contenzioso 
elettorale (sent. n. 42 del 1961); 
2) le Commissioni tributarie (sent. n. 12 del 
1961); 
3) il Commissario liquidatore degli usi civici 
(sent. n. 78 del 1961); 
4) la Commissione dei ricorsi in materia di 
brevetti (sent. n. 4 del 1958); 
5) i Comandanti la Capitaneria di porto (sent. 

n. 41 del 1960). 
Natura del tutto particolare, a questo riguardo, 
presenta la facolt� che la Corte ha dovuto ricono-, 
scere a se stessa, di proporre, nel corso di un giudizio 
dinnanzi ad essa pendente, una questione di 
legittimit� in via incidentale, quando la risoluzione 
di questa avesse carattere strumentale ai fini della 
definizione del giudizio gi� instaurato. E ci� in 
quanto non pu� <<ritenersi che proprio la Corte, che 
� il solo organo competente a decidere delle questioni 
di costituzionalit� delle leggi, sia tenuta ad 
applicare leggi incostituzionali � (ord. n. 22 del 
1960). 

Parimenti favorevole all'esperimento dei procedimenti 
di legittimit� � stata l'interpretazione 
della Corte relativamente alla constatazione che 
nell'ordinanza di proposizione della questione di 
legittimit� il giudice a quo deve fare, a norma dell'art. 
23 della legge n. 87 del 1953, circa la non 
manifesta infondatezza della questione e circa la 
rilevanza di questa ai fini della decisione della causa 
principale. 

La Corte ha ritenuto: 

a) per quanto si riferisce alla non manifesta 
infondatezza della questione, che sia bastevole la 
menzione nell'ordinanza del dubbio che ha in proposito 
il giudice a quo; 

b) per quanto attiene al requisito della rilevanza 
della questione stessa ai fini della� risoluzi.~me_ 
della causa principale, che il giudizio sulla rilevanza 
� di competenza del giudice a quo, e che il controllo 
della Corte � in materia limitato soltanto all'accertamento 
che tale giudizio sia stato compiuto e sia 
sufficientemente motivato. 


-109 -


N� la Corte ha ritenuto di sindacare, rispetto 

�alla causa principale, la competenza del giudice 
che ha emesso l'ordinanza di proposizione della 
questione di legittimit�, purch� tale ordinanza 
provenga da un'autorit� giurisdizionale. 

Ril<:vando che il giudizio di legittimit� costitu


zionale si svolge non nell'interesse privato ma pub


blico, e che ha perci� caratteristiche proprie che lo 

differenziano da qualsiasi altro procedimento, la 

Corte ha stabilito che il processo di costituzionalit� 

non � suscettibile di essere influenzato dalle vicende 

del processo principale dal quale ha ricevuto im


pulso: non trovano perci� applicazione nel processo 

costituzionale le norme sulla sospensione, interru


zione ed estinzione del processo ordinario (sent. 

n. 50 del 1957) . .Avuto una volta ingresso con l'ordinanza 
di rinvio, il giudizio di costituzionalit� 
diventa autonomo, assolutamente indipendente dal 
giudizio principale che lo ha occasionato (sent. 
n. 
57 del 1961). 
* * * 
Vengo ora a parlare del contenuto sostanziale 

della giurisprudenza della Corte, che si esplica nella 

interpretazione sia delle leggi ordinarie impugnate 

che delle norme della Costituzione addotte come 

violate da tali leggi. 

Sarebbe oltremodo interessante, se il tempo a 

disposizione lo consentisse, esaminare anzitutto i 

criteri di interpretazione adottati. 

In proposito basti dire che la Corte non ha seguito 

criteri rigidi, ma ha fatto ricorso, secondo la parti


colarit� dei casi ed il carattere speciale delle norme 

e degli istituti sottoposti al suo esame, ai vari me


todi e criteri di interpretazione. Ricorder� soltanto, 

per il rilievo che ha avuto in tante sentenze, quello 

evolutivo, del quale la Corte si � avvalsa fin dalla 

prime sentenze (nn. 3 e 8 del 1956), affermando che 

cc non pu� non tenere il debito conto di una costante 

interpretazione giurisprudenziale che conferisce 

al precetto legislativo 
il suo effettivo valore nella 

vita giuridica, se � vero, come � vero, che le norme 

sono non quali appaiono proposte in astratto, ma 

quali sono applicate 
nella quotidiana opera del 

giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci �, 

ed interpretando cos� la norma in esame cc non nel 

sistema in cui essa storicamente ebbe nascimento, 

bens� nell'attuale sistema nel quale vive�. 

E ricorder� altres� il 
metodo logico-sistematico, 

per il quale basta citare la sentenza n. 121 del 1957, 

nella quale la Corte ha fatto esplicitamente richiamo 

al principio << che le norme della Costituzione non 

vanno considerate isolatamente, bens� coordinate 

fra di loro, onde ricavarne lo spirito al quale la 

Costituzi�ne si � informata e secondo il quale deve 

essere interpretata�. 

Questo metodo logico-sistematico, che natural


mente vale per la interpretazione di tutte le norme 

giuridiche, assume maggior rilievo per le norme 

della Costituzione, non soltanto per la particolare 

natura di queste ultime, ma anche per il fatto che 

la Costituzione, avendo carattere composito, affer


ma princip1 che potrebbero apparire divergenti se 

non addirittura contrastanti (come il principio 

della solidariet�, sociale rispetto a quello dei diritti 

individuali), e che la Corte, nella sua interpretazione, 
deve coordinare ed armonizzare nel quadro 
unitario dell'ordinamento costituzionale. 

Credo opportuno indicare, rispetto aU'interpre-�. 
tazione delle leggi ordinarie, un altro principio 
affermato dalla Corte. 

,Quando la disposizione di legge impugnata d� 
adito a varie interpretazioni, taluna in senso non 
contrastante e taluna in senso contrastante con 
la norma costituzionale addotta come violata, la 
Corte si � ispirata al criterio che debba prevalere 
l'interpretazione conforme alla Costituzione (sentenze 
nn. 3, 8 del 1956; 26 del 1961). 

* * * 

Non m1 e possibile, in questa sede, per ovvie 
ragioni di tempo, dare neanche la semplice indicazione 
delle leggi ed atti aventi forza di legge 
impugnati, attinenti alle materie pi� disparate, su 
cui la Corte ha portato il suo esame, n� tanto meno 
mi � possibile accennare al contenuto di alcuna 
pronuncia. 

Credo invece che non posso omettere di fare 
menzione, sia pur sommaria, della giurisprudenza 
della Corte in ordine alle norme costituzionali che 
nei vari e numerosi giudizi sono state assunte come 
violate, e sulle quali perci� la Corte ha dovuto 
egualmente portare il suo esame . 

.Al quale proposito � opportuno notare che l'interpretazione 
delle norme costituzionali � pi� delicata 
ed impegnativa di quella delle leggi ordinarie, sia 
per la interdipendenza e la complessit�, cui ho 
dianzi accennato, delle disposizioni della Costituzione, 
sia per il carattere naturalmente pi� ampio 
e generico proprio di tanti articoli di essa, e sia 
ancora, e maggiormente, per gli effetti e le ripercussioni 
che l'interpretazione delle norme della Carta 
fondamentale determina non soltanto nei casi 
di dichiarazione di illegittimit� costituzionale delle 
norme ordinarie impugnate che cessano di avere 
efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione 
della decisione, ma anche, data l'autorit� morale 
di tali pronunce, nei casi nei quali le questioni sottoposte 
al giudizio della Corte vengono dichiarate 
infondate. 

Ci� non toglie in questa seconda ipotesi, dato 
che le sentenze della Corte non hanno, come nella 
prima, carattere di definitivit� ed irrevocabilit�, 
che le questioni con esse decise possano nuovamente 
venire sottoposte all'esame della Corte stessa 
(sent. n. 21 del 1959). 

* * * 

Mi limiter� ad accennare, sia pur in modo inadeguato 
ed inevitabilmente lacunoso, ad alcuni 
principi affermati dalla Corte che, per la loro vasta 
portata, possono considerarsi pi� caratteris:t.icj e 
fondamentali. 

Va anzitutto considerato il sistema di quei diritti 
dell'uomo, che provengono dalle Dichiarazionia mericana 
e francese, ma che assumono una portata 
pi� ampia nelle Costituzioni attuali, e specie in 
quella italiana, 



-110


Nella Costituzione italiana, infatti, vi ha non 
soltanto l'innovazione, comune alle altre costituzioni, 
dell'estensione dei diritti dal tradizionale 
campo strettamente giuridico a quello economicosociale, 
ma una innovazione maggiore, in quanto 
la Costituzione considera l'uomo, siccome dice 
l'art. 2, �sia come singolo, sia nelle formazioni 
sociali nelle quali si svolge la sua personalit� �,, 
ed in quanto, dopo la proclamazione dei diritti, 
afferma, altres�, l'esigenza dell'� adempimento dei 
doveri inderogabili di solidariet� politica, economica 
e sociale �. 

Gi�, nella sua prima sentenza la Corte affront� 
il problema della coesistenza e del contemperamento 
dei diritti e dei doveri, affermando che la 
disciplina dell'esercizio di un diritto non importa 
di per s� violazione o negazione di esso, e che, � se 
pure si pensasse che dalla disciplina dell'esercizio 
pu� derivare indirettamente un certo limite del 
diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto 
di limite � insito nel concetto di diritto e che nello 
ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche 
devono di necessit� limitarsi reciprocamente, perch� 
possano coesistere nell'ordinata coesistenza 
civile�. 

Ribadendo in altre sentenze questo principio 
generale, la Corte ha altresi affermato che l'intervento 
del legislatore nel dettare una tale disciplina 
dell'esercizio dei diritti deve ritenersi ammissibile 
non soltanto quando la stessa Costituzione 
faccia in proposito un espresso rinvio alla legge ordinaria 
(come negli artt. 14, 16, 21, 39, ecc.), ma anche 
in mancanza di un tale espresso rinvio. 

La Corte, d'altra parte, ha nel contempo affermato: 


1) che tale intervento del legislatore incontra 
anzitutto un confine insuperabile nella necessit� 
che il diritto di cui si regola l'esercizio cc non ne 
rimanga snaturato attraverso una compressione 

o 
una riduzione del proprio ambito�; 
2) e che, in ogni caso, quando per tale disciplina 
il legislatore conferisca dei poteri ad altra 
autorit�, occorre che tali poteri siano adeguatamente 
specificati e delimitati in modo da evitare 
che il loro esercizio possa degenerare in arbitrio 
(vedi, per tutte, le sentenze n. 36 del 1958 e n. 1 
del 1960). 

* * * 

Per i riflessi di ordine generale sulla delimitazione 
della sfera dei diritti df libert� in funzione 
dei poteri attribuiti all'autorit�, degna di particolare 
rilievo � la sentenza n. 19 dell'8 marzo 1962, 
con la quale la Corte ha ritenuto che � l'esigenza 
dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata 
rispetto agli ordinamenti autoritari, non � affatto 
estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, 
n� � incompatibile con essi �. 

Con la detta sentenza, in particolare, la Corte ha 
altres� ritenuto che �al regime democratico e legalitario 
consacrato nella Costituzione vigente, e basato� 
sull'appartenenza della sovranit� al popolo (art. 1), 
sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero 

della legge (artt. 54, 76, 79, 97, 98, 101, ecc.), � 
connaturale un sist�ma giuridico in cui gli obbiettivi 
consentiti ai consociati e alle formazioni sociali 
non possono essere realizzati se non con gli strumenti 
e attraverso i pro�ediinenti � pr�Visti dalle 
leggi, e non � dato per contro pretendere di introdurvi 
modificazioni o deroghe attraverso forme di 
coazione o addirittura di violenza �. 

* * * 

Fondamentale importanza ha assunto, nella 
giurisprudenza della Corte, l'interpretazione dell'art. 
3, riguardante il principio di uguaglianza. 
Questo principio non pu� essere inteso in senso 
cc meccanicamente livellatore �. 

Non � infatti << concepibile -ha affermato la 
Corte -che il principio di eguaglianza dei cittadini 
davanti alla legge, debba intendersi nel senso 
che il legislatore non possa dettare norme diverse, 
per regolare situazioni che esso considera diverse, 
adeguando cosi la disciplina giuridica agli svariati 
aspetti della vita sociale anche al fine di conseguire 
i risultati additati dal secondo comma dello stesso 
art. 3 � (sent. n. 28 del 1957). 

D'altra parte, da questa stessa interpretazione 
consegue che non � neppure ammissibile che a 
situazioni diverse sia imposta una identica disciplina 
legislativa. � 

<e Senza dubbio -ha detto la Corte nella sentenza 
n. 53 del 1958 -la valut.azione delle diverse 
situazioni � riservata al potere discrezionale del 
legislatore. Non contraddice per� a questa affermazione, 
n� si compiono valutazioni di natura politica 
se si dichiara che il principio di eguaglianza � violato 
quando vengano assoggettate ad una indiscriminata 
disciplina situazioni che lo stesso legislatore 
considera diverse� (sent. n. 53 del 1958). 

A questi principi generali discendenti dalla 
e< disposizione fondamentale � dell'art. 3, la Corte 
si � costantemente orientata nell'interpretare molte 
disposizioni di altri articoli della Costituzione e degli 
statuti delle Regioni (sentenze nn. 53, 56 del 
1958; 5, 12, 15, 33 del 1960; 42, 64 del 1961; 5, 7, 
8, 29, 48, 65 del 1962). 

* * * 

Lo stesso � a dirsi per i principi generali affermati 
nelle successive cc disposizioni fondamentali �. 

Riguardo all'art. 4, ai sensi del quale cc la Republica 
riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e 
promuove le condizioni che rendano effettivo questo 
diritto �, la Corte ha detto, nella sentenza n. 3 del 
1957, che cc trattasi di un'affermazione sul piano 
costituzionale della importanza sociale del lavoro, 
che costituisce un invito al legislatore a che sia favorito 
il massimo impiego delle attivit� libere nei-rapposti 
economici �; e nella sentenza n. 53 dello 
stesso anno ha affermato che cc � appunto nell'ambito 
di questa generale direttiva (art. 4) � che deve 
mantenersi il legislatore. 


111 


* * * 

.Al lume dei principi affermati nell'altra � disposizione 
fondamentale � dell'art. 5 sono state emanate 
numerose sentenze, specie, siccome dir� appresso, 
per la decisione delle controversie riguardanti 
l'ordinamento regionale . 

.Al principio affermato dal successivo art. 6 circa 
la tutela delle minoranze linguistiche si ricollegano 
le pronunce con le quali sono state decise questioni 
relative all'uso della lingua nelle Regioni mistilingui 
Alto-Adige e Valle d'Aosta (sent. nn. 32 del 
1960 e 116 del 1961). 

* * * 

Del sistema degli artt. 7 e 8 la Corte ha precisato 
i lineamenti nella sentenza n. 125 del 1957: 

<< Negli artt. 7 e 8 -ha affermato la Corte il 
Costituente ha dettato, rispettivamente per la 
Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, 
norme esplicite, le quali non ne stabiliscono la 
~<parit� �, ma ne differenziano invece la situazione 
giuridica, che �, si, di eguale libert� (come dice 
l'art. 8, primo comma), ma non di identit� di regolamento 
dei rapporti con lo Stato. Infatti, mentre 
l'art. 7, primo comma, dichiara che lo Stato e la 
Chiesa cattolica sono, ognuno nel proprio ordine, 
indipendenti e sovrani�, -l'art. 8, secondo comma, 
detta che � le confessioni religiose diverse dalla 
cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo 
i propri statuti, in quanto non contrastino con lo 
�rdinamento giuridico italiano �. 

* * * 

� opportuno infine notare che la Corte ha avuto 
l'occasione di occuparsi del principio sancito nello 
.art. 10, per cui l'ordinamento giuridico italiano si 
-conforma alle norme del diritto internazionale 
.generalmente riconosciute. 

A questo proposito mi sia concesso rilevare che 
nel nuovo clima di cooperazione mondiale, che � 
stato rafforzato anche dagli eventi del Concilio 
ecumenico, i principi di libert� e di democrazia 
costituiscono ormai un linguaggio comune, talch�, 
anche se diverse sono le vie che conducono alla 
loro realizzazione e quindi varie le procedure e le 
modalit� della loro garanzia, quella favella comune 
avvicina ed affratella gli individui e i popoli e 
quindi coloro che, come noi, sono chiamati ad 
interpretarne gli ordinamenti; dico, come noi, 
Giudici delle Corti costituzionali. Sotto questo 
.aspetto particolarmente proficui, ritengo, sono stati 
i contatti che la Corte italiana ha avuto con quella 
della Germania federale, specie nelle riunioni di stu
�dio tenute a Roma e a Karlsruhe e con le Corti 
degli altri Paesi. 

Oggi mi � pertanto gradito rivolgere un parti-
colare saluto alla Corte Suprema degli Stati Uniti 
d'America, che per prima afferm� il principio del 
controllo di legittimit� costituzionale delle leggi, 
e che compie ora 172 anni di vita. Ed un caro saluto 

3 

rivolgo ai colleghi della Corte della Germania di 
Bonn, nata quasi contemporaneamente alla nostra, 
ed a quelli del lontano Giappone, delle Filippine, 
con i quali si sono avuti rapporti diretti; ed alle 
Corti di tutti i Paesi che, si pu� ben dire, costituiscono 
supreme assise del diritto, fondamento 
degli Stati e presto, speriamo, anche della Comunit� 
internazionale. 

* * * 

Dopo questi brevi cenni sulle suindicate << disposizioni 
fondamentali � della Costituzione, vengo a 
parlare della giurisprudenza della Corte su alcuni 
dei tradizionali diritti di libert� contemplati nel 
titolo 1� della parte prima, riguardante i << rapporti 
civili�. 

Rispetto al diritto di libert� personale, di cui 
all'art. 13, la Corte ha affermato che la disposizione 
di tale articolo non va intesa << quale garanzia 
di indiscriminata libert� di condotta del cittadino 
� o quale << illimitato potere di disposizione 
della propria personalit� fisica, bensi come diritto 
a che l'opposto potere di coazione personale, di 
cui lo Stato � titolare, non sia esercitato se non in 
determinate circostanze e col rispetto di talune 
forme �. Si tratta del riconoscimento dei tradizio� 
nali diritti di habeas corpus. 

<< La libert� personale si presenta pertanto come 
diritto soggettivo perfetto nella misura in cui la 
Costituzione impedisce alle autorit� pubbliche 
l'esercizio della potest� coercitiva personale� (sentenze 
nn. 2 e 11 del 1956). 

La Corte ha d'altra parte escluso che, in base 
all'art. 13, il cittadino possa pretendere di essere 
esente dagli obblighi imposti dalla solidariet� 
sociale, come, ad esempio, quelli segnati dell'art. 652 
prima parte, del Codice penale (sent. n. 49del1959). 

Riguardo all'art. 16, che afferma la libert� di 
circolazione sul territorio nazionale salvo le limitazioni 
che la legge stabilisce << per motivi di sanit� 
e di sicurezza �, la Corte, mentre ha recisamente 
esclusa qualsiasi restrizione determinata da ragioni 
politiche, ha precisato che ai << motivi di sanit� 
e di sicurezza � possono ricondursi anche i motivi 
di<< ordine, sicurezza pubblica e pubblica moralit��. 

La Corte ha respinto la tesi che il termine << sicurezza 
� riguardi solo l'incolumit� fisica, affermando 
che <<sembra razionale e conforme allo spirito della 
Costituzione dare alla parola <<sicurezza� il signicato 
di << situazione nella quale sia assicurato ai 
cittadini, per quanto � possibile, il pacifico esercizio 
di quei diritti di libert� che la Costituzione 
garantisce con tanta forza �. 

Quanto alla << moralit� �, la Corte ha escluso che 
si possa tenere conto delle convinzioni intime del 
cittadino di per se stesse incoercibili, nonch� delle 
teorie in materia di moralit�. Ha per�, d'altra 
parte, nettamente affermato che<< i cittadini.hanno 
diritto di non essere turbati ed offesi da manifesta-zioni 
immorali, quando queste risultino pregiudizievoli 
anche alla sanit� o creino situazioni ambientali 
favorevoli allo sviluppo della � delinquenza 
comune � (sent. n. 2 del 1956 e, da ultimo, sent. 

n. 126 del 1962). 

-112 


Riguardo alla libert� di riunione, di cui allo 
art. 17, la Corte ha, tra l'altro, affermato che le 
norme di tale articolo valgono per ogni speQie di 
riunione (comprese quelle di carattere religioso), 
osservando che esse norme si ispirano � a cos� elevate 
e fondamentali esigenze della vita sociale da 
assumere necessariamente una portata ed efficacia 
generalissime, tali da non consentire la possibilit� 
di regimi speciali� (sent. n. 45 del 1957). 

Circa il diritto di associazione, di cui all'art. 18, 
la Corte ha ritenuto che esso debba essere garantito 
non soltanto nell'aspetto positivo, ma anche in 
quello negativo, cio� nella libert� di non associarsi. 

� da rilevare che nell'interpretare in questo 
senso l'art. 18, la Corte ha fatto ricorso, come gi� 
in una delle prime sentenze (la n. 4 del 1956, relativa 
all'istituto del � maso chiuso � proprio della 
provincia di Bolzano), al criterio storico, affermando 
che il precetto dell'art. 18 deve essere interpretato 
�nel contesto storico che lo ha visto nascere, 
e che porta a considerare quella libert� non 
soltanto sotto l'aspetto che � stato definito positivo, 
ma anche sotto l'altro, negativo, che si risolve 
nella libert� di non associarsi � (sent. n. 69 del 1962). 

* * * 

Numerose sono le sentenze della Corte sulla 
libert� di manifestazione del pensiero di cui allo 
art. 21. Ne richiamo solo alcune: 

la prima (la n. 1 del 1956), nella quale si respinge 
la tesi che la Costituzione importi una 
distinzione tra � manifestazione ii e � divulgazione � 
del pensiero, e si afferma il principio per cui la stampa 
non pu� essere assoggettata ad autorizzazione, 
escludendo tuttavia che � con la enunciazione del diritto 
di libera manifestazione del pensiero la Costituzione 
abbia consentito attivit� le quali turbino la 
tranquillit� pubblica, ovvero abbia sottratta alla 
polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei 
reati; 

le sentenze nn. 31 e 115 del 1957, nelle quali, 
in base ai principi gi� enunciati nella suddetta 
sentenza, si afferma che deve distinguersi in materia 
di stampa tra <e autorizzazione � non ammessa e 
semplice <e registrazione i> che � invece ammissibile; 

la sentenza n. 33 del 1957, che tale distinzione 
applica nei confronti dell'art. 121 del testo unico 
leggi di P. S., relativo ai vari mestieri girovaghi, 
tra cui quello di venditore e di~tributore di scritti, 
disegni o stampati; 

la sentenza n. 121 del 1957 in materia di spettacoli 
teatrali e cinematografici, dove si precisa 
la distinzione tra il controllo sul contenuto delle 
opere da rappresentare, che non � ammesso, e quello 
che pu� chiamarsi � polizia dello spettacolo i> che � 
ammesso; 

la sentenza n. 44 del 1960, nella quale si esclude 
che sotto il termine cc censura i> (vietata per la 
stampa dall'art. 21) possa comprendersi il controllo 
che il direttore del giornale � tenuto a compiere 
sotto la sua responsabilit� su quanto nel 
giornale stesso si pubblica; 

la sentenza n. 38 del 1961 nella quale si precisa 
che per <e stampa ii deve intendersi, ai sensi dello 
art. 21, la manifestazione del pensiero a mezzo 
della stampa e su stampati, e non anche .Pattivit� 
materiale che ne permette la riproduzione. 

.Alle sentenze riguardanti la libera manifesta


, zione del pensiero possono ricollegarsi quelle sulla 
h'bert� di insegnamento e sulla scuola in genere, di 
cui agli artt. 33 e 34. 

** * 

Degne di particolare rilievo, anche per le immediate 
ripercussioni di ordine economico, sono le 
numerose decisioni riguardanti il principio, che 
storicamente diede luogo all'avvento della rappresentanza 
politica e che � ora enunciato nell'art. 23, 
per cui nessuna prestazione personale o patrimoniale 
pu� essere imposta se non in base alla legge. 

La Corte ha precisato anzitutto che il !termine 
cc prestazione patrimoniale� assume un'ampia significazione 
� comprensiva di ogni prestazione imposta 
senza che la volont� dell'obbligato vi abbia concorso, 
e quale che ne sia la denominazione (corrispettivo, 
sconto obbligatorio, ecc.) (sentenze nn. 4t 
30, 47, 122 del 1957, ecc.); col che si � riconosciuta 
la maggiore ampiezza della garanzia posta dallo 
art. 23. 

Per altro, il principio della riserva legislativa 
affermato in questo articolo non va inteso nel senso 
che la istituzione del tributo debba avvenire �per 
legge�, �cio� che tutti i presupposti e gli elementi 
della prestazione ricavino dalla legge la loro determinazione
�, ma va inteso nel senso che avvenga, 
cc in base alla legge �, di talch� � consentito cc che sia 
rinviata a provvedimenti amministrativi la determinazione 
degli elementi o presupposti della prestazione 
n. Resta per� ben fermo, anche in questi 
casi, il principio generale che il legislatore deve, al 
fine della effettiva garanzia della libert� e propriet� 
individuale, fissare i criteri idonei a limitare 
la discrezionalit� delle autorit�, s� da evitare ogni 
eventuale loro arbitrio nella determinazione della 
prestazione (si vedano, per tutte, la sent. n. 47 
del 1957 e la n. 48 del 1961). 

* * * 

Circa il diritto di agire e di difendersi in giudizio~ 
di cui all'art. 24, la Corte ha affermato che tale� 
diritto, che � riconosciuto per tutti, non pu� essere 
negato, n� il suo esercizio pu� avere limitazioni 
per i cittadini meno abbienti. Ed in conseguenza 
ha dichiarato illegittimo l'antico principio del 
solve et repete (sent. n. 21 del 1961). 

La Corte ha poi affermato che il diritto di difesa 
spetta al cittadino non solo per i procedimenti 
giudiziari, ma anche per quelli amministrativi e,. 
che requisito imprescindibile di tale ..diritto �, 
tra gli altri, il �contraddittorio� (sentenze n.-2 -del 
1956 e n. 59 del 1959). 

Circa le norme degli artt. 25 e 27 riguardanti 
l'ordinamento giuridico penale, hanno trovato in_ 
varie sentenze naturale precisazione i princip� 


-113 

fondamentali del giudice naturale precostituito per 
legge, della legalit� della pena, e della tassativit� 
in genere della legge penale, della personalit�, 
della responsabilit� penale, dell'irretroattivit� 
della legge; principio quest'ultimo che, secondo la 
Corte, la Costituzione ha accolto soltanto per le 
leggi penali (sentenze n. 118 del 1957, n. 29 del 
1958, n. 27 del 1961, nn. 15, 29, 88 del 1962). 

Circa il principio della responsabilit� civile dello 
Stato, di cui all'art. 28, va richiamata la sentenza 

n. 1 del 1962, nella quale la Corte ha ritenuto che 
tale responsabilit� dello Stato sussiste anche verso 
i suoi dipendenti; osservando che, � per quanto 
ampia possa essere, in ipotesi, la sfera nella quale 
il legislatore pu� regolare i rapporti tra lo Stato e 
i suoi dipendenti anche agli effetti della responsabilit� 
verso di essi, non � lecito disconoscere che 
nrebbe in contrasto con il precetto fondamentale 
contenuto nell'art. 28 della Costituzione una legge 
che adottasse una disciplina tale da escludere 
in tutto, pi� o meno manifestamente, la responsabilit�
�. 
* * * 

Rispetto alla materia del lavoro e della tutela 
dei lavoratori specialmente contemplata negli 
artt. 35, 36, 37 e 38 della Costituzione, la Corte 
si � sempre orientata nelle sue decisioni ai principi 
fondamentali dell'art. 1, che pone il lavoro a fondamento 
della Repubbli�a democratica, dell'art. 3, 
che dichiara essere compito della Repubblica 
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, 
che limitano di fatto la libert� e l'eguaglianza dei 
cittadini, e dell'art. 4 che, dopo aver affermato il 
diritto ed il dovere del lavoro, proclama che la 
Repubblica �promuove le condizioni che rendano 
effettivo questo diritto �. 

Al lume di questi principi genemli sono state 
interpretate le disposizioni specifiche dei suaccennati 
artt. 35-38 per la soluzione delle questioni 
concernenti le condizioni e la tutela del lavoro, la 
retribuzione ed il minimo di trattamento economico 
dei lavoratori, la loro formazione professionale, le 
garanzie per la donna lavoratrice, l'occupazione 
dei mutilati ed invalidi di guerra e del lavoro, il 
riposo settimanale, le ferie annuali retribuite, l'assistenza 
e previdenza sociale, ecc. (sentenze nn. 52, 
del 1957; 7, 30, 32, 66, 78 del 1958; 30, 38, 70 del 
1960; 55 del 1961; 41, 76 del 1962). 

* * * 

Particolarmente delicata si � presentata la soluzione 
delle controversie riguardanti la effettiva 
portata degli artt. 39 e 40; e ci� principalmente 
a causa della non ancora avvenuta emanazione 
delle leggi sull'esercizio dei diritti contemplati in 
questi articoli. 

Quanto all'art. 39, che attribuisce ai sindacati 
liberamente costituiti e registrati, la potest� di 
stipulare contratti collettivi di lavoro aventi efficacia 
obbligatoria per tutti gli appartenenti alla 
categoria cui il contratto si riferisce, la Corte ha 
affermato, in una recente sentenza (n. 106 del 
1962), che �una legge la quale cercasse di conse


guire questo medesimo risultato in maniera diversa 
da quella stabilita dal � precetto costituzionale, 
sarebbe palesemente illegittimaJ>~ 

Considerando tuttavia che non � stata ancora 
emanata la legge necessaria per i�egolare le forme 
ed il procedimento previsti dall'art. 39, la Corte 
ha ritenuto che la legge impugnata del 14 luglio 
1959, n. 7 41, contenente delega al Governo di 
emanare norme giuridiche con l'obbligo di uniformarsi 
alle clausole dei contratti collettivi stipulati 
dalle associazioni sindacali prima dell'entrata in 
vigore della legge stessa, potesse considerarsi di 
natura �transitoria, provvisoria ed eccezionale �, 
e come tale non diretta ad attuare il sistema previsto 
dall'art. 39 della Costituzione, e perci� con 
esso non contrastante. 

D'altra parte, secondo questo stesso criterio, la 
Corte ha ritenuto viziata da illegittimit� costituzionale 
la legge successiva 1� ottobre 1960, n. 1027, 
per la ragione che essa legge conteneva una reiterazione 
della delega disposta con la suddetta legge 

n. 741 del 1959, e che pertanto, a differenza di 
questa, non le si potevano riconoscere i suaccennati 
caratteri di transitoriet� ed eccezionalit�. 
* * ::~ 

Pronunciandosi sul disposto dell'art. 40, per cui 
<<il diritto di sciopero � esercitato nell'ambito delle 
leggi che lo regolano �, la Corte ha affermato, nella 
recente sentenza n. 123 del 1962, che lo sciopero � 
legittimo allorch� � rivolto a conseguire fini di 
carattere economico; ha tuttavia chiarito che la 
tutela concessa ai rapporti economici non rimane 
circoscritta alle sole rivendicazioni di indole salariale, 
ma che si estende a tutte quelle riguardanti 
il complesso degli interessi dei lavoratori. 

Il diritto di sciopero non pu� essere disconosciuto 
nei confronti dei dipendenti di imprese di gestione 
di servizi pubblici (come quelli svolti dai dipendenti 
di una azienda tramviaria automobilistica municipale) 
che non sono attinenti alla soddisfazione 
di esigenze assolutamente essenziali alla vita della 
collettivit� nazionale. 

Nell'individuare, in mancanza della suddetta 
regolamentazione legislativa prevista dall'art. 40, 
i limiti in cui l'esercizio del diritto di sciopero pu� 
ritenersi consentito, la Corte ha ritenuto che si 
possono fare valere solo quelle limitazioni che si 
desumono in modo necessario o dal concetto 
stesso dello sciopero oppure dalla necessit� di contemperare 
le esigenze dell'autotutela di categoria 
con �e altre discendenti da interessi generali, i quali 
trovano ugualmente diretta protezione in altri 
principi consacrati nella Costituzione. 

� pertanto da considerarsi legittimo lo sciopero 
di solidariet� allorch� la sospensione del lavoro 
venga effettuata in appoggio a rivendicazioni di 
carattere economico cui si rivolga uno sciop�ro gi� 
in via di svolgimento ad opera di lavoratori appar-tenenti 
alla stessa categoria dei primi scioperanti, 
e sia accertata l'affinit� delle esigenze che motivano 
l'agitazione degli uni e degli altri; ma non pu� 
invece comprendersi nell'ambito del diritto riconosciuto 
dall'art. 40 lo sciopero di carattere politico. 



-114 

Ribadendo i principi generali enunciati in questa 
sentenza n. 123, la Corte ha precisato nella successiva 
sentenza (n. 124 del 1962) sullo sciopero 
dei marittimi, che il diritto di sciopero, in via di 
massima ad essi non disconoscibile, incontra un 
limite invalicabile segnato dalla necessit� di evitare 
il pericolo di danni a beni e sopratutto a persone, 
ed ha aggiunto che un pericolo di tal genere 
� inerente << ad ogni sospensione o irregolarit� 
della prestazione del lavoro da parte dell'equipaggio 
di una nave, dopo l'inizio del viaggio e durante 
l'intero periodo della navigazione, fino al compimento 
del medesimo n. 

* * * 

Riguardo agli artt. 41 e 42, che riconoscono 
diritti economici (iniziativa economica e propriet� 
privata), sottoponendoli nel contempo, per fini 
di utilit� sociale, a vincoli e limiti da stabilirsi con 
legge, ed in riguardo all'art. 43, in base al quale 
ugualmente ai fini di utilit� generale, la legge pu� 
riservare originariamente o trasferire allo Stato o 
ad enti pubblici o a comunit� di lavoratori o di 
utenti determinate imprese che si riferiscano a 
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a 
situazioni di monopolio, la Corte ha precisato, in 
numerose sentenze, la portata delle norme di tali 
articoli, considerandole nel loro sistema unitario, 
in un quadro di insieme. 

Molte di queste sentenze meriterebbero di essere 
richiamate; ma, non essendomi qui possibile farlo, 
ne indicher� solo qualcuna particolarmente interessante 
in ordine alla disciplina dell'esercizio dei 
poteri in materia attribuito al legislatore. 

Mi riferisco principalmente alla precisazione di 
quel principio della riserva di legge, che, come ho 
gi� detto, � elemento essenziale della garanzia 
della libert� in generale, e che i suddetti artt. 41, 
42 e 43 riaffermano in ordine ai vari casi in essi 
contemplati. 

La Corte ha precisato che per l'adempimento 
del detto principio non basta che la legge determini 
i fini di interesse sociale da raggiungere, ma che 
occorre altres� che essa contenga la specificazione 
di tali fini, la precisazione dei criteri da seguire per 
il raggiungimento dei fini stessi, l'indicazione dei 
mezzi e la determinazione degli organi preposti 
alla loro attuazione (vedi, tra le tante, la sentenza 

n. 35 del 1961). 
� opportuno ricordare che tra i fini di utilit� 
sociale che giustificano i limitf costituzionali alla 
libert� di iniziativa economica, la Corte ha compreso 
l'esigenza dell'assunzione obbligatoria nelle 
imprese private di mutilati e invalidi di guerra 
e del lavoro (sent. n. 38 del 1960). 

* * * 

Per i riflessi sulla estensione della libert� di 
iniziativa economica privata, sembra degna di 
particolare menzione la sentenza n. 129 del 12 
dicembre 1957, con la quale la Corte ha affermato 
che: << tra i fini sociali in funzione dei quali la 
Costituzione consente di porre con legge ordinaria 

limiti alla libera iniziativa economica ed alla propriet� 
privata, preminente � assicurare l'adempimento 
dell'obbligo tributario e la progressivit� 
delle imposte, principi consacrarti nell'-a,rt, 53 della 
Costituzione, alla cui attuazione non � dubbio 
che la nominativit� dei titoli azionari possa essere 

,diretta n. 

* * * 

La Corte si � altres� occupata dei concetti di 

espropriazione e di indennizzo, non accogliendo la 

tesi che l'indennizzo debba necessariamente com


misurarsi al valore venale, ma contemporanea


mente affermando che, in ogni caso, <<l'esigenza �i 

un indennizzo non pu� ritenersi soddisfatta con 

disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo 

apparente o puramente simbolico � (sentenze nn. 61 

e 118 del 1957; 46 e 47 del 1959; 5 del 1960). 

Per la precisazione dei caratteri dei fini di utilit� 

generale e delle situazioni di monopolio di cui 

all'art. 43, va particolarmente citata, anche per la 

risonanza che ha avuto, la sentenza n. 59 del 1960 

sui servizi della radiotelevisione. 

.Alla norma dell'art. 44 si riconnettono numerose 

sentenze emanate dalla Corte in materia di riforma 

fondiaria. 

* * * 

Riguardo ai rapporti politici di cui al titolo 4 
della parte prima, la Corte si � pronunziata, tra 
l'altro, sul principio dell'eguaglianza del voto, sui 
requisiti stabiliti dalla legge per l'accesso dei cittadini 
alle .carriere pubbliche, sul diritto dei cittadini 
chiamati a funzioni pubbliche elettive a 
conservare il loro posto di lavoro, ecc. (sentenze 


n. 56 del 1958; n. 6 del 1960 e n. 43 del 1961). 
* * * 

Particolare rilievo meritano alcune sentenze che 

in vario modo si riferiscono all'esercizio della fun


zione legislativa. 

Richiamo la sentenza n. 9 del 1959, nella quale 

la Corte ha affermato che � costituzionalmente 

sindacabile il procedimento di formazione delle 

leggi anche rispetto alla cosiddetta procedura 

decentrata prevista dall'art. 72, terzo comma. Non 

sembra dubbio che <<se la procedura cos� detta 

decentrata fosse applicata per l'approvazione di 

un disegno di legge rientrante tra quelli elencati 

nell'ultimo comma dell'art. 72, si avi�ebbe un vizio 

del procedimento di formazione della legge costitu


zionalmente rilevante, perch� consistente in una 

violazione della stessa Costituzione ii. 

D'altra parte la Corte ha escluso �che l'art. 72, 

deferendo al regolamento della Camera di stabi)ire 

in quali casi e forme un disegno di legge pu� essere 

assegnato a Commissioni in sede legislativa, abbia 

posto una norma in bianco con la consegu�nza c!J.e _ 

le disposizioni inserite a tale riguardo da una 

Camera nel suo regolamento assumano il valore 

di norme costituzionali �. Ed in . conseguenza ha 

ritenuto, che per ci� che riguarda l'interpretazione 

dell'art. 40 del regolamento della Camera, che 


-115 

cisclude la procedura decentrata per l'approvazione 
dei progetti in materia tributaria, debba considerarsi 
decisivo l'apprezzamento della Camera stessa, 
e che non possa perci� farsi luogo al sindacato di 
legittimit� costituzionale. 

Nella stessa sentenza la Corte ha affermato la 
sindacabilit� del procedimento di formazione della 
legge anche in riguardo all'osservanza dell'art. 70, 
per cui, essendo il potere legislativo esercitato dalle 
due Camere collettivamente, occorre che il testo 
approvato dall'una concordi con quello approvato 
dall'altra, ed ha altes� precisato il senso dei termini 
�votazione finale � e � approvazione definitiva 
ii adoperati nel primo e nel terzo comma 
dell'art. 72. 

La successiva sentenza n. 39 del 1959 contiene, 
a sua volta, una notevole precisazione circa il 
significato dell'espressione (( tempo limitato ii, la 
cui determinazione da parte delle Camere e la cui 
osservanza da parte del Governo costituiscono una 
condizione prescritta dall'art. 76 per la legittimit� 
dell'esercizio del potere legislativo delegato da 
parte del Governo. 

La Corte, dopo avere rilevato che ((funzione 
legislativa ii � quella che, secondo l'art. 70 della 
Costituzione, � esercitata collettivamente dalle due 
Camere, ha affermato che (( il tempo limitato ii da 
prestabilirsi nella legge di delegazione, (( concerne 
precisamente l'esercizio. di tale funzione, e non comprende 
invece adempimenti successivi a quell'esercizio, 
che si � esaurito con l'emanazione del provvedimento 
legislativo, posto che gli adempimenti 
stessi competono ad altri organi di natura amministrativa
�. ((D'altra parte (ha aggiunto) la pubblicazione 
nei fogli ufficiali, diretta a rendere note 
legalmente le disposizioni legislative, � condizione 
di efficacia, non requisito di validit� della legge, 
che esiste validamente anche prima della sua pubblicazione
�. 

Naturalmente, s'intende, da ci� non pu� dedursi 
che i competenti organi dell'Esecutivo possano 
dilazionare quegli adempimenti successivi all'emanazione 
del provvedimento legislativo che sono 
necessari per la sua entrata in vigore. 

* * * 

La Corte si � occupata altres� del problema della 
legittimit� costituzionale dell'interpretazione autentica 
della legge. Pur in mancanza di una disposizione 
espressa nella vigente ' Costituzione, ha 
ritenuto che questa non esclude la possibilit� di 
legge interpretativa. E riferendosi al problema della 
interferenza delle leggi interpretative nella sfera 
del potere giudiziario, ha affermato che <( il fatto 
della emanazione di una legge interpretativa non 
rappresenta, di per s� solo, una interferenza nella 
sfera del potere giudiziario �, aggiungendo per� 
che, ((comunque, � certo che non pu� essere considerata 
lesiva della sfera del potere giudiziario 
una legge interpretativa che rispetti i giudicati e 
non appaia mossa dall'intento di interferire nei 
giudizi in corso n (sentenze nn. 118 del 1957 e 9 
del 1959). 

* * * 

Per il contributo alla determinazione del concetto 
di libert� ed indipendem~a del giudice, degna 
di menzione � la sentenza n. 8 del 20 febbraio 1962, 
con la quale la Corte ha stabilito che gli artt. 101, 
102, 104 e 111 della Costituzione garantiscono la 
libert� e l'indipendenza del giudice nel senso di 
vincolare la sua attivit� alla legge e solo alla legge, 
in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza 
interferenze ed interventi al di fuori di essa, che 
possano influire sulla formazione del suo libero convincimento; 
ma, d'altra parte, non escludono la 
possibilit� che il legislatore emani norme le quali, 
senza incidere su tale principio, tendano a regolare 
l'attivit� degli organi giurisdizionali dettando 
disposizioni vincolanti per il giudice. 

* ~:: * 

Uno dei problemi principali che la Corte ha dovuto 
affrontare in riguardo all'ordinamento giurisdizionale 
� stato quello della sopravvivenza delle 
giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione. 

La Corte ha ritenuto che dal principio dell'unit� 
della giurisdizione, affermato dall'art. 102, sarebbe, 
indubbiamente derivata la cessazione del funzionamento 
di tali giurisdizioni se altrimenti non fosse 
stato disposto, e che perci� non alla automatica 
soppressione di esse doveva addivenirsi, sibbene 
alla ((loro revisione n ad opera del legislatore ordinario. 
Questa volont� del Costituente di procedere 
gradualmente a tale revisione risulta indirettamente 
dai successivi artt. 103 e 111, nei quali si fa 
riferimento a giurisdizioni speciali diverse dal 
Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, e ancora 
pi� espressamente dalla VI disposizione transitoria. 
Circa quest'ultima norma, che stabilisce il 
termine di cinque anni dall'entrata in vigore della 
Costituzione per tale opera di revisione, la Corte 
ha ritenuto che questo termine non ha carattere 
perentorio. Ha, d'altra parte, precisato che anche 
presso gli organi di tali giurisdizioni devono essere 
garantiti sia il diritto di difesa, sia l'idoneit�, l'indipendenza 
e l'imparzialit� del giudicante, osservando 
che tale garanzia, prima ancora di essere 
scritta in disposizioni particolari della Costituzione, 
come l'art. 108, riposano nel complesso delle 
norme costituzionali relative alla magistratura e 
al diritto di difesa (sentenze nn. 12 e 41 del 1957 
e �92 del 1962). 

Quanto alle sezioni specializzate che possono 
venire istituite presso gli organi giudiziari ordinari 
in base all'art. 102, secondo comma, la Corte ha 
ritenuto che l'istituto delle sezioni specializzate va 
configurato non come un tertium genns fra le giurisdizioni 
speciali e la giurisdizione ordinaria, bens� 
come species di questo ultimo. E mentre ha escluso 
che sia motivo di illegittimit� costituzionale la 
prevalenza numerica nella composizione di -talune 
di queste sezioni degli (( esperti ii rispetto ai giudici 
togati, ha tuttavia ribadito che anche questi 
esperti debbono avere quei requisiti di idoneit� ed 
indipendenza ed imparzialit� che,� siccome si � 
detto, sono necessari per tutti i giudici in genere 
(sent. n. 108 del 1962). 


-116 

I1a Corte si � anche occupata delle disposizioni 
della Costituzione riguardanti i Tribunali militari 
(sentenze nn. 119 del 1957 e 29 del 1958). 

Con riferimento all'art. 112, la sentenza n. 22 
del 1959 ha affermato il principio dell'obbligo dell'esercizio 
dell'azione penale da parte del Pubblico 
Ministero, escludendo che tale esercizio possa 
essere rimesso ad una valutazione discrezionale. 
Il quale principio dell'obbligatoriet� non impedisce, 
peraltro, che la legge stabilisca in via generale 
determinate condizioni perch� l'azione penale possa 
essere promossa e proseguita. 

* * * 

Largamente impegnata � stata l'attivit� della 
Corte nel campo dell'ordinamento regionale. 

Nel risolvere,le questioni sottoposte al suo esame 
dallo Stato e dalle singole Regioni finora costituite, 
Jiia in sede di sindacato di legittimit� costituzionale 
delle leggi statali o regionali, sia in sede di decisione 
di conflitti di attribuzione per atti amministrativi 
ch� lo Stato o le Regioni assumevano rientrare nella. 
sfera della propria competenza, la Corte ha sempre 
sentita ed affermata la necessit� di coordinare ed 
armonizzare i due principi fondamentali dell'unit� 
ed indivisibilit� dello Stato, da �un lato, e dell'autonomia 
regionale, dall'altro, che sono stati contemporaneamente 
posti a base del nuovo ordinamento 
politico-territoriale dal disposto generale dell'art. 
5 della Costituzione e dalle disposizioni specifiche 
contenute nel titolo 50 della seconda parte di 
essa, e negli statuti speciali delle Regioni: Sicilia, 
Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige. 

A titolo pmamente esemplificativo, richiamer� 
talune sentenze nelle quali trovano particolari riconoscimenti, 
a seconda della singolarit� dei casi, 
l'una o l'altra e3igenza. 

In riguardo alla prima esigenza va anzitutto 
notato che la Corte ha fin dalle prime sentenze 
affermato, ed in seguito costantemente ribadito, 
che le Regioni, anche a statuto speciale, sono 
tenute al rispetto di quei principi espressamente 
enunciati dalla Costituzione od anche impliciti 
necessariamente discendenti dal principio generalissimo 
della unit� ed indivisibilit� della Repubblica, 
che l'art. 5 pone come una delle basi fondamentali 
del nostro Stato e che perci� costituisce 
un limite insuperabile per le autonomie regionali. 

A questa prima esigenza possono ricondursi, per 
esempio, le pronuncie della Corte nelle quali si 
afferma: 

l'unit� della giurisdizione costituzionale (sentenza 
n. 38 del 1957); 

l'applicazione alle Regioni delle norme contenute 
negli artt. 51, 81, 97, 120, ecc. della Costituzione 
(sentenze nn. 6 del 1956; 105 del 1957; 13, 
49 del 1961); 

l'esclusione di una competenza regionale in 
materia penale (sent. n. 6 del 1956) e nelle materie 
regolate dal diritto privato ed in particolare 
dal codice civile, salvo eccezioni nei rapporti intersubiettivi 
privati giustificate da situazioni ambientali 
particolari nelle singole Regioni, circoscritte 
nel tempo (sent. n. 109 del 1957); 

l'incompetenza delle Regioni a leg'iferare su 
materie che non siano loro attribuite da esplicita 
�disposizione costituzionale (sent. nn. 124 del 1957 
e 66 del 1961); l'impossibilit� che si applichino in 
via analogica istituti che non siano per esse previsti 
nella Costituzione e negli statuti regionali, quali la 
decretazione di urgenza e la delegazione legislativa 
(sentenze nn. 50 del 1959 e 32 del 1961); 

la necessit� che il puro e semplice rinvio alla 
�legge � fatto dalla Costituzione venga riferito 
unicamente alla legge dello Stato (sent. n. 4 del 
1956). 

Quanto invece all'altra esigenza della garanzia 
costituzionale delle autonomie regionali, indico, 
sempre a titolo puramente esemplificativo, alcune 
sentenze nelle quali si afferma: 

che deve escludersi la facolt� del Governo 
dello Stato di annullare di propria autorit� gli 
atti amministrativi del Governo regionale, in base 
al potere generale di annullamento di atti illegittimi 
che trova il suo fondamento nella legge comunale 
e provinciale; e ci� per la ragione che, essendo 
proponibile rispetto agli atti regionali che invadono 
la competenza dello Stato il conflitto di attribuzione, 
� esperibile da parte del Governo dello Stato 
questo rimedio e non anche quello dell'annullamento 
d'nfficio (sent. n. 38 del 1959); 

che non � consentito l'assoggettamento della 
Regione ad ordini o direttive dell'Amministrazione 
statale in materie rientranti nella competenza 
amministrativa della Regione, perch� ci� costituisce 
violazione non solo della competenza di essa, 
ma degli stessi principi fondamentali dell'autono.
mia (sent. n. 15 del 1957); 

che violano il principio dell'autonomia regionale 
le norme delle leggi statali che pongano alla 
Regione l'obbligo di cc provvedere d'intesa� con lo 
Stato nell'esercizio di funzioni amministrative 
demandate alla competenza della sola Regione, 
nonch� quelle norme che prevedono l'impugnativa. 
in via amministrativa delle pronunce degli organi 
di controllo, sugli atti degli enti locali costituiti 
dalle Regioni (sentenze nn. 22 del 1956 e 73 del 
1961). 

Accanto ai due suindicati gruppi di pronunce, 
potrebbe configmarsene un terzo, nel quale la 
competenza dello Stato e quella della Regione in 
determinate materie sono considerate coesistenti. 

Cos�, ad esempio, la sentenza n. 43 del 1958, che 
dichiara spettare alla Regione siciliana la competenza 
a determinare le tariffe nei trasporti in concessione 
regionali in Sicilia, nonch� ad autorizzare 
mutamenti successivi di esse, e che nel contempo 
afferma competere agli organi dello Stato il potere 
di coordinamento generale dei prezzi; 

la sentenza n. 40 del 1961, nella quale si afferma 
che il diritto allo scioglimento dei consigli dei 
comuni e degli enti locali spetta alla Regione siciliana, 
quando la causa del provvedimento sia la 
persistente violazione della legge, e cli.e -spetta 
invece allo Stato quando la causa risieda nell� tutela 
dell'ordine pubblic), ecc., 

Degno di menzione � il principio enunciato dalla 
Corte che la legge dello Stato � operativa in tutto 
il territorio della Repubblica anche per le materie 


-117 

di competenza esclusiva o primaria delle Regioni, 

* * * 

ma che non ha efficacia o cessa di averla qualora 
nelle dette materie sia prima intervenuta o interPer 
valutare appieno l'efficienza del lavoro della 
venga dopo la legge regionale valida (sent. n. 7 Corte � bene tenere anche presente come fa1e lavoro 
del 1958). viene svolto. 

Credo opportuno sottolineare inoltre che la Corte, Le grandi questioni, che nella giurisprudenza 
nell'affermare che l'effettivo trasferimento alle -della Corte trovano soluzione, sono dibattute non 

Regioni di f"ilnzioni statali � condizionato dall'emanazione 
di norme di attuazione da parte dello Stato, 
ha posto in luce l'esigenza che si provveda a completare 
la serie delle << norme di attuazione � degli 
statuti regionali in modo da consentire alle Regioni 
di esercitare in concreto la potest� di cui sono titolari 
nel quadro del sistema della unit� politica 
dello Stato. 

* * * 

Per quanto attiene alla materia di cui alla sez. 1a. 
del titolo sesto riguardante la Corte costituzionale, 
� da segnalare, oltre la suindicata sentenza n. 38 
d�l 1957, con la quale la Corte afferm� l'unit� della 
giurisdizione costituzionale, la sentenza n. 13 del 
1960, con la quale, dopo avere precisato la materia 
e la portata della sua funzione di controllo costi-. 
tuzionale, ha messo in rilievo: � � pertanto da 
respingere l'opinione che la Corte possa essere inclusa 
fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali 
che siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze 
tra il compito affidato alla prima, senza precedenti 
nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti 
e storicamente consolidati degli organi giurisdizionali 
n. 

* * * 

Hanno formato oggetto del giudizio della Corte 
anche diverse disposizioni transitorie e finali, come 
la VI, l'VIII, la IX, la XII, la XV (sentenze nn. 1, 
32, 41, 119 del 1957; 40, 45, 58, 74 del 1958; 11, 
30 del 1959; 41 del 1960; 22, 42, 49 del 1961; 14, 
65, 83, 87 del 1962). 

* * * 

Un cenno giova infine fare alla particolarit� di 
taluni dispositivi delle decisioni della Corte. 

.Allo scopo di meglio adeguare le pronunce ai 
casi concreti la Corte ha adottato talvolta varie 
formule o tipi di dispositivo. 

Cos�, ad esempio, quando per la dichiarazione di 
illegittimit� della disposizione impugnata ha adottato 
la formula �in parte � o � per la parte in 
cui�, e sopratutto quando ha 'adoperato l'altra 
formula � illegittima in quanto �, ed ancora pi� 
quando ha fatto riferimento alla motivazione con 
la formula � ai sensi e nei limiti della motivazione �. 

.Altra volta invece, come in una delle primissime 
sentenze (la n. 3 del 1956), nel dichiarare non fondata 
la questione di legittimit� sollevata contro 
una norma (quella contenuta nell'art. 57, n. 1, 
del Codice penale), la Corte, rendendosi interprete 
della necessit� di un intervento chiarificatore del 
legislatore, ha nello stesso dispositivo aggiunto: 
�salva la revisione del testo dell'art. 57, n. 1, 
Codice penale, al fine di renderlo anche formalmente 
pi� adeguato alla norma costituzionale �. 

nell'atmosfera accesa dei conflitti politici, ma nell'aria 
serena propria di una Corte di giustizia, dopo 
ampi approfonditi dibattiti condotti da eminenti 
avvocati, sia dell'.A.vvocatUl'a dello Stato che del 
libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto contributo, 
e dopo approfondite discussioni dei Giudici 
nella Camera di consiglio. 

.A. quest'ultimo riguardo va notato che tali di


scussioni non si limitano alla sola decisione della 

controversia, ma si estendono alla motivazione ed 

alla elaborazione dell'intero testo della sentenza, 

cosicch� ne risulta di molto pi� oneroso illavoro dei 

Giudici, con indubbio vantaggio per� per la pon


deratezza delle decisioni. 

Per precisare ancora il modo con cui i Giudici 
svolgono il proprio lavoro, giova aggiungere che, 
a differenza del metodo comune alla decisione dei 
giudizi da parte delle autorit� giurisdizionali, 
secondo il quale � sempre indicato il nome dell'estensore, 
la Corte costituzionale ha adottato, con 
le Norme integrative da essa stessa dettate, un 
sistema per cui il nome dell'estensore non deve 
essere indicato. 

In tal modo il contenuto delle sentenze risulta. 
il prodotto di una attivit� ispirata all'applicazione 
integrale del principio della collegialit�, con la. 
conseguenza che la personalit� dell'estensore viene 
assorbita e si trasfonde in quella unita1ia del Collegio. 


Ho creduto doveroso fare questi accenni perch� 
possano anch'essi servire al futuro storico della. 
Oorte. 

III -La necessit� della Corte per la vita 

ed il progresso dell'ordinamento costituzionale 

Da questa, sia pur sommaria e necessariamente 

incompleta esposizione dell'attivit� della Corte 

costituzionale, mi pare risulti chiaramente che, 

attraverso le sue pronunce, si � venuta formando 

una somma di giurisprudenza costituzionale di 

indubbia vasta portata. 

L'evidente importanza di questa giurisprudenza 

trova conferma tra l'altro, nel fatto che in molte 

ordinanze, con le quali i giudici di merito propon


gono alla Corte questioni di legittimit� costitu


zionale, si fa riferimento, oltre che alle disposi


zioni della Costituzione, anche alle sentenze della. 

Corte, e trova altres� conferma nell'interesse teo


rico e pratico con cui le sue decisioni sono�attese e 
. quindi esaminate sia dai giuristi che dal grande' -
�pubblico. 

� opportuno, a questo punto, rilevare che, nel 

suo compito di suprema interprete e garante della 

Costituzione, la Corte costituzionale continua bens�, 

in un certo senso, attraverso l'interpretazione, 



-118


l'opera del Costituente, ma che non diventa per 
ci� un organo superlegislativo, giacch� anche 
quando prospetta, come ha fatto in parecchie 
pronunce a cominciare da quella n. 3 del 1956 
poc'anzi citata, l'esigenza obbiettiva di un intervento 
del legislatore, non ne tocca la sfera di sua 
esclusiva competenza, siccome � stato riaffermato 
nella sentenza n. 64 del 1961 ed in quella pi� 
recente n. 30 del 1962. 

Con le sue sentenze la Corte costituzionale ha 
apportato ed apporta un contributo essenziale alla 
chiarificazione e talora anche all'integrazione stessa 
dell'ordinamento costituzionale, ma sempre attraverso 
l'interpretazione della Carta fondamentale. 

* * * 

Guardando, nel complesso, l'attivit� svolta dalla 
Corte in questi primi sette anni formativi della 
sua vita, che rappresentano, siccome ho detto, un 
ciclo di importanza storica nell'attuarsi della Costituzione, 
pu� adunque ben dirsi, senza tema di 
esagerare, che ormai lordinamento costituzionale 
italiano vigente non pu� essere integralmente conosciuto 
ed inteso senza la conoscenza della giurisprudenza 
della Corte costituzionale. 

� quindi evidente che la vita ed il regolare funzionamento 
dell'ordinamento costituzionale non 
possono scompagnarsi dalla vita e dalla efficienza 
della Corte costituzionale per la garanzia di quei 
principi di rispetto della persona umana, di libert�, 
di democrazia e di giustizia, che stanno a base della 
Costituzione, e la cui integrale attuazione � indispensabile 
per l'ordinato vivere dei cittadini ed il 
pacifico progresso civile e sociale della Nazione. 

* * * 

Ohi non ha avuto la possibilit� di essere presente 
alla pubblica udienza del 22 gennaio scorso nella 
quale l'illustre Presidente della Corte, on. prof. Gaspare 
Ambrosini, alla presenza del Capo dello Stato, 
ebbe a pronunciare un discorso di estremo interesse 
sull'attivit� di quel supremo consesso nei primi sette 
anni del suo funzionamento, sar� certamente lieto di 
poter leggere il discorso stesso riportato nel nostro 
periodico. 

Discorso di estremo interesse sopratutto per la 
sintesi mirabile con la quale l'oratore � riuscito a 
delineare, in una visione chiarissima, non solo la 
genesi e le �diverse competenze della Corte, ma anche 
l'ampiezza del lavoro fin qui compiuto attraverso un 

riassunto, sia pure per rapidi cenni, di tutta la giurisprudenza 
della Corte. Arduo compito, invero, che 
solo chi come il Presidente Ambrosini ha partecipato, 
fin dall'inizio, quotidianamente, al lavoro dti/,la Corte 
portandovi il contributo di una somma dottrina e di 
una profonda esperienza nel campo giuridico ed in 
quello sociale e politico, ha potuto affrontare ed assolvere 
con pieno successo. 

Molto felicemente l'oratore ha voluto ricordare 
le parole pronunziate il 23 aprile 1956 dal Presidente 
della Corte De Nicola nel discorso inaugurale: 
�Noi abbiamo questo dono necessario per l'adempimento 
dei nostri compiti: la fede, accompagnata da 
una infrangile fermezza, che non ha nulla da vedere 
con l'arbitrio. Non avremo bisogno n� di sprone n� 
di freni per la nostra opera non effimera, ma duratura 
attravm�so una nuova giurisprudenza, che avr� 
uno straordinario impulso sulla vita nazionale�. 

Noi che abbiamo seguito, non da semplici spettatori 
ma da collaboratori, l'opera della Corte dando vita 
a quel contraddittorio che la Corte stessa ha sottolineato 
essere cc il metodo considerato pi� idoneo dal 
legislatore costituente per ottenere la collaborazivne 
dei soggetti e degli organi meglio informati e pi?'i 
sensibili rispetto alle questioni da risolvere ed alle 
conseguenze della decisione� (sent. n. 13 del 1960} 
constatiamo, quotidianamente, come essa abbia mantenuto 
fermamente e puntualmente' l'impegno assunto. 

Il Presidente Ambrosini ha nel suo discorso anche 
tenuto giustamente a sottolineare come il lavoro della 
Corte viene svolto, rilevando che �le grandi questioni~ 
che nella giurisprudenza della Corte trovano soluzione 
sono dibattut,e '>ion nell'aJ;mosfera accesa dei confiitti 
politici, ma nell'aria serena propria di una Corte di 
giustizia dopo ampi approfonditi dibattiti, condotti 
da eminenti avvocati sia dell'Avvocatura dello Stato 
che del libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto 
contributo, e dopo approfondite discussioni dei Giudici 
nella Camera di Consiglio �. 

Siamo vivamente grati al Presidente ed alla Corte 
dell'alto apprezzamento dimostrato nei riguardi dell'opera, 
fin qui svolta, dagli Avvocati dell'Avvocatura 
Generale dello Stato i quali hanno sempre posto, 
e porranno anche in futuro, il massimo impegno 
nell'esercizio delle funzioni loro affidate dal legislatore, 
ben consapevoli che la collaborazione prestata 
alla Corte nella soluzione di problemi costituzionali 
di grande importanza per l'incidenza che la soluzione 
stessa ha sull'ordinato sviluppo della vita del Paese, 
qualifica ed eleva, su un piano del tutto nuovo e particolare, 
l'attivit� che essi svolgono nell'intere.~se 
della collettivit� nazionale. 

' ..... -�--��--~--------



NOTE DI DOTTRINA 


M.ARco JANNI : Riflessi processuali del trasferimento 
all' E.N.E.L. delle Aziende elettriche (in �Riv. dir. 
. proc. �, 1963, p. 273. 

L'A. si propone il quesito se ai rapporti processuali 
pendenti che la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 
trasferisce .all'E.N.E.L., si applichi l'art. 110 o il 
successivo art. 111 del Codice di rito e perviene alla 
conclusione che l'ipotesi rientra integralmente 
nella fattispecie contemplata dall'art. 111 C.p.c. 
Nella specie, infi:i.tti, secondo l'A., non si verifica 
una successione a titolo universale dell'Ente sia 
perch�, almeno nella maggior parte dei casi, il 
precedente titolare del rapporto non si estingue, sia 
perch�, comunque, l'estinzione sarebbe successiva 
al trasferimento, che, invece, nella successione a 
titolo universale trova e deve trovare la sua causa 
nell'estinzione del titolare. In definitiva l'A. ravvisa 
nella. ipotesi legislativa un trasferimento di azienda, 
che, peraltro, esclude si verifichi a titolo originario 
e per effetto di un provvedimento espropriativo. 

La soluzione accolta non ci convince. A nostro 
avviso essa contrasta non solo con l'insegnamento 
della giurisprudenza (Cass., 6 luglio 1942, I, 1, 483, 
con nota adesiva di Di Blasi), la quale � escluso che 
l'art. 111 0.p.c. si applichi all'ipotesi di vendita 
forzata immobiliare, cio�, di trasferimento coatto 
del diritto controverso, quanto con la chiara ed 
inequivoca volont� del legislatore, che, peraltro, 
s'inquadra in un ben preciso, recente indirizzo di 
politica legislativa. N� poteva trascurarsi la considerazione, 
di per s� assorbente, che l'art. 111 O.p.c. 
regola l'ipotesi di successione per atto tra vivi a 
titolo particolare, cio�, di acquisto derivativo 
negoziale del diritto, non del debito. 

Pertanto, se si esclude l'ipotesi della successione 
a titolo universale e, quindi, l'applicazione dell'art. 
110 C.p.c. non pu� che darsi atto di una lacuna 
della legge pr()cessuale, la quale, peraltro non 
poteva disciplinare ex-professo una fattispecie eccezionale, 
quale � la nazionalizzazione delle aziende. 
elettriche, tanto pi� che, com'� stato gi� affermato 
dalla giurisprudenza. essa non disciplina direttamente 
neppure l'ipotesi del trasferimento coattivo 
del diritto controverso. 

N� pu� dubitarsi della natura espropriativa del 
provvedimento, che trasferisce le imprese elettriche 
all'E.N.E.L., e, conseguentemente, della natura 
originaria, non derivativa dell'acquisto da parte 
di questo ente. L'art. 43 Cost., che espressamente 
prevede la possibilit� di trasferire, mediante espropriazione, 
e salvo indennizzo allo Stato o ad altri 
enti pubblici determinate imprese o categorie di 

4 

imprese, esclude ogni dubbio in proposito. Il trasferimento 
ew lege delle imprese elettriche all'E.
N.E.L. � una vera e propria espropriazione, 
espressamente prevista e come tale disciplinata, 
sulla base della Costituzione, dalla legge 6 dicembre 
1962, n. 1643. 

Escluso che la fattispecie possa ritenersi dir~t;,. 
tamente disciplinata dagli artt. 110 e 111 C.p.c'.,. 
occorre aver riguardo, ai sensi dell'art. 12 delle 
preleggi, alle disposizioni che regolano casi simili 

o materie analoghe. 
Naturalmente, nella ricerca delle norme da applicare 
l'interprete deve tener nel massimo conto 
la volont� del legislatore e deve in primo luogo 
accertare se la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 
abbia inteso trasferire all'E.N.E.L., insieme con 
le imprese, i debiti ed i crediti ad essa afferenti, 
estraniando definitivamente dal rapporto l'originario 
titolare dell'impresa debitore o creditore. 

In questa indagine l'interprete non pu�, a nostro 
avviso, trascurare alcune altre, recenti leggi 
speciali, che hanno previsto e disciplinato il trasferimento 
di debiti. La legge 4 dicembre 1956, 

n. 1404 dispone in merito alla soppressione e liquidazione 
degli enti superflui; la legge 18 marzo 1958, 
n. 356, al fine di evitare che la pendenza di qualche 
giudizio ritardasse la chiusura delle operitzioni di 
liquidazione degli enti soppressi � autorizzato il 
Ministro per il Tesoro a trasferire, con proprio 
decreto, i debiti in contestazione da uno ad altro 
ente. La predetta legge dispone che �l'ente debitore 
� liberato dell'obbligazione, anche senza adesione 
del creditore, con effetto dalla data di pubblicazione 
del decreto �. In questo caso la volont� 
del legislatore � esplicita: il trasferimento, disposto 
al fine di chiudere le operazioni di liquidazione 
dell'ente a quo, ne consente ed impone l'estinzione, 
con la conseguenza che titolare del rapporto processuale 
in corso diventa esclusivamente l'ente 
ad q_uem. Verrebbe meno lo scopo del trasferimento 
e si tradirebbe la lettera e, sopratutto, lo 
spirito della legge se si ritenesse che il processo 
possa proseguire nei confronti dell'ente liberato 
dall'obbligazione in virt� dell'imminente sua estinzione 
e che ba, perci�, fornito all'ente ad quem, 
come prescrive la legge speciale, la provvista occorrente. 
Altre due recenti leggi regolano fattispecie� analoghe: 
la legge 14 febbraio 1963, n. 60, che ha isti--tuito 
la Gestione case per lavoratori (GESCAL), 
e la legge 15 febbraio 1963, n. 133, che � istituito 
l'I.S.E.S. (Istituto per lo sviluppo dell'edilizia 
sociale); le predette leggi dispongono (rispettiva 



-.l~U 


mente agli artt. 35 e 2) che il nuovo ente as.sume, 

�con effetto dalla data di entrata in vigore della 
legge, la titolarit�. attiva e passiva di tutti i rapporti 
processuali degli enti soppressi (Gestione 
INA-Casa, Comitato UNRRA-Casa). Qui la volont�. 
del legislatore � chiarissima anche perch� � disciplinata 
direttamente la fattispecie processuale, 
cio�, la successione nel processo. 

Alle stesse conseguenze, deve, a nostro avviso, 
pervenirsi per i debiti. ed i crediti relativi alle imprese 
trasferite all'E.N.E.L. La legge 6 dicembre 
1962, n. 1463 dispone (art. 4, nn. 1 e 9) che 
il trasferimento ha ad oggetto �il complesso dei 
beni organizzati per l'esercizio delle attivit� ed i 
relativi rapp<lrli giuridici � nonch� �con tutti gli 
obblighi e i diritti, le concessioni ed autorizzazioni 
amministrative in atto attinenti la produzione, il 
trasporto, la trasformazione e la distribuzione 
dell'energia�. � chiaro, quindi, che la legge vuole 
attuare, con effetto dalla data del provvedimento 
di trasferimento, che potr�., non dovr�. individuare 
anche i rapporti trasferiti all'E.N.E.L. (art. 4, 

n. 10), una successione dell'E.N.E.L. in tutti i 
diritti e gli obblighi relativi alle imprese elettriche 
trasferite, con la immediata liberazione dell'originario 
titolare dell'impresa. 
Alcuni argomenti di contorno confortano questa 
tesi: l'indennizzo, ai sensi dell'art. 5, � determinato 
con riferim�nto alla media dei valori del capitale 
delle societ�., quale risulta dai prezzi di compenso 
delle azioni nel periodo 1 gennaio 1959-31 

dicembre 1961; dalla data di entrata in vigore della. 
legge i legali rappresentanti delle societ�. esercenti 
le imprese soggette a trasferimento sono costituiti 
custodi delle imprese stesse senza poteri di disposizione 
(art. 12, primo comma); gli atti -d:Hlisposizione 
compiuti dopo il 10 dicembre 1961 possono. 
essere dichiarati nulli su istanza dell'E.N.E.L.t 
quando abbiano diminuito la consistenza patrimoniale 
ed economica o l'efficacia produttiva e 

tecnica dell'impresa (art. 12, secondo comma). 

Ci� significa, a nostro avviso, che l'originario� 
titolare dell'impresa, al quale gi�. dalla data di 
entrata in vigore della legge � negato ogni potere, 
di disposizione del debito, ne viene definitivamente 
liberato con effetto dalla data �del provvedimento 
di trasferimento e non pu� ulteriormente. 
risponderne anche perch� l'indennizzo � per legge� 
determinato con riferimento alla posizione debitoria 
e creditoria dell'impresa alla data del 
;n dicembre 1961. 

Il trasferimento dell'impresa, con i crediti e i 
debiti relativi, all'E.N.E.L. fa, perci� venir meno, 
la legittimazione sostanziale e processuale dell'originario 
titolare dell'impresa e del rapporto processuale, 
ponendo in essere una fattispecie analoga a 
quella regolata dagli artt. 110, 299 e 230 C.p.c.~ 
con la conseguenza che il processo deve essere dichiarato 
interrotto,. salvo che l'E.N.E.L. si costituisca 
volontariamente o l'altra parte provveda. 
a citarlo in riassunzione. 

G. G. 

�RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 


COSTITUZIONE -Leggi regionali -Assunzioni a pubblici 
impieghi-Obbligo dell'osservanza art. 51 Costituzione. 
(Corte Cost.ituzionale, Sentenza, 25 maggio-8 
giugno 1963, n. 86 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Branca Presidenza 
del Consiglio dei Ministri c. Regione Tren� 
tino Alto Adige. 

a) Contrasta con gli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione 
il disegno di legge 6 novembre 1962 della 
Regione Trentino Alto Adige che limita la partecipazione 
ai concorsi per sanitario condotto nei 
comuni delle provincie di Trento e di Bolzano di 
sanitari che, alla data del bando, figurino iscritti 
negli albi professionali delle rispettive provincie; 

b) Il legislatore regionale � regolarmente vincolato 
all'osservanza dei divieti posti dall'art. 120 
della Costituzione, divieti che comprendono anche 
la ipotesi che ha speciale disciplina nell'art. 51, 
primo comma della Costituzione. 

Trascriviamo la ?notivazione in diritto della sentenza: 


La Presidenza del Consiglio sostiene che la legge 
regionale, ammettendo ai concorsi indetti per 
medici, veterinari ed ostetriche solo i professionisti 
iscritti nell'albo della provincia, entro cui � bandito 
il concorso, contrasta con gli artt. 3, 51 e 
120 della Costituzione. 

La questione � fondata. 

La legge impugnata ha l'effetto, per non dire lo 
scopo, di escludere dai concorsi per i suddetti 
uffici pubblici i professionisti iscritti in albi diversi 
da quelli di ciascuna provincia altoatesina; esclude 
cio�, nella sostanza, coloro i quali risiedono nelle 
altre provincie .dello Stato. Ci� si concreta in una 
discriminazione che per un verso, non trova adeguata 
giustificazione, per l'altro verso rivela una 
tendenza non scevra di pericoli, a lungo andare, 
per la stessa unit� e indivisibilit� dello Stato. 

Non trova giustificazione poich� l'iscrizione nell'albo 
di una provincia piuttosto che d'un'altra, 
lungi dall'essere un requisito attitudinale, non ha 
alcuna particolare attinenza con le funzioni che 
sono chiamati a svolgere i sanitari nelle provincie 
del Trentino-Alto Adige, funzioni analoghe a quelle 
che si svolgono in ogni altra parte del territorio 
nazionale; n� per assolverle in quella regione � 
necessaria, a differenza che altrove, una particolare 
conoscenza dell'ambiente. Tanto e vero che una 
tale disciplina � assolutamente ignota e contra


stante alle leggi vigenti in ogni altra parte dello 
Stato (il che s'� gi� detto, per un caso analogo e 
con ampia motivazione, nella sentenza n. 104 
del 1957). 

La legge impugnata, inoltre, riserbando gli impieghi 
sanitari ai soli residenti, pone una barriera, 
fra provincia e provincia e rispetto al resto del territorio 
nazionale, che tutt'al pi� potrebbe essere 
consentita alla legislazione statale; infatti questo 
sistema di escludere dagli uffici i non residenti, se 
si estendesse, finirebbe per minacciare quell'unit� 
dello Stato che trova il suo riconoscimento, fra 
l'altro, nell'art. 5 della Costituzione e la sua difesa 
contro arbitri regionali nell'art. 120 della stessa 
Costituzione. Il quale ultimo � stato a ragione 
invocato dalla Presidenza del Consiglio poich� il 
suo significato va oltre le singole ipotesi che vi 
sono espressamente contemplate ed abbraccia anche 
il caso che ha speciale disciplina dello art. 51 primo 
comma. 

La Corte, cos� pronunciando, non fa che confermare 
la propria giurisprudenza. Le sentenze n. 15 
del 1960 e n. 68 del 1961 non ne costituiscono una 
deviazione, ma si spiegano, perch� vi si giudicava, 
nella prima, d'una legge statale e, in tutte e due, di 
situazioni assolutamente particolari e contingenti 
disciplinate con metro particolare e contingente. 

Il caso deciso nella sentenza che annotiamo � il 
seguente: 
Con disegno di legge impropriamente intitolato : 

Norma transitoria per i concorsi a posto di sanitario 
condotto, La Regione Trentino-Alto Adige 
aveva disposto la limitazione della partecipazione di 
concorsi stessi ai �sanitari che, alla data del bando 
di concorso, figurano regolarmente iscritti negli albi 
professionali delle rispettive provincie �. 

Il Governo aveva rinviato il disegno di legge al 
Consiglio regionale, ai sensi ed agli effetti dell'art. 49 
dello Statuto speciale approvato con legge costituzionale 
20 febbraio 1948, n. 5, perch� l'anzidetta 
limitazione doveva ritenersi in contrasto con gli (J;rticoli 
51 e 120 della Costituzione. 

Il Consiglio regionale riapprovava il diSf!ff'f!-O di 
legge nell'identico schema che era stato censurato e ._ 
rinviato dal Governo, anzi riproducendo con carattere 
permanente la norma precedentemente prevista 
solo in via transitoria. 

Da qui il ricorso del Governo, ai sensi dell'art. 49, 

2� comma dello stesso statuto speciale, col quale 

veniva sollevata la questione di legittimit� costitu




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zionale della anzidetta legge regionale, in relazio1be 
agli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione, nonch�. allo 
art. 4 n. 12 dello fltatuto speciale della Regione 
Trentino-Alto Adige. ' � � 

La Corte Costituzionale ha accolto integralmente il 
ricorso ravivisando nella limitazione introdotta con la 
proposta di legge una discriminazione ingiustificata 
sotto il profilo dei c. d. requisiti attitudinali ed escludendo 
che la legge regionale possa riservare gli impieghi 
pubblici ai soli ?"esidenti nella Regione, in 
base al principio f onda�mentale della U?iit� dello 
Stato sancito nell'art. 5 della Costituzione. 

Vale la pena di segnalare l'una e l'altra massima, 
per la loro importanza che tmscende i limiti del 
caso concreto. 

* * * 

In ordine alla prima, rileviamo: 

La Regione Trentino-Alto Adige ha competenza 
legislativa primaria in materia di assistenza sanitaria 
ed ospedaliera� in forza dell'art. 4 n. 12 dello 
Statuto speciale approvato con legge costituzionale 
26 febbraio 1948, n. 5. . 

Peraltro, la suddetta competenza � limitata dal 
rispetto della Costituzione, dei principi dell'ordinamento 
giuridico dello Stato e degli interessi nazionali, 
nonch� delle norme fondamentali delle riforme economico-
sociali della Repubblica. 

Adunque, al pari del legislatore statale, il legislatore 
regionale � vincolato al rispetto del principio 
fondamentale della eguaglianza dei cittadini sancito 
nell'art. 3 della Costituzione e del principio, da esso 
derivato, circa l'eguale diritto dei cittadini nei 
riguardi dell'accesso ai pubblici uffici (art. 51, 
comma 1� della Costituzione); anzi, come si vedr� 
a proposito della seconda massima, il legisla.tore 
regionale resta ancora piu specificamente vincolato 
dall'art. 120 della Costituzione nonch� dalle altre 
fondamentali norme delle leggi costituzionali che, 
in sede di approvazione degli statuti delle regioni 
a statuti speciali, abbfono posto limiti invalicabili 
per la legislazione regionale anche primaria, com'� 
per esernpio, del limite del rispetto dei �principi 
dell'ordinamento giuridico dello Stato� (1) stabilito 
nall'art. 4, primo comma. dello Statuto speciale 
per il Trentino-Alto Adige. 

Pertanto, la validit� di una legge 1�egionale la quale 
restringa l'accesso ad impieghi o ad uffici locali ai 
cittadini nati o, come avviene nella specie, residenti 
nella regione si prestava ad ess�1�e sindacata, cos� 
come � stata sindacata, alla stregua delle fondamentali 
disposizioni, sopra richiamate, degli artt. 3, 
51 e 120 della Costituzione in relazione all'art. 4 
dello Statuto speciale T.A.A. Sotto il profilo del 
contrasto con i principi sanciti negli artt. 3 e 51 
<lella Costituzione, intesi nella loro connessione, � 

(1) Com'� noto, questi prinmpu m relazione ed ai 
fini degli artt. 4 e 11 dello Statuto speciale TrentinoAlto 
Adige sono stati definiti dalla Corte Costituzionale 
con la sentenza n. 6 del 1956. 
da ricordare, anzitutto, ohe l'orientamento giurisp1
�udenziale della Ecc.ma Corte, affermato sia fo, 
tema di interpretazione dell'art . .3 considerato da 
solo che in connessione con l'art.� 51, fJ nel senso 
che il principio della eguaglianza, come limite alla 
legge, se importa il divieto di adozione di cause dis-
criminatrici di capacit� del tipo di quelle espressamente 
elencate nel primo comma dell'art. 3 (sesso, 
razza, lingua, ecc.), consente, peraltro, che in sede 
di determinazione concreta dei �requisiti � per questo 
o per quello ufficio, il legislatore possa adottare 
una disciplina differenziata in base a quelle stesse 
cause o ad altre non espressamente menzionate 
nell'art. 3 considerate non piu come condizioni 
(astratte) �i capacit�, bens� come requisiti attitudinali, 
dei quali il legislatore dovrebbe dare espressamente 
conto e che sono, comunque, soggetti, quanto 
alla differenziazione con essi operata, al controllo 
della Corte Costituzionale, sotto il profilo della loro 
sufficienza e giustificatezza e della loro ragionevolezza. 
Si puo vedere, al riguardo, tutta la giurisprudenza 
della Corte, ormai costante, in tema di interpretazione 
del principio di eguaglianza in genere 
(a partire dalle sentenze 26 gennaio 1957, 14 luglio 
1958 n. 53 a venire alle sentenze 15 luglio 1959 

n. 46, e cos� via via fino alle sentenze nn. 7 e 8 
del 27 febbraio 1962); nonch� in tema eguaglianza 
nell'accesso ai pubblici uffici (sentenza n. 56 del 3 
ottobre 1958; sentenza n. 15 dei 28 marzo 1960; 
Folie contro Commissario Governo Regione 
Trentino-Alto Adige; sentenza n. 33 del 18 maggio 
1960: Oliva contro Presidenza del Consiglio 
dei Ministri). 
Si tratta, quindi, di valutare, caso per caso, se la 
differenziazione adottata in ragione del sesso, della 
razza, della lingua ecc. si possa ritenere adeguatamente 
giustificata come requisito attitudinario rimesso, 
entro i sopra indicati limiti, alla valutazione del fogislatore 
o se, invece, si tratti di discriminazioni non 
giustificate; peggio, poi, se adottate in via generale 
e senza alcun apprezzabile connessione e riferimento 
con situa.zioni particolari e locali. 

Il controllo della ratio e del contenuto di questa 
disciplina diff m�enziata � non solo ammissibile, ma 
anche necessario da parte della Corte Costituzionale; 
proprio a garanzia certa e completa del rispetto 
del principio della eguaglianza da parte sia del 
legislatore statale che di quello regionale, giacoh�, 
altrimenti, sarebbe aperta la via all'eventuale arbit1
�io da parte del legislatore in materia di disciplina 
differenziata, con manifesta violazione del principio 
della eguaglianza. 

E, come � stato esattamente osservato anche in 
dottrina (2), non dovrebbero esservi preoccupazioni 
circa il controllo dell'uso della c. d. discrezionalit� 
legislativa (non ammesso, com'� noto, dalla Corte 
Costituzionale); giacch� si tratta di controlli di genere 
e contenuto diversi, dei qiiali quello sulla sussistenza 
di un giustificato ?notivo di differenziazi?.n~ � non 

(2) Cfr. PALAijIN: Una questione di egtiaglianza nello 
accesso a pubblici uffici, in cc Giurisprudenza Costituzionale
�, 1960 p. 149. 

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so"lo pienamente ammissibile, 'Ylha altresl doveroso, 
giitsta quanto si � gi� rilevato (3). 

