ANNO LXXIII - N. 2 APRILE - GIUGNO 2021 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Giuseppe Arpaia, Emanuela Brugiotti, Federico Casu, Patrizia De Pasquale, Guido Di Biase, Emanuele Fazio, Michele Gerardo, Sofia Lanna, Adolfo Mutarelli, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Federico Pedrini, Giulia Quagliariello, Mariarita Romeo, Antonio Tallarida. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario Sintesi dell’intervista a Giuseppe Tesauro per la Rivista Lo Stato (giugno 2021) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 TEMI ISTITUZIONALI Soppressione di Riscossione Sicilia s.p.a. e successione a titolo universale di Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) a decorrere dal 1°.10.2021. Addendum al Protocollo d’intesa sottoscritto tra l’Avvocatura dello Stato e ADER, Circolare A.G. prot. 680252 del 23 novembre 2021 n. 63 . . . . ›› 15 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Giulia Quagliariello, Le sanzioni sostanzialmente penali dell’AGCOM e il sindacato di piena giurisdizione (Corte EDU, Sez. I, sent. 10 dicembre 2020, ricorsi nn. 68954/13 e 70495/13, Edizioni del Roma società cooperativa a r.l. e Edizioni del Roma s.r.l. c. Italia) . . . . . ›› 17 Emanuela Brugiotti, Note a margine della sentenza J.L. c. Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo. Violenza di genere e vittimizzazione secondaria: la pronuncia del giudice nazionale tra libertà di espressione e interferenza nella protezione del diritto alla privacy (Corte EDU, Sez. I, sent. 27 maggio 2021, ricorso n. 5671/16, J.L. c. Italia) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 49 CONTENZIOSO NAZIONALE Emanule fazio, L’istituto della fungibilità in materia di ingiusta detenzione: tra monetizzazione dell’indennizzo e ‘compensazione legale’ con diversa pena (ancora) da espiare (C. App. Catania, Sez. I pen., ord. 31 luglio 2020 n. 41) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 85 Guido Di Biase, Una sentenza del Tribunale di Venezia in tema di demanialità delle valli da pesca (Trib. Venezia, Sez. I, sent. 8 ottobre 2021 n. 1980) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 93 Giuseppe Arpaia, Una applicazione impropria del principio dell’assorbimento in una procedura concorsuale nella quale gli ammessi con riserva avevano lamentato la violazione del principio dell’anonimato nella prova preselettiva (Cons. St., Sez. IV, sent. 20 luglio 2021 n. 5468) . . . ›› 97 Wally ferrante, Interdittive antimafia: una strumentalizzazione dell’istituto del controllo giudiziario ex art. 34 bis Codice antimafia (Cons. St., Sez. III, ord. 15 ottobre 2021 n. 5667; Cons. St., Sez. III, sent. 4 febbraio 2021 n. 1049) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 108 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Gaetana Natale, L’interoperabilità: il dialogo necessario tra il digitale e il diritto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 117 Sofia Lanna, Il rapporto di esclusività del dipendente pubblico ed il problema della incompatibilità successiva all’interruzione del rapporto di lavoro: la questione dell’Avvocato dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 131 Mariarita Romeo, Gestione dell’emergenza sanitaria, decisioni pubbliche ed esercizio dei diritti fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 149 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Antonio Tallarida, Il nuovo giudizio di ottemperanza: nella pratica e nella giurisprudenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 163 Michele Gerardo, Adolfo Mutarelli, Intorno all’attuazione dell’art. 111 Cost. nelle questioni attinenti o inerenti alla giurisdizione. Proposte ricostruttive in ordine all’ammissibilità del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 177 Gaetana Natale, Il persistente valore della dominicalità . . . . . . . . . . . . . ›› 191 federico Casu, Unità d’Italia. Abolizione del contenzioso amministrativo e questione demaniale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 211 Sintesi dell’intervista a Giuseppe Tesauro per la Rivista Lo Stato (giugno 2021) (*) Non posso che essere grato alla rivista Lo Stato ed in particolare ai proff. Vignadelli e Pedrini per avermi offerto l’occasione di una riflessione sui numerosi stimoli culturali che il diritto dell’Unione Europea offre allo studioso e all’operatore, così come ai giovani che si avvicinano al mondo del diritto con qualche esperienza, anche minima, di diritto interno o internazionale. Tra le premesse metodologiche e teoriche che Pedrini mi propone c’è l’approccio internazionalistico al diritto; e si chiede quale sia lo stato dell’arte in un’ottica internazionalistica, fino ad una riflessione sul processo di integrazione a partire dal diritto costituzionale interno. In proposito, mi sembra opportuno sottolineare subito l’ovvia origine internazionalistica della Comunità europea, disegnata dai Trattati di Parigi del 1951 (CECA) e del 1957 (Comunità economica e europea, oltre alla contestuale Comunità dell’Energia Atomica). I trattati istitutivi vanno interpretati come tali, secondo le regole d’interpretazione fissate anche dalla Convenzione di Vienna, pur non trascurando la circostanza che si tratta di trattati istitutivi di organismi internazionali e dunque comportano qualche complessità in più. Molti passaggi del processo di integrazione vanno misurati col metro del diritto internazionale. Del pari, il rapporto tra il diritto dell’Unione e gli ordinamenti nazionali, cioè il modo di essere e di tradurre il dettato delle norme esterne nel contenuto di norme interne, è fissato dalle conferenti norme costituzionali degli Stati. Tuttavia, la premessa tecnico-giuridica appena ricordata non combacia con la logica metodologica e teorica del diritto internazionale e/o del diritto interno, ciò che specificamente rende interessante lo sguardo allo scenario del processo di integrazione europea e ne fa emergere una serie di stimoli senz’altro nuovi rispetto ad ogni altra disciplina giuridica. Lo prova la circostanza che volere, sia pure istintivamente, accostare o comparare le problematiche del diritto dell’Unione a quelle di uno Stato o di un’organizzazione internazionale qualsiasi è sbagliato, tanto da creare confusione, con evidente danno nella formazione dei giovani. L’Unione non è da confondersi con uno Stato, né federale, nè confederale, né altro, nonostante gli auspici o le sviste di certa (*) Sintesi dell’intervista pubblicata dall’Associazione Italiana Studiosi di Diritto dell’Unione Europea -AISDUE; versione integrale consultabile nella rivista Lo Stato, n. 16 (2021), pp. 183-224. Un sentito ringraziamento alla Professoressa Patrizia De Pasquale e al Professore Federico Pedrini per aver consentito di condividere con la Rassegna Avvocatura dello Stato il prezioso contributo. Ed, altresì, all’Avv. dello Stato Sergio Fiorentino, per averci segnalato l’ultimo intervento del ‘compianto Maestro’ nel dibattito scientifico ‘denso, come di consueto, di profondi insegnamenti, che ... potranno costituire, per i più giovani, spunto per approfondire la conoscenza e la pratica del diritto comunitario’. rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 dottrina, che da tempo spingono, insieme alla Commissione europea, verso questa direzione, come appare ben chiaro nella sentenza della Corte di giustizia sulla proposta di adesione alla CEDU. In breve, l’Unione non è uno Stato e per il momento non vuole neppure esserlo, nel senso che gli Stati membri non danno alcun segnale favorevole in questo senso. Tale considerazione ci porta a ritenere che la sensibilità, a livello sia scientifico che pratico, è cresciuta non di molto, precisamente per la tentazione di guardare al diritto dell’Unione con logiche interne o internazionali; né si tratta solo di orientamenti politici, che cambiano molto spesso colore, ma di una radicata cultura giuridica che non riesce a spaziare come si dovrebbe oltre i confini nazionali di un ordinamento giuridico, che pure sarebbe richiesto da un’esigenza di modernizzazione dello studio del diritto. Io stesso, avendo la guida del grande maestro Quadri del diritto internazionale, gli feci accettare dopo qualche lavoro minore di diritto internazionale, un argomento di diritto dell’Unione, allora comunitario, sul prelievo CECA, e di fare una esercitazione agli (attoniti) studenti sulla Van Gend en Loos. Anch’io ero curioso e intimorito dalla novità affascinante della sentenza, della quale riuscii però a cogliere l’importanza fondamentale per gli sviluppi successivi del processo di integrazione. Due gli aspetti che soprattutto mi colpirono: il coinvolgimento dei singoli nella valutazione della legittimità degli atti comunitari, compresa la ricaduta concreta della decisione della Corte, e la particolarità del meccanismo del controllo giurisdizionale nel suo insieme, con la cooperazione attiva tra giudice dell’Unione e giudice nazionale, rivelatosi poi il meccanismo che soprattutto ha contribuito allo sviluppo del sistema giuridico dell’Unione e che ha costruito una vera e propria Comunità di diritto, nella quale nessuno dei soggetti protagonisti riesce a sfuggire alla verifica di legalità e di legittimità del suo agire, né gli Stati membri, né le Istituzioni, né i singoli, oltre al primato del diritto dell’Unione e all’effetto diretto di numerose sue norme. Neppure va dimenticato che l’idea della Comunità nacque non solo e non tanto da riflessioni scientifiche o filosofiche, pure di antica data, ma soprattutto da una ragione politica e pratica. Si voleva mettere fine, in parallelo con la NATO, alle continue baruffe tra Francia e Germania e trasformare in collettive le decisioni tedesche più rilevanti, anzitutto sul carbone (=energia) e l’acciaio (=armamenti), poi sul resto; basti leggere sul punto la dichiarazione Schuman del 1950, che dette il via all’intero percorso che oggi ci ritroviamo. Chi pensa all’Unione europea come ad un organismo economico con al centro gli interessi economici degli Stati membri, dimentica che il primo e vero obiettivo da realizzare era la pace e che il mercato fu solo lo strumento per non suscitare malumori eccessivi sulla riduzione, vera o presunta, della sovranità et similia, considerata -ad esempio in Italia da Einaudi -non perfettamente compatibile con la pace. rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 *** È sicuro che qualcosa nel rapporto tra diritto internazionale, diritto costituzionale e diritto dell’Unione, è cambiato, anche se non più di tanto. rispetto al diritto internazionale, il diritto dell’Unione oggi gli è meno legato. Più vicino, in termini di collegamento funzionale e di approccio metodologico, è al diritto interno, in particolare costituzionale e al diritto civile, al di là dell’origine pattizia che ancora si fa sentire in alcuni passaggi. D’altra parte, il rapporto tra diritto UE e diritto interno è di collegamento e di quasi-integrazione e si sviluppa (come ben spiegava la sentenza Granital) in un numero sostanziale di rivoli, specie quanto al controllo giurisdizionale, che rappresenta un elemento strutturale fondamentale dell’intero sistema. *** Quanto alle tendenze di certa dottrina non adeguatamente addentro alla complessiva vicenda dell’Unione, che ha fatto emergere un avvicinamento o addirittura una fusione con gli studi costituzionalistici e internazionalistici, compresi significativamente quelli amministrativistici di una diffusa e ascoltata scuola, sotto l’egida di un misterioso global law, sono vigorosamente sulla negativa. Finché ci saranno gli Stati, e l’idea di uno Stato mondiale non prende forma né la prenderà in pochi decenni, il diritto globale si muove solo nella fantasia e nel vezzo di quella dottrina e scuola, a differenza di alcuni fenomeni economici che possono avere, quelli sì, una dimensione globale. *** Quanto al diritto, a parte quello dell’Unione europea, sarebbe pericoloso pensare ad iniziative per costruire scenari comuni da parte di gruppi del mondo legale (studi megagalattici plurinazionali), associazioni di studiosi e pratici di finanza, liberi da ogni legame con l’interesse né di pochi o di molti ma di tutti, in breve il vero interesse pubblico, come viceversa è necessario nella formazione e produzione di norme giuridiche. Gli esempi dell’alta finanza, del grande armamento marittimo, et similia, non sono lontani. *** È tuttavia difficile pensare al diritto internazionale come ad una sorta di soft law, almeno nella parte che la violazione di certe norme appare, a torto se non si riflette abbastanza, priva di sanzione. Sono convinto, al contrario, che la violazione di una norma a qualunque diritto appartenga richiede e comporta una sanzione, che consista anche solo nell’isolamento sociale, che poi si rivela non meno sentita. Del pari sono convinto che l’effettività non indebolisca affatto in senso sociologico la forza della norma esterna ad un ordinamento nazionale dato: all’opposto ne rafforza la capacità di incidere sulla condotta del corpo sociale e dei singoli membri. Certo rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 vi sono aspetti che possono sembrare reali e pertanto alimentare l’idea che il diritto internazionale o anche il diritto dell’Unione avrebbero una debolezza intrinseca rispetto al diritto interno. Questa è tuttavia solo la percezione di chi non conosce la materia e ha la tentazione, l’ambizione e perfino il titolo accademico di parlarne come se la conoscesse. Peraltro, non posso non riconoscere che una delle ragioni che mi hanno spinto ad approfondire il diritto della Comunità europea, poi Unione europea, non è certo la presunta natura di soft law del diritto internazionale o dello stesso diritto UE, ma comunque una maggiore aderenza alla storia, alla politica, oltre che al diritto, concretamente visibili e rilevanti più che in qualunque diritto interno. Così, è sicuro che senza un approfondimento teorico e la costruzione di una teoria non si riesce ad andare oltre ad una banale e semplicistica considerazione che il diritto è in definitiva buon senso, anche se ne è l’applicazione formale e realistica. La norma deve pur sempre avere un fondo teorico, ma soprattutto un taglio concreto. Monismo e dualismo sono un esempio significativo. Il dualismo è una costruzione giuridica sul rapporto tra ordinamenti: c’è poco di più, quanto a speculazione teorica e scientifica, tanto meno a effetti pratici, la cui massima espressione si può trovare nel Voelkerrehcht und Landesrecht di Tripel, oltre che nella scuola italiana di Anzilotti. Il monismo è allo stesso modo una costruzione giuridica con punti di partenza diversi. Lo dimostra la circostanza che il monismo francese ha finito col seguire lo stesso percorso del dualismo italiano, quanto ai passaggi del rapporto con il diritto dell’Unione, e con gli stessi effetti del dualismo italiano, nonostante la costruzione del rapporto tra diritto francese e diritto italiano con il diritto esterno fossero tecnicamente diversi, fino a quando il Consiglio di Stato francese non rivide la sua posizione dualista diffidente con la sentenza Nicolo, facendo prevalere il Trattato comunitario anche sulla legge nazionale posteriore, così comportando, al di là dei dettagli e delle sottigliezze, una situazione analoga a quella determinata dalla Granital. Vero è che l’una e l’altra teoria derivano la loro qualificazione dalla costruzione che il legislatore nazionale ha scelto quanto al rapporto col diritto esterno, nel senso che, ad esempio, ne ha accettato il primato anche se posteriore. Del resto, ciò deriva anche da un principio più che fondamentale del diritto internazionale, che non consente di giustificare la violazione di una norma di quel diritto con una norma interna contraria. Preciso, tuttavia, che il principio trova un’eccezione con le norme sui principi ineliminabili dell’ordinamento dello Stato e con i diritti fondamentali della persona, considerando però la differenza d’interpretazione e di applicazione da parte del diritto internazionale rispetto al diritto UE, come ho cercato di rappresentare nella sentenza costituzionale sul risarcimento dei danni alle vittime del nazismo. È molto rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 istruttivo leggere le pagine degli atti al riguardo dell’Assemblea Costituente italiana, in particolare gli interventi di Leone, Mortati e Perassi. Si pensi inoltre all’approccio sovranista alla giurisdizione, nell’interpretazione da parte del Consiglio di Stato dell’art. 111, ult. comma, della Costituzione, a proposito dell’obbligo di rinvio pregiudiziale rispetto a quanto sancito dal Trattato FUE e da una vigorosa giurisprudenza della Corte di giustizia al riguardo. Peraltro, sul punto non si può dire che vi sia contrasto tra teoria e pratica, dal momento che nella tesi sovranista non mi pare che emerga un livello teorico-scientifico di un importante rilievo. Più in generale, le vere o presunte diversità tra la norma scritta e quella che viene rappresentata e spiegata nelle aule universitarie può essere anche una ricchezza che la scienza del diritto certo non preclude, purché sia il risultato di una conoscenza non solo superficiale o errata della disciplina, come purtroppo talvolta si coglie. I valori sui quali si fonda il processo di integrazione europea sono a mio parere ancora quelli delle origini, magari consolidati ma non certo indeboliti. Si pensi al mercato comune, cioè lo strumento che si ritenne, come accennato, più prudente per perseguire e realizzare l’obiettivo della pace: e pace è stata, almeno per il periodo dalla fine della guerra mondiale. Ma non basta. Il baricentro del sistema si è progressivamente spostato, soprattutto per la spinta della Corte di giustizia, in non molto tempo dalla dimensione mercantile a quella umana, dei diritti del singolo, fin dalla Van Gend en Loos, significativamente lavorando sugli elementi più rilevanti del sistema, facendo della circolazione delle persone in luogo della circolazione delle merci il centro degli interessi complessivamente considerato. Il mercato comune o, se si preferisce interno, è ormai il nucleo centrale di un ordinamento articolato, nel quale trovano tutela e riconoscimento non solo le quattro libertà economiche fondamentali, ma anche l’insieme delle istanze e delle esigenze che sono patrimonio comune e inerente delle moderne democrazie: tutela e promozione del lavoro, delle donne, dei giovani, dell’ambiente, della cultura, delle aree sfavorite. Oggi si parla spesso, anche a sproposito, di economia e delle scarse iniziative dell’UE a favore dello sviluppo e, in questi tempi di covid, di mancato sollievo almeno economico. Ma si dimentica il resto, che ha avuto una crescita incredibile, di esempio per tutti i Paesi almeno dell’occidente, oltre a trascurare il difetto di competenza dell’Unione quanto alla politica economica e a quella sanitaria. E adesso che comincia ad emergere il rilievo dei principi democratici, dopo l’entrata di molti Paesi ignari di certi fondamentali della pace e dello Stato di diritto, le cose miglioreranno ancor di più. È per questo che considero i valori dell’Unione da tenere ben stretti e ben “conservati” per le generazioni future. rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 *** Il diritto dell’Unione che si pratica in un contesto giudiziario o di fronte ad una platea di studenti universitari o quello che si usa nelle paludate istituzioni politiche, sono solo applicazioni del sapere, non necessariamente molto diverse tra loro; ed è opportuno che non lo siano. Quanto alla mia esperienza personale, ritengo di avere appreso molto in tutti i campi dove mi sono cimentato, e che ricevevo stimoli importanti quale che fosse il tavolo dove poggiavo le mie carte e ne discutevo con i miei interlocutori. Forse, qualche soddisfazione maggiore l’ho colta nell’esperienza dei dieci anni di Corte di giustizia, dove l’orizzonte così largo dava le maggiori sensazioni ed emozioni culturali. Il numero non esagerato e piuttosto omogeneo di Stati membri, insieme alla varietà dei modelli giuridici alla fine mi aveva convinto che l’interesse legittimo non è solo una stranezza italiana, sì che il sorriso dei giuristi stranieri, incuriositi ma comunque benevolo, confermò anche il mio. *** L’integrazione che si è voluta realizzare non a caso si è definita da sempre sovranazionale e non internazionale. La realtà è che i rapporti della vita di relazione internazionale non sempre possono definirsi in termini di integrazione e non per ogni aspetto. Per il gruppo dei Paesi dell’Unione europea, viceversa, l’integrazione in senso proprio, cioè principalmente tra ordinamenti, è precisamente ciò che caratterizza questa forma di cooperazione organizzata tra Stati e non anche una comune organizzazione internazionale. Il diritto internazionale ha il compito di regolare i rapporti tra i componenti del corpo sociale internazionale, cioé la comunità internazionale, direi, come Pedrini, l’an, il quomodo e il quantum dei rapporti, col fine naturale che è quello della pacifica convivenza pur nell’autonomia di decisione di ciascun componente e salve le violazioni delle regole poste dal diritto internazionale. E su alcuni momenti della vita di relazione, come qualche recente scaramuccia occasionale tra navi inglesi e francesi per motivi, mi permetto, futili al largo della Libia, la crisi di Suez, e gli emigrati lasciati annegare in mare accompagnati dal chiasso elettorale, possiamo anche stendere un velo pietoso. Questo dato della realtà, tuttavia, non può essere confuso con l’integrazione realizzata tra i Paesi dell’Unione, che, pur avendo come obiettivo primario la pace, lo perseguono con strumenti diversi, quali il mercato comune e gli atti delle istituzioni, nei limiti delle competenze loro attribuite fino a far valere caratteri specifici e non certo sporadici -penso all’effetto diretto e al primato -sì che la posizione giuridica soggettiva dei singoli è in numerosissimi casi direttamente tributaria della norma dell’Unione, dato che si fa a meno del diaframma dello Stato. Ebbene, questa non è certo l’in rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 tegrazione creata dal dirittto internazionale nei rapporti tra i componenti del corpo sociale, è cosa ben diversa. È pertanto anzitutto un fatto. Creato sì come effetto di un Trattato internazionale, ma senza dubbio staccato dalla logica del diritto internazionale, come del dirittto interno: è una scelta autonoma, democratica e consapevole, come giustamente ha colto Pedrini. Ed è anche un valore. Su questo non ho alcun cedimento. È un valore che, ripeto, raggiunge la vetta della civiltà giuridica e che, nonostante alcune pause di criticità (dalla sedia vuota sulla politica agricola alla iniziale solo sommessa solidariertà ai tempi del covid), conserva ancora la sua forza e l’ineliminabile spinta allo sviluppo, al progresso, alla pace, quella disegnata ed effettivamente realizzata. Viviamo in una Comunità di diritto e coloro che non ne colgono il significato vero e profondo farebbero bene ad approfondire il modo di essere e di agire dell’Unione per il bene dei popoli, molto più accettabile, anche su questo non ho dubbi, delle baruffe armate con missili, invasioni e occupazioni, che distruggono la vita di donne e bambini oltre che i simboli della cultura che dovrebbero essere eterni, pur di vedere soddisfatte le ambizioni elettorali. E ciò per motivi che purtroppo spesso non si riescono neppure a capire se non collegandoli agli egoismi di singoli potenti. E perché non potrebbero i giuristi contribuire a migliorare le cose? La Comunità di diritti, fondamentali e non, che abbiamo realizzato tra noi è un esempio illuminante che non va trascurato e deve sempre guidare l’azione degli Stati e dei singoli. Occorre poi considerare che le competenze dell’Unione sono esclusivamente quelle attribuite dagli Stati (principio delle competenze di attribuzione) e che molte competenze che sarebbe necessario l’Unione avesse, non sono state attribuite se non con formule vaghe e deboli, come il coordinamento. Ciò è emerso in tutta la sua importanza soprattutto in economia, staccata curiosamente dalla moneta lasciata, nella sostanza, alla competenza della Banca Centrale Europea, e ciò non sembra perfettamente logico. Ad esempio, quando ci si lamenta dell’inerzia del- l’Unione o della sua scarsa generosità, si dimentica che gli Stati membri hanno sempre rifiutato di attribuire all’Unione una politica economica vera e propria ma solo dei frammenti, quali ad esempio la competenza in tema di aiuti di Stato o di concorrenza o i fondi che nel tempo sono stati creati con una certa disinvoltura, perché tacerlo. E il peggio è precisamente che la moneta, che pure è lo specchio dell’economia, è stata, ripeto, demandata senza alcun serio collegamento alla beata solitudine della BCE. E lo stesso vale per la sanità, dove l’Unione ha solo una funzione di coordinamento, lasciata alla buona volontà degli Stati membri; e taccio sull’ambiente e l’approccio superficiale ai problemi climatici. L’antieuropeismo di maniera è frutto di non conoscenza e appare uno strumento di baruffa elettorale, come accennato, più che un’opinione fondata su una riflessione e letture oneste ed esaurienti. rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 *** Ho già accennato al movimento pseudo culturale del diritto globale, che ritengo frutto e al contempo fonte di confusione -non so dire se consapevole -sul dirittto internazionale e gli auspici velleitari di chi vorrebbe uno Stato mondiale o comunque un diritto comune a tutti i popoli della terra. Come si possa concepire uno scenario del genere in presenza di una Comunità internazionale formata da Stati per la maggior parte divisi dalla politica, della religione, da vecchie memorie e rancori, dalla lingua, indipendenti solo per alcuni aspetti, desta almeno qualche curiosità. A meno che non si voglia negare l’indipendenza e attribuirla esclusivamente alle grandi e grandissime potenze. La circostanza poi che esiste uno jus cogens significa poco e niente, in quanto si tratta di un insieme di principi basati su valori fondamentali della vita di relazione, che richiamano sia la condotta degli Stati sia i diritti dei singoli, ciò che ritroviamo in quasi tutti gli ordinamenti di normale livello di civiltà giuridica. D’altra parte, se è vero che la tutela dei diritti fondamentali da parte della Corte di giustizia è stata la novità introdotta dalla sentenza Internationale Handelsgesellschaft del 1970, va considerato al giusto che anche per merito della stessa Corte di giustizia si è avuto lo spostamento progressivo ma evidente del baricentro del sistema complessivo dell’Unione, come abbiamo accennatto, verso la circolazione delle persone. Ebbene ciò ha influito in maniera determinante sulla rilevanza dei diritti fondamentali delle persone che si spostano da un Paese all’altro insieme al bagaglio di diritti, fondamentali e non, che la Corte di giustizia è stata chiamata a tutelare. *** E veniamo all’espressione “Signori dei Trattati”, molto in voga negli ambienti sovranisti. Fu usata per la prima volta in una sentenza, per fortuna mai applicata, del 12 ottobre 1993, redattore un professore di diritto costituzionale di Heidelberg, successivamente divenuto presidente e che ha ripetuto lo stesso slogan sostanziale più di recente nella sentenza contro la BCE per le misure di Draghi. In sostanza, si voleva e si vuole dire che i giudici tedeschi devono applicare le norme o le sentenze dell’Unione, purché siano in sintonia con le convenienze della Germania, altrimenti sono ultra vires, cioè fuori della sfera di applicazione delle norme dei trattati così come approvati democraticamente e consapevolmente dal Parlamento tedesco e degli altri Stati membri. Ora, che gli Stati membri siano i Signori dei Trattati comunitari, poi dell’Unione, è frase tanto banale da far sorridere più che suscitare allarmi e critiche varie. Forse che non furono i 6 Stati, poi qualcuno in più, a sottoscrivere i Trattati? E non sono ancora gli Stati membri che periodicamente hanno modificato rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 o integrato i Trattati? E le norme dei Trattati non sono forse le norme primarie del sistema, che danno forza agli atti da esse previsti: regolamenti, direttive, decisioni? Tuttavia, come si può pensare di lasciare l’interpretazione o applicazione di questi atti e delle norme dei trattati alla libertà dei singoli Paesi membri? Ad esempio, la norma sulla Corte di giustizia che ne indica il naturale carattere vincolante delle sentenze e la competenza esclusiva può solo significare che quanto all’interpretazione delle norme e alla loro validità non vi sono per i destinatari margini per altre interpretazioni definitive, considerata l’esigenza primaria del sistema che impone complessivamente l’uniformità di applicazione e di interpretazione in tutta l’Unione, a riga, come a Parigi, come a Napoli o a Bad Gastein. Assisteremmo altrimenti ad un “piccolo caos” se ogni giudice potesse disinteressarsi del vincolo di una norma o di una sentenza dell’Unione. In definitiva, lo stato di salute attuale del sistema giuridico dell’Unione non mi pare soffra più di tanto e più che in passato. Qualche criticità, qualche fantasia di qualche giudice nazionale non sono una sofferenza, semmai la ricchezza di un dibattito che può solo giovare alla crescita del sistema. E che il regno Unito abbia lasciato la famiglia dell’Unione neppure ci deve preoccupare più di tanto. Ha sempre avuto un piede dentro ed uno fuori a sua esclusiva convenienza, ora ne tiene uno fuori e l’altro dentro. Quando De Gaulle sospettava sommessamente che il regno Unito avrebbe fatto soffrire la Comunità, non aveva poi tutti i torti. I vicini non sono sempre in perfetta sintonia con il nostro modo di pensare: c’è sempre un cane che abbaia di troppo o un bambino che gioca a pallone e rompe un vetro. Chi poi si lamenta di una sovranità che gli Stati avrebbero o starebbero per trasferire all’Unione dovrebbe riflettere meglio sulla nozione di sovranità. D’accordo che si tratta di una nozione con vari significati e oggetto di speculazioni scientifiche più varie, non solo di giuristi. Ma è anche vero che tutto ha un limite. All’Unione gli Stati non hanno voluto fino ad oggi attribuire poteri sovrani, ripeto, neppure di uno Stato federato. Tutto qui, il resto lasciamolo ai posteri. Piuttosto, si dovrebbe sempre ricordare ed apprezzare la mai contestata formula di Van Gend en Loos, frutto dell’elegante prosa di Lecourt e del- l’intelligenza cattolica di Alberto Trabucchi: “la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale (si noti la sottogliezza: “nel campo” piuttosto che “del”), a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani”. Qui si parla di sovranità, ma in realtà la sostanza non va al di là di una delega di competenze, come si trova conferma nel progressivo affermarsi della formula. La domanda sulla Corte di giustizia e sulle sue competenze coglie gli aspetti maggiori del sistema giuridico dell’Unione complessivamente consi rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 derato. Investita di un ricorso abbastanza banale su un aumento di un dazio doganale da parte dell’Olanda (il caso più volte ricordato Van Gend en Loos), i giudici di Lussemburgo si posero una questione sì di interpretazione di una norma del Trattato che vietava con fin troppa chiarezza simili aumenti, ma soprattutto si posero un loro problema esistenziale: che tipo di giudici siamo, ci limitiamo a verificare se uno Stato membro ha violato il Trattato, anche la più chiara delle norme, lasciando a valle della sentenza di condanna le incontrollate conseguenze dell’ovvia infrazione? E, più specificamente, che effetti provoca una condanna per infrazione sulla posizione giuridica soggettiva del soggetto danneggiato? Nessuno oppure un effetto che questa Corte può individuare e imporre? Secondo molti, il sistema prevedeva un solo rimedio alla violazione del Trattato da parte di uno Stato membro: la procedura d’infrazione, con tanto di condanna dello Stato. Ma a che cosa? E la Commissione era obbligata ad attivare questa procedura in caso di notitia criminis? La prima domanda non riceveva risposta alcuna, per cui in concreto era tutto rimesso alla buona volontà dello Stato o qualcosa del genere: peraltro, l’elemento di maggior peso negativo è che la Commissione non è affatto obbligata ad attivare la procedura d’infrazione, rimessa alla sua valutazione. Sicché tutto può finire nel nulla o - perché tacerlo - in politica. La Corte di giustizia dell’UE (così va oggi correttamente qualificata), pertanto, considerato spesso inefficace il rimedio della procedura d’infrazione, ha valorizzato molto -e giustamente -il rinvio pregiudiziale d’interpretazione, che in effetti ha finito con il costituire una forma essenziale di controllo giurisdizionale della legittimità non solo degli atti dell’Unione ma soprattutto degli atti degli Stati membri (leggi, atti amministrativi, prassi, che siano di attuazione del diritto dell’Unione). La funzione del rinvio pregiudiziale d’interpretazione è anzitutto quella di soddisfare l’esigenza di uniformità d’interpretazione del diritto nell’intera area dell’Unione, come già sottolineato; altra funzione è quella di compensare la circostanza che non sempre è ammissibile un ricorso diretto avverso un atto comunitario e dunque ha una funzione compensatrice delle lacune del controllo di validità. La funzione principale è tuttavia quella di interpretare in via esclusiva e definitiva le norme dell’Unione al di là dell’obiettivo dell’uniformità: in particolare, traducendosi in realtà in un controllo giurisdizionale sul diritto nazionale di cui il giudice nazionale mettesse in dubbio la compatibilità con il diritto dell’Unione. Quando la Corte conferma il dubbio del giudice nazionale, che poi è il dubbio del singolo rispetto ad una determinata interpretazione, la norma interessata rivela il contrasto con la norma così come interpretata dalla Corte, dunque inapplicabile all’interno dello Stato membro del foro e non solo di quello, pertanto con effetti concreti sulla posizione giuridica soggettiva del singolo nell’intera Unione, in rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 tutto o nella parte valutata come incompatibile dalla Corte di giustizia. All’inizio qualcuno ebbe a criticare questo uso del rinvio pregiudiziale d’interpretazione, definendolo una deviazione dalla procedura pregiudiziale e in sostanza alternativo della procedura d’infrazione. In seguito, però, la critica si spense di fronte al successo di questo rimedio, che ha rappresentato uno dei cardini del sistema di controllo giurisdizionale realizzato nel- l’Unione europea, come in nessun’altra struttura di cooperazione internazionale tra Stati. E ciò specie quando il rinvio è obbligatorio, come per i giudici di ultima istanza o quando deve accompagnare una misura cautelare che richiede un rinvio di validità. Ed infatti è significativo che sia il Consiglio di Stato francese sia quello italiano fossero all’inizio molto restii a porre quesiti pregiudiziali alla Corte; e ancora oggi c’è qualche criticità di troppo nell’appplicazione dell’art. 267 del TFUE nella giurisprudenza, ad esempio italiana. Forse si ritiene gerarchico il rapporto con la Corte di giustizia, ma si sbaglia di molto, la sinergia tra giudice nazionale e giudice dell’Unione è solo un contributo ad offrire la più estesa tutela possibile ai singoli. Non solo l’Amministrazione va tutelata, ma anche gli amministrati. In Van Gend en Loos i giudici in sostanza ritennero di dover dare una risposta di efficacia concreta per i singoli che avesserro sofferto di una violazione del Trattato da parte dello Stato di appartenenza e di coinvolgerli direttamente nel controllo di legittimità degli atti nazionali e dell’Unione. Ha inaugurato in questo modo una vera cultura di difesa dei diritti dei singoli, scolpita in quella sentenza ma in realtà diventata la caratteristica principale del diritto dell’Unione, insieme ai due elementi che ne conseguono necessariamente: l’effetto diretto e il primato del diritto dell’Unione e che fanno di tale diritto un unicum nel panorama della cooperazione internazionale organizzata, sul quale sarebbe ultroneo fare commenti. In seguito, si continuò a dibattere sui rimedi alle violazioni dei trattati da parte degli Stati membri. Il regno Unito propose la sanzione pecuniaria per gli Stati membri “peccatori”. Mi permetto di ricordare in proposito che, in una riunione generale della Corte, discutendosi di tale proposta del regno Unito, qualcuno la criticò vigorosamente, portando l’esempio della penitenza irrogata al peccatore, al quale è sufficiente questo esito della confessione di peccati anche gravi per tornare libero già nella coscienza. E non mancò chi imputò questa critica alla pratica cattolica! La realtà, tuttavia, è che uno Stato che viola il Trattato non lo fa per il suo godimento, ma perché ha sicuramente dei problemi, sindacali, sociali, finanziari o altro, per cui preferisce pagare il balzello imposto dalla Corte per l’infrazione piuttosto che tentare di risolvere quei problemi. E fu allora che si pensò di costruire una responsabilità patrimoniale dello Stato, ma nei confronti dei singoli, profittando della pendenza di un rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 ricorso (il celebre caso Francovich) di 500 operai di una fabbrica fallita e impossibilitata a pagare, ma in presenza di un difetto di recepimento di una direttiva che impone agli Stati una garanzia patrimoniale per simili evenienze a favore dei lavoratori. L’Italia, che non aveva recepito la direttiva e creato il fondo di garanzia imposto, fu condannata a risarcire il danno ai singoli. La responsabilità patrimoniale dello Stato legislatore, per omessa o non corretta trasposizione di direttive dell’Unione, è stata considerata da molti una novità quasi eccentrica. Ma si deve riflettere sulla circostanza che anche il Parlamento ha dei vincoli, che deve rispettare pena l’annullamento da parte della Corte costituzionale. E un limite è anche il vincolo di legiferare nel rispetto delle norme dell’Unione, prima e dopo la riformulazione dell’art. 117, primo comma, della nostra Costituzione. Il mancato rispetto di questo limite può ben dar luogo ad una sanzione pecuniaria dello Stato per fatto del legislatore, così come per fatto dell’amministrazione e finanche del giudice, quando produca un danno ai singoli. Nessun principio lo preclude. Per queste ragioni, ritengo ancora oggi che il processo di integrazione europea sia, oltre che un fatto, uno stimolo culturale che nonostante qualche pausa debba ritenersi indispensabile per una pacifica convivenza tra i Paesi europei. Certo, il numero appare un elemento critico, non tanto in sè ma perché sarebbe stato più saggio procedere ad una adesione dei dieci Stati non contestuale, come in passato. Le esigenze politiche talvolta non riescono a combinarsi correttamente con un reale beneficio, specie se le esperienze pregresse dei nuovi Paesi membri non erano le più in sintonia con il modello dello Stato di diritto dei Paesi dell’Unione. *** Nel commiato, Pedrini mi chiede un consiglio e un auspicio, sui suggerimenti che potrei dare a un giovane costituzionalista o internazionalista che volesse approfondire un campo di ricerca sull’integrazione sovranazionale. La domanda è semplice, ma la risposta mi riesce difficile, da costituzionalista di complemento e da vecchio internazionalista, avendo privilegiato già da Acciaierie San Michele (1965) una disciplina diversa che è il diritto del- l’Unione europea. Ai giovani studiosi mi limito a suggerire che sarebbe una sciocchezza sottovalutare e quindi trascurare l’approfondimento di una parte oggi fondamentale del sapere giuridico, pena la rappresentazione di svarioni come verità e l’aumento della diffidenza nei confronti dell’Europa, che trova alimento solo nella scarsa memoria e nella altrettanto scarsa conoscenza del processo d’integrazione. La burocratizzazione tipicamente italiana, poi, che progressivamente si è insinuata nelle maglie della carriera universitaria, evidentemente è più in generale il frutto di una scarsa sensibilità per il futuro dei nostri giovani, stretti tra i numeri piuttosto che dalla qualità della ricerca rASSEGNA AVVOCATUrA DELLO STATO -N. 2/2021 e della produzione scientifica. Anche in tempi di magra, è necessario mantenere il livello di risorse per la ricerca e sburocratizzare le procedure, affinché se ne conservi ed anzi se ne aumenti la qualità: è con la ricerca che il Paese cresce e che i suoi giovani possono vantare primati altrimenti irragiungibili. Giuseppe Tesauro TEMIISTITUZIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 63/2021 oggetto: Soppressione di riscossione Sicilia s.p.a. e successione a titolo universale di agenzia delle entrate-riscossione (aDer) a decorrere dal 1° ottobre 2021. addendum al Protocollo d’intesa sottoscritto tra l’avvocatura dello Stato e aDer. Com'è noto l'Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) ha svolto le funzioni relative alla riscossione nazionale (ex art. 3 D.L. 203/2005) sull'intero territorio nazionale, ad esclusione della Regione Siciliana, nella quale operava invece Riscossione Sicilia s.p.a. L'art. 76 del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito con Legge 23 luglio 2021, n. 106, ha stabilito al comma 1 che "con decorrenza dal 30 settembre 2021, Riscossione Sicilia S.p.A. è sciolta, cancellata d'ufficio dal registro delle imprese ed estinta, senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione, e i relativi organi decadono, fatti salvi gli adempimenti di cui al comma 6". Il successivo comma 2 ha disposto che "Con decorrenza dal 1° ottobre 2021, secondo quanto previsto dalla legge della Regione Siciliana 15 aprile 2021, n. 9, l'esercizio delle funzioni relative alla riscossione di cui all'articolo 2, comma 2, della Legge Regionale del 22 dicembre 2005 n. 19 della medesima Regione Siciliana, è affidato all'Agenzia delle entrate ed è svolto dall'Agenzia delle entrate-Riscossione che, dalla stessa data, vi provvede, nel territorio della Regione, anche relativamente alle entrate non spettanti a quest'ultima". Infine, il comma 4 del medesimo art. 76 ha previsto che "Al fine di assicurare la continuità e la funzionalità nell'esercizio delle attività di riscossione nella Regione Siciliana, Agenzia delle entrate-Riscossione a far data dal 1 ottobre 2021 subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, di Riscossione Sicilia S.p.A. con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602". Tenuto conto dell'impatto che la successione di ADER poteva avere sull'attività dell'Avvocatura dello Stato, in data l° ottobre 2021, è stato sottoscritto un "Addendum" (all. 1) al vigente Protocollo d'intesa sottoscritto il 24 settembre 2020 tra l'Avvocatura dello Stato e ADER (cfr. la Circolare n. 60/2020, all. 2). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2021 In particolare l'Addendum, sul presupposto che "il subentro a titolo universale dell'Ente, a far data dal 1° ottobre 2021, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, di Riscossione Sicilia S.p.A. determina un inevitabile impatto sull'operatività del Protocollo d'intesa in vigore tra le parti, con un repentino incremento dei volumi delle attività previste in capo all'Avvocatura, allo stato non puntualmente quantificabile", ha previsto al punto 2.1, che "l'Avvocatura dello Stato fino al 31 marzo 2022 non presterà il proprio patrocinio a favore dell'Ente relativamente a tutte le cause, sia passive che attive, riferibili alle attività della disciolta Riscossione Sicilia S.p.A., e ciò indipendentemente dal grado di giudizio e dalla magistratura adita". Al punto 2.3 è prevista come deroga a tale previsione, che "gli Uffici Centrali dell'Ente potranno comunque sottoporre all'Avvocatura, ai fini dell'eventuale assunzione del relativo patrocinio, specifiche controversie, ricomprese nel perimetro della disciolta Riscossione Sicilia S.p.A., per le quali appaiano venire in rilievo questioni di massima o particolarmente significative in considerazione del valore economico o dei principi di diritto in discussione...". Ne consegue che per tutte le controversie "riferibili alle attività della disciolta Riscossione Sicilia S.p.A.", alla difesa in giudizio provvederà direttamente ADER (senza, peraltro, necessità della delibera motivata di cui all'art. 43, comma 4, del R.D. 1611/1933: cfr. al riguardo Cass. SS.UU. n. 30008/2019). Tenuto conto che stanno pervenendo presso le varie sedi dell'Avvocatura notifiche (da ritenersi irrituali) di atti giudiziari diretti ad ADER ex Riscossione Sicilia, si ritiene opportuno che l'archivio non proceda all'impianto di nuovi affari, inserendo l'atto notificato nel pertinente Affare d'Ordine, con eventuale invio dell'atto ad ADER solo qualora non risulti già tra i destinatari della notifica (ovviamente qualora già esista un affare legale, la notifica andrà a questo associata). Allegati: 1) Addendum del 1° ottobre 2021 (pubblicato per estratto sul sito Internet dell'Avvocatura dello Stato e dell'Agenzia delle Entrate-Riscossione); 2) Circolare n. 60/2020. L'AVVOCATO GENERALE Avv. Gabriella Palmieri Sandulli (omissis) COntenziOsOCOMunitAriOedinternAziOnALe Le sanzioni sostanzialmente penali dell’AGCOM e il sindacato di piena giurisdizione Nota a Corte europea dei diritti dell’uomo, SezioNe prima, SeNteNza 10 diCembre 2020, riCorSi NN. 68954/13 e 70495/13, CauSa edizioNi del roma SoCietà Cooperativa a r.l. e edizioNi del roma S.r.l. C. italia Giulia Quagliariello* Sommario: 1. premessa -2. la cornice fattuale -3. l’estensione delle garanzie convenzionali del giusto processo al procedimento sanzionatorio dell’aGCom -3.1. i vizi procedi- mentali sotto il profilo del mancato rispetto del principio di parità delle armi, dell’assenza di una udienza pubblica e del difetto di imparzialità dell’organo giudicante -4. il canone della full jurisdiction quale meccanismo di compensazione ex post delle carenze procedimentali 5. Considerazioni conclusive. 1. premessa. Il procedimento sanzionatorio azionato dall’AGCOM per omessa comunicazione di un rapporto di controllo societario, prevista per le società che chiedano finanziamenti pubblici all’editoria, non viola, nel caso concreto, l’art. 6 par. 1 della CEDU poiché esso, pur essendosi svolto essenzialmente per iscritto ed essendo stata offerta solo in parte ai soggetti interessati la possibilità di interloquire sugli elementi di prova raccolti dall’Autorità, ha trovato in sede giurisdizionale un sindacato pieno. È quanto ha statuito la I sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 10 dicembre 2020. (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura generale dello Stato (avv. Stato Maurizio Greco). Un ringraziamento all’avv. Stato Francesco Meloncelli per l’invio dell’articolo alla Rassegna. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 2. la cornice fattuale. A seguito di indagini effettuate dal nucleo speciale della Guardia di Finanza, con delibera adottata il 30 maggio 2011, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (l’AGCOM) aveva irrogato nei confronti delle società italiane Edizioni Del Roma Cooperativa a. r.l. ed Edizioni Del Roma S.r.l., operanti nel settore dell’editoria, sanzioni amministrative di importo pari a 103.300 euro, per aver violato l’obbligo di comunicare la sussistenza di una situazione di controllo ai sensi dell’art. 1, c. 8 della legge n. 416 del 1981 (1). A seguito di tale provvedimento le suddette imprese avevano perso la possibilità di avere accesso ai finanziamenti pubblici erogati alle società editoriali dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, circostanza che aveva provocato il fallimento di una di esse. Entrambe le società, con ricorsi separati, avevano impugnato le sanzioni dell’AGCOM dinanzi al TAR Roma lamentando, tra l’altro, la lesione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio, in conseguenza della mancata audizione dinanzi all’organo collegiale dell’AGCOM. Con sentenza del 25 maggio 2012 il TAR, dopo aver disposto la riunione dei ricorsi, aveva respinto le doglianze dei ricorrenti, sostenendo la piena legittimità dell’operato del- l’Autorità amministrativa. Avverso tale decisione era stato proposto ricorso in appello dinanzi al Consiglio di Stato, conclusosi il 22 aprile 2013 con sentenza di rigetto. Gli amministratori delle società destinatarie delle sanzioni dell’AGCOM si sono, dunque, rivolti alla Corte di Strasburgo, presentando ricorso ai sensi dell’art. 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), denunciando la violazione del principio dell’equo processo di cui all’art. 6, par. 1 della CEDU, sotto il profilo della mancata attuazione di un contraddittorio pieno e paritario nella fase procedi- mentale di irrogazione delle sanzioni, del mancato svolgimento di una udienza pubblica e dell’assenza di imparzialità ed indipendenza dell’AGCOM. 3. l’estensione delle garanzie convenzionali del giusto processo al procedimento sanzionatorio dell’aGCom. Prima di illustrare i profili di interesse giuridico della sentenza in commento, occorre soffermarsi sul percorso argomentativo seguito dalla Corte EDU per affermare l’applicabilità dell’art. 6 CEDU alla vicenda in esame, nonostante tale norma, dal suo tenore letterale, non apparisse prima facie riferibile ad un (1) L’art. 1, c. 8 della legge n. 416 del 1981 sancisce che le persone fisiche e le società che controllano una società editrice di giornali quotidiani, anche attraverso intestazione fiduciaria delle azioni o delle quote o per interposta persona, devono darne comunicazione scritta alla società controllata ed al servizio dell’editoria entro trenta giorni dal fatto o dal negozio che determina l’acquisto. Costituisce controllo la sussistenza dei rapporti configurati nell’articolo 2359 del codice civile. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE giudizio di legittimità avente ad oggetto un procedimento amministrativo (2). L’art. 6 della CEDU, al par. 1, statuisce, infatti, che “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti” (3). Ciò premesso, a partire dalla nota pronuncia sul caso “engel” (4) del 1976, i giudici di Strasburgo, mutando il proprio orientamento pregresso (5), hanno proceduto ad una ridefinizione autonoma (6) della nozione di “accusa (2) Sul punto v. G. GRECO, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto amministrativo in italia, in riv it. dir. pubbl. comunit., 2000, 26. (3) Sulla rilevanza che l’art. 6 par. 1 CEDU assume nell’ambito dei procedimenti amministrativi sanzionatori nazionali si segnalano, ex multis, i contributi di E. FERRARI -M. RAMAjOLI -M. SICA (a cura di), il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative per il funzionamento dei mercati, Torino, 2006, 227 e ss.; S. CASSESE (a cura di), trattato di diritto amministrativo, II ed.; ID., diritto amministrativo generale, I, Milano, 2003, 173 e ss.; G. DELLA CAnAnEA, al di là dei confini statuali. principi generali di diritto pubblico globale, Bologna, 2009; S. MIRATE, Giustizia amministrativa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. l’altro diritto europeo in italia, Francia ed inghilterra, napoli, 2007; B.G. MATTARELLA, pubblica amministrazione e interessi, in AA.vv., il diritto amministrativo oltre i confini, Milano, 2012, 113 e ss.; M. PACInI, diritti umani e amministrazioni pubbliche, Milano, 2012; A. MOzzATI, la conformità europea dei procedimenti. procedimento e processo amministrativo, napoli, 2012; M. ALLEnA, procedimento e processo amministrativo, napoli, 2012; ID., la rilevanza dell’art. 6 par. 1, Cedu per il procedimento e il processo amministrativo, in dir. proc. amm., 2012, 594 e ss.; ID., Garanzie procedimentali e giurisdizionali alla luce dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in www.giustamm.it; F. GOISIS, Sanzioni amministrative, tutele procedimentali e giurisdizionali secondo la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in la sanzione amministrativa. principi generali,a cura di A. CAGnAzzO -S. TOSChEI, Torino, 2012, 40; ID., la tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2014; ID., verso una nuova nozione di sanzione amministrativa in senso stretto: il contributo della Convenzione europea dei diritti del- l'uomo, in riv. it. dir. pubbl. com., 2014, 337 ss.; ID., un'analisi critica delle tutele procedimentali e giurisdizionali avverso la potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, alla luce dei principi dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. il caso delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette, in dir. proc. amm., 2013, 669 ss.; ID., Garanzie procedimentali e Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo, in dir. proc. amm., 2009, 1338 e ss.; E. FOLLIERI, Sulla possibile influenza della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo sulla giustizia amministrativa, in dir. proc. amm., 2014, 685 e ss. (4) Corte EDU, 8 giugno 1976, engel e altri c. paesi bassi, ricorsi nn. 5100/71, 5101/71, 5102/71, 5354/72 e 5370/72. In merito a tale pronuncia, autorevole dottrina ha evidenziato che proprio a partire dal caso “engel” si è assistito al superamento della rigida distinzione tra sistema sanzionatorio penale e sistema sanzionatorio amministrativo, attraverso l’elaborazione da parte della Corte europea, della c.d. concezione “autonomista” della materia penale. Così, C.E. PALIERO, “materia penale” e illecito amministrativo secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo: una questione “classica” a una svolta radicale, nota a Corte EDU, 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania, in riv. it. dir. proc. pen., 1985, 908. (5) S. CIMInI, il potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche. uno studio critico, napoli, 2017, 167, osserva che ab origine la Corte europea aveva escluso l’applicabilità anche all’illecito amministrativo delle garanzie di cui agli artt. 6 e 7 CEDU. (6) Come ha evidenziato la dottrina, la Corte europea, assolvendo il compito affidatole dall'art. 32 della CEDU, al fine di assicurare l'interpretazione uniforme della Convenzione in tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, procede a vere e proprie ridefinizioni dei concetti giuridici contenuti nelle RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 penale”, cui fa riferimento l’art. 6 CEDU, al fine di estendere anche agli illeciti di carattere extra penale le garanzie di matrice penalistica contenute nella Convenzione (7). Essi hanno, pertanto stabilito che, ai fini della riconducibilità di una fattispecie sanzionatoria nella “matière pénale”, con conseguente applicabilità dell’art. 6 sull’equo processo e del successivo art. 7, che statuisce il principio nulla poena sine lege (8), occorre considerare, al di là del criterio formale del nomen iuris, ovvero della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, che rappresenta, come espressamente chiarito dalla Corte, “no more than a starting point” (9), altri due criteri sostanziali, costituiti dalla natura della sanzione e dal grado di severità della stessa (10). Si tratta di parametri elaborati dalla giurisprudenza europea con il chiaro intento di neutralizzare in radice il rischio di possibili elusioni degli obblighi convenzionali da parte dei legislatori nazionali attraverso la c.d. “truffa delle etichette” (11), i quali hanno permesso alla Corte EDU di ampliare sensibilmente l’ambito di applicazione dei principi convenzionali dell’equo processo. Con riferimento al criterio della natura della sanzione, per affermare il carattere norme convenzionali (c.d. interpretazione “autonoma”), poiché gli stessi potrebbero avere una estensione semantica diversa nei vari ordinamenti nazionali. In genere tali concetti sono concepiti in modo meno rigoroso, più flessibile rispetto al diritto degli ordinamenti nazionali, in funzione dell'oggetto e dello scopo della Convenzione. In tal senso, M. ALLEnA, il caso Grande Stevens c. italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, cit., 1055, la quale richiama G. UBERTIS, principi di procedura penale europea. le regole del giusto processo, varese, 2009, 27 e ss.; v. zAGREBELSky, le sanzioni Consob, l’equo processo e il ‘ne bis in idem’ nella Cedu, in Giur. it., 2014, 1196 e ss.; B. RAnDAzzO, i principi del diritto e del processo penale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Quaderno predisposto in occasione dell'incontro trilaterale delle Corti costituzionale italiana, spagnola e portoghese (Madrid, 13-15 ottobre 2011), in www.cortecostituzionale.it; si veda, da ultimo, C. FELzIAnI, Giustizia amministrativa, amministrazione e ordinamenti giuridici. tra diritto nazionale, diritto del- l'unione e Cedu, napoli, 2018, 180 e ss. (7) Successivamente alla pronuncia sul caso engel, tra i primi arresti con cui la Corte EDU ha ritenuto estendibili agli illeciti di carattere extra penale le garanzie di cui agli artt. 6 e 7 CEDU si segnalano Corte EDU, 27 febbraio 1980, deweer c. belgio; Corte EDU, 25 agosto 1987, lutz c. Germania; Corte EDU, 22 febbraio 1996, putz c. austria; Corte EDU, 21 ottobre 1997, pierre-bloch c. Francia; Corte EDU, 24 settembre 1997, Garyfallou aebe c. Grecia, tutte in www.echr.coe.int. (8) Come evidenziato dalla più attenta dottrina, in base alle argomentazioni della Corte di Strasburgo, alle sanzioni amministrative qualificate come “penali” ai fini della Convenzione in virtù del- l’applicazione dei criteri “engel” si devono ritenere applicabili non solo le garanzie di cui all’art. 6 CEDU sul giusto processo, ma anche le altre norme dedicate alla “materia penale”, in particolare l’art. 7, che fissa il principio di irretroattività della norma sanzionatoria. In tal senso C.E. PALIERO -A. TRAvI, la sanzione amministrativa. profili sistematici, Milano, 1988, 157. Si veda anche F. GOISIS, Nuove prospettive per il principio di legalità in materia sanzionatoria-amministrativa: gli obblighi discendenti dall’art. 7 Cedu, in Foro amm. tar, 2013, 1228 e ss. (9) Così Corte EDU, 8 giugno 1976, engel e altri c. paesi bassi, cit., par. 82. (10) Si tratta dei c.d. criteri engel, elaborati dalla Corte europea per la prima volta proprio con la già richiamata pronuncia engel del 1976 ed affinati dalla successiva giurisprudenza della Corte di Strasburgo. (11) COSì F. GOISIS, la tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, cit., 4. vedi anche v. MAnES, profili e confini dell’illecito para-penale, in riv. it. dir. e proc. pen., 2017, 994. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE penale di una norma sanzionatoria, la Corte valuta principalmente se essa si rivolga alla generalità dei consociati e non esclusivamente agli appartenenti ad un determinato ordine (acquistando altrimenti natura disciplinare) (12), se sia posta a presidio di beni giuridici la cui tutela è normalmente assicurata mediante norme di diritto penale, e se abbia uno scopo non meramente risarcitorio e ripristinatorio, ma deterrente e repressivo (13). Con riguardo, invece, al criterio della gravità della sanzione, considerato con riferimento alla pena massima edittale (14), i giudici di Strasburgo hanno a più riprese affermato che non risulta dirimente, ai fini dell’esclusione della natura penale di un determinato illecito, la circostanza che l’autore dell’infrazione non incorra in una limitazione della libertà personale, in quanto ciò che rileva è che la misura punitiva sia potenzialmente idonea ad incidere in modo rilevante sulla sfera giuridica del suo destinatario (15). Pertanto, sono considerate di natura penale anche le sanzioni che consistono e si esauriscono nell'imposizione dell'obbligo, in capo al soggetto sanzionato, di corrispondere una somma di denaro e ciò qualora le stesse siano di entità tale da comportare, per il soggetto cui vengono irrogate, importanti conseguenze finanziarie (16). I criteri della natura e della gravità della misura sanzionatoria sono pacificamente considerati tra di loro alternativi e non cumulativi, per cui soltanto qualora all’esito dell’analisi separata dei singoli criteri residuino ancora dubbi sulla natura sostanzialmente penale dell’illecito oggetto di scrutinio, è possibile procedere ad un’indagine cumulativa (17). Dall’alternatività dei suddetti criteri discende che, ai sensi e per gli effetti della Convenzione, possono essere assimilate alle sanzioni penali anche sanzioni “minori”, ovvero non particolarmente severe ma con scopo deterrente e punitivo, ovvero sanzioni prive di tale funzione ma in grado di comportare gravi conseguenze economiche nei confronti del destinatario. A tal proposito, a titolo puramente esemplificativo, si osserva che la Corte EDU ha riconosciuto natura penale a sanzioni tributarie (18), a sanzioni amministrative derivanti dalla vio (12) Cfr. Corte EDU, 24 febbraio 1994, bendenoun c. Francia. (13) Cfr. Corte EDU, 1° febbraio 2005, ziliberg c. moldavia; Corte EDU, 2 giugno 2008, paykar Yev Haghtanak ltd c. armenia; Corte EDU, 20 luglio 2006, taiani c. italia; Corte EDU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia; Corte EDU, 2 settembre 1998, Kadubec c. Slovacchia; Corte EDU, 2 settembre 1998, lauko c. Slovacchia. (14) Corte EDU, 28 giugno 1984, Campbell e Fell c. regno unito; Corte EDU, 27 agosto 1991, demicoli c. malta. (15) P. PROvEnzAnO, Note minime in tema di sanzioni amministrative e “materia penale”, in rivista italiana di diritto pubblico Comunitario, fasc. 6, 2018, 1073. (16) Corte EDU, 11 giugno 2009, dubus S.a. c. Francia, ricorso n. 5242/04. (17) Corte EDU, 24 febbraio 1994, bendenoun c. Francia, cit.; Corte EDU, 11 giugno 2009, dubus S.a. c. Francia, cit.; Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. italia, ricorsi nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10. (18) Corte EDU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, ricorso n. 73053/01; Corte EDU, 4 marzo 2004, Silverster’s Horeca Service c. belgio, ricorso n. 47650/09. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 lazione di norme sulla circolazione stradale (19) e di importo irrisorio (20), a sanzioni di tipo interdittivo (21) o con finalità ripristinatorie (22) caratterizzate da un certo grado di severità. Ancora, nell’ampia nozione di materia penale elaborata dalla Corte, sono state fatte rientrare anche contravvenzioni per il disturbo del vicinato (23), infrazioni alla legislazione sulla previdenza sociale (24), nonché sanzioni pecuniarie per violazione di vincoli paesaggistici (25). Facendo applicazione dei succitati parametri, i giudici di Strasburgo hanno, in più occasioni, qualificato come penali, ai fini della Convenzione, le sanzioni amministrative irrogate dalle Autorità Indipendenti, in quanto caratterizzate da una spiccata severità ed aventi una finalità repressiva e punitiva (26). Con riferimento alle authorities italiane i precedenti rilevanti sono no (19) Corte EDU, 9 novembre 1999, varuzza c. italia, ricorso n. 35260/97, con cui è stata riconosciuta natura penale ad una sanzione amministrativa pecuniaria per eccesso di velocità. L’orientamento era stato inaugurato molti anni prima da Corte EDU, 21 febbraio 1984, ozturk c. Germania, ricorso n. 8544/79; vedi anche Corte EDU, 25 agosto 1987, lutz c. Germania; Corte EDU, 23 ottobre 1995, Schmautzer c. austria; Corte EDU, 23 settembre 1998, malige c. Francia. (20) Corte EDU, 1° febbraio 2005, ziliberg c. moldavia, ricorso n. 61821/00, con cui è stata riconosciuta natura penale ad una sanzione di soli 3 euro, partendo dall’assunto che l’ammontare della stessa fosse comunque significativo rispetto al reddito del destinatario. (21) Con riferimento alle sanzioni di tipo interdittivo si veda Corte EDU, 24 aprile 2012, mihai toma c. romania, ricorso n. 1051/06 che ha qualificato come penale la sanzione di ritiro della patente di guida, qualificata nel relativo ordinamento come misura di natura amministrativa; Corte EDU, 30 maggio 2006, matyjec c. polonia, ricorso n. 38184/03, con la quale la Corte europea ha riconosciuto natura penale all'interdizione per dieci anni dai pubblici uffici e da talune professioni per i soggetti colpevoli di aver reso false dichiarazioni in ordine alla collaborazione con il regime comunista; Corte EDU, 20 gennaio 2001, vernes c. Francia, ricorso n. 7798/08, che ha assimilato alla sanzione penale l'interdizione perpetua dall'esercizio di attività di gestione di altrui investimenti finanziari; tra le più risalenti, vedi Corte EDU, 27 febbraio 1980, dewer c. belgio, ricorso n. 6903/75 che ha ritenuto di natura penale il provvedimento di chiusura di una macelleria che non aveva rispettato la legislazione sui prezzi. (22) Con riguardo alla natura penale delle sanzioni ripristinatorie si vedano: Corte EDU, 9 febbraio 1995, Welch c. regno unito, ricorso n. 17440/90, che ha riconosciuto la natura sostanzialmente penale della misura della confisca, qualificata nell’ordinamento nazionale britannico come amministrativa; Corte EDU, 27 novembre 2007, Hamer c. belgio, con la quale si è riconosciuta natura penale all'ordine di demolizione di un immobile abusivo; Corte EDU, 30 agosto 2007, Sud Fondi c. italia, che ha attribuito natura penale ai provvedimenti di confisca dei beni abusivamente lottizzati. Sotto tale ultimo profilo si veda, da ultimo, Corte EDU, 28 giugno 2018, G.i.e.m. S.r.l. e altri c. italia. (23) Corte EDU, 2 settembre 1998, lauko c. Slovacchia. (24) Corte EDU, 4 marzo 2008, Huseyin turan c. turchia, ricorso n. 11529/02. (25) Corte EDU, 21 marzo 2006, valico srl. c. italia, ricorso n. 70074/01. (26) Con riferimento ai provvedimenti sanzionatori di Autorità Amministrative Indipendenti francesi, si segnalano Corte EDU, 30 giugno 2011, messier c. Francia, ricorso n. 25041/07; Corte EDU, 20 gennaio 2011, vernes c. Francia; Corte EDU, 11 giugno 2009, dubus S.a. c. Francia, cit.; Corte EDU, 9 marzo 1998, Guisset c. Francia, ricorso n. 33933/96; Corte EDU, 27 agosto 2002, didier c. Francia, ricorso n. 58188/00; Corte EDU, 3 dicembre 2002, lilly France S.a. c. Francia, ricorso n. 53892/00. Con riguardo, invece, alle sanzioni delle Autorità Indipendenti italiane, si veda Corte EDU, 27 settembre 2011, menarini diagnostics s.r.l. c. italia, ricorso n. 43509/08, Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. italia, cit. Sull’incidenza della giurisprudenza della Corte europea sul potere sanzionatorio delle Autorità Indipendenti vedi, ex multis, S. CIMInI, op. cit.; AA.vv., il potere sanzionatorio delle autorità amministrative indipendenti, a cura di M. ALLEnA -S. CIMInI, in il diritto dell’economia, Contenuti COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE tissimi: con la sentenza menarini (27) è stato riconosciuto carattere penale ad una sanzione pecuniaria irrogata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti di una impresa farmaceutica a seguito di un'intesa restrittiva della concorrenza. Con la sentenza Grande Stevens (28), invece, sono state qualificate come penali le sanzioni irrogate dalla Consob in materia di abusi di mercato ex art. 187-septies del d.lgs. n. 58 del 1998. Con la pronuncia in commento, la Corte EDU è tornata ad occuparsi dell’attualissimo tema della assimilazione tra pene e sanzioni amministrative, con specifico riguardo alle sanzioni applicate dalle authorieties italiane, attraendo nell’autonoma nozione di “accusa penale” elaborata dalla propria giurisprudenza le sanzioni amministrative irrogate dall’AGCOM ai sensi dell’art. 1, c. 30 della legge n. 249 del 1997. Appare opportuno precisare che il riconoscimento della natura penale, ai sensi e per i fini della Convenzione, delle sanzioni applicate dall’AGCOM, non rappresenta certamente un dato di novità, costituendo nient’altro che il coerente sviluppo di indirizzi giurisprudenziali già emersi in precedenza ed ormai consolidati. Facendo applicazione dei criteri “engel”, la Corte europea ha, infatti, rilevato che le sanzioni de qua, al pari di quelle irrogate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e dalla Consob, erano poste a tutela di un interesse generale, erano state concepite con funzione essenzialmente deterrente e punitiva, in quanto finalizzate ad impedire una recidiva, ed infine, con riguardo al grado di severità, avevano avuto conseguenze patrimoniali importanti per le imprese destinatarie, le quali, oltre ad aver do- extra, approfondimenti, in www.mucchieditore.it, 2013; E. BInDI -A. PISAnESChI, Sanzioni Consob e banca d’italia. procedimenti e doppio binario al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, Torino, 2018; W. TROISE MAnGOnI, il potere sanzionatorio della Consob. profili procedimentali e strumentalità rispetto alla funzione regolatoria, Milano, 2012; E. BInDI, l’incidenza delle pronunce della Corte edu sui procedimenti sanzionatori delle autorità amministrative indipendenti in Giur. Cost., 2014, 3007 e ss.; L. TORChIA, il potere sanzionatorio della Consob dinanzi alle corti europee e nazionali, in www.irpa.eu, 2014; M. ALLEnA, il caso Grande Stevens e altri c. italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, in Giornale di diritto amministrativo, 2014; v. zAGREBELSky le sanzioni Consob, l’equo processo e il ‘ne bis in idem’ nella Cedu, in Giurisprudenza italiana, 2014. (27) Corte EDU, 27 settembre 2011, menarini diagnostics s.r.l. c. italia. Per un commento alla pronuncia si veda A.E. BASILICO, il controllo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust e l'art. 6 Cedu, in rivista telematica giuridica dell'associazione dei costituzionalisti, n. 4/2011. (28) Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. italia. La rilevanza della pronuncia è testimoniata dalla mole di commenti in merito: si segnalano, tra i molti, M. ALLEnA, il caso Grande Stevens e altri c. italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, cit.; v. zAGREBELSky, le sanzioni Consob, l’equo processo e il ne bis in idem nella Cedu, cit.; M. vEnTORUzzO, abusi di mercato, sanzioni Consob e diritti umani: il caso Grande Stevens e altri c. italia, in rivista delle Società, 2014, 693 e ss.; G.M. FLICk -v. nAPOLEOnI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? “materia penale”, giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della corte edu, 4 marzo 2014, in www.rivistaaic.it, 2014; ID., a un anno di distanza dall’affaire Grande Stevens: dal bis in idem all’e pluribus unum?, in www.rivistaaic.it, 2015; P. MOnTALEnTI, abusi di mercato e procedimento Consob: il caso Grande Stevens e la sentenza Cedu, in Giurisprudenza commentata, 2015. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 vuto pagare un’ingente somma di denaro, erano state private della possibilità di accedere ad ulteriori forme di finanziamento per un importo superiore a 7.000.000 euro. Di conseguenza, i giudici europei hanno statuito che il procedimento di cui i ricorrenti contestavano la legittimità aveva ad oggetto una “accusa penale”, rispetto alla quale l’AGCOM doveva essere considerata come un “tribunale”. 3.1. i vizi procedimentali sotto il profilo del mancato rispetto del principio di parità delle armi, dell’assenza di una udienza pubblica e del difetto di imparzialità dell’organo giudicante. Appurata la natura “penale” delle sanzioni irrogate dall’AGCOM, la Corte di Strasburgo ha ripercorso lo svolgimento del procedimento condotto dall’Autorità, per verificare se esso avesse, in concreto, rispettato i principi dell’equo processo sanciti dall’art. 6 CEDU. Dall’esame dell’iter procedimentale è emersa, in primis, una violazione del principio di parità delle armi tra accusa e difesa poiché, nonostante i ricorrenti avessero avuto la possibilità di accedere agli atti e di presentare osservazioni durante le indagini, non era stato loro trasmesso il rapporto finale della Guardia di Finanza, sul quale la Commissione aveva fondato la propria decisione, con conseguente impossibilità di replicarvi mediante il deposito di memorie e documenti, ovvero la richiesta di un’audizione orale. La Corte EDU ha, inoltre, censurato la procedura sanzionatoria dell’AGCOM sotto il profilo del mancato svolgimento di una udienza pubblica, rilevando che, sebbene i principi di oralità e pubblicità delle udienze non debbano necessariamente informare qualsiasi procedimento sanzionatorio (29), nel caso di specie la natura meramente cartolare del procedimento era inadeguata, a causa della difformità di versioni sullo svolgimento dei fatti, dell’entità delle sanzioni irrogate e del loro impatto sulla reputazione dei soggetti coinvolti. In terzo luogo, la Corte ha rilevato un difetto di imparzialità ed indipendenza dell’organo giudicante, evidenziando il carattere meramente formale della separazione, prevista dal regolamento dell’AGCOM, tra l’organo incaricato delle indagini (il responsabile del procedimento) e l’organo preposto alla decisione (la Commissione). Tali soggetti erano, infatti, nient’altro che suddivisioni di uno stesso organo amministrativo, operanti sotto l'autorità e la supervisione di uno stesso presidente, il che denotava una continuità di funzioni inquirenti e di giudizio in seno ad una stessa istituzione, assolutamente incompatibile con l'esigenza di imparzialità richiesta dall’art. 6 della CEDU. (29) Si vedano, ex multis, Corte EDU, 12 novembre 2002, döry c. Svezia, ricorso n. 28394/95; Corte EDU, 25 novembre 2003, pursiheimo c. Finlandia, ricorso n. 57795/00; Corte EDU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, sopra citata; Corte EDU, 17 maggio 2011, Suhadolc c. Slovenia, ricorso n. 57655/08. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha giudicato il procedimento dinanzi all’AGCOM non rispettoso di tutte le garanzie convenzionali di cui all’art. 6 della CEDU. 4. il canone della full jurisdiction quale meccanismo di compensazione ex post delle carenze procedimentali. Le carenze procedimentali riscontrate non sono state, tuttavia, sufficienti per concludere nel senso della sussistenza, nel caso di specie, di una violazione dell’art. 6 CEDU, dovendosi preliminarmente accertare se, successivamente all’adozione delle sanzioni, i ricorrenti avessero avuto accesso ad un tribunale indipendente ed imparziale, dotato di piena giurisdizione, in grado di porre rimedio ai vizi del procedimento e di assicurare, sia pure ex post, tutte le garanzie di cui all’art. 6. Con la pronuncia in commento i giudici di Strasburgo hanno confermato, infatti, l’orientamento secondo cui, anche laddove il procedimento di irrogazione della sanzione da parte dell’autorità amministrativa non sia conforme ai canoni del giusto processo, per scongiurare una violazione dell’art. 6 CEDU sia sufficiente assicurare al destinatario della sanzione la possibilità di ricorrere ad un giudice indipendente e dotato di “piena giurisdizione”. In base alla giurisprudenza della Corte EDU, per full jurisdiction si intende, in estrema sintesi, l’assenza di ogni limitazione, autoimposta o altrimenti prevista, all’esame da parte del giudice dei punti centrali della controversia tra cittadino e Amministrazione (30). Affinché sia garantito il rispetto di tale canone, il cittadino deve poter avere accesso ad un tribunale con cognizione piena, su tutti i punti di fatto e di diritto, ossia estesa al merito della questione ed il giudice non deve considerarsi vincolato dai precedenti accertamenti degli organi amministrativi sui punti decisivi per l’esito del caso, così prescindendo da un esame indipendente di tali questioni (31). Ciò premesso, appare opportuno focalizzare l’attenzione su come il canone della full jurisdiction sia interpretato ed applicato nel nostro sistema di giustizia amministrativa nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni penali delle Autorità Indipendenti. La questione si inserisce all’interno del dibattito concernente il rapporto tra discrezionalità tecnica e giudice amministrativo e riguarda le specifiche modalità di esercizio del sindacato giurisdizionale ri (30) Così, da ultimo, Corte EDU, 11 gennaio 2018, Haralambi borisov aNCHev c. bulgaria, ricorsi nn. 38334/08 e 68242/16. Sul concetto di full jurisdiction vedi, ex multis, F. GOISIS, la full jurisdiction nel contesto della giustizia amministrativa: concetto, funzioni e nodi irrisolti, in dir. proc. amm., 2015, 546 e ss.; ID., il canone della full jurisdiction, tra proteiformità e disconoscimento della discrezionalità tecnica come merito. riflessioni critiche sull’art. 7, co. 1, d.lgs. 19 gennaio 2017, in p.a. persona e amministrazione, 2018; ivi, M. ALLEnA, l’art. 6 e la continuità tra procedimento e processo. (31) Cosi Corte EDU, 21 luglio 2011, Stigma radio television ltd c. Cipro, ricorsi nn. 32181/04 e 35122/05, par. 157. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 spetto alle scelte tecniche ed ai relativi fatti accertati dall’Autorità, alla luce dei principi del giusto processo affermati dalla Corte EDU (32). La giurisprudenza amministrativa italiana ha progressivamente approfondito il tema, spinta dalla ricerca di un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale ed evitare che il giudice potesse riesercitare direttamente un potere in materie rimesse alle Autorità Indipendenti. nelle prime pronunce in materia di sanzioni delle authorities si era affermato il principio secondo cui i provvedimenti dell’Autorità erano sindacabili per vizi di legittimità e non di merito, potendo il giudice amministrativo verificare esclusivamente se il provvedimento impugnato apparisse logico, congruo, ragionevole, correttamente motivato ed istruito, senza la possibilità di sostituire le proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità e a questa riservate (33). Il fatto poteva, dunque, dirsi precostituito dall’Amministrazione, anche in ragione dell’atteggiamento di deference del giudice nei confronti delle scelte di carattere tecnico discrezionale operate dalle Autorità, in virtù della particolare posizione e qualificazione tecnica di queste ultime. nello specifico, le valutazioni tecniche complesse risultanti dalla applicazione di concetti giuridici indeterminati (quali, ad esempio, il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante, le intese restrittive della concorrenza) e basate sul rispetto di regole proprie di scienze inesatte ed opinabili, erano oggetto di un controllo di tipo debole (cd. controllo estrinseco o esterno) limitandosi il giudice ad attenersi alla valutazione operata dall’Autorità, salvo che questa non fosse manifestamente irrazionale o incongrua, senza spingersi a verificare direttamente in positivo se fosse stata ben svolta sotto il profilo tecnico scientifico (34). Successivamente il Consiglio di Stato, ribaltando l’orientamento che negava al giudice amministrativo l’accesso diretto al fatto, nell’ottica di assicurare una tutela effettiva nei confronti degli atti delle Autorità Indipendenti, ha stabilito che i fatti posti a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità possono essere pienamente verificati dal giudice sotto il profilo della verità degli stessi. La giurisprudenza amministrativa ha, dunque, trovato un punto di equilibrio intorno a quello che viene definito come “sindacato intrinseco di attendibilità tecnica”: il giudice, avvalendosi delle medesime regole specialistiche utilizzate dall’Amministrazione, può sindacare l’attendibilità della valutazione tecnica operata, sotto il profilo della correttezza del criterio utilizzato ed applicato, (32) In argomento si segnala il contributo di G. SABBATO, la full jurisdiction nella giurisprudenza nazionale. un quadro complesso in evoluzione, in p.a. persona e amministrazione, cit., 297 e ss. (33) vedi, ex multis, Cons. St., Sez. vI, 14 marzo 2000, n. 1348; Cons. St., Sez. vI, 20 marzo 2001, n. 1671; Cons. St., Sez. vI, 26 luglio 2001, n. 4118. (34) vedi, ex multis, Cons. St., Sez. vI, 1° ottobre 2002, n. 5156, con nota di F. LIGUORI, il sindacato debole sulle valutazioni riservate delle amministrazioni indipendenti, in Giornale di diritto amministrativo, 2013, 597 e ss. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE verificando se la soluzione tecnica individuata dall’Autorità rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto (35). L’intensità dello scrutinio non supera, tuttavia, il perimetro rappresentato dalle valutazioni tecniche opinabili. Il sindacato del giudice amministrativo resta, infatti, un sindacato non sostitutivo, in quanto gli è consentito censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, non potendo il giudice sostituire alla valutazione opinabile effettuata dall’Autorità una propria valutazione parimenti opinabile (36). Tant’è vero che, nonostante l’art. 134 c. 1, lett. c) del c.p.c. abbia conferito al giudice amministrativo una giurisdizione estesa al merito sui provvedimenti sanzionatori pecuniari delle Autorità Indipendenti, la giurisprudenza amministrativa, partendo dall’assunto che la ricostruzione dei concetti giuridici indeterminati di tipo tecnico sia esclusivo appannaggio delle valutazioni riservate all’Amministrazione, ha interpretato tale giurisdizione come riferita esclusivamente alla quantificazione della sanzione e non anche all’accertamento della sussistenza dei presupposti (37). Il giudizio sulla decisione amministrativa si configura come un giudizio di tipo impugnatorio. Il ricorrente non può, infatti, dolersi di tutto il provvedimento sanzionatorio ponendolo dinanzi al giudice per sollecitare il riesame dell’intero procedimento, ma deve essere in grado di individuare nei vizi-motivi i punti in cui la decisione, al di là di eventuali violazioni di legge, non risponde ai criteri di ragionevolezza, proporzionalità e di corretto utilizzo delle scienze tecniche, i quali sono necessari per configurare l’illecito (38). (35) Si vedano, con particolare riferimento alle valutazioni tecniche affidate all’AGCM, Cons. St., Sez. vI, 2 marzo 2004, n. 926; Cons. St., Sez. vI, 8 febbraio 2007, n. 515. In quest’ultima pronuncia si afferma che «al giudice amministrativo è consentito sindacare senza alcun limite tutte le valutazioni tecniche compiute dall’autorità antitrust per l’individuazione del c.d. mercato rilevante potendo valutare, avvalendosene a tal fine a sua volta, sia la correttezza delle scelte tecniche dalla stessa compiute sia l’esattezza dell’interpretazione ed applicazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta ». Più di recente, i giudici di Palazzo Spada, con una serie di pronunce ravvicinate, hanno confermato la tecnica del sindacato intrinseco di attendibilità. vedi Cons. St., Sez. vI, 5 agosto 2019, nn. 5558, 5564 e nn. 6022, 6023, 6025, 6027, 6030, 6032, 6065; Cons. St., Sez. vI, 23 settembre 2019, n. 6314. (36) Cons. St., Sez. vI, 6 maggio 2014, n. 2302. Anche le Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia del 20 gennaio 2014, n. 1013, hanno stabilito, con riferimento ai provvedimenti dell’AGCM, che per quegli apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità (come nel caso della definizione di mercato rilevante nell’accertamento delle intese restrittive della concorrenza), il sindacato giurisdizionale, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica della non esorbitanza dai suddetti margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità. (37) Cons. St., Sez. vI, 21 marzo 2018, n. 1821; Cons. St., Sez. vI, 29 maggio 2018, n. 3197; Cons. St., Sez. vI, 10 luglio 2018, n. 4211. (38) Sul punto si veda, ex multis, F. FOLLIERI, la giurisdizione di legittimità e full jurisdiction. le potenzialità del sindacato confutatorio, in p.a. persona e amministrazione, cit., 158. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 Oggi, tuttavia, una parte della dottrina sostiene che affinchè il sindacato giurisdizionale sulle sanzioni delle authorities possa considerarsi pieno e dunque conforme ai principi indicati dalla Corte EDU, il giudice amministrativo deve poter riesercitare ex novo il potere, sostituendosi completamente all’Amministrazione, anche in presenza di valutazioni tecniche di carattere complesso, relative all’applicazione di concetti giuridici indeterminati, ovviamente nei limiti del principio dispositivo e dei motivi di ricorso (39). Tale dottrina sostiene che in base alla giurisprudenza della Corte EDU la sede privilegiata per valutare la fondatezza dell’accusa penale dovrebbe essere il processo, almeno laddove il procedimento non garantisca un contraddittorio pieno ed effettivo. In questa ottica, il modello della full jurisdiction in materia di sanzioni amministrative dovrebbe, dunque, configurarsi come un sindacato giurisdizionale appellatorio puro, invece che cassatorio. Lo schema logico dovrebbe essere, pertanto, quello di due soggetti pubblici che, in continuità tra loro, esercitano un potere qualitativamente identico, con conseguente piena sostituibilità della scelta dell'organo inferiore (l'Amministrazione) da parte dell'organo superiore (il giudice dotato di full jurisdiction). L’art. 6 della CEDU richiederebbe, pertanto, il passaggio da un sindacato di attendibilità (quello oggi generalmente praticato) ad un sindacato di maggiore attendibilità: il giudice dovrebbe verificare se la scelta compiuta dal- l’Autorità risulti la più attendibile tra quelle prospettate, con la possibilità di ritenere che la valutazione dell’Autorità, sebbene intrinsecamente attendibile, non meriti conferma, in quanto meno attendibile di quella prospettata dal soggetto sanzionato. Aderendo a tale ricostruzione, il testo dell'art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a., che prevede una giurisdizione di merito, anziché di mera legittimità, sulle sanzioni amministrative pecuniarie, potrebbe essere interpretato in modo diverso da quel che fa la giurisprudenza amministrativa, sostenendo che la giurisdizione di merito, come tale interamente sostitutiva dell'amministrazione, non riguarda solo la quantificazione delle sanzioni, ma anche l’an dell’illecito e, dunque, ogni valutazione di merito, di fatto e di diritto, rilevante per il suo accertamento. Il dubbio che può sorgere dall’accoglimento della tesi sopra esposta è se un controllo non sostitutivo nel senso illustrato valga a integrare quella piena giurisdizione che ha un effetto sanante sulla violazione dei parametri di cui all’art. 6 della CEDU. In verità, appare rassicurante quanto stabilito dalla Corte EDU nella sen (39) In tal senso, M. ALLEnA, art. 6 Cedu. procedimento e processo amministrativo, cit., 66 e ss; ID. l’art. 6 e la continuità tra procedimento e processo, cit., 30; F. GOISIS, il canone della full jurisdiction tra proteiformità e disconoscimento della discrezionalità tecnica come merito. riflessioni critiche sull’art. 7 co. 1 d.lgs. 19 gennaio 2017, cit., 204 e ss. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE tenza menarini, in cui si è posto proprio il problema se il sindacato esercitato sulle sanzioni delle Autorità Indipendenti, e, segnatamente, su quelle irrogate dall’AGCM, potesse considerarsi in linea con le previsioni della Convenzione, ed in particolare con il diritto ad una tutela piena ed effettiva, riconosciuto dall’art. 6 par. 1 della CEDU. La Corte europea è giunta alla conclusione positiva, ritenendo rispettato nel caso concreto l’art. 6 CEDU, nella misura in cui il giudice amministrativo, pur non potendosi sostituire all’Autorità, aveva potuto svolgere un sindacato pieno su ogni valutazione da questa effettuata, anche se tecnico-discrezionale, nonché sindacare la proporzionalità della sanzione ed eventualmente rimodularla (40). Dalla pronuncia resa sul caso menarini si evince che anche un sindacato di legittimità può risultare compatibile con gli obblighi convenzionali, a patto che il giudice amministrativo eserciti una piena giurisdizione di legittimità (41), rispettando in concreto gli standards di giudizio che si sono testè delineati, senza ampliare la riserva di amministrazione per il merito e senza restringere la sua capacità, comunque totalizzante, di accesso e cognizione dei fatti. nel caso contrario, nel singolo giudizio sarebbe riscontrabile la carenza di una giurisdizione piena e, di conseguenza, la violazione dell'art. 6, par. 1 CEDU. Tutto ciò premesso, con riferimento al caso in esame i giudici di Strasburgo hanno rilevato che il sindacato giurisdizionale effettuato dal giudice amministrativo sull’esercizio dei poteri sanzionatori da parte dell’AGCOM dovesse essere considerato “pieno”. I ricorrenti, infatti, avevano avuto la possibilità, di cui si erano avvalsi, di impugnare le sanzioni “penali” del- l’AGCOM dinanzi al TAR Roma e proporre ricorso in appello al Consiglio di Stato, organi giudiziari dotati di piena giurisdizione ai fini della Convenzione, in quanto muniti dei requisiti di indipendenza ed imparzialità che un giudice deve possedere ai sensi dell’art. 6 della CEDU (42). nel caso di specie, tali giudici avevano esaminato i vari motivi di fatto e di diritto sui quali si basava il ricorso delle società e valutato gli elementi di prova raccolti dall’AGCOM, non limitandosi, come invece sostenuto dalle ricorrenti, ad un semplice controllo di legalità, ma verificando esattamente se, con riguardo alle particolari circostanze di causa, l’Amministrazione avesse fatto un utilizzo appropriato dei suoi poteri ed esaminando la fondatezza e proporzionalità delle scelte dell’Autorità. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte europea ha concluso che, poi (40) Corte EDU, menarini diagnostics s.r.l. c. italia, 27 settembre 2011, cit. par. 64 e ss.; nello stesso senso Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. italia, cit., par. 149. (41) Sul punto vedi F. LIGUORI, il sindacato di merito nel giudizio di legittimità, in p.a. persona e amministrazione, cit., 219 e ss. (42) Corte EDU, 8 giugno 1999, predil anstalt S.a. c. italia, ricorso n. 31993/96. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 ché la decisione dell’AGCOM era stata sottoposta a un controllo a posteriori da parte di organi giudiziari dotati di piena giurisdizione, non fosse ravvisabile, nel caso di specie, alcuna violazione dell’articolo 6 par. 1 della Convenzione. 5. Considerazioni conclusive. La pronuncia della Corte EDU offre alcuni spunti di riflessione. I giudici di Strasburgo riaffermano, in questa sede, il principio per cui nonostante il procedimento amministrativo determinativo di diritti ed obblighi civili o di sanzioni penali sia, in linea di principio, chiamato a conformarsi ex se e fin da subito alle garanzie di cui all’art. 6 della CEDU, gli Stati membri non incorrono in violazioni della Convenzione qualora assicurino il rispetto di tali garanzie nella successiva, ed eventuale, fase giurisdizionale. È, dunque, necessario, che quantomeno nel giudizio di opposizione siano osservati i canoni dell’equo processo, quali la terzietà ed imparzialità dell’organo giudicante, la pubblica udienza, la parità delle armi, nonché il potere del giudice di riesaminare, punto per punto, in fatto ed in diritto, le decisioni amministrative impugnate. In conclusione, secondo l’orientamento dei giudici di Strasburgo, qui confermato, lo scrutinio circa l’esistenza di una lesione delle prerogative difensive cristallizzate nell’art. 6 CEDU non deve limitarsi alla fase amministrativa, dovendo necessariamente estendersi anche alla successiva fase giurisdizionale. In quest’ottica, il procedimento amministrativo sanzionatorio viene considerato come un segmento di una vicenda giuridica più ampia che prosegue con il processo. La posizione assunta dalla Corte EDU suscita, tuttavia, alcune perplessità, sotto il profilo della affermata sufficienza del sindacato giurisdizionale a sanare i vizi della fase procedimentale di irrogazione delle sanzioni delle Autorità Indipendenti, nel caso di specie dell’AGCOM. Al fine di comprendere dove risiedano gli elementi di ambiguità e contraddittorietà di tale impostazione, occorre fare riferimento alla distinzione che la stessa giurisprudenza della Corte EDU opera all’interno delle criminal offences irrogate da autorità amministrative, tra sanzioni particolarmente afflittive, rientranti nel c.d. hard core of criminal law (43) e sanzioni di lieve entità, le c.d. minor offences (44). La differenza tra le due categorie assume rilevanza ai fini della (necessariamente immediata o, eventualmente, anche posticipata) applicazione delle garanzie procedimentali di cui all'art. 6 CEDU. nello specifico, la Corte di Strasburgo ha stabilito che le eventuali violazioni delle garanzie fissate dall'art. 6 CEDU, incorse nel procedimento di irrogazione di sanzioni riconducibili alla nozione di minor offences, possano essere sanate ex post nella successiva fase giurisdizionale, a condizione che (43) Così Corte EDU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, ricorso n. 73053/01, par. 43 (44) Così Corte EDU, 21 febbraio 1984, ozturk c. Germania, ricorso n. 8544/79, par. 53. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE in tale fase il giudice adito sia abilitato a pronunciarsi ex novo sull'intera vicenda. viceversa, laddove si sia in presenza di una sanzione rientrante nel c.d. hard core penale, l’art. 6 CEDU deve necessariamente applicarsi sin dal momento della sua irrogazione, e dunque anche all’interno del procedimento sanzionatorio. Pertanto, la regola è quella della soddisfazione fin dalla fase procedimentale, delle garanzie del giusto processo. Solo ove ciò non sia possibile, nei limiti delle minor offences, è ammessa anche (in via d'eccezione) la sanatoria ex post, in sede giurisdizionale (45). Per distinguere le minor offences dalle criminal offences la Corte EDU non considera esclusivamente l’entità edittale della sanzione, quanto piuttosto il suo carattere afflittivo nei confronti della persona, oltre che del suo patrimonio. Se la sanzione assume anche un carattere socialmente riprovevole, incidendo sulla vita di relazione e sulle capacità lavorative del destinatario, i giudici europei tendono a qualificarla come particolarmente severa e di conseguenza ad assicurare le garanzie convenzionali già nel procedimento amministrativo sanzionatorio. Ciò premesso, non v’è dubbio che le sanzioni irrogate dalle Autorità Indipendenti siano riconducibili alle criminal offences rispetto ai criteri complessivi elaborati dalla Corte EDU: le sanzioni in questione, infatti, sono ricomprese tra limiti edittali molto elevati, sono immediatamente esecutive e non assicurabili e spesso prevedono misure accessorie capaci di incidere notevolmente sulla vita professionale e di relazione del soggetto sanzionato, quali, ad esempio, la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio ovvero l’interdizione dallo svolgimento di determinate attività. Da ciò dovrebbe dedursi, senza esitazioni, che quando si sia di fronte ad una sanzione definibile come criminal offence i principi di cui all’art. 6 CEDU devono applicarsi integralmente alla fase procedimentale di competenza dell’Autorità Indipendente. Se, infatti, la criminal offence è equiparata in toto alla sanzione penale, come ha sempre rilevato la Corte, la compensazione a posteriori delle garanzie dell’equo processo attraverso il giudizio di opposizione si porrebbe in contrasto con i principi di nulla poena sine judicio e di presunzione di innocenza previsti dal secondo paragrafo dell’art. 6 CEDU (46). Per quanto concerne, (45) Così F. GOISIS, la tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, cit., 69; in termini analoghi si esprime M. ALLEnA, art. 6 Cedu. procedimento e processo amministrativo, cit., 74. (46) In tal senso, F. GOISIS, Sanzioni amministrative, tutele procedimentali e giurisdizionali secondo la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, cit., 45. ID., la tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, cit., 64 e ss. Secondo l’autore, nel nostro ordinamento, è proprio il principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 6 par. 2 della CEDU ad imporre l’anticipazione delle garanzie del giusto processo alla fase amministrativa, considerata l’immediata esecutività dei provvedimenti sanzionatori amministrativi. Infatti, obbligare un soggetto a farsi carico di una sanzione immediatamente esecutiva, emanata all’esito di un procedimento non pienamente rispettoso delle garanzie del giusto processo, in attesa di un giudizio che, a posteriori, le assi RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 poi, il giudizio di opposizione alla sanzione, considerata l’immediata esecutività (47) delle sanzioni delle authorities e la loro idoneità a cagionare un danno reputazionale spesso irreversibile ed esteso sul mercato globale, non sempre l’annullamento giurisdizionale è in grado di riportare l’impresa sanzionata allo status quo ante rispetto all’irrogazione. Inoltre, per quanto possa essere assicurata una full jurisdiction, eventuali vizi della fase procedimentale si ripercuoteranno inevitabilmente su quella giurisdizionale: infatti, se la decisione amministrativa viene emessa a seguito di una istruttoria parziale, il giudizio di opposizione sarà svolto su fatti non acclarati in contraddittorio e dunque, in sostanza, il giudice non potrà che sindacare l’atto impugnato sulla prospettazione fattuale e giuridica proposta dall’Amministrazione (48). Ciò nonostante, proprio sulla necessità di applicare, in presenza di tale tipologia di sanzioni, le garanzie dell’equo processo sin dalla fase procedi- curi, si pone in contrasto con il suddetto parametro convenzionale. Cfr. anche M. ALLEnA, art. 6 Cedu. procedimento e processo amministrativo, cit., 74; G.M. FLICk -v. nAPOLEOnI, a un anno di distanza dall’affaire Grande Stevens: dal bis in idem all’e pluribus unum? cit., 8, i quali dubitano che l’immediata esecutività delle sanzioni amministrative sia compatibile con il principio di presunzione di innocenza ex art. 6, par. 2 CEDU, il quale, in linea di principio dovrebbe implicare il divieto di porre in esecuzione un sanzione “penale” prima che si sia concluso un equo processo. (47) Come osservato da S. CIMInI, op. cit., 185 relativamente al problema dell’immediata esecutività delle sanzioni amministrative, per la Corte EDU né l’art. 6 CEDU né qualsiasi altra disposizione convenzionale può essere letta nel senso di escludere, in linea di principio, l’adozione di misure di esecuzione prima che le decisioni siano passate in giudicato. Ciò che viene richiesto dalla giurisprudenza europea è che l’adozione di tali misure sia contenuta entro limiti ragionevoli, in modo da trovare un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco. Così Corte EDU, 27 gennaio 2009, Carlberg c. Svezia, ricorso n. 9631/04; Corte EDU, 14 febbraio 2006, paulow c. Finlandia, ricorso n. 43434/99; Corte EDU, 23 luglio 2002, Janosevic c. Svezia, ricorso n. 3461/97. Pertanto, ai fini convenzionali, potrebbe essere sufficiente escludere l’immediata esecutività esclusivamente per le sanzioni amministrative più severe, in grado di arrecare un grave vulnus al soggetto sanzionato, difficilmente ristorabile in sede giurisdizionale, rafforzando, negli altri casi, la tutela cautelare, senza tuttavia arrivare a collegare al ricorso al giudice un effetto sospensivo automatico, il quale potrebbe incoraggiare la proposizione di ricorsi dilatori e pretestuosi. nello stesso senso si esprime la giurisprudenza italiana: vedi Cons. St., Sez. vI, 26 marzo 2015, nn. 1595 e 1596, ove si afferma che «l’ampiezza, l’efficacia e l’immediatezza della tutela cautelare, anche ante causam e monocratica, è certamente in grado di assicurare, tanto nel processo amministrativo quanto in quello civile di opposizione alle sanzioni amministrative, un equilibrato contemperamento degli opposti interessi, scongiurando così il pericolo che il destinatario del provvedimento sia privato della ineliminabile garanzia della tutela effettiva». vedi anche TAR Lazio, Sez. III-ter, ord. 3 aprile 2015, n. 1518, secondo cui l’art. 6 CEDU «non impone di prevedere un effetto sospensivo automatico per le ipotesi di contestazione giurisdizionale di misure amministrative afflittive». In senso contrario si pone E. FOLLIERI, Sulla possibile influenza della Giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo sulla giustizia amministrativa, cit., che sostiene che il ricorso al giudice deve determinare un effetto sospensivo automatico per compensare la mancanza di imparzialità, indipendenza e terzietà di chi irroga la sanzione e la carenza del contraddittorio pieno; M. ALLEnDA, art. 6 Cedu. procedimento e processo amministrativo, cit., 222, la quale sostiene che l’esecutività delle sanzioni amministrative può essere accettata purchè alla proposizione del ricorso sia collegato un effetto sospensivo automatico, magari con il correttivo della facoltà per l’Amministrazione di riottenere dal giudice l’immediata esecutività in presenza di gravi ragioni di interesse pubblico. (48) In questi termini si esprimono E. BInDI -A. PISAnESChI, Sanzioni Consob e banca d’italia: procedimenti e doppio binario al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, Torino, 2018, 90. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE mentale, la giurisprudenza della Corte EDU presenta alcune oscillazioni: infatti, mentre in alcune pronunce riguardanti le Autorità di regolazione dei mercati francesi (49) i giudici europei non hanno esitato ad affermare che la sussistenza di vizi procedimentali quali la carenza di imparzialità dell’organo giudicante ed il deficit di contraddittorio comportasse di per sé una la violazione dell’art. 6 CEDU, non sanabile in sede giurisdizionale, con riferimento ai procedimenti sanzionatori di competenza delle Autorità Indipendenti italiane le decisioni sono meno chiare. Infatti, nel caso in esame, in perfetta continuità con quanto affermato nella sentenza Grande Stevens, la Corte ha prima impostato tutto il suo percorso argomentativo sulla violazione dell’art. 6 CEDU sotto i profili della mancanza di una pubblica udienza, di un contradditorio pieno e paritario e sulla carenza di imparzialità dell’Amministrazione, e poi, al termine del ragionamento, diversamente rispetto a quanto aveva sostenuto nel caso delle analoghe sanzioni irrogate dalle autorità francesi, ha ritenuto applicabile il principio della compensabilità ex post in sede giurisdizionale (50). (49) Con la sentenza dubus (Corte EDU, 11 giugno 2009, dubus S.a.v. c. France, ricorso n. 5242/04) la Corte EDU ha affermato (condannando di conseguenza la Francia) che l’organizzazione della Comission bancaire, l’autorità preposta alla vigilanza prudenziale del sistema bancario, non fosse compatibile con l’art. 6 CEDU, del tutto indipendentemente dal fatto che fosse effettivamente previsto un giudizio ex post dotato di full jurisdiction. L’autorità, infatti, pur presentando una certa distinzione tra l’organo istruttorio (il Secretariat General) e l’organo decisorio (la Commission) non garantiva una separazione sufficiente tra gli stessi, dato che l’organo istruttorio era posto in una posizione di soggezione rispetto alla Commissione, dalla quale riceveva istruzioni ed era controllato. Questa decisione ha portato, nel 2010, alla riforma legislativa della Commission bancaire, attraverso la costituzione di una nuova autorità, l’autorité de control prudentiel, costruita sulla base delle indicazioni della Corte EDU, composta da organi con funzioni chiaramente distinte. nel 2011 due sentenze della Corte EDU hanno riguardato la Commission des operations de bourse (COB). Con la sentenza vernes, (Corte EDU, 20 gennaio 2011, vernes c. Francia, ricorso n. 30183/06) la Corte europea ha riscontrato la violazione del- l’art. 6 CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del principio di pubblicità poiché, all’epoca dei fatti, il regolamento dell’Autorità non prevedeva la possibilità per l’accusato di richiedere un’udienza pubblica. Anche in questo caso l’esistenza di un giudizio ex post dotato di full jurisdiction non è stata ritenuta sufficiente a compensare il vizio procedimentale. Con la successiva sentenza messier (Corte EDU, 30 giugno 2011, messier c. Francia, ricorso n. 25041/07) la Corte ha precisato che la fase procedimentale di irrogazione della sanzione deve assicurare la parità delle armi tra accusa e difesa, per cui vi deve essere pieno accesso ai documenti ed al fascicolo di causa e l’Autorità ha l’obbligo di comunicare all’accusato tutte le prove a carico e a discarico, sollecitando sulle stesse il contraddittorio in udienza pubblica. (50) Secondo parte della dottrina, la ragione del contrasto all’interno della giurisprudenza della Corte EDU in merito alla necessità di applicare le garanzie dell’equo processo già dalla fase procedi- mentale di irrogazione delle sanzioni risiede nel fatto che i giudici di Strasburgo hanno inteso procedere “per gradi”, tenendo conto del grado di evoluzione dell’ordinamento in questione. In altri termini, secondo tale ricostruzione la Corte europea ha deciso di imporre nella loro pienezza le garanzie dell’art. 6 CEDU solo a quegli ordinamenti che hanno già mostrato una reale consapevolezza e sensibilità per il problema. Cosi M. ALLEnA, il caso Grande Stevens c. italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, cit., 1066, la quale evidenzia come mentre in Francia già dal 1989 il Conseil constitutionnel ha iniziato ad affermare la necessità di una estensione delle garanzie proprie delle misure penali alla pro RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 Costituisce, senza dubbio, un aspetto di ambiguità la circostanza che, nel caso in esame, la Corte abbia deciso di soffermarsi sulle lacune del procedimento dinanzi all’AGCOM pur riconoscendo la conformità del giudizio di opposizione ai canoni del giusto processo; tanto più perché, mentre nella sentenza Grande Stevens il fatto che la fase giurisdizionale non fosse giudicata conforme all’art. 6 CEDU imponeva senz’altro di verificare se lo fosse almeno quella amministrativa, nella pronuncia in commento i giudici di Strasburgo avrebbero anche potuto ritenere il problema delle garanzie del procedimento amministrativo “assorbito” o, comunque, non meritevole di particolare approfondimento (51). Pertanto, se non può negarsi che la Corte Europea recupera il rispetto del- l'art. 6 CEDU grazie al sindacato giurisdizionale di full jurisdiction, con la conseguenza che non può assumersi, tout court, un contrasto del procedimento sanzionatorio dell’AGCOM con i diritti fondamentali protetti nella Convenzione, dall’altro lato non possono considerarsi del tutto irrilevanti le puntuali censure che la Corte ha sollevato in merito a specifici profili della fase procedimentale, né dimenticare la premessa che le sanzioni in questione sono sostanzialmente penali. Ecco perché merita di essere esaminata una diversa tesi, prospettata in dottrina, che muove dall’assunto che quella procedimentale non sia solo una fase, bensì la parte più significativa della fattispecie giuridica che conduce al- l'applicazione di una sanzione, per cui l'interprete è chiamato a porsi il problema del trattamento di un procedimento amministrativo di tipo “penale” che di per sé non rispetta i principi dell'art. 6, par. 1 CEDU (52). Secondo tale ricostruzione, l’art. 6 deve essere necessariamente rispettato sin dalla fase amministrativa, specialmente con riguardo a sanzioni, quali quelle applicate dalle Autorità Indipendenti, caratterizzate in senso spiccatamente afflittivo. È naturale che la compiuta attuazione dell’equo processo già nella fase amministrativa sarebbe possibile solo se si realizzasse, in primis, una profonda modifica strutturale nell’organizzazione delle Autorità Indipendenti, finalizzata a dotare tali soggetti di tutti i requisiti di imparzialità ed indipendenza richiesti dalla Convenzione. In secondo luogo, si dovrebbe intervenire sul procedimento amministrativo sanzionatorio, attualmente basato sul principio inquisitorio, rivisitandolo in chiave accusatoria, con la conse cedura sanzionatoria amministrativa, in Italia tutta una serie di garanzie, quali ad esempio la riserva di legge assoluta, il divieto di retroattività, la necessità del rispetto dei diritti della difesa, sono state a lungo ritenute confinate all’interno dell’ambito di applicazione della legge di depenalizzazione (l. n. 689/1981) perché ritenute prive di un fondamento costituzionale. (51) Così F. MAzzACUvA, poteri sanzionatori delle authorities e principi del giusto processo: punti fermi e prospettive nella giurisprudenza di Strasburgo, in www.sistemapenale.it. (52) In tal senso, F. GOISIS, la tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative, cit., 54 ss., e ID., le sanzioni amministrative e il diritto europeo, cit., 43 ss. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE guenza che l’Amministrazione, ovvero l’accusa, non dovrebbe disporre in via esclusiva della gran parte del materiale probatorio, ma dovrebbe mettere a disposizione del cittadino accusato tutti gli atti ed i documenti rilevanti per la difesa, sollecitando sugli stessi il contraddittorio. Inoltre, per garantire la parità tra le parti, analogamente a quanto è previsto nel processo penale, andrebbe attuata una distinzione netta tra organo titolare delle funzioni istruttorie-accusatorie ed organo titolare di quelle decisorie (53). Ciò implicherebbe, tuttavia, la trasformazione dell’attuale procedimento amministrativo sanzionatorio in un processo giurisdizionale e la sostituzione delle opposizioni alle decisioni amministrative con veri e propri appelli. Si finirebbe, così, con il creare nel- l’ordinamento interno un giudice speciale, in contrasto con il divieto posto dall’art. 102 della Costituzione. Tuttavia, ferma restando l’impossibilità di superare la distinzione ontologica tra procedimento amministrativo e processo, considerata la natura e la spiccata afflittività delle sanzioni delle Autorità Indipendenti, occorrerebbe anticipare alla fase procedimentale almeno quelle tutele convenzionali, compatibili con la natura amministrativa dell’Autorità sanzionatrice, che non possono essere differite alla successiva (ed oltretutto eventuale) fase giurisdizionale, in quanto indispensabili per tutelare l’inviolabile diritto di difesa dell’interessato. Infatti, il rispetto di garanzie fondamentali, come quelle del giusto processo, non dovrebbe essere affidato alla mera disponibilità del privato, attraverso la proposizione di un ricorso avverso i provvedimenti sanzionatori, quando tali garanzie possono essere assicurate già in fase amministrativa attraverso il “giusto procedimento”. Pertanto, indipendentemente dai poteri riconosciuti al giudice in sede di opposizione, dovrebbero trovare applicazione sin dalla fase procedimentale quantomeno i fondamentali principi della parità delle armi e dell’udienza pubblica. La garanzia del contraddittorio, inteso come diritto del destinatario della sanzione ad intervenire nelle fasi di formazione del provvedimento sanzionatorio, esponendo le proprie ragioni al fine di fornire all’Amministrazione elementi tali da indurla a non irrogare la sanzione o a minimizzarne gli effetti, costituisce un principio generale del diritto amministrativo punitivo (54), ed acquista un valore ed un’importanza particolare nei procedimenti sanzionatori di competenza delle Autorità Indipendenti. Tali organismi, infatti, sono sottratti ai poteri di indirizzo e controllo dell’Esecutivo e soffrono, pertanto, di un deficit democratico, colmabile proprio attraverso l’osservanza (53) Cosi, M. ALLEnA, il caso Grande Stevens e altri c. italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, cit., 1058. (54) In tal senso A. POLICE, Commento sub art. 24, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO -A. CELOTTO - M. OLIvETTI, vol. I, Torino, 2006, 518 e ss. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 scrupolosa del contraddittorio procedimentale, che costituisce una fonte succedanea di legittimazione atta a bilanciare, seppure in modo imperfetto, la mancanza di un collegamento diretto delle Autorità al circuito Parlamento- Governo (55). In secondo luogo, come è stato correttamente osservato (56), all’interno dei procedimenti sanzionatori di competenza delle Autorità Indipendenti l’accertamento dei fatti non avviene attraverso uno strumento tecnico o matematico (come nel caso, ad esempio, delle sanzioni per eccesso di velocità o per il superamento di un determinato tasso alcolemico), ma riguarda fatti complessi, che consistono spesso in concatenazioni di azioni ed omissioni, nel- l’ambito delle quali intervengono, di norma, differenti soggetti con responsabilità e gradi di operatività differenti. ne consegue che nella fase istruttoria, tesa alla ricostruzione del fatto storico ed alla determinazione del grado di partecipazione di ciascun soggetto, deve essere assicurato un contraddittorio pieno, che consenta ai soggetti coinvolti di difendersi adeguatamente dalla contestazione dell’illecito, dimostrando di non aver commesso il fatto, ovvero che il fatto non è quello contestato, o che esistono circostanze dirimenti e così via. Fondamentali appaiono, pertanto, l’accertamento del fatto e dell’elemento soggettivo attraverso una completa disclosure degli atti procedimentali, l’assunzione della prova in contraddittorio, la possibilità per l’interessato di farsi interrogare, di controinterrogare i testimoni dell’accusa e proporre prove testimoniali a discarico. Il pieno rispetto del principio della parità delle armi implica, inoltre, il diritto della difesa di interloquire con gli uffici competenti e di controdedurre rispetto ad ogni iniziativa degli stessi in tutte le fasi del procedimento. Da ciò discende che al presunto autore dell’illecito deve essere necessariamente comunicata, prima della decisione della Commissione, la relazione finale elaborata dall’organo istruttorio, affinchè egli possa replicarvi, soprattutto nell’eventualità della formulazione di nuove valutazioni (si pensi ad una diversa qualificazione giuridica del fatto), possibili considerato che il procedimento non si trova ancora nella fase decisoria. Strettamente connesso al diritto di poter interloquire ad armi pari con l’Autorità fino al momento della decisione, è il diritto alla partecipazione orale (57), che permette da un lato di incrementare l’effettività del contrad (55) M. CLARICh -L. zAnETTInI, le garanzie del contraddittorio nei procedimenti sanzionatori dinanzi alle autorità indipendenti, in Giur. Comm., fasc. 2, 2013. In argomento si veda anche M. CLA- RICh, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Convegno su “le autorità amministrative indipendenti”, in memoria di v. Caianiello, Roma, Palazzo Spada, 9 maggio 3003, in www.giustiziaamministrativa.it; n. LOnGOBARDI, poteri regolatori, giusto procedimento e legittimazione democratica, in www.ammiistrazioneincammino.it, 2008; R. ChIEPPA, tipologie procedimentali e contraddittorio davanti alle autorità indipendenti, in www.giustiziaamministrativa.it. (56) S. CIMInI, op. cit., 308; E. BInDI -A. PISAnESChI, op. cit., 82. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE dittorio (58), consentendo al destinatario degli effetti finali della decisione di essere ascoltato prima che questa venga assunta, al fine di esporre le proprie ragioni, dall’altro di colmare l’asimmetria informativa dell’Amministrazione (59), giungendo così ad una corretta ricostruzione dei fatti, nelle ipotesi in cui ci sia un contrasto in merito al loro svolgimento. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, una soluzione che permetterebbe l’effettiva attuazione dei principi fondamentali dell’equo processo all’interno della fase amministrativa di irrogazione delle sanzioni, potrebbe essere quella di considerare l'art. 6, par. 1 CEDU, così come interpretato dalla Corte europea, un importante canone interpretativo per valutare la legittimità delle norme regolamentari che delineano il procedimento sanzionatorio: quindi, lì dove possibile, un canone utile per fornire un'interpretazione che porti a censurare prassi amministrative incompatibili con i suddetti principi, salvando la legittimità del regolamento; lì dove non fosse possibile, un criterio che, insieme ad altri principi e norme vigenti nell'ordinamento nazionale, porti a dichiararne l'illegittimità. A tal proposito, occorre precisare che tale canone interpretativo è tutt'altro che isolato, in quanto nel nostro ordinamento le medesime garanzie previste dall’art. 6 CEDU possono desumersi dalle norme interne che fanno riferimento al principio del giusto procedimento (60). Tale principio, definito dalla Corte Costituzionale come principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato (61), obbliga la Pubblica Amministrazione ad assicurare, nei procedimenti limitativi della sfera giuridica del privato, come quelli sanzionatori, garanzie di imparzialità ed equità, nel rispetto degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Di conseguenza, il giusto procedimento andrebbe assicurato in tutti i procedimenti amministrativi sanzionatori, a prescindere dal dettato dell’art. 6 CEDU, in quanto, declinandosi nella garanzia di un contraddittorio efficace nella fase di (57) Sottolinea l’importanza di un contraddittorio orale nei procedimenti che si svolgono dinanzi alle Autorità Indipendenti S.A. FREGO LUPPI, l’amministrazione regolatrice, Torino, 1999, 185 e ss. (58) Evidenzia la necessità di assicurare il “diritto ad essere ascoltati” (right to be heard) nella prospettiva di un contraddittorio effettivo M. DE LOnGIS, il principio del contraddittorio nella giurisprudenza Cedu, in www.duitbase.it; sul punto vedi anche U. UBERTIS, principi di procedura penale europea. le regole del giusto processo, Milano, 2009, 49 e ss. (59) Così S. CIMInI, partecipazione procedimentale: limiti di effettività della forma scritta e prospettive dell’oralità, in procedimento amministrativo e partecipazione. problemi, prospettive ed esperienze, a cura di A. CROSETTI -F. FRACChIA, Milano, 2002, 25 e ss. (60) Sul principio del giusto procedimento si segnalano, ex multis, i contributi di v. CRISAFULLI, principio di legalità e “giusto procedimento”, in Giur. cost., 1962, 132; M.C. CAvALLARO, il giusto procedimento come principio costituzionale, in il Foro amministrativo, 2001, p. 1836; G. COLAvITTI, il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti. it; G. DE MARTIn, l’amministrazione pubblica e la Costituzione, Relazione svolta al Convegno MEIC su “Cattolicesimo italiano e riforme costituzionali”, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 5/6 maggio 2006, in www.amministrazioneincammino.it; G. ROEhRSSEn, il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in diritto amministrativo, n. 1/1987, 47 e ss. (61) Corte Cost., 2 marzo 1962, n. 13. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 accertamento e contestazione dell’illecito, esso integra un momento essenziale dei principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 Costituzione, nonché del principio di imparzialità amministrativa sancito dal- l’art 97 (62). L’obbligo di garantire il contraddittorio nei procedimenti sanzionatori, quale espressione del principio del giusto procedimento, è altresì previsto dalla legislazione ordinaria, in particolare dalla legge generale sulle sanzioni amministrative pecuniarie, la n. 689 del 1981 (63), e dalle altre disposizioni di settore relative ai procedimenti sanzionatori delle Autorità Indipendenti (64), le quali sanciscono i principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio in forma scritta e orale, della verbalizzazione e della separazione tra funzioni istruttorie e decisorie. Per evitare ingiustificate ed irragionevoli disparità di trattamento, è ragionevole ritenere che tali garanzie debbano essere assicurate all’interno dei procedimenti sanzionatori di tutte le Autorità Indipendenti, in considerazione della particolare natura e severità delle sanzioni che queste possono irrogare. Del resto, anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale degli ultimi anni si è orientata nel senso di adeguare il sistema di garanzie previsto per le sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo agli standards fissati in sede penale (65). (62) In questi termini si è espressa la Corte Costituzionale (Corte Cost., 14 aprile 1995, n. 126) sottolineando che l’inosservanza delle garanzie procedimentali poste a presidio della difesa comporta la lesione non soltanto dei principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza introdotti dall’art. 3 ma anche del canone di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione. Sulla possibilità di riconoscere un fondamento costituzionale al principio del giusto procedimento si segnalano, ex multis, G. ROEhRSSEn, il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in dir. proc. amm., 1987, 47 e ss.; M.C. CAvALLARO, il giusto procedimento come principio costituzionale, in Foro amm., 2001, 1829 e ss.; F. CInTOLI, “Nuovo” procedimento amministrativo e principi costituzionali, in Quad. cost., 2005, 648 e ss.; G. COLAvITTI, il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2005; G. MAnFREDI, Giusto procedimento e interpretazione della Costituzione, in Foro amm.-t.a.r., 2007, 2707 e ss., L. BUFFOnI, il rango costituzionale del “giusto procedimento” e l’archetipo del “processo”, in Quad. cost., 2009, 277 e ss. (63) In particolare, l’art. 18, comma 1 della suddetta legge dispone che “gli interessati possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell'art. 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità”. nel successivo comma 2 si precisa che l’Autorità competente dovrà decidere sulla fondatezza dell’accertamento anche “sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi”. (64) Con riguardo al procedimento sanzionatorio della Consob in materia di abusi di mercato si vedano gli artt. 195 e 187-septies del d.lgs. n. 58 del 1998 (TUF). Con riferimento ai procedimenti sanzionatori della Consob, della Banca d’Italia, dell’Ivass e della Covip si veda l’art. 24 della legge n. 262 del 2005; nonché l’art. 45, c. 6 del d.lgs. n. 93 del 2011 che ha esteso il principio del contraddittorio ai procedimenti sanzionatori dell’Aeegesi. (65) Con le pronunce del 4 giugno 2010, n. 196 e del 18 aprile 2014, n. 104, la Consulta ha esteso alle sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo la regola della irretroattività della legge penale più sfavorevole prevista dall’art. 25, c. 2 Cost. Tra le pronunce più recenti, vedi Corte cost., sent. 25 novembre 2018, n. 223; Corte cost., sent. 21 marzo 2019, n. 63; Corte cost., sent. 16 aprile 2021, n. 68. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE Corte europea dei diritti dell'uomo, Prima sezione, sentenza del 10 dicembre 2020 ricorsi nn. 68954/13 e 70495/13 -Causa edizioni del roma società cooperativa a r.l. e edizioni del roma s.r.l. c. italia. Traduzione del Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali (a cura della Sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico e della Dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico). art. 6 § 1 (penale) • adeguato controllo giudiziario delle sanzioni irrogate a seguito di un procedimento lacunoso da parte di un'autorità amministrativa che esercita sia funzioni di indagine che di giudizio • parzialità dell'autorità amministrativa di regolamentazione delle telecomunicazioni («l'aGCom») • il responsabile del procedimento, che conduce le indagini, e la commissione che decide le sanzioni erano suddivisioni di uno stesso organo amministrativo, operanti sotto l'autorità e la supervisione di uno stesso presidente • Nessuna parità delle armi tra l'accusa e la difesa • assenza di udienza pubblica • Successivo controllo di organi giudiziari dotati di piena giurisdizione. (...) in dirittO i. riuniOne dei riCOrsi 29. Tenuto conto della similitudine dell'oggetto dei ricorsi, la Corte ritiene opportuno esaminarli insieme in un'unica sentenza. ii. suLLA dedOttA ViOLAziOne deLL'ArtiCOLO 6 deLLA COnVenziOne 30. Le ricorrenti sostengono che il procedimento dinanzi all'AGCOM non è stato equo. Denunciano una mancanza di imparzialità e di indipendenza da parte di tale organo e invocano l'articolo 6 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, [e] pubblicamente (...) da un tribunale indipendente e imparziale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (...)» RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 A. sulla ricevibilità 1. Argomentazioni delle parti a) il Governo 31. Il Governo sostiene che la procedura dinanzi all'AGCOM non riguardava un'«accusa in materia penale» contro le ricorrenti, e che la violazione prevista dall'articolo 1, comma 30, della legge n. 249 del 1997 è classificata come «amministrativa» nel diritto interno. 32. Per quanto riguarda la natura della violazione, il Governo sostiene che l'importo della sanzione inflitta dall'AGCOM non è sproporzionato rispetto alla finalità della stessa, che è quella di promuovere la trasparenza nella struttura delle imprese e delle società che operano nel settore dell'informazione in modo che quest'ultima sia libera e accessibile, e non concentrata nelle mani di centri di potere economico. Il Governo spiega che i contributi sono accordati alla stampa per assicurare la pluralità dell'informazione e, in particolare, l'effettività del diritto garantito dall'articolo 21 della Costituzione. È quindi essenziale che le persone che presentano una richiesta di contributi forniscano tutti i documenti necessari per consentire al Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri di assegnare i contributi (il cui importo è fissato ogni anno in una specifica linea di bilancio) agli aventi diritto. 33. Il Governo rammenta che l'importo dei contributi che erano stati accordati alle ricorrenti e dei quali era stata chiesta la restituzione ammontava a 2.429.413,20 EUR per il 2008 e a 2.530.638,81 EUR per il 2009. Il Governo ritiene che una sanzione pecuniaria che ammonta a 103.300 EUR non sia quindi troppo severa in considerazione della sua natura amministrativa espressamente prevista dalla legge. b) La prima ricorrente 34. La prima ricorrente considera che, sebbene qualificate come «amministrative» nel diritto interno, le sanzioni inflitte dall’AGCOM devono essere considerate come «penali», nel senso autonomo che questa nozione ha nella giurisprudenza della Corte. 35. L'obiettivo perseguito nella fattispecie sarebbe di ordine preventivo: si tratterebbe della tutela dell'interesse generale costituito dalla promozione della trasparenza nella struttura delle imprese e delle società che operano nel settore dell'informazione affinché quest'ultima sia libera e accessibile e non concentrata. 36. Sulla questione della severità della sanzione, l'aspetto dissuasivo delle misure adottate nei confronti della prima ricorrente avrebbe avuto due effetti in quanto le autorità, da un lato, avrebbero richiesto il pagamento di somme ingenti e, dall'altro, l'avrebbero privata della possibilità di accedere a forme di finanziamento supplementari per un importo di oltre 7.000.000 EUR, fatto che avrebbe portato alla chiusura di una società editoriale che esisteva da lunga data e di un noto organo di stampa che operava in questo settore dai tempi dell’unità d’Italia. 37. La revoca dei contributi pubblici all'origine del presunto pregiudizio avrebbe un carattere punitivo-afflittivo. c) La seconda ricorrente 38. La seconda ricorrente ha omesso di comunicare la traduzione delle sue osservazioni in una lingua ufficiale nonostante il richiamo che la cancelleria della Corte le aveva rivolto. 2. Valutazione della Corte 39. La Corte richiama la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale, per determinare se sussista un'«accusa penale», occorre tener conto di tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in questione nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il grado di severità della «sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). Questi criteri sono, peraltro, alternativi e non cumulativi: affinché si possa COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE considerare che esiste un’«accusa in materia penale» ai sensi dell’articolo 6 § 1, è sufficiente che l'illecito in questione sia, per sua natura, «penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientra in linea generale nell'ambito della «materia penale». Ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l'analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere a una conclusione chiara in merito alla sussistenza di un'«accusa in materia penale» (jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30-31, CEDU 2006-XIII, e zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti)). 40. nella fattispecie, la Corte constata anzitutto che i comportamenti hanno dato luogo a una sanzione qualificata come «amministrativa» dall'articolo 1, comma 30, della legge n. 249 del 1997. Tuttavia, questo punto non è determinante ai fini della questione dell'applicabilità del profilo penale dell'articolo 6 della Convenzione, in quanto le indicazioni che fornisce il diritto interno hanno un valore relativo (Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 52, serie A n. 73, A. Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia, n. 43509/08, § 39, 27 settembre 2011, e Grande Stevens e altri c. Italia, nn. 18640/10 e altri 4, 4 marzo 2014). 41. Per quanto riguarda la natura dell’illecito, la Corte rammenta che l’AGCOM, autorità amministrativa indipendente, ha il compito di promuovere la trasparenza nella struttura delle imprese e delle società che operano nel settore dell’informazione affinché quest’ultima sia libera e accessibile, e non concentrata nelle mani di centri di potere economico, e rileva che si tratta in tal caso di interessi generali della società normalmente protetti dal diritto penale (si veda, mutatis mutandis, A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 40; si veda anche Società Stenuit c. Francia, rapporto della Commissione europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 1991, § 62, serie A n. 232 A). Essa osserva inoltre che le sanzioni pecuniarie inflitte dall’AGCOM miravano per lo più a punire le ricorrenti al fine di impedire una recidiva, ed erano pertanto basate su norme che perseguono uno scopo sia preventivo -dissuadere le interessate dal ricominciare - che repressivo (si veda, mutatis mutandis, jussila, sopra citata, § 38). 42. Per quanto riguarda la natura e la severità della sanzione «che può essere irrogata» alle ricorrenti (Ezeh e Connors c. Regno Unito [GC], nn. 39665/98 e 40086/98, § 120, CEDU 2003X), la Corte constata che la sanzione in questione non poteva essere sostituita da una pena privativa della libertà in caso di mancato pagamento (si veda, a contrario, Anghel c. Romania, n. 28183/03, § 52, 4 ottobre 2007). Essa osserva, tuttavia, che l’AGCOM ha inflitto alle ricorrenti una sanzione pecuniaria di 103.000 EUR e che, a seguito di tale sanzione, le interessate non hanno potuto avere accesso a ulteriori forme di finanziamento di importo superiore a 7.000.000 EUR, e considera pertanto, che la sanzione, considerato [l’] importo, fosse severa e abbia avuto per le ricorrenti delle conseguenze patrimoniali importanti. 43. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che le sanzioni in questione, per la loro severità, rientrino nell’ambito penale (si veda, mutatis mutandis, Öztürk, sopra citata, § 54, e, a contrario, Inocêncio c. Portogallo (dec.), n. 43862/98, CEDU 2001 I). 44. Del resto, la Corte rammenta anche di avere già dichiarato che il profilo penale dell’articolo 6 è applicabile per quanto riguarda le sanzioni inflitte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato («l’AGCOM») (A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 44), dalla Corte di disciplina di bilancio e finanziaria (Guisset c. Francia, n. 33933/96, § 59, CEDU 2000 IX), dal Consiglio dei mercati finanziari (Didier c. Francia (dec.), n. 58188/00, 27 agosto 2002), dal Consiglio della concorrenza (Lilly Francia S.A. c. Francia (dec.), n. 53892/00, 3 dicembre 2002), dalla Commissione delle sanzioni dell’Autorità dei mercati finanziari (Messier c. Francia (dec.), n. 25041/07, 19 maggio 2009), dalla Commissione bancaria (Dubus RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 S.A. c. Francia, n. 5242/04, § 38, 11 giugno 2009), e dalla Commissione nazionale per le Società e la Borsa («la COnSOB») (Grande Stevens, sopra citata, § 101). 45. Tenuto conto dei diversi aspetti della causa, debitamente bilanciati, la Corte ritiene che le sanzioni pecuniarie inflitte alle ricorrenti siano di natura penale, cosicché, nel caso di specie, si applica il profilo penale dell’articolo 6 § 1 (si veda, mutatis mutandis, A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata). 46. Constatando che i ricorsi non sono manifestamente infondati né irricevibili per uno degli altri motivi indicati nell’articolo 35 della Convenzione, la Corte li dichiara ricevibili. B. sul merito 1. sulla questione se il procedimento dinanzi all’AGCOM sia stato equo e se l’AGCOM fosse un tribunale indipendente e imparziale a) Argomentazioni delle parti i. La prima ricorrente 47. La prima ricorrente afferma che il procedimento dinanzi all’AGCOM era essenzialmente scritto, che non era prevista alcuna udienza pubblica e che i diritti della difesa non sono stati rispettati. A tale riguardo, sostiene che né lei né la seconda ricorrente hanno avuto la possibilità di interrogare le persone che erano state sentite dal servizio di ispezione dell’AGCOM e dal nucleo speciale della Guardia di Finanza, e che l’AGCOM non ha tenuto alcuna udienza pubblica. 48. La prima ricorrente argomenta, inoltre, che l’AGCOM affida i poteri di indagine e di giudizio a organi che sono indipendenti l’uno dall’altro solo da un punto di vista formale e che, nella pratica, sono riconducibili a uno stesso ente che dipende da una stessa persona. Le funzioni di indagine e di giudizio, pertanto, sarebbero svolte da una stessa istituzione, il che non sarebbe compatibile con il dovere di imparzialità che qualsiasi organo giudiziario è tenuto a rispettare. 49. La decisione di infliggere una sanzione sarebbe adottata dal responsabile del procedimento in assenza di contraddittorio. La commissione non esaminerebbe né direttamente -in mancanza di udienza ad hoc -né separatamente gli argomenti dell’accusa e della difesa: essa fonderebbe la sua decisione unicamente sulla relazione del responsabile del procedimento. 50. Il procedimento sanzionatorio dell’AGCOM sarebbe di fatto essenzialmente scritto e contrario all’articolo 6 della Convenzione. 51. Peraltro, la relazione finale elaborata dal responsabile del procedimento e inviata dal servizio di ispezione alla commissione non sarebbe stata comunicata alla prima ricorrente, che, pertanto, non sarebbe stata messa in condizione di formulare delle controdeduzioni. ii. La seconda ricorrente 52. La seconda ricorrente ha omesso di comunicare la traduzione delle sue osservazioni in una lingua ufficiale nonostante l’invito che la cancelleria della Corte le aveva rivolto in tal senso. iii. il Governo 53. Il Governo rammenta che le ricorrenti hanno ricevuto una notifica e hanno avuto la possibilità di presentare la loro difesa. 54. Sostiene che le ricorrenti hanno avuto accesso agli atti il 29 marzo 2011, ossia nove giorni prima della scadenza del termine fissato, vale a dire il 7 aprile 2011, per comunicare le loro osservazioni. L’AGCOM avrebbe tuttavia indicato di aver preso in considerazione dei documenti comunicati dalle ricorrenti successivamente a tale data. Inoltre, sarebbero stati presi in considerazione soltanto i rapporti del nucleo speciale della Guardia di Finanza. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 55. Le ricorrenti, avrebbero anche avuto la possibilità di chiedere in qualsiasi momento un’audizione dinanzi al responsabile del procedimento, ma non se ne sarebbero avvalse. b) Valutazione della Corte 56. La Corte osserva che alle ricorrenti è stata offerta la possibilità di presentare degli elementi per la loro difesa nell’ambito del procedimento dinanzi all’AGCOM: sono state informate, dal responsabile del procedimento, di quanto loro ascritto, e sono state invitate a difendersi. Inoltre, hanno disposto di un termine di trenta giorni per presentare eventuali memorie di replica. Tale termine, di cui le ricorrenti non hanno mai chiesto la proroga, non sembrava manifestamente insufficiente. 57. Resta comunque il fatto che il rapporto della Guardia di Finanza relativo alle misure di indagine adottate a seguito dell’audizione delle ricorrenti, sul quale la commissione ha fondato la sua decisione, non è stato comunicato alle ricorrenti, e che queste ultime, pertanto, non hanno avuto la possibilità di difendersi rispetto al documento alla fine sottoposto dagli organi inquirenti dell’AGCOM all’organo incaricato di decidere sulla fondatezza delle accuse. 58. La Corte rileva anche che il procedimento dinanzi all’AGCOM era essenzialmente scritto, non essendo prevista alcuna udienza pubblica. A questo riguardo, essa rammenta che lo svolgimento di un’udienza pubblica costituisce un principio fondamentale sancito dall’articolo 6 § 1 (jussila, sopra citata, § 40). 59. Tuttavia, è vero che l’obbligo di tenere un’udienza pubblica non è assoluto (håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A n. 171-A) e che l'articolo 6 non esige necessariamente che si tenga un’udienza in tutti i procedimenti, soprattutto nelle cause che non sollevano questioni di credibilità o non si prestano a controversie sui fatti che rendano necessario un confronto orale, e nell’ambito delle quali i giudici possono pronunciarsi in maniera equa e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte delle parti e degli altri documenti contenuti nel fascicolo (si vedano, ad esempio, Döry c. Svezia, n. 28394/95, § 37, 12 novembre 2002; Pursiheimo c. Finlandia (dec.), n. 57795/00, 25 novembre 2003; jussila, sopra citata, § 41; e Suhadolc c. Slovenia (dec.), n. 57655/08, 17 maggio 2011). 60. Sebbene le esigenze di un processo equo siano più rigorose in materia penale, la Corte non esclude che, nell’ambito di alcuni procedimenti penali, i tribunali aditi possano, alla luce delle questioni che si pongono, astenersi dal tenere un’udienza. Anche se si deve tenere presente che i procedimenti penali, che hanno ad oggetto la determinazione della responsabilità penale e l’imposizione di misure di natura repressiva e dissuasiva, rivestono una certa gravità, è evidente che alcuni di essi non hanno alcun carattere infamante per gli interessati, e che le «accuse in materia penale» non hanno tutte lo stesso peso (jussila, sopra citata, § 43). 61. È opportuno precisare, inoltre, che la notevole importanza che il procedimento controverso può avere per la situazione personale di un ricorrente non è determinante ai fini della questione se sia necessaria un’udienza (Pirinen c. Finlandia (dec.), n. 32447/02, 16 maggio 2006). Resta comunque il fatto che il rigetto di una domanda volta a ottenere che si tenga un’udienza può essere giustificato solo in rare occasioni (Miller c. Svezia, n. 55853/00, § 29, 8 febbraio 2005, e jussila, sopra citata, § 42). 62. Per quanto riguarda la presente causa, la Corte considera che fosse necessaria un’udienza pubblica, orale e accessibile alle ricorrenti. A tale riguardo, essa osserva che vi era una controversia sui fatti, soprattutto sulla questione dell'esistenza di una situazione di controllo tra le società ricorrenti, e che, al di là della sua severità sul piano economico, la sanzione nella quale incorrevano le ricorrenti era di natura tale da pregiudicare la loro rispettabilità professionale e il loro prestigio. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 63. La Corte osserva che il regolamento dell'AGCOM prevede una certa separazione tra gli organi incaricati delle indagini e l'organo competente per pronunciarsi sull’esistenza o meno di un illecito e sull'applicazione di sanzioni. Essa osserva, in particolare, che è il responsabile del procedimento che formula le accuse e conduce le indagini, i cui risultati sono sintetizzati in una relazione contenente delle conclusioni e delle proposte per quanto riguarda le sanzioni da applicare, e che la decisione finale per quanto riguarda le sanzioni che dovranno essere applicate è di esclusiva competenza della commissione. 64. Resta comunque il fatto che il responsabile del procedimento e la commissione sono soltanto delle suddivisioni di uno stesso organo amministrativo, operanti sotto l'autorità e la supervisione di uno stesso presidente. A tale riguardo, la Corte osserva che il Governo non ha dimostrato né l’esistenza di misure di salvaguardia all'interno dei diversi dipartimenti, né la natura formale di una delle due funzioni del presidente. A suo parere, ciò si traduce nell’esercizio, all'interno di una stessa istituzione, di funzioni di indagine e, successivamente, di giudizio; ora, in materia penale, tale cumulo non è compatibile con l'esigenza di imparzialità che pone l'articolo 6 § 1 della Convenzione (si vedano, in particolare e mutatis mutandis, Piersack c. Belgio, 1° ottobre 1982, §§ 30-32, serie A n. 53, De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, §§ 24-30, serie A n. 86, e Grande Stevens, sopra citata § 137). 65. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte considera che il procedimento dinanzi al- l’AGCOM non abbia rispettato tutte le esigenze dell'articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa e lo svolgimento di un’udienza pubblica che permettesse un confronto orale (Grande Stevens, sopra citata § 123). 2. sulla questione se le ricorrenti abbiano avuto accesso a un tribunale con piena giurisdizione 66. La constatazione di non conformità del procedimento dinanzi all’AGCOM con i principi del processo equo non è comunque sufficiente per concludere che vi è stata violazione del- l’articolo 6 nel caso di specie. Al riguardo, la Corte osserva che le sanzioni contestate dalle ricorrenti non sono state inflitte da un giudice all'esito di un procedimento giudiziario in contraddittorio, ma da un'autorità amministrativa. Se affidare a tale autorità il compito di perseguire e punire gli illeciti non è incompatibile con la Convenzione, occorre tuttavia sottolineare che l’interessato deve poter impugnare qualsiasi decisione adottata in questo modo nei suoi confronti dinanzi a un tribunale che offra le garanzie dell'articolo 6 (kadubec c. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Recueil 1998-vI, Čanády c. Slovacchia, n. 53371/99, § 31, 16 novembre 2004, e A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 58). 67. Il rispetto dell'articolo 6 della Convenzione non esclude dunque che, in un procedimento di natura amministrativa, una «pena» sia imposta in primo luogo da un'autorità amministrativa (G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, § 254 28 giugno 2018). Si presuppone però che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni di cui all’articolo 6 sia sottoposta a un controllo a posteriori da parte di un organo giudiziario con piena giurisdizione (Ramos nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 132, 6 novembre 2018). Tra le caratteristiche di un organo giudiziario con piena giurisdizione vi è il potere di riformare interamente, in fatto e in diritto, la decisione emessa da un organo di grado inferiore. Il primo organo deve essere competente per esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti per la controversia ad esso sottoposta (Chevrol c. Francia, n. 49636/99, § 77, CEDU 2003-III, Silvester’s horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, § 27, 4 marzo 2004, e A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 59). COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 68. nella fattispecie, le ricorrenti hanno avuto la possibilità, di cui si sono avvalse, di contestare le sanzioni inflitte dall’AGCOM dinanzi al tribunale amministrativo e al Consiglio di Stato. Resta da stabilire se queste due giurisdizioni fossero degli «organi giudiziari con piena giurisdizione» ai sensi della giurisprudenza della Corte. a) Argomentazioni delle parti i. il Governo 69. Il Governo afferma che il TAR ha esaminato le doglianze sollevate dalle ricorrenti relativamente al procedimento dinanzi all’AGCOM, tra cui quella sul merito che riguardava la nozione di «controllo» ai sensi della legge n. 416 del 1981, e considera dunque che le doglianze delle ricorrenti siano state esaminate nel corso di un procedimento giudiziario equo e pubblico, nel pieno rispetto del contraddittorio. 70. Citando la causa A. Menarini Diagnostics S.r.l. (sentenza sopra citata), il Governo afferma che le ricorrenti hanno avuto accesso a un tribunale con piena giurisdizione. 71. Per quanto riguarda la doglianza con la quale si afferma che il presidente dell’AGCOM era anche un magistrato del Consiglio di Stato e che tale giudice, dunque, non ha dimostrato imparzialità, il Governo afferma che l’interessato era stato collocato a riposo e non esercitava più funzioni giudiziarie dal 10 maggio 2005, che è andato in pensione l'11 maggio 2008, e che il titolo onorifico di presidente onorario del Consiglio di Stato gli è stato conferito conformemente all’uso secondo il quale si accorda, a chiunque abbia esercitato tali funzioni e vada in pensione, un titolo onorifico superiore a quello corrispondente alle ultime funzioni che ha esercitato. Il Governo ritiene che nulla permetta di concludere che tale elemento abbia potuto minare l'indipendenza e l'imparzialità del Consiglio di Stato. ii. La prima ricorrente 72. La prima ricorrente afferma che il giudice amministrativo non può sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’AGCOM, ma può soltanto verificare la logica e la coerenza delle decisioni di tale organo. 73. Essa ritiene che i giudici amministrativi abbiano limitato il loro controllo alla questione della legalità della sanzione, e non abbiano dunque potuto esaminare la fondatezza della decisione dell'AGCOM. 74. Secondo la prima ricorrente, il Consiglio di Stato ha sempre accordato all’AGCOM un ampio potere discrezionale nell'esercizio del suo potere sanzionatorio. I tribunali amministrativi non avrebbero pertanto il potere, nell'ambito della loro funzione di controllo giurisdizionale, di sostituirsi ad autorità indipendenti per infliggere delle sanzioni. 75. La prima ricorrente ritiene di non aver avuto accesso a una protezione giuridica piena ed effettiva, e a sostegno di questa affermazione argomenta che il tribunale amministrativo ha considerato legittime delle prove che erano state ottenute nell’ambito del procedimento dinanzi all’AGCOM in assenza di contraddittorio, e non ha dunque sostituito la propria valutazione a quella, pregiudizievole per l'interessata, di un'autorità indipendente. 76. La prima ricorrente afferma infine che il Consiglio di Stato non era un tribunale indipendente e imparziale, dato che il presidente dell’AGCOM era presidente onorario del Consiglio di Stato. iii. La seconda ricorrente 77. La seconda ricorrente non ha trasmesso la traduzione delle sue osservazioni in una lingua ufficiale nonostante l'invito rivoltole in tal senso dalla cancelleria della Corte. b) Valutazione della Corte 78. Per stabilire se un tribunale possa essere considerato «indipendente» ai fini dell’articolo RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 6 § 1 è necessario esaminare, in particolare, le modalità di designazione e la durata del mandato dei suoi componenti, l’esistenza di una tutela contro le pressioni esterne e se vi sia o meno una apparenza di indipendenza (Findlay c. Regno Unito, 25 febbraio 1997, § 73, Recueil des arrêts et décisions 1997-I). La Corte rammenta che la nozione di separazione dei poteri esecutivo e giudiziario ha acquisito un’importanza sempre maggiore nella sua giurisprudenza (Stafford c. Regno Unito [GC], n. 46295/99, § 78, CEDU 2002-Iv). Tuttavia, né l’articolo 6 né altre disposizioni della Convenzione obbligano gli Stati a conformarsi a una qualsiasi nozione costituzionale teorica relativa alla possibilità di limitare l’interazione tra i poteri (kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nn. 39343/98 e altri 3, § 193, CEDU 2003-vI). 79. La Corte rammenta che l’imparzialità si definisce generalmente come l'assenza di pregiudizio o di partito preso e può essere valutata in vari modi. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, ai fini dell'articolo 6 § 1, l'imparzialità deve valutarsi secondo un approccio soggettivo, tenendo conto della convinzione personale e del comportamento del giudice, ossia della questione se quest'ultimo abbia dato prova di partito preso o pregiudizio personale nel caso di specie, e anche secondo un approccio oggettivo, che consiste nel determinare se il tribunale offrisse, soprattutto attraverso la sua composizione, delle garanzie sufficienti per escludere qualsiasi dubbio legittimo circa la sua imparzialità (si vedano, ad esempio, kyprianou c. Cipro [GC], n. 73797/01, § 118, CEDU 2005-XIII, e Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, § 93, CEDU 2009). 80. nella grande maggioranza delle cause che sollevano questioni relative all’imparzialità, la Corte ha fatto ricorso all’approccio oggettivo (Micallef, sopra citata, § 95, e Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, § 75, 23 aprile 2015). Tuttavia, il confine tra l’imparzialità soggettiva e l’imparzialità oggettiva non è ermetico, in quanto non soltanto la condotta stessa di un giudice può, dal punto di vista di un osservatore esterno, far sorgere dei dubbi oggettivamente giustificati per quanto riguarda la sua imparzialità (approccio oggettivo), ma può anche riguardare la questione della sua convinzione personale (approccio soggettivo) (kyprianou, sopra citata, § 119). Così, in casi in cui può essere difficile fornire prove che permettano di contestare la presunzione di imparzialità soggettiva del giudice, la condizione di imparzialità oggettiva rappresenta una garanzia importante in più (Pullar c. Regno Unito, 10 giugno 1996, § 32, Recueil 1996-III). 81. Per quanto riguarda la valutazione oggettiva, è opportuno chiedersi se, indipendentemente dalla condotta personale del giudice, alcuni fatti verificabili autorizzino a sospettare dell’imparzialità di quest’ultimo. ne risulta che, per pronunciarsi sull’esistenza, in una determinata causa, di un motivo legittimo per temere che un giudice o un organo collegiale manchino di imparzialità, il punto di vista della persona interessata deve essere tenuto presente ma non svolge un ruolo decisivo. L’elemento determinante consiste nello stabilire se i timori dell’interessato possano essere considerati oggettivamente giustificati (Micallef, sopra citata, § 96, e Morice, sopra citata, § 76). 82. La valutazione oggettiva riguarda principalmente i legami, gerarchici o di altro tipo, tra il giudice e altre parti del procedimento (Micallef, sopra citata, § 97). Pertanto, bisogna decidere in ciascuna fattispecie se la natura e il grado del legame in questione siano tali da denotare una mancanza di imparzialità da parte del tribunale (Pullar, sopra citata, § 38). 83. I concetti di indipendenza e imparzialità oggettiva sono strettamente legati e, a seconda delle circostanze, possono richiedere un esame congiunto (Sacilor-Lormines c. Francia, n. 65411/01, § 62, CEDU 2006 XIII). 84. La Corte osserva anzitutto, sulla questione della duplicità delle funzioni del presidente dell’AGCOM, che l’interessato aveva indubbiamente ricevuto il titolo di presidente onorario del Consiglio di Stato, ma non ha mai esercitato funzioni giudiziarie presso tale organo. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 85. La Corte rammenta, inoltre, che ha già sottolineato nella decisione Predil Anstalt S.A. c. Italia ((dec.), n. 31993/96, 8 giugno 1999) che la maggior parte dei giudici amministrativi sono nominati mediante concorso pubblico e che, ai sensi della Costituzione italiana, la legge garantisce l’indipendenza del Consiglio di Stato rispetto al governo. 86. Si deve constatare, inoltre, che le ricorrenti non hanno affermato che i membri del Consiglio di Stato che hanno esaminato il loro caso avessero agito su istruzioni del presidente onorario, e non hanno affermato nemmeno che il presidente onorario potesse, in altro modo, influenzare i giudici. nella fattispecie, non esistono elementi tali da far sorgere, per le ricorrenti, dei timori oggettivamente giustificati (Sacilor-Lormines, sopra citata, § 74, e Ramos nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo, sopra citata, § 155). 87. Le considerazioni sopra esposte sono per la Corte sufficienti per concludere che il fatto che il presidente dell’AGCOM sia stato anche nominato presidente onorario del Consiglio di Stato non è di natura tale da mettere in discussione l’indipendenza e l’imparzialità oggettiva dell’alta giurisdizione che è stata chiamata a decidere sui ricorsi presentati dalle ricorrenti avverso la sanzione dell’AGCOM. 88. La Corte osserva inoltre che le doglianze delle ricorrenti riguardano, da una parte, il diritto di accesso a un tribunale dotato della piena giurisdizione e, dall’altra, il riesame giudiziario, a loro avviso incompleto, della sanzione pronunciata dall’AGCOM. 89. nella fattispecie, le ricorrenti hanno potuto contestare la sanzione controversa dinanzi al TAR e impugnare la decisione di quest’ultimo dinanzi al Consiglio di Stato. La Corte osserva che le udienze si sono tenute pubblicamente dinanzi a queste due giurisdizioni (si vedano i paragrafi 15 e 18 supra), il che ha permesso un confronto orale tra le parti e il rispetto del principio della parità delle armi. Secondo la giurisprudenza della Corte, il TAR e il Consiglio di Stato rispettano i requisiti di indipendenza e di imparzialità che il «tribunale» deve possedere ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione (Predil Anstalt S.A., sopra citata, A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata). 90. La Corte rammenta, anzitutto, che merita di essere chiamato «tribunale» ai sensi del- l’articolo 6 § 1 soltanto un organo dotato di piena giurisdizione e che rispetta una serie di requisiti come l’indipendenza nei confronti dell’esecutivo e delle parti in causa (si vedano, tra altre, le sentenze Ringeisen c. Austria, 16 luglio 1971, § 95, serie A n. 13, Le Compte, van Leuven e De Meyere c. Belgio, 23 giugno 1981, § 55, serie A n. 43, Belilos c. Svizzera, 29 aprile 1988, § 64, serie A n. 132, e Beaumartin c. Francia, 24 novembre 1994, §§ 38-39, serie A n. 296 B). 91. Inoltre, la Corte rammenta che la natura di un procedimento amministrativo può differire, sotto diversi aspetti, dalla natura di un procedimento penale nel senso stretto del termine. Se queste differenze non possono esonerare gli Stati contraenti dal loro obbligo di rispettare tutte le garanzie offerte dall’articolo 6, esse possono tuttavia influenzare le modalità della loro applicazione (A. Menarini Diagnostics S.r.l, sopra citata § 62). 92. La Corte osserva che, nel caso di specie, i giudici amministrativi hanno esaminato i vari motivi di fatto e di diritto sui quali è basato il ricorso delle società ricorrenti, e hanno pertanto valutato gli elementi di prova raccolti dall’AGCOM. 93. Di conseguenza, la Corte osserva che la competenza dei giudici amministrativi non era limitata a un semplice controllo di legalità. I giudici amministrativi hanno potuto verificare se, con riguardo alle circostanze particolari della causa, l’AGCOM avesse fatto un uso appropriato dei suoi poteri, e hanno potuto esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte dell’AGCOM. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 94. Poiché la decisione dell’AGCOM è stata sottoposta a un controllo a posteriori da parte di organi giudiziari dotati di piena giurisdizione, non è ravvisabile, nella presente causa, alcuna violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. PER QUESTI MOTIvI, LA CORTE, ALL’UnAnIMITÀ, 1. decide di riunire i ricorsi; 2. dichiara i ricorsi ricevibili; 3. dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 10 dicembre 2020, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento. ksenija Turković Presidente Abel Campos Cancelliere COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE note a margine della sentenza J.L. c. italia della Corte europea dei diritti dell’uomo. Violenza di genere e vittimizzazione secondaria: la pronuncia del giudice nazionale tra libertà di espressione e interferenza nella protezione del diritto alla privacy Corte europea dei diritti dell’uomo, SezioNe prima, SeNteNza 27 maGGio 2021, riCorSo N. 5671/16, CaSo di J.l. C. italia Emanuela Brugiotti* Sommario: premessa -1. la vicenda in sintesi -2. la delimitazione dell’oggetto del ricorso: a) quadro normativo di riferimento. b) Gli obblighi positivi dello Stato e la violazione dell’art. 8 Cedu (1) - 3. la sentenza J.l. c/ italia - Conclusioni. premessa. La sentenza j.L. c. Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo (2), pubblicata lo scorso 27 maggio, ha destato subito molta attenzione, non solo perché è riferita ad un episodio di cronaca molto seguito, ma soprattutto per i principi applicati dai giudici europei. La Corte di Strasburgo, infatti, sottolineando la necessità di una tutela effettiva dei diritti garantiti dalla Convezione Edu, ha evidenziato che nel “sistema italiano”, a fronte di una cornice legislativa ritenuta sufficiente, si riscontrano però ancora troppo spesso stereotipi discriminatori di genere e di colpevolizzazione (3) delle persone offese. Questi, (*) Già praticante presso l’Avvocatura Generale dello Stato (vice avv. gen. Giuseppe Albenzio), Avvocato e Dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali (Università di Pisa), attualmente in servizio presso la Corte dei Conti, Scuola di Alta Formazione “Francesco Staderini”. (1) In queste note non si tratterà dell’art. 14 Cedu, perché sebbene la sua violazione sia stata invocata nel ricorso in combinato disposto con l’art. 8 Cedu, secondo la Corte Edu questa è rimasta assorbita da quella relativa all’art. 8 Cedu. (2) Corte Edu, j.L. c. Italia, prima Sezione, 21 maggio 2021, ric. 5671/16. La sentenza è consultabile in lingua francese sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-210299, per una sintesi si veda il comunicato stampa consultabile all’indirizzo: http://hudoc.echr.coe.int/eng-press?i=003-7030833-9488811. Come noto, in conformità con le disposizioni degli artt. 43 e 44 Cedu la sentenza della Camera non è definitiva, infatti, nel termine di tre mesi dalla pronuncia tutte le parti possono domandare il rinvio alla Grande Camera della Corte Edu. In tali ipotesi, un collegio di cinque giudici determina se la questione merita un esame più ampio, nel qual caso la Grande Camera tratterà il giudizio e pronuncerà sentenza definitiva. Se la domanda di rinvio al contrario viene rigettata, la sentenza della Camera diviene definitiva dalla data del rigetto. Una volta definitiva la pronuncia viene trasmessa ad un Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che ne sorveglia l’esecuzione, il cui stato è consultabile all’indirizzo: http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/ execution. (3) La colpevolizzazione della vittima consiste nel ritenere la vittima di un crimine o di altre disgrazie parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto e spesso nell'indurre la stessa ad autocolpevolizzarsi. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 specie se inseriti nel contesto del sistema giurisdizionale di tutela, non solo ne ostacolano la stessa garanzia, in quanto causa di cd. vittimizzazione secondaria o victim blaming (4), ma minano altresì la fiducia nelle istituzioni, scoraggiando le vittime a rivolgersi alle autorità. In questa cornice che vede l’estensione delle tutele previste dalla Convenzione Edu nel corso delle indagini e dei procedimenti giudiziari, sono molto interessanti le indicazioni fornite sulla rilevanza ed importanza delle stesse pronunce dei giudici nazionali. In particolare, nel caso di specie la Corte europea ha operato un bilanciamento fra libertà di espressione e obblighi di tutela previsti dall’art. 8 Cedu, sanzionando il divieto di vittimizzazione secondaria con riferimento alle argomentazioni ed al linguaggio adottato in un provvedimento giurisdizionale. Infine, non può non sottolinearsi ancora una volta l’evidenza che l’Italia è ormai inserita in un contesto più ampio di disciplina e tutela dei diritti, costituito anche da normative sovranazionali e dalla giurisprudenza delle Corti europee. Queste costituiscono non solo criteri da utilizzare per l’interpretazione sistematica della legislazione nazionale, da cui l’operatore giuridico non può prescindere, ma devono essere intese anche come uno stimolo prezioso allo sviluppo di un positivo dialogo multilivello, finalizzato al perfezionamento delle garanzie di tutela di situazioni giuridiche, nel quadro dei mutamenti sociali, culturali ed economici con cui il diritto è chiamato a tenere il passo (5). Il concetto di "colpevolizzazione della vittima" è stato coniato da William Ryan nel libro del 1971, intitolato appunto blaming the victim, e successivamente ripreso in ambito giuridico, in particolare in tema di difesa delle vittime di violenza sessuale accusate a loro volta di aver causato o favorito il crimine subito. (4) In linea di massima si parla di "vittimizzazione secondaria" (o "post-crime victimization") quando le vittime di crimini subiscono una seconda "vittimizzazione", cioè una seconda aggressione, che le rende di nuovo vittime. Questa può avvenire da parte dei media, dalla società o da parte degli operatori che a vario titolo si relazionano con il soggetto, ad esempio medici, personale sanitario, forze dell’ordine, avvocati, servizi sociali, autorità giudiziarie e consiste di solito nell’accusare più o meno esplicitamente la vittima di aver contribuito al verificarsi dell’illecito oppure lasciarlo intendere, attraverso riferimenti impropri alla vita privata, all’abbigliamento ecc. (5) Il tema del grado e dei livelli di protezione dei diritti, che determina la reale effettività dei diritti stessi in un determinato ordinamento e momento storico è un tema classico del diritto costituzionale e per questo oggetto di una bibliografia molto vasta. In questa sede si rinvia per approfondimenti e relativa bibliografia a E. MALFATTI, i “livelli” di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, Torino, Giappichelli, terza edizione, 2018; R. ROMBOLI, i differenti livelli di protezione dei diritti: un invito a ripensare i modelli, comunicazione presentata al Seminario Italo-hispano-Brasileno, La proteccion de los derechos en un ordenamiento plural -Barcelona 17-18 octubre 2013, consultabile all’indirizzo: https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0459_romboli.pd f; M. nISTICò, limiti e prospettive del circuito di tutela su più livelli dei diritti fondamentali, in Costituzionalismo. it, Fascicolo 1, 2018, consultabile all’indirizzo: https://www.costituzionalismo.it/costituzionalismo/ download/Costituzionalismo_201801_668.pdf; M. CECILI, la tutela multilivello dei diritti: i differenti approcci alle political questions, in Sofferenze ed insofferenze della Giustizia costituzionale, n. 15, 18 maggio 2020, consultabile all’indirizzo: https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?artid=43440. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 1. la vicenda in sintesi. I fatti da cui trae origine il caso in oggetto risalgono alla sera del 26 luglio 2008 (6), quando alcuni ragazzi sono stati accusati di aver abusato di una giovane ragazza di ventidue anni nei pressi della Fortezza da Basso a Firenze (7), dove questa si era recata con un amico per partecipare agli eventi estivi in corso. In seguito agli accertamenti medici e alle indagini svolte, sono stati arrestati sette ragazzi tra i 20 e i 25 anni. A gennaio 2013 il Tribunale di Firenze ha condannato sei di loro per violenza sessuale di gruppo aggravata dal fatto che la vittima fosse ubriaca, cioè dal fatto che gli imputati avessero approfittato delle sue “condizioni di inferiorità fisiche e psichiche” causate dall’alcol. La sentenza è stata impugnata presso la Corte d’Appello di Firenze. nel corso del suddetto procedimento, i giudici di secondo grado hanno riesaminato tutte le prove precedentemente raccolte, ricostruendo l’evento alla luce di valutazioni sulla persona della vittima, sulle sue abitudini sessuali e relazionali. Questa è stata definita come “soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito, capace di gestire la propria (bi)sessualità”, protagonista, nel corso della serata, di “atteggiamenti particolarmente disinvolti … in un clima … goliardico (e) godereccio”, arrivando in tal modo a considerare il racconto della ragazza come non credibile (8). Secondo la Corte d’Appello, dunque, la ragazza non versava in uno stato di inferiorità fisica o psichica e non avrebbe ostacolato in nessun modo l’iniziativa del gruppo, i cui membri non hanno dunque esercitato alcuna costrizione della volontà della vittima tramite l’uso e l’abuso di alcol. La questione, nella sua interezza, è stata perciò considerata come una vicenda “incresciosa, non encomiabile per nessuno”, tuttavia costituente “un fatto penalmente non censurabile” (9). Di conseguenza, con sentenza del 2015, i giudici hanno ribaltato la pronuncia di primo grado, assolvendo tutti gli imputati con formula piena perché “il fatto non sussisteva” (10). La pronuncia della Corte d’Appello ha suscitato già allora un’importante reazione mediatica e sociale, divenendo oggetto anche di un’interrogazione parlamentare (11), con cui sono stati stigmatizzati sia alcuni passaggi della motivazione della sentenza, sia la scelta da parte della Procura generale di non (6) Per approfondimenti si rinvia a Corte Edu, j.L. c Italia cit., §§ 12-51. (7) Sentenza del 14 gennaio 2013, n. 117, depositata in data 9 aprile 2013. (8) Cfr. Corte Edu, j.L. c Italia cit., §§ 38-47 e F. TUMMInELLO, la Corte edu condanna l’italia: violenza sulle donne e victim blaming, consultabile all’indirizzo: https://www.iusinitinere.it/. (9) vedi supra. (10) Procedimento penale R.G. 4607/13, sentenza n. 858 del 4 marzo 2015, depositata in data 3 giugno 2015 e divenuta definitiva il 18 luglio 2015. (11) Interrogazione Galgano n. 3-01667 consultabile all’indirizzo: https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero= 3-01667&ramo=C&leg=17. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 proporre ricorso presso la Corte di Cassazione, sollecitando in merito l'attivazione dei poteri ispettivi attribuiti al Ministro della Giustizia. La risposta del Sottosegretario di Stato per la giustizia pro tempore ha evidenziato che “la competente articolazione ministeriale in esito all'interlocuzione avuta con gli uffici giudiziari interessati dalla vicenda ha riferito che lo sviluppo della vicenda processuale in esame presenta caratteri fisiologici non essendo stati ravvisati profili di illegittimità o di abnormità nello svolgimento del processo, né all'interno del percorso motivazionale seguito nelle decisioni che si sono susseguite”. Le medesime osservazioni sono state poi “ribadite anche con riguardo alla decisione della procura generale di Firenze di non ricorrere in Cassazione avverso la sentenza della corte d'appello, infatti la scelta di impugnare o meno per ragioni di legittimità o di merito la sentenza rientra, secondo i principi generali dell'ordinamento, tra le valutazioni insindacabili dell'autorità requirente di primo o di secondo grado che possono fondarsi sia sulla condivisione delle considerazioni svolte dal giudice di appello, sia sulla insussistenza di spazi valutativi di competenza del giudice di legittimità” (12). A gennaio 2016 è stato proposto dalla ragazza ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per la violazione dell’art. 8 Cedu e dell’art. 14 Cedu in combinato disposto con l’art. 8 Cedu (13). 2. la delimitazione dell’oggetto del ricorso: a) Quadro normativo di riferimento; b) Gli obblighi positivi e negativi dello Stato e la violazione dell’art. 8 della Cedu. nello specifico, la ricorrente ha lamentato che nel procedimento penale condotto a seguito della denuncia da lei presentata, i giudici -quali autorità nazionali -hanno disatteso l'obbligo positivo di tutelarla efficacemente contro le violenze sessuali, che affermava di aver subito, nonché di garantire la tutela del suo diritto alla privacy e all’integrità personale. Tale condotta avrebbe integrato una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione Edu. Per meglio inquadrare e delimitare l’oggetto del ricorso e della successiva sentenza dei giudici di Strasburgo è necessario in via preliminare fare riferimento a due profili: (a) il quadro normativo e vincolante per lo Stato italiano in tema di violenza sessuale e, in particolare, di tutela delle donne che ne sono vittime; (b) gli obblighi, positivi e negativi, in materia, scaturenti dalle previsioni dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. (12) Camera dei deputati, seduta n. 671, 13 settembre 2016, consultabile all’indirizzo: https://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0671&tipo=stenografico#sed0671.stenografico.tit00020.su b00070. (13) Ricorso n. 5671/16, proposto dall’avv. Sara Menichetti e dall’avv. Titti Carrano e curato dal- l’avv. Sara Menichetti, con la collaborazione dell’avv. Emanuela Brugiotti, dell’avv. Gisela Suparaku e dall’avv. Elena Parlangeli. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE a) Quadro normativo di riferimento. Sotto il primo profilo, si distingue il diritto di fonte interna da quello sovranazionale e comunitario. Sono numerosi, infatti, i documenti, gli atti e gli interventi normativi che a diversi livelli hanno riconosciuto in capo alle autorità nazionali specifici obblighi di tutela nei confronti delle donne vittime di violenza. In tale contesto, poi, è posta particolare attenzione alla condotta degli organi inquirenti e giudicanti, ai quali è richiesto di attivare ogni strumento per proteggere e assistere la vittima nel corso del procedimento giudiziario. Per quanto concerne il diritto interno, in questa sede si evidenzia la legge 15 febbraio 1996 n. 66 (14) che ha eliminato la distinzione tra violenza carnale e atti di libidine, per tutelare la libera autodeterminazione sessuale contro qualsiasi forma di abuso, evitando anche ingerenze nella vita intima della persona offesa durante gli accertamenti processuali. È stato introdotto, così, il comma 3 bis dell’art. 472 c.p.p., ai sensi del quale nel corso dei procedimenti per violenza sessuale “non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto”. Inoltre, con il decreto-legge 23 febbraio 2009 n. 11, convertito nella Legge 23 aprile 2009 n. 38 (15) il legislatore ha adottato “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”. Con la legge n. 77 del 27 giugno 2013 (16), è stata poi ratificata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011 (17). Si evidenzia, inoltre, la recente legge sul c.d. “Codice Rosso” n. 69/2019 (18), composta da ventuno articoli ed avente tre obiettivi fondamentali: prevenzione dei reati, protezione delle vittime e punizione dei colpevoli. vengono, (14) G.u., Serie Generale, n. 42 del 20 febbraio 1996, consultabile all’indirizzo: https://www.gazzettaufficiale. it/eli/id/1996/02/20/096G0073/sg. (15) Il testo del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (in Gazzetta ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2009), coordinato con la legge di conversione 23 aprile 2009, n. 38 (Gu Serie Generale n. 95 del 24 aprile 2009) è consultabile all’indirizzo: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2009/04/24/09a04793/sg. (16) G.u., Serie Generale, n. 152 del 1 luglio 2013, consultabile all’indirizzo: https://www.gazzettaufficiale. it/eli/id/2013/07/01/13G00122/sg. (17) Consultabile su G.u., Serie Generale, n. 153 del 2 luglio 2013, all’indirizzo: https://www.gazzettaufficiale. it/do/atto/serie_generale/caricapdf?cdimg=13a0578900000010110002&dgu=2013-0702& art.datapubblicazioneGazzetta=2013-07-02&art.codiceredazionale=13a05789&art.num=1&art.t iposerie=SG. (18) G.u., Serie Generale, n. 173 del 25 luglio 2019, consultabile all’indirizzo: https://www.gazzettaufficiale. it/eli/id/2019/07/25/19G00076/sg. Si veda in merito anche il rapporto, violenza sulle donne. un anno di codice rosso, 2020, a cura del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Servizio Analisi Criminale, consultabile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/files//2018/04/polizia_un_anno_di_codice_ rosso_2020.pdf. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 così, rafforzate le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento, ai reati di violenza domestica e di genere. Sul piano internazionale, invece, si segnala la già menzionata Convenzione di Istambul, che costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza (19). Al suo interno, è particolarmente rilevante il riconoscimento espresso della violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione (art. 3 della Convenzione). Anche la Convenzione si articola su tre direttive fondamentali individuate nella prevenzione, protezione e punizione, con la finalità, tra le altre, di evitare la cd. vittimizzazione secondaria (art. 18) e di non fornire mai un contesto che fornisca a sua volta una giustificazione alla presunta violenza o ne vizi il giudizio (artt. 12 e 42) (20). La Convenzione di Istanbul si muove, poi, nel solco tracciato in precedenza dalla Convenzione delle nazioni Unite per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne del 1979 (conosciuta come CEDAW) (21) e dalla Dichiarazione di Pechino del 1995 (22). nell’ambito del Comitato delle nazioni Unite nel quadro CEDAW si deve (19) Per una lettura della Convenzione alla luce dell’ordinamento interno si rinvia al dossier della Camera dei deputati, consultabile all’indirizzo: https://documenti.camera.it/leg17/dossier/testi/ac0173.htm. (20) nell'ambito del Consiglio d'Europa deve anche tenersi in considerazione quanto indicato nelle Raccomandazioni approvate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sul tema delle vittime. Tra le queste si segnalano la n. 11 (85), approvata il 28 giugno 1985 sulla posizione della vittima nell'ambito del diritto penale e del processo (consultabile all’indirizzo: https://search.coe.int/cm/pages/result_details.aspx?objectid=09000016804dccae), la n. 21 (87), approvata il 17 settembre 1987, sull'assistenza alle vittime e la prevenzione della vittimizzazione (consultabile all’indirizzo: https://search.coe.int/cm/pages/result_details.aspx?objectid=09000016804e24dc) ed, inoltre, la Raccomandazione Rec. (2006)8 sull'assistenza alle vittime di reato (consultabile all’indirizzo: https://search.coe.int/cm/pages/result_details.aspx?objectid=09000016805d809f). Si segnala, inoltre, che il Gruppo di esperti sulla lotta alla violenza contro le donne e violenza domestica del Consiglio d'Europa (“GREvIO”) ha pubblicato il 13 gennaio 2020 il suo primo rapporto di valutazione sull'Italia. nel rapporto si legge il seguente passaggio: “Pur riconoscendo i progressi compiuti nella promozione dell'uguaglianza di genere e dei diritti delle donne, il rapporto rileva che la causa del- l'uguaglianza di genere sta incontrando resistenza in Italia. Il GREvIO esprime preoccupazione per i segnali emergenti di una tendenza a reinterpretare e riorientare le politiche di parità di genere in termini di politiche per la famiglia e la maternità. Per superare queste difficoltà, il GREvIO ritiene essenziale che le autorità continuino a progettare e attuare efficacemente politiche per l'uguaglianza di genere e l'emancipazione delle donne, che riconoscano chiaramente la natura strutturale della violenza contro le donne come manifestazione di relazioni di potere storicamente diseguali tra donne e uomini". Il rapporto è consultabile all’indirizzo: https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/-/grevio-pubishes-itsreport- on-italy; cfr anche Corte edu, J.l. c. italia, cit., §66. (21) Consultabile all’indirizzo: http://www.cidu.esteri.it/resource/2016/09/48434_f_CedaWmaterialetraduzione2011. pdf. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con legge n. 132/1985, consultabile in G.u., Serie Generale, n. 89 del 15 aprile 1985 all’indirizzo: https://www.gazzettaufficiale. it/eli/id/1985/04/15/085u0132/sg. (22) Consultabile all’indirizzo: http://www.un-documents.net/a40r34.htm. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE segnalare, in particolare, il report annuale del 2017, con cui nei riguardi dell’Italia è stato evidenziato come le autorità italiane devono ancora affrontare un notevole problema culturale legato a (a) radicati stereotipi di genere circa i ruoli di uomini e donne nella famiglia e nella società, (b) scarsi interventi culturali ed educativi per eliminare simili stereotipi, (c) la diffusione di una narrativa maschilista e sessista e (d) la critica situazione delle donne di origine straniera, esposte ad aggressioni, violenze e discriminazioni di matrice sessista e xenofoba, anche alla luce di una situazione sociale non favorevole (23). In tale sostrato culturale continua il rapporto -l’Italia ha un numero elevato di femminicidi e i rimedi concessi alle vittime sono molto spesso inadatti a garantire adeguato supporto e sostegno oltre a riconoscere un giusto risarcimento per le violenze subite (24). Questi rapporti (25) hanno una notevole importanza nella giurisprudenza della Corte Edu, perché forniscono un quadro sistematico della violazione denunciata, inquadrandola nel sistema ordinamentale e sociale dello Stato membro (26). Proseguendo, nell’ambito del diritto comunitario, si rileva la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che inter alia all'art. 21 vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, le convinzioni personali, le opinioni di qualsiasi natura e l'orientamento sessuale nonché l'art. 7 sul rispetto della vita privata e familiare, mentre l'art. 8 sancisce la tutela dei dati di carattere personale (data protection) (27). (23) Concluding observations on the seventh periodic report of italy, 24 luglio 2017, § 25, consultabile all’indirizzo: https://undocs.org/en/CedaW/C/ita/Co/7. (24) ibid., § 27. (25) Si veda quello in ambito GREvIO nella nota supra. (26) Corte EDU, j.L. c. Italia, cit., § 64. (27) Come noto, la Carta è diventata giuridicamente vincolante nell'UE con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, a dicembre 2009 ed ora ha la stessa forza giuridica dei trattati dell'Unione. Tuttavia, la stessa ai sensi dell’art. 51 della Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati. La Corte di giustizia a partire dalla nota sentenza Åkerberg Fransson ha più volte chiarito che “i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse”, delimitando questo anche la competenza della stessa Corte di Giustizia. Le disposizioni della Carta, si applicano, quindi, nelle situazioni in cui la norma nazionale presenta un collegamento di una certa consistenza con una norma di diritto UE (primario o derivato) diversa dalla disposizione della Carta di cui si lamenta la violazione, venendo dunque forniti al giudice nazionale “tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione [della conformità della] normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto” (Sentenza Corte di Giustizia -Grande Sezione -del 26 febbraio 2013, Causa C-617/10 Åkerberg Fransson, par. 21, 23, consultabile all’indirizzo: https://eurlex. europa.eu/legal-content/it/tXt/?uri=CeleX%3a62010CJ0617). Al di fuori di questi limiti, la Carta si applica, ma si tratta di un’applicazione “volontaria”, non già vincolata ovvero obbligatoria, e quindi non gode del principio del primato (tipico del diritto UE) e della sottoponibilità al giudizio pregiudiziale della Corte, cfr. B. nASCIMBEnE, Carta dei diritti fondamentali, applicabilità e rapporti fra giudici: la necessità di una tutela integrata, in european papers, vol. 6, 2021, no 1, European Forum, Insight of 22 April 2021, pp. 81-99 consultabile all’indirizzo https://www.europeanpapers.eu/en/europeanforum/cartadiritti- fondamentali-applicabilita-e-rapporti-fra-giudici#_ftn10. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 Riguardo alla protezione dei dati personali si evidenziano poi il Regolamento europeo 2016/679 (General data protection regulation o GDPR) (28), che costituisce la principale normativa europea in materia, e l’art. 16 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (29). Si segnala, inoltre, la Direttiva 2012/29/UE, “che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” (30), attuata in Italia con il decreto legislativo del 15 dicembre 2015 n. 212 (31). La fonte europea indica una normativa minima che assicuri alle vittime di reato adeguati livelli di tutela e assistenza, sia nelle fasi di accesso e partecipazione al procedimento penale, sia al di fuori e indipendentemente da esso. b) Gli obblighi positivi e negativi dello Stato e la violazione dell’art. 8 della Cedu. I principi su esposti sono stati più volte ribaditi e precisati dalla Corte Edu in applicazione dell’art. 8 Cedu da solo ed in combinato disposto con altri diritti della Convenzione, soprattutto gli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti). Come noto, secondo la giurisprudenza dei giudici europei il concetto di “vita privata” garantito dalla Convenzione Edu è ampio e non suscettibile di definizione esaustiva (32). Questo, infatti, comprende anche l’integrità fisica e psicologica della persona e può dunque abbracciare molteplici aspetti della sua identità, quali l’identità di genere, l’orientamento sessuale, il nome o elementi relativi al suo diritto all’immagine. Include altresì, connotandosi in questo caso più propriamente come tutela dei dati personali, le informazioni che le persone possono legittimamente aspettarsi che non siano pubblicate senza il loro consenso. Sebbene, come visto, la Corte di Strasburgo abbia definito in maniera (28) Consultabile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/it/tXt/?uri=uriserv: oJ.l_.2016.119.01.0001.01.ita&toc=oJ:l:2016:119:toC. Per quanto riguarda il rapporto fra GDPR e la funzione giurisdizionale, si rinvia fra gli altri al commento della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 35548 del 11 dicembre 2020 di R. BERTI e F. zUMERLE, consultabile all’indirizzo: https://www.cybersecurity360.it/legal/privacy-dati-personali/cassazione-il-trattamento-dati-nelleattivita- giurisdizionali-e-sottoposto-ad-una-disciplina-particolare/. (29) All’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/tXt/?uri=celex%3a12012e%2FtXt. (30) Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012 , che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, consultabile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/ it/tXt/pdF/?uri=CeleX:32012l0029&from=it). Per i passaggi rilevanti ai fini della decisione della Corte Edu qui in commento, si veda Corte EDU, j.L. c. Italia, cit., § 69. (31) Decreto legislativo, 15 dicembre 2015 n° 212, G.u. 5 gennaio 2016, consultabile all’indirizzo https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/01/05/15G00221/sg. (32) A tal fine, risultano particolarmente utili le Guide giurisprudenziali pubblicate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, consultabili e scaricabili dal sito www.echr.coe.int (Giurisprudenza -Analisi giurisprudenziale -Guide giurisprudenziali). In particolare, per quanto riguarda l’art. 8 Cedu si veda la Guida consultabile all’indirizzo: https://www.echr.coe.int/documents/Guide_art_8_ita.pdf. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE ampia il campo di applicazione dell’articolo 8 della Convezione Edu, tuttavia la stessa ne anche circoscritto negli anni i requisiti di applicabilità (33). In primo luogo, per invocare l’articolo 8 Cedu si deve dimostrare che la doglianza concerna almeno uno dei quattro interessi tutelati dall’articolo, ovvero: la vita privata, la vita familiare, il domicilio e la corrispondenza. Successivamente, è necessario vi sia stata un’ingerenza ingiustificata in tale diritto o che la causa riguardi gli obblighi positivi dello Stato di tutelare tale diritto. Per quanto riguarda gli obblighi negativi (34), le condizioni richieste perché uno Stato possa ingerirsi nel godimento del diritto protetto sono individuate nel paragrafo 2 dell’articolo 8 Cedu e cioè se questo è necessario alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute, della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Tali limitazioni sono consentite qualora esse siano “previste dalla legge” o “conformi alla legge” e siano “necessarie in una società democratica” per la tutela di uno dei su esposti obiettivi. nella valutazione di quest’ultimo criterio, in particolare, la Corte Edu è chiamata spesso a bilanciare gli interessi del ricorrente previsti dall’articolo 8 Cedu e gli interessi di terzi, tutelati da altre disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli. Accanto agli obblighi negativi, sono poi configurabili in capo agli Stati membri anche obbligazioni di tipo positivo. Gli Stati, infatti, ai sensi della Convenzione Edu hanno l’obbligo di garantire ai propri cittadini l’effettivo rispetto della loro integrità fisica e psicologica (35), con provvedimenti sia di carattere generale (quali l’adozione di un quadro normativo che instauri un adeguato meccanismo giudiziario ed esecutivo) sia di carattere specifico (36), anche quando il rischio provenga da soggetti terzi privati. I principi applicabili alla valutazione degli obblighi positivi e negativi sono analoghi. Anche per quanto riguarda gli obblighi positivi, si deve vagliare il giusto bilanciamento cui occorre pervenire tra gli interessi concorrenti della persona e della collettività nel suo insieme, cioè se l’importanza dell’interesse/diritto invocato esiga l’imposizione dell’obbligo positivo invocato dal ricorrente. (33) vedi nota supra. (34) Corte Edu, Kroon e altri c. paesi bassi, del 27 ottobre 1994, ricorso n. 18535/91, § 31, consultabile all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-57904%22]}. (35) Corte Edu, odièvre c. Francia, ricorso n. 42326/98, sentenza 13 febbraio 2003, § 42; Corte Edu, Glass c. regno unito, ricorso n. 61827/00, sentenza 9 marzo 2004, §§ 74-83; Corte Edu, Sandra Janković c. Croazia, ricorso n. 38478/05, sentenza 5 marzo 2009, § 45. Tutte le decisioni indicate sono consultabili all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int. (36) Corte Edu, a, b e C c. irlanda, ricorso n. 25579/05, sentenza 16 dicembre 2010, § 245; Corte Edu, airey c. irlanda, ricorso n. 6289/73, sentenza 6 febbraio 1981, § 33; Corte Edu, mcGinley e egan c. regno unito, ricorsi nn. 1825/93 e 23414/94, sentenza 28 gennaio 2000, § 101; Corte Edu, roche c. regno unito, ricorso n. 32555/96, sentenza n. 19 ottobre 2005, § 162. Tutte le decisioni indicate sono consultabili all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 Riguardo poi ai casi di violenza e abusi sessuali, i giudici europei hanno evidenziato come il rispetto delle previsioni disciplinate dalla Convenzione Edu ponga in capo alle autorità nazionali l’obbligo da un lato di predisporre adeguate norme penali (37) e, dall’altro, di mettere in atto efficaci indagini per individuare e punire i colpevoli, nonché di prevedere idonei strumenti di riparazione e risarcimento a favore delle vittime (38). Tuttavia, la giurisprudenza europea ha più volte ribadito anche che si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultato (39). Quindi, in assenza di omissioni colpose negli sforzi effettuati per accertare la responsabilità degli autori di reati, non sussiste il diritto assoluto di ottenere il perseguimento o la condanna di una determinata persona (40). Come visto, infine, la tutela garantita dalla Convezione Edu si estende anche alla fase processuale di accertamento delle responsabilità da parte degli imputati. In questo ambito, si è così assistito alla condanna di Stati membri perché nel corso del procedimento penale non avevano offerto sufficiente protezione al diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata ed, in particolare, della sua integrità personale (41). (37) Corte Edu, X e Y c. paesi bassi, ricorso n. 8978/80, sentenza 26 marzo 1985, § 27; Corte Edu, m.C. c. bulgaria, ricorso n. 39272/98, sentenza 4 dicembre 2003, § 150. Le decisioni indicate sono consultabili all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int. (38) Corte Edu, C.a.S. e C.S. c. romania, ric. n. 26692/05, sentenza 20 marzo 2012, §72, consultabile all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-109741%22]} (39) Per la configurazione di tale obbligo come un’obbligazione di mezzi e non di risultato si veda, fra le altre, Corte Edu, C.a.S. e C.S. c. romania, cit., § 72; Corte Edu, m.p. e altri c. bulgaria, ricorso n. 22457/08, sentenza 15 novembre 2011, §§ 109-110; Corte Edu, m.C. c. bulgaria, ricorso n. 39272/98, sentenza 4 dicembre 2003, § 152. Le decisioni indicate sono consultabili all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int. (40) Corte Edu, brecknell c. regno unito, ricorso n. 32457/04, sentenza 27 novembre 2007, § 64, consultabile in inglese all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22brecknell% 22],%22itemid%22:[%22001-83470%22]}; Corte Edu, Szula c. regno unito, ricorso n. 18727/06, sentenza 4 gennaio 2007, consultabile all’indirizzo https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid% 22:[%22001-79049%22]}. (41) nella causa Y. c. Slovenia, ad esempio, tale violazione è stata ritenuta sussistente durante il suo controinterrogatorio condotto dall’imputato (§§ 114-116), ric. n. 41107/10, sentenza del 28 maggio 2015, consultabile in inglese all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001154728% 22]}. Tale posizione appare perfettamente in linea con quanto stabilito anche dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 63 del 2005 -consultabile all’indirizzo: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedapronuncia.do?anno=2005&numero=63 -(concernente minori) ha avuto modo di rilevare che "rendere testimonianza in un procedimento penale, nel contesto del contraddittorio su fatti e circostanze legate all'intimità della persona e connessi a ipotesi di violenze subite, è sempre esperienza difficile e psicologicamente pesante: se poi chi e chiamato a deporre è persona particolarmente vulnerabile, più di altre esposta ad influenze e condizionamenti esterni e meno in grado di controllare tale tipo di situazioni, può tradursi in un'esperienza fortemente traumatizzante". nella sentenza 529 del 2002 -consultabile all’indirizzo: https://www.giurcost.org/decisioni/2002/0529s02. html -la Corte indica che l’adozione in questi casi di speciali modalità protette, nonché di particolari modi di procedere all'esame, “non solo non contrasta con altre esigenze proprie del processo, ma al contrario concorre altresì ad assicurare la genuinità della prova medesima, suscettibile di essere pre COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 3. la sentenza J.l. c/ italia. Pronunciandosi sul ricorso in oggetto, la Corte di Strasburgo dopo aver preliminarmente ricostruito i fatti e la normativa pertinente, ha esaminato i profili di ammissibilità/ricevibilità dello stesso e cioè il rispetto del termine di sei mesi dalla data di definitività del processo, il previo esaurimento delle vie di ricorso interne, la qualità di vittima della richiedente e la non manifesta infondatezza della violazione sollevata (42). Sotto il primo punto, i giudici europei non hanno aderito all’eccezione del Governo relativa alla tardività del ricorso, in quanto la data per la presentazione del ricorso deve ritenersi quella del timbro postale di spedizione, con ciò ribadendo un indirizzo consolidato sul punto. Pertanto, il termine è stato ritenuto rispettato (43). Per quanto riguarda il secondo profilo, la Corte Edu ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., nel procedimento penale la parte civile avrebbe potuto sollevare in via autonoma ricorso in Cassazione, avverso la sentenza della Corte di appello, esclusivamente riguardo ai profili civilistici. In relazione al merito penale, invece, secondo l’art. 572 c.p.p. avrebbe potuto solo chiedere al pubblico giudicata ove si dovesse procedere ad assumere la testimonianza con le modalità ordinarie”. Si veda, in senso conforme, anche la sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 14 gennaio 2021, consultabile all’indirizzo: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedapronuncia.do?anno=2021&numero=14. (42) Come noto, sulle condizioni di ricevibilità l’art. 35 Cedu prescrive che: “1. La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva. 2. La Corte non accoglie alcun ricorso inoltrato sulla base dell’articolo 34, se (a) è anonimo; oppure (b) è essenzialmente identico a uno precedentemente esaminato dalla Corte o già sottoposto a un’altra istanza internazionale d’inchiesta o di risoluzione e non contiene fatti nuovi. 