Avvocatura dello Stato

ISTITUZIONALE

Relazione dell’Avvocato Generale dello Stato, Luigi Mazzella, al Convegno di Studi patrocinato dai Lions e dalla Provincia di Sa

Ultimo aggiornamento: 05/07/2007 21:09:49
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(Palazzo Sant’Agostino, 9 marzo 2002)


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5. INFLUENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO NEL RITIRO DELLO STATO DALLA ECONOMIA. DALLO STATO IMPRENDITORE ALLO STATO REGOLATORE. IL FENOMENO DELLE PRIVATIZZAZIONI. LE AUTORITA’ INDIPENDENTI.

Principi di derivazione comunitaria, e necessità di modelli di efficienza, hanno comportato una trasformazione del concetto di ente pubblico, e hanno allocato in sedi diverse dallo Stato le competenze decisionali, sia amministrative che legislative (sia verso l’alto, l’Unione Europea, sia verso il basso, regioni e altri enti locali).
Si parla, oltre che del nuovo concetto di ente pubblico, del principio della sussidiarietà, che è alla base del federalismo e del decentramento amministrativo, e del principio della libertà di concorrenza (workable competition).
Al modello statale e assolutista che comprime la concorrenza (tutto deriva dallo Stato), e che ha dimostrato i suoi limiti nei paesi comunisti e corporativi, l’ordinamento comunitario ha preferito il corno opposto della stimolazione esasperata della concorrenza, nella convinzione che essa ridondi a favore dei cittadini consumatori, ai quali verrà offerto il miglior prodotto al miglior prezzo e alle migliori condizioni, determini un aumento della produzione di ricchezza, crei e promuova le condizioni di sviluppo anche delle aree depresse o più deboli della Unione, che però possono essere aiutate, e comporti minori sprechi di risorse pubbliche.
Già prima della influenza comunitaria, tuttavia, si era assistito ad un cambiamento della forma degli enti pubblici e dei loro organi, al fine di rispondere a modelli di efficienza, di economia (art. 1 L.241/90), di necessità di equilibri di bilancio, di alleggerimento da obblighi contabili.
Emblematica è la vicenda delle Ferrovie dello Stato, che da azienda autonoma, con propria autonomia, presieduta dal Ministro dei Trasporti, sono divenute prima ente pubblico economico, e successivamente trasformate in società per azioni (c.d. privatizzazione formale, a cui segue la trasformazione sostanziale nel caso di collocamento delle azioni in tutto o in parte nel mercato aperto ai privati).
La globalizzazione ridisegna in termini nuovi anche il rapporto tra pubblico e privato, in quanto i moduli privatistici penetrano nella pubblica amministrazione, che si preoccupa dei suoi clienti, i cittadini, alla stessa maniera di una impresa che mira a soddisfare le richieste dei consumatori, fornendo sempre maggiormente servizi pubblici, che migliorino la qualità della vita dei cittadini, e vedendo diminuire la quantità di poteri autoritativi.
Occorre osservare che lo Stato italiano ha receduto dal suo ingombrante ruolo di protagonista dell’economia, di produttore di caramelle e di ballerine, come si è criticamente detto, visto anche il fallimento di tale modello di riferimento.
La normativa comunitaria ha influito in tal senso, pur non essendo vincolante nelle scelte, in quanto a livello comunitario vale il principio della neutralità nei confronti delle imprese pubbliche, e cioè l’impresa può essere pubblica o privata.
I principi di divieto di discriminazione in base alla nazionalità, quello della libera concorrenza (il miglior prodotto al miglior prezzo a favore del cittadino consumatore), e soprattutto il divieto di aiuti di Stato alle imprese, che devono inseguire criteri di redditività, quantomeno a medio e lungo termine, impediscono tuttavia allo Stato di ingerirsi nell’assetto e nel funzionamento del mercato, di ostacolare gli scambi e di abusare di posizioni dominanti.
Il principio della libera concorrenza ha determinato pertanto il ritiro sostanziale dello Stato dal mercato, e quindi ha determinato il passaggio dal ruolo di Stato-imprenditore-attore (giocatore) a quello di Stato regolatore (arbitro) del mercato, e in genere dei c.d. “settori sensibili”.
Il modello illuministico di Stato era quello dello Stato-provvidenza, che si propone la finalità di diffondere il sapere, e ha una sua politica industriale, finanziaria, economica, occupandosi quasi di tutto. Lo stato regolatore, invece, stabilisce le regole e fa giocare gli altri. Lo Stato di un tempo, tanto per fare un esempio, aveva una sua religione, verso la quale cercava di orientare i cittadini. Oggi, nel mondo occidentale, vale il principio del lasciar fare, assicurando tuttavia, il rispetto della tolleranza, e lo stesso può dirsi di ogni settore di azione, quale quello mercantile.
Il fenomeno del sorgere delle autorità indipendenti è dovuto proprio alla opportunità di creare, su modelli stranieri, nuove entità amministrative che regolino il gioco, libere da legami politici che ne possano condizionare l’operato. Si parla di amministrazioni, rectius autorità, indipendenti ad alto tasso di imparzialità e soggette soltanto alla legge.