La Oorte ha, qu�indi, ammesso questo controllo e 
lo ha esercitato positivamente, ai fini della dichiarazione 
di illegittimit� costititzionale del disegno di 
legge impugnato col ricorso. 

La soluzione appare, ineccepibile, sotto ogni pro-� 
filo. Non 'l.''� dubbio che il disegno di legge impugnato 
attuasse ed, anzi, si proponesse addirittura lo scopo 
di attua1�e, come esattamente ha detto la Oorte, una 
disciplina differenziatrice tra i cittadini della Repubblica 
per quanto attiene alle condizioni di ammissibilit�. 
ad un particolare impiego od ufficio pubblico 
quale � quello per i posti di medico, veterinario ed 
ostetrica condotti nei Comuni delle Pro'l.1incie dell'Alto 
Adige. 

Invero, era sufficiente leggere il testo del disegno 
di legge per convincersi che ai concorsi indetti 
per i suddetti posti possono partecipare soltanto i 
sanitari che, alla data del bando di concorso, figurassero 
regolarmente iscritti negli albi professionali 
delle �rispettive � pro�vince. 

Ii che significa, se non andiarno errati, che mentre 
per tutto il testo del territorio nazionale i concorsi 
a posti di sanitario condotto sono aperti a tutti i 
cittadini aventi i normali requisiti per partecipare 
ai concorsi del genere e residenti in qualunque 
parte dello stesso territorio, in una parte della 
Regione T.A.A. (e neanche in tutta la Regione) la 
partecipazione ai suddetti concorsi veniva limitata 
ai sanitari iscritti, alla data dei bandi, negli albi 
professionali delle dite provinc-ie; con l'ulteriore specificazione 
che, essendo la tenuta degli albi professionali 
delle professioni sanitarie organizzata su base 
provinciale (a.rtt. 3, 7 ed 8 del D.L.O.P.S. 13 settembre 
1946, n, 233), ai concorsi indetti per la provincia 
di Bolzano non avrebbm�o potuto partecipare 
neanche i sanitari iscritti nell'albo professionale della 
provincict di Trento e viceversa. 

La memoria difensiva della Regione -non certo 
il disegno di legge, che non dava alcuna ragione od 
accenno di ragio�ne di tale disciplina differenziatct 
-spieg� al riguardo, che si sarebbe inteso assumere 
et <1 reqitisito attitudinale � per l'accesso ai concorsi 
di sanitario condotto nelle due provincie lii residenza 
in ciascuna delle provincie stesse, pe1� quanto indirettamente, 
cio� attraverso la iscrizione nell'albo professionale. 


Senonch�, anche se considerata come �requisito 
attitudinario � la limitazione non poteva sfuggire alla 
censura d'una� assoluta e manifesta arbitrariet� sotto 
il profilo della violazione. del principio della 
eguaglianza -concla.ma.ta. da un com.plesso di M1identi 
ragioni. 

Nella memoria della Regione si tent� di integrare 
le deficienze del provvedimento e di sottrarlo allei 
censura di arbitrariet� e, comunque, di non giustificata 
discrim.inazione, asserendosi che la giustifi


(3) Appare, al riguardo, del tutto convincente il 
parallelo con l'orientamento giurisprudenziale della Corte 
Costituzionale della Germania occidentale la quale, 
mentre si � rifiutata di sindacare il merito delle leggi, 
si � sempre ritenuta competente a sindacare l'arbitrio 
del legiSlatore in materia di eguaglianza. 
cazione sarebbe stata nella esige?J,za che i sanitari 

abbiano quella conoscenza dei problemi locali che 

pu� ad essi venire dal vivere a contatto con. la popo


lazione, ed invocandosi, a pi1) riprese;�-U �prCce


dente � che sarebbe costituito dalla decisione della 

Corte Oostititzionale n. 15 del 28 marzo 1960. 

Mci, l'aiitorit� di questo <1 precedente � � stata 

dalla Oorte rettamente esclusa nel caso in esame, 

sia perch� si trattava di specie del tittto particolare 

e di�Dersa (legge statale che limitava agli <1 oriundi � 

la frequenza dei corsi di preparazione pm� i concorsi 

a segretario comunale nei ruoH provinciali di Bol


zano), sia perch� nella stessa sentenza n. 15 del 1960 

� detto espressamente che la decisione � stata dettata 

dalle conside1�azioni particolarissime del caso di 

specie (posti di segretario di piccoli comuni alpe


stri in zone di confine) non escludendosi, neanche 

nella stessa particolare materia, che <1 per altre zone 

del territorio nazionale e per altri uffici della stessa 

provincia di Bolzano una norma di questo genere 

non sarebbe o �potrebbe non essere giustificata ... �; 

ed � anche detto che, se invece di legge statale si fosse 

tratta.to di legge r�gionale, la decisione sarebbe stata 

esattamente opposta, in considerazione dei limiti deri


vanti al legislatore regionale dall'art. 120 della Costi


tuzione, limiti che la Oorte ha ritenuto invalicabili e 

che, invece, risultarnno disini1Gltamente tmsgrediti 
. nel caso in esame. 

Tornando alla <1 g-iustificazioni � (delle qitali non 

� traccia nella legge) del trattamento differenziato dei 

cittadini in ordine all'accesso ai concorsi in questione, 

era evidente che esse non avessero fondamento. 

Invero, per i concorsi dei sanitari condotti n� la 

residenza e anche la nascita in itna determinata 

localit� del territorio nazionale possono indurre una 

ragionevole presunzione che i residenti od i nativi 

esercitino la funzione sanitaria meglio in quella 

localit� che nelle restanti parti del territorio e, quindi, 

possono mai concretare �1�equisito attitudinario �. 

Questo preteso requisito non sarebbe stato in alcuna 

relazione col fatto della residenza (e, tanto meno, 

col fatto della nascita.), residenza che, oltre tutto, poteva 

essere, anche in base al disegno di legge impugnato~ 

meramente occasionale ed accidentale ed anche di 

recentisEima acquisizione (in tesi, itn giorno prima 

dalla data del bando!). 

Comunque, non vi era, n� poteva essere dimostrata, 

alcuna seria e ragionevole correlazione tra l'esplica


zio1ie delle funzioni proprie del sanitario condotto e la 

iscrizione agli albi professionali nelle provincie di 

Trento o di Bolzano o con la residenza dalla iscri


zione stessa presuppo8ta: anzi, la comitne esperienza 

in 1nateria doi1eva insegnare che spesso proprio 

sanitari gi� esercenti in loco la libera professione 

possono essere portati a trascurare, sotto t'ari a.spetti, 

le funzioni dell'ufficio pubblico (condotta) al quale 

vengano assunti. E poi, non vi era., n� vi poteva 

essere alcuna ptoi1a che i sanitari iscritti agli albi 

professionali delle due p1�ovincie conoscessero-i pro


blemi e le condizioni locali (quali ~) meglio di quelli -


clte avessero, ad es. esercitato per anni la professione 

localmente e si fossero in seguito trasferiti altrove ! 

Quindi, il �requisito� doveva, se mai, vertere su 

altre �attitudini �, non sulla semplice e non meglio 

definita iscrizione negli albi professionali delle due 

provincie, non senza rilevare che la limitazione del



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l'accesso all'ufficio di sanitario con-dotto ai residenti 
ed iscritti negli albi delle due provincie localizzava 
e circoscrii1eva agli iscritti a questi albi, con una 
spMie di rito1�no al passato addirittura..... medievale, 
la partecipazione ad un concorso che doveva essere, 
in11ece, aperta a tutti gli iscritti agli albi tenuti da 
tutti gli Ordini e Oollegi provinciaU d'Italia. La 
giustificazione della difierenziazione di,veniva., infine, 
assurda oi1e si fosse considerato che, in base al disegno 
di legge, il sanitario iscritto all'albo professionale dei 
medici di Bolzano non poteva neanche concorrere cii 
posti di medico condotto bandito per la provincia di 
Trento e viceversa! 

La soluzione ?iegati�M dcita dalla Oorte a questo 
aspetto di legislazione regionale �merita, quindi, il 
piu. ampio consenso. 

* * * 

Importantissima �, poi, l' aff ei�mazione di principio 
ribadita, con la seconda massimci, in tema di limiti 
alla legislazione regionale in genere, cio� compresa 
quella a statuto speciale. 

La Corte Oostituzionale ha riaffm�mato la interpretazione 
dell'art. 120 della Oostituzione, data gi� con 
la sentenza n. 15 del 28 marZ-O 1960, nel senso che i 
limiti in esso contenuti sono assoluti ed inderogabili 
per il legislatore regionale, mentre � consentito solo 
al legislatore statale di valutare ed identificare particolari 
settori di territorio o di popolazione al fine di 
dettare per essi una disciplina differenziata, nel 
quadro dell'intensse generale della collettivit� nazionale. 


Questa i1alutazione -ha ribadito l'attita.le sentenza 
-non pii� essere fatta, a seni dell'art. 120 dal legislatore 
regionale, in quanto andrebbe contro �la 
stessa unit� ed indivisibilit� dello Stato � che la 
Costituzione, pur prevedendo l'� ordinamento regionale 
� ha inteso garantire con le fondamentali disposizioni 
degli artt. 5 e 120. 

La sentenza ha soggiunto che l'art. 120 ha un 
significato ed una portata che va oltt�e le singole 
ipotesi che vi sono espressamente contemplate ec1 
abb,raccia anche il caso che ha speciale disciplina 
nell'art. 51, primo comma della Oostituzione. 

La riaffermazione del principio � tanto piu importante, 
in quanto essei segue alla opinione nettamente 
opposta o manifestata da parte della dottrina, 
in ordine alla questione stessa, subito dopo la piibblicazione 
della senttn.za 28 marzo 1960, n. 15 (4). 

LUCIANO TRAC.ANNA 

COSTITUZIONE -Nomina dei giudici da parte della 
suprema magistratura artt. 135 e 137, legge 11 marzo 
1953, n. 87, artt. 1 e 2. (Corte Costituzionale, sentenza 
27 giugno-3 luglio 1963, n. 111 -Pres.: Ambrosini; 
Rei.: Cassanrlro. 

1) Rimessa ritualmente, mediante il procedi 
mento incidentale all'uopo previsto, una questione 
<li legittimit� costituzionale all'esame della Corte, 
questa non pu� procedere alla indagine sulla com


(4) Cfr. PALADIN: Cna qu.est�ione, ecc., p. 152. 
. petenza del Giudice che ha emesso la ordinanza di 
rinvio, cos� come non pu� esaminare questioni attinenti 
alla giurisdizione, n� alla regolarit� della 
costituzione del rapporto processuale presso questo 
Giudice. 

2) L'art. 2, lettera c) della legg�e 11 marzo 1953, 
p.. 87 sulla composizione. dello speciale collegio 
elettorale presso la Corte dei Conti per la elezione 
del Giudice costituzionale da parte di quella Magistratura, 
non � in contra8to con l'art. 135 della 
Costituzione. 

Per ima completa informazione delle gravi e nuove 
questioni trattate, riteniamo opportuno trascrivere 
integralmente la sentenza, nella esposizione di fatto 
e nella motiMzione cli di1'itto. , 

RITENUTO IN FATTO 

1. Con ricorso notificato il 26 febbraio 1963 e 
depositato il 28 dello stesso mese, il dott. Pasquale 
Paone ed altri 37 primi referendari e referendari 
della Corte dei conti chiesero alle Sezioni riunite 
che fosse annullato, o quantomeno dichiarato illegittimo 
e illecito, il decreto 15 febbraio 1963, 
n. 12, con il quale il Presidente della Corte dei conti 
aveva convocato il collegio per l'elezione del giudice 
costituzionale riservata a detta Corte; e che 
la stessa dichiarazione si dovesse fare, unitamente 
o disgiuntamente, del comportamento del medesimo 
Presidente. 
I ricorrenti desumevano i motivi del ricorso dal 
fatto che il citato decreto dichiarava che del collegio 
elettorale dovessero far parte soltanto il 
presidente, i presidenti di Sezione, il procuratore 
generale, i consiglieri e i vice procuratori generali 
(tranne coloro tra essi che fossero in posizione di 
aspettativa o di fuori ruolo per esercitare funzioni 
non d'istituto); e ci� in violazione dell'art. 135 
della Costituzione che, parlando dei giudici costituzionali 
da nominarsi dalle �supreme magistrature 
ordinaria e amministrative n, ha certamente 
ricompreso tra queste la Corte dei conti e tra i 
magistrati di questa anche i primi referendari e i 
referendari. Nello stesso tempo i ricorrenti sollevavano, 
come necessariamente pregiudiziale, la 
questione di legittimit� costituzi'Onale dell'art. 2, 
lettera c, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, 
determinando la composizione del collegio elettorale 
nel modo sopraesposto e puntualmente osservato 
nel decreto del Presidente della Corte dei 
conti, avrebbe violato il richiamato art. 135 della 
Costituzione. 

Le Sezioni riunite hanno preliminarmente affermato 
che il decreto denunciato ben poteva essere 
enucleato dal complesso procedimento, che si conclude 
con la proclamazione del giudice costituzionale, 
e autonomamente impugnato, in quanto 
esso comporta il disconoscimento del pret�so �dirittQ_ 
di Yoto dei primi referendari e referendari, nonch� 
dell'e;;eruizio di code!ltu diritto. In conseguenza 
esso opera la violazione di un diritto soggettivo 
perfetto e fa sorgere un interes:>e attuale al ricorso, 
interes;;e che permane, permanendo la lesione, nella 


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:t,ma attualit�, anche dopo la conclusione del procedimento. 
In secondo luogo affermavano che non 
pu� �ssere messa in dubbio la giurisdizione-com:
petenza delle Sezioni riunite a conoscere della controversia, 
giurisdizione-competenza che risulta dall'art. 
65 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, sul 
�contenzioso d'impiego della Corte dei conti, che 
assegna a questa la competenza a pronunziare sui 
rnclami dei propri dipendenti, riguardino essi diritti 
soggettivi o interessi legittimi. E poich� non potrebbe 
negarsi che il preteso diritto al voto per 
lelezione del giudice costituzionale sia un diritto 
,soggettivo di ordine funzionale, ricompreso tra gli 
.attributi che costituiscon� lo status dei magistrati 
della Corte dei conti, se ne deve trarre la conse


_guenza che la controversia � di quelle devolute alla 
giurisdizione-competenza di detta Corte. 

Sul merito della questione la Corte, ricordato 
�Che le parti hanno richiamato a sostegno della 
loro tesi i lavori parlamentari relativi alla legge 

n. 87 del 1953, riconosce che questi offrono uno 
scarso ausilio per l'interpretazione della formula 
adoperata nella Costituzione � supreme magistrature 
ordinaria e amministrative n, ma aggiunge che 
�essi forniscono, tuttavia, <e apprezzabili ragioni di 
dubbio in ordine alla rispondenza delle norme di 
legge ordinaria al precetto costituzionale n. In conseguenza 
ha ritenuto la questione, a suo avviso 
di evidente rilevanza ai :(�ni del giudizio principale, 
non manifestamente infondata e~ con ordinanza 
25 aprile 1963, ha sospeso il giudizio e trasmesso 
gli atti a questa Corte. 

L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e 
al Presidente del Consiglio dei Ministri e comuni
�cata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, � 
stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 132 
-del 18 maggio 1963. 

2. Nel presente giudizio si sono costituiti i 
dott. Pasquale Paone, Giuseppe Mareddu e Ugo 
D'Orso, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo 
Fornario e Massimo Severo Giannini. Nelle deduzioni, 
depositate il31 maggio 1963, la difesa sostiene 
la tesi che l'art. 135 della Costituzione, laddove 
parla di supreme magistrature amministrative, intende 
fare riferimento a tutti i magistrati che concorrono 
a costituirlo, non gi� a coloro che rive.
stono i gradi gerarchici pi� elevati. La soluzione 
adottata dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, che si 
potrebbe definire dei <e supremi magistrati delle 
.supreme magistrature �, sarebbe una soluzione restrittiva 
del disposto costituzionale. 

I primi referendari, i referendari e i sostituti 
procuratori generali, come risulta dalla legislazione 
relativa alla Corte dei conti, hanno sempre fatto 
parte del gruppo che la difesa chiama cc di magistratura 
�, contrapponendolo a quello � non di magistratura 
n. Vero � che i vice referendari e gli 
aiuto referendari facevano un tempo parte del 
personale di concetto della Corte dei conti, ma � 
altrettanto vero che la legge 21 marzo 1953, n. 161, 
soppresse questo gruppo e cre� un unico ruolo di 
magistratura del quale fanno parte i primi referendari 
e i referendari, i quali, pertanto, concorrono 

:a costituire la suprema magistratura amministra


tiva di cui parla Fart. 1S5 della Costituzione. Del 
che sarebbe conferma il fatto che i ricord.ati magistrati 
della Corte dei conti, come si evince-anche 
dal sistema, svolgono funzioni � oggettivamente e 
soggettivamente n proprie dei tre uffici principali 
della Corte dei conti: di controllo, giurisdizionale edella procura generale, e non diverse, perci�, da 
quelle dei consiglieri e dei vice procuratori generali, 
insieme con i quali sono addetti a sezioni giurisdizionali 
o ad attivit� di controllo. 

Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 2, lettera e, della 
legge 11 marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135 
primo comma, ultima parte, della Costituzione. 

3. � intervenuto il Presidente del Consiglio dei 
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura 
generale dello Stato. 
La tesi dell'Avvocatura, quale risulta dall'atto 
di intervento depositato il 30 maggio scorso, si 
articola su tre punti, due pregiudiziali e uno di 
merito. 

I) Il rapporto processuale di merito, il provvedimento 
di rimessione e, di conseguenza, il rapporto 
processuale in questa sede sarebbero viziati dal 
fatto che la Corte dei conti non ha considerato, ai 
fini dell'ammissibilit� del ricorso e della sussistenza 
dei presupposti per un valido instaurarsi del giudizio 
davanti alla Corte costituzionale, la posizione di 
colui che fu proclamato eletto, �unico controinteressato 
al ricorso n e comunque legittimato a 
contraddire anche in ordine alla sollevata questione 
di costituzionalit�, n� . quella dei magistrati che 
fanno parte del collegio elettorale, anch'essi senza 
dubbio controinteressati all'impugnativa del decreto 
de quo. 

II) La questione sarebbe inammissibile perch�, 
riferendosi essa alla validit� della nomina di un 
giudice costituzionale, rientrerebbe nell'ambito della 
competenza-prerogativa di questa Corte, esclusiva 
di ogni altra giurisdizione generale o speciale, e tale 
da estendersi ad ogni atto del procedimento di 
nomina, sia questo atto preparatorio, o terminale 
e conclusivo. Avrebbe qui vigore il principio costituzionale, 
che si applica ai giudizi sui titoli di ammissione 
dei componenti delle due Camere (art. 66 
della Costituzione), sulla base dell'assoluta autonomia 
e indipendenza della Corte costituzionale. 
La quale, nell'esercitare questa sua competenzaprerogativa, 
potrebbe decidere, secondo l'Avvocatura, 
ogni questione pregiudiziale circa la costituzionalit� 
delle norme � che regolano la formazione 
del titolo �. 

III) La questione � infondata nel merito, perch� 
nello stabilire quali siano i requisiti per la 
nomina dei giudici costituzionali riservafa � alle �supreme 
magistrature, si deve tener conto della 
situazione qual'era al momento in cui il Costituente 
dispose mediante un rinvio recettizio sostanziale a 
una norma di grado inferiore, non gi� ai sopravvenuti 
mutamenti che comporterebbero una modifica 
della norma costituzionale ad opera della legge 


-126 


ordinaria. Deve perci� intendersi per membro o 

componente della suprema magistratura chi riveste 

in effetti la qualifica e ne esercita la relativa fun


zione �con partecipazione necessaria ed incondi


zionata e con le relative garanzie �, non gi� chi 

aspira alla prima ed esercita la seconda soltanto a 

titolo semipieno o suppletivo, come avveniva per 

gli aiuto referendari al momento dell'entrata in 

vigore della Costituzione e come avviene tuttora 

per i referendari, che hanno funzioni limitate nel 

tempo e per il contenuto. 

L'Avvocatura riprende, infine, un accenno che 

si legge nell'ordinanza di rinvio circa la particolare 

�forza ii e natura della legge 11 marzo 1953, n. 87, 

rimettendosi alla Corte per quanto attiene, nei 

riguardi di questa legge, ai limiti del controllo 

di costituzionalit� della Corte stessa. 

4. In un'ampia memoria depositata questo 7 di 
giugno, la difesa dei ricorrenti respinge le eccezioni 
pregiudiziali dell'Avvocatura. La sua tesi � che 
occorre distinguere tra questioni relative al diritto 
elettorale e questioni relative alle operazioni elettorali 
e che danno luogo a un giudizio di convalida, 
il quale sarebbe un giudizio amministrativo con. 
tenzioso, ossia un giudizio non giurisdizionale. Le 

questioni del primo tipo, quando si tratti, come 

nel caso, di elezione-nomina, non sono mai di com


petenza del giudice della convalida o dell'elettorato 

passivo. E poich� il ricorso contro il decreto del 

Presidente della Corte dei conti � un ricorso avente 

ad oggetto un diritto di elettorato attivo di rile


vanza costituzionale, ne dovrebbe conseguire: 

1) che non si possa parlare di controinteres


sati, ma, se mai, di autorit� resistente; 

2) che non sussiste la. pretesa competenza 

assoluta ed esclusiva di questa corte, giudice, 

viceversa, della � convalida i>. 

N� il fatto che la controversia, trattandosi di 

un collegio elettorale di formazione automatica, 

in quanto la qualit� di membro � legata al possesso 

di uno status giuridico, possa sorgere soltanto 

quando sia convocato il collegio, � circostanza 

sufficiente a trasformare la controversia in una 

controversia relativa alle operazioni elettorali. 

Nel merito, la difesa, distinte le funzioni della 

Corte dei conti in funzioni di pubblico ministero 

e funzioni di decisione (a loro volta distinguibili in 

giurisdizionali e di controllo), sostiene che i primi 

referendari e i referendari assolvono alle mede


sime funzioni dei consiglieri con .qualche differenza, 

che � � del tipo di quelle che si ascrivono alle esi


genze tecnico-funzionali�, differenze che poi nelle 

funzioni di pubblico ministero non esisterebbero 

punto. 

Replicando poi alla tesi della mancanza di pienezza 
di garanzie di cui soffrirebbero referendari 
e primi referendari, con particolare riferimento alla 
guarantigia di inamovibilit� dalla quale quelli 
sarebbero esclusi ai sensi dell'art. 8 del T. U. 
12 luglio 1934, n. 1214, la difesa asserisce che tale 
norma deve intendersi tacitamente abrogata dalla 
legge 21 marzo 1953, n. 161, e, nel caso ci� non si 
ritenesse, formula espressa domanda giudiziale perch� 
la Corte sollevi direttamente dinanzi a se 

stessa, secondo le norme di rito, la relativa questfone 
di legittimit� costituzionale. 

Quanto, infine, . alla competenza della Corte a 
sindacare la legittimit� costituzionale della legge 
11 marzo 1953, n. 87, la difesa sostiene che, quale 
che sia la categoria nella quale questa legge debba 
'essere iscritta, sarebbe certo il suo carattere di 
legge non costituzionale e quindi la sua assoggettabilit� 
all'esame di questa Corte. 

5 . .Anche l'Avvocatura in una non meno ampia 
memoria del 7 scorso ripropone le sue tesi, ribadendole 
con copiosi richiami ai lavori preparatori 
e alle leggi che hanno regolato e regolano la Corte 
dei conti. 
.Ai fini di una migliore precisazione dei termini 
della controversia � sufficiente richiamare i seguenti 
punti: 

1) la competenza esclusiva della Corte costituzionale, 
che deriva dal principio della divisione 
dei poteri, sarebbe giustificata anche dal fatto che, 
nei collegi previsti dalla legge per l'elezione dei 
giudici costituzionali da parte delle superme magistrature, 
l'elettorato attivo coinciderebbe con 
quello passivo, sicch� ogni questione relativa alla 
partecipazione a quei collegi diventerebbe insieme 
questione relativa alla capacit� di essere eletto e, 
come tale, necessariamente devoluta a una .� competenza 
unitaria))' qual'� quella spettante a questa 
Corte in sede di verifica dei titoli. La quale competenza 
sarebbe diversa da quella normalmente attribuita 
dall'art. 134 della Costituzione nel senso 
che essa si eserciterebbe indipendentemente dalle 
condizioni e dai presupposti stabiliti nei casi ordinari 
dalla legge, potendo la Corte conoscere � sovranamente 
ed esclusivamente � di tutte le questioni 
che attengano alla � validit� del titolo � e, ove 
necessario, risolvere direttamente e di ufficio le 
eventuali questioni di legittimit� costituzionale. 
I singoli interessati e gli organi ghuisdizionali e non 
giurisdizionali che si trovassero di fronte a questioni 
relative alla validit� del titolo, potrebbero avvalersi 
della facolt� di farne denuncia alla Corte 
costituzionale, al solo fine di eccitarne <e il potere 
sovrano ed esclusivo di decisione in materia )); 

2) conferma della tesi che la norma di attuazione 
impugnata non contrasti con l'art. 135, si 
trarrebbe da questo medesimo articolo, laddove 
stabilisce la nomina dei cinque giudici riservata 
alle supreme magistrature ordinaria e amministrative 
senza riferirsi ai magistrati cc tutti ii di 
tali magistrature, e laddove indica, come requisiti 
dei giudici costituzionali in genere, la particolare 
qualifica di magistrati anche a riposo delle giurisdizioni 
superiori, di professori universitari e di 
avvocati. Tale indicazione deve necessariamente 
riflettersi, sostiene l'Avvocatura, sulla composizione 
dei collegi, stante la circostanza gi� messa 
in rilievo che coloro i quali sono chiamati a far 
parte dei collegi, sono anche quelli che possono -� 
essere eletti. 

3) la partecipazione all'esercizio dell'attivit� 
giurisdizionale non � per i primi� referendari e i 
referendari necessaria e incondizionata, ma eventuale 
e subordinata al verificarsi di determinati pre


��-�-----------------------1 


-127


supposti, collegati in sostanza a una valutazione 
discrezionale del superiore gerarchico (nomina a 
relatore, incarico di sostituzione). Primi referendari 
e referendari sono in conseguenza gli unici magistrati 
della Corte a non godere della cosiddetta 
� inamovibilit� perfetta �. 

Infine, l'art. 105 del Testo unico del 1934, 
richiamato e mantenuto in vigore anche dalla pi� 
recente legge sull'ordinamento della Corte dei conti 
(20 dicembre 1961, n. 1345, art. 11) stabilisce che 
il numero complessivo dei primi refererendari e dei 
referendari non pu� essere superiore a due nelle 
singole sezioni e a quattro nelle sezioni riunite, 
assicurando cos� sempre la prevalenza della volont� 
dei magistrati delle categoria qualificate, cio� di 
quelli che rivestono la qualifica ed esercitino la 
funzione propria di magistrato della Corte dei 
conti. 

6 . .All'udienza del 14 giugno 1963, le parti hanno 
illustrato i punti salienti delle rispettive tesi e 
hanno insistito nelle loro conclusioni. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. In primo luogo deve essere respinta l'eccezione 
pregiudiziale dell'Avvocatura dello Stato, giusta 
la quale la Corte dei conti sarebbe incompetente a 
conoscere la questione oggetto del ricorso davanti 
alle Sezioni riunite. 
La tesi della difesa del Presidente -del Consiglio 
che, trattandosi di una questione relativa alla validit� 
della nomina di un giudice costituzionale, 
sussisterebbe una competenza esclusiva ed assoluta 
di questa Corte, non pu� trovare ingresso in questa 
sede. La Corte � stata, infatti, chiamata a giudicare 
della legittimit� costituzionale di una norma 
di legge e non pu� procedere all'indagine sulla competenza 
del giudice che ha emesso l'ordinanza di 
rinvio, come non pu� esaminare e risolvere questioni 
attinenti alla giurisdizione. Su questi punti 
la giurisprudenza della Corte � costante e ferma 
(cfr. da ultimo la sentenza n. 65 del 7 giugno 1962). 
.Alla Corte spetta soltanto di accertare che la questione 
provenga da un'autorit� giurisdizionale, sia 
sorta nel corso di un giudizio e ne sia sufficientemente 
dimostrata la rilevanza ai fini della decisione 
del giudizio principale. Tutte e tre queste 
condizioni si verificano nel caso presente, non 
potendosi porre in dubbio il carattere giurisdizionale 
dell'organo che ha proposto 'la questione, n� 
che l'ordinanza sia stata pronunciata nel corso 
di un giudizio; e non essendo stata affacciata nemmeno 
dall'Avvocatura la tesi che la questione non 
fosse in rapporto di pregiudizialit� col giudizio 
principale. 

Tutto quanto precede non tocca la questione, 
affatto diversa, dell'estensione dei poteri della 
Corte in tema di giudizio sulla validit� dei titoli 
dei suoi membri o dei titoli di ammissione dei 
suoi componenti, che norme costituzionali riservano 
ad essa sola (art. 3 legg~ costituzionale 9 febbraio 
1948, n. 1, e art. 3 legge costituzionale 11 marzo 
1953, n. 1). 

Le eventuali questioni che sorgessero-a questo 
proposito devono rimanere pertanto affatto impregiudicate. 


2. Le medesime ragioni valgono a fortiori nei 
confronti dell'altra eccezione di inammissibilit�, 
-fondata sul fatto che non sarebbero stati presenti 
nel giudizio a quo coloro che l'Avvocatura ritiene 
necessari controinteressati (il presidente di sezione 
eletto giudice costituzionale e gli appartenenti al 
collegio elettorale convocato dal Presidente della 
Corte dei conti). Questa infatti � una eccezione 
che riguarda il legittimo instaurarsi del rapporto 
processuale davanti al giudice a quo, sul quale 
ancora meno pu� portarsi il giudizio di questa 
Corte, che deve, in conseguznza, procedere ad esaminare 
nel merito la questione di legittimit� dello 
art. 2 lettera e della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
3. Le parti hanno a lungo discusso sullo status 
dei primi referendari e dei referendari per trarne 
sostegno alle loro opposte tesi. La difesa dei ricorrenti 
non ha negato che qualche differenza esista 
tra essi e i consiglieri della Corte dei conti, ma ha 
qualificato codeste differenze << del tipo di quelle 
che si ascrivono alle esigenze tecnico-funzionali�. 
Viceversa, l'Avvocatura ha insistito sulla circostanza 
che la partecipazione all'esercizio dell'attivit� 
giurisdizionale da parte dei primi referendari 
e dei referendari non � necessaria e incondizionata, 
ma eventuale e subordinata al verificarsi di presupposti 
collegati, in sostanza, a una valutazione 
discrezionale di altri organi, e che essi, pertanto, 
esercitano la funzione che � propria dei consiglieri 
soltanto a titolo semiproprio o suppletivo. Detto 
diversamente, primi referendari e referendari svolgerebbero 
le funzioni giurisdizionali e anche quelle 
di pubblico ministero non gi� istituzionalmente, 
sul fondamento diretto della legge, che organizza 
e regola l'attivit� della Corte dei conti, ma, in ogni 
caso, per il tramite di un atto di preposizione allo 
ufficio del Presidente della Corte o del Presidente 
del Consiglio dei Ministri (art. 2 R. D. 13 agosto 
1933, n. 1038; art. 5 del T. U. 12 luglio 1934, 
n. 1214; art. 11 legge 20 dicembre 1961, n. 1345) . 
4. Tuttavia la Corte, pur rendendosi conto del 
peso e dell'importanza degli argomenti addotti 
dall'Avvocatura, ritiene che il sistema creato dalla 
Costituzione e dalle leggi che per questa parte la 
integrano e la attuano, offra elementi sufficienti per 
dichiarare non fondata la sollevata questione di 
costituzionalit�. 
L'art. 135 della Costituzione stabilisce che un 
terzo dei giudici della Corte siano eletti dalle 
� supreme magistrature ordinaria e amministrative 
�. Si tratta, come � chiaro, di un precetto che 
ha bisogno di essere integrato e specificato, come 
lo stesso Costituente riconosce (e non soltanto in 
relazione a questa specifica norma), quando rinvia�nel 
succ�ssivo art. 137 a una legge costituzionale 
per quel che attiene alle condizioni, le forme e i 
termini di proponibilit� dei giudizi di legittimit�. 
costituzionale e alle garanzie di indipendenza dei 
giudici della Corte (primo comma); e alla legge 


-128 


ordinaria per le << altre norme necessarie per la 
costituzione e il funzionamento della Corte �. Il 
che trova conferma nell'art. 1 della legge costituzionale 
11 marzo 1953, n. 1, che ribadisce ilrapporto 
sistematico che intercorre tra carta costituzionale, 
leggi costituzionali e legge ordinaria, la quale ultima 
definisce come �emanata per la prima attuazione 
delle predette norme costituzionali �. 

Da ci� non pu� dedursi, come qualche cenno 
dell'ordinanza di rimessione e i pi� aperti assunti 
della difesa del Presidente del Consiglio potrebbero 
far ritenere, che .questa legge si ponga a un grado 
diverso da quello della legge ordinaria nella gerarchia 
delle fonti, con conseguenze che si rifletterebbero 
perfino sul controllo di costituzionalit�; ma 
se ne pu� ricavare soltanto che ad essa � lasciato 
dal precetto costituzionale, pi� che non accada 
nel caso di altri rinvii alla legge cos� frequenti nella 
Costituzione, uno spazio pi� ampio, e che le � 
ass'egnato, per la funzione che deve svolgere, un 
carattere che potrebbe consentire di accostarla 
alle norme di attuazione degli Statuti regionali, 
sulla natura, i limiti e l'efficacia delle quali la Corte 
ha gi� avuto, del resto, occasione di manifestare 
il proprio pensiero (sentenza n. 14 del 15 giugno 
1956; sentenza n. 20 del 29 giugno 1956). 

5. Ora, nel dettare la norma dell'art. 2 lettera c, 
che � quella impugnata, il legislatore ordinario 
non ha travalicato i-limiti impliciti nel rinvio 
alla legge di attuazione, che, ovviamente, sono 
quelli di non contrastare con le norme costituzionali, 
nell'integrare ed attuare il sistema, le cui basi 
sono poste dalla Costituzione, e segnatamente 
dall'art. 135. Vero � che questo articolo parla di 
�supreme magistrature ordinaria e amministrative 
�, od � anche vero che qui �magistrature � 
non sta al luogo di << magistrati �, ma � altrettanto 
vero che il richiamo � fatto alle magistrature, non 
gi� nella loro composizione ordinaria, ma ad esse 
in quanto speciali collegi elettorali, investiti dall'alto 
compito di designare un terzo dei componenti 
della Corte costituzionale, l'organo a cui � affidato 
il compito di controllare la costituzionalit� delfe 
leggi e l'ordinata ed equilibrata convivenza degli 
organi costituzionali, tra i quali si suddivide l'esercizio 
della sovranit� statale. Sicch�, limitando la 
composizione del collegio ai consiglieri, ai presidenti 
di sezione, ai vice procuratori generali, al 
procuratore generale e al presidente della Corte 
dei conti, la legge non ha violato alcuna norma 
costituzionale, ma piuttosto ha attuato l'intento 
del Costituente, affidando compito cos� grave a 
collegi, che, sotto ogni aspetto, ha considerato 
supremi. Del che � conferma la norma contenuta 
nel secondo comma del medesimo art. 135 Cost., 
strettamente collegata col primo, al quale d� o 
dal quale riceve luce, che, ispirata al medesimo 
intento, limita l'eleggibilit� ai magistrati anche a 
riposo delle giurisdizioni superiori, ai professori 
ordinari di universit� in materie giuridiche e agli 
avvocati dopo venti anni di esercizio: categorie, 
per prestigio ed esperienza, omogenee tra loro e 
con quelle che concorrono a costituire i collegi 
elettorali. E, infine, integra il sistema, in conformit� 
col precetto costituzionale, rivolta com'� al 
fine di rendere rigorosa e meditata la scelta, la 
norma dell'art. 3 della stessa legge, che, ponendo 
quelle che un tempo si dicev;;1ino �13tr(:l_tt.ezzze ))' 
stabilisce che i giudici nominati dal Parlamento 
devono essere eletti da questo in seduta comune 
, delle due Camere, a scrutinio segreto e con maggioranza 
di tre quindi dell'Assemblea nel primo scritinio, 
e dei tre quinti dei votanti negli scrutini 


successivi. 

PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 


dichiara non fondata la questione sollevata dalle 
Sezioni riunite della Corte dei conti, sulla legittimit� 
costituzionale dell'art. 2 lettera c, della legge 
11 marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135, 
primo comma ultima parte, della Costituzione. 


1) Con la motivazione contenuta nella prima mas


sima, la Corte Costituzionale ha ritenuto di non po


tersi occupare delle due questioni pregiudiziali solle


vate dalla Avvocatura, relative: a) la prima, alla 

competenza esclusiva della Corte a giudicare della 

validit� dei titoli di immissione dei suoi componenti, 

ai sensi dell'art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio 

1948, n. 10 e dell'art. 3 dell'altra legge costituzionale 

11 marzo 1953, n. l, come competenza -prerogativa 

esclusiva ed assorbente, per il particolare obbietto, 

di quella di qualsiasi altra giurisdizione del nostro 

ordinamento, sia essa generale o speciale; b) la seconda, 

al difetto di contraddittorio nel giudizio di merito 

in quanto si traduceva necessariamente in un difetto 

di contraddittorio del giudizio costituzionale. 

La Corte non ha esaminato n� l'una n� l'altra que


stione, richiamandosi alla propria giurisprudenza in 

materia di pregiudizialit� della questione di giurisdi


zione o di competenza del Giudice a quo sulla que


stione di legittimit� costituzionale (da ultimo, sent. 

n. 65 del 7 giugno 1962). Benonch� � da osservare 
che le due questioni sollevate erano, questa volta, essenzialmente 
diverse da quelle obbietto delle precedenti 
pronuncie della Corte. 
Invero, quanto alla prima, si trattava di affer


mare o di negare, in ordine alla materia in contro


versia, la competenza-prerogativa della Corte a giu


dicare della validit� della nomina dei propri compo


nenti ed, in particolare, il contenuto ed i ltimiti di 

questa competenza. 

La Corte Costituzionale era, quindi, chiamata 

questa volta a giudicare, non della competenza o 

giurisdizione del Giudice a quo, bens� della propria 

competenza a decidere della quistione sollevata in 

sede di esame della validit� dei titoli dei propri com


ponenti neo nominati, ai sensi delle citate norme 

costituzionali; il che avrebbe escluso la possibilit� 

alla stessa Corte di occuparsene in altra sede e pre


cisamente nella normale sede dei giudizi incident�li. 

Si trattava, cio�, di stabilire se la Corte potes8e, nel 
caso in esame, esercitare la sua ordinaria 
oompetenza di cui all'art. 134 della Costituzione 
od, invece, come era sostenuto dalla Avvocatura, 
se tale competenza non fosse esclusa dalla di


��------���-�-----���--�--------' 


-129 


-versa competenza circa la validit� dei titoli, competenza 
che si esercita dit�ettamente, cio� indipendentemente 
dalle condizioni e dai presupposti stabiliti 
per l'esercizio della prima (in particolare, dalla 
insorgenza della questione in via incidentale) e con 
assoluta pienezza di valutazione anche di merito. 
Nell'esercizio di questa speciale attribuzione costi-' 
tuzionale, la Corte ha il potere di risolvere diretta� 
mente e d'tc/ficio le eventttali questioni di legittimit� 

costituzionale. 

Le cose stavano in termini pressoch� analoghi per 
quanto riguarda l'altra questione circa la regola.rit� 
del contraddittorio. 

Partendo dal principio, ribadito anche da. una 
recentissima sentenza della Corte Costituzionale (sent. 
44 del 9 aprile 1963) secondo etti il procedimento di 
rimessione � regolato dalla legge (ll marzo 1953, 

n. 87) in modo completo ed autonomo dalle ordinarie 
norme del codice di rito civile, era sembrato e sembra 
alla Avvocatura che quel procedimento, considerato, 
appunto nella sita autonomia, abbia un necessario 
ed inderogabile presupposto: quello del rispetto del 
principio del contraddittorio (art. 101 C.p.c.) nella 
fase di questo procedimento che si svolge dinanzi al 
giudice di merito. 
Il rispetto di tale principio non ha, se ben si 

osserva, soltanto valore e rilevanza di ordine proces


suale ordinario, ma valore e rilevanza di ordine 

costituzionale, cio� direttamente influenti sulla vali


dit� del processo costituzionale che, se nasce viziato 

in quella fase iniziale, trasferisce necessariamente 

il vizio di origine anche nella fase di decisione della 

questione innanzi alla Corte. 

� sufficiente, al riguardo, osservare, che l'anzidetto 

procedimento di introduzione del giudizio costittt


zionale d� a ciascuna delle parti il potere di istanza 

in ordine al promuovimento della questione di legit


timit� costituzionale (art. 23 della n. 87 del 1953), 

cos� come d� a ciascuna delle parti il potere di costi


tuirsi innanzi alla Corte e di presentare memorie 

difensive e di partecipare alla discttssione orale. 

Il controllo, quindi, di tale presupposto, che � 
presupposto di validit� anche per la instaurazione 
del processo innanzi alla Corte, dovrebbe essere fatto 
da quest'ultima. 

2) Nel merito, la sentenza ha accolto integralmente 
le argomentazioni dell'Avvocatura, sia di ordine gene� 
rale, relative cio� alla interpretazione dell'art. 135 
della Costituzione in relazione al carattere, al contenuto 
ed alla portata della legge ordinaria 11 marzo 1953, 

n. 87, cio� della legge di prima� attuazione, sotto 
il profilo della composizione della Corte, dell'art. 135 
della Costituzione; sia di ordine particolare, relative 
cio�, alla posizione organica dei primi referendari 
e dei referendari della Corte dei conti nell'ordinamento 
della Corte stessa, in relazione alle funzioni giurisdizionali 
ad essi attribuite. 
Per una completa informazione dei lettori riportiamo 
la parte di merito della memoria dell' A vvocatura. 


III) Sulla infondatezza della questione di illegitimit� 
costituzionale nel merito. -La questione 
sarebbe, comunque, infondata nel merito, appa


rendo evidente la insussistenza dell'asserito contrasto 
tra l'art. 2 lettera c) della legge di prima 
attuazione delle norme costituzionali sulla, composizione 
e sul funzionamento della Corte e l'art. 135 
della Costituzione. 

A) Interpretazione dell'art. 135, primo e secondo 
comma della costituzione. -� opportuno, anzitutto, 
intendere il contenuto precettivo dell'art. 135, 
primo e secondo comma della Costituzione, col 
quale deve essere confrontato l'art. 2 della legge 
ordinaria di prima attuazione, ai fini dell'anzidetto, 
asserito contrasto. 

Com'� noto, la Costituzione, all'art. 135, traccia 
le linee generali del sistema di nomina dei componenti 
della Corte Costituzionale, avendo cura di 
attribuire in misura eguale la nomina dei diversi 
poteri, s� che la Corte risulti nel suo complesso 
formata in modo che sia la espressione dei vari 
poteri e di nessuno di essi: cinque Giudici sono di 
nomina del Presidente della Repubblica, altri 
cinque delle Camere ed, infine, altri cinque�� delle 
supreme magistrature ordinaria ed amministrativa
� (art. 135, primo comma). 

Premessa questa ripartizione, la Costituzione 
fissa, sempre in via generale, la qualit� o, se si 
vuole il livello, che deve essere raggiunto con la 
nomina dei componenti della Corte, limitando la 
possibilit� di scelta a categorie di persone ritenute 
particolarmente idonee, come quelle di magistrati 
(anche a riposo) delle giurisdizioni superiori ordinaria 
ed amministrativa, dei professori ordinari di 
universit� in materia giuridica e degli avvocati 
dopo venti anni di esercizio (art. 135, secondo 
comma). 

Com'� anche noto. l'art. 137 della Costituzione 

stabilisce, al secondo comma, che con legge ordinaria 

dovevano essere poste �le altre norme necessarie 

per la costituzione ed ilfunzionamento della Corte �, 

oltre alle norme sulle condizioni, le' forme, i termini 

di proponibilit� dei giudici e le garanzie dei giudici, 

riservate alla legge costituzionale. 

La previsione della legge ordinaria, in tema di 

costituzione e funzionamento della Corte venne 

ribadita dalla legge costituzionale 11 marzo 1953, 

n. 1, art. 1, laddove la legge ordinaria viene indicata 
come: ǥ�� emaJ;1.ata per la prima attuazione 
delle predette norme costituzionali �. 
B) I lavori preparatori della legge 11 marzo 1953, 

n. 87. -La legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87 
ebbe un lunghissimo e meditato iter legislativo, 
come risulta dai la~ori preparatori (2), nel quale 
furono posti e discussi tutti i problemi concer(
2) Cfr. ReJ,azione DE GASPERI; in �Atti Senato, 
doc. n. 3 "; ia Relazione PERSICO per la seco~d~ Commissione 
del Senato, in � Atti Senato, doc. n. 23-A �.;. 
Ia Relazione TESAURO per la Commissione speciale della 
Camera, in �Atti Camera doc. n. 469-A �; 26 Relazione 
PERSICO per la Commissione del Senato, in �Atti Senato, 
doc. 23-0 "; 2a Rel,azione TESAURO per la Commissione 
speciale della Camera, in �Atti Camera doc. n. 469-0 �; 
riportati ne La legislazfone ltaliana 1954, pp. 364 -435. 

-130 


nenti l'attuazione delle anzidette norme costituzionali 
sulla composizione e sul funzionamento 
della Corte. 

Si lavor�, in sostanza, su due disegni di legge 
predisposti rispettivamente, dalla seconda Commissione 
del Senato e della Commissione speciale 
della Camera, i quali furono pi� volte modificati e, 
comunque, discussi articolo per articolo. 

Per quanto concerne. pi� da vicino la questione 
della nomina dei Giudici, si stabili fin da principio, 
che il sistema di nomina doveva essere quello della 
elezione (3) e che questa dovesse avvenire in tre 
distinti Collegi, uno per ogni �magistratura suprema
�. 

Per ci� che concerne la partecipazione ai Collegi, 
si deline� subito una divergenza ti'a orientamento 
del Senato e quello della Camera dei Deputati, 
giacch� mentre il primo intendeva per � supreme 
magistrature n i tre organi di giurisdizione superiore 
(Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei 
Conti), la Commissione speciale della Camera propendeva 
per la interpretazione del termine nel 
senso che esso comprendesse �i magistrati dei gradi 
pi� alti n indipendentemente dalla natura dell'organo 
presso il quale essi esercita.no �le loro 
funzioni ( 4). 

Secondo questo orientamento, e quindi secondo 
il progetto della Commissione speciale della Camera, 
dei tre Collegi elettorali potevano far parte 
(ed essere eletti) anche i presidenti di Corte d'Appello 
ed i procuratori generali, mentre ne venivano 
esclusi i consiglieri di Corte d'appello addetti alla 
Cassazione. 

Peraltro, l'anzidetta soluzione del cc grado� rivestito 
dal magistrato veniva accolta, in questa fase, 
in forma dubitativa, soggiungendosi che sarebbe 
spettato all'Assemblea stabilire, in definitiva, se 
la cerchia degli elettori dovesse estendersi fino a 
comprendere tutti i magistrati di cassazione ovunque 
esercitassero le funzioni, o se, invece, dovessero 
da essa escludersi anche i primi presidenti ed i 
procuratori generali di aorte d'appello. La stessa 
riserva per la discussione in aula veniva fatta a 
proposito dei referendari del Consiglio di Stato 
e della Corte dei Conti, i quali ultimi erano 
stati esclusi dal testo del Senato ed inclusi in 
quello della Commissione, sempre con anzidetta 
riserva. 

Quando il disegno di legge fu discusso innanzi 
alla Camera dei deputati nella seduta del 1� febbraio 
1951, ( 5) vi erano due emend~mentipresentati 
l'uno dall'on. Costa e l'altro dall'on. Colitto che 
davano corpo a concretezza al dubbio ed alla riserva 
espressi dalla Commissione, nel senso che la partecipazione 
ai Collegi dovesse essere limitata ai Consiglieri 
di Cassazione ed ai Magistrati di grado 
superiore della Stessa Corte effettivamente addetti 

(3) Cfr. ia Relazione PERsioo, in �Atti Senato, 
doc. 23-A �. 
(4) Ofr. la citata Relazione TusATRo, riportata in 
La legislazione it<iliana, 1954 pag. 612. 
(5) Cfr. Atti parlamentai; Oamera dei Deputati, 
seduta 1 febbraio 1951, p. 252817. 
alle funzioni di Cassazione, ed ai Consiglieri di 
Stato e della Corte dei Conti escludendosi i referendari. 


Nella discussione che segu�, (6} sia il relartore 
Tesauro che il rappresentante del Governo ebbe:J;O 
modo di chiarire, senza possibilit� di equivoci, 
il concetto ispiratore dell'emendamento Costa che 
fu approvato sia dalla Camera che dal Senato 
e pass�, quindi, come testo di legge. 

C) Oonfronto tra il contenuto normativo dell'art. 2 
della legge 11 marzo 9153, n. 87 e l'art. 135 della 
Costituzione. -Premesso l'anzidetto excursus sui 
lavori preparatori della legge ed, in. particolare, 
dell'art. 2, si pu� fondatamente affermare che questo 
articolo sia in contrasto con l'art. 135 della 
Costituzione, per quanto attiene particolarmente 
alla composizione del Collegio speciale elettorale 
della Corte dei Conti Y La risposta negativa a 
noi non pare dubbia. Diciamo subito che ci sembra 
del tutto vano lo sforzo col quale i ricorrenti hanno 
cercato di dimostrare nel giudizio di merito (cfr. la 
loro Memoria inanzi la Corte dei Conti, pagg. 7 
e segg.) la pretesa oscurit� e la pretesa incoerenza� 
con le quali da parte della Camera dei deputati 
si sarebbe proceduto alla approvazione dell'emendamento 
Costa, nelle circostanze sopra riferite. 

I ricorrenti hanno tacciato questo emendamento 
di illogicit� e di incoerenza, asserendo che con esso 
si sarebbe venuto ad operare, nelle magistrature 
superiori, un cc taglio n diverso a seconda che si 
trattasse della Corte di Cassazione o del Consiglio 
di Stato e della Corte dei Conti. 

.Affidandosi a questa argomentazione (che probabilmente 
sar� ripetuta anche nella loro memoria 
nell'attuale Sede) i ricorrenti dimenticano che 
l'emendamento Costa fu approvato a seguito di 
discussione nella quale tutti si trovarono d'accordo, 
e dimenticano altres� i concetti ed i principii che 
erano a base dell'emendamento e della discussione, 
quali si erano venuti delineando gi� nelle precedenti 
discussioni sui disegni di legge del Senato 
e della Commissione della Camera. 

� bene quindi, fermare alcuni punti fondamentali. 


L'organo legislativo ordinario doveva, in sede 
di prima attuazione dell'art. 135 della Costituzione, 
porre norme sulla composizione e sul funzionamento 
della Corte Costituzionale, norme 
espressamente previste dall'art. 137 della Costituzione 
e dell'art. 1 della legge 11 marzo 1953, n. 1. 

Non vogliamo, neanche in questa Sede, prendere 
posizione nei riguardi della tesi, sostenuta in 
dottrina, circa la cc forza n o la natura delle norme 
dtilla legge ordinaria espressamente prevista, sia 
pure come tale, da norme costituzionali concernenti 
l'organizzazione ed il funzionamento della 
Corte. 

Ai fini del nostro problema, � sufficiente ..riJevare 
che, per espressa disposizione delle citate norme_ 
costituzionali, le norme emanate con la legge ord�


(6) Ofr. Atti parlamentari, cit. p. 252818 

---------~-----------


-131



naria 11 marzo 1953 n. 87 sono norme di <ittuazione, 
e precisamente di prima attuaiione delle predette 
norme costituzionali. 

Esse si trovano, quindi, quanto meno, nei riguardi 
di �queste ultime, in posizione analoga a quella 
delle norme di attuazione degli Statuti speciali 
regionali: il che significa che esse non debbon9 
andare contra Constitutionern, ma possono bene 
attuare ed anche integrare la regolamentazione 
tracciata solo a grandi linee dalla Costituzione, ove 
non ne vengano a menomare i principi fondamentali 
informatori della. regolamentazione stessa (7). 

Un primo problema che, entro gli anzidetti 
limiti, il legislatore ordinario doveva risolvere in 
questa materia era quello del sistemo o modo di 
nomina: e lo ha risolto adottando il sistema della 
elezione, che non si pu� dire in contrasto con la 
Costituzione, anche se non espresimmnete previsto 
per la nomina dei Giudici costituzionali da parte 
delle supreme magistrature. 

Altro problema era quello se alla elezione-nomina 
da parte della �suprema magistratura n dovesse 
provvedersi da un Collegio unico o da tre Collegi 
distinti: ed. il legislatore ha accolto questa ultima 
soluzione, per le ragioni che diffusamente si leggono 
nei citati lavori preparatori. 

Vi era, poi, il terzo problema relativo alla composizione 
dei tre speciali Collegi elettorali, per il 
quale problema, come risulta dagli stessi lavori 
preparatori, il legisJatore ordinario si trovava di 
fronte a questi termini fondamentali: 

a) l'elemento costitl�to dalla nor1na costituzionale 
dell'art. 135 che, al primo comma, stabilisce 
la nomina di 5 Giudici � dalle supreme magistrature 
ordinaria ed amministrativa � senza neanche riferirsi 
ai magistrati tutti di tali magistrature; mentre, 
al secondo comma, in tema di requisiti dei Giudici 
costituzionali in genere, indica le particolari qualifiche 
(magistrati superiori, professori, avvocati), e 
la indicazione deve necessariamente riflettersi anche 
nei riguardi della composizione dei collegi, cio� 
dell'elettorato attivo, in quanto nella specie � 
pacifico che coloro che sono chiamati a far parte 
del Collegio possono da esso anche essere eletti; 

b) la possibilit� di interpretare la espressione 
costituzionale � Sitpreme llfagistrature ordinaria ed 
amministrativa� con riferimento al corpus o complesso 
di magistrati che, al momento della elezione 
compongono ciascuna suprema magistratura ed 
in essa esercitano funzioni, pur rivestendo qualifiche 
diverse ed eventualmente inferiori a quelle proprie 
delle funzioni esercitate (ad esempio i consiglieri 
di appello addetti alla Cassazione), ovvero esercitino 
anche funzioni meno piene di quelle proprie 
della � magistratura suprema n (caso dei referendari 
del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti). 

c) la possibilit�, invece, di interpretare la 
norma costituzionale con riferimento esclusivo al 
corpus dei magistrati che rivestano, nel contempo, 
la qualifica propria del magistrato supremo (consigliere 
di Cassazione ed equiparati) ed esercitino 

(7) Cfr. per le norme di attuazione degli statuti speciali: 
della Oorte Costituzionale n. 20 del 1956. 
effettivamente la funzione corrispond~nte a.Ila qualifica 
con carattere di attualit� riferito al momento 
della elezione. 

In base a questa interpretazione, vengono esclusi 
dal Collegio elettorale (e dalla possibilit� di essere 
eletti) sia i magistrati che, pur rivestendo (come 
grado) la qualifica, non esercitano attualmente 
presso le giurisdizioni superiori (magistrati di Cassazione 
nominati presidenti di Corte d'Appello o di 
Tribunale) sia, all'-fni1erso, i magistrati inferiori ehe 
svolgono att1wlmente le funzioni superiori ma non 
ne hanno la qualifica (consiglieri di appello addetti 
alla Ca::;sazione). 

X e sono, per altro ver::;o, esclusi i magistrati che 
non hanno la qualifica propria delle ma,gistrature 
superiori e che esercitano le funzioni, peraltro in 
maniera affievolita, cio� semipiena ed adventicia, 
per le particolari limitazioni che la legge stessa 
pone all'esercizio delle funzioni. E questo � il problema 
particolare dei referendari del Consiglio di 
Stato e della Corte dei Conti, problema che � stato 
ben presente ed � stato discusso, come si � visto, in 
sede di formazione della legge in questione. 

Questa, partendo dalla considerazione del dato 
costituzionale (sub a), ha deliberatamente e meditatamente 
adottato la interpretazione (sub c) come 
la pi� rispondente alla lettera ed alla ratio del precetto 
costituzionale. 

Perci�, non pu� seriamente parlarsi di pretesa 
incoerenza e di illogicit� del legislatore, facendosi 
leva su di una elemento che � altrettanto ovvio 
quanto irrilevante ai fini della questione di costituzionalit�, 
e cio� la diversit�, peraltro non sostanziale, 
con la quale il problema si presentava, in 
termini pratici, nei riguardi della Corte di Cassazione 
e del Consiglio di Stato e della Corte dei 
Conti. 

Il problema � stato, a nostro avviso, bene impostato 
e bene risolto dal legislatore ordinario con la 
norma attualmente in vigore che � stata, nel recente 
passato, applicata senza dar luogo a contestazioni 
di sorta, in ciascuno dei tre Collegi che hanno pro-ceduto 
alla nomina. 

D) Sulla funzione dei referendari in base all'ordina-
mento della Corte dei Conti. -La nostra convinzione 
riceve conferma, oltre che daUe considerazioni 
fino ad ora esposte, dall'esame delle 
vigenti norme sull'ordinamento della Corte dei 
Conti, per quanto, come si � detto nelle deduzioni 
di intervento, orcorrerebbe considerare solo 
l'ordinamento vigente all'entrata in vigore della 
CoAittuzione. 

Comunque, in base alle norme attualmente 
vigenti i magistrati della Corte si distinguono, 
secondo le funzioni, in varie categorie (art. 10 
della legge 20 dicembre 1961, n. 1345). Gi� questa 
distinzione, nella stessa magistratura superiore, di 
magistrati (ivi compresi i referendari) ~e�ondo le 
funzioni, � sintomatica e significativa, ai fini che _ _ __ 
qui interessano: giacch�, com'� noto, una distin-� 
zione del genere non si riscontra nell'ambito della 
Corte di Cassazione in cui i magistrati che rivestono 
la qualifica propria esercitano tutti la stessa 
funzione, quella di cc mag�istrato di Cassazione n. 


-13'2 


La sola differenziazione che tra essi si riscontra 
deriva dalla preposizione di alcuni ad uffici direttivi, 
ma ci� non importa, ovviamente, alcuna diversit� 
nei riguardi della pienezza della funzione giurisdizionale 
propria del magistrato di Cassazione. 

Invece, e proprio nei riguardi della funzione 
giurisdizionale di magistrato superiore, le cose non 
stanno esattamente allo stesso modo per i primi 
referendari ed i referendari della Corte dei Conti. 

Si evince, infatti, dall'art. 11 della citata legge 
20 dicembre 1961, n. 1345 che le funzioni giurisdizionali 
dei primi referendari e dei referendari sono 
meno piene ed affievolite nei confronti delle funzioni 
proprie dei magistrati della Corte dei Conti. 

Invero i referendari, che normalmente coadiuvano 
i primi referendari negli uffici di controllo, 
intervengono nelle sezioni giurisdizionali con voto 
deliberativo soltanto per � gli affari dei quali sono 
relatori n. I primi referendari hanno, inoltre, riconosciuta 
a differenza dei referendari, una funzione vicaria 
nel senso che nelle sezioni giurisdizionali possono 
essere chiamati dal Presidente della Corte a supplire 
-ed in questo caso hanno voto deliberativo i 
consiglieri assenti ed impediti. 

Come si vede, quindi, mentre la partecipazione 
di tutti gli altri magistrati della Corte (presidente, 
presidenti di Sezione, procuratore generale, consiglieri 
e vice procuratori generali) all'esercizio dell'attivit� 
giurisdizionale � partecipazione necessaria 
ed incondizionata (come per tutti i magistrati 
di Cassazione), quella degli appartenenti alle due 
predette categorie risulta soltanto eventuale, ed �, 
subordinata al verificarsi di determinati presupposti, 
che si ricollegano sostanzialmente ad una valutazione 
discrezionale del superiore gerarchico (nomina 
a relatore, incarico di sostituzione). 

Correlativamente a questa capacit� giurisdizionale 
adventicia e minus plena l'ordinamento 
vigente non riconosce ai primi referendari ed ai 
referendari le particolari garanzie di inamov�ibilita 
che, previste in un primo tempo dall'art. 8 del 
testo unico del 1934 solo per il Presidente ed i 
Consiglieri, vennero poi estese dall'art. 4, u. p. del 

D. L. 5 maggio 1948, n. 589 anche nei confronti 
del procuratore generale e dei vice procuratori 
generali. I primi referendari ed i referendari sono 
gli unici magistrati della Corte a non fruire della 
cosiddetta cc inamovibilit� perfetta �, la quale, come 
� risaputo, intende tutelare la funzione esercitata, 
in vista della sua particolare importanza. 
Ma un elemento ancora pi� significativo pu� 
desumersi dalla disposizione contenuta nel secondo 
comma dell'art. 5 del Testo unico del 1934, espressamente 
richiamato e mantenuto in vigore anche 
dalla pi� recente legge sull'ordina.mento della Corte 
dei Conti (20 dieembre 1961, n. 1345 art. 11). 

Secondo tale norma, il numero complessivo dei 
primi referendari e dei referendari non pu� essere 
superiore a due nelle singole sezioni n� maggiore 
di quattro nelle Sezioni Riunite. Tenendo presente 
che ciascuna Sezione giudica con l'intervento di 
cinque votanti, i quali nelle Sezioni Riunite sono 
fo numero di 11 (art. 2 legge 21 marzo 1953, n. 161)~ 
rhmlta evidente la ratio della disposizione intesa 
ad as8frurare srmpre la prevalenza alla volont� dei 

magistrati delle categorie qualificate, cio� dei magistrati 
che rivestono la qualifica e esercitano le 
funzioni proprie di magistrato della Oorte dei Oonti. 

Ora, invece, ad un criterio coropJetam~n,t.I} 9pposto 
si sarebbe ispirato il legislatore ordinario, se 
avesse ammesso la partecipazione dei primi referendari 
e dei referendari alle operazioni di voto per 
l''elezione dei Giudici costituzionali: infatti, secondo 
l'ultimo ruolo organico, allegato alla legge citata 
del 1961, i magistrati di tali categorie assommano 
complessivamente a 433 (203 primi referendari e 
230 referendari), mentre il numero di tutti gli altri 
magistrati della Corte � appena di 96: e, deve rilev.
arsi, tale sproporzione numerica, se pure un p� 
meno accentuata, gi� esisteva nei ruoli abr.ogati. 
Ne conseguirebbe, pertanto, che nelle elezioni i 
voti delle due categorie anzidette assumerebbero un 
peso preponderante: e questo non pu� certo riconoscersi 
come intenzione del Costituente allorch� 
ha parlato di nomina delle cc Supreme Magistrature �, 
con la possibilit� che ciascuno degli elettori sia 
anche eletto ! 

IV) Concludendo, la norma di attuazione ha 
accolto una soluzione che, nel silenzio della Costituzione 
circa la composizione dei collegi che debbano 
eleggere i Giudici di nomina delle cc Supreme 
Magistrature �, nel mentre ha corrisposto alla finalit� 
propria dell'attuazione delle norme costituzionali, 
non pu� ritenersi in contrasto con alcuna 
norma o principio inderogabile della Costituzione 
stessa. � 

Anzi, a seguito della disamina di tutti gli aspetti 
della controversia, sembra potersi ritenere che la 
genericit� usata nella norma costituzionale, che non 
si riferisce esplicitamente e direttamente ai magistrati 
tutti delle cc Supreme ~Iagistrature � ma solo e 
genericamente a queste ultime, sia stata anche 
voluta, sia perch� il Costituente non poteva ignorare, 
da un lato, che in alcune delle magistrature 
considerate esistono profonde differenziazioni in 
ordine alla capacit� funzionale dei componenti, 
sia perch� non pu� in ogni caso ammettersi che 
il Costituente stesso intendesse annullare determinati 
principi propri dell'ordinamento interno di 
alcuni corpi giurisdizionali e, nel nostro caso, della 
Corte dei Conti, fino a rendere possibile la prevalenza 
numerica delle categorie con funzioni giurisdizionali 
affievolite, quando queste stesse categorie 
sono mantenute dalla legge di organizzazione 
'�n condizioni di numerica inferiorit� prop1�io nell'esercizio 
della funzione giurisdizionale ed a causa, 
delle limitazioni di questa funzione. 

CORTE COSTITUZIONALE -Procedimento -Limiti 

del giudizio di costituzionalit� -Foro dello Stato 


Legittimit� costituzionale. (Corte Costituzionale, 9 

luglio 1963, n. 119 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Chiarelli 


Societ� immobiliare Gilpa e Societ� Sugherifici(') itali


ano c. Comune di Olbia e. Regione sarda. 

La Corte pu� esaminare la questione di legittimit� 
costituzionale solo entro i limiti nei quali 
risulta formulata nell'ordinanza di rinvio. 


-133 


L'art. 25 C.p.c. e l'art. 55 D. P. 19 maggio 1949, 

n. 250, che estende alla Regione autonoma della 
Sardegna il principio del foro dello Stato, sono 
costituzionalmente legittimi e non contrastano con 
l'art. 25 della Costituzione. 
Data l'importanza della questione riteniamo oppor-' 
tuno riportare integralmente la motii,azione della. 
sentenza, con la quale la Oorte, accogliendo la tesi 
sostenuta dall'Avvocatura, ha dichiarato costituzionalmente 
legittimo non solo il principio del foro 
dello Stato e la sua estensione alle Regioni, ma anche 
il principio -ritenuto conseguenziale -dell'obbligatoriet� 
della notificazione degli atti giudiziari presso 
gli uffici della Avvocatitra dello Stato competente 
per territorio. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

La sola questione di cui questa Corte � investita 
nel presente giudizio, a termini dell'ordinanza di 
rimessione, riguarda la legittimit� costituzionale 
dell'art. 55 D. P. R. 19 maggio 1949, n. 250, in 
riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione. 
N� potrebbe la Corte esaminare detta 
questione oltre i limiti nei quali risulta formulata 
dall'ordinanza stessa, dovendo essa tener conto, 
secondo la sua costante giurisprudenza, delle deduzioni 
difensive solo in quanto sviluppino ed illustrino 
il contenuto delle ordinanze, e non in quanto 
sollevino questioni nuove (sent. n. 48 del 1961 
e n. 65 del 1962). 

In relazione alla questione dedotta; va premesso 
che l'art. 55 del citato decreto, estendendo le funzioni 
dell'Avvocatura dello Stato all'Amministrazione 
regionale sarda, stabilisce nel capoverso che 
nei confronti della detta Amministrazione si applicano 
gli artt. 25 (foro della P. A.) e 144 (not:if�cazioni 
alle Amministrazioni dello Stato) O. p. c. 
Secondo la tesi delle Societ� Gilpa e Sugherificio 
italiano, ritenuta non manifestamente infondata 
dal Tribunale di Tempio Pausania, le ricordate 
disposizioni sarebbero incostituzionali, in quanto 
attribuiscono alla Regione sarda un giudice diverso 
da quello che il legislatore ha istituito con criterio 
generale nell'art. 20 C. p. c., con la conseguenza 
che il privato che intenda convenire in giudizio la 
Regione si trova nella necessit� di far ricorso al 
giudice del cosiddetto foro della P. A., anzich� al 
giudice che s�rebbe competente a norma del predetto 
art. 20. ' 

Ritiene la Corte che la questione non � fondata. 

Va innanzi tutto rilevato che l'art. 20 C. p. c. 
indica un foro facoltativo, concorrente col foro 
generale delle persone fisiche e delle persone giuridiche, 
di cui ai precedenti artt. 18 e 19. Inoltr�, 
Io stesso foro generale � stabilito da questi ultimi 
articoli con salvezza che la legge disponga altrimenti. 
� 

Da quanto precede deriva che l'art. 20 O. p. c. 
non enuncia un criterio generale, inderogabile, 
come � stato sostenuto dalla difesa delle due Societ�. 
Esso, al pari dell'art. 25 dello stesso codice, fa 
parte di quel sistema di norme regolatrici della 

competenza nel processo civile, le quali, preordinate, 
come sono, all'insorgere delle singole controversie, 
non contrastano col precetto C()~t!tuzio.nale 
del rispetto del giudice naturale. 

Questa Corte ha avuto ripetutamente occasione 
di affermare che la nozione di �giudice naturale � 
corrisponde a quella di giudice istituito in base 
a criteri generali fissati in anticipo e non in vista 
di singole controversie, in modo che sia data al 
cittadino la certezza circa il giudice che lo deve 
giudicare (sentenze n. 29 del 1958, n. 22 del 1959, 

n. 88 del 1962). 
Nel caso in esame, tanto l'art. 55 D. P. R. 
19 maggio 1949, quanto l'art. 25 C. p. c., stabiliscono 
la competenza del cosidetto foro della P . .A. 
in maniera generale, per tutte le categorie di controversie 
in cui � parte la Regione o la Pubblica Amministrazione. 
Le disposizioni in essi contenute non 
ammettono alcuna possibilit� che la competenza 
venga determinata in relazione a una controversia 
gi� insorta, e danno al cittadino la previa certezza 
del giudice che dovr� conoscere delle sua causa. 

Alla stregua dei criteri ricordati, pu� ben dirsi 
che il giudice la cui competenza � determinata, 
per il richiamo contenuto nell'art. 55 citato, dalla 
legge sulla rappresentanza e difesa in giudizio 
dello Stato e dall'art. 25 O. p. c., � esso stesso un 
giudice naturale precostituito per legge. Nessuna 
illegittimit� costituzionale � dato, pertanto, scorgere 
nella indicata norma legislativa che deferisce ad 
esso le controversie in cui � parte la Regione sarda, 
e nella norma conseguenziale che regola le notificazioni 
alla Regione secondo le disposizioni dello 
art. 144 C. p. c. 

COSTITUZIONE -Regione siciliana -Presidente 


Funzioni statali decentrate -Modo di esercizio 


Mantenimento dell'ordine pubblico. (Corte Costitu


zionale, 13 luglio 1963, n. 131 -Pres.: Ambrosini; 

Rei.: Chiarelli -Presidente del Consiglio c. Regione 

Siciliana). 

Il mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio 
della Regione siciliana � attribuito al Presidente 
della Regione nella qualit� di organo dello 
Stato. Egli non pu� esercitare questa funzione 
mediante uffici od organi della Regione, ma deve 
esercitarla esclusivamente a mezzo della polizia 
dello Stato. 

Riportiamo integralmente la motivazione della sentenza, 
che, a nostro avviso; trascende il caso di specie, 
espressamenie regolato dall'art. 31 S.S.Sic. 

I principi affermati dalla Oorte, infatti, sono 
applicabili a tutte le ipotesi di esercizio di attivit� 
statali decent1�ate ad organi individuali della Regione 
(art. 20 P.c., u.p. S.S.Sic. e art. 1 D.L.O.P.S. 30 � 
giugno 1947, n. 567, art. 44 P.c. S.S. V A}: � 

Solo nelle ipotesi, in cui l'esercizio di funzion~ 
statali sia delegato all'Ente-Regione (art. 6 u.p., articolo 
47 O.e. e art. 49 S.S.Sa., art. 35 S.S.T.A., 
art. 44, II c. S.S. VA.), gli organi di questa potranno 
perci�, servirsi degli uffici e della organizzazione 
regionale. Nella prima ipotesi, invece, l'esercizio 


-134 


delle funzioni stataU decentrate dovr"� essere effettuato 
dal Presidente e dagli Assessori esclusivamente a 
mezzo degli Uffici e della organizzazione statale. 

CONSIDERATO IN DIBITTO 

Il ricorso del Commissario dello Stato investe 
gli artt. 2 e 7 della legge sull'ordinamento del 
governo e dell'amministrazione centrale della Regione 
siciliana, approvata dall'Assemblea regionale 
il 20 novembre 1962, in quanto l'art. 2 lette1�a q, 
richiamandosi all'art. 31 dello Statuto, comprende 
tra le attribuzioni del Presidente ivi elencate il 
mantenimento dell'ordine pubblico, e l'art. 7 comprende 
tra gli uffici, mediante i quali il Presidente 
della Regione esplica le attribuzioni di sua compet~
nza, un Ispettorato regionale di polizia. 

Il ricorso � fondato. 

� fuori dubbio, e non forma oggetto di discussione 
tra le parti, che la funzione di provvedere 
al mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio 
della Regione � attribuita dall'art. 31 Statuto 
siciliano al Presidente della Regione nella qualit� 
di organo dello Stato. Ma pu� ritenersi ugualmente 
certo che il Pre8idente non pu� esercitare 
questa funzione mediante uffici ed organi della 
Regione. 

Se, infatti, � vero che, come rileva la difesa 
della Regione, il Presidente di questa � investito 
di funzioni statali non come persona fisica; ma in 
quanto copre l'ufficio di Presidente della Regione, 
(si ha, cio�, una specie di unione reale e non personale), 
resta tuttavia distinta la figura della presidenza 
della Regione, come organo di quest'ultima 
da quella del Presidente della Regione, come ufficio 
pubblico con distinte funzioni, di organo r�gionale 
e di organo statale; o, in altre parole, come organo 
di due enti diversi, ciascuno con proprio ordinamento 
e con propria organizzazione. 

Certo, anche la Presidenza della Regione pu� 
avere una propria organizzazione di uffici ausiliari; 
ma attraverso questa organizzazione non possono 
essere trasferite ad uffici e ad agenti dipendenti 
dalla Regione funzioni che sono del Presidente 
come organo dello Stato. Diverso � il caso dell'ente 
che agisce come organo di un altro ente, e che non 
pu� non servirsi della propria organizzazione e 
del proprio apparato: il Presidente della Regione 
non � un ente che, come tale, non pu� agire se 
non attraverso una propria organizzazione e un 
proprio apparato, ma �, come si � detto, un ufficio 
che, essendo investito di funzioni regionali e di 
funzioni statali, � distintamente incardinato nello 
ordinamento dell'ente Stato e dell'ente Regione, 
senza la possibilit� che nella sua :figura vengano a 
confondersi o a sovrapporsi le rispettive organizzazioni 
di questi due enti. 

N� vale il dire che, nella specie, le funzioni 
attribuite all'Ispettorato regionale 'di polizia dall'art. 
7 si esauriscano nella organizzazione interna 
della Presidenza della Regione. .A parte. il fatto 
che non si vede come l'esercizio di funzioni di polizia 
sia pure in collaborazione con l'attivit� del Pres_
dente, possa esaurirsi nell'ambito interno dell'Amministrazione, 
� lo Statuto ad impedire che il 
Presidente possa svolgere la funzione di provvedere 
al mantenimento dell'ordine pubblico mediante 
organi regionali. 

L'art. 31 di esso, infatti, dispone che �al mantenimento 
dell'ordine pubblico provvede il Presidente 
regionale a mezzo della polizia dello.Stato, la quale 
nella_ Regione dipende disciplinarmente, per l'impiego 
e l'utilizzazione, dal Governo regionale�. Il 
Governo della Regione, dunque, pu� disporre dell'impiego 
e dell'utilizzazione della polizia statale, 
servendosi dei poteri che lo Statuto gli attribuisce; 
ma � escluso che al.mantenimento dell'ordine pubblico 
si possa provvedere a mezzo di una polizia 
diversa dalla statale. � chiaro, pertanto, il contrasto 
tra la riportata norma dell'art. 31 e la formula 
adottata nell'art. 7 della legge de qua; �Ispettorato 
regionale di polizia -Collaborazione alla 
attivit� del Presidente per quanto concerne l'esercizio 
delle funzioni indicate nella lettera q dello 
art. 2 -Polizia amministrativa�. 

.Altrettento evidente � la violazione delle norme 
statutarie sulla competenza legislativa della Regione. 
Dall'art. 31 dello Statuto siciliano discende 
che solo una legge costituzionale potrebbe stabilire, 
in sede di revisione, che il Presidente regionale 
possa servirsi di organi non appartenenti alla 
polizia statale; e, d'altra parte, solo una legge della 
Repubblica pu� stabilire l'ordinamento degli organi 
di polizia, di cui il Presidente e il Governo della 
Regione possono disporre. Con le impugnate norme 
la Regione ha, per tanto, travalicato i limiti della 
competenza legislativa fissati dagli artt. 14 e 17 
dello Statuto siciliano, i quali, coerentemente con 
l'art. 31, non comprendono la materia dell'ordinamento 
della polizia. 

.Anche per quanto riguarda la polizia ammini


strativa deve dichiararsi illegittima la impugnata 

disposizione dell'art. 7, perch�, in attuazione 

dell'ultimo capoverso dell'art. 31 dello Statuto 

siciliano, si sarebbe potuto prevedere la organiz


zazione di corpi speciali, destinati alla tutela di 

particolari servizi ed interessi, ma non poteva 

farsi una generica attribuzione delle funzioni di 

polizia amministrativa all'Ispettorato regionale. 

Va ugualmente dichiarata l'illegittimit� dell'arti


colo 2, lettera q, che si richiama all'art. 31 dello 

Statuto siciliano, perch� nel sistema della legge 

l'art. 2, lettera q e l'art. 7, parte impugnata, sono 

tra loro collegati, insieme esorbitando dalla com


petenza regionale. 

��----------



-135 


CORTE DI CASSAZIONE 


COMPETENZA -Concessione in uso di bene demaniale 
-Imposizione di un canone -Controversia relativa 
alla legittimit� dell'imposizione -Competenza 
del giudice amministrativo. (Corte di Cassazione, 
Sezioni Unite, Sentenza n. 1666/63 -Pres.: Lonardo; 
Est.: Pece; P. M.: Criscuoli -Soc. Sogene c. Ministero 
dei Lavori Pubblici). 

Nel caso in cui il privato, che ha ottenuto dalla 
Pubblica Amministrazione la concessione in uso di 

, 
un bene demaniale contesti la legittimit� dell'imposizione 
di un canone relativo alla concessione 
stessa, la controversia, investendo la maniera con 
la quale la Pubblica .Amministrazione ha esercitato 
in concreto il proprio potere discrezionale, 
rientra nella competenza del giudice amministrativo 
e non gi� in quella del giudice ordinario. 

Oon questa sentenza la Oorte conferma i criteri 
-ormai consolidati -di discriminazione fra giurisdizione 
ordinaria e amministrativa in materia 
di concessioni, precisando che rientrano nella prima 
tutte e sole le controversie, le quali abbiano ad oggetto 
l'interpretazione e l'adempimento di una clausola 
inerente al regolamento convenzionale conseguente 
alla concessione e con questa connesso (concessione 
contratto) mentre' sono devolute alla giurisdizione 
amministrativa quelle, che riguardino il contenuto, 
intrinsecamente unitario ed inscindibile, delZ'atto 
amministrativo di concessione. 

Nella specie non si trattava d'interpretare una 
clausola del disciplinare, che costituisce il regolamento 
convenzionale conseguente alla concessione; ma 
di accertare la legittimit� dell'atto amministrativo, 
con il quale la Pubblica Amministrazione, nell'esercizio 
del suo potere discrezionale, aveva ritenuto di 
concedere l'uso eccezionale di un bene demaniale 
eto~usivamente previo pagamento di un canone, commisurato 
all'utilit�, che dalle concessioni il privato 
avrebbe tratto. 

L'intrinseca unit� ed inscindibilit� dell'atto amministrativo 
e del suo contenuto non consentiva altra 
soluzione, essendo evidente che il pagamento del 
canone era la causa o, quanto meno, una delle cause 
dell'atto amministrativo, che, il giudice ordinario 
non poteva modificare senza interferire -contro 
il divieto posto dall'art. 4 legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, allegato E -nell'esercizio dell'attivit� 
discrezionale riservata alla Pub'blica Amministrazione, 
ponendo, con la sentenza, l'equipollente di un 
diverso atto di concessione. 
Trascriviamo la motivazione della sentenza. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

La Societ� ricorrente ha dedotto che nella specie 
doveva essere ritenuta la giurisdizione ordinaria 
perch� veniva in contestazione il potere o meno, 
nella Pubblica Amministrazione, di imporre il pagamento 
di un canone, quale corrispettivo per il 
godimento in concessione di un bene demaniale. 

La censura � infondata. 

� esatto che ripetutamente queste Sezioni Unite 
hanno affermato il concorso della giurisdizione 
ordinaria quando il privato contesti, nei confronti 
della Pubblica .Amministrazione, la stessa esistenza 
di un potere discrezionale; il richiamo a tale indirizzo 
giurisprudenziale non �, per�, rilevante nel 
caso in esame. 

Infatti, la stessa Sogene non contesta gi� che 
rientri nel potere discrezionale della Amministrazione 
il concedere o meno in uso un bene demaniale~ 
ma nega che l'.Amministrazione possa condizionare 
tale uso al pagamento di un canone da parte del 
privato concessionario. Poich�, per�, la imposizione 
del canone attiene, in realt�, al modo di utilizzazione 
del bene concesso in uso, nel senso che si 
risolve nella determinazione di un onere relativo 
alla concessione, in realt� la contestazione ha per 
oggetto il modo che l'Amministrazione ha ritenuto 
meglio rispondente al pubblico interesse per 
la utilizzazione dello specifico bene demaniale dato 
in concessione. 

Ne segue che la illegittimit� dedotta dalla Sogene 
investe, in definitiva, la maniera con la quale la 
Pubblica .Amministrazione ha esercitato in concreto 
il proprio potere discrezionale, sicch� l'accertare 
la sussistenza o meno della dedotta illegittimit� 
rientra nella competenza del giudice amministrativo 
e non gi� in quella del giudice ordinario. 

D'altra parte, la censura della ricorrente vorrebbe 
operare una inammissibile frattura nel contenuto, 
intrinsecamente unitario ed inscindibile, 
dell'atto amministrativo in esame, non potendosi~ 
nella specie e contrariamente a quanto affermato 
dalla ricorrente, fare ricorso allo schema giuridico 
della concessione-contratto. 

Infatti, non sono venuti in discussione la interpretazione 
o l'adempimento di una clausofa, inerente 
ad un regolamento convenzionale conseguente 
alla concessione, postoch� nessun contratto 
era intervenuto tra la Pubblica .Amministrazione e 
la Sogene. Al contrario, era in discussione solo un 
atto autoritativo della Pubblica .Amministrazione~ 
del quale atto la Sogene, lungi dall'accettare il 
contenuto, ha contestata la legittimit�. 

Ancora pi� chiaro � poi il difetto della giurisdizione 
ordinaria in relazione alla domanda subordinata, 
con la quale la Sogene aveva richiesta al 
Tribunale la riduzione del canone di concessione,. 
comech� eccessivo. 

Tale riduzione, infatti, avrebbe importata quella 
modifica dell'atto amministrativo che �, invece~ 
istituzionalmente sottratta al potere del giudice 
ordinario. 

Concludendo, deve essere affermata la giurisdizione 
del giudice ammini.strativo e, per l~~fj:etto, il 
ricorso deve essere rigettato. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Contratti di 

locazione con la Pubblica Amministrazione -Rinno


vazione tacita -Questione di diritto soggettivo. 



-13G 

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Volont�; implicita 
della Pubblica Amministrazione -Inconfigurabilit� 
-Rinnovazione tacita del contratto di locazione Inammissibilit�. 
(Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 
Sentenza n. 1817/63 -Pres.: Lonardo; Est.: Jannelli; 

P. M.: Criscuoli (conf.) -Rovegno c. Amministrazione 
Finanze dello Stato). 
1) � competente il giudice ordinario a decidere 
della questione di rinnovazione tacita del contratto 
<li locazione concluso tra il privato e la Pubblica 
Amministrazione. 