3. La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 se ritiene che: (a) il ricorso è incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, manifestamente infondato o abusivo; o (b) il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno. 4. La Corte respinge ogni ricorso che consideri irricevibile in applicazione del presente articolo. Essa può procedere in tal modo in ogni stato del procedimento”. (43) Corte Edu j.L. c Italia, cit., § 74 e Corte Edu, vasiliauskas v. lituania, ric. n. 35343/05, sentenza 17 giugno 2009, § 117, consultabile in inglese all’indirizzo http://hudoc.echr.coe.int/fre?i=001113089. Si ricorda che a seguito dell’entrata in vigore del Protocollo 15 adottato a Strasburgo in data 24 giugno 2013, il termine sarà ridotto a 4 mesi. In particolare, lo Stato italiano ha depositato lo strumento di ratifica presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa in data 21 aprile 2021, l’ultimo in ordine temporale ad arrivare da parte delle 47 Alte parti contraenti della Cedu. Il Protocollo entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al decorso dei tre mesi dall’ultima ratifica, ossia il primo agosto 2021. La modifica del termine per proporre ricorso sarà però in vigore dopo un periodo transitorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore del Protocollo, quindi dal 1° febbraio 2022. Il protocollo è consultabile all’indirizzo: https://www.echr.coe.int/documents/protocol_15_ita.pdf. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 ministero di presentare ricorso, come nel caso di specie. Dunque, ai fini del riconoscimento della responsabilità penale degli imputati, la parte civile non avrebbe tratto alcuna utilità dalla proposizione in via autonoma del ricorso, dovendo quindi considerarsi esauriti i rimendi interni per ricorrere alla stessa nel momento in cui la sentenza di secondo grado è divenuta sul punto irrevocabile. Di conseguenza, l’eccezione sollevata dal Governo è stata respinta (44). Anche in questo caso la Corte europea ribadisce un orientamento costante in merito all’esaurimento delle vie di ricorso nazionali. Questo rappresenta un requisito fondamentale, in quanto costituisce un aspetto del principio secondo il quale il meccanismo di salvaguardia, instaurato dalla Convenzione Edu, assume un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di tutela dei diritti dell’uomo (45). Tuttavia, lo stesso va applicato con una certa «souplesse et sans formalisme excessif, étant donné le contexte de la protection des droits de l’homme», dando così rilevanza alla sostanziale utilità, effettività ed accessibilità del mezzo ordinamentale, ai fini della tutela degli interessi garantiti dalla Cedu (46). Successivamente, è stata valutata la qualità di vittima della ricorrente (47), in merito alla quale i giudici europei hanno ritenuto che le argomentazioni proposte dal Governo attenessero essenzialmente alla questione dell’esistenza o meno di una violazione dell’integrità personale ed al rispetto della sua vita privata, rinviando quindi le relative valutazioni al merito del procedimento (48). (44) Corte Edu, J.l. c italia, cit., §§ 75-87. (45) Si veda principi generali sul previo esaurimento e casi pratici, consultabile e scaricabile all’indirizzo: http://www.unionedirittiumani.it/wp-content/uploads/2015/05/Casi-pratici-esaurimento.doc. (46) Corte Edu, Sică c. roumanie, ric. 12036/05, sentenza 9 giugno 2013, § 47, consultabile all’indirizzo: https://www.doctrine.fr/d/CedH/HFJud/CHamber/2013/CedH001-122171. Così anche Corte Edu, dinç et Çakir c. turquie, ric. 66066/099, sentenza 9 luglio 2013; Corte Edu, azinas c. Chipre, ric. 56679/00, sentenza 28 aprile 2004; Corte Edu, Kudła c. pologne, ric. 30210/96, sentenza 26 ottobre 2000; Corte Edu, Fressoz et roire c. France, ric. 29183/95, sentenza 21 gennaio 1999; Corte Edu, ahmet Sadik c. Grèce, ric. 18877/91, sentenza 15 novembre 1996; Corte Edu, ankerl c. Suisse, ric. 17748/91, sentenza 23 ottobre 1996; Corte Edu, akdivar et autres c. turquie, ric. 21893/93, sentenza 16 settembre 1996; Corte Edu, botten c. Norvège, ric. 16206/90, sentenza 19 febbraio 1996; Corte Edu, Castells c. espagne ric. 11798/85, sentenza 23 aprile 1992; Corte Edu, Cardot c. France, ric. 11069/84, sentenza 19 marzo 1991; Corte Edu, Guzzardi c. italie, ric. 7367/76, sentenza 6 novembre 1980; Corte Edu, van oosterwijck c. belgique, ric. 7654/76, sentenza 6 novembre 1980. Le sentenze indicate sono consultabili all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/. Si veda anche zAGREBELSky, R. ChEnAL, L. TOMASI, manuale dei diritti Fondamentali in europa, Il Mulino/Manuali, Bologna, 2016, § 390; v. PETRALIA, problemi sistematici nei rapporti tra Corte di cassazione, Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, consultabile all’indirizzo: http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Commento_petralia.pdf. (47) Si ricorda che il requisito della qualità di “vittima”, come condizione necessaria per adire la Corte europea dei diritti dell’uomo, rileva solamente a proposito dei ricorsi individuali previsti dall’articolo 34 Cedu. Per i ricorsi interstatali, previsti dall’articolo 33 della Convenzione Edu, la qualità di “vittima” dello Stato parte ricorrente non è necessaria. Per un approfondimento, si rinvia a G. RAIMOnDI, la qualità di “vittima” come condizione del ricorso individuale alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Università di Catania -Online Working Paper 2015/ n. 71, consultabile all’indirizzo: http://www.cde.unict.it/sites/default/files/Quaderno%20europeo_71_2015.pdf. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE Infine, non ritenendo la censura sollevata manifestamente infondata ai sensi dell’art. 35, §3 (a) della Cedu e non rinvenendo ulteriori profili di irricevibilità, la Corte Edu ha dichiarato il ricorso ammissibile (49). Quanto al merito del ricorso, i giudici di Strasburgo hanno preliminarmente richiamato le osservazioni delle parti (50), per poi procedere alle proprie valutazioni. In particolare, queste muovono dai principi precedentemente illustrati e più volte espressi nella propria giurisprudenza. Per quanto riguarda gli obblighi positivi che l’art. 8 Cedu impone agli Stati membri, questi si estrinsecano nell’adottare disposizioni penali che perseguano e puniscano efficacemente qualsiasi atto sessuale non consensuale, anche quando la vittima non abbia opposto resistenza fisica, e nel mettere in pratica tali disposizioni mediante il completamento di indagini e azioni penali efficaci. È stato altresì ribadito che si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Tuttavia, sebbene tale requisito non richieda che tutti i procedimenti penali debbano concludersi con una condanna o anche con l'imposizione di una specifica sentenza, l'autorità giudiziaria nazionale non deve in nessun caso essere disposta a lasciare impuniti i reati. Questo anche al fine di preservare la fiducia nel rispetto del principio di legalità ed evitare ogni parvenza di complicità o tolleranza di atti illeciti. In tale contesto, secondo i giudici europei, è implicito anche un requisito di tempestività e di due diligence (51). Come è stato già sottolineato, tali obblighi positivi si estendono anche all’interno dei procedimenti penali, nel cui svolgimento devono essere tutelate l’integrità psico fisica, la vita privata, l’immagine e la sicurezza delle vittime, specie in situazioni di particolare vulnerabilità, come nel caso di procedimenti penali per reati di natura sessuale. Deve essere così garantita un’adeguata assistenza alle vittime, al fine di evitare una vittimizzazione secondaria (52). Una volta chiarite queste premesse, la Corte Edu ha valutato nel complesso la condotta delle autorità italiane e il trattamento ricevuto dalla ricorrente. È stato necessario cioè determinare se questa avesse beneficiato di un’effettiva tutela dei suoi diritti di presunta vittima e se il meccanismo previsto dal diritto (48) Corte Edu, j.L. c Italia, cit., §§ 88-90. (49) Per una disanima sui requisiti di ricevibilità, si rinvia alla Guida pratica alle condizioni di ricevibilità, pubblicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e consultabile nella traduzione a cura del Ministero della Giustizia all’indirizzo https://www.echr.coe.int/documents/admissibility_guide_ita.pdf e per una sintesi degli stessi, L. GALLETTA, Corte europea dei diritti dell’uomo: il ricorso individuale. Chi e come ha diritto di ricorrere alla C.e.d.u, presupposti e formalità, consultabile all’indirizzo: https://www.altalex.com/guide/corte-europea-diritti-uomo-ricorso-individuale. (50) Corte Edu, j.L. c Italia, cit., §§ 92-116. (51) Corte Edu, j.L. c Italia, cit., §§ 117-118. (52) Corte Edu, j.L. c Italia, cit., § 119. La Corte Edu indica in particolare i precedenti Y. c. Slovenia, sopra citato, §§ 97 e 101, a e b c. Croazia, ric n. 7144/15, sentenza 20 giugno 2019, § 121, consultabile all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-194217%22]}, e Corte Edu, N.Ç. contro turchia, ric. n 40591/11, sentenza 9 febbraio 2021, § 95, https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22002-13122%22]}. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 penale italiano nella fattispecie fosse stato così carente da violare gli obblighi positivi incombenti allo Stato convenuto. Qui i giudici europei hanno fatto una precisazione importante, chiarendo espressamente che la Corte Edu non deve andare oltre tale valutazione. Questa non è chiamata, infatti, a pronunciarsi su denunce di errori o particolari omissioni nell'ambito delle indagini, così come non può sostituirsi alle autorità nazionali nel valutare i fatti del caso né può pronunciarsi sulla responsabilità penale dei presunti aggressori (53). In merito, i giudici di Strasburgo hanno evidenziato, da una parte, la completezza del quadro legislativo italiano (54) e, dall’altro, l’efficienza degli inquirenti nello svolgimento delle dovute indagini e, in seguito, nell’apertura di un procedimento a carico degli imputati (55). In particolare, poi, l’attenzione si è concentrata su un elemento più specifico, ossia le circostanze in cui la ricorrente è stata ascoltata dagli inquirenti e le argomentazioni addotte dalla Corte d’Appello nella propria pronuncia. Sotto il primo profilo, la valutazione della Corte Edu è stata essenzialmente positiva, in quanto la ricorrente non si è trovata in una situazione di particolare pericolo o vulnerabilità, non è mai stata a contatto diretto con gli imputati e le sue deposizioni sono state raccolte seguendo procedure regolari e rispettose dei suoi diritti, con domande pertinenti e puntuali rispetto alle esigenze investigative (56). Di tutt’altro avviso, invece, è la valutazione fatta sulla decisione dei giudici di appello. Anche qui, la Corte Edu ha precisato nuovamente che non può sostituirsi alle autorità nazionali nella valutazione dei fatti del caso, essendo il suo compito quello di stabilire se il ragionamento seguito e gli argomenti addotti abbiano determinato di fatto un ostacolo al diritto della ricorrente al rispetto della vita privata e dell'integrità personale e se abbiano violato gli obblighi positivi insiti nell'articolo 8 della Cedu (57). Sotto questo aspetto, i giudici europei hanno giudicato come inappropriati ed ingiustificati i riferimenti alla vita relazionale e all’orientamento sessuale della ricorrente, alla sua condotta e persino ai suoi interessi, così come sono stati considerati deplorevoli ed irrilevanti i tentativi dei giudici di merito di stigmatizzare il momento di fragilità della ricorrente e le sue abitudini di vita, ritenute non convenzionali (58). Argomentazioni, quindi, che la Corte europea non ha considerato utili per valutare la credibilità della ricorrente né pertinenti né, tantomeno, decisive per giungere ad una sentenza (59). (53) Corte Edu, J.l. c. italia, cit., § 122. (54) ibid., § 121. (55) ibid., §§ 123-124. (56) ibid., §§ 126-133. (57) ibid., § 135. (58) ibid., § 136. (59) ibid., § 137. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE nello specifico, da un lato la Corte di Strasburgo ha riconosciuto come nel caso di specie la questione della credibilità della ricorrente sia stata particolarmente determinante e potrebbe, quindi, aver giustificato i riferimenti ai suoi passati rapporti con uno o l'altro degli imputati o ad alcuni suoi comportamenti durante la serata. Dall’altro lato, invece, non ha trovato come la condizione familiare della ricorrente, i suoi rapporti sentimentali, i suoi orientamenti sessuali o anche le sue scelte di abbigliamento nonché l'oggetto delle sue attività artistiche e culturali possano essere stati rilevanti per la valutazione della credibilità della ragazza e la responsabilità penale degli imputati. Pertanto, la stessa ha ritenuto tali ingerenze non proporzionate e non necessarie all’accertamento dei fatti né giustificate dalla esigenza di garantire i diritti della difesa degli imputati (60). Si evidenzia come qui la Corte Edu si sia pronunciata in modo particolarmente significativo, sottolineando che la facoltà dei giudici di esprimersi liberamente nelle proprie decisioni -quale manifestazione del loro potere discrezionale e del principio di indipendenza della magistratura -è tuttavia limitata dall'obbligo di tutela dell'immagine e della riservatezza dei soggetti da qualsiasi interferenza che sia ingiustificata (61). Dopo di che, i giudici europei hanno analizzato la fattispecie nel contesto sociale di riferimento, ritenendo che simili espressioni non siano state occasionali, bensì abbiano riprodotto preconcetti radicati nella società italiana (62). I procedimenti penali e le conseguenti sanzioni -ha proseguito la Corte Edu svolgono un ruolo essenziale nella risposta delle istituzioni alla violenza e alle disuguaglianze di genere. Pertanto, è necessario che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle proprie decisioni, riducano al minimo la violenza di genere e l’esposizione delle donne a una vittimizzazione secondaria, utilizzando parole colpevoli e moralizzanti che possano scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia (63). Di conseguenza, pur riconoscendo che nel caso di specie le autorità italiane hanno assicurato che le indagini ed il procedimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi imposti dall’art. 8 Cedu, per i giudici di Strasburgo i diritti e gli interessi della ricorrente -previsti dallo stesso articolo non sono stati adeguatamente garantiti dal contenuto della sentenza. Questa (60) ibid., § 138. (61) ibid., § 139. non a caso nel richiamare il diritto nazionale pertinente i giudici europei riportano anche il Codice deontologico dei magistrati che all’art. 12 prescrive che “nelle motivazioni delle decisioni e nello svolgimento delle udienze, il giudice esamina i fatti e le argomentazioni delle parti, evita di pronunciarsi su fatti o persone irrilevanti per l'oggetto della causa, emette sentenze o considerazioni sulla capacità professionale degli altri magistrati e difensori e -se non necessario ai fini della decisione -sulle persone coinvolte nel processo", ibid. § 62. Il Codice etico dei magistrati ordinari è consultabile all’indirizzo: https://www.associazionemagistrati.it/codice-etico. (62) Si vedano, come già evidenziato, i vari rapporti richiamati nella sentenza della Corte europea. (63) ibid., § 141. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 rappresenta, infatti, una parte del procedimento penale di massima importanza, soprattutto in considerazione della sua natura pubblica (64). Pertanto, con cinque voti a favore ed uno contrario (65) è stata respinta l’eccezione del Governo relativa alla mancanza dello status di vittima della ricorrente, concludendo sulla sussistenza nel caso di specie di una violazione degli obblighi positivi ex art. 8 Cedu (66). Conclusioni. La sentenza oggetto delle presenti note, da un lato, ha ribadito principi noti nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo e dall’altro si caratterizza per l’applicazione fattane all’interno di un procedimento penale, arrivando a sindacare le espressioni utilizzate da un giudice nazionale nelle argomentazioni di una sua decisione. L’effettività della tutela garantita dalla Convenzione Edu, infatti, non è raggiunta dalla presenza di un quadro normativo sufficiente, essendo necessario mettere in pratica tali disposizioni mediante il completamento di indagini efficaci e lo svolgimento di giusti procedimenti, all’interno dei quali le parti, specie le vittime, ricevano tutela e assistenza adeguata, pur nel rispetto del principio di difesa (67). Tale obbligo è stato definito inerente alla funzione giurisdizionale e deriva anche dal diritto nazionale, che la Corte Edu ha puntualmente richiamato (68). Sotto questo profilo, i giudici europei hanno delimitato il proprio ambito di competenze in modo piuttosto netto nel precisare che non possono sostituirsi alle autorità nazionali nella valutazione dei fatti del caso né possono pronunciarsi sulla responsabilità penale dei presunti aggressori, essendo loro compito valutare se nel corso del procedimento siano stati tutelati i diritti garantiti dal- l’art. 8 Cedu e se un’eventuale compromissione sia stata giustificata. Tuttavia, nell’ambito delle competenze così delineate, l’importanza rivestita dalle pronunce delle autorità giurisdizionali, anche per la loro natura pubblica, ha spinto la Corte Edu fino far rientrare nell’oggetto del proprio sindacato anche il linguaggio in esse utilizzato. Questo perché, secondo la stessa, la facoltà dei giudici di esprimersi liberamente, pur rappresentando una (64) ibid., § 142. (65) Per l’opinione dissenziente del Giudice Wojtyczet, si rinvia Corte EDU, J.l. c. italia, cit. (66) ibid., §§ 142-143. Come già indicato -vedi note supra -per quanto riguarda la presunta violazione dell’art. 14 Cedu in combinato disposto con l’art. 8 Cedu, alla luce delle argomentazioni e delle conclusioni fatte dalla Corte Edu ai sensi dell’art. 8 Cedu, la stessa non ha ritenuto necessario esaminare la questione sotto questo ulteriore profilo, ibid., §§ 144-147. (67) Cfr. la tutela processuale della vittima nel diritto dell'unione europea, consultabile su https://temi.camera.it/leg17/post/la_tutela_processuale_della_vittima_nel_diritto_dell_unione_europea.ht ml?tema=temi/tutela_delle_vittime_dei_reati, L. MAGLIARO, la vittima del reato nel processo penale, https://www.questionegiustizia.it/speciale/articolo/la-vittima-del-reato-nel-processo-penale_113.php. (68) ibid., § 139 e supra nelle presenti note. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE manifestazione del loro potere discrezionale e del principio di indipendenza della magistratura -trova comunque un limite nell’obbligo di proteggere i diritti dei soggetti coinvolti da qualsiasi interferenza ingiustificata. Si tratta, anche in questo caso, di bilanciamenti che seppur difficili devono essere prudentemente ponderati dalle autorità italiane e, fra queste, per i giudici europei le autorità giurisdizionali rivestono un ruolo imprescindibile, nella risposta istituzionale alla violenza e dalla discriminazione di genere. Senza contare che ciò incide su un altro fattore determinante, cioè, sulla fiducia delle vittime nel chiedere protezione (69). Questo passaggio della sentenza, a parere della scrivente, rappresenta l’aspetto più interessante da un punto vista processuale, in quanto non risultano alla stessa precedenti nell’applicazione del divieto di vittimizzazione secondaria con riferimento al contenuto argomentativo di una decisione giudiziaria (70). Mettendo un limite alla libertà di espressione del giudice nazionale, nel- l’esercizio delle proprie funzioni, correlato alle garanzie previste dalla Convenzione Edu, la Corte europea l’attrae infatti nel campo di un suo possibile sindacato (71). Pertanto, la pronuncia in oggetto si colloca in un contesto più ampio, relativo ai rapporti fra diversi livelli di tutela dei diritti e dei confini delle rispettive competenze. Sarà interessante vedere se e come quanto affermato dai giudici europei sarà sviluppato nelle successive pronunce (72). Quanto al merito della pronuncia, come visto la Corte Edu non solo ha stigmatizzato le espressioni colpevolizzanti e moralizzanti utilizzate dei giudici italiani (73), ma le ha considerate espressione di stereotipi radicati nella cultura italiana (74). Questo è valutato alla luce dei diversi rapporti delle organizzazioni internazionali e dell’Istat, riportati nella pronuncia in commento. (69) L’Istat pubblica regolarmente le statistiche sulle denunce e le condanne in relazione a diversi reati, per quanto riguarda la violenza sulle donne, cfr. https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne. (70) Come già sottolineato nel corso delle presenti note, è da tempo, invece, che il concetto di vittimizzazione secondaria è utilizzato dai giudici europei per sindacare la violazione dell’art. 8 Cedu da parte degli Stati membri nel corso di procedimenti nei confronti, in particolare, di vittime specialmente vulnerabili. (71) In merito, si è già evidenziato come la Corte europea richiami anche lo stesso codice deontologico nazionale della magistratura, v. supra. (72) In merito al bilanciamento fra libertà di espressione del magistrato e la fiducia che la collettività deve avere nel sistema giudiziario, elemento che nella valutazione della Corte europea è sempre stato centrale, si veda la sentenza Corte Edu, Iv Sezione, panioglu v. romania, ric. n. 33794/14, dell’8 dicembre 2020, consultabile all’indirizzo: https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001206352% 22]}. In quel caso, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che lo Stato in causa non avesse violato l’articolo 10 della Convenzione europea, che assicura il diritto alla libertà di espressione, nell’applicare una sanzione disciplinare a un magistrato in conseguenza di un suo duro articolo di stampa nei confronti di un altro magistrato. Un altro precedente sullo stesso tema è la sentenza, di Giovanni c. italia, ric. n. 27510/08 del 9 luglio 2013, consultabile tradotta in italiano a cura del Ministero della Giustizia all’indirizzo https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-127336%22]}. (73) Cfr. A. FORzA, G. MEnEGOn, R. RUMIATI, il giudice emotivo. la decisione tra ragione e emozione, Il Mulino, 2017. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 I giudici europei, quindi, hanno invitato le autorità italiane a non promuovere, neppure implicitamente, pregiudizi di genere minimizzando le violenze contro le donne ed esponendo le vittime ad episodi di victim blaming, perché la risposta istituzionale a qualsiasi livello deve essere sempre volta a contrastare e sradicare questa cultura. Questo, d’altronde, si ribadisce essere un dovere richiesto da diversi documenti normativi sia interni sia di fonte internazionale e comunitaria. Il messaggio della Corte Edu sul punto è molto chiaro: la cd. vittimizzazione secondaria se inserita in determinati contesti non solo lede il soggetto che la subisce, ma indirettamente ostacola a livello sistematico l’effettività dei diritti garantiti dalla Convezione Edu, perché da un lato mina la risposta istituzionale nei confronti del fenomeno e dall’altro scoraggia le vittime a rivolgersi alla giustizia. La lotta alla violenza ed alla discriminazione di genere, come del resto numerose questioni pubbliche, passano inevitabilmente dal sostrato culturale più o meno consolidato in un determinato ordinamento e momento storico. Senza dubbio, l’argomento rappresenta uno dei temi più discussi nel dibattito italiano. Come indicato dall’analisi dell’Istat del 2018, “il 58,8% della popolazione (di 18-74 anni), senza particolari differenze tra uomini e donne, si ritrova in questi stereotipi, più diffusi al crescere dell’età (65,7% dei 60-74enni e 45,3% dei giovani) e tra i meno istruiti” (75). In merito alla violenza sessuale, il documento indica che “persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Addirittura il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Anche la percentuale di chi pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire è elevata (23,9%). Il 15,1%, inoltre, è del- l’opinione che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile” (76). Sono dati che devono far riflettere e spingere le autorità ad investire ancora di più e concretamente nella prevenzione, nell’istruzione e nella formazione a tutti i livelli. Ciò a cominciare proprio dal linguaggio che costituisce, purtroppo, il primo veicolo di tali stereotipi. (74) Oltre ai rapporti internazionali indicati nel testo del presente lavoro, si rinvia anche alla relativa indagine Istat, consultabile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/ilfenomeno/ stereotipi. (75) Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, Istat, periodo di riferimento 2018, pubblicazione del 25 novembre 2019, consultabile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/archivio/235994. (76) ibid. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE Corte europea dei diritti dell'uomo, Prima sezione, sentenza del 27 maggio 2021 -ricorso n. 5671/16 - Causa J.L contro l'italia. Traduzione del Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali (a cura della Sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico e della Dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico). art. 8 -obblighi positivi -«vittimizzazione secondaria» di una vittima di violenza sessuale a causa delle affermazioni colpevolizzanti, moralizzatrici e veicolanti di stereotipi sessisti nelle motivazioni della sentenza -autorità che hanno vigilato sul rispetto dell'integrità personale della ricorrente durante l'indagine e le udienze del processo. (...) in dirittO i. suLLA dedOttA ViOLAziOne deLL’ArtiCOLO 8 deLLA COnVenziOne 70. La ricorrente contesta alle autorità nazionali di non aver protetto il suo diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale nell’ambito del procedimento penale condotto nel caso di specie. La stessa invoca l’articolo 8 della Convenzione, che recita: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata (...). 2. non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». A. sulla ricevibilità 1. Sulla regola dei sei mesi 71. Il Governo afferma che la ricorrente non ha presentato il suo ricorso entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data della decisione definitiva intervenuta nell’ambito del processo di esaurimento delle vie di ricorso interne, ossia il 20 luglio 2015, e indica, a tale riguardo, che la Corte ha ricevuto il ricorso soltanto il 25 gennaio 2016. 72. La ricorrente afferma di avere spedito il ricorso entro il termine di sei mesi, ossia il 19 gennaio 2016. 73. La Corte osserva che la sentenza della corte d’appello di Firenze è passata in giudicato il 20 luglio 2015. Il termine di sei mesi di cui disponeva l’interessata per presentare il suo ricorso dinanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione scadeva dunque il 20 gennaio 2016. Ora, la busta contenente il ricorso è stata spedita il 19 gennaio 2016, data del timbro postale. 74. La Corte considera che la data di presentazione del ricorso sia quella del timbro postale (vasiliauskas c. Lituania [GC], n. 35343/05, § 117, CEDU 2015). Di conseguenza, l’eccezione sollevata dal Governo deve essere respinta. 2. Sull’esaurimento delle vie di ricorso interne 75. Il Governo ritiene che la ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne, e spiega che l’interessata non ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze e non ha interposto appello avverso la sentenza di primo grado. Il Governo sottolinea che l’articolo 576 del CPP offre un ricorso efficace, che la parte civile può esercitare, anche in assenza di un appello presentato dal pubblico ministero, per ottenere il riconoscimento di un nesso di causalità tra la condotta dell’autore dei fatti e la violazione dei diritti civili della vittima. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 76. Il Governo afferma che ciò è dimostrato dal fatto che, in varie sentenze, la Corte di cassazione italiana ha disposto l’annullamento di una decisione di assoluzione e il rinvio della causa dinanzi al giudice civile affinché quest’ultimo deliberasse sulla richiesta di risarcimento danni della parte civile. In queste circostanze, il giudice civile è tenuto ad applicare le norme del diritto penale, soprattutto per quanto riguarda l’onere della prova, per determinare la responsabilità dell’autore dei fatti (sentenze della Corte di cassazione n. 42995 del 2015 e n. 27045 del 2016). 77. Il Governo conclude che la ricorrente, in tal modo, ha rinunciato ad avvalersi del diritto che le offriva la legislazione nazionale di esercitare un tale ricorso per riaffermare dinanzi a un giudice la sua versione dei fatti e contestare sia la decisione di assoluzione degli imputati che le motivazioni, comprese le considerazioni inerenti alla sua vita privata, sulle quali era fondata. 78. Il Governo considera, inoltre, che scegliendo di non interporre appello avverso la sentenza di primo grado nella parte relativa all’assoluzione degli imputati per il reato di violenza sessuale aggravata, la ricorrente abbia implicitamente accettato la ricostruzione dei fatti operata dai giudici. Per quanto riguarda la domanda di presentazione di un ricorso per cassazione trasmessa dalla ricorrente al pubblico ministero (paragrafo 48 supra), il Governo indica che quest’ultima non è stata presentata nelle forme previste dall’articolo 572 del CPP, precisando che il procuratore mantiene in ogni caso la propria autonomia nel decidere se presentare o meno un ricorso. 79. La ricorrente espone, da parte sua, che solo il pubblico ministero può presentare un ricorso avverso una decisione di assoluzione emessa in primo grado o in appello, e la parte civile ha soltanto la possibilità, ai sensi dell’articolo 572 del CPP, di chiedere alla procura di presentare tale ricorso. Pertanto, trasmettendo alla procura la sua memoria, rimasta lettera morta, il 13 luglio 2015, essa avrebbe fatto ricorso all’ultima possibilità offerta dal diritto nazionale di far constatare la responsabilità penale dei suoi aggressori. 80. La ricorrente afferma che un ricorso per cassazione presentato conformemente all’articolo 576 del CPP avrebbe permesso soltanto di riconoscere eventuali elementi di responsabilità civile, ma non avrebbe avuto alcun effetto sull’assoluzione degli imputati per il reato di cui riteneva di essere stata vittima, in quanto il giudice non poteva in nessun caso, in assenza di presentazione di un ricorso da parte della procura, pronunciarsi sugli aspetti penali della decisione impugnata. A tale riguardo, la ricorrente ha prodotto delle sentenze della Corte di cassazione da cui deduce che un ricorso presentato dalla parte civile avverso una decisione di assoluzione deve riguardare necessariamente ed esclusivamente la responsabilità civile del- l’autore dei fatti, ossia le richieste di risarcimento nei confronti di quest’ultimo, cosicché un ricorso volto a ottenere che sia riconosciuta la responsabilità penale dell’interessato sarebbe inammissibile in quanto contrario al principio dell’intangibilità del giudicato penale (sentenze della Corte di cassazione n. 41479 del 2011 e n. 23155 del 2012). 81. La ricorrente afferma, inoltre, che la scelta del pubblico ministero di non presentare ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Firenze l’ha privata di qualsiasi possibilità di ottenere che fosse accertata la responsabilità dei suoi aggressori e, di conseguenza, che le fosse riconosciuta una riparazione appropriata per quanto da lei denunciato. 82. La Corte rammenta che l'obbligo di esaurire le vie di ricorso interne, previsto dall'articolo 35 § 1 della Convenzione, riguarda le vie di ricorso che sono accessibili al ricorrente e che possono porre rimedio alla situazione lamentata da quest'ultimo. Questi ricorsi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, non solo in teoria ma anche nella pratica, altrimenti man COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE cherebbero della necessaria accessibilità ed effettività; spetta allo Stato convenuto dimostrare che questi requisiti sono soddisfatti (si veda, tra altre, vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], n. 17153/11, §§ 69-77, 25 marzo 2014). 83. Per potersi pronunciare sulla questione se la ricorrente, nelle circostanze particolari della causa, abbia soddisfatto il requisito dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, conviene determinare anzitutto quale sia l’azione o l’omissione delle autorità dello Stato messo in causa che l’interessata intende contestare a quest’ultimo (si veda, tra altre, Ciobanu c. Romania (dec.) n. 29053/95, 20 aprile 1999). La Corte osserva, a tale riguardo, che la doglianza della ricorrente consiste nell’affermare che le autorità non sono riuscite a garantire la protezione effettiva della sua autonomia sessuale, e non hanno adottato misure sufficienti per proteggere il suo diritto alla vita privata e la sua integrità personale nell’ambito del procedimento penale condotto nel caso di specie. 84. La Corte non è convinta dell’argomentazione del Governo secondo la quale la ricorrente avrebbe potuto ottenere una riparazione appropriata per quanto da lei lamentato ricorrendo in appello, e poi in cassazione, conformemente all’articolo 576 del CPP, per ottenere il riconoscimento della responsabilità civile dei suoi presunti aggressori. 85. Essa rammenta che gli obblighi positivi che incombono agli Stati membri ai sensi degli articoli 3 e 8 della Convenzione impongono l’incriminazione e la repressione effettive con misure penali di qualsiasi atto sessuale non consensuale (si vedano, tra altre, M.C. c. Bulgaria, n. 39272/98, § 166, CEDU 2003‑XII, e y. c. Bulgaria, n. 41990/18, § 95, 20 febbraio 2020). 86. Ora, la Corte constata che, nella sua qualità di parte civile, l’interessata poteva interporre appello avverso la sentenza di condanna di primo grado soltanto nella parte riguardante l’azione civile. Inoltre, in assenza di un ricorso presentato dal procuratore avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze, l’assoluzione degli imputati era divenuta definitiva e, pertanto, non poteva essere rimessa in discussione in virtù del principio dell’intangibilità del giudicato penale. 87. Di conseguenza, qualsiasi eventuale ricorso presentato dalla ricorrente in qualità di parte civile ai sensi del diritto nazionale non avrebbe avuto l’effettività necessaria. Pertanto, l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo deve essere respinta. 3. Sulla qualità di vittima della ricorrente 88. Il Governo afferma che la ricorrente non ha la qualità di vittima, e considera anzitutto che l’interessata non possa lamentare una violazione, nei suoi confronti, dei diritti riconosciuti alle vittime di abusi sessuali, in quanto le giurisdizioni interne hanno escluso, con una decisione divenuta definitiva, l’esistenza di violenza sessuale nei suoi confronti. Il Governo aggiunge che le autorità italiane non si sono rese responsabili verso la ricorrente di alcuna inosservanza degli obblighi positivi derivanti dalla Convenzione e volti a garantire la protezione del diritto alla vita privata. A tale riguardo, il Governo rinvia alle proprie argomentazioni difensive relative alla fondatezza del ricorso. 89. La ricorrente risponde affermando che il fatto che gli imputati non siano stati condannati all’esito del processo durante il quale essa ritiene che siano stati violati i suoi diritti sanciti dagli articoli 8 e 14 della Convenzione non può incidere sulla nozione di vittima ai sensi del- l’articolo 34 della Convenzione. 90. La Corte constata che l’eccezione relativa all’assenza della qualità di vittima formulata dal Governo riguarda in sostanza la questione dell’esistenza o meno di un’offesa all’integrità personale della ricorrente e il suo diritto al rispetto della vita privata. Pertanto, la questione sarà esaminata unitamente al merito delle doglianze. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 4. Conclusione 91. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile. B. sul merito 1. Osservazioni delle parti a) La ricorrente 92. La ricorrente ritiene che i suoi diritti di vittima presunta non siano stati sufficientemente protetti nell’ambito del procedimento per violenza sessuale avviato contro i suoi presunti aggressori. L’interessata spiega che il procedimento, nel complesso, è stato lungo e penoso. Avrebbe subìto delle ingerenze continue e ingiustificate nella sua vita privata da parte delle autorità, quando invece queste ultime, a suo parere, erano tenute a proteggerla in quanto donna vittima di violenze sessuali e, pertanto, persona vulnerabile. La ricorrente ravvisa in ciò una violazione, da parte dello Stato convenuto, degli obblighi positivi inerenti all’articolo 8 della Convenzione. 93. La ricorrente considera che, sotto vari aspetti, lo Stato italiano non sia riuscito a garantire delle indagini e un’azione penale adeguate, e che, in tal modo, sarebbe stata sottoposta a varie ore di interrogatorio nei locali della polizia e della procura, e poi sentita nel corso delle udienze pubbliche, durante le quali avrebbe dovuto fornire dettagli sulla sua vita sessuale, familiare e personale, esponendosi al giudizio morale di altri. I suoi presunti aggressori non avrebbero dovuto subire lo stesso trattamento. 94. La ricorrente afferma, inoltre, che la corte d’appello ha deciso di assolvere gli imputati basandosi su una valutazione soggettiva delle sue abitudini sessuali e delle sue scelte intime e personali, e in nessun caso su prove oggettive. Fa riferimento alle testimonianze di S.L., L.B. e S.S., che i giudici di primo grado avrebbero ritenuto aver fornito la prova incontestabile dello stato di inferiorità fisica e psicologica in cui diceva di essersi trovata al momento dei fatti, e che la corte d’appello avrebbe tuttavia ignorato, privilegiando le dichiarazioni degli imputati. Secondo la ricorrente, la sentenza della corte d’appello avrebbe rispecchiato una concezione restrittiva e superata della nozione di violenza sessuale, in violazione dei principi fissati dalla Corte nella sua sentenza M.C. c. Bulgaria, sopra citata. 95. La ricorrente deplora, inoltre, che il pubblico ministero abbia respinto la sua richiesta di adire la Corte di cassazione, privandola in tal modo di un’ultima possibilità di beneficiare di un procedimento effettivo, e che l’interrogazione parlamentare rivolta al governo nel 2015 sia rimasta senza risposta. 96. L’interessata sostiene peraltro di essere stata interrogata più volte su dettagli della sua vita privata e sessuale senza alcun rapporto con l’aggressione, ad esempio sulle sue performance artistiche, sui suoi rapporti sessuali -che sarebbe stata invitata a descrivere nei minimi dettagli -, sulla sua scelta di seguire un regime alimentare vegano, e anche sul significato degli pseudonimi utilizzati sui social network per indicarla. La ricorrente considera che tali domande non mirassero a chiarire i fatti ma a dimostrare che il suo stile di vita e i suoi orientamenti sessuali erano «anormali», e afferma che i giudizi di valore dati sulla sua vita privata hanno avuto un’influenza certa sull’esito del processo, e che i giudici hanno scelto di condannare la sua vita privata piuttosto che giudicare i suoi aggressori. 97. La ricorrente aggiunge che durante il dibattimento il presidente del tribunale è dovuto intervenire molte volte per impedire domande tendenziose e per permetterle di riprendersi dalle sue emozioni, il che per lei costituisce una prova del carattere penoso delle sue audizioni piuttosto che una dimostrazione delle attenzioni che le autorità avrebbero avuto nei suoi confronti. 98. L’interessata ritiene anche che le autorità nazionali non abbiano tenuto conto della pro COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE fonda sofferenza che affermava le era stata causata, che non le abbiano fornito un sostegno psicologico, e che non abbiano adottato delle misure idonee ad assicurare la protezione della sua integrità personale, e afferma che l’unico supporto psicologico di cui ha potuto beneficiare le è stato fornito dal centro Artemisia, specializzato nel sostegno alle donne vittime di violenza, al quale si era rivolta di sua iniziativa dopo i fatti. 99. La ricorrente fa riferimento alla giurisprudenza della Corte relativa alle misure di protezione delle vittime di violenza sessuale, nonché alle disposizioni della Convenzione di Istanbul, che condanna ogni forma di intimidazione e di vittimizzazione secondaria nei confronti delle vittime. 100. Essa lamenta che i giudici che hanno deliberato sulla sua causa hanno stigmatizzato la sua vita personale, familiare e sessuale per fondare le loro decisioni, sia in primo grado, sia, più in particolare, in secondo grado, e considera che, così facendo, tali giudici non abbiano rispettato il diritto nazionale, e più precisamente l’articolo 472, comma 3bis, del CPP, che vieta qualsiasi domanda ingiustificata sulla sessualità della vittima di violenze sessuali. La ricorrente lamenta, peraltro, una violazione del suo diritto alla riservatezza dei suoi dati personali nell’ambito del processo, che è stato pubblico e ampiamente mediatizzato. Per quanto riguarda la facoltà che, secondo il Governo, la ricorrente avrebbe avuto di avvalersi dell’articolo 392 del CPP, quest’ultima afferma che la possibilità per le vittime vulnerabili di essere sentite nell’ambito di un incidente probatorio è stata introdotta soltanto dal decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, entrato in vigore dopo il procedimento in contestazione. 101. In generale, l’interessata critica il quadro legislativo e istituzionale messo in atto in Italia per la protezione delle donne contro la violenza di genere, definendolo insufficiente sotto vari punti di vista a non conforme agli obblighi derivanti dagli strumenti internazionali pertinenti. b) il Governo 102. Il Governo sostiene che il procedimento condotto dalle autorità nazionali è stato effettivo e che la sua durata non è stata eccessiva rispetto alla complessità della causa, ed afferma che la procedura di indagine, che è durata nove mesi, è stata avviata rapidamente ed è stata caratterizzata da un’intensa attività. Per quanto riguarda il procedimento giudiziario, il Governo considera che non vi sia stato alcun rallentamento ingiustificato, e fa notare che sono state sentite molte persone, come imputati o come testimoni, e che molti elementi di prova sono stati esaminati durante il dibattimento. 103. Il Governo, del resto, afferma che l’effettività del procedimento è dimostrata dal fatto stesso che l’indagine si sia chiusa con una decisione di rinvio a giudizio dei sospettati e che sia stata emessa una sentenza di condanna in primo grado. L’assoluzione pronunciata successivamente dalla corte d’appello sarebbe soltanto il risultato di un’analisi diversa riguardante la responsabilità degli imputati, che sarebbe stata condotta alla luce di tutte le conclusioni dell’indagine e in applicazione della giurisprudenza della Corte di cassazione circa la possibilità di valutare in maniera frazionata la credibilità delle testimonianze nei procedimenti relativi a violenze sessuali. 104. In queste condizioni, il Governo considera che la doglianza della ricorrente relativa alla mancanza di celerità del procedimento sia generica e non precisata, e aggiunge che la ricorrente non ha suffragato nemmeno le sue affermazioni secondo le quali le modalità con cui sono stati condotti l’indagine e il processo hanno comportato una violazione del suo diritto alla vita privata. 105. Anzitutto, il Governo contesta tutti i riferimenti fatti dalla ricorrente ai testi in materia di protezione delle vittime di violenze fondate sul genere e di violenze sessuali, come la Conven RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 zione di Istanbul o altri strumenti internazionali, che ritiene non pertinenti nel caso di specie. Il Governo sottolinea, a tale riguardo, che la qualità di vittima di violenze sessuali non è stata riconosciuta alla ricorrente dalle autorità giudiziarie competenti e che, inoltre, l’uso di violenza nei suoi confronti è stato escluso in maniera definitiva fin dalla sentenza di primo grado. 106. Inoltre, il Governo afferma che le domande poste alla ricorrente durante l’indagine e il processo non possono essere considerate un’ingerenza sproporzionata o ingiustificata nella sua vita privata, e sostiene che gli inquirenti hanno semplicemente risposto all’intenzione della ricorrente di sporgere denuncia e hanno formulato le domande necessarie alla ricostruzione dei fatti da lei denunciati. Il Governo considera che le autorità si siano limitate a svolgere il loro ruolo di inquirenti imparziali durante le audizioni del 31 luglio e del 16 settembre 2008, e che non abbiano mai interferito nella vita privata della ricorrente, in quanto hanno semplicemente indagato sui fatti evitando qualsiasi giudizio morale. 107. Il Governo ritiene, peraltro, che il procuratore e il presidente del tribunale abbiano avuto, nel corso del dibattimento di primo grado, un atteggiamento rispettoso, tenendo conto della sensibilità della ricorrente, e che siano rimasti costantemente attenti al suo benessere, anche durante i controinterrogatori da parte degli avvocati della difesa, durante i quali il presidente sarebbe intervenuto varie volte allo scopo di impedire qualsiasi domanda tendenziosa e di permettere all’interessata di ritrovare la calma. Il Governo aggiunge che, contrariamente alla causa y. c. Slovenia (n. 41107/10, CEDU 2015 (estratti)), i controinterrogatori, nel caso di specie, sarebbero stati condotti dagli avvocati degli imputati, in quanto questi ultimi non hanno mai posto le domande direttamente. 108. In ogni caso, il Governo considera che, conformemente all’articolo 392 del CPP, la ricorrente avrebbe potuto chiedere di essere sentita nell’ambito di un incidente probatorio organizzato nel corso delle indagini preliminari e di evitare in tal modo di essere sottoposta a un controinterrogatorio durante il dibattimento. 109. Per quanto riguarda le motivazioni della sentenza della corte d’appello, il Governo afferma che sono conformi alla legge e fondate su una valutazione di tutti gli elementi di prova raccolti nel corso del processo. Tutti gli elementi inerenti alla vita privata della ricorrente, come i suoi precedenti rapporti con L.L., la sua bisessualità o la descrizione della biancheria intima che portava al momento dei fatti, sarebbero stati citati dalla corte d’appello soltanto allo scopo di fornire la descrizione più esaustiva possibile dello svolgimento della serata del 25 luglio 2008 e, al tempo stesso, di evidenziare le incoerenze che poteva contenere la versione dei fatti dell’interessata, permettendo in tal modo una valutazione della sua credibilità. Del resto, nella sua sentenza di assoluzione degli imputati dal capo di accusa principale, ossia quello di stupro commesso con violenza, il tribunale avrebbe già rilevato tali incoerenze. non interponendo appello avverso questa parte della sentenza, la ricorrente avrebbe perciò rinunciato a contestare le conclusioni relative all’attendibilità della sua versione dei fatti, e avrebbe implicitamente accettato la presentazione dei fatti fornita dagli imputati. 110. Il Governo afferma che la corte d’appello ha constatato la mancanza di credibilità della ricorrente basandosi su vari elementi oggettivi, come i risultati degli esami scientifici eseguiti sull’auto e sui vestiti dei vari protagonisti, le ricerche delle tracce di DnA, il referto dell’esame ginecologico, l’esame dei tabulati telefonici e la determinazione dei diversi terminali attivati, e dopo avere escluso la possibilità di una valutazione frazionata delle dichiarazioni della ricorrente alla luce della giurisprudenza in materia. In queste condizioni, il Governo ritiene che i riferimenti fatti alla personalità complessa, disinibita e creativa della ricorrente fossero volti a contestualizzare le argomentazioni dell’accusa in maniera rigorosa, al di fuori di qualsiasi COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE giudizio morale e senza che si possa parlare di una ingerenza ingiustificata nella vita privata dell’interessata. 111. Il Governo considera che, alla luce del contesto della causa, il procuratore della Repubblica abbia giustamente deciso di non presentare ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello, spiegando che un tale ricorso non avrebbe avuto alcuna base giuridica né alcuna possibilità di esito positivo. 112. Il Governo, inoltre, respinge tutte le affermazioni secondo le quali la ricorrente avrebbe subìto una «vittimizzazione secondaria» da parte delle autorità giudiziarie nell’ambito del processo. La semplice lettura dei verbali delle udienze dimostra a suo parere che l’approccio del procuratore e del presidente del tribunale è stato caratterizzato da sensibilità durante tutte le audizioni della ricorrente e che quest’ultima non ha dovuto subire inutili umiliazioni. Il Governo considera significativo, a questo riguardo, il fatto che la ricorrente non abbia dimostrato, né dinanzi al tribunale né dinanzi alla corte d’appello, il danno esistenziale e/o fisico che affermava di avere subìto. 113. Il Governo aggiunge che le autorità giudiziarie erano chiamate a giudicare delle persone imputate di un grave reato, ed erano pertanto tenute a valutare in maniera rigorosa qualsiasi elemento inerente alla credibilità della ricorrente e alla condizione di inferiorità fisica e psicologica in cui diceva di essersi trovata al momento dei fatti. Il rigore sarebbe stato ancora più necessario da parte dei giudici d’appello in quanto il tribunale aveva assolto in maniera definitiva gli imputati per il reato di stupro commesso con violenza -e D.S. da tutti i capi di imputazione -evidenziando le incoerenze nella versione dei fatti della ricorrente e ritenendo che sollevassero dubbi sulla sua credibilità. 114. Il Governo si riferisce a questo riguardo al dovere di protezione dei diritti degli imputati sanciti dell’articolo 6 della Convenzione e afferma che la valutazione della personalità di un testimone o di una vittima di violenze sessuali è ammessa dal diritto nazionale laddove necessaria per valutarne la credibilità e la versione dei fatti. 115. Infine, il Governo indica che la ricorrente avrebbe potuto evitare la pubblicità del dibattimento chiedendo al tribunale, sulla base dell’articolo 472, comma 3bis, del CPP, di procedere a porte chiuse, e ritiene che l’interessata sia stata adeguatamente seguita sul piano psicologico per tutta la durata del procedimento. 116. In conclusione, il Governo ritiene che non possa essere rivolta alcuna critica alle autorità per quanto riguarda il modo in cui il procedimento è stato complessivamente condotto e il rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione. 2. Valutazione della Corte 117. La Corte osserva che l’articolo 8, così come l’articolo 3, impone agli Stati l’obbligo positivo di adottare delle disposizioni penali che incriminino e puniscano in maniera effettiva qualsiasi atto sessuale non consensuale, anche quando la vittima non ha opposto resistenza fisica, e di mettere concretamente in atto tali disposizioni mediante la conduzione di indagini e di procedimenti effettivi (M.C. c. Bulgaria, sopra citata, §§ 153 e 166). 118. Essa rammenta, inoltre, che l’obbligo positivo che incombe allo Stato in virtù dell’articolo 8 di proteggere l’integrità fisica dell’individuo richiede, in casi così gravi come la violenza sessuale, delle disposizioni penali efficaci e può estendersi, pertanto, alle questioni inerenti all’effettività dell’indagine penale condotta ai fini dell’attuazione di tali disposizioni (M.n. c. Bulgaria, n. 3832/06, § 40, 27 novembre 2012). Per quanto riguarda l’obbligo di condurre un’indagine effettiva, la Corte rammenta che si tratta di un obbligo di mezzi e non di risultato. Anche se tale esigenza non impone che ogni procedimento penale debba chiudersi con una RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 condanna, o addirittura con la pronuncia di una pena determinata, gli organi giudiziari non devono in ogni caso dimostrarsi disposti a lasciare impunite delle violazioni dell’integrità fisica e morale delle persone, per preservare la fiducia del cittadino nel rispetto del principio di legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza di atti illegali. Un’esigenza di celerità e di diligenza ragionevole è ugualmente implicita in questo contesto. Indipendentemente dall’esito del procedimento, i meccanismi di protezione previsti nel diritto interno devono funzionare in pratica entro termini ragionevoli che permettano di concludere l’esame sul merito delle cause concrete sottoposte alle autorità (si vedano, tra altre, M.n. c. Bulgaria, sopra citata, §§ 46-49 e n.Ç. c. Turchia, n. 40591/11, § 96, 9 febbraio 2021). 119. Inoltre, la Corte ha già affermato che i diritti delle vittime di reati che sono parti in un procedimento penale generalmente rientrano nell’articolo 8 della Convenzione. A tale riguardo, la Corte rammenta che, anche se l’articolo 8 ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie delle autorità pubbliche, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure che mirano al rispetto della vita privata finanche nelle relazioni tra gli individui (X e y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 23, serie A n. 91). Di conseguenza, gli Stati contraenti devono organizzare la loro procedura penale in modo tale da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà o la sicurezza dei testimoni, in particolare quelle delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono dunque essere bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare (Doorson c. Paesi Bassi, 26 marzo 1996, § 70, Recueil des arrêts et décisions 1996‑II). Inoltre, i procedimenti penali relativi a reati di carattere sessuale sono spesso vissuti come una prova da parte della vittima, soprattutto quando quest’ultima viene messa a confronto con l’imputato contro la sua volontà, e nelle cause in cui è coinvolto un minore (S.n. c. Svezia, n. 34209/96, § 47, CEDU 2002‑v, e Aigner c. Austria, n. 28328/03, § 35, 10 maggio 2012). Di conseguenza, nell'ambito di procedimenti penali di questo tipo, possono essere adottate delle misure di protezione particolari a tutela delle vittime (y. c. Slovenia, sopra citata, §§ 103 e 104). Le disposizioni in questione implicano una presa in carico adeguata della vittima durante il procedimento penale, allo scopo di proteggerla da una vittimizzazione secondaria (y. c. Slovenia, sopra citata, §§ 97 e 101, A e B c. Croazia, n. 7144/15, § 121, 20 giugno 2019, e n.Ç. c. Turchia, sopra citata, § 95). 120. La Corte osserva che tutti questi obblighi positivi derivano anche da disposizioni di altri strumenti internazionali (paragrafi 63, 64, 65 e 69 supra). La Corte rammenta in particolare che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica impone l'obbligo, per le Parti contraenti, di adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, in particolare per mettere le vittime al riparo dai rischi di intimidazione e di nuova vittimizzazione, per permettere loro di essere sentite e di presentare i loro punti di vista, le loro necessità e le loro preoccupazioni e ottenerne l'esame, e infine per dare loro la possibilità, se il diritto interno applicabile lo autorizza, di testimoniare senza che il presunto autore del reato sia presente. Inoltre, la direttiva europea del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato dispone che le vittime di violenze fondate sul genere beneficiano di misure speciali di protezione in quanto sono particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria, di intimidazione e di ritorsioni. 121. Passando a esaminare le circostanze della presente causa, la Corte osserva anzitutto che il diritto italiano sanziona penalmente la violenza sessuale, che sia commessa mediante vio COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE lenza, minaccia, abuso di autorità, o abusando della condizione di inferiorità della vittima o con l’inganno. Inoltre, il codice penale prevede il reato autonomo, punito in maniera più severa, di violenza sessuale di gruppo (paragrafi 52-54 supra). non si può dunque attribuire allo Stato italiano l'assenza di un quadro legislativo di protezione dei diritti delle vittime di violenze sessuali. 122. Pertanto, si deve determinare se la ricorrente abbia beneficiato di una protezione effettiva dei suoi diritti di vittima presunta, e se il meccanismo previsto dal diritto penale italiano, nel caso di specie, sia stato lacunoso a tal punto da comportare una violazione degli obblighi positivi che incombevano allo Stato convenuto. La Corte non deve andare oltre. Essa non è chiamata a pronunciarsi su presunti errori od omissioni particolari dell'indagine; non può sostituirsi alle autorità interne nella valutazione dei fatti di causa; non può nemmeno decidere sulla responsabilità penale dei presunti aggressori (M.C. c. Bulgaria, sopra citata, § 168). 123. Per quanto riguarda l'effettività dell'indagine, la Corte constata anzitutto che le autorità, facendo seguito alla segnalazione del centro antiviolenza di Careggi, al quale la ricorrente si era rivolta, hanno avviato d'ufficio un'indagine quattro giorni dopo i fatti. La ricorrente è stata sentita senza ritardo e i sette uomini messi in causa dalle sue dichiarazioni sono stati subito sottoposti a custodia cautelare, compreso D.S., la cui implicazione nei fatti è stata successivamente esclusa nel corso del procedimento. Si è poi svolta una procedura di indagine, durata nove mesi, al termine della quale i sospettati sono stati rinviati a giudizio. In particolare, gli inquirenti hanno organizzato una procedura di identificazione dei sospettati ed effettuato varie perizie tecniche, soprattutto allo scopo di ritrovare tracce biologiche nella macchina e sui vestiti della ricorrente, e di ricostruire i suoi spostamenti e quelli dei sospettati per mezzo, tra l'altro, dell'esame dei tabulati telefonici e dei terminali attivati dai telefoni degli interessati (paragrafi 14 e 15 supra). Successivamente, durante il dibattimento, sono stati sentiti molti testimoni citati dalle parti, nonché alcuni periti, i sette imputati e la ricorrente. Complessivamente, il procedimento penale è durato circa sette anni per due gradi di giudizio. 124. Tenuto conto di tutti gli elementi del procedimento, la Corte non può considerare che le autorità abbiano dimostrato passività o che siano venute meno al dovere di diligenza e alle esigenze di celerità richiesti nella valutazione di tutte le circostanze della causa (si veda, a contrario, tra altre, M.n. c. Bulgaria, sopra citata, § 49). A questo proposito, la Corte rammenta che il rispetto dell'obbligo procedurale deve essere valutato sulla base di vari parametri fondamentali, come l'avvio rapido di un'indagine non appena i fatti sono stati portati a conoscenza delle autorità, la capacità dell'indagine di analizzare meticolosamente in maniera obiettiva e imparziale tutti gli elementi pertinenti, di condurre all'accertamento dei fatti e di permettere di individuare i responsabili e -se del caso -di sanzionarli. Questi parametri sono tra loro collegati e ciascuno di essi, considerato separatamente, non è fine a sé stesso. Si tratta di criteri che, considerati congiuntamente, permettono di valutare il livello di effettività dell’indagine (S.M. c. Croazia, [GC], n. 60561/14, §§ 312-320, 25 giugno 2020, e n.Ç. c. Turchia, sopra citata, § 97). 125. La Corte osserva, del resto, che la ricorrente non sostiene che la gestione dell'indagine sia stata caratterizzata da lacune e ritardi evidenti o che le autorità abbiano omesso di compiere degli atti istruttori. Ciò che afferma l'interessata, è che le modalità con cui sono stati condotti l'indagine e il processo sono state traumatiche per lei, e che l'atteggiamento delle autorità nei suoi confronti ha leso la sua integrità personale. La ricorrente lamenta, in particolare, le condizioni in cui è stata interrogata per tutta la durata del procedimento penale, e contesta le argomentazioni sulle quali si sono fondati i giudici per emettere le loro decisioni nel caso di specie. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 a) Le audizioni della ricorrente 126. Per quanto riguarda le audizioni della ricorrente, la Corte osserva anzitutto che le autorità giudiziarie si trovavano di fronte a due versioni contraddittorie dei fatti, e che gli elementi di prova diretti di cui disponevano consistevano in sostanza nelle dichiarazioni fatte dalla ricorrente in qualità di testimone. Essa osserva anche che il referto dell'esame ginecologico e le conclusioni delle numerose perizie tecniche condotte dagli inquirenti avevano evidenziato varie contraddizioni nella narrazione dei fatti resa dalla ricorrente nella sua qualità di testimone principale (paragrafi 31-32 supra). 127. In queste condizioni, la Corte considera che l’esigenza di equità del processo imponesse di dare alla difesa la possibilità di controinterrogare la ricorrente nella sua qualità di principale testimone a carico, dato che quest'ultima non era minorenne e non si trovava in una situazione di vulnerabilità particolare che richiedesse misure di maggiore protezione (si veda, mutatis mutandis, B. c. Romania, n. 42390/07, §§ 50 e 57, 10 gennaio 2012). La Corte rammenta a questo proposito che l'esistenza di due versioni inconciliabili dei fatti deve assolutamente condurre a una valutazione della credibilità delle dichiarazioni ottenute dalle due parti alla luce delle circostanze del caso di specie, che devono essere debitamente verificate (si veda, mutatis mutandis, M.C. c. Bulgaria, sopra citata, § 177). 128. Rimane comunque il fatto che la Corte deve stabilire se le autorità interne siano riuscite a garantire un giusto equilibrio tra gli interessi della difesa, soprattutto il diritto degli imputati di far citare e di interrogare i testimoni di cui all'articolo 6 § 3, e i diritti riconosciuti alla vittima presunta dall'articolo 8. Il modo in cui la vittima presunta di reati di natura sessuale viene interrogata deve permettere di garantire un giusto equilibrio tra l'integrità personale e la dignità di quest'ultima e i diritti della difesa garantiti agli imputati. Anche se l'imputato deve potersi difendere contestando la credibilità della vittima presunta ed evidenziando eventuali incoerenze nella sua deposizione, il contro interrogatorio non deve essere utilizzato come un mezzo per intimidire o umiliare quest'ultima (y. c. Slovenia, sopra citata, § 108). 129. La Corte constata anzitutto che in nessun momento, né durante le indagini preliminari né nel corso del processo, vi è stato un confronto diretto tra la ricorrente e gli autori presunti delle violenze che essa denunciava. Per quanto riguarda gli interrogatori ai quali la ricorrente è stata sottoposta durante le indagini preliminari, la Corte osserva che l'interessata è stata sentita dalla polizia due volte, ossia il 30 luglio 2008 a Firenze, quando gli agenti raccolsero le sue prime dichiarazioni e registrarono la sua denuncia, e il 31 luglio 2008 a Ravenna, città nella quale la ricorrente si trovava in vacanza, quando quest'ultima fu invitata a identificare i sospettati per mezzo di fotografie. Inoltre, il 16 settembre 2008 l'interessata fu convocata dalla procura, che la interrogò e ordinò successivamente che fossero condotti degli atti di indagine supplementari. 130. La Corte ha esaminato i verbali delle audizioni; essa non ha ravvisato né un atteggiamento irrispettoso o intimidatorio da parte delle autorità di indagine, né degli atti volti a scoraggiare la ricorrente o a orientare il seguito delle indagini. La Corte ritiene che le domande poste alla ricorrente fossero pertinenti e mirassero a ottenere una ricostruzione dei fatti che tenesse conto delle sue argomentazioni e dei suoi punti di vista, e a permettere di costituire un fascicolo istruttorio completo ai fini del proseguimento dell'azione giudiziaria. Sebbene siano state senz'altro dolorose per la ricorrente, vista la situazione, non si può considerare che le modalità delle audizioni condotte durante l'indagine abbiano esposto l'interessata a un trauma ingiustificato o a ingerenze sproporzionate nella sua vita intima e privata. 131. Per quanto riguarda il processo, la ricorrente è stata interrogata alle udienze dell'8 febbraio COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE e del 13 marzo 2011. La Corte osserva, a questo proposito, che quest'ultima avrebbe potuto avvalersi dell'articolo 392 del CPP in vigore all'epoca dei fatti, e chiedere di essere interrogata nell'ambito di un incidente probatorio, ossia un'udienza ad hoc tenuta in camera di consiglio (paragrafo 55 supra). Invece, poiché la ricorrente non era minorenne e non aveva chiesto l'udienza a porte chiuse ai sensi dell'articolo 472 del CPP, il dibattimento si è svolto pubblicamente. In ogni caso, il presidente del tribunale ha deciso di vietare ai giornalisti presenti in aula di filmare il processo, soprattutto allo scopo di proteggere l'intimità della ricorrente. Inoltre, è intervenuto varie volte nel corso dei controinterrogatori dell'interessata, interrompendo gli avvocati della difesa quando facevano domande ridondanti o di natura personale, o quando affrontavano argomenti senza rapporto con i fatti. Il presidente ha anche ordinato delle brevi sospensioni di udienza per permettere alla ricorrente di riprendersi dalle sue emozioni. 132. La Corte non dubita che il procedimento, nel suo complesso, sia stato vissuto dalla ricorrente come una prova particolarmente penosa, tanto più che l'interessata ha dovuto ripetere la sua testimonianza molte volte, e soprattutto per un periodo superiore a due anni, per rispondere alle domande poste via via dagli inquirenti, dalla procura e dagli otto avvocati della difesa. La Corte osserva, peraltro, che questi ultimi non hanno esitato, per minare la credibilità della ricorrente, a interrogarla su questioni personali relative alla sua vita familiare, ai suoi orientamenti sessuali e alle sue scelte intime, a volte senza alcun rapporto con i fatti, il che è decisamente contrario non soltanto ai principi di diritto internazionale in materia di protezione dei diritti delle vittime di violenze sessuali, ma anche al diritto penale italiano (paragrafo 57 supra). 133. Tuttavia, tenuto conto dell'atteggiamento adottato dal pubblico ministero e dal presidente del tribunale, così come delle misure adottate da quest'ultimo per proteggere l'intimità del- l'interessata allo scopo di impedire agli avvocati della difesa di denigrarla o di turbarla inutilmente durante i controinterrogatori, la Corte non può imputare alle autorità pubbliche incaricate del procedimento la responsabilità della prova particolarmente penosa vissuta dalla ricorrente, né considerare che queste ultime abbiano omesso di vigilare a che l’integrità personale dell'interessata fosse adeguatamente protetta durante lo svolgimento del processo (a contrario, y. c. Slovenia, sopra citata, § 109). b) il contenuto delle decisioni giudiziarie 134. La Corte deve ora accertare se il contenuto delle decisioni giudiziarie adottate nell'ambito del processo della ricorrente e il ragionamento su cui si è fondata l'assoluzione degli imputati abbiano leso il diritto dell'interessata al rispetto della sua vita privata e alla sua libertà sessuale e se l'abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria. 135. Per quanto riguarda la motivazione delle decisioni giudiziarie, la Corte rammenta ancora una volta che il suo ruolo non è quello di pronunciarsi sulle deduzioni di errori particolari commessi dalle autorità, né quello di pronunciarsi sulla responsabilità penale dei presunti aggressori. Di conseguenza, essa non si sostituirà alle autorità interne nella valutazione dei fatti della causa. Invece, le spetta stabilire se il ragionamento seguito dai giudici e gli argomenti utilizzati abbiano o meno costituito un ostacolo al diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua integrità personale e se ciò abbia comportato una violazione degli obblighi positivi inerenti all'articolo 8 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas c. norvegia, n. 12148/03, §§ 33-39, 4 ottobre 2007, e Carvalho Pinto de Sousa Mo- rais c. Portogallo, n. 17484/15, §§ 33-36, 25 luglio 2017). 136. Ora, la Corte ha rilevato diversi passaggi della sentenza della corte d'appello di Firenze che evocano la vita personale e intima della ricorrente e che ledono i diritti di quest'ultima derivanti dall'articolo 8. In particolare, la Corte ritiene ingiustificati i riferimenti fatti dalla RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 corte d'appello alla biancheria intima rossa «mostrata» dalla ricorrente nel corso della serata, nonché i commenti concernenti la bisessualità dell'interessata, le relazioni sentimentali e i rapporti sessuali occasionali di quest'ultima prima dei fatti (paragrafi 41 e 42 supra). Analogamente, la Corte ritiene inappropriate le considerazioni relative all'«atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso» della ricorrente, che la corte d'appello deduce tra l'altro dalle decisioni dell'interessata in materia artistica. Così, la corte d'appello cita tra queste decisioni dubbie la scelta di accettare di partecipare al cortometraggio di L.L. nonostante il suo carattere violento ed esplicitamente sessuale (paragrafo 46 supra) senza tuttavia -e giustamente -che il fatto di aver scritto e diretto il suddetto cortometraggio sia in alcun modo commentato o considerato rivelatore dell'atteggiamento di L.L. nei confronti del sesso. Inoltre, la Corte ritiene che il giudizio sulla decisione della ricorrente di denunciare i fatti, che secondo la corte d'appello sarebbe risultato da una volontà di «stigmatizzare» e di rimuovere un «momento criticabile di fragilità e di debolezza», così come il riferimento alla «vita non lineare» dell'interessata (ibidem), siano ugualmente deplorevoli e fuori luogo. 137. La Corte ritiene, diversamente dal Governo, che i suddetti argomenti e considerazioni della corte d'appello non fossero né utili per valutare la credibilità della ricorrente, questione che avrebbe potuto essere esaminata alla luce dei numerosi risultati oggettivi della procedura, né determinanti per la risoluzione del caso (si veda, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas, sopra citata, § 37). 138. La Corte riconosce che, nella fattispecie, la questione della credibilità della ricorrente era particolarmente cruciale, ed è disposta ad ammettere che il fatto di fare riferimento alle sue relazioni passate con determinati imputati o ad alcuni suoi comportamenti nel corso della serata poteva essere giustificato. Tuttavia, essa non vede in che modo la condizione familiare della ricorrente, le sue relazioni sentimentali, i suoi orientamenti sessuali o ancora le sue scelte di abbigliamento nonché l'oggetto delle sue attività artistiche e culturali potevano essere pertinenti per la valutazione della credibilità dell'interessata e della responsabilità penale degli imputati. Pertanto, non si può ritenere che le suddette violazioni della vita privata e dell'immagine della ricorrente fossero giustificate dalla necessità di garantire i diritti della difesa degli imputati. 139. La Corte ritiene che gli obblighi positivi di proteggere le presunte vittime di violenza di genere impongano anche il dovere di proteggere l'immagine, la dignità e la vita privata di queste ultime, anche attraverso la non divulgazione di informazioni e dati personali senza alcun rapporto con i fatti. Questo obbligo è, peraltro, inerente alla funzione giudiziaria e deriva dal diritto nazionale (paragrafi 57 e 62 supra) nonché da vari testi internazionali (paragrafi 65, 68 e 69 supra). In tal senso, la facoltà per i giudici di esprimersi liberamente nelle decisioni, che è una manifestazione del potere discrezionale dei magistrati e del principio dell'indipendenza della giustizia, è limitata dall'obbligo di proteggere l'immagine e la vita privata dei singoli da ogni violazione ingiustificata. 140. La Corte osserva peraltro che il settimo rapporto sull'Italia del Comitato delle nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne e il rapporto del GREvIO, hanno constatato il persistere di stereotipi riguardanti il ruolo delle donne e la resistenza della società italiana alla causa della parità dei sessi. Inoltre, sia il suddetto Comitato delle nazioni Unite che il GREvIO hanno segnalato il basso tasso di procedimenti penali e di condanne in Italia, il che rappresenta al tempo stesso la causa di una mancanza di fiducia delle vittime nel sistema giudiziario penale e la ragione del basso tasso di segnalazione di questo tipo di delitti nel paese (paragrafi 64-66 supra). Ora, la Corte ritiene che il linguaggio e gli ar COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE gomenti utilizzati dalla corte d'appello veicolino i pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana e che possono ostacolare una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere nonostante un quadro legislativo soddisfacente (si veda, mutatis mutandis, Carvalho Pinto de Sousa Morais, sopra citata, § 54). 141. La Corte è convinta che le azioni giudiziarie e le sanzioni penali svolgano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta contro la disuguaglianza di genere. È pertanto essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia. 142. Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall'articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della corte d'appello di Firenze. ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza tenuto conto, in particolare, del suo carattere pubblico. 143. Pertanto, la Corte respinge l'eccezione del Governo relativa alla mancanza di qualità di vittima della ricorrente e conclude che, nella fattispecie, vi è stata violazione degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione. ii. suLLA dedOttA ViOLAziOne deLL’ArtiCOLO 14 deLLA COnVenziOne 144. La ricorrente lamenta anche di avere subìto una discriminazione fondata sul sesso, affermando che l’assoluzione dei suoi aggressori e l'atteggiamento negativo delle autorità nazionali durante il procedimento penale derivano da pregiudizi sessisti. La stessa invoca l'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 8. L'articolo 14 è così formulato: «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione». 145. Invocando, in particolare, la risposta rapida e minuziosa che le autorità competenti avrebbero dato alla denuncia dell'interessata per violenza sessuale, il Governo afferma che quest'ultima non è stata vittima di alcun trattamento discriminatorio. 146. La Corte constata che questa doglianza è legata a quella sopra esaminata, e deve pertanto essere dichiarata ricevibile. 147. Tenuto conto della conclusione alla quale è giunta dal punto di vista dell'articolo 8 e del ragionamento elaborato a tale riguardo (paragrafi 135-143 supra), la Corte ritiene inutile esaminare la questione se vi sia stata, nella fattispecie, anche una violazione dell'articolo 14 (si veda, tra altri precedenti, M.C. c. Bulgaria, sopra citata). iii. suLL'APPLiCAziOne deLL'ArtiCOLO 41 deLLA COnVenziOne 148. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa». RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 A. danno 149. La ricorrente chiede una somma di 80.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subìto, e un’ulteriore somma di 30.000 EUR per danno materiale. A tale riguardo, la stessa chiede in particolare il rimborso delle spese mediche e di trasporto che avrebbe sostenuto per curare i disturbi psicologici che afferma siano risultati dai fatti della causa, delle spese universitarie che avrebbe dovuto sostenere quando, a causa delle sue difficoltà psicologiche, avrebbe perso la borsa di studio che percepiva, nonché del costo del trasloco che avrebbe effettuato per allontanarsi dai suoi aggressori. 150. Il Governo contesta le richieste formulate dalla ricorrente. 151. La Corte non vede alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, e respinge pertanto la domanda formulata a questo titolo. La Corte ritiene, invece, che la ricorrente debba aver provato angoscia e subìto un trauma psicologico a causa, almeno in parte, delle lacune della mancata attuazione nei suoi confronti, da parte delle autorità, delle misure di protezione dei diritti delle vittime presunte di violenze sessuali. Deliberando in via equitativa, la Corte le accorda la somma di 12.000 EUR per danno morale. B. spese 152. La ricorrente chiede la somma di 25.600 EUR per le spese che afferma di avere sostenuto nell'ambito del procedimento condotto dinanzi alla Corte. 153. Il Governo considera che la ricorrente non abbia dimostrato di avere realmente sostenuto le spese in questione. 154. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente la somma di 1.600 EUR per il procedimento dinanzi ad essa. C. interessi moratori 155. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali. Per Questi MOtiVi LA COrte, 1. Unisce al merito, all’unanimità, l’eccezione preliminare del Governo relativa alla qualità di vittima e la respinge; 2. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile; 3. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione; 4. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare la doglianza formulata dal punto di vista dell’articolo 14 della Convenzione; 5. Dichiara, con sei voti contro uno, che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme: i. 12.000 EUR (dodicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale; ii. 1.600 EUR (milleseicento euro), più l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta su tale somma, per le spese; che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali; 6. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto. Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 maggio 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento. Liv Tigerstedt Cancelliere aggiunto ksenija Turković Presidente Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Wojtyczek. k.T.U. L.T. OPiniOne dissenziente deL GiudiCe WOJtYCzeK 1. non posso condividere l'opinione della maggioranza secondo cui vi è stata violazione del- l'articolo 8 della Convenzione nella presenta causa. 2. La ricorrente contesta, in particolare, il contenuto delle decisioni emesse nella sua causa dai giudici nazionali. La maggioranza pone questo problema nel modo seguente nel paragrafo 134 della sentenza: «La Corte deve ora accertare se il contenuto delle decisioni giudiziarie adottate nell'ambito del processo della ricorrente e il ragionamento su cui si è fondata l'assoluzione degli imputati abbiano leso il diritto dell'interessata al rispetto della sua vita privata e alla sua libertà sessuale e se l'abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria». Dalla motivazione della presente sentenza (paragrafi 135-141) deriva che il contenuto delle decisioni giudiziarie è percepito -a giusto titolo -come un'ingerenza nella sfera della vita privata della ricorrente protetta dall'articolo 8 della Convenzione. Logicamente, la violazione constatata dalla maggioranza avrebbe dovuto essere una violazione degli obblighi negativi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione. Tuttavia, al paragrafo 143 la maggioranza «conclude che nella fattispecie vi è stata violazione degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione» (corsivo aggiunto). È difficile condividere un simile approccio. 3. La maggioranza esprime nel paragrafo 142 il seguente punto di vista: «Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall'articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della corte d'appello di Firenze. ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza tenuto conto, in particolare, del suo carattere pubblico». noto che la seconda frase di questo paragrafo, che afferma che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, è in RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 2/2021 contraddizione logica con la prima frase, che dichiara che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione. 4. La presente causa, per la sua stessa essenza, tocca la sfera di vita più intima della ricorrente e degli imputati. I giudici nazionali dovevano stabilire circostanze fattuali di grande complessità che, per loro natura, rientrano nella vita privata, e valutare la questione del consenso della presunta vittima. Essi dovevano inoltre, e in primo luogo, definire il «perimetro» delle circostanze pertinenti della causa. Esercitando il proprio potere in materia, la corte d'appello di Firenze ha ritenuto che, per esaminare la causa penale, fosse indispensabile stabilire alcuni elementi fattuali appartenenti ad un contesto più ampio, che comprendeva degli eventi che hanno preceduto o fatto seguito agli atti in questione, oggetto dei capi di imputazione. Inoltre, la corte d'appello doveva -volens nolens -valutare i fatti della causa nel loro specifico contesto culturale, quello della società italiana di oggi. Occorre notare che la corte d'appello di Firenze, nella motivazione della sua sentenza, ha iniziato l'esame delle questioni giuridiche sollevate in appello con la seguente spiegazione: «La vicenda deve essere scremata innanzitutto dal deviante contorno inquinato dall'impatto emozionale e mediatico che evidentemente ha connotato i fatti nell'immediatezza, perché nel caso che qui occupa, al di là di giudizi moralistici o pregiudizi etici, l'unica attenzione da porre, seguendo il rigore della impugnata sentenza, è quella al reato contestato ed alla sussistenza dei suoi connotati essenziali, soggettivi e oggettivi». L'approccio del giudice nazionale non appare viziato da arbitrarietà. Le affermazioni contestate devono essere lette nel contesto di tutti gli argomenti sui quali si basa la motivazione della sentenza di assoluzione. L'approccio adottato dalla maggioranza può portare a rimettere in discussione i diritti della difesa, la quale può avere un interesse legittimo, in vista di una decisione giudiziaria favorevole, a stabilire nel procedimento taluni elementi fattuali molto sensibili che rientrano nella vita privata, e a vederli confermare nella motivazione della sentenza emessa. 5. La maggioranza rivolge il seguente rimprovero ai giudici italiani (paragrafo 140 della sentenza): «il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla corte d'appello veicolano i pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana». Tuttavia, questo rimprovero non è suffragato da alcun argomento. In particolare, non è spiegato quali pregiudizi sul ruolo della donna sono veicolati dalla corte d'appello. Constato, peraltro, che nella presente causa il collegio giudicante della corte d'appello di Firenze era composto da tre giudici, e che è conforme ai criteri dell'equilibrio uomo-donna (due donne, tra cui il giudice relatore, e un uomo). 6. La maggioranza denuncia, nel paragrafo 141, delle «affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia». Questo rimprovero suscita due osservazioni. In primo luogo, le affermazioni criticate (citate nel paragrafo 136, ma estrapolate dal loro contesto) sono delle proposte fattuali e non dei giudizi di valore. La maggioranza non spiega per quali ragioni queste proposte fattuali siano qualificate come «affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici». In secondo luogo, le espressioni utilizzate dalla Corte costituiscono di per sé delle «affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici», rivolte questa volta ai giudici italiani. Inoltre, non sono idonee a incoraggiare la fiducia nella giustizia. 7. La maggioranza esprime nel paragrafo 141, negli obiter dicta, il seguente punto di vista: «la Corte è convinta che le azioni giudiziarie e le sanzioni penali svolgano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta contro la disuguaglianza di genere » (corsivo aggiunto). COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE In una democrazia liberale, il diritto penale deve essere l'ultima ratio Rei Publicae (si veda la mia opinione parzialmente dissenziente allegata alla sentenza L.R. c. Macedonia del nord, n. 38067/15, 23 gennaio 2020). Anche se il diritto penale è uno strumento essenziale per lottare contro la violenza, non bisogna sopravvalutare il suo ruolo nella lotta contro le disuguaglianze. nella presente causa, la Corte continua ad esprimere la sua scelta in favore di una cultura di punizione come principale strumento di lotta contro le diverse violazioni dei diritti dell'uomo (si confronti anche con il paragrafo 20 dell'opinione parzialmente dissenziente e parzialmente concordante del giudice koskelo, cui aderiscono i giudici Wojtyczek e Sabato, allegata alla sentenza Penati c. Italia, n. 44166/15, 11 maggio 2021). L'approccio adottato amplifica il «vento illiberale che soffia a Strasburgo», denunciato brillantemente dal giudice Pinto de Albuquerque nella sua opinione separata allegata alla sentenza Chernega e altri c. Ucraina, n. 74768/10, 18 giugno 2019). CONTENZIOSONAZIONALE L’istituto della fungibilità in materia di ingiusta detenzione: tra monetizzazione dell’indennizzo e ‘compensazione legale’ con la diversa pena (ancora) da espiare Nota a Corte di appello di CataNia, SezioNe i peNale, ordiNaNza 31 luglio 2020, N. 41 Emanuele Fazio* Con l’ordinanza in rassegna (1) la Corte etnea ha fatto innovativa applicazione dell’istituto della “fungibilità” di cui all’art. 314, comma 4, c.p.p., ritenendo di potere «compensare» il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal ricorrente con la condanna della reclusione e della multa comminata in relazione ad un altro reato; condanna che, al momento dell’istanza di riparazione, non era ancora passata in giudicato e che, successivamente, avrebbe visto il reo prosciolto in Corte di Cassazione con sentenza dichiarativa della prescrizione. Nel caso di specie, infatti, il ricorrente aveva subito ingiustamente un periodo di custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., contestato tra l’8 maggio 2012 e il 7 giugno 2014, senza che lo stesso, come sarebbe poi risultato in esito al procedimento di riparazione, vi avesse dato causa per dolo o colpa grave o per altra causa (v. art. 314, comma 1, c.p.p.). Tuttavia, il 21 luglio 2011 -dunque, in data anteriore alla custodia cautelare patita ingiustamente (v. art. 657, comma 4, c.p.p.) -si era reso responsabile (*) Dottorando di ricerca in diritto presso la Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa. Ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania (avv. Stato Domenico Maimone). (1) L’ordinanza è stata oggetto di ricorso per cassazione, iscritto al n. 28360/2020 R.G. (sez. IV penale), udienza camerale del 12 novembre 2021. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 del delitto di cui all’art. 256 d.lgs. 152/2006, in relazione all’art. 6 della Legge 210 del 2008 (2). Dunque, aveva subito un’ingiusta detenzione per un fatto successivo alla commissione del predetto e distinto reato, maturando una restitutio in integrum della sua libertà personale pari ad anni 2, mesi 1 e giorni 4, successiva alla diversa pretesa punitiva dello Stato pari ad anni 2, mesi 6 di reclusione e € 2.500,00 di multa. In riferimento a quest’ultima, come già riferito, il reo era stato dapprima condannato in secondo grado con la sentenza del 15 marzo 2019 resa dalla Corte d’Appello di Catania e, in un secondo momento, prosciolto dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 14 novembre 2019, che aveva dichiarato estinto il reato per prescrizione. Secondo quanto indicato dall’art. 314, comma 4, e dall’art. 657 c.p.p., ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno «computati» anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante l’inderogabilità della disciplina in materia e dovendosi escludere l'esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell'interessato, tra il ristoro pecuniario di cui alla citata disposizione e lo scomputo della custodia cautelare ingiustamente sofferta dalla pena da espiare (Cass. Sez. Un. n. 31416 del 2008). Il criterio di fungibilità così previsto dall'art. 314, comma 4, c.p.p., improntato al favor libertatis, configura cioè, in combinato disposto con l’art. 657 c.p.p., una «riparazione in forma specifica» per l'ingiusta privazione della libertà personale con carattere di inderogabile prevalenza rispetto alla monetizzazione di cui al medesimo art. 314, introducendo una forma di «compensazione » della pena da scontare con il periodo di detenzione ingiustamente subito, secondo un meccanismo che è stato ritenuto compatibile con l'art. 5 della CEDU e con l'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Cass. Sez. III n. 43453 del 2014). Come ritenuto nell’ordinanza in esame, il fenomeno compensativo in forma specifica di cui trattasi si distingue dalla «compensazione» civilistica di cui agli artt. 1241 e ss. c.c. in quanto non opera tra due diritti relativi, per i quali è necessario accertare i requisiti della certezza, della liquidità e dell’esigibilità dei crediti (Cass. Sez. Un. n. 23225 del 2016), bensì ha per oggetto, da un lato, il diritto assoluto della libertà personale dell’individuo e, dall’altro, la pretesa punitiva dello Stato-Autorità. Sebbene in passato la giurisprudenza, in mancanza di una norma che prevedesse la fungibilità della pena sofferta sine titulo, avesse fatto riferimento alle norme del Codice Civile relative alla «compensazione», quale modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, e a quelle sull’impu (2) Vedasi DPCM del 9 luglio 2010 con cui è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2012, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma I, della Legge 225 del 1992, lo stato di emergenza in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi nel territorio della Regione Siciliana. CoNTENzIoSo NAzIoNALE tazione di pagamento (art. 1241 e ss. e art. 1193 c.c.), con la Legge 517 del 1955 venne codificato il principio della fungibilità delle pene, modificando l’ultimo comma dell’art. 271 dell’abrogato codice del 1930, principio oggi confermato dall’art. 657 del vigente codice di procedura penale (3). È proprio rispetto a quanto previsto dall’art. 657 c.p.p. che la Corte di Appello di Catania appare particolarmente innovativa nell’applicazione del- l’istituto della fungibilità, rimarcando le differenze tra il predetto istituto di diritto processuale penale e la «compensazione legale» civilistica e richiedendo, quale unica condizione per attivare la riparazione in forma specifica dell’ingiusta detenzione patita, che il reato per il quale deve essere scontata la pena sia stato commesso prima della custodia cautelare subita ingiustamente (cfr. Cass. Sez. I, n. 2036 del 1999; Cass. Sez. I, n. 876 del 1994; Cass. Sez. I, n. 1450 del 1993; Cass. Sez. I, n. 2349 del 1992). Trattandosi, ad avviso della Corte territoriale etnea, di un fenomeno compensativo che avviene tra due diritti assoluti aventi per oggetto la libertà personale, «non siamo dinanzi a una statuizione costitutiva, ma innanzi a una statuizione dichiarativa che interviene ora per allora. il legislatore (art. 314, comma iV, c.p.p.), infatti, esclude il diritto alla riparazione [monetaria] quando l’ingiusta detenzione patita può essere computata con la determinazione della misura di una pena, pretendendo soltanto che, al momento della maturazione del diritto alla restitutio in integrum [il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione] il richiedente sia in debito verso lo Stato con la sua libertà personale con una pena già determinata e non ancora estinta per prescrizione» (4). Conseguentemente, la sentenza del 14 novembre 2019 della Corte di Cassazione che ha dichiarato estinto per prescrizione il reato anteriormente commesso non rileva, secondo la Corte territoriale, ad escludere l’applicazione dell’istituto della fungibilità perché il fenomeno compensativo ha già spiegato i suoi effetti. In altri termini, gli unici momenti che rilevano per la realizzazione dell’effetto estintivo reciproco sono la maturazione del diritto alla restitutio in integrum (16 ottobre 2018, data nella quale è divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p.) e la determinazione della misura della pena per l’altro reato (15 marzo 2019, data della sentenza di condanna in appello per il distinto reato di cui all’art. 256 d.lgs. n. 152/2006). Ad avviso della Corte di Appello di Catania, ed è questo il punto decisivo della motivazione, operando l’istituto della fungibilità automaticamente, cioè senza necessità di istanza di parte (Cass. Sez. I n. 47001 del 2007), allorché le (3) Cfr. A. FUSI, Manuale dell’esecuzione penale, Milano, 2013, Giuffrè, pp. 604-608. Cfr. F. SELVAGGI, il Manuale pratico dell’esecuzione penale, Latina, 2000, Edizioni Bucalo, pp. 51-54. (4) Corte di Appello di Catania, Sez. I Penale, ordinanza 31 luglio 2020, n. 41, p. 5. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 due opposte pretese (riparatoria e punitiva) vengono a coesistere, si realizza ipso iure il fenomeno estintivo del ‘credito’ da ingiusta detenzione con il ‘debito’ scaturente dalla condanna comminata (ancorché non ancora definitivamente) per il reato in precedenza commesso. Pertanto, alla data del 17 dicembre 2019 di deposito della istanza di riparazione della ingiusta detenzione, la Corte ha potuto “accertare” che, anteriormente alla maturata prescrizione della pretesa punitiva discendente dalla sentenza della Corte di Cassazione, si era già verificato il meccanismo estintivo reciproco tra la pretesa punitiva dello Stato per traffico organizzato di rifiuti e il diritto alla riparazione della detenzione ingiustamente patita per il reato associativo. Considerato quanto sopra, occorre a questo punto domandarsi se la Corte etnea, escludendo il diritto alla riparazione in ragione della compensazione realizzatasi con una pretesa punitiva dello Stato non ancora certa in mancanza di sentenza definitiva, abbia fatto indebitamente prevalere l’interesse patrimoniale dell’erario sul principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 della Cost.) e sul principio di presunzione di innocenza (art. 27), ovvero se, al contrario, abbia effettuato un corretto bilanciamento con l’interesse economico del ricorrente (5). Probabilmente, al fine di chiarire se effettivamente esista la denunziata antinomia, occorre chiedersi se sia proprio la libertà personale ad essere in discussione ovvero se lo sia il correlato diritto economico all’indennizzo che dalla lesione della prima sia derivato in capo al ricorrente: se, dunque, all’interesse dello Stato a non corrispondere l’indennizzo debba contrapporsi non già la libertà personale dell’individuo ma il suo interesse patrimoniale. La risposta al problema prova a fornirla l’ordinanza in rassegna, spostando tuttavia l’attenzione su di un altro profilo: «il […omissis…], avendo già maturato il 16 ottobre 2018 (giorno della irrevocabilità della sentenza di assoluzione dal delitto di cui all’art. 416 bis c.p.) il diritto ad agere lege, promuovendo l’azione di riparazione per ingiusta detenzione, non aveva avuto, in concreto, la possibilità di chiedere l’applicazione della fungibilità della custodia sofferta senza titolo, non essendo ancora passata in giudicato la sentenza di condanna della Corte di appello di Catania […], per un altro reato anteriormente commesso, dalla cui pena avrebbe potuto detrarre (già il 15 marzo 2019, data della condanna) la custodia cautelare ingiustamente subita» (6). La Corte valorizza, cioè, l’argomento finalistico dell’art. 314 comma 4 c.p.p.: il meccanismo compensativo automatico è funzionale alla tutela del reo che, proprio per ciò, non deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza (5) «una diversa soluzione interpretativa escludente la fungibilità immediata, non solo sarebbe in contrasto col diritto della libertà personale, ma darebbe luogo a un danno all’erario di notevole spessore», ibidem. (6) ibidem. CoNTENzIoSo NAzIoNALE di condanna per detrarre dalla misura della pena da scontare il corrispondente periodo di detenzione cautelare già, ingiustamente, patito. Seguendo il percorso logico-argomentativo della Corte di Appello di Catania, la compensazione non ha pertanto avuto luogo tra il ‘credito’ dello Stato (la pretesa punitiva) e il ‘debito’ dello stesso da indennizzo per ingiusta detenzione, ma ha avuto ad oggetto il medesimo diritto assoluto della libertà personale preso in considerazione dal punto di vista del reo secondo il binomio libertà/non libertà. Il ragionamento non sembra, tuttavia, superare l’obiezione che, dal momento in cui il periodo di custodia cautelare patito ingiustamente viene computato ai fini della determinazione della misura della pena non ancora consolidatasi e da eseguirsi eventualmente in futuro, la libertà dell’individuo (inviolabile se non nei casi e modi previsti dalla legge) finisce per diventare l’oggetto del bilanciamento con l’interesse patrimoniale dello Stato. Nel caso in esame deve, pertanto, ritenersi che la Corte etnea abbia finito per dare prevalenza all’interesse dell’erario al fine di non recare un danno economico allo Stato. Corte di Appello di Catania, Prima Sezione Penale, ordinanza 31 luglio 2020 n. 41 -pres. rel. est. R. Pivetti -oMiSSiS (avv. F. Riccotti) c. Ministero dell’Economia e delle Finanze (avv. distr. Stato Catania). Fatto e Diritto oMISSIS è persona che in sede di interrogatorio reso dinanzi al Gip presso il Tribunale di Catania nell'ambito del Proc. Pen. n. 7324/2012 RGNR e n. 1903/2015 RG GIP, in data 7.6.2014, in seguito all'ordinanza di custodia cautelare, ha reso ampia deposizione sui fatti che hanno seguito alla misura cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 416-bis, comma I, II e III c.p., asseritamente commesso tra l'8 maggio 2012 e il 7 giugno 2014. Quel che rende evidente che il oMISSIS subiva ingiustamente un periodo di custodia cautelare pari a anni 2, mesi 1 e giorni 4, ovvero 765 giorni, senza che lo stesso, con le sue risposte all'interrogatorio, abbia dato causa a tale custodia, né che abbia dato causa per dolo o colpa grave o per altra causa, a detta ingiusta detenzione, è meglio oltre specificato. oMISSIS è persona con un grado di alfabetizzazione scarsa, e, ciononostante, ha spiegato al Gp perché conosceva ..., precisando di non avere mai avuto l'incarico da ..., di minacciare ... Il richiedente ha precisato soltanto di essersi rivolto al ... per far sì che la figlia, sua dipendente addetta al servizio di nettezza urbana, avesse turni di lavoro non notturni perché in stato di gravidanza. oMISSIS ha spiegato di essersi interessato per ... per far sì che quest'ultimo avesse pagato il corrispettivo per la compravendita di un'automobile venduta a tale ... In definitiva, il oMISSIS, ha spiegato esattamente il contenuto di determinate conversazioni intercettate: e l'unico elemento di sospetto per gli inquirenti va ricercato nella sua condanna a circa quindici armi di reclusione per un omicidio commesso in un contesto mafioso e per una condanna per estorsione; e cioè delitti che hanno confermato gli stretti collegamenti con RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 ambienti criminosi, specie in considerazione a numerose condanne per gioco d'azzardo, in relazione alle bische clandestine tenute in piedi dall'organizzazione criminale, operante in territorio di Scicli. ovviamente tali fatti hanno dato luogo al decreto emesso dal Tribunale di Ragusa in data 10/10/2002, nei confronti di oMISSIS, in parte riformato dal decreto 7/3/2003 emesso dalla Corte di Appello di Catania, che riduceva il periodo di sottoposizione alla misura della prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. e ad euro 2.000,00 l'ammontare della cauzione. Durante l'interrogatorio del 9 giugno 2014 il oMISSIS, però, ha spiegato pure che, in conseguenza di questo ultimo provvedimento, ... non potevano certo contare su di lui, per fantomatici viaggi, perché la misura di prevenzione non gli permetteva di lasciare il Paese di Scicli. Non esistono contestazioni riguardanti la violazione della misura di prevenzione predetta, ora per allora, che possono fare da riscontro estrinseco a un'eventuale messa a disposizione del oMISSIS a un'associazione mafiosa, ritenuta addirittura inesistente con la sentenza di assoluzione che riguarda il richiedente oMISSIS, ma anche .... Né al oMISSIS sono contestati i cc.dd. delitti satellite. Quel che rimane, allora, è un'ingiustificata detenzione del richiedente perché, dopo l'interrogatorio avvenuto il 9 giugno 2014, avuti i chiarimenti sulle conversazioni intercettate, non c'era motivo per il Gip di mantenere in vincoli oMISSIS. Il 21 luglio 2011 oMISSIS, però, si era reso responsabile, in concorso con ... della violazione dell'art. 256 d.lgs. 152/2006, in relazione all'art. 6 L. 210/2008 (1), per avere con i menzionati ..., con le condotte meglio oltre specificate, realizzato e gestito una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti dal materiale misto proveniente dall'attività di demolizione di cui al capo che precede, nel terreno agricolo di proprietà di oMISSIS e di ... in Scicli C.da Purromazza, dove ..., dipendente della ... srl, era stato incaricato di realizzare una stradella rurale e uno spiazzo, tramite spianamento e livellamento del terreno. Con fatti accertati in Scicli in data 21 settembre 2011. La condotta del oMISSIS riguarda la discarica realizzata da ...; e cioè il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 256 d.lgs. 152/2006, in relazione all'art. 6 L. 210/2008, atteso che con DPCM del 9 luglio 2010 è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2012, ai sensi e per gli effetti dell'art. 5, comma 1, L. 225/1992, lo stato di emergenza in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi nel territorio della Regione Siciliana. Il ... rispondeva nella qualità di legale rappresentante della società ... srl con sede legale a ...., e di proprietario dell'area di cantiere sita a Modica in ..., ... quale Direttore Tecnico del predetto cantiere edile, ... quale dipendente della predetta impresa, senza la prescritta autorizzazione, smaltito rifiuti speciali non pericolosi inerti, depositati temporaneamente nell'area interna ed esterna al cantiere, provenienti dall’attività di demolizione di tre strutture in cemento ... e scaricava in modo incontrollato nel terreno di proprietà di oMISSIS e ... sito a Scicli (RG) in C.da Purromazza. Con fatti accertati a Modica e Scicli in data 21 settembre 2011. (1) Vedasi DPCM del 9 luglio 2020 con cui è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2012, ai sensi e per gli effetti dell'art. 5, comma I, L. 225/1992, lo stato di emergenza in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi nel territorio della Regione Siciliana. CoNTENzIoSo NAzIoNALE La custodia cautelare è stata subita dal oMISSIS dopo la commissione dei reati appena menzionati, per fatto successivo, per cui è stato assolto e asseritamente commesso, vista l'accusa, tra 1'8 maggio 2012 e il 7 giugno 2014: oMISSIS ha maturato una restitutio in integrum della sua libertà personale pari a 765 giorni successiva a una pretesa punitiva dello Stato-Autorità antecedente, pari a 2 anni, 6 mesi di reclusione e euro 2,500,00 di multa. I presupposti per ritenere fondata nell’an la richiesta di indennità Sui fatti del 21 settembre 2011 si osserva che la Corte di Appello di Catania, pur riqualificando i rifiuti come rifiuti speciali non pericolosi, condannava oMISSIS con la sentenza 15 marzo 2019, alla pena di anni 2, mesi 6 di reclusione e euro 2.500,00 di multa. Anche se la Corte di Cassazione, con la sentenza 14 novembre 2019 ha dichiarato il venir meno della pretesa punitiva dello Stato, il 15 marzo 2019, tale pretesa, non era venuta meno e oMISSIS, solo apparentemente aveva maturato il 16 ottobre 2018, per l'ingiusta detenzione (con la sentenza di assoluzione dal delitto ex art. 416 bis cp., per la custodia cautelare patita dal 7 giugno 2014 all’11 luglio 2016) 765 giorni del suo diritto alla restitutio in integrum della sua libertà personale: 765 giorni vanno in compensazione con 910 giorni di detenzione, pari a 2 anni e 6 mesi per la condanna patita, in forza della sentenza della Corte il 15 marzo 2019. La fungibilità sancita dal comma IV dell'art. 314 del cpp la si ha, in questo giudizio, con una statuizione meramente dichiarativa della Corte, conseguenza di un fenomeno compensativo che non ha per oggetto due diritti di credito, per i quali è necessaria la certezza la liquidità e l'esigibilità del credito, per come recentemente affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione per i diritti relativi (2), ma ha per oggetto il diritto assoluto della libertà personale, oggetto pure della pretesa punitiva dello Stato-Autorità. È il 15 marzo del 2019, quando ancora la pretesa punitiva dello Stato per delitto diverso da quello per cui è ingiusta detenzione, non era estinta per prescrizione, che ha avuto luogo la compensazione legale tra il diritto alla restitutio in integrum della libertà personale del oMISSIS per l'ingiusta detenzione patita e la pretesa punitiva dello Stato-Autorità al vincolo per la libertà personale del detto oMISSIS, per il delitto dallo stesso commesso e accertato a Modica e Sicli in data 21 settembre 2011. Trattandosi di una compensazione che avviene tra due diritti fondamentali aventi per oggetto la libertà personale, non siamo dinanzi a una statuizione costitutiva, ma innanzi a una statuizione dichiarativa che interviene ora per allora. Il Legislatore (art. 314 comma IV, cpp), infatti, esclude il diritto alla riparazione quando l'ingiusta detenzione patita può essere computata con la determinazione della misura di una pena, pretendendo soltanto che, al momento della maturazione del diritto alla restitutio in integrum il richiedente sia in debito verso lo Stato con la sua libertà personale con una pena già determinata e non ancora estinta per prescrizione. Nel farlo pone solo una condizione: il reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire deve essere stato commesso prima della custodia cautelare patita ingiustamente (art. 657 comma IV cpp); circostanza questa che ricorre nel caso in esame. Il oMISSIS, avendo già maturato il 16 ottobre 2018 (giorno della irrevocabilità della sentenza di assoluzione dal delitto di cui all'art. 416 bis, cp) il diritto ad agere lege, promuovendo (2) Cfr. Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 15 novembre 2016, numero 23225. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 l'azione di riparazione per ingiusta detenzione, non aveva avuto, in concreto, la possibilità di chiedere l'applicazione della fungibilità della custodia sofferta senza titolo, non essendo ancora passata in giudicato la sentenza di condanna della Corte di Appello di Catania che lo condannava il 15 marzo 2019, alla pena di anni 2, mesi 6 di reclusione e euro 1500,00 di multa, per un altro reato anteriormente commesso, dalla cui pena avrebbe potuto detrarre (già il 15 marzo 2019, data della condanna) la custodia cautelare ingiustamente subita. oMISSIS, tuttavia, certamente poteva farlo, ottenendo quindi l'applicazione della fungibilità, che già operava ex lege (3). Una diversa soluzione interpretativa escludente la fungibilità immediata, non solo sarebbe in contrasto col diritto della libertà personale, ma darebbe luogo a un danno all'Erario di notevole spessore. Si ribadisce, pertanto, per le ragioni in fatto e in diritto sopra riportate che, pur se la Corte di Cassazione, ha dichiarato il venir meno della pretesa punitiva dello Stato-Autorità con la sentenza 14 novembre 2019, in data 15 marzo 2019, tale pretesa, non era venuta meno e la fungibilità era già operante ex lege facendo venir meno il diritto all'indennità per ingiusta detenzione chiesta dal oMISSIS nella res in iudicium deducta. ovviamente, la particolarità del caso esaminato, giustifica la compensazione integrale delle spese tra le parti. per questi motivi visti gli artt. 314 e 657 cpp, dichiara la fungibilità della pena di anni 2, mesi 6 di reclusione e euro 2500.00 di multa, giusta sentenza della Corte di Appello di Catania emessa nei confronti di oMISSIS, con efficacia dalla data della sentenza emessa in data 15 marzo 2019, e per fatti commessi a Modica e Scicli in data 21 settembre 2011, prima dell'8 maggio 2012, con i giorni 765 di ingiusta detenzione per i fatti successivi a tale ultima data, sofferti dal oMISSIS e per i quali v'è richiesta di indennità e, per l'effetto, rigetta la richiesta. Compensa integralmente le spese tra le parti ricorrendo giusti motivi. Catania, 6 marzo 2020 (3) Cfr. Cassazione Penale, Sezione 1, Sentenza 47001 del 5 dicembre 2007 Cc. (dep. 18 dicembre 2007). CoNTENzIoSo NAzIoNALE Una sentenza del Tribunale di Venezia in tema di demanialità delle valli da pesca tribuNale di VeNezia, SezioNe priMa, SeNteNza 8 ottobre 2021 N. 1980 Una recente sentenza del Tribunale di Venezia, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio, ha riconosciuto l’appartenenza al demanio marittimo di un fondo edificato finitimo a specchi acquei ricompresi nella laguna di Venezia. La pronuncia appare degna di interesse in quanto sembra offrire una inedita interpretazione estensiva dei principi enunciati da Cassazione, Sez. Un., 14 febbraio 2011, n. 3665, che aveva affermato la demanialità delle valli da pesca “con esclusione delle zone emerse dall'acqua”. In particolare, aderendo alla tesi avanzata nell’interesse delle Amministrazioni, il Tribunale ha valorizzato un obiter dictum della citata pronuncia a Sezioni Unite, a mente del quale “la demanialità naturalmente acquisita da tempo immemorabile con l’espandersi delle acque lagunari non può cessare per effetto di mere attività materiali eseguite da soggetti privati, sia pure nel- l’inerzia o con la tolleranza degli organi pubblici”. Alla luce di tale affermazione, il Tribunale veneziano ha ritenuto dirimente “la circostanza, risultante in maniera chiara dall’elaborato peritale in atti, che il lotto 1 era qualificato come barena sino alla metà del 1800 (si veda la mappa del de bernardi), vale a dire come terreno che, nei periodi di bassa marea, emergeva dalle acque lagunari; soprattutto, a rilevare è il fatto che detta area non sia (e non fosse in passato) soggetta a sommersione solamente grazie alla realizzazione, da parte dell’uomo, di opere via via più raffinate dal punto di vista tecnico, al fine di assicurare il contenimento delle acque ed evitare così il fenomeno della sommersione del lotto. […] posto che, nel caso in esame, il lotto 1 è stato sottratto alla laguna, nel cui perimetro è incontestatamente collocato, solamente grazie alle opere realizzate dall’uomo (chiaviche, cogolere, argini in terra), deve concludersi, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra enunciati, che detta area abbia mantenuto il carattere di demanialità e che i privati non potessero separarla dalla laguna, con la quale era naturalmente in collegamento”. Guido Di Biase* (*) Procuratore dello Stato, Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 Tribunale di Venezia, Sezione prima, sentenza 8 ottobre 2021 n. 1980 -giud. S. Bianchi. (...) Resta, a questo punto, da stabilire se il lotto 1, identificato al C.F. al foglio 3 mappale 180, faccia o meno parte del demanio marittimo. Detto lotto ha una superficie di 1057 mq e sullo stesso sono eretti un edificio a uso residenziale, consistente in una moderna villa ad uso ricettivo-turistico, e un edificio a uso magazzino. Il C.T.U. nominato arch. Stefano Barbazza ha affermato che, in base alle risultanze storiche, l'attuale edificio a uso residenziale costituirebbe l'ampliamento di quella che un tempo, nella cartografia storica, era denominata 'Casa del Pescatore' o 'Cason di Valle'. In particolare, nella consulenza tecnica d'ufficio si legge che nel catasto napoleonico (18051816), avuto riguardo all'area oggetto di causa (lotto 1), 'si nota una porzione di terra emersa, come una sorta di isola contornata da argini, con soprastante edificio ("casa da pescatore") eretto sul Mappale 386 1/2; sono bene riconoscibili anche le strutture denominate "cogolere" formate da graticci di canna palustre appoggiati a pali verticali infissi sul fondo e collegati tra loro con pertiche orizzontali; le "cogolere" consentivano di realizzare le chiusure dei varchi di comunicazione della valle con la laguna permettendo tuttavia alla marea di espandersi all'interno degli specchi d'acqua della valle' (cfr. elaborato peritale in atti, pagina 25). Nel catasto austriaco (1825-1838), 'la zona oggetto della presente relazione viene rappresentata come una specie di isola delimitata da argini con soprastante edificio (casa da pescatore) identificata con il Mappale 841; nella zona di comunicazione con la laguna sono riportate graficamente le "cogolere", formate da graticci di canna palustre appoggiati a pali verticali infissi sul fondo e collegati tra di loro con pertiche orizzontali; le "cogolere" consentivano di realizzare le chiusure dei varchi di comunicazione della valle con la laguna, permettendo tuttavia alla marea di espandersi all'interno degli specchi d'acqua della valle' (cfr. elaborato peritale in atti, pagina 27). Nel catasto austro-italiano (1846-1929), 'la mappa n. 14, che riporta l'ambito dell'attuale Lotto 1, viene rappresentata come una specie di isola con soprastante edificio (casa da pescatore), identificata con il Mappale 841; rispetto alla cartografia del catasto Austriaco, in questa mappa non compaiono più (graficamente) gli argini che delimitavano il Mappale 841 e anche il tratto di "cogolere", che univa il suddetto Mappale con la terraferma, non viene più riportato; nella zona di comunicazione con la laguna tuttavia ci sono ancora le "cogolere" per la chiusura dei varchi di comunicazione della valle con la laguna, pur permettendo alla marea di espandersi all'interno dei specchi d'acqua della valle' (cfr. elaborato peritale in atti, pagina 29). Nella carta idrografica Augusto Denaix (1810), 'sono riconoscibili le cogolere poste vicine alla scritta "Chiusa della Valle"; si evidenzia inoltre la scritta "C.one da pescatore" che accompagna un quadrettino nero inserito su un terreno emerso a forma di isola (cfr. elaborato peritale in atti, pagina 35). Nella mappa del De Bernardi del 1843 'l'edificio è riportato graficamente (quadratino nero) (cfr. elaborato peritale in atti, pagina 57). Quanto alle successive mappe, il C.T.U. riporta che: -nella Carta idrografica della laguna di Venezia (1901) è riportata la scritta "C. del pescatore" accanto a un quadratino rosso; - nella Mappa di impianto del Catasto (1930) l'edificio figura nel Mappale 180; -nella Carta idrografica della laguna del Magistrato alle Acque (1932) il "Cason di Valle" è indicato con un rettangolino nero; - nella Foto aerea dell'istituto Geografico Militare (1954) tale struttura è visibile'. CoNTENzIoSo NAzIoNALE L'arch. Barbazza ha, quindi, concluso che 'da quanto riportato nell'ampia documentazione storica esaminata, ... l'edificio in esame è presente nel sito di Valle Sacchetta da più di due secoli. Durante tutto questo arco di tempo, la casa del pescatore è sempre stata utilizzata, funzionalmente, per l'attività lavorativa di allevamento del pesce in valle. Solo in tempi più recenti l'edificio è stato riattato a moderna villa a uso turistico/ricettivo e contestualmente utilizzata dai signori oMISSIS per le proprie esigenze. Lo scrivente sulla base dei documenti esaminati ritiene che l'edifico in esame, storicamente denominato "Casa del Pescatore" o "Cason di Valle", sia stato per più di due secoli utilizzato per l'attività di allevamento del pesce nella Valle Sacchetta e Valle Sacchettina; attualmente mantiene ancora questo aspetto funzionale, anche se le principali attività, che storicamente venivano in esso svolte, sono state trasferite nell'adiacente edificio ad uso magazzino' (cfr. elaborato peritale in atti, pagina 58). La difesa del Ministero dell'Economia e della Finanze e dell'Agenzia del Demanio critica le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U., ritenendo che, sovrapponendo e confrontando le mappe Emo, De Bernardi e quella dell'attuale stato dei luoghi, emergerebbe che l'edificio ad oggi adibito ad attività turistico-ricettive non insisterebbe nel medesimo luogo ove sorgeva il Casone del Pescatore raffigurato da De Bernardi, Denaix e nei catasti austriaco e napoleonico (cfr., in particolare, le sovrapposizioni di cui alle pagine 24 e seguenti della comparsa conclusionale). Parte opposta conclude, quindi, che l'edificazione è da collocare tra il 1843 e il 1930 e che l'attuale casa di abitazione risulta dall'ingrandimento esponenziale della costruzione risultante dalla mappa di impianto del 1930. ora, la decisione circa la appartenenza o meno al demanio del lotto 1 prescinde, a parere di questo giudice, dalla risoluzione della questione inerente alla natura di nuova costruzione del- l'edificio attualmente esistente sul mappale 180, così come sostenuto da parte opposta, ovvero alla sua natura di mero ampliamento dell'originario Casone del Pescatore, così come emergente dalla consulenza tecnica d'ufficio. A rilevare è, infatti, la circostanza, risultante in maniera chiara dall'elaborato peritale in atti, che il lotto 1 era qualificato come barena sino alla metà del 1800 (si veda la mappa del De Bernardi), vale a dire come terreno che, nei periodi di bassa marea, emergeva dalle acque lagunari; soprattutto, a rilevare è il fatto che detta area non sia (e non fosse in passato) soggetta a sommersione solamente grazie alla realizzazione, da parte dell'uomo, di opere via via più raffinate dal punto di vista tecnico, al fine di assicurare il contenimento delle acque ed evitare così il fenomeno della sommersione del lotto. Come sopra riportato, infatti, il lotto 1 era, nel 1800, protetto da cogolere, che però non riuscivano a garantire che la marea non si espandesse all'interno delle valli; a partire dal 1932 o, forse, dal 1954, le cogolere sono state sostituite da argini, i quali erano in grado di evitare il fenomeno della sommersione, e, inoltre, la strada via Saccagnana è stata dotata di muro di contenimento delle maree (si leggano le pagine 56 e 57 dell'elaborato peritale: 'dall'analisi storica, dall'esame della documentazione acquisita e dai rilievi effettuati, lo scrivente ritiene che l'ambito di cui al Lotto 1 sia stato in un passato recente (considerando che l'indagine è stata svolta in un arco temporale di oltre due secoli), soggetto a sommersione, fino a quando i varchi di comunicazione delle valli con la laguna erano chiusi da "cogolere", le quali permettevano alla marea di espandersi all'interno delle valli. Nei documenti esaminati l'ultima traccia evidente di presenza delle "cogolere" nelle valli in esame si riscontra nella Carta Idrografica della laguna di Venezia redatta dal Magistrato alle Acque nel 1932; molto probabilmente erano ancora presenti nel 1954, in quanto esaminando la foto aerea del 1954, (IGM) la RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 conformazione dei luoghi, molto simili alla mappa del 1932, fa pensare che il regime idraulico sia ancora subordinato alle maree, non essendo ancora stata realizzata la strada Via Saccagnana, dotata di muro di contenimento delle maree, nell'ambito antistante il Lotto I. Successivamente, quando le "cogolere" sono state sostituite da chiaviche, che permettono di gestire gli specchi acquei interni alle valli indipendentemente dai livelli di marea esterni, l'ambito in esame non è più stato oggetto di sommersione. Dal rilievo altimetrico eseguito si è riscontrato che: -il pavimento interno dell'abitazione è posto a quota di circa m. 1,07; -il pavimento interno del magazzino è a quota di circa m. 1,20; -la quota media della terra emersa di cui al mappale 180 è di circa m. 0,90; da cui si evince che in passato, quando le valli non erano dotate di chiaviche, in caso di maree sostenute (da m. 0,95 a m. 1,10) alcune zone erano soggette a sommersione ... 'l'ambito individuato al Lotto I all'attualità non viene sommerso in quanto il perimento delle Valli Sacchetta e Sacchettina è dotato di argini in terra posti ad un'altezza superiore alle alte maree. Si evidenzia inoltre che la strada Via Saccagnana è dotata di muretto in cemento e marmo che funge da argine tra l'ambito di cui al Lotto 1 e la laguna, in grado di fermare maree eccezionali come l'ultima registrata in data 12 novembre 2019 con punta massima di m. 1,87. Contestualmente sui varchi di comunicazione con la laguna, sono state costruite chiaviche con luci controllate da paratoie, in modo da controllare il livello d'acqua interno alle valli'). Secondo l'insegnamento costante della Suprema Corte, la demanialità naturalmente acquisita da tempo immemorabile con l'espandersi delle acque lagunari non può cessare per effetto di mere attività materiali eseguite da soggetti privati, sia pure nell'inerzia o con la tolleranza degli organi pubblici (così Cass. Sez. Un. 14 febbraio 2011, n. 3665). Posto che, nel caso in esame, il lotto 1 è stato sottratto alla laguna, nel cui perimetro è incontestatamente collocato, solamente grazie alle opere realizzate dall'uomo (chiaviche, cogolere, argini in terra), deve concludersi, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra enunciati, che detta area abbia mantenuto il carattere di demanialità e che i privati non potessero separarla dalla laguna, con la quale era naturalmente in collegamento. Trattandosi di bene demaniale, lo stesso non poteva formare oggetto di pignoramento. (...) CoNTENzIoSo NAzIoNALE Un'applicazione impropria del principio dell'assorbimento in una procedura concorsuale nella quale gli ammessi con riserva avevano lamentato la violazione del principio dell'anonimato nella prova preselettiva Nota a CoNSiglio di Stato, SezioNe QuiNta, SeNteNza 20 luglio 2021, N. 5468 Giuseppe Arpaia* La sentenza del Consiglio di Stato che si commenta ha accolto l'impugnazione proposta da alcuni candidati, partecipanti al concorso indetto dalla Commissione Interministeriale RIPAM per il reclutamento a tempo indeterminato presso la Regione Campania ed enti Locali della stessa Regione, risultati non idonei alla prova preselettiva prevista nel bando, ritenendo come consolidati, meglio, superati, i provvedimenti cautelari di ammissione con riserva, adottati in primo e secondo grado, in considerazione del giudizio positivo formulato dall'Amministrazione con riguardo alla successiva prova scritta dagli stessi superata. Il Giudice di Appello ha valutato tale ultima prova, insieme con quelle successive, circostanza esterna e sopravvenuta, posta in essere dall'Amministrazione, rispetto al precedente provvedimento di non ammissione e, in applicazione del consolidato principio dell'assorbimento, tenuto anche conto che la prova preselettiva non concorre alla determinazione del punteggio finale, ha dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado proposto avverso la esclusione dal concorso. la sentenza di primo grado. I candidati in parola, non ammessi alla prova scritta, avevano censurato innanzi al TAR Campania l'operato dell'Amministrazione, in primo luogo e sopratutto, per violazione del principio dell'anonimato, ai sensi dell'art. 14, commi 1 e 6, DPR n. 487/1994, violazione attuata in ragione delle modalità di svolgimento della prova preselettiva, (prevista nel bando per consentire l'accesso alla prova scritta ad un numero di candidati ampio, ma non illimitato), che rendeva possibile la identificazione degli elaborati, stante l'apposizione sia sul foglio di risposta a lettura ottica che sulla scheda anagrafica di ciascun candidato di un codice numerico a sei cifre, equiparabile a segno di riconoscimento, per cui concludevano per l'annullamento delle graduatorie degli ammessi alla prova scritta e per l'accoglimento dell'istanza cautelare. L'adito TAR con decreti presidenziali prima (nn. 1069 e 1122 del 2020) e con successive ordinanze collegiali, sussistendo i presupposti di estrema gravità ed urgenza, ammetteva i ricorrenti alle prove scritte con riserva rispetto alla definizione (*) Già Avvocato dello Stato. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 nel merito della controversia. Con sentenza n. 6542/2020 del 30 dicembre 2020 il TAR si pronunciava nel merito del ricorso dichiarandolo inammissibile per contraddittorietà tra causa petendi, vale a dire le censure dedotte dai ricorrenti, come tali, implicanti la caducazione dell'intera procedura concorsuale per la violazione iniziale delle regole sull'anonimato delle prove preselettive e petitum, costituito dalla richiesta di consolidamento in via definitiva della ammissione con riserva alle prove scritte, avendo gli stessi insistito, prima che la causa fosse trattenuta in decisione, per quest'ultima domanda e non già per l'annullamento, a seguito di ordinanza ex art. 73, co. 3, c.p.a. con la quale il Collegio aveva già rilevato profili di incompatibilità tra le censure dei ricorrenti e la domanda di ammissione alla prova scritta. Rilevava la sentenza che dall'eventuale accoglimento dei motivi del ricorso sarebbe conseguito il travolgimento in radice dell'intera procedura concorsuale, contagiando l'illegittimità del segmento iniziale tutte le successive fasi selettive, con conseguente riedizione delle contestate prove preselettive e non già, omisso medio, il diretto passaggio dei ricorrenti non ammessi alla successiva prova scritta. Né la contraddizione poteva essere superata con la limitazione della domanda di annullamento alla sola fase preselettiva delle prove, così escludendo un annullamento dell'intera procedura perché costituiva salto logico incolmabile far derivare l'ammissione alle successive fasi concorsuali dalla sostenuta illegittimità del procedimento. A tanto aggiungasi, rilevava il TAR, che l'art. 40 c.p.a. richiede, a pena di inammissibilità, un nesso tra oggetto della domanda, motivi specifici del ricorso ed indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice, che nella fattispecie non sussisteva. Né a diverso esito si poteva pervenire in ragione del meccanismo del consolidamento della posizione conseguita dai ricorrenti per effetto della disposta ammissione con riserva, essendo prevista dalla legge una deroga agli effetti interinale del giudizio cautelare esclusivamente per gli esami di abilitazione professionale (art. 4, co. 2 bis, d.l. n. 115/2005), non costituendo tale meccanismo un istituto di portata generale applicabile ai pubblici concorsi con conseguente impossibilità per un candidato ammesso con riserva alle successive prove selettive di ottenere il bene della vita per il solo fatto di averle superate. la sentenza del Consiglio di Stato. I candidati, che nelle more del giudizio avevano superato la prova scritta, proponevano appello avverso la predetta sentenza, sostenendone la erroneità per i seguenti motivi: 1) mancanza di contraddittorietà tra petitum e causa petendi, in quanto i denunciati vizi della procedura concorsuale erano inidonei a travolgere l'intera procedura concorsuale in quanto limitati alla sola fase preselettiva, non funzionale alla determinazione del punteggio finale; 2) il consolidamento della posizione di essi appellanti deriverebbe dal superamento della prova scritta. CoNTENzIoSo NAzIoNALE Il Consiglio di Stato, nell'accogliere l'appello, ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo la quale l'effetto caducante che deriverebbe dal provvedimento negativo adottato dall'Amministrazione, originariamente impugnato, trova il limite nel principio, dell'assorbimento, nel senso che esso non si esplica sugli atti ulteriori che assorbono il predetto provvedimento, operando una nuova verifica, che si pone come "circostanza esterna e sopravvenuta". Alla base del principio in parola é il compimento di atti ulteriori da parte del- l'Amministrazione, che hanno come presupposto logico e giuridico un nuovo provvedimento, adottato in esecuzione di ordinanza cautelare o di sentenza, che rende inutile l'atto originariamente impugnato, con conseguente dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse di parte ricorrente ad impugnarlo. Al riguardo la sentenza ha richiamato il precedente del superamento degli esami di maturità che il candidato ha sostenuto a seguito ammissione con riserva da parte del Giudice Amministrativo, che assorbe il giudizio negativo di ammissione del Consiglio di Classe (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 2098) e l'Adunanza Plenaria del 27 febbraio, n. 3, in tema di ammissione con riserva alla prova orale per esame di avvocato, che si era pronunciata per l'improcedibilità dell'appello del Ministero della Giustizia, avendo la Commissione esaminatrice adottato un'autonoma e distinta favorevole valutazione del candidato, che avrebbe superato ed assorbito il precedente provvedimento sfavorevole di non ammissione. L'applicazione del principio dell'assorbimento alla fattispecie in parola appare, ad avviso di chi scrive, poco convincente, in quanto quest'ultima non presenta "analoghe caratteristiche" rispetto agli esempi innanzi richiamati, diversamente da quanto affermato in sentenza. Infatti, il provvedimento ulteriore adottato nel corso della procedura, ovvero il favorevole giudizio di superamento della prova scritta aveva per oggetto la somministrazione di 60 domande intese ad accertare la conoscenza teorica e pratica delle materie analiticamente elencate nel bando di concorso, corrispondenti allo specifico profilo professionale per il quale i candidati concorrevano, mentre la prova preselettiva, come da bando, consisteva in un test composto da 80 quesiti, comuni a tutti i profili professionali, prevalentemente intesi a verificare le capacità di ragionamento logico -matematico e critico verbale dei candidati: trattavasi, quindi, di due prove aventi contenuto eterogeneo tra loro. Come ha osservato in precedenza il Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza 10 settembre 2009, n. 5430), l'art. 4, co. 2 bis, del d.l. n. 115/2005 convertito nella l. 168/2005, in materia di assorbimento del precedente giudizio negativo della prova preselettiva, nella valutazione positiva ottenuta nelle prove scritte, pratiche ed orali, a cui il candidato sia stato ammesso con riserva a seguito del- l'accoglimento di istanza cautelare é principio che deve ritenersi operante solo nell'ipotesi in cui l'oggetto dell'accertamento delle prove preliminari sia perfettamente sovrapponibile a quello delle successive e più analitiche prove. Per RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 tanto, la sovrapponibilità tra la prova inizialmente non superata e quella successiva, svolta a seguito di provvedimento cautelare di ammissione con riserva dovrebbe costituire una condizione per l'applicazione del principio dell'assorbimento, dovendo le prove per essere sovrapponibili riferirsi al medesimo ordine di argomenti e di materie. Al fine implicito di rafforzare l'assorbimento della prova preselettiva per effetto del superamento della prova scritta e delle successive prove sostenute dagli appellanti il Consiglio di Stato ha dato rilievo alla limitazione della domanda di annullamento proposta dai ricorrenti alla sola prova preselettiva, evidenziando come quest'ultima rappresenti "il segmento concorsuale eventuale della procedura concorsuale di specie, non funzionale alla determinazione del punteggio finale", come sostenuto da parte appellante. L'affermazione suscita perplessità, in quanto la fase di preselezione era esplicitamente contemplata come obbligatoria nel bando e non già come eventuale (ne erano esentati esclusivamente i candidati diversamente abili con percentuale di invalidità pari o superiore all'80%, ai sensi dell'art. 20, co. 2 bis, l. n. 104/1992) e quindi da considerarsi strettamente collegata a quelle successive al fine di perseguire l'obiettivo di selezionare i migliori, in conformità a quanto prescrive la Costituzione, non potendo darsi rilevanza determinante alla circostanza che essa non concorreva alla formazione del punteggio finale. L'applicazione del meccanismo dell'assorbimento, insieme con la cesura creata tra fase preselettiva e successive fasi della procedura concorsuale, ha consentito al Consiglio di Stato, di superare l'obiezione sollevata dal TAR Campania sulla contraddittorietà tra petitum e causa petendi, nonché, sotto il profilo processuale, di non rispondere alla dedotta violazione dell'art. 40 c.p.a. da parte del ricorso; inoltre, la sentenza, più che rendere definitivi ed immodificabili gli emessi provvedimenti cautelari, ha reso irrilevante il mancato superamento della prova preselettiva attraverso la esclusione del giudizio di merito sulle censure formulate dagli allora ricorrenti, concernenti la violazione dell'anonimato, in nome della quale avevano ottenuto l'ammissione con riserva alla prova scritta. Al riguardo appare superfluo evidenziare che il provvedimento cautelare di ammissione con riserva a cui non fa seguito il giudizio di merito contrasta con le regole del processo amministrativo sopratutto allorché le prove non superate e quelle successive non siano sovrapponibili e che il principio dell'assorbimento non può considerarsi istituto di carattere generale, come rilevato in primo grado dal TAR allorché ha richiamato l'art. 4, co. 2 bis, del d.l. n. 115/2005, che, rendendo immodificabili i provvedimenti cautelari di ammissione con riserva, deroga agli effetti interinali del giudizio cautelare esclusivamente per i candidati alla abilitazione professionale che superino le prove scritte ed orali previste dal bando. La sentenza in esame, pertanto, ha lasciato del tutto impregiudicate le censure sollevate in primo grado dagli attuali appellanti, relative alla viola CoNTENzIoSo NAzIoNALE zione del principio dell'anonimato nell'espletamento della prova preselettiva, che avrebbe meritato il necessario approfondimento, tenuto conto che l'art. 97, 3° co., della Costituzione prevede che, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, che "rappresenta la forma ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni" (Corte cost., 9 novembre 2006, n. 363), articolata in "una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti" (Corte cost., 13 novembre 2009, n. 293): conformandosi a tali principi, la giurisprudenza amministrativa é attestata per il rigoroso rispetto di tali criteri che rappresentano garanzia ineludibile di serietà della selezione e dello stesso funzionamento del meccanismo meritocratico (cfr. in tal senso: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20 novembre 2013, n. 28; Sez. V, sentenza 6 aprile 2010, n. 1928). L'applicazione di tali principi costituzionali non ha trovato, tuttavia, schierata in modo uniforme la giurisprudenza amministrativa con riferimento alla regola dell'anonimato nelle prove. Una parte della giurisprudenza si é pronunciata per un'applicazione rigorosa e letterale di tale principio, ritenendo che non sia consentito nemmeno in astratto che la commissione o altri soggetti possano essere in grado di identificare prima del momento procedimentale dell'apertura delle buste i dati identificativi dei candidati (così, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenze 11 luglio 2013, n. 3747 e 24 settembre 2015, n. 4474); da ultimo, con riferimento alla sussistenza della violazione dell'anonimato in caso di apposizione negli elaborati di un breve codice numerico facilmente memorizzabile ed abbinabile al nominativo del candidato, il TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, sentenza 28 gennaio 2021, n. 32. In modo diverso ha affrontato il principio dell'anonimato la giurisprudenza più recente, con riferimento a fattispecie analoghe al caso in esame, costituite da prove consistenti in quiz a risposta multipla, con punteggi predeterminati e correzione con sistemi automatici. In tali casi, si é affermato che il rispetto del principio dell'anonimato non deve ritenersi finalizzato a salvaguardare a priori ogni possibile riconoscimento del candidato da parte dei componenti della commissione esaminatrice o di terzi, bensì a prevenire ogni possibilità di scelta nell'assegnazione dei test, nonché ogni possibilità di sostituzione e manipolazione del foglio di risposta, diventando così del tutto irrilevante la possibilità di identificazione del candidato, diversamente da quanto avviene con le prove scritte che comportano una valutazione discrezionale da parte della commissione esaminatrice: cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 7005 e da ultimo TAR Campania, Sez. V, sentenza 12 marzo 2021, n. 1666. Alla luce di tali ultimi sviluppi giurisprudenziali, l'esigenza di una pronuncia nel merito sulla questione sollevata dai candidati ammessi con riserva RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 nella procedura concorsuale oggetto di commento sarebbe stata, oltre che necessaria sotto il profilo processuale, opportuna, essendo rimasto irrisolto il dubbio giuridico sulla imparzialità della selezione per tutti i candidati risultati non idonei alla fase preselettiva che non hanno voluto o potuto proporre ricorso. Inoltre, non é da trascurare che la sentenza che si commenta é stata emanata dopo solo circa due mesi dalla entrata in vigore dell' art. 10 del d.l. 1° aprile 2021, n. 44, convertito nella l. 28 maggio 2021, n. 76, che, nell'intento di semplificare le modalità di svolgimento dei concorsi pubblici, ha previsto, per quelli indirizzati al personale non dirigenziale, l'espletamento di una sola prova scritta con l'utilizzazione di strumenti informatici e digitali e di una prova orale. Pertanto, non essendo più prevista la prova preselettiva, se venisse lamentata da qualche candidato, risultato inidoneo alla prova scritta, la violazione del principio dell'anonimato per motivi analoghi a quelli fatti valere nella procedura concorsuale in questione, che trascende quindi la vicenda del singolo candidato, si dovrebbe imporre al Giudice Amministrativo una decisione sulla predetta violazione già in sede cautelare e in ogni caso in sede di merito, dovendosi escludere, ad avviso di chi scrive, che la procedura concorsuale possa continuare a svilupparsi nei confronti dei candidati inidonei alla prova scritta in virtù di provvedimenti cautelari di ammissione con riserva. Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 20 luglio 2021 n. 5468 -pres. F. Caringella, est. E. Quadri -F.C.+5 c. Regione Campania (avv.ti A. Bove, M. Cioffi, A. Marzocchella e T. Monti); Formez PA, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Interministeriale Ripam (avv. gen. Stato). È improcedibile il ricorso di primo grado proposto da alcuni candidati avverso il provvedimento di esclusione dal concorso per mancato superamento della prova preselettiva qualora gli stessi, ammessi con riserva per effetto di provvedimenti cautelari, superino la successiva prova scritta, in applicazione del principio dell'assorbimento. FATTo Gli appellanti hanno partecipato al corso-concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di complessive 2.175 unità di personale a tempo indeterminato, di cui n. 50 unità da inquadrare nella categoria D, diversi profili, e n. 1225 unità da inquadrare nella categoria C, diversi profili, presso la Regione Campania e presso gli Enti locali della Regione, bandito dalla Commissione interministeriale Ripam. La procedura concorsuale constava di una prima prova preselettiva, consistente in risposte ad un questionario articolato in 80 quesiti a risposta multipla, determinata senza prestabilire un punteggio minimo, ma garantendo l’accesso ad un numero di candidati pari a quattro volte il numero dei posti messi a concorso per ciascuno dei profili. Gli appellanti, avendo partecipato alla prova preselettiva e, tuttavia, non avendo raggiunto la soglia utile per l’accesso alla prova scritta, ne hanno impugnato l’esito innanzi al Tribunale am CoNTENzIoSo NAzIoNALE ministrativo regionale per la Campania, il quale ha dichiarato inammissibile il ricorso con sentenza n. 6542 del 2020, rilevando l’incompatibilità tra le censure ivi dedotte e le domande ivi formulate, considerata l’intrinseca contraddittorietà fra causa petendi (identificata nei vizi sollevati -di sostanziale violazione dell’anonimato, oltre ad altri -potenzialmente inficianti l’intera procedura) e il petitum espressamente limitato all’ammissione alle successive fasi concorsuali. L’appello contro la succitata sentenza è affidato ai seguenti motivi di diritto: I) error in procedendo/iudicando sulla ritenuta contraddittorietà fra petitum, espressamente limitato alla domanda d’ammissione alle successive fasi concorsuali, e causa petendi, identificata in vizi potenzialmente inficianti l’intera procedura concorsuale; nell’ottica del bilanciamento dei contrapposti interessi, si ritiene valida la scelta processuale di invocare il diritto all’avanzamento concorsuale quale risarcimento in forma specifica; II) error in iudicando, in merito alla negata tutela del legittimo affidamento riposto dagli odierni appellanti che, avendo superato le prove selettive dell’esame scritto ed essendo iscritti al percorso formativo/professionale, in fase avanzata, hanno confidato nell’intangibilità della specifica posizione, invocando la cessazione della materia del contendere. Si sono costituiti per resistere all’appello la Regione Campania, Formez Pa e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Interministeriale Ripam. In sede cautelare gli appellanti sono stati ammessi con riserva a sostenere le prove successive del concorso con ordinanza di questa sezione. Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni. All’udienza dell’8 giugno 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTo Giunge in decisione l’appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 6542 del 2020, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli istanti, rilevando l’incompatibilità tra le censure ivi dedotte e le domande ivi formulate, considerata l’intrinseca contraddittorietà fra causa petendi (identificata nei vizi sollevati -di sostanziale violazione dell’anonimato, oltre ad altri -potenzialmente inficianti l’intera procedura) e il petitum espressamente limitato all’ammissione alle successive fasi concorsuali. Con il primo motivo parte appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza, atteso che nessuna contraddittorietà sarebbe ravvisabile tra un petitum, che si sostanzia nella richiesta di prosecuzione concorsuale, anche a titolo di risarcimento in forma specifica (ex art. 2058 codice civile), e una causa petendi, manifestata nei plurimi profili di illegittimità denunciati, impropriamente ricondotti, dal giudice di prime cure, alla sola violazione del principio dell’anonimato, atteso che i denunciati vizi, afferenti il segmento concorsuale eventuale della sola fase preselettiva -mera scrematura iniziale non funzionale alla determinazione del punteggio finale, nemmeno idonea a saggiare la selezione meritocratica degli aspiranti -non avrebbero potuto travolgere l’intera procedura concorsuale. Del tutto illogica risulterebbe, altresì, la deduzione, parimenti contestata, in merito alla non estensione del gravame alla “graduatoria finale”; infatti, nessuna graduatoria definitiva è stata, al momento, pubblicata, per i profili professionali rappresentati. Gli appellanti hanno principalmente impugnato le graduatorie degli ammessi alle prove scritte, atti immediatamente lesivi, in quanto preclusivi all’avanzamento concorsuale. Inoltre, a fronte dell’impugnazione del bando di concorso -e correlati atti immediatamente lesivi -non potevano configurarsi controinteressati in senso tecnico, fino al momento in cui non si fosse provveduto all’approvazione di una graduatoria definitiva. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 Con il secondo motivo gli appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza, atteso che, nel caso de quo, diversamente da quanto asserito dal giudice di prime cure, il consolidamento della posizione degli assistiti deriverebbe dall’effettivo superamento della prova scritta concorsuale, step selettivo che concorrerà alla valutazione finale, rendendo idonei al prosieguo, ma che ancora non assicura la “successiva immissione in ruolo”, posto che un’ulteriore selezione, cosiddetta prova orale finale, dovrà essere sostenuta. Tale consolidamento non è invocabile in termini generali ed astratti, riguardando, piuttosto, una fattispecie concreta, quella del reclutamento regionale in fase di svolgimento. Tra l’altro, per la maggior parte dei profili interessati, le programmate assunzioni sono superiori rispetto al numero degli ammessi, in procinto di completare la selezione concorsuale, per scelte politico/sindacali alla luce del fabbisogno occupazionale campano e degli enti locali. Per il Collegio è, innanzitutto, da disattendere l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla Regione e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Interministeriale Ripam, per i quali la legittimazione passiva dovrebbe riconoscersi solo al Formez. Invero, la procedura di specie si sostanzia in un concorso unico territoriale per le amministrazioni della Regione Campania nell’ambito del quale i vari enti pubblici interessati alle assunzioni hanno delegato alla Regione la gestione degli adempimenti propedeutici all’avvio del concorso, promosso dalla Giunta regionale della Campania, e alla Commissione Interministeriale Ripam l’espletamento del medesimo corso-concorso, con riferimento ai profili professionali evidenziati sul portale “concorsiuniciregionali.gov.it”. Nel merito, la difesa delle amministrazioni appellate contesta la fondatezza dell’appello, aderendo pienamente alle statuizioni della sentenza appellata, anche in considerazione della limitazione, per giurisprudenza costante, dell’applicazione del principio dell’assorbimento ai soli esami di abilitazione, e non ai concorsi. La Regione Campania rappresenta, altresì, che è interesse assoluto dell’amministrazione salvaguardare del tutto la procedura, atteso il rilevante sforzo amministrativo ed organizzativo nonché l’imponente investimento finanziario posti in essere, lo stato avanzato della procedura corso -concorsuale e la necessità, impellente, delle amministrazioni aderenti alla copertura del proprio fabbisogno occupazionale. Una eventuale pronuncia che dovesse mettere in discussione la legittimità della procedura causerebbe danni enormi a tutte le amministrazioni pubbliche che hanno aderito al progetto e ai candidati che hanno superato le prove concorsuali, stanno conducendo la fase di formazione e di rafforzamento presso le stesse amministrazioni e stanno percependo la borsa lavoro pari a complessivi diecimila euro per ciascun candidato. La Regione precisa, inoltre, che le graduatorie hanno contemplato l’inserimento dei candidati appellanti risultati idonei non in sovrannumero, ma annoverando gli stessi all’interno del contingente ammissibile previsto dal bando e, dunque, quali concorrenti per la definitiva assunzione. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato. Deve, innanzitutto, rilevarsi che gli appellanti hanno manifestato interesse solo all’annullamento del risultato della prova preselettiva, e non all’intera procedura concorsuale. Inoltre, deve ribadirsi che il principio cosiddetto dell'assorbimento, in forza del quale il superamento degli esami di maturità (o di promozione a classe superiore) da parte del candidato che sia stato ammesso con riserva da parte del giudice amministrativo, assorbe l'iniziale giudizio negativo di ammissione espresso dalla commissione di classe, con conseguenziale improcedibilità del ricorso avverso l'originario provvedimento di non ammissione, è stato elaborato dalla giurisprudenza amministrativa per quella specifica casistica, e si basa sulla considerazione che la promozione alla classe superiore o il superamento di un esame presup CoNTENzIoSo NAzIoNALE pongono, la prima, una valutazione positiva del candidato che si estrinseca su un programma più ampio di quello svolto nella classe inferiore, il secondo, un apprezzamento globale del candidato, sicché in entrambe le ipotesi il giudizio positivo si pone su di una circostanza esterna e sopravvenuta rispetto a quella precedente di non ammissione. Tale principio, in via generale, non è utilizzabile nel caso di concorso, in cui l'accertamento di determinati requisiti non si sovrappone in relazione al medesimo aspetto (maturità del candidato ritenuta insussistente nel previo giudizio di non ammissione), ma riguarda anche aspetti (possesso dei titoli e preparazione, in prove scritte e orali) diversi sulle capacità e sul rendimento (Cons. Stato, IV, 14 febbraio 2005, n. 438). La giurisprudenza di questo Consiglio è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che il limite all'espansione dell'effetto caducante sugli ulteriori atti adottati dall'amministrazione sia rappresentato dall'operatività del suddetto principio di assorbimento, nel senso che l'effetto caducante non si esplica sugli atti ulteriori che assorbano, comunque, il provvedimento originariamente impugnato operando una nuova verifica che si ponga come “circostanza esterna e sopravvenuta”. In tal senso si è ritenuto che il superamento degli esami di maturità, che il candidato abbia sostenuto a seguito di ammissione con riserva da parte del giudice amministrativo, assorbe il giudizio negativo di ammissione espresso dal Consiglio di classe determinando l'improcedibilità del ricorso avverso l'originario provvedimento di non ammissione (Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 2098). Tale orientamento si è, tuttavia, formato con riguardo alla specifica fattispecie dell'esame di maturità, caratterizzata dal fatto che tale esame “pur vertendo su un numero limitato di materie, comporta la valutazione globale del candidato, che la Commissione compie attraverso l'esame del curriculum scolastico, nel quale sono ricompresi i giudizi negativi espressi dal Consiglio di classe in sede di ammissione” (Cons. Stato, sez. VI, n. 474 del 1996). Il giudizio di ammissione, pertanto, non può essere considerato giudizio definitivo, nemmeno per quanto riguarda le materie oggetto d'esame, essendo sempre libera la Commissione di discostarsene attraverso una valutazione difforme del curriculum scolastico. In relazione all’ipotesi del candidato che abbia superato la prova orale dell’esame di avvocato a seguito di un atto di ammissione alla stessa adottato dall’amministrazione in esecuzione di una sentenza di primo grado appellata, è stato affermato che la fattispecie presenta caratteristiche in parte diverse, in quanto l'ammissione alla prova orale costituisce senz’altro un presupposto indispensabile per l’espletamento della stessa. Inoltre, sia l’originaria valutazione di non ammissione alla prova orale sia la valutazione positiva del candidato in sede di prova orale sono formulate dalla medesima Commissione nel- l’ambito di un procedimento unitario. “risulta, quindi, necessario precisare se, in presenza di tali presupposti, operi o meno il c.d. principio di assorbimento, determinando eventualmente l'improcedibilità del gravame. la decisione di tale questione incide sulla definizione di numerose controversie non solo in materia di esami di abilitazione di avvocato, ma anche in relazione ad altri esami o a concorsi che, parimenti, prevedano una prova scritta ed una prova orale e presentino caratteristiche similari” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 7 novembre 2002, n. 6102). Il Consiglio di Stato, con decisione del 27 febbraio 2002, n. 3, resa in adunanza plenaria su sollecitazione dell’ordinanza succitata, ha ritenuto applicabile il principio dell’assorbimento anche in questi casi. Ed invero, è stato ben chiarito come l'improcedibilità del ricorso o dell'appello potrebbe discendere dalla adozione di atti diversi e ulteriori (in sostanza un autonomo ripensamento in RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 sede amministrativa sulla negata, in precedenza, ammissione) rispetto a quelli costituenti esecuzione della misura cautelare (o della sentenza) del giudice amministrativo. Per la sentenza dell’adunanza plenaria, è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l'appello dell'amministrazione avverso la statuizione di un tribunale amministrativo regionale che abbia ritenuto insufficiente la motivazione, espressa in punteggio numerico, di insufficienza delle prove scritte di un candidato (nella specie, all'esame per il conseguimento del titolo di avvocato), qualora l'amministrazione medesima, in esecuzione di detta decisione, non si sia limitata ad ampliare la motivazione del giudizio negativo già emesso, ma abbia proceduto ad un nuovo ed autonomo giudizio, stavolta favorevole, sugli elaborati del candidato. È stata, dunque, dichiarata la sopravvenuta carenza d'interesse ad una pronunzia d'annullamento della sentenza del primo giudice, in considerazione della suindicata nuova attività della commissione e dell'avvenuta iscrizione dell’interessato all'albo professionale. A questa tesi la sentenza è pervenuta sulla considerazione che l'operato della commissione non si è limitato a ribadire il voto già dato, con motivazione, ma che si è risolto in un’autonoma pronunzia sui medesimi elaborati. “la sentenza di primo grado aveva soltanto imposto di motivare, non di più”. “il precedente giudizio negativo è stato, dunque, assorbito nel nuovo giudizio positivo, come già conclude la giurisprudenza di questo Consiglio in tema di rapporto fra giudizio scolastico di non ammissione ad esami e di giudizio positivo espresso dalla commissione d'esame, nei casi di ammissione con riserva alle prove” (Cons. St., ad. plen., 27 febbraio 2003 n. 3). Il provvedimento sfavorevole di non ammissione alla prova orale dell'esame di avvocato è stato, quindi, considerato superato ed assorbito a seguito delle favorevoli valutazioni del candidato espresse dalla Commissione esaminatrice in sede di ricorrezione delle prove scritte effettuata in esecuzione di tale pronuncia - ed in sede di prova orale. Invero, l’attività amministrativa non si esaurisce sempre nella semplice rinnovazione del provvedimento annullato dal Tribunale amministrativo regionale, ma spesso comporta il compimento di ulteriori atti che hanno come presupposto logico e giuridico il nuovo provvedimento adottato in esecuzione della sentenza di primo grado. Nella fattispecie esaminata dall’adunanza plenaria, in particolare, la Commissione esaminatrice, dopo aver rinnovato la valutazione delle prove scritte ed aver ammesso il candidato alla prova orale, aveva anche proceduto all’espletamento di tale prova, formulando un giudizio positivo. La fattispecie all’esame del Collegio presenta analoghe caratteristiche. Nella procedura concorsuale di specie, il segmento concorsuale eventuale della fase preselettiva rappresenta, come ben dedotto da parte appellante, mera scrematura iniziale non funzionale alla determinazione del punteggio finale, nemmeno idonea a saggiare la selezione meritocratica degli aspiranti. Gli odierni appellanti sono stati ammessi alla partecipazione alle prove scritte del concorso, successivamente sostenuto e superato, nelle calendarizzate date e per i rispettivi profili, nonché al successivo tirocinio formativo -stage pratico applicativo in corso di svolgimento -che precede l’iter d’inserzione nelle graduatorie finali. Gli appellanti sono stati autorizzati ai fini partecipativi; hanno superato la prova scritta, che a differenza della preselettiva concorrerà nella determinazione del punteggio finale; hanno avviato il tirocinio formativo, presso l’Ente locale di riferimento, in fase di completamento e senza subire alcuna contestazione ai fini partecipativi. Il giudizio positivo formulato dall’amministrazione si pone, dunque, su di una circostanza esterna e sopravvenuta rispetto a quella precedente di non ammissione, ragion per cui il prin CoNTENzIoSo NAzIoNALE cipio dell’assorbimento, come sopra declinato, ben può trovare applicazione. Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse il ricorso di primo grado. Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara improcedibile il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021, tenuta con le modalità previste dagli artt. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 Interdittive antimafia: una strumentalizzazione dell’istituto del controllo giudiziario ex art. 34 bis Codice antimafia CoNSiglio di Stato, SezioNe terza, ordiNaNza 15 ottobre 2021 N. 5667; CoNSiglio di Stato, SezioNe terza, SeNteNza 4 febbraio 2021 N. 1049 Wally Ferrante* L’ordinanza del Consiglio di Stato del 15 ottobre 2021, n. 5667 ha finalmente segnato un'inversione di rotta (unitamente a quella ivi segnalata del 29 settembre 2021, n. 5371) rispetto alla prassi di rinviare non solo gli appelli avversari in caso di conferma della legittimità dell'interdittiva antimafia da parte del TAR ma anche gli appelli dell’amministrazione a fronte di un'interdittiva annullata o sospesa dal giudice di primo grado, in attesa della decisione dell'istanza di ammissione al controllo giudiziario ex art. 34 bis Codice antimafia (1). L'effetto sospensivo ex lege dell'interdittiva antimafia derivante dall'ammissione a controllo giudiziario a domanda (che non prevede lo spossessamento gestorio dell'impresa bensì un blando monitoraggio degli organi societari) ha comportato una strumentalizzazione dell'istituto del controllo giudiziario, del tutto contraria alla ratio sottesa alla sua introduzione, al fine di paralizzare gli effetti delle interdittive antimafia e l'accertamento definitivo della loro legittimità in sede giurisdizionale, con ogni intuibile riflesso nel caso delle c.d. interdittive a cascata. L'uso distorto dell'istituto è stato segnalato dall’Avvocatura dello Stato nel corso di un'audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, auspicando una modifica normativa che elimini l'automatismo sospensivo previsto dal comma 7 dell'art. 34 bis Codice antimafia, lasciando al giudice amministrativo il potere di sospendere, nelle more della decisione di merito, gli effetti dell'interdittiva, con una valutazione caso per caso e non aprioristica ed astratta, derivante direttamente dalla legge. Con l’ordinanza in rassegna, il Consiglio di Stato ha affermato che "non è consentito subordinare l'efficacia della misura cautelare all'ammissione del- l'impresa al controllo giudiziario, in quanto è diverso l'oggetto del giudizio avanti al giudice amministrativo, che deve verificare la sussistenza degli elementi posti a base del provvedimento prefettizio, e quello davanti al giudice ordinario, che deve effettuare una prognosi circa il recupero dell’impresa al circuito legale per l’occasionalità del collegamento con le associazioni mafiose, e non si può dunque nemmeno vincolare temporaneamente l’esito, anche cautelare, del primo giudizio alle sorti del secondo". (*) Avvocato dello Stato. (1) Prolematica già evidenziata dall’avv. Stato Francesco Pignatone. CoNTENzIoSo NAzIoNALE Di rilievo è inoltre la sentenza del Consiglio di Stato n. 1049/2021 che si sofferma diffusamente sui rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ex adverso sollevata in relazione all'asserita disparità di trattamento che si creerebbe tra l'impresa ammessa al controllo giudiziario, che beneficia dell'effetto sospensivo dell'interdittiva, e l'impresa non ammessa al controllo giudiziario non perché l'agevolazione è più che occasionale ma perché l'infiltrazione mafiosa non raggiunge nemmeno la soglia dell'occasionalità. Con il D.L. 6 novembre 2021, n. 152 recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose” (in G.U. 6 novembre 2021, n. 265) sono state apportate alcune rilevanti modifiche al Codice antimafia. L’art. 49 recante “Prevenzione collaborativa” introduce un nuovo istituto di competenza del Prefetto e non del giudice della prevenzione che presuppone, come il controllo giudiziario, l’occasionalità del condizionamento mafioso. L’art. 48 recante “Contraddittorio nel procedimento di rilascio dell'interdittiva antimafia” introduce inoltre l’obbligo del contraddittorio preventivo rispetto all’adozione dell’interdittiva antimafia, qualora non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, e prevede che possano essere valutate le modifiche societarie intervenute tra la comunicazione dell’inizio del procedimento e l’adozione dell’interdittiva. L’art. 47 recante “Amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende” introduce infine alcune modificazioni all'articolo 34-bis: in particolare, ove sia applicata la prevenzione collaborativa ex art. 94-bis, il Tribunale valuta l’adozione della misura del controllo giudiziario; per il controllo giudiziario “a domanda” si prevede che sia sentito non solo il procuratore distrettuale competente ma anche il prefetto che ha adottato l’interdittiva antimafia; il comma 7 dell’art. 34-bis continua a prevedere che l’ammissione al controllo giudiziario sospende gli effetti dell’interdittiva antimafia e dispone che l’ammissione al controllo giudiziario è valutato anche ai fini del- l'applicazione delle misure derivanti dalla “prevenzione collaborativa” nei successivi cinque anni. Vista l’identità del presupposto, “l’agevolazione occasionale”, che consente l’accesso al controllo giudiziario ex art. 34 bis codice antimafia e quello alla prevenzione collaborativa ex art. 94-bis dello stesso codice, il primo di competenza del giudice penale -sezione misure di prevenzione e il secondo di competenza del prefetto, si prospettano probabili sovrapposizione dei due istituti, il che complica ulteriormente il quadro applicativo che si è sopra delineato. L’introduzione del contraddittorio prima dell’adozione dell’interdittiva antimafia, sempre che non ricorrano particolari esigenze di celerità, pur non RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 imposto dalla giurisprudenza dell’Unione europea e costituzionale, comporta una maggiore procedimentalizzazione dell’iter che conduce all’adozione del- l’interdittiva antimafia. Suscita alcune perplessità la valutazione, a tali fini, delle modifiche societarie che intervengano nell’intervallo temporale che va dalla comunicazione di avvio del procedimento all’adozione dell’interdittiva, che rischia di vanificare il contrasto ad operazioni elusive meramente formali e di facciata, che celano il mantenimento di fatto della gestione dell’impresa da parte della precedente governance, anche tenuto conto del fatto che l’art. 84, comma 4 lettera f) del codice antimafia indica proprio le sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, quali indici di comportamenti elusivi della normativa antimafia. Inoltre, il perdurante effetto sospensivo dell’interdittiva antimafia conseguente all’ammissione al controllo giudiziario non fa venir meno le criticità segnalate relative alla strumentalizzazione dell’uso di tale istituto per finalità estranee alla ratio di contrasto alla criminalità organizzata e di recupero del- l’impresa all’economia legale. Consiglio di Stato, Sezione Terza, ordinanza 15 ottobre 2021 n. 5667 -pres. F. Frattini, est. R. Sestini -oMISSIS (avv. G. Stea) c. Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Lecce (avv. gen. Stato). (...) Preso atto che l’impresa edile appellante dichiara che “il profilo devoluto alla cognizione cautelare d’appello è limitato alla sola richiesta di sospensione del decreto prefettizio impugnato fino alla decisione del Tribunale ordinario sull’istanza di controllo ex art. 34-bis, co. 6, d.lgs. 159/2011, depositata dalla società ricorrente in data oMISSIS. Vista la giurisprudenza, cui questa Sezione aderisce, secondo cui non è consentito subordinare l’efficacia della misura cautelare all’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, in quanto è diverso l’oggetto del giudizio avanti al giudice amministrativo, che deve verificare la sussistenza degli elementi posti a base del provvedimento prefettizio, e quello davanti al giudice ordinario, che deve effettuare una prognosi circa il recupero dell’impresa al circuito legale per l’occasionalità del collegamento con le associazioni mafiose, e non si può dunque nemmeno vincolare temporaneamente l’esito, anche cautelare, del primo giudizio alle sorti del secondo (da ultimo, Cons. St., Sez. III, ordinanza 29 settembre 2021, n. 5371). Considerato, in ogni caso, che secondo la documentazione agli atti del giudizio non sembra possibile ricondurre l’impugnata interdittiva antimafia a contiguità meramente occasionali con il mondo della criminalità organizzata, anche alla luce del ruolo svolto dal fratello del socio unico e amministratore, ritenuto gestore di fatto della medesima società. Ritenuto pertanto di dover respingere la domanda cautelare, con condanna della parte soccombente alle spese di giudizio; P.Q.M. Respinge l'appello (Ricorso numero: 8193/2021). CoNTENzIoSo NAzIoNALE Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila) oltre ad IVA, CPA ed accessori. La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2021. Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 4 febbraio 2021 n. 1049 -pres. F. Frattini, est. G. Tulumello -oMISSIS (avv. L.M. D’Angiolella) c. Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Caserta (avv. gen. Stato). FATTo e DIRITTo 1. Con sentenza n. oMISSIS, pubblicata il 29 aprile 2020, il T.A.R. Campania, sede di Napoli, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo proposto dalla oMISSIS contro il provvedimento dell'U.T.G. -Prefettura di Caserta prot. oMISSIS del 22 maggio 2019 (oMISSIS/ANT./AREA 1^) con il quale era stata rigettata l'istanza di revoca e/o revisione del provvedimento interdittivo prot. n. oMISSIS/ANT/AREA 1 del 5 novembre 2011, ed ha rigettato il ricorso per motivi aggiunti proposto contro il provvedimento prot. n. oMISSIS/ANT/AREA 1^ (prot. oMISSIS) del 4 novembre 2019 con il quale l’U.T.G. Prefettura di Caserta, in sede di riesame disposto con provvedimento cautelare del giudice di primo grado, ha rigettato l’istanza di revoca e/o revisione e con il quale è stata confermata la sussistenza dei presupposti del provvedimento interdittivo a carico della società oMISSIS. Con ricorso in appello notificato il 2 luglio 2020 e depositato il successivo 6 luglio la oMISSIS ha impugnato l’indicata sentenza. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Caserta. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 28 gennaio 2021, svoltasi ai sensi del- l’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso collegamento in videoconferenza secondo le modalità indicate dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa. 2. La società appellante, colpita da interdittiva antimafia, ha chiesto alla Prefettura di revocare o comunque rimuovere tale provvedimento, allegando quale fatto legittimante il provvedimento del giudice della prevenzione penale con il quale l’impresa non era stata ammessa al controllo giudiziario ex art. 34-bis del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 “ritenendo non sussistenti i presupposti tentativi di infiltrazione mafiosa dell’azienda” (pag. 2 del ricorso in appello”). La Prefettura rigettava l’istanza, il rigetto era impugnato davanti al T.A.R. che, in sede cautelare, ne ordinava il riesame. Eseguito tale incombente con il medesimo esito, la ricorrente gravava con motivi aggiunti il nuovo provvedimento. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 Il T.A.R. dichiarava improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse il ricorso introduttivo e rigettava i motivi aggiunti. 3. La società appellante contesta la sentenza del primo giudice deducendo anzitutto, nel primo motivo, che la pronuncia del Tribunale della prevenzione avrebbe “attitudine di giudicato e per tale ragione non possono essere messi in discussione in forza dell’art. 654 c.p.p. i fatti in esso accertati in esito ad un giudizio caratterizzato da pieno contraddittorio con l’utg di Caserta e forza probatoria tipica del giudizio penale”. Il primo giudice avrebbe dunque errato nel respingere il ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui esso deduceva che il provvedimento di conferma della valutazione di pericolo di infiltrazione sarebbe stato illegittimo per contrasto con il provvedimento del Tribunale della prevenzione. La censura è infondata. Come correttamente evidenziato dal primo giudice, nel sistema delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia “vanno esclusi in capo al tribunale di prevenzione, poteri di controllo dei presupposti della interdittiva antimafia, venendo altrimenti ad introdursi nel sistema una duplicazione del controllo sulla legittimità della misura interdittiva e segnatamente sulla sussistenza o meno dei presupposti (cfr. in tal senso Cass. penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342)”. Anche questa Sezione ha avuto recentemente modo di chiarire, nella sentenza n. 338/2021, che la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo. Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum. Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati -anche sul piano diacronico -nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata. Non può pertanto sostenersi, come fa l’appellante, che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata. Nella stessa prospettazione dell’appellante, peraltro, si deduce che la Prefettura e il giudice della prevenzione penale avrebbero incentrato le relative valutazioni sulle medesime circostanze di fatto, giungendo a conclusioni difformi circa il pericolo di infiltrazione: il che -in disparte il rilievo che il giudicato riguarderebbe semmai i fatti e non le valutazioni, e fermo restando che (come si dirà al punto successivo) in concreto le prospettate difformità non sussistono -costituirebbe comunque una fisiologica conseguenza della sopra descritta relazione fra i due sistemi preventivi, come ricostruita dalla giurisprudenza richiamata. 4. Vero è, piuttosto, che la Prefettura ha riesaminato la posizione della società appellante alla luce della pronuncia del giudice della prevenzione penale, confermando le originarie valutazioni. Peraltro gli elementi che l’appellante adduce per dimostrare, al contrario, che il provvedimento CoNTENzIoSo NAzIoNALE prefettizio sia fondato su fatti accertati come inesistenti dal giudice della prevenzione penale dimostrano l’infondatezza di tale prospettazione. 4.1. Solo esemplificativamente mette conto segnalare che nel ricorso in appello viene dedotto che “la prefettura di Caserta, ad esempio, ha sostenuto, nell’originario provvedimento interdittivo, che oMiSSiS aveva subito plurime condanne per fatti sintomatici di appartenenza al oMiSSiS. il giudice della prevenzione ha accertato, con i mezzi e poteri propri del giudice penale, che sono più pregnanti di quelli che dispone il giudice amministrativo, che non è assolutamente vero che oMiSSiS sia stato condannato per associazione mafiosa”. In realtà i due dati non sono in contraddizione logica, perché altro è la compartecipazione in reati-scopo (o comunque in reati ritenuti sintomatici della cooperazione con gli interessi del sodalizio criminoso) ed altro l’appartenenza all’associazione in qualità di associato. 4.2. Ancora, l’appellante lamenta che “la prefettura di Caserta ha sostenuto, nell’originario provvedimento interdittivo, che oMiSSiS oMiSSiS sarebbe stato segnalato dal giCo della finanza per associazione di tipo mafioso e per aver emesso fatture in favore della oMiSSiS, società utilizzata dal oMiSSiS per la creazione di “fondi neri”. ebbene il giudice della prevenzione ha accertato che oMiSSiS oMiSSiS è stato assolto per tali contestazioni con sentenza oMiSSiS e non ha a suo carico nessun precedente per reati di criminalità organizzata. il coinvolgimento di costui in un processo per fatti di camorra negli anni novanta si è concluso per intervenuta assoluzione del oMiSSiS con formula piena (insussistenza del fatto) fin dal oMiSSiS”. Anche in questo caso, l’assoluzione, e l’assenza di precedenti specifici, non smentiscono il coinvolgimento in una trama relazionale che in sede amministrativa è stata correttamente valorizzata con riguardo all’accertamento del fatto operato nel segmento investigativo (dunque con un’ottica meramente descrittiva e non valutativa in termini di penale responsabilità). 4.3. L’appellante deduce poi che “la prefettura di Caserta aveva affermato nel provvedimento interdittivo emesso a suo tempo che oMiSSiS oMiSSiS sarebbe stato controllato con un tal oMiS- SiS che, a dire della prefettura, sarebbe gravato da precedenti di polizia per associazione mafiosa. Sul punto il giudice della prevenzione ha accertato che tale circostanza non corrisponde al vero in quanto il oMiSSiS è persona del tutto incensurata”. ora, in disparte il rilievo che il presente giudizio verte non già sulla legittimità dell’originario provvedimento interdittivo, ma su quello -impugnato con i motivi aggiunti in primo grado che ha confermato in sede di riesame il pericolo di infiltrazione mafiosa, anche in questo caso nessuna contraddizione sussiste fra gli elementi segnalati, dal momento che la Prefettura ha valorizzato risultanze investigative conosciute dalle forze di polizia ma non giudicate penali. oltre al segnalato vizio d’impostazione su cui poggia il gravame (relativo all’allegazione di contrasti in realtà inesistenti), sfugge infatti alla prospettazione dell’appellante, in materia di rapporti fra valutazione del rischio d’infiltrazione e accertamento della responsabilità penale, che “Come ha chiarito la sentenza n. 6105/2019, “Ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, (…..), ma la (minore) forza dimostrativa dell'inferenza logica”. il princìpio è stato recentemente ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 57 del 2020: “deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 338/2021). La sentenza gravata pertanto non risulta affetta dal vizio dedotto nel motivo in esame. 5. L’appellante deduce, in subordine, l’illegittimità costituzionale dell’attuale disciplina delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia (“artt. 83 e succ. del RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 d.lgs. n. 159/2011 in relazione all’art. 34 bis codice antimafia per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 41 della Costituzione”). La questione concerne la soglia di ammissione al controllo giudiziario, e la pretesa disparità di trattamento che si creerebbe fra un’impresa -quale l’appellante -giudicata a rischio d’infiltrazione dalla Prefettura ma non abbastanza dal giudice della prevenzione penale (al punto da non essere ammessa al controllo giudiziario), e l’impresa che invece, superando tale soglia, e dunque presentando un maggior rischio d’infiltrazione (“non occasionale”), paradossalmente si gioverebbe di un regime più favorevole, consistente nella prosecuzione (sia pure controllata) dell’attività d’impresa. In questi termini la questione, in disparte la verosimile erroneità del suo presupposto interpretativo (per le ragioni, indicate al punto precedente, relative al diverso oggetto della valutazione del giudice della prevenzione penale rispetto a quello considerato dall’autorità amministrativa), difetta comunque del requisito della rilevanza, posto che, riguardando le condizioni di accesso al controllo giudiziario, andrebbe sollevata in quella sede giurisdizionale: tanto che la questione stessa è argomentata dall’appellante con riferimento alle pronunce (e al dedotto contrasto tra le stesse) della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione e delle SS.UU. penali. Né può ragionevolmente accedersi alla tesi dell’appellante, allorché sollecita quale esito della questione dedotta una sentenza additiva del giudice delle leggi che imponga alla Prefettura la rimozione dell’informativa (che, si ripete, è il provvedimento che si colloca a monte dell’intera sequenza) allorché il giudice della prevenzione penale abbia in concreto ravvisato una soglia di infiltrazione inferiore a quella ritenuta rilevante per l’ammissione al controllo giudiziario: se, infatti, il problema sollevato concerne (la soglia di accesso a) tale ultima procedura, è del tutto irragionevole ipotizzare un intervento normativo (peraltro, mediante una sentenza manipolativa) sul suo antecedente logico, vale a dire sull’informativa. L’appellante fa infatti discendere dalla ipotizzata irrazionalità del sistema conseguente alla valutazione di non ammissione al controllo giudiziario -che è un rimedio successivo alla (e presupponente la) adozione dell’informativa -non già una diversa disciplina di tale valutazione, bensì l’obbligo normativo di revisione o di rimozione del giudizio prognostico ritenuto nel provvedimento presupposto: il che, a tacer d’altro, appare illogico e irrazionale. Né può giungersi a soluzioni difformi ove si pretenda di incidere sulla legittimità non già del- l’informativa, ma del successivo provvedimento di rigetto dell’istanza di revisione della stessa (motivata in relazione al mancato accesso al controllo giudiziario, in quanto tale). Nel caso di specie, infatti, l’impresa non ha dedotto che dal provvedimento del giudice della prevenzione penale risultasse un fatto sopravvenuto (quale, ad esempio, un’operazione di selfcleaning) tale da implicare una revisione del giudizio prognostico originario, ma ha fatto discendere automaticamente da tale provvedimento, in realtà motivato unicamente con riferimento al mancato raggiungimento della soglia rilevante in quella sede, la ritenuta inutilizzabilità, per l’autorità amministrativa, dei fatti (e delle relative valutazioni) considerati al diverso scopo di determinare la soglia di accesso: il che, per le considerazioni fin qui esposte, appare pretesa non assistita da fondamento normativo. Infine, anche la circostanza -dibattuta in sede di discussione orale -che l’appellabilità dei provvedimenti di non ammissione resi dal Tribunale della prevenzione è stata ammessa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione solo in un momento non più utile per l’odierna appellante, costituisce anch’essa elemento che rileva in altra sede giurisdizionale, posto che la parte si duole dei limiti dell’effettività della tutela garantita dal rimedio offerto in sede di prevenzione penale. CoNTENzIoSo NAzIoNALE 6. Con l’ultimo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato i motivi del ricorso per motivi aggiunti inerenti la rilevanza inferenziale dei fatti allegati dalla Prefettura come sintomatici di un pericolo d’infiltrazione mafiosa. Per quanto riguarda la parte della censura che fa leva sulle sopravvenienze rappresentate dagli esiti dei giudizi penali relativi a fatti considerati -in relazione alle fasi investigative -dai provvedimenti prefettizi impugnati, è sufficiente in questa sede richiamare quanto già in precedenza osservato (anche mediante rinvio alla sentenza della Corte costituzionale n. 57/2020, e alla sentenza di questa Sezione n. 338/2021) in relazione alla diversità strutturale e funzionale della valutazione dei fatti compiuta in sede di accertamento della penale responsabilità dei soggetti, rispetto al valore inferenziale attribuito ai medesimi fatti nel giudizio prognostico concernente il pericolo d’infiltrazione criminosa. Per quanto riguarda, poi, il regime di tale giudizio, è necessario in via preliminare richiamare la giurisprudenza della Sezione relativa ai tratti dell’esercizio del potere de quo per come normativamente delineati, osservando in particolare che gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale -che è alla base della teoria della prova indiziaria -quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, “secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. iii, sentenza n. 759/2019)” (così da ultimo le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020). La già richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 57/2020 ha chiarito che a fronte della denuncia di un deficit di tassatività della fattispecie, specie nel caso di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera”, “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa”, un ausilio è stato fornito dall’opera di tipizzazione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza di questo Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale”. Fra tali situazioni la Corte costituzionale ricorda “i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia”. 7. Nello specifico e in concreto, il primo giudice ha ritenuto che: -“il rischio di infiltrazione criminale è stato desunto dalle frequentazioni del oMiSSiS, socio della società ricorrente, con persone gravitanti nell’orbita della criminalità organizzata di tipo camorristico, dai suoi precedenti penali e dai legami familiari cementati da cointeressenze societarie con soggetti sui quali pure gravano indizi di collegamento”; -che “le frequentazioni del oMiSSiS oMiSSiS non possono considerarsi isolate, trattandosi di plurimi controlli che si dipanano in un lungo arco temporale, dimostrando una continuità di relazioni che diviene più solida proprio perché perdurano nel tempo, dovendosi evidenziare che le addotte motivazioni di lavoro, lungi dallo scolorire il significato indiziante delle stesse, le rende vieppiù pregnanti in quanto connesse proprio all’attività di impresa che, invece, la legislazione antimafia intende preservare da influenze criminali”; -che “il profilo delle frequentazioni non è l’unico che sia stato oggetto dei rilievi della prefettura nel gravato provvedimento, dovendosi riguardare unitamente ai precedenti penali del oMiSSiS oMiSSiS per rapina, violazioni urbanistiche, furto e violazione della legge sulle armi, che ben possono fondare (pur se non ricompresi nell’elenco di cui all’art. 84 del testo unico RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo -N. 2/2021 antimafia), unitamente agli altri indizi, la prognosi di condizionamento, atteso che l’autorità prefettizia è chiamata compiere una valutazione complessiva comprensiva di elementi ritenuti significativi anche se atipici (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. iii, 24 aprile 2020, n. 2651). infine, anche la sussistenza di rapporti di contiguità tra le diverse società riconducibili alla oMiSSiS ravvisata nel gravato provvedimento, risulta immune da vizi, fondandosi, non solo sugli stretti legami familiari, ma anche sulle riscontrate cointeressenze economiche, sulla coincidenza delle sedi delle rispettive società e sull’utilizzo di dipendenti di una delle società da parte dell’altra. Ne consegue che ai fini del gravato giudizio formulato dalla prefettura non potevano non essere considerate anche le frequentazioni e i precedenti penali del oMiSSiS oMiSSiS, oMiSSiS del rappresentante legale della ricorrente e oMiSSiS dell’altra comproprietaria della medesima oMiSSiS”. Il motivo di appello in esame opera un tentativo di ridimensionamento analitico di tali elementi, tralasciando di considerare anzitutto la visione d’insieme, che sorregge con una soglia certamente superiore al criterio del “più probabile che non” la valutazione di un rischio di infiltrazione dell’attività d’impresa. Quanto ai singoli episodi contestati, va anzitutto rilevato -come peraltro già osservato in precedenza -che in molti casi gli argomenti su cui poggia il mezzo in esame non concretano reali contrasti fra gli elementi considerati dalla Prefettura e le risultanze dei relativi procedimenti penali (in argomento si rinvia agli esempi indicati al punto 4.). Si contesta poi il fatto che alcuni di tali elementi sarebbero risalenti nel tempo: ma tale obiezione trascura di considerare che la pluralità, l’univoca convergenza e la gravità di essi rendono irrilevante la circostanza che in alcuni casi essi si collocano in un arco temporale non recente. Quanto, infine, al fatto che alcuni contatti con soggetti controindicati sarebbero giustificati da causali lecite, tale argomentazione tralascia di considerare che è la frequentazione in sé (ancorché, in tesi, innescata da una causale fornita di una giustificazione alternativa a quella infiltrativa), specie quando -come nel caso di specie -tutt’altro che isolata, a denotare, unitamente agli altri -numerosi -fatti gravemente indizianti, il rischio che l’imprenditore sia collocato in un contesto relazionale complessivamente sintomatico di un pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nell’impresa. 8. Il ricorso in appello è pertanto infondato, e come tale deve essere respinto. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la società appellante al pagamento in favore del Ministero dell’Interno delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro cinquemila/00, oltre accessori come per legge. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche menzionate nella motivazione del presente provvedimento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021. LegisLazioneedattuaLità L’interoperabilità: il dialogo necessario tra il digitale e il diritto Gaetana Natale* 1. Interoperabilità e cooperazione applicativa. Il termine “interoperabilità” esprime il concetto moderno, oggi sempre più applicato a molteplici settori, di permettere, mediante procedure tecniche unificanti e standardizzate, l'interscambio di dati e l'interazione dei sistemi nei campi dell'informatica, delle comunicazioni, della sanità, dell’istruzione, dei trasporti ferroviari ed aerei e dei sistemi di sicurezza di un Paese. Più precisamente, il Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2015, in prosieguo “CAD”) definisce l’interoperabilità come la “caratteristica di un sistema informativo, le cui interfacce sono pubbliche e aperte, di interagire in maniera automatica con altri sistemi informativi per lo scambio di informazioni e l’erogazione di servizi” (1). Questa definizione deve essere associata a quella di cooperazione applicativa, definita nel CAD come “la parte del Sistema Pubblico di Connettività finalizzata all’interazione tra i sistemi informativi dei soggetti partecipanti, per garantire l’integrazione dei metadati, delle informazioni, dei processi e procedimenti amministrativi” (2). In breve, la combinazione e l’applicazione dei due principi consente lo scambio dati tra PPAA e i soggetti interessati in modo standard, al fine di consentire lo svolgimento di procedimenti amministrativi complessi, ovvero che (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto di Sistemi giuridici comparati presso l’Università degli Studi di Salerno, Consigliere giuridico del Garante per la Privacy. Un ringraziamento alla Dott.ssa Valentina Sabatino per la redazione delle note. (1) Art. 1, comma 1, lett. dd) D.Lgs. n. 82/2015. (2) Art. 1, comma 1, lett. ee) D.Lgs. n. 82/2015. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 coinvolgono più amministrazioni, ovvero, ancora, più banche dati anche esterne alla Pubblica Amministrazione. Sempre il CAD, in più punti, ribadisce il principio in forza del quale le pubbliche amministrazioni sono tenute a gestire i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (cd. ICT). Lo specifico procedimento, dunque, deve fornire opportuni servizi di interoperabilità o integrazione/cooperazione a carico dell’amministrazione (3). Tali servizi devono risultare conformi alle Linee Guida elaborate dall’AgID (Autorità per l’Italia Digitale) (4). L’art. 71 del Codice dell’Amministrazione Digitale, norma primaria, richiede che le Linee Guida dell’Agid debbano essere adottate su parere positivo rilasciato dal Garante per la Privacy. I punti che rilevano sono: 1) nello scambio di dati tra PPAA chi deve considerarsi titolare del trattamento? 2) che tempo di durata deve avere la conservazione dei dati nell’attività di caching? 3) chi è il responsabile del trattamento dei dati a cui il privato può rivolgersi per eventuali osservazioni o richieste di chiarimento?; 4) vi è una modulazione dei sistemi di sicurezza in relazione al grado di riservatezza dei dati, ad esempio quelli giudiziari? 5) il principio di privacy by design and by default riguarda solo la fase di conservazione o anche la fase di gestione dei dati? Siamo oltre le leggi di Isac Asimov e del concetto di robot e della legge di Moore. È significativo ricordare che il termine “robot” deriva dalla lingua boema “Robota” che significa “lavoro forzato”, nome degli automi che agi (3) G. MAnCA, Interoperabilità nella pubblica amministrazione: presente e futuro digitale, in www.agendadigitale.eu, 6 settembre 2018. (4) L’art. 71 del CAD dispone che “1. L'AgID, previa consultazione pubblica da svolgersi entro il termine di trenta giorni, sentiti le amministrazioni competenti e il Garante per la protezione dei dati personali nelle materie di competenza, nonché acquisito il parere della Conferenza unificata, adotta Linee guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l'attuazione del presente Codice. Le Linee guida divengono efficaci dopo la loro pubblicazione nell'apposita area del sito Internet istituzionale dell'AgID e di essa ne è data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Le Linee guida sono aggiornate o modificate con la procedura di cui al primo periodo. 