Esse autorità sovraintendono, più che amministrare in senso tradizionale, alla gestione di settori sensibili di rilevanza costituzionale, per la quale sono muniti di una particolare posizione di terzietà, di neutralità, più che di imparzialità, di indifferenza rispetto agli interessi stessi. La differenza tra la imparzialità e la neutralità è la seguente: la imparzialità corrisponde all’obbligo della p.a. di valutare complessivamente tutti gli interessi pubblici e privati, primari e secondari, coinvolti nella fattispecie, per il raggiungimento del miglior interesse pubblico, ma tra tali interessi l’interesse pubblico della amministrazione pubblica ha valore primario; la neutralità corrisponde invece al distacco, alla indifferenza da tutti gli interessi.
Motivo e allo stesso tempo effetto della nascita di tali organismi, è la progressiva recessività del modello della gestione diretta dei servizi pubblici, e l’abbandono, per dichiarato fallimento, dell’organizzazione amministrativa classica e del potere giudiziario in sede di gestione e regolazione di settori sensibili. In ordine a tali autorità, che sono corpi amministrativi facenti parte dello Stato-ordinamento e dello Stato-comunità, piuttosto che dello Stato-amministrazione, si pone un problema di copertura costituzionale, e di classificazione delle loro attività, non riconducibili alle funzioni autoritative classiche, ma in senso lato regolatorie, normative, tutorie, paragiurisdizionali, giusdicenti (Jus comprensivo sia del regolare che del decidere), in settori caratterizzati da un alto tasso di tecnicismo, come una sorta di magistratura economica sui generis.
Anche la funzione normativa ad esse attribuita a mezzo della potestà regolamentare pone grossi dubbi di costituzionalità, in quanto i relativi organi sono per così dire, acefali, cioè irresponsabili dal punto di vista politico e d’altro canto, muniti di una rappresentatività meno che diretta, in quanto non sono esponenziali della volontà popolare, ma sono a loro volta nominati da organi super partes, ma non eletti direttamente dal popolo (p.es. i Presidenti delle Camere).
Infatti il principio di rappresentatività popolare è quello che nelle civiltà democratiche giustifica l’esercizio del potere legislativo, attraverso il rispetto del circuito democratico-costituzionale : no taxation without representation (taxation inteso come scelte di policy).
Inoltre, l’ipotesi di una amministrazione indipendente dal Governo si pone in conflitto con il dettato dell’art. 95 Cost., secondo cui la responsabilità ministeriale è collegiale per il Consiglio dei Ministri e individuale per i singoli Ministri.
Il fenomeno delle autorità indipendenti di fatto ha determinato sia la erosione di competenze originariamente statali (p.es. del ministero delle Comunicazioni o dei Lavori Pubblici), che della funzione normativa (delegated legislation) pur non essendo legittimati, come detto, se non indirettamente da una investitura popolare (si ricorda che ai sensi dell’art. 1 Cost. “la sovranità appartiene al popolo”).
Pertanto, in sostanza, il Parlamento nazionale è in buona parte depauperato delle sue funzioni originarie, a causa della devoluzione di poteri legislativi e normativi dall’alto, in quanto la Unione Europea esercita una sovranità, in parte ceduta dagli Stati nazionali a mezzo di patto (“foedus”) originario; dall’altro, a livello nazionale l’esercizio della funzione legislativa avviene per lo più da parte del Governo, a mezzo della legislazione delegata (come testimonia la recente, e significativa dal punto di vista quantitativo, esperienza dei Testi unici), o a mezzo della decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.).
La funzione normativa viene inoltre esercitata a livello nazionale dalle autorità amministrative indipendenti, che rientrano soltanto lato sensu nella funzione di amministrazione in senso classico (sia attiva che di controllo), ma che condividono anche aspetti e peculiarità degli altri poteri dello Stato, quello giurisdizionale, in quanto risolvono conflitti, emettono sanzioni, et coetera, e con quello legislativo, appunto, in quanto esercitano funzione normativa ponendo norme di carattere generale (si è parlato al proposito di c.d. legisdizione).
Il primo riferimento legislativo generale alle autorità indipendenti è contenuto nella L.Bassanini-uno (L.59/97), con la esclusione apertis verbis dal conferimento di funzioni e compiti dallo Stato alle Regioni e agli enti locali dei “compiti di regolazione e controllo già attribuiti con legge statale ad apposite autorità indipendenti”, a conferma della loro appartenenza, a tale fine di natura sistematica, allo Stato-ordinamento e non allo Stato-amministrazione, cui per altro verso, si avvicinano. In definitiva, deve però osservarsi che il liberismo, l’arretramento dello Stato non significano necessariamente meno Stato, ma soltanto uno Stato diverso, in quanto le regole del gioco possono anche richiedere tante leggi e tanto Stato. Per esempio, la liberalizzazione di un settore può richiedere molte regole e molti enti tenuti a farle rispettare.