2) La volont� di obbligarsi della Pubblica .Amministrazione 
non pu� desumersi da facta concludentia, 
ma deve essere espressa nelle forme di legge 
e tra cui la forma scritta, richiesta ad sub-stantiam. 

Pertanto, in caso di locazione di un immobile 
<li propriet� della Pubblica Amministrazione, non 
pu� trovare applicazione l'istituto della rinnovazione 
tacita del contratto, che viene posto in essere 
con una manifestazione tacita di volont� di entrambe 
le parti contraenti -desunta dal fatto che 
il conduttore, alla scadenza del contratto, rimane 
nella detenzione della cosa locata senza l'opposizione 
del locatore -e che d� luogo a un negozio 
giuridico nuovo. 

La prima massima � di ovvia esattezza e non si 
comprende come la questione possa essere stata solleva.
ta. 

La seconda massima, accogliendo la tesi dell'Avvocatura, 
conferma un indirizzo giurisp�rudrnziale 
ehe pu� ben dirsi ormai costante. 

DANNI DI GUERRA -Contributo per riparazioni Recupero 
spese. Cassazione, I Sezione Civile, Sentenza) 
14 marzo 1963, n. 644 -Pres.: Celentano; Est.: Stella 
Richt.er; P. M.: Out.rupia -Finanze c. Colella). 

L'art. 55 della legge n. 968 del 1953, il quale 
fa obbligo al Ministero del Tesoro di liquidare 
d'ufficio i contributi per i danni di guerra a favore 
di persone fisiche o giuridiche i cui beni, danneggiati 
o distrutti per fatto di guerra, siano stati 
ripristinati direttamente dallo Stato o da enti 
controllati dallo Stato con :finanziamenti concessi 
dallo Stato o dagli enti medesimi, demandando ad 
un successivo decreto presidenziale di stabilire le 
norme per il recupero della differenza tra gli esborsi 
anzidetti ed il contributo liquidato ove non vi 
provvedano gi� le disposizioni , vigenti, non � 
incompatibile con l'art. 40 del decreto legislalivo n. 
261 del 1947, che impone al proprietario dell'edificio 
riparato dal genio civile di rimborsare i due terzi 
della spesa per la riparazione, ma si limita a stabilire 
il s�iiema di riscossione in dipendenza del 
credito che il privato abbia nei confronti dell'Amministrazione, 
nel senso che l'obbligo del proprietario 
di rimborsare i due terzi della 13pesa sostenuta 
dallo Stato � condizionato alla preventiva liquidazione 
del contributo attribuito dalla legge del 1953 
�d � limitato quantitativamente per effetto della 
detrazione dell'ammontare della spei:m dell'importo 
del contributo. � 

La sentenza � cos� motivata : 

La tesi sostenuta dall'Amministrazione ricorrente 
pu� cos� compendiarsi: l'ar1r. 40 del D.L.C.P.S. 
10 aprile 1947, n. 261 dispone che i proprietari dei 
fabbricati danneggiati per fatto di guerra, che siano 
tipristinati di ufficio dal Genio Civile, sono tenuti 
al rimborso delle spese di riparazione limitatamente 
ai due terzi. Tale disposizione � perfettamente 
compatibile con quella dell'art. 55, comma 3� 
della legge 27 dicembre 1953; n. 968, secondo la 
quale il Ministro del Tesoro provvede di ufficio 
alla liquidazione dei contributi a favore di persone 
i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra 
siano stati ripristinati direttamente dallo Stato o 
mediante :finanziamenti concessi dallo Stato o per 
suo conto. Da queste combinate norme risulta che i 
proprietari, nell'indicata ipotesi, sono tenuti al 
rimborso dei due terzi della spesa sostenuta dallo 
Stato, salvo ad aver diritto ad un contributo, 
che sar� liquidato tenendo conto dell'onere del 
rimborso anzidetto. 

La disposizione dell'art. 40 del decreto del 1947, 
�, invece, incompatibile con quella dell'ultimo 
comma dell'art. 55 della legge del 1953, secondo la 
quale con decreto del Presidente della Repubblica 
sarebbero state dettate le norme per il recupero, 
a favore dello Stato, dalla differenza tra gli esborsi 
per il ripristino dei beni e il contributo liquidato 
(decreto poi emanato il 30 giugno 1959, n. 638.) 
Ci� dimostra che l'ultimo comma dell'art. 55 della 
legge del 1953 regola una materia diversa da 
quella regolata dall'art. 40 del decreto del 1947, 
come � fatto palese dall'inciso finale �ove non provvedano 
gi� le disposizioni vigenti �. E la materia 
sarebbe quella dei lavori di ripristino dei fabbricati 
eseguiti ai sensi delle leggi 9 luglio 1940, n. 938 e 
26 ottobre 1940, n. 1543, che non prevedevano 
l'obbligo dei proprietari di rimborsare le spese, vale 
a dire anteriormente alle leggi per il ricovero dei 
senza tetto (D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366; 

D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305 e D. L. O. P. S. 
10 aprile 1947, n. 261). Quindi la norma in esame si 
applica solo rispetto ai lavori di ripristino iniziati 
prima del 31 agosto 1944, data di riferimento del 
D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366, che per primo 
sancisce l'obbligo del rimborso delle spese. 
In conclusione, qualora si tratti di lavori di riparazione 
o ricostruzione eseguiti sotto l'impero 
delle leggi per il ricovero di senza tetto, il proprietario 
� tenuto al rimborso dei due terzi della spesa 
sostenuta dallo Stato, senza poter invocare che 
dal relativo importo sia detratto il contributo 
spettantegli. 

La tesi � infondata. 
� da ricordare che hi; legge 26 ottobre 1940, 


n. 1543, la quale prevedeva un risarcimento integrale 
dei danni di guerra, ha avuto una limitatissima 
applicazione, per la gravit� dei danni e l'incertezza 
della situazione bellica, nonch� per la m�ncata 
iniziativa dei privati nella riparazione o ricostru~--zione 
dei fabbricati. Ma, essendosi determinata la 
mancanza di abitazioni, si sono dovute emanare 
le disposizioni legislative del 1944, 1945 e 194 7 
sopra richiamate, in virt� delle quali lo ~tr tQ IHY 
-����--��----��-��-�-------��-----------------------------



-137 

vide al ripristino dei fabbricati, al fine di offrire 
un ricovero ai senza tetto. Lo Stato non ritenne 
poi di poter sostenere l'onere del risarcimento integrale 
dei danni di guerra, dato l'ammontare ingentissimo 
di essi, ma di dover solo dare un indennizzo 
parziale o un contributo alle ricostruzioni o riparazioni, 
e, in attesa di disciplinare tali sovvenzioni, 
stabil� l'obbligo dei proprietari di rimborsare i due 
terzi della spesa occorsa per il ripristino, calcolando 
che l'altro terzo pot�sse rappresentare l'indennizzo 
.a titolo di risarcimento. E appunto per la man-
0anza, in quel tempo, della disciplina del risarcimento, 
fece rinvio ad un secondo tempo per il 
-0omputo del dare e dell'avere: l'art. 87 del decreto 
del 1947, infatti stabilisce che l'ammontare della 
spesa doveva essere comunicato all'intendente di 
:finanza �ai fini di eventuali conguagli a favore 
del proprietario in sede di liquidazione di indennit� 
per danni di guerra� (analoga disposizione conteneva 
l'art. 65 del D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305). 
La nuova legge del 1953 disciplina gli indennizzi 
~ i contributi per i danni di guerra: nell'art. 27 
pone il criterio per la commisurazione dei contributi 
�e nell'art. 55 scioglie la detta riserva. Il credito 
da recuperare non � pi� quello indicato in via prov-
visoria nei due terzi della spesa, ma solo quello 
dato dalla differenza tra l'importo della somma 
erogata nel ripristino e l'ammontare del contributo 
dovuto secondo la nuova legge, e che non pu� 
.in alcun modo eccedere i due terzi di quella somma, 
mentre di regola sar� minore. 

Invero l'art. 55 stabilisce che il Ministero deve 
provvedere di ufficio alla liquidazione dei contributi 
a favore delle persone i eui beni, danneggiati 

o distrutti per fatto di guerra, siano stati ripristinati 
dallo Stato o con finanziamenti da esso concessi 
ovvero da enti controllati dallo Stato o con 
:finanziamenti dei medesimi. E demanda poi ad 
un successivo provvedimento le norme per il 
1�ecupero della differenza fra i detti esborsi e il 
contributo liquidato, ove gi� per tale recupero 
non provvedano le disposizioni vigenti. In tali 
sensi statuiscono gli ultimi tre commi dello 
articolo, i quali non possono non essere considerati 
intimamente connessi tra loro, tanto 
pi� che l'ultimo richiama esplicitamente gli 
.altri due. 
Ora siffatto ultimo comma pone due principii, 
l'uno � che il contributo per danni di guerra va 
detratto all'ammontare degli esborsi effettuati per 
il ripristino dei fabbricati, appunto perch� il contributo 
� liquidato di ufficio, ai� sensi dei commi 
precedenti; l'altro � che le modalit� per il recupero 
della differenza saranno stabilite con decreto del 
Presidente della Repubblica, salvo che siano gi� 
stabilite dalle disposizioni vigenti. 

Quest'ultimo inciso perci� si riferisce solo alle 
modalit� per il detto recupero, modalit� in effetti 
stabilite dal D. P. R. 30 giugno 1959, n. 638, che 
riferendosi al 3� e 4� comma dell'art. 55 della legge 
del 1953, prevede l'emanazione di decreto del 
Ministero del Tesoro, determinativi delle somme, la 
notificazione di essi, il pagamento in unica soluzione 
o mediante ratizzazione, le impugnazioni e 
l'esecuzione. 

~e consegue che il primo dei due principi enun


ciati, vale a dire quello della detraibilit� del contri


buto dell'ammontare della spesa da rimborsare, si 

applica in tutti i casi in cui il contributo �� spetta. 

Esso quindi si pone come una norma limitativa 

rispetto a quella dell'art. 40 della legge del 1947, 
.nel senso che l'obbligo del proprietario di rimborsare 
i due terzi della spesa sostenuta dallo Stato � condizionato 
alla preventiva liquidazione del contributo 
attribuito dalla successiva legge del 1953 ed � 
limitato quantitativamente per effetto della detrazione 
dell'ammontare della spesa dell'importo del 

contributo. 

La esposta interpretazione non contrasta con la 
natura di mero interesse legittimo riconosciuto pacificamente 
dalla giurisprudenza di questo Supremo 
Collegio e dalla dottrina all'aspettativa per il 
risarcimento dei danni di guerra. In vero la liquidazione 
del contributo resta rimessa all'amministrazione 
senza possibilit� di tutela avanti alla 
autorit� giudiziaria: se tale liquidazione non ha 
luogo, l'interessato non pu� richiederla al giudice, 
e cosi se essa non � adeguata, non pu� dolersene 
avanti al giudice. Ma la liquidazione medesima, 
essendo imposta all'amministrazione ed essendo 
necessaria per la determinazione della somma che 
il privato � tenuto a pagarle a titolo di rimborso 
della spesa per la ricostruzione, si pone come condizione 
per l'esercizio dell'azione, da parte dell'Amministrazione 
medesima per il recupero della differenza 
tra la somma erogata e l'ammontare del 
contributo. 

Per queste considerazioni il ricorso deve essere 
respinto, con le conseguenze di legge in ordine 
alle spese. 

Con la sentenza sopra riportata la Corte Suprema 
ha ritenuto illegittimo il comportamento fin qui 
seguito dall'Amministrazione, la quale aveva provveduto 
a richiedere, ai proprieta1�i degli immobili 
riparati a spese dello Stato, il rimborso dei dite terzi 
delle spese di riparazione, prescindendo dalla liquidazione 
del contributo per danni di guerra. Tale 
comportamento aveva, peraltro, ottenuto il conforto, 
sia pure implicito, di altra sentenza della stessa 
Corte di Cassazione (Sent. 6 ottobre 1960, n. 2577, 
in Giur. It., 1961, I, l, 9). 

L'Amministrazione ha deciso di adeguarsi alla 
ultima pronuncia del Hupremo Collegio. 

DOMICILIO -RESIDENZA -Trasferimento residenza 
all'estero -Opponibilit� al terzo di buona fede -For� 
malit� da osservare. (Corte di Cassazione, Sezione I, 
Sentenza n. 1921/63 -Pres.: Vistoso; Est.: D'Amico; 

P. M.: Caldarera (conf.) -Salviati c. Amministrazione 
Finanze dello Stato). 
La doppia dichiarazione, fatta al Comune che 
si abbandona e al Comune ove si fissa la nuova-. 
residenza � richiesta per la validit� del trasferimento 
nei confronti dei terzi di buona fede solo 
per il trasferimento di residenza da un comune 
all'altro nella Repubblica Italiana ma non � richiesta 
per il trasferimento in un Comune di Stato 



-lJl:S 


estero non potendo la legge italiana imporre 
adempimenti agli uffici comunali esteri; in tale 
fattispecie � sufficiente la sola dichiarazione del 
comune che si abbandona, .con la indicazione del 
Comune dello Stato estero ove si trasferisce la 
residenza. 

L'omessa indicazione del Comune estero rende il 
trasferimento inopponibile al terzo di buona fede , 

o immutata la residenza originaria. 
Trascriviamo la 1notivazione in diritto della sen 
tenza: 

Con il primo mezzo i ricorrenti, denunciando la 
violazione degli artt. 142, 291 C.p.c. in relazione 
all'art. 44 e.e., sostengono che nel giudizio di 
appello doveva essere rilevata la nullit�: della 
notifica dell'atto di riassunzione, notifica eseguita 
in Roma, dopo la morte di Giacomo Salviati, 
anche per gli eredi Agnese e Gherardo, mentre 
risultava dai certificati anagrafici esibiti che avevano 
trasferito la residenza, la prima in Francia 
e il secondo nel Congo. 

Risulta dagli atti di causa -l'indagine di 
fatto � consentita a questa Corte, trattandosi di 
errore in procedendo -che, nella prima udienza 
istruttoria del giudizio di appello, si costitu� lo 
avv. Pacifici per Maria Teresa Salviati, quale 
erede di Giacomo S,alviati, deceduto nel corso 
del giudizio. Il Consigliere Istruttore dispose la 
integrazione nei confronti degli altri eredi. La 
Amministrazione delle Finanze provvide all'integrazione 
con atto del 25 marzo 1960, notificandolo 
ad Agnese, Bona e Gherardo Salviati, figli di 
Giacomo, e alla vedova Maria Immacolata Ca.pece 
Galeata; le copie furono consegnate, nel loro 
domicilio in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia, 
n. 11, all'addetto al servizio Luigi Rossi, 
nella loro precaria assenza. 

Restarono contumaci Agnese e Gherardo Salviati 
e la vedova Salviati. Dai certificati anagrafici 
del Comune di Roma, esibiti nel giudizio di appello, 
risulta che Agnese Salviati, maritata con Guido 
De Tulle di Villa.franca, � emigrata in Thennisei 
(Francia) il 6 luglio 1947, e che Gherardo Salviati 
� emigrato nel Congo il 27 aprile 1959. 

Ora, prendendo innanzitutto in esame ht notifica 
eseguita nei confronti di Agnese Salviati, non pu� 
dubitarsi che essa doveva essere fatta a norma 
dell'art. 142 C.p.c., come a persona non residente 
n� dimorante n� domiciliata ~n Italia. Il trasferimento 
della residente pu� essere opposto ai terzi 
se � stato denunciato nei modi prescritti dalla legge 
(art. 44 e.e.), e cio� con la doppia dichiarazione 
fatta al comune che si abbandona e a quello dove 
si intende fissare la dimora abituale: nella dichiarazione 
fatta al comune che si abbandona deve 
risultare il luogo in cui � fissata la nuova residenza 
(art. 31 delle disposizioni per l'attuazione del Codice 
civile). Se per� si tratta di trasferimento 
della residenza all'estero non � richiesta la doppia 
dichiarazione: essa riguarda soltanto i trasferimenti 
da un comune all'altro dello Stato, non 
potendo la legge italiana imporre i correlat.ivi 

adempimenti agli uffici comunali esteri (Cass., 28 
aprile 1949, n. 1014). 

Agnese Salviati, indicando all'ufficio anagrafico 
di Roma esattamente il luogo della sua nuova. 
residenza (Comune di Theri.n�sei in FfaiJ.cia) ha 
adempiuto gli obblighi di legge. N� pu� dirsi 
che essa abbia cqnservato il domicilio in Italia;. 
innanzitutto quando si trasferisce altrove la residenza, 
s'intende trasferito anche il domicilio, tranneche 
nell'atto in cui � stato denunciato il trasfer�-� 
mento della residenza si sia fatta una diversa 
dichiarazione (art. 44 e.e.); in secondo luogo la 
Salviati � coniugata e la moglie �ha il domicilio del 
marito (art. 45 C.c.). N� vale apporre che nella 
specie la prova della permanenza� del domicilio e� 
comunque della residenza in Roma � data dalla. 
attestazione dell'ufficiale giudiziario che provvide 
alla notifica della riassunzione, consegnandola a 
persona dipendente che dichiar� di riceverl::i, nella 
precaria assenza della destinataria. L'atto dello� 
ufficiale giudiziario fa fede fino a querela di falso� 
di ci� che egli attesta compiuto da lui e alla sua 
presenza, ma non delle verit� � delle dichiarazioni 
di chi riceve l'atto; la non rispondenza a verit� 
di queste dichiarazioni pu� essere dimostrata da 
prova contraria, e nel),�.l specie la prova � stata 
data con l'esibizione del certificato anagrafico. 

Deve ritenersi invece regolare la notifica eseguita 
nei confronti di Gherardo Salviati, che si era limitato 
a denunciare all'ufficio anagrafico di Roma il 
suo trasferimento nel Congo, omettendo di indicare 
la precisa localit�, richiesta invece dall'articolo 31 
delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile; 
in mancanza deve ritenersi immutata la residenza 
originaria per i terzi di buona fede (Cass.,. 
11 marzo 1958, n. 818; 13 aprile 1960, n. 872). 

ESECUZIONE FISCALE -Entrate patrimoniali dello 
Stato -Procedimento ingiunzionale speciale -Art. 1 

n. 639 del 1910 -Ambito di applicabilit�. (Corte 
di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1729/63 -Pres.! 
Torrente; Est.: Del Conte; P. M.: Trotta (conf.) Finanze 
c. C.R.A.L. di Cordignano). 
Per l'ampio e generico riferimento all'entrata 
patrimoniale, contenuto nell'art. 1 della legge n. 639 
del 1910, lo Stato o gli altri enti pubblici ivi previsti 
possono avvalersi dello speciale procedimento 
ingiunzionale non solo per le entrate strettamente 
di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto 
privato. 

Tale procedimento, tuttavia, per la natura sui 
generis che cumula in s� le caratteristiche del 
titolo esecutivo e del predetto, e per il suo fondamento 
derivante dal potere di autoaccertamento 
della Pubblica amministrazione non pu� estendersi 
anche alle ipotesi in cui, come quella del 
risarcimento dei danni per fatto illecito, mancano 
i requisiti della certezza e della liquidit�-del credito 

o sia la causa giuridica che la prova della sussi-stenza 
e dell'ammontare del credito stesso, essendo 
completamente al di fuori della sfera. della Pubblica 
amministrazione, non possono essere apprezzate 
che dall'autorit� giudiziaria. 

. -�-�----��-�-------------------------------------


-139 


ESECUZIONE FISCALE -Entrate patrimoniali dello 
Stato -Ingiunzione di cui al T. U. 14 aprile 1910, 

n. 639 -Applicabilit� p�r crediti liquidi, esigibili e 
certi -Inapplicabilit� per crediti risarcitori. (Corte 
di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1950/63; Pres.: 
Celentano; Est.: Di Majo; P. M.: Silocchi (conf.) -. 
Amministrazione Finanze Stato c. Soc. Cave Reno). 
L'ingiunzione fiscale di cui al Testo unico 14 
:aprile 1910, n. 639 ha per suo fondamentale presupposto 
che il credito' in base al quale viene 
emesso l'ordine di pagare la somma sia liquido, 
esigibile e quindi certo. Pertanto, la Pubblica 
Amministrazione non ha il potere di autotutelarsi 
con la speciale procedura coattiva di cui al detto 
Testo unico in ordine alle sue pretese di soddisfazione 
dell'obbligazione risarcitoria di terzi, trattandosi 
di crediti che mancano dei requisiti di 
liquidit�, esigibilit� e certezza. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della se-
conda sentenza. 
:E' da ritenere ohe l'indirizzo della Corte Suprema 
�nella materia debba considerarsi ormai consolidato. 

Con i due motivi del ricorso, che sono strettamente 
connessi, la Amministrazione ricorrente, nel 
denunciare la violazione e falsa applicazione delle 
norme relative alle riscossioni delle entrate patrimoniali 
dello Stato (T.U. 14 aprile 1910, n. 630), 
deduce che erroneamente i giudici del merito 
hanno ritenuto di escludere il potere di autoaccertamento 
della Pubblica Amministrazione, ai 
sensi delle indicate norme, di un credito risarcitorio 
derivante dalla abusiva occupazione di un 
bene demaniale. 

La censura � infondata. 

Non si dubita che l'ingiunzione :fiscale di cui al 
Testo unico n. 639 del 1910 tenda alla sollecita 
riscossione delle entrate patrimoniali e dei pro-
venti del demanio pubblico e dei pubblici servizi 
dello Stato e degli altri enti pubblici indicati nello 
.art. 1 di detto Testo unico, e che l'ingiunzione 
medesima costituisca una estrinsecazione del potere 
di supremazia dello Stato e di detti Enti in relazione 
ai fini c1 i �:ecessaria utilit� generale perseguiti 
dalla Pubb: __: Amministrazione (sent. 381/1959; 
2125/1961). 

Ma � agevole considerare, nel quadro del sistema 
generale dell'ordinamento giuridico, che trattasi 
pur sempre d'ingiunzione, la quale ha a suo fondamentale 
presupposto che il credito in base al 
quale viene emesso l'ordine di pagare la somma 
dovuta sia liquido, esigibile e quindi certo (sentenza 
Sezioni Unite, n. 3156 del 1936). Il che ov-
viamente non � configurabile per i crediti risarcitori 
in genere che l'Amministrazione pu� vantare verso 
terzi appunto perch� tali crediti mancano di quei 
requisiti di liquidit�, esigibilit� e certezza, che 
-costituiscono condizione necessaria per il sorgere 
di quel potere di supremazia estrinsecantesi nell.a 
ingiunzione. 

In relazione poi al non discutibile principio che 

�di regola solo il giudice ordinario pu� assicurare 

la tutela dei diritti . soggsttivi g-a:ran.titi . dalla 

norma giuridica, anche nei riguardi della Pubblica 
Amministrazione, deve ritenersi che non � sicuramente 
consentito all'Amministrazione stessa il 
potere di autotutelarsi, con la� speciale procedura 
coattiva del 1910, in ordine alle sue pretese di sodisfazione 
dell'obbligazione risarcitoria di terzi (come 
quella di cui � causa), la quale obbligazione pu� 
acquistare carattere di certezza, nei rapporti controversi, 
soltanto, come si diceva, attraverso il 
crisma del giudice e nei modi ordinari. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Finanziamenti accordati 
da Istituti di credito con contestuale rilascio di cambiali 
-Assorbimento dell'imposta di registro dovuta 
per il finanziamento in quella di bollo scontata 
sulle cambiali. (Cassazione, Sezione I, 5 aprile-11 
luglio 1963, n. 1873 -es.: Vistoso; Rei.: Caporaso; Pr. 
M.: Cutrupia -Finanze. c. S.p.A. Ercole Marelli). 

Sia secondo il Regio decreto 19 marzo 1936, 

n. 2170 che secondo la legge 4 aprile 1953, n. 261, 
con norme di favore per l'imposta di registro sui 
finanziamenti accordati da Istituti di Credito in 
relazione a cessioni di credito verso Pubbliche 
Amministrazioni dipendenti da appalti o forniture, 
l'imposta di registro dovuta per i :finanziamenti � 
surrogata, nel caso di contestuale rilascio di cambiali, 
dalla imposta di bollo scontata per queste 
ultime anche se le cambiali, integralmente trascritte, 
non siano rilasciate solvendi causa, ma con 
mera funzione di garanzia. 
In diritto la sentenza � cos� motivata: 

Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione 
delle Finanze lamenta che la questione :fiscale 
di cui si tratta sia stata decisa in base alla legge 
4 aprile 1953, n. 261, la quale � successiva al tassato 
rogito Mossolin 11 giugno 1951: perci� non 
� applicabile nella specie . 

Senza dubbio la norma tributaria vigente alla 
epoca della stipulazione dell'atto di :finanziamento 
concesso dalle Casse di Risparmio alla ditta Marelli 
e garantito da cessioni di credito verso il Comune 
di Napoli era quella contenuta nell'art. 1 del regio 
decreto 19 dicembre 1936, n. 2170, esattamente 
richiamato nella parte espositiva della sentenza 
impugnata. 

La quale per�, nel precisare i termini della norma 
di legge applicabile nella specie, si � esclusivamente 
riferita alla cc nota� dell'art. 2 della citata legge 
4 aprile 1953, n. 26. Ci� sul presupposto, del resto 
pacifico fra le parti, che per le operazioni di :finanziamento 
da parte degli istituti di credito di cui 
al decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, con corrispettive 
cessioni di credito verso la Pubblica Amministrazione, 
l'esenzione fiscale prevista dalle due 
successive norme di legge sia rimasta fondamenta1--mente 
immutata. La stessa Amministrazione aveva, 
sia nell'atto di appello sia nella comparsa conclusionale, 
testualmente premesso, che l'agevolazione 
tributaria, prevista dall'art. 1 del Regio decreto 
legge -19 settembre 1936, n. 2170 corrispondev.a 


-140 -


esattamente a quella previ3ta dalla nota dell'articolo 
2 della legge 4 aprile 1953, n. 261 e proseguiva 
affermando che per tale agevolazione la legge pone 
due condizioni: a) che il finanz~amento sia posto 
in essere con le cambiali; b) che le cambiali siano 
trascritte nell'atto. L'Amministrazione poneva 
quindi la questione, come tuttora la pone, negli 
stessi termini e con le stesse argomentazioni gi� 
svolte in fattispecie identiche, sicuramente regolate 
dalla nuova legge dell'aprile del 1953 (vedi, 
da ultimo, Oass., 14 febbraio 1963, n. 321). 

Ci�, del resto, si spiega agevolmente col fatto 
che la lettera, il contenuto e la ratio delle due 
norme si identificano in maniera evidente, poich� 
l'una parla di � finanziamento posto in essere con 
cambiali>> e l'altra di �finanziamento posto in 
essere mediante cambiali>>. 

La questione sorta in questo come altri precedenti 
giudizi � dunque sempre la medesima, stabilire, 
se, alla stregua dell'una e dell'altra norma 
di legge, il beneficio sia dovuto solo se si tratti di 
rapporto di credito posto in essere mediante rilascio 
di cambiali solvendi causa (tesi dell'Amministrazione 
Finam~iaria), ovvero anche se si tratti di 
finanziamento collegato ad un rapporto cambiario 
accessorio, avente funzione di garanzia. 

Di questo problema si occupa il secondo motivo 
di ricorso. 

Ma, come si � gi� accennato, la questione � stata 
risolta da precedenti _ decisioni di questo stesso 
Collegio il quale h� accolto la tesi che anche nel 
caso in cui il rilascio di cambiali da parte del debitore 
sia solo a garanzia del finanziamento concesso 
dalla banca dietro cessione di crediti verso enti 
pubblici per appalti di lavori e forniture di merci, 
la tassa graduale di bollo scontata dalle cambiali 
medesime assorbe quella proporzionale di registro 
dovuta per l'atto di finanziamento (Sent. n. 1044 
del 1961 e 321 del 1963). 

Tale massima si fonda principalmente sul rilievo 
che secondo la stessa previsione della legge deve 
trattarsi di due diversi rapporti, di finanziamento 
e cambiario, certamente collegati tra loro, ma non 
fino al punto che le cambiali debbano necessariamente 
essere rilasciate solvendi causa e non a scopo 
di garanzia del finanziamento medesimo. Il rapporto 
cambiario pu� avere anche uno scopo semplicemente 
sussidiario e strumentale, cio� concorrente 
al pi� rapido e sicuro recupero della sovvenzione 
accordata al soggetto passivo dell'operazione 
di finanziamento. Pertanto, alla surrogazione della 
imposta proporzionale di registro, si ha diritto anche 
nella ipotesi in cui le cambiali assolvono, come nel 
caso concreto, una funzione di garanzia della 
obbligazione assunta dal sovvenuto. 

Con le precedenti decisioni di cui sopra questa 
Corte ha altres� ritenuto che � irrilevante la presenza 
di clausole contrattuali dirette a disciplinare 
le modalit� del finanziamento indipendentemente 
dal rapporto cambiario, sempre per la medesima 
ragione che trattasi di due distinti rapporti, sebbene 
funzionalmente collegati. Per conseguenza 
non ha fondamento neppure il terzo ed ultimo 
motivo di ricorso con il quale si sostiene la tesi 
contraria, facendosi richiamo alla giurisprudenza 

relativa al t.rattamento tributario delle cambiali 
ipotecarie. Ma � stato gi� rilevato che � divers�' 
il presupposto del regime tributario in materia di 
ca,.mbiali ipotecarie, sicch� i principi . st~bj}iti per 
quella fattisp�cie non possono valere anche per 
la diversa ipotesi disciplinata con l'art. 1 della 
_bgge del 1936 e pci dall'art. 2 della legge del 1953. 

A) Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha 

confermato, anche per la legge 19 marzo 1936, nu


mero 2170, quello che in ripetute occasioni (cfr. Sen


tenze 1044/61-1046/61 e 321/63) ha affermato, per 

il regime agevolato, ai fini dell'imposta di registro, 

dei finanziamenti concessi dagli Istituti di credito, 

contemplati dal decreto-legge 375 del 1936, in 

relazione a cessioni, pro soluto o pro solvendo, di 
crediti verso Pubbliche Amministrazioni dipendenti 
?da appalti, lavori o forniture di merci. La lettera, 

: il contenuto e lo spirito sia dell'una che dell'altra 
nm�ma di legge -precisa. la Corte di Cassazione portano 
a ritenere che l'assorbimento delle imposte 
di registro per il finanziamento in quelle di bollo 
per le cambiali riceve applicazione non solo nel 
caso in cui le cambiaU predette svolgono il ruolo di 
titolo costitutivo e pi� precisamente di me.zzo di 
attuazione del finanziamento, ma anche nel caso in 
cui svolgono il ruolo di garanzia, di titolo parato 
concorrente al pi� rapido e sicuro recupero della 
sovvenzione. .AZle argomentazioni in contrario addotte 
sia con richiamo alla lettera della legge finanziamento 
posto in essere mediante cambiali che 
alla posizione, nei singoli atti, di clausole che 
disciplinano, di solito, il finanziamento in modo diverso 
dal rapporto cambiario, la Corte di Cassazione 
ha opposto che nella stessa previsione legislativa si 
contemplano due diversi rapporti -finanziamento 
e cambiali -e che lo scopo del particolare trattamento 
fiscale � quello di escludere il concorso delle 
imposte graduali di bollo smle cambiali e delle 
imposte proporzionali di registro sul finanziamento. 
I)a ci� la necessit� di un collegamento fra finanziamento 
e rapporto cambiario e non anche di una loro 
compenetrazione. 
Le ripetute pronunce, in tale senso, intervenute 
nella particolare materia, costituiscono, ormai, giurisprudenza 
costante, alla quale non resta che uniformarsi. 


IMPOSTA DI REGISTRO-Pagamento dell'imposta Privilegi 
nei confronti del terzo acquirente -Termine 
di decadenza di quattro anni. (Corte di Cassazione, 
Sezione I, Civile 24 aprile 1963, n. 1086 -
Lucertoni c. Lunghi). 


L'azione esecutiva del Fisco (o di chi gli si surroga) 
per la riscossione del credito per imposta di 
registro e il relativo privilegio nei confronti del terzo 
acquirente dell'immobile sono soggetti al termin�,di 
decadenza di quattro anni decorrente dalla data 
di registrazione dell'atto di compravendita ciii -si 
riferisce il tributo: tale termine, previsto dal 
2� comma dell'art. 97 della legge di registro, � di 
decadenza e non di prescrizione e come tale non 
� soggetto a sospensione n� ad interruzione. 

".,.... ,.,...., ..,�--�-�------------------------~"'"" 


-141 ;,__ 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


Con il quarto mezzo il ricorrente, denunciando 
la violazione degli art. 97, u.c. e 98 regio decreto 
30 dicembre 1923, n. 3269, in relazione all'art. 360 

n. 3 C.p.c., assume che, contrariamente a quanto 
ritenuto dalla Corte di merito, gli atti che interrompono 
la prescrizione ai sensi dell'art. 141 legge 
registro se esplicano la loro efficacia nei confronti 
di tutti i condebitori solidali dell'imposta, non 
spiegano alcun �ffetto nei confronti del te~ossessore, 
il quale non � un condebitore solidale, ma 
� invece un responsabile; con la conseguenza che 
non pu� non verificarsi la prescrizione quando 
nessun atto interruttivo venga posto in essere 
direttamente contro il terzo possessore. 
Questa censura � fondata. 

La risoluzione della questione proposta col mezzo 
postula ovviamente la :risoluzione dell'altra circa 
la natura del termine previsto dall'art. 97, ultimo 
comma, della legge del registro, se cio� trattisi di 
termine di prescrizione o di decadenza. 

Come � ben noto, l'art. 97 cit., nello stabilire al 
1o comma che lo Stato ha privilegio, secondo le 
norme stabilite dal Codice civile, per la riscossione 
delle tasse di registro sui mobili ed immobili cui 
la tassa si riferisce, privilegio che garantisce anche 
la tassa di registro dovuta sul maggior valore accertato 
nel giudizio di stima, detta poi nel 2� comma 
che �l'azione si estingue nei termini stabiliti dalla 
presente legge per domandare il pagamento della 
tassa o del suo supplemento �. 

La Corte del merito ha ritenuto che tale termine 
sia di prescrizione e non di decadenza facendo leva 
sull'argomento che il cennato precetto fa esplicito 
riferimento agli� articoli contenuti nel titolo VI 
capo I della legge di registro che tratta cc delle 
prescrizioni n e precisamente agli art. 136 e 137 
(successivamente modificati dall'art. 1, n. 1 della 
legge 25 giugno 1940, n. 799 che ha prolungato 
di un anno il termine di tre anni); si � detto al 
riguardo che la legge ha voluto in sostanza misurare 
la vita dell'azione reale contro il terzo possessore 
sulla durata concreta dell'azione personale 
nei riguardi del debitore d'imposta per evitare, che 
con il passaggio dei beni, il privilegio potesse estinguersi 
prima e indipendentemente dal credito di 
imposta e si � concluso che pertano gli atti interruttivi 
che impediscono la prescrizione contro il 

:!" persllonalmalente �obtb1!g~tot impediscono ugu(alment~ 
, que a re e con ro i 1erzo possessore come s1 
era veri.1:�&to nel caso di spede) 
Ma questa interpretazione, come ha esattamente 
osservato il Procuratore generale nella requisitoria 
orale, non pu� essere condivisa. Il termine previsto 
nell'art. 97, 2� comma legge di registro � 
di decadenza e non di prescrizione. L'argomento 
addotto-dai Giudici del merito non sembra effi� 
ciente a favore della tesi da essi adottata: che 
anzi da esso si rilevano ragioni contrarie alla tesi 
medesima. 
Infatti, � agevole osservare che il richiamo fatto 
dah'art. 97 (collocato nel capo eh.e si intitola �~el 
pagamento della tassa e dell'azione personale e 

reale per la loro riscossione�) agli artt. 136 e 137� 
(posto inveca nel capo �delle prescrizioni�) sarebbe 
stato del tutto inutile se si fosse traittato di termine 
di prescriz:one,perch� i diritti reali argaraniia, 
in cui sono attratti i privilegi specia.li, non possono 
che seguire, per la loro stessa struttura, le sorti 

,del credito cui accedono. Una volta estinto il 
credito principale � ovvio che quello di garanzia 
non pu� autonomamente rimanere in vita. 

Escluso, per ragion di sistema, che il legislatore 
abbia voluto enunciare con l'art. 97, 2� comma,

Iun precetto del tutto superfluo, indub!:>Jamente il 

1 precetto stesso deve avere altra ratio. E precisa


. mente quella che si identifica nella avvertita 
necessit� di porre un limite ben determinato alla 
durata del privilegio. �Posto 
infatti che tale garanzia reale (svincolata 
anche da ogni pubblicit� immobiliare) consente 
allo Stato creditore (o a chi ad esso si surroga) 
di perseguire il bene anche quando questo �~assato 
dal patrimonio del deoitore nelle mani di t~zi, 
estranei al debito d'imposta, si � ritenuto opportiiii�~-
per"�onsfileraif�n.r��ar. ordine pubblico, che 
attengono al principio di certezza e tutela della 
propriet� immobiliare, di prefiggere appunto un 
termine rigido entro il quale la azione priv!!,.egiata 
possa essere esercitata. E la locuzione usata nella 
norma in esame offre ulteriore argomento a conforto 
della tesi qui sostenuta (e seguita in tal 
senso dalla prevalente dottrina del diritto tributario), 
giacch� nell'art. 97, 2� comma, della legge 
di registro si dice che l'azione si estingue richiamandosi 
cos� un concetto di eliminazione automatica 
(ipso iure) del corrispondente diritto soggettivo. 
Per vero il Codice civile abrogato, cui la 
legge di registro � ovviamente adeguata, a proposito 
della prescrizione, non parlava di estinzione, 
ma diceva invece che � tutte le azioni tanto reali 
quanto personali si prescrivono n (art. 2135) e 
l'art. 137 della legge cennato usa infatti la stessa 
espressione nel capo che regola le prescrizioni 
(l'azione della Finanza... si prescrive ... ) a differenza 
del Codice vigente che, risolvendo l'antica 
questione se con la prescrizione si estingua il 
diritto soggettivo materiale o l'azione, detta che 
�ogni diritto si estingue per prescrizione� (articolo 
2934). 
Deve ritenersi perci� che il legislatore abbia 
voluto ancorare l'estinzione del privilegio unicamente 
al fatto oggettivo della mancanza di esercizio 
del relativo diritto nel tempo stabilito (che 
coincide con quello della prescrizione del debito 
d'imposta), e non gi� al fatto soggettivo della 
inerzia del titolare protratta per il tempo medesimo. 
E questo porta a concludere che trattasi di decadenza 
e non di prescrizione con la necessaria 
conseguenza che la decadenza non tollera n� 
sospensione, n�� interruzioni (art. 2964). 
� Fermo in definitiva l'indirizzo segnato da questa 
Corte Suprema a Sezioni Unite secondo cui il ven-ditore 
il quale �bbia pagato per conto del compratore 
la tassa (principale o complementare) di registro 
ha diritto di rivalsa sull'immobile gravato dal 
privilegio,. a chiunque questo appartenga, giacch� 
la garanzia reale, per il diritto di seguito si tra




-142 


:sferisce ai successivi acquirenti dell'immobile (sentenza 
1468 del 1955, Foro It., 1956, I, 66), la. 
censura del mezzo deve essere accolto sul punto di 
cui si � discorso con rinvio della causa ad altra 
.Sezione della stessa Corte di appello che nel nuovo 
esame si atterr� al principio di diritto che qui viene 
, enunciato: �In conformit� alle esigenze di sicurezza 
nella circolazione dei beni, specie immobi


( 

liari, il termine previsto dall'art. 97, 2� comma 
della legge di rfgistro � di decadenza e non di 
prescrizione e come tale non subisce n� sospensioni 
n� interruzioni, sicch� l'azione esecutiva del Fisco 
. {o di chi ad esso si surroga) per la riscossione del 
�credito privilegiato sull'immobile oggetto del privilegio 
si estingue col decorso di quattro anni che 

l._ 
decorrano dalla data di registrazione dell'atto di 
compravendita cui si riferisce il tributo �. 

A) L'azione esecuti'Va reale, per la riscossione 
del credito per imposta di registro, sui beni ai quali 
la imposta stessa si riferisce, si estingue nel termine 
di tre anni, indicato dal combinato disposto degli 
artt. 97 e 136 della L.O.R. e non di quattro anni. 
La legge 25 giugno 1940, n. 799, infatti, ebbe a 
porre in 'Via del tutto occasionale ed eccezionale, una 
proroga ai termini di prescrizione e di decadenza 
previsti dalla L.O.R. per ragioni connesse con lo 
stato di guerra. .A simiglianza, invero, di quanto 
avvenuto per la guerra 1915-1918 per effetto del 
-decreto legge 21 maggio -1916, n. 621; decreto legge 
1� aprile 1917, n. 558; legge 11agosto1921, n. 1083; 
�legge 6 dicembre 1923, n. 2696 e regio decreto legge 
2 maggio 1925, n. 622, per la guerra 1940-45 la 
legge 25 giugno 1940, n. 799 prorog� i termini sud-
detti di un solo anno solare. Perdurando lo stato di 
,guerra, alla scadenza di tale anno, avvenuta il 
15 luglio 1941, intervenne la legge 4 luglio 1941, 

n. 693 che prorog�, sempre in via eccezionale ed 
occasionale, i termini stessi fino ad un anno dopo 
J,a dichiarazione della cessazione dello stato di guerra 
e precisamente fino al 15 aprile 194 7 (la cessazione 
-d~llo stato di guerra fu dal D.L.L., n. 49 del 1946 
fissata al 15 aprile 1946). 
Per ragioni connesse con il passaggio dalla legi.
slazione di guerra a quella di pace, tale ultimo 
.termine fu ulteriormente prorogato al 31 dicembre 
1947 con il D.L.C.P.S. 16 novembre 1946, n. 476; 
al 31 dicembre 1949 con il D.L.C.P.S. 23 dicembre 
1947, n. 1464 e per ultimo al 31 dicembre 1951 
�con la legge 23 dicembre 1949, n. 926. 

Nella sentenza annotata, intervenuta fra parti 
private della proroga di un anno recata dalla legge 
25 giugno 1940, n. 799 � stato dato atto, senza, per�, 
che fosse affrontata e risolta la natura occasionale 
�della stessa, le ragioni che l'hanno determinata ed 
il carattere essenzialmente temporaneo, a chiare 
note dimostrato dalle ricordate leggi successive e dai 
:richiami ai precedenti legislativi in esse contenuti. 

B) Il carattere di decadenza del termine in que
�Stione contrasta con l'indirizzo giurisprudenziale formatosi 
al riguardo con la sentenza 8 luglio 1920 
�della stessa Corte di Cassazione e con le decisioni 

6 maggio 1941, n. 40903; 18 febbraio 1943, n. 66798; 

:26 maggio 1947, n. 90212 e 6 maggio 1931, n. 20902 

della Commissione centtale delle Imposte. Contrasta 
anche con autorevole Dottrina (Cfr. I.AMMARINO: 
Commento alle Leggi di Registro, 'Vol. II pag. 43; 
RASTELLO: L'Imposta di Registro, Pllfl.:. 961 e 
segg.). Sia l'iina che l'altra hanno, infatti, costantemente 
ritenuto che il termine fosse di prescrizione 
e che l'interruzione 'Validamente operata nei confronti 
'del soggetto passi'Vo di imposta, spiegasse i propri 
effetti anche nei confronti del terzo possessore. La 
ragione � stata rav'Visata nel fatto che l'azione reale 
per la riscossione dell'imposta di registro ha la 
stessa durata, per espressa norma di legge, di quella 
personale e gli atti interrutti'Vi di questa seconda 
azione, notificati al soggetto passi'Vo, hanno efficacia 
interrutti'Va anche nei riguardi del terzo possessore 
(contra cfr. BERLIRI: Legge di Registro 1952, 
pag. 376 e segg.; UKMAR, III 136 e segg.; PERRICONE: 
Trattato di Diritto Tributario di Registro, pag. 626). 

La qual cosa, appare esatta dato che, la formula


zione stessa della norma contenuta nell'art. 97 della 

L.O.R. porta a ritenere che la estinzione del privilegio 
segue, come conseguenza necessitata, alla estinzione 
del diritto di credito per a'V'Venuta prescrizione. 
Il principio della certezza e della tutela della propriet� 
immobiliare non resta sacrificato. Poich� il 
diritto di prelazione nasce al momento della registrazione, 
il terzo possessore � in condizioni, al 
momento dell'acquisto del bene, di accertare se, giusto 
quanto stabilisce l'art. 10 della legge 12 giugno 
1930, n. 762, presso l'Ufficio del Registro competente, 
'Vi siano accertamenti in corso. 
IMPOSTA DI REGISTRO -Prorr.essa di vendita Registrazione 
a tassa fissa -Promessa di vendita 
costituente vera e propria vendita., -Art. 5 Tariffa 
all. A -Tassa proporzionale. (Corte di Cassazione, 
Sezione I, Sentenza n. 11/63 -Pres.: Varallo; Est.: 
Rossano; P. M.: Silocchi (conf.) -Amministrazione 
delle Finanze dello Stato c. Baravelli) 

La promessa bilaterale di vendita immobiliare 
ha per oggetto non il trasferimento della propriet�. 
dell'immobile, ma l'obbligo di concludere il contratto 
che attua tale trasferimento, ed �, pertanto, 
soggetto alla tassa fissa e non a quella proporzionale 
di registro; peraltro, qualora il contratto sia 
qualificato dalle parti come promessa bilaterale di 
vendita, ma costituisca una vera e propria vendita, 
in quanto le parti abbiano voluto attuare il trasferimento 
del dominio, � applicabile la tassa proporzionale 
a norma dell'art. 5 della tariffa, allegato .A, 
della legge 30 dicembre 1923, numero 3269. 

Trascri'Viamo la moti'Vazione della sentenza, che 
conferma la giurisprudenza ormai costante della 
Corte Suprema (in senso conforme sent. n. 1927 
del 15 luglio 1963 in causa Oanna'V� o. Finanze. 

L'.A'Vvocatura dello Stato si adeguer� a��tdle indirizzo 
giurisprudenziale. 

Con l'unico motivo del ricorso principale denunciandosi 
la violazione dell'art. 5 della tariffa. 
allegato .A della legge di registro 30 dicembre 1923, 


. �����-��-�-----------------
143 


n. 3269, si censura la sentenza impugnata per aver 
ritenuto che per la registrazione degli atti contenenti 
promesse bilaterali di vendita sia dovuta la 
tassa fissa anzich� quella proporzionale. 
Al riguardo si deduce che tale interpretazione 
sarebbe contraria. al chiaro dettato della legge, 
la quale stabilisce che � dovuta la tassa proporzionale 
�per le promesse di vendita se esiste il 
consenso delle parti sulla cosa e sul prezzo �. 

La censura � infondata. 

Come questa Corte ha pi� volte affermato, 
(vedi da ultimo sentenza n. 1473 del 1948) la promessa 
bilaterale di vendita immobiliare, avendo per 
oggetto non il trasferimento della propriet� dell'immobile, 
ma l'obbligo di concludere il contratto 
che attua tale trasferimento, � soggetta alla tassa 
fissa e non a quella proporzionale di registro, la 
qua.le, a norma dell'art. 4 della legge di registro � 
applicabile alle cc trasmissioni a titolo oneroso di 
propriet� �. 

� vero che l'art. 5 della tariffa allegato A di 
detta legge assoggetta alla tassa proporzionale le 
promesse di vendita di immobili, ma tale norma, 
che si ricollega attraverso le precedenti tariffe 
del 1897, del 187 4, del 1866, del 1862 e del 1854 

a.I Codice Albertino, e, quindi, al Codice Napoleonico, 
secondo il quale la promessa di vendita 
equivale alla vendita se vi sia il consenso delle 
parti sulla cosa e sul prezzo (art. 1589), fu 
formulata in relazione a questa, concezione, che 
era dominante nel momento in cui la .tariffa fu 
compilata. 
Ora, poich� per effetto della elaborazione dottrinale 
e giurisdizionale la promessa bilaterale di 
vendita � concepita non pi� come equivalente 
alla vendita se sussistono i requisiti essenziali di 
questo contratto, ma come rapporto sinallagmatico 
avente per oggetto l'obbligo di concludere la vendita, 
l'interpretazione del citato articolo non pu� 
prescindere da tale mutamento di concezione e, 
pertanto, deve ritenersi che esso si riferisca a quei 
contratti che, pur qualificati promesse bilaterali di 
vendita, sono delle vere e proprie vendite, in 
quanto con essi le parti abbiano voluto attuare il 
trasferimento del dominio. 

Tale interpretazione, peraltro, trova conferma 
nel fatto che l'articolo � posto sotto la rubrica 

Trasferimento a titolo oneroso. 

�, quindi, estranea alla norma in esame la 
fattispecie in cui il contratto comporta soltanto 
l'obbligo di concludere una successiva convenzione 
senza ancora produrre il trasferimento della propriet� 
della cosa, la fattispecie, cio�, che la moderna 
concezione, recepita nell'art. 1351 del Codice civile, 
qualifica come contratto preliminare meramente 
obbligatorio. 
~}{i Nella specie, la Corte di merito si � puntualmente 
uniformata a tale interpretazione perch�, accertato, 
con incensurabile apprezzamento di fatto, 
che con l'atto qualificato promessa di vendita le 
parti non vollero trasferire la propriet� delle aree 
edificabili, ma si obbligarono ad addivenire alla 
vendita di esse in un momento successivo, ha ritenuto 
che esso fosse soggetto alla tassa fissa di 
registro. 

IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Aziende eIstituti 

di credito -Reddito di Categoria B -Pagamento im


posta per interessi passivi in -sostituzione. ..dei depo-� 

sitanti -Rinunzia esercizio facolt� di rivalsa -Per


dita e non spesa -Indetraibilit�. (Corte di Cassazione~ 

Sezione I, Sentenza n. 1115/63 -Pres.: Vistoso; Est.� 

Malfitano; P. M.: Trotta (conf.) -Finanze c. Banca. 

Popolare Milano). 

Il pagamento dell'imposta di Ricchezza Mobile 
di categoria A eseguito dalle Aziende e dagli 
Istituti di credito, in sostituzione dei depositanti,. 
sugli interessi da questi percepiti, non d� luogo ad 
una spesa inerente alla produzione del reddito di 
categoria B che tali aziende e istituti ritraggono. 
dall'esercizio della loro normale attivit�, ma fa 
sorgere a favore degli enti medesimi un credito 
verso i depositanti fondato sul diritto alla rivalsa 
della somma pagata, espressamente sancito dallo 
art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231. 

La rinunzia all'esercizio di tale diritto di creditosi 
risolve in un onere di esercizio qualificabile come 
cc perdita �. 

La somma di denaro nella quale si sostanzia la. 
perdita � detraibile dal reddito di categoria B 
delle aziende e degli istituti anzidetti soltanto nel 
caso che la rinunzia sia imposta da cause del tuttoestranee 
alla volont� del creditore. 

La Oommissione Oentrale aveva ritenuto -con 
la decisione n. 32148 in data 12 ottobre 1960 della 
Sezione I -che l'imposta di Ricchezza Mobile, 
categoria A, corrisposta dagli istituti e dalle aziende 
di credito -con rinunzia all'esercizio del diritto 
di rivalsa previsto dall'art. 22 della legge 8 giugno 
1936, n. 1231 -sugli interessi aventi natura d� 
redditi di capitale, riconosciuti a favore dei depositanti, 
dovesse detrarsi, come spesa necessaria alla 
produzione del reddito (art. 32 T.U., 24 agosto 
1877, n. 4021), dall'imponibile di Ricchezza Mobile, 
categoria B determinato nei confron# degli istituti 
e delle aziende medesime. 

Siffatto carattere di spesa necessaria alla produzione 
del reddito, riconosciuto dalla Oommissione 
Oentrale al mancato esercizio della rival8a d'imposta} 
sarebbe derivato dal fatto che la riminzia sarebbe 
stata imposta dalle inderogabili condizioni di mercato 
(usi, cartello bancario, ecc.). 

L'Amministrazione delle Finanze, impugnando 
con ricorso per Oassazione ex art. 111 Oost. tale 
decisione, rilev� che il pagamento dell'imposta d� 
categoria A in luogo dei depositanti non fa sorgere 
-per gli effetti di cui al citato art. 32 del Testo 
unico, n. 4021 -un costo o una spesa per le aziende 
ed istituti di credito, ma determina pi� esattamente 
il sorgere di un credito verso i reddituari, fondato 
sul diritto, dichiarato dalla legge, all'esercizio della 
rivalsa. Solo successivamente, e cio� q-q._a~do le 
aziende rinunciano alla realizzazione del creditoh 
si manifesta un onere di esercizio qualificabile 
come perdita per insussistenza di attivo. In altri 
termini, trattandosi di un onere facente carico al 
percipiente del reddito, non pu� parlarsi di cc spesa >) 
per le aziende ed istituti di credito, ma di � perdita
�. 



-144 

Precis� l'Amministrazione che la definizione giu
�ridioa dell'onere assume notevole rilievo, in quanto, 

mentre per le cc spese �l'indagine diretta alla ricerca 
del carattere d'inerenza, richiesto dalle disposizioni 
in materia ai fini della detrazione, si arresta dinanzi 
alla constatazione della relazione di causalit� 
economica esistente fra le spese ed il reddito da 
assoggettare a tassazione, nel caso di cc perdite � per 
mancato realizzo di credito l'indagine supera tali 
limiti e si estende alla ricerca della volontariet� o 
meno della rinunzia al credito, in quanto l'onere 
relativo pu� trovare considerazione tributaria, ai 
sensi e per gli effetti di cui all'art. 31 del Testo 
unico, n. 4021, solo nel caso che, ferma restando la 
relazione di afferenza o inerenza alla produzione del 
reddito tassabile, la rinuncia sia imposta da situazioni 
estranee alla volont� del creditore, potendosi altrimenti 
configiirare un mero atto di liberalit� o comunque 
di rinunzia che non pu� incidere sul reddito da 
acquisire alla tassazione, come ritiene la copiosa 
giurisprudenza della stessa Commissione Centrale. 

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 
sopra massimata, ha accolto il ricorso dell'Amministrazione, 
cos�. motivando nella parte essenziale: 

Il pagamento dell'imposta di ricchezza mobile 
di categoria A eseguito dalle aziende e istituti di 
credito, in sostituzione dei depositanti, sugli interessi 
da questi percepiti, non d� luogo a una spesa 
inerente alla produzione del reddito, di categoria 
B che tali aziende e istituti ritraggono dall'esercizio 
della loro normale attivit�, ma fa sorgere a favore 
degli enti medesimi un credito verso i depositanti, 
fondato sul diritto all'esercizio della rivalsa della 
somma pagata, espressamente sancito dalla legge 
(art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231). 

Se, poi, le aziende o gli istituti non esercitano tale 
diritto, il pagamento dell'imposta si risolve in un 
onere di esercizio qualificabile come perdita. 

Ora, mentre per le spese inerenti alla produ


. zione l'indagine diretta ad accertare tale inerenza, 
richiesta dalla legge come condizione necessaria 
per la loro detraibilit� dal reddito medesimo, si 
esaurisce di fronte alla constatazione dell'esistenza 
del rapporto di causalit� economica tra le spese e 
il reddito, per la perdita dovuta alla rinunzia al 
diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito, 
tale indagine si estende alla ricerca della volontariet� 
o meno della rinunzia, in quanto la somma di 
denaro nella quale si sostanzia la perdita, � detraibile 
dal reddito soltanto nel caso che la rinunzia 
sfa imposta da cause del tutto estranee alla volont� 
del creditore. 

Nella specie, la Commissione Centrale non si � 
uniformata a tali principi perch� ha ritenuto che 
la somma pagata dalla Banca Popolare di Milano 
per imposta di ricchezza mobile di categoria A 
sugli interessi percepiti dai depositanti fosse una 
spesa inerente alla produzione del reddito derivante 
dalla sua normale attivit� e che tale somma fosse 
detraibile da questo ai fini della determinazione 
dell'imponibile di ricchezza mobile di categoria B, 
sebbene non fosse stato accertato che la rinuncia 
da parte della Banra alla rivalsa della somma 
:pagata non fosse volontaria. 

N� la volontariet� della rinunzia poteva essere 
esclusa dal fatto che le banche non esercitano il 
diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza 
di usi e accordi interbancari in tal -senso, perch� 
questi, invece, confermano tale volontariet�. 

I. G. E. -Ricostruzione di naviglio sinistrato per cause 
di guerra -Esenzione -Pagamenti effettuati dai cantieri 
per lavori rientranti nel quadro della ricostruzione 
-Applicabilit�. 
SPESE GIUDIZIALI -Onere -Azione per rimborso 

I. G. E. oltre termine art. 41 legge n. 762 del 1940 Soccombenza 
Amministrazione -Esenzione. 
RIMBORSO DI TRIBUTI NON DOVUTI -Interessi Decorrenza 
-Legge 26 gennaio 1961 n. 29 -Applicabilit� 
ai rapporti pregressi non ancora esauriti. 
(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1114/63 -
Pres.: Celentano; Est.: Caporaso; P. M.: Trotta (couf.)Finanze 
c. Soc. O.T.O.). 

L'esenzione dall'I.G.E., prevista dall'art. 9 del 
decreto legislativo 29 giugno 1947, n. 779 � applicabile,
non soltanto ai pagamenti effettuati dai committenti 
proprietari od armatori ai cantieri incaricati 
dell'esecuzione di lavori di costruzione, riparazione, 
modificazione o trasformazioni navali, ma anche 
agli acquisti di materiali e di macchinari effettuati 
dai cantieri navali per eseguire lavori che rientrino 
nel quadro della ricostruzione del naviglio sinistrato 
dalla guerra, ed ai pagamenti effettuati dai 
cantieri stessi per singole prestazioni. 

La norma demanda al Ministero della Marina 
Mercantile di certificare che il pagamento concerne 
in concreto un contratto avente ad oggetto un 
complesso di lavori eseguiti per una determinata 
nave, corrispondenti alle :finalit� della ricostruzione 
del naviglio e dell'attivazione dell'industria delle 
costruzioni navali e dell'armamento . 

L'art. 148 della legge di registro, secondo il 
quale l'.A.m.ministrazione non � tenuta al pagamento 
delle spese giudiziali quando il contribuente non 
abbia prima sperimentato la via amministrativa, 
ponendo in grado l'Amministrazione di adottare 
essa direttamente il provvedimento di rimborso, � 
espressione di un principio generale valevole anche 
per le altre controversie in materia di tasse ed imposte 
indirette, e quindi anche in materia di 

I.G.E. 
N� l'art. 47 della legge sull'I.G.E., che commina 
la decadenza dal rimborso in via amministrativa 
dell'imposta indebitamente pagata, per la mancata 
presentazione della relativa istanza entro 
un anno, � d'ostacolo all'applicazione della regola 
anzidetta, perch� la decadenza non determina 
la inammissibilit�, ma rende soltanto inevitabile 
l'azione giudiziaria, nella quale per� l'Amministrazione 
� esente dall'onere delle spese del giu-_ 
dizio. 

La legge 26 gennaio 1961, n. 29, la quale ha 
stabilito che sulle somme pagate per tasse ed imposte 
indirette sugli affari, ritenute non dovute 
a seguito di provvedimento in sede amministrativa 

--���-�-�-����-----------



-145


�o giudiziaria, spettano al contribuente gli interessi 
di mora dalla data della domanda di rimborso, si 
applica anche ai pagamenti indebiti effettuati 
prima dell'entrata in vigore della legge stessa dei 
quali sia stata chiesta la restituzione senza che 
J,;ia.. sta.ta definita la relativa controversia. In tale 
jpotesi gli interessi decorrono dalla data di entrata 
in vigore della legge. 

La motivazione della sentenza dellci Corte S-upremci 
sulle questioni delle << spese gi1idiziali >> e degli � interessi 
>> � la seguente: 

Devesi ora esaminare il ricorso incidentale della 
-0.T.O., anche esso basato su due distinte censure. 
La seconda delle quali concerne la pronunzia in 
ordine alle spese del giudizio, che la Corte di Appello 
ha ritenuto di dover compensare in quanto 
era mancata nella specie la preventiva domanda di 
rimborso in via amministrativa. 

La sentenza impugnata pone a base della sua 
tesi la norma contenuta nell'art. 148 della legge di 
registro, considerandola come espressione di un 
_principio generale, valevole anche per le altre controversie 
in materia di tasse ed imposte indirette 
e quindi in materia di l.G.E. 

Questa Corte ritiene esatta la tesi, rilevando 
�Come non soltanto per la legge di registro, sibbene 
.anche per l'imposta sull~ successioni (art. 96 R.D. 30 
dicembre 1923, n. 3270) vige il medesimo principio, 
.che l'Amministrazione non � tenuta al pagamento 
delle spese giudiziali qualora il contribuente non 
.abbia prima sperimentato la via amministrativa, 
ponendo in grado l'Amministrazione di adottare 
essa, direttamente, il provvedimento di rimborso. 

~� l'art. 47 che commina la decadenza dal 
rimborso in via amministrativa dell'I.G.E. indebitamente 
pagata, � d'ostacolo all'applicazione della 
regola di cui sopra. 

La decadenza per il decorso di un anno senza pre.
sentazione della prescritta istanza di rimborso non 
. determina la inammissibilit�, mci rende inevitabile 
l'azione in 1;ia giudiziaria, nella q�uale per� l'Amministrazione 
� esente dall'onere dell,e spese del giudizio. 

Poich� la decisione impugnata � fondata sul 
principio di diritto sopra accennato, la censura 
della O.T.O. non � accoglibile. 

Resta, pertanto, da esaminare la prima censura 
del ricorso incidentale, relativo agli interessi legali 
.sulle somme dovute dall'Amministrazione a titolo 
di rimborso. Sostiene la O.T.O. cbe detti interessi 
dovrebbero decorrere quanto meno, dalla domanda 
_giudiziale e non mai dal passaggio in giudicato 
della sentenza che ordina il rimborso. 

Anche su tale punto la impugnata decisione � 
esattamente conforme al principio di diritto imperante 
al momento della decisione medesima. La 
giurisprudenza era ormai ferma nel ritenere che 
il diritto del contribuente alla percezione degli 
interessi moratori sorgeva al momento del passaggio 
in giudicato della sentenza che dichiarava non 
dovuta l'imposta pagata dal contribuente stesso P, 
.ne ordinava la restituzione. 

Ma, successivamente alla pronunzia d'appello, � 
.intervenuta la legge 26 gennaio 1961, n. 29, la 

quale ha stabilito che sulle somme pagate per 

tasse ed imposte indirette sugli affari, ritenute non 

dovute a seguito di provvedimento in sede ammi


nistrativa o giudiziaria, spettano al contribuente 

gli interessi di mora dalla data della domanda di 

rimborso (art. 5). 
, La legge ribadisce che l'obbligo della restituzione 

� subordinato pur sempre all'esistenza di un prov


vedimento amministrativo o giudiziario, il quale 

riconosca non dovuto il tributo pagato, ma anti


cipa la decorrenza degli interessi alla data della 

istanza di restituzione. 

In mancanza di disposizione transitoria, nasce il 

dubbio sull'applicabilit� della norma nuova (di 

cui come ius superveniens, la Corte deve tener 

conto) ai rapporti di tassa e d'imposta indiretta 

sorti anteriormente, per i quali sia tuttora pen


dente la controversia, non essendosi ancora formato 

il giudicato n� sulla legittimit� dell'effettuato paga


mento dei tributi n� sugli interessi n� sulla loro 

decorrenza. 

La tesi dell'Amministrazione appare fondata su 

di una rigida ed astratta concezione della regola 

della irretroattivit� contenuta nel citato art. 11 

non considerando che nel caso di situazioni giuridi


che le quali non si esauriscono in un determinato 

momento come quello in specie, detta regola lascia 

pur sempre aperta la questione dell'applicabilit� 

della legge nuova alla situazione ancora in atto 

ed agli effetti non ancora prodotti o tuttora pen


denti di un rapporto giuridico sorto anteriormente. 

Sono note le diverse soluzioni proposte dalla 

dottrina, ma la giurisprudenza (Cass., 5 agosto 

1957, n. 3304), posta di fronte al problema, lo ha 

praticamente risolto nel senso che la nuova norma 

si applica allorquando concorrono le seguenti 

condizioni: a) che il rapporto giuridico, sebbene 

sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i 

suoi effetti; b) che la norma innovatrice non sia 

diretta a regolare il fatto o l'atto generatore del 

rapporto, sibbene gli effetti di esso . 

Con questi criteri sono stati risolti i conflitti di 

norme tra codice vigente e codice abrogato, tra 

cui quello relativo al risarcimento dell'ulteriore 

danno, oltre gli interessi moratori, nell'ipotesi di 

ritardato adempimento dell'obbligazione pecuniaria. 

Si � a tal proposito parlato di una situazione di mora 

che si rinnova de die in diem, onde non pu� dirsi 

che essa si sia interamente verificata sotto l'impero 

del vecchio Codice e per nulla sotto il nuovo . 

Le medesime considerazioni ed il medesimo cri


terio valgono dunque anche per il caso in esame, 

nel quale l'obbligazione degli interessi a carico 

dell'Erario sorge del pari dalla mora debendi. 

Comunque, � certo che al momento dell'entrata 

in vigore della legge del 1961, il rapporto avente 

ad oggetto tanto il debito di restituzione dell'im


posta quanto il pagamento degli interessi moratori, 

non si era affatto esaurito, dappoich� i.i �paga-_ 

mento eseguito dal contribuente prima della legge 

pu� costituire, se mai, il fatto generatore della 

obbligazione principale di rimborso (subordinata 

al provvedimento di riconoscimento dell'indebito) 

ma, a tale fatto segue tutta una ulteriore situazione 

(la mora del debitore) con gli effetti giuridici che 



-146 


vi sono connessi, situazione che la nuova legge 
tributaria trova in atto ed in pieno svolgimento. 
La quale legge, come si � gi� accennato, � certamente 
diretta a regolare tali effetti, indipendentemente 
e ferma la disciplina sul rimborso dei tributi 
indebitamente percetti. L'art. 5 in modo particolare, 
determina solamente ed esplicitamente il momento 
da cui decorrono gli interessi a carico dell'Erario, 
interessi che la giurisprudenza riconosceva dovuti 
e che erano ugualmente condizionati all'esistenza 
di un provvedimento definitivo che dichiarasse 
non dovuta l'imposta pagata dal contribuente. 
Fino a che tale provvedimento non sia stato emesso, 
il rapporto, specialmente per quanto riguarda gli 
interessi, non si � certamente esaurito e quindi, per 
il principio sopra detto, � ad esso applicabile la 
sopravvenuta disposizione del menzionato art. 5. 
. Per altro, se si guarda allo scopo della legge 
entrata in vigore nel 1961 quale risulta anche dai 
lavori preparatori ed in special modo dalla relazione 
al Senato sul disegno di legge presentato dal Ministro 
delle Finanze, si nota come essa sia diretta a porre 
in armonia con le norme del diritto privato la disciplina 
giuridica del ritardato adempimento cos� 
della obbligazione del contribuente come della 
obbligazione di rimborso della Pubblica Amministrazione 
con il dichiarato intento di risolvere i 
vari dubbi e di eliminare una situazione di disparit� 
di trattamento �in atto esistente�. Cosicch� la stessa 
ratio della disposizion� di legge induce a ritenere 
e sta a confermare che essa � diretta ad operare 
anche nei confronti delle situazioni pendenti, cio� 
nei confronti dei pagamenti d'imposta effettuati 
prima dell'entrata in vigore della legge medesima 
dei quali era stata chiesta la restituzione ma non 
era stata ancora definita la relativa controversia. 

L'atto introduttivo del procedimento, amministrativo 
o giurisdizionale, tiene logicamente luogo 
della �domanda di rimborso�, richiesta dall'art. 5 
ai fini della decorrenza degli interessi moratori 
sulle somme da restituire al contribuente. 

Da tutto quanto sopra deriva che concorrono 
entrambe le condizioni necessarie, secondo la citata 
giurisprudenza per l'applicabilit� della norma nuova 
ai rapporti pregressi non ancora esauriti. � Conseguentemente 
deve ritenersi che l'art. 5 della legge 
26 gennaio 1961, n. 29 spiega la. sua efficacia anche 
nei riguardi dei pagamenti indebiti anteriori alla 
legge predetta, per i quali vi sia, al momento della 
entrata in vigore della legge stessa, una contestazione 
non ancora definita. In tale ipotesi, gli interessi 
decorrono dalla data di entrata in i1igore della. legge. 

IMPOSTA SULL'ENTRATA -Corresponsione -In


frazione -Pagamento -Solidariet� dei soggetti 


Sopratasse e pene pecuniarie -Pagamento -Onere. 

(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1937 /63 -

Pres.: Varallo; Est.: Pece; P. M.: Tavolaro (conf.); Fi


nanze c. Soc. Montecatini). 

In tema di corresponsione dell'imposta generale 
sull'entrata, anche quando la relativa infrazione 
sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto 
economico generatore dell'imposta, i predetti sog


getti sono solidalmente obbligati, verso lo Stato" 
al pagamento dell'imposta stessa; al contrario,, 
al pagamento delle tasse e delle sopratasse e delle 
pene pecuniarie � tenuto sofo il soggette. al qualel'infrazione 
� imputabile. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza 
che ha a.ccolto la tesi dell'Avvocatura: 

I primi due mezzi di ricorso possono essere esaminati 
congiuntamente. 
Con essi l'Amministrazione ricorrente denunzia:� 
a) che l'art. 14 del D.L. 3 maggio 1948,. 

n. 799 avrebbe innovato, in tema di solidariet� 
tra i soggetti debitori dell'imposta g�enerale sulla 
entrata, non solo in relazione al R.D.L. 3 giugno1943, 
n. 452, ma anche in relazione all'art. 11 
della legge 7 gennaio 1929, n. 4 contenente le norme� 
generali per la repreEsione delle violazioni sulle 
leggi finanziarie. 
E cio�, secondo la ricorrente, nella materia della 
imposta generale sull'entrata, la solidariet� tra 
i vari soggetti obbligati all'imposta sarebbe insensibile 
alla imputabilit� della infrazione, non solo 
ai fini dell'imposta, ma anche ai fini della pena 
pecuniaria e della sopratassa, nel senso che, anche 
se l'infrazione sia addebitabile ad uno solo dei 
soggetti obbligati, questi ultimi risponderebbero� 
sempre in solido, verso lo Stato, e per la taRsa eper 
la sopratassa e per la pena pecuniaria. 

b) che, in via subordinata, l'art. 14 del decretolegislativo 
3 maggio 1948, n. 799 ha innovato all'art~ 
24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 in tema di solidariet� 
per la imposta, nel senso che al pagamento 
di quest'ultima sono sempre obbligati in solido 
entrambi i soggetti dell'atto economico, con l'unica 
eccezione della ipotesi in cui l'atto economico, nei 
confronti di chi esegu'e il versamento dei compensi 
e corrispettivi costituenti l'entrata, non sia comunque 
connesso ad una attivit� industriale o 
commerciale. 

E cio�, all'infuori della ipotesi ultima, nella 
quale non sussiste solidariet�, in tutte le altre ipotesi 
i soggetti dell'atto economico sono solidalmente 
obbligati, verso lo Stato, al versamento dell'I.G.E., 
anche se il mancato pagamento di ta.Je imposta sia 
imputabile ad uno solo dei predetti soggetti. Al 
contrario, la solidariet� non sussiste, per quanto 
attiene alla sopratassa ed alla pena pecuniaria, 
nella ipotesi in cui il mancato pagamento dell'l.G.E. 
sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto, 
economico. 

La censura di cui alla lettera a) � infondata; 
deve essere, invece, accolta la censura di cui alla 
lettera b). 

Poich� la prima parte del secondo comma dello 
art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452, nella 
ipotesi di trasferimento di materie, merci.~ prodotti 
fra commercianti ed industriali, sanciva esplicit~-_ 
mente la solidariet� di entrambe le parti contraenti,. 
non solo rispetto alle sopratasse ed alle pene pecuniarie, 
ma anche rispetto al pagamento dell'imposta, 
la conclusione di detta solidariet� (nella 
ipotesi, contemplata nella seconda parte dPll0> 


-147 


'btesso secondo comma, di imputabili~� della infrazione 
ad una sola delle parti) si estendeva, oltre che 
alle sopratasse ed alle pene pecuni~rie, anche al 
pagamento della imposta. 'i 

Da ci� derivava, in materia di I.G.E., una 
eccezione al principio generale, fissato nell'art. 11 
della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (recante norme 
generali per la repressione delle violazioni alle 
leggi finanziarie), in virt� del quale principio, 
nel caso in cui la violazione delle leggi finanziarie, 
.sia imputabile ad uno solo dei soggetti obbligati, 
la solidariet� tra costoro cessa in relazione alla 
pena pecuniaria ed alle sopratasse, ma permane 
per la obbligazione dell'imposta. 

L'art. 14 del decreto legislativo 3 maggio 1948, 

n. �799 (recante modifiche in materia di I.G.E.) 
ha sostituita una nuova regolamentazione in tema 
di solidariet�. Anzitutto, ha generalizzata quella 
solidariet� (rispetto al pagamento dell'imposta non 
.corrisposta, della sopratassa e delle pene pecuniarie), 
�che la prima parte del secondo comma dell'art. 24 
del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 dettava solo per 
l'I.G.E. riferibile ad atti economici fra commer.
cianti ed industriali ed ha sostituito una pi� 
limitata� eccezione di carattere oggettivo a tale solidariet�, 
escludendo quest'ultima nella ipotesi in 
-cui l'atto economico (indipendentemente dalla qualit� 
dei soggetti tra i quali � intervenuto) non sia 
-comunque connesso (nei riflessi di chi esegue il 
versamento dei compensi e corrispettivi costituenti 
l'entrata) ad una attivit� industriale o commerciale. 
In secondo luogo, l'art. 14 del decreto legislativo 
.3 maggio 1948, n. 799 non ha pi� disciplinata la 
ipotesi nella quale risulti che l'infrazione � imputabile 
ad una sola delle parti. E cio� ha soppresso 
la seconda parte del secondo comma dell'art. 24 
del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452. 

La abrogazione dei primi due commi del decreto 
legislativo, n. 799 del 1948 risulta da due concorrenti 
ragioni che integrano, rispettivamente, la prima e la 
terza ipotesi di abrogazione ex art. 15 delle preleggi. 

CONSIGLIO 

CONSIGLIO DI STATO -Ricorso in sede giurisdi� 
zionale -Effetti della dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale della norma applicata dall'atto. 

. . 

CONSIGLIO DI STATO -Ricorso in sede giurisdizionale 
-Sopravvenuta dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale di una norma attributiva di potest� 
discrezionale della Pubblica Amministrazione -Effetti 
sulla giurisdizione. (Consiglio di Stato, Adunanza 
Plenaria, 10 aprile 1963 -Compagnia Industrie Saccarifere 
S. Eufemia Lamezia c. Ministero Agricoltura 
e ForE>ste e Ministero Industria e Commercio). 

Dichiarata la illegittimit� costituzionale della 
norma applicata da un atto amministrativo impugnato 
avanti al Consiglio di Stato, il ricorso va 
accolto con conseguente annullamento dello atto. 

Infatti, statuendo: �In tali sensi restano modificate 
le disposizioni di cui al primo ed al secondo 
comma dell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, 

n. 452 �, � lo stesso le,,,,D'islatore ad indicare cne non 
si tratta di mera modifica, ma di vera e propria 
sostituzione di norme nel senso che al posto dei 
"Commi primo e secondo, devono ritenersi inserite, 
nell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 19i3, n. 452, i 
nuovi commi. Il che potr� anche intlndersi come 
modifica rispetto all'art. 24 predetto nella sua interezza, 
ma non pu� non intendersi (ed � il punto 
che interessa la causa) come sostituzione rispetto 
ai due commi in discussione, che il legislatore del 
1948 non si � limitato a ritoccare, ma ha formulato 
ex novo per intero. 
Tale abrogazione sostitutiva dei due commi in 
discussione � confermata dal particolare che il 
nuovo contenuto dei due commi ex art. 14 decreto � 
legilativo 3 maggio 1948, n. 799 regola completamente 
la solidariet� per l'imposta principale, che 
era gi� regolata dai primi due commi ex� art. 24 

R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452. 
Da quanto sopradetto, per�, non deriva la 
conseguenza espressa dalla .Amministrazione ricorrente 
con la censura di cui alla lettera A. Non 
deriva, cio�, che anche nella ipotesi in cui resti 
accertato che la infrazione sia imputabile ad uno 
solo dei soggetti, anche in tal caso i soggetti partecipi 
all'atto economico generatore dell'imposta 
restano obbligati solidalmente (verso l'Erario), 
oltre che per il pagamento dell'imposta, anche per 
le sopratasse e le pene pecuniarie . 

Stante i suespressi principi, poich�, nella specie, 
� in discussione la solidariet� solo per l' imposta 
e non anche per le sopratasse e le pene 
pecuniarie, resta assorbito il terzo mezzo del 
ricorso con il quale l'Amministrazione ha denunziato 
che la Corte di Trieste avrebbe en�ato 
nell'escludere la responsabilit� della Montecatini 
in ordine al mancato versamento dell' I.G.E. 
all'Erario. 

DI STATO 

L'atto amministrativo emanato in virt� di potest� 
discrezionale, conferita alla Pubblica .Amministrazione 
da una norma di cui sia dichiarata la 
illegittimit� costituzionale, costituisce esercizio non 
di potere inesistente, bens� di potere viziato, per 
riflesso del vizio di incostituzionalit� che inficia 
la norma, e conseguentemente la giurisdizione resta 
radicata presso il giudice amministrativo. 

Il testo della decisione � pubblicato nella rivista 

� Il Consiglio di Stato � 1963, 508 e segg-.. � 

La decisione interviene a risolvere un contrasta--


giurisprudenziale: che ne � del ricorso giu1�isdizionale 

per l'annullamento di mi atto amministrativo, una 

volta �he la. Corte Costituzionale, �investita della 

questione di legiti'imit� della norma applicata dallo 

atto, si sia pronunciata per l'illegittimit� della stessa. 



-148 

Le tesi, accolte da alcune recenti decisioni del 
Consiglio di Stato, richiamate nella pronuncia della 
.A.dunan.m Plmaria, sono std.te: a) iinpro�edibilit� 
del ricorso per inesistenza dell'atto impugnato. Si 
argomenta: la declcratoria di illeggittimit� cost;tuzionale 
di una norma comporta che questa debbct 
ritenersi come non mai esistita nell'ordinamento 
giuridico. E se la norma � inesistente, inesistenti sono 
pure l'oi�gano da quella norma istituito e gli atti 
emanati in base ad essa; b) cessazione della materia 
del contendere. Dalla pronuncia di incostituzionalit� 
deriverebbe per l'Amministrazione il dovere 
giuridico di considerare invalido l'atto che abbia 

fatto applicazione della norma incostituzionale. Lo 
atto, cio�, verrebbe automaticamente tolto di mezzo, 
a seguito della pronuncia della Corte. Il Consiglio 
di Giustizia A m�ministrativa della Regione Siciliana 
ha, in proposito, rilevato (dec�isione n. 19 del 19 
gennaio 19<32, in Foro It., 1962, III, 150) che: 
la illeggittimit� costituzionale della norma, sulla 
quale risulta fondato l'atto impugnato, costringe 
la Pubblica Amministrazione a considera.re l'atto 
stesso privato di ogni giuridica validit� data stessa, 
data in cui la Costituzione dichiara cessata l'efficacia 
della norma legislativa illeggittima, cio� dal 
giorno successivo alla pubblicazione della decisione. 
Da quel giorno si ha un sostanziale ritiro dell'atto 
che in precedenza, spiegando giuridica efficacia, 
aveva potuto minacciare interP-ssi legittimi privati, 
determinando per questo particolari impugnazioni 
in sede giurisdizionale. Impugnazioni che successivamente 
non hanno pi� efficacia di determinare 
una decisione di illegittimit�, in vista della gi� 
avvenuta eliminazione dell'atto impugnato; c) accoglimento 
del ricorso e conseguente annullamento 
dell'atto. E' la soluzione cui � pervenuta l'Adunanza 
Plenaria, dopo la critica delle precedenti tesi. Invero, 

secondo la ripo�rtata decisione, non potrebbe accogliersi 
la soluzione di cui sub a), perch� � da escludere che 
la norma incostituzionale debba considerarsi inesistente, 
dal momento che gli effetti irreversibili e definitivi 
da essa prodotti non possono in alcun modo 
eliminarsi. Proprio a causa di questa attitudine 
della norma a produrre effetti ineliminabili, il vizio 
di incostituzionalit� comporterebbe annullabilit� e 
non inesistenza della norma. In secondo luogo, pur 
accogliendo la tesi dell'inesistenza della norma, dovrebbe 
nondimeno riconoscersi che, attesa l'autonomia 
dell'atto, espressione del potere esecutivo, rispetto alla 
norma, espressione del potere legislativo, l'atto non 
possa essere travolto eo ipso dalla cessazione d'efficacia 
della norma. . 

Nemmeno la soluzione di cui sub b) sarebbe 
valida, ad avviso della Adunanza Plenaria, giacch� 
il ritiro sostanziale dell'atto (di cui � cenno nella 
decisione del Cons. Giust . .A.mm. Reg. Sic.) non � 
il ritiro formale, che si ottiene solo con l'annullamento 
e che � il solo capace di assicurare una 
effettiva tutela degli interessati. I quali, poi, ove la 
Amministrazione non ritenesse di dover considerare 
invalido l'atto, non avrebbero pi� alcuno strumento 
di tutela, una volta consumato il potere di 
impugnazione dell'atto nel giudizio conclusosi con 
la dichiarazione di cessazione della materia del 
contendere. 

* * * 

Dunque, s.econdo la riportata decisione, deve accogliersi 
il ricorso e pr01mnciarsi rannuUa(@ertto dell'atto 


Senonch� l'annullabilit� di un atto � conseguenza 
di un vizio orginario, e non sopravvenuto, dell'atto� 
stesso e, nella specie, non pu� a nostro avviso sostenersi 
che l'atto s�ia ab origine viziato, proprio per la 
ragione, sottolineata dalla sentenza, che, attesa la 
autonomia tra momento legislativo e momento amministrativo, 
non pu� riferirsi quello che � un vizio� 
della legge incostit�uz-ionale all'atto amministrativo 
emanato {n base a quella legge. In altri termini, 
l'atto -al momento della sua emanazione -non. 
presentii vizi tali da comprometterne la validit�: 
a) non puo, invero, parlarsi di violazione di legge 
perch�, per ipotesi, l'atto costituisce proprio appli-� 
cazione della legge; b) neanche di incompetenza, 
giacch� se tale vizio non concreta altro che violazione� 
di una normrt relati11a al soggetto investito del potere 

di emettere l'atto 1)ale quanto detto prima; e) n�, 
infine, pu� parlarsi di eccesso di potere, perch�� 
l'autorit� ammini8trat-iva, nell'emanare l'atto tende 
proprio al perseguimento degli scopi prefissati 
dalla norma. 

Rimane, allora, solo una via per sostenere l'annullabilit� 
dell'atto: ritenerlo, cio� ab origine viziato 
per effetto della dichiarazione di incostituzionalit�, 
che retroagisce ex tunc. Poich� dal giorno successivo 
alla pubblicazione della decisione della Corte, la 
legge non ha pi� efficacia, non solo per quanto 
riguarda la disciplina giuridica dei fatti futuri, ma 
anche per quel che attiene alla val1,tazione dei fatti 
passati, questi ultimi, quando siano ancora sub 
indice, sarebbero da giudicare come se la n01�ma di 
legge non fosse mai esistita. Il giudizio di legittimit� 
di un atto amministrativo dovrebbe, allora, fondarsi 
sull'ordinamento giuridico qual'era al momento della 
emanazione del provvedimento, senza considm�a1�e la 
norma incostituzionale. Si prospetterebbe, cio�, il. 
problema dell'accoglimento del ricorso giitrisdizionale 
per un motivo che, tutt'al pi�, andrebbe considerato 
solo come implicitamente dedotto dal ricorrente. 


Accogliendo, peraltro, simile tesi, verrebbe a superarsi 
il postulato di partenza, affermato nella decisione, 
secondo cui momento legislativo e momento 
amministrativo sono autonomi, anche se connessi: si 
riferirebbe, infatti, il vizio originario della legge 
all'atto. 


Sembra, dunque, che il concetto di annullabilit� 
non possa utilizzarsi in relazione all'atto amministrativo 
emesso in base a una norma dichiarata. 
successivamente incostituzionale. Ed invero, il p1�0blema 
della validit� o invalidit� di un atto giuridico 
� sempre in rapporto alle norme vigenti al momento 
del sorgere dell'atto, cos� come l'annullamento trova 
il suo fondamento sempre in una causa contemporanea 
alla emissione dell'atto, con la conseguenza 
che il fenomeno non si verifica quando Vinvalidit� 
(se di invalidit� possa parlarsi) trae origine da -cause 
sopravvenute. 

La materia offre, chiaramente, favorevole campo 
di indagine per i sostenitori della dottrina della 
invalidit� successiva. Ma sembra pii� opportiino 

. -----------------------



-149 


ricorrere, in simili ipotesi, al concetto di inutilit� 
�sopravvenuta. Scrive il GIANNINI (voce .Atto amministrativo, 
in � Enc. dir. �) che in simili ipotesi 
<e l'atto non gi� si invalida, bens� diviene inidoneo a 
produrre ulteriori effetti per l'avverarsi di un fatto 
giuridico che non pu� neppure dirsi estintivo, ma 
solo impeditivo, ossia agente sull'efficacia dell'atto, 
e quindi sul rapporto, e non sull'atto medesimo�. E' 
proprio questa, secondo noi, la sorte del provvedimento 
(lmministrativo, una vo.lta dichiarata l'incostituzionalit� 
della norma posta a base dell'atto, sorte che 
si spiega in termini di efficacia-inefficacia e non di 
validit�-invalidit�. 

Si obietta che vi sono delle situazioni in cui, per 
l'effettiva tutela degli interessi del ricorrente, si 
rende necessaria una rimozione reale dell'atto, conseguibile 
solo con l'annullamento, e si aggiunge che, 
continuando l'atto amministrativo a vivere di vita 
autonoma, pur dopo la declaratoria di incostituzionalit� 
della norma, persiste l'intm�esse ad ottenere 
l'annullamento. Il che � vero e risponde ad una 
evidente esigenza di equit�, quando per� si ritenga 
l'atto tuttora in grado di spiegare effetti. Ma non 
� pi� vero, una .volta riconosciuta l'inettt'.tudine del 
provvedimento, ormai privato del suo stesso presupposto, 
a spiegare ancora efficacia. Ove, poi, di 
fatto, la situazione giuridica rimanesse tale quale 
s'era determinata a seguito dell'emanazione dell'atto, 
potrebbe nondimeno l'interessato sollecitare presso la 
Amministrazione l'emanazipne di ulteriori provvedimenti 
che, per ipotesi, si rendessero necessari a ripristinare 
lo status quo, essendo evidente che l'eventuale 
rifiuto di siffatti provvedimenti non potrebbe 
sottrarsi al sindacato di legittimit�. 

La tesi dell'annullabilit� dell'atto non appare, 

insomma, sostenibile neppure sotto un generico pro


filo di equit�. Fondamentalmente, comunque, non 

appare sostenibile una volta rilevata, come esatta


mente ha fatto la sentenza, l'autonomia del momento 

amministrativo rispetto a quello legislativo, in virt�, 

della quale il vizio di incostituzionalit� della norma 

non pu� reagire se non mediatamente sull'atto, pri


vandolo cio� di efficacia e non invalidandolo ab 

origine. E che l'atto non possa ritenersi invalida


mente sorto, lo ammette la stessa decisione quando 

afferma che, dichiarata la incostituzionalit� di una 

norma attributiva di potest� discrezionale alla Pub


blica Amministrazione, non pu� sostenersi che l'atto 

sia stato emesso nell'esercizio di un potere inesistente 

con la conseguenza che la giurisdizione resta radicata 

presso il giudice amministrativo. Il che equivale a 

dire che l'atto risulta validamente er)'lanato. 

* * * 

Dalla inettitudine del provvedimento a spiegat�e 
ulteriori effetti consegue, a nostro avviso, il venir 
meno dell'interesse al ricorso. Invero, deve riconoscersi 
che -privato l'atto autoritativo di ogni efficacia 
-le situazioni giuridiche soggettive che dallo 
atto siano rimaste compresse riassumono il contenuto 
e la latitudine originari, e la necessit� di una. 
pronuncia giurisdizionale, che ripristini una situazione 
conforme al diritto, viene meno. N� � a dire 

che il ricorrente conservi interesse a una pronuncia. 
dichiarativa che accerti il riprist-ino dello status quogiacch� 
evidentemente siffatto accertamento � di per 
s� contenuto nella declaratoria di inammissibilit� del . 
ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. In 
una sola ipotesi, a nostro avviso, permane la necessit� 
di una pronuncia giurisdizionale: nell'ipotesi, 
pi� sopra accennata, in cui, restando esclusa di 
fatto la automaticit� degli effetti della pronuncia della 
Corte Costituzionale, ulteriori provvedimenti si rendessero 
necessari a ripristinare la situazione giuridica 
incisa dall'atto. Ma l'interesse alla pronuncia 
sorgerebbe, in tal caso, solo di fronte alla constatata 
inerzia della Pubblica Amministrazione, sollecitata 
all'emanazione degli opportuni provvedimenti; e sarebbe, 
comunque, un interesse rivolto a ben altro tipo 
di pronuncia. 

Comunque, una volta accolta la tesi dell'annullabilit� 
dell'atto, una volta cio� affermato che l'atto 
emesso in virt� di una norma incostituzionale debbaritenersi 
viziato fin dall'origine, suscita qualche perplessit� 
la soluzione accolta nella decisione in ordine 
al problema della individuazione del giudice competente 
a pronunziare. Sembra, in altri termini, che~ 
data quella premessa, le conseguenze non possano 
essere quelle di cui alla pronuncia della Adunanza 
Plenaria. 

Si � detto quale sia la soluzione prospettata dalla . 
sentenza: dovendo l'atto amministratiVo ritenersi emanato 
non gi� nell'esercizio di un potere inesistente, 
ma nell'esercizio di un potere viziato per riflesso del� 
vizio di costituzionalit�, che inficia la norma attributiva, 
le posizioni incise dal provvedimento restano� 
sempre di interesse legittimo e competente a cono-. 
scerne �, quindi, il giudice amministrativo. 

Mentre, dunque, la dichiarazione di incostituzio-. 
nalit� della norma produrrebbe, per il caso sub 
iudice, l'effetto retroattivo di invalidat�e l'atto, esponendolo 
ad annullamento come viziato ab origine, . 
per quanto attiene al problema della giurisdizione� 
siffatta retroattivit� non sarebbe pi� operante, dal� 
momento che il giudice dovrebbe pur se�mpre ritenere 
esistente, anche se viziato, il potere discrezionale esercitato 
con l'emanazione dell'atto. A nostro avviso, 
per�, una volta affermata l'annullabilit� del prov-vedimento 
e, quindi, una volta ritenuto che l'atto. 
emanato in base a norma incostituzionale debba 
ritenersi viziato fin dall'origine, dovrebbe conseguentemente 
ammettersi che l'incostituzionale attribuzione� 
di potere discrezionale reagisca, fin dall'origine,_ 
sull'atto, facendolo ritenere emesso nell' esercizio. 
di potere inesistente. Con le conseguenze inevitabili 
in ordine alla individuazione del giudice � 
competente. 

Sul tema, com'� noto, si sono pronunciate anche 
le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 
1603 del 17 maggio 1958 (Foro It., 1958, I, 1108), 
richiamata dalla riportata decisione. Qualora -ha 
rilevato la Cassazione -uno specifico potere discrezionale 
della Pubblica Amministrazione non: residuasse 
affatto a seguito della pronuncia di incostituzionalit�, 
tale pronuncia porterebbe a d-0ver 
considerare ex tunc con qualificazione di diritti 
soggettivi le posizioni gi� dedotte in caitsa come� 
interessi legittimi. 


-.LU\J 


E deve aggiungersi, inoltre, ohe una simile ipotesi 
'PU�. inquadrarsi .nel generico oonoatto di ius superveniens, 
ohe trova automatica ed immediata applioa


.zione 
1958, 
in 
n. 
tema di 
2066). 
giurisdizione (Oass., 16 maggio 
SERGIO LA.PORTA 
PROOUlliTORE DELLO STA.TO 

'REGIONI -Conflitti di attribuzione -St�to e provincia 
di Bolzano -Difetto di giurisdizione del Consiglio 
di Stato. (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 
Decisione n. 11/1963 -Pres.: Bozzi; Est.: Danile Provincia 
di Bolzano c. Commissario del Governo 
per la Regione Trentino-Alto Adige). 

Nel conflitto di attribuzione previsto dalla Co.
stituzione l'invasione nella sfera delle competenze 
costituzionalmente garantite pu� essere denunziata 
.solo da soggetti legittimati a proporre il giudizio 
di costituzionalit�. in via principale. Se l'incompetenza 
viene dedotta da altri soggetti si ha non 
un conflitto di attribuzione, ma un comune vizio 
-di legittimit�., della cui fondatezza pu� ben giudicare 
il Consiglio di Stato. 

La Provincia di Bolzano non pu� far valere 
innanzi il Consiglio di Stato i vizi di un provvedimento, 
col quale si � disposto di alcuni alloggi 
dell'Istituto Autonomo Case Popolari di Bolzano 
perch� non ha poteri di disposizione degli alloggi 
stessi n� ha dichiarato di agire in sostituzione dello 
Istituto ed in virt� del suo potere di controllo sugli 
.atti dello stesso. 

Per una migliore comprensione della questione 
riteniamo opportuno riportare integralmente la decisione, 
nella sua esposizione in fatto e nella sua motivazione 
in diritto. 

FATTO 

Il vice commissario del Governo della Regione 
�Trentino-Alto Adige con decreto, n. 12647 del 
18 novembre 1960 requisiva tredici alloggi dello 
Istituto autonomo delle Case popolari siti in Bolzano, 
via Palermo e via Milano allo scopo di 
:assicurare alloggio a talune famiglie, che abitavano 
in lo�ali pericolanti e che erano state colpite da una 
ordinanza di sgombero, emessa dal Sindaco di 
Bolzano. 

Con atto 18 gennaio 1961 la Regione Trentino.
Alto Adige proponeva, in relazione al citato decreto, 
ricorso per conflitto di attribuzioni avanti 
alla Corte Costituzionale, ricorso che veniva dichiarato 
infondato con sentenza 30 dicembre 1961, 

n. 72. 
Avverso lo stesso decreto la Provincia di Bolzano 
ha proposto ricorso a questo Consiglio deducendo 
i seguenti motivi: 

1) violazione degli artt. 4, 13 e 46 della legge 
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 in relazione 
all'art. 56 della legge regionale 17 maggio 1956, 

n. 7; incompetenza. Sostiene la ricorrente che il 
provvedimento impugnato avrebbe invaso la sfera 
��di competenza della Provincia in quando i provvedimenti 
d'urgenza, nella Regione Trentino-Alto Adige 
spetterebbero al Presidente della Giunta provinciale 
e non gi� agli organi dello Stato; 

2) violazione degli artt. 11 e 13 legge costituzionale 
26 febbraio 1948, n. 5� in relazione agli 
artt 1, 6 e 7 segg. D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 8. 
In base allo Statuto la competenza in materia di 
.case popolari spetta alla Provincia. Il provvedimento 
impugnato disponendo in sostanza di case 
popolari ha posto in essere un' assegnazione di 
case, che era riservata alla competenza della 
Provincia; 

3) violazione dell'art. 7 legge 20 marzo 1885, 

n. 2248, allegato E; eccesso di potere per mancanza 
di presupposto e per vizio di causa ed illogicit� 
sotto forma di sviamento e di difetto di 
motivazione. La falsit� della causa risiede in ci� 
che il motivo dedotto (pericolo per l'incolumit�. 
pubblica) vale a giustificare l'ordinanza di sgombero, 
ma non il decreto di requisizione, che ha la 
sua causa nell'assegnazione dell'alloggio agli sfrattati. 
Il difetto di motivazione si concreta nella 
mancata indicazione dei motivi per i quali sono 
stati scelti gli Alloggi dell'Istituto anzich� altri 
alloggi disponibili, mentre la falsit� della causa 
sarebbe costituita dall'intendimento di pervenire, 
attraverso un provvedimento di requisizione, alla 
assegnazione degli alloggi, senza l'osservanza delle 
norme all'uopo applicabili; 
4) Violazione dell'art. 76 dello Statuto Trentino-
Alto Adige in relazione all'art. 16 del D.P.R. 
12 dicembre 1948, n. 14-14. Il potere d'ordinanza 
non rientrava fra i poteri delegabili; pertanto esso 
doveva essere esercitato dal Commissario e non 
dal vice Commissario; 

5) eccesso di potere per errore, inesistenza 
di causa, difetto di motivazione. Non sussiste il 
presupposto del pericolo di crollo, dedotto dalla 
ordinanza sindacale; tale pericolo � stato affermato 
sulla base di cause imprecisate; il che sta anche 
a concretare un difetto di motivazione. 

L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi 
in difesa dello Stato, ha controdedotto: 

1) i primi due motivi attengono a diritti 
soggettivi epper� in ordine ad essi va dichiarata 
la carenza di giurisdizione del Consiglio di Stato; 
nei riguardi degli altri motivi la Provincia ha 
solo un interesse di fatto non tutelato neppure in 
via indiretta; 

2) nel merito il ricorso � infondato: i due 
provvedimenti dello sgombero e della requisizione 
sono fra loro collegati come causa ed effetto e 
pertanto non possono essere presi isolatamente e 
valutati indipendentemente l'uno dall'altro; 

3) � esatto che la requisizione non pu� essere 
adottata per interessi privati ed il reperimento di 
un alloggio di regola costituisca un fatto di privato 
interesse. Ma nella specie il provvedimento � 
motivato con l'esigenza di evitare il pericolo di 
disgrazia alle persone; . . . 

4) non esistano norme che impediscano ~ 
Commissario di delegare al Vicecommissario i poteri 
che gli sono stati riconosciuti dallo Stato; 

5) il pericolo di crollo � stato accertato nella 
competente sede dagli organi tecnici. 


-151 


Conclude pertanto l'Avvocatura per il rigetto 
del ricorso con le conseguenze di legge. 

La ricorrente Provincia ha depositato memorie 
contestando le eccezioni dell'Avvocatura sulla. 
base della decisione della Sezione IV, 24 ottobre 
1962, n. 524 ed insistendo sui motivi di ricorso. 

Con ordinanza 17 ottobre 1962 la Sezione IV, ha 
rimesso il ricorso alla decisione di quest'Adunanza 
Plenaria. 

DIRITTO 

Esattamente, nella discussione orale, � stato 
posto in rilievo dalle parti che l'interesse alla 
impugnativa del decreto del Vicecommissario, deve 
essere valutato in diverso modo, in relazione ai 
primi due e altri motivi di ricorso. 

Con i primi due motivi, la Provincia ricorrente 
censura il provvedimento impugnato, in quanto 
con esso il Vice-commissario avrebbe invaso la 
sfera di competenza riservata alla Provincia dallo 
Statuto Trentino-Alto Adige. 

In astratto deve riconoscersi alla Provincia 
l'interesse a dedurre la violazione di norme che 
le attribuiscano un potere; in tali casi si ha la 
violazione del c.d. diritto di autarchia che, come 
bene pone in luce la ricorrente, � un interesse 
legittimo, poich� le norme che lo riconoscono sono 
dirette in via diretta e principale a tutelare un 
pubblico generale interesse. 

Ma nella specie � da esaminare se, in deroga 
ai principi generali, la tutela dell'interesse sia 
stata affidata ad altro soggetto e ad un giudice 
diverso da quello normalmente competente. 

La risposta affermativa a tale quesito � stata gi� 
data dalla Corte Costituzionale con la sentenza 
30 dicembre 1961, n. 72, emanata in relazione allo 
stesso provvedimento, ora impugnato. 

La citata sentenza ha posto in rilievo che i 
conflitti di attribuzione fra le Provincie della Regione 
Trentino-Alto Adige e lo Stato vanno decisi 
dalla Corte Costituzionale su ricorso della Regione, 
legittimata ad agire anche nell'interesse delle Provincie. 
La decisione della Corte Costituzionale 
circa la spettanza del potere, non pu� quindi 
non fare stato anche nei riguardi della Provincia. 
Ci� � stato anche ritenuto dalla Corte Costituzionale 
con sentenza 26 gennaio 1957, n. 22 nella quale si 
legge che la pronunzia della Corte sul ricorso della 
Regione, sola legittimata ad agire, �ha uguali 
effetti per entrambe le Provincie, giacch� la causa 
e i motivi di essa sono inscindibili.' Si ba, riguardo 
a questi effetti, una posizione analoga al litisconsorzio 
necessario, con la differenza che, nel caso in 
esame, la legittimazione attiva spetta unicamente 
alla Regione, che rappresenta entrambe le Provincie 
e ne tutela gli interessi, e quindi non si fa 
luogo alla rappresentanza in giudizio di ciascuna 
di esse ... �. 

Vero � che, come la giurisprudenza di questo 
Consiglio ha pi� volte affermato (Sez. IV, 9 giugno 
1959, n. 663; Sez. VI, 17 ottobre 1956, n. 697, 
10 dicembre 1958, n. 919, 30 dicembre 1959, 

n. 1049; 30 novembre 1960, n. 995, 7 dicembre 
1960, n. 1051), deve farsi distinzione fra la denunzia 
di incompetenza avanzata davanti al giudice 
amministrativo e quella di conflitto di attribuzione, 
proposta dinanzi alla O.orte Costituzionale. Nel 
�conflitto di attribuzione � previsto dalla , Costituzione, 
l'invasione della sfera delle competenze 
costituzionalmente garantite, pu� essere denunziata 
solo da soggetti legittimati a proporre il 
giudizio di costituzionalit�, in via principale. 

Se l'incompetenza viene dedotta da altri soggetti 
si ba non un conflitto di attribuzioni, ma un 
comune vizio di legittimit�, della cui fondatezza 
pu� bene giudicare il Consiglio di Stato. 

Ma � da avvertire che, nel caso in esame, non 
si tratta di valutare la legittimit� dell'atto, viziato. 
di incompetenza, in relazione alla lesione dell'interesse 
di un soggetto, estraneo al giudizio di costituzionalit�. 


Invero, nella specie, la questione della spettanza 
o non del potere alla Provincia � stata esaminata 
e decisa dalla Corte Costituzionale, in relazione 
al medesimo atto ora impugnato, con una 
sentenza che, come si � detto, non pu� non fare 
stato anche verso la Provincia. 

La tesi della ricorrente (accolta dalla decisione 
della Sezione IV, 24 ottobre 1962, n. 517) che 
afferma la competenza del Consiglio a pronunziarsi 
sulla medesima questione ed in relazione 
allo stesso atto, comporta non solo un inammissibile 
bis in idem, ma anche la sostanziale inutilit� 
del giudicato della Corte Costituzionale che (pur 
essendosi pronunziata sulla spettanza o meno del 
potere alla Provincia) sarebbe stato solo fra Regione 
e Stato e non fra la Provincia (che � il soggetto 
direttamente interessato) e lo Stato. 

Ritiene quindi il Collegio che la questione, gi� 
decisa dalla Corte Costituzionale della legittimit� 
dell'impugnato decreto del vice commissario, sotto 
il riflesso che il potere di requisizione di cui allo. 
art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E 
spetta allo Stato e non alla Provincia, non sia 
proponibile dalla ricorrente in questa sede, per la. 
preclusione che discende dal giudicato. 

Nei riguardi degli altri motivi del ricorso la 
questione dell'interesse si presenta in modo diverso. 


Con detti motivi non si fa pi� questione della 
spettanza o meno del potere alla Provincia ma si 
contesta la legittimit� del provvedimento di requisizione 
per inosservanza di disposizioni di legge e. 
per eccesso di potere. 

Eccepisce l'..s\vvocatura generale dello Stato, in 
relazione a tali motivi, il difetto di interesse della 
Provincia, in quanto sarebbero soggetti, legittimati 
a ricorrere, solo l'Istituto, proprietario dei beni, e 
i privati aventi titolo all'assegnazione degli alloggi. 

Oppone la ricorrente Provincia che il bene 
leso dal provvedimento impugnato sarebbe costituito 
dal �complesso dei suoi poteri giuridici 
connessi all'edilizia popolare�: la Provincia dispone 
invero di poteri di vigilanza e di direttiva sugli istituti 
delle case popolari e di tale potere, nella 
specie essa si era gi� avvalso impartendo direttive 
con atto 10 novembre 1960; cosicch� l'atto impugnato 
avrebbe praticamente tolto efficacia a tale 
atto della Provincia. 


-152 


Il Collegio non ritiene che sia necessario soffermarsi 
a considerare se, quando l'atto impugnato 
non neghi all'ente pubblico il potere di esercitare� 
una determinata funzione la disponga di beni sui 
quali la funzione possa essere esercitata (se, cio�, 
quando l'atto interferisca non nella sfera giuridica 
dell'ente bens0 incida solo sulla possibilit� di fatto 
di esercitare il potere sulla cosa, resa indisponibile) 
esista quel collegamento diretto fra l'interesse leso 
e la norma violata che, in base alla giurisprudenza 
causa di legittimazione al ricorso. 

Invero basta qui considerare che la Provincia 
non ha, nella specie, poteri di disposizione degli 
alloggi degli Istituti delle Case popolari. Come 
ha ritenuto la Corte Costituzionale (sentenza 26 
gennaio 1960, n. 2) la competenza a nominare gli 
organi amministrativi straordinari degli istituti 
11utonomi delle case popolari nella Regione Trentino-
Alto Adige spetta allo Stato;� sicch� non � 
pensabile neppure ad un potere di sostituzione 
della Provincia all'istituto. 

Ma, anche a voler concedere che tale potere sussistesse, 
certo � che in concreto la Provincia non 
ha dichiarato di volerlo esercitare; poich�, come 
bene ha rilevato l'� vvocatura generale dello Stato, 
nelpresente giudizio la Provincia non si � presentata 
quale sostituto degli organi dell'istituto. 

Infine, all'osservazione che, in seguito al provvedimento 
di requisizione, resterebbe privo di 
effetti l'atto di direttiva 10 novembre 1960, � da . 
rilevare che trattasi di un interesse di mero fatto, 
non tutelabile in questa sede. 

Con questa decisione l'Adunanza Plenaria del 
Consiglio di Stato, modificando l'indirizzo giurisprudenziale 
della IV Sezione, ha in parte accolto le 
tesi sostenute dall'Avvocatura, declinando la propria 
giurisdizione, anche in considerazione della circostanza 
che sullo stesso atto e per gli stessi motivi si 

era gi� pronunziata la Corte Costituzionale (la 

Jentenza � pubblicata in questa Rassegna, 1961, 

pag. 71). 

La motivazione, laddove afferma che ci sarebbe 

stata giurisdizione se il ricorso fosse stato proposto, 
per gli stessi motivi, da soggetto non legittimato a 
-proporre il giudizio di costituz�onalit�, � evidentemente 
errata, non potendo la giurisdizione affermarsi 

o negarsi esclusivamente con riguardo ai soggetti, 
senza tener alcun conto dell'oggetto del giudizio (vedasi 
in questa Rassegna: 1960, p. 65; 1961, p. 109; 
1962, p. 72; 1963, p. 28). Il confiitto di attribuzione 
costituzionale con il suo specifico oggetto, cio�, la 
appartenenza di un potere al.lo Stato o alla Regione, 
resta sempre tale anche se chi lo faccia valere � un 
soggetto non legittimato a proporre l'azione di costituzionalit�. 
Esso � in ogni caso devoluto alla esclusiva 
cognizione della Corte Costituzionale e la circostanza 
che il privato non sia legittimato a proporre, 
n� in via principale n� in via incidentale, l'azione 
di costituzionalit� sta a significare che non � titolare 
di un interesse legittimo (costituzionale), non gi� 
che possa adire alfJro giudice, privo di giurisdizione 
sulla questione. 
Anche la seconda massima, sostanzialmente conforme 
alle conclusioni dell'Avvocatura, contiene delle 
riserve, che non possono condividersi. La Provincia 
di Bolzano, come la stessa decisione riconosce, non 
ha competenza a nominare gli organi straordinari 
dell'Istituto; ma, ancorch� l'avesse avuta, si sarebbe 
dovuto pur sempre negare una sua legittimazione al 
ricorso. Il potere di controllo sostitutivo sull'ente, 
infatti, non autorizza mai a proporre azioni o ricorsi 
in vece dell'ente stesso, ma solo eventualmente ed 
anche su questo nutriamo forti dubbi -a nominare 
un Commissario sfJraordinario per il compimento 
di questa attivit�. 

GIUSEPPE GUGLIELM:I 

�-����-��-~--����-�----



�ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI MERIT<O 


IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Inventario formalmente 
valido -Omissione di un bene ereditario Accertamento 
presuntivo -Inammissibilit�. (Corte 
di Appello di Milano, 4 dicembre 1962 -Mutti Liliana 

c. Amministrazione Finanziaria). 
1) La sussistenza di un inventario dei beni di 

eredit� beneficiata formalmente valido fa venir 

meno la facolt� degli uffici finanziari di ricorrere 

all'accertamento presuntivo previsto dall'art. 31 

della legge sulla imposta di successione. 

2) L'omissione non maliziosa di un bene ereditario 
in uno degli inventario previsto dall'art. 31 
-0itato non rende l'atto inefficiente a vincere la 
presunzione legale di cui alla prima parte dello 
stesso articolo. 

Trasoriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


Con unico mezzo gli appellanti deducono che 
i primi giudici sono pervenuti alla reiezione della 
domanda in base all'erronea premessa che l'arti-
colo 31 della legge organica sulla imposta di sue-
cessione (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270), ai 
fini di escludere l'accertamento presuntivo della 
.esistenza di gioielli, denaro e mobilia, non faccia 
riferimento agli inventari in quanto tali, ma in 
quanto atti pubblici che fanno piena prova dei 
fatti verificatisi in presenza del pubblico ufficiale 

o da lui �compiuti (art. 2700 O.e.), e da tale premessa 
hanno altrettanto erroneamente ritenuto 
.che l'efficacia probatoria, ai fini fiscali, dell'inventario, 
resti vulnerata allorch� la corrispondenza 
dell'inventario medesimo alla realt� risulti smentita 
dai fatti o dalle successive dichiarazioni dello 
stesso erede (caso in esame). 
Sostengono in contrario che J;inventario dei 
beni di eredit� beneficiata, valido ed efficace ai 
.fini civili, lo � ugualmente ai fini tributari e che, 
non contenendo la legge tributaria alcuna limita.
zione, il richiamo all'istituto civilistico della eredit� 
beneficiata vale a rendere applicabile anche la 
disposizione dell'art. 494 O.e., per cui l'inventario 
perde la sua efficacia solo quando l'omissione dei 
beni sia stata operata in mala fede. 

L'appello � fondato, ma non tutte le ragioni che 
lo sorreggono possono essere condivise. 

L'art. 31 della legge organica, dopo avere stabilito 
la presunzione legale dell'esistenza di gioielli, 
denaro, mobilia, in determinate percentuali cal


colate sul valore lordo del compendio ereditario, 
aggiunge che al cennato criterio presuntivo non 
si ricorre quando da inventario di tutela o di eredit� 
beneficiata, o fallimentare, o da apposizione di 
sigilli, risulti un valore inferiore o anche l'inesistenza 
di gioielli, denaro, mobilia. Si tratta di 
una presunzione juris tantum che trova la sua ragion 
d'essere nella necessit� di fornire agli uffici fiscali 
un mezzo di accertamento di beni che, per la loro 
natura, sono difficilmente accertabili in quanto si 
prestano a facili occultamenti rendendo pressoch� 
impossibile per la finanza non soltanto la prova 
della quantit� di essi, ma addiritt:ura quella della 
loro esistenza. La presunzione ammette la prova 
contraria, ma la situazione di sospetto che la 
suddetta natura dei beni ingenera, ha indotto il 
legislatore a limitare siffatta prova agli inventari 
di tutela, di eredit� beneficiata, fallimentari, o 
compilati in seguito di apposizione di sigilli, cio� 
a quegli atti che, redatti in adempimento di specifici 
obblighi disposti dalla legge, sono inoltre collegati 
a controllo e responsabilit� che rendono affidanti 
i relativi accertamenti, sicch�, sulla base di 
essi possa l'organo finanziario fondatamente ritenere 
acquistata l'individuazione dell'intero compendio 
ereditario. In tali sensi eloquente � la evoluzione 
storica della disposizione in esame, evoluzione 
alla quale i primi giudici hanno attinto per affermare 
che mentre la prova contraria poteva, ai 
sensi dell'art. 52 del Testo unico 20 maggio 1897, 

n. 217, esser data con � inventari legalmente attendibili, 
ed anche con atti di notoriet�, i numerosi 
abusi riscontrati in sede di applicazione della 
norma, inducessero il legislatore a limitare (articolo 
2 R.D. 27 agosto 1916, n. 1058; art. 3 legge 
24 maggio 1920, n. 1300; art. 31 R.D. 30 dicembre 
1923, n. 3270) solo agli inventari sopracennati 
la prova in questione. Non ricorre dubbio, che 
nella categoria degli inventari siano stati scelti 
dal legislatore quelli che, siccome redatti da pubblico 
ufficiale, hanno l'efficacia probatoria degli 
atti pubblici. Non �, quindi, che gli atti menzionati 
nell'art.� 31 della legge tributaria non vengono 
in considerazione come inventari, e pertanto non 
come atti disciplinati dagli artt. 769 e segg. Codice 
civile, ma � che ad essi la legge affida la capacit� 
di vincere la presunzione stabilita nella .. prima 
parte della norma proprio perch� essi sono redatti con 
le formalit� e le garanzie dell'atto pubblico. 
E poich� deve ammettersi che ove la legge tributaria 
manchi di una disciplina specifica di determinati 
fatti o rapporti, � consentito far ricorso ai concetti 

-J_;)-1, 


ed agli istituti di diritto civile per la nozione e la 
qualificazione di tali fatti o rapporti, se ne desume 
che � alle norme generali in tema d'inventario, 
nonch� a quelle particolari che disciplinano le 
singole specie menzionate nell'art. 31 che occorre 
far ricorso ai fini dell'accertamento della validit� 
formale dell'atto. In questi sensi deve convenir~i 
che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili, � � 
ugualmente valido ed efficace ai fini tributari. 

Ma non � qui questione di validit� formale 
dell'inventario che gli odierni appellanti oppongono 
alla pretesa di accertamento presuntivo della 
finanza. Si tratta, invece, di stabilire se l'omissione 
di un bene ereditario in uno degli inventari indicati 
nell'art. 31, renda l'atto inefficiente a vincere la 
presunzione legale prevista dalla prima parte 
della stessa norma, come i primi giudici han ritenuto, 
o se, invece, debba il quesito risolversi sulla 
base del richiamo alle disposizioni che disciplinano 
gli istituti nell'ambito dei quali operano gli inventari 
in questione e, nel caso in esame, alla norma dello 
art. 494 C.c. che regola le omissioni e le infedelt� 
nell'inventario e la conseguente decadenza dal 
beneficio. 

L'art. 31 della legge sull'imposta di successione 
non prevede e non disciplina con norme particolari 
il caso in cui nell'inventario si riscontrino omissioni 

o infedelt�. La soluzione propugnata dagli odierni 
appellanti, ed a volte condivisa dalla Commissione 
Centrale, procede dall'affermazione che, per risolvere 
il problema, si debba far ricorso ai principi 
che regolano l'eredit� beneficiata, ed in particolare 
a quello posto dall'art. 494 e.e. 
Gi� si � rilevato che, in via di principio, � lecito 
far ricorso ai concetti ed agli istituti del diritto 
civile allorch� la norma tributaria manchi di una 
disciplina specifica di determinati fatti o rapporti. 
Ma va considerato che � la stessa legge tributaria 
con le proprie norme e le finalit� cui esse tendono 
a segnare il limite del rinvio. Orbene, se gli inventari 
vengono in considerazione perch� la legge tributaria 
attribuisce loro la particolare efficienza di 
prova contraria alla presunzione legale, ed in 
vista della forza probante che il legislatore ha ritenuto 
tranquillante al fine indicato, non � ragione 
alcuna per estendere il rinvio alle regole della 
eredit� beneficiata, nell'ambito del quale istituto 
l'inventario opera nel campo civilistico. Quel che 
interessa ai fini fiscali non � gi� la regolamentazione 
del beneficio d'inventario, sibbene � l'inventario 
come documento redatto nel quadro degli incombenti 
volti a realizzare quel particolare istituto, 
che la legge considera quale atto idoneo alla rilevazione 
della consistenza dell'asse ereditario, e 
sono, invece, indifferenti la funzione che ad esso 
assegna la legge civile ed i particolari effetti che 
in quell'istituto giuridico l'inventario stesso pu� 
conseguire. Non � contestabile, infatti, che un 
inventario escluda la presunzione di cui all'art. 31 
pure se, ad esempio, nel frattempo l'erede abbia 
rinunciato al beneficio, pure se il fallimento sia 
stato revocato, e ci� perch� il suo valore tributario 
� del tutto insensibile alle vicende dei rapporti 
civilistici nei quali esso opera. E per converso, � 
ben possibile che permangano gli effetti del bene


ficio d'inventario, della dichiarazione di fallimento,. 
della tutela, e la finanza lo disattenda provando 
che esistono denaro, gioielli e mobilia che l'inventario 
aveva escluso. 

Ora, la norma dell'art. 49'1 C.c. � regoia senza 
dubbio le omissioni e le infedelt� nell'inventario, 
ma al fine specifico della decadenza dal beneficio, 
vale a dire di quegli effetti che la legge (art. 490 
e.e.) riconnette all'istituto, i quali effetti non 
hanno alcun rilievo per la legge tributaria che si 
appaga della validit� formale del documento. 
Tanto ci� � vero che altri, oltre quello ora considerato, 
sono i casi di decadenza previsti dalla legge, 
e non pu�, certo, fondatamente sostenersi che le 
ipotesi di cui all'art. 505 e.e. importino l'invalidit� 
ai fini fiscali dell'inventario. D'altra parte il minore 
che non osserva l'obbligo della formazione dello 
inventario non potr� vincere la presunzione dello 
art. 31 per difetto del documento prescritto dalla 
norma, ma non decade dal beneficio se non quando 
dopo un anno dal compimento della maggiore et�, 
non abbia provveduto a formare l'inventario. 

Il quesito, quindi, non pu� trovare soluzione 
con l'inammissibile richiamo a norma dettata per 
tutt'altro fine. In sostanza la presunzione legale 
posta dall'art. 31 pi� volte citato opera solo nei 
casi tassativamente indicati nel terzo comma, 
sicch�, ove sussista la validit� formale dell'inventario, 
cade la facolt� degli uffici finanziari di ricorrere 
all'accertamento presuntivo. Nel caso in 
esame -gi� si � detto -la validit� formale del 
documento non viene in discussione, ma l'Amministrazione 
finanziaria sostiene che la certezza che 
l'inventario non comprendeva tutti i beni � circostanza 
efficiente ad abilitarla a ricorrere allo 
accertamento presuntivo; il che pone in diversi 
limiti il problema, e cio� se un fatto accertato 
successivamente alla forma.zione del documento 
possa rendere quest'ultimo invalido ai fini fiscali. 
Or, se si tiene presente la finalit� che la legge ha 
inteso perseguire allorch� ha limitato la prova 
contraria alla presunzione di cui all'art. 31, cio� 
quella di evitare, con l'occultamento della ricchezza, 
le frodi fiscali, e si tiene conto, aj.tres�, che gli 
inventari indicati sono dalla legge considerati efficienti 
a dare l'esatta rilevazione dei beni ereditari, 
si deve ritenere che il fatto posteriormente accertatodeve 
essere di tale natura da vulnerare sia detta 
finalit�, sia la rilevazione che il documento � 
destinato ad offrire. Tale � senza dubbio l'omissione 
maliziosa nell'inventario di alcuni beni. Ma 
allorch� tale omissione non � da ascriversi a mala 
fede, e risulta, anzi, come nel caso esame, che essa 
� addebitabile ad ignoranza sulla esistenza dei 
beni omessi, e dei quali, per di pi�, l'erede si � 
affrettato a denunciare l'esistenza agli organi tributari, 
non pu� affermarsi che l'inventario abbia 
perduto ogni idoneit� a contrastare l'accertamentopresuntivo. 
In definitiva l'amministrazione finanziaria, 
per negare la validit� probatoria.dElll'inventario 
ed affermare la legittimit� dell'accertamen_to _ _ 
in via presuntiva, si vale, a ben riflettere, a sua. � 
volta di un elemento presuntivo consistente nel 
fatto che l'inventario non contiene menzione delle 
162 azioni della Sez. Tritone, ed argomenta che se


����-�-�---�-..-�----�---------------....... 



-155 

quel bene fu omesso, se ne deve dedul'l'e che lo 
inventario non contiene la rilevazione della insussistenza 
del denaro, dei gioielli, della mobilia. Ma 
l'elemento presuntivo non � efficiente a disconoscere 
la validit� sostanziale dell'inventario quando risulta 
che l'omissione fu, come nel caso in esame, incolpevole, 
e quando gli eredi hanno subito portato a 
conoscenza degli organi tributari l'esistenza di 
dette azioni. 

Illegittimo � pertanto l'accertamento operato in 
via presuntiva dall'Ufficio e conseguentemente gli 
appellanti hanno diritto al rimborso dell'imposta 
pagata. 

La questione, ampiamente trattata dalla Corte di 
Appello nella sentenza che si annota, non � nuova 
alle Commissioni Tributarie e, quel che pi� conta, 
non � pacificamente risolta (1). 

Com'� noto, l'art. 31 della legge sull'imposta di 
~uccessione sancisce la presunzione dell'esistenza 
�i gioielli, denari, mobilio ecc... per un valore in 
ragione di una determinata percentuale sull'ammontare 
globale del compendio ereditario. Detta presunzione 
� di applicazione generale; si ammette, peraltro, 
la prova contraria, ma in modo restrittivo e con mezzi 
. tassativi. Questi mezzi sono esclusivamente gli inventari 
di tutela e di eredit� beneficiata o fallimentare 

o fatti a segiiito di apposizioni di suggelli ecc. 
Poich� la norma nulla detta sulla nozione degli in 
ventari riferiti, si impone la necessit� di ricercare il 
loro giuridico significato ri�orrendo a norme, anche di 
natura diversa da quella tributaria, che contengano 
gli estremi per una corrispondente qualificazione. 
In altri termini, ci� che � necessario per la vitalit� 
.della disposizione in parola � unicamente l'esatta conoscenza 
giuridica di quei fatti che vanno sotto il 
nome di inventario di tutela, di eredit� beneficiata. 

Questa sola � un dato essenziale, ed estraneo al con.
tempo, alle norme tributarie, mentre la regolamentazione 
di quei fatti, cio� il loro svolgimento, gli effetti, la 
loro funzione, si deduce chiaramente dalla ratio stessa 
-della norma tributaria, contenuta nello articolo cita.to. 

Di qui discende il richiamo alle norme civili 
unicamente per la qualificazione giuridica del fatto 
{( inventario �, come esattamente osserva la Corte di 
Appello, e non per la sua regolamentazione. Rinvio, 
dunque, alla legge civile per la determinazione dello 
inventario come fatto giuridico e, in modo particolare, 
come documento redatto con specifici requisiti di forma 
e di sostanza per la rilevazione della consistenza dello 
.asse ereditario. 

Ogni altro rinvio alla legge civile che, sia pure 
marginalmente, attenga alla disciplina dell'inventario 
nell'ambito dell'istituto civilistico di cui fa parte, 
deve respingersi. Data veste giuridica al fatto 
�cc inventario �, nulla manca perch� il disposto dello 
art. 31 possa venir applicato. 

Il come e il quando applicarlo � questione che 
afferisce alla interpretazione dell'articolo e per cui 
non � necessario alcun ulteriore richiamo a disposi.
zioni di diritto civile. 

(1) V. Comm. Centr. 26 ottobre 1945, n. 6496, in 
Riv. leg. fisc., 1951, 1033; Comm. Centr. 12 novembre 
1954, n. 65400; idem, 1955, 708; Comm. Centr. 19 di�
cembre 1960, n. 35655; idem, 1962, 134. 
Se ci� � vero, (e, almeno in parte, ci sembra concordi 
la Corte di Milano) non � possibile poi affermare 
che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili, 
� ugualmente valido ed efficace � ai fini � irtbutari. 
Validit� ed efficacia sono termini di valore sostanziale, 
che afferiscono non all'esistenza, ma alla vitalit� e 
capacit� (si intende giuridica) di un fatto o rapporto. 
La validit� e l'efficacia di un atto sono determinate 
da una o pi� norme che regolano l'atto stesso in 
relazione alle finalit� volute dal legislatore. Non � 
possibile rinviare ad altre norme la determinazione 
dell'invalidit� e dell'inefficacia di un fatto senza, 
nel contempo, ammettere che, per quel fatto, sono 
state applicate norme dettate per una situazione 
diversa. Se proprio si vuole fare una equiparazione, 
l'unica consentita � questa: l'inventario giuridicamente 
esistente ai fini civili � giuridicamente esistente 
ai fini tributari. 

Posta la necessit� di richiamarsi ad altre norme, 
unicamente per la determinazione e cognizione giuridica 
di un atto, ci sembra ovvio che il richiamo 
debba essere fatto a quelle norme che determinano e 
qualificano l'atto nella sua tipicit� e perfezione e 
non nei suoi aspetti atipici o patologici . 

L'inventario � un atto-documento, con certi requisiti 
di forma e di sostanza, che accerta e certifica l'esistenza 
e l'entit� di tutti i beni di un patrimonio. Un 
inventario, che ometta l'indicazione di taluni beni 
effettivamente esistenti in un patrimonio, � un 
inventario imperfetto, che potr�, o non, avere effetti 
a seconda della norma che lo considera. Ma non � 
naturale estendere il richiamo alle norme che debbono 
dare la qualificazione giuridica di un atto tipico e 
perfetto anche alle norme che disciplinano lo stesso 
atto nel suo aspetto atipico e imperfetto. 

Da queste premesse ci sembra potersi concludere 
che, di fronte ad un inventario incompleto (cio� . 
imperfetto), non sia lecito richiamarsi alle norme del 
Codice civile (alla buona o mala fede che ha determinato 
l'omissione), per stabilirne l'efficacia in una 
sede cos� strutturalmente e funzionalmente diversa 
come � quella tributaria, ma sia doveroso mantenersi 
esclusivamente nell'ambito dell'art. 31 citato. In 
questo ambito dovr� procedersi ad una normale 
operazione interpretativa, cio� stabilire se un fatto, 
non perfettamente corrispondente a quello inteso 
dalla norma, possa o no produrre i suoi effetti. 

A noi pare che, se solo si vuole considerare con 
un poco di attenzione, al di l� delle mere espressioni, 
la fimzione dell'articolo, inserito dinamicamente nel 
complesso delle norme che regolano l'imposta di 
successione, il carattere generale della presunzione 
da esso posto, la tassativit� dei mezzi atti a vincere 
la presunzione stessa, la peculiarit� di tutte le norme 
tributarie, che � quella di garantirsi da ogni possibile 
frode, non pu� non riconoscersi che, con l'attribuire 
effi.cacia (quella particolare efficacia) ad un inventario 
incompleto, si verrebbe a frustrare lo scopo della 
norma, e ci� per mezzo di uno strumento che dovrebbe 
costituire, dato il suo carattere pubblico e fidefacente, 
la migliore garanzia per la norma stessa. 

GIANCARLO FERRERO 

PROCCRATORE DELLO STATO 


-156 


IMPOSTE E TASSE -Agevolazion! tributarie -Atte


stazioni di organi non fiscali� -,potere di controllo 

dell'Amministrazione Finanziaria -Sussiste. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Aumento di capitale di 

societ� per azioni connesso a fusione -Tassa "fissa 


Limiti di applicazione. (Corte di Appello di Torino, 

16 novembre-31 dicembre 1962 -Pres.: Casoli; Est.,: 

Malinverni -Soc. Genepesca c. Finanze. 

L'accertamento delle condizioni di applicabilit� 
delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 41 della 
legge 11 gennaio 1959, n. 25, demandato al Ministro, 
dell'Industria e del Commercio non elimina n� 
rende superfluo l'accertamento dei requisiti sostanziali 
per la concessione del beneficio tributario, 
attribuito all' .Amministrazione Finanziaria dalle 
disposizioni di legge precedenti. 

Il beneficio della tassa fissa di registro previsto 
dall'art. 3 decreto-legge 7 maggio 1948, n. 1057 
spetta solo nel caso in cui tra l'aumento di capitale 
e l'atto di fusione vi sia un rapporto direttamente 
causa.le. 

* * * 

La sentenza della Oorte torinese, passata in giudicato, 
ha fatto buon governo delle norme che concedono 
agevolazioni fiscali �agli aumenti di capitale deliberati 
per facilitare le fusioni e le concentrazioni di 
societ� e, in occasione -di queste �, respingendo una 
interpretazione estensiva di tali norme accolta talvolta 
dalla giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Genova, 
16 gennaio 1957 in Rep. F.I. 1957, Registro, 

n. 297) e, ancora recentemente, dalla Oorte di Oassazione 
(Sent. 10 agosto 1962, n. 2521 in Foro It., 
1963, I, 1008; interpretando l'analoga legge 6 agosto 
1954, n. 603 art. 29). 
La prima massima � pacifica in giurisprudenza 
(cfr. Appello Roma, 17 luglio 1959 in Giur. It., 1960, 
1, 2, 626 e Oomm. Oentr. Sez. VII, 11 luglio 1958 
in Riv. Leg. fisc., 1959, 797). Esattamente ha 
osservato in proposito la Oorte torinese: La legge, 

n. 1057 del 1948 aveva ammesso, tra l'altro, al 
beneficio dell'imposta fissa di registro gli atti di 
fusione delle societ�. per azioni, e. i contemporanei 
aumenti di capitali, deliberati nell'occasione delle 
fusioni al fine di facilitarle. La legge, n. 25 del 
1951, con l'art. 41, prorog� il termine delle accennate 
agevolazioni, purch� queste ultime fossero 
state autorizzate dal Ministero della Industria e 
del Commercio, sentito quello del Tesoro. Pertanto, 
trattandosi di una legge di proroga, non pu� intendersi 
la portata di una disposizione da essa introdotta, 
ai fini dell'agevolazione stessa, senza ulteriori 
limitazioni riferite all'intrinseco della norma 
agevolatrice, prorogata, se non in senso restrittivo, 
e particolarmente relativo alla finalit� cui logicamente 
dovette essere diretta la specifica limitazione, 
finalit�. di ordine economico, e di convenienza nel 
campo produttivo e commerciale, finalit�., infine, 
la considerazione delle quali � attributo esclusivo, 
per la particolare competenza onde � investita, 
dell'.Amministrazione preposta all'industria e al 
commercio, e cui � estranea, perch� non esperta, 
lAmministrazione finanziaria. In altre parole, la 
proroga fu condizionata a una preventiva autoriz


zazione, da concedersi previo l'accertamento di 

quei requisiti, che fossero stati ritenuti dal Mini


stero competente (quello, ovviamente, q~ll:;t, indu


stria e del commercio) necessari per dare vita, �ol 

mezzo della fusione, a un organismo economica_
mente solido e vitale_ 

Ma il detto accertamento, cui fu condizionata la 

proroga, non deve intendersi preclusivo dalle 

normali indagini, cui � tenuta l'.Amministrazione 

delle Finanze per constatare la ricorrenza, oppure 

no, degli altri requisiti, consistenti nella contem


poraneit�. della destinazione del detto aumento al 

fine di facilitare la fusione nell'occasione della 

quale l'aumento stesso � stato deliberato -requi


siti -ripetesi -il cui accertamento fu dalla legge 

del 1948, n. 1057 affidato agli uffici finanziari, e ai 

quali non pot�, come non pu�, essere sottratto 

senza una specifica disposizione, tale non potendosi 

ritenere quella, di cui all'art. 41 della legge 7 maggio 

1948, n. 1057, subordinante la proroga del beneficio 

ammesso con la legge precedente, a un altro accer


tamento, costituente pertanto, quest'ultimo, una 

condizione necessaria, e non sufficiente. Infatti 

l'autorizzazione del Ministero dell'Industria e Com


mercio, ha posto essenzialmente il punto sulla effi


cienza del nuovo organismo che sarebbe derivato 

dalla fusione, come si evince dal contenuto del 

nulla. osta, dato perch� l'operazione risponde a un 

fine economico, in quanto riguarda tre societ�. 

complementari, per cui dalla loro fusione risulta 

un organismo pi� razionale ed efficiente con una 

conseguente semplificazione amministrativa ed eco


nomica di gestione nell'esercizio dell'attivit�. delle. 

dette imprese. 

E invero non tanto l'autorizzazione ministeriale 

investe le agevolazioni finanziarie, direttamente, 
quanto le fusioni stesse e i contemporanei aumenti 
di capitali, deliberati in quelle occasioni per facilitare 
l'attuazione, onde la portata della detta autorizzazione 
�, in sostanza, quella di un nulla osta 
all'atto di fusione, e all'aumento del capitale 
sociale in funzione della fusione stessa, e pertanto 
di un nulla osta, che apra la via� degli accertamenti 
� richiesti dalla legge 1057 del 1948 a.i fini della 


agevolazione tributaria. 

La seconda massima � molto pi� interessante 

fissando essa limiti di applicabilit� di un beneficio 

che, da parte dei contribuenti, si tende ad allargare 

oltre le previsioni legislative. 

La fattispecie era in breve la seguente: in occasione 

della fusione delle societ� Pescoatlantica e Frigo


Industriale con la Genepesca quest'ultima aveva 

deliberato due aumenti di capitali, in uno stesso atto, 

uno corrispondente alla somma dei capitali delle 

societ� che si fondevano e un altro, di importo supe


riore, diretto a facilitare, senza meglio specificare, la 

fusione stessa. 

Si � sostenuto dalla Genepesca che �l'aumento di 

capitale corrispondente alla somma dei capitali delle 

societ� che si fondono deve considerarsi non gi� 'Un --


aumento << deliberato per facilitare la fusione �, bens�, 

pi� esattamente, una conseguenza necessaria della 

operazione di fusione per incorporazione e per tale 

motivo gi� esentato in virt� dell'art. 1 del decreto-legge 


-157 


7 maggiQ 1948, n. 1054, � trattandcsi di una operazione 
costitutiva della fusione stessa e con essa 
inscindibilmente connessa �. Quindi il beneficio di 
cui all'art. 3 non avrebbe potuto che riferirsi ad un 
aumento di capitale diverso da quello suaccennato. 

La tesi � erronea nelle due premesse e quindi nella 
conseguenza. 

La prima premessa errata � che l'aumento corrispondente 
alla somma dei capitali delle societ� che 
si fon dono � una operazione costitutiva della fusione 
stessa. 

Il BRUNETTI (Trattato del diritto delle societ�, 
Giuffr� 1948, vol. II, pag. 647) afferma che �la 
fusione per incorporazione produce una alterazione 
nello stato giuridico della societ� consistendo in un 
incremento patrimoniale ed, eventualmente, ma non 
necessariamente, nell'aumento di capitale sociale 
dello incorporante � e pi� oltre afferma che, �il 
codice nulla dice riguardo all'assegnazione di azioni, 

o di quote, del soc. incorporante ai soci di quella 
incorporata � che possono essere anche tacitati in 
denaro. 
Il GRECO (Le societ�, Giappichelli, 1959, pagina 
464) afferma che l'aumento di capitale della societ� 
incorporante pu� non essere necessario, cos� nel 
caso che questa possedesse gi� l'intero pacchetto 
azionario della societ� incorporata, o che abbia in 
portafogli un numero sufficiente di proprie azioni 
da attribuire a tutti i soci di detta societ� �, e cita 
l'opinione del VIVANTE {Trattato, II, n. 766, del 
FERRARA: Impr. e Soc., pag. 423 e del VISENTINI 
in Riv. Dir. Comm., 1942, II, 294). 

La seconda premessa � che l'aumento di capitale 
corrispondente alla somma dei capitali sociali delle 
Societ� sia gi� esentato in virt� dell'art. 1 del regiodeoreto 
7 maggio 1948, n. 1057, il che � puramente 
gratuito perch� l'art. 1 esenta gli atti di fusione 
e non parla affatto dei contemporanei aumenti di 
capitale; ora, come abbiamo visto, l'aumento di capitale 
pu� essere una modalit� del procedimento di 
fusione ma non � la fusione stessa come � di tutta 
evidenza. 

La conseguenza errata � che l'aumento di capitale 

di cui all'art. 3 debba essere diverso da quello stretta


mente necessario per l'operazione di fusione. 

E' invece da rilevare al contrario che, appunto 

perch� trattasi di operazioni distinte sia pure dello 

stesso procedimento, non si sarebbe potuto applicare 

l'esenzione fiscale agli aumenti di capitale, quan


tunque connessi con l'operazione di fusione, se non 

con una esplicita disposizione legislativa, e a tal fine 

� stato emanato l'art. 3 (cfr. PERRICONE: .Aziende e 

Societ� nell'imposta di registro, Giuffr� 1950, pa


gina 288). 

D'altro canto se il solo aumento di capitale inscindibilmente 
connesso con la fusione � quello corrispondente 
alla somma dei due capitali sociali, come 
si giustificherebbe, in armonia con la ratio legis 
che � quella di facilitare le fusioni, una agevolazione 
per un aumento di �capitale non connesso con la fusione 
stessa. 'i 

Ohe la ratio legis fosse quella di facilitare, con la 
riduzione dei costi fiscali che tali operazioni comportano, 
il ridimensionamento delle aziende sociali 
per rafforzare, attraverso la fusione di aziende minori, 

l'economia nazionale � indubbio (cfr. ROMANO: 
.Agevolazioni tributarie agli effetti dell'imposta di 
registro e concentrazioni d'azienda in �Riv. Trim. 
Dir. Proc. Civ. �, 1959, 711 e .ANTONINI: Cob:Sidera~ 
zioni intorno ad alcuni aspetti tributari delle 
concentrazioni aziendali in cc Gius. It. �, 1960, IV 
pag. 57 e segg.). 

E se, l'aumento di capitale superiore alla somma 
dei capitali sociali delle societ� che si fondono non 
� cc inscindibilmente connesso �, con la fusione, per 
quale motivo il legislatore. avrebbe dovuto concedere 
le agevolazioni fiscali? Ma, si � obiettato, se cos� fosse~ 
la considerazione di contemporaneit� imposta dallo 
art. 3 sarebbe superfiua in quanto l'aumento d� 
capitale corrispondente all'importo dei capitali delle 
societ� incorporate � necessariamente contemporaneo 
alla fusione. Se anche l'obiezione fosse fondata non 
proverebbe granch� in quanto le leggi sono piene 
di pleonasmi, specie quelle tributarie che sono tutt'altro 
che tecnicamente ineccepibili. Ma, in realt�, it 
requisito, della contemporaneit� non era affatto 
superfiuo in quanto, come abbiamo visto, la fusione 
non importa necessariamente un aumento di capitale; 
per collegare l'aumento alla fusione ed estendere al 
primo gli stessi benefici della seconda � quindi 
necessaria la contemporaneit� cronologica, senza che 
per� questa sia sufficiente essendo esplicitamente 
richiesto anche l'altro requisito della strumentalit� 
dell'aumento di capitale, che deve essere diretto a 
facilitare la fusione. 

Sulla portata di tale ultimo requisito la Genepesca~ 
giocando sulla elasticit� lessicale della parola � f acilitare 
� ha sostenuto che il secondo aumento cc era 
destinato a consentire la pi� efficiente organizzazione 
imposta dalla deliberata fusione e, quindi, in definitiva, 
a facilitare la fusione stessa nelle sue proprie 
finalit��. 

� stato facile obiettare che il risultato di facilitare 

la fusione sarebbe in tal caso secondario, indiretto e 

mediato, mentre immediato, diretto e principale � 

lo scopo di consentire una pi� efficiente organizzazione 

aziendale. Ora, tenendo presenti i criteri interpre


tativi in tema di agevolazioni tributarie (cfr. Cont. 

dello Stato per gli anni 1942-50, vol. I, pag. 475, 

n. 344) sintetizzati nella formula secondo cui � 
necessaria� la connessione diretta dell'oggetto del negozio 
per il quale si discute dell'applicabilit� dell' agevolazione 
con l'ipotesi di riduzione delle leggi previste 
�, � evidente che non pu� consentirsi un tale 
allargamento della portata della norma di favore. La 
circolare ministeriale 18 agosto 1948, n. 117855 ha 
precisato, proprio in previsione di una tale situazione 
di fatto che: �si deve ritenere compreso nelle agevolazioni 
di cui sopra esclusivamente l'aumento di 
capitale che sia strettamente collegato alla fusione 
sociale mentre � da considerarsi escluso quello rivolto 
al potenziamento della societ� �. 
La Commissione Centrale ha chiarito che l'agevolazione 
� non pu� riferirsi che agli aumenti di .capitale 
resi necessari dall'operazione di fusione e concen----trazione 
e per la parte corrispondente all' ammonta1�e 
delle aziende o stabilimenti conferiti o al capitale 
delle societ� incorporate�, aggiungendo che cc � insufficiente 
ai fini della concessione dell'esenzione tributaria, 
la circostanza che il menzionato conferimento 


--158 .:.._ 


forma un presupposto inderogabile della fusione, 
giacch� essa, se ha rilievo in rapporto alle cause che 
la determinano, non costituisce un elemento essenziale 
dell'operazione (Oomm. Oentr., 10 marzo 1950, 
numero 11065 in Riv. Leg. Fisc., 1950, 1008 e, per 
qualche riferimento, Oomm. Oentr. 26 maggio 1954, 

n. 61747&in Riv. Leg. Fisc. 1954, 1511). 
Se si escludesse la connessione diretta tra l'aumento 

di capitale e la fusione, il <e rapporto direttamente 

eausale � per usare l'espressione della Oorte torinese, 

ne deriverebbe che qualsiasi aumento di capitale 

deliberato in occasione di una fusione potrebbe 

,genericamente essere considerato come diretto a f aci


litarla. E' ovvio che in ogni caso un'aumentata dispo


nibilit� di capitali facilita lo sviluppo e la riorganiz


.zazione �dell'azienda: se davvero il legislatore avesse 

voluto uno scopo cos� ampio era sufficiente che si 

limitasse a richiedere il solo requisito della contem


poraneit� dell'aumento di capitale con la fusione, 

essendo evidente che, nel senso voluto dai contribuenti, 

tutti gli aumenti di capitale facilitano indirettamente 

la fusione potenziando l'azienda incorporante. 

Se il legislatore ha voluto oltre al requisito della 
eontemporaneit� anche quello della connessione diretta 
dell'aumento con la fusione � perch� non tutti gli 
aumenti di capitale (che certo facilitano e non ostacolano 
la fusione) possono essere esenti dall'imposta 
bens� solo quelli che hanno per scopo immediato, per 
causa effettiva, per oggetto diretto la fusione e non 
anche il potenziamento-dell'azienda incorporante che 
solo indirettamente finisce con il facilitare anche la 
fztsione. 

Onde a noi sembra che esattamente la Oorte di 
Torino ha concluso la pregevole motivazione della 
sua sentenza affermando che: va ritenuto, pertanto, 
che l'esigenza di un rapporto direttamente causale 
tra l'aumento di capitale societario e l'atto di fusione 
si evince chiaramente dalla lettera della legge, 
onde collegando la menzionata finalit�. agevolatrice 
della fusione con la pur menzionata condizione 
che l'aumento debba essere deliberato contemporaneamente 
alla fusione e nell'occasione di essa, 
si trae la conseguenza che la legge abbia preteso, 
all'effetto del beneficio fiscale, un vero e proprio 
collegamento diretto tra la deliberazione maggiorativa 
del capitale stesso e la deliberazione di fondere 
(o concentrare) due o pi� societ�.. 

GIOVANNI FIERRO 

ESPROPRIAZIONE PER P. U, -Retrocessione 


Relitti -Determinazione del giusto prezzo, in man


canza di amichevole pattuizione -La preventiva 

perizia di cui agli articoli 32 e 33 della legge � condi


zione di ammissibilit� della domanda giudiziale. 

(Tribunale Potenza 12 marzo 1963, n. 121/63 


Est.: Nesti -Appio c. Finanze). 

In analogia a quanto � disposto per la determinazione 
dell'indennit�. di espropriazione, l'azione 
giudiziaria per la determinazione del giusto prezzo 
di retrocessione di un relitto va intesa come mezzo 
di impugnazione di una, precedente stima eseguita 
in fase non contenziosa. Pertanto, anche rispetto 

a tale azione, la perizia prevista dagli artt. 32 e 33 
della legge si pone come un prius logico, che 
condiziona l'ammissibilit�. della relativa domanda. 


Oo'IR. la sentenza che si segnala, il Tribunale di 
Potenza -oltre a decidere (nel senso di cui sopra e 


, 
secondo la tesi dell'Avvocatura) la questione di ammissibilit� 
della domanda di determinazione giudiziale 
del prezzo d'un relitto -ha cercato di fissare, 
sullo stesso argomento, alcuni principi, che sembrano 
interessanti, per la rarit� di precedenti. 

In particolare, dopo aver premesso che il prezzo 
dei fondi oggetto di retrocessione, ove non sia amichevolmente 
pattuito, viene stabilito giudizialmente, 
in seguito a perizia da eseguirsi a norma degli articoli 
32 e 33 della legge, il Tribunale ha precisato: 
Il mezzo per la determinazione del prezzo dei 
beni non � quindi diverso da quello stabilito per 
la determinazione dell'indennit�. di espropriazione. 
La stima deve, di conseguenza, essere eseguita da 
un perito nominato dal Tribunale territorialmente 
competente, entro il termine fissato col decreto di 
nomina. 


Per quanto, poi, riguarda il soggetto, ad, impulso �el 
quale -in caso di disaccordo -debba richiedersi 
la nomina del perito, avvertita la carenza di una 
esplicita indicazione legislativa (in quanto l'art. 60 
si limita a richiamare i precedenti artt. 32 e 33), 
il Tribunale stesso ha espresso l'avviso che (a differenza 
di quanto avviene nel caso d'indennit� di 
espropriazione, in cui tale iniziativa compete al 
Prefetto), nella ipotesi in questione, in caso di 
disaccordo, una qualsiasi delle parti possa dare 
impulso al procedimento per la determinazione del 
prezzo di retrocessione, mediante istanza o richiesta 
al Tribunale territorialmente competente, per la 
nomina del perito. 


Infine, circa i termini per� la impugnativa di tale 
stima, il Tribunale ha ritenuto che la relativa azione 
giuiJ,iziaria sia svincolata dall'osservanza di termini 
di decadenza, a differenza di quanto dispone l'art. 51 
della legge per il caso d'indennit� di esproprio. 


GIUSEPPE ADOBBATI 

RESPONSABILITA CIVILE -Danno subito da dipen� 
dente in servizio -Prescrizione. (Tribunale di Firen� 
ze, Io luglio 196.3 -Pres.: Est.: Cerrini Feroni-Galardi 
c. FF.SS.). 


Il diritto del dipendente statale al risarcimento 
del danno, che abbia subito, per colpa dell'Amministrazione, 
in servizio ed a causa di servizio, si 
prescrive in 5.anni, che, per i fatti avvenuti anteriormente 
alla data di entrata in vigore della 
Costituzione (e, quindi, anteriormente anche alla 
legge 6 marzo 1950, n. 104), decorre da questa e 
non dalla data della sentenza, con la quale la 
Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente 
illegittimo il R.D.L. 6 febbraio 1936, nu---mero 
313 (30 gennaio 1962). 

La sentenza, che ha accolto in pieno le tesi sostenute 
dall'Avvocatura, cos� motiva al riguardo: 



-159 


L'atto di citazione introduttivo di questo giudizio 
� stato, infatti, notificato il giorno 16 dicembre 
1962. A tale data erano gi� maturati i termini 
di prescrizione preveduti rispettivamente dagli 
artt. 2947 e 2951 O.e. poich� erano gi� trascorsi 
pi� di cinque anni, e perci� a maggior ragione pi� 
di un anno, dal giorno in cui il diritto oggi vantato 
dal Galardi poteva essere fatto valere (articolo 
2935 O.e.). 

Ed invero, ad avviso del Collegio come non 
v'� dubbio che al Galardi era precluso in passato, 
cio� all'epoca in cui si verific� il fatto dannoso 
ed anche successivamente, l'esercizio del diritto 
di richiedere all'Amministrazione delle Ferrovie 
dello Stato l'integrale ristoro del danno sofferto 
per effetto della legislazione speciale allora vigente 

(D.L.G. 21 ottobre 1915, n. 1558 e R.D.L. 6 febbraio 
1936, n. 313 convertito nella legge 28 maggio 
1936, n. 1126) che escludeva l'azione risarcitoria 
dell'impiegato infortunato nei confronti della Pubblica 
Amministrazione, cosi sembra altrettanto 
certo che tale preclusione venne a cessare al momento 
dell'entrata in vigore della nuova Costituzione 
dello Stato o quantomeno al momento in cui 
trov� effettiva attuazione la legge 11 marzo 1953, 
n. 87 (cio� nel 1956). 
In altri termini, a prescindere dal fatto della 
sopravvivenza della legge abrogativa 6 marzo 
1950, n. 104 alla quale le parti hanno fatto solamente 
un accenno e dalla quale potrebbero sorgere 
questioni di dubbia risoluzione, la preclusione dello 
esercizio del diritto all'intero ristoro del danno 
invocato dal Galardi, per effetto della nuova 
costituzione e perci� ancora prima che intervenisse 
la sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 
1962, n. 1 non era, come rileva la convenuta, di 
carattere assoluto ma relativo in modo da consentire 
allo stesso attore di esercitare il diritto solo 
attualmente fatto valere. 

La illegittimit� della abrogata legislazione preclusiva 
dell'azione riparatrice del danno, � derivata 
infatti, da contrasto con i principi dell'art. 28 della 
Costituzione. Ne deriva come logica conseguenza 
che questo motivo di illegittimit� poteva essere 

sollevato inizialmente dinanzi all'autorit� giudiziaria 
ordinaria, poi dinanzi al Giudice Costituzionale, 
facendosi contemporaneamente valere il 
diritto risarcitorio, senza che perci� quest'ultimo 
trovasse pi� quella preclusione assoluta ad essere 
azionato che invece valeva per il passato. 

, Questa soluzione, secondo il parere del Tribunale 
trova il suo sostegno nel principio che le sentenze 
della Corte Costituzionale le quali accertano la 
illegittimit� di una legge non fanno che rilevare 
la nullit� (per difformit� ai principi costituzionali) 
della legge stessa; tale servizio peraltro esiste fin 
dal momento in cui si verific� l'anzidetta difformit�, 
ossia dal momento in cui la legge o, se questa � 
anteriore alla Costituzione, (come nel caso in esame) 
dal momento dell'entrata in vigore di questa 
ultima. 

Conseguentemente � a tale momento che deve 
farsi risalire il giorno iniziale della relativa decorrenza 
secondo il principio dell'art. 2935 O.e. Infatti, 
era da quel momento che il Galardi avrebbe 
potuto esercitare il proprio diritto verso la Pubblica 
Amministrazione, sollevando contemporaneamente 
ai fini delle relative declaratorie giudiziali 
la questione di illegittimit� delle leggi ordinarie, 
che fino allora gli aveva precluso ogni azione, per 
il vizio consistente nella difformit� con i principi 
dell'art. 28 della nuova Carta Costituzionale. 

N� pu� essere presa in considerazione l'ultima 
obiezione sollevata dall'attore, secondo il quale il 
corso della prescrizione opposta dalle Ferrovie dello 
Stato si sarebbe interrotto per effetto del risarcimento 
del debito da parte della stessa Amministrazione 
(art. 2944 O.e.). Infatti le manifestazioni 
provenienti dalla convenuta ed a tal fine 
indicate dal Galardi, cio� a dire fornitura di un 
arto �artificiale fino al 1956, sollecitazione dello 

I.N.A.I.L. perch� venisse corrisposta all'infortunato 
una rendita mensile, ed infine concessione di uno 
speciale distintivo di onore, non sono idonei a interrompere 
la prescrizione. Essi, non rappresentano 
manifestazioni espresse dal risarcimento del diritto 
patrimoniale dedotto in giudizio, ma espressioni 
di solidariet� sociale e di comprensione. 

�I N D I e E s I s� T E M A T I e o 
DELLE CONSULTAZIONI 


L.J. FURMUL.J.ZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN .J.L�JUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE liJ STATA DAT� 
ACQUE PUBBLICHE 

REGIONE TRE:l'l'TINO-Ar.To ADIGE. 
Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre 
1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per la 
Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui allo 
art. 10 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige 
in base alla quale a detta Regione spetta un diritto di 
preferenza a parit� di condizioni nelle concessioni di 
grande derivazione a scopo idroelettrico (n. 75). 

APPALTO 

FALLIMENTO -P AG.AMENTI. 
Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante 
a garanzia dei versamenti di legge agli istituti previdenziali 
e assicurativi debbano, intervenuto il fallimento 
dell'appaltatore, essere versate al curatore o agli istituti 
stessi (n. 268). 

AUTOVEICOLI E AUTOLINEE 

MANU'TENZIONE -RESPONSABILIT�. 
Se il periodico controllo degli organi meccaru01 e 
l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente 
ad esonerare il proprietario dalla responsabilit� di cui 
al 4� comma dell'art. 2054 O.e. (n. 65). 

CIRCOLAZIONE STRADALE 

CARICHI SPORGENTI. 
Se le norme contenute nell'art. 119 e 32 del Codice 
della Strada tutelino interessi diversi ed abbiano un 
diverso ambito di applicazione (n. 5). 

CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO 

PROCURA IBREVOCABILE ALL'INCASSO' -p AGAMENTO AL 
TITOLARE DEL CREDITO. 

Se, in presenza di una procura irrevocabile per incasso, 
il pagamento fatto al dominus abbia piena efficacia 
liberatoria (n. 190). 

COMUNI E PROVINCIE 

TASSA PER OCC1UPAZIONE DI SUOLO PuBBLICO -SPAZI 
DEMANI.ALI. 

Se sia applicabile la tassa comunale di occupazione di 
aree pubbliche alle concessioni di spazi demaniali marittimi 
(n. 103). 

DANNI DI GUERRA 

CITTADINI TEDESCHI. 

1) Se l'accordo di reciprocit� italo-germanico ratificato 
il 26 ottobre 1942 e reso esecutivo con legge 7 dicembre 
1942, n. 1855 in virt� del quale i cittadini tedeschi 
avevano diritto al risarcimento dei danni di guerra da 
parte dello Stato Italiano, debba considerarsi estinto alla 
data di inizio delle ostilit� tra la Germania e il Regno 
d'Italia essendo in conseguenza illegittimi e ripetibili 
i pagamenti fatti in virt� di detto trattato dall'Amministrazione 
delle Finanze nel corso delle ostilit� medesime 

(n. 112). 
2) Se in base alla legge 27 dicembre 1953, n. 968 
possa accogliersi la domanda di risarcimento di danni 
di guerra presentata da una Societ� italiana il cui pacchetto 
azionario al momento del verificarsi del danno 
apparteneva interamente a cittadini tedeschi e che pertanto 
ai sensi della precedente legge sui danni di guerra 
26 ottobre 1940, n. 1543 doveva� considerarsi� straniera 
e quindi esclusa dal risarcimento (n. 112). 

DAZI DOGANALI 

AzIONE DI RIMBORSO -PRESCRIZIONE. 

1) Se l'azione di rimborso di diritti doganali indebitamente 
pagati fuori dei casi previsti dall'art. 29 legge 
25 settembre 1940, n. 1424 sia soggetta a prescrizione 
ordinaria (n. 22). 

2) Se sia sottoposta a tale prescrizione l'azione di 
rimborso dell'imposta di conguaglio, istituita con l'articolo 
1 secondo comma legge 31 luglio 1954, n. 570, 
pagata in pi� del dovuto in dipendenza dell'applicazione 
di criterio di calcolo del valore diverso da quello 
stabilito nell'art. 18 legge 19 giugno 1940, n. 762 (numero 
22). 

DEMANIO 

DEMANIO LACUALE -DISTANZE DE!JLE COSTRUZIONI. 

1) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio 
lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo, 
oppure se debba tenersi a distanza non inferiore a metri 
tre da esso confine (n. 174). 

SPAZI DEMANIALI MARITTIMI -TASSA COMUNALE PER_. 
OCCUPAZIONE DI SUOLO PUBBLICO. 

2) Se sia applicabile la tassa comunale di occupazione 
di aree pubbliche alle concessioni di spazi demaniali 
lllarittimi (n. 175). 


161


EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

ALLOGGI INA-CASA -ALIENAZIONE ALLOGGI A RISCATTO. 

1) Se l'art. 15 della legge 28 febbraio 1948, n. 43 
che prevede per gli alloggi a riscatto INA-Casa un 
divieto di cessione per un termine di 5 anni sia ancora 
applicabile dopo l'entrata in vigore della legge 14 febbraio 
1963, n. 60 il cui art. 29 dispone il divieto di alienazione 
per un periodo di dieci anni per gli alloggi assegnati 
immediatamente in propriet� con pagamento 
rateale e garanzie ipotecarie (n. 134). 

ALLOGGI POPOLARI -CESSIONE IN PROPRIET�. 

2) Se all'acquirente con patto di riservato dominio 
di un alloggio di tipo popolare ed economico ai sensi 
del decreto presidenziale 17 gennaio 1959, n. 2, spetti la 
qualifica ed i diritti del condominio anche prima del 
pagamento integrale del prezzo (n. 135). 

GESTIONE INA-CASA -UTILIZZAZIONI PARTI COMUNI. 

3) Se la modificazione o l'utilizzazione particolare delle 
parti comuni di un edificio dell'INA-casa sia condizionata 
al consenso degli assegnatari (n: 136). 

ALLOGGI POPOLARI -ALIENAZIONE. 

4) Se per l'opponibilit� ai terzi del divieto di alienazione 
degli alloggi a tipo popolare, realizzati col contributo 
dello Stato, sia indispensabile la trascrizione 

(n. 137). 
5) In particolare, se -nelle provincie soggette al 
regime dei libri fondiari -sia praticamente eludibile il 
divieto di alienazione di detti alloggi (n. 137). 

COOPERATIVE EDILIZIE.. 

6) Quali siano i criteri per giudicare dell'adeguatezza 
di un alloggio posseduto da un socio di cooperativa 
edilizia ai fini della sua esclusione dalla stessa (n. 138). 

ELEZIONI 
LISTE ELETTORALI. 
Se, a norma dell'art. 53 D.P.R. 16 maggio 1960, 

n. 570, debba ritenersi nulla la votazione �nell'ipotesi in 
cui le liste elettorali siano state sottoscritte solamente 
da due scrutatori (n. 5). 
ELETTRICITA' ED ELETTRODOTTI 

LINEE ELETTRICHE -NORME TECNICHE. 

1) Se le Norme Esplicative che sono riportate in 
relazione a ciascun articolo del regio-decreto, n. 1969 
del 1940, contenente norme per l'esecuzione delle linee 
elettriche stesse, abbiano efficacia modificatrice delle 
norme dettate dal suddetto regio-decreto (n. 8). 

2) Se, nel calcolo dei sostegni delle linee elettriche, 
lo sforzo uguale a 1/3 del maggiore dei tiri laterali 
esercitati dai conduttori (art. 7, comma 20 e 40 regiodecreto, 
n. 1969 del 1940) vada calcolato in corrispondenza 
della mensola situata al vertice del palo di sostegno 

o di quella situata al centro (n. 8). 
3) Se la disposizione contenuta nel quart'ultimo 
comma del regio-decreto n. 1969 del 1940, come modificato 
dall'art. 5 delle -Varianti approvate con D.P.R. 
1 febbraio 1948, n. 63, sia appli�!tbile, nel mtso �di conduttori 
fissati ai sostegni mediante catene di sospensione, 
oltre che al morsetto che collega il conduttore alle 

.catene, al complesso del dispositivo di isolamento (numero 
9). 

ESECUZIONE FISCALE 

ESECUZIONE PRESSO TERZI. 

1) Se, nell'ipotesi di imposte suppletive di successione, 
il privilegio reale spettante all'Erario ex articolo 
2772 C.c. possa essere esercitato in danno dei terzi 
acquirenti gli immobili caduti in successione (n. 63). 

2) Quali siano le modalit� da osservare nell'esecuzione 
fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario 
del bene gravato da privilegio reale (n. 63). 

PIGNORAMENTO -OGGETTI D'ORO. 

3) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. e 

11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64). 

4) In quale ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi 
�d'oro � agli effetti di cui agli artt. 539 C.p.c. 
e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64). 

ESECUZIONE FORZATA 

ESECUZIONE PRESSO TERZI. 

1) Se il debitore assoggettato a espropriazione forzata 
presso terzi possa efficacemente autorizzare il terzo 
pignorato a versare le somme vincolate in favore del 
creditore procedente (n. 32). 

ESTINZIONE DEL PROCEDIMENTO. 

2) Se l'art. 627 (che disciplina la riassunzione del 
processo esecutivo dopo la definizione giudiz?�ale del 
procedimento di opposizione) sia applicabile anche 
quando il procedimento di opposizione si estingua per 
inattivit� delle parti (n. 33). 

PIGNORAMENTO -MORTE DEL DEBITORE. 

3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento 
sia necessario riassumere la procedura esecutiva 
nei confronti degli eredi (n. 34). 

PIGNORAMENTO -REATI DEL CUSTODE. 

4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto a 
seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza 
pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati 
i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di 
ufficio per mancata consegna dei beni al momento della 
vendita (n. 35). 

5) Se la nullit� degli atti esecutivi escluda--la sussistenza 
dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p;~ 

(n. 35). 
6) Sugli effetti che la sanatoria delle nUllit� processuali 
dell'esecuzione forzata determina� in ordine alla 
configurabilit� dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 
335 C.p. (n. 35). 


-162 


ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' 

DECRETI DI ESPROPRIAZIONE -IDENTIFICAZIONE DEI 
PROPRIETARI ESPROPRIATI. 

1) Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente, 
nelle note di trascrizione dei medesimi sia 
obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione 
della data e del luogo di nascita, ai sensi della 
legge 21 dicembre 1955, n. 1064 (n. 177). 

INDENNIT� -OPPOSIZIONE AL PAGAMENTO. 
2) Se sia ammissibile opporsi al pagamento della 
indennit� di espropriazione per ragioni di credito derivanti 
da obbligazione estranee al rapporto di espropriazione 
(n. 178). 

ENFITEUSI. 
3) Sulla disciplina dei rapporti tra concedente ed 
enfiteuta in ipotesi di espropriazione per pubblica 
utilit� dell'immobile concesso enfiteusi (n. 178). 

FALLIMENTO 

APPALTO -PAGAMENTI. 
1) Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante 
a garanzia dei versamenti di legge agli istituti 
previdenziali e assicurativi debbano, intervenuto il 
fallimento dell'appaltatore, essere versate al curatore o 
agli istituti stessi (n. 76~. 

STATO PASSIVO -INSINUAZIONE TARDIVA. 
2) Quali siano le modalit� richieste per la costituzione 
in giudizio del creditore che ha proposto ricorso 
per insinuazione tardiva nel passivo fallimentare agli 
effetti di impedirne la decadenza prevista dall'art. 98 
della legge sul fallimento (n. 77). 

FERROVIE 

PERSONALE FERROVIARIO -ART. 3 LEGGE, N. 304 
DEL 1963. 

Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal 
10 ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge, 

n. 304 del 1963, si debba tener conto, con la ricostruzione 
economica della carriera dell'interessato, dei 
benefici economici gi� attribuiti in virt� degli artt. 20 e 
21 della legge 8 dicembre 1961, n. 1165 (n. 344). 
IMPIEGO PUBBLICO 

IMPIEGATI SOGGETTI ALLA LEGGE SULL'IMPIEGO PRIVATO 
-LICENZIAMENTO. 

1) Se il licenziamento di pubblico impiegato soggetto 
alla legge sull'impiego privato possa essere disposto in 
relazione a fatti di rilevanza disciplinare senza il rispetto 
della garanzia del contraddittorio (n. 548). 

PERSONALE FERROVIARIO -ART. 3 LEGGE, 304 DEL 1963. 
2) Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal 
1� ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge 

n. 304 del 1963, si debba tener conto, con la ricostruzione 
economica della carriera dell'interessato, dei benefici 
economici gi� attribuiti in virt� degli artt. 20 e 21 della 
legge 8 dicembre 1961, n. 1265 (n. 549). 
TUTELA DEL LAVORO. 

3) Se sia legittimo, nel settore del pubblico impiego, 
l'intervento dell'Ispettore del lavoro per la tutela della 
legge sul lavoro e sulla previdenza sociale (rr. �550). 

IMPOSTA DI CONSUMO 

MATERIALI DA COSTRUZIONE. 

Se la legge 19 luglio 1961, n. 659 che estende agli 
edifici contemplati dall'art. 2 regio-decreto 21 giugno 
1938, n. 1094 l'esenzione dall'imposta di consumo per 
i materiali da costruzione disposta dall'art. 16 legge 2 
luglio 1949, n. 408 faccia riferimento a quest'ultima legge 
anche per quanto concerne il limite di tempo entro il 
quale deve essere iniziata la costruzione perch� vi sia 
titolo ~ll'esenzione (n. 13). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

TRASFERIMENTO SIMULTANEO DI MOBILI ED IMMOBILI. 

Se l'art. 46 della legge di registro (a sensi del quale 
al trasferimento simultaneo di mobili ed immobili, ove 
sia stato pattuito un prezzo unico complessivo, si applica 
l'aliquota per i trasferimenti immobiliari) contenga 
una norma di carattere eccezionale che non consente 
estensione a casi diversi da quello dalla stessa legge 
espressamente previsto (n. 193). 

I.G.E. 
INTERESSI SULL'I.G.E. EVASA. 