1-ter. Le regole tecniche di cui al presente codice sono dettate in conformità ai requisiti tecnici di accessibilità di cui all'articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4, alle discipline risultanti dal processo di standardizzazione tecnologica a livello internazionale ed alle normative dell'Unione europea”. Mentre, l’art. 72 del CAD -abrogato dal D.Lgs. 179/2016 -recitava espressamente “1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) "trasporto di dati": i servizi per la realizzazione, gestione ed evoluzione di reti informatiche per la trasmissione di dati, oggetti multimediali e fonia; b) "interoperabilità di base": i servizi per la realizzazione, gestione ed evoluzione di strumenti per lo scambio di documenti informatici fra le pubbliche amministrazioni e tra queste e i cittadini; c) "connettività": l'insieme dei servizi di trasporto di dati e di interoperabilità di base; d) "interoperabilità evoluta": i servizi idonei a favorire la circolazione, lo scambio di dati e informazioni, e l'erogazione fra le pubbliche amministrazioni e tra queste e i cittadini; e) "cooperazione applicativa": la parte del sistema pubblico di connettività finalizzata all'interazione tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni per garantire l'integrazione dei metadati, delle informazioni e dei procedimenti amministrativi”. LeGISLAzIone eD ATTUALITà vano come operai in un dramma di K. Capek. Il termine robot, inteso come “servitore”, richiama il binomio padrone-servitore della “Fenomenologia dello spirito” di Hegel, ma in termini giuridici ci pone il problema di definire il centro di imputazione delle responsabilità nella gestione dei dati. A tal riguardo una precisazione importante viene fatta nel Decreto Legge del 31 maggio 2021 n. 77 (“Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”): l’art. 39 rubricato “Semplificazione dei dati pubblici” modifica l’art. 50 comma 3-bis del Codice dell’amministrazione Digitale precisando che la condivisione dei dati non incide sulla titolarità degli stessi, “fermo restando le responsabilità delle amministrazioni che ricevono e trattano il dato, in qualità di titolari autonomi del trattamento”. Per cogliere gli aspetti problematici del rapporto tra interoperabilità e tutela dei dati personali, occorre chiarire il concetto di interoperabilità, strettamente connesso a quello di cooperazione applicativa. Le pubbliche amministrazioni, infatti, possono dialogare in via digitale non solo con i tradizionali mezzi di trasmissione telematica, ossia la posta elettronica e la posta elettronica certificata, ma anche tramite la cooperazione applicativa. La cooperazione applicativa, ai sensi del CAD, è quella parte del sistema pubblico di connettività (di seguito anche “SPC”) finalizzata all’interazione tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni al fine di garantire l’integrazione dei metadati, delle informazioni e dei procedimenti amministrativi. Il sistema pubblico di connettività (5) costituisce l’infrastruttura telematica abilitante della pubblica amministrazione, definita anche la cd. «autostrada del sole digitale» (6); è l’insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati dell’amministrazione pubblica, necessarie per assicurare l’interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici (7) e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l’au (5) Il Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione, istituito con D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 42 quale evoluzione della rUPA (rete Unitaria della Pubblica Amministrazione) è confluito grazie al D.Lgs. 159/2006 (che ha abrogato il D.Lgs. 42/2005) negli artt. 72 ss. del D.Lgs. 82/2005, modificato dal D.Lgs. 179/2016, poi dal correttivo D.Lgs. 217/17. operativo dal 2007, un quadro consolidato si è avuto con il d.p.c.m. 1° aprile 2008, recante regole tecniche e di sicurezza per il suo funzionamento. (6) L. AMADeI, Il codice dell’amministrazione digitale, in L. PIeTro (a cura di), Dieci lezioni per capire e attuare l’e-government, definisce l’SPC una sorta di “framework” nazionale di interoperabilità. Per M. IASeLLI, La raccomandata on line: disciplina normativa ed aspetti operativi, in Diritto dell’Internet, n. 6, 2006, l’SPC costituisce “l’asse portante per l’applicazione del codice dell’amministrazione digitale”. (7) L’art. 72 del D.Lgs. 82/2005 abrogato forniva una serie di definizioni relative al sistema pubblico di connettività. In particolare, oltre alla cooperazione applicativa (lett. e), l’interoperabilità evoluta (lett. d). rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 tonomia del patrimonio informativo di ciascuna amministrazione (8). È il concetto della cd. “infrastruttura immateriale” alla base dell’economia della conoscenza dei dati. L’art. 73 del Codice dell’Amministrazione Digitale, riguardo al Sistema Pubblico di Connettività, afferma che “1. Nel rispetto dell'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione, e nel rispetto dell'autonomia del- l'organizzazione interna delle funzioni informative delle regioni e delle autonomie locali il presente Capo definisce e disciplina il Sistema pubblico di connettività e cooperazione (SPC), quale insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche che assicura l'interoperabilità tra i sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni, permette il coordinamento informativo e informatico dei dati tra le amministrazioni centrali, regionali e locali e tra queste e i sistemi dell'Unione europea ed è aperto all'adesione da parte dei gestori di servizi pubblici e dei soggetti privati. 2. Il SPC garantisce la sicurezza e la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascun soggetto aderente. 3. La realizzazione del SPC avviene nel rispetto dei seguenti principi: a) sviluppo architetturale e organizzativo atto a garantire la federabilità dei sistemi; b) economicità nell'utilizzo dei servizi di rete, di interoperabilità e di supporto alla cooperazione applicativa; b-bis) aggiornamento continuo del sistema e aderenza alle migliori pratiche internazionali; c) sviluppo del mercato e della concorrenza nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. 3-bis. [Le regole tecniche del Sistema pubblico di connettività sono dettate ai sensi dell'articolo 71] (9). 3-ter. Il SPC è costituito da un insieme di elementi che comprendono: a) infrastrutture, architetture e interfacce tecnologiche; b) linee guida e regole per la cooperazione e l'interoperabilità; c) catalogo di servizi e applicazioni. 3-quater. Ai sensi dell'articolo 71 sono dettate le regole tecniche del Sistema pubblico di connettività e cooperazione, al fine di assicurarne: l'aggiornamento rispetto alla evoluzione della tecnologia; l'aderenza alle linee guida europee in materia di interoperabilità; l'adeguatezza rispetto alle esigenze delle pubbliche amministrazioni e dei suoi utenti; la più efficace e semplice adozione da parte di tutti i soggetti, pubblici e privati, il rispetto di necessari livelli di sicurezza”. Il SPC ha, quindi, il compito di assicurare la sicurezza e il buon esito della (8) Art. 73, co. 2, D.Lgs. 82/2005. (9) Il comma 3-bis è stato abrogato dal D.Lgs. 179/2016, il quale ha modificato gran parte del- l’articolo, riportando nell’art. 57, “Modifiche all'articolo 73 del decreto legislativo n. 82 del 2005”. LeGISLAzIone eD ATTUALITà trasmissione dei dati, esito garantito dai fornitori del servizio, che possono svolgere questa attività solo laddove in possesso di determinati requisiti di qualità e sicurezza. non si tratta quindi solo ed esclusivamente di una rete tecnologica, ma della condizione abilitante per il corretto funzionamento dell’egovernment, dal momento che influenza fortemente le scelte organizzative ed è volta a promuovere la collaborazione tra amministrazioni, finalità quest’ultima estremamente rilevante in un sistema pubblico articolato su molte istruzioni e livelli diversi (10). È proprio la cooperazione applicativa ad entrare in gioco nella trasmissione e nello scambio di dati e informazioni tra amministrazioni: le comunicazioni telematiche, in tal caso, si atteggiano in modo molto diverso rispetto alla posta elettronica e alla posta elettronica certificata che, si può dire, riproducono a livello informatico rispettivamente il meccanismo della posta ordinaria e della raccomandata. nella cooperazione applicativa la comunicazione avviene, invece, attraverso l’interfacciamento fra le porte di dominio (11) delle amministrazioni pubbliche, in quanto si basa sulle capacità di esportare i propri servizi applicativi e di accedere ai servizi erogati da altre amministrazioni attraverso le porte di dominio, punto di contatto telematico fra amministrazioni che gestiscono i messaggi in entrata e in uscita. Le porte di dominio devono rispondere a determinati standard e regole di comunicazione definite; ciò le distingue dai domini che sono invece l’insieme di risorse software, hardware e di comunicazione di una pubblica amministrazione, da intendersi come lo spazio di competenza di ciascuna amministrazione in relazione al proprio sistema informativo e informatico, che per questo possono conservare strutture autonome, dato che la funzione di adattamento è compiuta dalle porte di dominio (12). Di conseguenza, la cooperazione applicativa non si limita all’aspetto tecnologico, ma implica una vera e propria riorganizzazione e reingegnerizzazione dei processi all’interno delle pubbliche amministrazioni. Segna il (10) Appare la traduzione della nozione, elaborata da Sabino Cassese, di “rete come figura organizzativa della collaborazione”. Così C. D’orTA, Il sistema pubblico di connettività: un approccio nuovo alle esigenze della rete delle pubbliche amministrazioni”, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, n. 7, riferendosi a Cassese, “le reti come figura organizzativa della collaborazione”, in S. CASSeSe, Lo spazio giuridico globale, roma-Bari, 2003. (11) La porta di dominio rappresenta un elemento concettuale che ha la funzione di proxy per l’accesso alle risorse applicative del dominio. Fa parte del modello organizzativo di SPCoop e, come tale, trova naturalmente posto nella progettazione concettuale piuttosto che in quella logica o fisica. La PD può essere ricoprire due ruoli: Porta Applicativa -ruolo assunto da una porta di dominio di SPCoop nell’ambito di un episodio di collaborazione applicativa. Assume tale ruolo la porta di dominio che, a seguito della ricezione di un messaggio di richiesta proveniente da un’altra porta di dominio (porta delegata) invia al mittente un messaggio di risposta; Porta Delegata -ruolo assunto da una porta di dominio di SPCoop nell’ambito di un episodio di collaborazione applicativa. Assume tale ruolo la porta di dominio che origina un messaggio di richiesta (di servizio) destinato ad un’altra porta di dominio (porta applicativa). (12) In tal senso F. MArTInI, Il sistema informativo pubblico, in Quaderni del Dipartimento Pubblico, Università di Pisa, Torino, 2006. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 passaggio concreto dall’informatizzazione alla vera e propria “digitalizzazione” in senso non solo formale, ma anche sostanziale nel rispetto del principio “once only”. Sebbene l’importanza del meccanismo di cooperazione si colga primariamente sotto il profilo dello scambio di informazioni e delle comunicazioni che intercorrono tra soggetti pubblici, più in generale la cooperazione costituisce l’asse portante delle relazioni tra amministrazioni e, in quanto tale, dovrebbe essere favorita ed implementata al fine di garantire semplificazione, efficacia e sicurezza nell’ottica di una profonda evoluzione e modernizzazione dell’intero sistema pubblico (13). 2. La tutela dei dati personali. Il comma 2 dell’art. 73 del CAD, pone in rilievo la necessità che l’SPC garantisca “sicurezza” e “riservatezza” delle informazioni: la seconda è da intendere come direttamente -sebbene non unicamente -condizionata dalla prima: è del tutto evidente, difatti, che un sistema non sicuro è potenzialmente idoneo a pregiudicare anche la riservatezza delle informazioni trasmissibili ed acquisibili per il suo tramite. Più precisamente, un sistema non sicuro potrebbe esporre al rischio di data breach, al verificarsi dei quali il regolamento Ue GDPr (n. 679/16) fa discendere l’obbligo di relativa comunicazione all’Autorità Garante Privacy e al ricorrere di determinati presupposti, anche agli interessati cui i dati si riferiscono, in entrambi i casi entro tempi assai ristretti. Senza trascurare l’evenienza di possibili richieste risarcitorie. Gli standard di sicurezza prescritti per l’SPC verranno stabiliti, secondo quanto disposto dal comma 3-quater, dall’AgID, attraverso lo strumento delle Linee Guida di cui all’art. 71 del CAD. Tale aspetto viene ribadito anche dal Consiglio di Stato (14) che, con riferimento all’art. 73, precisa che il SPC (Sistema Pubblico di Connettività) deve garantire la sicurezza e la riservatezza delle informazioni nonché la salvaguardia e l’autonomia del patrimonio informativo di ciascun soggetto aderente secondo le regole tecniche di cui all’art. 71 del CAD. Con Circolare n. 1 del 9 settembre 2020 ed i relativi allegati, l’AgID ha definito la Linea di indirizzo sull’interoperabilità tecnica che tutte le Pubbliche (13) Come rileva F. MArTInI, op. cit., la cooperazione applicativa prospetta di dissolvere i confini di competenza fra amministrazione permettendo ad un’amministrazione di accedere con pieno valore giuridico ai servizi di un’altra. I concetti di interoperabilità e cooperazione applicativa sono considerati fattori chiave e ricevono impulso dalla normativa e dalle politiche dell’Unione europea, anche dall’attuale Agenda Digitale europea. Su interoperabilità e cooperazione applicativa cfr. B. DA ronCH -L. De PIeTro, Interoperabilità e cooperazione applicativa, in L. De PIeTro (a cura di), Dieci lezioni per capire e attuare l’e-government, cit. Sulla cooperazione applicativa e i suoi modelli, cfr. A. MAGGIPInTo. (14) Vedasi parere n. 785 del 23 marzo 2016. Più di recente si segnala il parere del Consiglio di Stato del 26 novembre 2020 n.1940 sull’e-procurement. LeGISLAzIone eD ATTUALITà Amministrazioni devono adottare al fine di garantire l’interoperabilità dei propri sistemi con quelli di altri soggetti e favorire l’implementazione complessiva del Sistema informativo della PA. In particolare, circolare ed allegati si occupano di individuare le tecnologie e gli standard che le PPAA devono tenere in considerazione nella realizzazione dei propri sistemi informatici, al fine di permettere il coordinamento informatico dei dati tra le amministrazioni nonché tra i gestori di servizi pubblici e i soggetti privati e l’Unione europea. L’Agenzia per l’Italia Digitale è, del resto, l’autorità responsabile delle attività di governance con l’obiettivo di definire, condividere e assicurare l’aggiornamento continuo dei seguenti aspetti: -l’insieme delle tecnologie che abilitano l’interoperabilità tra PPAA, cittadini e imprese; -i pattern di interoperabilità (interazione e sicurezza); - i profili di interoperabilità. Tutte le amministrazioni devono, dunque, aderire agli standard tecnologici ed utilizzare pattern e profili del nuovo Modello di interoperabilità, che consentirà di definire ed esporre Application Programming Interface (cd. API) conformi agli standard consolidati anche in ambito eU. Le API realizzate in conformità con il nuovo Modello di Interoperabilità garantiscono in particolare: -tracciabilità delle diverse versioni delle API, allo scopo di consentire evoluzioni non distruttive (versioning); -documentazione coordinata con la versione delle API (documentation); -limitazioni di utilizzo collegate alle caratteristiche delle API stesse e della classe di utilizzatori (throttling); -tracciabilità delle richieste ricevute e del loro esito (logging e accounting); -un adeguato livello di servizio in base alla tipologia del servizio fornito (SLA); - configurazione scalabile delle risorse. Il nuovo Modello di interoperabilità rappresenta un asse portante del Piano triennale per l'informatica nella PA 2020-2022. Come stabilito nel Piano, l'Agenzia per l'Italia Digitale: -fornisce un catalogo delle API e dei servizi disponibili con una interfaccia di accesso unica; -rende disponibili appositi strumenti di cooperazione per agevolare la risoluzione di problematiche relative alle API; - stabilisce e pubblica le metriche di utilizzo delle API. La Circolare n. 1 del 9 settembre 2020 aggiorna, altresì, il Sistema pubblico di cooperazione (SPCoop) proseguendo nel processo di aggiornamento avviato con la determinazione AgID 219/2017. La messa in opera delle regole di interoperabilità, di integrazione e cooperazione per lo scambio di informazioni e l’erogazione di servizi nella PA è un percorso che parte da lontano, ma presenta ancora molte criticità. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 Il tema dell’interoperabilità per lo scambio di informazioni e l’erogazione di servizi nella Pubblica Amministrazione rappresenta, infatti, un tema tra i più importanti per lo sviluppo del digitale nella PA insieme alla gestione del- l’identità digitale anche in chiave anagrafica e di sicurezza dei dati e dei sistemi. non è un caso che nell’ultima versione del “recovery Plan” si citi, tra gli obiettivi di “digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, l’implementazione dell’interoperabilità nella Pubblica Amministrazione, con uno sguardo costante ai dati personali (15). non solo. nel decreto cd. Semplificazioni (16), gli artt. 24 e 25 prevedono una valorizzazione dei sistemi di identificazione digitale Spid e Cie per l'accesso ai servizi on line, rafforzando il concetto di identità digitale anche attraverso il “punto di accesso telematico previsto dall’art. 64-bis”, ossia l’applicazione per smartphone Io, la piattaforma unica per tutte le Pubbliche amministrazioni integrata con le piattaforme abilitanti come pagoPA, Spid e Cie. Allo stesso modo, l’art. 26 prevede una piattaforma unica per la notificazione digitale degli atti della Pubblica Amministrazione, e il comma 15 del- l’art. 26 prevede un’articolata procedura da adottarsi con uno o più DPCM, sentito il Ministero dell' economia e il Garante per la Privacy, nel termine ordinatorio di 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto con cui vengano stabilite le regole tecniche, l’infrastruttura tecnologia e le modalità di inserimento degli atti, nonché il piano test per la verifica del corretto funzio (15) Per uno studio più approfondito si consiglia di consultare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) 2021, pag. 89, che, in tema di dati e interoperabilità, si esprime nei seguenti termini: “Il gap digitale della PA italiana si traduce oggi in ridotta produttività e spesso in un peso non sopportabile per cittadini, residenti e imprese, che debbono accedere alle diverse amministrazioni come silos verticali, non interconnessi tra loro. La trasformazione digitale della PA si prefigge quindi di cambiare l’architettura e le modalità di interconnessione tra le basi dati delle amministrazioni affinché l’accesso ai servizi sia trasversalmente e universalmente basato sul principio “once only”, facendo sì che le informazioni sui cittadini siano a disposizione “una volta per tutte” per le amministrazioni in modo immediato, semplice ed efficace, alleggerendo tempi e costi legati alle richieste di informazioni oggi frammentate tra molteplici enti. Investire sulla piena interoperabilità dei dataset della PA significa introdurre un esteso utilizzo del domicilio digitale (scelto liberamente dai cittadini) e garantire un’esposizione automatica dei dati/attributi di cittadini/residenti e imprese da parte dei database sorgente (dati/attributi costantemente aggiornati nel tempo) a beneficio di ogni processo/servizio “richiedente”. Si verrà a creare una “Piattaforma Nazionale Dati” che offrirà alle amministrazioni un catalogo centrale di “connettori automatici” (le cosiddette “API”-Application Programming Interface) consultabili e accessibili tramite un servizio dedicato, in un contesto integralmente conforme alle leggi europee sulla privacy, evitando così al cittadino di dover fornire più volte la stessa informazione a diverse amministrazioni. La realizzazione della Piattaforma Nazionale Dati sarà accompagnata da un progetto finalizzato a garantire la piena partecipazione dell’Italia all’iniziativa Europea del Single Digital Gateway, che consentirà l’armonizzazione tra tutti gli Stati Membri e la completa digitalizzazione di un insieme di procedure/servizi di particolare rilevanza (ad es. richiesta del certificato di nascita, ecc.)”. (16) D.L. n. 76 del 16 luglio 2020, convertito in legge n. 120/20. LeGISLAzIone eD ATTUALITà namento. Ultimato il test, con atto del Capo della competente struttura presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri “è fissato il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possono aderire alla piattaforma”. Anche per l’elenco dei domicili digitali il comma 3-bis dell’art. 3-bis prevede che sia un DPCM, sentito Agid, il Garante per la Privacy e la Conferenza unificata, a fissare la data in cui le comunicazioni tra i soggetti non digitale e la PA avvenga “esclusivamente in forma elettronica”, mettendosi a disposizione di tali soggetti un domicilio digitale o altre modalità per superare il Digital divide. occorre precisare che più recentemente il Ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Colao ha annunciato il progetto di realizzazione di una rete Unica Digitale entro il 2026 con la necessità di un’unificazione dello Spid con la carta di identità elettronica. La tutela dei dati personali verrà a realizzarsi, anche in questo caso, con il rispetto delle procedure standardizzate contenute nelle Linee Guida Agid da aggiornarsi con l’evoluzione continua dei protocolli informatici grazie anche all’apporto tecnico di un apposito Dipartimento, il Dipartimento per la trasformazione digitale, struttura di supporto al Ministro per l’innovazione e la transizione digitale per la promozione il coordinamento delle azioni Governo finalizzate alla definizione di una strategia unitaria in materia di trasformazione digitale e di modernizzazione del Paese. 3. La Blockchain e la tutela dei dati personali. Un campo in cui la tutela dei dati personali viene messa maggiormente in discussione è quello della tecnologia Blockchain (17) che si sta applicando in vari settori dell’agire pubblico, sanitario, appalti, transazioni. Tale tecnologia si scontra con i due principi cardini del GDPr (18): i dati inseriti nelle blockchain sono pubblici ed accessibili da chiunque partecipi alla catena e i dati presenti nelle blockchain sono conservati illimitatamente. Le parole chiave del GDPr, ossia centralizzazione, limitazione e rimovibilità, si pongono in contrasto con la tecnologia blockchain basata su decentralizzazione, distribuzione e immutabilità. La tutela del dato personale risiede sempre in un hash crittografato (19) e nella anomizzazione dei soggetti coinvolti. (17) La blockchain è una particolare tecnologia di registro distribuito (DLT), in grado di registrare scambi e informazioni in modo sicuro e permanente, mediante la condivisione di un database che rimuove essenzialmente la necessità degli intermediari i quali, in precedenza, erano tenuti ad agire come terze parti di fiducia per verificare, registrare e coordinare i dati. (18) regolamento Ce del Parlamento europeo n. 679/2016 (General Data Protection Regulation). (19) Una funzione hash crittografica fa parte di un gruppo di funzioni hash adatte per applicazioni crittografiche come SSL /TLS. Come altre funzioni hash, le funzioni hash crittografiche sono algoritmi matematici unidirezionali utilizzati per mappare i dati di qualsiasi dimensione su una stringa di bit di una dimensione fissa. Le funzioni hash crittografiche sono ampiamente utilizzate nelle pratiche di sicurezza delle informazioni, quali firme digitali, codici di autenticazione dei messaggi e altre forme di autenticazione. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 I servizi di gestione dei dati e l'architettura dei dati, progettati per conservare, utilizzare, riutilizzare e organizzare i dati, sono componenti decisivi della catena del valore dell'economia digitale europea (20). Per questo motivo, si pone l’attenzione sui costi e sulle competenze inerenti all'accesso e alla conservazione dei dati, che determinano la velocità, la profondità e la portata del- l'adozione di infrastrutture e prodotti digitali, in particolare per le PMI e le start-up (21). negli ultimi anni, infatti, si sono sviluppati tanto gli ecosistemi tecnologici (22) basati e sviluppati sul web, quanto, di conseguenza, i relativi problemi in ambito di sicurezza e trattamento dei dati, non solo delle aziende o dei professionisti, ma di tutti gli utenti in generale. È chiaro che qualsiasi strumento, se usato in modo improprio, può causare danni, più o meno gravi. Spesso, quindi, non è tanto lo strumento in sè ad essere la causa del danno, bensì le modalità attraverso cui viene utilizzato, il che vale anche per gli strumenti più semplici. Tali problematiche investono naturalmente anche l’utilizzo della Blockchain. Molto spesso si è inclini a collocare la blockchain nell’ambito dei Bitcoin, delle criptovalute o delle transazioni finanziarie; ma la blockchain può dare risposte assolutamente innovative anche sul piano della creazione di un sistema di relazioni interamente basato su un nuovo concetto di fiducia. In questo caso, occorre trovare uno strumento di disintermediazione, che permetta di dare un indirizzo di vita quotidiana per creare ecosostenibilità e benessere attraverso il digitale. Il che tradotto significa che la blockchain nella PA può e deve apportare dei benefici al cittadino e non la sola funzionalità (23). La blockchain di per sé è lo strumento che, se usato in modo inappropriato, può portare ad incorrere in situazioni contrarie alle normative nazionali e/o sovranazionali approvate a tutela del diritto alla riservatezza del cittadino. Il caso lampante è quello del trattamento dei dati personali (24). In merito all’adeguamento della blockchain al regolamento Ue 2016/679, lo scoglio apparentemente insormontabile è garantire i diritti dell’interessato, disciplinati al capo III, negli artt. 12-23 del regolamento in oggetto. In particolar modo la peculiarità intrinseca della blockchain della non mo (20) G. D’ACQUISTo, Blockchain e GDPR: verso un approccio basato sul rischio, in www.federalismi. it, 18 gennaio 2021. (21) C. MoreLLI, Dallo spazio economico europeo allo spazio comune dei data UE, in www.altalex. com, 22 marzo 2021. (22) r.D. CArDenAS eSPInoSA e altri, “Ecosistemi tecnologici per la ricerca formativa nel contesto”, ed. Sapienza, 2020. (23) W. nonnIS, Blockchain, il suo contributo durante la pandemia, in www.blockchain4innovation. it, 19 aprile 2021. (24) A. BeLLo, “Blockchain e privacy: soluzioni per la compliance alle norme”, 15 maggio 2019, in agendadigitale.eu; M. IASeLLI, “Blockchain e privacy, bisogna lavorare ancora molto”, luglio 2020, in federprivacy.org. LeGISLAzIone eD ATTUALITà dificabilità e cancellazione risulta essere in forte contrasto con il più noto (per il clamore datogli post GDPr) “diritto all’oblio” sancito nell’art. 17 del GDPr. Secondo lo studio condotto dalla “Queen Mary University” di Londra, sarebbe ipotizzabile una blockchain compliance al GDPr mediante la crittografia dei dati personali e la successiva eliminazione delle corrispettive chiavi decrittografiche, lasciando su blockchain solo i dati indecifrabili o mediante l’uso dei cosiddetti modelli di memoria “fuori catena” (25). Come sostiene n. Boldrini (26), infatti, le tecnologie Blockchain stanno rompendo molti schemi, soprattutto quelle di natura pubblica su cui si basa la circolazione delle criptovalute bitcoin ed ethereum, ed introducono nuovi paradigmi compresi quelli di natura legale. In quest’ottica, diventa interessante capire il binomio Blockchain e GDPr, ossia come la Blockchain potrà supportare e rispettare le regole sulla protezione dei dati personali introdotte dal GDPr. La tecnologia Blockchain consente transazioni tra le parti senza dover rivelare la propria identità direttamente. Tuttavia, ogni transazione che viene eseguita viene pubblicata e collegata a una chiave pubblica che rappresenta perciò uno pseudonimo di un determinato utente. Sebbene la chiave pubblica non contenga informazioni direttamente riconducibili all’utente, l’utilizzo della medesima chiave per diverse transazioni e l’incrocio con altre informazioni potrebbero consentire di individuare gli autori di una determinata transazione. ne consegue che la chiave pubblica, se associata a una persona, potrà eventualmente essere qualificata come dato personale ai fini della legislazione europea sulla protezione dei dati. Infatti, quando la chiave pubblica è ricondotta a un soggetto identificato, è possibile ottenere informazioni su tutte le transazioni che il soggetto ha compiuto sulla blockchain. Di conseguenza, le norme sulla protezione dei dati potrebbero essere applicabili ad almeno alcuni dei dati coinvolti nelle soluzioni Blockchain (27). Qualora si intenda utilizzare la blockchain come storage (28) di tutti i dati degli utenti, anziché, per esempio, creare una linea privata dove immagazzinare (cd. storare) i dati sensibili accoppiandola ad una blockchain da usare in formato “notarile” è importante sapere che: -i dati archiviati in una blockchain sono a prova di manomissione: questo si traduce in un’impossibilità pura (derivante da codifica della blockchain) di cancellazione dei dati, una volta che essi verranno immessi nella catena distribuita; (25) A. BeLLo, Blockchain e privacy: soluzioni per la compliance alle norme, in www.agendadigitale. eu, 15 maggio 2019. (26) n. BoLDrInI, “Blockchain e GDPR: le sfide (e le opportunità) per la protezione dei dati”, 2018, in blockchain4innovation.it. (27) V. PorTALe, Quanto è legale la Blockchain? La compatibilità tra Blockchain e normativa GDPR, in www.blog.osservatori.net, 31 luglio 2020. (28) Supporto di memorizzazione dei dati. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 -le Blockchain sono distribuite, quindi nemmeno il controllo sui dati può essere centralizzato ed è demandato a tutti i partecipanti alla blockchain (29); -gli Smart Contract (contratti intelligenti) (30) sono creati per essere automatizzati sotto il profilo decisionale: questo può aprire quindi criticità comprensibilmente non banali sul fronte, per esempio, di casi di impugnazioni e contestazioni. In linea generale, ciò che si pone in contrasto con il GDPr, in questo caso, sono due dei principi che fino ad oggi hanno costituito il cardine su cui si sono affermati il valore ed il potere della Blockchain (31), ossia: -i dati inseriti nelle blockchain sono pubblici ed accessibili da chiunque partecipi alla catena; - i dati presenti nelle blockchain sono conservati illimitatamente (32). Viceversa, se volessimo riassumere in breve ciò che caratterizza il GDPr potremmo utilizzare tre parole chiave: centralizzazione, limitazione e rimovibilità (cancellazione), termini che ovviamente, anche solo ad una prima lettura, si pongono in netto contrasto con i fondamenti che, al contrario, costituiscono la base della blockchain, ossia decentralizzazione, distribuzione ed immutabilità. Come noto, il GDPr conferisce ai residenti nel territorio europeo una serie di diritti esecutivi in relazione al trattamento dei propri dati personali, i quali risultano comprensibili nel contesto di un database centralizzato controllato da un singolo controller di dati con un insieme finito di processori (33). Se partiamo dall’assunto che, in generale, le Blockchain si concentrano principalmente sulla protezione dell’identità più che sui dati ad essa associati, il parallelismo con la “Carta dei diritti digitali” delle persone appare evidente, dato che il GDPr nasce come volontà di restituire alle persone (34) il “potere” sui propri dati personali. In linea di principio, attraverso la Blockchain un utente è sempre in grado di controllare i propri dati personali, anzi, è l’unico a sapere a che informazioni corrisponde la propria chiave pubblica. nonostante le sfide legate principalmente a immutabilità e replicazione siano indubbiamente delicate e sarà necessario attendere le interpretazioni del legislatore europeo per avere un quadro di diritto completo, ad oggi ci sono (29) Al più ai miners, che comunque non possono essere considerati dei Data Protection officer come richiesto da GDPr. (30) Vedi parere Consiglio di Stato del 26 novembre 2020, n. 1940 sullo Schema di regolamento recante le modalità di digitalizzazione delle procedure dei contratti pubblici (cd. e-procurement). (31) A. GAMBIno, C. BoMPrezzI, Blockchain e titolare del trattamento dei dati personali: il nodo rimane irrisolto, in www.iaic.it, 20 gennaio 2020. (32) A garanzia e tutela dell’intero registro distribuito. (33) D. MArCIAno, G. CAPACCIoLI, La blockchain ed il problema del trattamento dei dati personali, in www.affidaty.io, 4 giugno 2019. (34) In una Blockchain diremmo quindi l’identità. LeGISLAzIone eD ATTUALITà delle possibili “vie” di prevenzione (35), ossia di applicabilità della blockchain in conformità a quanto stabilito dal GDPr. Va, tuttavia, fatta un’ulteriore precisazione sulla sicurezza crittografica: «la crittografia non libera persone ed aziende dalle proprie responsabilità sul controllo dei dati perché -per dirla senza mezzi termini -tutta la crittografia può essere violata», avverte rutjes (36). «Questo vale anche per gli hash crittografici che, nell’interpretazione del gruppo di lavoro di esperti tecnici dell’Unione Europea, è da considerarsi come dato personale. A mio avviso che un hash sia una stringa di codice ben progettata è sufficientemente sicura e anonima dal mettere al riparo i dati personali di chi possiede le chiavi crittografiche; tuttavia, sarà la Corte di Giustizia Europea a doversi pronunciare in merito». Per quanto riguarda i conflitti attorno alle caratteristiche uniche della blockchain, la soluzione è semplice, scrive rutjes nel suo post: “memorizzare i dati personali al di fuori della blockchain, ad esempio in un database privato. In generale, è buona norma limitare la quantità di informazioni condivise nel libro mastro; ancora di più con informazioni personali o comunque sensibili». L’opportunità potenziale è l’abilitazione di un futuro in cui la fornitura di servizi pubblici sia più vicina alla persona e alle imprese, creando delle condizioni di maggior sviluppo e integrazione economica e sociale. I cosiddetti smart contract (37) si candidano quali strumenti adatti a portare miglioramenti sostanziali in termini di conformità, uniformità, standardizzazione ed implementazione della catena di responsabilità. Trattandosi di tecnologie ancora in fase di completamento del proprio ciclo di sviluppo, è fondamentale maturare degli elementi di valutazione delle diverse opzioni disponibili in quanto a paradigma di adozione, considerando gli specifici obiettivi dei relativi ambiti di applicazione. Temi quali privacy, sicurezza, solidità e scalabilità diventano ancor più centrali e strategici quando la loro contestualizzazione avviene in ambiti di investimento pubblico; è pertanto necessario comprendere come la tecnologia sia lo strumento di implementazione di un modello che porta un effetto di trasformazione con implicazioni etiche e sociali. In questa prospettiva va collocata l’iniziativa di creazione della European Blockchain Service Infrastructure (eBSI) (38), azione congiunta della Com (35) Come, ad esempio, la crittografia o i codici Qr, protocolli informatici che prevedano htpp cache control. (36) A. rUTjeS, “Blockchain and GDPR: better safe than sorry”, 2018. (37) Protocolli informatici che facilitano, verificano o fanno rispettare la negoziazione o l'esecuzione di un contratto, permettendo talvolta la parziale o la totale esclusione di una clausola contrattuale. Gli smart contract, di solito, hanno anche una interfaccia utente e spesso simulano la logica delle clausole contrattuali. (38) Alla base dell’avvio del progetto eBSI c’è l’European Blockchain Partnership (promossa nel 2018), ossia un’iniziativa voluta dall’Unione europea che punta a favorire la collaborazione tra gli rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 missione europea e del partenariato europeo Blockchain (eBP) per fornire servizi pubblici transnazionali sicuri a livello dell’Ue utilizzando le tecnologie blockchain. Periodi di difficoltà e di incertezza, come quelli che stiamo attraversando in questi mesi, possono essere trasformati in occasioni per introdurre degli elementi di discontinuità che si candidano quali fattori decisivi per una visione programmatica di ripresa e sviluppo (naturale appare un richiamo al Pnrr). È necessario quindi affrontare resistenze culturali (e a volte ideologiche) che spesso ostacolano l’ingresso di nuove tecnologie, tramutandole in opportunità concrete di trasformazione attraverso delle progettualità di sistema per generare nuove prospettive di valore per cittadini e imprenditori (39). Stati membri per lo scambio di esperienze e di expertise, sia sul piano tecnico sia su quello della regolamentazione. L’Italia è entrata a far parte del partenariato il 27 settembre 2018. Secondo gli obiettivi del partenariato, lo sviluppo dell’infrastruttura permetterà di condividere in maniera sicura informazioni come, ad esempio, dati doganali e fiscali dell’Ue, documenti di audit di progetti finanziati, certificazioni transfrontaliere di diplomi e sulle qualifiche professionali e le identità digitali (eIDAS). (39) P. GHezzI, Blockchain, quali prospettive per le politiche pubbliche, in www.blockchain4innovation. it, 14 aprile 2021. LeGISLAzIone eD ATTUALITà il rapporto di esclusività del dipendente pubblico e il problema della incompatibilità successiva all’interruzione del rapporto di lavoro: la questione dell’avvocato dello stato Sofia Lanna* SoMMARIo: 1. L’obbligo di esclusività del dipendente pubblico: l’art. 53 del T.U.P.I. 2. L’orientamento della giurisprudenza più recente -3. La questione della c.d. incompatibilità successiva e la categoria degli Avvocati dello Stato: conclusioni. 1. L’obbligo di esclusività del dipendente pubblico: l’art. 53 del T.U.P.I. Come noto, la normativa sul pubblico impiego, contenuta nel T.U.P.I. di cui al D.lgs. n. 165 del 2001, prevede un obbligo di esclusività del dipendente pubblico, il quale non può svolgere attività imprenditoriale, professionale o di lavoro autonomo e instaurare rapporti di lavoro alle dipendenze di terzi o accettare cariche o incarichi in società o enti che abbiano fini di lucro. La ratio di tale scelta sta nel fatto che il lavoratore, in ragione di tale dovere, è così tenuto a riservare in via esclusiva, per tutta la durata del rapporto di lavoro, le proprie energie lavorative all'ufficio di appartenenza (s.v. sul punto la sentenza della Cass. n. 31277/2019). L’art. 53 del T.U. sul pubblico impiego rappresenta il punto di riferimento in materia (1). (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (Vice avv. gen. Giuseppe Albenzio, avv. Stato Ilia Massarelli). (1) art. 53. incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi. 1. resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina.. 1-bis. non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni. 2. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati. 3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 3-bis. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2. 4. nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative. 5. In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. 6. I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Sono nulli tutti gli atti e provvedimenti comunque denominati, regolamentari e amministrativi, adottati dalle amministrazioni di appartenenza in contrasto con il presente comma. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi e le prestazioni derivanti. a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica. 7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. 7-bis. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti. 8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. 9. Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Ai LeGISLAzIone eD ATTUALITà fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'articolo 6, comma 1, del de- creto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze. 10. L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata. 11. entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici. 12. Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto. [La comunicazione è accompagnata da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. entro il 30 giugno di ciascun anno e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi]. 13. entro il 30 giugno di ciascun anno le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all'anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11. 14. Al fine della verifica dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio; sono altresì tenute a comunicare semestralmente l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l'indicazione della ragione del- l'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico nonché l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica ai sensi del presente articolo, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del presente comma in formato rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 Tale disposizione, che si applica a tutti i dipendenti pubblici, al comma 1 (come modificato dalla L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 8, lett. b)), richiama espressamente il principio generale in materia di incompatibilità e di cumulo di incarichi ed impieghi di cui al D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 60 secondo il quale: "l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria nè alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro", salve le deroghe previste dall'art. 23-bis del decreto e quelle relative ai rapporti di lavoro a tempo parziale. Le ultime modifiche in materia sono state apportate, in ordine cronologico, dalla L. n. 190 del 2012 per la prevenzione e la repressione della corruzione nella Pubblica Amministrazione, dal D.lgs. n. 39 del 2013 in tema d'incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, dal D.P.r. n. 62 del 2013, recante il nuovo codice di condotta del pubblico dipendente, dal D.lgs. n. 75 del 2017 (Modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego) con riferimento agli incarichi conferiti successivamente al 1 gennaio 2018, che è intervenuto senza modificare l'art. 53, comma 1 menzionato. La disciplina delle incompatibilità, in ragione dei suoi addentellati costituzionali, è interamente sottratta alla contrattazione collettiva, e ciò in ragione di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, come affermato dalla Suprema Corte nella sentenza del 26 marzo 2010, n. 7343, sono preclusivi della stessa costituzione del rapporto di lavoro, in base all'art. 98 Cost. che, affermando che "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Na digitale standard aperto. entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza. 15. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9. 16. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi. 16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della funzione pubblica può disporre verifiche del rispetto delle disposizioni del presente articolo e dell'articolo 1, commi 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale fine quest'ultimo opera d'intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato. 16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti. LeGISLAzIone eD ATTUALITà zione", va a completare e rafforzare quanto previsto dall’art. 97 Cost. con riguardo al principio di imparzialità. L’art. 53 del D.lgs. n. 165 del 2001, dunque, disciplina la materia delle incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi secondo cui, in generale, i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato non possono intrattenere altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo o esercitare attività imprenditoriali. Di conseguenza, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni potranno svolgere incarichi retribuiti conferiti da altri soggetti, pubblici o privati, solo ove ricorra una specifica autorizzazione conferita dall’amministrazione di appartenenza mediante criteri oggettivi e predeterminati connessi alla specifica professionalità del soggetto. Tali criteri, secondo quanto stabilito dalla disposizione, sono diretti ad evitare che i dipendenti svolgano attività in casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni ad essi attribuite. Il conferimento dei predetti incarichi senza la previa autorizzazione comporta, per il funzionario responsabile del procedimento, un’infrazione disciplinare, la nullità di diritto del provvedimento e il versamento del compenso previsto come corrispettivo dell'incarico direttamente all’amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Per quanto riguarda, invece, la figura del dipendente che svolge l’incarico in assenza di autorizzazione, questi sarà responsabile disciplinarmente e il relativo compenso dovuto sarà versato, da questi o dall’erogante, nel conto del- l'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. A tal proposito, così come previsto dall’articolo 16 del D.lgs. n. 39 del 2013, l'Autorità nazionale anticorruzione, AnAC, vigila precipuamente sulla corretta osservanza, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190, anche con l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi. 2. L’orientamento della giurisprudenza più recente. Sembra opportuno richiamare, sul punto, la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, sez. lav., 13 aprile 2021, n. 9660, in materia di incompatibilità dell'impiego pubblico part-time ed esercizio dell'azione forense a tutela dell'imparzialità della Pubblica Amministrazione. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 Secondo quanto statuito dalla Suprema Corte, la disciplina prevista dalla L. n. 339 del 2003, che sancisce l'incompatibilità tra impiego pubblico parttime ed esercizio della professione forense, essendo diretta a tutelare interessi di rango costituzionale quali, da un lato, l'imparzialità e il buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), nonché, dall'altro, l'indipendenza della professione forense (in quanto strumentale all'effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost.), trova applicazione anche nei confronti di chi abbia ottenuto l'iscrizione all'albo degli avvocati in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 662 del 1996 atteso che un'operatività limitata solo per l'avvenire "otterrebbe il risultato, certamente irragionevole, di conservare ad esaurimento una riserva di lavoratori pubblici part time, contemporaneamente avvocati, all'interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella stessa persona". Sul punto, sotto il profilo normativo, balza immediatamente in primo piano l'art. 3, co. 2, del r.D.L. n. 1578/1933 di disciplina dell'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, secondo cui l'esercizio di tali professioni «è incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Provincie, dei Comuni ... e in generale di qualsiasi altra Amministrazione o Istituzione pubblica soggetta a tutela e vigilanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni», escludendo peraltro dal- l'incompatibilità (co. 4 lett. a) «i professori e gli assistenti delle Università e degli altri Istituti superiori ed i professori degli Istituti secondari». Ancora, si deve richiamare l'art. 60 del D.P.r. n. 3/1957 il quale stabilisce che «l’impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente» ed il successivo art. 63 che regola l'ipotesi di incompatibilità quale ragione di decadenza dall'impiego, previa diffida. È poi stata introdotta la L. 339/2003, contenente «norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato» la quale, all'art. 1, esclude gli avvocati dall'applicazione dell'art. 1, co. 56 (e 56-bis) della L. n. 662/1996 regolando all'art. 2 una facoltà di opzione per i dipendenti iscritti all'albo degli avvocati dopo l'entrata in vigore della L. n. 662/1996, dando la possibilità di scegliere nel termine di trentasei mesi per il mantenimento del- l'impiego pubblico o in alternativa della professione forense, con facoltà in quest'ultimo caso ed entro cinque anni, di essere riammessi all'impiego pubblico. Infine, da ultimo, l'art. 19 della L. n. 247/2012, in ordine alla «nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense», prevede che, nonostante l'incompatibilità con il lavoro autonomo, l'attività di impresa e il lavoro subordinato (art. 18 della stessa legge), l'esercizio della professione di avvocato LeGISLAzIone eD ATTUALITà è compatibile con l'insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nell'università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti. ricordiamo, inoltre, sul punto, la pronuncia della Corte Costituzionale, 21 novembre 2006, n. 390, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della Legge del 25 novembre 2003 n. 339, censurati, in riferimento agli artt. 3 e 4 cost., laddove stabiliscono, rispettivamente, che i commi 56, 56-bis e 57 dell'art. 1 L. 23 dicembre 1996 n. 662 -i quali consentono l'iscrizione agli albi professionali dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale quando la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno -non si applicano all'iscrizione all'albo degli avvocati (art. 1) e che i pubblici dipendenti che hanno ottenuto l'iscrizione a detto albo successivamente alla data di entrata in vigore della L. 23 dicembre 1996 n. 662 e risultanti ancora iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto di impiego (con conseguente cancellazione dall'albo) o per l'esercizio della professione forense (art. 2). Infatti, a detta della Corte, la scelta del legislatore di escludere la sola professione forense dall’insieme di quelle quali i pubblici dipendenti a rapporto part-time ridotto possono accedere non è manifestamente irragionevole, in quanto tale professione presenta maggiori e più frequenti rischi di inconvenienti derivanti dalla "commistione" fra pubblico impiego e libera professione, e questo proprio perché il divieto previsto e ripristinato dalla L. n. 339 del 2003 ben si attaglia alla caratteristica dell'incompatibilità con qualsiasi "impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario'' (art. 3 r.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 sull'ordinamento della professione di avvocato), e perché le eccezioni alla regola che dispone l'incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro subordinato non implicano il venir meno della coerenza del sistema legislativo attualmente vigente. e dunque, così come in precedenza affermato circa la ragionevolezza della disciplina del 1996, parimenti non può definirsi irragionevole la differente e contraria disciplina del 2003, avendo il legislatore, nell'un caso e nel- l'altro, esercitato legittimamente il suo potere discrezionale (art. 28 della L. 11 marzo 1953 n. 87), risultando, pertanto, infondate anche le censure di violazione degli artt. 4 e 35 della Carta costituzionale. nel caso di specie, un dipendente dell’Avvocatura dello Stato, in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione forense, aveva chiesto alla propria Amministrazione -secondo quanto previsto nell’articolo 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996 -la trasformazione del proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, al fine di esercitare la professione di avvocato. L’Amministrazione non accoglieva tale richiesta in rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 ragione di un ritenuto conflitto d’interessi che sarebbe sorto dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’Avvocatura e dal contestuale esercizio della professione forense. Con la sentenza sopra richiamata la Suprema Corte, in definitiva, ritiene che gli interessi tutelati dall'insieme delle disposizioni di legge coinvolte sono, da un lato, quello del libero esercizio della professione forense e, dall’altro, quello dell'imparzialità e del buon andamento della P.A. In tal guisa, spetta, così come riconosciuto dal Collegio, al Consiglio del- l'ordine professionale e alla Pubblica Amministrazione di appartenenza il compito di valutare, nell'esercizio dei propri poteri, se autorizzare o negare il cumulo delle attività richiesto, in modo tale da poter bilanciare correttamente i diversi interessi secondo canoni di imparzialità e buon andamento, oltre che nell’ottica di preservare il corretto esercizio della professione legale. La Corte ha sostenuto, inoltre, che l’attività della ricorrente non possa inserirsi neppure nell’ambito delle deroghe relative all’insegnamento e alla ricerca di cui all'art. 3 lett. a) del r.D.L. 1578/1933 ed ora all'art. 19 della L. 247/2012, in quanto tali interessi sono ritenuti prevalenti e non confliggenti, costituendo eccezioni ad una regola, quella dell'incompatibilità, che è stata designata dal legislatore al precipuo fine di evitare tutti quei rischi, concreti e frequenti, che possono derivare dalla “commistione” tra attività forense e pubblico impiego. 3. La questione della c.d. incompatibilità successiva e la categoria degli Avvocati dello Stato: conclusioni. Premessi tali brevi cenni sull’inquadramento normativo del dovere di esclusività nel settore del pubblico impiego, ci si interroga su quale sia la disciplina applicabile per gli Avvocati dello Stato che decidano di esercitare la libera professione forense successivamente al collocamento a riposo, così come stabilito nell’art. 34 del r.D. n. 1611/1933. ricordiamo infatti che, ai sensi dell’art. 3 del T.U.P.I., gli Avvocati dello Stato rientrano a pieno nella categoria dei pubblici impiegati. Quid iuris, dunque, del dovere di esclusività una volta interrotto il rapporto di lavoro per via del raggiungimento del collocamento a riposo? Ad esempio, quali ostacoli potrebbero palesarsi all’Avvocato dello Stato, dipendente pubblico, che decida di proseguire la propria professione come avvocato del libero foro a seguito del raggiungimento della propria pensione? Che limiti potrebbe incontrare, questi, dal punto di vista professionale, rispetto alle Pubbliche Amministrazioni al servizio delle quali, in passato, ha operato? e, ancora, quali vincoli avrebbe rispetto alla struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri, dalla quale dipendono direttamente gli uffici del- l’Avvocatura Generale dello Stato? In primo luogo, al fine di fornire una risposta soddisfacente a tali quesiti, è necessario far riferimento alla ratio dell’art. 53 T.U.P.I. Come già in prece LeGISLAzIone eD ATTUALITà denza affermato, il fine perseguito dalla norma è quello di far sì che il lavoratore pubblico impiegato concentri le proprie energie lavorative nello svolgimento delle mansioni attribuitegli dalla pubblica amministrazione di appartenenza. Partendo da tale assunto, pertanto, è facile giungere alla conclusione generale per la quale, una volta cessato il rapporto di lavoro, il soggetto che decida di dedicarsi a nuovi incarichi sarà libero di svolgerli, senza alcun ulteriore vincolo. Viene, infatti, meno la stessa ragion d’essere dell’applicazione della norma, non essendo, infatti, più necessario preservare il buon andamento del- l’attività pubblica nel momento in cui lo stesso rapporto di servizio con l’amministrazione giunge al termine. Qualora, poi, si voglia derogare a tale regola generale, sarà necessaria una specifica puntualizzazione da parte del legislatore. Ad esempio, nel comma 16-ter dell’art. 53 più volte menzionato, si legge che: “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”. Tale disposizione sembrerebbe proprio confermare ed avvalorare la tesi sopraindicata in quanto lo stesso legislatore ha ravvisato l’esigenza di intervenire positivamente specificando un’ipotesi di c.d. “incompatibilità successiva” alla cessazione del lavoro di pubblico impiego, peraltro temporalmente e oggettivamente limitata. Tornando alla specifica ipotesi concernente l’Avvocato dello Stato, dunque, sarà necessario verificare se esista o meno una specifica disposizione che impedisca giuridicamente a questi di esercitare la libera professione forense a seguito dell’intervenuto raggiungimento del collocamento a riposo o che, comunque, gli imponga determinati vincoli nei confronti delle pubbliche amministrazioni con le quali, nel corso del proprio percorso lavorativo, si sia relazionato. Sarà, dunque, utile analizzare con attenzione quanto disposto dal Codice etico dell’Avvocatura dello Stato (Deliberazione del Comitato nazionale del- l’Associazione Unitaria degli avvocati e procuratori dello Stato del 5 maggio 1994 e modifiche della Giunta e del Comitato nazionale dell’Associazione ex art. 54 del T.U. 165 del 2001 come modificato dalla legge n. 190 del 2012 Deliberazione del Comitato direttivo dell’Associazione nazionale Avvocati e rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 Procuratori dello Stato del 12 luglio 2013) (2). Dall’attenta lettura di tale documento non risulta alcun riferimento di ordine professionalmente etico alla c.d. incompatibilità successiva. Un altro riferimento normativo può essere quello dell’art. 24, comma 1, del regio Decreto del 30 ottobre 1933, n. 1611, secondo il quale: “I funzionari dell'Avvocatura dello Stato non possono occupare altri pubblici impieghi, né esercitare la mercatura o altra professione, né senza l'autorizzazione dell'Avvocato generale dello Stato, assumere incarichi retribuiti di qualsiasi genere”. Anche in questo caso, si rinviene il principio generale dell’esclusività del pubblico impiegato nel corso del rapporto di servizio. Ma, appunto, si deve far esclusivamente riferimento al rapporto di servizio in atto, non essendo d’altronde possibile immaginare la necessità di un’autorizzazione dell’Avvocato Generale dello Stato una volta terminato il rapporto stesso. In conclusione, dunque, a parere di chi scrive, non dovrebbero sostanziarsi particolari ostacoli, dal punto di vista puramente giuridico, con riguardo alla scelta compiuta dall’Avvocato dello Stato, collocato a riposo, di proseguire la propria carriera nel privato. Infatti, l’obbligo di esclusività dovrà ritenersi cessato nel momento in cui viene meno il medesimo rapporto di lavoro che ne costituisce la fonte, non essendo presenti nell’ordinamento particolari norme in grado di derogare a tale regola generale. La suprema Corte si pronuncia sulla questione concernente l'incompatibilità tra impiego pubblico part-time ed esercizio della professione forense. Cassazione civile, sezione Lavoro, sentenza del 13 aprile 2021, n. 9660 -Pres. L. Tria, Rel. r. Bellè -V.L. (avv.ti G. Verde e n. rizzo) c. Università degli Studi di napoli Federico II (avv. A. Abignente). La legge n. 339 del 2003 -concernente l’incompatibilità tra impiego pubblico part-time ed esercizio della professione forense -è applicabile anche nei confronti di coloro che si siano iscritti all’albo degli avvocati anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996, posto che tale disciplina è volta a tutelare sia interessi costituzionalmente garantiti, quali l’imparzialità ed il buon andamento delle Pubbliche Amministrazioni, sia l'interesse generale al corretto esercizio della professione forense, strumentale all’effettività dell’esercizio del diritto di difesa, e alla fedeltà dei pubblici dipendenti. In senso contrario, un'operatività limitata solo pro futuro condurrebbe, del tutto irragionevolmente, ad una conservazione ad esaurimento di una riserva di lavoratori pubblici part-time, contemporaneamente avvocati, all'interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella medesima persona. (2) Qui consultabile: https://www.avvocaturastato.it/files/files/Codice_etico_Avvocatura_Stato.pdf. LeGISLAzIone eD ATTUALITà FATTI DI CAUSA 1. La Corte d'Appello di napoli ha rigettato l'appello proposto da V.L. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, pur annullando le sanzioni disciplinari di sospensione dal servizio applicate dall'Università Federico II nei confronti della medesima per lo svolgimento di attività di avvocato contestualmente al servizio quale dipendente dell'Ateneo, aveva invece disatteso la domanda espressamente formulata dalla lavoratrice per l'accertamento dell'assenza di incompatibilità tra il rapporto di lavoro dipendente e l'esercizio della professione forense. La Corte territoriale richiamava Corte Costituzionale 166/2012 e Cassazione 27266/2013, per sostenere l'impossibilità per i dipendenti pubblici di svolgere la professione di avvocato ed escludeva la possibilità di ritenere che le limitazioni reintrodotte ad opera della L. n. 339 del 2003, potessero non avere effetto per chi fosse iscritto già anteriormente alla normativa permissiva del 1996. La Corte territoriale negava poi che potesse avere alcun effetto il fatto che la ricorrente, nel proprio ruolo tecnico, avesse svolto mansioni di supporto o ausilio alla docenza, in quanto si trattava di attività non assimilabile a quella dei ricercatori e comunque non potendosi ipotizzare l'acquisizione di un diverso inquadramento per effetto dell'assegnazione di fatto ad incarichi di docenza o di ricerca, stante il disposto preclusivo del D.lgs. n. 165 del 2001. 2. Avverso la sentenza V.L. ha proposto ricorso per cassazione con due articolati motivi, poi illustrati da memoria, cui ha resistito l'Università con controricorso. rAGIonI DeLLA DeCISIone 1. Con il primo motivo V.L. adduce la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3), L. n. 339 del 2003, artt. 1 e 2. ella sostiene che, in esito alla normativa di liberalizzazione di cui al D.P.r. n. 137 del 2012, ostativa alla frapposizione di limiti all'esercizio delle attività professionali, dovrebbe essere rivisitato il giudizio di ragionevolezza formulato dalla Corte Costituzionale con riferimento soltanto alla normativa anteriore. Sarebbe seriamente da dubitare altresì della ragionevolezza di un'applicazione di norme svolta dalla Corte d'Appello su un piano del tutto astratto ed a prescindere dalle funzioni per le quali vi era stata assunzione presso la P.A., anche tenuto conto che la vera ed esclusiva ragione del- l'incompatibilità -a dire della ricorrente -era stata ravvisata, anche da Corte Costituzionale 390/2006, nella libertà dell'attività forense da qualsiasi vincolo od imposizione. Da altro punto di vista, la ricorrente fa rilevare come Corte Costituzionale 166/2012 avesse ritenuto legittima la disciplina sopravvenuta di incompatibilità di cui alla L. n. 339 del 2003, sul presupposto che essa, per chi si fosse iscritto dopo il 1996, prevedesse uno spatium deliberandi, finalizzato ad evitare lo stravolgimento delle scelte di vita impostate medio tempore ed a tal fine assicurando, per un verso, un triennio entro cui decidere quale lavoro proseguire e riconoscendo, per altro verso, la possibilità di ritrattare l'opzione e rientrare presso la P.A., nell'ambito di un successivo quinquennio. A questo proposito, la V. sottolinea come la propria posizione non rientri nelle ipotesi regolate dalla norma, perché ella era già iscritta all'Albo fin dal 1993, mentre la disposizione sull'opzione riguardava solo chi si fosse iscritto all'ordine successivamente alla L. n. 296 del 1996, dovendosi escludere, in quanto indebitamente correttiva, una lettura della L. n. 339 cit., nel senso di rendere la stessa applicabile anche a chi fosse iscritto già anteriormente al 1996 ed evidenziando come, nei fatti, alla dipendente, nel caso di specie, non erano state offerte le possibilità garantite agli altri. In subordine, sul punto, veniva sottoposta questione di legittimità costituzionale per contrasto rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 con l'art. 3 Cost. e ciò sia per disparità di trattamento, sia per irragionevolezza, mancando le condizioni per far venir meno, con le iniziative datoriali del 2016, l'aspettativa medio tempore consolidatasi in capo alla ricorrente. Il secondo motivo denuncia, in via principale, la violazione della L. n. 333 del 2003, art. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3) e, in linea subordinata, la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla L. n. 247 del 2012, artt. 15 e 19 e al D.P.r. n. 137 del 2012, con riferimento alla L. n. 339 del 2003), in quanto, qualora fosse da ritenersi che la Corte di merito avesse disapplicato per implicito la determinazione del Consiglio dell'ordine con la quale era stata deliberata la compatibilità delle funzioni svolte presso l'Università, in quanto di natura didattica, in tal modo si sarebbe indebitamente annullato un provvedimento amministrativo o vanificati i suoi effetti, senza che ci fosse stata domanda e comunque in carenza di giurisdizione (art. 360 c.p.c., n. 1). nel contesto di tale motivo, ribadendo come il vero bene protetto dall'incompatibilità sia la libertà di esercizio della professione forense e non il buon andamento della P.A., la ricorrente rimarca come risulti inspiegabile che solo l'attività di avvocato sia ritenuta incompatibile con gli obblighi di fedeltà, nonché con l'imparzialità ed il buon andamento della P.A., mentre ciò non accadrebbe per il medico, l'ingegnere o l'architetto e così via, prospettandosi anche da questo punto di vista, qualora residuassero dubbi, questione di legittimità costituzionale della L. n. 339 del 2003, ove essa fosse da intendere in senso preclusivo per i soli avvocati, e non per altri professionisti, sulla base di un'incompatibilità valutata in astratto e senza tenere conto delle mansioni concretamente svolte dal dipendente in base al concorso di assunzione (art. 3 Cost.), oltre che determinando un vulnus alla libera concorrenza (art. 41 Cost.). 2. I motivi, essendo tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Deve premettersi, in punto di fatto, che pacificamente V.L. è stata iscritta dall'ordine degli Avvocati fin dal 1993 ed è stata poi assunta dall'Università di napoli nel 2002, con inquadramento in categoria D del C.C.n.L. di comparto, posizione economica D2, Area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati, prescegliendo il regime part time che consentiva illo tempore la prosecuzione dell'attività forense. L'Università soltanto nel 2015, facendo leva sulle modifiche normative di cui alla L. n. 339 del 2003, ha mosso contestazioni alla V., la quale, per quanto qui ancora interessa, chiedeva nella presente causa l'accertamento dell'insussistenza di incompatibilità tra il proprio impiego e l'attività forense, con domanda decisa per lei negativamente sul punto in primo grado e, poi, dalla sentenza di appello qui impugnata. Successivamente, nel 2016, l'Università ha emesso provvedimento di decadenza dall'impiego ai sensi del D.P.r. n. 3 del 1957, art. 63, che veniva parimenti impugnato davanti al Tribunale di napoli, con processo, quest'ultimo, poi sospeso in attesa della decisione pregiudiziale della presente causa. 3. Dal punto di vista normativo, in senso cronologico, viene in evidenza il r.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, comma 2, di disciplina dell'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, secondo cui l'esercizio di tali professioni "è incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni... e in generale di qualsiasi altra Amministrazione o Istituzione pubblica soggetta a tutela e vigilanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni", escludendo peraltro dall'incompatibilità (comma 4 lett. a) "i professori e gli assistenti delle Università e degli altri Istituti superiori ed i professori degli Istituti secondari". Il D.P.r. n. 3 del 1957, art. 60, dal proprio versante, stabilì che "l'impiegato non può eserci LeGISLAzIone eD ATTUALITà tare... alcuna professione" ed il successivo art. 63, ha regolato l'ipotesi come ragione di decadenza dall'impiego, previa diffida. nel vigore del D.lgs. n. 29 del 1993, art. 58 (poi trasfuso nel D.lgs. n. 165 del 2001, art. 53) che, nel fornire la prima disciplina organica dell'impiego pubblico privatizzato, fece richiamo espresso la L. n. 662 del 1996, citato artt. 60 e segg., comma 1, escluse l'applicazione delle norme "che vietano l'iscrizione in albi professionali... ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni" in regime di part time c.d. ridotto. È quindi sopravvenuta la L. n. 339 del 2003, contenente "norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato" la quale, all'art. 1, escluse gli avvocati dall'applicazione della L. n. 662 del 1996 cit., art. 1, comma 56 (e comma 56-bis) regolando all'art. 2, una facoltà di opzione per i dipendenti iscritti all'albo degli avvocati dopo l'entrata in vigore della L. n. 662 del 1996, nel senso della possibilità di scegliere nel termine di trentasei mesi per il mantenimento dell'impiego pubblico o in alternativa della professione forense, con facoltà in quest'ultimo caso ed entro cinque anni, di essere riammesso all'impiego pubblico. Infine, la L. n. 247 del 2012, art. 19, testo contenente la "nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", dispone che, nonostante l'incompatibilità con il lavoro autonomo, l'attività di impresa e il lavoro subordinato (art. 18 della stessa Legge), l'esercizio della professione di avvocato è compatibile con l'insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nel- l'università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti. 4. La Corte Costituzionale è stata dapprima investita della questione di legittimità della disciplina della L. n. 339 del 2003, con la quale, come si è detto, fu esclusa la compatibilità della professione forense con il regime di impiego pubblico part time. Corte Costituzionale 21 novembre 2006, n. 390 in proposito osservò, per un verso, che l'essersi in precedenza (Corte Cost. 189/2001) ritenuta non irragionevole la disciplina favorevole al cumulo di attività, non escludeva che parimenti potesse dirsi ragionevole la disciplina opposta di divieto, rientrando nell'esercizio della discrezionalità del legislatore valorizzare esclusivamente gli inconvenienti derivanti dalla professione forense, rispetto a quelli di altre professioni, sulla base di una scelta di opportunità non sindacabile come tale. Corte Costituzionale 27 giugno 2012, n. 166, chiamata invece a valutare il dubbio in ordine ad un'illegittima lesione dell'affidamento maturato dai dipendenti pubblici che successivamente alla L. n. 662 del 1996, avevano intrapreso la professione forense, sotto il profilo della compatibilità con l'art. 3 Cost., ne ha escluso la ricorrenza, valorizzando l'esistenza nella normativa sopravvenuta di un sistema di opzione, calibrato nel tempo, da cui derivava un assetto che combinava, attraverso un regolamento non irrazionale, l'intento del legislatore di reintrodurre l'incompatibilità, con le esigenze organizzative di lavoro e di vita dei dipendenti pubblici a tempo parziale già ammessi dalla legge previgente all'esercizio della professione legale. 5. Ciò posto, è intanto da escludere che l'interesse tutelato dall'insieme delle normative coinvolte sia soltanto quello al libero esercizio della professione forense e non anche, come ritenuto dalle qui condivise pronunce di Cass., S.U., 16 maggio 2013, n. 11833, Cass., S.U., 5 dicembre 2013, n. 27266 e Cass., S.U. 16 gennaio 2014, n. 775, quello all'imparzialità e al buon andamento della P.A. neanche può condividersi l'assunto difensivo della ricorrente secondo cui Corte Costituzionale 390/2006 individuerebbe l'interesse protetto dalle norme sull'incompatibilità essenzialmente in quello dell'assenza di qualsiasi vincolo non necessario all'esercizio della professione forense. È vero che quest'ultimo aspetto è al centro della disamina di quella pronuncia, nella parte in cui essa affronta il tema delle eccezioni al regime di incompatibilità, misurandole essenzial rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 mente sulla libertà defensionale e sottolineando come, nel caso degli uffici legali degli enti pubblici, essa sia garantita, rispetto al rapporto di impiego, da regole di autonomia riconosciute da costante giurisprudenza (uffici legali degli enti pubblici), trovando invece fondamento, rispetto all'altra ipotesi (docenti), nella superiore libertà di insegnamento, destinata ad imporsi anche al rapporto di impiego e quindi a fortiori inidonea a far temere interferenze della posizione di dipendente pubblico del docente con il libero esercizio della professione forense. Tuttavia, poco prima, la medesima sentenza, nel ritenere che l'opzione legislativa non possa dirsi in sé irrazionale per il fondarsi su un'ipotesi di "maggior pericolosità e frequenza di... inconvenienti" della "commistione" che "riguardi la professione forense", rende palese l'approccio rispetto ad una bilateralità di interessi, insita nel concetto di "commistione", che il legislatore mira a contemperare, secondo l'assetto dal medesimo discrezionalmente ritenuto più opportuno. Tale linea interpretativa è del resto confermata anche da Corte Costituzionale 166/2012 allorquando essa afferma che la L. n. 339 del 2003, "incide non tanto sulle modalità di organizzazione della professione forense in termini rispettosi del principio di concorrenza, quanto" piuttosto, così confermando il bilanciamento di interessi su cui si incentra l'attenzione della Consulta, "sul modo di svolgere il servizio presso enti pubblici ai fini del soddisfacimento dell'interesse generale all'esecuzione della prestazione di lavoro pubblico secondo canoni di imparzialità e buon andamento, oltre che ad un corretto esercizio della professione legale". Ciò porta a non condividere l'enfasi posta dalla ricorrente sulla disciplina in ordine alla libertà nell'esercizio delle professioni di cui al D.P.r. n. 137 del 2012, effettivamente sopravvenuto rispetto alle citate pronunce della Corte Costituzionale, ma indubbiamente destinato ad assicurare il mantenimento dei margini di scelta su cui muove la L. n. 339 del 2003, ove si consideri che la limitazione al libero esercizio delle professioni resta consentita (art. 2, comma 2, del citato D.P.r.) sulla base di "deroghe espresse fondate su ragioni di pubblico interesse"poi esemplificate nell'esigenza di tutela della salute -ma che certamente, proprio sulla falsariga delle riportate argomentazioni della Corte Costituzionale, ricorrono anche allorquando la "commistione" (Corte Cost. 390/2006 cit.) riguardi la necessità di equilibrio rispetto all'"interesse generale all'esecuzione della prestazione di lavoro pubblico secondo canoni di imparzialità e buon andamento" (Corte Cost. 166/2012, cit.). È dunque evidente che gli interessi sollecitati da tali nuove disposizioni sono sempre quelli su cui si sono già espresse -nel senso della non irrazionalità dell'assetto normativo -le citate pronunce della Corte Costituzionale, sicché l'ipotesi della proposizione di una nuova questione di legittimità da questo punto di vista è manifestamente infondata. Questa Corte (Cass., S.U., 11833/2013 cit.) ha del resto già affermato, con passaggi che sono qui condivisi, ragionando sugli effetti derivanti dal D.L. n. 138 del 2011, con mod. in L. n. 148 del 2011 (art. 3, comma 1 e 5-bis), nonché dal citato D.P.r. attuativo n. 137 del 2012, che è da escludere non solo "una abrogazione tacita delle disposizioni della L. n. 339 del 2003, per effetto della normativa sopravvenuta e sopra richiamata per il rilievo decisivo ed assorbente di ogni altra considerazione che l'incompatibilità tra impiego pubblico part-time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata ed ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente", ma altresì che ratio di fondo della normativa limitativa del cumulo è quella "tendente a realizzare l'interesse generale sia al corretto esercizio della professione forense sia alla fedeltà dei pubblici dipendenti", a conferma della coesistenza degli interessi di cui si è detto e LeGISLAzIone eD ATTUALITà della discrezionale regolazione del loro rapporto ad opera della normativa di legge. 5.1 Le convergenti valutazioni della Corte Costituzionale e dei precedenti di questa Corte comportano altresì un giudizio di manifesta infondatezza rispetto all'asserita indebita disparità di trattamento tra la professione forense ed altre libere professioni, avendo la Consulta chiarito che la disciplina più restrittiva deriva appunto da una non irragionevole valutazione discrezionale del legislatore (Corte Cost. 390/2006) ed avendo le Sezioni Unite rimarcato, nei passaggi sopra riportati, proprio tale specificità. Cass., S.U., 11833/2013 ha poi ancora chiarito che "la disciplina prevista dalla L. 25 novembre 2003, n. 339, che sancisce l'incompatibilità tra impiego pubblico "part-time" ed esercizio della professione forense, non determina alcuna discriminazione "al contrario" tra gli avvocati italiani e quelli, invece, cittadini di Stati membri dell'Unione Europea, "stabiliti" o "integrati" dipendenti di corrispondenti istituzioni pubbliche degli Stati di appartenenza. Difatti, in base alla normativa nazionale di recepimento della direttiva intesa ad agevolare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello di acquisizione della qualifica professionale (D.lgs. comma 2, recante attuazione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, n. 98/5/CE), è previsto espressamente che tutte le norme nazionali sulle incompatibilità si applichino anche all'avvocato "stabilito" o "integrato" (cfr. C. Cost. sentenza n. 166 del 2012 e Corte di giustizia dell'Unione Europea, sentenza 2 dicembre 2010, in causa C-225/2009)". ed una lesione della libera concorrenza "tra coloro che esercitano la professione forense e coloro che esercitano altre libere professioni" (così il ricorso per cassazione, pag. 19), in ipotesi da riportare all'art. 41 Cost., risulta ancora manifestamente improponibile, non riuscendosi ad apprezzare una competizione di mercato tra chi si occupi di ambiti diversi. 6. Le considerazioni di cui sopra portano altresì ad escludere la fondatezza delle censure della ricorrente, nella parte in cui esse assumono che la Corte d'Appello avrebbe finito per disapplicare o ritenere nullo il provvedimento autorizzatorio del Consiglio dell'ordine. La ricorrenza di interessi diversi, tutelati dalle norme che li regolano, comportano che ciascuna delle autorità titolari di essi e dunque il Consiglio dell'ordine e la P.A. datore di lavoro possa, nell'esercizio dei propri poteri, autorizzare o contrastare il cumulo delle attività. Il Consiglio dell'ordine fonda i propri poteri, come sottolinea la ricorrente in memoria, sulle regole di disciplina dell'albo di cui è tenutario. La P.A. fonda invece i propri poteri sul D.lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 1 e sul rinvio di esso al D.P.r. n. 3 del 1957, artt. 60 e segg., secondo cui "l'impiegato non può esercitare alcuna professione", in mancanza di una diversa norma autorizzativa, incorrendo altrimenti nella decadenza secondo la disciplina del successivo art. 63 del medesimo D.P.r. Pertanto, il giudice adito per la cognizione sulla legittimità dell'operato dell'una o dell'altra autorità, qualora ritenga che il dissenso da essa espresso rispetto al cumulo di attività sia legittimo, non disapplica, nè sanziona di nullità l'eventuale autorizzazione che sia stata rilasciata dall'altra autorità. Tale cognizione è qui sollecitata dalla richiesta di accertamento dell'assenza di incompatibilità, in reazione alla diffida intimata dalla P.A. la quale giustifica l'interesse ad agire della V., senza che vi sia da porsi una questione di giurisdizione, quale effetto, secondo l'ipotesi di cui al secondo motivo, della disapplicazione indebita di un provvedimento di altra autorità, in quanto nessuna disapplicazione o annullamento è mai stata operata dai giudici del merito, né essa è in alcun modo necessaria al decidere. 7. La ricorrente, specialmente allorquando fa leva sulla menzionata autorizzazione rilasciata rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 dal Consiglio dell'ordine, introduce peraltro anche una diversa linea difensiva, sintetizzabile nel senso che la propria attività si collocherebbe al di fuori dell'area della incompatibilità, perché ricompresa nell'ambito delle deroghe espresse rispetto ad essa e comunque in concreto sarebbe stata svolta con modalità tali da non comportare pregiudizio per la P.A., che sarebbe irrazionale non fossero valorizzate. 7.1 Iniziando dal primo aspetto, il tema che viene in evidenza, cui già si è in parte accennato, è quello delle deroghe al principio di incompatibilità di cui al r.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, comma 4, lett. a), ed ora alla L. n. 247 del 2012, art. 19. Tali deroghe, al di là del caso degli uffici legali degli enti pubblici, che qui non interessa, riguardano il pubblico impiegato che, presso la P.A. di riferimento, operi, con riferimento alle Università, come professore o assistente (art. 3, comma 4, cit., lett. a cit.) oppure, nella versione di cui all'art. 19 cit., si occupi di insegnamento o ricerca in materie giuridiche. Affrontando il problema da questa prospettiva, può dirsi che le previsioni di quei casi di compatibilità esprimono in sé la tutela del valore dell'insegnamento (art. 33 Cost.) e di quello della ricerca (art. 9 Cost.), ritenuti prevalenti oltre che non confliggenti con l'interesse al libero esercizio dell'attività forense e tendenzialmente compatibili, nel bilanciamento degli interessi, rispetto al buon andamento della P.A. Tuttavia, il permanere di una valutazione di pubblico interesse anche rispetto al regime di tali compatibilità è reso evidente dal fatto che, come questa Corte ha già ritenuto, anche l'insegnamento può comportare valutazioni preclusive da parte della P.A. ove in concreto si manifesti una situazione di confitto di interessi, per previsione espressa dell'art. 58-bis, disposizione sopravvissuta, rispetto agli avvocati, anche alla L. n. 339 del 2003 (Cass. 17 ottobre 2018, n. 26016). Da ciò si desume che i casi di compatibilità costituiscono eccezioni ad una regola, quella del- l'incompatibilità, che, come si è detto, è stata voluta dal legislatore al fine di evitare i rischi che derivano dalla "commistione" tra attività forense e pubblico impiego (Corte Cost. 390/2006 cit.). regola che si fonda su una valutazione legislativa, discrezionale ma non irrazionale, di maggior pericolosità del connubio avvocatura-pubblico impiego, che la Corte Costituzionale (sempre Corte Cost. 390/2006 cit.) ha già espressamente così spiegato, sicché è evidente la manifesta infondatezza di ulteriori dubbi in tal senso. L'eccezionalità delle deroghe all'incompatibilità esclude poi che i corrispondenti casi siano suscettibili di estensione a ipotesi soltanto contigue o similari. È in effetti possibile che per talune figure, ad inquadramento impiegatizio, ma la cui attività sia caratterizzata da specifiche cognizioni tecniche, si possa porre il problema di valutare se resti intercettata o meno l'area della compatibilità rispetto all'insegnamento o alla ricerca, di cui si è detto. Tale è il caso della categoria D del C.C.n.L. Comparto Università 1998-2001, di inquadramento della V., specie con riferimento alle posizioni dell'Area tecnico-scientifica. È però solo il pieno esercizio dell'insegnamento, che nell'ambito universitario è fatto di docenza e ricerca, come anche il pieno esercizio della ricerca in sé considerata, ad integrare la deroga al principio, per la tutela degli interessi prevalenti di cui si è detto, che si manifestano come tali solo nel pieno esercizio delle corrispondenti attività professionali. Pertanto, lo svolgimento da parte della ricorrente, espressamente accertato dalla Corte territoriale, di attività "a supporto" della docenza, ovvero di "ausilio" per i docenti, è stato giustamente ricondotto nella sentenza di appello ad una condizione non assimilabile neanche ad uno dei livelli meno elevati, quello dei ricercatori, della docenza universitaria. Al punto che la Corte di merito, con altro accertamento che non risulta neanche in sé conte LeGISLAzIone eD ATTUALITà stato, ha desunto che la stessa partecipazione agli esami della V. si sia fondata sulla nomina di essa a "cultore della materia" e non sulle mansioni proprie dell'ambito di assunzione. Del resto, nello stesso ricorso per cassazione si fa riferimento al tutoraggio degli studenti, alla partecipazione a seminari o a commissioni di esami e quindi ad attività di "didattica", sicché non vi è neppure luogo ad affrontare il tema della compatibilità per svolgimento caratterizzante di attività di "ricerca". 7.2 Il secondo aspetto delle difese sviluppate sotto questo profilo ha caratura più strettamente giuridica, in quanto con esso si sostiene che sarebbe ingiustificato, anche dal punto di vista della ragionevolezza e quindi dei parametri costituzionali (art. 3 Cost.) il fatto che vengano coinvolte dal divieto anche attività che, in concreto, possono non manifestarsi come pregiudizievoli. In proposito, non vi è dubbio che il bilanciamento tra i contrapposti interessi di cui si è più ampiamente detto in precedenza possa avvenire sulla base di assetti molteplici, che addirittura attualmente convivono nel contesto complessivo del D.lgs. n. 165 del 2001, art. 53, ove la regola di incompatibilità assoluta di cui al D.P.r. n. 3 del 1957, art. 60, richiamata dall'art. 53, comma 1, è modulata, nella stessa disposizione, oltre che dalla compatibilità con il part time (se non diversamente disposto, come è per gli avvocati), da una serie articolata di possibili autorizzazioni rispetto a variegati incarichi di terzi. Tuttavia, la fissazione di un divieto assoluto e non calibrato sulle particolarità del caso di specie non può dirsi in sé irrazionale, allorquando la scelta del legislatore sia discrezionalmente indirizzata, come osservato dalla Corte Costituzionale, da una maggior cautela, nella regolazione dei coesistenti interessi di cui si è detto ed in vista della necessità di attuare altresì il principio di cui all'art. 98 Cost. (obbligo di esclusiva fedeltà del pubblico dipendente alla nazione: v. sul punto Cass., S.U. 1833/2013 cit.), in ragione delle caratteristiche discrezionalmente apprezzate della professione forense. In altre parole, le scelte di modulazione sono plurime, ma il legislatore può discrezionalmente valutare, come appare a questa Corte manifestamente evidente, quale rigore applicare ai diversi casi che il multiforme manifestarsi della realtà propone; così come non necessariamente irrazionale, nella medesima prospettiva e con analoga evidenza, è il fatto, tra l'altro coerente con il principio di base, che i casi di compatibilità siano regolati come deroghe ad un principio, e si qualifichino quindi come eccezionali. 8. La ricorrente, sotto un altro profilo, mette in dubbio anche la legittimità, rispetto alla propria posizione, del sistema opzionale di cui alla L. n. 339 del 2003, art. 2. In fatto risulta pacificamente che la V. si iscrisse all'albo degli avvocati nel 1993 e fu poi assunta dall'Università nel 2002, allorquando vi era compatibilità tra il regime di part time e la professione forense. nel 2003, come si è detto, è stato stabilito ex novo un regime di incompatibilità assoluta, con un regime opzionale. Tale regime opzionale è regolato rispetto a chi avesse "ottenuto l'iscrizione all'albo degli avvocati successivamente all'entrata in vigore della L. 23 dicembre 1996, n. 662", con cui era stata disposta la compatibilità con il part time. La ricorrente, sul presupposto che il suo caso non sia regolato da quella norma sul diritto di opzione, per essersi ella (legittimamente) iscritta prima del 1996 ed avere (altrettanto legittimamente) iniziato a lavorare presso la P.A., in part time, nel 2002, sostiene l'illegittimità costituzionale del proprio trattamento. Tale prospettazione è tuttavia manifestamente infondata. Intanto il collegio ritiene che una corretta interpretazione della norma, coerente con la sua rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 ratio, consenta in via di mera estensione di applicare l'istituto opzionale anche al caso non espressamente richiamato, ma logicamente analogo, ovverosia alle (legittime) iscrizioni all'albo anteriori al 1996, il che comporterebbe di per sè la decadenza della ricorrente dalle facoltà ivi regolate. Al di là di ciò, si deve però anche osservare che la regola introdotta nel 2003 è quella dell'incompatibilità, con un sistema opzionale (3 anni per la scelta + 5 anni per l'opzione di rientro nel rapporto di impiego) che è destinato ad esaurire i propri effetti nell'arco massimo di otto anni, ovverosia entro il 2 dicembre 2011, ma che comunque dopo i primi 3 anni avrebbe consentito di svolgere solo uno dei due lavori. La disciplina era dunque dettata al fine di permettere agli interessati di regolarizzare la propria posizione in un lasso di tempo congruo rispetto all'entrata in vigore della normativa. La ricorrente, viceversa, nonostante l'entrata in vigore della normativa, ha proseguito nel cumulo dei due lavori fino almeno all'ottobre 2015, epoca della diffida a rimuovere l'incompatibilità e poi anche oltre, fino all'adozione, nel 2016, del provvedimento di decadenza. È dunque evidente che la V. non può dolersi del mancato esercizio di un'opzione in quanto, stante l'inerzia dell'Università, essa, nonostante il divieto di cumulo, ha potuto proseguire nella doppia attività ben oltre ogni termine regolato dalla legge anche per l'eventuale rientro ultimo (nei 5 anni dopo i primi 3) presso l'Università. Sicché, esercitando la scelta al momento della diffida infine intimata, essa non può certamente dirsi di avere avuto un trattamento deteriore rispetto a chi avesse fruito dell'opzione di legge. D'altra parte, la V., essendo, dati anche i suoi titoli, pienamente in grado di percepire, al di là di convincimenti strettamente personali che non rilevano, l'esistenza oggettiva del divieto di cumulo nelle norme di legge, non può certamente far leva su affidamenti che si assuma in ipotesi possano derivare dalla menzionata inerzia del proprio datore di lavoro pubblico. Infine, si rammenta come questa Corte abbia già sottolineato che le norme abbiano dovuto "contemperare la doverosa applicazione del divieto generalizzato reintrodotto dal legislatore per l'avvenire (con effetto altresì sui rapporti di durata in corso) con le esigenze organizzative di lavoro e di vita dei dipendenti pubblici a tempo parziale, già ammessi dalla legge dell'epoca all'esercizio della professione legale" e che un'operatività limitata soltanto ai futuri interessati "otterrebbe il risultato, certamente irragionevole, di conservare ad esaurimento una riserva di lavoratori pubblici part time, contemporaneamente avvocati, all'interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella stessa persona" (Cass., S.U., 27266/2013 e Cass., S.U., 775/2014, citt.). 9. In definitiva, il ricorso va dunque rigettato. 10. La significativa novità, almeno per alcuni dei profili della prospettazione giuridica, giustifica la compensazione delle spese anche di questo grado di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2020. LeGISLAzIone eD ATTUALITà gestione dell’emergenza sanitaria, decisioni pubbliche ed esercizio dei diritti fondamentali Mariarita Romeo* SoMMARIo: 1. Premessa -2. L’individuazione del soggetto competente a decidere: i rapporti Stato-Regioni alla prova dell’emergenza sanitaria -2.1 I principi di sussidiarietà e di leale collaborazione -3. Decisioni pubbliche e bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti tra principio di precauzione e principio di proporzionalità -4. Il sindacato dell’autorità giurisdizionale sui provvedimenti emergenziali - 5. Considerazioni conclusive. 1. Premessa. L’anno appena passato e quello ancora in corso hanno visto e vedono affrontare all’umanità una sfida che, forse, era ormai ritenuta anacronistica da parte delle generazioni nuove e meno nuove, soprattutto appartenenti ai Paesi più sviluppati, ovvero quella della lotta per la sopravvivenza. Il rapido diffondersi a livello globale della pandemia, agli inizi del 2020, ci ha catapultati, nell’arco di pochi mesi, in uno scenario completamente diverso da quello ordinario al quale eravamo abituati e ci ha costretto a riconsiderare ed affrontare sotto una nuova luce la persona in tutta la sua fragilità. Se Aristotele ha definito l’uomo come “animale sociale”, per rappresentare la sua tendenza ad aggregarsi e vivere in comunità, la pandemia non ancora del tutto superata, soprattutto nel periodo di lockdown più rigido, da un lato ci ha impedito di soddisfare il nostro bisogno immediato e istintivo di socialità, anche privandoci dei gesti più semplici verso il prossimo; dall’altro, ci ha consentito di riscoprire una solidarietà più consapevole che ha valorizzato e concretizzato il significato di comunità, un po’ sbiadito a causa dell’individualismo imperante. In questo mutato contesto, anche il nostro ordinamento giuridico e l’insieme delle norme che lo compongono e regolano la civile convivenza, quale primaria espressione dell’essere umano non in quanto singolo, ma in rapporto con gli altri individui, sono stati duramente messi alla prova e hanno dovuto trovare il modo più adeguato di affrontare l’emergenza, al fine di regolamentare e dare ordine ad una situazione “extra ordinem”. Sebbene non siano mancati momenti di maggiore tensione istituzionale, soprattutto nei rapporti tra Stato e regioni, è possibile affermare che il nostro ordinamento ed il nostro sistema di valori sancito a livello costituzionale -pur accusando qualche “scricchiolio” -hanno sostanzialmente retto agli attacchi provenienti dall’emergenza sanitaria ed alla temporanea compromissione dell’esercizio di diritti fondamentali della persona. (*) esperto giuridico-amministrativo presso il Consiglio regionale della Calabria. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 2. L’individuazione del soggetto competente a decidere: i rapporti Stato-Regioni alla prova dell’emergenza sanitaria. L’emergenza sanitaria ha messo ancora più in evidenza, se solo ve ne fosse stato bisogno, gli aspetti irrisolti del rapporto tra Stato e regioni, emersi a seguito della riforma del Titolo V del 2001 e, invero, acuiti proprio nell’ultimo anno precedente la pandemia, in seguito al dibattito accesosi sull’attuazione del regionalismo differenziato di cui all’art. 116 Cost. L’eccezionalità della situazione determinatasi con la rapida diffusione del virus Covid-19, la necessità di intervenire con la massima urgenza per contrastare il contagio, lo scarso tempo a disposizione delle autorità competenti per intervenire in modo efficace, hanno favorito la gestione centralizzata del- l’emergenza. Tuttavia, è possibile affermare che gli strumenti, legislativi e amministrativi, di contrasto alla diffusione del Covid-19, perfezionatisi un pò alla volta nei lunghi mesi di questa pandemia, sono stati il risultato di una dialettica che ha visto il contributo di tutti gli attori coinvolti, ovvero istituzioni politiche, organi giurisdizionali e società civile. La Corte costituzionale ha ricondotto la gestione della pandemia da Covid-19 nell’ambito della profilassi internazionale, materia appartenente alla competenza esclusiva dello Stato, secondo quanto previsto dalla lettera q) dell’art. 117, comma 2, Cost., ritenuta “comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla” (1). nella sentenza n. 37/2021, i giudici costituzionali hanno affermato che anche le autonomie regionali partecipano alla gestione delle crisi emergenziali in materia sanitaria in virtù delle competenze concorrenti loro attribuite in materia di tutela della salute e della protezione civile, riconoscendo il carattere fondamentale dell’apporto che l’organizzazione sanitaria regionale può assicurare per il comune obiettivo di contrasto alla pandemia. Precisamente, la Corte ha chiarito che spetta anche alle strutture sanitarie regionali operare a fini di igiene e profilassi, ma “…nei limiti in cui esse si inseriscono armonicamente nel quadro delle misure straordinarie adottate a livello nazionale, stante il grave pericolo per l’incolumità pubblica”. Il contributo fornito dalle autonomie alla gestione dell’emergenza può variare a seconda del carattere locale, regionale o nazionale della stessa, imponendo l’intervento dello Stato quando essa assuma rilievo nazionale, ovvero, (1) Si fa riferimento alla recente Corte cost., 12 marzo 2021, n. 37, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge della regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11, recante “Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza”. La decisione de qua è stata preceduta dall’ordinanza n. 4 del 2021, che ha disposto la sospensione dell’efficacia dell’intera legge regionale impugnata: si tratta della prima volta in cui la Corte costituzionale ha esercitato il potere di sospensione cautelare di una legge, previsto dall’art. 35 l. n. 87/1953, come modificato dalla l. n. 131/2003. LeGISLAzIone eD ATTUALITà come nella fattispecie, ci si trovi a dover fronteggiare la diffusione globale di malattie altamente contagiose. Una tale evenienza radica la necessità di una disciplina unitaria di carattere nazionale, che sia idonea “a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività”. Pur non entrando nel merito della questione, nella pronuncia in argomento la Corte costituzionale ha sostanzialmente riconosciuto la legittimità delle modalità di intervento scelte dal Governo al fine di gestire al meglio la pandemia. In particolare, la Consulta ha inquadrato l’azione di Governo in termini di “sequenza normativa e amministrativa”, articolatasi nell’adozione di decreti- legge, con i quali sono stati predeterminati gli ambiti materiali, le condizioni ed i limiti entro cui il Presidente del Consiglio ha potuto esercitare il suo potere emergenziale temporaneo tramite l’adozione di decreti, autorizzati dalla normativa primaria a derogare a fondamentali diritti dei cittadini e a modulare le misure restrittive a seconda dell’andamento mutevole della pandemia. Ancora più di recente, il Consiglio di Stato ha anch’esso riconosciuto che “il Governo ha correttamente costruito una nuova impalcatura giuridica fondata sull’art. 77 della Costituzione, mediante la quale -attivando lo schema comune «legge generale -atti attuativi dell’esecutivo», ha predefinito al livello normativo primario, con un sufficiente livello di analisi, gli ambiti, le condizioni e i limiti del potere di disciplina emergenziale, attribuendo al vertice politico- amministrativo dell’esecutivo medesimo la competenza ad adottare decreti aventi la duplice natura, del regolamento -sotto il profilo della relazione attuativa, di livello secondario, rispetto alla norma di legge -e delle ordinanze extra ordinem contingibili e urgenti -sotto il profilo della ragione giustificatrice del potere e quanto alla modalità della eccezionalità e temporaneità” (2). Dunque, secondo le pronunce appena riportate, legittimamente lo Stato ha assunto su di sé la gestione dell’emergenza sanitaria in corso, lasciando alle regioni un compito collaborativo -consultivo e di intervento limitato allo specifico ambito territoriale di riferimento, consentendo loro l’adozione, nelle more dei successivi D.P.C.M., di misure ulteriormente restrittive o, in un secondo momento dell’emergenza, anche ampliative (con l‘art. 1, comma 16, d.l. n. 33 del 2020) e sempre operando sulla base dei criteri previsti dal Ministero della Salute e dagli stessi d.p.c.m. 2.1. I principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Appare rilevante sottolineare che, nelle diverse decisioni che hanno dovuto dirimere controversie relative alla gestione della pandemia, le rispettive competenze di Stato e regioni sono state individuate e bilanciate facendo ri (2) Così il parere Cons. St., Sez. I, 18 giugno 2021, n. 850. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 corso a due principi di livello costituzionale: il principio di sussidiarietà ed il principio di leale collaborazione (3). Infatti, quanto al primo, si è affermato che è il carattere globale dell’emergenza ad imporre, in applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., che l’individuazione delle misure precauzionali avvenga a livello amministrativo unitario. Si tratta della c.d. chiamata in sussidiarietà (in questo caso c.d. ascendente) (4): anche in materie di competenza concorrente (come, appunto, tutela della salute e protezione civile) o residuale, allo Stato è consentito attrarre a sé competenze amministrative non adeguatamente esercitabili a livello regionale o locale. All’avocazione della funzione amministrativa, tuttavia, deve accompagnarsi anche il potere di dettare norme che regolino l’esercizio delle competenze attratte, e ciò in ossequio al principio di legalità dell’azione amministrativa, ma anche nel rispetto dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza. Per operare in modo costituzionalmente legittimo, deve poi essere assicurato il coinvolgimento delle regioni nel processo decisionale, prevedendo adeguate forme di collaborazione quali la previa stipulazione di intese (5). Per questo motivo, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 ha previsto espressamente che il Presidente del Consiglio dei ministri adotti i suoi decreti consultando preventivamente i Presidenti delle regioni interessate, quando le misure riguardino solo una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle Province autonome, nel caso in cui le stesse debbano applicarsi all’intero territorio nazionale (6). Tali moduli partecipativi si impongono proprio in virtù del principio di leale collaborazione, ad un tempo regola di condotta che va a permeare di sé qualunque relazione tra Stato e regioni e principio che presiede a dirimere ogni ipotesi di conflitto o di interferenza tra competenze statali e competenze regionali. Il suo fondamento costituzionale deve rinvenirsi nell’art. 5 della Costituzione, laddove la repubblica, pur una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, adeguando la sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. (3) V., in particolare, Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 9 maggio 2020, n. 841; 18 dicembre 2020, n. 2075 e n. 2077; Tar Campania, napoli, Sez. V, 9 novembre 2020, n. 2025; Tar Piemonte, Sez. I, 3 dicembre 2020, n. 580; Tar Lazio, Sez. III quater, 4 gennaio 2021, n. 35. (4) Sul punto, è sufficiente citare Corte cost., 1 ottobre 2003, n. 303 e 22 luglio 2010, n. 278. (5) Al riguardo, v. l’attenta ricostruzione di V. nerI, Diritto amministrativo dell’emergenza: tra unità e indivisibilità della Repubblica e autonomia regionale e locale, in Urbanistica e appalti, n. 3/2020, pagg. 346-352; in particolare, per quanto riguarda la c.d. sentenza Mezzanotte, n. 303/2003, v. pp. 348349 con nota 11. (6) In questi termini v. A. SAITTA., F. SAITTA., F. PAGAno, Il giudice amministrativo stoppa la ripartenza anticipata della Regione Calabria: sul lockdown è lo Stato a dettare legge, 4 giugno 2020, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui “L’allocazione in capo allo Stato della gestione dell’emergenza sanitaria…e le correlate limitazioni al potere dei Presidenti di Regione di emanare ordinanze contingibili e urgenti è stata temperata, quale contropartita dell’erosione delle competenze amministrative in parola, attraverso la previsione della consultazione delle Regioni…”, p. 30. LeGISLAzIone eD ATTUALITà Soprattutto nelle fasi iniziali dell’emergenza sanitaria, le regioni hanno lamentato uno scarso coinvolgimento da parte del Governo nella determinazione delle misure restrittive da adottare, in particolar modo censurando le modalità di applicazione delle restrizioni in tutto il territorio nazionale, malgrado il diverso grado di diffusione del contagio. e di certo, si può sostenere che la progressiva messa a fuoco dei provvedimenti adottati a livello statale, in ordine alla loro gradualità ed alla considerazione di molteplici parametri, non limitati al solo indice rt, sia stata determinata anche dall’apporto critico fornito dalle regioni, che -quali organi rappresentativi delle istanze delle loro comunità -sono riuscite, anche attraverso l’adozione di provvedimenti disallineati e “dirompenti” (7), a far valere punti di vista differenti. Allora, se è possibile fare già una breve riflessione, è quella di affermare che l’esigenza di contrastare la diffusione del contagio -man mano che questo, partito solo da alcune regioni del nord, ha iniziato ad espandersi anche nel- l’Italia centrale e meridionale -ha riportato in auge quel principio dell’unità ed indivisibilità della repubblica, sancito anch’esso dall’art. 5 Cost., che proprio le polemiche in tema di mancata attuazione del regionalismo differenziato avevano decisamente appannato, mettendo in evidenza più gli aspetti che dividono, che quelli che uniscono, le pur diverse regioni italiane (8). nel corso del 2019, quasi tutte le regioni avevano rivolto istanza al Governo per ottenere maggiori forme di autonomia in ordine a tutte le materie di competenza concorrente, comprese quindi tutela della salute e protezione civile, ma anche istruzione ed ambiente. Si tratta di ambiti di competenze estremamente delicati e rilevanti per l’esercizio di diritti fondamentali della persona (salute, lavoro, istruzione, ambiente salubre), che hanno visto scontrarsi anche pesantemente Stato e regioni in tempo di pandemia. Allora, incentivare un’autonomia indiscriminata delle regioni rischia in fase di prevenzione -di comportare un aumento esponenziale delle differenze tra i territori anche nel godimento dei livelli essenziali delle prestazioni, mentre ex post -ovvero quando una minaccia e un pericolo si sono già manifestati - di compromettere l’efficace unitarietà dell’azione di contrasto. (7) Tra questi, rientra sicuramente l’ordinanza della Presidente della regione Calabria n. 37 del 29 aprile 2020, che disponeva la ripresa dell’attività di ristorazione sul territorio regionale, non solo con consegna a domicilio e con asporto -secondo quanto già previsto dal Governo nel D.P.C.M. del 26 aprile 2020 -ma anche mediante servizio al tavolo all’aperto. Per una rassegna sulle ordinanze assunte in tempo di pandemia, v. L. Leo (2021), L’ascesa delle ordinanze regionali ai tempi del Covid-19, in Diritti regionali, n. 2/2021. (8) In proposito, va ricordato che la richiesta delle regioni ai fini dell’attribuzione di maggiori forme di autonomia, ai sensi dell’art. 116, comma 3, Cost., può interessare tutte le materie rientranti nella competenza legislativa concorrente (art. 117, comma 3, Cost.) ed alcune materie appartenenti alla potestà legislativa esclusiva statale (art. 117, comma 2), quali l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 Soprattutto in un’ottica di prevenzione, invece, sarebbe preferibile sollecitare, ancora di più, forme ordinarie di coordinamento e collaborazione tra le autonomie territoriali, onde scongiurare la possibilità di arrivare impreparati alla fase dell’emergenza, favorendo piuttosto un c.d. “regionalismo solidale” (9). 3. Decisioni pubbliche e bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti tra principio di precauzione e principio di proporzionalità. Dopo aver individuato i soggetti istituzionali competenti a decidere, è possibile adesso concentrarsi sui contenuti dei provvedimenti adottati in tempo di emergenza sanitaria. Con l’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, emanata ai sensi degli artt. 25, 26 e 27 del d.lgs. n. 1 del 2018 (Codice della protezione civile), è stato costituito il Comitato tecnico- scientifico, con il compito di supportare il Governo dal punto di vista tecnico nell’individuazione delle misure di contrasto alla pandemia più adeguate. Dunque, la generalità dei provvedimenti assunti in materia ha richiamato, a sostegno delle misure di contenimento imposte, studi e dati scientifici, oltre che statistici. Com’è stato già sostenuto (10), trattandosi di provvedimenti notevolmente incidenti sull’esercizio delle libertà fondamentali degli individui, le autorità competenti -basandosi su pareri scientifici -hanno tentato di attribuire loro un grado apprezzabile di oggettività, al fine di “spoliticizzarli” e renderli maggiormente accettabili da parte dell’opinione pubblica. In realtà, ogniqualvolta occorre operare un bilanciamento tra diritti costituzionalmente tutelati (ed in effetti, le misure di contenimento del contagio sono state adottate all’esito di un tale processo), la ponderazione dei valori coinvolti implica necessariamente una valutazione che, anche quando prende avvio da dati scientifici, non può non definirsi almeno in parte politica. Caratteristica che -come vedremo -influisce sul corrispondente sindacato giurisdizionale. orbene, i provvedimenti legislativi e i D.P.C.M. che ne sono seguiti, nonché le ordinanze regionali e sindacali talora intervenute per fronteggiare l’emergenza sanitaria, hanno fatto applicazione tanto del principio di precauzione, quanto di quello di proporzionalità (11). (9) Al riguardo, sia consentito citare M. roMeo (2019), Regionalismo differenziato: in Calabria è stata approvata una risoluzione per promuovere un regionalismo “solidale”, in Diritti regionali, n. 1/2019; sul regionalismo differenziato v., di recente, V.P. GroSSI, La perdurante attualità del regionalismo differenziato. Un’analisi dei contenuti delle “bozze d’intesa”, in Diritti regionali, n. 2/2021. (10) Cfr., in questi termini, l’editoriale di e. GroSSo, Il ruolo dei dati nell’assunzione delle decisioni pubbliche: una grande questione costituzionale, in Il Piemonte delle autonomie, n. 1/2021. (11) Sul tema, v. l’interessante saggio di F. SCALIA, Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, in Federalismi.it, n. 32/2020, pp. 183-220. LeGISLAzIone eD ATTUALITà Com’è noto, il principio di precauzione, di derivazione comunitaria, affermatosi nell’ambito della disciplina della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini, opera nei casi in cui non sia possibile stabilire con certezza l’esistenza o la portata di rischi per l’ambiente e per la salute pubblica, a causa del carattere non concludente degli studi scientifici condotti in materia, legittimando l’adozione in chiave preventiva di misure restrittive, al fine di impedire il verificarsi di danni potenziali. In tutti i casi in cui non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, quindi, il principio in argomento esige che l’azione dei pubblici poteri si traduca in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (12). La limitazione della sfera soggettiva dell’individuo, tuttavia, non può avvenire in modo indiscriminato, ma deve presentarsi adeguata e ragionevole rispetto al rischio che si intende prevenire. È qui, allora, che soccorre il principio di proporzionalità, che subordina la legittimità delle misure limitative individuate al superamento di un test che si conduce in tre passaggi (i c.d. tre gradini): idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto (o adeguatezza). L’idoneità valuta l’attitudine del mezzo impiegato a realizzare l’obiettivo pubblico perseguito; la necessarietà indica che per il raggiungimento del- l’obiettivo prefissato, non sia disponibile nessun altro mezzo ugualmente efficace e che incida meno negativamente nella sfera giuridica del singolo; la proporzionalità in senso stretto, infine, richiede che la misura adottata dai pubblici poteri non sia mai tale da gravare in maniera eccessiva sull’interessato e da risultargli quindi intollerabile (13). In sintesi, applicare il principio di proporzionalità significa verificare la necessità della misura adottata dalla pubblica autorità e la sua idoneità a raggiungere l’obiettivo finale. In ogni caso, va poi preferita la misura più mite a disposizione, ovvero che sia in grado di soddisfare l’interesse pubblico senza sacrificare eccessivamente la posizione del singolo. È l’ultimo gradino del test, quindi, a richiedere una valutazione comparativa tra i beni che vengono coinvolti dall’intervento pubblico, potenzialmente in conflitto tra loro. Com’è stato affermato in dottrina (14), si tratta di un bilanciamento da (12) In dottrina, si è soliti distinguere tra i principi di prevenzione e di precauzione proprio facendo leva sulla distinzione tra certezza e incertezza scientifica in ordine al verificarsi di danni futuri. Cfr. F. De LeonArDIS, Tra precauzione, prevenzione e programmazione, in L. GIAnI -M. D’orSoGnA -A. Po- LICe, Dal diritto dell’emergenza al diritto del rischio, napoli, 2018, pp. 49 ss.; S. GIULIeTTI, I principi di prevenzione e precauzione nella materia ambientale, ibidem, pp. 237 ss. (13) In argomento v., per tutti, D.U. GALeTTA, Il principio di proporzionalità fra diritto nazionale e diritto europeo (e con uno sguardo anche al di là dei confini dell’Unione Europea), 31 gennaio 2020, in www.giustizia-amministrativa.it. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 operare in concreto e mai in astratto, considerando l’incisività dell’intervento nella sfera giuridica del singolo; il peso e l’urgenza dell’interesse generale che si intende perseguire e, da ultimo, il diritto individuale tutelato dall’ordinamento. Principio di precauzione e principio di proporzionalità, quindi, camminando insieme, impongono che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si debba ricorrere a quella meno gravosa, di modo che gli inconvenienti causati non risultino eccessivi rispetto agli obiettivi perseguiti. In questi termini si è orientata l’azione dei pubblici poteri in tempo di emergenza sanitaria. Così, se da una parte è venuta in rilievo la tutela della salute come diritto del singolo e bene della collettività, dall’altra si è considerato l’esercizio di libertà e diritti individuali, come la libertà di circolazione e di aggregazione, il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro e la libertà di impresa. I decisori pubblici nei loro provvedimenti hanno tentato di trovare il punto di equilibrio ottimale, variabile a seconda dell’indice di propagazione del virus, che arrecasse il minor sacrificio possibile ai valori temporaneamente sacrificati (15). A loro volta, i Tribunali amministrativi ai quali si sono rivolti singoli cittadini, associazioni o le stesse istituzioni, hanno dovuto verificare l’operazione di bilanciamento cristallizzata nei provvedimenti impugnati, al fine di sindacare la legittimità, la proporzionalità e l’adeguatezza delle misure di contenimento censurate. Così, vi sono state ordinanze regionali che hanno disposto misure ampliative, impugnate dal Governo, ordinanze regionali o sindacali che hanno imposto misure ulteriormente restrittive impugnate dai cittadini, provvedimenti del Governo contrastati o non rispettati da ordinanze sindacali (16). nelle relative pronunce giurisdizionali (17), si è di frequente fatto riferimento alla giurisprudenza costituzionale formatasi sulla vicenda giudiziaria relativa allo stabilimento Ilva di Taranto ed all’affermazione, contenuta nella celebre sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013, secondo cui “Tutti (14) In tal senso, cfr. D.U. GALeTTA, cit., par. 2, dove si afferma altresì che il principio di proporzionalità implica il rapporto tra due grandezze ovvero tra due valori in contrapposizione, trovandosi pertanto in stretto legame con i diritti fondamentali. (15) Per tale motivo, i provvedimenti adottati dal Governo sono stati continuamente soggetti a revisione in rapporto ai dati di diffusione del Covid-19 che venivano rilevati e comunicati dalle autorità regionali a quelle centrali, in modo che le misure restrittive venissero applicate per il tempo strettamente necessario. (16) oltre alla già citata ordinanza della Presidente della regione Calabria n. 37/2020, cfr. le ordinanze del Presidente della regione Puglia nn. 407 e 413 del 2020 e la n. 1/2021 (in materia di istruzione); nonché l’ordinanza del Sindaco di Messina n. 105 del 5 aprile 2020, che dettava norme per il transito da e per la Sicilia. (17) In tal senso, per tutte, v, Tar Calabria - Catanzaro, n. 2077/2020, cit. LeGISLAzIone eD ATTUALITà i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri… Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona” (18) In quel caso, è stato il diritto al lavoro (art. 4 Cost.) a prevalere sul diritto alla salute (art. 32 Cost.), al fine di mantenere stabili i livelli occupazionali (19), mentre nelle fasi più acute dell’emergenza, il giudice amministrativo si è spesso pronunciato nel senso di riconoscere prevalenza alla tutela del diritto alla salute rispetto agli altri diritti costituzionalmente garantiti, in particolare quando si è trattato di limitare la libertà di iniziativa economica (20). Solo nel momento in cui il rischio di contagio è sembrato, non tanto diminuire, ma almeno stabilizzarsi, le pubbliche autorità e lo stesso g.a. hanno ricominciato a considerare l’esercizio anche degli altri diritti, in primis quello all’istruzione (21). D’altronde, come ha osservato autorevole dottrina, è connaturale ad un ordinamento democratico e pluralista come il nostro, il continuo aggiustamento e la costante modulazione dei principi e diritti costituzionali, senza pretese di assolutezza per nessuno, nella consapevolezza che l’unico valore “stabile” da proteggere è quello della dignità umana, che compendia in sé tutti gli altri (22). È altrettanto logico, tuttavia, ritenere che la conservazione e la tutela di quel bene fondamentale che è la salute, costituisca il presupposto e la condicio sine qua non per il godimento di tutti gli altri diritti riconosciuti alla persona. Dunque, non è certamente facile trovare un equilibrio tra principio di precauzione e principio di proporzionalità, dovendosi condividere la considerazione per cui “… lo stato di emergenza condiziona il bilanciamento dei diritti ed interessi operato dal legislatore e dall’amministrazione, rendendo ragionevole, per la salvaguardia di quello più direttamente minacciato, la compressione di diritti e interessi in conflitto, a volte attingendo anche il loro nucleo essenziale” (23). (18) Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, punto 9. (19) Fa applicazione del principio di precauzione anche l’ultima pronuncia sul caso Ilva, ovvero Cons. St., Sez. IV, 23 giugno 2021, n. 4802, in particolare punto XIII.11.1. (20) Così, Tar Lazio, Sez. III quater, n. 35/2021, cit. (21) Proprio sull’esercizio del diritto di istruzione vi è stato un “caso Puglia”, sul quale v. M. TroISI, Il diritto all’istruzione nelle ordinanze “creative” del Presidente della Regione Puglia in tempi di pandemia da Covid-19, in Diritti regionali, n. 1/2021. (22) Così, F. SCALIA, cit., p. 196, che, a sua volta, richiama G. zAGreBeLSKy, Il diritto mite, Torino, 1992, pp. 11-17. (23) Così F. SCALIA, Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, cit., pag. 202. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 4. Il sindacato dell’autorità giurisdizionale sui provvedimenti emergenziali. Come abbiamo visto, l’esame della fattispecie concreta, che l’applicazione del principio di proporzionalità richiede, può facilmente esondare in una valutazione nel merito delle misure individuate in via precauzionale dal decisore pubblico, finendo col divenire politica (24). Ciò in quanto la scelta del c.d. “rischio zero” può risultare non ottimale, tenuto conto che “… non è sempre vero che un divieto totale od un intervento di contrasto radicale costituiscano una risposta proporzionale al rischio potenziale” (25). Di conseguenza, dinanzi al manifestarsi di un rischio ed alle misure precauzionali adottate per farvi fronte, ci si è chiesti fino a che punto possa spingersi il sindacato del giudice amministrativo e, in particolare, se sussista la possibilità per quest’ultimo di sostituire la propria valutazione sulla proporzionalità in senso stretto a quella fatta dall’amministrazione. Infatti, un tale tipo di verifica comporterebbe -come pure è stato rilevato (26) -l’attribuzione di un determinato peso specifico all’interesse pubblico perseguito in concreto dall’amministrazione, al fine di poterlo bilanciare col sacrificio che -sempre in concreto -viene imposto al privato per il suo perseguimento. In fase di emergenza sanitaria, l’orientamento giurisprudenziale manifestato sul punto si è dimostrato piuttosto costante (27), laddove fin dalle prime decisioni adottate, è stato affermato che “Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi alle amministrazioni e, dunque, stabilire quale contenuto debbano avere, all’esito del bilanciamento tra i molteplici interessi pubblici o privati in gioco, i provvedimenti amministrativi… In questa prospettiva, l’operato dell’Autorità giurisdizionale… è meramente tecnico, e finalizzato a verificare la conformità del provvedimento oggetto di attenzione al modello legale” (28). Il giudice amministrativo, in sostanza, applica alle fattispecie in rilievo un sindacato analogo a quello esercitato nei confronti dei provvedimenti amministrativi connotati da discrezionalità tecnica (29). (24) Ancora F. SCALIA, cit., pp. 192-193 “Il giudizio di proporzionalità si sostanzia in una valutazione che, se riguarda misure legislative, ha carattere politico: politica è la scelta delle finalità di interesse pubblico da perseguire; politica è la decisione circa le utilità che vanno privilegiate e i beni che vanno sacrificati nell’operazione di bilanciamento… Il carattere “politico” della scelta si riverbera anche sul relativo sindacato giurisdizionale, limitato alla manifesta inappropriatezza della misura adottata, sulla base di una valutazione ex ante”. (25) V. Cons. St., Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655. (26) Così D.U. GALeTTA, cit., paragrafo 2. (27) Tra le pronunce più articolate a livello motivazionale, malgrado si tratti di un decreto cautelare, v. Tar Piemonte, n. 580/2020, cit. (28) Così Tar Calabria, Catanzaro, n. 841/2020, cit. (29) Secondo la definizione data da r. CHIePPA, r. GIoVAGnoLI. in Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2020, p. 492, per discrezionalità tecnica si intende quel tipo di valutazione “che viene LeGISLAzIone eD ATTUALITà Invero, il Consiglio di Stato, valutando di recente alcuni DPCM adottati in fase di emergenza, ha confermato la loro qualificazione come atti di alta amministrazione, caratterizzati da ampia discrezionalità, tramite i quali il Governo ha attuato “le fondamentali scelte politiche e amministrative” di gestione della crisi pandemica. Da tali peculiarità, ha tratto la conclusione che gli stessi sono sindacabili dal g.a. in sede di legittimità solo per “carenze e/o errori gravi e manifesti e per evidenti illogicità, irrazionalità, sproporzione o irragionevolezza, restando precluso ogni sindacato che possa riguardare il merito e la condivisibilità delle decisioni adottate, né la loro opportunità e convenienza” (30). I giudici di Palazzo Spada, inoltre, precisato che i decreti del Presidente del Consiglio, quali atti a contenuto generale, sfuggono all’applicazione delle regole sulla motivazione degli atti, ai sensi dell’art. 3, comma 2, legge n. 241 del 1990, hanno comunque rilevato che essi sono adeguatamente assistiti da una sufficiente istruttoria tecnico-scientifica, in virtù del principio di precauzione ed in funzione della migliore tutela della salute pubblica. Se, dunque, le modalità decisionali adottate dal Governo in tempo di emergenza sono state sostanzialmente “promosse” dal giudice amministrativo (31), ciò, tuttavia, non ha impedito alcune critiche. Proprio la natura ibrida riconosciuta dal Consiglio di Stato ai decreti del Presidente del Consiglio, a metà tra regolamento ed ordinanze contingibili ed urgenti, ha indotto taluni in dottrina a sostenere che la loro emanazione avrebbe richiesto uno sforzo motivazionale maggiore, soprattutto sotto il profilo del- l’osservanza dei canoni di proporzionalità ed adeguatezza. Si è infatti osservato che tali atti, rientranti comunque nella categoria dei provvedimenti amministrativi, pur contenendo prescrizioni ampiamente condivisibili “… non rendono manifeste le ragioni che hanno orientato le singole scelte di gestione dell’emergenza sanitaria” (32). posta in essere dall’amministrazione quando l’esame di fatti o situazioni deve essere effettuato mediante il ricorso a cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico”; in proposito, si pensi al dibattito sviluppatosi relativamente al sindacato giurisdizionale sugli atti delle Autorità indipendenti: cfr., ex multis, Autorità indipendenti e sindacato giurisdizionale, 2019, ad opera dell’Ufficio Studi, massimario e formazione della Giustizia amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it. (30) Così, Cons. St. n. 850/2021, cit. (31) Sempre Cons. St. n. 850/2021 afferma che “Il sistema dei decreti-legge adottati dal governo… lungi dal sovvertire il nostro sistema ordinamentale… ha dato ordine all’esercizio del potere emergenziale, altrimenti “libero” ed extra ordinem con i soli limiti della Costituzione, imbrigliandolo in una fitta rete di condizioni e limiti predefiniti dalla legge, assicurando in tal modo anche un adeguato (e necessario) controllo parlamentare” (punto 6.11). (32) In questi termini, V. nerI, Diritto amministrativo dell’emergenza: tra unità e indivisibilità della Repubblica e autonomia regionale e locale, cit., p. 352. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo -n. 2/2021 5. Considerazioni conclusive. I dubbi sollevati al termine del paragrafo che precede ci consentono di compiere alcune riflessioni, anche di carattere più generale. Affinchè una decisione pubblica possa definirsi davvero democratica, essa deve riuscire a compendiare in sé i molteplici contributi provenienti dal “basso”, quindi dai singoli individui e dagli enti esponenziali di interesse collettivi. Ciò vale tanto di più quando si tratta di emanare un provvedimento legislativo, applicando quello che può definirsi un principio insito nella nostra Costituzione. Infatti, tutti gli istituti partecipativi costituzionalmente previsti, quali petizioni (art. 50 Cost.), iniziativa legislativa popolare (art. 71, comma 2, Cost.), referendum abrogativo (art. 75 Cost.) e referendum consultivo (art. 132 Cost.), ecc…, sono stati configurati proprio al fine di garantire un contributo democratico effettivo, con il pluralismo di valori e prospettive che ne consegue. Le stesse audizioni nelle Commissioni parlamentari ed in quelle consiliari (per le leggi regionali), che solitamente caratterizzano il procedimento legislativo, contribuiscono ad assicurare trasparenza e partecipazione, anche tramite la formazione di gruppi di interesse. Dunque, in generale, qualunque apporto che possa contribuire ad arricchire e migliorare i contenuti dell’azione amministrativa deve essere accolto con favore, compresi pareri, studi e dati tecnico-scientifici acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale. In questo senso, l’esperienza della pandemia ci offre notevoli spunti di riflessione. In primis, ci si è resi conto che nessun dato, per quanto scientifico possa essere, può definirsi “oggettivo” e neutrale in modo assoluto, in quanto la sua semplice lettura implica già di per sé una sua interpretazione più o meno soggettiva; allo stesso modo, il dato tecnico viene ulteriormente manipolato per essere espresso nel provvedimento amministrativo e, quindi, comunicato all’esterno. Dal canto suo, il giudice amministrativo, ha sì verificato che le determinazioni assunte in ordine alle misure di contenimento non presentassero aspetti di manifesta irragionevolezza o illogicità, con riguardo al bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, ma -fino alle decisioni più recenti -ha ribadito la propria impossibilità di sostituirsi agli organismi tecnico-scientifici, anche internazionali, nella valutazione dei rischi connessi alla pandemia, basata su parametri altrettanto scientificamente individuati. Ciò probabilmente è avvenuto proprio nel timore di cadere in valutazioni di natura politica, considerato, peraltro, che l’individuazione degli indicatori in base ai quali determinare le zone a più elevata emergenza, è stata una di quelle questioni che più ha acceso le polemiche tra Stato e regioni. Infatti, lo LeGISLAzIone eD ATTUALITà stesso giudice amministrativo ha riconosciuto che, alla base delle misure restrittive e preventive adottate, vi è una scelta connotata da discrezionalità non solo tecnico-scientifica, ma anche politico-amministrativa, andando le stesse ad incidere in modo assai invasivo sul normale esercizio di diritti fondamentali della persona. Si è poi registrato senz’altro sia un problema di raccolta e comunicazione dei dati dal livello locale a quello regionale e poi centrale, sia un problema di trasparenza, conoscibilità e condivisibilità dei medesimi dati raccolti da parte dell’opinione pubblica, circostanze che il carattere emergenziale della situazione ha, ovviamente, fatto passare in secondo piano. Come orientarsi, quindi, per il futuro? nel protrarsi dell’emergenza sanitaria, appare opportuno alimentare la rete di raccolta e comunicazione dei dati, che dal livello periferico va al livello centrale, rivelatasi ex post il punto debole nelle fasi iniziali di gestione della pandemia. Il policentrismo delle fonti da cui le informazioni provengono, infatti, se da un lato può generare confusione, dall’altro può anche favorire, soprattutto in fase preventiva e tramite un adeguato coordinamento, il naturale confronto tra le stesse informazioni acquisite, utile ad individuare la soluzione più efficace e - insieme - meno invasiva possibile. ContrIbutIdIdottrIna Il nuovo giudizio di ottemperanza: nella pratica e nella giurisprudenza Antonio Tallarida* Sommario: 1. Premessa -2. origine storica -3. Evoluzione dell’istituto -4. il nuovo giudizio di ottemperanza -5. oggetto del giudizio -6. Giudice competente -7. Procedimento -8. La decisione -9. il Commissario ad acta -10. impugnazioni -11. Titolo esecutivo -12. La riedizione del potere amministrativo. 1. Premessa. Spesso vincere il ricorso non è sufficiente, perché quando la pronuncia del Giudice non è autoesecutiva, occorre che l’Amministrazione soccombente si attivi, riprenda il procedimento amministrativo e lo concluda. Così, ad esempio, se il diniego di autorizzazione di polizia o di concessione edilizia è stato annullato, questo non basta per poter esercitare l’attività o costruire l’immobile. È necessario infatti che l’Amministrazione si conformi alla sentenza di annullamento del diniego e provveda a rilasciare, nel concorso di tutti i requisiti di legge e di regolamento, l’autorizzazione o la concessione richieste, ossia proprio ciò che era stato illegittimamente negato. Ma non è tutto così semplice. Perché l’Ente, che mantiene il potere di provvedere, potrebbe restare inerte o magari respingere nuovamente la richiesta per altri motivi o invece adottare un nuovo provvedimento contrario o elusivo del giudicato ovvero potrebbe non essere più possibile svolgere l’attività o costruire (magari per intervenuti mutamenti della normativa) o potrebbe, per il tempo trascorso, non essere questo più nell’interesse dello stesso ricorrente. Nasce da qui il problema non semplice della riedizione del potere amministra(*) Già Vice Avvocato Generale dello Stato. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 tivo e dei suoi limiti, su cui si è esercitata tanta parte della giurisprudenza amministrativa ancora di recente. A queste evenienze è deputato a sovvenire il giudizio di ottemperanza, che appunto serve a far ottenere, possibilmente, all’interessato quel bene della vita, quell’utilità cui tendeva e quindi a poter costruire ovvero aprire un negozio, o conseguire un impiego o un passaggio di carriera, o vincere un appalto pubblico o, qualora ciò non sia oggettivamente più possibile, ottenere almeno un risarcimento per equivalente. Tale giudizio, nelle sue forme attuali, è il risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale, tutt’altro che conclusa, tesa a realizzare in pratica il dictum della sentenza. 2. origine storica. Il problema della effettività della pronuncia si è posto sin dalla nascita dell’ordinamento unitario. La legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, tuttora in vigore, ossia la legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, nel concentrare la giurisdizione sui diritti civili e politici lesi dalla Pubblica Amministrazione, nei Tribunali ordinari, vietava a questi -per rispetto del principio della divisione dei poteri -di revocare o modificare qualsiasi atto amministrativo demandando tale compito “sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso” (art. 4). I Tribunali potevano solo disapplicare nel caso concreto l’atto amministrativo ritenuto illegittimo. L’amministrazione doveva conformarsi alla sentenza. Già, ma se queste autorità non si conformavano? Come si faceva, visto che i Tribunali non potevano incidere né in positivo né in negativo sull’attività della P.A.? Il vuoto di tutela era evidente ma il rimedio non c’era nell’ordinamento unitario. Così come altro vistoso vuoto era rappresentato dalla mancanza di tutela giurisdizionale degli interessi poi denominati legittimi. Bisognava intervenire. 1889. È l’anno che segna la nascita della giurisdizione amministrativa e del giudizio di ottemperanza. Il Governo, allora presieduto da Francesco Crispi -patriota siciliano antiborbonico, garibaldino al tempo dei Mille e politico nazionale -colse l’occasione di risolvere in un colpo solo i due problemi, evidentemente tra loro connessi. Venne così approvata, dopo un acceso dibattito parlamentare, la legge 31 marzo 1889, n. 5992, con cui si istituiva la IV Sezione del Consiglio di Stato “per la giustizia amministrativa” (cap. 1) con competenza di legittimità sui “ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse d'individui o di enti morali giuridici” (art. 3), e con competenza anche di merito in materia “dei ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento del CoNTrIBuTI dI doTTrINA l'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico” (art. 4, n. 4 e art. 17). La norma verrà ripresa testualmente nel T.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 27 n. 4, a sua volta in seguito richiamato nella legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali (TAr), legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (art. 27 n. 4). Il problema quindi della effettività delle pronunce del Giudice ordinario nei confronti della P.A. aveva trovato una sua soluzione sulla carta con l’attribuzione della relativa competenza attuativa al nuovo Giudice amministrativo che, come tale, non incontrava nella sua attività e decisione, estesa al merito, le limitazioni del G.o., e poteva perciò anche sostituirsi alla Amministrazione non ottemperante. 3. Evoluzione dell’istituto. Presto tuttavia ci si accorse che lo stesso problema si poneva per l’attuazione delle pronunce del Consiglio di Stato, quante volte non fosse sufficiente l’effetto demolitorio della decisione (ossia l’annullamento dell’atto negativo impugnato), necessitando un successivo provvedimento o atto conformativo della P.A. per far conseguire al ricorrente il bene della vita o l’utilità perseguita. Ad ovviare a questa lacuna provvide l’opera della giurisprudenza amministrativa con una serie di pronunce che, pur discusse in dottrina che ne evidenziava la totale mancanza di supporto normativo, tuttavia furono alla fine avallate dalle Sezioni unite della Cassazione (Cass., SS.uu., n. 215 del 1953). Prima fu la volta della applicazione estensiva dell’art. 27 n. 4 del t.u. n. 1054/1924 alle decisioni del Consiglio di Stato nelle materie di giurisdizione esclusiva che riguardando diritti si avvertivano come assimilabili alle sentenze del G.o., suscettibili di giudizio di ottemperanza (Cons. Stato, V, 31 marzo 1931, n. 176, secondo cui “la disposizione dell’art. 27, n. 4, del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato è applicabile anche quando l’autorità amministrativa non si uniformi ad una decisione pronunciata dal Consiglio di Stato”; in precedenza, spunti in tal senso già in Cons. Stato, IV, 9 marzo 1928, n. 181). Poi l’estensione fu applicata anche alle decisioni di legittimità in materia di interessi legittimi (Cons. Stato, V, 12 maggio 1937, n. 616; V, 22 aprile 1947, n. 155) e a quelle dei Giudici speciali (Cons. Stato, VI, 30 aprile 1957, n. 193; IV, 11 dicembre 1962, n. 776). A questo punto intervenne a chiudere il cerchio l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con decisione 4 novembre 1980, n. 43, prese atto “dell’evoluzione della giurisprudenza amministrativa che fa del ricorso ex art. 27, n. 4 del t.u. delle leggi del Consiglio di Stato un rimedio di carattere generale, valido ad assicurare l’adempimento da parte della P.a. degli obblighi nascenti da qualsiasi giudicato”. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 ulteriori sviluppi si ebbero sotto la spinta delle pronunce della Corte costituzionale (sentt. n. 8/1982, n. 175/1991) e in forza del principio della effettività postulato da tali decisioni, pervenendosi per questa via ad affermare l’applicabilità dei poteri dell’ottemperanza anche alle misure cautelari (Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 6 e 17/1982) e alle sentenze esecutive dei TAr (Cons. Stato, IV, 3 maggio 1999, n. 767). La legislazione non tardò ad adeguarsi a tali pronunciati e ciò avvenne con la legge di riforma della giustizia amministrativa, l. 21 luglio 2000, n. 205 (artt. 3 e 10), pur limitandosi a prevedere che in questi casi il Giudice “esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza di cui all’art. 27, n. 4, t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato”, come per dire che non è un vero giudizio di ottemperanza ma quasi. Il Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, All. 1, ha concluso il lungo iter evolutivo del giudizio di ottemperanza, riconoscendone il carattere di rimedio generalizzato e inserendolo nel Libro IV, titolo I, tra i riti speciali. Il vecchio e glorioso art. 27, n. 4, del t.u. n. 1054/1924 (come l’art. 27, n. 4, della legge istitutiva dei TAr) è stato abrogato (v. All. IV, art. 4, c.p.a.) ma sulle sue ceneri è nato il nuovo Giudizio di ottemperanza. 4. il nuovo giudizio di ottemperanza. Il principio della effettività, declinato dall’art. 1 del c.p.a. (“La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”) e il principio del giusto processo di cui all’art. 2 del c.p.a. (“1. il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione. 2. il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo”) sono le basi del nuovo giudizio di ottemperanza. Nuovo perché più ampia è la categoria dei provvedimenti che sono suscettibili di ottemperanza giudiziale (non solo più le sentenze passate in giudicato del G.o., ma anche le sentenze del G.A., comprese quelle meramente esecutive, i provvedimenti cautelari del G.A., i lodi arbitrali esecutivi, ecc.); perché maggiori sono i poteri di cui è investito il giudice dell’ottemperanza (non solo esecutivi ma anche cognitivi); perché più ampio è lo spettro delle azioni promuovibili (anche risarcitorie) e quindi delle decisioni possibili, e più aderente ai postulati del diritto europeo, comprensivo di quello comunitario (TuE e TFuE) e di quello della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEdu). Nuova è anche la possibilità di proporre il giudizio anche al solo fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza (art. 112, comma 5, c.p.a.). CoNTrIBuTI dI doTTrINA Inoltre è stato introdotto espressamente il principio di concentrazione, secondo il quale “il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta” (art. 114, comma 6, c.p.a.). La fisionomia così assunta dal giudizio di ottemperanza ne fa un tipo di giurisdizione mista, comprensiva cioè dei caratteri del giudizio esecutivo e di quello cognitorio (specie nel caso di domande risarcitorie) ed espressione di tutte le tipologie della giurisdizione amministrativa a seconda dei casi e delle domande proposte (di legittimità, di merito ed esclusiva). Per questo il giudizio di ottemperanza è stato anche definito polisemico (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2). Il codice del processo amministrativo dedica al giudizio di ottemperanza quattro articoli (artt. 112 -115) oltre a vari richiami in altre norme (v. artt. 7, 21, 34, 59, 87, 133, 134). 5. oggetto del giudizio (art. 112 c.p.a.). L’art. 112 c.p.a. esordisce affermando che i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla P.A. e dalle altre parti. In tal modo con la proclamazione del principio si mettono al centro del processo le decisioni del giudice amministrativo (piuttosto che quelle del G.o.) superando le origini del processo come sopra descritte. La storia ha preso un’altra direzione, senza peraltro rinunciare a quella precedente che continua a restare, anche se per il giudicato civile è utilizzabile anche il processo ordinario di esecuzione. La norma passa poi ad elencare quali sono i provvedimenti giurisdizionali suscettibili di ottemperanza giudiziale, riproducendo tutti quelli considerati dalla giurisprudenza. Si tratta: a) delle sentenze del Giudice Amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del Giudice ordinario; d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza; e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili. Come si vede, mentre per le sentenze del G.o. rimane fermo il classico presupposto che siano passate in giudicato, in linea con la legge del 1865, anche se vengono aggiunti “altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario” (tipo: decreto ingiuntivo non opposto; ordinanza di assegnazione del credito divenuta definitiva: Cons. Stato, Ad. Plen., 4 febbraio 2012 n. 2), per le sentenze del G.A., oltre a quelle passate in giudicato, possono azionarsi anche quelle dei TAr non ancora passate in giudicato, essendo per legge esecutive (art. 33, c. 2, c.p.a.) purché non sospese dal Consiglio di Stato. In questa rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 categoria rientrano anche le decisioni del Consiglio di Stato impugnate in Cassazione (e pertanto ancora non passate in giudicato), non avendo il ricorso per cassazione effetto sospensivo, salvo che la sospensione sia disposta in caso di eccezionale gravità e urgenza dal Consiglio di Stato ex art. 111 c.p.a. Tra gli “altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo” vanno comprese le misure cautelari concesse dal G.A. a tutela della posizione soggettiva azionata (art. 59 c.p.a.). Vengono poi annoverate le sentenze dei Giudici speciali, da ricondursi praticamente a quelle del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in quanto specifiche disposizioni di legge hanno sottratto a questo giudizio le decisioni della Corte dei Conti (d.lgs. 2 luglio 2010 n. 174, art. 216) e dei Giudici Tributari (d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 70), così derogando alla tendenziale concentrazione nel giudice amministrativo di tutte le azioni di ottemperanza. In questa categoria vanno ricompresi anche i decreti decisori del ricorso straordinario al Capo dello Stato, non menzionati dal codice, ma per interpretazione giurisprudenziale affermatasi dopo la legge n. 69/2009 (Cass., SS.uu., 28 gennaio 2011 n. 2065; Cons. Stato, Ad. Plen., 5 giugno 2012 n. 18, annotata da GIuLIA FErrArI, in Treccani enciclopedia, Libro dell’anno 2013). Infine vengono inclusi i lodi arbitrali esecutivi e divenuti inoppugnabili (v. Cons. Stato, V, 28 aprile 2012 n. 2542). La norma (comma 5) prevede la innovativa possibilità di proporre il presente giudizio (si ritiene, nel silenzio della norma, con ricorso) anche al solo fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, da parte della P.A. interessata a ottemperare correttamente o di controinteressati, con il limite che deve trattarsi di questioni strettamente inerenti al caso deciso e non questioni astratte o generali o riguardanti terzi soggetti (per esempio, è stata ritenuta inammissibile la questione della estensibilità del giudicato a terzi non parti del processo definito). Trattasi peraltro di un giudizio avente natura giuridica diversa da quello di ottemperanza (v. Cons. Stato, IV, 30 marzo 2019 n. 3614). Si discute ancora se il giudizio in questione sia ammissibile per crediti pecuniari riconosciuti da provvedimento giudiziale emesso nei confronti di Comuni in stato di dissesto finanziario (Cons. Stato, V, 21 aprile 2021 n. 3211, ordinanza di rimessione alla Adunanza Plenaria). Appare infine condivisibile la tesi secondo cui non è esperibile il giudizio di ottemperanza ad una decisione del G.o. nei confronti di società in house ove questa “eserciti poteri e facoltà di matrice privatistica” (Tar Sicilia-Palermo, 24 maggio 2021 n. 2660; Cons. Stato, V, 3 febbraio 2015 n. 502; di diverso avviso, Tar Sicilia, Sez. staccata Catania, 5 settembre 2014 n. 2393). 6. Giudice competente (art. 113 c.p.a.). Per quanto riguarda la competenza, la regola è che, nel caso di sentenze e provvedimenti del giudice amministrativo, il ricorso vada proposto allo stesso CoNTrIBuTI dI doTTrINA giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta (quindi TAr o Consiglio di Stato), con l’avvertenza che la competenza è del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo della sentenza di primo grado. Si applica cioè il criterio funzionale nel senso che ciascun giudice conosce dell’esecuzione dei propri provvedimenti. Tale regola può presentare qualche difficoltà applicativa quante volte la pronuncia di appello sia di conferma con diversa motivazione: qui può fungere da guida anzitutto il tenore della decisione del Consiglio di Stato, la cui formulazione può segnare il distacco più o meno profondo dal percorso motivazionale di primo grado e in secondo luogo il contenuto conformativo che è richiesto alla P.A. sulla base della diversa motivazione adottata, fermo il carattere meramente residuale, secondo la giurisprudenza, della competenza del Consiglio di Stato. Negli altri casi (sentenze e provvedimenti del G.o., dei Giudici speciali e lodi) il ricorso si propone al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza. Si applica cioè il criterio territoriale, riferito al giudice che ha adottato il provvedimento da ottemperare e non più all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, come avveniva in precedenza. 7. Procedimento (art. 114 c.p.a.). Per quanto attiene a forme, modi e termini da seguire e rispettare, il Codice è molto più preciso e completo rispetto alla scarna disciplina contenuta nel regolamento per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato, r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (artt. 89, 90, 91). Anzitutto non è più necessario far precedere il ricorso dalla notifica della diffida ad adempiere, eliminata per semplificare e accelerare il procedimento. resta però fermo che deve trattarsi pur sempre di un caso di inadempienza del- l’amministrazione, che si considera maturata al decorso di 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza e non del mero dispositivo, dovendo l’amministrazione conoscere la motivazione nella sua interezza per potersi conformare alla stessa. Il ricorso deve essere proposto entro il termine di prescrizione dell’actio judicati, ossia 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza da ottemperare. Trattandosi di un termine di prescrizione e non di decadenza esso è ritenuto suscettibile di interruzione anche con atti stragiudiziali (Cons. Stato, Ad. Plen., 4 dicembre 2020 n. 24). Il ricorso non differisce nella forma da quello esperibile in via ordinaria, salvo per quanto riguarda l’oggetto della domanda che non è l’annullamento del provvedimento impugnato (art. 40, comma 1, lett. b, c.p.a.) ma ovviamente l’ottemperanza alla decisione inadempiuta. Vanno poi esplicitate tutte le varie domande possibili, quali si ricavano dalla elencazione dei poteri del giudice rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 indicati nella norma in questione e riguardanti l’emanazione del provvedimento richiesto o la nomina di un commissario preposto a ciò, la dichiarazione di nullità del provvedimento elusivo o contrario al giudicato, la condanna al risarcimento del danno, l’applicazione eventuale dell’astreinte, ecc. In particolare, tenuto conto del fatto che, per il principio di concentrazione, il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza, comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta, è possibile proporre nell’ambito del giudizio di ottemperanza, anche in unico grado, l’azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o conseguenti alla sua violazione o elusione. Tale possibilità si fonda sul fatto che si tratta di azioni connesse all’azione principale e che pur attenendo a diritti soggettivi (come d’altronde la stessa actio judicati) ben sono ammissibili avendo il giudice dell’ottemperanza giurisdizione esclusiva (art. 133, n. 5, c.p.a.). Non sono invece esperibili le azioni risarcitorie di condanna per lesione di interessi legittimi che sono regolate dall’art. 30 c.p.a.; la disposizione infatti che le consentiva (art. 112, comma 4, c.p.a.) è stata soppressa dal primo decreto correttivo, d.lgs. 15 novembre 2011 n. 195 (art. 1, comma 1, lett. cc, n. 2). Queste vanno perciò proposte con ricorso ordinario in sede di legittimità. Nella redazione del ricorso occorre rispettare il limite dimensionale di 30.000 caratteri (pari a circa 15 pagine) fissato dal d.P.C.S. n. 167/2016. Stesso limite si applica alla memoria di costituzione mentre le repliche non possono superare i 10.000 caratteri (pari a circa 5 pagine). Il ricorso va depositato entro il termine perentorio dimezzato rispetto a quello ordinario, ossia entro 15 giorni dall’ultima notifica, trattandosi di giudizio in camera di consiglio (art. 87, commi 2 e 3, c.p.a.), termine questo ritenuto congruo dalla Corte costituzionale (sent. 10 novembre 1999 n. 427). Per la medesima ragione, tutti i termini processuali successivi sono dimezzati applicandosi la disciplina dettata per i giudizi in camera di consiglio (perciò, 30 gg. per la costituzione, 20 gg. liberi prima dell’udienza di trattazione per la produzione di documenti, 15 gg. liberi per le memorie e 10 per le repliche). unitamente al ricorso va depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato a pena di inammissibilità (v. TAr Veneto, I, 23 gennaio 2020 n. 82; Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015 n. 5645). L’udienza di trattazione in camera di consiglio è fissata di ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta. Peraltro, la trattazione in pubblica udienza (invece che in camera di consiglio) non costituisce motivo di nullità CoNTrIBuTI dI doTTrINA della decisione e non esonera dal rispetto delle norme sul dimezzamento dei termini né costituisce errore scusabile ai fini della tempestiva proposizione del giudizio di appello (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 dicembre 2011 n. 10). 8. La decisione. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata, nella quale cioè la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme (v. art. 74 c.p.a.). Se però oggetto di esecuzione è una ordinanza, il giudice decide con ordinanza. Il giudice se accoglie il ricorso: a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione; b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato; c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano; d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta; e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza. Come è evidente, le prime due sono le decisioni più invasive della sfera della P.A. inadempiente, in quanto arrivano a comportare la sostituzione del giudice alla stessa e financo a dichiarare la nullità di suoi provvedimenti elusivi o emessi in violazione del giudicato; di norma, peraltro, il giudice si limita, nel caso di inerzia, a incaricare un commissario di dare esecuzione in concreto alla sentenza, misura questa altrettanto invasiva. Nel caso di provvedimenti esecutivi non passati in giudicato, il giudice deve avere cura di determinare le modalità di esecuzione in modo che le misure attuative siano reversibili se il provvedimento verrà modificato nel prosieguo, considerando inefficaci (e non annullando) gli atti elusivi o violativi. Nei casi più gravi il giudice -su richiesta di parte -può arrivare ad applicare la c.d. astreinte, ossia può condannare l’amministrazione riottosa al pagamento di una somma di danaro aggiuntiva per ogni ulteriore ritardo nell’adempiere (v. sopra, sub e). Si tratta di uno strumento di coercizione indiretta derivato dal diritto francese e già recepito nel codice di procedura civile rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 per gli obblighi di fare o non fare (art. 624-bis c.p.c.). L’applicazione di tale misura è mitigata dal fatto che essa non deve apparire manifestamente iniqua né essere impedita da altre ragioni ostative (quali il dipendere l’esecuzione dall’opera di terzi o la prestazione abbia carattere strettamente personale). Essa peraltro appare poco compatibile con la contemporanea nomina del commissario ad acta. Il c.p.a. non fornisce i criteri di determinazione dell’importo da applicare, se non in negativo (nel senso che la penalità non è iniqua se commisurata agli interessi legali), per cui si può ricorrere a quelli generici indicati dalla norma processualistica civile (valore della controversia, natura della prestazione, danno subito o prevedibile, ogni altra circostanza utile). 9. il commissario ad acta. La figura del commissario chiamato dal giudice ad ottemperare merita di essere approfondita sotto alcuni aspetti (natura propria e degli atti adottati, loro impugnabilità). Sintetizzando un lungo e controverso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, possono ritenersi per acquisiti i seguenti risultati, riassunti da una recente pronunzia del Cons. Stato (Ad. Plen., 31 maggio 2021 n. 8): -il commissario ad acta non è un organo straordinario dell’amministrazione, come talora ritenuto anche in giurisprudenza, ma un ausiliario del giudice, come ora espressamente definito dall’art. 21 c.p.a.; -gli atti adottati dal commissario sono riferibili al giudice che l’ha nominato e quindi non sono propriamente atti amministrativi e non sono di norma impugnabili in sede di legittimità, a meno che l’attività di esecuzione non consentisse margini di discrezionalità amministrativa (come nel caso di interessi pretensivi); -il potere dell'amministrazione e quello del commissario ad acta sono poteri concorrenti, di modo che ciascuno dei due soggetti può dare attuazione a quanto prescritto dalla sentenza passata in giudicato, o provvisoriamente esecutiva e non sospesa, o dall'ordinanza cautelare fintanto che l'altro soggetto non abbia concretamente provveduto; -anche dopo la nomina e l’insediamento del commissario l’amministrazione non perde il potere di provvedere ad eseguire la sentenza: pertanto gli atti emanati dall'amministrazione, pur in presenza della nomina e dell'insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati di per sé affetti da nullità, in quanto gli stessi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l'insediamento del commissario; -gli atti adottati dal commissario ad acta non sono annullabili dall'amministrazione nell'esercizio del proprio potere di autotutela, né sono da questa impugnabili davanti al giudice della cognizione, ma sono esclusivamente reclamabili, a seconda dei casi, innanzi al giudice dell'ottemperanza, ai sensi CoNTrIBuTI dI doTTrINA dell'art. 114, comma 6, c.p.a., ovvero innanzi al giudice del giudizio sul silenzio, ai sensi dell'art. 117, comma 4, c.p.a.; -gli atti adottati dal commissario ad acta dopo che l'amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, ovvero quelli che l'amministrazione abbia adottato dopo che il commissario ad acta abbia provveduto, sono da considerare inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione può essere richiesta da chi vi abbia interesse, a seconda dei casi, al giudice dell'ottemperanza o al giudice del giudizio sul silenzio; -gli atti emessi dal commissario come organo ausiliario sono reclamabili dalle parti avanti al giudice dell’ottemperanza con atto depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni (art. 114, c. 6, c.p.a.). Invece gli atti emanati dal giudice dell’ottemperanza o dal suo ausiliario sono impugnabili dai terzi estranei al giudicato ai sensi dell’articolo 29 c.p.a., con il rito ordinario (art. 114, c. 6, c.p.a.). Peraltro la nomina del commissario ad acta può anche essere anticipata già nella sentenza in sede di cognizione “con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza” (art. 34, c. 1, lett. e, c.p.a.). Anche il commissario può chiedere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza (art. 114, comma 7, c.p.a.). 10. impugnazioni. Contro i provvedimenti giurisdizionali del giudice dell’ottemperanza sono esperibili tutti i normali mezzi di impugnazione, a cominciare dall’appello, a seguire con la revocazione, l’opposizione di terzo e il ricorso per Cassazione. Il codice infatti si limita a richiamare per le impugnazioni le disposizioni relative al giudizio di ottemperanza di primo grado e per i termini quelle del giudizio ordinario, ossia l’art. 92 c.p.a. (art. 114, commi 8 e 9). Si deve pertanto ritenere che l’appello è sempre proponibile (in passato lo si escludeva quante volte la sentenza si fosse limitata a dettare misure di mera esecuzione). Naturalmente se la sentenza di ottemperanza è emessa dal Consiglio di Stato è ammissibile solo il ricorso per Cassazione per motivi inerenti i limiti esterni della giurisdizione, oltre ai suddetti due mezzi di impugnazione straordinari. Si ritiene esperibile in ogni caso anche il regolamento preventivo di giurisdizione (Cass. SS.uu., 9 marzo 1981 n. 1299). In particolare, la Cassazione ha ritenuto ammissibile il ricorso contro la sentenza che neghi l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza (Cass., SS.uu., 20 aprile 2021 n. 10355). Il termine di proposizione dell’impugnazione è quello ordinario mentre tutti gli altri termini, a cominciare da quello per il deposito del gravame, sono dimezzati in forza dell’art. 87, comma 3, c.p.a. da notare infine che la esecuzione spontanea della sentenza esecutiva del Tar da parte dell’amministrazione soccombente non comporta di per sé, in di rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 fetto di altri indizi, l’acquiescenza alla stessa e la perdita del potere di impugnazione, trattandosi di atto giuridicamente dovuto (Cons. Stato, VI, 1 febbraio 2002 n. 564). 11. Titolo esecutivo (art. 115 c.p.a.). Per raggiugere il loro scopo, quante volte non siano autoesecutive, le sentenze del giudice di ottemperanza -in omaggio al principio della effettività della tutela giurisdizionale -devono poter essere portate ad esecuzione forzata, come quelle del G.o. A tal fine è espressamente previsto che siano spedite in forma esecutiva su richiesta di parte e che costituiscano titolo per l’iscrizione di ipoteca (art. 115, commi 1 e 2, c.p.a.). Si tratta di una esecuzione forzata che, nel caso di crediti pecuniari, si aggiunge a quella che il creditore avrebbe potuto già esperire in forza del giudicato civile, senza ricorrere al giudizio di ottemperanza. Allora ci si può domandare, perché promuovere anche tale procedimento? La risposta sta nelle difficoltà pratiche che incontra il creditore stante la normale impignorabilità dei beni pubblici. A questo si aggiunge che il creditore non può procedere al- l’esecuzione forzata nei confronti delle amministrazioni pubbliche né a notificare il precetto prima che siano decorsi 120 gg. dalla notifica del titolo esecutivo (art. 14 l. n. 669/1996). Quando poi l’esecuzione necessita di una ulteriore attività cognitoria da parte della P.A., il ricorso al giudizio di ottemperanza diventa una necessità, tanto più che il giudice dell’ottemperanza ha il potere di integrare il giudicato amministrativo (non invece quello del G.o.: Cons. Stato, V, 30 ottobre 2015 n. 2690). Tuttavia, esecuzione forzata civile e giudizio di ottemperanza non sono del tutto assimilabili stante la surricordata natura mista o polisemica di quest’ultimo (al riguardo, v. Cons. Stato, IV, 14 settembre 2021 n. 6290, in materia di rilascio della attestazione del passaggio in giudicato di sentenza del G.o. non registrata; Cons. Stato, IV, 2 marzo 2021 n. 1765 che ha rimesso la questione della imposta di registro alla Corte costituzionale). Anche la Corte costituzionale ha sottolineato che “sono differenti e, quindi, non comparabili le azioni esecutive esperibili davanti al giudice ordinario secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza” (Corte cost., 8 febbraio 2006 n. 44). 12. La riedizione del potere amministrativo. Il tema dell’ottemperanza è strettamente connesso, come detto all’inizio, con quello della riedizione del potere amministrativo dopo la sentenza di annullamento. Infatti, quante volte la pronuncia di annullamento non sia autoesecutiva, nel senso che l’effetto demolitorio non è sufficiente ad assicurare il bene della CoNTrIBuTI dI doTTrINA vita perseguito dal ricorrente, è necessario che l’amministrazione, che conserva il potere di amministrazione attiva salvo i limiti derivanti dal giudicato stesso, riprenda in mano la pratica e provveda in merito (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 4). Al fine però di evitare una frammentazione di provvedimenti sfavorevoli senza fine, la giurisprudenza, con l’obiettivo di perimetrare la consumazione del potere amministrativo, ha individuato un limite alla attività valutativa del- l’amministrazione dopo una sentenza di annullamento di un diniego, consistente nel c.d. one shot temperato secondo cui l’amministrazione nella riedizione del potere ha il dovere “di esaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, una volta per sempre, ogni questione ritenuta rilevante, senza potere successivamente tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati” (Cons. Stato, III, 2 agosto 2021 n. 5405; III, 2 febbraio 2021 n. 946; IV, 15 maggio 2020 n. 3095; III, 14 febbraio 2017 n. 660). Anche tale orientamento ha ricevuto un avallo in sede legislativa con la modifica dell’art. 10-bis legge 7 agosto 1990 n. 241, secondo cui “in caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato” (d.l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, art. 12, comma 1, lett. e). Ciò posto, si possono verificare le seguenti evenienze: 1) l’amministrazione rimane inerte. La parte può ricorrere al giudizio di ottemperanza o al giudizio avverso il silenzio ai sensi dell’art. 117 c.p.a., disponendo tale norma che “il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario” (comma 4). 2) l’amministrazione adotta un provvedimento ancora sfavorevole. Qui possono darsi due casi e cioè che questo sia elusivo o in violazione del giudicato e allora la parte interessata deve adire il giudice dell’ottemperanza, unico competente a dichiararne la nullità, ai sensi dell’art. 21-septies, legge 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 114, comma 4, lett. b) c.p.a.; ovvero che il nuovo provvedimento si muova negli spazi non coperti dal giudicato (si pensi ad un annullamento per vizi formali, in relazione ad attività amministrativa non vincolata) nel qual caso è necessario impugnarlo in via ordinaria (Cons. Stato, VI, 15 novembre 2010 n. 8053). Se l’annullamento per motivi formali invece fosse intervenuto in relazione ad attività vincolata, opererebbe l’art. 21-octies, l. n. 241/1990 e si ricadrebbe nel primo caso, perché il giudice deve aver valutato la fondatezza nel merito della istanza disattesa. Ma può anche verificarsi il caso che l’amministrazione non sia più in grado di adottare il provvedimento richiesto per intervenuti mutamenti di fatto o di diritto (si pensi al caso che nel frattempo la legge sia cambiata e vieti l’at rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 tività o l’area è stata saturata o sono intervenuti nuovi vincoli paesaggistici o ambientali o il ricorrente sia stato nel frattempo collocato in pensione). In questa ipotesi lo strumento utilizzabile è la richiesta di risarcimento danni per equivalente da azionarsi con il giudizio di ottemperanza (art. 112, comma 3, c.p.a.), senza possibilità per l’amministrazione di fornire prova liberatoria circa la mancanza di una propria colpa, trattandosi di una responsabilità di tipo oggettivo (v. Cons. Stato, V, 20 luglio 2021 n. 5454, nel caso di prossimo pensionamento; Cons. Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017 n. 2; in senso parzialmente difforme, v. Cons. Stato, V, 31 maggio 2021 n. 4182). Al riguardo, per giurisprudenza costante, è “principio generale per cui l'esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile; sicché la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell'interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima; anche per le situazioni istantanee, però, la retroattività dell'esecuzione del giudicato trova, peraltro, un limite intrinseco e ineliminabile (che è logico e pratico, ancor prima che giuridico), nel sopravvenuto mutamento della realtà -fattuale o giuridica -tale da non consentire l'integrale ripristino dello status quo ante” (Cons. Stato, III, 6 maggio 2021 n. 3529; Cons. Stato, Ad. Plen., 9 giugno 2016 n. 11). Tali evenienze e la complessità delle relative valutazioni inducono sovente gli interessati a promuovere un doppio ricorso, salvo la possibilità di convertire quello di ottemperanza in ricorso di legittimità (e non viceversa) ove ne sussistano i presupposti di legge (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2). In sintesi, resta confermata la rilevanza centrale del giudizio di ottemperanza nel quadro dell’ordinamento processuale amministrativo, in ossequio dei principi costituzionali (artt. 97 e 111 Cost.) e di quelli dell’unione europea (artt. 19 TuE e 280 TFuE) e della Cedu. Infatti secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il diritto al processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti comprende, in quanto diritto ad un giudice, il diritto all’esecuzione del giudicato, che va perciò riguardata come una parte integrante del processo ai sensi dell’art. 6 (sent., 19 marzo 1997, Hornsby v. Grecia; 18 novembre 2004, Zazanis v. Grecia) e l’esecuzione non può essere indebitamente ritardata (sent., 28 luglio 1999, immobiliare Saffi v. italia). CoNTrIBuTI dI doTTrINA Intorno all’attuazione dell’art. 111 Cost. nelle questioni attinenti o inerenti alla giurisdizione. Proposte ricostruttive in ordine all’ammissibilità del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato Michele Gerardo, Adolfo Mutarelli* Sommario: 1. Profili generali -2. Perimetro di ammissibilità del ricorso per Cassazione -3. il limite dei soli motivi inerenti (attinenti) alla giurisdizione -4. motivi inerenti alla giurisdizione e possibili antinomie costituzionali -5. Possibili molestie iure condito (rectius: a Costituzione invariata) all’assetto disegnato dalla Corte Costituzionale -6. molestie de iure condendo (rectius: innovando la disciplina costituzionale): unità della giurisizione. 1. Profili generali. L’ambito del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato ha determinato nell’ultimo ventennio crescenti contrasti e bella intestina tra i massimi plessi della giurisdizione (in particolare tra Corte di cassazione e Consiglio di Stato) con interventi della Corte Costituzionale conseguenti agli stimoli, in base alle provenienze, delle sue componenti. La Corte di Cassazione, spesso, in materie considerate rilevanti istituzionalmente -con margini non sempre nitidi con riferimento alla giurisdizione ha talora dilatato l’ambito della materia della giurisdizione dell’A.G.o., a scapito della giurisdizione amministrativa, con l’intuibile effetto di continuare a custodire quella materia nel plesso del giudice ordinario. da parte sua il Consiglio di Stato è, a sua volta, intervenuto sulle medesime materie dilatando l’ambito della giurisdizione amministrativa per non consentire lo spoglio del proprio plesso in parte qua. Tali tensioni non sono sfuggite in dottrina che ha di recente osservato come possa ritenersi in atto una sorta di guerra delle giurisdizioni, evidenziando che la “situazione italiana attuale vede una coesistenza forzata delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, una situazione quasi da ‘separati in casa’” (1). Nel dichiarato (auspicabile) obiettivo (*) Adolfo Mutarelli, già avvocato dello Stato. Michele Gerardo, avvocato dello Stato. Le considerazioni espresse nel presente scritto impegnano esclusivamente gli autori. (1) B. SASSANI, L’idea di giurisdizione nella guerra delle giurisdizioni. Considerazioni politicamente scorrette, in Judicium, 19 maggio 2021, evidenzia, a proposito della giurisdizione esclusiva del G.A. per blocchi di materie del decreto legislativo n. 80 del 1998, che “la nuova giurisdizione esclusiva fu sabotata immediatamente dalla Corte Costituzionale con la sentenza 292 del 2000 che dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 33, quello dei pubblici servizi (sotto il profilo dell’eccesso di delega, poi rimediato da un intervento legislativo). ma, al di là dell’ufficialità istituzionale, fa giustizia ai fatti limitarsi rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 di realizzare una armonica coesistenza tra giurisdizioni si è così proposta la creazione di un organo misto di composizione dei conflitti: “in questo poco edificante scenario, è davvero un peccato capitale auspicare che prima o poi si pensi ad una blanda applicazione della logica che presiede al sistema costituzionale tedesco, cioè ad integrare i collegi delle Sezioni Unite con magistrati del Consiglio di Stato per costituire così un giudice dei conflitti di giurisdizione a composizione mista? Non se ne farà nulla, ovviamente: piace disputare agli accademici su (talora fantomatiche) questioni di principio. ancor più, mi sembra, piace disputare ai giudici supremi, con la differenza che, dietro le questioni di principio, si profilano gli assetti di potere dei relativi corpi e le missioni di cui si ritiene questi siano stati investiti” (2). di qui la legittimità della riferita proposta, che mira alla creazione di una sorta di stanza di compensazione giurisdizionale cui prendano parte componenti dei plessi coinvolti così come di ogni altro tentativo ricostruttivo e/o innovativo che tenda a depotenziare le tensioni in atto che, come è evidente, costituiscono il frutto avvelenato dei definiti margini (motivi attinenti alla giurisdizione) (3) in cui è confinato il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato. Nella riferita prospettiva è, infatti, di intuitiva evidenza l’osservazione che lo status di parti belligeranti verrebbe del tutto meno se, di contro, venisse ammessa tout court la ricorribilità per violazione di legge avverso le sentenze del Consiglio di Stato (e della Corte dei Conti) ovvero ampliata la possibilità del ricorso per cassazione oltre i “motivi attinenti la giurisdizione”. Il condivisibile tentativo di cui farsi carico è dunque quello di individuare una possibile terra di mezzo condivisa, meglio se a Costituzione invariata. 2. Perimetro di ammissibilità del ricorso per Cassazione. L’art. 111, ottavo comma, Cost., (pleonasticamente poi confermato dal- l’art. 110, d.Lvo 2 luglio 2010, n. 104, codice processo amministrativo) secondo cui “Contro le decisioni del Consiglio di Stato […] il ricorso in a parlare di Corte costituzionale? Forse no, se andiamo a leggere (e qui abbiamo un’altra chiave per guardare alle vicende ultime) la composizione di quella Corte costituzionale -presidente ruperto; estensore Bile -troviamo che sotto la veste della Corte costituzionale aveva operato di fatto la Corte di cassazione, perché sia il giudice ruperto che il giudice Bile provenivano dai ranghi della Cassazione, e la lettura tra le righe della sentenza presenta i topoi tipici delle Sezioni Unite di quegli anni, miranti alla riduzione dell’ambito della giurisdizione esclusiva (ancorché il tutto fu rivestito poi del motivo formale dell’eccesso di delega). Corte di cassazione in salsa Consulta”. (2) Così ancora, B. SASSANI, L’idea di giurisdizione nella guerra delle giurisdizioni. Considerazioni politicamente scorrette, cit. (3) Sulla problematica: A.M. SANduLLI, manuale di diritto amministrativo, vol. II, XV edizione, Jovene, pp. 1511-1514; V. CAIANIELLo, manuale di diritto processuale amministrativo, II edizione, uTET, 1994, pp. 299-301; A. TrAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, XII edizione, Giappichelli, 2016, pp. 344-346; C.E. GALLo, manuale di giustizia amministrativa, IX edizione, Giappichelli, 2018, pp. 357-359. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione” si presenta in linea di continuità rispetto alla pregressa disciplina della materia. In particolare, l’art. 48 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (T.u. delle leggi sul Consiglio di Stato) sanciva espressamente che “Le decisioni pronunziate in sede giurisdizionale possono, agli effetti della L. 31 marzo 1877, n. 3761, essere impugnate con ricorso per cassazione. Tale ricorso tuttavia è proponibile soltanto per assoluto difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato”; così pure l’art. 36 L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) secondo cui “Contro le decisioni pronunziate dal Consiglio di Stato in secondo grado sono ammessi […] il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione”. In senso del tutto coerente è stato, pertanto, interpretato l’art. 362, comma 1, c.p.c. per il quale “Possono essere impugnate con ricorso per cassazione, nel termine di cui all'articolo 325 secondo comma, le decisioni in grado di appello o in unico grado di un giudice speciale, per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso” (4). Nessuna differenza disciplinatrice è stata infatti colta nell’utilizzo dei diversi sintagmi “inerenti”o “attinenti” utilizzati nelle richiamate previsioni anche se il concetto di attinenza ab initio sembrava poter evocare una nozione meno rigorosamente circoscrivibile (5). Ciò in quanto “in definitiva, ‘motivi attinenti alla giurisdizione” possono certo non risultare “inerenti’ alla stessa, e cioè avere natura diversa pur ponendosi in relazione con la giurisdizione”. una possibile diversa intonazione era peraltro non registrata in giurisprudenza per la quale sul piano ermeneutico non era individuabile una differenza ontologica tra inerenza e attinenza alla giurisdizione anche se, nei fatti, veniva ritenuto riconducibile alla giurisdizione non soltanto il giudizio rigorosamente concernente l’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni che regolano la deducibilità ed il rilievo del difetto di giurisdizione (6) nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni (7). Pur in tale evoluzione, che si inserisce pienamente nella descritta tendenza dinamica ed evolutiva della nozione di giurisdizione (8), la Corte di Cassazione ha in più occasioni ribadito che la violazione del diritto dell'unione europea da parte del giudice ammini (4) Il secondo comma dell’art. 362 c.p.c. statuisce: “Possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione:1) i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari; 2) i conflitti negativi di attribuzione tra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario”. (5) Testualmente da F. AuLETTA, ammissibilità del ricorso “per motivi attinenti” alla giurisdizione ed effetti delle decisioni della Corte di Cassazione sulla questione pregiudiziale del giudice speciale “tenuto” al rinvio alla Corte di Giustizia, in Foro it., 2021, I, c. 1019. (6) Cass., S.u., 28 gennaio 2021, n. 1914; Cass., 20 ottobre 2016, n. 21260. (7) Cass., S.u., 23 novembre 2011, n. 20727. (8) Cass., S.u., 9 marzo 2015, n. 4682; Cass. S.u. 23 novembre 2021, n. 20727. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 strativo non vale, di per sé, ad integrare un superamento delle attribuzioni di tale giudice (9). Nel contesto normativo dato, in cui un ruolo significativo è svolto dall’art. 386 c.p.c. secondo cui “La decisione sulla giurisdizione è determinata dal- l'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”, la Suprema Corte, seppur timidamente e con il limite sopra ricordato, è apparsa imboccare nel tempo, via via sempre più apertamente, la strada di una interpretazione evolutiva dei motivi inerenti alla giurisdizione di cui all’art. 111 Cost. proponendo una lettura del controllo sulla giurisdizionale più ampio dei suoi tradizionali confini e orientandosi verso una visione unificatrice della giurisdizione. Il controllo di legittimità della Corte di Cassazione, limitato all'accertamento di un eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, è sembrata volersi sintonizzare (rectius: dilatare) verso un sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, ossia sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale, cui ineriscono gli errores in iudicando o in procedendo (beninteso per vizi non coinvolgenti i limiti esterni della giurisdizione). A tale stregua è error in procedendo l’erronea composizione del collegio giudicante. un canale interpretativo che tende ad estendersi al controllo della "forme di tutela" attraverso cui la giurisdizione si estrinseca. Ad arginare la descritta tendenza evolutiva della Cassazione e a riportare l’interpretazione della norma costituzionale (art. 111, ottavo comma, Cost.) al suo ruolo tradizionale è intervenuta la Corte Costituzionale (10) che ha ribadito che il sindacato sulla giurisdizione riguarda i soli casi nei quali si discuta del- l'esistenza della giurisdizione tout court o, se esistente, del riparto della giurisdizione tra i vari ordini giurisdizionali, e che ad essa deve ritenersi del tutto estraneo il vaglio di errores in procedendo (11) o in iudicando ancorché siano in gioco contrasti di giudicato con pronunce di Corti sovranazionali. (9) Cass., S.u., 30 gennaio 2017, n. 2219; Cass., S.u., 17 gennaio 2017, n. 956. (10) Corte Cost., 18 gennaio 2018, n. 6. (11) Sicché l’erronea composizione del collegio giudicante non rientra tra i motivi di giurisdizione. Conf. Cass., S.u., 16 gennaio 2007, n. 753 per la quale l'asserita irregolarità della composizione del collegio costituente l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, -sotto il profilo della partecipazione al collegio stesso, oltre al presidente dell'organo, anche di tre presidenti di sezione e non soltanto di consiglieri di Stato -non può essere dedotta con ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione, atteso che tale ricorso è esperibile solo per violazioni dei limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali di detto Giudice amministrativo, e che siffatta violazione è ravvisabile, rispetto ai vizi di costituzione dell'organo giudicante, esclusivamente quando i vizi medesimi si traducano nella non coincidenza di tale organo con quello delineato dalla legge, per effetto di alterazione della sua struttura ovvero di totale carenza di legittimazione di uno o più dei suoi componenti, condizione che non si può ravvisare nella formazione del collegio giudicante con la partecipazione di componenti muniti dello "status" di magistrati del Consiglio. In tal senso, in dottrina: V. CAIANIELLo, manuale di diritto processuale amministrativo, cit., pp. 299-300; L. MAzzAroLLI, G. PErICu, A. ro CoNTrIBuTI dI doTTrINA La Corte Costituzionale ha perentoriamente riaffermato l'autonomia dei giudici speciali nella sfera interna alla propria giurisdizione (12) ribadendo che per “soli motivi attinenti alla giurisdizione” deve intendersi: a) lo sconfinamento del giudice in sfere riservate al legislatore o alla pubblica amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento). Vengono invasi i perimetri della potestà degli altri classici poteri dello Stato: il potere legislativo ed il potere esecutivo. Mentre sono casi di scuola quelli di invasione del potere legislativo, sono invece più ricorrenti i casi di invasione della potestà della P.A. (ciò accade nel caso in cui il giudice amministrativo abbia sindacato il merito delle scelte della P.A. per le materie relativamente alle quali possiede, in via ordinaria, solo il sindacato di legittimità); b) il diniego di giurisdizione sul presupposto errato che nessun giudice è fornito di giurisdizione (cosiddetto arretramento); c) difetto relativo di giurisdizione consistente nell'affermazione della propria giurisdizione in un caso che invece rientra nella giurisdizione di un altro giudice (o viceversa). Bandendo ogni incertezza e superando la propria giurisprudenza la Cassazione, a Sezioni unite, con ordinanza, 18 settembre 2020, n. 19598 ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale del se gli artt. 4, par. 3, 19, par. 1, T.u.E. e 2, parr. 1 e 2, e 267 T.F.u.E. (letti anche alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione Europea), ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli artt. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1 e 362, comma 1, c.p.c. e 110 c.p.a. -nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per "motivi inerenti alla giurisdizione" -come si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva secondo cui il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto "difetto di potere giurisdizionale", non può essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell'unione MANo, F.A. roVErSI MoNACo, F.G. SCoCA, Diritto amministrativo, vol. II, IV edizione, Monduzzi, 2005, p. 652.In senso contrario: P. VIrGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, III edizione, Giuffré, 1982, p. 413 per il quale è ammesso il ricorso allorché sia stata irregolare la composizione del collegio giudicante. (12) In dottrina al riguardo si è acutamente osservato che in tal modo la Corte costituzionale ha sbarrato la strada a un'interpretazione evolutiva più ampia dei motivi di giurisdizione operata dalla Corte di cassazione in anni recenti che includeva tra questi anche i casi di radicale stravolgimento delle norme processuali tali da implicare un diniego di giustizia (per esempio sentenza delle Sezioni unite civili 29 dicembre 2017, n. 31226). Né secondo la Corte può rilevare "il dato qualitativo della gravità del vizio" in quanto incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza dei plessi giurisdizionali e foriero di incertezze in sede applicativa” (così M. CLArICh, i motivi inerenti alla giurisdizione nel "dialogo" tra le corti supreme, in Corriere Giur., 2021, 2, pp. 162 e ss.). rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Europea nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l'effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l'uniforme applicazione del diritto dell'unione e l'effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria. Quanto precede in contrasto con l'avvertita esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di Giustizia, tenuto conto dei limiti alla "autonomia procedurale" degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali. Passo significativo della motivazione dell’ordinanza è senz’altro quello in cui le S.u. osservano che “alla luce di una nozione evolutiva del concetto di giurisdizione e della conseguente mutazione della nozione (e del giudizio) sulla giurisdizione -la cui interpretazione è riservata alle Sezioni Unite (art. 111 Cost., comma 8) -nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, che comprende le diverse tutele che l'ordinamento assegna ai giudici per assicurare l'effettività dell'ordinamento, si è ritenuto che è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca. rientra pertanto nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l'operazione che consiste nell'interpretare la norma attributiva di tutela, onde verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 8, la eroghi concretamente”. Al di là dell’esito che riceverà il rinvio pregiudiziale, è agevole ritenere che lo stesso testimonia che la giurisprudenza evolutiva di legittimità è dichiaratamente orientata al superamento degli attuali confini presidiati dai soli motivi inerenti alla giurisdizione in quella che è stata definita marcia di avvicinamento verso l’unità della giurisdizione (13). Va in ogni caso preso atto che la guerra in atto dalla trincea delle ricostruzioni dogmatiche è divenuta a campo aperto per la delimitazione dei confini dei poteri. Non senza osservare, da ultimo, che il percorso imboccato dalla Corte sembra accidentato e ben più arduo rispetto alla proposta riequilibratrice degli opposti fronti di creare un nuovo “giudice dei conflitti” a composizione mista. 3. il limite dei soli motivi inerenti (attinenti) alla giurisdizione. Come noto il sindacato di legittimità sulle sentenze dei giudici speciali costituì tema di serrato dibattito all’interno dell’Assemblea costituente. L’am (13) M. MAzzAMuTo, il giudice delle leggi conferma il pluralismo delle giurisdizioni, in Giur. it., 2018, p. 704. CoNTrIBuTI dI doTTrINA missibilità di un tale sindacato sulle sentenze dei giudici speciali veniva ritenuto inappropriato da quanti valorizzavano il rilievo che il proprium delle giurisdizioni speciali risiedeva per l’appunto nella maggiore idoneità ad interpretare le leggi che regolano certi specifici rapporti. Prevalse per tal via l'orientamento di mantenere fermo l’esistente principio dell'insindacabilità in Cassazione delle sole decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, ribadendo l'attribuzione alla Cassazione della funzione di giudice della giurisdizione. È quindi questo il principio per cui la Cassazione è giudice della giurisdizione (affermatosi a partire dal 1877 (14) con il conferimento alla Cassazione romana a Sezioni unite della giurisdizione sui conflitti di attribuzione) ed è ancora questo a fare da sfondo alla regola secondo cui la decisione del Consiglio di Stato è impugnabile solamente per motivi di giurisdizione: “Questo controllo della Corte di Cassazione si collega alla funzione propria della stessa Corte di risolvere i conflitti di attribuzione tra gli organi del potere giudiziario e quelli dell’esecutivo” (15). Secondo parte della dottrina la limitazione de qua sarebbe essenzialmente connessa alla posizione costituzionale del Consiglio di Stato (e della Corte dei Conti): posizione che sarebbe menomata se le sentenze di questi due organi potessero essere annullate da altro organo (la Cassazione) per violazione di legge o per vizio di motivazione (16). Trattasi di scelta legislativa (condivisibile o meno) ma che non è stata assunta a tutela di principi o regole di valenza costituzionale: lo è divenuta perché costituzionalizzata nell’art. 111 Cost. 4. motivi inerenti alla giurisdizione e possibili antinomie costituzionali. In tal modo ricostruita la genesi del ricorso per cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione occorre chiedersi se tale regola (art. 110 c.p.a. e art. 111, comma 8, Cost.) sia attualmente conforme o declinabile con i principi costituzionali desumibili, tra l’altro, dall’art. 3 e dall’innovato art. 111 Cost. Potrebbe infatti dubitarsene sotto almeno due profili. a) In primo luogo la regola del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato solo per i motivi inerenti alla giurisdizione contrasta con la disposizione contenuta nell’art. 111, comma 7, Cost. secondo cui “Contro le sentenze […], pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo (14) L. 31 marzo 1877, n. 3761, recante “Norme sui conflitti di attribuzioni”, sostituita poi dal- l’attuale codice di procedura civile (e in specie: artt. 41, 362 e 368 c.p.c.). (15) Così: V. CAIANIELLo, manuale di diritto processuale amministrativo, cit., p. 299. (16) In tali termini: G. CorSo, manuale di diritto amministrativo, VIII edizione, Giappichelli, 2017, pp. 601-602. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 di guerra”. Contrasta cioè apertamente con il principio secondo cui contro le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è “sempre” ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, non rientrandosi tra i casi di deroga consentiti (ossia quello delle sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra). Vi è una antinomia evidente tra due disposizioni costituzionali: l’ottavo comma dell’art. 111 Cost. costituisce una disposizione in contrasto con quella contenuta nel comma settimo dell’art. 111 Cost. che consente “sempre” il ricorso in Cassazione per violazione di legge. È noto che le antinomie costituzionali -sussistendo tra norme entrate in vigore nello stesso momento e di eguale efficacia -non possono essere risolte con i consueti criteri, ma mediante il bilanciamento degli interessi e dei valori coinvolti nelle norme che vengono in rilievo in virtù di una gerarchia assiologica e mobile (17). Con il criterio assiologico, nel caso di incompatibilità tra norme sulla stessa materia, si applica la norma a presidio del valore costituzionalmente maggiormente significativo. Tale criterio consente di risolvere le antinomie all’interno della Costituzione, nella quale non esistono principi tiranni (18), e laddove vi sono principi in contrasto (ad es. rispetto della dignità umana e libera manifestazione del pensiero) la selezione va operata mediante il criterio della ponderazione dei valori riferita allo specifico caso concreto, ponderazione che, a sua volta, non è definitiva bensì variabile e dinamica in base ai valori di volta in volta storicamente coinvolti (gerarchia assiologica e mobile). Se nel conflitto tra principi occorre operare il loro bilanciamento al fine di valutare quale principio “pesi” maggiormente sulla bilancia dei valori costituzionali interessati, la ponderazione non potrà che consistere, quindi, nello stabilire tra i due principi in conflitto una gerarchia che presenti due caratteri: una gerarchia assiologica, ed è al contempo, mobile. La gerarchia assiologica è una relazione di valore creata dal giudice co (17) Sul criterio assiologico: M. GErArdo, Le fonti del diritto nell’ordinamento giuridico italiano. individuazione, tipologie e vicende, in rass. avv. Stato, 2019, 4, pp. 305-306. (18) Su tali aspetti: r. GuASTINI, Le fonti del diritto, Giuffré, 2010, pp. 215-219. La Corte Costituzionale, in varie pronunce, ha evidenziato che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» […]. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona” (sentenza 9 maggio 2013, n. 85 -sul caso ILVA -sul ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute [art. 32 Cost.], da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro [art. 4 Cost.], da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso). CoNTrIBuTI dI doTTrINA stituzionale, mediante una valutazione comparativa secondo cui si attribuisce a uno dei principi in conflitto un “peso” un valore, una “importanza” etico- politica maggiore rispetto all’altro. Il principio ritenuto di maggior valore prevarrà sull’altro: sarà applicato seppur con un proporzionale e bilanciato sacrificio dell’altro. Sebbene (in tutto o in parte) accantonato nella specifica fattispecie, il principio soccombente resta tuttavia pienamente in vita nell’ordinamento pronto per essere applicato in altre controversie o, in caso di nuovi contrasti con altri principi, disponibile per nuovi bilanciamenti storicamente dinamici. una gerarchia mobile è, a sua volta, una relazione di valore instabile, cangiante: una gerarchia che vale per il caso concreto, ma che potrebbe essere ribaltata in una diversa fattispecie. Il conflitto non è risolto in via definitiva: ogni soluzione vale solo per una controversia particolare (per una specifica antinomia tra la Costituzione con una specifica legge) sicché nessuno può prevedere la soluzione dello stesso conflitto in altre controversie future, nella quale siano coinvolti gli stessi principi ma una diversa legge. Per tal via la Corte costituzionale in alcune occasioni ha applicato il principio di eguaglianza formale (ossia uguaglianza senza ulteriori specificazioni) e accantonato il principio di eguaglianza sostanziale, dichiarando l’illegittimità di una legge che proibiva il lavoro notturno alle donne (19); in altre occasioni ha applicato il principio di eguaglianza sostanziale e accantonato il principio di eguaglianza formale, riconoscendo la legittimità costituzionale di una legge che prevedeva talune “azioni positive” in favore delle donne imprenditrici (20). Alla luce dei ricordati principi risolutori delle antinomie costituzionali (gerarchia assiologica e mobile) nel contrasto tra la norma contenuta nell’ottavo comma dell’art. 111 Cost. e quella contenuta nel comma settimo dell’art. 111 Cost. dovrebbe essere privilegiata quest’ultima ove si ritenga prevalente il valore di garantire il più ampio spazio alle tutele giurisdizionali riconosciute dall’ordinamento all’individuo (art. 111, comma 7, raccordato con art. 24, comma 1, Cost.) rispetto al diverso peso valoriale dei principi sottesi alla regola del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato solo per motivi inerenti alla giurisdizione. Ciò quantomeno -come si argomenterà alla successiva lettera b) -nei casi in cui i limiti attuali al ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato possano ritenersi irragionevoli. b) In secondo luogo la regola del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato solo per i motivi inerenti alla giurisdizione contrasta con i principi della ragionevolezza del diritto di difesa (art. 3 Cost.) e del diritto di azione (art. 24, comma 1, Cost.), in particolare nei casi in cui (19) Corte Cost., 24 luglio 1986, n. 210. (20) Corte Cost., 26 marzo 1993, n. 109. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 tanto dinanzi al giudice amministrativo quanto dinanzi al giudice ordinario vengano coinvolte situazioni soggettive che si caratterizzino cioè per una sostanziale identità di natura e per una disciplina processuale non dissimile se non per individuati e limitati profili. Non sembra così rispondere a ragionevolezza ed effettività di tutela che un pubblico dipendente (art. 63, d.L.vo 30 marzo 2001, n. 165), purché non rientrante nelle categorie escluse ex art. 3 d.L.vo n. 165/2001, dirigenti compresi, possa adire la Cassazione per violazione di legge per conseguire la condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto di sua competenza, mentre un dirigente dell’Amministrazione penitenziaria -o altro lavoratore pubblico rientrante nelle categorie escluse ex art. 3 d.L.vo n. 165/2001, le cui controversie spettano alla giurisdizione del Giudice Amministrativo (art. 133, comma 1, lett. i, c.p.a) -dovrà vedere arrestarsi la propria tutela, magari per il medesimo compenso, dinanzi al Consiglio di Stato, senza possibilità di adire la Cassazione per violazione di legge. All’evidenza è del tutto irragionevole e violativo del diritto di azione vietare in date ipotesi il ricorso per cassazione per violazione di legge laddove in altre ipotesi lo si consente in presenza degli stessi elementi in gioco (rapporto di lavoro dove vengono in rilievo diritti soggettivi). Vuol dirsi che situazioni eguali vengono -non ragionevolmente -trattate in modo diverso dando prevalenza assorbente alla scelta legislativa in ordine alla giurisdizione piuttosto che ai profili sostanziali la cui tutela, per la giurisprudenza della Corte di Giustizia, è funzione di effettività. Anche in questa evenienza vi è una antinomia tra due disposizioni costituzionali. Nel bilanciamento dei valori costituzionali (da una parte la regola dell’art. 111, ult. comma, Cost., dall’altra il principio ex artt. 3, comma 2, e 24 comma 1, Cost. della ragionevolezza del diritto di difesa e di azione), la bilancia dovrebbe, ictu oculi, pendere verso il principio dell’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione e per violazione di legge. Trattasi, come illustrato, di soluzione mobile in quanto per tal via non si intende affatto sostenere la piena ricorribilità dinanzi alla Cassazione per violazione di legge ma la necessità che una tale esclusione non operi in caso di compromissione di principi costituzionali che, nel bilanciamento, possano ritenersi prevalenti (21). Esclu (21) Sicché, dove non vi è la descritta irragionevolezza alcuna censura potrebbe essere mossa alla regola della esclusione del ricorso per cassazione per violazione di legge avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Si prenda il caso dei giudizi in tema di responsabilità degli amministratori verso l’ente per i danni arrecati a questo. Vi è diversità di giudizio a seconda della tipologia di ente. Nel caso dell’amministratore di società privata, il giudizio di responsabilità (artt. 2392-2393 bis c.c.) spetta alla cognizione del giudice ordinario, con due gradi di merito e giudizio di legittimità pieno. Nel caso di amministrazione di società pubblica in house il giudizio di responsabilità spetta alla cognizione della Corte dei Conti, con due gradi di merito ed esclusione del giudizio di legittimità pieno (es CoNTrIBuTI dI doTTrINA sivamente in questi casi l’esclusione del ricorso per cassazione per violazione di legge potrebbe avere una sua ragionevolezza. Inoltre, e a completamento del discorso in relazione a quanto precede, è tempo oramai di valorizzare, anche agli indicati fini, i primi due commi del- l’art. 111 Cost. (introdotti con l. cost. 23 novembre 1999, n. 2). Con specifico riferimento alla problematica in esame deve osservarsi che il dibattito in essere non sembra sin qui aver attribuito alcun rilievo al principio affermato al primo comma della garanzia di un giusto processo inteso come sintesi dell’azione giurisdizionale e della legittimità giurisdizionale e costituzionale del suo esercizio come, seppur parzialmente, declinati al successivo secondo comma secondo cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. Se, dunque, i ricordati valori devono ritenersi, per legge costituzionale sopravvenuta, coessenziali alla funzione della giurisdizione non possono poi, contraddittoriamente, ritenersi “non attinenti”o “non inerenti” al suo esercizio (22). L’innovazione di cui alla l. cost. 2/1999 rende improrogabile la necessità di risolvere le antinomie costituzionali sulla base del bilanciamento dei valori tra cui assumono rilievo pregnante quelli scolpiti nei primi due commi dell’art. 111 Cost. alla luce dei quali va, quindi, sintonizzata la lettura del successivo ottavo comma dell’art. 111 Cost. 5. Possibili molestie iure condito (rectius: a Costituzione invariata) all’assetto disegnato dalla Corte costituzionale. I limitati margini per adire il giudice di legittimità hanno avuto, quale conseguenza, la descritta “guerra” dei centotrent’anni tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato (23) che, bisogna darne atto, anche gli interventi della Corte Costituzionale non sono riusciti a sedare realizzando, al più, tregue armate. La proposta di un giudice dei conflitti -pur percorribile a Costituzione invariata, in quanto sarebbe sufficiente una modifica legislativa della norma sendo in questo caso ammesso il ricorso in cassazione solo per motivi di giurisdizione).Tuttavia l’esclusione del ricorso per cassazione per violazione di legge con riguardo alle controversie sulla responsabilità in caso di amministrazione di società pubblica in house non è irragionevole, perché quello che l’interessato perde in termini di grado di giudizio lo recupera in termini di benefici collegati con il rito contabile (più favorevole rispetto al giudizio ordinario: responsabilità solo per dolo o colpa grave, potere riduttivo del giudice, ecc.). Vuol dirsi che la diversità di gradi di giudizio può avere, globalmente considerata, una sua ragionevolezza tenuto conto del sostanziale equilibrio dei contenuti del diritto di azione nei due plessi giurisdizionali e del bilanciamento complessivo dei valori in gioco. (22) riconduce a vizio di giurisdizione anche la assoluta carenza di motivazione: A. LAMorGESE, Eccesso di potere giurisdizionale e sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato, in www.federalismi.it (3 gennaio 2018). (23) “i rapporti tra le Corti di vertice sono stati da sempre complessi e articolati. il conflitto sorge con il dualismo giurisdizionale, si perpetua da più di 130 anni”: così B. SASSANI, L’idea di giurisdizione nella guerra delle giurisdizioni. Considerazioni politicamente scorrette, cit. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 tiva regolatrice della composizione dei collegi della Corte di Cassazione nei giudizi sui conflitti di giurisdizione, integrando i collegi delle Sezioni unite con magistrati del Consiglio di Stato (24) -presupporrebbe infatti l’accordo tra i plessi giurisdizionali coinvolti non agevolmente ipotizzabile dopo il descritto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea operato dalle Sezioni unite della Cassazione che ha il sapore di una sorta di resa dei conti. rinvio che si caratterizza per essere la prima volta in cui il contrasto non attiene a interpretazione di leggi ma allo stesso ambito di giurisdizione: uno scontro tra Corti inerente o attinente alla sfera di attribuzioni giurisdizionali. A Costituzione invariata c’è da chiedersi se non sia tempo di imboccare la via di ammettere, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata, il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per violazione di legge allorché le violazioni dedotte comportino la compromissione dell’effettività di tutela da ritenersi prevalente nel bilanciamento dei principi costituzionali coinvolti ovvero in ipotesi di manifesta irragionevolezza che può ritenersi ricorrere nei casi in cui tanto dinanzi al giudice amministrativo quanto dinanzi al giudice ordinario vengano scrutinate situazioni soggettive del tutto analoghe. 6. molestie de iure condendo (rectius: innovando la disciplina costituzionale): unità della giurisdizione. Soluzione, evidentemente radicale e de iure condendo, è la riconduzione ad unità della giurisdizione. Al fine di una razionale ed efficiente amministrazione della giustizia civile potrebbe stabilirsi -con le inevitabili modifiche costituzionali -l’unificazione di tutte le giurisdizioni speciali a quella ordinaria con la previsione, in via esclusiva, di un’unica giurisdizione, ossia di “magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 102, comma 1, Cost.) (25). Con tale modifica si opererebbe un razionale ed ottimale utilizzo di mezzi e delle risorse per il corretto funzionamento del mondo della giurisdizione eliminando duplicazioni e questioni pregiudiziali che rallentano il corso della giustizia. In misura non trascurabile sovente il procedimento dinanzi alla giurisdizione ordinaria si definisce, dopo alcuni anni, con la pronuncia di carenza di giurisdizione a favore di un giudice speciale e viceversa e la traslatio è a tutela della conservazione del diritto ma non della velocizzazione del giudizio. Con l’unificazione delle giurisdizioni troverebbero soluzione anche diverse aporie collegate alle giurisdizioni diverse dall’A.G.o. In specie: (24) Con novella dell’art. 67, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario). (25) Per un più ampio esame della problematica sia consentito il rinvio a: M. GErArdo, A. Mu- TArELLI, indagine sul processo civile in italia. irragionevole durata del processo e possibili “ragionevoli” linee di intervento, in rass. avv. Stato, 2010, 4, pp. 224-227. CoNTrIBuTI dI doTTrINA a) con l’eliminazione della giurisdizione attribuita alla Corte dei Conti e al Consiglio di Stato si garantirebbe il ricorso in Cassazione per violazione di legge nelle liti attribuite a questi giudici attualmente ammesso avverso le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, ma escluso (ad eccezione dei motivi inerenti la giurisdizione) avverso le decisioni della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato. Verrebbe eliminata altresì l’irragionevole diversità di mezzi probatori tra giudizio ordinario e giudizio amministrativo -atteso che dinanzi a quest’ultimo è escluso l’interrogatorio formale ed il giuramento (art. 63, comma 5, c.p.a.) -con particolare riguardo ai rapporti di lavoro attribuiti alla cognizione dei due giudici; b) con l’eliminazione della giurisdizione attribuita alla Corte dei Conti e al Consiglio di Stato si porrebbe fine ai dubbi sulla imparzialità ed indipendenza di questi organi. dubbi derivanti dalla modalità di nomina politica (ad opera del Governo e in più, come accade per la Corte dei Conti, ad opera del Consiglio regionale e del Consiglio delle autonomie locali) di una significativa aliquota dei componenti ed altresì -per il Consiglio di Stato -dall’esercizio anche di funzione consultiva e dalla circostanza che numerosi componenti rivestono incarichi extragiudiziari presso i Ministeri (26). La ratio della specificità che giustifica le giurisdizioni speciali, costituita dalla creazione di un organo particolarmente versato e preparato sulla materia da giudicare, potrebbe essere agevolmente garantita con la creazione di sezioni specializzate per determinate materie istituite presso gli organi giudiziari ordinari (in aderenza a quanto previsto nell’art. 102, comma 2, Cost.) (27). del resto il problema della unità o meno delle giurisdizioni è in funzione anche delle scelte di politica del diritto. Nei Paesi di civil law è, difatti, dato constatare una pluralità di giurisdizioni; in quelli di common law, invece, è “sostanzialmente realizzato il principio dell’unità delle giurisdizioni” (28). L’unificazione delle giurisdizioni dovrebbe arrecare anche un sensibile contributo ad abbreviare i tempi del processo. È noto che la durata dei processi (26) dubbi chiaramente evidenziati da G. SCArSELLI, La terzietà e l’indipendenza dei giudici del Consiglio di Stato, in Foro it., 2001, III, cc. 269-273, in ordine ai quali si è avuta la replica di C. CALA- Brò, a proposito di indipendenza del Consiglio di Stato, in Foro it., 2001, III, cc. 555-556, con successiva controreplica di r. roMBoLI, A. ProTo PISANI, G. SCArSELLI, ancora sull’indipendenza dei giudici del Consiglio di Stato, in Foro it., 2001, III, cc. 556-558. (27) Sulla perdita di giustificazione della giurisdizione speciale amministrativa, specie in seguito alla novella contenuta nel d.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 e nella L. 21 luglio 2000, n. 205, e sulla necessità dell’introduzione di una giurisdizione unica, si veda A. ProTo PISANI, Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?, in Foro it., 2001, V, cc. 21-29, spec. cc. 26-27. (28) Così: A. PIzzoruSSo, Corso di diritto comparato, 1983, Giuffrè, Milano, p. 177. Va precisato che l’unità delle giurisdizioni -costituente un dato costante per secoli del sistema anglosassone -è venuta meno dopo la seconda guerra mondiale; in proposito cfr. M. NIGro, Giustizia amministrativa, III edizione, Il Mulino, 1983, p. 48 evidenzia che “oggi in inghilterra l’esclusività del giudice ordinario nella tutela del cittadino verso la p.a. è andata perduta”. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 dinanzi ai TAr e alla Corte dei Conti è eccessiva ed è comunque superiore a quella dei processi dinanzi ai giudici ordinari. Peraltro l’evoluzione legislativa delle giurisdizioni amministrativa e contabile, come testimoniato dall’introduzione del nuovo processo amministrativo (il citato d.L.vo n. 104/2010) e del nuovo processo contabile (d.L.vo 27 agosto 2016, n. 174) e lo stesso istituto della traslatio iudicii (art. 59 L. 18 giugno 2009 n. 69, poi iterato nel codice del processo amministrativo e nel codice di giustizia contabile) hanno scolorito le ragioni storiche giustificative dell’esistenza di più giurisdizioni. Tale evoluzione ha comportato -da un lato -l’attribuzione al giudice amministrativo e contabile di strumenti istruttori e cognitori un tempo propri del solo giudice ordinario. Emblematico è in tal senso il giudizio pensionistico dinanzi alla Corte dei Conti (artt. 151-171) declinato come il rito lavoro dinanzi al giudice ordinario. I dati ora delineati convergono nel senso di rendere, almeno prospetticamente, concepibile l’unificazione delle giurisdizioni. Né può dimenticarsi che dal 1933 (T.u. 11 dicembre 1933) opera una Autorità Giudiziaria che riassume in sé la qualità di giudice dei diritti e degli interessi. Ed infatti il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sedente in roma -oltre a costituire giudice di secondo grado per le sentenze emesse dai Tribunali regionali delle Acque -è investito della giurisdizione in unico grado per i ricorsi con i quali si deduce la illegittimità dei provvedimenti concernenti la utilizzazione delle acque (con competenza di legittimità e di merito) e con rinvio dinamico agli “istituti tipici del processo civile” (29). Proprio partendo dalla trasversalità dei principi che devono presidiare il processo in quanto tale (a prescindere cioè se abbia ad oggetto diritti od interessi), il Tribunale Superiore della Acque è giunto a ritenere -ribaltando la propria monolitica giurisprudenza -che avverso il diniego della misura cautelare è ammissibile il reclamo al collegio in applicazione dell’art. 669 terdecies c.p.c. (30). (29) P. VIrGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della P.a., Giuffré, Milano, 2003, p. 300, osserva come “poiché tuttavia il rito speciale innanzi al Tribunale Superiore delle acque comporta l’applicazione degli istituti tipici del processo civile, le norme del T.U. del Consiglio di Stato debbono essere necessariamente integrate dalle norme del codice di procedura civile”. Sul processo dinanzi al TSAP è agevole peraltro il rinvio a G. MASTrANGELo, i Tribunali delle acque Pubbliche, Ipsoa, 2009, passim. (30) T.S.A.P., 28 maggio 2001, in Foro it., 2002, III, c. 462 con nota di A. MuTArELLI, L’art. 669 terdecies c.p.c. conquista il processo amministrativo dinanzi al Tribunale Superiore delle acque e, ancor prima di tale rivoluzionaria pronuncia, A. MuTArELLI, Sull’applicabilità dell’art. 669-terdecies c.p.c. al processo cautelare dinanzi al TSaP, in Corr. Giur. 1997, p. 40. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Il persistente valore della dominicalità Gaetana Natale* Il concetto della permanente validità della dominicalità induce oggi il giurista a rinvenire nella complessità del tempo in cui si trova a vivere “un nuovo orizzonte di senso” che definisca il concetto di valore Wertbegriff della proprietà. Il tema del presente convegno fa riferimento ai “Diritti senza tempo”e questo riferimento è un invito a riflettere su come il tempo possa influire sulle norme, e, più in generale, sui sistemi giuridici. Molti autori hanno scritto sul rapporto tra tempo e diritto (1), cercando di definire un’ermeneutica della temporalità giuridica: “nomos”e“chronos”, “tempo patico” e “tempo gnosico”. Con il tempo un diritto può nascere: l’usucapione (dal lat. usu capĕre, ottenere con l’uso) testimonia come il comportamento di fatto protrattosi nel diritto crea un diritto soggettivo. Il principio giuridico del “possesso vale titolo” ex art. 1158 c.c. è basato sulla continuità temporale del possesso, unitamente al principio della buona fede, good faith, estoppel proprietary nel sistema di common law. Trovandomi in presenza di illustri romanisti non posso non fare riferimento alla manus maritalis nella sua dimensione temporale. La moglie era nel diritto romano soggetto di diritto, in quanto rimaneva proprietaria dei suoi beni personali, i cd. paraphernalia e ciò entrava in stridente contrasto col fatto di poter cadere in proprietà del marito. Per evitare il conflitto normativo si ricorreva ad una fictio iuris: ogni anno la moglie si allontanava dalla famiglia per tre notti (trinoctii usurpatio) e così facendo interrompeva il periodo temporale dell’usus. Con il tempo un diritto muore: si pensi alla prescrizione. Istituto di diritto pubblico, contrariamente alla decadenza, rispondente ad un’esigenza di certezza giuridica. Le norme che la disciplinano sono inderogabili ex art. 2936 c.c. e, pertanto, se il codice civile ammette una decadenza convenzionale (art. 2965 c.c.), non ammette che i termini di prescrizione possano essere derogati dalle parti. (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto presso l'università degli studi di Salerno e Consigliere giuridico del Garante per la Privacy. Il presente scritto è la relazione dell’Autrice al Convegno “Diritto senza tempo. La terra e i diritti. Dialogo tra giuristi” -Seconda sessione: “La permanente validità della dominicalità, proprietà e dominio” (Ravello, 29 e 30 ottobre 2021). Presenti, il Prof. Natalino Irti, Emerito presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Accademico dei Lincei ed il Prof. Luigi Capogrossi Colognesi, Emerito presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Accademico dei Lincei. un ringraziamento alla dott.ssa Giulia Arcari, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura generale dello Stato, per la redazione delle note. (1) Si veda L. dI SANTo, il diritto nel tempo e il tempo nel diritto, Cedam, 2018. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Il tempo assume rilevanza nel diritto penale: si pensi alla prescrizione del reato e della pena ex art. 157 c.p. e alla rilevanza del decorrere del tempo in ambito processuale (termini ordinatori e perentori). Il tempo assume rilievo non solo nella fase genetica del diritto, ma anche nella sua fase funzionale, determinando gli effetti giuridici di una norma. Il tempo può modulare e declinare l’esercizio di un diritto attraverso la previsione di un “termine”: anche nel diritto romano di tipo pretorio era concesso un termine di 30 giorni al debitore per pagare il debito prima di ricorrere alla manus iniectio. Viene allora da chiedersi: prevale la norma o il tempo? Il giurista non può non fare riferimento al diritto vivente, alla consuetudine basata sul protrarsi del tempo e della opinio iuris ac necessitatis quale fonte del diritto per affermare che non è la norma che incide sul tempo, ma è il tempo che determina la norma, non foss’altro negli effetti che essa produce (2). Nel diritto amministrativo il tempo può addirittura tornare indietro con il rimedio dell’autotutela decisoria ed esecutiva nell’ambito dell’esercizio del “potere di riedizione” volto alla ponderazione comparativa degli interessi pubblico e privato (“Ermessen”) nel rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. Si pensi ancora al tempo impiegato nel rilascio di un provvedimento, alla configurazione della dimensione temporale in ordine alla responsabilità della P.A. (il cd. danno da ritardo, la questione discussa dei poteri sollecitatori e inibitori del terzo in caso di SCIA ex art. 19 L. 241/90, laddove di recente il Consiglio di Stato ha affermato la sussistenza di un controllo tardivo non nell’an, ma nel quomodo) (3). Si può affermare che ciò che non è possibile alla fisica, è possibile al diritto; la dimensione del tempo può modulare i differenti livelli di tutela (si pensi anche al prospective overruling per la modulazione degli effetti temporali di una sentenza). Il sottotitolo del convegno è, però, la “terra e i diritti” ed allora dalla dimensione temporale occorre spostare l’analisi sulla res e sulla permanente validità della dominicalità, proprietà e dominio. occorre verificare se oggi la res conservi una sua dimensione temporale ed i caratteri dell’assolutezza, inerenza ed immediatezza e se, la dominicalità possa assumere un valore non solo naturalistico e temporale, ma anche economico e sociale. ricordiamo che Kant sosteneva (4), come Locke e tutti i giusnaturalisti, (2) r. CrISTIN, Diritto e tempo, Saggi di filosofia del diritto, Giuffrè, 1998. (3) Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208; si veda anche Consiglio di Stato, Sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1448 sul risarcimento del danno da ritardo nella definizione di un procedimento di rilascio di un permesso di costruire in virtù del cd. “contatto sociale qualificato tra privato e P.A.”. CoNTrIBuTI dI doTTrINA che la proprietà è un diritto naturale: la proprietà communis fundi originaria esiste fin dallo stato di natura, ma in una forma provvisoria, in quanto non protetta da un ordinamento giuridico. I temi del possesso e della proprietà si inseriscono nel classico fenomeno contrattualistico del passaggio dallo stato di natura allo stato di diritto (si pensi ad hobbes, a Grozio, cd. teoria contrattualistica e al suo dibattito con Selden sul mare liberum e marum clausum sulla base dell’ontologia spaziale). “il mio esterno” diceva Kant, precisando che il fondamento del diritto di proprietà non è di ordine empirico o sensibile, ma intelligibile e razionale scaturendo dalla stessa ragion pratica. Il “possesso intelligibile” distinto dal “possesso empirico”, “possessio phaenomenon” e“possessio noumenon”: la proprietà come esercizio spaziale, la cd. presa di terra fattuale “landnahme” come base del diritto di proprietà (5). Il tema della proprietà privata era stato ampiamente dibattuto nella repubblica di Platone che lo ricollegava alle questioni di giustizia e di stabilità sociale (funzione sociale della proprietà affermata anche nella nostra Costituzione). Altra concezione della proprietà era quella di Aristotele legata al concetto di progresso. Ancora oggi l’indice di sviluppo umano Human Development index, elaborato annualmente dalle Nazioni unite è strettamente correlato all’indice di proprietà privata Property right index (6). In una visione Neokeynesiana, quale è quella che si sta affermando nel periodo della pandemia in corso, il tema della proprietà pone anche l’annosa questione dell’intervento pubblico nell’economia (si ricorderà la diversa concezione tra Weber e Schmitt) volto ad accompagnare gli assett strategici del paese attraverso provvedimenti in equity di uno Stato player che affianca ed aiuta la proprietà privata di tipo produttivo ed imprenditoriale. Se spostiamo tali considerazioni filosofiche sul piano dell’applicazione pratica del diritto, quale scienza storica e scienza applicata, ci rendiamo conto che la proprietà non è strettamente correlata alla materialità, cd. “cultura del- l’immateriale e dell’adiacente possibile”. di recente il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ci ha ricordato che anche la materia, «la massa è un fenomeno dinamico», definendo il concetto di caos e di sistemi complessi a scala atomica e planetaria. Si ricorderà la nota sentenza della Cassazione a Sezioni unite del 5 marzo 2014 n. 5087 sul tema dell’usucapibilità dei beni immateriali. In tale pronunzia la Suprema Corte di legittimità aveva affrontato l’usucapibilità dell’azienda (art. 2555 c.c.), quale complesso di beni organizzati per l’esercizio di un’impresa: secondo gli ermellini l’azienda, compreso il suo valore di avviamento, deve es (4) I. KANT, Principi metafisici della dottrina del diritto, 1797. (5) Si veda la critica di Schmitt a tale concezione di proprietà, C. SChMITT, il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum», Adelphi, 2011. (6) M. ProSPEro, Filosofia del diritto di proprietà. Da aristotele a Kant, FrancoAngeli, 2009. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 sere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso di altri elementi indicati dalla legge, usucapito. In applicazione di tale principio la Cassazione ha riconosciuto a favore di un farmacista l’usucapibilità di una farmacia, al cui interno aveva esercitato la sua professione per oltre 20 anni come se fosse proprietario. L’azienda è un’universalità di beni ex art. 816 c.c. ed in virtù dell’art. 1160 c.c. le universalità di beni mobili sono usucapibili in 20 anni. La Corte di legittimità afferma, dunque, una concezione della res non in senso naturalistico, ma in senso funzionale, economico-sociale, giungendo ad affermare l’usucapibilità della quota ereditaria, della quota societaria, di azioni, di titoli di credito. L’azienda può essere al centro di un percorso interpretativo di oggettivazione, anche se è un bene dinamico finalizzato all’attività di impresa. Vi è da chiedersi, però, se debbano prevalere le ragioni della proprietà o dell’impresa: alcuni autori ritengono che considerare applicabile il termine di 20 anni al possesso dei beni finalizzati all’attività di impresa non corrisponda alla dinamicità dell’attività economica, ponendo in luce i frequenti casi di operazioni cd. a spezzatino, pratiche elusive per poter pagare in un caso di cessione di azienda l’Iva piuttosto che l’imposta di registro. Si pensi ancora all’impostazione data al Nuovo Codice dell’insolvenza e della crisi di impresa di cui è attesa ancora l’entrata in vigore in cui i cd. sistemi di allerta e composizione negoziata o assistita mirano a salvaguardare la proprietà dell’impresa sotto il profilo della cd. “continuità produttiva”. Eppure, di recente la Cassazione con un’altra sentenza, la n. 25195 del 17 settembre 2021, torna da affermare in materia di servitù irregolari la necessità del carattere della predialità e dell’utilità del fondo. Non venendo in rilievo esigenze legate all’attività di impresa, riafferma l’inerenza della servitù alla res e il principio del numerus clausus dei diritti reali, statuendo che le cd. servitù irregolari hanno natura meramente obbligatoria e non reale. Si pensi alla dibattuta questione della natura e degli effetti del cd. abbandono liberatorio del fondo servente ex art. 1070 c.c., in ordine alla quale è prevalsa la tesi secondo la quale la proprietà non venga immediatamente perduta dal titolare del fondo servente, permanendo per la durata di dieci anni la possibilità del- l’apprensione da parte del titolare del fondo dominante. decorso il decennio il fondo rimarrebbe definitivamente in capo all’antico titolare, il quale tuttavia viene liberato dalle obbligazioni accessorie (obbligazione propter rem). L’abbandono liberatorio si distingue così sia dalla mera derelictio, in quanto questa, quale atto giuridico in senso stretto, è unicamente idonea a produrre la perdita del possesso, tanto dalla rinuncia in senso tecnico, dal momento che, a differenza dell’abbandono, questa è in grado unicamente di liberare il debitore dalle obbligazioni che sorgeranno successivamente alla rinunzia. Si ricorda, a tal proposito, che la rinuncia abdicativa della proprietà è nulla se ha lo scopo illecito di sottrarsi, ad esempio, all’obbligo di bonifica. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Il tema della tipicità dei diritti reali (in stretta connessione con la norma sulla trascrizione contenuta nell’art. 2645-ter c.c.) si è posto, ad esempio, anche per i diritti edificatori, quale “conseguenza civilistica” della cd. perequazione urbanistica. Essi sono espressione di commerciabilità di mere “potenzialità edificatorie”, per l’appunto denominate “diritti edificatori”, anche a prescindere dal loro attuale rapporto con un fondo di partenza (detto anche “di decollo”) e con un fondo di arrivo (detto anche “di atterraggio”), individuati al momento dell’atto negoziale di cessione; tanto che in alcuni comuni sono state addirittura istituite vere e proprie “borse di diritti edificatori”, ove essi possono essere acquistati alla stregua di veri e propri “valori economici a sé stanti”. La legge fondamentale sull’urbanistica n. 1150/1942 non parla di perequazione, ma la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 209/2017 ha statuito che la perequazione è coperta dalla generale potestà conformativa della P.A., per cui, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/90 il provvedimento può essere sostituito da accordi sostitutivi con i privati. Nella pratica si ricorderà come i notai abbiano dovuto qualificare gli atti di cessione di cubatura come “servitù negative di non edificare” con imposta di registro fissa per poter procedere alla loro trascrizione ex art. 2643, n. 2-bis, c.c., introdotto dal d.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106 (tale articolo ora prevede la possibilità di trascrivere «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale»). Tale norma non chiarisce, però, la natura dei diritti edificatori. Secondo una prima ricostruzione, i diritti edificatori altro non sarebbero che diritti di proprietà, aventi, però, ad oggetto una “cubatura reificata” (espressione del Presidente Cirillo qui presente), cioè un “bene immateriale dotato di valore economico” e, come tale, compatibile con la nozione di “bene” come “cosa che può formare oggetto di diritti”, rintracciabile all’art. 810 c.c.; si parla anche di “beni immobili virtuali” (7), proprio per sottolineare “l’inerenza finale” del diritto edificatorio al fondo su cui il manufatto dovrà essere realizzato e così giustificare la prevista sottoposizione dei relativi atti traslativi alla disciplina della trascrizione. Secondo un’altra tesi, il diritto edificatorio sarebbe un “nuovo diritto reale parziario”, diverso dal diritto di proprietà, e il legislatore l’avrebbe tipizzato proprio per evitare qualunque possibile vulnus al principio del numerus clausus dei diritti reali; né a tale ricostruzione osterebbe la possibilità che, in caso di cessione, il diritto edificatorio non venga dalle parti riferito a un preciso “fondo di atterraggio”, perché questo aspetto riguarderebbe la sola “fase attuativa e materiale” della vicenda successiva al trasferimento; del resto la (7) A. GAMBAro, “i beni”, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. CICu e F. MES- SINEo, 2012, ed. Giuffrè, pag. 135. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 stessa impostazione della novella del 2011 -che ha inserito la norma sulla trascrizione degli atti traslativi di diritti edificatori subito dopo quella sui “classici” diritti reali parziari e subito prima di quella sugli acquisti in comunione -dimostrerebbe l’intento del legislatore di inserire la nuova fattispecie nel- l’alveo dei contratti traslativi di diritti reali immobiliari, valorizzando “l’inerenza finale” al fondo sul quale dovrà essere, infine, “scaricata” la potenzialità edificatoria acquistata. Seconda una terza tesi (Cirillo), infine, i diritti edificatori altro non sarebbero che “interessi legittimi pretensivi”, e ciò sulla scorta delle moderne tesi sul “fondamento sostanziale” dell’interesse legittimo, che nasce dalla norma attributiva del potere, emerge concretamente nel procedimento amministrativo e potrebbe essere oggetto di un contratto traslativo (tenuto conto dell’ampia definizione di tale figura codificata all’art. 1376 c.c.) al pari delle altre situazioni giuridiche soggettive: in questo modo risulterebbe adeguatamente valorizzato il dato che il diritto edificatorio -una volta acquistato -non è ancora concretamente esercitabile, dovendo prima confrontarsi con il residuo potere amministrativo sotteso al rilascio del necessario permesso di costruire (si ricorderà che il d.L. 76/2020 ha rafforzato i titoli edilizi semplificati, cd. minori CILA, SCILA, titoli abilitativi alternativi al permesso di costruire). Pertanto, la vicenda traslativa avrebbe un oggetto (anche) pubblico e, come tale, potrebbe essere ricondotta alla nozione di “contratto a oggetto pubblico” di cui all’art. 11 della L. 241/90, specie laddove all’accordo di cessione partecipi anche il comune, come a volte accade. A conforto della tesi si osserva che l’interesse legittimo possiede una sicura “dimensione patrimonialistica”, essendo da tempo previsto il risarcimento del danno legato alla sua ingiusta lesione, per cui esso sarebbe la figura più adatta a descrivere il reale “contenuto economico” del diritto edificatorio, che dovendo “confrontarsi con il potere pubblico” sarà economicamente valutato tenendo conto anche di questo aspetto. In questa ottica, infine, la prevista trascrizione degli atti traslativi di diritti edificatori, non ascrivibili ai diritti reali, avrebbe funzione di mera “pubblicità notizia”, anche perché un vero e proprio conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore sarebbe escluso in apice dal fatto che il concreto esercizio del diritto ceduto resta pur sempre condizionato al rilascio del permesso di costruire da parte dell’amministrazione; in sostanza il pericolo sarebbe nei fatti scongiurato dal “ruolo di controllo” esercitato dall’amministrazione. Sembra, dunque, prevalere una “concezione personalistica del diritto di proprietà”, incentrata non sulla res, ma sui soggetti in ordine ad un “dovere negativo di astensione” (Caringella) (8). (8) F. CArINGELLA, manuale di Diritto Civile, dike, 2021. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Nel diritto romano il diritto di proprietà era considerato il fulcro del sistema civilistico, “il diritto soggettivo per eccellenza”, capace di assicurare al suo titolare un potere tendenzialmente incondizionato sul bene. Nei sistemi giuridici moderni la cd. “assolutezza del dominium”, risulta in diversa misura, attenuata dalla necessità di “armonizzare” le prerogative del proprietario con quelle degli altri consociati e con valori di carattere generale. Il codice vigente, all’art. 832 c.c., afferma che il proprietario “ha il diritto di godere e di disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Nella prima parte tale nozione corrisponde a quella del codice del 1865, mentre se ne differenzia laddove fa riferimento ai limiti normativi della proprietà, volti a renderla compatibile con altri valori fondamentali: è questa una prima traccia della cd. “conformazione” (o “funzionalizzazione”) della proprietà, che, peraltro, avviene in modo diverso a seconda del tipo di bene che ne è oggetto, tanto che la dottrina moderna parla, ormai, non già di “una sola proprietà”, bensì di molteplici tipologie dominicali (proprietà immobiliare, proprietà fiduciaria, trust bilaterale e trilaterale, cd. segregazione patrimoniale, proprietà fondiaria, proprietà gestoria, proprietà industriale, quest’ultima oggi affidata a fondi di investimento con tutto ciò che ne consegue sul piano occupazionale qualora prevalga la logica speculativa delle delocalizzazioni). Questo peculiare atteggiarsi del diritto di proprietà -nel quale convivono l’interesse personale del dominus con profili di interesse collettivo (si pensi, ad esempio, all’esigenza di evitare che un certo utilizzo dei fondi privati possa incidere negativamente sull’ambiente) -si è accentuato con l’avvento della Costituzione repubblicana, ove è definitivamente emersa una “concezione funzionale e solidaristica” della proprietà, come chiaramente si evince dall’art. 42 della Carta (9). Nell’ottica del Costituente il diritto di proprietà non è un (9) Eppure, negli ultimi anni stiamo assistendo a rilevanti cambiamenti nel nostro ordinamento per quanto concerne la tutela del diritto dominicale, soprattutto a causa dell’influenza della giurisprudenza europea. Con le note sentenze nn. 348 e 349 del 2007, la Corte costituzionale si è allontanata dalla concezione tradizionale italiana del diritto di proprietà e ha accolto il principio del valore venale dei beni espropriati come quello cui l’indennità deve essere ancorata, dichiarando l’illegittimità costituzionale della normativa italiana «nella parte in cui stabilisce un criterio di calcolo dell’indennità di esproprio che non è in “ragionevole legame” con il valore di mercato dell’immobile espropriato». Anche nella sentenza n. 293 del 2010 la Consulta ha preso le distanze dalla tradizione per concentrarsi sulla tutela del legame tra il titolare del diritto e la res, riconoscendo valore fondamentale al diritto in questione: chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 43 T.u. espropriazioni, si è pronunciata sul tema dell’acquisizione sanante, invocando il rispetto del principio di legalità non solo in senso formale, ma anche in senso sostanziale. da ultimo, con la sentenza n. 24 del 2019, incentrata sul tema delle misure di prevenzione patrimoniali, la Corte costituzionale è tornata sul tema del diritto di proprietà, stabilendo che, pur non avendo natura penale, sequestro e confisca devono sottostare alle garanzie previste dalla legge a tutela della proprietà, tra cui rientrano: a) la previsione attraverso una legge che sia precisa e “prevedibile”; b) la “necessarietà” della restrizione del diritto di proprietà rispetto agli obiettivi perseguiti e pertanto la proporzionalità della misura limitativa rispetto ad essi; c) l’adozione rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 diritto fondamentale della persona umana, come dimostra la collocazione dell’art. 42 Cost. in seno alla disciplina dei “rapporti economici”, invece che in quella dei “diritti fondamentali”: evidentemente si è ritenuto che la titolarità di un patrimonio personale, per quanto importante, non presenti “caratteri di stretta inerenza alla persona”, il che trova indiretta conferma nella maggiore valorizzazione di altri diritti, come quello al lavoro e all’iniziativa economica, considerati forse “più decisivi” in chiave di pieno sviluppo della personalità umana, ai sensi dell’art. 2 della Cost. Tuttavia, su questa impostazione ha poi inciso la diversa concezione del diritto di proprietà rinvenibile in alcune fonti di rango internazionale, cui anche l’Italia ha aderito, in particolare la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che definisce la proprietà come diritto “sacro e inviolabile” (art. 17), nonché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui “ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni” (art. 1 del Protocollo Addizionale), e l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali del- l’unione Europea (Nizza, 2000), che eleva espressamente la proprietà a “diritto fondamentale dell’uomo” (10). La questione non è meramente teorica, giacché il fatto di considerare quello di proprietà un “diritto fondamentale della persona” ne comporta una tutela “più piena” (11), come ora emblematicamente dimostra la disciplina di cui all’art. 42 bis del d.P.r. 8 giugno 2001, n. 327 (T.u. sulle espropriazioni) -introdotto, non a caso, sotto la spinta di note pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo -ove si prevede che, in caso di “espropriazione postuma”, debba essere risarcito al proprietario, anche il danno non patrimoniale, a tal fine sostanzialmente presunto (12). mediante un procedimento che, pur non dovendo conformarsi agli standard garantistici del processo penale, rispetti i canoni del “giusto” processo garantito dalla legge, assicurando in particolare il rispetto del diritto di difesa. (10) Per una breve, seppur dettagliata, analisi della questione si veda M. TrIMArChI, La proprietà europea, in http://www.juscivile.it/contributi/2018/36_Trimarchi.pdf, 2018. (11) Invero, la nozione autonoma di proprietà presente nel sistema convenzionale è una nozione estremamente ampia -posta l’originaria funzione di garanzia dei diritti umani assolta dalla CEdu -in cui rientrerebbe la titolarità di qualunque diritto (o interesse) di “valore patrimoniale”, dunque anche crediti, brevetti, l’avviamento commerciale, e persino la c.d. speranza legittima, ossia la ragionevole aspettativa di veder realizzata la propria pretesa giuridica (Corte Edu, Pine Valley, 1991; Corte Edu, Beyeler c. italia, 2000). Per quanto concerne, invece, le nozioni di «pubblica utilità» e di «interesse generale », la Corte di Strasburgo ha elaborato la teoria del «margine di apprezzamento statale» (Corte Edu, James e altri c. regno Unito, 1986; Corte Edu, malama c. Grecia, 2001), secondo cui, in linea di principio, è rimessa alla discrezionalità degli Stati la scelta sul contenuto di tali concetti, purché l’ingerenza statale nel diritto al pacifico godimento dei propri beni sia necessaria per motivi di interesse pubblico, risponda ai requisiti di legittimità e proporzionalità, e sia compensata da un equo indennizzo. (12) Si pensi alla sentenza Scordino del 2006, alla sentenza maggio c. italia del 2011, e più di recente alla nota sentenza della Grande Camera G.i.E.m c. italia del 28 giugno 2018 attinente al regime della “confisca urbanistica”. CoNTrIBuTI dI doTTrINA La CEdu non utilizza l’espressione proprietà, ma richiama genericamente il “rispetto dei propri beni”, mentre la Corte di Giustizia dell’unione Europea considera la proprietà come diritto al libero esercizio dell’attività economica, in quanto il diritto comunitario nasce come tutela del mercato e degli operatori economici (13). Viene in rilievo una “nozione europea” di proprietà, una nozione che comprende le cose strutturalmente e funzionalmente suscettibili di apprezzamento economico, idonea ad essere oggetto di diritti e rapporti alla stregua delle “utilità” che l’ordinamento giuridico vi ricollega (14): un concetto che richiama la nozione di property presente nella Common Law (15). Sulla scia della giurisprudenza eurounitaria si è venuta consolidando una giurisprudenza nazionale che ha molto rafforzato la tutela della proprietà privata. Si pensi alla questione dell’acquisto ad usucapionem del bene illegittimamente ablato: l’adunanza plenaria 9 febbraio 2016 n. 2 l’ha ammessa a condizione che sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta; si possa individuare il momento esatto dell’interversio possessionis; si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del T.u. espropriazioni (30 giugno 2003), perché solo l’art. 43 del medesimo T.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e, dunque, solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato ex art. 2935 c.c. “il giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Va aggiunto, peraltro, che tale posizione è avversata da quanti ritengono che ammettere ulteriori forme di acquisto del bene illegittimamente ablato alla mano pubblica, alternative rispetto allo strumento ex art. 42 bis del T.u. espropriazioni, comporta (13) La nozione comunitaria di proprietà privata risente inevitabilmente dell’ambito operativo e funzionale dell’unione Europea: i conflitti sovranazionali per cui viene in rilievo diventano spesso la culla di decisioni che consentono la limitazione (e quindi il sacrificio) del diritto dominicale, alla luce dell’interesse generale dell’unione, della tutela del mercato comune e della concorrenza tra gli operatori economici. Eppure, anche qui troviamo una notevole estensione del diritto di proprietà: nella sentenza Nold del 1974, al diritto ad accedere alla stipulazione di contratti, a prescindere dalle dimensioni del- l’impresa; nel caso Hauer del 1979, al diritto di impiantare viti nell’ambito della propria attività; nella sentenza mettallurgiki Halips del 1982, al diritto dell’imprenditore di produrre beni senza limiti quantitativi; nella sentenza Valsabbia del 1984, al diritto del commerciante di vendere i propri prodotti ad un prezzo inferiore rispetto ai minimi previsti dal diritto comunitario; nella sentenza Schraeder del 1989, al diritto a non essere assoggettato ad imposte od oneri sproporzionati; nella sentenza Testa ed altri del 1980, al diritto alle prestazioni di sicurezza sociale. Inoltre, la Corte di Giustizia consente la limitazione del diritto di proprietà pur sempre nel rispetto del canone di proporzionalità e purché non sia lesa la sostanza del diritto. (14) M. CoSTANTINo, il diritto di proprietà tra diritto comunitario e diritto interno, in M. CoM- PorTI (a cura di), La proprietà nella Carta europea dei diritti fondamentali, Giuffrè, 2005, pag. 98. (15) Si ricorda che in Common Law non esistono azioni reali a difesa di immobili come l’azione di rivendicazione o l’azione negatoria: i diritti sugli immobili (proprietary rights) sono difesi da azioni di carattere delittuale, regolate dalla Law of Torts, come actions for trespass, nuisance, detinue, conversio, mentre il trust, sulla base anche dell’equity, assume una sua configurazione autonoma nell’ambito dell’impostazione dualistica tra ownership e management, ossia tra proprietà e controllo del capitale nelle società per azioni. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 di fatto la reintroduzione di meccanismi di espropriazione “larvata o indiretta” in pieno contrasto con i dettami CEdu e costituzionali sulla necessaria ed indefettibile previa procedura ablatoria legittima. Sul tema, invero, era emerso un contrasto giurisprudenziale in relazione ai poteri che il giudice amministrativo può esercitare -direttamente o per il tramite di un commissario ad acta -in sede di esecuzione del giudicato restitutorio del bene illegittimamente ablato e, in particolare, in relazione al potere del giudice di ordinare alla P.A. di adottare un provvedimento ex art. 42 bis T.u. espropriazioni o anche solo di sollecitarne l’adozione, fissando in caso un termine, scaduto il quale non rimarrebbe che assicurare la sola tutela restitutoria. L’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016 ha, sul tema, affermato il seguente principio di diritto: 1) Il commissario ad acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall’art. 42 bis, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 327: a) Se nominato dal giudice amministrativo a mente degli artt. 34, comma 1, lett. e) e 114, comma 4, lett. d) c.p.a., qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato de quo agitur; b) Se nominato dal giudice amministrativo a mente dell’art. 117, comma 3 c.p.a., qualora l’amministrazione non abbia provveduto sull’istanza dell’interessato che abbia sollecitato l’esercizio del potere di cui al menzionato art. 42 bis. Si pensi ancora alla giurisprudenza della Cassazione (Sezioni unite 19 maggio 2016, n. 10318) e del Consiglio di Stato (Sez. VI, 21 luglio 2021, n. 5496) che si è venuta formando in materia di regolamenti edilizi comunali, violazione delle distanze e “principio di prevenzione”: si è affermato che la portata integrativa dell’art. 36 d.lgs. n. 380/2001 non riguarda solo le distanze di cui agli artt. 871, 872 e 873 c.c., norme che impongono una distanza minima, ma si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, cd. “leggi urbanistiche di seconda generazione”. di recente è stata rimessa dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, 27 luglio 2021 n. 759, all’Adunanza Plenaria la questione se la vicinitas sia di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione dei singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione (16). Si pensi ancora alla recente pronuncia del Consiglio di Stato sugli atti unilaterali d’obbligo associati alla concessione ad aedificandum (Cons. St., Sez. II, 6 aprile 2021, n. 2773), alla sentenza dell’adunanza Plenaria 9 aprile 2021 n. 6 sulle azioni esperibili in caso di giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per l’equivalente del valore di mer (16) Si veda, dopo la sentenza Lombardi della Corte di Giustizia dell’unione Europea, la valorizzazione dell’interesse strumentale e dell’interesse finale. CoNTrIBuTI dI doTTrINA cato del bene illegittimamente occupato (preclude azioni di rivendicazione e azioni restitutorie sulla base dell’integrazione sul piano interpretativo del dispositivo con la motivazione della sentenza), alla sentenza del CGa Sicilia 19 febbraio 2021, n. 125 del diritto del proprietario ad ottenere trascrizioni, cancellazioni ecc. a fronte di un giudicato civile che ha dichiarato sussistente l’occupazione appropriativa, attraverso anche il cd. “negozio ricognitivo”. Natalino Irti ci dice che il diritto ha bisogno di un dove, Kelsen affermava che la norma crea il suo spazio giuridico: in tale spazio va individuato il bene oggetto di tutela da parte dell’ordinamento. Si pensi alla problematica della chance: bene giuridico autonomo o situazione giuridica soggettiva? (17). Il Presidente Paolo Cirillo, nella sua recente monografia (18), nella parte dedicata ai beni sostiene che l’alternativa pubblico/privato non è più in grado di assorbire tutta la teoria dei beni pubblici e che bisognerebbe impiegare il concetto di bene comune, termine idoneo a qualificare internet e i nuovi beni dell’era digitale. Lo strumento digitale ha determinato un mutamento antropologico di cui il diritto non si può disinteressare. Si pensi agli studi del grande giurista Gunther Teubner che per primo ha affrontato sul piano giuridico il tema dell’algoritmo. Nell’era digitale cambia il concetto di proprietà: rebecca mardon del- l’università di Cardiff ha scritto che oggi la proprietà è sostituita dall’accesso, «“età dell’accesso”, in cui la proprietà non è più importante per i consumatori e diventerà presto irrilevante. Gli ultimi anni hanno visto l’emergere di una serie di modelli basati sull’accesso nel regno digitale». In uno studio realizzato nel 2018 dalla Norton School of Family and Consumer Sciences dell’università della Arizona è emerso il concetto di proprietà psicologica che applichiamo ad un bene digitale che, in realtà, non ci appartiene. Ecco, così, che trasformiamo la non-proprietà di un bene digitale in percezione di possesso. una percezione di proprietà che risponde principalmente a 3 fattori: la sensazione di avere il controllo sull’oggetto che si possiede, il ruolo che l’oggetto assume per definire chi siamo, l’aiuto che l’oggetto ci fornisce per migliorare il senso di appartenenza nella società. Il punto è che comprando un bene digitale -sia un ebook come un brano musicale o un film -in realtà otteniamo una licenza di utilizzo con restrizioni più o meno ampie. Non entriamo in possesso del bene come accade per i beni fisici. Non a caso ci sono esempi di utenti che si sono trovati privati della possibilità di utilizzo di beni digitali come nel caso di Microsoft che ha deciso di (17) Teoria ontologica e teoria eziologica. Si veda di recente la sentenza n. 6268/2021 del Consiglio di Stato che fissa le condizioni di risarcibilità, affermando che il risarcimento per perdita di chance non compensa il risultato sperato, ma la privazione della “possibilità qualificata” di conseguirlo. (18) P. CIrILLo, Sistema istituzionale di diritto comune, Cedam, 2021. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 chiudere il suo servizio di ebook, portandosi dietro tutte le librerie dei clienti (anche se promettendo loro un rimborso). Il mondo digitale presenta nuove minacce alla proprietà a cui i nostri beni fisici non ci hanno preparato. Si parla di regolare il “patrimonio digitale” e la cd. successione digitale (19), distinguendo beni digitali (cd. digital assets) a contenuto patrimoniale come Bitcoin basata su tecnologia blockchain e beni a contenuto non patrimoniale, che dovrebbero essere esclusi da una successione ereditaria, ma così non è. rientrano nella delazione ereditaria le opere creative dell’ingegno nel- l’ambito del digitale come i software, ma anche l’account che può avere un valore patrimoniale spesso rilevante. La patrimonialità dell’account può derivare dal contenuto, come nel caso di account di pagamento automatizzato (Paypal, ecc.) o per il trading on line (iQ option, markets, Binance, ecc.), dai contratti di sponsorizzazione, che lo corredano, dalle recensioni o valutazioni degli utenti (Youtube, E.bay, Tripadvisor, ecc.) o semplicemente, dal valore acquisito per essere divenuto per gli utenti di una community un punto di riferimento (si prendano ad esempio gli account social di personaggi famosi o cd. influencer). A tal proposito giova accennare alla nuova criptovaluta annunciata da Facebook per erogare servizi finanziari tramite il proprio social network: Libra. Attraverso Libra i titolari di un account Facebook, Whatsapp o messenger potranno inviare e ricevere pagamenti in criptovaluta, sulla base di una blockchain che, a differenza del sistema Bitcoin, sarà “permissioned”, dunque, solo un numero limitato di utenti sarà autorizzato a tener traccia del ledger, “libro mastro”, della rete blockchain. Libra avrà un valore predeterminato che la legherà al valore di una moneta quale il dollaro. Ciò renderà stabile il valore della moneta, forzandone gli equilibri di cambio, affinché in qualsiasi momento possano essere chiari i meccanismi ed il valore della somma inviata o ricevuta. Se il progetto Libra dovesse avere successo, l’account acquisterà anche un valore patrimoniale, essendo direttamente ad esso associato un patrimonio di criptovalute riconducibile al defunto e assumerà ancora più rilevanza in caso di morte dell’utente. Alcuni gestori di posta elettronica tra le condizioni generali di servizio (che spesso vengono frettolosamente accettate con un semplice click) prevedono la non trasferibilità dell’account. L’account mail Yahoo, ad esempio, non è trasferibile e qualsiasi diritto relativo all’Id o ai contenuti all’interno del- l’account verrà meno in seguito al decesso del titolare dell’indirizzo di posta. Questo significa che il provider potrà essere contattato solo per richiedere, previa esibizione del certificato di morte, la cancellazione dell’account e tutto il suo (19) G. MArINo, La successione digitale, in oss. dir. civ. e comm., 2018; A. MAGNANI, L’eredità digitale, in Notariato, 2014; A. SErENA, Eredità digitale, in AA.VV. identità ed eredità digitali, stato dell’arte e possibili soluzioni, Aracne, 2016; C. CAMArdI, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, in il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2018. CoNTrIBuTI dI doTTrINA contenuto. Così per apple, Linkedin e Twitter. Anche se si decidesse di andare per vie legali, sarebbero, comunque, applicabili leggi e giurisdizioni straniere, così come accede nel caso di problematiche con alcuni provider statunitensi. Vi è allora da chiedersi: oggi la nostra proprietà digitale così come la nostra identità digitale legata ai dati (data mining, data drive economy) è nelle mani delle grandi piattaforme? L’avvento dell’era digitale non ha stravolto solamente il nostro modo di rapportarci con altre persone, ma ha dato vita ad un vero e proprio patrimonio digitale. Sebbene in molti casi il valore di quest’ultimo sia solamente perso- nale-sentimentale (foto digitali, messaggi Whatsapp, files), spesso accade che si presenti tuttavia di rilevanza economica tutt’altro che trascurabile. È evidente, allora, che prevedere disposizioni precise sul destino del proprio patrimonio digitale rappresenta, più che un’opportunità, una vera e propria esigenza. I concetti di proprietà, possesso e dominio nell’era digitale che stiamo vivendo richiedono la rimodulazione dei principi generali di autodeterminazione individuale e di responsabilizzazione: principi che costituiscono regole metagiuridiche con funzione normogenetica in grado di regolare la complessità del nostro tempo. if this, then that: con questa semplice espressione, che sta ad indicare il concetto di algoritmo, ossia una sequenza di passaggi elementari in un tempo finito, si racchiude il futuro della tecnologia e del destino dell’uomo. Nella complessità che caratterizza il nostro tempo, il giurista, spinto da una visione essenzialmente antropocentrica, dovrà svolgere una funzione “ordinante” che ponga l’algoritmo non in sostituzione dell’essere umano, bensì al suo servizio. Come, però, potrà svolgere tale funzione, con quali strumenti normativi ed interpretativi, con quali categorie giuridiche, con quali processi di modellizzazione concettuale idonei a cogliere, gestire e regolare la complessità? “il limite di Prometeo invocato dalla cultura greca oggi evidenzia il rischio di una tecnologia che compie un processo di mimesi e di superamento della razionalità umana. Questo, perché l’algoritmo oggi non costituisce più un “mere tool”, ossia mero elemento di trasmissione della volontà umana, ma un coelemento essenziale ed imprescindibile di formazione della volontà stessa che incide sul processo di autodeterminazione dell’individuo. Le neuroscienze aprono scenari inimmaginabili nel binomio “coscienza e identità”: cogito ergo sum, secondo Cartesio, l’uomo è il pensiero, ma il pensiero è il correlato neuronale della coscienza umana, quella coscienza suitas che nell’antica Grecia consentiva di distinguere l’ardire dalla Hybris. in fondo, se ci pensiamo bene, Prometeo è colui che vede ed agisce in tempo nella consapevolezza del Katèchon, ossia del limite: il limite di ammissibilità etica, giuridica, sociale delle innovazioni tecnologiche. Non tutto ciò che è tecnologicamente possibile, è giuridicamente ed eticamente accettabile e condivisibile. Se Parmenide af rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 fermava: «il pensiero è l’essere: è la stessa cosa pensare e pensare ciò che è, perché senza l’essere in ciò che è detto non troverai il pensare», il profilo della libertà cognitiva come presupposto di autodeterminazione individuale oggi è messa a dura prova dai cd. neuro-link: gli algoritmi entrano nell’intime sphere e nella predittività dei propri pensieri, delle decisioni e delle scelte individuali. Se l’habeas corpus ha rappresentato la base dello Stato di diritto, l’habeas data la base del diritto di autodeterminazione digitale, l’habeas mentem diventa il fulcro dei cd. “neuro-diritti” per evitare la deriva neurodeterministica, cd. “riduzionismo scientifico” e “determinismo tecnologico”. Sono queste le autorevoli considerazioni del Garante per la Privacy, prof. P. Stanzione, esposte in un recente convegno sul tema delle neuroscienze e la tutela dei dati. occorre, dunque, uno statuto giuridico ed etico che coniughi l’innovazione con la dignità umana, intesa sempre come fine, e mai come mezzo, facendo tesoro dell’insegnamento di Kant. Vi è da chiedersi, però, se occorra oggi introdurre un concetto di neuroetica, ossia, di etica della neurotecnologia per proporre un approccio etico sistematico e integrato alle tecnologie di intelligenza artificiale. Langdon Winner affermava che ogni disposizione tecnologica è espressione di potere e L. mumford parlava di “Technical arrangements as forms of order”: oggi il problema che si affaccia all’orizzonte non è solo l’implementazione della tutela dei dati, che costituiscono i new oil, essential facilities della driven data economy, ma anche la tutela della facoltà cognitiva dei cittadini, utenti, consumatori o fruitori dei servizi. Vi è da chiedersi cosa resta della libertà e responsabilità umana? Il dato neuronale con le cd. tecniche di brain reading nell’interfaccia uomo-computer viene immesso per la prima volta nell’area dei dati digitali, nella cd. infosfera, ecosistema digitale, andando al di là delle applicazioni di neuro-enhancement nel campo bio medico e ponendo il problema della «opacità del machine learning». Il dato neuronale è un dato differente dagli altri: 1) ha un’importanza ontologica, perché è la sede dei processi vitali, è coscienza, pensiero, memoria; 2) ha un’importanza antropologica nell’autopercezione di sé, dimensione fenomenologica e soggettiva della persona; 3) importanza epistemologica, il dato neuronale è predittivo come il dato genetico; 4) importanza metodologica, i dati neuronali possono essere rimodulati, il brain reading si può trasforma in brain writing. Siamo oltre il test di Turing, criterio per determinare se una macchina sia in grado di esibire un comportamento intelligente. Tale criterio, si ricorderà, fu suggerito da alan Turing, inventore del computer, nel suo noto articolo “Computing machinery and intelligence”, apparso nel 1950 sulla rivista mind, ma certamente allora Turing non poteva immaginare gli scenari attuali. “il futuro non è ciò che progettiamo, ma è Kairòs, ciò che ci sorprende” diceva San Paolo di Tarso. Stiamo andando verso l’iperumano, il transumano e postumano, il cd. Ubermensh di cui parlava Nietzsche? CoNTrIBuTI dI doTTrINA Le scienze contemporanee hanno contribuito a definire l’uomo come un “sé multiplo”, la mente è l’idea del corpo, il corpo è brain feeling, siamo un complesso di mente e corpo: così si esprime antonio Damasio nel suo scritto “l’errore di Cartesio”. Ma se spostiamo la nostra analisi nell’universo quantistico non possiamo non tener conto di quanto ha affermato roger Penrose, premio Nobel per la fisica, con riferimento alla cd. “libertà dell’evento”. In altri termini oggi noi viviamo in un universo quantistico in cui il possibile è la base di comprensione dell’evento, “brain imaging”. Se questo è vero, allora le neurotecnologie possono anche favorire uno sviluppo qualitativo dell’uomo, inteso come complesso unico di mente e corpo, pensieri, emozioni, coscienza critica. È questa la sfida che attende il giurista: a lui l’arduo compito di individuare attraverso un approccio multidisciplinare principi, regole, principles and model-rules capaci di realizzare quello che è stato di recente definito “l’umanesimo digitale”. Sembrerà strano, ma il primo computer è stato un computer a vapore, calcolatore universale risalente alla prima metà dell’800 e la prima programmatrice è stata una donna, ada Lovelance, definita da Charles Babbage “incantatrice dei numeri”. Certo molti anni dovettero trascorrere prima che tim berners-Lee nel 1989 presso i laboratori Cern di Ginevra presentasse il primo sistema di “information management”, called mesh, il primo website concepito come “a democratic arena” per lo scambio di informazioni al servizio dei cittadini senza royalties o speculazioni. Ma tale idea democratica e gratuita del web è stata oggi vanificata dalle grandi piattaforme Facebook, Google e amazon che ne hanno monopolizzato l’utilizzo, disponendo di un’enorme quantità di dati, senza precise regole volte ad una loro effettiva responsabilizzazione. Tim Berners-Lee insieme ad altri scienziati sta lavorando oggi ad un progetto chiamato Solid per ridecentrare il web e renderlo di nuovo uno spazio libero. È emblematico che nel 1909 uno scrittore britannico Forster abbia scritto una storia di fantascienza intitolata “The ma- chine stops” in cui l’autore immagina che le persone vivono isolate accanto ad una macchina che provvede a tutti i loro bisogni. Gli umani in tale racconto vivono connessi, pur rimanendo isolati, determinando in loro la paura delle esperienze dirette. Questo è il motivo per cui la tecnologia deve considerarsi “as a tool, not a master”. Ma dal punto di vista giuridico come deve considerarsi il rapporto uomo- macchina? un grande giurista Gunther teubner ha per primo affrontato il tema dell’algoritmo e degli agenti digitali autonomi, ossia di quelli che possono elaborare e prendere decisioni indipendentemente dal produttore e dal- l’utilizzatore del programma. Secondo tale autore occorre analizzare il rapporto che si instaura tra l’uomo e il software utilizzato, nonché la distribuzione della responsabilità per danni cagionati nella sfera giuridica di coloro i quali hanno fatto affidamento incolpevole sulla dichiarazione dell’agente di rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 gitale autonomo, soprattutto se si tiene conto della prevalenza nel sistema della teoria oggettiva della dichiarazione di volontà. L’assistente digitale è diventato sempre meno un semplice nuncius della volontà della persona fisica. E sicuramente non è tale quando è capace di prendere decisioni autonome ed in quanto tale causare danni a terzi. Le categorie che vengono in rilievo sono chiaramente la rappresentanza e il rapporto associativo uomo/macchina. occorrerà soffermarsi sul nuovo concetto di informazione sempre più alterata non solo dalle cd. fake news, ma dalla cd. “information pollution”, ossia dall’inquinamento delle informazioni. Tale concetto si declina nei fenomeni di: clickbait, sloppy journalism, misleading headings, biased news and filter bubble. Sono tutti processi che contengono o notizie false o notizie manipolate o informazioni modellate su profilazioni del soggetto che effettua delle ricerche sul web riuscendo a trovare le informazioni sempre più corrispondenti alla propria formazione culturale e ai propri interessi con una selezione subdola di dati che avviene a sua insaputa. Siamo in una dimensione bel lontana dalla parresìa, ossia della verità di cui parlavano i greci nel sistema democratico della polis. Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell’Informazione a oxford, nel suo libro “Pensare l’infosfera”, sostiene che viviamo ormai in un mondo virtuale, l’infosfera appunto, in cui tutti siamo degli inforgs, organismi del sostrato informazionale. La postmodernità rifugge sempre più dalle cose per andare verso relazioni con inarrestabile astrazione dal materiale. Siamo passati da una posizione ontologica assoluta modellata su un mondo letto in termini aristotelici (cd. primato della cosa) e newtoniani (primato nello spazio e nel tempo) a quella epistemologica- relazionale, dominante nell’infosfera, un costruzionismo di ispirazione neo-Kantiana definito come processo di modellizzazione (non copia platonica del modello) che dà forma alla realtà rendendola intelligibile. Se Cartesio affermava “cogito ergo sum”, oggi possiamo dire “videor ergo sum”: la costruzione del sé cd. Bildung passa attraverso lo strumento digitale, il selfie è il sentirsi, il realizzarsi nello sguardo dell’altro, Leib a Korper, la pietrificazione del sé, di cui parla Sartre in pagine memorabili di “L’essere e il nulla”. Il selfie è l’esposizione del corpo on line che ha come unità di misura i like. un famoso psichiatra Giovanni Stanghellini parla di “selfie come sentirsi nello sguardo dell’altro, l’altro è l’unica possibilità di essere riconosciuti”. Tutto questo a che prezzo per l’uomo? Il cd. “effetto Flynn” ci dovrebbe far riflettere: richard Flynn ha condotto uno studio tra il 1990 e il 2009 dimostrando che il quoziente intellettivo Qi stia cominciando lentamente, ma inesorabilmente a calare. un calo costante che oggi è diventato un vero e proprio tracollo, se pensiamo alla percentuale di persone afflitte dal cd. “analfabetismo funzionale” (sanno leggere, ma non capiscono il senso né sono in grado di rielaborarlo). I giovani hanno oggi molte informazioni e poca conoscenza, o meglio una “conoscenza irrelata e non cor CoNTrIBuTI dI doTTrINA relata”. Le nuove tecnologie digitali specialmente per i più giovani rappresentano un potentissimo e pervasivo elemento di degradazione delle facoltà cognitive, emotiva e relazionale. Perché questo accade, quali sono le ragioni? Il neurobiologo Laurent alexandre ritiene che la ragione risieda in questa considerazione: “laddove il libro favoriva una concentrazione duratura e creativa, internet incoraggia la rapidità, il campionamento distratto di piccoli frammenti di informazioni provenienti da fonti diverse” (20). Il processo che consiste nell’immagazzinare i dati, creando così la memoria, per poi elaborarli, creando un ordine diverso si chiama “apprendimento”. Il problema è che oggi è l’intelligenza artificiale ad occuparsi del processo di immagazzinamento dei dati, memoria ed elaborazione dei dati, con l’intelligenza umana ridotta a svolgere un ruolo ausiliario e sempre più ininfluente. Ecco che allora abbiamo assistito, alla nascita del GPT3, Generative Pretrained Transformer: l’11 giugno 2020 è stata presentata GPT3, un’intelligenza artificiale in grado di scrivere un romanzo nello stile dello scrittore che si preferisce, scrive in pochi istanti il racconto che si preferisce. ricorda il generatore automatico di lettere d’amore che alan Turing sperimentò nel 1952 a Manchester. GPT3 è la terza versione di un progetto di ricerca di un laboratorio fondato a San Francisco nel 2015, open ai, che tra i fondatori ha Elon musk e tra i finanziatori microsoft. Non è trascorso nemmeno un anno e GPT3 non scrive romanzi, ma è già utilizzato da oltre 10.000 sviluppatori ed è presente in oltre 300 applicazioni. rientrano in questo processo le risposte ancora semplici di alexa e Siri nei nostri smartphone e gli assistenti vocali, i dialoghi non facili con i chatbot quando andiamo sul sito della nostra banca o di una grande azienda che fornisce telefonia, acqua e luce, qui sappiamo di dialogare con un risponditore automatico. Il confine tra umano e artificiale nel GPT3 è meno netto, impercettibile, sarà sempre più difficile distinguere volti, suoni e testi creati da un’intelligenza artificiale da quelli reali. È innegabile la difficoltà di lettura di algoritmi che utilizzano grandi quantità di dati (big data) e, in misura crescente, si caratterizzano per l’impiego di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale che non si limitano a seguire fedelmente le istruzioni del programmatore, ma diventano intelligenza spontaneus, autocreativa, autoevolutiva, inventando soluzioni e percorsi inediti, con il risultato che neppure colui che ha fornito le istruzioni alla macchina attraverso l’algoritmo è pienamente in grado di ripercorrere il processo decisionale e offrire una spiegazione comprensibile. Il problema del carattere non neutrale dell’algoritmo e la sua scarsa trasparenza assume un ruolo centrale nel dibattito giuridico recente, da qui il pe (20) L. ALEXANdrE, La guerra delle intelligenze, intelligenza artificiale contro intelligenza umana, pag. 75, ed. Torino, 2017. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 ricolo che la società possa diventare una grande, unica scatola nera, una “black box society” (21). È il cd. “surveillance capitalism” di cui parla S. Zuboff (22). Sulla base della complessità di tali considerazioni la Commissione Europea ha elaborato il Digital Service act che, considerando essenziale “la legalità procedimentale della conservazione dei dati”, il cd. Digital Due Process, predispone una tutela del cittadino basata su due principi fondamentali: il principio dell’autodeterminazione del singolo e il principio di responsabilizzazione delle piattaforme digitali. Sono questi i binari lungo i quali dovranno essere definite a livello europeo le norme che saranno determinanti per costruire un corretto rapporto uomo-macchina. Sul piano della qualità e del livello della regolamentazione si distingue tra auto-regolazione, co-regolazione ed eteroregolazione, ponendosi il problema se e in che in termini la regolamentazione dei social-network debba essere affidata alle grandi società monopoliste del web o se occorra un intervento più incisivo della normativa nazionale e sovranazionale. Sappiamo che Facebook ha al suo interno sotto forma di trust il Facebook oversight Board che esamina le questioni poste dalla Community, ma occorre un intervento di eteroregolazione sovranazionale capace di impedire che pubbliche funzioni siano esercitate da poteri privati. In questa ottica il Digital Service act, attualmente al livello di proposta della Commissione, si pone l’obiettivo di prevenire il disordine normativo e di creare un mercato digitale on line sicuro ed affidabile. Nella nuova regolazione delle piattaforme digitali la Commissione Europea sta cercando di affermare uno Standard Europeo regolatorio per la definizione del nuovo capitalismo digitale che si basi su un concetto di “sicurezza funzionale”, security by design. La Commissione europea sollecita gli Stati membri non con regole, ma con obiettivi per far diventare l’Europa un Hub di regole digitali, il protagonista della trasformazione digitale ed ecologica entro il 2030. In un’epoca caratterizzata da un eccesso di informazioni, cd. infodemia, è necessaria anche un’igiene informativa: secondo Vittorio Loreto, fisico della materia presso l’università La Sapienza di roma, che collabora ad un progetto di ricerca definito “Cartesio, ergo news”, se il dubbio è l’inizio della conoscenza, occorrono sistemi per valutare l’affidabilità di una notizia. Viviamo attualmente in delle “bolle informative”, con i cd. “sistemi di raccomandazione” che non consentono di esplorare “ l’adiacente possibile”. Ma come (21) F. PASQuALE, The Black Box Society. The secret algorithms that Control money and information, Cambridge - Ma 2015. (22) S. zuBoFF, Big other: surveillance capitalism and the prospects of an information civilization, Journal of information Technology (2015) 30, 75-89; Id., The age of Surveillance Capitalism. The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power, London, 2019. CoNTrIBuTI dI doTTrINA controllare la qualità dell’informazione? Sono sufficienti gli appositi software per controllare la tracciabilità della notizia? Possiamo parlare di graduazione delle falsità informative? Il fisico Pauli, fondatore della meccanica quantistica, parlava di “nothing in wrong”, noi possiamo parlare di “nothing in fake”? ognuno di noi è alle prese con cookie di funzionalità, cookie analitici e cookie di profilazione di terze parti. Per prestare il proprio consenso siamo costretti a consultare la Cookie policy, con la automatica conseguenza che, chiudendo il banner o accedendo a qualunque elemento del sito, acconsentiamo automaticamente all’uso dei cookie. La credibilità, la decentralizzazione, l’intermediazione sono presenti nei cd. “filter bubbles”, “gabbie virtuali”, in cui gli algoritmi rinchiudono gli utenti, raccogliendo dati e preferenze sulla base di precedenti click, cronologia delle ricerche e localizzazioni. La dottrina parla di disordini dell’informazione, di varie categorie di disturbi dell’informazione, distinguendo tra “disinformazione”, “misinformazione”e“malainformazione”. Le stesse piattaforme digitali si stanno attrezzando per arginare tale fenomeno: ad esempio, Facebook utilizza i cd. “educational pop-ups”, pop up informativi con etichettature specifiche sulle notizie e con rimozione automatica dei contenuti falsi; Twitter distingue tra notizie misleading, disputed and unverified con sistemi cd. di Strike System, nel senso che dopo alcuni richiami vi è il blocco dell’account. Ma quali rimedi possono/devono essere rimessi allo Stato e ad organismi sovranazionali e quali alle stesse piattaforme? La comunicazione sui social-network, infatti, è caratterizzata da pervasività ed invasività, dalla illimitatezza spazio/temporale, dalla disintermediazione e dalla semplificazione del messaggio. In Francia è stata approvata nel 2018 la legge n. 1202 contro la manipolazione dell’informazione, in Germania è stata approvata il 30 giugno 2017 la legge sul Hate speech prevedendo fattispecie criminose sulle figure già previste dal codice penale tedesco con un sistema di “notice and take down”, ossia di reclamo da rivolgere alla stessa piattaforma, prima di un vero e proprio ricorso all’autorità giurisdizionale. In Italia vi è stata la presentazione del disegno di legge Gambaro nel 2017, e di recente un nuovo ddL approvato alla Camera e attualmente in discussione al Senato con la istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla diffusione massiva di informazioni false. Presso l’AgCom è stato istituito un tavolo Tecnico sulle piattaforme digitali e il pluralismo informativo, mentre al livello europeo è stato approvato il 26 settembre 2018 il Code of Practice on Disinformation. Ma occorre chiedersi se vi sia la necessità di valutare la privacy policy in un sistema di merger controll attraverso un’azione di collaborazione e di coordinamento tra le varie Autorità regolatorie e se sia necessario affiancare agli strumenti di enforcement una regolazione ex ante con sistemi di pre-emptive remedy, ossia rimedi preventivi e proattivi. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Soprattutto chiarire che tipo di regolazione introdurre: funzionale o strutturale? omogenea o differenziata a seconda dei settori? occorre un coordinamento a livello di regolamentazione euro-unitaria tra Digital Service act, Digital Governace act e Digital market act, sono questi i tre elementi nel nuovo pilastro digitale europeo. Sono in gioco le stesse capacità cognitive dell’uomo, in quanto l’algoritmo non è più mere tool, ma entra nel percorso decisionale dell’uomo, limitandone la libertà del pensiero. L’algoritmo può diventare intelligenza “spontaneus”, può evolvere indipendentemente dalla volontà dell’uomo. Tali considerazioni inducono il giurista a profilare anche una responsabilità “dell’educatore dell’algoritmo”, basato sui principi di proporzionalità e di accountability. Wittgenstein, filosofo del linguaggio, ci ha insegnato che le parole innestano dei percorsi culturali, delineano il pensiero. Se ciò è vero, ricavando l’etimologia del termine “robot”, derivante dalla lingua ceca, “lavoro forzato”, viene in mente il binomio servo-padrone della Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Come può il diritto sottrarre l’uomo a tale schiavitù, schiavitù di quella che il Prof. Natalino Irti ha definito in termini di “anomia” e “atopia” della dimensione digitale? una strada sembra essere percorsa dalla cooperazione internazionale e dal multilateralismo: mentre noi siamo impegnati in tale simposio, un altro si sta svolgendo all’interno del G20, giungendo a definire una “tassa minima globale” cd. web tax, per colpire l’esorbitante potere economico delle grandi piattaforme. Sarà sufficiente? È un primo passo, ma noi giuristi dobbiamo comprendere la complessità della dimensione digitale per poterla razionalizzare e regolamentare, attraverso un confronto tra saperi che il prof. Palma ha definito “polifonico”, a più voci nel rispetto del metodo di analisi proprio di ogni specifica disciplina. A problemi complessi, occorre dare risposte articolate, integrate e pluristrutturate. È un nostro dovere per salvaguardare lo stesso concetto di “humanitas”, lo stesso concetto di uomo. ravello, 30 ottobre 2021 CoNTrIBuTI dI doTTrINA unità d’Italia. abolizione del contenzioso amministrativo e questione demaniale Federico Casu* Certo il cammino è lungo e pieno di ostacoli, ma sembra che sia già affiorata una nuova generazione capace di spezzare gli ultimi ceppi del feudalesimo. (G. dorso, 1924) Sommario: 1. il contesto politico -2. il contesto costituzionale -2.1. L’allegato E della legge 2248 del 1865: origini e doppio livello di lettura del dibattito parlamentare -3. Brevi cenni sui profili giuridici dell’abolizione del contenzioso amministrativo -4. Profili economici e politici della legge abolitrice del contezioso amministrativo: la questione demaniale -5. riferimenti bibliografici. 1. il contesto politico. Nella tarda mattinata del 16 giugno 1864 a Torino, nell’aula della Camera dei deputati… Peruzzi, ministro per l’interno. Io non credo che si venga a questa conseguenza. Se l’onorevole rattazzi lo crede, non ha che a porre un emendamento e se questo raggiungerà lo scopo a cui miriamo, e lo esprimerà in modo più chiaro, io, per la parte mia, sarò ben felice di accettarlo; ma siccome non vedrei questo pericolo, così non mi diparto dalla proposta della Commissione. rattazzi. A me pare che basti che il signor ministro si attenga alla sua prima relazione, la quale sottrae bensì gli affari a questi Consigli di prefettura, non prescrive così l’abolizione di questi Consigli. Presidente. Fa una proposta? rattazzi. Io non faccio proposta (1), dico solo che si potrebbe fare così. Peruzzi, ministro dell’interno. In una discussione come questa, a me pare che non sia il caso di limitarsi a dare consigli. ognuno abbia la responsabilità dei propri atti; io ho la responsabilità dei miei, l’onorevole rattazzi l’abbia dei suoi. Egli in conseguenza è libero di presentare un emendamento quando lo creda necessario, ed io mi farò un dovere di esaminarlo e di pronunziarmi intorno ad esso. Lo ringrazio del consiglio che mi ha favorito; ma io non giudicando necessario quanto egli suggerisce, non credo doverlo proporre; se egli stima necessario l’emendamento da lui indicato, si compiaccia proporlo. rattazzi. Io non sono venuto per dare alcun consiglio, poiché certo il ministro non me (*) Viceprefetto. Un ringraziamento all’avv. Stato maurizio Borgo per l’invio del presente saggio alla rassegna. (1) Così testualmente nel resoconto stenografico. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 lo domanda, ed io non voglio spontaneamente dar consigli a chi non me li chiede; io son venuto a proporre un dubbio che il progetto fa sorgere: se il ministro crede che questo dubbio non esista, o se malgrado il dubbio, egli intende che il medesimo rimanga, lo faccia pure. Io quindi lascio che il ministro provveda come crede più conveniente ed abbia la responsabilità del suo progetto, senza che questa responsabilità venga divisa da altri (2). A distanza di più di un secolo e pur in assenza di una registrazione audiovideo della seduta, il resoconto stenografico è ancora in grado di trasmettere al lettore contemporaneo uno stato di tensione tra due esponenti di spicco della classe politica di allora. Essi stanno discutendo intorno alla tematica dell’abolizione del contezioso amministrativo, ovvero su una questione caratterizzata da un non comune tecnicismo giuridico, lontano, almeno all’apparenza, da qualsiasi possibile eccesso retorico che pure caratterizzava i dibattiti nel Parlamento del neonato regno d’Italia e che tante volte aveva riempito le tribune della vecchia Camera subalpina, calamitando l’attenzione di giornalisti, diplomatici o semplici cittadini. Eppure, nel giugno del 1864, si cimentano su quello stesso argomento, fra i tanti, Filippo Cordova, Pasquale Stanislao Mancini eppoi Crispi, Bon Compagni, Mosca, Minervini, Giuseppe romano. Molti sono giuristi, la più parte avvocati. Per comprendere più a fondo il contesto storico in cui si inserisce questo spaccato di vita parlamentare, potrebbe essere utile, ancora per un attimo, zoomare su rattazzi e Peruzzi; l’uno ex ministro dell’interno, l’altro ministro del- l’interno in carica, ma soprattutto entrambi espressione di due mondi, quello piemontese e quello toscano, che, se pure avevano remato uniti nelle acque agitate del processo di unificazione, ora si contendevano la leadership della rivoluzione liberale. da una parte il Piemonte, a trazione cavouriana, che, accollandosi oneri politici e rischi economici, aveva, come noto, assunto la conduzione politica e militare della seconda guerra d’indipendenza. dall’altra la Toscana che, con Bettino ricasoli, sceglieva senza indugi di seguire Cavour, anteponendo rivendicazioni autonomistiche, probabilmente consapevole che i territori dell’ex Granducato avrebbero, almeno nel breve e medio periodo, pagato il prezzo di un sistema di governo di stampo centralistico, disegnato, proprio da rattazzi, sulla scorta del sistema francese. un modello che, fra il 1859 e il 1861, si presentava ad avviso di molti come l’unico in grado di imbrigliare il nascente Stato italiano, territorialmente (2) Lo stralcio del dibattito è tratto dal resoconto stenografico della seduta della Camera dei deputati del 16 giugno 1864, p. 5394, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 16 giugno. CoNTrIBuTI dI doTTrINA molto vasto, forse troppo, culturalmente ed economicamente disomogeneo; uno Stato diviso nell’atto stesso della sua fondazione, ma che, proprio per questa ragione, la gran parte della classe dirigente liberale voleva sin da subito unito a qualsiasi costo, senza se e senza ma. due mondi a confronto, dunque. da un lato Torino capitale del regno di Sardegna e ora del più grande regno d’Italia, con tutti gli onori e le ricadute positive che ciò avrebbe comportato; dall’altra Firenze che, invece, capitale non lo era più, seppur di un piccolo Stato, ma che, tra il 1863 e il 1864, stava lavorando per tornare ad esserlo. da una parte rattazzi, avvocato, figlio della provincia piemontese, che a Torino si era fatto conoscere, apprezzare e temere. Capo del centrosinistra subalpino, politico accorto, a tratti sfuggente, capace di tenere testa all’ingombrante figura di Cavour. Spregiudicato e coraggioso nelle alleanze, fu artefice nel ’52, assieme al Conte, del patto passato alla storia con il nome di “connubio”, che fu la base delle strategie politiche che portarono il regno di Sardegna ad assumere, in Italia, la guida della rivoluzione risorgimentale. Abile nell’insinuarsi nelle pieghe del difficile rapporto tra Cavour e Vittorio Emanuele, di cui seppe guadagnarsi la fiducia, fu estimatore di Garibaldi e, chi lo sa, intimamente convinto della bontà di alcune idee di rinnovamento sociale che il movimento delle camicie rosse aveva saputo esprimere con la liberazione della Sicilia e del Mezzogiorno continentale. E a quest’ultimo riguardo, non sarà mai completamente chiarito il ruolo, di certo ambiguo, assunto dal suo Governo nel ’62 di fronte ai tentativi insurrezionali garibaldini, che condussero alla crisi dell’Aspromonte e alle dimissioni da Presidente del Consiglio, segnando così l’inizio della parabola discendente della sua carriera politica. Chi discuteva animatamente, dunque, con il ministro dell’interno pro tempore, quel 16 giugno del 1864, non era un personaggio qualsiasi della politica italiana. Non è, peraltro, da escludere che dietro allo scontro sul disegno di legge relativo alla abolizione del contenzioso amministrativo vi fosse, fra le altre motivazioni, il tentativo di rattazzi di difendere Torino dai disegni politici, più o meno segreti, che miravano a sottrarre alla città sabauda il titolo di capitale del regno italiano in favore di altre città che non fossero roma. E vi era anche il tentativo di difendere la legislazione del ’59 che, bene o male, aveva saputo assicurare al neo costituito Stato un’ossatura amministrativa che nel Governo centrale e nel sistema prefettizio aveva uno dei cardini principali. E che cos’era, del resto, l’abolizione del contenzioso amministrativo se non la soluzione, prospettata e sostenuta non a caso dagli autonomisti, di spostare la tutela di situazioni giuridiche borderline, coinvolgenti assetti di interesse riconducibili alla Pubblica amministrazione, dai consigli di prefettura e dal Consiglio di Stato, quindi in definitiva dal Governo, alla magistratura or rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 dinaria, ovvero ad un corpo ad ordinamento tendenzialmente orizzontale e non già verticale come la carriera prefettizia? un’operazione che avrebbe riorientato anche tutta la trattazione della questione demaniale e della divisione delle terre -che al Sud stava procedendo pur fra mille intoppi sotto la supervisione prefettizia, certo scontentando influenti potentati economici, clientelari ed elettorali -verso la magistratura, più sensibile alla tutela dei diritti già acquisiti dalla grande proprietà terriera e ora messi in discussione dai procedimenti di quotizzazione. Se ne parlerà più avanti, ora, invece, qualche doveroso cenno biografico anche su ubaldino Peruzzi. Se rattazzi era figlio del Piemonte e di Torino, Peruzzi lo era della Toscana e di Firenze. Cugino di Bettino ricasoli ed espressione dell’aristocrazia fiorentina, fu attivo nei moti risorgimentali e convinto autonomista, ostile, quindi, alla politica di accentramento che aveva portato ad accantonare, anche per la fragilità del nascente regno d’Italia, i progetti regionalistici elaborati da Farini e da Minghetti. Fu molto attivo in alcune operazioni societarie nel redditizio campo degli investimenti ferroviari e non è un caso che, nel III governo Cavour (1860) e nel primo ministero ricasoli (1861), ricoprisse la carica di ministro dei lavori pubblici. dopo i fatti di Aspromonte e la caduta del Governo rattazzi, divenne ministro dell’interno nel ministero Farini e in quella carica giocò un ruolo fondamentale nelle trattative politiche che portarono alla Convezione di settembre (1864), ovvero a quell’accordo diplomatico attraverso il quale, tra le altre cose, l’Italia si impegnava con la Francia a spostare la capitale da Torino ad un’altra città, che non fosse roma, posta in posizione geografica più baricentrica. Furono prese in considerazione Napoli e Firenze e alla fine, nel 1865 (3), vinse, anche qui non a caso, Firenze. Quando gli articoli segreti della Convezione furono di pubblico dominio, nelle giornate tra il 21 e il 22 settembre si registrarono a Torino forti proteste concentrate prevalentemente in piazza Castello e in piazza San Carlo, dove i manifestanti incontrarono reparti di guardie di pubblica sicurezza e di carabinieri schierati con intenti non certo amichevoli. Morirono più di 50 persone e quasi 200 furono i feriti. La città apparve spaesata e i torinesi, increduli, leggevano le cronache degli eventi dalle pagine dei quotidiani. Sotto accusa finì la gestione dell’ordine pubblico e quindi Peruzzi, definito spregiativamente dagli avversari il “mitragliatore”, ma che, tuttavia, fu scagionato da una commissione d’inchiesta. (3) Il trasferimento della corte a Firenze si ebbe nel febbraio ’65. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Le conseguenze sul governo non si fecero attendere e, infatti, il presidente del consiglio Minghetti rassegnava le dimissioni, lasciando il posto al governo La Marmora. Con i fatti di Torino ebbe termine anche la carriera ministeriale di Peruzzi che, di lì a poco, si dedicò alla vita politica locale della sua Firenze, che intanto si apprestava a divenire capitale del regno d’Italia. La prospettiva fece gola agli investitori e in città fu tutto un fiorire di iniziative societarie nel campo edilizio e del riassetto urbanistico. Anche per Peruzzi -componente del consiglio municipale e, dal ’68, primo cittadino -Firenze doveva conoscere un nuovo rinascimento, la sue strade divenire più belle e i palazzi, vecchi e nuovi, essere pronti ad accogliere la nuova burocrazia ministeriale. oggi, con gli stilemi tipici della neolingua contemporanea, si direbbe che la città che fu dei Medici conobbe un periodo di restyling e di rigenerazione urbana. E fu davvero così: molti si arricchirono, anche se l’età dell’oro durò poco e, alla fine, rimasero i debiti. Quando, infatti, il titolo di capitale passò a roma, il bilancio del comune di Firenze registrava oramai disavanzi per oltre due milioni di lire e, in ambito nazionale, si parlava della necessità di interventi di sostegno ad hoc per una città illusa da un sogno troppo presto tradito. Il caso di Firenze, ovvero il business delle speculazioni edilizie e degli appalti di lavori pubblici, riguarderà ovviamente anche roma e poi, nei 160 anni della storia del nostro Paese, altre città. Ma questa è davvero tutta un’altra storia... 