Se gli interessi da corrispondersi prima dell'entrata 
in vigore della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sulle somme 
dovute per I.G.E. evasa, sopratassa e pena pecuniaria 
decorrano dal giorno in cui s'� verificato il presupposto 
tributario o piuttosto dalla data dell'ingiunzione di 
pagamento del tributo e della sopratassa ovvero dal 
decreto che abbia inflitto la pena pecuniaria (n. 102). 

IMPOSTA DI SUCCESSIONE 

PRIVILEGI. 

Se, nell'ipotesi di imposta suppletiva di successione, 
il privilegio reale spettante all'Erario ex art. 2772 


O.e. possa essere esercitato in danno dei terzi acquirenti 
gli immobili caduti in successione (n. 34). 
Quali siano le modalit� da osservare nell'esecuzione 
fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario del 
bene gravato da privilegio reale (n. 34). 


IMPOSTE E TASSE 

IMPOSTA CEDOLARE. 

1) Se la delibera assembleare di una societ� per 
azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio 
degli utili a riserve e la distribuzione agli "�zionisti di 
sonrme prelevate dal fondo sovraprezzo azionario dia -luogo 
agli effetti fiscali, che prescindono dalle diversit� 
di forma e di denominazione, ad una distribuzione di 
utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cui alla 
legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 356). 


2) Se nei confronti della Societ� che abbia omesso il 
versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio 
Tributario possa procedere all'accertamento d'ufficio 
ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza 
attendere anche la vana decorrenza del termine previsto 
per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno 
in corso, quando gi� da documenti ufficiali risulti la 
dichiarazione degli utili stessi e quindi l'avvenuta 
violazione della legge (n. 356). 

IMPOSTE COMUNALI -RICORSI. 

3) Se il termine previsto per la presentazione dei 
ricorsi in materia di finanza locale debba essere inteso 
con riferimento alla data di spedizione o a quella di 
ricezione dei ricorsi stessi (n. 357). 

IPOTECHE 

CAUSE DI SOSPENSIONE DIPENDENTI DALLO STATO DI 
GUERRA. 

1) Se il termine di efficacia delle iscrizioni ipotecarie 
sia stato sospeso per il periodo previsto nel R.D.L. 
3 gennaio 1944, n. 1 e nel R.L.L. 24 dicembre 1944, 

n. 392, contenenti norme per la sospensione del corso 
delle prescrizioni dei termini di decadenza e dei termini 
processuali in dipendenza dello stato di guerra (n. 16). 
2) Se le stesse cause di sospensione siano applicabili 
in tema di usucapione ventennale di diritti immobiliari, 
nei confronti del terzo possessore (n. 16). 

LOCAZIONI 

AUMENTI DI CANONE -DECORRENZA. 

1) Quale sia il termine iniziale di decorrenza per gli 
aumenti del canone previsti dalla legislazione vincolistica 
in tema di locazione (n. 116). 

RINNOVO TACITO. 

2) Se il contratto di locazione a tempo determinato 
debba intendersi tacitamente rinnovato quando il locatario 
conservi il godimento della cosa oltre il termine 
di scadenza (n. 117). 

3) Se sia ipotizzabile la tacita riconduzione nei confronti 
della Pubblica Amministrazione (n. 117). 

LOTTO E LOTTERIE 

CONCORSI A PREMI. 

1) Se l'aggiunta di premi, da estr�rsi a sorte, alle 
obbligazioni emesse dall'I.R.F.I.S. costituisca un concorso 
a premi, a sensi dell'art. 43 della legge sul lotto 

(n. 18). 
2) Se fra i cc titoli di prestiti pubblici e privati '' i 
quali a norma dell'art. 51 della legge sul lotto non 
possono costituire premi di lotterie -debbano ritenersi 
compresi anche i libretti di risparmio al portatore 

(n. 18). 
3) Se l'imposta annua di abbonamento, dovuta, 
secondo l'art. 1 legge 27 luglio 1962, n. 1228, dallo 

I.R.F.I.S. e dagli istituti similari sia sostitutiva anche 
della c.d. tassa di lotteria (n. 18). 
PENSIONI 

PENSIONI DI GUERRA -TRATTENUTE PER DEBITI VERSO 
LO STATO. 

. _,,., 

Se sia possibile recuperare un credito erariale a mezzo 
di ritenute sulla pensione di guerra (n. 107). 

PIGNORAMENTO 

OGGETTI D'ORO. 

1) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. 
e il regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5). 

2) In quali ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi 
cc d'oro " agli effetti di cui agli artt. 539 C.p.c. e 
11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5). 

MoRTE DEL DEBITORE. 

3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento 
sia necessario riassumere la procedw�a esecutiva 
nei confronti degli eredi (n. 6). 

REATI DEL CUSTODE. 

4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto 
a seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza 
pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati 
i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di 
ufficio per mancata consegna dei beni al momento della 
vendita (n. 7). 

5) Se la nullit� degli atti esecutivi escluda la sussistenza 
dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 

C.p. (n. 7). 
3) Sugli effetti che la sanatoria delle nullit� processuali 
dell'esecuzione forzata determina in ordine alla 
configurabilit� dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 
335 C.p. (n. 7). 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

INCETTA DI CORRISPONDENZA. 

1) Se possa configurarsi il reato di incetta previsto 
nell'art. 35 del Codice Postale anche nell'ipotesi prevista 
dall'art. 37, lettera b) dello stesso Codice, e cio� nella 
ipotesi di trasporto e del recapito di corrispondenze 
epistolari per le quali sia stato soddisfatto il diritto 
postale, nei modi di cui all'art. 20, n. 1 del Regolamento 
18 aprile 1940, n. 689 (n. 96). 

PUBBLICIT� POSTALE. 

2) Se, a seguito dell'emanazione del D.M. 1� dicembre 
1961, sia tuttora consentito all'Amministrazione PP.TT. 
svolgere attivit� pubblicitaria a favore di enti ed Istituti 
non aventi fini di lucro e se -ed in quali casi sia 
possibile consentire che gli utenti di macchine affrancatrici 
apportino variazioni alle dimensioni ed al contenuto 
delle targhette-leggenda (n. 97). 

PROCEDIMENTO CIVILE 

GIURISDIZIONE VOLONTARIA -PROVVEDIMENTI DI AUTORIT� 
STRANIERE. 

1) Sull'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri 
di volontaria giurisdizione (n. 30). 


-104: 

2) In quali ipotesi l'efficacia in Italia dei provvedimenti 
stranieri di volontaria giurisd~zione siano condizionati 
al procedimento di delibazione previsto dallo 
art. 801 del codice di procedura civile (n. 30). 

3) In particolare, se sia necessaria la delibazione per 
le deliberazioni rese dal Consiglio di famiglia previsto 
dagli artt. 405 e seguenti del Codice civile francese (numero 
30). 

PROPRIETA' 

CONDOMINIO -ASSUNZIONE PERSONALE. 

1) Se l'assunzione del personale di custodia da parte 
dell'Amministratore del condominio sia condizionata 
alla preventiva deliberazione dell'Assemblea dei condomini 
(n. 34). 

PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLIOHE. 

2) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica 
che intenda piantare alberi ai bordi della strada sia 
tenuto al rispetto delle istanze legali dalle propriet� 
limitrofe (n. 35). 

3) Se possa competere al privato proprietario di 
fondo confinante con strada pubblica il diritto della 
autotutela di cui all'art. 896 e.e. per la recisione dei 
rami protesi e delle radici che si insinuassero nel suo 
fondo (n. 35). 

PROPRIET� CONFINANTI COL DEMANIO LACUALE. 

4) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio 
lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo, 
oppure se debba tenersi a distanza non inferiore a metri 
tre da detto confine (n. 36). 

PROPRIET� INTELLETTUALE 

BREVETTO -ESPROPRIAZIONE DA PARTE DELLO STATO. 

1) Se l'espropriazione di un brevetto da parte dello 

Stato, limitato al diritto di uso, la~ci al titolare del 

brevetto la facolt� di disporre dell'invenzione salvo che 

nei confronti dello Stato espropriante (n. 21). 

2) Se sia legittimo, nel decreto di espropriazione del 

diritto di uso di un brevetto, l'inserimento dell'obbligo 

-senza limiti temporali -di mantenere le invenzioni 

segrete (n. 21). 

REGIONI 

REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE -ACQUE PUBBLICHE. 

Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre 
1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per 
l'Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui 
all'art. 10 dello Statuto della Regione Trentino-Alto 
Adige in base alla quale a detta Regione spetta un 
diritto di preferenza a parit� di condizioni nelle concessioni 
di grande derivazione a scopo idroelettrico n. 108). 

RESPONSABILITA' CIVILE 

AUTOVEICOLI -OMESSA MANUTENZIONE. 

Se il periodico controllo degli organi meccanici e 
l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente 
ad esonerare il proprietario dalla responsabilit� di cui 
al 4� comma dell'art. 2054 e.e. (n. 202). 

RICORSI AMMINISTRATIVI 

RICORSO GERARCIDCO. 

Se il termine previsto per la presentazione dei ricorsi 
in materia di finanza locale debba. essere ~!}tE)SO con 
riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione 
dei ricorsi stessi (n. 9). 

SERVITU' 

SERVIT� cc AMOENITATIS CAUSA �. 

Se sia ammissibile la costituzione di una servit�amoenitatis 
causa comportante per il proprietario del 
fondo servente l'obbligo di conservare le alberature esistenti 
e di metterne a dimora nuove .(n. 35). 

SOCIETA' 

IMPOSTA CEDOLARE. 

1) Se la delibera assembleare di una societ� per 
azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio 
degli utili a riserva e la distribuzione agli azionisti di 
somme prelevate dal fondo sovraprezzo azionario dia 
luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalla diversit� 
di forma e di denominaziol';le, ad una distribuzione di 
utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cui alla 
legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 103). 

2) Se nei confronti della Societ� che abbia omesso il 
versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio 
Tributario debba procedere all'accertamento d'ufficio 
ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza 
attendere anche la vana decorrenza del termine previsto 
per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno in 
corso, quando gi� da documenti ufficiali risulti la dichiarazione 
degli utili stessi e quindi l'avvenuta violazione 
della legge (n. 103). 

STATO CIVILE 

DECRETI DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�... 

Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente, 
nelle note di trascrizione dei medesimi sia 
obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione 
della data e del luogo di nascita, ai sensi della 
legge 21 ottobre 1955, n. 1064 (n. 6). 


STRADE 

PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLICHE. 

1) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica ch�~ 
intenda piantare alberi ai bordi della strada sia tenut~;; 
al rispetto delle distanze legali dalle propriet� limft> 

on 
trofe (n. 48). ~. � 
2) Se possa competere al privato proprietario di fon�ff 
confinante con strada pubblica il diritto all'autotuteTu" 
di cui all'art. 896 O.e. per la recisione dei rami e del?� 
radici che si insinuassero nel suo fondo (n. 48). 
) 

TELEFONI 

CONCESSIONI TELEFONICHE -AUMENTO DEI CANONI.


Quale sia l'interpretazione dell'art. 52 delle convenzioni 
riguardanti le concessioni telefoniche alle Soceit� 

S.T.I.P.E.L. e T.E.T.I. (n. 23). 

PUBBLICAZIONE

RASSEGNA 

DI SERVIZIO

DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ANNO xv -N. IO-U-I2 OTTOBRE-NOVEMBRE-DICEMBRE 1963 

DECISIONI DI �RIGETTO DELLA CORTE COSTITUZIONALI; 
ED�. ESTINZIONE DEL PROCESSO Dt APPELLO INCIDENTATO 


1� 

(bi .� marg�ne ad un �recente caso giztdiziario) 

I. Una recente pronunzia del Tribunale di Nap�li; 
(1') conoscendo degli effetti delPestinzione d�l 
processo d'appello contro, una sua prt;1Cedente sen� 
teiiza, che, nel 1955, prima. dell'entrata in funzione 
della Corte� Costituzionale, aveva dichiarato in�oidenter 
tantum (a norma della VII disp. tl'ans .. della 
Costituzione) l'illegitfil:tnit� costituzional� di mi decr.
eto 'legislativo di espropriazione a favore della 
Sezione Speciale per la riforma fondiaria presso 
l'O.N.C., disapplicandolo, ha ritenuto inutiliter data 
la sentenza della Corte Costituzionale, che, investita 
successivamente della questione dal giudice d'appello, 
l'aveva dichiarata infondata, affermando che 
l'estinzione del processo a quo, per mancata riassllllzione 
a norma dell'art. 297 C;p.c., ha comportato 
il passaggio in giudicato della propria sentenza 
del 1955. 
Il Tribunale � pervenuto a tale conclusione, 
negando che la decisione della Corte Costituzion�.le 
possa annoverarsi fra quei �provvedimenti pronunciati 
nel procedim~nto estinto �, che, modificando 
la sentenza impugnata, ne impediscono il passag:
o in giudicato (art. 338 C. p. c.), e ci� p�rch� il 
udizio incidentale di costituzionalit� ex artt. 1 
!:ge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 
'ge 11 marzo 1953, n. 87, non sarebbe una fase, 
pure devoluta alla cognizione di un giudice 
erso, dello stesso processo in cui la questione 
~ne sollevata. Non lo sarebbe, perch�, secondo il 

.ribunale, <e siffatta configurazione mal si concilia 
Jon la indipendenza del processo costituzionale, che 
non soltanto prescinde dalla costitU.zione delle parti 
(art. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87) 
e non propone una causa petendi ed un petitum uguali 
a quelli del processo principale, ma � svincolato 
dalle vicende processuali che successivamente si 
svolgono nel giudizio che ha dato occasione alla que~ 
stione incidentale, come � ribadito espressamente 
dall'art. 22 delle norme integrative per i giudizi 

davanti alla Corte Costituzionale del 16 marzo.1956, 
il quale, disponendo che Je norme sulla sospen" 
sione, interruzione ed estinzione del processo non si 
applicano ai giudizi davanti alla Corte Costituzionale 
neppure nel caso in cui per qualsiasi causa sia 
venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti 
all'autorit� giurisdizionale che ha promosso il giu" 
dizio di legittimit� costituzionale, prevede la possibilit� 
di una sopravvivenza .autonoma del giudizio 
di costituzionalit� )). Non lo sarebbe, perCh�, sempre 
secondo il Tribunale, positivamente il rapport� 
fra processo costituzionale e processo principale � 
riconducibile allo schema della pregiudizialit� in 
senso tecnico-giuridico, �di cui riveste le caratteristiche 
essenziali date dall'esistenza di una questione, 
la cui risoluzione � necessaria per la decisione 
della� causa ... e dal trasformarsi di questa questione 
in causa, che per volont� di legge deve essere 
decisa in via principale )). 

La conversione della questione in vera e propria 
�causa � suppone, per6, che nel nuovo processo 
sia proposta un'azione diversa e distinta da quella 
in co1�so nel processo incidentato e non solo un mero 
rapporto di pregiudizialit� logica della questione 
rispetto alla controversia originaria. 

La configurazione del processo ex artt. 1 legge 
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge. 
11 marzo 1953, n. 87 nello schema della pregiudizialit� 
in senso tecnico comporta, pertanto, non gi� 
l'affermazione di un caso di giurisdizione senza 
azione, ma il tentativo. di trasformare la mancanza 
di autonomia genetica di quel processo da�-oggettiva 
in soggettiva, nel senso che la legittimazione 
ad agire sarebbe costituita dalla qualit� di parte o 
di giudice nel processo a quo. � questo, precisamente, 
ilpensiero del Tribunale, secondo il quale �le 
numerose e sovente sottili obiezioni sollevate contro 
tale configurazione sono destinate a cadere di fronte 
agli argomenti prospettati da acuta dottrina)) (2). 


-166


II. � ben noto, tutta.via, che codesta dottrina., 
poich� nel nostro sistema positivo l'istanza. di parte 
o del Pubblico Ministero non � ti.n dato costante, 
potendo la questione essere sollevata di ufficio dal 
giudice a quo (art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 
1948, n. 1; art. 23 legge 11 marzo 1953, 
n. 87), ravvisa nell'ordinanza di trasmissione di 
quel giudice l'atto introduttivo del processo costituzionale, 
come vero e proprio esercizio di un 
diritto d'azione (3). 
E poich� non poteva sfuggirle il paradosso di 
un giudice, che, essendo tenuto per la sua stessa 
funzione ad applicare la legge conforme ai detta.mi 
costituzionali, n� avendo ricevuto dalla Costituzione 
il potere di disapplicare definitivamente, ai fini 
della decisione della causa, quella, della costituzionalit� 
della quale non sia convinto, si faccia parte 
ed impugni l'atto legislativo innanzi alla Corte Cost�tuzionale 
ed in questo processo venga a trovarsi 
in lite (4) con lo stesso soggetto del processo a 
quo interessato alla validit� della legge, o col 
Presidente del Consiglio o della Giunta Regionale, 
o con altro organo dello Stato o delle Regioni, 
che vi siano intervenuti (artt. 20 e 25 legge n. 87 
del 1953), non ha trovato altro modo di spiegare 
l'istituto secondo il paradigma della pregiudizialit� 
tecnico-giuridica, se non eliminando addirittura la 
lite e facendo (o credendo di fare, come si vedr�) 
del processo costituzionale un processo di stato, 
col che l'� parso di sottrarsi anche alla grave 
disputa sull'efficii.cia delle pronunzie della Corte. 

Si tratta, per�, a nostro avviso, soltanto di un 
tentativo pur se ingegnoso e certamente assistito 
da vastit� di apparato. Alla sua base sta l'idea che 
l'efficacia della legge incostituzionale (5) possa 
considerarsi in astratto e subiettivarsi, tuttavia, 
in una situazione giuridica (sostanziale e preliminare) 
(6) prima ancora del verificarsi della fattispecie 
ipotizzata dalla norma e, quindi, del verificarsi 
dei suoi effetti concreti. Si tratterebbe di 
un indifferenziato status di soggezione di tutta 
l'universitas civium (7), riguardante, per�, direttamente 
(8) solo i giudici. Con questa idea si 
accomunano le parti litiganti ed il giudice del 
processo a quo in un'unica situazione (9) ed in un 
unico interesse, distinto da quelli in conflitto, interesse 
a liberarsi dalla soggezione (10), che sarebbe 
occasionalmente protetto soltanto a favore del 
giudice, (11) al quale sarebbe concesso il diritto 
di agire per �l'annullamento>> dello status (12), 
consumando (in caso di accoglimento) l'azione 
per tutti i collegittimati (13). 

Ora il concetto di soggezione in senso tecnico 
indica la situazione di chi non pu� impedire che 
con l'esercizio di un potere altrui si produca un 
certo effetto nella propria sfera giuridica (14) e 
cio� implica sempre una relazione intersoggettiva, 
a differenza di quanto assume quella teoria, secondo 
la quale si tratterebbe, invece, di una relazione 
... con l'ordinamento, di una qualificazione preliminare 
alla nascita di rapporti intersubiettivi. 
Ma � facile accorgersi, allora, che una tale subtiUtas 
non � in grado di indicare in che si distinguerebbe 
tale qualificazione della impersonale 
universitas civium dalla qualificazione della stessa 

legge come-�norma� vig�ente ed efficace (15), finch� 
non ne sia dichiarata la illegittimit� dall'apposito 
organo a ci� predisposto dall'ordinamento medesimo. 
Di preliminare alla rilev�nza giuiiili�a d�lla 
fattispecie concreta v'�, poi, subiettivamente, il 
c. d. presupposto soggettivo di quaJ:ii�cazion� 
'(15-bis) e cio� il singolo soggetto (16), a cui sar� 
imputato l'effetto, in 'base ad un problema di leggittimazione 
(17), che non pu� essere certo 
astratta qualificazione di una universitas, di una 
collettivit�, n� pu� consistere in una situazione 
giuridica sostanziale, la quale suppone gi� avve


nuta. tale imputazione. 

E, d'altra. parte, come parlare di status (18) 

subiectionis dell'universitas civium, senza personi


ficare (19) la collettivit�, contrapponendola. allo 

Stato Oonditor legum, tornando, cosi, alla relazione 

inte:r:subiettiva? Se, invece, la collettivit� non � 

personificata, come pu� parlarsi di status e di si


tuazione soggettiva unica? E se, infine, questa 

immaginaria situazione giuridica della collettivit� 

si trasforma nella somma di tanti status indivi


duali, quanti sono i suoi componenti (20), come 

� possibUe pensare che �l'annullamento>> (21) di 

uno status individuale coinvolga quello di tutti 

coloro che non hanno partecipato al processo? 

Non ci si accorge, inoltre, che, se l'interesse 
all'annullamento dello status � tutelato occasionalmente, 
solo quando sia gi� sorto un processo nel 
quale sorga questione sulla. costituzionalit� della 
norma da cui promana la predetta soggezione, e si 
parla di legittimazione per categoria, ci� vuol dire 
che l'azione di �annullamento � dello status sarebbe 
concessa proprio a chi non � pi� titolare 
della mera. situazione preliminare nel. senso ipotizzato 
dalla teoria, ma di una situazione, in tal senso, 
definitiva? E se la prima non si trasforma o non 
� assorbita necessaria.mente nella seconda, ma ne 
resta sempre distinta, come presupposto di una 
serie aperta di poteri, doveri o rapporti, non 
riesce possibile distinguere queste pretese, innumerevoli 
situazioni preliminari di soggezione, corrispondenti 
ad ogni norma dell'ordina.mento, subiettivamente 
dalla capacit� giuridica del singolo, 
che � precisamente l'attitudine alla titolarit� di 
situazioni giuridiche e di rapporti, ed obiettivamente 
dalla vigenza stessa della norma (la qualificazione 
dell'universitas civium come subiecta legi 
latae si riduce alla proposizione che quella legge, 
fi.nch� non ne sia accertata nel modo prescritto 
l'incostituzionalit�, produrr� necessariamente il suo 
effetto nei confronti di qualsiasi membro dell'universitas 
che venga a trovarsi nella prevista relazione 
con la fattispecie concreta, corrispondente 
a quella ipotizzata dalla norma, ossia afferma che 
a un dato fatto seguir� ineluttabilmente un dato 
effetto sub specie juris nei confronti di un certo o 
di certi soggetti). Ed ancora, come pu� essere 
proprio questa situazione di soggezione alla norma 
da applicare nel -processo, che il giudice, anzi -solt>--il 
giudice, � legittimato a fare <<annullare�, se l'obbligo 
di applicarla, ove conforme alla costituzione, 
non gli deriva, certo, dalla stessa norma e se, 
d'altra parte, egli � tanto poco soggetto ad essa, 
da avere il potere di sospenderne l'applicazione, 


-167


� finch� non si sia pronunziata la Corte Costitu:
zionale'l 

Cosi quella teoria � costretta e ripiegare sull'affermazione 
che lo status subiectionis dei giudici 
:alla legge incostituzionale sarebbe creato non da 
.quest'ultima, ma... dalla Costituzione, la quale 
�pone un divieto ai giudici di disapplicare n (definitivamente) 
le leggi contrarie ad essa (22). Ma 
basta questa nuova formulazione della tesi a rinnegare 
il concetto di soggezione prima adottato, 
al quale � connaturale lo stato di passivit� e di 
inerzia. La Costituzione non rende il giudice inerte, 
passivo innanzi alla norma incostituzionale, 
incapace di impedirne l'efficacia, ma, col ricono:
scergli il potere di saggiarla e di astenersi dall'applicarla, 
in attesa che la incostituzionalit� sia conosciuta 
principaliter da uno speciale Giudice, a 
.ci�. fatto competente dall'ordinamento, non lo 
degrada a parte interessata, attribuendogli le legittimazione 
ad agire per l'annullamento di uno 
.status della collettivit�, ma rispetta la sua posizione 
di giudice disinteressato e super partes, per il quale 
la norma resta oggetto di ricerca, conoscenza 
-ed applicazione (23). Innanzi alla Corte Costituzionale 
non si presenta il giudice a quo per farsi 
liberare da uno status personale, ma per chiedere 
.ed ottenere istruzione necessaria ai fini dell'espletamento 
della jurisdictio; hanno, invece, diritto di 
presentarsi le parti del processo a quo ad illustrare, 
in contraddittorio, i vari aspetti della questione 
di costituzionalit� della legge denunziata (24), oltre 
:alla facolt� di intervento degli organi di cui agli 
:artt. 20 e 25 legge n. 87 del 1953. 

Da ultimo, deve osservarsi che la teoria in esame, 
con l'ammettere, sia pure implicitamente, 
l'impropriet� del concetto di � annullamento n di 
uno status (sono suscettibili di invalidit� e di annullamento 
gli atti dei soggetti e non gi� le qualifiche 
in s� dell'ordinamento) e col riconoscere che 
trattasi della normale conseguenza dell'annullamento 
della stessa legge incostituzionale (25), 
iinisce per tornare, senza accorgersene, al punto 
-di partenza: processo di annullamento di atti e 
non gi� processo di stato, ritrovando innanzi a s� 
tutti quei gravi inte;rrogativi, che il sistema positivo 
autorizza ad opporre a tale configurazione e 
.che essa aveva ritenuto di superare. 

III. Con autorevole interpretazione, ben pi� 
:aderente ai testi, � stato, invece, riconosciuto che 
il giudizio costituzionale incidentitle cc in quanto 
J>Ossiede la caratteristica .di sorgere in occasione e 
in vista della risoluzione di una questione pregiudiziale, 
relativa a un giudizio pendente innanzi 
:a un'altra magistratura, viene a porsi in posizione 
strumentale e ausiliaria rispetto a quest'ultimo� (26) 
-e che, fin quando la pronuncia della Corte resta 
-<e una pronuncia giurisdizionale in senso proprio n, 
-essa non pu� operare che nel processo a quo (27). 
-<e Nata dal giudizio a quo e per il giudizio a quo, 
per essere risolta in sede giurisdizionale, la questione 
ritorna al giudizio a quo, risolta appunto da 
una decisione giurisdizionale n (28). 
Il fatto che il processo in esame, cc oltre ai 
.caratteri del procedimento propriamente giurisdi


zionale >> (29), possieda anche altri caratteri (30), 
non pu� inficiare questa verit� fondamentale. Come 
espressione dell'esercizio di giurisdizioJ.l.e, esso 
� una fase del processo a quo e non un processo 
obiettivamente autonomo, appunto perch� non vi 
si esercita un'azione distinta e diversa da quella in 
corso nel primo e perch�, di conseguenza, l'effetto 
dell'esercizio di quella potest� giurisdizionale deve 
prodursi nel processo principale (31). 

Parlare di azione del giudice nel nostro ordinamento 
(32) � arbitrario ed aberrante. Se, quando 
ritiene manifestamente infondata la questione di 
costituzionalit� -e ci� nei vari gradi 'e fino a 
giungere alla Corte di Cassazione -il giudice 
ordinario si sostituisce alla stessa Corte Costituzionale 
ed in propria competenza giudica della costituzionalit� 
della legge, non si vede come e perch�, 
quando ritiene la questione non manifestamente 
infondata e per ragio}\e di competenza la sottopone 
allo speciale Giudice costituzionale, dovrebbe cessare 
di esplicare attivit� di giudice e divenire, invece, 
�parte n attrice, tanto pi� se si pensi che sarebbe 
ben strana l'attribuzione di un diritto di azione, 
che la parte del processo a quo, prima dell'ordinanza 
di trasmissione, pu� ben escludere, rinunciando 
al giudizio in corso (33), cosi come potrebbe escluderla, 
in presenza di una eccezione di incostituzionalit�, 
l'eventuale conciliazione delle parti (art. 
185 C. p. c.) intervenuta prima di quell'ordinanza 
(34). Epper� � stato autorevolmente osservato che, 
anche nel caso in cui la questione sia rilevata 
d'ufficio dal giudice a quo, essa cc rimane ugualmente 
una controversia fra le parti, come tale 
considerata e regolata dalla legge n (35), cosicch� 
<< non � della legge in astratto che si decide, ma 
in quanto si applica al caso concreto n (36). 

La configurazione trova riscontro nell'analogo 
caso in cui, a norma dell'art. 23 legge 7 gennaio 
1929, n. 4, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
sono investite con ordinanza del giudice a 
quo della eventuale questione di inapplicabilit� (in 
relazione all'art. 1 legge n. 4 del 1929) di norme 
penali contenute in leggi concernenti i singoli 
tributi e la decidono con efficacia di e< giudicato 
irrevocabile� (cit. art. 23, legge n. 4 del 1929) fra 
le parti (37). 

Come fase (38) del processo incidentato, il procedimento 
innanzi alla Corte Costituzionale adempie 
alla funzione di accertare in via contenziosa, 
con la possibilit� di contradittorio fra le parti del 
processo incidentato e degli interventi previsti dagli 
artt. 20 e 25 legge 11 marzo 1953, n. 87, la 
conformit� o meno di una data formula (39) legislativa 
ad una o pi� norme della Costituzione, 
facendo conoscere al giudice del processo a quo, se 
la norma, da questi ritenuta applicabile al caso 
solo condizionatamente al favorevole esito del 
controllo di costituzionalit� richiesto alla Corte, 
vada o meno applicata. La Corte accerta in 
definitiva (se una data formula costituisca) una �regula 
juris valevole per un caso concreto ed il 
controllo che essa compie della esistenza e della 
chiarezza della valutazione di rilevanza della questione, 
fatta dal giudice a quo, � espressione dello 
stesso suo dovere di accertare e< il titolo o il 


-168


presupposto dell'esercizio in con::ireto della propria 
competenza� (40) . .Alla Corte di Cassazione compete, 
invece, di stabilire se una data <e regola )) si 
attagli perfettamente al caso concreto (41). Nell'uno 
e nell'altro caso si tratta di pronunzie che 
non si riferiscono direttamente al rapporto controverso, 
ma ad una questione di diritto, pregiudiziale 
alla pronunzia di merito (42). E la regola �, pertanto, 
identica: la vincolativit�. della decisione 
della questione non solo nel processo a quo, ma 
cc anche nel nuovo processo che sia instaurato con la 
riproposizione della domanda)) (art. 393 O.p.c.) (43). 

Epper�, mentre � semplicemente un fuor d'opera 
negare che dalla pronuncia della Corte sorga anche 
solo una preclusione per il giudice a quo, poich� 
si tratterebbe di processi diversi, mentre quella 
opera nello stesso processo, appare, peraltro, tendenzioso 
e preconcetto opporre il contenuto dell'art. 
22 del Regolamento interno della Corte Costituzionale 
per pretendere di snaturare l'istituto, 
attribuendogli caratteri che positivamente esso non 
ha. Ad orientare nella giusta direzione gli interpreti 
di questa norma valga, anzitutto, la lettura 
dell'art. 14 legge 11 marzo 1953, n. 87, comma 
primo, secondo il quale: cc La Corte pu� disciplinare 
l'esercizio delle sue funzioni con regolamento 
approvato a maggioranza dei suoi componenti n, 
ma non pu� certo modificare le precise linee dell'istituto 
del controllo della legittimit�. delle leggi 
em artt. 1 legge costitlfzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 
23 legge 11 marzo 1953, n. 87, com'� ribadito, se 
ce ne fosse bisogno, dall'art. 1 legge costituzionale 
11 marzo 1953, n. 1 (cc La Corte costituzionale 
esercita le sue funzioni nei limiti ed alle condizioni 
di cui alla Carta Costituzionale, alla legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1 ed alla legge ordinaria 
emanata per la prima attuazione delle 
predette norme costituzionali �). 

Il sullodato art. 22 Reg. int. Corte Costituzionale 
si spiega, pertanto, agevolmente, ove si ricordi 
che, oltre alla funzione propriamente giurisdizionale 
di cui innanzi, la Corte ne esplica eventualmente 
un'altra, (44) come espressione di potest�. 
sui generis, (45) di cui l'ordinamento, checch� 
possa dirsi per dottrinarismo o per passionalit�., 
non le ha consentito l'esercizio autonomo, ma 
soltanto condizionato al legittimo esercizio della 
funzione giurisdizionale (ancorata, a sua volta, 
ineluttabilmente, alla denunzia del giudice di una 
controversia concreta ed agli atti del processo 
principale). E proprio per disciplinare il contemporaneo, 
eventuale esercizio di quest'altra funzione, 
la Corte, senza snaturare quella giurisdizionale 
affidatale, epper� continuando a giudicare della 
legge nei limiti della questione sollevata �dal giudice 
a quo e sempre sugli atti del processo incidentato, 
ha sancito una regola di irrilevanza delle successive 
vicende di quel processo, che conferma, anzitutto, 
la vincolativit�. inter partes della sua pronunzia 
di diritto anche al di fuori del processo incidentato 
e finch� la controversia possa essere riproposta in 
un altro processo fra le stesse parti (46). Bene � 
stato osservato, in proposito, che questa pretesa 
indipendenza del processo costituzionale non consente 
alla Corte di �svellere � la sua pronunzia 

cc da qualsiasi riferimento sia pure potenziale alla 
causa in cui � sorta la questione sulla legge � ( 4 7 ). 
Quest'altra funzione della Corte non pu� confondersi 
con quella giurisdizion.a,le da essa normalmente 
esplicata, se non a patto di tornare a 
postulare nel processo costituzionale una vera e 

. propria azione, diversa e distinta da quella del 
processo principale, la regola di legittimazione del 
primo �, invece, esclusivamente commisurata agli 
effetti che. dovr� produrre la sentenza del giudice 
a quo (48). La Corte Costituzionale non annulla 
l'atto legislativo, perch� non v'� un'azione di 
annullamento (49-50). Ed il Costituente non ha 
voluto attribuire ad un organo pubblico e tanto 
meno ad un privato (51) questo diritto di azionet 
n� alla Corte il potere di eliminare addirittura le 
manifestazioni di volont� del Parlamento; e cos� 
non � stata conferita al processo costituzionale fa 
stuttura adeguata ad un vero e proprio processo� 
di annullamento della legge in generale ed in 
astratto (52), sospingendosi quella pi� vasta funzione 
di interesse generale quasi al margine del 
processo (53). Quando la Corte dichiara la non 
conformit� costituzionale di una legge, da questa 
declaratoria consegue, oltre all'effetto vincolante 
per il giudice (o i giudici) della controversia. 
incidentata (inapplicabilit� della norma), la generale 
cessazione di efficacia della legge erga omnes 
(art. 136 Cost.) (54). La conferma della diversit�. 
e della non confondibilit�. delle due funzioni si trae� 
dal fatto che questo effetto erga omnes (55) � stato 
attribuito soltanto alle pronuncie di accoglimento� 
e non anche a quelle di rigetto (56-57), in aderenza 
alla specifica natura della seconda funzione~ 
espressione della potest� propria della Corte di 
assicurare il rispetto dei limiti (58) posti dalla 
Costituzione all'attivit� del legislatore; si trae� 
ancora dalla diversit� delle fattispecie produttive 
dei due effetti, quello proprio del processo costituzionale 
e quello che si determina al di fuori di esso,. 
cc identificandosi la fattispecie per gli effetti inter 
partes con la sentenza in s� e per s�, e richie� 
dendo, per gli effetti erga omnes, gli ulteriori 
fatti -esterni alla sentenza -della pubblicazione 
ai sensi dell'art. 30 cit. I comma, e della. 
vacatio fino al giorno successivo>> (59). 
Ohe il Costituente abbia voluto soltanto la. 
cessazione di efficacia della legge incostituzionale, 
si spiega, poi, sia col fondamentale principio 
dell'autonomia dei poteri fondamentali dello Stato 

(60) (col quale mal si sarebbe conciliata l'applicazione 
di sanzioni contro l'atto legislativo), (61) 
che con l'intento di evitare in linea di principio� 
la revivisceza del diritto abrogato (62) e di giustificare 
il controllo costituzionale del diritto preesistente 
(63). 
IV. Appare, pertanto, dimostrata l'erroneit�. der 
ragionamento del Tribunale di Nap~l,i,_ irretito� 
dalle conclusioni di una tesi dottrinale viziata a]la. 
base (64). La sentenza della Corte Costituzionale 
era intervenuta nel processo di appello, allorch� 
questo non si era ancora estinto ed aveva modificato 
il precedente giudizio del Tribunale, (65) nella 
premessa, laddove esso aveva ritenuto la illegit



-169


timit� costituzionale della legge-provvedimento di 
cui trattasi ! 

Questo rilievo, assorbendo ogni altra critica, vale 
a confutare anche l'assunto della Corte di Appello 
di Catanzaro (66), che in un caso analogo a quello 
deciso dal Tribunale di Napoli, pur ammettendo 
che la pregiudiziale costituzionale si distingue 
dalle pregiudiziali disciplinate dal diritto comune 
(penale, civile, amministrativo), cc perch� priva 
della caratteristica dell'autonomia rispetto all'oggetto 
della domanda principale sotto il duplice 
profilo che la questione di legittimit� non pu�, 
come questione astratta, :formare oggetto di un 
processo autonomo e che anche la Corte Costituzionale 
la sottopone ad esame come semplice premessa 
logica per la decisione del caso concreto � 
(67), ha ugualmente ritenuto inutiliter data la 
sentenza della Corte Costituzionale, che aveva 
dichiarato la infondatezza della questione di costituzionalit� 
di un decreto legislativo di esproprio, 
e ci� perch� �quando il processo principale viene, 
comunque, a cessare, viene anche meno l'efficacia 
diretta della . sentenza, perch� non esiste pi� la 
controversia ancorata alla decisione della pregiu


diziale costituzionale, o, perch�, come nella specie, 
la controversia � rimasta irrevocabilmente decisa 
dal giudice che all'epoca era <;iompetent~ a riso.I~ 
vere la stessa pregiudiziale� (68). 

Evidentemente, � sfuggito alla Corte di Catanzaro 
che l'estinzione del processo di appello, per 
mancata riassunzione a norma dell'art. 297 C.p.c. 
nel termine perentorio di sei mesi dal deposito 
della decisione della Corte Costituzionale, non 
poteva operare che dalla (inutile) scadenza di tale 
termine (69), ossia dopo che in quel processo era gi� 
intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale 
a modificare la sentenza di primo grado, impedendone 
il passaggio in giudicato (art. 338 C. p. c.). 

V . .A corroborare definitivamente questo risultato, 
non resta che citare, a m� di conclusione, 
lo stesso insegnamento delle Sezioni Unite della 
Suprema Corte di Cassazione, secondo cui la decisione 
della Corte Costituzionale che dichiari 
l'infondatezza della questione di costituzionalit� 
cc si deve ritenere emessa dal giudice a quo del 
processo e deve avere la stessa portata di una 
sua decisione incidentale sulla questione� (70). 
FRANCO C.ARUSI 

NOTE 


(1) La si veda pubblicata in �Terni Napoletana, 1962, 
396 ss. ed in Giux. it. �, 1963, I, 2, 205, ss. 
(2) � la nota tesi svolta dal CAPPELLETTI in La pregiudizialit� 
costituzionale nel processo civile, Milano, 
1957, pagg. 4 e segg. 
(3) CAPPELLETTI, op. cit., pag. 52, 100, 210. 
(4) Cos� il CAPPELLETTI, op. cit., pag. 20, conviene 
col MoNTESANO (v. appresso a nota 61) che nel nostro 
ordinamento l'incostituzionalit� della legge pu� essere 
oggetto di questione ma non di lite. 
(5) Cfr. KELSEN: Teoria generale del diritto e dello 
Stato, Milano 1952, p. 160; PIERANDREI; Oorte Costituzionale, 
in cc Enciclopedia del Diritto�, vol. X, Milano, 
1962, pag. 972. 
(6) CAPPELLETTI, op. cit., pagg. 24, 25 (in nota), 140, 
171. Secondo il predetto autore (op. cit. pag. 25, nota 
42) si tratterebbe di una mera qualifica dell'ordina 
mento e non gi� di un rapporto intersubiettivo. Si tratterebbe 
di una situazione sostanzia~e preliminare. Ma 
la preliminarit� o prodromicit� � una categoria dellii. 
concreta efficacia della norma, che suppone gi� verificata 
una frazione della fattispecie da questa ipotizzata; 
� gi� un rapporto, v. in argomento RUBINO: La fattispecie 
e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 
pag. 127 e segg.; sugli effetti preliminari osserva il 
FALZEA: Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, 
Milano 1939, pagine 15-16, essere cc possibile che, pux 
non essendo esistenti tutti gli elementi necessari perch�, 
intervenendo la qualificazione concernente la situazione 
di fatto, sorgano le conseguenze giuxidiche predisposte, 
questi elementi semplici, possano, per s� stessi, essere 
oggetto di una qualificazione autonoma � e perci� sono 
dei veri e propri fatti giuridici e che (pag. 17) cc la 
situazione di fatto parziale, qualificata, produce delle 
conseguenze giuxidiche autonome, indipendentemente 
dalla possibilit� di divenire totale... salva la interdipendenza 
funzionale � degli effetti preliminari e di quelli 
definitivi. 

(7) CAPPELLETTI: op. cit., pag. 140, testo e nota 59. 
(8) Id., op. cit., pagg. 76 e segg., 139 e segg. 
(9) Id., op. cit., pag. 171. 
(10) Interesse proprio anche della parte che fonda la 
sua difesa precisamente sulla norma rispetto alla quale 
venga sollevata la questione di costituzionalit� ? 
(Il) CAPPELLETTI: op. cit., pag. 142-149; 192, nota 145. 

(12) Id., op. cit., pagg. 79, 84, 141 e segg. 
(13) Id., op. cit., pag. 171. 
(14) Trattasi, cio�, della situazione correlativa. al 
potere o al diritto potestativo di un altro soggetto: 
cfr. SANTORo-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto 
civile, Napoli, 1954, pag. 55; SANDULLI, Manuale di 
diritto amministrativo, Napoli 1952, pag. 47, nonch� 
AA. citati da CASSARINO. Le situazioni giuridiche e 
l'oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano 1956, 
pag. 233, nota 46. Questo A. osserva, peraltro, (op. cit .� 
pag. 234), che la necessit� di subire gli effetti dell'esercizio 
del potere cc non significa nulla, poich� ogni necessit�. 
in tanto � concepibile in quanto abbia ad oggetto un 
determinato comportamento. Nel caso della soggezione 
non viene in rilievo alcun comportamento, ��neanche_ 
negativo... Si tratta, quindi, nient'altro che della generica. 
posizione in cui si trova ogni soggetto, in capo al quale. 
possono produxsi effetti giuxidici. .. a seguito di comportamenti 
altrui giuxidicamente rilevanti �. 
(15) CAPPELLETTI, op. cit., pag. 41, ove critica la.. 
nota concezione dell'EsPOSITO della legge nulla, ma esecu

-170


� toria; v. anche a pagg. 82-84. Sul ptinto v. le considerazioni 
del PIER.ANDREI, Corte Costituzionale, in �Enciclopedia 
del Diritto��, vol. X, pag. 972, il quale osserva 
che � difficile ritenere che le leggi incostituzionali �mentre 
vigono e il loro vizio non sia appariscente e sospettato 
e comunque non ancora accertato, non si pongano 
come obbligatorie al pari di tutte le altre leggi per il 
fatto che sia possibile sollevare n loro confronti la 
questione (in rapporto ad un potere non ancora esercitato 
e ohe non si sa quando verr� esercitato)�. Sulla 
questione di �responsabilit�� dei cittadini v. P.ALADIN 

Cenni sul sistema delle responsabilit� civili per l'applicazione 
di leggi incostituzionali in �Giur. Cost. �, 1960, 
1029 e segg. 

(15-bis) Cfr. FALZEA, op. cit., pag. 7 e 78 (v. avvertenza 
a pag. 79 ed artt. I, comma secondo, 462, 600, 
643, 784 Cod. civ.). 

(16) Dire soggetto significa dire capacit� giuridica, 
ossia attitudine ad essere pnnto di legittimazione 
soggettiva di conseguenze giuridiche v. F.ALZEA, op. cit., 
pag. 74; SANDULLI, Manuale cit., pag. 40. 
(17) Non ha senso, pertanto, postulare ulteriori qualificazioni 
soggettive rispetto alla singola norma, se non 
appunto in termini di legittimazione all'effetto concreto. 
Se prima del fatto la norma non esiste se non nel testo, 
come formula, mentre �opera � soltanto quando avviene 
il fatto, al quale deve essere applicata (v. la interessante 
polemica fra AscARELLI e CARNELUTTI, in << Riv. di 
dir. proc�, 1957, pagg. 351, 364 ed ivi, 1958, pagg. 14-26; 
in particolare, CARNELUTTI, ibidem, pag. 24; v. anche 
Corte Cost., sent. 23 giugno 1956, n. 3, � Giur. Cost. �, 
1956, pag. 574), l'unico modo di essere del soggetto, 
che pu� avere significato, � precisamente la legittimazione 
all'effetto. Il che esclude, anche, melius re perpensa, 
che rispetto alla norma di legge avente carattere 
generale possa parlarsi di legittimazione unica ed 
indivisibile. Ogni effetto concreto pone un problema di 
legittimazione, per poter essere imputato al singolo 
soggetto (�effettivo� destinatario della norma: ANDRIOLI, 
L'intervento nei giudizi di legittimit� costituzionale, 
in �Giur. Cost. �, 1957, pag. 284). Con la divisibilit� 
della legittimazione pu� giustificarsi, peraltro, anche il 
fenomeno della c.d. sopravvivenza del diritto abolito, 
per cui una legge, pur se abrogata, continua a costituire 
la regola dei rapporti sorti prima dell'abrogazione 
e non ancora esauriti. 
(18-19) Il concetto di status �sta appunto a indicare 
l'appartenenza di un soggetto ad una certa categoria 
caratterizzata da una particolare sfera di capacit��: 
SANDULLI, Manuale cit., pag. 41; v. anche SANTORO 
PAsSA.RELLI: Dottrine generali, eco., cit. pag. 7-8. 

(20) V. sopra, nel testo in oorrisp~ndenza delle note 
(16, 17). 
(21) V. appresso, nel testo, in corrispondenza della 
nota (25). 
(22) CAPPELLETTI, op. cit., pag. 78. 
(23) Di mediazione col fatto direbbe il CARNELUTTI: 
Risposta al prof. Ascarelli, in << Riv. Dir. proc. �, 1958, 
25, il quale -ivi, pag. 26 -riconosce che l'Ascarelli 
~<ha ragione quando riduce l'applicazione nel quadro 
dell'interpretazione�. 
(24) Il SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce 
della Corte Costituzionale sulla legittimit� delle leggi, 
in << Riv. trim. di dir. pubbl. �, 1959, pag. 28, in nota, 
avverte che �ci� che � indispensabile in ogni procedi


mento a carattere contenzioso � soltanto che i soggetti 
che l'ordinamento considera legittimi contradittori siano 
messi in grado, mediante la comunicazione dell'inizio 
del procedimento, di conoscere che �della questione sia. 
stata investita l'autorit��. 

(25) CAPPELLETTI, op. cit., pagg. 38 segg. 82, 91. 
-(26) SANDULLI, Natura, funzione ed effetti, eco., cit., 
pag. 
33. 
(27-28) Id., op. cit., pag. 36. 


(29) Id., op. cit., pag. 35. 
(30) Cfr. LIEBMAN: Contenuto ed effecacia delle decisioni 
della Corte Costituzionale, in �Riv. dir. proo. >>, 1957, 
pag. 523: << il processo costituzionale � destinato ad 
esercitare eventualmente una doppia funzione, perch� 
deve decidere una questione del processo principale e 
nello stesso tempo, se la decisione sar� positiva, spiegher� 
una efficacia indiretta e secondaria che trascende 
l'ambito di quel processo e raggiunge il piano degli 
elementi costitutivi dello stesso ordinamento giuridico �. 
(31) Cfr. LIEBMAN, op. cit., pag. 523, il quale sottolinea 
che secondo i dati positivi il processo costituzionale 
�appare configurato dalla legge come legato al processo 
principale da un rapporto non soltanto genetico, ma 
funzionale, che perdura inalterato, salvi eventi straordinari, 
fino alla sua conclusione: � per cos� dire una 
propaggine del processo principale, qualche cosa come 
un ramo che se ne diparte e vi ritorna � pur essendo 
dotato, altres�, di �caratteristiche diverse ed altamente 
significative, che gli danno un'identit� propria non confondibile 
� in vista della sua �funzione indiretta >>, su 
cui v. nota precedente; cfr. anche GARBAGNATI, Sull'effecacia 
delle decisioni della Corte Costituzionale, in Scritti 
giuridici in onore di F'. Carnelutti, vol. IV, Padova 1950, 
pagg. 196-198 e 210, ove mette in evidenza l'analogia 
con la <<fase processuale che in base all'art. 23 legge 
7 gennaio 1929, n. 4 si svolge dinanzi alle Sezioni 
Unite della Corte di Cassazione, per la decisione della 
questione sulla inapplicabilit� di norme penali contenute 
in leggi concernenti i singoli tributi �,su cui v. anche 
AzzARITI, Considerazioni sulla disciplina del sindacato 
sulla costituzionalit� delle leggi, in <<Foro Padano>>, 1948, 
IV, col. 52; cfr., infine, appresso, nota 38. 
(32) Quando il CAPPELLETTI, op. cit., pag.. 143, osserva 
che cc la configurazione del ricorso costituzionale come 
azione (anche) del giudice del processo pregiudicato� 
non dovrebbe stupire chi ricordi che l'istituto ex art. 100, 
comma I, della Costituzione di Bonn viene definito dalla 
dottrina tedesca come Richterklage, ossia, precisamente, 
�azione del giudice�, questo A. non considera la differenza 
che passa fra actio e Klage, in cui il momento 
prevalente non � l'affermazione di diritto in giudizio, 
ma la querela intesa ad ottenere l'attivit� del giudice, 
� �l'invocazione del giudice � cfr. CroVENDA, l'Azione 
nel sistema dei diritti -Saggi di dir. proc. civ., vol. I, 
Roma 1930, pag. 7 a 57; v. anche SATTA, Sui rapporti, 
ecc., cit., pag. 593 � parlare di nna azione del giudice, 
come si dice dagli scrittori tedeschi, non � proprio per 
il nostro ordinamento�. Epper� non di azione si tratta, 
ma di denuncia: ofr. CALAMANDREI, L'illegittimit� costituzionale 
delle leggi nel processo civile, Padova; 1950,_ 
pag. 52 e segg.; ANDRIOLI, L'intervento nei giudizi, ecc., 
cit., pag. 283; REDENTI, Legittimit� delle leggi e Corte 
Costituzionale, Milano 1957, pag. 41 e 57; LIEBMAN, 
Contenuto, ecc., cit., pag. 520, il quale ritiene ohe non 
sia neppure necessario pensare a una vera e propria 

-171


denuncia, mettando in evidenza che il giudizio di costituzionalit� 
� promosso dal giudice della causa perch� 
egli �ha sempre il compito di stabilire liberamente 
quale sia la norma giuridica applicabile ai fatti della 
causa (iura novit curia) e in questa attivit� rientra 
necessariamente anche l'indagine sulla validit� costituzionale 
della norma stessa. Sebbene egli non abbia pi� 
oggi il potere di decidere la questione, � peraltro suo 
dovere proporsela e, in caso di dubbio, rimetterla alla 
Corte �; NIGIDO, Il procedimento nei giudizi di legittimit� 
costituzionale, in '' La Corte Costituzionale " (Raccolta di 
studi}, suppl. de �La Rassegna mensile dell'Avvocatura 
dello Stato>>, Roma 1957, pag. 150. 

(33) Cfr. SATTA, Sui rapporti fra la giurisdizione co;tituzionale 
e il processo (a proposito di un recente libro}, 
in "Riv. Trim. dir. e proc. civ.�, 1959, pag. 593, ove 
si osserva che �Il giudice agisce sempre nella sua 
funzione di giudice, che fura novit, anche se in luogo 
di pronunciare sull'eccezione a norma dell'art. 112, 
seconda parte, si limita a sollevarla per lo speciale 
meccanismo della legge �. 
(34) Cmcco e CORONAS, L'inte1�pretazione giudiziale 
della Costituzione, in �La Corte Costituzionale ll, cit, 
pag. 619. 
(35) AzzARITI, Gli effetti delle pronunzie sulla costituzion�ilit� 
delle leggi, in �Riv. dir. proc. >>, 1950, I, 
pag. 189 e pag. 190 (cc non mi sembra... che sia giusto 
considerare la questione sollevata d'ufficio dal giudice 
come una denunzia fatta nell'interesse generale, perch� 
si rimane sempre nell'ambito di.una controversia pregiudiziale, 
la risoluzione della quale sia ritenuta necessaria 
per la decisione della causa in corso�) e in Problemi 
attuali di diritto costituzionale, Milano, 1951, pag. 157. 
(36) SEGNI, Il processo civile nello Stato contemporaneo 
in cc Jus >>, 1954, p. 36; PIERANDREI, Corte Costituzionale, 
cit., pag. 947, ove si mette in evidenza che la 
prima condizione dell'incidente di costituzionalit�, ossia 
la rilevanza della questione, �implica che la legge impugnata 
sia precisamente quella che deve trovare immediata 
applicazione �. 
(37) D'AMELIO, La Corte di Cassazione come giudice 
di prima istanza,, in �Riv. di dir. Pubbl. �, 1930, pag. 6 
e segg. (a pag. 10 sottolinea che cc l'art: 23 non dichiara 
che la decisione abbia efficacia anche in confronto di 
estranei al giudizio�). Sulle differenze fra i due istituti 
v. AzZARITI, Gli effetti delle pron�uncie, ecc., in �Riv. 
dir. proc. >>, 1950, I, pag. 188. 
(38) Cfr. Ordinanza 23 giugno 1956 delle Sezioni Unite 
Civ. della Corte di Cassazione in causa Mazza c. Min. 
Agricoltura ed Opera Valorizzazione Sila, in cc Giust. 
Civ. >>, 1956; CXXI: �la questione non pu� sorgere 
in via astratta, avulsa da un inte-resse specifico all'attribuzione 
di un bene della vita o (nel processo penale) 
all'affermazione della inesistenza (o d(;llla esistenza) 
di una pretesa punitiva verso soggetto determinato per 
un fatto storicamente avvenuto� ed ancora (ivi): �l'incidentalit� 
intesa ai fini della sollevabilit� della questione 
di legittimit� costituzionale non postula quella 
rigorosa separazione concettuale tra la questione stessa 
e l'oggetto principale del giudizio, ma soltanto che la 
risoluzione della questione valga alla decisione di una 
controversia concreta"� 

(39) V. SANDULLI, Atto legislativo, Statuizione legislat
�iva e giudizio di legittimit� costituzionale, in �Riv. 
trim. dir e proc. civ.>>, 1961, pagg. 6 e segg.; MONTESANO, 
Norma e fm�mula legislativa nel giudizio costituzionale, 
in �Riv. dir. proc >>, 1958, pagg. 524 e segg.; Id., Le sentenze 
costituzionali e l'individuazione delle norme, ivi, 
1963, pagg. 20 e segg.; v. anch(;l..DE FINA1.JZ controllo 
sulla legislazione, ivi, 1961, pag. 48. 

(40) Cfr. PIERANDREI, Corte Costituzionale, cit., pagine 
962, 963, ove mette in rilievo perch� quel controllo 
non solo � giustificato, ma necessario ed in nota 
(337) elenca numerose pronunce della Corte in ordine 
al controllo medesimo circa l'esistenza e la sufficienza 
del giudizio (del giudice a quo) sulla rilevanza della questione. 
Sul punto, di recente, v. Corte Cost., 9 aprile 
1963, n. 45, in Sentenza ed ordinanze della O. O. suppl. 
della Giurisprudenza Costituzionale�, 1963, 127. 
(41) SATTA, Corte di Cassazione (dir. proc. civ.), in 
" Enciclopedia del diritto >>, vol. X, Milano 1962, pag. 823. 
(42) GARBAGNATI, Sull'effecacia delle decisioni, ecc., 
cit., pag. 211. 
(43) Il GARBAGNATI, O{[J. cit., pag. 213, sottolinea 
che le decisioni della Corte Cpst. hanno l'efficacia processuale 
della cosa giudicata, analogamente a quelle 
delle Sezioni Unite a norma dell'art. 23 legge 7 gennaio 
1929, n. 4: i loro effetti non si esauriscono nell'ambito 
del processo a quo, ma si estendono a qualsiasi processo 
nel quale fra le stesse parti dovesse successivamente 
sullevarsi la questione. Sul punto v. anche il nostro studio: 
Gli effetti delle pronunzie della Corte Costituzionale, 
ecc. in �La Corte Costituzionale� (Raccolta di Studi) 
cit., pagg. 239 e segg., ove si segnala anche la differenza 
fra efficacia �panprocessuale � ed efficacia " materiale � 
del giudicato. 
(44) Che si tratti di funzione distinta non �propriamente 
� giurisdizionale ammette il SANDULLI, N atura, 
funzioni ed effetti delle pronunce, ecc., cit., pagg. 35 
e segg.; v.ancheLIEBMAN,Contenuto, ecc., cit., pag. 523 
(45) Che la Corte Costituzionale costituisca un potere 
distinto dai tre tradizionali mette in evidenza il GuGLIELMI, 
I confiitti di attribuzione tra i potm�i dello Stato 
in �La Corte Costituzionale� (Raccolta di studi), cit., 
pag. 424, 425; v. anche REDENTI, Legittimit� delle leggi 
e Co1�te Costituzionale, Milano 1957, pagg. 33-34; TESAURO, 
La Corte Costituzionale, in �Rass. Dir. Pubbl. >>, 1950, 
pagg. 205 e segg., il quale sottolinea che la Corte � al 
di fuori e al di sopra dei vari poteri dello Stato (pag. 244245); 
ha natura anfibia (pag. 245) e la sua decisione (di 
accoglimento) ,; � un atto supergiurisdizionale, perch� 
ha una efficacia superiore e vincolante nei confronti di 
tutte le manifestazioni dell'attivit� degli organi giurisdizionali
� (pag. 227); SANDULLI, op. cit., pag. 24, 
nota 3, secondo il quale, per�, �l'individualit�, l'indipendenza 
e l'autonomia riconosciute a ciascun potere 
nell'ordinamento costituzionale non sono collegate alle 
funzioni esercitate, bens� al piano sul quale esse vengono 
esercitate� (op. loc. cit.). 
(46) Ed infatti la Corte Costituzionale continua a 
giudicare nei limiti della questione sollevata dal giudice 
a quo e sugli atti del processo principale, di modo che non 
pu� dirsi che oggetto di quel giudizio divenga la legge 
in s�, ma deve dirsi, soltanto, che l'eventui;i}e_ inutilit� 
dell'effetto principale della decisione (spetta semm:-e __ 
cc al giudice non costituzionale, ove e quando se ne presenti 
l'occasione, decidere se lo scioglimento di quella 
questione possa avere efficacia o rilevanza tra le parti 
della causa � : MONTESANO, Le sentenze costituzionali 
,e l'individuazione delle norme, cit. in "Riv. dir. proc. � 

-17::l


1963, cit., pag. 43) non impedisce alla decisione di spiegare 
ugualmente �il suo effetto secondario... totalmente 
estraneo� al processo a quo, cfr. LIEBMAN, Contenuto 
ed effecacia delle decisioni, ecc., cit., pag. 523. 

(47) MONTESANO, op. ult. cit., pag. 43. 
(48) Cfr. ANDRIOLI, Profili processuali del controllo 
giurisdizionale delle leggi, in �.Riv. Dir. Pubbl. �, 1950, 
I, pag. 44. 
(49) E ci�, del resto, neppure nell'altra ipotesi di 
giudizi di legittimit� costituzionale instaurati in via 
principale: cfr. SANDuLLI, Sulla discriminazione delle 
competenze, ecc. in �Foro it. �, 1956, IV, col. 50-52, 
nota 3; v. anche appresso, nota 61. 
(50) Lo stesso CAPPELLETTI, op. cit., pag. 187 esclude 
un potere della Corte Costituzionale di annullare le 
leggi sine act\one. 
(51) <<Si � voluto evitare la proposizione di una lite 
tra il singolo e il legislatore�, cfr. ordinanza 23 giugno 
1956, Cass. SS. UU. Civ., cit., in � Giust. Civ.>>, 1956, 
CXXI; v. anche per la storia dei lavori preparatori 
AzZARrn, Gli effetti delle pronunzie, ecc., cit., in �Problemi 
attuali di dir. cost. � cit., pagg. 144 e segg. 
(52) C:fr. ANDRIOLI, Profili processuali, eec., cit., 
loc. cit.,: �invano si andrebbe in cerca di un organo o 
rappresentante cui fosse commessa la cura di una massa 
di interessi che � differenziata solo dalla qualit� di destinatari 
della norma di cui si discute: non il P.M., che 
� s� il rappresentante della legge, ma presso il potere 
esecutivo e per giunta della legge con !'elle maiuscola, 
non i presidenti delle due Cqmere, non tanto perch� 
la chiamata in causa non� si addice alla loro dignit�, 
quanto e sopratutto perch� la legge, una volta entrata 
in vigore, � affare che interessa ai suoi destinatari e non 
agli autori�, v. anche le osservazioni del PICCARDI, La 
Corte Costituzionale in Italia, in ccRiv. Amministrativa�, 
1951, pagg. 239-241. 
(53) Cfr. LIEBMAN, Contenuto ed effecacia delle decisioni, 
ecc., cit., pag. 522. 
(54) Osserva il SANDULLI, Natura, funzione ed effetti 
delle pronunce, ecc., cit., pag. 40, che cc nell'imporre ai 
giudici comuni di rimettere alla Corte Costituzionale 
la questione di legittimit� costituzionale delle norme 
legislative che altrimenti dovrebbero applicare nel corso 
di un giudizio questo articolo (I legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. I) implica appunto che la pronuncia 
di incostituzionalit� � destinata senz'altro a operare 
nel giudizio a quo (il quale, infatti, viene sospeso in 
attesa di quella pronuncia: art. 23, 2� comma, legge 
11 marzo 1953, n. 87). Perch� possa prodursi tale operativit� 
-la qual� discende direttamente e immediatamente 
dalla pronuncia e si realizza quindi col 
semplice perfezionarsi di essa (vale a dire col deposito 
in cancelleria: art. 26, 3� comma, legge 11 marzo 1953, 
n. 87) -non occorre dunque la pubblicazione della 
sentenza della Corte ai sensi dell'art. 30, 1� comma, 
legge ult. cit. � e che la disposizione dell'art. 136 Cost., 
�redatta e approvata quando non ancora si prevedeva 
l'adozione nel nostro sistema del giudizio costituzionale 
incidentale (introdotto con la successiva legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1), si riferisce palesemente 
agli effetti erga omnes delle sentenze di accoglimento 
della Corte �. 
(55) Osserva l'AZZARITI, Gli effetti delle pronunzie, ecc. 
cit., in cc Problemi attuali di diritto costituzionale>>, 
cit., pag. 151 che esso cc � indubbiamente fuori del nostro 
sistema processuale, secondo il quale ogni pronunzia 
� destinata a produrre� effetti tra le parti e non gi� in 
confronto di coloro che sono estranei al giudizio �. 

(56) Mentre, se si trattasse di azione di annullamento 
della legge in s�, non si giustifich�rebbe questa diversa 
estensione soggettiva del giudicato secundum eventum 
litis: il SANDULLI, Appunti sull'atto amministrativo 
collettivo, ecc., in �Scritti giuridici per il centenario della 
casa editrice Jovene >>, Napoli, s.d., pag. 439, nota 64, 
avverte che la tesi della variabilit� dell'estensione della 
cosa giudicata secundum eventum litis � decisamente 
superata; v. anche nostro studio Gli effetti delle pronuncie, 
ecc., cit., pag. 221. 
(57) Sulla efficacia vincolante delle pronunce di 
rigetto in ogni altro� processo in cui fra �1e stesse parti 
fosse riproposta la questione, v. GARBAGNATI, op. cit., 
pag. 212-213; sull'efficacia vincolante delle pronunce 
medesime non solo nel giudizio a quo, ma anche in altro 
giudizio che fra le stesse parti e sulla stessa controversia 
fosse instaurato ex novo, in caso di estinzione del 
processo incidentato, v. GIONFRIDA, Giudizio di legittimit� 
costituzionale della legge, ecc., in cc Studi in onore 
di E. Eula >>, Milano 1957, pag. 116, anche in nota; 
SEGNI, L'unit� del processo, �Riv. it. �, scienze giurid. >>, 
1954, 235, nota; PIERANDREI, Corte Costituzionale, cit., 
pagg. 978-979, il quale (pag. 979) si riporta al principio 
del ne bis in idem, che vincola i giudici a non pi� pronunciarsi 
sull'oggetto del precedente giudicato ed a 
conformarsi ad esso quando debbano decidere questioni 
che lo presuppongono; v. anche � Cass. Sez. Un.�, 
22 gennaio 1958, n. 147, in cc Giust. Civ.>>, 1958, p. 1, 
pagg. 1093 e segg. ed ivi nota con ampie citazioni di dottrina. 
Al principio del ne bis in idem si rif� anche il 
CHIEPPA, Ancora su.lla riproponibilit� di questione di 
legittimit� costituzionale, ecc., in � Giur. Cost. >>, 1961, 
pag. 1063. 
(58) Il REDENTI, Legittimit� delle leggi, ecc., cit., 
pag. 34, designa la Corte cc custode supremo degli argini �. 
(59) SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce, 
ecc., cit., pag. 43, il quale, pur parlando di �effetto 
di annullamento � sottolinea che esso � non discende...... 
dal dispositivo della sentenza� (ibidem). 
(60) Osserva il PIERANDREI, Corte Costituzionale, 
cit., pag. 968, che cc il nostro sistema, se da un lato non 
ritiene che le disposizioni legislative incostituzionali 
siano affette dal vizio della nullit�� {v. infatti, ivi, 
pag. 972) cc dall'altro lato non consente, a tutela della 
autonomia degli organi fondamentali, che le manifestazioni 
di volont� degli organi stessi vengano direttamente 
eliminate da un altro organo�. 
{61) Cfr. MoNTESANO, Legge incostituzionale, processo 
e responsabilit�, in �Foro it. �, 1952, IV, Col. 157, il 
quale, per�, negando che vi sia �un'applicazione giurisdizionale 
di sanzioni� contro l'atto incostituzionale, 
ritiene di potere affermare che �l'atto legislativo incostituzionale 
non � annullabile, ma nullo� (op. loc. cit.). 
Sulla critica della concezione che l'invalidit� costituisca 
una pura conseguenza logica della difettosit� della fattispecie, 
v. ScoGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del 
negozio giuridico, Napoli, 1950, pag. 369 e segg., .. il-quale 
giustamente rileva che cc l'invalidit� non � la sola conse--� 
guenza della disformit� al diritto... potendosi avere 
sanzioni diverse o addirittura la semplice inefficacia, 
onde la necessit� di rifarsi al disposto del legislatore� 
(pag. 401); v. anche CANNADA-BARTOLI, L'inappli




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-173 

cabilit� degli atti amministrativi, Milano 1950, pag. 31, 
�� altro � la teoria delle forme di divergenza, altro la teoria 
delle conseguenze della divergenza ed altro ancora la 
teoria delle cause di divergenza�. 

(62) Mentre, non trattandosi di abrogazione legislativa 
(v. le osservazioni del GARBAGNATI, Sull'efficacia 
delle decisioni, ecc., cit., pagg. 206-208; v. anche SANDULLI, 
Natura, funzione ed effetti delle pronunce, ecc., 
cit., pagg. 24-25), quella cessazione di efficacia � radicale, 
nel senso che esclude ogni ultrattivit� della legge dichiarata 
incostituzionale (cfr. PmRANDREI, op. cit., pag. 968, 
nonch� nostro studio, Gli effetti delle pronunce della Corte 
Costituzionale, ecc., cit., pag. 247). 
(63) Si veda il rilievo del TRACANNA, La illegittimit� 
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di 
legge, in <e La Corte Costituzionale� (Raccolta di studi) 
cit. pag. 323, il quale, op. cit., pag. 300, osserva che 
<( l'istituto della illegittimit� costituzionale riguarda la 
valutazione della costituzionalit� attuale della norma, 
considerata come astratta dall'atto legislativo e la 
attitudine della norma stessa a disciplinare fatti attuali. 
� solo la illegittimit� dell'atto legislativo che sar� 
valutato alla stregua dell'ordinamento vigente al momento 
della emissione dell'atto stesso�. 
(64) Le critiche del CAPPELLETTI, op. cit., pag. 10 
e segg., ad un processualista della tempra dell'A.NDRIOLI 
non colpiscono, pertanto, nel segno. 
(65) E ci� a prescindere dalla esattezza dell'affermazione 
della sentenza del Tribunale di Napoli, di cui si 
discorre nel testo, secondp la quale l'ordinanza di trasmissione 
degli atti della Corte di Appello non era idonea 
a modificare gli effetti della sentenza di primo grado. 
Contro la natura meramente ordinatoria del provvedimento 
di trasmissione potrebbe, infatti, opporsi che il 
suo contenuto rappresenta l'esercizio di un potere di 
<( valutazione che implica un giudizio sui termini e sui 
limiti della controversia e sulla norma da applicare nel 
caso concreto� (cos� la Corte Costituzionale nella sentenza 
9 aprile 1963, n. 40, in �Giur. it. �, 1963, 822, con 
cui � stato escluso che il P.M. possa disporre la trasmissione 
degli atti alla Corte (<in quanto non ha potere di 
emettere provvedimenti decisori n; v. anche Corte Costituzionale, 
sentenza 20 dicembre 1962, n. 109, in supplemento 
della ((Giurisprudenza Costituzionale� 1962, 447, 
dove si esclude che il potere di sollevare la questione 
di costituzionalit� competa al Giudice Istruttore del 
processo a quo e si ribadisce che esso spetta solo al 
Collegio, trattandosi di attivit� ((tale da interferire sul1'
attivit� di giudizio�. 
Il contenuto decisorio del potere del giudice a quo 
di delibare la questione pu� apparire pi� evidente, 
allorch� egli la dichiari manifestamente infondata (Cass. 
SS. UU. civ., ordinanza 23 giugno 1956, cit., in <( Gius. 

civ. >>, 1956, cit. CX.XI: <(l'infondatezza deve risultare 
da un esame in limine, ma che pure escluda ogni possibilit� 
di dubbio di una soluzione differente �) e lo stesso 
provvedimento sia adottato nei successivi gradi del 
giudizio, precludendo definitivamente la possibilit� 
di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per 
l'esame della questione. E la natura dell'attivit� esercitata 
dal giudice a quo e del provvedimento da lui 
adottato non pu� certo mutare... a seconda del risultato 
a cui pervenga ! Non si ometta neppure di considerare 
che l'ordinanza di trasmissione degli atti � irrevocabile 
(cfr. PmRANDREI, Corte Costituzionale, cit. pag. 953), 
mentre la revocabilit� � caratterii?ti(la del prov:yedimento 
ordinatorio e cos� del provvedimento di sospensione (App. 
Torino 13 aprile 1954, <e Foro it. �, I, 1064; Trib. Roma 
16 giugno 1945, cc Giur. Compl. Cass. Civ.>>, 1945, 1 
'299; Trib. Varese 7 luglio 1953, � Giur. it. �, 1954, 1, 2, 
2434, ecc.) esclude che l'ordinanza di rimessione della 
questione di costituzionalit� possa ascriversi fra i ccprovvedimenti 
pronunciati nel procedimento estinto�, che, 
a norma dell'art. 338 C.p.c., impediscono il passaggio 
in giudicato della sentenza impugnata, il CARNELUTTI, 
Un caso singolare, ecc. in ccRiv. di Dir. Proc. >>, 1963, 

669. In questo breve scritto non si esamina, per�, la 
questione trattata nel testo e cio� se, dato che il giudizio 
di costituzionalit� ex art. 1 legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1 costituisca una fase del giudizio 
incidentato, la pronuncia della Corte che lo conclude 
debba essere consider;'tta provvedimento idoneo ai sensi 
dell'art. 338 C.p.c. ad impedire il passaggio in giudicato 
della sentenza impugnata. � da ritenere, per�, che, se 
la questione fosse stata posta, l'A. non avrebbe mancato 
di tener conto di quanto gi� scritto (Una pezza all'art. 
136 della Costituzione? in ccRiv. di Dir. Proc.�, 
1958, 243) per avallare la tesi del LIEBMAN (v. supra, 
note 30 e 31), collimante con quella sostenuta, qui, 
nel testo. In ordine al punto che la sentenza confermativa 
d'appello modifica, ai sensi e per gli effetti 
dell'art. 338 C.p.c., gli effetti della sentenza di primo 
grado, che sostituisce, sebbene non ne modifichi il 
dictum e cio� giunga alle medesime conclusioni, v. GroDICEANDREA, 
Estinzione del procedimento d'appello, ecc., 
in e< Giur. it. �, 1953, I, 1, 62. Sul principio che �la 
natura di un provvedimento del giudice va desunta 
non dalla qualifica ad esso attribuita o dalla forma di 
cui � rivestito bens� dal suo contenuto sostanziale e 
dagli effetti che esso produce in ordine alla materia cui 
di riferisce� v. di recente Cass., 20 aprile 1963, n. 975, 
cc Mass. Giur. it. >>, 1963, 326. 
(66) App. Catanzaro 22 novembre 1961, in cc Giur. 
it. �, 1963, col. 210 e segg. 
(67) App. Catanzaro, 22 novembre 1961, cit. in cc Giur. 
it. >>, 1963, col. 212. 
(68) App. Catanzaro 22 novembre 1961, cit. in cc Giur. 
it. �, 1963, cit. col. 213. 
(69) L'espressione �l'estinzione opera di diritto�, di cui 
all'ultimo comma dell'art. 307 C.p.c., significa che il 
provvedimento dichiarativo dell'estinzione retroagisce 
al momento in cui si � verificata la causa dell'estinzione, 
cfr. ANDRIOLI, Commento al Codice di procedura civile, 
vol. Il, Napoli, 1956, pag. 339; MAssARI, Questioni 
intorno alla proroga del termine, ecc., nota a Cass. civ., 
27 ottobre 1956, n. 4005, in �Giur. it. >>, 1957, I, 1, 
col. 1378. Nella specie, pertanto, il processo si estinse 
allorch� fu scaduto inutilmente il termine di sei mesi 
� dal passaggio in giudicato � della sentenza della Corte 
Costituzionale (art. 297 C.p.c.). 

(70) Cassazione, Sezioni Unite, 18 aprile 1962, n. 770, 
in � Giust. Civ. >>, 1962, p. 3, pag. 253; v. ari.che Corte 
Costituzionale, 11 luglio 1961, n. 54 in <e Giur. it. ,;-; 
1961, I, 1, col. 1237 e segg. 

RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 



CORTE COSTITUZIONALE 


COSTITUZIONE -Leggi in materia costituzionale Approvazione. 


COSTITUZIONE -Consiglio Superiore della Magi� 

stratura -Elezione dei componenti -Art. 23 legge 

24 marzo 1958, n. 195. 

COSTITUZIONE -Consiglio Superiore della Magi� 
stratura -Poteri di iniziativa del Ministro. 

COSTITUZIONE -Consiglio Superiore della Magi� 
stratura -Provvedimenti di esecuzione delle delibe� 
razioni -Atti amministrativi. (Corte Costituzionale, 
Sentenza n. 168 del 23 dicembre 1963 -Pres.: Ambrosini; 
Rel.: Manca. 

I �disegni di legge in materia costituzionale � 
previsti dall'art. 72 della Costituzione non sono 
altro che i disegni di �leggi di revisione della Costituzione 
e di altre leggi costituzionali � di cui al 
successivo art. 138. 

Non viola, pertanto, l'art. 72 della Costituzione 
la legge 24 marzo 1958, n. 195 per il fatto di essere 
stata approvata in sede deliberante dalla competente 
Commissione della Camera dei Deputati. 

Non sussiste� illegittimit� costituzionale dello 
art. 23, primo, terzo e quarto comma della legge 
24 marzo 1958, n. 195 in relazione agli artt. 104 
e 107 della Costituzione per il fatto che detto 
art. 23 regola l'elettorato attivo e passivo dei 
magistrati in relazione alla elezione dei componenti 
del Consiglio Superiore in maniera differenziata 
a seconda della diversit� delle funzioni 
svolte. 

� costituzionalmente illegittimo l'art. 11 primo 
comma della legge 24 marzo 1958, n. 195, in rife� 
rimento agli artt. 104, 1� comma, 105 e 110 della 
Costituzione, in quanto per le 'materie indicate 
nel n. 1 dell'art. 10 della legge stessa esclude la 
iniziativa del Consiglio Superiore della Magistratura 
attribuendo tale iniziativa in via esclusiva al 
Ministro di Grazia e Giustizia. 

Non sussiste illegittimit� costituzionale dello 
art. 17, 1� comma, della legge 24 marzo 1958, 

n. 195, in quanto stabilisce i provvedimenti del 
Consiglio Superiore sono adottati con decreto del 
Capo dello Stato controfirmato dal Ministro di 
Grazia e Giustizia ovvero in determinati casi 
preveduti dalla legge con decreto del Ministro 
stesso. 
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


1. Preliminarmente non si ritiene fondato il 
dubbio cui accenna l'Avvocatura dello Stato (pur 
rimettendosi al giudizio di questa Corte), circa la 
non adeguata giustificazione, nelle ordinanze di 
rinvio, della rilevanza delle questioni sollevate. 
In proposito la Corte non pu� che riferirsi alla 
sua costante giurisprudenza, secondo la quale � 
rimesso al giudice del merito accertare se le ques_
tioni sollevate costituiscano presupposto necessario 
per la definizione della lite: accertamento che, 
quando, come nel caso, sia sufficientemente motivato, 
si sottrae al controllo di questa Corte. 

2. Nel merito si osserva che, nelle ordinanze e 
nelle difese di parte, come si � accennato, � dedotta, 
in via principale, l'illegittimit� della legge 24 marzo 
1958, n. 195 (istitutiva del Consiglio superiore 
della magistratura) da un punto di vista formale, 
in quanto detta legge � stata approvata dalla competente 
Commissione della Camera dei deputati in 
sede deliberante, e non gi� dall'Assemblea, con la 
procedura ordinaria. Il che sarebbe in contrasto 
con il quarto comma dell'art. 72 della Costituzione, 
trattandosi, come si sostiene, di legge che, emanata 
in attuazione delle norme costituzionali concernenti 
il Consiglio superiore della magistratura, 
riguarderebbe sostanzialmente materia costituzionale, 
sia per l'organo cui si riferisce, sia per le disposizioni 
che formano oggetto della legge stessa, attinenti 
cio� all'ordinamento giudiziario. 
La questione quindi consiste nell'esaminare se, 
come si sostiene, il citato quarto comma, l� dove 
dispone che la procedura decentrata � esclusa per 
�i disegni di legge in materia costituzionale � si 
riferisca a un tipo di leggi che, pur avendo la forma 
ordinaria, tuttavia, per la sostanza, siano da considerare 
comprese nella materia anzidetta: leggi 
perci� differenziate dalle leggi di revisione della 
Costituzione e dalle altre leggi costituzionali menzionate 
nell'art. 138. 

Tale opinione, a. favore della quale non risultano 
elementi di chiarificazione dai lavori preparatori, 
non pu� essere accolta. 

Ad avviso della Corte, invero, la disposizione del 
citato 40 comma, deve intendersi riferita al successivo 
art. 138 e, con esso, logicamente coordinata 
nell'armonia del sistema. 

��������-------------------------------~-----~"""""""""""'"""'""'



-.1.1u 

L'argomento che si adduce in contrario, nelle 
ordinanze e nelle difese di parte, oltre che sulla 
di.versa dizione usata nei due testi legislativi 
(rispettivamente, �di.segni di legge in m�.teria costituzionale 
n e �leggi costituzionali�), si fonda specialmente 
sul rilievo che, se ai detti due testi legislativi 
si attribuisse lo stesso contenuto, si giungerebbe 
alla conseguenza che la disposizione del 
4� comma dell'art. 72 resterebbe priva di qualsiasi 
portata pratica, costituendo un'inutile ripetizione. 
Ci� per il motivo � �he l'esclusione della procedura 
decentrata per l'approvazione delle leggi costituzionali, 
risulterebbe implicitamente dallo stesso 
art. 138; il quale, prevedendo, per tali leggi, la 
seconda lettura con una speciale maggioranza, 
presupporrebbe la sussistenza di una prima lettura 
in Assemblea, con la maggioranza ordinaria. 

A parte peraltro la scarsa importanza della diversit�. 
di formulazione, il rilievo anzidetto non appare 
risolutivo del problema, nel senso prospettato. 

Pur ammettendo, infatti, che le disposizioni si 
riferiscano, come la Corte ritiene, allo stesso oggetto, 
ci� non toglie che ad esso, nell'ambito del sistema, 
debba attribuirsi una propria funzione: alla prima 
(cio� quella dell'art. 72), perch� compresa nelle 
norme dettate, in via generale, per la formazione 
di tutte le leggi, medi.�nte l'approvazione con la 
procedura ordinaria, abbreviata o decentrata, salvo, 
riguardo a quest'ultima, le eccezioni espressivamente 
prevedute, alle altre (quelle dell'art. 138), 
perch� concernenti, �n particolare, le garanzie 
che circondano le leggi costituzionali, mediante 
la seconda lettura, con l'intervallo non minore 
di tre mesi, l'approvazione con la maggioranza 
assoluta .dei componenti di ciascuna Camera e 
la possibilit�. del referendum. 

N�, che alla formula� di.segni di legge in materia 
costituzionale n siano da attribuire significato e 
portata di.versi da quelli ora precisati pu� indurre, 
come si assume, il solo fatto che, nel testo legislativo, 
� menzionata insieme alla materia elettorale: 
materia disciplinata peraltro con leggi ordinarie 
concernenti anche le elezioni amministrative, 
sulla natura della quale, nella incertezza della 
dottrina, nessun chiarimento, nel senso sostenuto 
negli scritti difensivi, si pu� desumere dai lavori 
preparatori. 

Data l'interpretazione seguita della Corte, per


tanto, la disposizione del 4� comma, pi� .volte 

ricordata, in base al coordinamento con l'art. 138, 

cui si � accennato, viene, in definitiva, a costi


tuire un'espressa limitazione, che opera nel senso 

di escludere la procedura decentrata riguardo a 

quelle norme, alle quali il Parlamento, per finalit�. 

di carattere politico, intenda attribuire efficacia di 

legge costituzionale. Non opera invece per le leggi 

ordinarie, per le quali pu� avvalersi anche della 

procedura decentrata, ovviamente con quelle cau


tele rispondenti all'esigenza che l'atto legislativo 

sia, per quanto possibile, sottoposto all'esame della 

Assemblea, con la pubblicit�. che il regolamento sta


bilisce; come, del resto, � gi� preveduto dall'art. 40 

del regolamento della Ca.mera dei deputati, che 

esclude la procedura decentrata per le leggi tri


buta.rie. 

Deriva da quanto si � esposto che l'anzidetta 
legge del 24 marzo 1958 non pu� ritenersi illegittima., 
perch� approvata. dalla Commissione di giustizia 
in sede deliberante. 

3. Circa le questioni concernenti alcune disposizioni 
della legge ora ricordata, � da osservare 
-che, negli scritti difensivi di parte, si � preliminarmente 
sostenuto che il sistema, adottato dalla 
legge anzidetta, non garantirebbe la indi.pendenza 
della magistratura, la quale sarebbe anzi, inconseguenza 
di quel sistema, soggetta alle ingerenze del 
potere esecutivo. 

Ora, la Corte non pu� non rilevare che l'indipendenza 
della magistratura trova la prima e dondamentale 
garanzia nel senso del dovere dei magistrati 
e nella loro obbedienza alla legge morale, 
che � propria dell'altissimo ufficio e che consiste 
nel rendere imparzialmente giustizia: principi questi 
ai quali si � costantemente uniformata la magistratura 
italiana. Ma, a prescindere da ci�, la Corte 
osserva che il sistema legislativo attualmente in 
vigore, considerato nel suo complesso e nelle linee 
generali, non appare inidoneo al fine assegnatogli 
di garantire l'indipendenza e l'autonomia della 
magistratura. 

4. Venendo all'esame delle sollevate questioni di 
incostituzionalit�., � da premettere che, nelle ordinanze, 
� stato prospettato il dubbio circa la incostituzionalit�. 
dell'art. 23, 10, 30 e 40 comma, relativi 
all'elezione dei componenti il Consiglio superiore; 
dell'art. 11, 1� comma, riguardante la richiesta 
del Ministro per la giustizia; e dell'art. 17, il quale, 
nella prima parte del 1� comma, stabilisce che i 
provvedi.menti del Consiglio superiore concernenti 
i magistrati sono adottati con decreto del Capo 
dello Stato, o, nei casi previsti dalla legge, con 
decreto del Ministro per la giustizia. 
Non sono state invece ritenute rilevanti dal Pretore 
le eccezioni di incostituzionalit�., dedotte dalle 
parti nel giudizio di merito e riproposte avanti a 
questa Corte, relative alle altre disposizioni dell'art. 
11, degli artt. 12 e 13 e del 2� comma dell'art. 
17; questioni quindi che, in questa sede, 
non possono essere esaminate, non essendo comprese 
nelle ordinanze di rimessione. 

5. L'impugnazione del 10 comma dell'art. 23 si 
riferisce, come si � in precedenza accennato, al 
numero maggiore dei componenti il Consiglio superiore 
(sei), da eleggere fra i magistrati di Corte di 
cassazione, in confronto dei quattro da eleggere 
rispettivamente, fra i magistrati delle Corti di 
appello e dei Tribunali. Si violerebbe, in tal maniera, 
il principio (contenuto negli artt. 104, 1� comma, 
e 107 della Costituzione), circa la parit�, nella 
composizione dell'organo, della rappresentanza di 
tutte le categorie dei magistrati, attribuendo una 
posizione di superiorit�. ad una delle� categorie 
stesse. 
La questione non � fondata. 

� da premettere che, nel sistema adottato dalla. 
Costituzione, eccetto alcune disposizioni fondamentali, 
come ad esempio quelle sancite dall'art. 48, 


la disciplina della materia elettorale, date le modificazioni 
eventuaJ.mente determinate dalle mutate 
esigenze, resta deferita al legislatore ordinario (in 
proposito, da ultimo la sentenza n. 111 del 1963, 
relativamente all'elezione dei giudici costituzionali). 

Il principio deve essere applicato anche per 
quanto attiene al Consiglio superiore della magistratura, 
per la formazione del quale, dal punto di 
vista dell'elettorato passivo, il precetto costituzionale 
esige soltanto che i componenti siano 
scelti fra i magistrati appartenenti alle varie categorie 
(art. 104, 40 comma). 

Ora, n� questo precetto, n� l'altro contenuto 
nell'art. 107, 3� comma (secondo il quale i magistrati 
si distinguono fra loro soltanto per diversit� 
di funzioni) possono ritenersi elusi, come si assume, 
per il fatto che la disposizione impugnata attribuisce 
un maggior numero di rappresentanti alla 
categoria dei magistrati di cassazione (compresi 
due con ufficio direttivo), in confronto alle altre 
due categorie. 

Se � vero, infatti, che, secondo la Costituzione, a 
coloro che fanno parte dell'ordine giudiziario, non 
si applicano le disposizioni relative all'ordinamento 
gerarchico statale, ci� non significa che, a tutti i 
magistrati ordinari, sia riconosciuta, sotto altro 
aspetto, una posizione di assoluta parificazione. 
Questa sussiste, invero, in relazione all'art. 101, 
20 comma, della Costituzione (i giudici sono soggetti 
soltanto alla legge) per quanto riguarda 
l'esercizio delle funzioni istituzionali e gli atti che 
ad esse si ricollegano, i quali devono essere emanati 
in base alla legge e sono sottratti a qualsiasi 
sindacato, che non sia quello espressamente preveduto 
dalle leggi processuali. Non sussiste invece 
relativamente alla posizione soggettiva che, al 
di fuori delle predette funzioni, i magistrati assumono 
nell'ordinamento giudiziario; poich� anche 
l'art. 107, 30 comma della Costituzione, sopra citato, 
postula una differenziazione, che si riconnette ai 
tre gradi della giurisdizione previsti dall'ordinamento 
processuale. E, in attuazione appunto del 
precetto costituzionale, la legge del 24 maggio 1951, 

n. 392, stabilisce, nell'art. 1, che i componenti 
dell'ordine giudiziario, fatta eccezione per gli uditori, 
si distinguono in magistrati di tribunale, di 
corte di appello e di cassazione, compersi il primo 
presidente, il procuratore generale e i magistrati 
con ufficio direttivo. 
Ora, la disposizione impugnata ha preveduto una 
rappresentanza numerica pi� elevata per la categoria 
dei magistrati di cassazione, ispirandosi, non 
tanto al numero dei componenti d-elle varie categorie, 
quanto alla qualificazione di coloro che com pongono 
l'anzidetta categoria dei magistrati di 
cassazione. E ci�, non soltanto in relazione alle 
esigenze del funzionamento del Consiglio superiore, 
dato il numero dei componenti e i compiti che gli 
sono assegnati, ma tenuto conto, in particolare, 
della maggiore esperienza dei magistrati di cassazione, 
derivante dalle funzioni alle quali essi pervengono 
a seguito delle selezioni prevedute dalla 
legge, e dal prestigio che coerentemente spetta ai 
magistrati stessi. Se quindi, nella disposizione impugnata, 
si riscontra una disparit� di trattamento 

fra le varie categorie dei magistrati, essa non pu� 
ritenersi in contrasto con la Costituzione, essendo 
consentito al legislatore ordinario, secondo la costante 
giurisprudenza di questa Corte, di disciplinare 
diversamente situazioni diffm"enziate, c(}uandor 
come nel caso, per le ragioni accennate, trovino 
logica giustificazione. 

_N�, d'altra parte, appare fondato il dubbio che 
l'accennata composizione dell'organo possa esercitare 
una qualche influenza sulle sue deliberazioni. 
Giacch� ad un tale inconveniente, se mai 
sussistesse, ovvierebbe la funzione equilibratrice, 
che, in seno al collegio, viene esercitata dai componenti, 
non magistrati, eletti dal Parlamento, fra i 
quali � scelto il vice-presidente (art. 104, 5� comma, 
della Costituzione). 

6. Nella legge del 1958, (art. 23, 3� comma) 
alla distinzione fra le varie categorie dei magistrati, 
si fa riferimento, pure per ci� che riguarda 
l'elettorato attivo. 
.Anche questa disposizione �. impugnata, perch� 
lederebbe il precetto dell'eguaglianza del voto, 
sancito dall'art. 48 della Costituzione e i principi 
che si desumono dagli artt. 104, 105 e 107, secondo 
i quali, nel Consiglio superiore, la magistratura 
dovrebbe essere rappresentata con carattere unitario 
ed omogeneo, e non gi� in relazione alle singole 
categorie dei magistrati. 

La questione non pu� ritenersi fondata. 

Il principio dell'eguaglianza del voto (che si 
assume violato), come ha precisato questa Corte 
nella sentenza n. 43 del 1962, deve intendersi nel 
senso del divieto del voto multiplo o plurimo e 
della pari efficacia potenziale del medesimo. Questo 
principio peraltro non appare vulnerato dalla disposizione 
denunziata. Con essa il legislatore ordinario 
attribuisce a tutti indistintamente i magistrati il 
diritto di partecipare alla formazione elettiva del 
Consiglio superiore, ma, per quanto attiene alla 
modalit� dell'elezione, ha adottato il sistema della 
votazione per categorie, in corrispondenza con la 
eleggibilit�, pure per categorie, stabilita dallo stesso 
art. 104 della Costituzione. Tale sistema, peraltro, 
dettato da apprezzabili ragioni di opportunit� 
inerenti alla scelta del candidato, non impedisce 
che i magistrati siano posti in grado di esprimere 
il voto in condizioni di perfetta parit� fra loro; 
e, rispetto all'eletto, con pari efficacia. Onde la 
composizione dell'organo resta omogenea, nel senso 
che i componenti, pur provenienti da categorie 
differenziate, si trovano tutti in posizione giuridica, 
sotto ogni aspetto, parificata. 

D'altra parte, se � vero che la Costituzione 
prevede la distinzione per categorie, con rifer�-� 
mento soltanto all'elettorato passivo, da ci� non 
pu� deriva come si assume, la illegittimit� delle 
norme di attuazione, per il fatto che, agli 
stessi criteri di ripartizione, si � attenuto per 
la formazione dei collegi elettorali. Gia~~h.� la 
rispondenza fra questi e le condizioni di eleggibilit� 
(come si � del resto gi� rilevato nella 
ricordata sentenza n. 111 del 1963) non pu� ritenersi 
ingiustificata, anche in questo caso, dato lo 
speciale carattere dell'organo elettivo, preposto dalla 


-1'7


Costituzione al governo della magistratura e per 
garantirne l'indipendenza. 

~on � infine esatto il rilievo che, con il sistema 
della votazione per categorie, si riprodurrebbe nel 
Consiglio superiore, anche dal punto di vista formale, 
una rappresentanza di interessi non consentanea 
con il carattere unitario dell'organo, perch� , 
una tale differenziazione deriverebbe, se mai sussistesse, 
non gi�. dalla disposizione impugnata, 
bens� direttamente dallo stesso precetto costituzionale, 
che, per la scelta dei magistrati, alle varie 
categorie espressamente si riferisce. 

7. Non � neppure fondata la questione relativa 
al 40 comma dell'art. 23, che esclude gli uditori 
giudiziari dall'elettorato attivo, � vero che questi, 
superate le prove del concorso, entrano a far 
parte della magistratura, ma non conseguono, 
perci� solo, la stabilit�, n� sono investiti per legge 
delle funzioni giudiziarie. 
Essi infatti sono dispensati dal servizio se, entro 
quattro anni dalla nomina, non si presentano 
all'esame per la prom�zione ad aggiunto giudiziario, 

o se, nel detto periodo, non superano, per due volte, 
tale prova (art. 136 dell'ordinamento approvato 
con decreto del 20 gennaio 1941, n. 12, per questa 
parte tuttora in vigore e che riproduce disposizioni 
contenute nelle leggi precedenti). Ed inoltre, il 
conferimento delle funzioni giurisdizionali, in base 
all'ordinamento del 1941 (art. 129) e alle leggi 
successivamente emanate (11 ottobre 1942, n. 1352, 
art. 6; 14 febbraio 1948, n. 113, art. 1, e 15 febbraio 
1956, n. 59), non spetta ad essi di diritto, come per 
gli altri magistrati, ma deriva da un provvedimento 
facoltativo, demandato, prima al Ministro 
per la giustizia, ed ora al Consiglio superiore della 
magistratura; provvedimento che pu� essere revocato. 
Ed � perci� che la gi�. ricordata legge del 
24 maggio 1951, n. 392, nella tabella allegata, non 
comprende gli uditori nelle tre categorie dei magi.strati, 
ma li considera separatamente, e che la 
disposizione impugnata li esclude dal partecipare 
all'elezione dei componenti il Consiglio superiore. 
La disposizione stessa quindi non pu� ritenersi 
in contrasto con l'esigenza costituzionale che tutti 
i magistrati partecipino alle elezioni dei componenti 
il Consiglio superiore, poich� gli uditori, per 
le ragioni accennate, non possono considerarsi magistrati 
compiutamente per tutti gli effetti preveduti 
dall'ordinamento . .A questi soltanto, dato il 
delicato compito loro affidato nell'elezione, deve 
intendersi riferito il precetto ' della Costituzione; 
al quale si adeguano le norme di attuazione, assicurando 
il diritto di voto a tutti indistintamente i 
magistrati, compresi quelli fuori ruolo o con incarichi 
speciali, anche non giudiziari (art. 5 del decreto 
legislativo del 16 settembre 1958, n. 916, contenente 
disposizioni di attuazione e di coordinamento 
della legge 24 marzo 1958, n. 195). 

8. Dell'art. 11 � impugnato, come si � accennato, 
soltanto il 1� comma, circa il quale, nelle ordinanze, 
si pone in rilievo come la necessit� della richiesta, 
da parte del Ministro, per promuovere le deliberazioni 
riguardanti i magistrati, sarebbe in contrasto 
con le disposizioni, fra loro coordinate, degli 
artt. 104, 10 comma, 105 e 110 della Costituzione. 
La richiesta, infatti, lederebbe l'autonomia del 
Consiglio superiore e qui:wli. indirettamente dell'ordine 
giudiziario, limitando, o addfrittura escludendo, 
l'attivit� dell'organo nelle materie indicate 
nell'art.105, e mantenendo un'indebita ingerenza del 
potere esecutivo sullo stato giuridico dei magistrati. 

Questa opinione si ricollega, come si accenna 
anche negli scritti difensivi, ad un'interpretazione 
restrittiva dell'art. 110 della Costituzione; nel senso 
che i servizi, l'organizzazione e il funzionamento 
dei quali spetta al Ministro, sarebbero soltanto 
quelli inerenti al personale delle cancellerie e segreterie, 
agli ufficiali giudiziari, alle circoscrizioni 
giudiziarie, ai locali, all'arredamento dei medesimi, 
ed, in genere, a tutti i mezzi necessari per l'esercizio 
delle funzioni giudiziarie. 

Tale interpretazione non pu� essere accolta. 

Dall'autonomia riconosciuta al Consiglio superiore, 
nelle materie indicate nell'art. 105 della 
Costituzione, non deriva, secondo che si sostiene, 
una netta separazione di compiti fra il Ministro 
guardasigilli e l'Organo preposto al governo della 
magistratura; come si verificherebbe se, a questo 
ultimo, fosse riconosciuta (il che non �, come 
r1sulta chiaro dai lavori preparatori) una autonomia 
integrale, compresa quella finanziaria, riguardante 
l'ordine giudiziario. Se quindi tale autonomia 
esclude (come pure si desume dai lavori preparatori) 
ogni intervento del potere esecutivo nelle 
deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, 
non esclude peraltro, che, fra i due organi, nel 
rispetto delle competenze a ciascuno attribuite, 
possa sussistere un rapporto di collaborazione: il 
quale importa che i servizi, affidati al guardasigilli 
dall'art. 110 della Costituzione, non sono limitati 
a quelli sopra accennati, ma, vi si comprendono 
altres�, sia l'organizzazione degli uffici nella loro 
efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati 
in base alle piante organiche, sia il funzionamento 
dei medesimi in relazione all'attivit� e al 
comportamento dei magistrati che vi sono addetti. 

Che in questo senso non restrittivo debba intendersi 
l'art. 110 risulta anche dalla considerazione 
che al Ministro l'art. 107, 2� comma, della Costituzione 
attribuisce la facolt� di promuovere l'azione 
disciplinare, ed � confermato dal fatto che le attribuzioni 
anzidette e gli oneri finanziari che necessariamente 
vi si ricollegano, impegnano la responsabilit� 
politica del guardasigilli, come esponente del 
Governo, verso il Parlamento, per l'esercizio dei 
poteri che istituzionalmente a questo competono. 

Dalle osservazioni finora esposte discende che la 
richiesta, cui si riferisce la disposizione impugnata 
(richiamando espressamente l'art. 10, n. 1), 
considerata quale espressione della collaborazione, 
di cui si � fatto cenno, e volta a segnalare all'organo 
competente le esigenze sopra in~~~te, per i 
necessari provvedimenti, non pu� ritenersi, di ner_ 
s�, lesiva dell'autonomia del Consiglio superiore, 
che ovviamente resta libero nelle sue determinazioni. 
Onde, sotto questo aspetto, la disposizione 
anzidetta, non pu� ravvisarsi in contrasto con i 
richiamati precetti costituzionali. 



-178 


9. Tuttavia la disposizione stessa non sfugge 
. al vizio di illegittimit� se considerata in relazione 
alla portata che viene ad assumere nel sistema 
della legge del 1958, come mezzo esclusivo stabilito 
per promuovere l'attivit� del Consiglio su 
periore. 

� da ricordare, in proposito, che, nel progetto 
ministeriale, la disposizione non era isolata, ma 
era seguita da un'altra, che attribuiva al predetto 
Consiglio, la facolt� di deliberare anche di ufficio, 
sentito il Ministro, il quale poteva fare osservazioni 
e proposte nel termine stabilito dallo stesso 
Consiglio. E, nella relazione, si chiariva che la 
disposizione era dettata dal concetto che l'autonomia 
dell'organo non poteva subire limitazioni, 
e dalla necessit� di evitare che, un'eventuale inerzia 
del Ministro, potesse recar pregiudizio al funzionamento 
dei servizi. 

Si trattava quindi di due disposizioni, dal necessario 
coordinamento delle quali, risultava chiarito 
che, alla richiesta del Ministro, non si poteva 
attribuire carattere determinante rispetto all'attivit� 
del Consiglio superiore, nelle materie di sua 
competenza: carattere ch'e ha assunto invece, 
data la soppressione della seconda disposizione, 
nell'ulteriore elaborazione legislativa. Di guisa che 
il fatto che la dispo sizione impugnata sia 
rimasta isolata nel testo definitivo, sta a dimostrare 
che ad essa si � inteso attribuire carattere 
tassativo, nel senso di esclusivit� del potere 
attribuito al Ministro: condizionando, in tal maiera, 
come si rileva nelle ordinanze, l'attivit� 
dell'organo collegiale. Si verificaquindi la dedotta 
lesione dell'autonomia del medesimo in contrasto 
perci� .con i precetti della Costituzione. 

10. L'art. 17 della legge in esame, nella prima 
parte del 10 comma, come si � accennato, � impugnato, 
in quanto stabilisce che i provvedimenti del 
Consiglio superiore sono adottati con decreto del 
Capo dello Stato controfirmato dal Ministro, ovvero 
con decreto di quet'ultimo nei casi preveduti 
dalla legge, in contrasto con l'art. 105 della Costituzione. 
La questione non � fondata. 

� vero che, in base al precetto che distingue i 
magistrati secondo le funzioni, essi come si � gi� 
accennato, non possono ritenersi inquadrati nell'ordinamento 
gerarchico dell'amministrazione statale. 
Ma da ci� non deriva che la magistratura sia 
avulsa dall'ordinamento generale dello Stato, dato 
il carattere unitario del medesimo, in relazione al 
precetto dell'art. 5 della Costituz'ione. Ne consegue 
che ai magistrati, salve le garanzie per l'indipendenza, 
sono applicabili i principi fondamentali 
dell'ordinamento medesimo. A tali principi 
non ha inteso derogare il legislatore costituente, 
essendosi affermato, nella relazione al progetto, 
che, con le norme intese a garantire l'indipendenza 
della magistratura, non si intendeva stabilire una 
forma piena di autogoverno. 

Ne� deriva pertanto che i provvedimenti emanati 
dal Consiglio superiore, ai sensi dell'art. 105 della 
Costituzione e della disposizione dell'art. 17 della 
legge in esame, debbono assumere, dato il carat


tere sostanzialmente amministrativo dei provvedimenti 
stessi, anche per quanto attiene al controllo 
finanziario, la forma che, sulla base dei 
principi fondamentali del sistema,. � prescritta per 
i provvedimenti del genere : la forma cio� def 
decreto del Capo dello Stato controfirmato dal 
Ministro; ovvero di questo nei casi stabiliti dalla 
legge. 

La disposizione impugnata pertanto non pu� 
ritenersi in contrasto con i precetti costituzionali 
richiamati, donde l'infondatezza della questione. 

1) Ancora un esempio di sapienza e di illuminata 
giustizia che ci viene dalla Oorte Oostituzionale. 

Sulla posizione costituzionale della Magistratura, 
sulla legittimit� del suo organo di autogoverno, sui 
rapporti di quest'ultimo con l'esecutivo, si erano 
levate -e non sempre dal terreno della pura speculazione 
giuridica -brume di dubbi e di incertezze. 
Era necessario che la luce tornasse a diffondersi. 
E questo ha fatto la Oorte Oostituzionale, in quattro 
proposizioni. 

2) Prima proposizione: � i disegni di legge in 
materia costituzionale>> di cui all'art. 72 della Oostituzione 
non sono altro che i disegni di �leggi di revisione 
della Oostituzione e (di) altre leggi costituzionali 
� di cui al successivo art. 138. 

La riserva della procedura di approra::ione in 
aula vige solo per questo tipo di leggi. Per tutte le 
altre � pienamente legittima la procedura decentrata 
in Oommissioni. Spetta all'apprezzamento politico 
del Parlamento attribuire efficacia di leggi costituzionali 
a determinati atti normativi, determinando cos� 
per i relativi progetti, l'operativit� della riserva in 
questione. 

Per le leggi ordinarie non c'� normalmente riserva, 
ma apprezzamento discrezionale, e la procedura decentrata 
� del tutto legittima. 

Oonclusione: l'isolamento di una categoria dogmatica 
di �leggi in materia costituzionale �,-altra 
da quella delle leggi costituzionali vere e proprie non 
� consentita. Il Oonsiglio Superiore della Magistratura, 
� stato legittimamente istituito dalla legge 
24 marzo 1958, n. 195, approvata in Oommissione 
in sede deliberante dalla Camera del Deputati. 

3) Seconda proposizione: esatto che i Magistrati 

non sono inseriti in un ordinamento di carattere 

gerarchico, ed altrettanto vero che essi, tutti, sono 

egualmente soggetti soltanto alla legge. Ma questo 

principio (non fosse altro, per la differenziazione 

insita nell'esistenza di gradi di giurisdizione) non 

impone di tener conto unicamente del dato numerico 

ai fini dell'elettorato passivo e non postula che non 

abbia affatto peso quanto ha tratto all'esperienza ed 

al prestigio derivanti e dall'anzianit� e dalla sele


zione. Inesistenza di una gerarchia e pari sogge


zione alla legge non comporta di necessit� l'implica


zione dall'eguaglianza assoluta e l'abolizione ili ogni 

considerazione di peso specifico. 

Tale argomento d� la chiave per risolvere, in senso 

positivo, la questione dell'elettorato attivo differen


ziato e della formazione dei collegi, dove � chiaro 

che non possa ravvisarsi voto multiplo. Appropria


....................-...�-------------------



-179 


tamente qui viene ricordata la sentenza n. 111del1963, 
ed in genere la giurisprudenza della Oorte, secondo 
la quale � consentito al legislatore ordinario di disciplinare 
diversamente situazioni differenti, quando ci� 
.abbia adeguata giustificazione. 

4) Terza proposizione: non si dice che ogni inter� 
'Vento del Ministro di Grazia e Giustizia nel funzio-' 
namento del Oonsiglio Superiore della Magistratura 
.sia illegittimo. E non lo si pu� dire senza ignorare 
la realt�, dato che il Oonsiglio Superiore non dispone 
�di un apparato burocratico, che, quanto meno, gli 
.segnali l'esistenza di una materia del deliberare, 
�compia le istruttorie, ecc. 

Si dice, invece, che l'iniziativa del Ministro non 
� esclusiva; e si dichiara l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 11 della legge, in quanto stabilisce non 
potere deliberare il Oonsiglio senza l'impulso del:
l'esecutivo. 

Giustissimo. Ma, ove si consideri l'impossibilit� 
�di una sanzione alla delibera del Oonsiglio Superiore, 
.adottata in vigenza dell'art. 11, delibera che sia stata 
emessa senza richiesta ministeriale, ove si considerino, 
ancora, come dovuti gli atti amministrativi di 
esecuzione di siffatta delibera, dovuti -ripetiamo 
�in ogni caso, anche se il Ministro sia convinto 
.dell'illegittimit� di essa, la dichiarazione d'illegittimit� 
costituzionale assume -quanto meno in 
pratica -senso e valore di un Schlag in die 
Lebre, per altro altamente apprezzabile e di indubbia 
esattezza. 

5) Quarta proposizione: i Magistrati non fanno 

parte dell'ordinamento amministrativo. Gli atti che 

li concernono non sono, quindi, atti (soggettiva


mente) amministrativi. Ma la, Magistratura non � 

.avulsa dall'ordinamento dello Stato, e ne segue quindi, 

in mancanza di una deroga espresssa, le regole. 

.Abbia1no quindi: a) delibere del Oonsiglio Superiore, 

.che sono atti �di tipo � amministrativo; b) decreti 

del Ministro o del Oapo dello Stato, che sono atti di 

mera esecuzione. Le delibere non possono essere sin


dacate se non in quella Sede di gravame che � il 

plenum del Oonsiglio Superiore; i decreti solo per 

1Jizio proprio, o per difformit� dalla delibera che li 

.determina, in sede di giurisdizione amministrativa di 

.legittimit�. Oi� -naturalmente -restando salvo 

il controllo finanziario. 

6) La nobilt� della sentenza che si � venuti rias:
sit1nendo, rifulge allorquando essa -trattando del.
l'indipendenza della Magistratura -istituzionalizza 
�in una formula giuridica, l'esigenza morale della 
.sua indipendenza. 

� � � ������ la Corte non pu� non rilevare -osserva 
.la sentenza -che l'indipendenza della Magistratura 
�trova la prima e fondamentale garanzia nel senso 
. del dovere dei Magistrati e nella loro obbedienza 
: alla legge morale, che � propria all'altissimo ufficio 
. e che consiste nel rendere imparzialmente giustizia; 
� principi questi ai quali si � costantemente unifor


mata la Magistratura italiana �. Non si poteva 

.dire meglio: e la Oorte in queste brevi frasi si � vera


mente resa interprete dello stato d'animo di tutto 

"il Paese. 

CORTE COSTITUZIONALE -Questione di legittimit� 
costituzionale pormossa da Consiglio comunale Inammissibilit�. 
(Corte Costituzionale, 13 dicembre 
1963, n. 157 -Pres.: An:ll:>rosini;. ~~l.. :. Bia!lca). 

Il Consiglio comunale, nel corso d'un procedimento 
relativo alla decadenza di componenti la 
commissione amministrativa di aziende municipalizzate, 
non pu� sollevare questioni di costituzionalit�. 


Oon questa sentenza la Oorte ha confermato la 
natura eccezionale della funzione giurisdizionale attribuita 
ai Oonsigli comunali (e provinciali) limitatamente 
alla materia elettorale, escludendo ancora una 
volta che il Oonsiglio comunale possa, in occasione 
di procedimenti amministrativi, sollevare questioni 
di costituzionalit�. 

La sentenza cos� motiva: 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Occorre innanzi tutto esaminare l'eccezione 
d'inammissibilit� fondata sugli artt. 1 leggi costituzionali 
1948, n. 1 e 1953, n. 1, nonch� sull'art. 23 
legge 1953, n. 87: infatti l'Avvocatura dello Stato 
assume che il procedimento, attraverso cui il Consiglio 
comunale dichiara la decadenza d'un componente 
della commissione amministrativa di una 
azienda municipalizzata, non � giurisdizionale; perci�, 
nel corso di tale procedimento non pot.rebbe 
essere proposta una questione di legittimit� costituzionale. 
L'eccezione � fondata. 

Il Consiglio comunale non ha di regola funzioni 
giurisdizionali; ma le svolge eccezionalemnte quando 
decide delle controversie in materia elettorale: 
e questa singolare potest�., com'� noto, ha la sua 
origine in un'antica tradizione di autonomia cittadina, 
alla quale si richiama il principio che primo 
giudice della composizione d'un organo eletto dal 
popolo debba essere lo stesso organo su cui � confluito 
il voto popolare. Poich� invece la commissione 
amministratrice dell'azienda municipalizzata 
si compone di persone non elette col voto cittadino, 
ma nominate dal Consiglio comunale, le deliberazioni 
consigliari che le riguardano non toccano la 
materia del contenzioso elettorale e in conseguenza 
non sono atti giurisdizionali. Il Consiglio 
comunale, avendo la potest� di nomina e di controllo 
delle commissioni amministratrici, quando 
dichiara la decadenza d'un loro componente, esercita 
nient'altro che questa potest� e pertanto svolge 

attivit� amministrativa. 

Il relativo procedimento � analogo a quello, 
ritenuto da alcuni giurisdizionale, che conduce alla 
dichiarazione di decadenza d'un consigliere comunale 
(art. 160 R. D. 12 febbraio 1911, n. 297); 
ma l'analogia � solo parziale ed esterfoie, determinata 
soprattutto dalla stessa esigenza di inte-ressare 
i cittadini all'attivit� delle aziende comunali 
(onde la facolt� dell'elettore o del contribuente di 
avanzare una proposta di decadenza) e di mettere 
gli stessi componenti della commissione ammini




-180


stratrice in condizione di difendersi. Del resto per 
escludere la giurisdizionalit�. del procedimento ririguardante 
le commissioni amministrative, pu� 
anche rilevarsi innanzi tutto che la dichiarazione 
relativa alla decadenza d'un consigliere comunale 
apre il campo ai vari stadi tipici del c. d. contenzioso 
elettorale in virt� dell'art. 160, terzo comma, 
mentre niente di simile ha disposto il legislatore 
rispetto alla dichiarazione di decadenza d'.n componente 
della commissione amministratrice di aziende 
municipalizzate: per cui � da credere che, in 
quest'ultimo caso, dopo la dichiarazione del Consiglio 
comunale si debba seguire la via della giurisdizione 
amministrativa ordinaria; o pu� rilevarsi, 
in secondo luogo, che un semplice regolamento 
esecutivo, come quello che conferisce al Consiglio 
comunale la potest� di dichiarare la decadenza dei 
componenti le commissioni amministrative, non 
poteva introdurre una nuova giurisdizione ed estendere 
ad altra materia una potest� giurisdizionale 
avente c�rattere di eccezionalit�. e limitata alle 
controversie elettorali. 

Si conclude che il Consiglio comunale, nel corso 
d'un procedimento relativo alla decadenza di componenti 
la commissione amministratrice di aziende 
municipalizzate, non pu� sollevare questioni di 
costituzionalit�.. 

CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione 
non attuale -Inammissibilit�. (Corte Costituzionale 
19 dicembre 1963, n. 164 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Castelli 
Avolio -Regione Autonoma della Sardegna 

c. Presidente del Consiglio). 
Non � ammissibile la richiesta preventiva di regolamento 
di competenza. 

Per una pi� completa cognizione delle questioni, 
si ritiene opportuno trascrivere integralmente la motivazione 
della sentenza: 

1. Superata la fase del procedimento riguardante 
la domanda di sospensione, viene ora la causa 
all'esame della Corte per la decisione del merito. 
Il quale � sostanzialmente prospettato dalle parti 
in causa sotto tre distinti riflessi: a) illegittimit�., in 
se stesso, del provvedimento impugnato, in quanto, 
con conseguente invasione della sfera di competenza 
della Regione, sarebbe errata la attribuzione del 
carattere demaniale allo stagno Tortoli; b) invasione 
della sfera di attribuzione della Regione, in 
quanto al provvedimento si attribuisca l'effetto 
conseguenziale della revoca o decadenza della concessione 
di pesca fatta dalla Regione in tempo 
anteriore alla dichiarazione di demanialit�. dello 
stagno; c) se al procedimento non si riconosca 
tale effetto conseguenziale, si richiede dalla Corte 
una pronuncia preventiva circa l'attribuzione, in 
base alla norma statutaria (art. 3, lettera i, dello 
Statuto speciale), del potere della Regione di provvedere 
alle concessioni di pesca anche se si tratti 
di acque marittime.. 
2. Sul primo punto -a parte ogni questione 
sulla competenza della Corte all'accertamento della 
demanialit�. dello stagno, � quale presupposto del 
conflitto di attribuzione -la difesa della Regione 
non ha insistito; si deve ritener� che �b'6Ia; anzi1 
abbandonato ogni richiesta in proposito. Gi� nel 
ricorso si adombrava un'interpretazione del provvedimento 
impugnato, indipendente da ogni accertamento 
sulla demanialit�. e da una possibile conseguente 
questione che implicasse un confl;tto di 
attribuzione, quando si affermava che la interpretazione 
del decreto impugnato poteva risolversi in 
una mera affermazione relativa alla propriet� demaniale 
dello stagno, senza incidere sui diritti di pesca 
che su di esso si esercitano: il che significa completa 
indipendenza della dichiarazione di demanialit�. 
dello stagno dalla concessione di pesca precedentemente 
accordata alla Regione quando lo stagno era 
formalmente incluso fra i beni di sua pertinenza a 
norma dell'art. 14 dello Statuto regionale. Da ultimo 
poi, nella seconda memoria, conclusiva del proced:.
mento, la difesa della Regione, dopo aver rilevate 
le affermazioni contenute nelle deduzioni dell'Avvocatura 
dello Stato, che un provvedimento di 
decadenza della concessione assentita dalla Regione 
�non � stato ancora emanato e, in verit�, neppure 
in concreto minacciato�, e che un atto di 
ingerenza diretta dell'Amministrazione statale in 
tema di diritto di pesca non sarebbe implicito nel 
decreto ministeriale impugnato, n� dovrebbe essere 
prospettato come un suo necessario sviluppo, in 
base a queste affermazioni dichiarava che, se cos� 
dovesse ritenersi, il campo della competenza amministrativa 
regionale non sarebbe stato invaso, n� 
i suoi confini risulterebbero contestati. Onde aper� 
tamente riconosceva che � conseguentemente il 
ricorso potrebbe essere considerato come una precauzione 
inutile �. 
Se cosi � -ed �, come si vedr� -non vi 
sarebbe luogo ad un giudizio per conflitto di attribuzione. 


3. � vero -e questo riguarda il secondo punto 
innanzi ricordato -che l'Avvocatura dello Stato 
ha ritenuto di potere affermare, in un primo 
momento, che la nuova qualificazione delle acquet 
siccome acque salse o salmastre, come tali facenti 
parte del demanio marittimo ai sensi dell'art. 28 
del Codice della navigazione e in relazione all'art. 14 
dello Statuto sardo, comporterebbe la illegittimit�. 
della concessione precedentemente accordata dalla 
Regione; e questa spiega che sarebbe stata indotta 
a proporre il ricorso per c�nflitto di attribuzione 
per il caso che l'Amministrazione dello Stato intendesse, 
appunto, essendosi modificata la qualificazione 
delle acque dello stagno, non� fare una mera 
questione di propriet�., ma mettere in discussione 
il potere della Regione di rilasciare concessioni di 
pesca nelle dette acque. .Aggiunge, anzi, la difesa. 
della Regione, che questa ipotesi potrebb~� forse 
trovare un fondamento nell'ordine dato, nella seconda 
parte del provvedimento impugnato, alla 
Intendenza di finanza di Nuoro di �provvedere 
alla formale presa di possesso dello stagno �. Ma, 
in verit�, il provvedimento impugnato non legit__________________, 
__________________ 


-181


tima affatto simili illazioni e quella perentoria. 
conclusione. In esso si premette che lo stagno, 
quale bene di demanio marittimo, come tale riconosciuto 
a seguito degli accertamenti tecnici eseguiti, 
doveva rimanere escluso dall'elenco dei beni 
trasferiti alla Regione sarda, e che pertanto si 
era reso necessario provvedere alla sua restituzione 
formale al demanio pubblico dello Stato, e si 
dispone, con l'art. 1, la revoca del trasferimento 
alla Regione dello stagno, in primo tempo avvenuta 
in base all'art. 14 dello Statuto sardo, e, 
-0on l'art. 2, si manda all'Intendenza di finanza di 
Nuoro di provvedere alle conseguenti �variazioni 
delle scritture ipotecarie e catastali � e di provvedere, 
con le Amministrazioni interessate, << alla 
formale presa di possesso della realit�, quale bene 
del demanio pubblico marittimo �. Ma, provvedere 
alle variazioni sui registri immobiliari e prendere 
il forma1e possesso della �realit� �, cio� del bene 
immobile, da parte dell'autorit� marittima non 
significa far decadere tutti i diritti che siano stati 
legittimamente costituiti sull'immobile, e quindi 
anche la concessione di pesca, a suo tempo accordata 
dalla Regione quando aveva potest� di accordarla 
in base ad una norma statutaria ed ha ancora 
potest�. di farlo in base alla norma stessa tuttora 
in vigore. Sembra di tutta evidenza che, in siffatte 
circostanze, occorreva una dichiarazione espressa 
di decadenza della concessione assentita dalla 

Regione, e solo di fronte ad un atto simile o ad 
una sia pure non formale ma chiara, univoca determinazione 
di volont� dell'Amministrazione nel 
.senso della decadenza della precedente concessione 
fatta dalla Regione, poteva questa ritenersi legittimata 
a proporre il conflitto di attribuzione, per 
non sentir menomato il suo diritto -riconosciuto 
altresi da questa Oorte con le ricordate sentenze, 
nn. 23 del 1957 e 49 del 1958 -ad accordare le 
concessioni di pesca anche in acque marittime, 
.sia pure con certe limitazioni, nell'interesse nazionale, 
e quindi d'intesa con la competente Amministrazione 
statale. 

4. La mancanza di un atto formale o, almeno, 
.fil una univoca non formale manifestazione di 
-volont� -come pure � stato ammesso da questa 
Corte (v. sentenze 18 gennaio 1957, nn. 11 e 12) 
-con cui si affermi il diritto di esercitare un potere, 
per competenza propria, in contrasto con l'affermazione 
di altro ente o amministrazione che pretenda 
che quel potere a s� competa, non pu� legitmare, 
come precedentemente si � visto, l'ammis.
sione del procedimento per conflitto di attribuzione 
�dinanzi a questa Oorte. A parte il rjlievo -che 
pure � stato fatto dall'Avvocatura dello Stato in 
�occasione della discussione orale -che agendosi, 
.in materia, in via di ricorso, una richiesta preventiva 
di regolamento di competenza, cui in definitiva 
-� giunta la difesa della Regione, costituirebbe 
una domanda nuova e perci� inammissibile, l'istituto 
del conflitto di attribuzione deve essere mantenuto 
entro i confini ad esso segnati dalla Oostituzione, 
per non trasformare la Corte costituzionale 
in un organo meramente consultivo, N� si vede 
come la Oorte possa preventi.vamente esaminare 
un caso che pu� dar luogo a c.onflitto d.Lattribuzione, 
quando, in mancanza di una precisa determinazione 
dei presupposti, delle ragioni e dei 
motivi che possano indurre, in concreto, un ente 


� od una amministrazione ad affermare la propria 
competenza, la Corte dovrebbe decidere in base 
ad astratte formulazioni di ipotesi, che potrebbero 
non trovare concreto riscontro nella realt�. 
E pertanto, rispetto al caso in esame, soltanto 
quando venisse revocata o dichiarata decaduta la 
concessione di pesca accordata dalla Regi.one, o, 
sia pure non formalmente, ma in modo chiaro, fosse 
espressa la volont�, in tal senso, dall'Amministrazione, 
solo allora, palesandone i concreti motivi, la 
Corte potrebbe giudi.care se il caso possa essere 
inquadrato entro la sfera di un conflitto di attribuzione 
costituzionalmente rilevante e se, nel 
merito, competa il potere all'Ente o all'Amministrazione 
che ha agito. 
Sotto tutti i profili il ricorso proposto dalla 
Regione sarda � pertanto da dichiarare inammfasibile. 


Con questa sentenza la Corte conferma l'inammissibilit�, 
del ricorso per regolamento preventivo di 
competenza, che porterebbe ad una pronuncia mm�amente 
ipotetica, ma con una motivazione, che, interpretando 
estensivamente l'art. 39 legge 11marzo1953, 

n. 87, riconduce l'atto, con cui lo Stato e la Regione 
invadono la sfera di competenza riservata alla Costituzione 
all'altro ente, ad una qualsiasi non formale 
purch� univoca manifestazione di volont�, che determini 
con precisione i presupposti, le ragioni ed i 
motivi, che inducono uno dei due enti in confiitto 
ad affermare la propria competenza. 
IZ confiitto, perch� possa esserne chiesta la risoluzione 
alla Corte, deve essere, a�i sensi degli artt. 134 
Cost. e '39 legge 11 marzo 1953, n. 87, positivo e 
reale; ma l'atto concreto che lo pone in essere, non � 
necessario che abbia i requisiti, di forma e di sostanza, 
del provvedimento amministrativo. Non solo una 
circolare, che dia istruzioni ad organi periferici, ma 
qualunque manifestazione univoca di volont�, ancorch� 
non formale, � sufficiente a porre in essere il confiitto 
e� a legittimare la proposizione del ricorso per 
regolamento di competenza. 

La ,sentenza, perci�, non pregiudica, a nostro 
avviso, la questione relativa all'ammissibilit�, del 
ricorso prima che sia emanato un provvedimento con 
efficacia esterna quando fra Stato e Regione non si 
sia potuto raggiungere una intesa sulla ripartizione 
di competenza, essendo, peraltro, ben precisi e determinati 
i presupposti, le ragioni e i motivi, per cui 
entrambi gli enti ritengono di affermare la propria 
competenza. In tal caso, infatti, il ricorso non potrebbe 
dirsi proposto per il regolamento preventivo di 
competenza, perch� il confiitto sarebbe in "�tto, reale. _ 
preciso e determinato nei suoi presupposti e nel suo 
contenuto. 



-182


CORTE DI CASSAZIONE 


DEMANIO -Aerodtomi militari -Suolo -Esclusione. 

(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1710/63 -
Pres.: Stella Richter; Est.: Rossano; P. M.: Maccarone 
( conf.) -Amministrazione Difesa Aeronautica 

c. Comune Catania). 
Gli aerodromi, se destinati alla difesa nazionale, 
appartengono al demanio statale. 

La natura demaniale si riferisce alle sole opere 
che sono il risultato dell'attivit� dell'uomo e non al 
suolo che � da esse separabile, secondo quanto 
risulta dal titolo o dalla legge. 

La s(}ntenza � pubblicata in cc Giust. Oiv. �, 1963, 
I, 1811. 

L'argomento centrale della Oorte pu� riasswrnersi 
in questa proposizione: �gli aerodromi, se destinati 
alla funzione della difesa nazionale, in quanto sono 
opere con immediata destinazione alla funzione, 
non possono che appartenere allo Stato )); la parola 
� opere )) comprende, secondo il significato suo proprio, 
i beni che siano il risultato dell'attivit� dell'uomo, 
non le cose naturalmente esistenti, quindi le costruzioni, 
non anche il suolo �. 

Il salto logico dal quale � viziata la sentenza risulta 
evidente sol che si rifletta -che il concetto di �opera � 
nei riguardi di un aerodromo non ha la stessa portata 
che ha nei riguardi di altre parti del demanio militare 
classico ad esempio le fortezze. 

In un aerodromo � da escludere che le �opere )) 
possono limitarsi solo alle costruzioni vere e proprie 
(aviorimesse, edifici per la truppa, per il comando, 
ecc.), esse comprendono certamente anche le piste 
che non � agevole distinguere dal suolo, tanto pi� 
che; per certi aerodromi (e pa.rticolarmente per quelli 
militari) sono costituite proprio solo dal suolo appena 
spianato e ripulito dalle piantagioni. 

Il vizio � tanto pi� grave in quanto, col progresso 
e la trasformazione della organizzazione della difesa 
nazionale e dei suoi strumenti, appa.re ormai inadeguato 
l'uso dei criteri tradizionali per identificare 
le cose appartenenti al demanio militare, non potendo 
pi� la categoria delle opere destinate alla difesa nazionale 
limitarsi a comprendere solo le costruzioni intese 
nel senso classico di opere eseguite sopra il suolo 
ma dovendo sempre pi� CQmprendere le opere eseguite 
sotto il suolo stesso. 

La verit� � che come dice giust'amente il GmcCIARDI 
(Il demanio); � Oedam ))' 1934, pag. 114) 
cc nel demanio militare non rientrano diritti reali 
parziari )) e se una porzione del suolo viene trasformata 
in un bene che sia suscettibile di utilizzazione 
diretta per la di.fesa nazionale (aerodromo) questo 
bene diventa integralmente demaniale non appena 
.la trasformazione � completata dato che con questa 
trasformazione si verifica la combinazione dei due 
mondi, oggettivo e soggettivo, essenziali per l'inizio 
della demanialit� (v. GmccIARDI, op. cit., pag. 164). 

E, secondo noi, il pensiero del Guicciardi dev'essere 

chiarito e integrato nel senso che, con questa trasf or


mazione, si determina il trasferimento dell'irnmobile 
al demanio militare dello Stato, sia che esso gi� 
appartenesse al patrimonio dello Stato (o ad altra 
categoria di demanio), sia che esso appartenesse a 
privato proprietario. 

In altri termini, il fatto amministrativo cc esecuzione 
di opera destinata alla difesa nazionale )) costicostituisce 
modo di acquisto della propriet� demaniale, 
fermo restanto, beninteso, il diritto del precedente 
privato proprietario all'indennizzo doviito a tutti 
coloro che subiscono espropriazioni a causa di pubblica 
utilit�. Ohe di questo1 in sostanza si tratta: di 
una espropriazione per pubblica utilit� effettuata 
in forme diverse da quella ordinaria, ma non per 
ci� solo lesiva delle situazioni di interesse legittimo 
e di diritto subiettivo che si presentano a fronte di 
qualsiasi ordine di espropriazione ch� anzi l'effettiva 
esecuzione dell'opera destinata alla difesa nazionale 
da parte dell'autorit� pubblica cui spetta la 
competenza di eseguirla elimina in radice ogni dubbio 
per eventuali vizi di sviamento di potere o di cattivo 
uso di esso. 
� Probabilmente, ed � questo uno spunto suscettib�il& 
di proficuo approfondimento, bisogne�r� convincersi 
che la categoria dell'acquisto per accessione nello� 
istituto della propriet� demaniale funziona in senso 
inverso a �quello regolato in relazione all'istitutodella 
propriet� privata. 

Dobbiamo convenire che la giurisprudenza della 
Oorte Suprema � finora orientata in senso nettg,mente� 
contrario, in quanto esclude recisamente che la propriet� 
dell'immobile che sia stato trasformato mediante 
esecuzione di opera pubblica, si trasferisca 
nella Amministrazione senza che si faccia luogo alla. 
regolare procedura di espropriazione (v. per tutte� 
sent. n. 2087 /60 delle Sezioni Unite in questa �Rassegna 
ll1 1960, pag. 78), ma � anche vero che la stessa 
giurisprudenza riconosce esplicitamente che il diritto 
del privato proprietario si limita al risarcimento del 
danno essendo �inconcepibile la restituzione del bene� 
occupato, stante la radicale trasformazione da questo� 
subito per effetto della attuazione dell'opera pubblica)). 

Sulla particolare natura degli aerodromi e sulla 
loro connessione essenziale con la difesa nazional& 

v. infra, pag. 194. 
IMPOSTA DI REGISTRO -Sentenze -Imposta df 
registro sulle sentenze -Limiti di applicazione. 

(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 2495/62 -
Pres.: Celentano; Est.: Del Conte; P. M.: Tavolaro. 
(conf.) -Frascaro c. Amministrazione Finanze dello. 
Stato). 

A norma dell'art. 93 n. 1 della legge di registro, l'imposta 
sulle convenzioni si applica a tutte le� 
parti contraenti; viceversa, l'imposta sulle sentenze, 
prevista dal n. 2 dello stesso �art. 93, prescinde 
dalla partP;cipazione all'atto o al contratto. 



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-183 


enunciato ed ha riguardo unicamente alla posizione 
formale di parti istanti o che fanno uso della 
sentenza. Pertanto essa comprende anche coloro 
che siano del tutto estranei all'atto o 'al contratto 
medesimo. 

La motivazione della sentenza, che ha accolto la � 
tesi dell'Amministrazione, � sostanzialmente riprodotta 
sulla mr:issima... 

lMPOSTA DI REGISTRO -Transazione dichiarativa 


Transazione novativa -Contratto d'appalto stipulato 

in occasione di transazione novativa. (Corte di Cassa


zione, Sezione I, Sentenza n. 2526/62 -Pres.: Celenta


no; Est.: Bartolomei; P. M.: Pedace (conf.)-Soc. Fab


brica Accumulatori Partenope (F.A.P.) c. Ammini


, strazione delle Finanze). 

.Ai sensi dell'art. 60 della legge di Registro, 

mentre l'atto contenente una transazione dichia


rativa � soggetto a tassa fissa, quello contenente 

una transazione novativa � invece soggetto alla 

tassa dovuta secondo la natura del negozio attra


verso il quale le parti hanno novato la preesistente 

situazione giuridica. 

Pertanto, se in occasione di una transazione 

novativa, � stato stipulato un contratto di appalto, 

l'atto contenente l'appalto e la transazione � sog


getto alla tassa di registrazione dovuta per l'intero 

ammontare de! prezzo di appalto, anche se, ai fini 

specifici della transazione sia, stata utilizzata solo 

una parte del predetto prezzo. 

Le conc�usioni, cui � pervenuta la sentenza che 

si annota, non possono non essere condivise. Gravi 

perplessit� suscita, invece, l'iter logico della decisione. 

In sostanza il ragionamento della Cassazione � 

il seguente: premesso che la transazione ha normal


mente natura dichiarativa, nel senso che essa tende


rebbe non gi� a modificare la preesistente sitazione 

giuridica, ma solo ad accertarla con efficacia t�ra le 

parti, si afferma che unicamente a tale situazione 

sarebbe applicabile la prima parte dell'art. 60 della 

legge del Registro relativa alla tassa fissa di registra


zione. Ove le parti eliminando la insorta controversia 

dessero, invece, vita ad un nuovo rapporto negoziale, 

la transazione assumerebbe carattere novativo; in 

tal caso, dovendosi considerare come effettivamente 

conclusi due distinti negozi (il negozio nuovo, i cui 

effetti vengono utilizzati ai fini, della transazione, 

nonch� la transazione stessa), l'art. 60 sopracitato, 

ai fini della registrazione dell'atto, darebbe la preva


lenza al nuovo negozio con la conseguenza che questo 

ultimo andrebbe tassato secondo la natura sua propria. 

Appare evidente che tale ordine di idee si inse


risce in quell'orientamento che afferma la natura 

dichiarativa della transazione (cos�, in dottrina, 

POLACCO: Del contratto di transazione, Roma 1921; 

GROPALLO: La natura giuridica della transazione, 

in cc Riv. Dir. Oi1,, n, 1931, 320; EUTERA: Delle 

transazioni, Torino, 1933; STOLFI: La transazione, 

Napoli, 1931; CoVIELLO: Trascrizione, in cc Nuovo 

Dig. it. �, XII, 2, 290; pi� di recente, cfr. CARRESI, 

La transazione, in <(Trattato dir. civ. it. �, Torino, 

1954); orientamento che, pur potendosi considerare 
tradizionale in senso eminentemente storico (si riallaccia, 
infatti, al diritto intermedio ed alla letteratura 
francese formatasi intorn� al Code Napol�on), 
deve considerarsi -nel vigore del nuovo Codice 
ed alla luce dei pi� recenti studi (cfr. VALSECCHI: 
La transazione, in cc Trattato dir. civ. it., �, a cura 
di CICU e MESSINEO, Milano, 1954; PUGLIATTI: 
La transazione, in cc Comm. cod. civ. �, Firenze, 
1949; SANTORO PASSARELLI: La transazione, N apoli, 
1958. Ancora sotto l'impero del vecchio codice 
si esprimevano per la costitutivit� della transazione: 

NrnoL�: Il riconoscimento e la transazione nel 
problema della rinnovazione del negozio e della 
novazione dell'obbligazione, in Annali Universit� 
di Messina, vol. VII, 1932-33, 377; GUICCIARDI, 
La transazione degli enti pubblici, in cc Arch. Dir. 
Pen. �, 1936, I, 64; VITERBO: L'assicurazione della 
responsabilit� civile, Milano, 1936; GIORGIANNI: 
Il negozio di accertamento, Milano, 1939), definitivamente 
superato. . 

Se questo � vero, la decisione della Cassazione 
appare manchevole nel suo stesso presupposto. 

�, per�, da ritenere che al fondo di siffatta impostazione 
della sentenza in esame sia quel pa�rticolare 
atteggiamento della dottrina tributaria, che (in ci� 
divergendo dalla soluzione civilistica) ripete ancor 
oggi il dogma della dichiarativit� della transazione 
(cos�, tra i maggiori, UBERTAZZI: La legge del registro, 
Gasale Monferrato, 1924, 241; CAPPELLOTTO: 
Le tasse di registro, Venezia, 1932, 551; .lARACH: 
Principi per l'applicazione delle tasse di registro, 
Padova, 1937, 46 sgg.; e, pi� di recente, UcKMA.R: 
La legge del registro, Padova, 1953, I, 185 e II, 
405; J AMMARINO: Commento alla legge sulle imposte 
di registro, Torino, 1959, I, 566; cos� anche 
BERLmI: Le leggi di registro, Milano, 1960, 391, 
il quale, per�, con maggior consapevolezza, precisa 
che, ove non vi fosse la regola enunciata nel 10 comma 
dell'art. 60, la transazione non andrebbe soggetta 
alla semplice tassa fissa, ma ad una tassa graduale 

o proporzionale). 
La decisione annotata sembra, tuttavia, andare 

oltre queste affermazioni (che, valide su di �n piano 

unicamente tributario, non possono essere estese ol


tre l'ambito del 10 comma dell'art. 60: n� pu� in que


sta sede aff1�ontarsi il raffronto tra detta norma e i 

principi del Oodice civile), affermando generica


mente un preteso carattere dichiarativo della transa


zione, con un riferimento (non si sa bene quanto 

consapevole) a funzioni di accertamento, che par


rebbe riecheggiare la vecchia tesi dottrinale della quali


ficazione dell'atto di transazione come negozio di accer


tamento. 

In questo senso la sentenza non fa che inserirsi 

in un insegnamento ormai tradizionale. Tuttavia, 

ai fini della presente decisione, sarebbe stato prefe


ribile procedere in un diverso ordine concettuale, che 

-evitando di prendere posizione sul problema della 

natura dichiarativa o costitutiva della transazione .:::..... 


avrebbe consentito alla Cassazione di sottrarsi alla 

esigenza di certe affermazioni, quanto meno discutibili. 

Come s'� visto in precedenza, infatti, la sentenza, 
premessa la affermazione circa la natura normalmente 
dichiarativa dell'atto transattivo, ha poi fatto 




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leva, per giungere alle conclusioni accolte, sul concetto 
di transazione nO'IJativa, tale ritenendo tipicamente 
l'ipotesi in discussione. Ed allora, il richiamo 
alla normale dichiarativit� della transazione appare 
inconferente, ben potendosi risolvere la questione in 
esame nell'ambito esclusivo del concetto di transazione 
novativa. Si trattava, infatti, di una pluralit� 
di controversie, insorte tra le parti in dipendenza 
dell'esecuzione di un precedente contratto di appalto, 
controversie che erano state transatte mediante posizione 
di un nuovo (e complesso) regolamento negoziale. 
Discutendosi dell'applicazione della tassa di registro, 
la Oassazione ha ritenuto trattarsi di una transazione 
con effetti novativi stabilendo conseguentemente 
l'applicabilit� alla specie della seconda parte dello 

art. 60 della legge del registro. 

Giova soffermarsi brevemente su questi concetti. 

* * * 

Non par dubbio che, ai fini dell'imposta di regi


stro, debba farsi distinzione tra transazione novativa 
e non novativa, dovendosi applicare soltanto 
nella seconda ipotesi la tassa fissa. In questo senso 
� esplicito l'art. 60 della legge sul registro, 'con una 
norma che -considerata in relazione all'epoca in 
cui fu posta -appare retrospettivamente come un 
.esempio notevole di anticipazione sulla futura legislazione. 
Vigente l'art. 1772, I comma Oodice civile 
1865, infatti, era opinione assolutamente dominante 
che la transazione non potesse produrre effetti novativi 
sui rapporti preesistenti (in tal senso tutti gli 
autori meno recenti: unica voce in contrario quella 
del NICOL�, op. cit., il quale, partendo dal presupposto 
che pu� aversi novazione sia quando il secondo 
rapporto costituito dalla dichiarazione novativa si 
viene a trovare in una situazione di obbiettiva incompatibilit� 
con il rapporto al quale si � sostituito, 
sia quando la incompatibilit� fra i due rapporti 
non attiene alla loro natura ma deriva da uno speciale 
atteggiamento della volont� delle parti (animus 
novandi), deduceva essere ben concepibile una transazione 
la quale, realizzando una situazione di diritto 
obbiettivamente incompatibile con quella precedente, 
ne determinasse l'estinzione per una forza che � 
nella natura delle cose prima ancora che nella volont� 
degli uomini. Sulle orme di NICCOL� cfr. anche 
GIORGIANNI, op. cit. Una impostazione originale 
del problema, sotto il profilo della rinnovazione del 
negozio, era in OARNELUTTI, Documento e negozio 
giuridico, in �Riv. dir. proc. civ.�, 1926, 181 sgg.). 

Il nuovo Oodice, affermando alliart. 1976 che la 

risoluzione della transazione per inadempimento 

non pu� essere richiesta se il rapporto preesistente 

� stato estinto per novazione, ha riacceso la disputa. 

Facendo leva sulla dizione letterale dell'art. 1976 

(senza peraltro approfondire ulteriormente il pro


blema) ammettono l'idoneit� della transazione a 

produrre effetti novativi il V.ALSECCHI ed il OARRESI. 

Anche il BETTI:. Teoria generale del negozio giu


ridico, Torino, 1955, 263 sgg., pur ritenendo che 

si tratti di istituti sostanzialmente differenti, ammette 

che la transazione possa avere effetti novativi. Gravi 

e sostanziali critiche, dalle quali non pu� prescin


dersi, sono state per� autorevolmente mosse a tale 

concezione (PUGLIATTI: Della transazione, in cc Oomm. 
cod. civ.�, Firenze, 1949, 448 sgg.; SANTORO 
PASSARELLI, op. cit.). Si �, cos1., detto che il 
termine di novazione in riferimento alla� transazione 
sarebbe usato dalla legge in senso improprio, per 
indieare ogni ipotesi di sostituzione di una precedente 
situazione con altra successiva, posta in essere 
appunto con il negozio transattivo. Ma la inidoneit� 
della transazione a produrre effetti novativi in senso 
tecnico si dovrebbe desumere dalla struttura diversa 
e reciprocamente incompatibile dei due istituti (cos� 

SANTORO PASSARELLI, op. cit., 83). 

Il problema merita una ulteriore considerazione. 

* * * 

Precisiamo iinmediatamente che non si tratta di 

vedere se l'effetto novativo sia tipico e costante della 

transazione. Su questo punto non si fa questione. Lo 

stesso art. 1976 Oodice civile., ammettendo la possi


bilit� che il rapporto preesistente sia estinto per nova


zione, fa intendere che si tratta di una mera eventua


lit�. Occorre invece indagare se la produzione di 

effetti nO'IJativi sia compatibile con lo schema negoziale 

della transazione, in rapporto alla struttura dei due 

istituti. 

Per esprimere il concetto della funzione della novazione 
si parla spesso di causa novandi. L'espressione 
� impropria, se si accetta la tesi secondo la 
quale la novazione non � (o almeno non � necessariamente) 
un negozio tipico, indiviflruato e distinto 
dagli altri previsti dal nostro ordinamento, ma � 
invece un evento in rapporto di effetto a causa con un 
precedente atto. Tale tesi � confortata dal testo legislativo, 
il quale ricollega l'effetto estintivo ad ogni 
ipotes�i in cui si abbia sostituzione della obbligazione 
originaria con quella successiva, richiedendo solamente 
l'aliquid novi e l'animus novandi. Non v'� 
dubbio che il concorso di questi due requisiti non � 
di per s� sufficiente ad individuare un contratto 
tipico. � vero piuttosto che l'art. 1234 Oodice civile, 
introduce un elemento causale che potrebbe indurre 
a conclusioni diverse; ma di tale articolo vedremo 
in seguito la portata e il valore. Quindi, anzich� 
di novazione dovr� pi� correttamente parlarsi di 
effetti novativi, collegati ad un atto negoziale che 
pu� assumere una qualunque delle forme previste 
dall'ordinamento, esclusi -ben s'intende -quei 
negozi che per loro struttura sono inidonei a tali 
effetti. 

Quanto si � detto finora non esclude che le parti 

possano dare vita a un distinto negozio innominato, 

che sia rivolto unicamente al fine di novare. In questo 

caso legittimamente potr� dirsi ohe si � posto in essere 

un negozio individuato dalla specifica causa novandi, 

cio� dalla funzione di estinguere una precedente obbli


gazione per creazione di altra successiva, che alla pri


ma si sovrappone. Qui acquista il suo pieno rilievo 

la norma dell'art. 1234 Oodice civile la quale, stabi


lendo che la novazione � senza effetto nel caso di ine-


sistenza (o di nullit�) dell'obbligazione originaria, 

fa in sostanza rife�rimento a una ipotesi di man


canza di causa, che determina secondo i principi 

il venir 'meno del negozio di novazione. In questo 

caso veramente pu� pm�larsi con piena consapevo



-185


' 

lezza tecnica di causa novandi, giaoch� si � presenza in 
di un elemento essenziale del contratto, che proprio 
da tale elemento � individuato e scolpito nella sua 
struttura tipica. Ma fuori di questa ipotesi, che � 
concettualmente l'eccezione, la regola rimane pur 
sempre che l'effetto novativo pu� nascere da un qualsiasi 
contratto, il quale -inquadrandosi nella propria 
struttura causale -produrr�, oltre i suoi effetti 
tipici, anche ulteriori effetti novativi, perch� la 
volont� delle parti si � a ci� specialmente indirizzata. 
Pertanto non � necessario ohe gli effetti novativi 
siano individuati da una causa tipica. 

In altri termini, quel che la legge costantemente 
richiede � l'animus, cio� la volont� delle parti di 
novare; ci�, per�, non significa che l'animus non 
possa essere inserito in un negozio individuato da 
una causa tipica diversa da quella novandi, di modo 
che il negozio oltre i suoi effetti normali produca 
anche effetti novativi. Una tale coesistenza sarebbe 
impossibile solo quando la causa tipica del negozio 
fosse concettualmente incompatibile con la novazione. 
Oos� non potrebbero le parti fare ricorso a un negozio 
di accertamento (ove si ammetta tale figura negoziale) 
al fine di novare, giaoch� la funzione di accertamento 
importa per definizione la conservazione del 
rapporto accertato. Ma questo non � il caso della 
transazione rispetto alla quale, dopo gli ampi risultati 
ottenuti dalla dottrina pi� recente (SANTORO PASSARELLI, 
op. eit.), sareb~e veramente un fuor d'opera 
insistere sul punto che essa non pu� inquadrarsi 
nella figura dell'accertarnento. 

*** 

Richiamati i suesposti principi in materia di novazione, 
sembra agevole dedurre ohe non si potrebbe 
per la transazione invocare contro l'ammissibilit� 
di effetti novativi l'impossibilit� concettuale di ammettere 
la simultanea presenza di due distinte cause negoziali 
(e cc novandi � e �transigendi �), Il riferimento 
alla causa novandi, infatti, � legittimo solo nell'ipotesi 
in cui la novazione sia attuata mediante uno 
specifico negozio individuato dalla unica funzione 
di estinguere una precedente obbligazione mediante 
l'assunzione di un'altra. Ma in tutte le altre ipotesi 
{che costituiscono, come si � visto in precedenza, la 
normalit�) l'effetto novativo non discende da una 
specifica causa dello stesso genere, qualificandosi, al 
contrario, come conseguenza ulteriore di un distinto 
schema negoziale. 

Sotto questo profilo, per affe,rmare l'inidoneit� 
della transazione a novare i precedenti rapporti sui 
quali essa opera, dovrebbe affermarsi l'impossibilit� 
concettuale di apporre alla tipica caus� transigendi 
un ulteriore atteggiamento della volont� delle parti, 
indirizzata all'estinzione per novazione dei precedenti 
rapporti obbligatori. Nulla, per�, consente 
una simile affermazione. Al contrario ci sembra ohe 
l'estinzione del rapporto litigioso possa essere, in un 
certo senso, normale alla composizione della lite, in 
quanto mezzo ed, a un tempo, effetto della composizione: 
mezzo, in quanto inquadrabile nell'ambito 
delle concessioni che le parti reciprocamente si fanno; 
effetto, in quanto dal nuovo assetto di interessi realizzato 
con la transazione discender� normalmente il 

superamento integrale della situazione precedente. 
Deve, quindi, concludersi che la funzione di comporre 
la lite mediante reciproche con�essioni, .n,9ri, essendo 
incompatibile con l;estinzione del rapporto (o dei 
rapporti) precedente, ben consente l'apposizione allo 
schema negoziale, mediante il quale tale funzione si 
realizza, di quell'elemento volontaristico che tradizionalmente 
si designa come << animus novandi �. 

*** 

L'obbiezione fondamentale che si muove alla tesi 
della compatibilit� di effetti novativi oon la transazione 
� che gli eventuali vizi dell'obbligazione navata reagiscono 
su quella successiva diversamente da quel che 
avviene nella transazione per i vizi afferenti al titolo, 
relativamente al quale la transazione � stata fatta. 

A tale obbiezione, per quanto ci risulta, non � 
stata ancora data una valida risposta. N � sembra 
sufficiente il puro e semplice richiamo al testo dello 
art. 1976 Oodioe civile., i"Z quale in realt� non d� 
alcuna ragione dell'eccezione mossa. Qui occorre precisare 
che, quando la legge parla di titolo, si riferisce 
indubbiamente al fatto da cui sorge il rapporto obbligatorio, 
in ordine al quale � insorta la lite. Parlare 
di invalidit� del titolo equivale, quindi, a parlare 
di invalidit� dell'obbligazione che ne deriva. 

Trazionalmente si dice che la inesistenza (cui � 
parificata la nullit�) dell'obbligazione navata determina 
nullit� della novazione, indipendentemente 
da ogni considerazione sull'atteggiamento psicologico 
delle parti. Per la transazione, invece, in virt� dello 
art. 1972, II comma, Oodioe civile, la eventuale nullit� 
dell'obbligazione dedotta in lite opera sul negozio 
transattivo solo per il tramite del vizio della volont� 
delle parti. Si dovrebbe da ci� desumere che la transazione, 
essendo nel suo meccanismo causale svincolata 
dall'eventuale invalidit� delZ'obbligazione precedente, 
non � compatibile con la novazione, la quale � per 
definizione individuata dal collegamento delle due 
obbligazioni. 

Osserviamo anzitutto che la disciplina dell'art. 1972 
Oodice civile non si applica a tutte le ipotesi di transazione. 
Oi riferiamo a quei casi che una autorevole 
dottrina ha di recente assunto sotto il concetto di 
transazione non innovativa, quella transazione cio� 
in cui �la situazione preesistente non � interamente 
dedotta in lite, e quindi non � interamente sostituita, 
ma integrata da quella creata con la transazione � 
(cos� SANTORO PASSARELLI, op. cit., 79). Ooncretereobe 
tale ipotesi la transazione che, lasciando immutato 
il titolo del rapporto litigioso, ne modificasse 
l'oggetto, come chi transigesse sul quantum della 
prestazione, ovvero sostituisse la prestazione con 
altra qualitativamente diversa (ad esempio una 
somrna di denaro in luogo di una cosa determinata). 
In tal caso il rapporto, anche dopo la transazione, � 
sempre sorretto dal fatto costitutivo originario, onde 
l'eventuale nullit� (o inesistenza) di tal fatt� importer� 
il venir meno di tutta la situazione successiva, anche 
per quegli effetti che dipendevano dalla transazione. 
La nullit� (o inesistenza) del. titolo originario 
opera di per s�, indipendentemente dall'atteggiamento 
delle parti, a nulla rilevando se esse conoscessero o 
meno il vizio qua.ndo si indussero alla transazione. 


-186


Ecco dunque che nel caso di tranaazione in esame 
si applicano, quanto agli effetti che sulla transazione 
possono operare gli eventuali vizi del titolo in riferimento 
al quale si � transatto, le stesse norme della 
novazione. 

Ora, pu� dubitarsi che una transazione siffatta 
abbia tutti i requisiti occorrenti per novare ? Non 
ci sembra. Circa l'animus novandi, di cui abbiamo 
in precedenza dimostrato la compatibilit� con lo 
schema negoziale transattivo, esso ricorre per ipotesi 
se assumiamo che le parti transigendo 'l'Ogliano ottenere 
il risultato di novare i precedenti rapporti obbligatori. 
Quanto all'aliquid novi, la diversit� dell'oggetto 
� sufficiente a concretare il mutamento richiesto 
dalla legge. Se poi la diversit� dell'oggetto debba 
essere qualitativa, o possa anche essere meramente 
quantitaUva, � problema che qui non interessa. 
Basti dire che, almeno nel caso in cui le parti abbiano 
sosUtuito la prestazione originaria con altra qualitativamente 
diversa, esprimendo a un tempo la loro 
volont� di novare, si sono verificate tutte le condizioni 
necessarie perch� si abbia novazione. 

Ben pu� dunque una transazione che lascia inalterato 
il titolo,� relativamente al qua.le si transige, 
realizzare la novazione dell'obbligazione precedente, 
e, poich� s'� gi� visto che in tale ipotesi l'efficacia 
novativa non pu� essere contesta,ta neppure sotto 
il profilo dell'art. 1972 O.e., dovr� concludersi, 
contrariamente alla dottrina prevalente, che vi sono 
casi in cui la transazione pu� certamente novare. 

* * * 

La conclusione apparentemente paradossale ohe, 

almeno per quanto attiene alla transazione c. d. non 

innovativa, non sia lecito invece dubitare della possi


bilit� che si producano effetti novativi, � di per s� 

sufficiente a dimostrare il nostro assunto. Ma ci 

sembra sia possibile ampliare tale conclusione anche 

alla ipotesi in cui la situazione preesistente sia inte


ramente dedotta in lite. 

In tal caso non v'� dubbio che trovi applicazione 

la disciplina dell'art. 1972, 2� comma, Codice civile. 

Se ne deduce che la situazione creata con la transa


zione �, rispetto alla situazione precedente, ad un 

grado di indifferenza molto pi� elevato di q1tanto 

accade nella novazione. Qui la seconda obbligazione 

� funzionalmente collegata con quella precedente, 

sicch� gli eventuali vizi di quest'ultima reagiscono 

necessariamente sull'altra. Il meccanismo � obbiet


tivo e riposa su.lla str1ittura dell'istituto. Nella tran


sazione, invece, il vizio del preced�nte rapporto pu� 

diventa,re rilevante solo quando si risolva in un vizio 

della volont� delle parti (SANTORO p ASSARELLI, 

op. cit., 142). 

La differenza del dettato legislativo va riportata 
al fatto che funzione tipica del negozio di transazione 
non � di novare ma di comporre la lite. Rispetto alla 
causa transattiva (di composizione) l'eventuale effetto 
novativo sar� necessariamente indifferente. Cos� si 
comprende che il collegamento fra le due obbligazioni 
non pu� essere obbiettivo. Per chiarire ta.le sitiiazione 
occorre rifiettere che, mentre l'art. 1234 Codice civile 
ha presente l'ipotesi di novazione per cos� dire pura, 
nel caso in cui si novi mediante transazione inter


viene una causa tipica (quella transattiva), che � 
diretta a produrre effetti ai quali quello novativo � 
indifferente. Sicch� � naturale che l'eventuale vizi<> 
del titolo dell'obbligazione novat� urti contro tl dia� 
framma di� una causa diversa da quella novativa. 
Non potrebbe infatti l'invalidit� del negozio, che� 
ha una sua struttura e una sua funzione tipica, 
essere determinata dal vizio di una obbligazione che 
� collegata solo con un effetto eventuale, non tipico, 
del negozio stesso. Se cos� non fosse, si dovrebbe arnmettere 
che l'effetto novativo � necessariamente tipic<> 
di un contratto individuato da una speciale causa 
novandi. Si dovrebbe cio� escludere che novazione 
possa essere determinata genericament� da un qualsiasi 
schema negoziale, giacch� � evidente che non 
solo rispetto alla transazione, ma in genere rispetto a 
qualsiasi contratto la reazione del vizio dell'obbligazione 
precedente sarebbe paralizzata dalla ca1isa. 
tipica del contratto, cui l'effetto novativo inerface. 

Deve, quindi, concludersi che l'ipotesi dell'art. 1234 
Codice civile va limitata al caso in cui la novazione 
sia operata attraverso un contratto innominato, 
costruito escl�usivamente al fine di novare, e quindi 
individuato da una a�utonoma causa novandi. Qui 
veramente l'estinzione dell'obbligazione mediante creazione 
di un'altra non � pi� un semplice effetto di un 
negozio individuato da una propria e diversa causa, 
ma � essa stessa causa di un nuovo negozio individuato 
al fine di produrre quell'effetto. Come si � dett<> 
in precedenza, in questa ipotesi pu� esattamente parlarsi 
di causa novandi. JJJ ovvio quindi che la nullit� 
dell'obbligazione novata, risolvendosi in mancanza 
della causa del negozio di novazione, importi nullit� 
di qiiest'ultimo e della obbligazione che ne deriva. 

Ci� non potrebbe dirsi nel caso della transazione. 

Nell'ipotesi dell'art. 1234 Codice civile la nuova 

obbligazione � nulla per forza obbiettiva d�i cose, giac


ch� non pii� essere novato quello che non esiste. E 

poich�, d'altra parte, la stipulazione novativa non 

aveva altro senso che quello di novare, essa non ha 

pi� ragione d'essere, e cade interamente.Nella transa


zione, invece, pnr se l'effetto novativo non .si potr� 

produrre per mancanza del rapporto da novare, ci 

sono ben altri effetti ( i pi� importanti, i tipici) da 

far salvi. � logico, quindi, e coerente ai principi che 

il contratto sia salvo nei limiti di cui all'art. 1972 

Codice civile. 

* * * 

Se si accettano le conclusioni che precedono circa 

la compatibilit� di effetti novativi con l'atto di transa


zione (ci� che, del resto, la giurisprudenza -pur 

senza adeguato approfondimento -ha sempre 

ammesso: cos�, sotto l'impero del vecchio Codice, 

Cassazione, 14 gennaio 1933, n. 115, in �Foro it. 

Rep. )>, 1933, voce: Transazione, n. 17, e, di recente, 

Appello, Firenze 31gennaio1962, in� Giur. Tosc.�, 

1962, 352), la sentenza annotata appare aver fatto 

buon governo della legge, non potendosi seriamente 

dubitare che nella specie si trattasse di una transa~ 

zione ad effetti novativi. 

V a piuttosto rilevato -per compiutezza d'inda


gine -che, ferma rimanendo su di un piano teorico 

l'esattezza delle massime affermate dalla sentenza 

annotata, ai fini della decisione di specie si sarebbe 


--���--�-------�� ---------------
�-187 

potitto addirittura prescindere dall'affronta;re la vexata 
quaestio, dei rapporti fra transa:~ione e novazione. 
Trattandosi, infatti, senza alcun dubbio di 
una transazione c. d. mista (di una transazione, cio� 
in cui la causa transattiva concorre con altro schema 
negoziale: nella specie, di appalto), si sarebbe potiito 
senz'altro ritenere applicabile l'ultimo inciso dello; 
seconda parte dell'art. 60 della legge di registro, 
che si riferisce appunto a siffatta specie di transazione 
(cos�. implicitamehte, BERLIRI: Le leggi di 
registro, Milano, 1960, 392). Anche in tal caso, 
comunque, la soluzione non sarebbe mutata in virt� 
del principio di cui all'art. 8 della legge di registro. 

�, pertanto, sotto ogni profilo -pur con le riserve 
esposte in ordine alla motivazione -non pu� che 
concordarsi nelle conclusioni assunte dalla sentenza 
in esame. 

T. ALIBRANDI 
IMPOSTA DI REGISTRO -Errori in procedendo 


Poteri del� Giudice di Diritto -Impugnativa di sen


tenza -Riesame della controversia -Societ� di fatto 

fra societ� di capitali e societ� di persone o persone 

fisiche -Inammissibilit� -Tassazione conferimenti 


Presupposti -Societ� ed associazione in partecipa


zione -Imponibile -Appalto conferito contestual


mente a pi� imprese--Associazione per l'esecuzione. 

(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 342/63 -
Pres.: Farallo; Est.: Di Maio -Finanze c. Ferrobeton). 

1) La denuncia di errore in procedendo (preclitsione 
da giudicato nello stesso processo) abilita il 
G-iudice di diritto a conoscere delle questioni relative 
anche attraverso indagini al merito. 

2) Il giudicato parziale si forma solo su capi 
distinti cd autonomi di una sentenza c non su capi 
necessariamente legati ad altro capo impugnato, 
pm�ch� l'accoglimento della impugnazione relativa a 
quest'ultimo fa venir meno anche la decisione sul 
capo esplicitamente non impugnato collegato a quello 
riformato o annulla.to. Nel caso, pertanto, di appello 
che, per effetto dell'impugnativa di un punto fondamentale 
della causa, investa tutta la sentenza, il giudice 
di secondo grado ha il dovere di esaminare la 
intera controversia con conseguente possibilit� di dare 
al rapporto �giuridico controverso, anche di sua iniziativa, 
una configurazione giuridica diversa da 
quella prospettata dalle parti o ritenuta dal primo 
giudice. 

3) Non � configurabile nell'ordinamento positivo 
vigente, cui partecipa la legge organica di registro, 
un rapporto di societ� di fatto fra una societ� di 
capitali, con personalit� giuridica, ed una persona 
fisica o una societ� di persone. 

4) L'imposizione disciplinata dall'art. 81 della T.A. 
annessa alla Legge organica di registro colpisce il 
fenomeno della produzione associata ed a tal fine si 
ha, ai fini del tributo di registro, una equiparazione 
fra Societ� ed Associazione in partecipazione. 

5) La realizzazione del conferimento, oggetto della 
imposizione predetta, esige elementi soggettivi ed 
oggettivi: gli uni sono dati dalla Societ�, Associazione 
o altro organismo che, in 'via di aniilOgia, a norma 
dell'art. 8 della Legge organica di registro, conseg1ia 
il raggiungimento, sul piano giuridico economico, 
degli stessi effetti tipici, che operi il trapasso di un 
bene o 1_ialore di cui � titolare ad altro soggetto od organismo; 
gli altri sono dati dal bene o valore effettivamente 
trasferito per la sua utilizzazione nella prod1izione 
associata. 

6) La base imponibile in tali casi e rappresentata 
dalle somme dei valori apportati. 

7) Il conferimento di un appalto ad �imprese 
riunite� non integra l'ipotesi .contemplata nell'art. 81 
della T. A. annessa alla L. O. R. escludendo tale 
fatto la possibilit� di configurare l'associazione in 
partecipazione quale � caratterizzata dal fatto che la 
titolarit� dell'impresa � nel solo associante e la partecipazione 
dell'associato � limitata ai risultati della 
impresa medesima. 

La sentenza � cos� motivata: 

Con il primo mezzo di denuncia la violazione 
art. 2909 O.e., 99, 112, 329, 342 O.p.c. in relazione 
all'art. 360, n. 3 e 4 stesso Codice. 

Si assume che la corte di merito abbia violato 
il giudicato (parziale) che si sarebbe formato con 
la sentenza del tribunale sul punto (non impugnato 
in appello) in cui i primi giudici avevano ritenuto 
che il rapporto attuato in concreto con la scrittura 
del 5 giugno 1951 costituiva una societ� in nome 
collettivo irregolare in luogo della dichiarata associazione 
in partecipazione. 

Si spiega infatti al riguardo che avendo la :Ferrobeton 
contestato nei suoi motivi di appello non 
l'esistenza del rapporto, n� la sua qualificazione, 
bens� solo gli estremi in concreto del conferimento, 
l'esame di detto punto non impugnato si risolveva 
nella violazione del principio dispositivo sancito 
nell'art. 112 0.p.c., relativo alla corrispondenza 
tra il chiesto ed il pronunciato. 

La censura non ha consistenza. Trattandosi di 

denunciato errore in procedendo (pretesa preclu


sione da giudicato nello stesso processo) al supre


mo collegio � consentito conoscere delle questioni 

relative anche attraverso indagini di merito (cfr. 

sent. 348 e 31.36/60). 

Ora, in proposito � decisivo rilevare che la Ferrobeton 
aveva chiesto in appello, in riforma della 
sentenza dei primi giudici, la declaratoria di illegittimit� 
della imposizione tributaria controversa 
con la conseguente domanda di rimborso delle 
somme pagate, censurando in particolare sotto 
molteplici profili (nel primo, secondo, terzo e 
quinto motivo del relativo atto di impugnativa) 
il ritenuto �conferimento n di beni, che secondo 
l'avviso del tribunale era costituito dall'appa;tto;sicch� 
risulta manifesto che la pronuncia di primo 
grado veniva impugnata in toto, e l'accertamento 
essenziale della controversia (conferimento) implicava 
ovviamente l'indagine sulla qualificazione 
giuridica del rapporto� 8ocietario configurato (soc. 


-188


collettiva irregolare) che del conferimento rap. 
presentava il necessario presupposto. 

� ben noto che il principfo se�ondo cui il giudice 

di appello non ha il potere di riesaminare i punti 

della sentenza di primo grado non investiti me


diante appositi motivi di gravame non opera allQr


ch� per effetto della impugnativa di un punto fon


damentale della causa l'appello investa tutta la 

sentenza del primo giudice, in quanto in tale ipo


tesi ilgiudice di secondo grado ha il dovere di esami


nare l'intera controversia con la conseguente 

possibilit� di dare al rapporto giuridico contro


verso, anche di sua iniziativa, una configurazione 

giuridica diversa da quella prospettata dalle parti 

ritenuta dal primo giudice (cfr. sent. n. 2251 e 

2773/60). Il che vale quanto dire che il giudicato 

(parziale) pu� formarsi "solo su capi distinti ed 

autonomi di una sentenza e non gi� su capi che 

siano necessariamente legati ad altro capo impu


gnato giacch� l'accoglimento della impugnazione 

relativa a questo ultimo fa venir meno anche la 

decisione sul capo non esplicitamente impugnato, 

collegato a quello riformato o annullato (cfr. sent. 

3512/58-1032/59-3265/60). 

Come appunto � avvenuto nel caso concreto, 

in cui i giudici di appello, per giudicare delle condi


zioni di legittimazione della pretesa tributaria 

(contestata in radice), hanno dovuto indirizzare 

la loro prima indagine su uno degli elementi costi


tutivi della fattispecie, ossia sulla qualificazione 

del rapporto (societario o associativo) che solo 

avrebbe potuto legittimare in concreto l'oggetto 

dell'imposizione conferimento ai sensi dell'art. 81 

della tariffa allegata alla legge del registro. 

Il primo mezzo del ricorso � quindi da respingere. 

Con il secondo mezzo si denuncia la violazione 

e falsa applicazione degli art. 8, 11, 12, 14 e art. 81 

tariffa allegato A del R. D. 30 dicembre 1923, 

n. 3269, dell'art. 112 C.p.c. in relazione all'art. 360, 
n. 3, 4 e 5 C.p.c. 
Spiega la ricorrente .Amministrazione delle Finanze 

che la corte del merito, allorch� � pervenuta a.Ila 

dichiarazione di illegittimit� dell'imposizione tri


butaria controversa, ha errato perch� non ha esa


minato in concreto la natura giuridico-economica 

del contratto 5 giugno 1951. Di fronte al fatto della 

costituzione di un vincolo, non bastava limitarsi 

a dichiarare la impossibilit� giuridica di tale vincolo, 

ma se ne dovevano specificamente esaminare na


tma giuridica ed effetti economici (art. 8 legge 

registro). 

N� potevarilevare ilvizio dell'atto,. dato che la do


manda della Ferrobeton non era fondata sulla nulli


t� dell'atto ma sulla intassabilit� del confeiimento. 

Si aggiunge infine che la corte di appello ha anche 

omesso l'esame di un punto decisivo relativo al 

contenuto concreto dell'atto, quanto meno in ra


gione dell'analogia esistente fra tale atto e quello 

preveduto dalla norma dell'art. 81 applicato da 

essa .Amministrazione Finanziaria. 

.Anche questa censura deve essere disattesa. 
La corte del merito a sostegno del decisum ha 
considerato che: 
a) una soc. di fatto o irregolare fra soc. di capitali 
e soc. di persone ovvero fra soc. di capitali e 

imprese individuali, non era nel caso ipotizzabile 
per l'impossibilit� giuridica di una coesistenza, 
in un rapporto associativo a carattere personale 
di enti o persone caratterizzate intuitu personae 
e enti caratterizzati intuitu rei; 

b) una associazione in partecipazione era poi 
st~.ta gi� esclusa dal tribunale e il relativo capo 
della sentenza non era stato impugnato da alcuna 
delle parti; 

e) il rapporto convenuto con la scrittura privata 
5 giugno 1951 partecipava dei contratti innominati, 
nella nozione datane dall'art. 1322 e.e. 
perch�, non rientrando in alcuno dei tipi forniti 
di una disciplina particolare, era diretto a 
realizzare interessi meritevoli di tutela; 

d) la natura del contratto, in concreto attuato, 
data la inosservanza dei requisiti richiesti dal diritto 
comune per un rapporto associativo tipico, escludeva 
la configurazione di un conferimento di beni, 
che solo � preso in considerazione dall'art. 81 della 
tariffa della legge di registro. 

Orbene, questo ragionamento sfugge, dal punto 
di vista logico e giuridico, alle critiche che ad esso 
vengono rivolte dalla ricorrente. In primo luogo 
pu� subito dirsi che tali critiche si muovono su di 
un piano del tutto astratto, perch� non dicono esse 
stesse, contro le argomentazioni dei giudici di 
appello, quale sarebbe stato nel caso concreto, 
nell'ambito di applicazione della legge tributaria, 
il rapporto (associativo o societario o comunque a 
questo analogo) c1� le parti vollero dar vita con la 
scrittura del. 5 giugno 1951. E ci�, se non � detto 
della parte interessata, non pu� certo esser detto 
dalla cassazione, che � giudice di legittimit� e non 
di merito. 

Sul piano poi strettamente giuridico non � certamente 
contestabile l'esattezza del principio richiamato 
nell'impugnata decisione secondo cui non � 
configurabile nel nostro ordinamento positivo (cui 
partecipava ovviamente la legge di registro) un 
rapporto di societ� di fatto fra una societ� di capitali 
con personalit� giuridica e una persona fisica 

o una societ� di persone. Tale principio � conforme 
all'indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza 
del supremo collegio e non vi sono ragioni 
per discorstarsene (cfr. sent. 2024 e 3035 del 1958). 
Se perci� nella fattispecie in esame si trattava 
unicamente di stabilire l'applicabilit� o meno 
dell'art. 81 della tariffa allegato A della legge di 
registro, occorreva tener presente che questa 
norma, in collegamento con l'art. 8 della legge 
organica di registro, indica l'aliquota e quindi la 
misma della imposta sugli atti che implicano, nella 
costituzione di societ� di qualunque specie o di 
associazione in partecipazione, conferimenti di 
beni o valori che il conferente intende trasferfre, 
ancorch� in semplice uso o godimento, alla soc. o 
alla associazione cui il bene o il valore � destinato 
(cfr. sent. 2016 del 1955, 2727 del 1958). ... 

Occorrono quindi, per la realizzazione piena della 
fattispecie prevista (conferimento) estremi soggettivi 
ed oggettivi, vale a dire da un lato un soggetto 
(societ�, associazione o altro organismo che in via 
analoga, ex art. 8 legge registro, possa della societ� 

o associazione conseguire il raggiungimento sul 
�----��-----------� . ---------




piano giuridico economico degli stessi effetti tipici), 
il quale, essendo titolare di un certo bene o valore, 
lo conferisca ad altro soggetto od organismo, e 
quindi altro soggetto od organismo destinatario del 
conferimento, e dall'altro un bene o valore oggetto 
del conferimento medesimo; sicch�, nel complesso, 
svolgimento della sequenza prevista, a tacer d'altro, 
ci� che � necessario � appunto la sussistenza 
di un soggetto od organismo destinatario dello 
apporto o conferimento che trapassa a detto soggetto 
od organismo dal suo titolare originario. 

E, al riguardo, la sentenza impugnata ha escluso 
per la gi�. detta impossibilit�. giuridica di un 
nesso sociale tra soc. di capitali e soc. di persone, 
la configurazione di ente collettivo irregolare, ed 
ha del pari escluso (alla stregua di quanto ritenuto 
dal tribunale e non impugnato) la configurazione 
di un'associazione in partecipazione. 

Questa invero si sarebbe potuta C!:mfigurare solo 
nell'ipotesi in cui i'appalto fosse stato conferito 
ad uno dei due soggetti contraenti. In tal caso 
infatti, giusta un vecchio e conoolidato indirizzo di 
questo supremo collegio, atteso che il legislatore 
fiscale ha voluto equiparare ai fini dell'imposta di 
registro i due istituti (soc. e associazione in partecipazione) 
si � ritenuto che la specifica imposizione 
qui viene a colpire il fenomeno di produzione associata, 
alla stessa guisa di quanto accade nell'ambito 
societario (cfr. sent. 2465del1935,174 del1947). 

Ma, una volta accertato in fatto -come del 
resto era pacifico, che l'appalto venne conferito 
coli.giuntamente � alle impi-ese riunite � (FerrobetonDe 
Lieto) esulava completamente la possibilit�. 
di configurare l'asoociazione in partecipazione, la 
quale � caratterizzata dal fatto che la titolarit�. 
della impresa � nel solo associante e la partecipazione 
dell'associato limitata ai risultati dell'impresa 
medesima (cifr. sent. 2292) del 1958, 2791del1959). 

Tutto ci� ha detto e bene la corte del merito, 
alla quale non pu� poi essere addebitata indagine 
monca o deficiente; perch� i giudici di appello hanno 
a.vuto cura di aggiungere che nella scrittura del 
giugno 1951 (su cui l'ufficio applic� l'imposta in 
questione in base all'art. 81 della indicata tariffa) 
non vi era nemmeno menzione di conferimenti nel 
senso tecnico-giuridico e specialmente di �conferimento 
� del contratto di appalto, ma solamente si 
poteva ritenere che i contraenti vollero consacrare 
nello scritto di unire i loro mezzi e le loro attivit�. 
((per l'esecuzione dei lavori relativi alla costruzione 
dell'opera n. Mera quindi unione delle attivit�. 
e dei mezzi dei singoli contraenti (ognuno dei 
quali rimaneva titolare della propria posizione 
originaria) con esclusione perci� nel negozio documentato 
della capacit�. di attivare quel movimento 
di ricchezza (ossia il conferimento) che � a base 
della specifica tassazione. 

E questo � d'altra parte giudizio di mero fatto 
congruamente motivato sull'interpretazione dei 
negozi giuridici, che sfugge come tale al controllo 
di legittimit�. del supremo collegio. 

.A) Le affermazioni contenute nella 1a e 2a massima 
costituiscono giurispritdenza consolidata (cfr. sent. 
348 e 3146/60; 2051 e 2773/60; 3512/58; 1032/59; 

-�� �-�����----�--�-------------------


-189


3265/60) anche se nella economia della sentenza il 
principio relativo non risulta integralmente osservato. 

In ordine, infatti, alla configurazioa:i.e .. giuriilica 
del rapporto, per la quale era mancata una specifica 
impugnativa, il principio di cui alla massima ha 
operato per ritenere erronea la configurazione riconosciuta 
e non anche per quella dagli stessi primi giudici 
esclusa. A tale riguardo � stato sottolineato nella 
sentenza quella mancata specifica impugnativa che, 
prima, era statti dichiarata non necessaria. 

B) Le affermazioni contenute nelle massime 3, 
4, 5 e 6 costituiscono anche esse giurisprudenza consolidata: 
per la 3a cfr. sent. 2024 e 3035 del 1958; per 
la 4, 5 e 6 cfr. sent. 2016 del 1955, 2727 del 1958 
e 391 del 1963 in �Rassegna Mensile dell'Avvocatura 
dello Stato n, 1963, pag. 85 e segg. con nota di 
richiamo. 

O) L'affermazione contenuta nella 7a massima � 
frutto di un accertamento di fatto che la sentenza ha 
dato per acquisito e che, al pari di quanto ai1evano 
fatto i giudici di appello, � stato utilizzato per negare 
la configurazione, nel caso di specie, dell'istituto della 
associazione in partecipazione. 

In ci� la sentenza si rivela lacunosa. Per escludere 
nel caso concreto l'operativit� dell'art. 81 della T. A. 
annessa alla L. O. R. non basta affermare che il 
rapporto in concreto attuato non costituiva n� societ� 
di fatto fra societ� di capitali e persone fisiChe, o 
societ� di persone n� una associazione in partecipazione, 
ma un contratto atipico, innominato del genere. 
previsto dall'art. 1332 del Codice civile. Per il principio, 
infatti, racchiuso nel secondo comma dell'art. 8 
della L.O.R. sa1�ebbe stato necessario -e a tale riguardo 
era stato proposto esplicito motivo di ricorso accertare 
se il rapporto in concreto attuato, atipico, 
innominato, partecipava, in via di analogia, della disciplina 
fiscale posta dal ricordato art. 81 della T. A. 

Nel sistema della legge di registro il fatto giuridico 
che determina il sorgere del rapporto di imposta � 
noto -non � il trasferimento di �un bene o l'assunzione 
di una obbligazione, ma la stipulazione di un 
atto, capace di provocare un mutamento dello stato 
gfaridico preesistente. 

Determinante, perci�, � l'esistenza di un atto che, 
considerato in s� e per s�, sia capace di produrre la 
obbligazione o di attuare il mutamento suddetto, 
indipendentemente da tutte le circostanze che possano 
impedire la produzione dei suoi effetti (cfr. Cassazione, 
10 luglio 1954, Montana c. Finanze in �Riv. 
Leg. Fiscale n, 1954, 1331). E poich� la tassazione � 
eseguita in relazione al contenuto dell'atto, l'art. 8 
della legge organica 30 dicembre 1923, n. 3269, posto 
a disciplina della ricerca di detto contenuto, stabilisce 
che le tasse sono applicate secondo la intrinseca natura 
(giuridica) e gli effetti (economico-giuridici) dello 
atto, quali sono rnanifestatati dal docurn;(}n_to oggetto 
della registrazione e della conseguente tassazigne_ _ 
(cfr. Cassazione, 14 luglio 1952, III, n. 3166), in � 
relazione alle singole voci della Tariffa e con le 
aliquote ivi stabilite . 

Dato, per�, che per il principio relativo alla autonomia 
contrattuale, gli atti in concreto posti in essere, 
possono non rientrare negli schemi tipici, che soli 



-190 

� sono stati contemplati nella tariffa, recependoli dal 
diritto comune, l'art. 8 citato, ad evitare che atti capaci 
di determinare una modificazione dello stato giuridico 
preesistente sfuggano alla dovuta loro tassazione, ha 
stabilito che un atto, il quale per la sua natura e per 
i suoi effetti risulti, secondo le norme stabilite nello 
art. 4 della Legge, soggetto a tassa progressiva, proporzionale 
e graduale, ma non si trovi nominativamente 
indicato nella tariffa, � soggetto alla tassa stabilita 
per l'atto con il quale, per la sua natura e per i suoi e/etto 
ha maggiore analogia. Oon tale precisazione, mentre 
resta stabilito che le voci indicate nella tariffa sono 
esemplificative e non ta.ssative, resta anche confermato 
che: a) l'imposta di registro incide sugli effetti non 
soltanto giuridici o soltanto economici dell'atto, bens� 
sugli effetti economici e giuridici al tempo stesso; b) 
che in ptesenza di un atto che rientri nelle categorie 
poste dall'art. 4 della L. O. R. per la tassazione 
con la proporzionale, progressiva o la graduale, la 
individuazione della natura e dei suoi effetti va eseguita 
in funzione delle singole �voci della tariffa che 
indicano . le singole aliquote e che, per gli atti 
in esso non indicati, pone il ricordato criterio analogico. 


In tale stato di cose le indagini che, per la decisione 
sitlla legittimit� della imposizione controversa si 
imponeva ai giudici di appello, era di un duplice 
ordine: a) quello di sta.bilire se il rapporto in concreto 
attuato rientrava nella previsione tipica del rapporto 
associativo in genere ,o dell'associazione in partecipazione, 
espressamente contemplate nell'art. 81 
della T. A..; b) in caso negativo, quello di stabilire 
se il rapporto suddetto, per il suo contenuto concreto 
quale era dato desumere dalla scrittura privata 
che ne aveva sanzionata la posizione in applicazione 
dei principi posti dall'art. 1322 del Oodice 
civile, non risultando nominati'l.1amente indicato 
nella T. A.., poteva e doveva, in via analogica, 
essere tassato a norma dell'art. 81 della T. A. pi� 
volte detto, applicato dall'Amministrazione Finanziaria. 


I giudici di appello, per�, hanno del tutto omessa 
la seconda indagine e da ci� i Giudici di diritto non 
pare abbiano tratto le dovute conseguenze, investendone, 
al riguardo, i giudici di rinvio. 

La indagine eseguita, infatti non ha accertato se 
il rapporto in.concreto attuato aveva la potenzialit� 
e la efficacia strumentale a produrre quei determinati 
effetti che, secondo l'art. 81 della T. A.. importavano 
per il caso di specie il pagamento della imposta controversa. 


La T. A.. allegata alla legge organic'a di registro alla 
quale si riferisce l'articolo 8 della legge predetta allorch� 
dispone sulla ricerca del contenuto dell'atto ed al 
secondo comma rinvia all'istituto dell'analogia, nell'art. 
81 ha tratto infatti ai rapporti in cui si verifica 
il fenomeno della cooperazione di pi� forze per il 
compimento di un affare, di una serie di affari 

o di una determinata attivit� in comune. L'imposta 
proporzionale, nella economia di detto articolo, colpisce 
la entit� economica del rapporto ed il termine 
�conferimento� prescinde sia dalla titolarit� del 
diritto di propriet� del bene conferito sia della necessit� 
di itn trasferimento giuridico del bene stesso, ma 
ha tratto alla destinazione del bene. 
Per effetto di tale destinazione, infatti, diviene 
lo strumento necessario per il compimento dell'affare, 
della serie di affari, dell'attivit� comune in vista 
delle quali cose il negozio giur~diCo � stato .ideato 
ed attuato dalle parti. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Bonifica Integrale -Pri� 
vilegio oggettivo -Estremi e limiti. (Corte di Cassazione, 
Sezione I, n. 1724/63 -Consorzio di Bonifica 
del Salto c. Finanze). 

L'art. 6 della legge 24 dicembre 1928, n. 3134 
e l'art. 9 lettera a) del T. U. 30 dicembre 1923, 

n. 3256 sono stati abrogati dall'art. 119 del Testo 
unico 13 febbraio 1933, n. 215 e trasfusi nell'art. 2 
di detto Testo unico, il quale, elencando, in modo 
organico, tutte le opere di bonifica, comprese 
quelle stradali di cui ai ricordati art. 6 della legge 
3134/28 e 9 del Testo unico 3256/23, nettamente 
distingue le opere stradali predette, considerate 
nella lettera g dell'art. 2 del Testo unico 215/33 
sia dalle opere di bonifica idraulica, considerate 
nella lettera b) dell'articolo stesso sia dalle opere 
interessanti la montagna considerate nella lettera a). 
Oonseguentemente le opere stradali esulano dalle 
agevolazioni previste, ai fini della imposta di registro, 
dall'art. 88 del Testo unico 215/33, che, per 
il privilegio oggettivo, limita le agevolazioni stesse 
alle opere di bonifica idraulica (lettera b) dell'art. 2 
citato) o di sistemazione montana (lettera a dello 
stesso art. 2). 
La sentenza � cos� motivata in diritto: 

Oon il primo motivo, il ricorrente lamenta che 
la Oorte abbia escluso la registrazione con tassa 
fissa, nella considerazione che 1'<< opera non rientrava 
tra quelle di bonifica idraulica in base alla 
distinzione contenute nella elencazione di cui allo 
art. 2 del T. U. 13 febbraio 1933, n. 215. 

Secondo il ricorrente, invece, per accertare se 
ricorre".'a la ipotesi del c. d. privilegio tributario 
oggettivo,. e cio� del privilegio stabilito in relazione 
alla natura di opera di bonifica idraulica, occorreva 
far riferimento alle leggi anteriori al menzionato 
Testo unico, dato il rinvio alle leggi stesse contenuto 
nell'art. 88. 

Inoltre, il ricorrente lamenta che la Oorte abbia 
escluso il privilegio anche in base alla legislazione 
anteriore e deduce la violazione dell'art. 9 lettera a) 
del Testo unico 30 dicembre 1923, n. 3256, che 
prevedeva fra le opere di bonifica idraulica la costruzione 
delle strade necessarie, per mettere il territorio 
bonificato in comunicazione con i prossimi 
centri abitati, nonch� dell'art. 6 della legge 24 dicembre 
1928, n. 3134, che equiparava alle strade 
di bonifica idraulica quelle necessarie alla trasformazione 
fondiaria dei terreni del Mezzogiorno. 

La doglianza � infondata. 

Invero, come questa Suprema Oorte ha osser


vato, con le sentenze n. 787 del 13 aprile 1961 e 

788 del 13 aprile 1961, l'art. 6 della legge 24 di


cembre 1928, n. 3134 � stato abrogato dall'art. 119 

del T. U. 13 febbraio 1933, n. 215 e trasfuso 


-191



nell'art. 2 di detto Testo. unico il quale, elencando quale � posto, in via generale, il principio del norin 
modo organico tutte le opere di bonifica, commale 
trattamento fiscale. (Ofr. �Contenzioso dello 
prese quelle stradali di cui al menzionato art. 6 Stato n, 56, 60, vol. II, pag. 630-624) . .Per effetto 
della legge n. 3134 del 1928, nettamente distingue dell'abrogazione che l'art. 119 del Testo unico 215/33 
le dette opere stradali considerate nella lettera g) ha fatto della legislazione anteriore in materia di 
di esso art. 2 sia dalle opere di ")onifica idraulica, bonifica idraulica, di sistemazione montana e di 
considerata nella lettera b) dell'articolo stesso, sia ' miglioramento fondiario, il rinvio contenuto nel ricordalle 
opere interessanti la montagna considerate dato art. 88, 2� comma del Testo unico 215/33 alla 
nella lettera a) e induce perci� a ritenere che non legislazione, predetta resta limitato alla posizione del 
possono le ripetute opere stradali essere inquadrate privilegio per le opere di bonifica idraulica e di 
fra le opere di bonifica idraulica o di sistemasistemazione 
montana (art. 33 in relazione all'art. 66 
zione montana, e che conseguentemente non � del Testo unico 3256/23) e non anche ai criteri che, 
possibile far rientrare le prime nella previsione nella legislazione abrogata, disciplinavano e classifidell'art. 
88 del Testo unico 215 del 1933, il quale cavano le une e le altre opere (art. 9 del Testo unico 
per la applicabilit�. del privilegio tributario ogget3256/
23 e 4 e 6 della legge 3134/1928). I criteri diftivo 
in esso contemplato richiede che si tratti ferenziali delle opere pi� volte dette, dato il carattere 
di opere di bonifica idraulica o di sistemazione oggettivo del privilegio, non possono essere diversi 
montana. da quelli che, nell'assetto definitivo dato alla bonifica 

Quanto poi all'art. 9 lettera a) del Testo unico integrale con il Testo unico 215/33, distinguono, 
30 dicembre 1923, n. 3256 va ripetuto lo stesso attraverso una dichiarata differenziazione, in caterilievo, 
giacch� anche tale Testo unico � stato gorie nettamente separate, distinte e non comunicanti, 
abrogato dall'art. 119 del Testo unico n. 215 le opere stesse. Il Testo unico 215/33, infatti, emadel 
1933 e trasfuso in quest'ultimo Testo unico. nato in forza della delegazione dei poteri conferita 

D'altronde come ha posto in evidenza lo stesso dalla legge 3134 del 1928, dopo aver nell'art. 1 prericorrente, 
dal contesto della sentenza impugnata cisato che la bonifica integrale comprende le opere 
si rileva che la Corte d'appello, ha in sostanza, di bonifica e di miglioramento f ondiar_io e dopo aver 
escluso la natura di opere di bonifica idraulica definito le une, comprendendovi sia le opere idrauliche 
della strada in questione, anche in base alla legiche 
di sistemazione montana, e le altre, all'art. 2 
slazione anteriore al T,esto unico, n. 215 del 1933. elenca le opere necessarie ai fini generali di bonifica 

Orbene, al riguardo non sussiste la lamentam e distingue: 1) le opere di sistemazione montana a.lla 
violazione di legge, in quanto la costruz;one di lettera a); 2) le opere di bonifica idraulica alla letuna 
strada di bonifica non rientra di per se stessa tera b); 3) il consolidamento delle dune e la piantanel 
concetto di bonifica idraulica o di trasformagione 
di alberi frangivento alla lettera c); 4) le opere 
zione fondiaria (equiparata per il Mezzogiorno alla di provvista di acqua potabile per le popolazioni 
bonifica idraulica) secondo le anzidette leggi, ben rurali alla lettera d); 5) le opere di difesa delle acque, 
potendo invece rientrare nel pi� ampio regime della di provvista e i1tilizzazione agricola di esse alla letbonifica 
integrale. tera e); 6) le opere afferenti la distribuzione della 

Infatti, da un lato l'art. 9 lettera a) del Testo energia elettrica per gli usi agricoli alla lettera f); 
unico 30 dicembre 1923, n. 3256 richiede che si 7) le opere stradali alla lettera g); 8) le costituzioni 
tratti di strade che siano in connessione con opere di unit� fondiarie alla lettera h). 
di bonificazione di laghi, stagni, paludi e terre In tale classificazione e distinzione le opere di 
paludose (art. 1 di detto Testo unico); dall'altro bonifica idraulica, alla lettera b), sono state limitate 
l'art. 6 della legge 24 dicembre 1928, n. 3134, alle �opere di bonificazione dei laghi e stagni, delle 
richiede che le strade siano necessarie alla trasforpaludi 
e delle terre paludose o comunque deficienti 
mazione fondiaria dei.terreni. di scolo � e le opere di sistemazione montana, alle 

Nella specie, invece, l'esistenza sia dell'uno che lettera a), sono state limitate alle �opere di rimbo


dell'altro presupposto non risultava provata e nemschimento 
e ricostituzione di boschi deteriorati, di 

meno dedotta: onde esattameme la Corte ha ritecorrezione 
dei tronchi montani di corsi di acqua, di 

nuto che l'opera non potesse considerarsi di bonifica rinsaldamento delle relative pendici, anche mediante 

idraulica neanche in base alle suddette norme�. creazione di prati o pascoli alberati, di sistemazione 

idraulica agraria delle pendici stesse, in quanto 

Il privilegio oggettivo mantenuto in vita, dall'art. 88, tali opere siano volte ai fini pubblici �. 

2� comma del Testo unico 215/33, per le opere di In tale delimitazione sono state assorbite le opere 

bonifica idraulica e di sistemazione montana, ha gi� enunciate negli artt. 9 del Testo unico 3256/23 

ricevuto, con la sentenza annotata, il suo assetto e 4 e 6 della legge 3134/28, dichiaratamente abrogati, 

naturale. La Corte di Cassazione~ infatti, nel confere 
la ulteriore p�recisazione e caratterizzaZione dalle 

mare l'indirizzo assunto al riguardo, con le sentenze stesse subite, attraverso l'assorbimento predetto, va


787 e 788 del 1961, fornisce un parametro certo per lendo ai fini generali della legislazione della bonifica 

individuare le opere di bonifica privilegiate, ponendo non possono non valere, per ragioni di �imeneuti!!_a 
.fine alle incertezze determinate, in passato, dalla letterale. logica e finalistica ai fini del trattamento 
difficolt� di stabilire la linea di demarcazione fra il tributario, che la stessa legislazione ha ritenuto nel-

regime della bonifica idraulica e di sistemazione l'ambito della bonifica integrale, di dover affrontare 
montana da quello della bonifica integrale, per il e differenziare per determinati rami della stessa. 

r,. c. 



-192


IMPOSTE E TASSE -Terzo acquirente di immobile 
gravato da privilegio speciale per debito di imposta Pagamento 
dell'imposta garantita -Sgravio totale Parziale 
-Conseguenze nei confronti del terzo. 

(Corte di Cassazione, Sezione I, 14 marzo 1963 


Finanze c. Berselli, Masini e Sutti). 

L'acquirente, terzo possessore dell'immobile gravato 
da privilegio speciale per debito di imposta, 
non � obbligato personalmente al pagamento della 
imposta garantita, ma � tenuto al mero comportamento 
passivo di subire l'espropriazione forzata 
dell'immobile nel caso che il debitore non assolva 
il suo debito. Esso, peraltro, ha la facolt�, concessa 
a qualsiasi terzo, di pagare l'imposta stessa (art. 66 
del Testo unico n. 1401 del 1922 e 204 del Testo 
unico n. 645 del 1958) con conseguente estinzione 
del processo di esecuzione e cessazione di ogni rapporto 
con l'Amministrazione Finanziaria in ordine 
al debito di imposta. 

Lo accertamento successivo della insussistenza 
totale o parziale del debito fra i soggetti del rapporto, 
non esplica, pertanto, nei confronti del terzo 
acquirente, alcuna influenza sull'eseguito pagamento. 


La Corte ha, cos� motivato: 

Omissis. 

La sentenza impugnata ha ritenuto che gli 
opponenti Berselli, avendo pagato l'imposta di 
lire 3.416.855 per sottrarre l'immobile da essi 
acquistato dal debitore dell'imposta di contingenza 
Sutti alla esecuzione immobiliare, fossero divenuti 
proprietari della somma di lire 2.088.000, che il 
decreto di sgravio aveva messo a disposizione del 
Sutti, dopo l'accoglimento del suo reclamo. Essa 
ha giustificato tale convincimento considerando che, 
sebbene per il pagamento del debito di imposta di 
contingenza l'Amministrazione avesse privilegio 
reale sull'immobile e quindi diritto a subastarla, 
tuttavia gli acquirenti, quali condebitori o responsabili 
d'imposta avevano pagato l'intero debito, 
e la loro posizione, se doveva valere ai fini 
della riscossione, non poteva non valere anche 
ai fini del rimborso, di tal che era del tutto 
identica a quella dello originario contribuente 
Sutti. 

I Berselli invece non erano condebitori del debito 
di imposta n�, comunque, responsabili del debito 
di imposta. 

In vero l'acquirente, terzo possessore dell'immobile 
sul quale � accordato il privilegio reale di 
imposta, non �, in quanto tale e fuori di ogni previsione 
legislativa, obbligato personalmente al pagamento 
dell'imposta. 

Ncn vale opporre, per dedurne una generica 
figura di condebitore di imposta, applicabile nei 
confronti del terzo possessore di immobile soggetto 

a privilegio reale, che questi, secondo l'opinione 
di parte della dottrina, � surrogato all'Amministrazione 
per conseguirne il rimborso dell'imposta 
pagata quale condebitore, nei confronti defdebitore 
d'imposta a norma dell'art. 98 della legge di registro 
R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269 e dell'art. 69' 
della legge sulla successione R. D. 30dicembre1923, 

n. 3270. 
Le norme su indicate non fanno alcun riferimento 
alla figura del condebitore di imposta, qualificabile 
tale soltanto perch� paga un debito di imposta di 
altri, ma a colui che paghi il debito d'imposta di 
altri � a termini delle rispettive leggi per conto di 
altri �: l'art. 98 della legge di registro, invero, 
riguarda �gli ufficiali pubblici e tutti coloro i quali, 
a termini della legge di registro � hanno pagato la 
tassa di registro per conto delle parti obbligate e 
l'art. 64 legge sulle successioni, sebbene pi� genericamente, 
concerne tutti coloro i quali, a termini. della 
legge medesima, hanno pagato l'imposta di successione. 
N� la questione � stata dalla dottrina esaminata 
sotto l'aspetto generico, sostenuto dai resistenti 
nei confronti dell'Amministrazione e l'opinione 
della stessa dottrina, nemmeno nei limiti della. 
surrogazione nei confronti del debitore di imposta, 
� stata accolta da questo supremo Collegio, il quale 
(sentenza 16 gennaio 1942, n. 140 �Foro it. n, 
Rep. 1942, voce Registro, n. 136-138) ha affermato 
che occorre applicare nei confronti del terzo 
possessore i principi di diritto comune sulla surrogazione 
e non la citata norma della legge di 
registro. � 

L'opinione non pu� ritenersi confermata dall'articolo 
15 D. P. 29gennaio1958, n. 645, come sostengono 
i resistenti. Tale articolo dispone che colui 
il quale, in forza di particolare disposizione di legge, 
� obbligato al pagamento dell'imposta insieme con 
altri, per fatto o situazione esclusivamente riferibile 
a questi, ha diritto a rivalsa. Occorre pertanto 
una disposizione di legge che stabilisca l'obbligo 
di pagare l'imposta e riconosca con ci� rilevanza 
a particolari circostanze o rapporti, come nei casi 
di coloro che sono obbligati a richiedere la registrazione 
di atti e a provvedere al pagamento della 
imposta (notai, cancellieri, 'tutori, esecutori testamentari, 
eredi: art. 80, 84, 93, n. 6, legge del registro), 
e di tutti coloro che sono solidalmente tenuti 
al pagamento della imposta di successione 
(art. 66 legge di successione). 

N� il terzo possessore dell'immobile soggetto a. 
privilegio � obbligato al pagamento dell'imposta, 
come sostituto di imposta. Tale figura, quale �stata 
precisata, conformemente alla legislazione 
anteriorei dall'art. 127 T. U. 29 gennaio 1958, 

n. 645, ha riferimento ai casi in cui la legge 
sostituisce al soggetto, che dovrebbe pagare 
l'impos~a, altri in considerazione di un rapporto� 
tra il bene, presupposto del tributo, e la persona 
che � sostituita nel debito. Nessmra -previsione 
di legge sostituisce invece il terzo posses-sore 
dell'immobile soggetto a privilegio reale al 
debitore. 
Egli � tenuto soltanto al comportamento meramente 
passivo di subire l'espropriazione forzata. 

---��-���-���-------------



-193 


dell'immobile nel caso che il dabitore non paghi. 
� questo un effetto sia dell'atto di accertamento 
della imposta che ha natura di atto ammtnistrativo 
autoritativo con efficacia esecutoria 
nei . limiti previsti dalla legge che autorizza 
l'esecuzione, sia della natura del credito accertato, 
il quale, per essere privilegiato con efficacia 
reale, implica un diritto di seguito dell'Ammi1�strazione 
(art. 2741, capv., 2746, 2770 segg. 
Cod. civ.). 

Il terzo possessore, peraltro, se non ha l'obbligo 
di pagare il debito come condebitore o sostituto 
di imposta pu� avvalersi della facolt�, concessa 
a qualunque terzo, di pagarlo con gli accessori 
(art. 66 T. U. 17 ottobre 1922, n. 1401 ed ora 204 

T. U. 29 gennaio 1958, n. 645), con l'effetto della 
estinzione del processo di esecuzione. E se di tale facolt� 
si avvale, con l'estinzione del processo, cessa 
ogni rapporto con l'Amministrazione, relativamente 
al debito d'imposta accertato, per il quale l'Amministrazione 
ha proceduto, e conseguentemente nessuna 
influenza pu� avere sull'eseguito pagamento 
un accertamento successivo dell'insussistenza totale 
o parziale del debito fra i soggetti del rapporto di 
imposta. 
La posizione giuridica del terzo acquirente di 
immobile gravato da privilegio speciale per debito 
di imposta � stata, nella riportata sentenza, definita 
dalla Corte di Oassaz�me con nettezza di contorni, 
in stretta aderenza ai principi che disciplinano il 
rapporto giuridico d'imposta dal suo nascere alla 
.estinzione. 

Esclusa per il terzo possessore un'obbligazione 
personale al soddisfacimento del credito di imposta 
.sia perch� manca al riguardo una espressa previ.
sione normativa sia perch� il diritto alla rivalsa al 
terzo escusso riconosciuto � in attuazione dell'istituto 
della s'urrogazione civilistica (cfr. Oassaz., Sent.enza 
140/42), la soluzione adottata � conseguenziale alla 
necessit� obiettiva di escludere, nel terzo, sia la figura 
.di responsabile che di sostituto di imposta. L'una 
perch�, estranea alla discussa distinzione fra debito 
e responsabilit�, importa l'estensione dell'obbligazione 
tributaria a persone che non si trovano con il 
presupposto del tributo nella prevista relazione (cfr. 
GIANNINI: Istituz. Diritto Tributario, Ediz. 1960, 
pag. 105); l'altra perch�, nella sua struttura tecnicagiuridica, 
importa non l'aggiunta, Uii la sostituzione, 
in luogo del soggetto passivo, di altra persona nello 
intero rapporto di imposta e non soltanto nella fase 
relativa alla riscossione. ' 

La facolt�, indubbiamente riservata al terzo, di 
pagare il debito di imposta � diretto ad evitare, nel 
suo esclusivo interesse, l'esecuzione sull'immobile gravato 
da privilegio speciale e una volta esercitata, 
comportando la estinzione del processo esecutivo, 
comporta la cessazione di ogni rapporto diretto nei 
confronti dell'Amministrazione. 

Il terzo, resta pertanto, titolare di un diritto 
�di credito, di natura civilistica, nei confronti del 
.debitore d'imposta, anche nel caso di eventuali 
.sgravi del tributo assolto nell'esercizio della facolt� 
predettx. 

PRESCRIZIONE -Prescrizione e decadenza -Differente 
fondamento dei due istituti. 

APPALTO -Pubblica Ammiri�sli'azion� ::::�Fornituf'e Condizioni 
generali d'oneri dello Stato -Norme 
regolamentari -Forza vincolante per il privato Termini 
di decadenza posti in dette condizioni generali 
d'oneri -Liceit� e legittimit�. (Corte di Cassazione, 
Sezione III, Sentenza n. 1568/63 -Pres.: Naso; 
Est.: Laporta; P. M. Trotta -Soc. Unione Manifatture 
c. Amministrazione Difesa-Esercito). 

Tanto per la legislazione anteriore (Cod. civ. 
del 1865) quanto per quella attuale (Cod. civ. 
del 1942) il fondamento della prescrizione � la 
presunzione di abbandono di un diritto per inerzia 
del titolare, mentre fondamento della decadenza 
� la esigenza obiettiva del compimento di particolari 
atti entro un termine perentorio, stabilito 
dalla legge o dalla volont� dei privati, indipendentemente 
dalle circostanze subiettive ed obiettive 
dalle quali dipende l'inutile decorso del tempo. 

Le disposizioni contenute nelle condizioni generali 
d'oneri dello Stato hanno carattere di norme 
regolamentari (regolamenti di organizzazione), sempre 
che si tratti di contratti interessanti lo Stato, 
nei cui confronti il privato contraente � in un 
rapporto di subordinazione, che giustifica la sua 
sottoposizione a norme regolamentari obbligatorie. 
Al carattere normativo delle dette disposizioni 
consegue la loro forza vincolante, che � ribadita 
dal richiamo, di solito espresso, fatto ad esse nel 
contratto. Non pu�, pertanto, dubitarsi della liceit� 
e legittimit� della determinazione di termini di 
decadenza con le disposizioni delle Condizioni generali 
d'oneri: invero; l'art. 2966 C. c. che ammette 
che il termine di decadenza possa essere stabilito 
dal contratto o da una norma di legge, va correttamente 
inteso nel senso dell'ammissibilit� di termini 
di decadenza per determinazione pattizia o 
normativa (legislativa o regolamentare) . 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza 
nella quale � riaffermata la natura regolamentare 
dei capitolati generali di oneri. 

Il primo mezzo d(}l ricorso principale denuncia 
la impugnata sentenza per violazione dell'art. 2936 

C. c., in relazione all'art. 83 del Capitolato generale 
approvato con D. M. 20 giugno 1930, per avere 
ritenuto che il termine di sei mesi stabilito nel detto 
art. 83 � di decadenza e non gi� di prescrizione, 
nonostante che la norma parli espressamente di 
prescrizione. La censura � priva di fondamento. 
Il giudice, nell'interpretare la norma, deve attribuirle 
il senso che � fatto palese dal significato 
proprio delle parole secondo la loro connessione, 
sempre che tale significato (lettera della legge) 
appaia chiara e sicura la volont� del legislatore. 
Quando la lettera d� luogo a dubbi, il giudice deve 
ricercare quale sia stata la precisa intenzione 
del legislatore. La Corte di merito ha fatto corretta 
applicazione di tali principi di ermeneutica, in 
riferimento alla norma citata dell'art. 83 delle 


-194


Condizioni generali d'oneri per le forniture alle 
forze armate. Essa, infatti, ha rilevato che l'espressione 
cc s'intendono prescritti ed estinti�, che nella 
detta norma si legge, � ambigua, perch� riferita sia 
alle azioni, diritti e ragioni per restituzione di multe 
inflitte in dipendenza dei patti contrattuali, sia 
alle azioni, ai diritti ed alle ragioni per pagamento 
di interessi che fossero dovuti, essendo indiscutibile 
la propriet� della terminologia soltanto con 
riguardo all'azione per il pagamento degli interessi, 
rispetto alla quale pu� parlarsi tecnicamente di 
prescrizione. Invero, con riguardo alla azione per 
restituzione di multe, il termine fissato per l'esercizio 
va logicamente ricollegato alla esigenza di 
pronta definizione dei rapporti nascenti dal capitolato 
(esigenza che costituisce il fondamento dello 
istituto della decadenza) e non gi� alla presunzione 
di abbandono dei diritti non esercitati dal titolare 
(che costituisce il fondamento logico-giuridico dell'istituto 
della prescrizione). Siffatto ragionamento 
va condiviso. Infatti, tanto per la legislazione 
anteriore (Cod. civ. del 1865) quanto per quella 
vigente (Cod. civ. del 1942), il fondamento della 
prescrizione � la presunzione di abbandono di un 
diritto per inerzia del titolare, mentre fondamento 
della decadenza � la esigenza obiettiva del compimento 
di particolari atti entro un termine perentorio, 
stabilito dalla legge o dalla volont� dei privati, 
indipendentemente dalle circostanze subiettive 
od obiettive dalle �quali dipende l'inutile de


corso del tempo. 

Col secondo motivo si denuncia l'impugnata sentenza 
per violazione degli artt. 2936 e 2966 C. c., 
e 113 della Costituzione, assumendosi che la Corte 
di merito sarebbe incorsa in errore nel ritenere 
opponibile il termine di mesi sei, ci� sia nella 
ipotesi che si tratti di termine di decadenza, sia in 
quella che si tratti di termine di prescrizione; perch� 
la decadenza pu� essere stabilita soltanto da 
legge formale o da convenzione e non da un atto 
normativo di carattere regolamentare, quale il 

Capitolato, e perch�, per il principio della inderogabilit� 
delle norme sulla prescri.zione, il terwinedi 
questa non poteva essere abbreviato se ~1on con 
legge formale, ed, infine, perch�, per �Fflil't. 11-0. 
della Costituzione deve ritenersi abrogata ogni 
limitazione alle impugnazioni giudiziali contenuta 
nei Capitolati d'oneri. Anche tale censura � infondata. 
� costante l'insegnamento di questa Suprema. 
Corte (v. sent. 23 giugno 1958, n. 2219; 21 maggio 
1959, n. 1523; e 9 giugno 1960, n. 1524) secondo 
cui le disposizioni contenute nelle condizioni generali 
d'oneri dello Stato hanno carattere di norme� 
regolamentari (regolamenti di organizzazione), sempre 
che si tratti di contratti interessanti lo Stato,. 
nei cui confronti il privato contraente � in un 
rapporto di subordinazione, che giustifica la sua 
sottoposizione a norme regolamentari obbligatorie. 
Al carattere normativo delle dette disposizioni 
consegue la loro forza vincolante, che � ribadita. 
dal richiamo, di solito espresso (come nel caso),. 
fatto nel contratto, ad esse. Non �, pertanto,. 
a dubitare della liceit� e legittimit� della determinazione 
di termini di decadenza con le disposi-� 
zioni delle Condizioni generali d'oneri; invero,. 
l'art. 2966 C. c. che ammette che il termine di 
decadenza possa essere stabilito dal contratto o da 
una norma di legge, va correttamente inteso nel 

senso dell'ammissibilit� di termini di decadenza. 
per determinazione pattizia o normativa (legislativa 
o regolamentare). 

Il richiamo, fatto nel motivo di ricorso, al principio 
della inderogabilit� delle norme sulla prescrizione, 
di cui all'art. 2936 C. c., � fuori di luogo,. 
posto che, come si � innanzi precisato, nel caso si 
verte in tema di decadenza. 

Non pertinente �, altres�, il richiamo all'art. 113� 
della Costituzione, essendo chiaro che la fissazione� 
di un termine di decadenza non importa violazionedel 
principio della tutela giurisdizionale dei diritti 
e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica 
amministrazione, in quanto lo presuppone .. 

CONSIGLIO DI STATO 


SERVIT� -Servit� militari -Opere a cui vantaggio 
la servit� � imposta -Natura militare -Estensione 
ad opere, anche non militari, interessanti la difesa 
dello Stato -Aeroporti civili. (Consiglio di Stato, 
Sezione IV, decisione 30 ottobre 1963, n. 667 -
Pres.: De Marco; Est.: Santaniello -Consiglio dei Orfanotrofi 
e Pio A. Trivuglio c. Ministero Difesa Aeronautica). 


Le servit� militari possono essere imposte sul 
diritto di propriet� sia in relazione ad opere esclusivamente 
militari (ad esempio: fortificazioni, depositi 
di munizioni, polveriere, ecc.), sia in relazione 
ad altri beni che ricevono la stessa tutela non per 
la loro natura (che pu� essere anche non militare), 
bens� in ragione della loro funzione che pu� interessare, 
anche non attualmente, la difesa dello 
Stato. In tale seconda categoria rientrano appunto 

gli aeroporti (quale sia sia la loro natura, militare� 

o civile, pubblica o privata), giacch� la navigazione� 
aerea di per s� stessa costituisce un'attivit� che,. 
direttamente o di riflesso, pu� sempre essere connessa 
o comunque incidere su esigenze di difesa. 
militare. (Art. 1, legge 20 dicembre 1932, n. 1849;. 
articolo unico, legge 10 ottobre 1935, n. 1998~. 
art. 15, D. P. R. 28 giugno 1950, n. 1106; legge27 
gennaio 1936, n. 245). 
Trascriviamo la motivazione in diritto della decisione. 


Il primo mezzo si scinde in varie censure, nessuna 
delle quali � assistita da fondamento. Fra. 
tali doglianze va esaminata per prima, in ordine 
logico, quella relativa al difetto di motivazione; ed,. 
in proposito, osserva il Collegio che non sussiste



-195 


il denunciato vizio, giacch� ciascuno dei quattro 
atti impugnati contiene l'enunciazione sommaria, 
ma sufficiente -in relazione al tipo e alla natura 
dei provvedimenti -delle ragioni su cui si fonda 
la determinazione adottata dall'Amministrazione. 
Gli atti medesimi sono stati emessi dall'Autorit� 
militare nell'esercizio di un'attivit�� caratterizzata 
da una netta discrezionalit�, quale potere di imporre 
la servit� nei casi di urgenza (art. 4, 50 comma, 
della legge 20 dicembre 1932, n. 1849): sicch� le 
ordinanze in parola, con la indicazione delle ragioni 
essenziali che h�mno indotto l'Autorit� ad emanarle 
(necessit� di garantire il regolare funzionamento 
degli impianti aeronautici installati nel territorio 
del Comune di Peschiera, quanto ai provvedimenti 
3 maggio e 24 maggio 1960; necessit� di 
assicurare il funzionamento del servizio radar, 
4uanto al provvedimento 17 dicembre 1960; necessit� 
di garantire la sicurezza del volo sulla pista 
aeroportuale, quanto al provvedimento 16 febbraio 
1961) contengono elementi di per s� bastevoli 
ad individuare la presenza di una motivazione 
concisa, ma sufficiente, entro i limiti imposti dalla 
speciale natura dell'atto. 

N� ha pregio l'altra censura, con cui si assume 
la falsa applicazione degli artt. 1 e segg. della 
legge 20 dicembre 1932, n. 1849 e, comunque, 
l'eccesso di potere sul riflesso che i provvedimenti 
impugnati non parlano di opere militari, ma fanno 
riferimento ad impianti genericamente aeronautici 

o al servizio radar o alla pista aeroportuale, senza 
specificare la loro destinazione a scopi militari: e 
che, nella specie, il carattere militare delle opere 
sarebbe anzi da -escludere, proprio in relazione alla 
circostanza che il sistema aeroportuale in questione 
� adibito al traffico aereo civile. Siffatta tesi non 
pu� essere condivisa dal Collegio, per il seguente 
ordine di considerazioni: a) l'opinione del ricorrente 
poggia sull'erroneo presupposto che le servit� militari 
siano imponibili solo in presenza di un'opera 
esclusivamente militare: senonch� l'art. 1 della 
ridetta legge n. 1849 del 1932 ricomprende nella sua 
previsione normativa non solo le �opere militari 
, di qualunque genere, occorrenti per la difesa dello 
Stato n e gli stabilimenti militari i>, ma altres� gli 
�aeroporti ii e i � campi di fortuna �, senza alcuna 
differenziazione -per tali due ultime categorie di 
beni -fra quelli militari e quelli civili, fra quelli 
pubblici e quelli privati; b) la ratio della norma 
sembra palese; mentre alcuni beni sono suscettibili 
di essere tutelati nelle forme e nei modi previsti 
dalla ridetta legge n. 1849 del 1932, solo in quanto 
abbiano struttura di opera direttamente ed esclusivamente 
militare (ad esempio fortilizi; fortificazioni; 
depositi di munizioni; polveriere ecc.) altri 
beni, invece, ricevono la stessa tutela non pi� in 
relazione alla loro natura (che pu� essere anche 
non militare), ma in ragione della loro funzione, 
che pu� interessare -anche a prescindere dalla 
specifica destinazione� in atto -la difesa dello 
Stato. In tale secondo n�vero rientrano per l'appunto 
gli aeroporti (quale che sia la loro natura, 
militare o civile; pubblica o privata): giacch� la 
navigazione aerea di per s� stessa costituisce una 
attivit� che, direttamente o di riflesso, pu� sempre 

essere connessa o comunque incidere su esigenze di 
difesa militare. Onde anche l'aeroporto destinato 
al traffico aereo civile pu� .acquistare. rilevanza, di 
guisa che si faccia luogo alla imposizione dei vincoli 
previsti dalla legge del 1932 sulle servit� 
militari. E che si fidi della tutela predisposta dall'ordine 
citato complesso di norme, gli aeroporti 
prescindano dalla qualificazione militari o civili, 
desume altres� -oltre che dalla dizione letterale� 
del gi� menzionato art. 1 -dell'esame dei lavori 
preparatori della legge stessa: dai quali risulta 
esplicito l'intento legislativo di ricomprendere nella. 
nuova disciplina normativa non solo le opere fortilizie 
e i depositi e stabilimenti militari (gi� �previsti 
dal Testo unico approvato con R. D. 16 maggio 
1900, n. 401, e del relativo Regolamento approvato 
con R. D. 2 gennaio 1901, n. 32), ma di estendere 
i vincoli stessi agli aereoporti e ai campi di 
fortuna in genere, con astrazione dalla loro specifica. 

qualificazione. 

DANNI DI GUERRA -Requisiti per la concessione� 

dell'indennizzo -Necessit� della loro esistenza alla� 

data del decreto di concessione. (Consiglio di Stato, 

Sezione IV, decisione 30 ottobre 1963, n. 655 -

Pres.: D'Avino; Est.: Trotta -Fiorino Gostino c. 

Ministero del Tesoro). 

Ai fini della concessione di indennizzi e contributi 
per danni di guerra, il requisito della cittadinanza. 
italiana deve sussistere alla data del decreto di 
concessione, e non anche al tempo dell'erogazione 
essendo irrilevante, ai fini della legittimit� della. 
concessione, ogni mutamento nella cittadinanza 
che abbia luogo successivamente alla data di quel 
decreto (art. 1, legge 27 dicembre 1953, n. 968). 

Trascriviamo la motivazione in diritto dellci clecisione. 


Nel merito il ricorso si appalesa fondato, essendo� 

ininfluente ai fini dell'indennizzo che l'avente� 

diritto abbia in tempo successivo al decreto di 

concessione acquistato una cittadinanza straniera. 

L'Amministrazione resistente oppone che il requi


sito della cittadinanza deve sussistere anche al 

momento dell'erogazione, poich� � in tale momento 

che viene soddisfatta la pretesa del cittadino al 

risarcimento del danno di guerra, che ha natura. 

e consistenza di interesse legittimo e non di diritto 

soggettivo. L'annullamento operato dovrebbe per


tanto ritenersi regolare, essendo stato eliminato un 

atto emanato sulla base di un presupposto che in 

seguito � venuto a mancare. 

Pur convenendo, secondo la ben nota giurispru


denza di questo Consiglio e della Corte di Cassa


zione che la pretesa alla reintegrazion�� dei dal!P� 

di guerra si concreta in un interesse legittimo, la� 

tesi dell'Amministrazione resistente non pu� tut


tavia essere condivisa poich� � irrilevante ai fini 

di detta reintegrazione, ogni mutamento sullo stato 

di cittadinanza che si verifichi posteriormente allo� 

atto che costituisce il titolo per la concessione~ 



-196



. Tale atto infatti, appena emanato eompie ed esaurisce 
la sua funzione ponendo l'interessato nella 
teorica condizione di poterne subito realizzare il 
.contenuto con l'effetto che ogni mutamento intervenuto 
in tempo successivo all'emanazione del 
decreto non pu� produrre alcuna conseguenza ai 
fini dell'avvenuta concessione. 

PORTI -Opere portuali -Spese di manutenzione e 
riparazione -Provvedimenti di ripartizione -Impugnativa 
-Competenza dell'A.G.O. (Consiglio di Stato, 
Sezione IV, decisione 30 ottobre 1963, n. 665 -
Pres.: Meregazzi; Est.: Santaniello �� Comune di Capannori 
c. Ministero Lavori Pubblici). 

Esula dalla giurisdizione del Consiglio di Stato 
il provvedimento ministeriale con il quale sono 
ripartite fra gli enti interessati, in base ai criteri 
fissi stabiliti dal R. D. 12 luglio 1912, n. 974 e 
con esclusione di ogni discrezionalit� amministrativa, 
le spese occorse per opere portuali. (Cfr. 
IV Sezione, 29 maggio 1963, n. 383, �Il Consiglio 
di Stato �, 1963, 716, con note di richiamo). 

Trascriviamo la motivazione in diritto della deoisione. 


Il Collegio ritiene fondata l'eccezione di difetto 
di giurisdizione, opposta dalla Amministrazione 
resistente, sul profilo che esula dalla presente 
.controversia ogni posizione di interessi legittimi o 
di diritti affievoliti, data la natura della obbligazione 
pecuniaria di cui si discute l'assenza di ogni 
discrezionalit� della determinazione dell'obbligazione 
stessa. 

Come � stato gi� affermato da questa Sezione 
in una fattispecie del tutto analoga (v. dee. 29 maggio 
1963, n. 383), esula dalla giurisdizione del 
Consiglio di Stato il provvedimento ministeriale 
.con il quale sono ripartite fra gli enti interessati, 
in base a criteri fissi stabiliti dal R. D. 12luglio1912, 

n. 974, e con esclusione di ogni discrezionalit� amministrativa, 
le spese occorrenti per opere portuali. 
Ed, invero, va considerato che l'attivit� della 

P. .A. nella determinazione delle spese occorrenti 
per opere relative ai porti e nella ripartizione delle 
.spese stesse fra le varie amministrazioni centrali 
.e locali interessate, � strettamente vincolata la 
legge fondamentale (R. D. 2 apri~e 1885, n. 3092 
che approva il Testo unico delle leggi sulla-dedotta 
materia) stabilisce, in primo luogo, in base a criteri 
del tutto obbiettivi, come debba procedersi alla 
classificazione dei porti in categorie e classi; 'stabi~ 
lisce, poi, sempre in base a criteri obbiettivi quale 
quota delle spese per i porti di seconda categoria 
sia posta a carico dello Stato e quale parte faccia 
carico alle provincie ed ai comuni. .Anche il riparto 
tra le provincie e comuni si effettua sulla base di 
percentuali fissate dalla legge. E quest'ultima 
determina anche i criteri in base ai quali si deve 
accertare quali provincie e quali comuni debbano 
,considerarsi come �interessati >> alla costruzione, 
al miglioramento e alla manutenzione del porto, 
qualificando come tali le provincie e i comuni 
che si servono del porto per la esportazione dei loro 
prodotti agricoli e industriali e l'importazione delle 
derrate e di qualsivoglia altro prodotto per uso e 

consumo dei rispettivi abitanti. 

Nel regolamento approvato con R. D. 26 settembre 
1904, n. 713 si precisa, sempre in base a 
criteri oggettivi, quali siano le opere nuove straordinarie 
e quali quelle di manutenzione e di miglioramento 
quali siano le opere che riguardano i 
porti, le spiagge ed i fari soggetti alle disposizioni 
del regolamento stesso. 

Il procedimento di ripartizione delle spese fra 
pi� comuni interessati ad un medesimo porto, 
regolato dal R. D. 12 luglio 1912, n. 974, che ha 
sostituito l'art. 18 del R .D. n. 713 del 1904 sopra 
richiamato, prevede l'attribuzione a ciascuno dei 
comuni iscritti negli elenchi di un coefficiente 
variabile, a seconda che si tratti di comune sede 
di porto o luogo di residenza delle agenzie e dei 
commercianti o di comune per il quale non ricorrano 
dette condizioni. La quota di concorso � la 
risultante della combinazione di tre quote, determinate 
rispettivamrnte in ragione del principale 
dei contributi diretti, in ragione della popolazione 
e in ragione inversa della distanza dal porto. 

Come risulta da questa particolareggiata regolamentazione, 
il potere che l'Amministrazione � 
chiamata ad esercitare nella determinazione e nella 
ripartizione della spesa di che trattasi � regolarmente 
vincolato, esulando da esso ogni margine di 
discrezionalit�. N� puo dirsi anoora ohe la norma 
sia dettata nel prevalente pubblioo interesse. giacch� 
essa discrimina l'onere in base alle prestazioni di 
cui possono fruire gli enti interessati: 

Deve quindi dichiararsi il difetto di giurisdizione 

di questo Consiglio. 

-������-������-�------------




������-�--�-�----�---------_;___________. 

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI MERITO 


GIURISDIZIONE E COMPETENZA -Controversie 
agrarie -Sezioni Specializzate per le controversie 
agrarie -Concessioni di pertinenze idrauliche e di 
bonifica -Proroga legale -Comp.etenza funzionale 
del Foro dello Stato. (Tribunale di Firenze, Sezione 
Specializzata per le controversie agrarie) 13 marzo 17 
aprile 1962 -Pieraccini e Coop. Ponti di Badia c. 
Amministrazione Finanziaria dello Stato e Ente per 
la Colonizzazione della Maremma Tosco Laziale). 

La competenza funzionale affidata dall'art. 7 
della legge 4 agosto 1948, n. 1094 alle Sezioni 
Specializzate per le controversie agrarie, traendo 
origine dal modo di costituzione dell'organo giudiziario, 
prevale su qu!'llla funzionale del foro dello 
Stato prevista dall'art. 25 del C. p. c. e fi e 7 del 
Testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611. 

Il Tribunale di Firenze ha cos� motivato: 

Fin dal 1� maggio 1959, con memoria depositata 
in Cancelleria, il ricorrente Pieraccini aveva prospettato 
l'incompetenza territoriale di questa Sezione 
e correlativamente la competenza territoriale 
della Sezione Specializzata per le Controversie 
Agrarie presso il Tribunale di Grosseto. A sostegno 
di tale eccezione cosi sollevata il Pieraccini produceva 
copia della sentenza 17 marzo 1958, n. 3016 
della Corte di Cassazione in causa Amministrazione 
delle Finanze dello Stato contro Cooperativa Agricola 
<<Unit� e Lavoro>> di Macchiascadona ed 
altri. Si legge, in tale sentenza, fra l'altro e senza 
specifica ulteriore motivazione, che cc va... dichiarata 
la competenza della S�zione Specializzata per 
le Controversie Agrarie presso il Tribunale di Grosseto, 
dove sono situati i fondi in controversia >>. 
In memoria di replica il Pieraccini si � poi richiamato 
alla sentenza del 27 gennaio 1962, n. 52 in 
causa La Castiglionese c. Amministrazione Finanziaria 
dello Stato, con la quale sentenza la Corte 
di Appello di Firenze, per essere il terreno in contestazione 
in quella causa ubicato nel Comune di 
Grosseto, dichiara l'incompetenza territoriale di 
questa Sezione e la competenza della Sezione Specializzata 
per le Controversie Agrarie presso il 
Tribunale di Grosseto. Questa ultima sentenza, 
ampiamente motivata, induce il Collegio a riesaminare 
la prospettata questione alla luce di nuovi 
argomenti che si dimostrano fondati. 

Infatti, l'art. 6 R. D. 30 ottobre 1933, n. 1611 
che, per le cause nelle quali � parte l'Amministra


zione dello Stato, radica la competenza territoriale 
presso l'Ufficio Giudiziario dove ha sede l'Ufficio 
dell'Avvocatura dello Stato, viene derogato per 
espressa disposizione del successivo art. 7 nelle 
varie ipotesi in questo previste, ipotesi che rendono 
nuovamente applicabili i principi generali in materia 
di competenza, salvo per quanto attiene al giudizio 
di appello. Ora l'intenzione del legislatore (cfr. articolo 
12 delle Preleggi), nel costituire con l'art. 7 
della legge 4 agosto 1948, n. 1094 un organo specializzato 
della Magistratura Ordinaria, ha avuto 
di mira la creazione di una competenza funzionale, 
e come tale inderogabile, non soltanto per ragione 
di materia, ma altres� per ragione di territorio. 
Lo si desume dal fatto che i quattro esperti, chiamati 
a far parte della Sezione, debbono essere� 
designati dalle organizzazioni provinciali di categoria, 
con un riferimento, perci�, all'ambito della 
provincia ossia ad un territorio rispetto al quale 
gli esperti sono in grado di integrare sul piano 
tecnico, economico e sociale le cognizioni del giudice 
collegiale. Il nome stesso di << esperto � indica. 
come questo componente debba conferire al Collegio 
non un puro e semplice apprezzamento in. 
materia di contrapposizione sindacale di contrastanti 
interessi economici, bens� una esperienza di 
usi, consuetudini, terreni, culture, sistemi di conduzioni 
ed in genere di situazioni legate a quel 
particolare territorio nel cui ambito l'organo giudiziario 
� chiamato ad esercitare la propria gimisdi


zione. 

Pertanto, il principio della inderogabilit� della. 
competenza funzionale delle Sezioni Specializzate 
� destinato a prevalere anche rispetto alla competenza 
territoriale del foro erariale il quale tutela. 
un interesse secondario rispetto a quello che determina 
il modo di costituzione dell'organo giudiziario. 
E poich� i rapporti sui quali si controverte� 
nel presente giudizio hanno per oggetto terreni 
posti nel Comune di Grosseto, la competenza a� 
giudicare di tali rapporti appartiene alla sezione 
Specializzata per le Controversie A.grarie presso� 
quel Tribunale. La novit� e la difficolt� della questione 
giustifica l'integrale compensazi.�?n.e tra le 
parti delle spese di questo giudizio )), 

A) A seguito di tale pronuncia, nell'interesse� 
dell'Amministrazione Finanziaria dello Stato �� 
stato proposto Ricorso per Regolamento di Giurisdizione 
ed istanza per R:egolamento di Competenza. 



-198


B) Rilevato il carattere ctssolutamente pregiudiziale 
della questione di giurisdizione, espressamente 
proposta dall'Amministrazione Finanziaria sotto il 
profilo della improponibilit� assolu.ta della �domanda 
diretta ad ottenere il riconoscimento dello istituto 
della proroga legale delle affittanze agrarie � per le 
Concessioni Amministrative di pertinenze idrauliche 
e di bonifica, la giurisdizione dell'A; G. O. � stata 
contestata con richiamo al fatto che il rapporto che, 
in concreto, ha caratterizzato la utilizzazione dei beni 
Qggetto di concessione, costituisce, sia nelle forma che 
nella sostanza, un rapporto tipico di diritto pubblico 
e precisamente una concessione amministrativa, attraverso 
la quale gli artt. 822 e 825 del Codice civile 
consentono appunto la utilizzazione da parte di privati 
di beni, che, natura rerum o destinationis causa, 
fanno parte del demanio dello Stato o del patrimonio 
indisponibile (Ofr. Oassaz. Sez. Unite, n. 1067 
del 1949). 

C) La esclusione, per le cont?'oversie agrarie, della 
Qperativit� del Foro dello Stato � stata censurata con 
il motivo che integralmente si trascrive: 

Violazione delle norme sulla competenza -Violazione 
e falsa applicazione degli artt. 7 della legge 
4 agosto 1948, n. 1094; 4 della legge 18 agosto 1948, 

n. 1140; 2 e 5 della legge 26 giugno 1949, n. 359 
con norme sulla competenza per le controversie relative 
alla proroga dei contratti agrari di affitto dei 
fondi rustici in relazione all'art. 25 del O. p. c., 
6 e 7 del Testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611 
con norme sulla mppresentanza e difesa in giudizio 
dello Stato. Art. 42 O. p. c. 
1) Il Tribunale di Firenze, con la sentenza 
denunciata, ha dichiarato che esso, adito, a suo 
tempo, sia dal Pieraccini che dalla Coop . .Agricola 
Ponti di Badia in osservanza delle norme sul Foro 
dello Stato, � sfornito di competenza territoriale 
ed ha affermato quella del Tribunale di Grosseto. 
Ha ritenuto il Tribunale suddetto che la competenza 
funzionale ed inderobabile del Foro dello 
Stato dovesse cedere di fronte a quella, parimenti 
funzionale e inderogabile, delle Sezioni Specializzate 
per la risoluzione delle controversie agrarie 
operanti presso i singoli Tribunali. Ci� in considerazione 
del fatto che, per queste ultime, il carattere 
funzionale � stato determinato dalla partecipazione 
di esperti designati dalle .Associazioni di categoria, 
i quali sono forniti sia di particolare conoscenza 
della situazione agricola sia di parti�olare esperienza 
sui problemi economici del luogo. Ha tratto conforto, 
al riguardo dal fatto, posto in rilievo dalla 
giurisprudenza formatasi sull'argomento, che la 
partecipazione degli esperti suddetti conferisce al 
Collegio �non un puro e semplice apprezzamento 
in materia di contrapposizione sindacale di contra.
stanti interessi economici, bens� una esperienza di 
usi, consuetudini, terreni, culture, sistemi di conduzione 
ed in genere di situazioni legate a quel particolare 
territorio nel cui ambito l'organo giudiziario 
� chiamato ad esercitare la propria funzione>>. 

Nessun dubbio che la competenza delle Sezioni 
.Specializzate � funzionale. Nessun dubbio del pari 

che le ragioni le quali hanno determinato il rilevato 
carattere funzionale sono quelle precisate dal 
Tribunale di Firenze. N� l'uno n� l'altro argomento, 
per�, � decisivo pe1� affermare nhe la competenza� 
territoriale delle Sezioni Specializzate prevalga su 
quella, funzionale anche essa, del Foro dello Stato 
e ,che quest'ultima tuteli un interesse secondario 
rispetto a quella suddetta, che si ripercuote sul 
modo di costituzione dell'organo giudiziario. 

2) La ricorrente .Amministrazione finanziaria non 
si nasconde la delicatezza della questione, ma ritiene 
necessario sottoporre all'esame della Ecc.ma Corte 
un duplice ordine di motivi che, trovando riscontro 
in norme positive, dovrebbero escfodere la affermata 
prevalenza. 

Il primo ordine di motivi � dato dal fatto che le 
norme sul Foro dello Stato, nella loro interpretazione 
letterale logica e finalistica, istituiscono un 
Foro speciale per un oggetto determinato nel quale 
si compongono, in unit� di intenti, gli elementi del 
territorio e della materia e richiedono, in vista di 
ci�, una norma derogativa espressa. Orientative 
a riguardo sono le eccezioni tassativamente poste 
dall'art. 7 del Testo unico n. 1611 del 1933 ed il 
carattere di ordine pubblico attribuito alla disciplina 
cos� sancita dall'art. 9 successivo. 

Rispetto a tale situazione, la natura di organi 
di giurisdizione ordinaria serbata dalle Sezioni 
(vedasi in � Giurisprudenza ))' Cassazione, 11 dicembre 
1950, n. 2711; id. 23dicembre1950, n. 28130 
13 gennaio 1951, n. 80; in cc Dottrina )) TORRENTE, 
in � Giurisprudenza sui Contratti .Agrari ))' pagina 
12-13; CARRARA, cc Contratti .Agrari))' pag. 317 in 
nota) posta in relazione al fatto che le leggi istitutive 
delle Sezioni Specializzate per la proroga legale 
(art. 7 della legge 1094del1948 e 2 e 5 della legge 353 
del 1949) hanno disciplinato la competenza delle 
stesse soltanto ratione materiae, senza nulla statuire 
rat~one loci, porta a ritenere che, territorialmente, 
valgono le norme ordinarie di competenza con la 
inderogabilit� sancit� dalle norme comuni, rispetto 
alle quali il Foro speciale dello Stato risulta prevalente. 
L'art. 28, infatti, del C. p. c. oltre i casi 
espressi di inderogabilit�, richiede, per eventuali 
altri casi, un'apposita disposizione di legge. 

Il secondo ordine di motivi � dato dal fatto che, 
mentre per le Sezioni Specializzate per la proroga 
legale, il legislatore ha disciplinato la competenza 
soltanto ratione materiae, per le Sezioni 
Specializzate per l'equo canone il legislatore ha 
disciplinato la competenza sia ratione materiae che 
ratione loci. Le prime trovano la loro disciplina 
nelle leggi 1094 cel 1948 e 392 del 1950; le seconde 
nella legge 1140 del 1948 con la quale fu disposta 
la sostituzione delle Commissioni .Arbitrali istituite 
dal D. L. C. P. S. n. 277 del 1947. Di diversa 
composizione nella scelta degli esperti, le prime 
hanno, ai fini della competenza, la determinazione 
della meteria; le seconde non solo della materia, ma 
anche del luogo, richiedendosi espressamente 
dall'art. 10 della legge 277del1947, che la domanda 
introduttiva sia presentata cc presso il Tribunale 
nella cui giurisdizione � posto il fondo oggetto della 
controversia �. 


-199


La diversa intensit� con la quale il legislatore � 
intervenuto nella particolare materia consente di 
ritenere che, se un rapporto di prevalenza fra il 
Foro dello Stato e la competenza delle Sezioni 
debba affrontarsi, le ragioni addotte dal Tribunale 
di Firenze sono pertinenti per l'equo canone pi� 
di quanto non lo siano per la proroga legale: per 
il primo, infatti, � di particolare rilievo la produttivit� 
del fondo, la situazione agricola contingente 
ed i problemi tecnici del luogo nel quale risiedono 
gli esperti; per la seconda, gli aspetti determinanti 
sono la natura giuridica del rapporto e la qualifica 
di coltivatore diretto del conduttore. La conferma 
di una diversa disciplina fra le due specie di Sezioni 
si pu� rinvenire anche nel fatto che le rispettive 
decisioni sono soggette a distinti mezzi di impugnazione: 
quelle della Sezione per la proroga ai mezzi 
consueti e quelle per l'equo canone al solo ricorso 
per Cassazione. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Mutuo contratto dai 
Comuni con Istituto di credito -Delegazioni di pagamento 
sulle imposte di consumo in gestione diretta, 
emesse dal Comune ad estinzione del mutuo ed accet� 
tate con obbligo del non riscosso per riscosso dalla 
Tesoreria Comunale -Tassazione autonoma dei due 
rapporti -Esclusione. (Corte di Appello di Torino, 
S�ntenza 25 ottobre -Il novembre 1963-Pres.: Prati; 
Est.: Marigardi -Amministrazione Finanziaria c. Citt� 
di Torino. 

Le delegazioni di pagamento sulle imposte di 
consumo rilasciate dai Comuni per la estinzione di 
un mutuo da essi contratto, in mancanza di altri 
cespiti delegabili, costituiscono mandati di pagamento 
non soggetti ad autonoma tassazione di 
registro in aggiunta e diRtintamente dalla tassazione 
del mutuo, cui si riferiscono. 

A) La Corte di Torino ha cos� motivato: 

Il problema che si propone alla Corte � inteso a 
stabilire se il mutuo e le delegazioni di pagamento 
contemplati nel medesimo atto debbano considerarsi 
negozi distinti e singolarm�nte tassabili 
oppure costituiscano disposizioni � necessariamente 
connesse e derivanti per l'intrinseca loro natura le 
une dalle altre � in modo da consentire l'applicazione 
dell'art. 9 Cpv. Legge di Registro che, nella 
seconda ipotesi, considera l'atto quanto all'imposta 
come � se comprendesse la sola disposizione 
che da luogo all'imposta pi� grave �. 

L'unicit� del negozio giuridico di mutuo e delegazioni 
� contestata dall'Amministrazione delle 
Finanze sul rilievo che mediante la delegazione il 
delegante ed il delegato assumono precisi obblighi 
che non possono considerarsi come elementi costitutivi 
di un unico negozio di mutuo: che la delegazione 
integra una obbligazione autonoma -non 
necessariamente connessa con quella di mutuo con 
la quale le parti stabiliscono l'assunzione di 
obblighi da parte del delegato e le modalit� di 
pagamento, cos� stipulando una vera e propria 

garanzia indipendente ed autonoma rispetto al 
contratto di mutuo. 


Trattasi di interpretare la norma dell'art. 9 
Legge di Registro e di stabilire la sfera�di,applicazione 
della stessa. Non ritiene questa Corte che 
sia accettabile il criterio dell'Amministrazione ap


, pellante secondo cui la lettera della norma ed il 
criterio informatore della stessa precisano che 
l'ambito di applicazione della norma abbraccia 
unicamente la concatenazione strutturale, oggettiva, 
concettuale delle disposizioni secondo lo schema 
tipico del negozio e con una causa giuridica che 
assolva la stessa funzione economica e sociale. In 
sostanza l'Amministrazione Finanziaria con criterio 
restrittivo limita la connessione agli obblighi 
che in un determinato tipo di contratto assumono 
la natura di elementi strutturali, come le obbligazioni 
che costituiscono il corrispetti;vo della prestazione 
principale oppure i corolla:ui giuridici delle 
contrapposte obbligazioni. :.i�1 
Premesso che quella prevista dall'articolo citato 
deve essere connessione oggettiva, non rimessa cio� 
alla determinazione dei contraenti, agli effetti di 
stabilire il collegamento tra pi� disposizioni di un 
medesimo atto per l'applicazione della sola imposta 
relativa alla disposizione che d� luogo all'imposta 
pi� grave, ritiene questa doversi adeguare Corte alla 
interpretazione che della norma ha fatto il Supremo 
Collegio (Cass., 4 ottobre 1958, n. 3106): �agli effetti 
dell'art. 9 della Legge di Registro secondo cui se un 
atto contiene pi� disposizioni indipendenti ognuna 
di queste � sottoposta a tassa. come se formasse 
un atto distinto, la nozione di disposizione indipendente 
va intesa nel senso di negozio giuridico 
autonomamente previsto dalla tariffa e la necessaria 
connessione tra pi� disposizioni derivanti le 
une dalle altre, si verifica solo allorquando tra le 
varie disposizioni esiste per forza di legge e non per 
semplice volont� delle parti una concatenazione 
tale da poter avere riassunta in un unico rapporto 
tassabile �. 
� da ritenersi cio� che la formulazione dell'art. 9 
Legge di Registro non fa riferimento ad un legame 
necessario tra le varie disposizioni derivante dal 
sinallagma tipico contrattuale nel senso di escludere 
da tassazioni distinte ed autonome soltanto 
le obbligazioni che siano corrispettive di quella 
principale ovvero siano corollari giuridici delle 
contrapposte obbligazioni: il testo della norma har 
portata pi� vasta considerando e comprendendo 
tutte le ipotesi in cui la pluralit� delle disposizioni 
e la loro concatenazione sono cagionate da forza di 
legge e non dalla discredionalit� dei contraenti. 
La connessione deve ritenersi ricorrente anche 
quando dipende da norme che pur non incidendo 
direttamente sulla disciplina del contratto tipico, 
debbono, necessariamente, essere osservate nella, 
stipulazione di un particolare contratto. Il legame 
si ha cos� tutte le volte che una disposizione viene 
ad aggiungersi a quelle tipiche strutturali del con-~ 
tratto tipo per virt� di una norma legislativa che 
la impone in relazione anche a finalit� non proprie 
del negozio ma di carattere pubblico. 
Ci� premesso occorre considerare se il Comune 
di Torino abbia rilasciato le delegazioni di paga



-200


mento di cui trattasi perch� costJ.�ettovi dalla legge 

. e se la Cassa di Risparmio le abbia accettate con la 
clausola del non riscosso a sua volta costrettovi per 
forza cogente. 

La risposta al quesito non � dubbia ove si considerino 
le norme legislative che regolano la materia. 
La Legge Comunale e Provinciale (T. U. 
a marzo 1934, n. 383) stabilisce all'art. 299 n. 3 
l'obbligo per il Comune di garantire l'ammortamento 
del mutuo determinando i mezzi per provvedervi 
nonch� i mezzi per il pagamento degli 
interessi. 

A sua volta l'art. 94 del Testo unico sulla Finanza 
locale 14 settembre 1931, n. 1175 dispone che se 
non sussistono altri cespiti comunali delegabili per 
legge (e questo � il caso di specie) il Comune � 
tenuto a rilasciare delegazioni sull'imposta di consumo. 
Del che consegue che rilasciando le delegazioni 
sull'imposta di consumo il Comune di Torino 
non ha scelto liberamente un mezzo, ma ha ottemperato 
ad una modalit� di pagamento del mutuo 
:alla cui osservanza era tenuto per forza di legge. 
Il che svuota di ogni contenuto l'argomentazione 
.dell' .A.mministraziohe Finanziaria secondo la quale 
l'avere il Corriune di Torino esaurito gli altri 
.cespiti e l'essere stato costretto a ricorrere ai proventi 
futuri delle imposte di consumo non deriva 
da norme cogenti ma dalla situazione patrimoniale 
.contingente che riconosciuta nella competente sede 
gerarchica, abilita all'esercizio della facolt� ipotizzata 
dall'art. 94 del Testo unico sulla Finanza 
locale. Non vi � dubbio infatti -si sostiene .
che se ilComune di Torino avesse in concreto potuto 
.ricorrere ad altre fonti patrimoniali per fronteggiare 
gli oneri del prestito il ricorso ai proventi 

delle imposte di consumo sarebbe mancato senza 
.che, per tale fatto, venisse a mancare anche il 
mutuo. Pare facile l'obiezione che se � indubbio 
.che la situazione patrimoniale del Comune ha rilevanza, 
la stessa va per� rapportata al sistema della 
legge che �, ripetesi, nel senso che nel difetto di 
.altri cespiti comunali delegabili il Comune, sempre 
per garantire l'ammortamento del mutuo, deve 
.rilasciare delegazioni sulle imposte di consumo a 
norma dell'art. 94 del citato Testo unico, in ottemperanza 
cio� ad una facolt�. 

Le difese dell'Amministrazione appellante postulano 
un particolare esame della clausola del � non 
.riscosso per riscosso �. � canone fondamentale prescritto 
all'esattore dalla legge per riscossione delle 
imposte dirette quello del �non riscosso per riscosso
� (art. 5 legge 17 ottobre 1922, n. 1401). 
.Sull'assunto che tale obbligo � pos'to a carico dell'Esattore 
per i tributi comunali esigibili mediante 
:ruoli si sostiene che per le imposte di consumo in 
gestione diretta, per le quali il Comune provvede 
direttamente all'accertamento ed alla riscossione 
.affidandone il solo esercizio di cassa ad un ente 
distinto, Tesoriere Comunale, l'obbligo predetto non 
.� posto dalla legge n� dal contratto esattoriale 
.che nel particolare sistema non entra affatto in 
.gioco: con la conseguenza che se, non potendo 
parlarsi d'obbligo imposto dalla legge, il Teso:
riere lo assume, ci� va riportato alla sua volont� 
.con la conseguenza ulteriore della costituzione di 

un negozio di garanzia distinto da quello di mutuo, 
non legato a questo da alcuna correlazione di necessit� 
e quindi autonomamente tassabile. 

L'argomentazione con � fondata. L'art. 94 del 
Testo unico sulla Finanza locale. pone . come specif�.
ca, imprescindibile condizione per le delegazioni 
sull'imposte di consumo che la riscossione 
sia data in carico all'appaltatore delle dette imposte 
e, nel caso di gestione diretta, all'esattore delle 
imposte dirette e al Tesoriere comunale con le 
condizioni stabilite dalla legge sulla riscossione 
delle imposte dirette. Ne consegue che la Cassa 
di Risparmio -tesoriere Comunale, alla quale i 
ricevitori delle imposte di consumo versano gli 
importi di dette imposte con correlativo obbligo di 
ricevimento, � tenuto nell'esercizio del suo servizio 
all'osservanza delle condizioni di legge per la riscossione 
delle imposte' dirette. 

Si � detto che canone fondamentale della riscossione 
delle imposte dirette � quello cel �non riscosso 
per riscosso�. I capitoli normali esattoriali (D. M. 
Finanze 18 settembre 1823) che hanno natura di 
norme integrative delle disposizioni contenute nella 
legge e nel regolamento di riscossione dispongono 
che l'esattore ed il ricevitore provinciale sono tenuti 
a firmare le delegazioni emesse dai Comuni e dalla 
provincia, ed a versarne l'importo alle scadenze 
con l'obbligo del �non riscosso per riscosso �. Lo 
stesso obbligo � �applicabile per le delegazioni sui 
proventi del dazio consumo e delle tasse comunali 
affidati in riscossione agli esattori emesse in garanzia 
di mutui fatti dalla Cassa Depositi e Prestiti o da 
altro Istituto (art. 9). 

Pare evidente, e lo ha gi� rilevato il Tribunale, 
che dal complesso delle disposizioni summenzionate 
risulta che il presupposto per emettere delegazioni 
sulle imposte di consumo � appunto che la riscossione 
nel caso di gestione diretta sia affidata allo 
esattore o al Tesoriere con l'obbligo del �non 
riscosso per riscosso �, e che il tesoriere, nel caso di 
gestione diretta � posto dalla legge nelle condizioni 
stesse dell'esattore o in quella dell'appaltatore nel 
caso di gestione appaltata. 

Non pu� pertanto parlarsi di obbligo liberamente 

assunto dalle parti, ma trattasi dell'osservanza di un 

precetto legislativo che vincola il comportamento 

del mutuante. 

Solo per la compiutezza di motivazione va rile


vato che dal contesto del rogito Burlando nulla 

appare che consenta di ritenere l'assunzione di un 

obbligo diretto tra la Cassa di Risparmio e l'Istituto 

mutuante: la sottoscrizione del rappresentante della 

Cassa vale unicamente come accettazione passiva 

delle pattuizioni intervenute tra mutuante e mutua


tario, ma non implica l'assunzione di una qualche 

particolare specifica obbligazione diretta della stessa 

verso l'Istituto San Paolo. 

Ritiene pertanto questa Corte, ribadendo quanto 

gi� affermato in sentenza 20 aprile ...... che le 

delegazioni di pagamento sulle imposte di consumo, 

rilasciate in mancanza di altri cespiti delegabili, ---� 

siano da considerarsi mandati da pagamento non 

soggetti ad autonoma tassazione di registro in 

aggiunta e distintamente dalla tassazione del mutuo 

cui si riferiscono. Onde l'appello va respinto. 



-201


B) La sentenza della Oorte di Torino � stata gravata 
di Ricorso in Oassazione sulla base dei due 
seguenti motivi: 

I 
-Violazione e falsa applicazione dell' a?�t. 9 della 
Legge d~ Registro 30dicembre1923, n. 3269 nonch� 
dell'art. 30 della tariffa A annessa alla legge di 
Registro precletta -Omessa insufficiente e contraddittoria 
motivazione -Ai sensi e per gli effetti 
dell'art. 360 nn. 3 e 5 del O. p. c. 

A) L'imposta di registro, della cui legittimit� i 
giudici di appello erano stati investiti, concerneva, 
fra l'altro, la tassazione a norma dell'art. 30 della 
tariffa A della L. O. R. di 12 delegazioni semestrali 
di pagamento, emesse dalla Citt� di Torino sui 
proventi delle imposte di consumo, sottoscritte dal 
Sindaco, accettate dalla Cassa di Risparmio di 
Torino, alla quale � affidato il servizio di Tesoreria 
Comunale, e consegnate all'Istituto Bancario 
San Paolo di Torino per l'importo complessivo di 

L. 116.071.272, a fronte del mutuo da detto Istituto 
concesso alla Citt� di Torino con il rogito Burlando 
17 aprile 1958, n. 4232 di rep. per il maggior 
importo di L. 217.000.000, da restituirsi con versamenti 
semestrali in 25 anni. 
La tassazione predetta, contestata in sede giudiziaria 
dalla Citt� di Torino, era stata operata, in 
via suppletiva, in occasione della verifica delle percezioni 
eseguite dall'Ufficio s1� rogito Burlando, 
con la iscrizione dell'art. 19010 A. C. Chieri nell'importo 
di L. 2.437 .507. 

I 
Giudici di appello, al pari dei primi giudici, 

hanno affermato l'illegittimit� della eseguita tas


sazione, giacch� il mutuo concesso alla Citt� di 

Torino e le delegazioni di pagamento sulle imposte 

di consumo accettate dalla Cassa di Risparmio, 

incaricata del servizio di Tesoreria Comunale, inte


grando delle disposizioni necessariamente connesse 

e derivanti le une dalle altre, vanno disciplinati, ai 

fini del tributo di registro, dal secondo comma 

dell'art. 9 della L. O. R.: tassazione dell'unica dispo


sizione che d� luogo alla tassa maggiore. 

Hanno, infatti, affermato i giudici di appello 

che: 

<e ��� la formruazione dell'art. 9 Legge di Regi


stro non fa riferimento ad un legame necessario 

tra le varie disposizioni derivanti dal sinallagma 

tipico contrattuale nel senso di escludere da tas


sazioni distinte ed autonome soltanto le obbliga


zioni che siano corrispettive di quella principale 

ovvero siano corollari giuridici delle contrapposte 

obbligazioni: il testo della norma ha portata pi� 

vasta considerando e comprendendo tutte le ipo


tesi in cui la pluralit� delle disposizioni e la loro 

concatenazione sono cagionate da forza di legge 

e 
non dalla discrezionalit� dei contraenti. 

La concessione deve ritenersi ricorrente anche 
quanto dipenda da norma che pur non incidendo 
direttamente sulla disciplina del contratto tipico, 
debbono, necessariamente, essere osservate nella 
stipruazione di un particolare contratto. Il legame 
-proseguono i giudici di appello -si ha tutte 
le volte che una disposizione viene ad aggiungersi 
a quelle tipiche strutturali del contratto tipo per 

virt� di� una norma legislativa che la impone in 
relazione anche a finalit� non proprie del negozio, 
rna di carattere pubblico. �. 


L'obbligo posto ai Comuni� dall'art; ��'299 n. 3 
della Legge Comunale e Provinciale del 3 marzo 
1934, n. 383 di garantire l'ammortamento dei mutui 


,da essi contratti determinando i mezzi per provvedervi; 
la mancanza per la Citt� di Torino di cespiti 
delegabili per legge, con conseguente esercizio da 
parte dello stesso della facolt� prevista dall'art. 94 
del Testo unico sulla Finanza locale 14 settembre 
1931, n. 1175; e l'obbligo posto dall'art. 9 del D. M. 
18 settembre 1923 con i Capitoli Normali Esattoriali 
per gli Esattori Comunali di accettare le delegazioni 
con l'assunzione dell'onere del� non riscosso 
per riscosso>>, sono stati assunti, nell'economia 
della sentenza impugnata, in conseguenza della 
adottata interpretazione dell'art. 9 della L. O. R., 
ad elementi determinanti la << connessione necessaria 
�, presupposto della unicit� della tassazione. 
In tali statuizioni le violazioni denunciate sono 
certe. 

B) L'art. 9 della L. O. R., al secondo comma 
stabilisce che << un atto � che comprende pi� disposizioni 
necessariamente connesse e derivanti, per 
l'intrinseca loro natura, le une dalle altre, � considerato, 
quanto alla tassa di registro, come comprendesse 
la sola disposizione che d� luogo alla 
tassa pi� grave �. 


La lettera della norma -disposizioni necessariamente 
connesse e derivanti, per la intrinseca 
loro natura, le une dalle altre -ed il criterio ispiratore 
della stessa -evitare il carattere vessatorio� 
delle distinte tassazioni nei casi in cui le disposizionir 
anche se distinte, sono caratterizzate da una concatenazione 
logica s� da essere riassorbite nell'unico 
rapporto oggetto di tassazione -precisano, a 
chiare note, che l'ambito di sua applicazione abbraccia 
unicamente e soltanto la concatenazione� 
strutturale, oggettiva, concettuale delle disposizioni, 
secondo lo schema tipico del negozio e con 
una causa giuridica che assolva la stessa funzione 
economica e sociale. 


Ne restano escluse le concatenazioni occasionali 
soggettive, non concettuali, quale che sia la finalit�. 
che le concatenazioni stesse vogliono attuare. 


In tali casi, infatti, delle singole disposizioni � 
dato concepirne l'esistenza anche senza la concatenazione 
predetta. 


L'insegnamento della Corte di Cassazione � tassativo 
al riguardo. Nella sentenza 3 ottobre 1958r 


n. 3087 e 4 ottobre 1958, n. 3106 (la motivazione 
di quest'rutima � riportata nella <e Riv. Leg. Fisc. �, 
1959 col. 214 e segg.) � detto che, �ai sensi e per 
gli effetti dell'art. 9 della legge sull'imposta di 
Registro 30 dicembre 1923, n. 3269, se in un atto 
sono comprese pi� disposizioni indipendenti o non 
derivanti necessariamente le une dalle altre, ciascuna 
di esse � sottoposta ad imposta come se--�� 
formasse un atto distinto; nella quale norma di 
legge la nozione di disposizione indipendente va 
intesa nel senso di negozio giuridico autonomamente 
previsto dalle tariffe allegate alla legge di registro 
mentre quella di disposizioni necessariamente deri

-202


'Vanti le une dalle altre si delimita nel senso che essa 

� si verifica solo allorquando esista fra esse in forza 
di legge e non per mera volont� delle parti, una 
concatenazione logica necessaria, cos� da essere tutte 
riassorbite, per la loro natura, quali elementi indispensabili, 
nell'unico rapporto giuridico tassabile ai 
fini del registro. 
Nella sentenza 4 agosto 1941 Finanze contro 
Banca Trentino .Alto .�dige, � detto che: � .. . ove 
uno o pi� disposizioni siano necessariamente connesse, 
cio� interceda fra. loro un rapporto tale che 
l'una genera l'altra per la sua stessa indole, e soggetta 
a tassazione solo la disposizione che d� 
luogo alla tassa pi� grave �. 
Nella sentenza 29 maggio 1942, n. 1498 Banco 
Bertolli contro Finanze � affermato lo stesso prin-
0ipio: << perch� si abbiano due disposizioni connesse, 
.a norma dell'art. 9, � necessario che fra le due 
disposizioni vi sia una connessione informata a 
Tagioni di compenetrazione obiettiva, in guisa che 
non si possa concepire la sussistenza giuridica 
dell'una senza quella dell'altra �. 
Sempre lo stesso principio � affermato nella 
sentenza 13 febbraio 1951 Soc. Selt -Va.Jdarno contro 
Finanze in� Riv. Fiscale�, 1951, 279; 9 maggio 
1956, n. 1520 in <e G. Civ. Mass. ))' 1956, 513. 
In applicazione di tale principio � stata esclusa 
la connessione necessaria (cfr. Cassaz. 7giugno1947, 

n. 864 Istituto Romano Beni Stabili contro Finanze 
in cc Foro Ital. ))' 1947, 268) persino nel caso dell'obbligo 
del pagamento del prezzo nella compravendita 
qualora detto obbligo viene disciplinato dalle 
J>arti in modo particolare, con una speciale rateazione, 
col pagamento di interessi corrispettivi ad 
un tasso superiore a quello legale, con rimborso 
dell'imposta di ricchezza mobile, rilascio di cambiali 
e garanzia ipotecaria consensuale, perch� l'obbligo 
stesso viene ad assumere una fisionomia che, 
J>er sua natura, non deriva dal negozio di vendita. 
Lettera, pertanto, spirito informatore della norma 
.ed applicazione giurisprudenziale portano, necessaTiamente, 
a ritenere che: 

a) disposizione indipendente � quella di rapporto 
o negozio giuridico autonomamente previsto 
dalle Tariffe allegate alla legge di registro; 

b) tale disposizione � tassata in via separata 
.e distinta sempre che non costituisca un elemento 
integratore del negozio giuridico posto in essere, 
:Secondo lo schema tipico del negozio, quale � fis.
sato dalla legge; 

c) l'intervento della legge, dovendo soddisfare 
.all'esigenza di una connessione obiettiva ed inscindibile 
fra le varie disposizioni, che assolva alla 
.medesima causa giuridica -cc per l'intrinseca loro 
natura � richiede lo art. 9 citato -deve determinare 
una situazione non di accessoriet� della disposizione, 
ma di connaturale compenetrazione, con 
.esclusione di quei casi in cui la stessa impone 
delle cautele richieste da esigenze di opportunit� 
.amministrativa, che non influiscono sulla possibilit� 
di concepire il negozio ginridico anche senza le 
-0autele predette. 

O) I tre ordini di ragioni, pertanto, nei quali i 
giudici di appello hanno riscontrato gli estremi 
della connessione necessaria sono in violazione della 

dovuta interpretazione delle norme e sono frutto di 
un vizio logico di motivazione. Essi, infatti, integrano 
cautele indicate dalla legge per finalit� non 
proprie del negozio, ma per esigenze di buona ammi


nistrazione. � � � .. � 
L'art. 299 n. 3 del Testo unico della legge Comunale 
e Provinciale del 1934 disciplina le condizioni 
che abilitano i Comuni e le provincie a contrarre 
mutui, ma tale disciplina non risponde alla 
causa giuridica del negozio generale di mutuo ed 
a questo risultino legati da un vincolo di accessoriet� 
e non di connaturalezza, nel senso voluto 
dalle norme, di compenetrazione strutturale, oggettiva, 
concettuale. La disciplina predetta, prevedendo 
per i Comuni l'obbligo della garanzia e della 
indicazione dei mezzi di pagamento, assolve ad 
esigenze di buona amministrazione, di necessit� 
di bilancio e tali cose hanno una causa giuridica 
che assolve una funzione economica e sociale 
diversa da quella propria del mutuo, nello schema 
tipico previsto dalla legge civile. 
La mancanza per la Citt� di Torino di cespiti 
delegabili per legge con il conseguente esercizio 
della facolt� prevista dall'art. 94 del Testo unico, 
della Finanza Locale e l'assunzione da parte del 
Tesoriere Comunale, incaricato dei servizi di riscossione 
delle imposte di consumo dell'onere del non 
riscosso per riscosso, sono estrinsecazioni concrete 
della disciplina posta dal ricordato articolo 299 n. 3 
della legge Comunale e Provinciale e rispondono 
alla causa giuridica della disciplina suddetta, con 
esclusione assoluta della compenetrazione strutturale 
e concettuale con il negozio di mutuo. Le 
disposizioni relative alle delegazioni di pagamento 
costituiscono, infatti una voce separata e distinta 
dalla tariffa A della legge di Registro -art. 30 e, 
per la loro natura, la loro funzione, la loro 
causa giuridica nei contratti di mutuo stipulati 
dai Comuni, sono rishieste da norme diverse, separate 
e distinte da quelle regolatrici del contratto. 
Il mutuo dei Comuni, peraltro pu� essere garantito 
e soddisfatto anche con mezzi diversi senza 
che per tale fatto perda la �sua fisionomia e la sua 
vitalit�. 
Le delegazioni sui proventi delle imposte di consumo 
richiamano, pertanto, il concetto della accessoriet� 
e non della connaturalezza con il negozio di 
mutuo garantito a norma dell'art. 299, terzo comma 
della Legge Comunale e Provinciale. 

II -T1iolazione e falsa applicazione dell'art. 9 della 
Legge di Registro 30 dicembre 1923, n. 3269, 
dell'art. 5 della legge 17 ottobre 1922, n. 1401 
sulla riscossione delle Imposte Dirette, dell'art. 9 
del Decreto del Ministero delle Finanze 18 settembre 
1923 con norme esecutive ed interpretative 
della legge sulle riscossioni (Capitoli Normali esattoriali) 
-Omessa insuff�ciente e contraddittoria 
motivazione sul punto decisivo. -Ai sensi e per 
gli effetti dell'art. 360, nn. 3 e 5 del O. p ... c: 

A) I giudici di appello nel presupposto che la 
connessione necessaria derivante da norme di legge, 
non � soltanto quella strutturale propria fra le 
varie obbligazioni a seconda del tipo del contratto, 
ma anche quella resa necessaria da norme cogenti 


--���-------



---�-------------------------~-----~----------------


-203


diverse da quelle regolatrici del contratto, hanno 
poggiato la loro decisione su tre ordini di motivi: 
-a) sull'oblbligo posto ai Comuni dell'art. 299, n. 3 
della legg-e Comunale e Provinciale del 1934 di 
garantire l'amm01�tamento dei mutui determinando 
i mezzi per provvedervi ; b) sulla mancanza per 
la Oitt� di Torin� -di ,oospiti de1'egabiji iper le1gge 
con consegue-nte esercizio della facolt� prevista -
dall'art. 94 del T-esto unico sulla finanza locale del 
1931; o) sull'obbligo .del non riscosso per riscosso 
posto dall'art. 9 dei Capitoli Normali per Esattori 
Comunali di accettare le delegazioni di pagamento 

tratte dai Comuni. 
La erroneit� del presupposto dal quale i giudici 


idi appello haru10 �preso le mosise, iJ.}ustrata nel 
primo motivo, travolge, la sentenza da Essi pronunciata.. 


Pari erroneit�, per� inficia-, sia sotto il profilo 
di violazione di legge che di vizio logico di motivazione, 
con omesso esame di punto decisivo, l�e 
affermazfoni che, nel presupposto predetto, sono 
state fatte in pa1�ticolare. 

B) sub a) L'art. 299, terzo comma della legge 
ComunaJ,e e Provinciale del 1934 impone ai Comuni 
l'obbligo di garantire l'ammortamento dei mutui 
determinando i mezzi per provvedervi. 


Le delegazioni .sono in estrinsecazione dell'obbligo 
generale suddetto e sono frutto della libera 
.scelta della parte che alle stes�se fa ricorso per 
~1ssolv�ere non le �esLg-e.nie causali -e fun.zionaJi del 
mutuo, ma quelle della buona amministrazione e 
della situazione contingente dei bilanci. 

sub b) L'avere la Citt� di Torino esaudto gli 
altri cespiti e l'essere stata costretta. a� ricorrere ai 
proventi futuri delle imposte di consumo, non 
deriva da norme cogenti, ma dalla situazione patrimoniale 
contingente che, riconosciuta. nella 
.competente sede gerarchfoa, abilita. all'esercizio 
della facolt� ipotizzata nell'art. 94 del Testo unico 
della Finanz-Hi locale del 1931. Non vi � dubbio, infa,
tti che se i1a Oi-tt� di TiOrino aviesse in 00n10reto 
potuto ricorrere ad altre fonti patrimoniali per 
fronteggiare gli oneri del prestito, il ricorso ai 
p~ov,enti de'IJle iim�poste di 00ill�SUIDO sairebbe lIIlaillcato, 
senza che, per tale fatto, sarelbbe ma-ncato 
.anche il mutuo. Nell'ambito stesso delle delegazi,
oni di pa-gamen to JVi � di1stinzion�e d':ra facoltatwe 
ed obbligatorie: le une, v. � Nuovissimo Digesto 

Italiano�, Yoc.e Delegazioni di pagamooto -Diritto 
Finanziario) 5, pag. 358, �sono quelle che i 
<Comuni e gli altri Enti in veste, di mandatari si 
-obbligano a rilasciare in base ad un accordo con 
gli Enti mutnanti liberamente -stipulato, facendo 
ricor-so alla facolt� prevista dal ricordato art. 94 
del Tei,;to unico della Finanza locale ; le altre sono 
-quelle che i Comuni sono obbligati a rilasciare a 
favore degli Enti Comunali di assistenza, deHe 
Amministrazioni degli Ospedali e delle Istituzioni 
di Beneficenza, quando sono debitori verso questi 
Enti per le spese di speda1it� da essi anticipate. 

sub e) L'obbli~go del n-0-n .riscosso IJ)er riscosso � 
�posto a cariCi) dell'Esattore per i tributi comunali 
esigibili mediante Ruoli, in quanto tale obbligo 
:sorga per legge o per contratto Esattoriale. L'art.5 
-ultima pa.rte della legge di Riscossione del 1922 � 

tassativa al riguardo. Per le imposte di consumo 
in gestione diretta per le qua-li il Comune provvede 
direttamente all'accertamento ed alla riscossione, 
affidandone il solo esercizio di .cassa ad,_nn Ente 
distinto, Tesoriere Comunale, l'obbligo predetto non 
� posto n� dalla legge n� dal contratto Esattoriale 
che, nel particolare sistema, non entra affatto in 
gioco. E questo � il caso della citt� di Torino. 
Essa infatti provvede alla gestione diretta del s-ervizio 
delle imposte di consumo e la Cassa di Risparmio 
in quella sede, in funzione di Tesoriere, ha solo 
il servizio di cassa. 

Il richiamo all'art. 94 del Testo unico sulla 
Finanza Locale non � affatto risolutivo in contrario. 
Detto articolo precisa soltanto che, nel concorso 
di varie altre condizioni, sono delegabili le imposte 
di consumo la cui riscossione sia data in carico 
all'appaltatore delle imposte stesse e, nel caso di 
gestione diretta, all'Esattore delle imposte dirette 

o al Tesoriere Comunale, con le condizioni stabilite 
dalla legge sulla riscossione delle imposte dirette. 
In mancanza le imposte pi� volte dette non sono 
delegabili. Esso, pertanto, non pone affatto l'obbligo 
per l'Esattore o il Tesoriere dell'assunzione 
della riscossione con la clausola del non riscosso 
per riscosso, n� avrebbe potuto porlo non essendo 
l'art. 94 la sede che regola i rapporti di Esattoria 
e di Tesoreria. L'assunzione predetta resta una mera 
facolt� della Tesoreria e se ricorre, ci� avviene per 
libera determinazione contrattuale. 

In mancanza di tale assunzione volontaria il 

Tesoriere, diversamente per quanto avviene per 

i tributi riscuotibili mediante Ruoli e per i quali 

agisce in funzione di Esattore Comunale, non ha 

affatto, per le imposte di consumo, l'obbligo di 

versare l'importo accertato, del qua1e, per� non 

sia stato possibile l'esazione. 

Il Tesoriere Comunale estingue i mandati nei 
limiti dei fondi stanziati in bilancio e se non sono 
conformi alle disposizioni di legge pu� rifiutarsi 
di pagarli (T. U. 3 marzo 1934, n. 383 art. 325). 

Egli ha dunque nei confronti dell'ordine di paga


mento fattogli dalla Amministrazione una certa 

facolt� discrezionale di apprezzamento circa le 

circostanze in cui avviene o deve avvenire il paga


mento. 

Per le delegazioni, pertanto, sui proventi delle 
imposte di consumo in gestione diretta l'obbligo 
giuridico per il Tesoriere di firmare le delegazioni 
stesse e di versarne alla scadenza l'importo relativo 
con l'onere del non riscosso per riscosso, non ricorre 
affatto. L'art. 9 dei Capitoli Normali Esattoriali, 
approvato con D. M. 18 settembre 1923, infatti, 
tale obbligo giuridico pone per le delegazioni sui 
proventi delle imposte di consumo, che siano state 
�affidate in riscossione agli Esattori�, e ci� ovvia-_ 
mente, in appalto o con altro sistema. In mancanza 
-� il caso della Citt� di Torino -il Tesoriere 
Comunale che esplicando il solo servizio qJ ~assa, 
sottoscriva le delegazioni ed accetti in maniera_ 
espressa l'obbligo di versarne alla scadenza l'importo 
con l'onere del non riscosso per riscoAso, 
assume una obbligazione autonoma . che esula dal 
normale rapporto di Tesoreria, quale � regolato 
dalla legge e dal Contratto Esattoriale e di Tesoreria. 



-204



Chiarito, pertanto, che per i Tesorieri Comunali 
non ricorre affatto l'obbligo di legge, per i proventi 
delle imposte di consumo in gestione diretta 
dei Comuni, di accettare le delegazioni di pagamento 
e di versarne alla scadenza l'importo ultra 
vires, l'obbligazione in concreto assunta, d� luogo 
ad un negozio che, distinto da quello di mutuo, 
� chiamato a spiegare una vera e propria funzione 
di garanzia che si affianca, per volont� delle parti, 
al sinallagma proprio dei rapporti Citt� di Torino Istituto 
Bancario di San Paolo a quella sede. 
L'Ingrosso, in cc Foro Ita�. �, 1938, 546, parla, infatti, 
di accollo cumulativo. 

Non a caso, d'altra parte, nel rogito Burlando: 
a) l'obbligazione pi� volte detta del versamento 
con l'onere del non riscosso per riscosso � stata 
espressamente sancita, con la partecipazione del 
Tesoriere Comunale, attraverso una precisa manifestazione 
di volont� dello stesso; b) il Comune 
ha assunto l'obbligo di far sottoscrivere le future 
delegazioni con l'onere del cc non riscosso per riscosso 
� dal futuro Tesoriere ovvero dell'appaltatore, 
nel caso di gestione in appalto. 

Il carattere convenzionale dell'obbligazione da 
detta manifestazione di volont� non poteva prescindere 
e, con i rilevati caratteri, non risulta affatto 
legata da connessione necessaria, per forza di legge, 
con il negozio di mutuo. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Decisione delle Commis� 
sioni Amministrative in tema di valutazione -Ricorso 
all'A.G.o. a norma dell'art. 29 del R.D.L. 1 agosto 
1936, n. 1639 -Decisione Definitiva -Nozione Estremi. 
(Tribunale L'Aquila, 24 aprile-10 giugno 
1963 -Pizzoferrato ed altri c. Finanze). 

La decisione pronunciata dalla Commissione 
Distrettuale�delle Imposte in sede di determinazione 
del valore nei trasferimenti della ricchezza, non 
impugnata nei termini e nei modi prescritti alla 
Commissione Provinciale delle Imposte, � definitiva 
ed avverso la stessa � ammissinile l'azione 
giudiziaria prevista dall'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 
1936, n. 1639 per mancanza ed insufficienza 
di calcolo e per grave ed evidente err�re di apprezzamento. 
Proposto, per�, il ricorso alla Commissione 
Provinciale l'azione giudiziaria � ammissibile 
solo dopo la decisione che dalla stessa sar� 
emessa. 

La sentenza � cos� motivata: 

Come � noto, anche in materia di imposte indirette 
-senza alcuna limitazione -l'Autorit� 
Giudiziaria ordinaria pu� essere adita per questioni 
di diritto e per questioni di fatto connessa a questioni 
di diritto (estimazione complessa). 

Vale, quindi, anche per dette imposte il principio 
ipotizzato nell'art. 6 della legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, ribadito, peraltro, in successive disposizioni 
di legge in base al quale dalla competenza 
dell'Autorit� giudiziaria sono escluse le questioni 
di estimazione semplice. E ci� anche se l'art. 29 
del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 che suddivide 
le controversie relative alle imposte indirette sui 
trasferimenti della ricchezza in due categorie, 
attinente la prima alla dete:rminazione . .Q.el valore 
(terzo comma) e la seconda all'applicazione della 
legge (quarto comma) abbia, con la prima di dette 
categorie, introdotto una eccezione a tale prin, 
cipio (sia pure limitata., come si chiarir� in seguito) 
permettendo, a maggiore tutela degli interessi del 
contribuente, che l'Autorit� giudiziaria ordinaria 
possa esercitare, per grave ed evidente errore di 
apprezzamento o insufficienza di calcolo, un controllo 
sulle questioni di determinazione del valore 
(quindi, di estimazione semplice) ed anche se, per 
tale controllo, ed in ispecie per il potere di annullamento 
della decisione viziata, non possa escludersi 
che, in de1�oga al principio dell'autonomia dei 
due giudizi (e sia pure per il solo controllo dell'errore 
di apprezzamento o della insufficienza di calcolo), 
una certa interferenza abbia a verificarsi 
tra giurisdizione speciale e giurisdizione ordinaria. 

Contrariamente a quanto avviene per le imposte 

dirette riscuotibili col sistema dei ruoli, per le 

quali l'azione giudiziaria pu� proporsi soltanto 

dopo che si sia reclamato alla giurisdizione speciale, 

e, propriamente, soltanto dopo che sia intervenuta 

una decisione definitiva anche soltanto della Com


missione distrettuale o di quella provinciale, in 

materia di imposte indirette, invece, l'azione giu


diziaria pu� proporsi indipendentemente da quella 

amministrativa, ed anche durante, e dopo, la 

pendenza del giudizio davanti alle Commissioni 

amministrative. 

N� pare sostenibile che ilD. L. del 1936, n. 1639, 

con gli artt. 28 e 29, quarto comma abbia, in 

modo diretto o mediato, aibrogato alle disposi


zioni ipotizzate nell'art. 93 della legge tributaria. 

sulle successioni, approvata con R. D. 30 dicem


bre 1933, n. 3270 e nell'art. 145 della legge di re


gistro R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269; disposi


zioni che, facultando il contribuente ad opporsi 

all'ingiunzione fiscale o in via amministrativa o in 

via giudiziaria, consentono di dedurre che il debi


tore possa ricorrere alla Autorit� Giudiziaria ordi


naria direttamente e cio� senza che prima sia stata. 

adita l'autorit� amministrativa. 

Invero l'art. 28 dalla citata legge del 1936, in 

base al quale la risoluzione in via amministrativa. 

delle controversie relative all'applicazione delle 

imposte di registro, di successione ed in surroga


gazione di manomorta ed ipotecarie, � demandata 

alle Commissioni amministrative per le imposte 

dirette, autorizza a ritenere che il legislatore abbia 

inteso cc unificare l'organo giurisdizionale chiamato 

a decidere in sede amministrativa le controversie 

tributarie, senza distinzione tra imposte dirette ed 

indirette� (Cass. 19 novembre 1954, n. 4246), ma. 

non ad estendere alla categoria delle imposte indi


rette il sistema processuale proprio delle imposte. 

dirette (esercizio dell'azione giudiziaria subordina


tamente all'esperimento del ricorso in via amminF 


strativa), essendo una tale estension� completa


mente estranea alla sua sfera normativa. 

A sua volta l'art. 29, quarto ed. ultimo comma, 

della stessa legge del 1936, concernente la determi



-205


nazione della competenza della Commissione amministrativa 
in materia di imposte indirette, se � 
vero che fu salvo il ricorso alla Autorit� giudiziaria, 
avvalorando l'interpretazione che il ricorso 
stesso non possa che essere successivo al reclamo 
amministrativo, � altrettanto vero, per�, che lo fa 
salvo nei modi e termini stabiliti dalle vigenti leggi, 
e cio� richiamando le precedenti norme sul contenzioso 
delle imposte indirette (cfr. sentenza citata). 

Ad avvalorare l'affermazione di principio in esame 
concorre, poi, �nche l'art. 39 R. D. 1937, 

n. 1516, il quale -e si badi bene con espresso 
richiamo al quarto ed ultimo comma del pi� volte 
<iitato art. 29 della legge del 1936 -stabilendo 
il modo in cui debbono essere inviati alla Commissione 
per la. decisione di merito gli atti relativi al 
ricorso �in sede di procedura coattiva contro la 
quale sia stata fatta dal contribuente opposizione 
giudiziale �, chiaramente lascia intendere che il 
debitore possa immediatamente adire lAutorit� 
giudiziaria ordinaria, prescindendo dal ricorso 
:amministrativo. 
Se il caso specifico previsto dal terzo comma. del 
pi� volte citato art. 29 della legge del 1936 si 
estranea -c�me gi�, innanzi si � detto -in via 
di limitata eccezione (e di limitata eccezione, perch� 
l'intervento dell'Autorit� giudiziaria ordinaria nella 
determinazione del valore � limitato soltanto al 
.controllo dell'errore di apprezzamento o della man.
canza o insufficienza di calcolo), dal principio sopra 
riferito, in base al quale; anche in tema di imposte 
indirette, lAutorit� giudiziaria ordinaria non pu� 
essere adita per le questioni di diritto o promiscue 
e non per le questioni di estimazione semplice, lo 
stesso caso specifico del terzo comma si estranea 
pure dall'altro principio pure sopra riferito, in 
base al quale, sempre in tema di imposte indirette 
e per questioni di diritto o promiscue, l'azione 
giurisdizionale amministrativa non � condizione 
per l'azione giudiziaria. 

E si estranea da quest'ultimo principio in primo 

� luogo per il modo letterale in cui lo stesso comma 
terzo lo esprime. 
Invero detto comma, nello stabilire che il giudizio 
delle Commissioni provinciali sulle questioni 
�che si riferiscono alla determinazione di valore � 
definitivo, fa salvo �il ricorso all'autorit� giudiziaria 
per grave ed evidente errore di apprezzamento 
ovvero per mancanza o insufficienza di calcolo 
nella determinazione del valore �; ma non lo 
fa salvo come nel successivo quarto comma e cio� 
� nei modi e termini stabiliti dalle vigenti leggi �. 

Orbene se, per avere il legislatore espressamente 
:richiamato nel comma quarto i << modi e termini 
.stabiliti dalle vigenti leggi �, s'� sopr� respinta, 
in tema di controversie per questioni di diritto o 
�Complesse, l'interpretazione che il ricorso non possa 
.che essere successivo, e cio�, che l'Autorit� giudiziaria 
non possa che essere adita posteriormente 
.alla decisione amministrativa, il non averli invece, 
.detti modi e termini, espressamente richiamati 
nel precedente comma terzo, sta per contrario, ad 
:avvalorare la tesi che, in tema di controversie per 
il controllo dei gravi ed evidenti errori di apprezzamento 
o della mancanza o insufficienza di calcolo, 

il ricorso non possa che essere successivo alla decisione 
amministrativa. Ed in secondo luogo si estranea 
per il suo stesso contenuto sostanziale. 

Invero il caso previsto dal rip.etuto colll..ma ter~o 
non pu� che presupporre necessariament~ una precedente 
decisione, non apparendo ovviamente 
possibile sindacare la legittimit� di una decisione 
ti per di pi� annullarla, senza che essa esista. 

A maggior ragione, poi, se si considera che secondo 
il costante insegnamento della Suprema 
Corte, l'art. 29 (terzo comma) in esame va posto 
in relazione all'art. 42 del R. D. del 1937, n. 1516, 
che l'esistenza di una decisione espressamente prevede, 
laddove stabilisce che �le decisioni delle 
Commissioni distrettuali e di quelle provinciali ... 
debbono contenere una sommaria motivazione ... � 

Che detta decisione possa dar luogo all'azione 
giudiziaria ordinaria per grave ed evidente errore 
di apprezzamento o mancanza o deficienza di calcolo 
soltanto dopo che sia divenuta definitiva, non 
pare che possa dubitarsi (cfr. Cass., 23 marzo 1957, 

n. 988). � lo stesso comma terzo dal citato art. 29 
a fare riferimento ad una decisione definitiva. 
D'altra parte, un sindacato di legittimit� nei limiti 
ristretti del grave ed evidente errore di apprezzamento 
e della mancanza o deficienza di calcolo 
potrebbe non risultare utile se dovesse riguardare 
una decisione che non fosse definitiva . 
Che detta decisione, per essere definitiva, debba 

poi necessariamente essere emessa dalla Commis


sione provinciale � ipotesi da escludere. . 

Secondo il costante insegnamento della S. C. 

(tra altre, citata sentenza n. 988 del 1957) la deci


sione �, infatti, definitiva, oltre che per il suo con


tenuto sostanziale, principalmente perch� non � 

pi� �soggetta ad impugnazione o ad ulteriore im


pugnazione in via amministrativa per difetto di 

gravame nei termini e nei modi prescritti �, 

Nel caso in esame -e con espresso richiamo a 

quanto gi� si � detto in narrativa -pu� darsi atto 

che contro la decisione della Commissione distret


tuale pende ricorso alla Commissione provinciale. 

Ne � prospettabile, in base a quanto risulta dagli 

atti; l'ipotesi di una rinunzia al ricorso stesso; 

rinunzia, peraltro, non prospettata neppure dagli 

interessati, tanto meno in modo circostanziato 

e formale. 

Manca quindi per potersi considerare validamente 
adita l'autorit� giudiziaria ordinaria (e, 
di conseguenza, questo Tribunale) il presupposto 
della decisione definitiva prescrittio dal citato 
comma terzo dell'art. 29. 

DEL RICORSO ALL'A.G.0. AVVERSO LE DECISIONI 
EMESSE DALLE COMMIS~IONI AMMINISTRATIVE 
IN TEMA DI VALUTAZIONE, PER MANCANZA E 
INSUFFIOENZA DI CALCOLO E PER GRAVE ED 
EVIDENTE ERRORE DI APPREZZAMENTO. 

Il D. L. 7 agosto 1936 (convertito nel:l:a � legge 
7 giugno 1937, n. 1061 che con il D. R. 8 lugliodel 
1937, n. 1516 ha riformato il preesistente ordinamento) 
ha disciplinato con p1�ocedu�re diverse, pur 
provvedendo all'unificazione dell'organo di giurisdizione 
speciale, la ri8oluzione delle controversie aventi 


-206 



per oggetto le imposte dirette e quelle aventi per oggetto 
le controversie in tema di impost6 indirette. 

Infatti gli artt. 22 e segg. della legge citata hanno 
stabilito che la 1�isoluzione di tiitte le controversie in 
tema di imposte dirette � demandata, rispettii,amente 
in primo e secondo grado, alle Commissioni Distrettuali, 
ed a qiwlle Pr01iinciali e che contro le decisioni 
delle Commissioni provinciali, quando si tratti di 
questioni di diritto (in esse comprese quelle di <cestimazione 
complessa �) � ammesso ricorso alla Commissione 
centrale. 

Lo stesso articolo espressamente ammette 1'.Z diretto 
ricorso all'autorit� giudiziaria, contro una decisione 
della Com1nissione provinciale o distrettuale, purch� 
si tratti di questione non riguardante semplice 
estimazione dei redditi (cfr. art. 6 legge 20 marzo 
del 1865, allegato E). Dalla lettera della legge risulta 
con evidenza un primo punto e cio� che le controversie 
di semplice estimazione sfuggono in ogni grado 
all'esa'Ylie dell'.A..G.O. 

Diverso � invece il sistema fissato dal legislatore 
in materia d'imposte indirette. 

L'art. 29 della legge sopra citata dispone infatti 
che: cc la competenza delle Commissioni amministrative 
in m�teria di imposte indirette sui trasf erimenti 
di ricchezza � determinata nel modo seguente: 

le controversie che si riferiscono alla determinazione 

del valore sono decise in prima istanza dalle Com


missioni distrettua.li e in secondo grado da quelle 

provinciali �. 

Il giudizio delle C6m1nissioni provinciali sulle 
questioni di cui al comma precedente � definitivo, 

salvo ricorso all'autorit� giudiziaria per grave ed 

evidente errore di apprezzamento ovvero per man


canza o insufficienza di calcolo nella determinazione 

del valore. 

Tutte le altre controversie relative all'applicazione 

della legge sono decise in primo grado dalle Com


missioni provinciali e in secondo grado dalla Com


missione centrale, salvo il ricorso all'autorit� giudi


ziaria nei modi e termini di legge �. 

Dalla lettura della norma sopra riportata risulta 

chiaro che il legislatore ha inteso .nettamente distin


guere, pur nell'ambito delle controversie in materia 

di imposte indirette, due distinti procedimenti: 

1) quelli aventi ad oggetto questioni relative all'ap


plicazione della legge i quali sono di competenza in 

prima istanza delle Commissioni provinciali (nella 

speciale composizione prevista dall'art. 30) ed in 

seconda istanza della Commissione centrale. Contro 

quest'ultima decisione � ammesso ricorso all'autorit� 

giudiziaria (alla quale, peraltro, il contribuente o 

la Finanza possono sempre ri�orrere anche senza 

l'esperimento dell'azione amministrativa quando ci� 

sia consentito dalle leggi rifiettenti il tributo contro


verso; vedi ad esempio art.. 145 legge di registro; 

2) quelli aventi ad oggetto la risoluzione di questioni 

relative alla � determinazione del valore �, i quali 

invece sono devoluti alla competenza delle Commis


sioni distrettuaLi in I grado, provinciali in grado di 

appello. Contro quest'ultima � ammesso il ricorso 

all'autorit� giudiziaria, ma ci� per soli vizi di legit


timit� della decisione. 

La conseguenza immediata di tale distinzione � 

che mentre le controversie aventi ad oggetto la riso


02ii~ 

luzione d�i questioni di diritto possono essere portate 
contemporaneamente all'esame sia della giurisdizione 
amministrativa sia dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria, senza interferenze tra i due giudizi (fatto, 
q1testo, che ha portato all'affermazione del-principio 
di perfetta a.utonomia delle due giurisdizioni: confermo 
Cassazione Sezioni Unite, 19 gennaio 1957, 
-in � Riv. Leg. Jfiscale �, 1957, 725; conf. ved. DE 
MARINI in �Riv. Prat. Trib. �, 1949, II, 89; Cassazione 
12 aprile 1957 in �Dir. Prat. Trib.�, 1959, 
II, 297; Cassazione 7 litglio 1959 in �Riv. Leg. 
Fiscale�, 1958, 1727; CONTRA .ALLORIO, �Diritto 
Processuale Tributario�, Torino 1962, 400 e segg., il 
quale ritiene invece che tra giitdizio avanti la giu.risdizione 
speoia.le tributaria e l'autorit� giudiziaria 
ordinaria vi sia la stessa dipendenza che esiste nei 
giudizi di gravame. Per le controversie, invece, aventi 
ad oggetto la risuluzione di questioni relative alla 
determinazione del valore, il ricorso all'.A..G. d� 
luogo ad un controllo di legitti'Yliit� che non si sovrappone 
n� si sostituisce alla deeisione amministrativa; 
ma che porta o al riconoscimento della validit� delle 
decisioni o al loro annullamento. In quest'ultimo 
easo l'.A..G., la quale accerti l'illegittimit� della decisione 
della Commissione, non pu� sostituirsi al giudice 
amministrativo per determinare il giusto apprezzamento 
o l'esatto calcolo da seguire per stabilire il 
valore del bene, ma deve limitarsi (ove ne ricorrano~ 
beninteso, gli estremi fissati inderogabiwnente dalla;. 
legge; grave ed evidente errore di apprezzamento; 
assenza ed insufficienza di ea.lcolo), ad annullare la. 
decisione impugnata rimettendo quindi la vertenza;. 
alla stessa Commissione per riesame (la giitri8prudenza 
� costante sul punto cfr. Ca.~sazione 26 settembre 
1956, n. 3265 in �Mass. Foro It. �, 1956, 601, 

Cassazione 11 marzo 1958, n. 828 �Foro It. �, 
1958, I, 332; Cassazione 29 novembre 1958, n. 3818 
�Foro It. Mass. �, 1958, n. 792; Cassazione 15 gennaio 
1960, n. 24, ivi 1960~ 5, e da ultimo Cassazione 
Sezione Inite, 6 ottobre 1962, n. 2828 in �Giur. 
It. �, 1962; I, 1, 1486 oppure in �Foro Padano �> 
1962, 1, 1121). 


Da ei� dfacende, come ulteriore conseguenza., che 
in tema di controversia aventi ad oggetto la congruit�. 
del valore, non pit� parlarsi di autonomia del procedimento 
contenzioso amministrativo rispetto al giudizio 
avanti la giurisdizione ordinariti. 


Riconosciuto infatti che nelle controvers�ie rifiettenti 
le imposte dirette, nei giudizi di estimazione� 
non � ammesso il sindacato dell'.A..G.O. sulle decisioni 
delle Commissioni); e che in tema di valutazione 
in materia di imposte indirette ricorre autonomia 
del giudizio amministrativo rispetto a quello davanti 
all'.A..G. per essere quest'ultimo un controllo di legittinit� 
che ha come necessario presupposto una decisione 
�Definitiva '' delle Commissioni amministrative, 
l'ammissibilit� dell'impugnazione diretta 
di una decisione della Commissione distrettuale 
davanti all'.A..G. resta radicalmente esclusa. La. 
Cassazione in un suo solo e non recente ar.resto (sentenza 
11 aprile 1951 in � Riv. Leg. Fiscale �, 195J., .. _ 
611) � stato di diverso avviso e nello stesso senso si 
� pronunciato, in seguito il Tribunale di Milano 
(sentenza 17 giugno 1957 in � Foro Pad. �, 1957> 
2, 1019). 


-207


Il S. O. ha basato la tesi acfJolta sugli artt. 148 
legge di registro e 39 secondo comma della legge 
8 luglio 1937' n. 1516. 

Ha ritenuto, in particolare, la Oassazione che, 
prevedendo gli articoli sopra citati, la possibilit� di 
ricorso all'A.G. anche prima dell'esperimento dell'azione 
amministrativa, non fosse dubitabile che, 
l'art. 29 della legge 1936, facendo salvo il ricorso 
all'A.G. abbia altres� escluso che il reclamo alla Oommissione 
Prm,inciale possa costituire condizione di 
procedibilit� dell'azione stessa. Ma tale argomentazione 
non pu� condividersi. 

Sia infatti, l'art. 148 sia l'art. 39 sopra citati 
trovano applicazione solo nelle controversie aventi 
ad oggetto una questione di diritto �non in quelle 
in tema di valutazione n. 

Il primo comma dell'art. 39 secondo comma, 
richiama espressamente ed esclusivamente le controversie 
previste dal quarto comma dell'art. 29; (che 
prevede appunto le controversie relative all' applicazione 
della legge). Parimenti per l'art. 148 della 
legge di registro; gli artt. 34, 35, 36, 37 e 38 della 
stessa legge (ora abrogati proprio dalla legge n. 1639 
del 1936) infatti prevedevano per le contestazioni 
in tema di valutazione un particolare procedimento 
in sede giurisdizionale speciale e ne dichiaravano 
espressamente l'inderogabilit� (vedasi sopratutto al 
riguardo l'art. 36), obbligando l'Amministrazione 
a promuovere, in seguito alla opposizione del contribuente 
contro l'accertamento fiscale, gli atti relativi. 
Al collegio peritale sono state sostituite, con la legge 
del 1936, le Oommissioni amministrative, ma non � 
perci� venuta meno l'obbligatoriet� della proposizione 
dello speciale preliminare procedimento. 

Pi� gravi, ma superabili, sono i motivi addotti 
dal Tribunale di Milano nella decisione pi� sopra 
citata. 

A sostegno della tesi accolta il Tribunale ha richia1nato 
come conforme la giurisprudenza del Supremo 
Oollegio (sentenze 1 febbraio 1947, n. 123 in cc lf'oro 
It. n, 1947, I, 893 con nota di Berliri; 3 aprile 1949, 

n. 1069 in << lf'oro It. �, 1949, I, 833; Oassazione, 
19novembre1954, n. 4264 in cc Giur. Oompl. Oass. n, 
1956, VI, 3497); ma tale richiamo non � pertinente. 
Tutte le decisioni sopra citate prendono in esame 
il diverso problema della esperibilit� dell'azione giudiziaria 
in tema di controversie di diritto, su cui, 
come d'altronde � stato gi� chiarito, non possono 
sussistere dubbi. 

Si afferma inoltre che la parola � definitiva n 
usata dal terzo comma dell'a1�t. '29 della legge 1639 
del 1939 non pu� avere altro significato se non quello 
di escludere il ricorso alla Oommissione centrale (che 
� invece la regola in tema di controversie relative 
all'applicazione della legge) contro le decisioni emesse 
dalla Oommissione provinciale in tema di controversie 
di valore, mentre la stessa espressione non 
riguarderebbe l'impugnazione avanti all' A utorU� 
Giudiziaria delle stesse decisioni; che anzi avendo 
il legislatore usato le stesse parole adoperate nel 
comma seguente dello stesso articolo (il quale contempla 
controversie per le quali � pacifico che l'azione 
davanti l'A.G. � esperibile anche prima di ogni 
decisione delle Oommissioni) per far salva l'azione 

avanti ��l'A.G., implicitamente avrebbe confermata 
l'ammissibilit� di tale azione anche contro una decisione 
della Oommissione distrettuale. 

Aggiunge ancora la decisione che ulteriore argo1mento 
a sostegno della tesi accolta pu� trarsi dal raffronto 
dell'art. 29 con l'art. 22 della stessa legge. 
Quest'ultimo articolo concede infatti la facolt�. di 
adire l'A.G., anche contro una decisione �definitiva 
della Oommissione distrettuale o provinciale, purch� 
l'imposta sia stata iscritta a ruolo n. Dal che i giudici 
milanesi hanno tratto l'osservazione che sarebbe 
molto strano che il legislatore usando nell'art. 29 le 
stesse parole adoperate nell'art. 22, avesse attribuitoad 
esse un significato tanto diverso. 

Gli argomenti addotti, per quanto aouti, non sono� 
decisivi. Non convince innanzitutto il richiamo alla 
identit�. di espressioni usate dal terzo e quarto comtn(l, 
dell'art. 29, perch� tale identit� non sussiste in quantoil 
quarto comma, mentre omette di richiamare proprio 
la parola �definitiva� (che non ha solo il significato 
che gli ha attribuito il Tribunale di escludere il 
ricorso alla Oommissione centrale, ma ha anche quella 
di non consentire il ricorso all'A. G. contro una decisione 
non definitiva, che non abbia cio� percorso tuttol'iter 
previsto dalla legge), richiama invece la norma.tiva 
vigente per ciascuna imposta, il che consente 
(specie in materia di imposta di registro) il ricorsa 
all'A. G., senza che sia stata addirittura iniziata 
l'azione davanti alle Oommissioni aniministr<itive: 
vedi artt. 145e148. N� conviene il richiamo allart. 22, 
nel quale risulta evidente che la parola definitiva 
ha un significato (non soggetto a gravame per scadenza 
del termine) ben diverso da quello che la stessa parola 
ha nell'art. 29 (impugnabile solo davanti all'A. G.). 

Il Tribunale non ha considerato infatti (mentre 
proprio il richiamo all'art. 22 avrebbe su ci� dovuta 
richiamare l'attenzione) che in tema di imposte dirette 
l'azione davanti all'autorit� giudiziaria � consentita 
solo per le controversie che abbiano ad aggetta 
questioni non attinenti alla semplice estimazione dei 
redditi (cio� questioni di diritto), mentre le controversie 
in tema di estimazione semplice sfuggonoaddirittura 
all'esame dell'autorit� giudiziaria ordinaria. 


E sfuggita in sostanza al Tribunale la natura del 
tutto particolare che riveste il giudizio di valutazione 
in materia di imposte indirette previsto dall'art. 29, 
terzo comma della legge del 1936. Ammettendo infatti 
un cont1�ollo, sia pure di mera legittimit�, sull'operato 
delle Oommissioni da parte dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria, il legislatore ha creato un istituto nuovo� 
che non ha riscontro alcuno per le imposte dirette. 

Oi� precisato, due motivi sono decisivi per l'opposta 
tesi: l'uno di origine storico letterale, l'altrodi 
ordine logico-sistematico. 

Il primo rifiette il significato della pm�ola defini� 
tivo usato dal legislatore del 1936. Non sembra iflubbio 
oggi, anche a coloro che pi� strenuamente difendono-
la tesi dalla natura giurisdizionale delle QQmmissioni 
tributarie (ved. ALLoRro, op. cit., pag. 578 dqve_ _ 
viene �riesaminata funditus tutta la questione e dove si 
rimettono anche ampi richiami di giurisprudenza 
e dottrina) che l'intendimento iniziale del legislatore, 
anche se poi l'evoluzione della legislazione e dell'interpretazione 
ha portato ad accogliere la soluzione 


-;aul) 


contraria, fosse quello di creare con le Commissioni 
tributarie degli organi amministrativi (e non giuri.
sdizionali) di controllo e di giustizia nell'ambito della 
Amministrazione Finanziaria. Da questa constatazione 
deriva che la parola � definitivo n usa,ta nel 
terzo comma del pi� volte citato art. 29 non pu� 
avere altro significato se non quello che la parola 
� definitivo n ha per gli atti amministrativi. 

Ora non sembra dubbio, secondo l'insegnamento 
costante della dottrina e della giurisprudenza, che 
un atto amministrativo � definitivo, non quando siano 
.scaduti i termini per impugnarlo davanti all'organo 
.superiore, ma solo allorch� abbia percorso tutti l'iter 
gerarchico. e l'organo superiore in grado abbia emesso 
una valutazione ultima e per questo detta definitiva. 

Ora quando l'art. 29 dichiara che � definitiva la 
decisione della Commissione Provinciale vuol non 
.solo dire che contro di essa non � ammesso ricorso 
alla Commissione centrale, ma sopratutto che tale 
decisione rappresenta l'ultima e cio� definitiva nella 
scala gerarchica; il che esclude l'amniissibilit� del 
ricor.'lo contro una decisione della Commissione di.
strettuale che, se non impugnata nel termine, deter� 
mina in modo definitivo il valore del bene della cui 
valutazione si tratta, ma che mai potr� qualificarsi 
decisione definitiva e quindi soggetta al controllo 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria. 

Il secondo motivo, di ordine logico e sistematico, 
.si ricava per assurdo portando alle estreme conseguenze 
la tesi avversata. Se infatti fosse ammissibile, come 

ritiene il Tribunale nella annotata decisione, impugnare 
davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria una 
deeisione di una Commissione distrettuale nei cui 
confronti sia scaduto il termine di impugnativa avanti 
alla Commissione provinciale (o ii cui s� sia rinunziato), 
si verificherebbe che, qualora l'autorit� giiidiziaria 
ordinaria dovesse ritenere esistente alcuno 
dei vizi denunziati, dovrebbe annullare la decisione 
e rimettere gli atti ad una diversa Commissione distrettuale 
per nuovo esame, rendendo cos� possibile, 
contro la decisione emessa in questa nuova sede, 
l'esperimento del ricorso alla Commissfone provinciale, 
quando da tale diritto (vuoi per effetto della 
scadenza del termine vuoi per rinunzia) si era in 
precedenza decaduti. 

L'assurdit� delle conseguenze dimostra altres� 
l'erroneit� della tesi che si contrasta ed � ulteriore 
e definitivo argomento della soluzione prospettata. 
N � si obbietti che ci� potrebbe verificarsi anche per le 
imposte dirette per le quali l'art. 22 ammette il ricorso 
all'autorit� giudiziaria ordinaria, anche contro una. 
decisione della Commissione distrettuale, purch� 
�definitiva n. 

L'obiezione infatti prescfode da quanto gi� chiarito 
e cio� che il giudizio dell'A.G.O. in tema di imposte 
dirette � ammesso solo in tema di controversie 
di diritto, per le quali non � previsto n� consentito 
un giudizio di controllo da parte dell'A.G.O. trattandosi 
invece di giudizio autonomo e quindi senza rimessione 
alle Commissioni. 

ADRIANO ROSSI 

PROCURATORE DELLO STATO 


INDICE SISTEMATICO 
DELLE e o N s u L T A zI o���N I 


LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN �LOUN MODO LA SOLUZIONE �OHE NE E' STATA DATA 

ACQUE PUBBLICHE 

LAGHI. 

Se un lago, quale il lago di Lesina, che sia in diretta 
comunicazione col mare, quando la efficienza di tale 
comunicazione sia condizionata all'opera dell'uomo di 
escavazione dei materiali che si accumulano lungo i 
canali, abbia le caratteristiche di libera comunicazione 
col mare volute dall'art. 28 lettera b) del Codice della 
Navigazione per essere considerato bene del demanio 

(n. 76). 
AERONAUTICA E AEROMOBILI 

!'ILOTI MILITARI IN CONGEDO -PREMIO DI ALLENAMENTO 
AL VOLO. 

1) Se il premio di allenamento al volo per i militari 
piloti in congedo concesso con R. D. L. 20 luglio 1934, 

n. 1302 spetti anche a coloro che compiono le prescritte 
<>re di addest.ramento presso organizzazioni aeronautiche 
civili (n. 12). 
2) Se al premio di allenamento al volo sia applicabile 
la prescrizione biennale di cui al R. D. 19 gennaio 1939, 

n. 295 (n. 12). 
AMMINISTRAZIONE PUBBLICA 

CONCESSIONARI DI OPERE PUBBLICHE. 

1) Se il concessionario di opere pubbliche possa acquisire 
i poteri di rappresentante dell'Amministrazione 
concedente per l'acquisto di aree necessarie alla esecuzione 
dell'opera concesAa (n. 269). 

�CONSIGLIO NAZIONALE RICERCHE -CANONE DI ABBONAMENTO 
TELEFONICO, 

2) Se spetti anche al Consiglio Nazionale delle Ricerche 
il trattamento a riduzione per il canone di abbonamento 
telefonico urbano del quale fruiscono le Amministra:
zioni dello Stato (n. 270). 

CONTRATTI DI ASSICURAZIONE. 

3) Se le Amministrazione dello Stato possano stipulare 
contratti di assicurazione per i danni dalle medesime 
patiti o arrecati a terzi (n. 271). 

CROCE ROSSA ITALIANA -ACQUISTO DI BENI IMMOBILI. 

4) Se sia necessaria l'autorizzazione governativa per 
l'acquisto di beni immobili da parte della C. R.I. (n. 272). 

FORO ERARIALE. 

5) Se, a norma delle disposizioni sul foro erariale, il 
giudice competente a conoscere della causa relativa ad 
un infortunio occorso in occasione di un trasporto ferroviario 
sia la Corte di Appello nel cui distretto si trova 
il luogo dell'incidente anche se il tratto in cui questo 
si � verificato appartenga ad un Compartimento della 
Amministrazione ferroviaria sito entro il distretto di 
altra Corte di Appello (n. 273). 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI -DIRITTO DI ESCLUSIVA. 

6) Se il diritto di esclusivit� che spetta alla Amministrazione 
postale per i servizi di posta e telecomunicazione, 
e, in particolare per quelli relativi alla raccolta, 
trasporto e distribuzione della corrispondenza espistolare, 
sia operante anche nei confronti delle altre Amministrazioni 
statali (n. 275). 

UNIONE NAZIONALE INCREMENTO RAZZE EQUINE. 

7) Se l'U.N.I.R.E. sia da considerarsi ente pubblico 
economico (n. 276). 

ASSICURAZIONI 

CONTRATTI DI ASSICURAZIONE. 

Se le Amministrazioni dello Stato possano stipulare 
contratti di assicurazione per i danni dalle medesime 
patiti o arrecati a terzi (n. 60). 


-210


CAMBIALI 
IMPOSTA DI BOLLO. 

Se una cambiale gi� compilata e rimasta inutilizzata 
possa in un secondo tempo essere usata per la emissione 
di un nuovo titolo, previe le opportune correzioni ed 
eventualmente la integrazione del bollo mediante apposizione 
di marche (n. 7). 

CITTADINANZA 

OPTANTI ALTO-ATESINI. 

Se coloro che siano nati cittadini italiani ed abbiano 
quindi acquisito la cittadinanza germanica per avere il 
loro genitore optato per quest'ultima ai sensi della legge 
21 agosto 1939, n. 1341 possa ottenere il riacquisto della 
cittadinanza italiana dopo che ci� sia stato definitiva � 
mente negato al genitore per indegnit� in applicazione 
del D. L. 2 febbraio 1948, n. 23 avvalendosi, come 
residenti in Italia, delle disposizioni di cui agli artt. 3, 

n. 1 e 2 e 9 n. 1 della legge organica 13 giugno 1912, 
n. 555 (n. 14). 
COMMERCIO 

ASSUNZIONE SERVIZIO DI RISOALDAMENTO -IMPOSTA DI 
REGISTRO. 

Se i contratti con i quali le aziende grossiste di olio 
combustibile assumono la gestione degli impianti di 
riscaldamento invernale presso i condomini, ai fini del 
trattamento tributario di registro, debbano qualificarsi 
vendite o appalti (n. 19). 

COMPROMESSO ED ARBITRI 

ART. 45 LETTERA d) Nuovo CAPITOLATO D'APPALTO 
PER I LAVORI DELL'AMMINISTRAZIONE DEI LAVORI 
PUBBLIOI. 

Se competa all'Amministrazione dei Lavori Pubblici 
la nomina dell'arbitro, di cui all'art. 45 lettera d) del 
nuovo Capitolato generale di appalto approvato con 

D. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063, nell'ipotesi in cui la 
Amministrazione appaltante sia un ente diverso dallo 
Stato e l'appalto si riferisca ad opera finanziata con 
contributo statale .(n. 16). 
COMUNI E PROVINCIE 
DONAZIONI. 

1) Se si debbano criticamente esaminare gli atti di 
alienazione dei beni ceduti ai Comuni e Provincie in 
esecuzione dell'art. 20 D. Lgt. 7 luglio 1866, n. 3036 
quando non siano impostati su base economica e se il 
Ministero dell'Interno sia tenuto ad indirizzare l'attivit� 
di controllo dei prefetti e della G. P. A. ad una 
maggiore aderenza agli interessi pubblici e ad una corretta 
interpretazione delle norme in vigore (n. 104). 

2) Se l'Amministrazione demaniale possa intervenire 
direttamente richiedendo, eventualmente, che l'immobile 
venga trasferito allo Stato ovvero che venga alienato� 
dal Comune con rispetto delle disposizioni regolatrici 
delle materie e con imputazione del ricav�t�...arproprio 
bilancio (n. 104). 

'IMPOSTA DI FAMIGLIA, 

3) Se le norme di cui agli articoli 93 legge comunale 
e provinciale, 117 T. U. Finanza locale, 44 legge 11 gennaio 
1951, n. 25 e 18 legge 16 settembre 1960, n. 1014, 
relativi all'imposta di famiglia, possano ritenersi in contrasto 
con il disposto dell'art. 23 della Costituzione 

(n. 105). 
ORDINANZE DEL SINDACO IN MATERIA DI IGIBNE E SANIT�. 

4) Se le ordinanze emanate dal Sindaco in materia 

� 
di igiene e sanit�, ai sensi dell'art. 54 T. U. legge comunale 
e provinciale, siano vincolanti anche per le Amministrazioni 
dello Stato (n. 106). 

PIANI REGOLATORI. 

5) Se le prescrizioni dei programmi di fabbricazione 
dei Comuni sprovvisti di piano regolatore siano vincolanti 
anche relativamente alla viabilit� (n. 107). 

CONCESSIONI 

CONCESSIONI A SEGUITO DI PUBBLICO INCANTO -CANONE 
AFFITTO FONDI RUSTICI. 

Se la legislazione vincolistica in materia di equo 
canone di affitto di fondi rustici debba applicarsi anche 
nell'ipotesi in cui il fon.do appartenente al patrimonio 
indisponibile dello Stato sia dato in concessione al privato 
a seguito di pubblico incanto (n. 70). 

CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO 

GARA -INTERVENTO DEL NOTAIO. 

1) Se nell'eccezione, espressa per i casi di incanto 
per asta pubblica, al divieto per il notaio di rivevere 
atti nei quali intervengano il coniuge, i suoi parenti 
od affini ecc. (art. 28 legge notarile 16 febbraio 1913, 

n. 89) si possa ricomprendere anche la licitazione privata 
(n. 191). 
MANDATO. 

2) Se la revoca della procura c. d. irrevocabile ritualmente 
comunicata abbia efficacia rispetto al terzo 

(n. 192). 
CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI 

CREDITO PESOHEREOOIO. 

1) Se il versamento delle rate di ammortamento a] 
Fondo di rotazione del credito peschereccio, da parte-~ 
degli Istituti di credito che provvedono alla erogazione 
dei mutui, possa cessare, in caso di inadempienza dei 
mutuatari, prima della dichiarazione forinale di perdita. 
del credito (n. 47). 


-211 


2) Se debba far carico al Fondo cl.i rotazione il pagamento 
degli interessi di mora, per il ritardo nei pagamenti 
da parte dei mutuatari, nella stessa misura pretesa 
dall'Istituto di credito nei confronti dei mutuatari 
medesimi (n. 47). 

INTERESSI. 

3) Se la dizione �interessi normali �usata in una Convenzione 
Tesoro-IRFIS per determinare la ripartizione 
delle perdite di una operazione finanziaria tra il Fondo 
di rotazione e Istituto finanziatore esprima il tasso di 
interessi in vigore al momento della conclusione del 
-0ontratto di finanziamento o al momento della stipulazione 
della predetta Convenzione (n. 48). 

COSTITUZIONE 

IMPOSTA DI FAMIGLIA. 

1) Se le norme di cui agli articoli 93 legge comunale 
e provinciale, 117 Testo unico Finanza locale, 44 legge 
11 gennaio 1951, n. 25 a 18 legge 16 settembre 1960, 

n. 1014, relative all'imposta di famiglia, possano ritenersi 
in contrasto con il disposto dell'art. 23 della Costituzione 
(n. 18). 
LEGGI REGIONALI. 

2) Se debba ritenersi viziata di illegittimit� costitu-
zionale, in relazione alrart. 15, 30 comma, S.S.T.A., 
la norma di una legge regionale che attribuisce al Vice-
Provveditore agli studi di Bolzano funzioni aventi 
rilevanza esterna ed esorbitanti dai fini pervisti dalla 
-citata norma della S.S.T.A. (n. 19). 

DANNI DI GUERRA 

ltICOSTRUZIONE AllITAZIONI -M!SUltA DEI CONTRIBUTI. 

1) Se la misura dei contributi per la ricostruzione di 
.abitazioni distrutte da eventi bellici debba stabilirsi 
oSecondo la legislazione vigente all'epoca della emana
�~ione della � determina � di concessione ovvero secondo 
la diversa legislazione intervenuta prima della comuni-
cazione della �determina � all'interessato, ma dopo la 
emanazione (n. 113). 

2) Se le liquidazioni dei suddetti contributi effet-
tuate in forza di una legge successiva alla legge 26 ottobre 
1940, n. 1513, e divenuta definitiva per mancata 
impugnazione, siano soggette a revisione in virt� della 
legge n. 968/1953 (n. 113). 

DEMANIO 

:BENI [GI� A.J.>P.ARTENENTI ALLA CORONA -CESSIONE 
IN USO. 

1) Se i beni gi� appartenenti alla Corona siano soggetti 
a regime giuridico diverso da quello degli altri beni 
.appartenenti al patrimonio dello Stato (n. 176). 

.BENI PATRIMONIALI INDISPONIBILI -ALIENAZIONE. 

2) Quali eleme.ti caratterizzano l'appartenenza di un 
ibene al patrimonio indisponibile dello Stato (n. 177). 

3) Se la alienazione di un bene patrimoni~le indisponibile, 
senza che ne sia avvenuto il formale mutamento 
di destinazione da parte della P. A., sia da considerarsi 
nulla o annullabile (n. 177). 

CONCESSIONI BENI PATRIMONIALI. 

4) Se la legislazione vincolistica in materia di equo 
canone di affitto di fondi rustici debba applicarsi anche 
nell'ipotesi in cui il fondo appartenente al patrimonio 
indisponibile dello Stato sia dato in concessione al privato 
a seguito di pubblico incanto (n. 178). 

DEMANIO MARITTIMO -COSTRUZIONI AJIUSlVE -SANZIONI. 


5) Se colui che costruisca abusivamente su terreno 
appartenente al demanio marittimo sia soggetto alla 
sanzione penale dell'art. 1161 Codice della navigazione 

o a quella dell'art. 633 C. p. (n. 179). 
CHIESA S. IGNAZIO IN ROMA -CONDIZIONE GIURIDICA. 

6) Se la Chiesa di S. Ignazio in Roma debba ritenersi 
di propriet� del Demanio o del Fondo per il Culto 

(n. 180). 
LAGHI. 

7) Se un lago, quale illago di Lesina, che sia in diretta 
comunicazione col mare, quando l'efficienza di tale 
comunicazione sia condizionata all'opera dell'uomo di 
escavazione di materiali che si accumulano lungo i 
canali, abbia le caratteristiche di libera comunicazione 
col mare volute dall'art. 28 lettera d) del Codice della 
Navigazione per essere� considerato bene del demanio 

(n. 181). 
Uso DI BENI DELLO STATO DA PARTE DI ISTITUTI DI 
ISTRUZIONE SUPERIORE. 

8) Se gli osservatori astronomici, geofisici e vulcano� 
logici e le istituzioni universitarie di assistenza abbiano 
diritto, alla pari delle universit� e degli istituti superiori 
universitari, all'uso gratuito e perpetuo degli immobili 
dello Stato destinati al loro servizio, qualunque sia 
l'epoca in cui l'assegnazione � stata o sar� realizzata 

(n. 182). 
DONAZIONI 

COMUNI E PROVINCIE. 

1) Se si debbano cr:iticamente esaminare gli atti di 
alienazione dei beni ceduti ai Comuni e Provincie in 
esecuzione dell'art. 20 D. Lgt. 7 luglio 1866, n. 3036 
quando non siano impostati su base economica e se il 
Ministero dell'Interno sia tenuto ad indirizzare l'attivit� 
di controllo dei prefetti e della G. P. A. ad una maggiore 
aderenza agli interessi pubblici e ad una corretta 
interpretazione delle norme in vigore (n. 34):. _ 

2) Se l'Amministrazione demaniale possa interve~ __ 
direttamente richiedendo, eventualmente, che l'immobile 
venga trasferito allo Stato ovvero che venga alienato dal 
Comune con rispetto delle disposizioni regolatrici delle 
materie e con imputazione del ricavato al proprio bilancio 
(n. 34). 


212 


ENTI E BENI ECCLESIASTICI 

CHIESA S. IGNAZIO IN ROMA -CONDIZIONE GIU1UDICA. 

Se la Chiesa di Sant'Ignazio in Roma debba ritenersi 
di propriet� del Demanio o del Fondo per il Culto (n. 39). 

ESECUZIONE FISCALE 

ESATTORE -INDENNIT.�, DI MORA. 

1) Se il termine �notifica� degli addebiti agli esattori 
di cui all'art. 3 legge 8 luglio 1957, n. 579 debba intendersi 
esclusivamente in senso tecnico (n. 65). 

2) Se l'indennit� di mora possa applicarsi agli esattori 
anche quando manca una espressa delegazione (n. 65). 

RISCOSSIONE ENTRATE PATRIMONIALI. 

3) Se l'Amministrazione possa avvalersi del particolare 
procedimento ingiunzionale disciplinato dal Testo 
unico del 1910 per accertare e liquidare in via autoritativa 
le somme ad essa dovute per risarcimento de i 
danni (n. 66). 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� 

OCCUPAZIONE D'URGENZA. 

1) Se nella occupazione di urgenza al deposito dell'indennit� 
stabilita dal Prefetto debba seguire la sua determinazione 
in sede giudiziaria non contenziosa ai sensi 
dell'art. 31 della legge sull'espropriazione per p.u. (n. 179). 

SCELTA DELLE AREE -CRITERI. 

2) Se, per procedere alla valutazione comparativa 
d'idoneit� tra un'area designata per l'espropriazione 
ed altra indicata dall'espropriando in sede di opposizione, 
occorra che l'opponente abbia la disponibilit� 
dell'area indicata (n. 180). 

FALLIMENTO 

RISCOSSIONE CREDITI. 

Se occorra l'autorizzazione del Giudice delegato per 
la riscossione da parte del curatore di capitali di spettanza 
del fallito (n. 78). 

FERROVIE� 

COADIUTORI DEGLI ASSUNTORI F. S. 

1) Se sussista rapporto d'impiego tra l'Amministrazione 
e i coadiutori degli assuntori delle F. S. (n. 345). 

DANNI ALLE PERSONE -FORO COMPETENTE. 

2) Se, a norma delle disposizioni sul foro erariale il 
giudice competente a conoscere della causa relativa 
ad un infortunio occorso in occasione di un trasporto 
ferroviario sia la Corte di Appello nel cui distretto si 
trova il luogo dell'incidente anche se il tratto ferroviario 
in cui questo si � verificato appartenga ad un Compartimento 
dell'Amministrazione ferroviaria sito entro il 
distretto di altra Corte di Appello (n. 346). 

FERROVIE CONCESSE -IMPOSTA FABBRICATI E TERRENI. 

3) Se le societ� concessionarie di ferrovie sottoposte 
a gestione governativa siano soggette alle imposte sui 
fabbricati e sui terreni destinati ai serviziO ferr�viario 

(n. 347). 
dESTIONE DI MAGAZZINO FERROVIARIO PER RICOVERO 

MERCI DA SDOGANARE. 

4) Se la gestione di un magazzino ferroviario per il 
ricovero di merci estere da sdoganare possa essere affidata 
a soggetti diversi dai facchini nominati dal Direttore 
Compartimentale della Dogana ai sensi dell'art. 1 
Reg. approvato con R. D. 4 dicembr� 1864, n. 2046 

(n. 348). 
IMPIEGO PUBBLICO 

AGENTI TECNICI DEI TRASPORTI. 

1) Se, agli agenti tecnici dei trasporti, applicati presso 
i Centri Automezzi P. T., possano essere attribuiti, in 
base alla legge 21 dicembre 1961, n. 1406, le mansioni 
di riparazione meccanica ed elettrica nonch� quelle di 
carrozziere e garagista (n. 551). 

CESSIONE DI STIPENDIO. 

2) Se la detrazione dalla liquidazione disposta dalla 
legge a favore dell'I.N.P.S. per la ricostituzione della 
posizione assicurativa del dipendente che cessa dal 
rapporto senza diritto a pensione prevalga sulle cessioni 
effettuate dal dipendente a favore dell' E. N. P. A. S. 

(n. 552). 
IMPIEGATI ADIBITI ALLA CONDUZIONE DI AUTOVEICOLI 


RESPONSABILIT� PATRIMONIALE. 

3) Se la legge 31 dicembre 1962, n. 1833, [recante 
modificazioni ed integrazioni alla disciplina della responsabilit� 
patrimoniale dei dipendenti dello Stato adibiti 
alla conduzione di autoveicoli o altri mezzi meccanici,. 
sia applicabile anche alla ipotesi di veicoli non circolanti 
per via terra (n. 553). 

IMPOSTA DI BOLLO 
CAMBIALI. 

Se una cambiale gi� compilata e rimasta inutilizzata. 
possa in un secondo tempo essere usata per la emissione 
di un nuovo titolo, previe le opportune correzioni ed 
eventualmente la integrazione del bollo mediante apposizione 
di marche (n. 23). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

CONTRATTI ASSUNZIONE SERVIZIO RISCALDAMENTO-

Se i contratti con i quali le aziende grossiste di olio. 
combustibile assumono la gestione degli impianti di 
riscaldamento invernale presso i condomini, ai fini del 
trattamento tributario di registro, debbano qualificarsi 
vendite o appalti (n. 194). 


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I. G.� E. 
CASSA DEL MEZZOGIORNO -ANTICIPATA E PROVVISORIA 
GESTIONE DI ACQUEDOTTI. 

Se lo speciale regime di abbonamento previsto per la 
Cassa del Mezzogiorno in materia di imposta possa applicarsi 
anche alle entrate, sia pure a titolo di rimborso 
spese, conseguenti alla gestione provvisoria che la Cassa 
fa ai Comuni mettendo in attivazione anticipata acque� 
dotti non ancora interamente costruiti o collaudati 

(n. 103). 
IMPOSTE E TASSE 

l:MPOSTA DI FAMIGLIA. 

1) Se la norma di cui agli articoli 93 legge comunale 
e provinciale, 117 T. U. Finanza locale, 44 legge 11 gennaio 
1951, n. 25 e 18 legge 16 settembre 1960, n. 1014, 
relative all'imposta di famiglia, possa ritenersi in contrasto 
con il disposto dell'art. 23 Costituzione (n. 358). 

!MPOSTA FABBRICATI E TERRENI. 

2) Se le�societ� concessionarie di ferrovie sottoposte 
a gestione governativa siano soggette alle imposte sui 
fabbricati e sui terreni destinati al servizio ferroviario 

(n. 359). 
ISTRUZIONE SUPERIORE 

Uso DI BENI DELLO STATO. 

Se gli osservatori astronomici, geofisici e vulcanologici 
e le istituzioni universitarie di assistenza abbiano 
diritto, alla pari delle universit� e degli istituti superiori 
universitari, all'uso gratuito e perpetuo degli immobili 
dello Stato destinati al loro servizio, qualunque sia la 
epoca in cui l'assegnazione � stata o sar� realizzata 

(n. 14). 
LAVORO 

SERVIZIO MILITARE DI LEVA. 

Se, a seguito della pubblicazione della sentenza n. 8 
del 1963 della Corte Costituzionale, sussista comunque 
il diritto del lavoratore al computo del tempo trascorso 
in servizio militare di leva sulla anzianit� e se detto 
computo debba essere effettuato non solo ai fini della 
liquidazione della indennit� di quiescenza ma a tutti 
gli altri effetti (n. 35). 

LOCAZIONI 

LEGGE 30 SETTEMBRE 1963 N. 1307 -PROROGA ESECUZIONE 
SFRATTI. 

Se l'art. 1 della legge 30 settembre 1963, n. 1307, 
disponente la facolt� del pretore di prorogare l'esecuzione 
degli sfratti, sia applicabile alle locazioni d'immobili 
destinati ad uso diverso dall'abitazione o dall'attivit� 
artigiana, ed in particolare se sia applicabile agli 
immobili locati ad uso di uffici pubblici (n. 118). 

LOTTO E LOTTERIE 

SMARRIMENTO BOLLETTE VINCENTI DA PARTE DEL RICE� 
VITORE. 

1) Se debba procedersi al pagamento di una vincit� 
al lotto quando siano andate smarrite le bollette vincenti 
debitamente consegnate dal giocatore al ricevitore (n. 19). 

2) Se possa ritenersi responsabile il ricevitore per 
aver spedito le bollette vincenti, di poi smarritesi, a 
mezzo di raccomandata invece che di assicurata, e se 
la sua responsabilit� possa estendersi all'Amministrazione 
(n. 19). 

MANDATO 

MANDATO IRREVOCABILE -REVOCA. 

Se la revoca della procura c. d. irrevocabile ritualmente 
comunicata abbia efficacia rispetto al terzo 

(n. 9). 
MEZZOGIORNO 

CONSORZI PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE -ESPROPRIA� 
ZIONE DI IMMOBILI. 

1) Se i Consorzi per lo sviluppo industriale previsti 
dalla legge 29 luglio 1957, n. 634 possano procedere 
all'espropriazione di immobili per l'esecuzione di opere 
di attrezzatura industriale dichiarate di pubblica utilit� 
dalla stessa legge indipendentemente dalla redazione dei 
piani regolatori previsti dall'art. 21 cit., aventi in virt� 
di tale disposizione efficacia giuridica identica ai piani 
territoriale di coordinamento (n. 24). 

I. G. E. -ANTICIPATA E PROVVISORIA GESTIONE DI ACQUE� 
DOTTI. 
2) Se lo speciale regime di abbonamento previsto per 
la Cassa del Mezzogiorno in materia di imposte possa 
applicarsi anche alle entrate, sia pure a titolo di rimborso 
spese, conseguenti alla gestione provvisoria che 
la Cassa fa ai Comuni mettendo in attivazione anticipata 
acquedotti non ancora interamente costruiti o collaudati! 

(n. 25). 
MILITARI 

CONDUCENTI MILITARI -A.zlONE DI RIVALSA DELLA P. A. 

1) Se sia rinunciabile, nelle forme e nei limiti previsti 
dall'art. 8, 20 comma, legge 31 dicembre 1962, n. 1833, 
il diritto dell'Amministrazione a rivalersi nei confronti 
del dipendente militare riconosciuto responsabile di un 
incidente automobilistico, con decisione della Corte dei 
Conti anteriore alla entrata in vigore della predetta 
legge e che non abbia accertato il grado di colpa del 
dipendente (n. 18). 

MILITARE IN SERVIZIO DI LEVA. 

2) Se la limitazione di responsabilit� stabilita nella 
legge n. 1833 del 1962 sia applicabile al militare di leva 
che, alla guida di una autovettura dell'Amministrazione 
per un servizio non autorizzato, cagioni un danno alla. 
Amministrazione medesima (n. 19). 



214 -:-


MONOPOLI 

LICENZA COLTIVAZIONE TABACCO, 

1) Se la licenza per coltivazione di tabacco, oggetto 
di legato da parte del concessionario ad una persona 
giuridica, debba essere a questa intestata con riferimento 
.alla data della morte del testatore o a quella della autorizzazione 
governativa ad acquistare il legato (n. 41). 

2) Se, in attesa dell'autorizzazione governativa ad 
.acquistare il legato, la licenza per la coltivazione di 
tabacco, legata ad una persona giuridica, possa essere 
provvisoriamente intestata all'erede ed esecutore testamentario 
(n. 41). 

OPERE PUBBLICHE 
ARBITRATO. 

1) Se competa all'Amministrazione dei Lavori Pubblici 
la nomina dell'arbitro, di cui all'art. 45 lettera d) 
del nuovo capitolato generale di appalto approvato 
.con D. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063, nell'ipotesi in cui 
l'Amministrazione appaltante sia un ente diverso dallo 
Stato e l'appalto di riferisca ad opera :finanziaria con 
.contributo statale (n. 54). 

POTERI DEL CONCE.SSIONARIO. 

2) Se il concessionario di opere pubbliche possa acquisire 
i poteri di rappresentante dell'Amministrazione concedente 
per l'acquisto di aree necessarie alla esecuzione 
dell'opera concessa (n. 55). 

PENE 
PENE PECUNIARIE. 

Se la quota di compartecipazione alle pene pecuniarie 
�spettante, in forza della legge 5 aprile 1961, n. 322, agli 
.scopritori delle frodi nella preparazione e commercio dei 
prodotti agrari e delle sostanze di uso agrario, debba 
.ess,ere attribuita globalmente, in relazione all'accertamento 
di trasgressione, ovvero ad ogni singolo agente o 
funzionario scopritore (n. 18). 

POLIZIA 

LOCALI DI MERETRICIO. 

Se, a seguito dell'entrata in vigore d,ella legge 20 febbraio 
1958, n. 75 (legge Merlin) debbano considerarsi 
.abrogati gli artt. 190 e 191 del Testo unico di Pubblica 
sicurezza e l'art. 346 del Relativo Regolamento di ese.
cuzione (n. 29). 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

ASSEGNI POSTALI LOCALIZZATI -PRESCRIZIONE -RINNOVO. 


1) Se gli assegni. postali localizzati, caduti in prescrizione, 
possano essere rinnovati (n. 98). 

AGENTI TECNICI DEI TRASP~RTI. 

2) Se agli esperti tecnici dei trasporti, applicati presso 
i Centri Automezzi P. T., possano essere attribuiti, in 
base alla legge 31 dicembre� 1961, �n: 1406, -le mansioni 
di riparazione meccanica ed elettrica nonch� quelle di 
carrozziere e garagista (n. 99). 


DmITTO DI ESCLUSIVA. 

3) Se il diritto di esclusivit� che spetta alla Amministrazione 
Postale per i servizi di posta e telecomunicazione 
e, in particolare, per quelli relativi alla raccolta 
trasporto e distribuzione della corrispondenza epistolare 
sia operante anche nei confronti delle altre Amministrazioni 
statali (n. 100). 


PREVIDENZA ED ASSISTENZA 

IMPIEGATI STATALI -CESSIONE STIPENDIO. 

Se la detrazione dalla liquidazione disposta dalla legge 
a favore dell'I.N.P.S. per la ricostituzione della posizione 
assicurativa del dipendente che cessa dal rapporto senza 
diritto a pensione prevalga sulle cessioni effettuate dal 
dipendente a favore dell'E.N.P.A.S. (n. 42) . 


REGIONI 

REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE -LEGGE REGIONALE. 

Se debba ritenersi viziata di illegittimit� costituzionale, 
in relazione all'art. 15; 30 comma, S.S.T.A., la norma di 
una legge regionale che attribuisca al Vice-Provveditore 
agli studi di Bolzano funzioni aventi rilevanza esterna 
ed esorbitanti dai fini previsti dalla citata norma dello 


S.S.T.A. (n. 109). 
RESPONSABILITA CIVILE 

AzIONE DI RIVALSA. 

1) Se sia rinunciabile, nelle forme e nei limiti previsti 
dall'art. so, 20 comma, legge 31 dicembre 1962, n. 1883, 
il diritto dell'Amministrazione a rivalersi nei confronti 
di un dipendente militare riconosciuto responsabile di 
un incidente automobilistico, con decisione della Corte 
die Conti anteriore alla entrata in vigore della predetta 
legge e che non abbia accertato il grado di colpa del 
dipendente (n. 203). 


CONTRATTI DI ASSICURAZIONE. 

2) Se le Amministrazioni dello Stato possano stipulare 
contratti di assicurazione per i danni dalle medesime 
patiti o arrecati a terzi (n. 204). 


IMPIEGATI STArALI -RESPONSABILIT� PATRIMONIALE. 

3) Se la legge 31 dicembre 1962, n. 1833, �recante 
modificazioni ed integrazioni alla disciplina della responsabilit� 
patrimoniale dei dipendenti dello Stato adibiti 
alla conduzione di autoveicoli o altri mezzi meccanici, 
sia applicabile anche alla ipotesi di veicoli non circolanti 
per via terra (n. 205). 


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�MILITARE IN SERVIZIO DI LEVA. 

4) Se la limitazione di responsabilit� stabilita nella 
legge n. 1833 del 1962 sia applicabile al militare di leva 
�che, alla guida di una autovettura dell'Amministrazione 
per un servizio non autorizzato, cagioni un danno alla 
Amministrazione medesima (n. 206). 

.RES:PONS.A.BILIT� DEL :MAGISTRATO. 

5) Se la responsabilit� in cui sia incorrn il magistrato 
nell'esercizio di funzioni giurisdizionali poe1:a estendersi 
. all'Amministrazione (n. 207). 

RICORSI AMMINISTRATIVI 

:RIOORSO GERAROHIOO. 

1) Se indipendentemente dalla presenza di altri requi


�siti di sostanza e di forma possa qualificarsi come ricorso 
gerarchie(! la lettera indirizzata sia all'Autorit� periferica 
che ha provveduto sia all'Amministrazione Cen


trale gerarchicamente superiore con la quale si chieda 
�una revisione del provvedimento da parte dell'organo 
�che lo ha emanato (n. 10). 

2) Se l'autorit� gerarchicamente superiore abbia il 
potere di revocare d'ufficio per motivi di merito il provvedimento 
emanato dall'organo inferiore (n. 10). 

STRADE 

.ALBERATURE ESISTENTI AI LATI DELLE STRADE. 

1) Se la responsabilit� per i danni cagionati dalla im
�missione di radici o rami nel fondo altrui sia esclusa o 
1imitata dal mancato esercizio da parte del proprietario 
�danneggiato del diritto di autotutela attribuitogli dall'art. 
896 C. c. (n. 49). 

. A:e:PROV AZIONE :PROGETTI. 

2) Se il Ministro dei Lavori Pubblici che abbia appro
�vato il progetto di variante ad una strada statale, sia 
competente anche ad approvare il progetto, necessario 
per l'esecuzione dell'opera, di spostamento di un elettrodotto 
ferroviario (n. 50). 

TELEFOJ\11 

CANONE. 

1) Se spetti anche al Consiglio Nizio;aie delle 
Ricerche il trattamento a riduzione per il canone di 
abbonamento telefonico urbano del quale fruiscono le 
:Amministrazioni dello Stato (n. 24) . 

RIMOZIONE IMPIANTI -SEQUESTRO APPARECCHI. 

2) Se il potere conferito all'Amministrazione P. T . 
di rimuovere gli impianti e di sequestrare gli apparecchi 
nel caso previsto dall'art. 178 del Codice postale (esercenti 
esclusivi di linee di telecomunicazioni) si riferisca solo 
a fatti commessi a bordo di navi nazionali oppure si 
estenda a tutti gli altri casi di concessionari inadempienti 

o di esercenti abusivi di linee telefoniche ad uso privato, 
in qualsiasi luogo esistano i relativi impianti (n. 25). 
3) Se per la rimozione degli impianti e per il sequestro 
degli apparecchi esistenti nel domicilio o nel fondo altrui, 
sia necessario osservare le norme che garantiscono costituzionalmente 
l'inviolabilit� dell'altrui domicilio (n. 25). 

TRANSAZIONI 

A:e:PROVAZIONE. 

Se dopo l'entrata in vigore della legge 31 dicembre 
1962, n. 1833 gli organi centrali dell'Amministrazione 
abbiano conservato le competenze ad approvare le transazioni 
stipulate ai sensi della legge citata, il cui importo 
non superi il limite di tre milioni di lire (n. 9) � 

TRATTATI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI 

AccORDO ITALO-FRANCESE 29 NOVEMBRE 1947 . 

Se il Governo italiano, cessionario del Governo francese 
in esecuzione dell'accordo italo-francese del 29 novembre 
1947, possa pretendere da ditte italiane la restituzione 
di anticipi corrisposti dal governo francese in 
relazione a contratti di fornitura rimasti ineseguiti per 
l'intervenuto stato di guerra tra i due Paesi (n. 12). 


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