2. il contesto costituzionale. Le prime due leggi tecnicamente “italiane”, approvate con l’obiettivo di stabilizzare gli esiti della rivoluzione risorgimentale, furono la n. 4671 del 17 marzo e la n. 1 del 21 aprile 1861. Tuttavia, tale tentativo di “normalizzazione” costituzionale non riuscì del tutto e già allora la numerazione delle due leggi era la spia di un sistema politico ancora in fase di assestamento. Mentre, infatti, la legge del 17 marzo continuava ad essere legata alla serie degli atti normativi del regno di Sardegna, il numero identificativo della seconda fu il segnale di un apparente nuovo inizio, quasi il simbolo di una rifondazione del patto sociale. Quanto ai contenuti, se con la prima Vittorio Emanuele II assumeva per sé e i suoi eredi il titolo di re d’Italia, la seconda, che appunto inaugurava la numerazione progressiva delle leggi e dei decreti del nuovo regno, stabiliva che, d’ora in avanti, tutti gli atti pubblici da intitolarsi in nome del re lo dovessero essere con la seguente formula: “(il nome del re) Per grazia di Dio e per volontà della Nazione re d’italia”. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 In particolare, la n. 4671 gettava un velo solenne sulle espansioni territoriali del regno di Sardegna, conseguite con la seconda guerra d’indipendenza e la spedizione dei mille. Celato al di sotto della sua scarna struttura linguistica, il significato politico era che la grande corsa verso l’unificazione nazionale fosse stata vinta da Cavour e non già dalle forze progressiste. Per anni, esse avevano sognato un’Italia libera. riscatto sociale, roma capitale, laicità dello Stato, repubblica, federalismo, unitarismo, redistribuzione della terra erano tutte parole d’ordine, talvolta in contraddizione reciproca, che pure animavano il pensiero e l’azione del campo progressista. Gli sconfitti, alcuni dei quali non avevano fatto in tempo a conoscere l’epopea dell’unificazione, ma che vivevano nella memoria dei più giovani o dei superstiti dei moti del ’21 e del ’48-’49, avevano nomi e cognomi ben precisi: Filippo Buonarroti, Carlo Pisacane, Goffredo Mameli, Aurelio Saffi, Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari. I più illustri restavano, comunque, Mazzini e Garibaldi, che nei mesi della spedizione dei mille avevano operato perché, una volta avvenuta la liberazione del Meridione e fatta di roma la capitale d’Italia, fosse avviato un processo costituente finalizzato a conformare il nascente Stato con una costituzione e un ordinamento nuovi di zecca. Ma le cose, si sa, andarono diversamente. I plebisciti del 1860, riconosciuti con decreti dei Governi sardi -a loro volta autorizzati preventivamente o ratificati dalle Camere subalpine (4) -avevano in qualche modo legittimato l’ingresso di ampie parti del territorio della penisola nella sfera di sovranità dell’ordinamento piemontese, nonché la conseguente progressiva estensione nei loro confronti dello Statuto albertino. È pur vero che i plebisciti del 21 ottobre del 1860, riguardanti le province napoletane e la Sicilia, dove non a caso era ancora molto forte l’influenza garibaldina, parlavano della volontà del popolo di avere un’Italia «…una e indivisibile con Vittorio Emanuele re Costituzionale e suoi legittimi discendenti...» e non, invece, come gli omologhi pronunciamenti popolari della Toscana, dell’Emilia, delle Marche e dell’umbria, di adesione, annessione o unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele. Ciononostante, al di là delle sottigliezze linguistiche della formulazione (4) I regi decreti del 18 marzo 1860 n. 4004 e del 22 marzo 1860 n. 4014 concernenti, rispettivamente, le annessioni dell’Emilia e della Toscana furono autorizzati all’esecuzione con leggi del 15 aprile n. 4059 (Emilia) e 4060 (Toscana). Con legge 3 dicembre 1860 n. 4497 il Governo fu, invece, autorizzato ad accettare e stabilire con decreti reali l’annessione allo Stato delle province dell’Italia centrale e meridionale a seguito di esito positivo dei plebisciti. Le annessioni furono formalizzate con regi decreti del 17 dicembre 1860 nn. 4498 e 4499, riguardanti, rispettivamente, le province del meridione continentale e la Sicilia. In pari data, con regi decreti nn. 4500 e 4501, fu formalizzata anche l’annessione delle Marche e dell’umbria. CoNTrIBuTI dI doTTrINA del quesito popolare, anche il plebiscito napoletano e quello siciliano passarono, per la loro validazione, al vaglio di atti normativi del governo e del parlamento sabaudi. dunque anche Napoli e Palermo, al pari degli altri territori, entravano formalmente a far parte della sfera di influenza piemontese. E così quando, con le leggi del 17 marzo e del 21 aprile, il regno di Sardegna mutò il proprio nome -e ciò proprio in conseguenza del fatto che, quasi per incanto, il re Vittorio Emanuele si fosse trasfigurato in re d’italia -non furono necessarie né assemblee costituenti né, tanto meno, nuove costituzioni. una costituzione c’era già ed era lo Statuto albertino, mentre le forme di stato e di governo erano quelle che, a partire dagli anni ’50, l’attivismo politico di Cavour aveva abilmente modellato in Piemonte all’insegna di un parlamentarismo moderato di stampo liberale. Ma il Paese, soprattutto al Sud, ribolliva. Il 18 aprile del 1861 gli echi della rivoluzione garibaldina arrivarono fino a Torino fra le mura della Camera dei deputati, ove tra il generale, presentatosi provocatoriamente alla seduta in camicia rossa e poncho argentino, e Cavour si consumò una durissima controversia in tema di regolarizzazione del così detto esercito meridionale. La conseguenza fu un acuirsi dei dissidi politici fra le due principali anime del risorgimento italiano, che di lì a poco sarebbero tornate a scontrarsi. Appena un anno dopo, infatti, si sarebbe consumata la battaglia del- l’Aspromonte e, ancora, nel ’67, quella di Mentana, ultimo tentativo di Garibaldi e del campo progressista di trovare una soluzione alla questione romana che prescindesse dal contesto internazionale e, in primo luogo, dagli interessi francesi. Intanto il debito pubblico, aumentato enormemente in conseguenza dei costi derivanti dall’unificazione, rischiava esso stesso di divenire un fattore di instabilità, mentre nel Mezzogiorno il nascente fenomeno del brigantaggio già imponeva scelte dolorose e divisive, come le leggi eccezionali e gli stati di emergenza. di fronte a questa situazione lo Stato appariva debole. Invero, alcuni interventi ordinamentali avevano sin da subito cercato di consolidarne l’impalcatura costituzionale, come, per citare solo alcuni esempi, il decreto del Ministro della guerra Fanti del 4 maggio del 1861 volto a trasformare l’Armata sarda nel regio esercito italiano (5), le misure in campo economico come l’istituzione del Gran libro del debito pubblico del regno (5) Va, inoltre, ricordata l’istituzione della direzione generale delle leve, Bassa-forza e matricola (agosto 1861). Nel ’61 furono anche approvati i regolamenti del servizio militare della Marina. Il Ministero della marina ebbe il suo definitivo assetto con i regi decreti del 22 febbraio 1863, n. 1174, e del 26 luglio 1863, n. 1396. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 d’Italia (6) o quelli in materia di corso legale della lira (7) o concernenti la riorganizzazione del corpo delle guardie di pubblica sicurezza (8), del sistema carcerario (9) e la repressione del brigantaggio (10). Ma questo non bastò. Era come se il nuovo regno, pur essendo dotato di uno scheletro, mancasse ancora delle terminazioni nervose e dei muscoli. Il Governo aveva dato priorità al riassetto organizzativo delle Forze armate e delle Forze di polizia, costretto a mostrare al Paese reale il volto duro dello Stato per reagire alle fibrillazioni internazionali, dovute al processo di unificazione, e all’instabilità politica e sociale interna, ancora una volta prevalentemente concentrata nel Mezzogiorno. ora, però, divenivano improcrastinabili riforme organiche in alcuni settori della vita civile. In altri termini, era giunto il momento che lo Stato mostrasse anche il volto buono del potere, ad esempio di costruttore di edifici pubblici, ponti, strade, acquedotti e di ferrovie, tanto importanti per unire a livello infrastrutturale la penisola. Bisognava, poi, disciplinare la sanità pubblica e ridisegnare il rapporto tra centro e periferia, valorizzando il ruolo delle province e soprattutto dei comuni, cui delegare importanti funzioni statali quali l’anagrafe, lo stato civile, la leva militare. occorreva, inoltre, superare con gradualità la legislazione speciale sull’ordine e la sicurezza pubblica, conferendo stabilità all’intero settore, regolamentando le riunioni, i pubblici spettacoli, le attività commerciali, il lavoro nelle fabbriche e nei campi, i limiti della libertà di stampa e tutte quelle attività che, oggi, ricondurremmo nel settore della polizia amministrativa. Si pensava, infine, che i tempi fossero maturi per intervenire in materia di tutela dei diritti anche per circoscrivere in modo più chiaro, sulla base del principio tutto liberale della divisione dei poteri, l’ambito d’azione della pubblica amministrazione rispetto a quello dei giudici. Su queste tematiche il Parlamento italiano cominciò, invero, a lavorare sin dall’unificazione. (6) Legge 10 luglio 1861, n. 94, cui si aggiunse la legge 4 agosto 1861, n. 174 con la quale furono riconosciuti, quali debiti del regno d’Italia, i debiti degli Stati preunitari con conseguente disciplina relativa alla sostituzione dei vecchi titoli dei debiti pubblici con nuovi titoli garantiti dallo Stato italiano. (7) Stabilita con regio decreto 17 luglio 1861, n. 326. (8) Con legge 4 agosto 1861, n. 143 fu riorganizzata la guardia nazionale mobile, mentre i regi decreti n. 258 del 29 settembre 1861 e n. 378 del 22 dicembre 1861 incrementarono l’organico del corpo delle guardie di pubblica sicurezza. da ricordare, ancora, la legge 13 maggio 1862, n. 616, sull’ordinamento delle guardie doganali e il correlato regolamento attuativo 13 novembre 1862, n. 989. (9) Il regio decreto 13 gennaio 1862, n. 413 approvò il regolamento generale per le case di pena. (10) Il 15 agosto del ’63 fu emanata la legge “Pica” n. 1409. Il relativo regolamento di attuazione fu adottato con regio decreto 30 agosto 1863, n. 1433. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Poi la morte inaspettata di Cavour rallentò un po’ tutto. Era come se nella plancia di comando dello Stato fossero improvvisamente venute a mancare le mappe per proseguire nella rotta finora tracciata; mappe che il Conte sembrava essersi portato con sé nella tomba, senza condividerne i contenuti se non con quei pochi fedelissimi che, tuttavia, senza il loro Capo, non avrebbero potuto o saputo utilizzarle per proseguire da soli. Sia quel che sia, dal 1861 le Camere iniziarono, comunque, a discutere e ad approfondire alcune ipotesi di riforma istituzionale, elaborando vari progetti di legge rimasti, tuttavia, nei cassetti delle commissioni parlamentari fino alle soglie del 1865, quando il Governo diede ordine di recuperarli in fretta in furia. Nacque così la legge 20 marzo 1865, n. 2248, composta, come noto, da 5 articoli e da 6 allegati così denominati: allegato A, Legge sull'amministrazione comunale e provinciale; allegato B, Legge sulla Sicurezza pubblica; allegato C, Legge sulla Sanità pubblica; allegato d, Legge sull'istituzione del Consiglio di Stato; allegato E, Legge sul Contenzioso amministrativo; allegato F, Legge sulle opere pubbliche. Per dare un’idea dell’entità dell’intervento normativo in questione può essere utile evidenziare come l’intera legge constasse di 841 articoli (11), senza considerare, poi, i correlati regolamenti attuativi. Solo a titolo esemplificativo, il regolamento attuativo dell’allegato A sull’amministrazione comunale e provinciale, approvato con regio decreto 8 giugno 1865 n. 2321, era composto da 113 articoli, mentre quello relativo all’allegato C sulla sanità pubblica, approvato in pari data con regio decreto, n. 2322, poggiava su ben 138 articoli. Ai fini del presente lavoro, però, è importante sottolineare come la legge n. 2248 si inserisse perfettamente nel quadro delle iniziative normative funzionali al consolidamento dello Stato liberale. Fu, insomma, una legge molto importante, organica al regime nascente; se si preferisce, fu una legge di classe. Ciò, naturalmente, vale anche per l’allegato E, riguardante il contenzioso amministrativo, cui è dedicato il paragrafo seguente. 2.1. L’allegato E della legge 2248 del 1865: origini e doppio livello di lettura del dibattito parlamentare. Libertà di circolazione sull’intero territorio dello Stato, un più ampio mercato nazionale, massima mobilità possibile degli investimenti e dei titoli di proprietà mobiliare e immobiliare, uniforme tutela dei diritti, ovvero unicità di procedure e di apparati giudiziari: a tutto ciò guardavano gli esponenti di quelle forze sociali ed economiche al potere nei primi anni dell’unificazione. (11) Gli articoli di ogni allegato, a loro volta, erano suddivisi attraverso una numerazione autonoma e progressiva. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 di contro il Paese reale, anche dal punto di vista del sistema giurisdizionale, appariva estremamente frammentato, un puzzle multicolore di difficile composizione. All’alba del 18 marzo del 1861, giorno della pubblicazione in Gazzetta ufficiale proprio di quella legge n. 4671 con la quale Vittorio Emanuele assumeva il titolo di re d’Italia, poteva, ad esempio, capitare che un cittadino milanese si vedesse costretto a difendere i propri diritti sulla base di una legislazione civile e penale diversa, nei principi e negli istituti di diritto sostanziale e processuale, rispetto a quella vigente per gli ex sudditi del regno di Sardegna o per i cittadini della Toscana o della Sicilia. E occorrerà attendere la grande opera di codificazione del 1865, non a caso definito l’anno del risorgimento giuridico, per elidere ed appianare tali disarmonie ordinamentali (12). Ma cosa c’entra tutto ciò con il dibattito che, tra il ’61 e il ’65, impegnò le Camere sull’opportunità o meno di abolire il contenzioso amministrativo? Per la verità c’entra eccome perché anche su questo versante si riteneva, da più parti, necessario un chiarimento istituzionale volto ad eliminare quei diaframmi di natura territoriale e giuridica che frequentemente emergevano nei casi di controversie fra i cittadini, da un lato, e i pubblici poteri, dall’altro; controversie che nascevano nei più disparati campi dell’azione amministrativa come, ad esempio, gli espropri o la riscossione dei tributi. Campi in cui uno Stato ideologicamente orientato in senso liberale non poteva più ammettere differenti regimi di tutela degli interessi pubblici e delle situazioni giuridiche soggettive, specie quando ad essere in gioco erano rilevanti interessi economici come, ad esempio, quelli del redditizio settore degli appalti e degli investimenti statali per l’ammodernamento infrastrutturale del Paese. Per esemplificare ulteriormente, non era più tollerabile che una causa di esproprio per la costruzione di un tratto di ferrovia fosse risolta con tempi e procedure diverse a seconda del comune o della provincia interessata. Ma quali furono i modelli ordinamentali del contenzioso amministrativo intorno ai quali si snodò il confronto politico? Fondamentalmente quattro. Il primo, di matrice austriaca e in vigore in Lombardia fino al 1859, prevedeva che le controversie tra i privati e i pubblici uffici fossero attribuite alla stessa amministrazione, che le dirimeva attraverso procedimenti di riesame. (12) Nel 1865 furono emanati il nuovo Codice Civile, il Codice di Procedura Civile, il Codice Penale, il Codice di Procedura Penale e il Codice della marina mercantile e della navigazione. Il Codice penale, invero, era quello del regno di Sardegna del 1959. Alcune sue disposizioni non trovarono applicazione in Toscana (ad esempio la normativa sulla pena di morte, non contemplata dalla legislazione dell’ex Granducato) e nei territori dell’ex regno delle due Sicilie. Analoghe considerazioni valgono per il Codice di commercio che replicava, sostanzialmente, quello albertino del 1842 così come modificato nel ’53 e nel ’54. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Il secondo, invece, di derivazione francese e ancora in vigore nel regno d’Italia limitatamente alle province meridionali (ivi compresa la Sicilia), affidava tali affari a dei funzionari amovibili i quali, oltre ad essere titolari di competenze paragiurisdizionali, erano anche incardinati negli uffici dell’amministrazione attiva. Più nello specifico, tale modello organizzativo prevedeva una prima fase di natura decisionale, attribuita ad un collegio di livello provinciale (13), con la possibilità, da parte degli interessati, di attivare un secondo livello, questa volta consultivo, in seno ad un organismo centrale deputato a rendere un parere che, poi, il capo del potere esecutivo, ovvero il re, sarebbe stato libero di accogliere o meno (14). In definitiva solo il decreto del re, sempre se chiamato in causa, avrebbe potuto, una volta per tutte, definire il procedimento con un atto capace, ad avviso di alcuni giuristi dell’epoca, di esplicare effetti simili ad un giudicato: ad ogni modo, solo la decisione regia avrebbe potuto accertare definitivamente la legittimità o meno dell’originario provvedimento amministrativo, che aveva dato origine alla controversia. Il terzo modello, in vigore nei territori dell’ex regno di Sardegna, in Lombardia e nelle Marche e in quelli dell’ex Granducato di Parma, prevedeva una sorta di giurisdizione speciale del contezioso amministrativo in grado di emettere decisioni, simili a provvedimenti di natura giudiziaria, e non pareri. Mentre per i territori sabaudi, lombardi e marchigiani vigeva la legislazione rattazzi del ’59 -con un procedimento articolato su due livelli di cui uno provinciale, affidato ai consigli di prefettura, e uno centrale presso la sezione del contezioso del Consiglio di Stato di Torino -per le province parmensi la competenza era, invece, riconosciuta al c.d. Tribunale del contezioso amministrativo (15). Sia a Torino che a Parma sedevano giudici amovibili, anche se il Piemonte aveva in passato conosciuto un modello analogo a quello del ’59, ma con giudici inamovibili (16). Infine il quarto modello -in vigore in alcune province dell’Italia centrale (13) I consigli di intendenza (i consigli di prefettura francesi e piemontesi). (14) Le cc.dd. sezioni del contenzioso amministrativo delle Corti dei Conti di Napoli e Palermo. All’epoca in cui la Camera dei deputati discute intorno alla problematica dell’abolizione del contenzioso amministrativo, i pareri della sezione consultiva della Corte dei Conti di Napoli potevano ancora essere rimessi, da parte del re, anche su impulso ministeriale, ad un ulteriore riesame, sempre di natura consultiva, da parte del Supremo consiglio amministrativo per Napoli (che a sua volta aveva sostituito la Consulta di Stato di epoca borbonica). Per la Sicilia la questione era più complessa, perché si discuteva in merito a quale organismo potesse essere indirizzato il riesame consultivo di secondo grado del parere espresso dalla sezione del contenzioso amministrativo di Palermo, ovvero se alla così detta Commissione dei Presidenti di Palermo o, addirittura, al Consiglio di Stato di Torino. In epoca borbonica detto organismo si identificava nella Consulta di Stato di Palermo. (15) Il vecchio Consiglio di Stato parmense. (16) Il riferimento è alla regia Camera dei conti di Piemonte. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 (17) -prevedeva che i casi di contenzioso amministrativo fossero ricondotti nell’alveo delle competenze del giudice ordinario. La Camera dei deputati fu impegnata a discutere sul tema nelle sedute dal 9 giugno al 22 giugno del 1864 (18) quando, su 204 votanti, fu approvato, con 150 voti favorevoli, un disegno di legge per l’abolizione del contenzioso amministrativo e il passaggio delle competenze alla magistratura ordinaria. L’atto passò al Senato e il suoi uffici iniziarono di buona lena l’analisi del testo, suggerendo anche alcune modifiche formali (19), ma l’Assemblea non fu mai investita della discussione (20). Si sa che quel disegno di legge costituirà la base su cui, un anno dopo, sarà redatto l’allegato E della legge 2248 del 1865 (21). Si sa anche che da quel momento iniziò un dibattito giurisprudenziale e dottrinario sull’opportunità e utilità della riforma, che comunque avrà vita breve. E anche questo è noto. Il 7 maggio del 1880 Silvio Spaventa pronunzierà, infatti, il famoso discorso di Bergamo sulla Giustizia nell’amministrazione e il 31 marzo 1889, con la legge n. 5992, il contenzioso amministrativo risusciterà dalla sue ceneri con l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato. Con il senno di poi si può affermare, e da più parti lo si è pure fatto, che il legislatore liberale del 1864-1865 fosse stato affetto da miopia istituzionale e che l’abolizione del contenzioso amministrativo sia stata, in realtà, una riforma dal corto respiro. (17) Toscana, umbria e il territorio della romagna. (18) Cenni sullo svolgimento del dibattito, con particolare riferimento alle posizioni di Cordova e Mancini, in ANToNIo SALANdrA, La giustizia amministrativa nei governi liberi con speciale riguardo al vigente diritto italiano, Torino, unione Tipografica Editrice, 1904, pp. 312 ss., in particolare pp. 328373. (19) Ad esempio, all’art. 2 dell’Atto Camera veniva proposta la sostituzione delle parole «... tutte le controversie che riguardano i diritti civili e politici…» con le parole «… tutte le controversie nelle quali si faccia questione di un diritto privato civile o politico suscettivo di azione giudiziaria…». All’art. 3, invece, scompariva il riferimento ai ricorsi contro atti di pura amministrazione riguardanti gli interessi (individuali e collettivi) riconducibili alla cognizione della pubblica amministrazione. Veniva, quindi, meno quella contrapposizione tra interessi e diritti (di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria), che tanto aveva animato il dibattito alla Camera: A. SALANdrA, La giustizia, cit., pp. 371-372. (20) La mancata discussione viene giustificata da Antonio Salandra col fatto che il relatore del- l’Atto Senato, il senatore Vacca, fosse nel mentre diventato Ministro della giustizia: A. SALANdrA, La giustizia, cit., p. 372. (21) Il cui testo, rispetto a quello elaborato nel ’64, recherà, tuttavia, alcuni significativi accorgimenti di natura terminologica e formale. Ad esempio, l’articolo 2, nella parte in cui devolveva alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nella quali si faccia questione di un diritto civile e politico, recuperava la sostanza del testo dell’art. 2 del progetto governativo (poi abbandonato in favore del testo elaborato dalla Camera), che affidava, fra le altre materie, alla giurisdizione dei tribunali ordinari « ... tutte le cause contravvenzionali… ». Ciò consentiva alla formulazione una maggiore chiarezza in ordine al fatto che alla giurisdizione ordinaria passasse anche la materia penale c.d. minore, riguardante illeciti di natura contravvenzionale (la materia dei delitti, invece, come noto, era già di pertinenza della magistratura ordinaria). CoNTrIBuTI dI doTTrINA Forse è vero, almeno in parte. E tuttavia, non può non considerarsi come tra il 1865 e il 1889 lo scenario nazionale avesse subito rilevanti evoluzioni tali da suggerire una riconsiderazione della riforma. In altri termini, date le condizioni economiche e sociali del Paese, è probabile che il legislatore liberale del ’65 non avrebbe potuto prendere altre strade diverse da quella che in realtà scelse, poi, di percorrere. Mutate erano, innanzi tutto, la condizioni economiche del Paese: se agli inizi dell’unificazione lo Stato -anche a costo di drenare ricchezza dal Sud diede impulso ad un processo di accumulazione dei capitali al fine di promuovere gli investimenti infrastrutturali e quelli in campo industriale, nel 1889 i frutti di tali scelte cominciavano a maturare, se si pensa ai nascenti impianti per la produzione dell’energia idroelettrica e alle industrie in campo tessile, manifatturiero e siderurgico, concentrate soprattutto fra Milano, Genova e Torino (22). Mutati erano, altresì, i rapporti di forza tra le classi: spenti gli ultimi fuochi della rivoluzione in camicia rossa, addomesticato il movimento azionista e scomparsi Mazzini e Garibaldi, ora erano le masse operaie e i loro primi movimenti politici (23) a destare le preoccupazioni della classe dirigente liberale. diversi erano, inoltre, i rapporti di forza politici. Se, infatti, all’alba dell’unificazione il potere era saldamente nelle mani degli eredi di Cavour, dal 1876 il Paese era governato dalla sinistra storica, la cui ala più estrema, di fede democratica, aveva in passato flirtato con mazziniani e garibaldini destando sospetti e incertezze (24). Altri tempi, quindi, se si considera il fatto che nel 1889 presidente del Consiglio era Francesco Crispi (25), garibaldino fino al midollo, Segretario di Stato della Sicilia appena liberata dalle camicie rosse, avversario di Cavour ed esponente di spicco dell’ala sinistra dello schieramento parlamentare. oramai erano davvero acqua passata le parole del Ministro dell’interno Peruzzi, strenuo sostenitore, come sappiamo, dell’abolizione del contezioso amministrativo, che a Crispi, nella seduta dell’11 giugno 1864, replicava in questo modo: (22) A Milano, nel 1886, nasceva la Breda per la fabbricazione, fra l’altro, di treni e binari, mentre, nel 1884, nasceva a Terni la società Acciai Speciali Terni S.p.A. A Genova, invece, era già operativo, sin dal 1853, il complesso navalmeccanico dell’Ansaldo. A Torino, nel 1899, nasceva invece la FIAT. (23) Come, ad esempio, il Partito socialista rivoluzionario di romagna, fondato da Andrea Costa a rimini nel 1881. (24) L’ala più estrema, di impronta democratica, dello schieramento parlamentare passato alla storia con il nome di “sinistra storica”, durante le vicende risorgimentali che condussero all’unità, tenne contatti con Mazzini e Garibaldi per il tramite dei suoi esponenti di punta ovvero, rispettivamente, Angelo Brofferio e Lorenzo Valerio. (25) Il suo primo governo restò in carica dal 29 luglio 1887 al 9 marzo 1889. Il secondo dal 9 marzo 1889 al 6 febbraio 1891. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 «L’onorevole Crispi vi diceva ieri che il contenzioso amministrativo sorse, secondo lui, come strumento di rivoluzione, che esso nacque gemello coi tribunali rivoluzionari. Quest’origine, o signori, la quale per avventura può spiegare il patrocinio accordato dall’onorevole Crispi al contenzioso amministrativo, chè altrimenti io non avrei saputo intendere, questa origine dovrebbe produrre un effetto diametralmente opposto sopra l’animo mio e sopra gli onorevoli miei amici politici…» (26). Infine, sembravano lontani gli anni in cui i più convinti sostenitori della teoria del laissez faire, nel nome di un liberismo radicale, teorizzavano che davanti ad un giudice terzo e imparziale non vi potessero essere altre situazioni giuridiche soggettive da garantire se non diritti, diritti e ancora diritti. Per la prima generazione dei liberali, dunque, la giurisdizione doveva restare cieca e muta dinnanzi all’esercizio di pubbliche funzioni poste a presidio di interessi generali che non fossero in grado di assurgere alla qualificazione di diritti. Nel 1864-’65 si riteneva, in definitiva, che nessuna dignità processuale dovesse essere riconosciuta a vicende amministrative da relegarsi, semmai, ad eventuali mediazioni tra il privato e le autorità amministrative, ombre di quelle che un tempo sarebbero state le procedure del contezioso amministrativo affidate ad uffici tenuti, quantomeno, ad un minimo di imparzialità nel- l’istruttoria dei relativi affari. Ma nel 1889 quei medesimi interessi generali reclamarono, ottenendolo, uno spazio tutto loro di tutela giurisdizionale. Ciò, tuttavia, per tornare alla tesi della miopia istituzionale del legislatore del ’65, avvenne non per reazione alla riparazione di un presunto errore di valutazione in ordine alla scelta di abolire il contezioso amministrativo, ma in ragione del mutamento delle condizioni economiche, politiche e sociali del Paese. E l’azione dello Stato vi si era adeguata, modificando competenze e apparati. Non più uno Stato leggero, rispettoso della libera iniziativa privata e mero custode dell’ordine costituito, ma uno Stato presente in vari ambiti della vita sociale con istituti e uffici messi in campo, ad esempio, per contrastare l’analfabetismo o le precarie condizioni in cui versavano le masse contadine, fiaccate da una tassazione talvolta ritenuta iniqua e dal duro lavoro nelle campagne, con la pellagra, la malaria o la difterite sempre pronte a falciare vite invecchiate troppo in fretta o non cresciute affatto. Adesso sì che era giunto il momento di costituire una giurisdizione speciale in grado di schermare le nuove funzioni amministrative da indebite in (26) Seduta della Camera dei deputati in data 11 giugno 1864, p. 5219 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 11 giugno. CoNTrIBuTI dI doTTrINA terferenze dei giudici ordinari, quest’ultimi ancora vicini alle istanze del cittadino privato e più propensi, per esemplificare, a stare dalla parte dell’espropriato, a difesa del diritto di proprietà, rispetto all’ufficio che l’esproprio aveva disposto per il perseguimento di un interesse generale. Tutto ciò, appunto, nello ’89. Nel 1864-’65, viceversa, le priorità del Paese erano altre e furono in modo cristallino espresse dal Ministro dell’interno, sempre nella seduta dell’11 giugno ’64: «… io credo effettivamente che la questione del contenzioso amministrativo sia dominata… dalla gran lotta che si è sempre combattuta tra l’individuo e lo Stato. È naturale che presso i popoli, i quali esercitavano la libertà, quasi direi direttamente, e nel foro, e nelle loggie, e sulle piazze, è naturale che quest’idea dell’assorbimento dell’individuo nello Stato fosse predominante. Ma quando questo Stato si trasforma, quando invece del popolo sovrano, che liberamente disponeva della sua sorte, vennero al governo dei despoti, questi, o signori, furono ben contenti di usufruire questo principio (27), ridurlo ad aforisma legale, ed impiantare sopra questo il loro reggimento politico. Essi si fecero credenti, e tutti dovevano credere a modo loro; essi si fecero insegnanti, e tutti dovevano imparare a modo loro; essi si fecero proteggitori dell’industria nazionale, e tutti dovevano esercitare quelle industrie che ad essi sembravano migliori per il benessere della nazione; si negava a quelli che altre industrie volevano esercitare or gli arnesi, or la materia greggia…» (28). Più in generale, il dibattito parlamentare, che si sviluppò in quel mese di giugno alla Camera dei deputati, è interessante perché, al di sotto del livello di lettura tecnico-giuridico, se ne cela un altro. Si tratta di uno strato più profondo che, con particolare riguardo alla questione demaniale, custodisce ancora, a distanza di 160 anni, la cifra ideologica di quella che sarà poi la legge abolitrice del contenzioso amministrativo. 3. Brevi cenni sui profili giuridici dell’abolizione del contenzioso amministrativo. La discussione generale sul disegno di legge elaborato dalla commissione istruttoria della Camera, in parte diverso da quello presentato dal Governo, si aprì con due interventi di ampio respiro da parte di due fini giuristi, l’uno contro, l’altro a favore della riforma. Il primo era Filippo Cordova, consigliere di Stato, che aveva partecipato, nel suo Meridione, ai moti liberali e che, esule a Torino, si era fatto conoscere e apprezzare; da giovane avvocato aveva approfondito, nelle aule dei tribunali borbonici, la tematica della distribuzione dei beni demaniali, di cui egli era un (27) Così letteralmente nel resoconto. (28) Seduta della Camera dei deputati in data 11 giugno 1864, p. 5219 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 11 giugno. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 sostenitore, convinto che una quotizzazione delle terre fosse una delle possibili soluzioni per il riscatto sociale del Sud e la nascita di una piccola borghesia terriera. Il secondo era Pasquale Stanislao Mancini, avvocato, fervente liberale e illustre rappresentante della classe dirigente al potere in quegli anni, portò nelle aule dell’università della capitale sabauda quella raffinata cultura giuridica tipica della scuola napoletana. Se dovessimo, più in generale, delineare sinteticamente gli schieramenti in campo potremmo collocare, a fianco a Cordova, personalità del calibro di rattazzi e Crispi, mentre dal lato di Mancini, Carlo Bon Compagni, Antonio Mosca e il ministro dell’interno Peruzzi. Il dibattito ruotò, in sostanza, intorno a due questioni, tra loro strettamente legate. La prima riguardava i profili organizzativi della gestione di quelle particolari controversie che, in qualche modo, avessero coinvolto privati e pubblica amministrazione, mentre la seconda faceva perno intorno alla difficoltà, in caso di abolizione del contenzioso amministrativo, di stabilire quali situazioni giuridiche fossero meritevoli di tutela giurisdizionale e quali no. Sugli aspetti organizzativi Filippo Cordova usò argomentazioni molto sottili per contestare il progetto della commissione. In buona sostanza, a parere del deputato, l’eventuale estensione a tutto il regno del modello di derivazione francese, in uso nei territori dell’ex regno delle due Sicilie, avrebbe in nuce risolto il problema: in tale ipotesi, infatti, non vi sarebbe stato nessun contenzioso amministrativo da abolire, mancando, appunto, un processo e un giudice, ovvero un funzionario appartenente all’ordine giudiziario deputato a conoscere le controversie tra cittadini e pubblici uffici. Quel modello, infatti, prevedeva più semplicemente che fosse la stessa pubblica amministrazione, con le garanzie del contraddittorio e della partecipazione procedimentale, a poter riesaminare i propri provvedimenti a tutela dei cittadini. Migliorandolo e applicandolo a tutta la penisola si sarebbe, quindi, per Cordova potuto evitare di gettare a mare tutte quelle situazioni giuridiche che non fossero veri e propri diritti e, al contempo, di privare i cittadini di minime garanzie, oggi diremmo di pubblicità e trasparenza, dinnanzi ai provvedimenti e alle condotte della pubblica amministrazione. urbano rattazzi, invece, da buon piemontese, sosteneva che il modello sabaudo (29), con giudici amovibili e incardinati nella stessa amministrazione, (29) Seppure con alcune modifiche di carattere normativo per meglio distinguere le materie da ricondursi alla giurisdizione ordinaria (ad esempio la materia dei contratti in cui parte fosse stata la pubblica amministrazione) da quelle da lasciare alla sfera di competenza dell’amministrazione. CoNTrIBuTI dI doTTrINA potesse essere una valida soluzione, mentre Crispi sottolineava la necessità di creare una vera e propria giurisdizione speciale per assicurare l’imparzialità delle decisioni dei consigli di prefettura e del Consiglio di Stato. da buon garibaldino, nella seduta del 10 giugno, non mancò poi di lanciare una frecciata agli avversari: «Per quanto riguarda l’ordinamento della giurisdizione, in realtà, signori, non mi avete ancor dato l’esempio che voi ne vogliate l’unità, e che in conseguenza siate voi i nemici delle giurisdizioni eccezionali. È ancor fresca la memoria della legge Pica, la quale vi prova come voi, tutte le volte che ne avete bisogno, distraete dai tribunali ordinari il giudizio di materie di grande importanza per darle ai militari..» (30). Il campo avversario, invece, tirò dritto per la sua strada, sostenendo che il Paese dovesse essere rapidamente unificato anche sotto il profilo giurisdizionale e che per raggiungere questo obiettivo ogni residuo di contenzioso amministrativo o dovesse passare nell’alveo delle competenze del giudice ordinario, ovvero essere lasciato alle cure della pubblica amministrazione. Ciò, in primo luogo, in ossequio al principio della divisione tra i poteri e, in secondo luogo, per ragioni di modernizzazione in senso liberale del Paese. Pasquale Stanislao Mancini fu, sul punto, molto esplicito quando osservò: «L’onorevole Cordova si è provato a tesservi una ingegnosa storia della origine e delle vicende del contenzioso amministrativo… Egli ve l’ha presentata sotto una luce così diversa da quella sotto cui era stata finora generalmente osservata, che è riuscito a sostenere che il contenzioso amministrativo era sorto come una liberale guarentigia, anziché riuscire alla conseguenza, che io spero farvi accettare, che esso fu inventato come una maschera di giustizia compiacente al potere, cioè come un istromento del despotismo … (31) vi sono… paesi dove non esiste una giurisdizione del contenzioso amministrativo, non perché l’attribuzione di giudicare di questo contenzioso sia confusa con le altre della stessa amministrazione pura, ma perché dessa è stata, non dirò conceduta, bensì conservata alle comuni magistrature, come naturalmente propria dell’ordine giudiziario, ed a niuno mai venne in mente l’illiberale pensiero di spogliarnele. E quali sono questi paesi, o signori? Sono fra i più liberi e i più civili del mondo: l’Inghilterra e gli Stati uniti d’America, parecchi Cantoni della Svizzera, l’olanda, il Belgio, una parte stessa della nostra Italia…» (32). L’altro versante polemico riguardò quella parte del disegno di legge che affermava la competenza del giudice ordinario per tutte le controversie concernenti i diritti civili e politici «…, comunque possa esservi interessata la pub (30) Seduta della Camera dei deputati in data 10 giugno 1864, p. 5190 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 10 giugno. (31) Seduta della Camera dei deputati in data 9 giugno 1864, p. 5140 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 9 giugno. (32) ivi, p. 5144. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 blica amministrazione…» (art. 2) (33), lasciando all’autorità amministrativa la cognizione «… dei ricorsi contro gli atti di pura amministrazione, riguardanti gl’interessi individuali e collettivi degli amministrati…» (art. 3) (34). Questa parte del dibattito è, fra l’altro, interessante perché dagli interventi dei deputati, soprattutto dei giuristi, emerge la vitalità del confronto dottrinario dell’epoca, anche sulla scorta delle esperienze francesi e belghe, in merito alla differenza tra diritti ed interessi. dalla dialettica parlamentare sembrerebbero, così, emergere le tracce di quella che, solo più tardi, sarebbe divenuta la teoria dell’affievolimento dei diritti soggettivi (35) o, ancora, i primi lineamenti delle future elaborazioni sulla funzione amministrativa e sulla natura sostanziale degli interessi ad essa sottesi. da segnalare, ad esempio, le considerazioni del deputato Serafino Soldi (36) secondo cui distinguere gli interessi dai diritti: «… per dividere la giurisdizione dall’amministrazione, la cosa non mi pare debba procedere senza grave maturità, la quale non permette, per fermo, di accettare una distinzione assai nominale, e tutto al più ristretta e relativa; perocchè nel fondo è inconcepibile questa distinzione, identificandosi nel fatto e nella realtà il diritto e l’interesse, e come le cose si traducono in beni, il diritto non si traduce in altro che in ciò che giova o nuoce, o sì vero negli interessi. L’onorevole Mancini pur soggiungeva: se non è concepibile il diritto senza interesse, sonvi importanti interessi senza diritti; dottissimo giureconsulto, egli comprendeva che anche (33) Il testo definitivo dell’art. 2, transitato nell’allegato E della legge n. 2248 del 1865, era leggermente diverso: «Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorità amministrativa». (34) Il testo definitivo dell’art. 3 dell’allegato E della legge n. 2248 del 1865 era di diverso tenore letterale: «1.Gli affari non compresi nell'articolo precedente saranno attribuiti alle autorità amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, provvederanno con decreti motivati, previo parere dei Consigli amministrativi che pei diversi casi siano dalla legge stabiliti. 2. Contro tali decreti che saranno scritti in calce del parere egualmente motivato, é ammesso il ricorso in via gerarchica in conformità delle leggi amministrative». (35) di origine tedesca, in Italia questa teoria fu rielaborata da oreste ranelletti, il quale sosteneva la possibile esistenza in capo ai privati -che fossero in qualche modo venuti in contatto con l’attività amministrativa -di veri e propri diritti soggettivi limitati e/o condizionati dall’interesse generale perseguito dalla pubblica amministrazione. Tracce di questa teoria iniziano ad emergere negli studi del ranelletti, dei primi del ’900, sulle autorizzazioni e sulle concessioni amministrative: orESTE rANELLETTI, Facoltà create dalle autorizzazioni e dalle concessioni amministrative, rivista italiana per le Scienze giuridiche, Volume XXII, Fratelli Bocca editori, Torino, 1896, pp. 252-263. Proprio in relazione a questa teoria sembrerebbero, ad esempio, riecheggiare le parole di Filippo Cordova, che parlava di diritti minori in quanto subordinati all’interesse pubblico (si veda, in seguito nel testo, lo stralcio del suo intervento nella seduta del 13 giugno). Come noto, poi, negli anni ’30 del XX secolo alla teoria dell’affievolimento seguirà quella, di origine giurisprudenziale, della degradazione del diritto soggettivo ad interesse legittimo. (36) Esponente del liberalismo irpino, avvocato. CoNTrIBuTI dI doTTrINA l’ultimo del foro avrebbe potuto dirgli che il diritto pratico umano è l’azione, e l’azione non è senza interesse; però, studiossi salvare la sua distinzione con un’altra distinzione, non dubitando asseverare che diritto senza interesse non ci sia, ma che ci siano interessi senza diritto; ed è di questi interessi, che secondo lui si deve occupare l’amministrazione, lasciando di tutti i diritti la materia ai tribunali ordinari. Ebbene, io, studiando attorno a ciò, prima che egli avesse annunziato questa differenza, ho domandato a me medesimo se mai ci fossero veramente interessi cui non corrispondesse un diritto; ed ho trovato che interessi veri, che nuocciano o che giovino, senza diritto corrispondente, è raro trovarli. Li potete trovare nel campo dei desiderii, come io ho interesse ad esser ricco, ma non ne ho il diritto, questo è null’altro che un desiderio; io ho un interesse che si faccia una gran piazza intorno alla mia casa, ma non ho diritto, questo è anch’esso un desiderio, e nulla più…» (37). Ancora, per rattazzi: «... a fianco di questi diritti che hanno un fondamento preciso nelle disposizioni delle leggi civili, ve ne sono altri non così assoluti e perfetti; vi sono diritti subordinati all’interesse generale, pei quali sta nella facoltà dell’autorità amministrativa di dare provvedimenti pregiudicando anche i diritti stessi, senzachè per altra parte che ne resta leso possa pretendere alcuna indennità, sempre quando, e bene inteso, così richiegga l’interesse pubblico…» (38). Anche Cordova intervenne in merito alla distinzione tra diritti ed interessi con le seguenti considerazioni: «Signori, questa distinzione… anch’io l’ho appresa alla stessa fonte alla quale parecchi dei miei colleghi l’avranno forse anche attinta. Mi ricordo anch’io che l’onorevole Bon Compagni mi fece l’onore, molti anni sono, di comunicarmi nella sua casa, nella sua biblioteca la memoria di Broglie sopra il contenzioso amministrativo; quella memoria in cui egli notava con compiacenza, mi ricordo, con espressione esatta, come il potere esecutivo fosse a considerarsi quasi potere legislativo au petit pied, quando concede lo stabilimento del molino, del- l’usina natante nel fiume pubblico e via discorrendo. Broglie pensò di chiamare, quelli che io chiamo diritti, interessi legittimi, interêts à apprécier, ed è questa in rapporto ai privati la vera funzione dell’amministrazione. Ma questi interessi ad apprezzare, questi interessi a valutare, cosa che sta bene nella bocca di un francese, che cosa sono se non diritti? Non vi è altra differenza fra questi diritti e quelli che sono confidati alla tutela dell’autorità giudiziaria, se non che si tratta di diritti che sono subordinati alla considerazione dell’utilità pubblica, di diritti minori, diritti subordinati…» (39). (37) Seduta della Camera dei deputati in data 10 giugno 1864, p. 5186 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 10 giugno. (38) Seduta della Camera dei deputati in data 11 giugno 1864, p. 5228 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta dell’11 giugno. (39) Seduta della Camera dei deputati in data 13 giugno 1864, p. 5265 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 13 giugno. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 L’onorevole Gaetano Brunetti, invece, soffermandosi in particolar modo sul diritto di proprietà e sul potere espropriativo dell’amministrazione, dirà: «Ma qual ragione ci sarebbe per cui una scuola voglia qui competente il potere esecutivo, un’altra il potere legislativo? Secondo il mio modo di vedere, una scuola guarda questo come un diritto eminente, diritto sociale; un’altra invece lo guarda come un fatto, e per conseguenza come un interesse; l’utilità privata, quando si presenta contro all’utilità pubblica, cessa di essere un diritto e diventa un interesse, altrimenti nè il Governo, nè il Parlamento potrebbero pretendere il sacrifizio di un diritto» (40). Ad ogni buon conto, mentre per gli oppositori del disegno di legge diritti e interessi apparivano mere scatole vuote, simulacri utili solo per giustificare l’abolizione del contenzioso amministrativo, per i propugnatori della riforma, invece, si configuravano come argini a possibili abusi della pubblica amministrazione, che solamente un giudice libero ed imparziale sarebbe stato in grado di contrastare. Antonio Mosca -rispondendo ad una sollecitazione dell’onorevole Soldi sul perché la commissione avesse sentito il bisogno di aggettivare i diritti, da affidare alla tutela giurisdizionale, con le parole civili e politici - osservava: «… che noi intendiamo che nessun diritto, nessun vero diritto debba stare senza la sanzione delle garanzie giudiziarie, e che quindi, se noi abbiamo detto diritti civili e politici, egli è perché crediamo che non vi siano altri diritti all’infuori dei civili e politici; diciamo di più, diciamo che abbiamo creduto necessario di esprimere anche quest’idea. L’onorevole Soldi ne sa il perché? In favore dei principii di libertà a cui abbiamo dedicato il culto maggiore…» (41). Nella seduta del giorno prima, invece, Carlo Buon Compagni aveva difeso il termine diritti con queste riflessioni: «… questa parola diritti, oh! guardiamoci bene dal crederla una parola misteriosa o strana; è una parola che trova la sua definizione nell’esame di tutti gli atti della vita civile; è una parola in cui ciò che vi ha di generale e di astratto si chiarisce facilissimamente per poco che tutti quelli i quali non sono affatto estranei alla scienza delle leggi rammentino le distinzioni elementarissime che ne sono il fondamento…» (42). Già, magari era davvero così, o magari no. (40) Seduta della Camera dei deputati in data 17 giugno 1864, p. 5421 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 17 giugno. (41) Seduta della Camera dei deputati in data 11 giugno 1864, p. 5236 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta dell’11 giugno. (42) Seduta della Camera dei deputati in data 10 giugno 1864, p. 5205 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 10 giugno. CoNTrIBuTI dI doTTrINA 4. Profili economici e politici della legge abolitrice del contezioso amministrativo: la questione demaniale. un mese prima che iniziasse il dibattito sul disegno di legge in merito all’abolizione del contenzioso amministrativo, l’onorevole donato Cocco, avvocato, originario della provincia di Chieti, chiedeva al Ministro dell’agricoltura e del commercio: «… se crede egli in buona fede che i prefetti, dei quali ha voluto fare un secondo anno d’esperimento, abbiano effettivamente raggiunto lo scopo a cui miravano tutte le leggi, tutti i decreti, tutti i regolamenti circa la materia demaniale sotto il triplice rapporto della speditezza, della economia, della politica. Io credo che l’onorevole ministro, atteso tutto quello che sinora ho potuto vedere e leggere, dovrebbe dirmi nella sua altissima lealtà che effettivamente lo scopo non si è raggiunto…» (43). E invece il buon Giovanni Manna rispose all’interrogante di non essere affatto d’accordo con la sua ricostruzione, evidenziando, al contrario, come l’opera della ripartizione dei demani avesse prodotto buoni e, per certi versi, inaspettati risultati. E così proseguiva: «ricorderò all’onorevole Cocco, che le operazioni dei demanii si distinguono specialmente in tre categorie: una quella dello scioglimento di promiscuità di uso, l’altra è quella della rivendicazione dei terreni usurpati, e finalmente l’ultima è quella della quotizzazione dei demanii già attribuiti o rivendicati ai comuni. Per la prima operazione si cerca d’integrare la proprietà togliendo tutte quelle servitù che la guastano o la diminuiscono; lo scioglimento della promiscuità di uso. Questa parte di operazioni procede molto celeremente, e si può vedere che molte migliaia di ettari sono già stati sciolti dalla promiscuità, e ridonati alla condizione di proprietà libera. La seconda operazione è quella della reintegrazione, della rivendicazione dei terreni usurpati. Questa era materia d’infiniti litigi, i quali spesso durati per 30, 40, 50 anni, avevano prodotti dei processi annosi e dispendiosi… Queste liti annose sono per la più parte venute al Ministero d’agricoltura e commercio, e per quanto ho potuto ho cercato di sbrigarle. Ma c’era un’altra infinita quantità di piccole controversie per rivendicazioni che si trovavano per effetto dell’ultima determinazione cadute in mano ai prefetti, in quella tale giurisdizione eccezionale che l’onorevole Cocco pur troppo conosce. Ebbene, colle insinuazioni del Ministero, colle sollecitazioni ripetutamente fatte si è potuto ottenere quantità di conciliazioni per le quali infinite liti sono state risparmiate; e giorno per giorno dai prefetti ci vengono delle così dette ordinanze di conciliazione per le quali le reintegrazioni sono fatte senza controversia. Finalmente l’ultima parte… era quella delle quotizzazioni dei demanii, cioè quei demani che sciolti dalla promiscuità, che liberati e rivendicati ai comuni, debbono, secondo le leggi, dall’amministrazione comunale ripartirsi ai cittadini poveri. (43) Seduta della Camera dei deputati in data 27 maggio 1864, p. 4694 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 27 giugno. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Queste quotizzazioni sono state spinte moltissimo, e molte migliaia di ettari sono state distribuite… In trenta o quarant’anni che si era proceduto a questo bisogno, appena si erano distribuite, rivendicate e sciolte alcune migliaia di ettari, mentre l’opera medesima spinta con tutti gli sforzi in questi due anni, e specialmente in quest’ultimo, ha prodotto più della metà del lavoro che non si era fatto nel tempo precedente, cioè una somma di circa 60,000 ettari che si sono tolti a questa condizione anormale e sterile in cui erano…» (44). Si è avuto già modo di evidenziare come l’unità d’Italia abbia significato tante cose: fu un sogno per intere generazioni, fu una speranza di riscatto, per alcuni anche la perdita di un’illusione, il disinganno di un’epoca che aveva dimostrato l’impossibilità di realizzare i propri ideali, una rivoluzione tradita. Non bisogna, però, dimenticare che per molti l’unità fu soprattutto un grande affare economico. Come accennato nelle pagine precedenti, lo Stato italiano si accorse ben presto di avere un disperato bisogno di denaro, non solo per far fronte all’ingente debito pubblico (45), ma, altresì, per promuovere una serie di investimenti nel settore delle infrastrutture e per sostenere lo sviluppo industriale nel così detto triangolo tra Genova, Torino e Milano. una parte di questo denaro giunse all’erario attraverso la leva tributaria, mentre altre risorse affluirono mediante nuove emissioni di titoli del debito pubblico, la cui collocazione sul mercato era affidata al sistema bancario, molto dinamico in quegli anni (46). un altro canale di finanziamento degli investimenti fu l’azionariato privato da parte di imprese che sceglievano la via della quotazione in borsa. Per farla breve, l’unificazione mise in moto un grande fiume di denaro e a guadagnarci furono, ad esempio, gli istituti di credito, italiani e stranieri, o le società private ferroviarie e gli industriali, che agevolmente potevano accedere ai prestiti bancari. A lucrarci furono, inoltre, i grandi proprietari terrieri del Mezzogiorno, molti dei quali appartenenti alla vecchia nobiltà borbonica, che negli anni ave (44) Seduta della Camera dei deputati in data 27 maggio 1864, p. 4698-4699 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 27 giugno. (45) Nel 1865 il deficit di bilancio ammontava a 2178 milioni di lire, con un debito pubblico che superava i 4800 milioni, di cui 1700 costituiti da titoli in mano straniera: VALErIo CASTroNoVo, Storia economica d’italia. Dall’ottocento ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 2013, p. 26. (46) Tra il 1861 e il 1862 la circolazione del buoni del Tesoro passò da 38,9 milioni a 227,5 milioni di lire: si veda in proposito la relazione del Direttore generale del debito pubblico del ministero del Tesoro alla Commissione parlamentare di vigilanza, Debito pubblico in italia, 1861-1987, Vol. I, roma, Istituto Poligrafico e zecca dello Stato, 1988, p. 17. Anche le dismissioni dei beni ecclesiastici, a seguito delle leggi del 1866 e del 1867, contribuiranno ad alimentare (seppur in misura non incisiva) le entrate pubbliche, favorendo, al contempo, la formazione di una classe di proprietari terrieri medio-grandi, di estrazione borghese, che ben presto si affiancherà a quella di origine nobiliare. CoNTrIBuTI dI doTTrINA vano accumulato grossi appezzamenti seppure a scapito del pubblico demanio, con procedure non sempre conformi alle leggi e agli usi locali. La terra poi, si sa, veniva data in gestione ai contadini per il tramite di istituti negoziali non sempre di facile comprensione e la cui origine si perdeva nella memoria delle famiglie dei poveri affittuari, che si tramandavano la storia di un fazzoletto di terra cui, talvolta, erano associati quattro muri di pietra per il ricovero di uomini e animali. Certo è che la terra rendeva, e molto, ai proprietari, che reinvestivano il ricavato non tanto in migliorie fondiarie, quanto piuttosto nell’acquisto dei titoli del tesoro, nell’azionariato privato o nel mero deposito bancario. Per paradossale che possa sembrare, dunque, gli interessi della grande proprietà terriera meridionale divennero presto funzionali all’esigenza della classe liberale, allora al potere, di favorire una rapida accumulazione di capitali. Per una parte degli storici e degli economisti questo processo fu all’origine della questione meridionale: per alcuni un prezzo necessario da pagare per lo sviluppo economico del Paese, per altri, invece, un prezzo inutile ed evitabile. Sia quel che sia, avvenne, comunque, che i latifondisti del Sud apparvero ad un certo punto più vicini a Torino di quanto la geografia non facesse pensare; proprio loro, i padroni delle bellissime ville di campagna, frequentate di raro, e dei lussuosi palazzi nelle città, contro i quali, solo pochi anni prima, si erano scagliate le critiche dei garibaldini, che, durante la risalita dello Stivale, ottennero l’appoggio di ampi settori delle masse popolari in cambio della promessa della redistribuzione delle terre. dunque, lasciati alle spalle divisioni e rancori, i baroni della terra riuscivano, ora, con più incisività, a farsi ascoltare nella capitale del regno d’Italia, anche grazie al sistema elettorale che consentiva l’espressione di una rappresentanza parlamentare più vicina alle istanze della borghesia agraria. Ebbene, queste dinamiche economiche e sociali erano ancora in atto nel momento in cui il Ministro dell’agricoltura e del commercio rispondeva, alla Camera dei deputati, all’interrogazione dell’onorevole Cocco. Proprio le cifre comunicate in aula dal Ministro, in particolare i 60.000 ettari già quotizzati, rappresentano una possibile spia di quanto i latifondisti meridionali, alle soglie del 1865, potessero essere preoccupati e infastiditi dal troppo dinamismo dei prefetti, che, evidentemente con troppo zelo, stavano accertando o riaccertando antichi possedimenti demaniali, sui quali magari qualche proprietario aveva, nel frattempo, elevato muri e staccionate. Ma quel dinamismo rischiava anche di infastidire gli imprenditori del nord, il sistema bancario e la classe politica allora egemone. Indebolire la rendita terriera per quali fini poi? Per distribuire pochi acri di terreno a poveri contadini che, di lì a poco, non essendo più in grado di gestirli, avrebbero deciso di rivenderli? (47). rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Eppoi chi poteva davvero garantire che fra qualche anno il potere, ovvero la guida del Governo e, quindi, il controllo sull’amministrazione prefettizia, non passasse alla sinistra parlamentare, ancora troppo sensibile alle sirene mazziniane e agli effervescenti ambienti garibaldini, non ancora disposti a rinunciare all’idea di liberare con le armi roma e sempre pronti, per raggiungere questo obiettivo, ad organizzare rivolte e eserciti popolari e ad agitare il già turbolento Sud, magari riproponendo lo slogan della Terra ai contadini!? Meglio, molto meglio privare i prefetti della competenza in materia di quotizzazione dei terreni e attribuirla ai giudici ordinari, espressione della classe dirigente al potere (48), ma, soprattutto, ideologicamente convinti della bontà dei principi liberali che all’epoca permeavano il diritto civile; un diritto civile che in molte parti d’Europa, a seguito della rivoluzione francese e del- l’esperienza napoleonica, aveva irradiato il valore della proprietà privata quale caposaldo etico e giuridico della società (49). Ai giudici, dunque, e non ai prefetti, sarebbe dovuto spettare il compito di tutelare, nel processo e attraverso il processo, la proprietà fondiaria e con essa il privato cittadino, i cui diritti erano ora messi in discussione da questa strana moda delle quotizzazioni. E poco importava se la parte in giudizio fosse davvero il proprietario delle terre che diceva essere sue o, più semplicemente, ritenesse di esserlo in forza di un possesso di fatto di terreni che, forse sì, in altre epoche lontane, di cui nessuno aveva più memoria, erano appartenuti alle comunità e agli Enti locali di riferimento. In tale quadro non è, quindi, forse un caso che il disegno di legge sull’abolizione del contezioso amministrativo, elaborato dalla commissione, si presentasse, rispetto a quello proposto dal Governo, con una coda di articoli sulle competenze giurisdizionali in materia demaniale. (47) Cosa che in effetti avvenne: sul punto si rinvia all’oramai classico libro di EMILIo SErENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari - roma, Laterza, 2020, pp. 404-405. (48) di una magistratura ordinaria espressione della borghesia prevalentemente agraria e portata a condividere la concezione autoritaria dello Stato parla MArIo NIGro, Giustizia amministrativa, Bologna, il Mulino, 1976, pp. 76 ss. Gli studi più recenti stanno facendo emergere una natura più composita dell’estrazione sociale della magistratura postunitaria. Sull’onda delle opere di Pietro Saraceno, infatti, le ricerche archivistiche hanno consentito di dimostrare che i magistrati dei gradi più alti della Magistratura, nel periodo successivo al 1861, erano fortemente legati alle élites al potere e alle classi dirigenti del Paese; mentre i magistrati degli uffici giudiziari periferici, più che altro relegati in un ruolo di mediazione sociale, erano maggiormente a contatto con interessi deboli e frammentari: GuIdo MELIS, Poche note sugli studi di storia della magistratura nello Stato liberale, in Studi storici, rivista trimestrale della Fondazione Gramsci, n. 4/2010, pp. 809-818 (ivi ulteriori indicazioni bibliografiche). (49) CArLo GhISALBErTI, istituzioni e società civile nell’età del risorgimento, roma -Bari, Laterza, 2005. Più in generale GuIdo ALPA, Diritto civile italiano. Due secoli di storia, Bologna, il Mulino, 2018. Il tema dell’abolizione del contezioso amministrativo era, tuttavia, più ampio perché riguardava anche la materia degli illeciti penali di natura contravvenzionali nei confronti dei quali da più parti si auspicava un chiarimento in favore della competenza del giudice ordinario (si veda nota 21 del presente scritto). CoNTrIBuTI dI doTTrINA Non importa se tra il Governo e, in particolare, tra il ministro Peruzzi e la maggioranza parlamentare fosse stato raggiunto un accordo politico in tal senso, nell’ambito di una precisa strategia parlamentare volta a portare a casa il disegno di legge, senza, tuttavia, esporre il presidente del Consiglio Minghetti su un tema scivoloso e dai delicati risvolti politici. Fatto sta che il progetto della commissione recava un articolo 17 così formulato: «I giudizi di promiscuità e di reintegro, per occupazione od illegittima alienazione del demanio comunale, nelle provincie meridionali, ora di competenza dei prefetti, apparterranno alla cognizione dei tribunali circondariali, con le forme sommarie e cogli ordinari mezzi di gravame». Su questa disposizione il dibattito in aula si animò, segno della rilevanza del tema e della portata politica di questa parte del disegno di legge. Fu ancora una volta Filippo Cordova a porre il tema «Voi avete inteso come, appena fatta la rivoluzione, le prime manifestazioni delle popolazioni napolitane furono di sollecitare il riparto dei demanii comunali, e cominciò anche per vie di fatto l’occupazione di essi. Ed ora vediamo questa materia amministrativa, che ha per fine di far progredire l’agricoltura, sottratta ai prefetti» (50). L’onorevole Mancini cercò di parare il colpo, sostenendo essere «… oggi un accidente fortunato che l’onorevole ministro d’agricoltura e commercio sia un valente giureconsulto del mezzogiorno d’Italia, e dell’integrità che tutti onorano. Ma è pur vero che d’ordinario i ministri d’agricoltura e commercio non sogliono essere giureconsulti; e non di meno si vorrà che egli solo giudichi, sulla fede altrui, della fortuna d’interi comuni, e disponga talvolta di milioni di valore col suo pronunziato, senza garantie di sorta!» (51). Ma garanzie per chi? Probabilmente non per i comuni, i cui demani erano stati usurpati, né tanto meno per i poveri contadini. A Mancini replicò, comunque, Crispi: «… esiste in Inghilterra sin dal 1836, e vi avrà vita per tutto il 1867, una Commissione chiamata a decidere del riscatto o della conversione delle decime, del riscatto o della conversione dei livelli feudali, non che a fare i riparti delle terre comunali. Voi vedete dunque che nel paese stato preso a modello come quello in cui fosse condannato il contenzioso amministrativo, l’istituzione esiste in tutta la sua pienezza» (52). (50) Seduta della Camera dei deputati in data 9 giugno 1864, p. 5137 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 9 giugno. (51) Seduta della Camera dei deputati in data 9 giugno 1864, p. 5163 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 9 giugno. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Cinque giorni dopo a Crispi diede manforte l’onorevole Emilio Civita (53), con alcune considerazioni che è interessante riprendere: «… se si conferiscono queste attribuzioni alle autorità giudiziarie, le quali ogni giorno non fanno altro che applicare il diritto privato, non si otterranno mai più reintegrazioni amministrative… Se, o signori, si deferisse la cognizione dei ricorsi, avverso i predetti atti dei prefetti all’autorità giudiziaria o qualche cosa di simile, come l’autorità giudiziaria pronuncia unicamente sentenze, sentenze sulle quali non si può ritornare, mancherebbe un modo di riparare a quegli inconvenienti di cui vi ho intrattenuto poc’anzi, astrazione fatta dall’intrusione dell’autorità giudiziaria in funzioni meramente amministrative…» (54). Ma l’onorevole Civita, poco dopo, dismessi i panni del magistrato e indossati quelli dello storico e del politico, proseguiva esortando la Camera, qualunque fosse stata la sorte del progetto di legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, a non trascurare la materia delle quotizzazioni, «… la quale è materia politica della più alta importanza, poichè le nostre popolazioni aspettano la risoluzione di queste questioni demaniali col più vivo interesse. Esse saranno rimandate a’ secoli avvenire, se voi le deferite all’autorità giudiziaria...» (55). Poi, così proseguiva nel suo intervento: «Signori, nello scorso mese di marzo io ho girato molti comuni delle provincie di Terra di Lavori, ed è venuto in essi anche l’onorevole prefetto della provincia di Terra di Lavoro (56), il quale si occupa delle popolazioni con un amore e un senno del quale io sono stato spesso testimone e che reputo superiore ad ogni elogio. Sapete, o signori, quale era lo scopo di questa gita? Questioni demaniali gravissime, questioni demaniali delle quali gran parte si sono composte con espedienti che solo l’autorità amministrativa può mettere in esecuzione, vale a dire (52) Seduta della Camera dei deputati in data 10 giugno 1864, p. 5189 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 10 giugno. (53) originario di Napoli e magistrato. (54) Seduta della Camera dei deputati in data 15 giugno 1864, p. 5345 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 15 giugno. (55) Seduta della Camera dei deputati in data 15 giugno 1864, p. 5345 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 15 giugno. (56) In quegli anni prefetto della provincia della Terra di Lavoro (la futura provincia di Caserta) era Carlo Mayr, avvocato, originario della provincia di Ferrara. Esule in Piemonte in ragione della sua partecipazione all’esperienza della repubblica romana, fu parlamentare e prefetto in varie province del regno. di fede liberale, in gioventù aderì alla Giovane Italia e a Mazzini fu vicino, più o meno apertamente, fino alla fine. di Mazzini fu, ad esempio, Ministro dell’interno nella breve esperienza romana e, da prefetto di Genova, si dice che, nel 1870, si adoperasse per evitarne l’arresto. Quando, poi, Mazzini sarà condotto agli arresti nella fortezza di Gaeta, pare continuasse a seguire da lontano il caso, mostrando una coraggiosa vicinanza al vecchio rivoluzionario. CoNTrIBuTI dI doTTrINA fusioni di due o più amministrazioni, confinazioni riconosciute per mezzo degli stessi Consigli comunali, questioni che sarebbero state interminabili presso l’autorità giudiziaria, e che col prudente arbitrio di quell’egregio funzionario, di quell’uomo dabbene furono messe in via di composizione. Sapete voi, o signori, come il rappresentante del Governo era ricevuto in quei comuni? Al grido: Viva la divisione delle terre demaniali! Viva l’italia! Viva Vittorio Emanuele! Vedete, o signori, che quelle popolazioni non possono scompagnare l’espressione dei loro bisogni da quella della loro fede nell’Italia e nel suo re. Fate, o signori, che quest’opera benefica della divisione delle terre demaniali, alla quale il Governo si è messo alacremente, sia continuata e condotta a fine…» (57). Intanto iniziavano a piovere emendamenti sull’art. 17, cosicché la commissione, dopo aver consultato i Ministri dell’interno, della giustizia e del- l’agricoltura, si convinse a riformulare la disposizione. È significativo che, fino ad allora, Governo e commissione avessero marciato compatti nella difesa del disegno di legge, accettando minime riformulazioni formali del testo. ora, invece, probabilmente per evitare scossoni alla maggioranza parlamentare, si apriva ad una riconsiderazione della tematica delle quotizzazioni. E così, nella seduta del 22 giugno, fu ancora una volta Pasquale Stanislao Mancini ad esporsi personalmente, quale membro della commissione istruttoria, informando l’assemblea che, per il momento, i prefetti sarebbero rimasti titolari della competenza a curare le quotizzazioni, pur prevedendosi, in capo al Governo, la facoltà di sostituirli con altri funzionari, chiamati speciali commissari riparatori, e ferma restando la possibilità di ricorrere alle Corti d’appello, territorialmente competenti, avverso le ordinanze prefettizie. In definitiva, si trattava, per alcuni, di un accettabile compromesso (58) e, per altri, di un mero “contentino” che, comunque, non eliminava il pericolo di un’interruzione del processo di quotizzazione, perché l’azione prefettizia veniva indebolita e sottoposta ad incisivi contrappesi amministrativi e giurisdizionali. In effetti, la nuova riformulazione dell’articolo 17 stabiliva, ora, che i prefetti fossero affiancati o addirittura potessero essere sostituiti nella loro opera da particolari funzionari governativi e che le loro ordinanze potessero essere ricorribili davanti ai giudici. La nuova disposizione che, riformulava l’originario articolo 17 e inglo (57) Seduta della Camera dei deputati in data 15 giugno 1864, p. 5346 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 15 giugno. (58) Ad esempio l’onorevole Civita si dichiarerà persuaso dalla proposta della commissione: Seduta della Camera dei deputati in data 22 giugno 1864, p. 5581 del resoconto stenografico, consultabile in rete all’indirizzo storia.camera.it, sezione Legislature, regno d’italia, Viii Legislatura, 1864, seduta del 22 giugno. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 bava anche il vecchio art. 18 (59) del progetto della commissione, recitava, dunque, così: «Sono temporaneamente mantenuti nelle provincie napoletane e siciliane i procedimenti riguardanti scioglimenti di promiscuità, divisione in massa e suddivisione dei demani comunali, e quelli di reintegra per occupazione o illegittima alienazione dei demani medesimi; ed i prefetti continueranno ad esercitare in conformità delle relative leggi in vigore tutte le attribuzioni loro conferite per tali oggetti, udito soltanto l'avviso di funzionari aggiunti con le norme da stabilirsi mediante decreto reale, il quale avviso terrà luogo di quello del Consiglio di prefettura. Il Governo avrà tuttavia facoltà di confidare tali attribuzioni a speciali commissari ripartitori nelle provincie in cui ne riconosca il bisogno. I richiami contro le ordinanze dei prefetti e dei commissari ripartitori, che prima portavansi alla Corte dei conti, saranno di cognizione delle Corti d'appello con le forme del procedimento sommario. Le Corti d'appello potranno in ogni caso ordinare la sospensione della esecuzione delle ordinanze impugnate...» (60). Questo testo sarà, come noto, integralmente recepito (61) nell’art. 16 del- l’allegato E della legge n. 2248 del 1865 e il 25 giugno 1865 verrà adottato il regio decreto n. 2361 che stabiliva le competenze dei così detti funzionari aggiunti, i quali avrebbero affiancato i prefetti in luogo dei consigli di prefettura. Ed è curioso notare che sulla materia demaniale il prefetto era, ora, chiamato a rapportarsi non più ad un collegio, il consiglio di prefettura, incardinato stabilmente presso il suo ufficio, ma ad un altro organismo composto da due funzionari «scelti, l’uno dal Presidente del Tribunale di Circondario che ha sede nel Capoluogo della Provincia, fra i Giudici dello stesso Tribunale, e l’altro dal Prefetto tra i Consiglieri provinciali o di Prefettura» (art. 26, comma 2, del r.d. 25 giugno 1865, n. 236). Ed era come se, per il tramite del rappresentante dell’autorità giudiziaria ordinaria, anche nel primo livello decisionale della materia demaniale -appunto la fase contenziosa e/o di conciliazione davanti al prefetto -l’ordinamento cercasse di portare dentro le mura della prefettura i valori liberali del diritto civile, i quali, come già sopra rilevato, nella proprietà, soprattutto in quella fondiaria, vedevano un valore costituzionale da affermare e difendere (62). (59) Art. 18 «i procedimenti di reintegro demaniale vertenti, nelle province meridionali, avanti la sezione della abolita Corte dei conti di Napoli e di Palermo, o il Consiglio amministrativo di Napoli e la Commissione dei presidenti di Palermo, saranno anch’essi giudicati dalla Corte d’appello delle rispettive giurisdizioni territoriali». (60) Nel testo definitivo votato, il 22 giugno 1864, dalla Camera questa disposizione costituirà l’articolo 18. (61) Salvo alcune lievi modifiche di carattere meramente formale di coordinamento con gli altri articoli del medesimo allegato E. (62) Ancora EMILIo SErENI, nel suo Paesaggio agrario italiano, osserverà come, alle fine delle CoNTrIBuTI dI doTTrINA E così la materia dei demani e della proprietà fondiaria iniziò un percorso tutto suo che, in 160 di storia patria, arriverà fino alla legge 20 novembre 2017, n. 168, recante le nuove norme in materia di domini collettivi. A rileggere, oggi, l’allegato E della legge n. 2248 del 1865, che in alcune parti continua ad essere in vigore, a ulteriore testimonianza di quanto l’ordinamento dello Stato italiano abbia dimostrato una pervicace capacità di resistenza, nonostante i molteplici cambi di regime e le correlate mutazioni costituzionali, giunge a noi solo l’eco lontana del suo originario significato politico-ideologico. I suoi articoli sono, infatti, ancora oggetto di analisi giuridica, ma in un contesto completamente mutato, dove il contenzioso amministrativo, protetto da una copertura di livello costituzionale, esiste ed opera come ambito di tutela giurisdizionale distinto dalla giurisdizione ordinaria. L’articolo 4 (63), ad esempio, dell’allegato E è oggi particolarmente considerato sia sotto il profilo dei limiti entro i quali il giudice del diritto soggettivo può, sul versante dell’efficacia, conoscere di un provvedimento amministrativo, sia dal punto di vista della tipologia di atti, anche di natura normativa secondaria, che ricadono nell’ambito di applicazione della norma in parola. Le disposizioni dell’articolo 2 (64) e 4, poi, assieme a quelle dell’art. 7 (65) del Codice del processo amministrativo, rappresentano un valido ausilio per stabilire i confini, costituzionali e costitutivi del sistema italiano, fra la tutela giurisdizionale del diritto soggettivo e quella dell’interesse legittimo. operazioni eversive (con riferimento al periodo 1861-1899), fossero stati ottenuti 741.362 ettari dallo scioglimento dei diritti promiscui, ed ettari 521.832 di beni del demanio universale, per un totale di 1.263.194 ettari. di questi, 407.941 erano stati riservati agli usi civici delle popolazioni stesse, 461.296 erano stati quotizzati, e si erano riconcentrati nelle mani dei grossi proprietari (perché in gran parte riacquistati dai poveri contadini n.d.r), mentre 393.957 ettari erano stati addirittura concessi agli usurpatori, tramite il così detto processo di conciliazione: E. SErENI, il Paesaggio, cit., p. 405. Sarebbe, in proposito, interessante conoscere quanta parte dei 393.957 ettari sia da ascriversi al periodo successivo al 1865, ovvero nel periodo a decorrere dal quale i consigli di prefettura furono sostituiti dal nuovo organismo costituito dai funzionari aggiunti. (63) «1. Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. 2. L'atto amministrativo non potrà essere rivocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso». (64) «Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorità amministrativa». (65) «1. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico…». rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Ciò, però, vuol dire anche che, ai nostri giorni, l’analisi di questi due articoli dell’allegato E è per la maggior parte tutta interna al tema della giurisdizione (66), mentre, in origine, essi non solo fungevano da presidio alle attribuzioni della pubblica amministrazione, in ossequio al principio della divisione tra i poteri dello Stato, ma stavano anche e soprattutto a significare che, a prescindere dagli aspetti concernenti la legittimità di un provvedimento, nell’arena del processo il giudice ordinario tornava ad essere il custode assoluto dei valori liberali affermati dalla legislazione dell’epoca, a tutela dei diritti civili e sociali del cittadino borghese. In proposito, risulta particolarmente significativo l’articolo 14 del progetto di legge volto a preservare la funzionalità, in qualità di giudici speciali del contenzioso amministrativo, della Corte dei conti in materia di pensioni, dei tribunali commerciali, marittimi e militari, dei Consigli della guardia nazionale e delle deputazioni provinciali in materie elettorali (67). Sul punto, infatti, sembrerebbe che il legislatore del ’65 si sia prefisso un obiettivo riformatore molto più limitato di quanto la retorica politica non lasciasse prima facie pensare, ovvero la sola eliminazione del contezioso amministrativo ordinario -affidato alle cure dei consigli di intendenza (68) e del Consiglio di Stato -ove più frequentemente si registravano attriti con i giudici ordinari nella tutela di situazioni giuridiche a vario titolo riconducibili agli interessi patrimoniali pubblici e privati (69). Sembrava quasi che alle classi dirigenti interessassero non tanto le sorti di possibili contenziosi in materia contabile, pensionistica o militare (ad esempio in tema di leva), quanto, ad esempio, quelli sui diritti di sfruttamento di una miniera, su un procedimento di esproprio (70) ivi comprese le ricadute in termini di indennizzazioni e dei risarcimenti, sull’esecuzione di un’opera pubblica, sui tributi, nonché sulla ripartizione della proprietà terriera; tutti settori, questi, nei quali le esigenze di politica economica spingevano per favorire, a (66) Tema che, a livello costituzionale, è circoscritto dagli articoli 24, primo comma, 103, primo comma, e 113, primo comma, della nostra Costituzione. (67) Il testo dell’articolo 14 era il seguente: «Non è fatta innovazione nè alla giurisdizione contenziosa della Corte dei conti in materia di contabilità e di pensioni, nè alle attribuzioni esercitate dai tribunali commerciali, marittimi, militari, o dai Consigli della guardia nazionale, nè alle attribuzioni delle deputazioni provinciali in materie elettorali». Nell’allegato E verrà riformulato e incasellato nel- l’articolo 12 che così recitava: «Colla presente legge non viene fatta innovazione né alla giurisdizione della Corte dei conti e del Consiglio di Stato in materia di contabilità e di pensioni, né alle attribuzioni contenziose di altri corpi o collegi derivanti da leggi speciali e diverse da quelle fin qui esercitate dai giudici ordinari del contenzioso amministrativo». (68) o di intendenza o di Governo che dir si vogliano. (69) Molto interessanti sul punto, con particolare riferimento all’ordinamento sardo-piemontese, le considerazioni di SALVATorE SAMBATAro, L’abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia amministrativa, Milano, Giuffrè, Milano, pp. 41 ss., 145 ss., 177 ss., 224 ss. (70) Sul punto ALBErTo roMANo, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Giuffrè, Milano, 1975, pp. 56-60. CoNTrIBuTI dI doTTrINA qualsiasi prezzo, quel processo di accumulazione dei capitali che tanta parte ebbe nella formazione del mercato nazionale, nello sviluppo industriale di fine ’800 e nei correlati squilibri tra il Nord e il Sud del Paese. da questo punto di vista, la legge abolitrice del contenzioso amministrativo resta una straordinaria porta del tempo, che consente di andare all’origine del processo unitario per cercare di comprenderne i punti di forza e i punti di debolezza. Sembra strano e per certi versi curioso, ma attraverso le sue scarne e apparentemente aride formulazioni normative è ancora possibile risalire la corrente della Storia fino a lambire i vasti confini di quella che fu, un tempo, la questione agraria e, con essa, la civiltà contadina, oramai scomparsa con la sua preziosa cultura e il suo bagaglio di riti e tradizioni, con tutte le sue glorie e i suoi drammi. Alla fine di queste pagine, resta una domanda alla quale non è semplice rispondere, ovvero se la legge abolitrice del contezioso amministrativo sia stata una legge progressista (71) o reazionaria, se sia stata effettivamente anche un fenomeno di reazione della borghesia agraria del Mezzogiorno e, con essa, dell’intero sistema liberale, che da rivoluzionario si stava gradualmente trasformando in regime. rispondere a questa domanda significherebbe anche trovare una soluzione al dilemma, ancora attuale, se la questione meridionale sia stata una rivoluzione agraria mancata, per citare Gramsci (72), o una rivoluzione agraria impossibile. 5. riferimenti bibliografici. Si segnalano di seguito le principali fonti bibliografiche prese in considerazione ai fini dell’analisi delle questioni analizzate nel presente lavoro, escluse le opere di volta in volta specificamente annotate in calce ai precedenti paragrafi. Tali indicazioni, tuttavia, non esauriscono lo sterminato elenco di studi sulla materia. Sul risorgimento cfr. ACCArdo A., Costruire la patria, in A. roCCuCCI (a cura di), La costruzione dello Stato nazione in italia, Viella, roma 2012; ACCArdo A., Scegliere la patria. Classi dirigenti e risorgimento in Sardegna (assieme a N. GABrIELE), donzelli, roma, 2011; ArISI roTA A., i piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani, il Mulino, Bologna, 2010; ArISI roTA A., risorgimento. Un viaggio politico e sentimentali, il Mulino, (71) dell’abolizione del contenzioso amministrativo come “atto dichiaratamente rivoluzionario” del regime liberale parla FABIo MEruSI, Consiglio di Stato (all. D) e abolizione del contenzioso (all. E), in amministrare, Fascicolo 1, supplemento 2015, Bologna, il Mulino, p. 225. (72) ANToNIo GrAMSCI, Scritti sul risorgimento, ora in Sul risorgimento a cura di ENrICo MAN- NArI, Mind edizioni, Milano, 2011. rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 Bologna, 2019; BALzANI r., memoria e nostalgia nel risorgimento, il Mulino, Bologna, 2020; BANTI A.M., il risorgimento italiano, Laterza, roma -Bari, 2004; BANTI A.M., La nazione nel risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’italia unita, Einaudi, Torino, 2000; BANTI A.M., Sublime madre nostra. La nazione italiana dal risorgimento al fascismo, Laterza -Bari, 2011; BEALS dErEK -BIAGINI EuGENIo F., il risorgimento e l’unificazione del- l’italia, il Mulino, Bologna, 2015; BELArdINELLI M., il risorgimento e la realizzazione della comunità nazionale, Edizioni Studium, roma, 2011; BErTI G., i democratici e l’iniziativa meridionale nel risorgimento, Feltrinelli, Milano, 1962; dI rIENzo E., il regno delle Due Sicilie e le potenze europee, 1830-1861, rubbettino, Soveria Mannelli, 2012; LuPo S., L’unificazione italiana. mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile, donzelli, roma, 2011; MACry P., Unità a mezzogiorno -Come l’italia ha messo assieme i pezzi, il Mulino, Bologna, 2012; MATurI W., interpretazioni del risorgimento, Einaudi, Torino, 1962; MErIGGI M., La nazione populista. il mezzogiorno e i Borboni dal 1848 all’Unità, il Mulino, Bologna, 2021; PéCouT G., il lungo risorgimento, Mondadori Bruno, Milano, 2011; PESCoSoLIdo G., Nazione, sviluppo economico e questione meridionale in italia, rubbettino, 2017, in particolare sul risorgimento pp. 35-91; PINTo C., La guerra per il mezzogiorno. italiani, borbonici e briganti (1860-1870), Laterza, roma -Bari, 2019; roMANELLI r., ottocento. Lezioni di storia contemporanea. i, il Mulino, Bologna, 2011; SCIroCCo A., L’italia del risorgimento (1800-1871), il Mulino, Bologna, 1993; SoNETTI S., La guerra per l’indipendenza. Francesco ii e le Due Sicilie nel 1860, rubbettino, Soveria Mannelli, 2020; VILLArI L., Bella e Perduta. L’italia del risorgimento, Laterza, roma - Bari, 2012. La tematica relativa al rapporto tra accumulazione dei capitali, sviluppo industriale del nord del Paese e questione meridionale fu introdotta nel dibattito accademico da roSArIo roMEo in due scritti: La storiografia politica marxista, pubblicato nella rivista «Nord e Sud» nel 1956 e Problemi dello sviluppo capitalistico in italia dal 1861 al 1887, parimenti pubblicato in quella rivista nel 1958. Entrambi i saggi furono poi pubblicati nel libro, divenuto oramai un classico, risorgimento e capitalismo, Laterza, Bari, 1959 (poi ripubblicato dalla Laterza con un’edizione del 1998). In sintesi, la tesi di romeo fu che l’accumulazione dei capitali, avvenuta nei primi decenni dell’unità, anche a scapito del Sud, sia stato il prezzo necessario da pagare per porre le basi per lo sviluppo industriale del Paese, avvenuto prevalentemente al nord. Questa testi determinò un ampio dibattito fra storici ed economisti. Qui di seguito alcune fra le principali fonti bibliografiche sulla tematica: CAFAGNA L., Dualismo e sviluppo nella storia d’italia, Marsilio, Venezia, 1989; CAFAGNA L., intorno alle origini del dualismo economico in italia, in CArACCIoLo A. (a cura di), Problemi storici dell’industrializzazione e dello sviluppo, Argalia, urbino, 1965, pp. 103 ss.; CANdELoro G., Storia dell’italia moderna. Vol. V, La costruzione dello Stato unitario 1860-1871; CANdELoro G., La nascita dello Stato italiano, relazione svolta nel corso del II convegno di Studi gramsciani, roma 19-21 marzo 1960, in atti del ii convegno di studi gramsciani, Editori riuniti, roma, 1962, pp. 19-46; CArACCIoLo A., Stato e società civile. Problemi dell’unificazione italiana, Einaudi, Torino, 1960; CASTro- NoVo V., Lo sviluppo economico nell’italia unita, rivista storica italiana, 1979, I, 109-113; CASTroNoVo V., il dibattito sul decollo industriale italiano: l'interpretazione di a. Gerschenkron, rivista storica italiana, IV, 1979, pp. 700-703; FENoALTEA S., Decollo, ciclo e intervento dello Stato, in CArACCIoLo A., La costruzione dell’italia industriale, Laterza, Bari, 1963, 95 ss.; GErSChENKroN A., rosario romeo e l’accumulazione originaria del capitale, in «rivista CoNTrIBuTI dI doTTrINA storica italiana», LXXII, 1960, n. 1 e dello stesso autore in il problema storico dell’arretratezza economica, Einaudi, Torino, 1974, pp. 89-97; SErENI E., Capitalismo e mercato nazionale in italia, Editori riuniti, roma, 1966; SErENI E., il capitalismo nelle campagne (1860-1900), Einaudi, Torino, 1968 (rist. 1977); SErENI E., mercato nazionale e accumulazione capitalistica nell’unità italiana, relazione svolta nel medesimo convegno e parimenti pubblicata in atti del ii convegno di studi gramsciani, Editori riuniti, roma, 1962, pp. 583654; PESCoSoLIdo G., agricoltura e industria nell’italia unita, Laterza, roma-Bari, 1996; zAMAGNI V., Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’italia (18611981), il Mulino, Bologna, 1990; zANGhErI r., Dualismo economico e formazione dell’italia moderna, in CArACCIoLo A., La costruzione dell’italia industriale, Laterza, Bari, 1963, 285 ss.; VILLArI r., L’interdipendenza fra nord e sud, in «Studi storici», n. 2, 1977. Per quanto riguarda, più in generale, la questione meridionale si segnala ALATrI P. (a cura di), Le condizioni dell’italia meridionale in un rapporto di Diomede Pantaleoni a marco minghetti (1861), estratto della rivista movimenti operaio, n. 5-6, settembre-dicembre, 1953, Milano; BArBAGALLo F., La questione italiana. il Nord e il Sud dal 1860 ad oggi, Laterza ed. economica, roma -Bari, 2017; CASSESE S. (a cura di), Lezioni sul meridionalismo, Il Mulino, Bologna, 2016; dE FrANCESCo, La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale, Feltrinelli, Milano, 2020; dE rITA G., il lungo mezzogiorno, Laterza, roma -Bari, 2020; dE VINCENTI C., CoCo G. (a cura di), Una questione nazionale. il mezzogiorno da «problema» a «opportunità», Astrid, il Mulino, Bologna, 2020; LuPo S., La questione. Come liberare la storia del mezzogiorno dagli stereotipi, donzelli, roma, 2015; LuPo S., Storia del mezzogiorno, questione meridionale, meridionalismo, in meridiana, rivista di storia e scienze sociali, 1998, n. 32, pp. 17 ss.; PETrACCoNE C., Le ‘due italie’. La questione meridionale tra realtà e rappresentazione, Laterza, roma, 2005; SALVAdorI M.L., il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Einaudi, Torino, 1963; zoPPI S., Questioni meridionali, Astrid, il Mulino, Bologna, 2019. Per quanto concerne gli intellettuali meridionalisti cfr. AzIMoNTI E., il mezzogiorno agrario quale è (a cura di ForTuNATo G.), Laterza, Bari, II ed., 1921; BELLIENI C., Partito Sardo d’azione e repubblica federale (scritti 1919-1925), Gallizzi, Sassari, 1985; CoLAJANNI N., Nel regno della mafia, ripubblicato da Bur, rCS, Milano, 2013; CoLAJANNI N., Settentrionali e meridionali: agli italiani del mezzogiorno, Milano -Palermo; r. SANdroN, roma presso la rivista popolare, 1898; CoMPAGNA F., il meridionalismo liberale. Antologia di scritti a cura di GIuSEPPE CIrANNA e ErNESTo MAzzETTI, Laterza, roma -Bari, 1988; dEFFENu A., “Sardegna”. La rivista di attilio Deffenu (1914/reprint), a cura di MANLIo BrIGAGLIA, Gallizzi, Sassari, 1976; dEFFENu A., Scritti giornalistici (1907-1916), il maestrale, Nuoro, 2008; dE VITI dE MArCo A., mezzogiorno e democrazia liberale. antologia degli scritti, Palomar, Bari, 2008; dorso G., appello ai meridionali e altri scritti (a cura di r. MoLISSE), Aras Edizioni, Fano, 2015; dorSo G. La rivoluzione meridionale. Saggio storico-politico sulla lotta politica in Italia, edizioni di Storia e Letteratura, roma, 2018; FIorE T., Un popolo di formiche, Palo- mar, Bari, 2020; FrANChETTI L., Condizioni economiche e amministrative delle Provincie napoletane (appunti di viaggio), ristampate in mezzogiorno e colonie, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1950 e, da ultimo, in Condizioni economiche e amministrative delle Provincie napoletane. appunti di viaggio -Diario del viaggio, a cura di A. JANNAzzo, Collezione di Studi meridionali, Laterza, roma -Bari, 1985; FrANChETTI L., Condizioni politiche e amministra rASSEGNA AVVoCATurA dELLo STATo -N. 2/2021 tive della Sicilia, ristampato recentemente da donzelli, roma, 1993; ForTuNATo G. antologia dai suoi scritti, a cura di MANLIo roSSI dorIA, Laterza, roma -Bari, 1948; FuCINI r., Napoli a occhio nudo, ed. Intra Moenia, Napoli, 2014; GALASSo G., mezzogiorno. Da «questione» a «problema aperto», Collezione di Studi meridionali, Lacaita, Manduria, 2005; NITTI F.S., Scritti sulla questione meridionale, Voll. I-II, Laterza, Bari, 1959; roSSI -dorIA M., mezzogiorno d’Europa. Lettere, appunti e discorsi (1943-1984), donzelli, roma, 2015; roSSI dorIA M., Una vita per il Sud. Dialoghi epistolari (1944-1987), donzelli, roma, 2012; SALVEMINI G., L’italia politica nel XiX secolo, ristampato in medioevo risorgimento Fascismo. antologia di scritti storici, a cura di E. TAGLIACozzo e S. BuCChI, Collezione di Studi meridionali, Laterza, roma -Bari, 1992; SALVEMINI G., Scritti sulla questione meridionale (18961955), Einaudi, Torino, 1955; SArACENo P., Sottosviluppo industriale e questione meridionale (studi degli anni 1952-1963), Svimez, il Mulino, Bologna, 1990; SArACENo P., Studi sulla questione meridionale (1965-1975), Svimez, il Mulino, Bologna, 1992; STurzo L., riforma statale e indirizzi politici (Discorsi), Vallecchi, Firenze, 1923; VILLArI P., Lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in italia, Ed. Storia e studi sociali, ed. 1953. da segnalare, altresì, gli articoli ospitati nella rubrica “Voce meridionale” della rivista di Piero Gobetti rivoluzione Liberale. Si tratta di una serie di contributi pubblicati, tra il 1924 e il 1925, a firma di intellettuali e scrittori dell’epoca, a vario titolo impegnati sui temi del meridionalismo. Si trattò di un esperimento interessante che avrebbe dovuto costituire l’inizio di un percorso di approfondimento dei problemi del Sud. Esso, tuttavia, fu interrotto a seguito della chiusura del giornale gobettiano per volontà del regime fascista. Gli articoli sono stati recentemente ripubblicati: CICCoNE r. (a cura di), Vita meridionale, Aras edizioni, Fano, 2020. Sulla società contadina in particolare cfr. ALVAro C., Un treno nel Sud, rubbettino, Soveria Mannelli, 2016; ANSELMI S., agricoltura e mondo contadino, il Mulino, Bologna, 2001; FIorE T., il cafone all’inferno, Palomar, Bari, 2003; MuSATTI r., La via del Sud, Edizioni di Comunità, roma, 2020; ProSPErI A., Un volgo disperso. Contadini d’italia nell’ottocento, Einaudi, Torino, 2019; ruSSo G., Baroni e Contadini, dalai editore, 1979, ed. 2011; SCoTELLAro r., L’uva puttanella. Contadini del Sud, con un’introduzione di Nicola Tranfaglia, Laterza, roma -Bari, 2017; zANGhErI r., agricoltori e contadini nella storia d’italia, Einaudi, Torino, 1977. Per il contenzioso amministrativo negli Stati pre-unitari cfr., in primo luogo, con particolare riferimento al periodo napoleonico in Italia, AIMo P., Le origini della giustizia amministrativa. Consigli di prefettura e Consiglio di Stato, Giuffrè, Milano, 1990. Per quanto concerne l’ordinamento del regno di Sardegna cfr. AzzArITI G., Percorsi e tendenze della giustizia amministrativa. indagine su origini, formazione e caratteri del sistema della giustizia amministrativa in italia, Giappichelli, Torino, 1990. Sul regno delle due Sicilie cfr. ABBAMoNTE o., amministrare e giudicare. il contenzioso nell’equilibrio istituzionale delle Sicilie, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997; FEoLA r., La monarchia amministrativa. il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Jovene, Napoli, 1984. Sul Granducato di Toscana cfr. BruGIoNI r., il Consiglio di Stato del Granducato di Toscana (1848-1865), istituto Storico Lucchese, Lucca, 2013. Per il ducato di Parma e di Piacenza si veda MEruSI F. - SPATTINI G.C. - FrEGoSo E., il contenzioso amministrativo di maria Luigia, Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica, Milano, 2013. CoNTrIBuTI dI doTTrINA Sull’evoluzione del contenzioso amministrativo cfr. 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Collana di studi e testi nel centenario della unita d'Italia diretta da A.M. GhISALBErTI -coordinata da A. CArACCIoLo); GhISALBErTI C., La codificazione del diritto in italia (1865-1942), Laterza, roma -Bari, 2006. In merito al rapporto tra l’evoluzione del diritto di proprietà ed il liberalismo ottocentesco cfr. BoBBIo N., il positivismo giuridico, Giappichelli, Torino, 1996, 55-84 e rodoTà S., il terribile diritto. Saggi sulla proprietà privata e i beni comuni, il Mulino, Bologna, 2013, pp. 73-171; SALVI C., Capitalismo e diritto civile. itinerari giuridici dal Code civil ai Trattati europei, il Mulino, Bologna, 2015. Sui beni comunitari, in particolare, cfr. GroSSI P., il mondo delle terre collettive. itinerari giuridici tra ieri e domani, Quodlibet, Macerata, 2019; GroSSI P., “Un altro modo di possedere”. L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffrè, Milano, 1977, rist. 2017. Finito di stampare nel mese di novembre 2021 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma