~~ y ~ ...... ~ . ...,.'..... t5t] >., <....... .....-....,... .... I? ~ < ~~> >'"' . o>. Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. GENNAIO -GIUGNO 1998 ANNO L-N. 1-2 RAEGNA AVVOCATUJRA DELLO TATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA1998 ABBONAMENTI ANNO 1998 ABBONAMENTO ANNuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 70.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Marketing e Commerciale Piazza G. Verdi, 10-00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma-Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (1219069) Roma, 1998 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: Sezione seconda: Sezione terza: Sezione quarta: Sezione quinta: Sezione sesta: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di Ignazio Francesco Caramazza) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura di Oscar Fiumara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE (a cura di Sergio Laporta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di Raffaele Tamiozzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Carlo Bafile) . . . . GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di Tarsia di Be/monte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 47 86 133 163 177 Parte seconda: DOTTRINA -RASSEGNA BIBLIOGRAFICA CONSULTAZIONI DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RASSEGNA BIBLIOGRAFICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 5 7 Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica P. Gentili -D. Giacobbe -G. Mangia -G. Palmieri P. Palmieri -G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Sclafani - L. Ventrella Hanno collaborato inoltre al presente numero: Maurizio Borgo Ivo Maria Braguglia -Roberto De Felice -Diana Ranucci La pubblicazione diretta da PLINIO SACCHETTO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, DOTTRINA M. BORGO, Aree edificabili od aree agricole: l'ineludibilit di una alternativa. Brevi note di commento alla sentenza n. 261 /97 della Corte Costituzionale ed alla sentenza n. 2929/98 della Corte Suprema di Cassazione ............... . Il, 3 I. F. CARAMAZZA, Il segreto di Stato. . .................................. . I, 23 R. DE FELICE, Persuasori occulti elettorali: una tecnica repressiva insufficiente? .. I, 90 P. DI TARSIA DI BELMONTE, Ancora sul processo c.d. delle foibe . ............. . I, 207 P. DI TARSIA DI BELMONTE, Aspetti di diritto transitorio del nuovo testo del[' art. 513 c.p.p. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. I, 187 O. FIUMARA, Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle C.E. . .............................. . I, 47 G. PALMIERI, Breve nota in tema di indennizzo per lesione da vaccinazione obbligatoria antipolio. . .......................................... . I, 7 G. PALMIERI, Brevi osservazioni in tema di tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. nel processo amministrativo. . ..................................... . I, 144 D. RANuccI, <>) dei prodotti stessi, in quanto ci rappresenta una naturale e logica utilizzazione del marchio che inerisce al prodotto legittimamente commercializzato. La stessa direttiva sopra citata ammette esplicitamente deroghe al principio dell'esaurimento comunitario, consentendo al titolare del marchio di vietarne l'uso quando sussistono motivi legittimi perch il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio. Deve, quindi, ritenersi lecito al titolare del diritto di marchio di opporre tale suo diritto all'altrui uso del marchio nella pubblicit dei prodotti di marca, quando tale pubblicit sia obiettivamente idonea a svilire il marchio. Anche un'alterazione o modificazione dell'immagine di prestigio o di lusso, che propria dell'altrui marchio, in conseguenza dell'uso di detto segno in messaggi pubblicitari o nella presentazione dell'altrui prodotto, pu considerarsi lesiva del diritto di marchio, in quanto la commercializzazione e il valore di taluni prodotti sono strettamente legati alla raffinatezza della loro presentazione. L'accertamento della ricorrenza di alterazioni o modificazioni tali da ledere l'immagine del prodotto non pu che spettare al giudice nazionale. ~ f i PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZI0NALE 67 legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (G.U. 1989, L 40, pag. 1, in prosieguo: la direttiva). 2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la Parfums Christian Dior SA, societ di diritto francese con sede in Parigi (in prosieguo: la Dior France), la Parfums Christian Dior BV, societ di diritto olandese, con sede in Rotterdam (in prosieguo: la Dior Nederland), da un lato, e la Evora BV, societ di diritto olandese con sede in Renswoude (in prosieguo: la Evora) dall'altro, in ordine alla pubblicit fatta dalla Evora per prodotti Dior che quest'ultima ha messo in vendita. 3. La Dior Francia elabora e produce profumi e altri cosmetici venduti a prezzi relativamente elevati e considerati appartenenti al mercato dei cosmetici di lusso. La vendita dei suoi prodotti fuori dalla Francia affidata a rappresentanti esclusivi, tra cui la Dior Nederland nei Paesi Bassi. Come altri rappresentanti esclusivi della Dior France in Europa, la Dior Nederland si avvale, per la distribuzione dei prodotti Dior nei Paesi Bassi, di un sistema di distribuzione selettiva in base al quale i prodotti Di or vengono venduti esclusivamente a rivenditori selezionati, soggetti all 'obbligo di vendere soltanto agli acquirenti finali e mai ad altri rivenditori, a meno che questi ultimi non siano stati anch'essi selezionati per la vendita dei prodotti Dior. 4. -Nel Benelux, la Dior France l'unica titolare dei marchi emblematici Eau sauvage, Poison, Fahrenheit e Dune, in particolare per i profumi. Tali marchi consistono in immagini delle confezioni nelle quali vengono messi in vendita i flaconi contenenti i profumi dalle denominazioni sopra menzionate. La Dior France inoltre titolare dei diritti d'autore su tali confezioni e flaconi nonch sulle confezioni e sui flaconi dei prodotti messi in commercio con il marchio Svelte. 5. -La Evora gestisce, con l'insegna della sua controllata Kruidvat, un'importante catena di negozi di articoli di profumeria e casalinghi. I negozi Kruidvat, pur non essendo stati selezionati come distributori dalla Dior Olanda, vendono prodotti Dior ottenuti dalla Evora tramite importazioni parallele. La liceit dell'attivit di rivendita di questi prodotti nop. contestata nell'ambito del procedimento a quo. E analogamente, con riferimento agli artt. 30 e 36 del trattato C.E., i diritti di propriet intellettuale e industriale ivi previsti non sono opponibili quando i prodotti coperti da tali diritti sono stati messi in commercio nella Comunit dal titolare o con il suo consenso, e comunque, ai sensi dell'art. 85 del Trattato, non lecito utilizzare tali diritti per il fine di ripartire il mercato comune in zone geografiche non comunicanti in ragione di patti di esclusiva. Ma il diritto di marchio potr ben essere fatto valere dal suo titolare allorch, come precisato nella direttiva, lo stato dei prodotti modificato o alterato (nel senso sopra detto) dopo la loro immissione in commercio. Le norme del trattato tutelano infatti i diritti di propriet intellettuale e industriale in quanto ci sia strettamente necessario: il consenso del titolare di tali diritti all'immissione in commercio dei prodotti implica la sua accettazione delle conseguenze naturali e logiche di tale commercializzazione, ma non oltre i limiti della ampiezza del consumo: il consenso deve ritenersi insussistente allorch il prodotto viene commercializzato non quale era all'atto della prima immissione in commercio da parte del titolare del diritto, ma in uno stato modificato o alterato. O.F. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 68 6. -Durante una promozione per il periodo natalizio del 1993, la Kruidvat metteva in vendita i prodotti Dior Eau sauvage, Poison, Fahrenheit, Dune e Svelte e, in quell'occasione, riproduceva nei suoi opuscoli pubblicitari le immagini delle confezioni e dei flaconi di alcuni di essi. Risulta dall'ordinanza di rinvio che la raffigurazione delle confezioni e dei flaconi riguardava esclusivamente, in modo diretto e chiaro, il prodotto offerto in vendita ed era stata effettuata seguendo le modalit correnti tra i rivenditori di quel settore commerciale. 7. -Ritenendo che questa pubblicit non corrispondesse all'immagine di lusso e di prestigio dei marchi Dior, la Dior France e la Dior Nederland (in prosieguo: la Dior>>) proponevano una domanda di provvedimenti urgenti nei confronti della Evora dinanzi al Rechtbank di Haarlem per violazione dei diritti relativi a tali marchi, al fine di ottenere che si ordinasse alla Evoral'immediata e definitiva cessazione dell'uso dei marchi emblematici della Dior e di ogni diffusione o riproduzione dei suoi prodotti in cataloghi, opuscoli, annunci o in qualsiasi altro modo. La Dior sosteneva, in particolare, che l'uso dei suoi marchi fatto dalla Evora era in contrasto con la legge uniforme del Benelux in materia di marchi d'impresa, nel testo vigente all'epoca dei fatti, ed era messo in atto con modalit tali da ledere l'immagine di lusso e di prestigio dei prodotti stessi. La Dior faceva inoltre valere che la pubblicit effettuata dalla Evora costituiva una violazione dei suoi diritti d'autore. (omissis) 14. -Di conseguenza, lo Hoge Raad ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 1) Nell'ambito di una causa in materia di diritto di marchio promossa in uno degli Stati del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux sui marchi d'impresa, in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (89/104/CEE), se sia la Corte suprema nazionale o la Corte di giustizia del Benelux il giudice nazionale avverso le cui decisioni non si pu proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che pertanto tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia in forza dell'art. 177, terzo comma, del Trattato CE. 2) Se, in caso di vendita di prodotti messi in commercio nella Comunit con un determinato marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, sia ammissibile, conformemente alla ratio della direttiva sopra citata e, in particolare agli artt. 5-7 della medesima direttiva, che il rivenditore faccia anch'esso uso di tale marchio per promuovere quest'ulteriore commercializzazione. 3) In caso di soluzione affermativa della seconda questione, se siano possibili deroghe a tale regola. 4) In caso di soluzione affermativa della terza questione, se sia ammessa una deroga qualora la funzione pubblicitaria del marchio venga compromessa in conseguenza del fatto che il distributore, per il modo in cui fa uso del marchio nell'attivit promozionale sopra menzionata, nuoce all'immagine di lusso e di prestigio di tale marchio. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 5) Se sussistano motivi legittimi ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva quando il modo in cui il rivenditore pubblicizza i prodotti modifichi o alteri il loro Stato immateriale, vale a dire lo stile, l'immagine di prestigio e l'aura di lusso riflessi da tali prodotti per effetto delle modalit di presentazione e di pubblicit scelti dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio. 6) Se gli artt. 30 e 36 del Trattato CE ostino a che il titolare di un marchio (emblematico) o il titolare del diritto d'autore sui flaconi e sulle confezioni utilizzati per i suoi prodotti, eserciti il suo diritto di marchio o il suo diritto d'autore per inibire a un rivenditore, al quale consentita l'ulteriore commercializzazione di detti prodotti, la possibilit di pubblicizzarli avvalendosi delle modalit in uso nel settore considerato. Se ci valga anche quando il rivenditore, per il modo in cui usa il marchio nel proprio materiale pubblicitario, compromette l'immagine di lusso e di prestigio del detto marchio o quando la diffusione o la riproduzione avviene in circostanze atte a ledere i diritti del titolare del diritto d'autore. Sulla prima questione (omissis) Sulla seconda questione 32. -Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se gli artt. 5-7 della direttiva debbano essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, un rivenditore ha, oltre alla facolt di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di utilizzare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei detti prodotti. 33. -Per risolvere tale questione, occorre anzitutto ricordare le disposizioni pertinenti degli articoli della direttiva richiamati dal giudice nazionale. 34. -L'art. 5 della direttiva, che stabilisce i diritti conferiti da un marchio, prevede, al n. 1, che il titolare ha il diritto di vietare ai terzi l'uso del marchio nel commercio e, al n. 3, lett. d), che pu essere vietato ai terzi l'uso del marchio nella pubblicit. 35. -L'art. 7, n. 1, della direttiva, riguardante l'esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa, stabilisce che questo diritto non permette al titolare dello stesso di vietare l'uso.del marchio per prodotti immessi in commercio nella Comunit col detto marchio dal medesimo titolare o con il suo consenso. 36. -Si deve poi constatare che, se il diritto conferito al titolare di un marchio dall'art. 5 della direttiva di vietare l'uso del suo marchio per determinati prodotti si esaurisce all'atto dell'immissione in commercio dei prodotti stessi da parte del RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" 70 medesimo titolare o con il suo consenso, lo stesso accade al diritto di utilizzare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei detti prodotti. 37. -Emerge infatti dalla giurisprudenza della Corte che l'art. 7 della direttiva dev'essere interpretato alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, in particolare dell'art. 36 (v. sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93, Bristol-Myers Squibb e a., Racc. I-3457, punto 27) e che il principio dell'esaurimento diretto ad evitare che il titolare di un marchio possa isolare i mercati nazionali e favorire in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo che possono esistere fra gli Stati membri (v. sentenza BristolMyers Squibb e a., gi citata, punto 46). Ebbene, qualora il diritto di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione non si esaurisse alla stessa stregua del diritto di vendita, quest'ultima verrebbe resa notevolmente pi difficile compromettendo in tal modo l'obiettivo insito nel principio dell'esaurimento sancito dall'art. 7. 38. -Di conseguenza, la seconda questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 5 e 7 della direttiva devono essere interpretati nel senso che, qualora vengano immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal titolare stesso del marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla facolt di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi. Sulle questioni terza, quarta e quinta 39. -Con la terza, quarta e quinta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice nazionale chiede in sostanza se la regola risultante dalla soluzione della seconda questione ammetta deroghe, in particolare: -quando la funzione pubblicitaria del marchio compromessa in conseguenza del fatto che il rivenditore, per il modo in cui fa uso del marchio nell'attivit promozionale, nuoce all'immagine di lusso e di prestigio di tale marchio, e -quando il modo in cui il rivenditore pubblicizza i prodotti modifica o altera il loro stato immateriale, vale a dire lo stile, l'immagine di prestigio dei prodotti nonch l'aura di lusso che li circonda per effetto delle modalit di presentazione e di pubblicit scelte dal titolare del marchio nell'esercizio dei suoi diritti di marchio. 40. -Si deve ricordare in proposito che, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, il principio dell'esaurimento sancito nel n. 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perch il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con il marchio, in particolare quando lo stato dei prodotti modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio. 41. -Occorre quindi esaminare se le ipotesi descritte dal giudice nazionale costituiscano motivi legittimi ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, che consento PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE no al titolare del marchio di opporsi all'uso di quest'ultimo da parte di un rivenditore al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti contrassegnati con quel marchio. 42. -A tale riguardo, si deve anzitutto ricordare che, per giurisprudenza costante, l'art. 7 della direttiva disciplina in modo completo la materia dell'esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunit e che l'uso dei termini in particolare, nel n. 2, indica che l'ipotesi relativa alla modifica o all'alterazione dello stato dei prodotti menzionata solo come esempio di un possibile motivo legittimo (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punti 26 e 39). Inoltre, tale norma mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato comune (sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 40). 43. -Si deve poi constatare che il pregiudizio arrecato alla reputazione del marchio pu costituire, in via di principio, un motivo legittimo, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, perch il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti messi in commercio nella Comunit dal titolare stesso o con il suo consenso. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte in materia di riconfezionamento di prodotti muniti di marchio, il titolare del marchio ha un interesse legittimo, connesso all'oggetto specifico del diritto di marchio, a poter opporsi alla messa in commercio del prodotto se la presentazione del prodotto riconfezionato atta a nuocere alla reputazione del marchio (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., citata, punto 75). 44. -Ne consegue che, nel caso in cui un rivenditore utilizzi un marchio per promuovere l'ulteriore commercializzazione di prodotti contrassegnati col marchio stesso, dev'essere contemperato l'interesse legittimo del titolare del marchio, ad essere tutelato contro i dettaglianti che facciano uso del suo marchio a fini pubblicitari avvalendosi di modalit che potrebbero nuocere alla reputazione del marchio stesso, con l'interesse del dettagliante a poter mettere in vendita i prodotti in questione avvalendosi delle modalit pubblicitarie correnti nel suo settore di attivit. 45. In una fattispecie come quella in esame nella causa principale, riguardante prodotti di lusso e di prestigio, il rivenditore non deve agire in spregio agli interessi legittimi del titolare del marchio. Egli deve quindi adoperarsi per evitare che la sua pubblicit comprometta il valore del marchio, danneggiando lo stile e l'immagine di prestigio dei prodotti in oggetto nonch l'aura di lusso che li circonda. 46. -Cionondimeno, si deve altres constatare che il fatto che un rivenditore, il quale commercia abitualmente con articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit, utilizzi per prodotti contrassegnati con il marchio modalit pubblicitarie che sono correnti nel suo settore di attivit pur non corrispondendo a quelle utilizzate dal titolare stesso e dai suoi distributori autorizzati non RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'lt5.' 72 costituisce un motivo legittimo, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, che consenta al titolare di opporsi a tale pubblicit, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio fatto dal rivenditore a fini pubblicitari nuoce gravemente alla reputazione del marchio stesso. 47. -Un grave pregiudizio del genere potrebbe intervenire qualora il rivenditore non avesse avuto cura, nell'opuscolo pubblicitario da lui diffuso, di evitare di collocare il marchio in un contesto che rischierebbe di svilire fortemente l'immagine che il titolare riuscito a creare attorno al suo marchio. 48. -Alfa luce delle considerazioni che precedono, la terza, la quarta e la quinta questione devono essere risolte dichiarando che il titolare di un marchio non pu inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva, a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalit correnti nel suo settore di attivit, al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso. Sulla sesta questione 49. -Con la sesta questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se gli artt. 30 e 36 del Trattato ostino a che il titolare di un diritto di marchio o il titolare di un diritto d'autore sui flaconi e sulle confezioni utilizzati per i suoi prodotti eserciti il suo diritto di marchio o il suo diritto d'autore per inibire a un rivenditore l'attivit publicitaria connessa all'ulteriore commercializzazione di detti prodotti con le modalit correnti tra i dettaglianti del settore considerato. Esso chiede inoltre se ci valga anche quando il rivenditore, per il modo in cui usa il marchio nella sua pubblicit, comprometta l'immagine di lusso e di prestigio del detto marchio o quando la diffusione o la riproduzione avvenga in circostanze atte a ledere il titolare del diritto d'autore. 50. -Tali questioni muovono dalle seguenti premesse: -che, in base al diritto nazionale vigente in materia, nelle ipotesi sopra descritte il titolare del marchio o del diritto d'autore possa legittimamente vietare ad un rivenditore di pubblicizzare l'ulteriore commercializzazione dei prodotti, e -che un divieto di tal genere costituisca un ostacolo alla libera circolazione delle merci vietata dall'art. 30 del Trattato, a meno che non sia giustificato da uno dei motivi enunciati nell'art. 36 del medesimo Trattato. 51. -Contrariamente a quanto sostiene la Dior, corretta la valutazione del giudice nazionale secondo cui un divieto come quello di cui trattasi nella causa principale pu costituire una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 73 vietata, in via di principio, dall'art. 30. Al riguardo, sufficiente rilevare che, ai termini dell'ordinanza di rinvio, la controversia nel procedimento a quo verte su prodotti ottenuti dal rivenditore tramite importazioni parallele e un provvedimento inibitorio dell'attivit pubblicitaria, come quello chiesto nell'ambito del procedimento a quo, renderebbe la commercializzazione e, di conseguenza, l'accesso al mercato di tali prodotti notevolmente pi difficili. 52. -Occorre pertanto accertare se un provvedimento inibitorio, come quello richiesto nel procedimento a quo, sia ammissibile alla luce dell'art. 36 del Trattato, secondo cui gli artt. da 30 a 34 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione giustificati da motivi di tutela della propriet industriale e commerciale purch non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria n una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. 53. -Con riguardo alla questione relativa al diritto del titolare di un marchio, si deve ricordare che, per giurisprudenza della Corte, l'art. 36 del Trattato e l'art. 7 della direttiva devono essere interpretati in modo identico (sentenza Bristol-Myers Squibb e a., cit., punto 40). 54. -Di conseguenza, e tenuto conto delle soluzioni date alla seconda, terza, quarta e quinta questione, tale parte della sesta questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio non pu inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit dei prodotti contrassegnati con il marchio, l'uso del marchio conformemente alle modalit correnti nel suo settore di attivit al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso. 55. -Con riguardo alla parte della sesta questione concernente il diritto d'autore, occorre rilevare come, secQndo la giurisprudenza della Corte, i motivi ispirati alla tutela della propriet industriale e commerciale ai sensi dell'art. 36 comprendano la tutela fornita attraverso il diritto d'autore (sentenza 20 gennaio 1981, cause riunite 55/80 e 57/80, Musik-Vertrieb Membran/Gema, Racc., 147, punto 9). 56. -Ora, le opere letterarie e artistiche possono essere sfruttate commercialmente vuoi mediante pubbliche rappresentazioni, vuoi mediante la riproduzione e la messa in circolazione dei supporti materiali ottenuti e le due prerogative essenziali dell'autore, il diritto esclusivo di rappresentazione e il diritto esclusivo di riproduzione, sono lasciate intatte dalle norme del Trattato (sentenza 17 maggio 1988, causa 158/86, Warner Brothers e a./Christiansen, Racc., 2605, punto 13). 57. -Risulta inoltre dalla giurisprudenza che lo sfruttamento commerciale del diritto d'autore, oltre a costituire una fonte di reddito per il suo titolare, costituisce anche una forma di controllo della messa in commercio da parte del titolare stesso ,,.,, , ,,....... , RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 74 e, sotto questo profilo, lo sfruttamento commerciale del diritto d'autore pone gli stessi problemi sollevati dallo sfruttamento di altri diritti di propriet industriale o commerciale (v. sentenza Musik-Vertrieb Membran/Gema, cit., punto 13). La Corte ha cos constatato che il diritto esclusivo di sfruttamento conferito dal diritto d'autore non pu essere invocato dal suo titolare per impedire o limitare l'importazione di supporti del suono che incorporino opere tutelate che siano state legittimamente messe in commercio sul mercato di un altro Stato membro dal titolare stesso o con il suo consenso. 58. Alla luce di tale giurisprudenza -e senza che occorra pronunciarsi sulla questione diretta ad accertare se un diritto d'autore e un diritto di marchio possano essere contemporaneamente invocati in relazione al medesimo prodotto - sufficiente constatare che, in circostanze come quelle in esame nel procedimento a quo, la tutela conferita dal diritto d'autore per quanto riguarda la riproduzione delle opere tutelate nel materiale pubblicitario del rivenditore non pu, in ogni caso, essere pi ampia di quella conferita nelle medesime circostanze al titolare del diritto di marchio. 59. -Di conseguenza, la sesta questione dev'essere risolta dichiarando che gli artt. 30 e 36 del Trattato devono essere interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto d'autore non pu inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit dei prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalit correnti nel suo settore di attivit al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al prestigio del marchio stesso. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, sez. 1, 6 novembre 1997, nella causa C ~ 261/96 -Pres. rei. Edward -Avv. Gen. Elmer -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d'Appello di Venezia nella causa Conserchimica s.r.l. c. Amministrazione delle finanze -Interv. : Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle Comunit europee (ag. Nolin e Stancanelli). Comunit europee" Diritto doganale -Recupero di dazi all'importazione -Termine di prescrizione. (Reg. CEE del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, art. 2; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84; legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29). L'art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero "a posteriori" dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne ilpagamento, non si applica ai dazi non riscossi per una merce dichiarata a norma di un regime doga PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA EINTERNAZIONALE 75 nale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un momento precedente l'entrata in vigore del medesimo regolamento(l). (omissis) 1. -Con ordinanza 9 maggio 1996, giunta alla Corte il 24 luglio seguente, la Corte d'appello di Venezia ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 2 del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero a posteriori dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (GU L 197, 1). 2. -La questione sorta nell'ambito di una controversia fra la Conserchimica S.r.l. (in prosieguo: la Conserchimica), impresa italiana del settore petrolifero, e l'Amministrazione delle Finanze dello Stato in ordine al recupero di dazi doganali sull'importazione di prodotti petroliferi. 3. -Tra il maggio 1978 e l'ottobre 1980 la Conserchimica ha acquistato prodotti petroliferi presso importatori italiani senza essere in possesso di un'autorizzazione scritta in conformit degli artt. 3 e 7 del regolamento (CEE) della Commissione 4 luglio 1977, n. 1535, che determina le condizioni di ammissione di talune merci al beneficio di un regime tariffario favorevole all'importazione in funzione della loro destinazione particolare (GU L 171, 1), nonch del regolamento (CEE) della Commissione 28 luglio 1977, n. 1775, che determina le condizioni alle quali subordinata l'ammissione di taluni prodotti petroliferi al beneficio di un regime tariffario favorevole all'importazione, in funzione della loro destinazione particolare (GU L 195, 5). 4. -Il 28 aprile 1986 l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, dopo aver notificato alla Conserchimica diversi avvisi di liquidazione tra il febbraio del 1981 e il maggio del 1984, le ha inviato una ingiunzione fiscale con la quale le intimava di pagare l'IVA e i dazi doganali inizialmente non versati. 5. -Il 10 maggio 1986 fa Conserchimica ha proposto opposizione avverso la detta ingiunzione dinanzi al Tribunale di Venezia chiedendone l'annullamento. (1) Se le nonne di procedura -aveva gi affermato la Corte con la sentenza, citata in motivazione, 12 novembre 1981, nelle cause riunite 212-217/88, SALUMI, in questa Rassegna, 1981, I, 695, con nota di BRAGUGLIA; cfr. anche la sentenza 9 dicembre 1982, nella causa 82/82, lTALGRANI, in Racc., 1982, 4323 -a quanto si ritiene in via generale, si applicano a tutte le controversie pendenti all'atto della loro entrata in vigore, ci non vale per le norme sostanziali; al contrario, secondo la comune interpretazione queste ultime concernono rapporti giuridici definiti anteriormente alla loro entrata in vigore solo se dal loro testo, dalla loro ratio o dalla loro struttura risulti chiaramente che va loro attribuita tale efficacia, il che non riscontrabile nel regolamento 1697/79, per cui esso non si applica ai fatti verificatisi in momenti precedenti la data della sua entrata in vigore -cfr. la sentenza 1 aprile 1993,nelle cause riunite C-31-44/91, LAGEDER, in Racc. 1993, 1761, anch'essa citata in motivazione -, pur se, come nel caso di specie, la liquidazione dei dazi sia avvenuta dopo tale data. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAI'O.. 76 6. -Nel corso del procedimento il Tribunale di Venezia ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art.177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale sull'interpretazione degli artt 3 e 7 del regolamento n. 1535/77, su cui la Corte si pronunciata con sentenza 13 luglio 1989, cause riunite 248/88, 254/88, 255/88, 256/88, 257/88, 258/88, 309/88 e 316/88, Chimica del Friuli e a. (Racc., 2837), dichiarando che l'art. 7 del regolamento della Commissione n. 1535/77 va interpretato nel senso che, in caso di cessione delle merci, il cessionario deve essere in possesso di una autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 3, sia che la cessione avvenga da uno Stato membro all'altro, sia che essa avvenga all'interno di uno stesso Stato membro. 7. -Di conseguenza, con sentenza 30 aprile 1992 il Tribunale di Venezia ha considerato legittima l'azione dell'amministrazione finanziaria volta a recuperare l'integralit dei dazi doganali e dell'IVA, e ha respinto il ricorso. 8. -Con atto notificato il 23 giugno 1993 la Conserchimica ha interposto appello avverso quest'ultima pronuncia dinanzi alla Corte d'appello di Venezia facendo valere in particolare che, essendo scaduto il termine triennale previsto dall'art. 2 del regolamento n. 1697/79, si era prescritto il diritto dell'amministrazione italiana di ripetere i dazi non riscossi. 9. -Ai sensi dell'art. 1 del regolamento n. 1697/79, il regolamento stesso determina le condizioni cui subordinato il ricupero, da parte delle autorit competenti, dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che, per qualsiasi ragione, non siano stati richiesti al debitore per merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento. 10. -L'art. 2, n. 1, del regolamento n. 1697/79 dispone quindi: 1. Quando le autorit competenti accertano che i dazi all'importazione o all'esportazione legalmente dovuti per una merce dichiarata per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento non sono stati richiesti in tutto o in parte al debitore, esse iniziano un'azione di ricupero dei dazi non riscossi. Tuttavia, tale azione non pu pi essere avviata dopo la scadenza di un termine di tre anni a decorrere dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto al debitore ovvero, se non vi stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui nato il debito doganale relativo alla merce in questione. 11. -Inoltre, il regolamento n. 1697/79 vieta, in taluni casi da esso stabiliti, di promuovere un'azione di recupero (art. 5, n. 1) o prevede la facolt di non procedere al recupero (art. 5, n. 2). Esso delinea altres le ipotesi in cui non viene riscosso alcun intresse di mora sulle somme recuperate (art. 7). PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE lamento n. 1697/79. Pertanto ha sospeso il procedimento per sottoporre alla Corte la seguente questione: Se l'art.2 del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, che prevede un termine triennale per l'azione di ricupero dei dazi non riscossi, si applichi anche ai presupposti verificatisi in data anteriore al 1 luglio 1980, data questa dell'entrata in vigore del regolamento stesso a norma dell'art. 11. 14. -Con tale questione il giudice a quo domanda in sostanza se l'art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1697/79 si applichi ai dazi non riscossi per una merce dichiarata conformemente ad un regime doganale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un momento precedente all'entrata in vigore del regolamento. 15. -Occorre ricordare in primo luogo che il termine triennale previsto dall'art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1697/79 si calcola a decorrere dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto al debitore, cio dalla data in cui stato emanato l'atto amministrativo che definisce l'importo dei dazi Ovvero, se non vi stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui nato il debito doganale relativo alla merce in questione. 16. -Si deve sottolineare in secondo luogo che, nella sentenza 12 novembre 1981, cause riunite 212/80-217/80, Salumi e a. (Racc., 2735, punto 8), la Corte ha dichiarato che per stabilire l'efficacia nel tempo del regolamento n. 1697/79 ci si deve richiamare, in mancanza di norme transitorie, ai principi interpretativi generalmente riconosciuti, alla luce sia del testo, sia della ratio e della struttura di tale normativa. 17. -Bench le norme procedurali debbano essere applicate in via generale a tutte le controversie pendenti nel momento in cui esse entrano in vigore, la Corte ha dichiarato in particolare che il regolamento n. 1697/79, sostituendo le discipline nazionai in materia, contiene norme sia processuali sia sostanziali che formano un tutt'uno inscindibile e le cui singole disposizioni non possono essere considerate isolatamente in ordine alla Imo efficacia nel tempo (sentenza Salumi e a., Zoe. cit., punto 11). 18. -La Corte ha quindi dichiarato che il regolamento n. 1697/79 non si applica alle liquidazioni dei dazi all'importazione o all'esportazione effettuate anteriormente al 1 luglio 1980. 19. -Nella fattispecie su cui verte il processo a quo, la Conserchimica sostiene che, ogni volta che la liquidazione successiva a tale data, si deve considerare che il termine triennale ex art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 1697/79 si sostituito ad ogni effetto a quello stabilito dalla normativa nazionale precedente. 20. -Occorre per rilevare che il termine triennale di cui causa configura, nel sistema instaurato dal regolamento n. 1697/79, una norma relativa alla prescrizione e si calcola a decorrere, conformemente al dettato dell'art.2, n. 1, secondo comma, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Cc 78 del medesimo regolamento, dalla data di contabilizzazione dell'importo originariamente richiesto al debitore ovvero, se non vi stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui nato il debito doganale relativo alla merce in questione. 21. -Qualora il debito doganale, cio l'obbligo di pagare i dazi all'importazione o all'esportazione, sia sorto in un momento precedente l'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, esso pu essere disciplinato solo dalle norme nazionali in vigore in quel momento, ivi comprese le norme relative alla prescrizione. 22. -Il fatto che, come nella fattispecie di cui al processo a quo, i debiti doganali siano stati liquidati solo dopo l'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79 non produce conseguenze sulla data del sorgere dei detti debiti e non quindi atto ad inficiare l'applicazione delle norme nazionali precedenti. 23. -Emerge del resto chiaramente dalla sentenza 1 aprile 1993 nelle cause riunite da C-31/91 a C-44/91, Lageder e a. (Racc., I-1761, punto 26), che il regolamento n. 1697/79 non si applica ai fatti verificatisi in momenti precedenti la data della sua entrata in vigore. 24. -Si deve pertanto risolvere la questione sollevata nel senso che l'art. 2, n. 1, secondo comma del regolamento n. 1697/79 non si applica ai dazi non riscossi per una merce dichiarata a norma di un regime doganale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un momento precedente l'entrata in vigore del medesimo regolamento. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, sez. 6a, 11 dicembre 1997, nella causa C-55/96 -Pres. Schintgen -Rel. Kapteyn -Avv. Gen. Elmer -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento di volontaria giurisdizione Job Centre coop. r.l. -Interv.: Governi italiano ( avv. Stato Del Gaizo ), tedesco ( ag. Roder e Kloke) e norvegese (ag. H0yland).e Commissione delle C.E (ag. Traversa). Comunit europee -Libera prestazione dei servizi -Attivit di collocamento dei lavoratori -Esclusione delle imprese private -Esercizio dei pubblici poteri. (Trattato C.E, artt. 48, 49, 55, 56 59, 60, 62, 66, 86 e 90; cod. civ., art. 2330; legge 29 aprile 1949, n. 264, art. 11; legge 23 ottobre 1960 n. 1369, artt. 1 e 2). Gli uffici pubblici di collocamento sono soggetti al divieto dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione non vanifichi il compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti qualunque attivit di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del trattato CE se d origine ad una situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente indotti a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ci si verifica in particolare qualora ricorra PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 79 no i seguenti presupposti: -gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit, la domanda esistente sul mercato del lavoro; -l'espletamento effettivo delle attivit di collocamento da parte delle imprese private viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che vietano le dette attivit camminando sanzioni penali e amministrative; -le attivit di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o territori di altri Stati membri (1 ). (omissis) 1. -Con ordinanza 30 gennaio 1996, giunta alla Corte il 23 febbraio successivo, la Corte d'appello di Milano ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, tre questioni pregiudiziali sull'interpretazione degli artt. 48, 49, 55, 56, 59, 60, 62, 66, 86 e 90 del Trattato CE. 2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di un reclamo ex art. 2330, quarto comma, del codice civile italiano, proposto avverso il provvedimento del Tribunale civile e penale di Milano che ha respinto il ricorso per omologazione dell'atto costitutivo della societ cooperativa a responsabilit limitata Job Centre (in prosieguo: la JCC). 3. -La JCC una societ cooperativa a reponsabilit limitata in via di costituzione, con sede sociale in Milano. In base al suo statuto, l'attivit della cooperativa consister segnatamente nell'esercizio di attivit di mediazione fra domanda e offerta di lavoro subordinato e di fornitura temporanea a terzi di prestazioni di lavoro. Il suo scopo consentire a lavoratori e imprenditori, soci e non soci, di fruire di tali servizi sul mercato del lavoro italiano e comunitario. (1) Come pur nella sentenza 23 ottobre 1997, nella causa C -158/94, relativa al monopolio dell'energia elettrica, riportata nelle pagine precedenti, la Corte partita dal riconoscimento della possibilit degli Stati membri di accordare, ai sensi dell'art. 90 del trattato, diritti speciali o esclusivi ad imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale. E fra queste va certamente inserito, proprio come impresa, secondo i criteri indicati nella sentenza HOEFNER e ELSER citata in motivazione, l'.fficio pubblico di collocamento della mano d'opera. Ma come la possibilit di accordare tali diritti, in quanto contrari alle norme del trattato, consentita solo qualora l'adempimento della specifica missione affidata all'impresa possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali diritti (e sempre che lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit), cos specularmente la palese incapacit dell'impresa stessa di soddisfare le esigenze in considerazione delle quali i diritti le sono stati concessi rende non pi giustificata la deroga, evidenziandosi un abusivo sfruttamento dell'acquisita posizione dominante. Proprio l'evidenza che gli uffici pubblici di collocamento non sono in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit, la domanda esistente sul mercato del lavoro ha indotto la Corte a ritenere ingiustificato il divieto di qualunque attivit di mediazione e interposizione fra domanda e offerta di lavoro sancito dalla normativa italiana.Cfr. ora la nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, che conferisce alle regioni e agli enti locali funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'art. 1 della legge 15 marzo 1997 n. 59. La sentenza 19 ottobre 1995, nella causa C -111/94, citata in motivazione, relativa all'incompetenza della Corte a pronunciarsi su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta nell'ambito di un procedimento di giurisdizione volontaria, pubblicata in questa Rassegna, 1995, I, 360. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ,, ' 80 4. -In Italia il mercato del lavoro sottoposto al regime del collocamento obbligatorio gestito da uffici pubblici. Tale regime disciplinato dalla legge 29 aprile 1949, n. 264. L'art. 11, primo comma, della legge vieta l'esercizio della mediazione tra offerta e domanda di lavoro subordinato, anche quando tale attivit svolta gratuitamente. L'intermediazione di manodopera effettuata in contrasto con la suddetta norma e l'assunzione di lavoratori al di fuori del collocamento pubblico sono punite, in forza della legge n. 264, con sanzioni penali o amministrative. Inoltre i contratti di lavoro stipulati in violazione delle prescrizioni della stessa legge possono essere annullati dal giudice, su denunzia dell'ufficio di collocamento e domanda del Pubblico ministero da proporsi entro un anno dall'assunzione di un lavoratore. 5. -L'art. 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, vieta la mediazione e l'interposizione nei rapporti di lavoro. La mancata osservanza di tale prescrizione comporta l'applicazione delle sanzioni penali previste all'art. 2 della stessa legge, mentre agli effetti civilistici, in forza dell'ultimo comma dell'art. 1, i lavoratori occupati in violazione del divieto di cui all'art. 1, primo comma, sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne ha effettivamente utilizzato le prestazioni. 6. -Il 28 gennaio 1994 il presidente della JCC in via di costituzione aveva chiesto al Tribunale civile e penale di Milano l'omologazione, ai sensi dell'art. 2330, n. 3, del codice civile italiano, dell'atto costitutivo della societ. Con ordinanza 31 marzo 1994 il Tribunale aveva sospeso il procedimento di omologazione e sottoposto alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione di vari articoli del Trattato CE, da esso ritenuti rilevanti ai fini dell'emanazione del decreto di omologazione dell'atto costitutivo della JCC. 7. -Con sentenza 19 ottobre 1995 nella causa C-111/94, Job Centre (Racc., I3361), la Corte ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sulle questioni sottopostele dal Tribunale civile e penale di Milano ritenendo che tale giudice, nel1' ambito di un procedimento di giurisdizione volontaria vertente su una domanda di omologazione dell'atto costitutivo di una societ per l'iscrizione di quest'ultima nel relativo registro, esercitasse una funzione non giurisdizionale che, del resto, in altri Stati membri affidata ad un'autorit amministrativa. Infatti esso agisce come autorit amministrativa senza dover nel contempo dirimere una controversia. 8. -A seguito di tale sentenza, con decreto 18 dicembre 1995 il Tribunale civile e penale di Milano ha respinto la domanda di omologazione dell'atto costitutivo presentata dal rappresentante della JCC a motivo dell'accertato contrasto fra l'oggetto sociale di quest'ultima e talune norme imperative della legislazione italiana in materia di lavoro. 9. -Contro tale diniego di omologazione la JCC ha proposto reclamo ex art. 2330, quarto comma, del codice civile italiano, dinanzi alla Corte d'appello di Milano, chiedendo l'annullamento del decreto del Tribunale e l'omologazione dell'atto costitutivo della societ. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 81 10. -La Corte d'appello, ritenendo che il reclamo della JCC sollevasse questioni di interpretazione del diritto comunitario, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se le norme nazionali italiane di cui agli artt. 11, primo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264, e 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, comportanti il divieto di prestazione di qualsiasi attivit di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro subordinato da parte di soggetti diversi dagli uffici pubblici designati da dette norme, possano ritenersi rientranti nell'esercizio dei pubblici poteri ai sensi del combinato disposto degli artt. 66 e 55 del Trattato CE, considerato il carattere pubblicistico attribuito loro dalla legge italiana in quanto norme poste a tutela dei lavoratori e dell'economia nazionale. 2) Se dette norme, nella previsione generale che sottendono, debbano ritenersi in contrasto con i principi di diritto comunitario posti dagli artt. 48, 49, 59, 60, 62, 86 e 90 del menzionato Trattato concernenti il diritto al lavoro, la libert di iniziativa economica, la libert di circolazione dei lavoratori e delle persone, la libert di domanda e offerta delle prestazioni di lavoro e di servizi, la libera e corretta concorrenza tra operatori economici, il divieto di abuso di posizione dominante. 3) Se, nel caso in cui la richiamata legislazione dello Stato italiano in materia di mediazione e interposizione del lavoro violi i principi di diritto comunitario enunciati nel quesito precedente, le autorit giudiziarie e amministrative di detto Stato membro debbano ritenersi tenute a dare diretta applicazione a tali principi, consentendo che enti e imprese pubblici e privati esercitino le attivit di mediazione fra domanda e offerta di lavoro e di fornitura di lavoro interinale, purch nel rispetto delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro e la previdenza obbligatoria e sotto i controlli previsti dalla legge. 11. -Dal fascicolo del giudizio a quo emerge che con tali questioni il giudice nazionale domanda, in sostanza, se le disposizioni del Trattato in tema di libera circolazione ei lavoratori, di libera prestazione dei servizi nonch di concorrenza ostino ad una normativa nazionale che vieti qualunque attivit di mediazione e di interposizione nella domanda e offerta di lavoro che non sia svolta da enti pubblici di collocamento. 12. -Va ricordato che la JCC una societ cooperativa a responsabilit limitata, in via di costituzione, che ha fatto valere nel giudizio a quo il diritto di svolgere l'attivit di mediazione fra domanda e offerta di lavoro subordinato e di fornitura temporanea di manodopera. 13. -Ora, nella parte in cui le questioni si richiamano alle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori, baster rilevare che l'applicabilit dell'art. 48 del Trattato non pu essere dedotta dalla presenza di lavoratori nel novero dei soci fondatori, atteso che la societ, una volta costituita ed entrata in attivit, possieder personalit giuridica autonoma. 14. -Ne consegue che le norme sull libera circolazione dei lavoratori sono inconferenti ai fini del giudizio a quo. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 82 15. -Nella parte in cui le questioni si richiamano agli artt. 86 e 90 del Trattato, esse sollevano il problema della portata del diritto esclusivo concesso agli uffici pubblici di collocamento e pertanto del divieto, con relativa comminazione di sanzioni penali ed amministrative, di qualunque attivit di mediazione e interposizione nella domanda e offerta di lavoro da parte di imprese private. 16. -Occorre pertanto affrontare in primo luogo l'interpretazione delle norme del Trattato test menzionate. L'interpretazione degli artt. 86 e 90 del Trattato 17. -La JCC afferma, in sostanza, che il divieto di qualsiasi attivit di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta da enti pubblici in contrasto con gli artt. 86 e 90 del Trattato, poich gli uffici pubblici di collocamento non sono in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato per questo tipo di attivit. A tale proposito la JCC si richiama in particolare alla sentenza 23 aprile 1991 nella causa C-41/90, Hofner e Elser (Racc., 1-1979). 18. -I governi tedesco e norvegese nonch la Commissione sostengono che il diritto esclusivo di collocamento della manodopera dovrebbe essere valutato alla luce dei principi ricavabili dalla citata sentenza Hofner e Elser. 19. -Il governo italiano osserva anzitutto che la normativa su cui verte il giudizio a quo non riconosce ad alcuna impresa diritti speciali o esclusivi in materia di appalto di manodopera, ma si limita a vietare la mediazione e l'interposizione nei rapporti di lavoro. Esso rileva poi che, considerate le particolari caratteristiche e le finalit sociali del collocamento pubblico operante in Italia, un servizio del genere non pu essere considerato attivit economica e quindi d'impresa. Infine sostiene che il monopolio pubblico del collocamento non atto ad arrecare i pregiudizi indicati nell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato. 20. -Tenuto conto di tali considerazioni, si deve accertare se un Ufficio pubblico di collocamento, come un ente cui l'art. 11, n. 1, della legge n. 264 fa riferimento, possa essere considerato un'impresa ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato (v. sentenza Hofner e Elser, loc. cit., punto 20). 21. -A questo proposito si deve precisare che, nel contesto del diritto della concorrenza, la nozione di impresa comprende qualsiasi entit che svolge un'attivit economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalit di finanziamento, e che l'attivit di collocamento di manodopera un attivit economica. 22. -La circostanza che le attivit di collocamento siano di norma affidate a uffici pubblici non incide sulla natura economica delle dette attivit. Queste ultime non sono sempre state n sono necessariamente svolte da enti pubblici. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 23. -Il governo italiano assume poi che, stando alla sentenza 17 febbraio 1993 nelle cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre (Racc., I-637), un ente previdenziale che agisca in regime di monopolio non costituisce un'impresa ai sensi dell'art. 86 del Trattato, posto che la Corte ha considerato, ai punti 18 e 19 della detta sentenza, che un'attivit del genere non costituisce attivit economica essendo ispirata a principi di solidariet nazionale e del tutto sprovvista di finalit di lucro. 24. -A questo proposito basta rilevare che, sebbene da tale sentenza emerga che la gestione dei regimi previdenziali obbligatori come quelli descritti nelle ordinanze di rinvio nella citata causa Poucet e Pistre non costituisce attivit economica, a tale conclusione si giunti sulla scorta degli stessi criteri (v. sentenza Poucet e Pistre, punto 17) che nella citata sentenza Hofner e Elser erano stati applicati per concluderne che l'attivit di collocamento di manodopera dev'essere qualificata come attivit di impresa ai sensi delle regole di concorrenza comunitarie. 25. -Ne consegue che un ente come un ufficio pubblico di collocamento pu essere qualificato impresa ai fini dell'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie. 26. -Si deve precisare che gli uffici pubblici di collocamento i quali in forza della normativa di uno Stato membro sono incaricati della gestione di servizi di interesse economico generale, come quelli previsti dall'art. 11, n. 1, della legge n. 264, restano soggetti alle regole di concorrenza conformemente all'art. 90, n. 2, del Trattato, finch non sia provato che l'applicazione di queste regole incompatibile con lo svolgimento dei compiti loro affidati (v. sentenza 30 aprile 1974, causa 155/73, Sacchi, Racc., 409, punto 15, e Hofner e Elser, loc. cit., punto 24). 27. -Quanto al comportamento degli uffici pubblici di collocamento, che godono di un diritto esclusivo garantito dal divieto di qualunque attivit di mediazione e interposizione nei rapporti di lavoro e dalla correlata comminazione di sanzioni penali e amministrative del tipo di quelle previste dalle leggi nn. 264 e 1369, si deve rilevare che l'applicazione dell'art. 86 del Trattato non suscettibile di vanificare il compito specifico affidato ai detti uffici qualora questi ultimi non siano palesemente in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato per quanto riguarda tale settore. 28. -Se innegabile che l'art. 86 si rivolge alle imprese e, nei limiti stabiliti dall'art. 90, n. 2, pu essere applicato alle imprese pubbliche o che dispongano di diritti speciali o esclusivi, altrettanto vero che il Trattato obbliga gli Stati membri ad astenersi dall'emanare o dal mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere praticamente inefficace tale norma (v. sentenze 16 novembre 1977, causa 13/77, Inno, Racc., 2115, punti 31 e 32, e Hofner e Elser, loc. cit., punto 26). L'art. 90, n. 1, vieta infatti agli Stati membri di emanare o mantenere in vigore nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi provvedimenti contrari alle norme del Trattato, in particolare agli artt. da 85 a 94 incluso. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAl'O 84 29. -Di conseguenza, sarebbe incompatibile con le norme del Trattato qualsiasi provvedimento con il quale uno Stato membro mantenga in vigore disposizioni di legge che creino una situazione in base a cui un ufficio pubblico di collocamento sarebbe necessariamente indotto a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86. 30. -A questo proposito, si deve ricordare in primo luogo che un'impresa titolare di un monopolio legale pu essere considerata occupare una posizione dominante ai sensi dell'art. 86 del Trattato (v. sentenza 3 ottobre 1985, causa 311/84, CBEM, Racc., 3261, punto 16), e che il territorio di uno Stato membro su cui questo monopolio si estende pu costituire una parte sostanziale del mercato comune (v. sentenza 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc., 3461, punto 28). 31. -Occorre precisare, in secondo luogo, che il semplice fatto di creare una siffatta posizione don;iinante mediante l'attribuzione di un diritto esclusivo ai sensi dell'art. 90, n. 1, non , in quanto tale, incompatibile con l'art. 86 del Trattato (v. le citate sentenze CBEM, punto 17; Hofner e Elser, punto 29; 19 maggio 1993, causa C-320/91, Corbeau, Racc., I-2533, punto 11, e 5 ottobre 1994, causa C-323/93, Centre d'insmination de la Crespelle, Racc., 1-5077, punto 18). Uno Stato membro viola infatti i divieti contenuti in queste due disposizioni solo quando l'impresa considerata indotta, con il semplice esercizio del diritto esclusivo conferitole, a sfruttare la sua posizione dominante in modo abusivo (v. sentenza 14 dicembre 1995, causa C-387/93, Banchero, Racc., 1-4663, punto 51). 32. -Ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato siffatta pratica abusiva pu, in particolare, consistere in una limitazione della prestazione a danno dei destinatari del servizio considerato. 33. Si deve rilevare a questo proposito che, come ha giustamente osservato la Commissione, il mercato delle prestazioni di collocamento dei lavoratori estremamente vasto e altamente diversificato. La domanda e l'offerta di lavoro su tale mercato comprendono tutti.i settori produttivi e si riferiscono ad una gamma di attivit lavorative che va dalla manovalanza non qualificata sino alle qualifiche professionali pi elevate e rare. 34. -In un mercato cos esteso e differenziato, per di pi soggetto, a causa dello sviluppo economico e sociale, a grandi mutamenti, gli uffici pubblici di collocamento rischiano di non essere in grado di soddisfare una parte rilevante di tutte le domande di prestazioni. 35. -Ora, vietando, a pena di sanzioni penali e amministrative, qualunque attivit di mediazione e interposizione tra la domanda e l'offerta di lavoro che non sia svolta da uffici pubblici di collocamento, uno Stato membro d origine ad una situazione in cui la prestazione viene limitata, ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato, quando i detti uffici non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit, la domanda esistente sul mercato del lavoro. PARTE I, SEZ. 11, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIOMALE 36. -Si deve rilevare, in terzo luogo, che la responsabilit che incombe a uno Stato membro ai sensi degli artt. 86 e 90, n. 1, del Trattato sorge solo se il comportamento abusivo dell'ufficio pubblico di collocamento considerato sia suscettibile di incidere sugli scambi tra gli Stati membri. Affinch ricorra tale presupposto di applicazione non necessario che il comp<:?_rtamento abusivo di cui trattasi abbia effettivamente pregiudicato i detti scambi. E sufficiente dimostrare che tale comportamento atto a produrre questo effetto (v. sentenza Michelin/Commissione, loc. cit., punto 104). 37. -Un effetto potenziale del genere sugli scambi tra Stati esiste in particolare quando le attivit di collocamento di manodopera svolte da imprese private possono estendersi ai cittadini o ai territori di altri Stati membri. 38. -Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui svolte, le questioni vanno risolte nel senso che gli uffici pubblici di collocamento sono soggetti al divieto dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione di questa disposizione non vanifichi il compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti qualunque attivit di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del Trattato se d origine ad una situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente indotti a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ci si verifica in particolare qualora ricorrano i seguenti presupposti: -gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attivit, la domanda esistente sul mercato del lavoro; -1'espletamento effettivo delle attivit di collocamento da parte delle imprese private viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che vietano le dette attivit comminando sanzioni penali e amministrative; -le attivit di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o territori di altri Stati membri. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA ~~ DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE ~ @ ~ I ~ CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 14 gennaio 1998, n. 257 -Pres. Senofonte -Rel. Pignataro -P.M. Cafiero (cong.)-Min. Industria (avv. Stato Fiumara) c. S.p.A. Aprilia. I Procedimento civile Impugnazioni Sentenze della Commissione ricorsi contro provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti Ricorso per cassazione Termine breve Decorrenza Art. 327 cod. proc. civ. -Applicabilit. (art. 111 Cost.; r.d. 5 febbraio 1940 n. 244, art. 89; cod. proc. civ., art. 327) I In mancanza della notificazione effettuata a cura della Segreteria nelle forme dell'art. 89 r.d. 5febbraio1940 n. 244, non decorre il termine breve di cui all'art. I 325 cod. proc. civ., ed il ricorso per cassazione avverso le sentenze della Commissione ricorsi avverso i provvedimenti dell'Ufficio Centrale brevetti resta proponibi Ile nel termine annuale previsto dall'aFt. 327 cod. proc. civ. (1). ~ re II ~ i ~ CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 6 febbraio 1998 n. 1223 -Pres. Baldassare -Rel. Berruti -P.M. Gambardella (conf.) -Bianco del Valle (avv. Cavasola) c. Mini I stero Industria (avv. Stato Fiumara). Procedimento civile Impugnazioni Sentenze della Commissione ricorsi avverso provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti Ricorso per cassa I zione Termine breve Decorrenza dalla notificazione della sentenza a cura della Segreteria Esclusione Art. 327 cod. proc. civ. Applicabilit. I La notificazione, a cura della Segreteria e nelle forme di cui all'art. 89 r.d. 5 febbraio 1940 n. 244, delle sentenze della Commissione ricorsi avverso i provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti non idonea a far decorrere il termine breve per IIil ricorso per cassazione che, in difetto di notificazione della sentenza ad istanza di parte, resta proponibile nel termine annuale previsto dall'art. 327 cod. proc. civ. (2). ! % I (1-2) Nello stesso senso di Cass. 1223/98 la pi recente Cass. 17 giugno 1998 n. 6038, con i la quale la stessa 1 sezione risolve il contrasto verificatosi fra precedenti sue decisioni, pur forI malmente negandone la sussistenza sul rilievo che nel caso esaminato dalla sentenza n. 257/1998 ! i (in rassegna) non era avvenuta la notificazione, a cura dell'ufficio, ad alcuna parte. i Si fa, dunque, chiarezza -nel senso auspicato dalla difesa della P.A. -col sottolineare che I la notificazione ex officio (da effettuarsi alle parti con lettera raccomandata, a cura della Segre 1 teria) delle sentenze dalla Commissione brevetti del tutto sfornita di ogni valenza processuale. Cass., 14 marzo 1992 n. 3133 (citata nella motivazione di entrambe le sentenze in rassegna) si legge in Riv. dir. comm. 1993, II, 1. I I I I I I ., , ,._,.,,.,,., \ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA Cl\llLE 87 I (omissis) 1. -Preliminarmente deve rilevarsi che la sentenza impugnata non risulta essere stata notificata a cura della segreteria del giudice a quo alla societ Aprilia (o al suo mandatario) ed all'ufficio centrale brevetti ai sensi dell'art. 89 del r.d. 5 febbraio 1940 n. 244 con raccomandata postale dalla cui ricezione decorre il termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione per entrambe le parti (v. Cass. 14 marzo 1992 n. 3133). In mancanza di tale notificazione deve ritenersi operante il termine lungo previsto dall'art. 327 c.p.c., come ha affermato questa Corte con la sentenza 5 marzo 1996 n. 1805; termine che nella specie risulta rispettato poich la sentenza impugnata stata depositata il 14 luglio 1994 ed il ricorso stato notificato il 28 gennaio 1995 con notifica ritualmente rinnovata ex art. 291 c.p.c .. vero che nell'ambito del procedimento avente natura giurisdizionale che si svolge davanti alla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti di rigetto delle domande di brevetto da parte dell'Ufficio centrale brevetti (art. 72 e segg. del r.d. n. 112/1939 -c.d. legge invenzioni -richiamato dall'art. 53 del r.d. n. 929/1942 sui marchi) esiste una disciplina autonoma della decorrenza dei termini per l'impugnazione, prevista dal citato art. 89 del r.d. n. 244/1940, ma tale disciplina non esauriente perch non prevede il caso che (come nella specie) non si ponga in essere l'atto (notificazione) indispensabile per il decorso del termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione ex art. 111 Cast. Nell'ordinamento processuale comune esiste la norma dell'art. 327 c.p.c. che, essendo espressione di un principio di ordine generale diretto a garantire certezza e stabilit ai rapporti giuridici, applicabile, ai sensi dell'art. 12, 2 comma disp. prel. e.e., ad ogni tipo di processo anche davanti a giudici speciali, come ha ripetutamente affermato questa Suprema corte (ad esempio in tema di contenzioso tributario con la sentenza delle Sezioni Unite n. 669/1992 ed in tema di pronunzie della Corte dei conti con l'ordinanza pure delle Sezioni Unite 1 dicembre 1994 n. 954). N sussiste contrasto, con riguardo alla materia di cui si tratta, tra la sentenza di questa sezione n. 1805/1996 sopra citata che ha ritenuto applicabile l'art. 327 c.p.c. e la precedente sentenza n. 3133/1992, entrambe richiamate dalla difesa del Ministero ricorrente nella discussione' orale, poich . questa ultima sentenza ha dichiaratamente omesso di esaminare il problema dell'applicabilit o meno della citata norma in subiecta materia dal momento che la soluzione di tale problema non era rilevante nella fattispecie esaminata nella quale la decisione della Commissione ricorsi era stata notificata ad entrambe le parti ai sensi dell'art. 89 del r.d. n. 244/1940 (omissis). II (omissis) 1. -Deve preliminarmente essere esaminata la ammissibilit del ricorso sotto il profilo della sua tempestivit, questione che la stessa ricorrente premette alle sue doglianze, e cui cenna anche il controricorso dell'Amministrazione. L'atto introduttivo del presente giudizio infatti stato notificato il 24 gennaio 1995, avverso la sentenza della Commissione dei ricorsi emessa 1'11maggio1994 e quindi, ai sensi dell'art. 89 del r.d. n. 244 del 1940, inviata alla Blanco con raccomandata il 1 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 88 . settembre 1994. Il ricorso stato proposto oltre sessanta giorni, ma entro l'anno, dalla ricezione della predetta raccomandata; dunque si posta la questione se ad esso applicabile, nel silenzio della legge, il termine ~reve di cui all'art. 325 c.p.c. Il collegio non ignora un precedente di questa stessa sezione, reso peraltro in una fattispecie alquanto particolare, costituito dalla sentenza n. 3133 del 14 marzo 1992, che ha stabilito che la impugnazione in parola deve essere proposta entro il termine di sessanta giorni dalla notifica effettuata ai sensi del predetto art. 89 della L.B., ma ritiene di discostarsene e di seguire invece il pi risalente orientamento di questa Corte, (sentt. nn. 2595 del 1957 e 2672 del 1957), peraltro di recente ribadito, sia pure nella economia di una decisione che riguardava altro tema di discussione (Cass. n. 1805 del 1996). la) L'art. 89 del r.d. n. 244 del 1940 prevede che la sentenza della Commissione dei ricorsi venga notificata per raccomandata postale a cura della segreteria della Commissione all'interessato ed al suo mandatario. Nulla dice circa la natura di tale notifica, ovvero circa un possibile effetto processuale, per la ragione ovvia che la norma venne concepita quando la impugnazione per cassazione (ai sensi dell'art. 111 della Costituzione) dei provvedimenti della Commissione dei ricorsi, non era ammessa. Pu comunque trarsi da tale osservazione di carattere storico la assenza nella mens legis di un qualunque rilievo processuale di tale atto della Commissione. Va quindi rammentato che in via di principio la operativit del termine breve consegue sempre ad una notifica ad istanza di parte, ovvero ad una previsione della legge che a tale regola fa eccezione. Caso questo che si verifica nella previsione del1' art. 17 della legge sulle adozioni n. 184 del 1983, che espressamente prevede che tutte le parti, pubbliche e private, di un giudizio di opposizione alla dichiarazione dello stato di abbandono debbano ricevere la notifica della sentenza, che su questo ha deciso, da parte della cancelleria, e che da tale notifica decorre il termine per impugnare. Pu dirsi pertanto che ogni qual volta la legge ha voluto realizzare una specifica finalit acceleratoria ha previsto la notificazione a tutte le parti del giudizio da parte dell'ufficio, e quindi, sempre espressamente, ha fatto conseguire a tale attivit la decorrenza del termine per impugnare. Coerentemente a questa linea legislativa la giurisprudenza di questa Corte nella materia della impugnazione delle decisioni della cessata Commissione tributaria centrale, ha costantemente ribadito l'indirizzo per il quale, ai fini della decorrenza del termine breve, non rileva n la comunicazione del deposito della decisione, n la notifica della sentenza a cura delle segreteria, ma solo quella che avviene ad istanza di parte (Cass. nn. 948 del 1996 e 320 del 1994 ex plurimis). 1 b) Osserva ancora il collegio che la notificazione a cura della segreteria della Commissione dei ricorsi di cui si tratta prevista dalla legge espressamente mediante raccomandata, e non mediante lo specifico procedimento della notificazione a mezzo posta, e per di pi nei confronti di una parte soltanto e non anche della Amministrazione. Tutto ci, da un canto ribadisce l'origine extraprocessuale della misura, e dall'altro impedisce che se ne operi oggi una forzata processualizzazione, facendone dipendere il decorso del termine per impugnare, giacch solo l'istanza di parte in grado di far decorrere lo stesso termine per entrambe le parti del giudizio. Ed a superare questa considerazione, che attiene al sistema del processo, non sembra pos PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE sano valere le considerazioni pratiche valorizzate da Cass. n. 3133 del 1992, della normale conoscenza da parte dell'Amministrazione delle decisioni in questione. 2 -Il ricorso pertanto, in quanto proposto prima dello spirare del termine di un anno dalla decisione, tempestivo e deve essere esaminato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 gennaio 1998 n. 477 -Pres. Sensale -Rei. Catalano -P.G. Lo Cascio (conci. conf.) -Garante per l'editoria (Avv. Stato Polizzi) c. RTI Spa (Avv. Pacifico) Poste e radiotelecomunicazioni -Trasmissioni radiotelevisive -Propaganda e pubblicit elettorale -Divieti -Sanzioni -Definizione dei concetti di pubblicit e propaganda con provvedimento del garante della radiodiffusione e dell'editoria -Principio di legalit -Violazione -Non sussiste. Poste e radiotelecomunicazioni -Propaganda e pubblicit elettorale -Divieti Maggiori limitazioni imposte alla editoria televisiva rispetto alla stampa Irragionevole disparit di trattamento -Non sussiste. Poste e radiotelecomunicazioni -Propaganda e pubblicit elettorale -Divieti Limiti alla libert di espressione del pensiero -Valori costituzionali della libert di scelta dell'elettore e della democraticit della competizione -Giustificazione dei limiti. Poste e radiotelecomunicazioni -Propaganda e pubblicit elettorale Divieto assoluto di propaganda elettorale indiretta -Sussiste -Divieto assoluto di prvpaganda con i metodi della pubblicit commerciale, definzione questa di pubblicit elettorale -Sussiste -Divieto di propaganda elettorale diretta salvo le eccezioni di cui all'art. 2 L. 515 /93 -Sussiste. Poste e radiotelecomunicazioni -Trasmissioni televisive -Propaganda e pub- blicit elettorale -Divieti -Propaganda elettorale indiretta -Trasmissione di serie di interviste casuali ad anonimi cittadini sui loro orientamenti elettorali - tale -Divieto -Univoca individuabilit del soggetto politico beneficiario -Irrilevanza. L'art. 1 comma III della legge 515/93 (recante la disciplina della campagna elettorale per l'elezione della Camera e del Senato) demanda al Garante per la radiodiffusione e l'editoria il compito di definire le regole alle quali editori e titolari di concessioni radiotelevisive debbano attenersi: poich, per, i comportamenti sanzionati in via amministrativa dal successivo art. 15 sono sufficientemente specificati dalla legge, il relativo provvedimento integrativo emanato dal Garante non viola la riserva di legge di cui all'art. 21 Cost. limitandosi a ulteriormente specifi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 90 care le fattispecie vietate, peraltro qualificate extragiuridicamente con i termini di pubblicit e propaganda. La diversa capacit espansiva del mezzo televisivo rispetto ai giornali giustifica divieti di pubblicit e propaganda pi intensi a carico del primo (1). I divieti di cui alla legge 515/93 (come specificati dal provvedimento del Garante 26.1.1994) nel limitare la libert di manifestazione di pensiero in sede di propaganda politica attuano i principi costituzionali del rispetto della libert di scelta da parte degli elettori e della democraticit della competizione (che deve avvenire ad armi pari stante il carattere democratico della Repubblica sancito dall'art 1 Cast.) che potrebbero essere lesi da una propaganda scorretta (2). Il divieto di propaganda elettorale di cui alla legge 515/93 concerne sia la propaganda trasparente (salvo le eccezioni di cui all'art. 2) che la pi insidiosa propaganda indiretta, e, in ogni caso, ogni forma di pubblicit elettorale, ossia di propaganda svolta con i metodi della pubblicit commerciale (3). La messa in onda di un programma contenente una serie di interviste casuali sugli orientamenti elettorali degli intervistati idonea a orientare le libere scelte dello spettatore -ancorch non sia univocamente individuabile un solo gruppo politico a favore del quale siano espressi i detti orientamenti -e costituisce propaganda elettorale vietata (in conseguenza di detto principio, la Corte ha cassato, con rinvio, la sentenza del Pretore che, accogliendo il ricorso della RTI avverso sanzione irrogata dal garante ex art. 15 legge 515 cit., aveva ritenuto che le opinioni espresse dagli intervistati non erano in prevalenza favorevoli ad un individuato movimento politico, poich solo tre su quindici intervistati si erano pronunziati espressamente a suo favore, s che la trasmissione non poteva essere considerata propaganda elettorale vietata ( 4). (1-4) Conforme la coeva Cass. n. 478/98. Persuasori occulti elettorali: una tecnica repressiva insufficiente? La controversia riguarda degli illeciti elettorali commessi nella campagna per le elezioni politiche del 1994; quattro anni dopo decisa in Cassazione. Decisamente troppi, pur a fronte di una sentenza eccellentemente motivata. Eppure, sembra che la celerit sia un principio generale dei procedimenti giudiziari elettorali (addirittura era prevista la procedura per direttissima c.d. obbligatoria per i relativi reati) (1). (1) Era previsto il rito direttissimo dagli artt 112 d.P.R. 361/57, nonch 89, 90, 91, 96 d.P.R. 570/60, e dall'art. 1 legge 108/68; previsioni abrogate dal nuovo codice di rito penale (art. 233 att. c.p.p. 1988). Del resto, molto rapido il rito elettorale anche nelle controversie su ineleggibilit e decadenza,sottoposte alla cognizione del Tribunale ordinario, nelle controversie in materia di elettorato attivo (in unico grado di merito avanti la Corte di appello) nonch in quelle sulle operazioni elettorali sottoposte al Giudice amministrativo. In tutti i casi trattasi di processo da ricorso, con la previsione (anche in appello) di brevi termini per la notifica e il successivo deposito del ricorso, con trattazione collegiale, dispositivo letto in dibattimento, termini abbreviati per i gravami (che, addirittura non prevedono il termine lungo) e, nel primo e secondo caso, di regola senza rinvio, giusta il potere della Cassazione di decidere nel merito. (Cfr. art. 42 ss. t.u. 223/67; artt. 82, 82/2, 82/3, 84 T.U. 570/60 richiamati dagli artt. 7 legge 1147/66 per le elezioni provinciali e dall'art. 19 legge 108/68 per le regionali). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 91 (omissis) Il giorno 20 marzo 1994 l'eminente televisiva nazionale Italia 1 mand in onda un programma denominato QUI ITALIA, nel corso del quale vennero trasmesse le considerazioni e le dichiarazioni di voto raccolte dal conduttore tra i passanti. Qui, l'art. 15, XIX co., legge 515/93, rinvia in modo generico al rito di cui alla legge 689/81. E, al proposito, non pare razionale affidare al Pretore la cognizione su sanzioni amministrative irrogate da una Authority quasi -magistratuale (2); un legislatore pi accorto avrebbe richiamato la competenza della Corte di Appello in materia di sanzioni avverso le imprese bancarie, provvedimenti similmente irrogati, in sostanza, da una Autorit (3) quale la Banca d'Italia. Fortunatamente, ora, la cognizione dei provvedimenti irrogati dalla nuova Autorit di cui alla legge 249/97 stata affidata al TAR, e con il D.lgs. 80/98, art. 35, il rito stato semplificato. D'altronde ben poche delle sanzioni previste dalla legge attuale raggiungerebbero un qualche effetto in ordine alla efficace tutela dell'elettore. Esaminando l'art. 15, della legge 515 citata, si osserva che solo alcune violazioni sono efficacemente sanzionate. In concreto, le poche che consentano di comminare la decadenza degli eletti (commi 7, 8, 9) le quali, tuttavia, comportano (2) Vedi, esattamente, MALINCONICO C., Le funzioni amministrative delle Autorit indipendenti, in AA.VV., I garanti delle regole, a cura di CASSESE, Bologna, 1996, 46. (3) Per il settore del credito, vedi l'art. 145 D.lgs. 385/93. La norma affida solo formalmente il potere sanzionatorio al Ministro del Tesoro, ma su proposta della Banca d'Italia, proposta che assurge -stante il tempo indicativo presente usato dalla norma -a presupposto necessario della sanzione. Il potere sanzionatorio, dunque, sostanzialmente spetta alla Banca d'Italia, annoverata dalla dottrina come Autorit di questa tipologia, e anzi assurtavi anche formalmente in base al Trattato di Maastricht, nella parte in cui istituisce il sistema monetario europeo (artt. 107 e 108 -nuovo testo -Trattato CEE). Il relativo reclamo, in base all'art. 145 T.U. bancario, spetta come in passato (art. 90, III co., R.D.L. 375/1936) alla Corte di Appello di Roma. Per il settore assicurativo vedi invece l'art. 15 legge 761/1940, poi divenuto l'attuale art. 111 T.U. Ass. private (d.P.R. 449/59). Anche in questo caso il decreto irrogativo delle sanzioni emesso dal Ministro di settore ma su proposta della ISVAP, la cui natura di Authority abbastanza certa. In ambo i casi tali norme costituivano un privilegio processuale dei settori imprenditoriali interessati, derogando alla giurisdizione amministrativa articolata in unico grado. Oggi si ritenuto opportuno mantenere un foro ad hoc in ragione della complessit del procedimento sanzionatorio, praticamente in contraddittorio semipieno con una Autorit autocefala. Vedi da ultimo la devoluzione al giudice amministrativo di tali materie ex art. 33 D.lgs. 80/98. Per qlianto riguarda il contenzioso sanzionatorio delle altre Authority: nel settore dei servizi di pubblica utilit la legge 481/95 affida la relativa giurisdizione al TAR (art. 2 co. XXV con ivi prevista la competenza del Tar del luogo ove ha sede l'Autorit); non altrettanto previsto dell'Autorit Garante per la protezione dei dati personali (art. 39 III co., legge 676/96 che rinvia alla legge 689/81); invece, per l'Autorit Garante della concorrenza e del mercato, essa affidata al Tar Lazio (competenza esclusiva ma probabilmente non inderogabile: art. 33, I co., legge 287 /90). La scelta della Giurisdizione amministrativa stata generalizzata per il credito, le assicurazioni, le telecomunicazioni, i pubblici servizi, dall'art. 33 D.lgs. 80/98 con notevole ampliamento dei poteri -istruttori, di condanna al risarcimento del danno, di imposizione di criteri per la determinazione di una penale -del Giudice Amministrativo in base all'art. 35 D.lgs. 80 cit. Quanto al settore delle comunicazioni, deve essere per completezza ricordato che la prima Autorit del settore, il Garante per l'Editoria di cui all'art. 8 legge 416/81, non aveva poteri sanzionatori, riservati al Servizio per l'Editoria della Presidenza del Consiglio ex art 21, II co., legge 416. Solo con la legge 223/90, istitutiva dell'unico Garante per la Radiodiffusione e per l'Editoria, tali funzioni sanzionatorie (art. 6 co. X lett. d -art. 31 legge 223) sono state a questi affidate, riservandone per il contenzioso al Pretore ex L. 689/81. solo con la recente legge 249/97 che ha sostituito al Garante, la Autorit per le Garanzie nelle Comunicazioni, che la giurisdizione sui provvedimenti sanzionatori stata affidata al Tar del Lazio, in modo esclusivo e inderogabile (art. 1 comma XXVI). Tali provvedimenti comprendono (art. 1 comma VI lett. b numeri 5 e 9) quelli in materia di pubblicit commerciale e di propaganda politica. Fortunatamente il Tar deve provvedere entro 60 giorni dalla concessione del provvedimento cautelare; il dispositivo si pubblica entro 7 giorni dall'udienza e i termini sono ridotti alla met (art. 1 co. XXVII). Un bel mosaico, che non contribuisce alla chiarezza. Meglio sarebbe stato, nel fomulare l'art. 33 D.lgs. 80/98, menzionare tutti i provvedimenti delle Autorit autocefale. L'attuale formulazione rischia, nel settore delle comunicazioni, di limitare i poteri di cui all'art. 35 successivo al solo caso delle telecomunicazioni (menzionate dall'art. 33) e non anche agli illeciti a mezzo stampa (la stampa non figura nell'elenco di materie di cui a tale norma). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 92 L'ufficio del Garante per la radiodiffusione e l'editoria, ricevuta segnalazione da parte del centro di controllo delle emissioni radioelettriche del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, rilev che le interviste, in quanto prevalentemente orientate in senso favorevole al movimento FORZA ITALIA, connotavano obiettivamente il programma come trasmissione di propaganda elettorale in favore di questo, effettuata in violazione degli artt. 1, comma terzo, e 2 della legge 10 dicembre 1993, :: n. 515, degli artt. 11, 13 e 15 del provvedimento del Garante del 26 gennaio 1994 e I tutte anche l'irrogaziOne di una sanzione amministrativa pecuniaria, la cui contestazione giudiziale -che pu durare anche 4 anni, come si potuto osservare, la durata di una legislatura sospende di fatto il procedimento ( 4). Indi necessita una (successiva) delibera del Collegio Regionale di garanzia, infine una delibera della Camera di appartenenza. Tali ipotesi per sono riferibili a illeciti dei singoli candidati. L'illecito a favore del partito politico non comporta queste sanzioni decadenziali, in tali casi si ricade nelle sanzioni amministrative, o, al massimo, nella sospensione dei contributi pubblici (comma 13). Chi dovrebbe rischiare di pi l'editore; il Garante pu diffidarlo (comma 1) a far cessare il comportamento, entro tre giorni, pena la sospensione delle pubblicazioni o della concessione e la proposta di revoca delle stessa. Inoltre l'editore non pu eludere tale norma conformandosi alla diffida, di volta in volta, ma compiendo varie diverse campagne di propaganda a favore di pi candidati perch la stessa sanzione si applica in caso di recidiva. Tuttavia, nel caso di specie (che si riferisce a due episodi di violazione, identici, della normativa prelettorale) il Garante, nonostante la recidiva, non ha disposto l'oscuramento delle reti limitandosi alla diffida. A rigore, la recidiva dovrebbe comportare il previo consolidarsi dell'accertamento del precedente illecito (cio almeno 4 anni) il che rende al Garante IMPOSSIBILE tale oscuramento durante una campagna elettorale (5). Di fatto, tutto si risolve in un illecito che comporta un costo economico, elevato, ma probabilmente sopportabile dai partiti pi finanziati. *** Il ricorso incidentale proposto dall'Editore contro la sentenza pretorile ha un contenuto abbastanza limitato. Vi si lamenta la violazione, da parte della stessa Legge, che all'art. 1 comma III consente al Garante di emettere un provvedimento regolamentare integrativo, nonch da parte dello stesso provvedimento del garante, della riserva di legge ex art. 21 Cost. Ora, la contestazione dell'illecito (ex art. 2 della legge 515: vietata la propaganda elettorale in campagna elettorale (4) N la Commissione Regionale di Garanzia n la Camera di appartenenza hanno poteri giurisdizionali sul fatto. Se il fatto allora contestato in giudizio, con il rito ex L. 689/81, non pare dubbio che gli organi di questo complesso procedimento non possano che attenersi al giudicato. (5) La recidiva notoriamente un istituto penalistico, avente natura di circostanza aggravante eminentemente soggettiva del reato. Il disvalore che viene sanzionato consiste nella commissione di un nuovo illecito penale da parte di chi pure consapevole di essere gi stato condannato per altro fatto, con sentenza passata in giudicato. Questi principi sono applicati anche per le sanzioni amministrative nei confronti dei notai ( cfr. Cass. 2073175). Per il pubblico impiego, si afferma che la contestazione della recidiva disciplinare ammissibile pur in presenza di impugnative pendenti sui precedenti provvedimenti disciplinari; ma in tale caso evidente che si fa applicazione della presunzione di legittimit dell'atto amministrativo (cfr. TAR FVG 444/94). Ove la norma fosse formulata in senso oggettivo (badando al numero o alla gravit dell'illecito) tale impasse sarebbe superata. Cos esattamente di-spone la legge 287 /90 che si limita a menzionare la particolare gravit dell'illecito o la sua reiterazione. Peraltro, quanto meno inutile lasciare al contravventore tre giorni di tempo (un decimo della campagna elettorale). Quello che occorre una sanzione rapida ed efficace: l'oscuramento (comminabile a giorni, ore, etc.). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 93 contest queste infrazioni alla societ RTI, titolare dell'emittente Italia 1, con provvedimento in data 24 marzo 1994, notificato ai sensi di legge. In pari data la societ venne diffidata a cessare ed astenersi per tutto il periodo della campagna elettorale dal mandare in onda messaggi di propaganda elettorale in violazione delle norme sopra indicate. salvo le note eccezioni di tavole rotonde, confronti, discorsi, ecc.) interamente contenuta e prevista dalla fonte primaria; il provvedimento integrativo 26.1.1994 non fa che specificare ed esemplificare il significato di tale pi generica propaganda. Ci che del resto pienamente consentito alle fonti secondarie nell'ambito delle sanzioni amministrative, soggette alla riserva relativa ex art. 23 Cost. e al principio di legalit di cui all'art. 1 legge 689/81 (6). *** La Corte, quindi prende atto che proprio la pubblicit e le analoghe forme di orientamento del pubblico tramite i mass-media possono ledere la libert di pensiero e la libera formazione degli orientamenti politici dell'elettore. Tristemente ridotto, si direbbe a consumatore sporadicamente cittadino, a soggetto di cui si presuppone la alta condizionabilit da parte dei mass-media. Del resto, la libert di pensiero degli operatori del settore pienamente tutelata. L'art. 2 legge 515 vieta la pubblicit e la propaganda elettorale nei trenta giorni precedenti le elezioni. Ora, se il divieto di pubblicit (e cio della propaganda che utilizza i metodi della pubblicit commerciale) totale, quello di propaganda limitato. Anzi, esso addirittura un divieto apparente per la propaganda elettorale trasparente. Le eccezioni di cui all'art. 2 lett. a) b) c) coinvolgono tutta la gamma delle manifestazioni di una propaganda ufficiale, aperta, dichiarata. Ci che si vieta la propaganda indiretta o surrettizia. Poich la propaganda, sfruttando spazi sui media ha un costo economico, ovvio che una propaganda mascherata serve anche ad aggiornare i limiti massimi di spesa ufficiale stabiliti dalla normativa favorendo i candidati pi finanziati. E il carattere democratico della Repubblica impone che la competizione avvenga ad armi pari, sulla base dei programmi e delle persone, ponendo severi limiti alle spese di campagna elettorale onde renderla possibile a tutti -nei limiti del ragionevole -, non invadente e non talmente onerosa da far necessariamente presumere un ritorno economico da parte dell'eletto nello sfruttare la carica pubblica ricoperta. Essa , inoltre, contraria all'otdine democratico, e quindi soggetta ai limiti impliciti di cui all'art 21 Cost (7). Anzich manifestare chiaramente idee e opinioni (spingendo l'elettore a un (6) La materia delle sanzioni amministrative non soggetta, com' noto, alla riserva assoluta di carattere costituzionale di cui ali' art. 25 Cost., ma al contempo, alla riserva relativa di legge di cui ali' art. 23 Cost. e a quella assoluta di carattere puramente legislativo (e quindi derogabile con fonte primaria) di cui all'art. 1 legge 689/81. Peraltro, la giurisprudenza costituzionale in materia penale giudica sufficiente che la legge, oltre a prevedere in toto la sanzione, contempli gli elementi essenziali della fattispecie concreta, ben potendo una fonte secondaria definire in via tecnica e specificare il contenuto del precetto (v. Corte Cost. 333/91 sulla legittimit della norma che demandava al Ministro della Sanit la determinazione della dose minima giornaliera il cui consumo era rilevante ai sensi della legge penale sugli stupefacenti). Dunque la norma in esame sarebbe costituzionalmente legittima anche ove prevedesse sanzioni penali. (7) La giurisprudenza costituzionale, in ordine all'unico limite esplicito della libert di pensiero, il buon costume, ha, temendo forse una eccessiva dilatabilit di tale concetto, limitato il suo significato al senso penalistico (atti offensivi della morale sessuale). Perci si definiscono impliciti gli altri limiti della libert di pensiero, che devono aver radice in valori tutelati dalla Costituzione. E nel nostro caso, ve ne sono almeno quattro. In primo luogo la libert di pensiero dei telespettatori; indi il principio di libert del voto, manipolabile con i mezzi suddetti. Tali illeciti, poi, incidendo sulla scelta dei rappresentanti del popolo, ledono lo stesso ordine costituzionale e democratico. Infine, si deve ravvisare la violazione dell'art. 12 Dich. Diritti dell'Uomo in ordine alle illecite interferenze nella vita privata. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 94 Dopo questi atti e in esito alla compiuta istruttoria, il Garante ingiunse alla societ RTI il pagamento della somma di L. 200.000.000 (duecento milioni) a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per le contestate violazioni. L'opposizione della societ intimata stata accolta dal pretore di Milano il quale ha rilevato che stante l'ampia gamma di risposte offerte dagli intervistati deve escludersi che il programma de quo possa identificarsi come trasmissione di confronto-esame di posizioni, cio a una operazione dialettica e di pensiero) ne manipola le reazioni, in qualche modo collegate a opinioni accessorie agli ideali rappresentati dal committente (un partito Dio-Patria-Famiglia ben pu giovarsi di sequenze attenenti la famiglia italiana degli anni cinquanta); E manipolare (circum-venire) le idee altrui , si ripete, vietato, anche per la stessa pubblicit commerciale. Il D.lgs. 74/92 (attuativo della direttiva CEE 84/450) impone (art. 3) che la pubblicit sia riconoscibile come tale. Per inciso, lo stesso principio espresso dall'art. 7 del codice di autodisciplina pubblicitaria (17 edizione 1991). In tali casi, l'Autorit garante della concorrenza e del mercato pu sospendere (art. 7 co. 2 D.lgs. 74/92) la pubblicit abusiva, e, all'esito dell'istruttoria (ove interviene il garante: comma 5) le vieta. Tutti questi provvedimenti sono assistiti da sanzioni penali (art. 7 co. 9). Non sembra che, invece, quanto alla pubblicit elettorale vi sia un procedimento cos cele I :~ re, che consenta la immediata sospensione della stessa. Dunque, ai persuasori si richiede trasparenza e, ci pare di dover concludere, un messaggio non trasparente non conforme al buon costume e all'ordine democratico e pu essere compresso dalla tutela della vera libert di pensiero. *** I II ~ m Ma l'art. 2 legge 515 vieta anche la semplice pubblicit ancorch trasparente, che definita dall'art 15 Provv. Garante come spot>> ovvero trasmissioni contenenti esclusivamente elementi di spettacolarizzazione ovvero con scene artificiosamente accattivanti anche per la non genuinit di eventuali prospettazioni informative, slogan, inviti' al voto non accompagnati da una adeguata presentazione politica di candidati I programmi I linee ivi comprese anche le trasmissioni che utilizzano i mezzi di cui sopra per destare rifiuto verso un concorrente politico (art. 15, provv. Garante 26.1.1994). I La ratio , in parte, analoga a quella della lotta contro la manipolazione del pensiero dei teleutenti/elettori; in parte, finalizzata a consentire una competizione ad armi pari, che vieti inde I biti vantaggi a chi ha pi mezzi (a prescindere dalle idee) per pagarsi la pubblicit o per trasmetterla. Infatti gli operatori delsettore debbono determinare e pubblicare le loro tariffe (art. 9 Provv. 26.1.1994) nonch assicurare l'accesso a tutti i gruppi politici, collegio per collegio (art. 10). Le tariffe sono pari al 50% di quelle della pubblicit normale (art. 14) e devono essere uniformi per tutti i candidati (art. 14, 2 co.) (8). Se a ci si aggiunge che l'art. 10 della legge pone un limite massimo alle spese elettorali e che il superamento di tale limite comporta per il singolo candidato la decadenza (art. 15 co. 6 e 9 legge 515) e per il partito sanzioni pecuniarie che si riflettono sul contributo pubblico (art. 15 co. 16 legge 515) tale obiettivo parrebbe raggiunto, se non vi lli ostasse la farraginosit e la lentezza delle tecniche repressive. ffi ~ ~ *** m 1:: 1:: La decisione commentata, evidenzia, come finale principio di diritto, che non necessario !:! che il beneficario della pubblicit elettorale abusiva sia unico. Nella specie, gli elementi della rn contravvenzione c'erano tutti: il periodo interdetto ex lege, una trasmissione che non consisteva in t (8) Lbnire poi "''"o rn. '"=ivi Prowodimooti do!"''" io onlfoe '',Jrre ~P'll'" oletto"!i. I .. i I .--.--.-- .-.- .--.-... .-.-. ........-.-.-;.--.c.--.--..-.-.-,. ......................1'..;.;.-.J'J'J'J':-:J'.-..l'..l'.-J'}'."J'"""'" ...... ,......-..-.-../..l'{/..'J'J'."J'J'J'/,(."J'"./'.............J'.....-:..........-..........J'...........:,.............:,........:,....:.........",,* rlMIPJllW"1MWIJlldllllrl._ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 95 propaganda elettorale a favore del movimento politico Forza Italia; in effetti solo due su quindici intervistati possono considerarsi favorevoli al movimento Forza Italia", col che, sicuramente, le interviste devono qualificarsi come imparziali. Ricorre per cassazione il Garante peri'editoria e la radiodiffusione sulla base di tre motivi di annullamento. Resiste con controricorso la societ RTI Reti Televisive Italiane per azioni, che propone ricorso incidentale condizionato, articolato sulla base di tre motivi illustrati da memoria. una aperta presentazione di candidati o progamrni (illimitatamente consentita ex art. 2 a) b) c) legge 515) una presentazione surrettizia e non apertamente dichiarata di opinioni di intervistati. Appartiene alla tecnica pubblicitaria orientare il consumatore sulla base di opinioni di cittadini qualunque falsamente presentate come dichiarazioni obiettive. Ci cos pericoloso che finanche i sondaggi scientifici (che in ogni caso devono essere pubblicati con la indicazione delle metodiche, del campione, del committente e degli acquirenti) sono interdetti nei 15 giorni precedenti il voto (art. 6 legge 515). altres ininfluente (come sfuggito al Pretore di Milano) il numero delle aperte professioni di fede; basta che esse siano presentate da intervistati con cui il telespettatore si possa identificare (il pensionato felice, la mamma ideale). sufficiente altres che ci che si veicoli sia l'idea, scomposta in singoli aspetti, di un maggiore benessere legato a uno stile di pensiero conseguente alle posizioni del partito che si intende favorire (come presentare accattivanti immagini di una famiglia di consumatori, con uno zio morto per la Patria, magari vicina di casa di un ex bolscevico infelice). *** Il Pretore, del resto, ben potrebbe servirsi dell'ausilio di esperti in comunicazioni pubblicitarie onde accertare questi delicati aspetti del fatto sottoposto alla sua cognizione. Infatti, suggerisce la Corte al giudice di rinvio, non sufficiente valutare il numero delle risposte, ma si devono considerare, insieme, quantit, qualit e numero delle domande o delle risposte ossia il contesto in cui sono rese le opinioni. Dieci personaggi sgradevoli che dichiarino di votare contro qualcuno sono dieci opinioni a suo favore. Conclude poi la Corte, con lineare garantismo, che assolutamente indifferente quale sia il competitore favorito dall'illecito: basta che si faccia propaganda surrettizia per qualcuno, e si commette comunque l'illecito, che consiste, infatti nella attentata manipolazione della coscienza dei telespettatori. Il Pretore invece, diversamente argomentando, si solo preoccupato di determinare se tale complesso di interviste fosse orientato, in prevalenza, in favore di un partito, con una valutazione sicuramente insufficiente, anche alla luce della ratio della norma sanzionatoria, la quale non mira a tutelare mere formalit preelettorali, ma la libera determinazione dei cittadini in ordine al loro esercizio del diritto di voto. *** Concludendo, sorgono speranze dal nuovo rito di cui all'art. 1, XXVII co., legge 249/97 (9), in cui i termini sono ridotti alla met e il giudice amministrativo, trattandosi di giurisdizione esclusiva, dotato di pi ampi poteri istruttori, anche se si pu dubitare che possa applicarsi l'art. 35 D.lgs. 80/98 anche nel caso delle violazioni a mezzo stampa. per opportuno variare il procedimento sanzionatorio secondo l'agile schema della repressione della pubblicit commerciale clandestina, onde assicurare effettivit di tutela, nei ristretti tempi della campagna elettorale, a tale supremo interesse. ROBERTO DE FELICE (9) Va ricordato che il comma XXVII prevede la possibilit dell'appello con riserva dei motivi e la immediata esecutivit del solo dispositivo della sentenza di I grado. Il Tar pu addirittura decidere nel merito la causa alla udienza camerale sulla sospensiva. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 96 MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorrente denuncia, con il primo motivo, l'assoluta carenza di motivazione I[:=, della decisione impugnata poich, a prescindere dal fatto che per ammissione della : stessa societ opponente almeno tre risposte erano state sicuramente favorevoli al movimento politico Forza Italia o ai suoi alleati, il pretore nulla dice in merito alle ~: altre risposte raccolte nel corso del servizio. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione della legge 10 dicembre 1993, n. 515, ed il vizio di motivazione su punti decisivi. Con il terzo motivo il Garante denuncia l'ulteriore vizio di motivazione con riguardo ad uno dei presupposti dell'irrogazione della sanzione. La societ RTI deduce, con il proposto ricorso incidentale: a) il difetto di motivazione su aspetti decisivi della controversia con riguardo a quei profili dell'opposizione non esaminati dal pretore; b) l'illegittimit costituzionale degli artt. 1, comma terzo, e 2 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, e, conseguentemnte, degli artt. 9, 11, 13, e 15 del provvedimento integrativo del Garante del 26 gennaio 1994, per contrasto con l'art. 21 della Costituzione nella misura in cui la normativa vigente fosse da interpretare nel senso che le opinioni in ordine alle candidature ed alle forze politiche possono trovare espressione soltanto nelle forme tassativamente previste dalla citata legge, con esclusione di ogni altra forma; e) l'illegittimit costituzionale delle anzidette disposizioni di legge e di regolamento per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione, qualora esse fossero da interpretare nel senso di proibire ai soli giornalisti televisivi di esprimere, durante la campagna elettorale, il proprio voto o le proprie manifestazioni di preferenza o di simpatia per un candidato o un movimento politico. La Corte, disposta la riunione delle impugnazioni ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ai fini del corretto esame delle censure proposte dal Garante, rileva quanto segue relativamente al contenuto delle norme che si assumono violate. La legge 10 dicembre 1993, n. 515, recante la disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, premessa la regolamentazione dell'accesso ai mezzi di informazione (art. 1), stabilisce nel successivo art. 2, la cui rubrica ha ad oggetto la propaganda elettorale a mezzo stampa e radiotelevisiva, che, a partire da trenta giorni precedenti alla data delle votazioni, vietata la propaganda elettorale a mezzo di inserzioni pubblicitarie su quotidiani o periodici, spot pubblicitari e ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria radiotelevisiva; dal divieto sono eccettuati gli annunci di dibattiti, le tavole rotonde, le conferenze, i discorsi, le pubblicazioni o le trasmissioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di candidati o dei candidati, le pubblicazioni o le trasmissioni di confronto tra pi candidati. La medesima legge, allo scopo di consentire l'applicazione effettiva e puntuale delle previsioni in essa contenute, demanda (art. 1, comma terzo) al Garante per la radiodiffusione e l'editoria il compito di definire le regole alle quali gli editori di ! quotidiani e periodici, i titolari di concessioni e di autorizzazioni radiotelevisive in ~ ! .,,.,,,,.,,.,,,llllllllll~ll PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA clVILE ambito nazionale o locale, nonch tutti coloro che esercitano, in qualunque ambito, attivit di diffusione radiotelevisiva i quali intendano diffondere o trasmettere a qualsiasi titolo propaganda elettorale nel periodo di tempo innanzi indicato, debbono attenersi per assicurare l'attuazione del principio di parit nelle concrete modalit di utilizzazione degli spazi di propaganda, nonch le regole atte ad assicurare il concreto conseguimento della parit di trattamento anche nei programmi e servizi di informazione elettorale. L'art. 15 definisce il quadro sanzionatorio, con l'attribuzione al Garante del potere di irrogazione delle sanzioni ivi indicate. Per completezza mette conto di rilevare che la predetta Autorit ha adottato, in attuazione della delega di cui si detto, un regolamento il quale dispone, per quanto qui rileva, che le trasmissioni di propaganda elettorale possono realizzarsi nelle formule e nelle modalit definite dalla singola emittente secondo criteri che, in relazione ai tempi destinati alla trasmissione, consentano, in condizioni di parit, una corretta illustrazione delle rispettive posizioni da parte dei singoli competitori (art. 13). Mentre, poi, il successivo art. 15 include nella nozione di pubblicit, oltre gli spot, le trasmissioni contenenti esclusivamente elementi di spettacolarizzazione, scene artificiosamente accattivanti anche per la non genuinit di eventuali prospettazioni, slogan, inviti al voto non accompagnati da un'adeguata, ancorch succinta presentazione politica di candidati e/o di programmi e/o di linee; le trasmissioni che usano, attraverso elementi atti a destare rifiuto, le stesse tecniche di suggestione di cui innanzi per dare un'immagine esclusivamente negativa dei competitori. La normativa in esame, introdotta a distanza di alcuni mesi dalla emanazione della legge 25 marzo 1993, n. 81, che nel disciplinare l'elezione diretta del Sindaco, del Presidente del Consiglio comunale e del Consiglio Provinciale, contiene nell'art. 28 una dettagliata regolamentazione dell'accesso alla stampa ed ai mezzi di informazione radiotelevisiva, costituisce una rilevante innovazione in materia di disciplina della propaganda elettorale, fino ad allora limitata alle previsioni di cui alla legge 4 aprile 1956, n. 212, concernente l'affissione di stampati, giornali murali o manifesti, successivamente integrata ed aggiornata (legge 24 aprile 1975, n. 130). Poich il divieto sanzionato con la disposizione da ultimo indicata concerne la propaganda elettorale ed ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria radiotelevisiva , opportuna una sommaria indicazione sul significato che, ad avviso della Corte, queste espressioni assumono nel contesto normativo. Il termine propaganda indica, come noto, quella particolare forma di comunicazione mediante la quale si trasmettono conoscenze ad una cerchia determinata di destinatari; con esso si allude, in sostanza, ad un'attivit diretta a diffondere in modo sistematico determinati messaggi allo scopo di creare nei fruitori un'immagine positiva o negativa di certi specifici fatti, e di suscitare la spinta al compimento di comportamenti conformi alle aspettative dell'autore del messaggio. La propaganda elettorale quella specifica attivit che si svolge nell'ambito del procedimento preparatorio della scelta e che volta ad influire sulla volont degli aventi diritto al voto nel periodo che precede le elezioni. Essa si connota, come questa Corte ha pi volte rilevato, esaminando la questione nel versante penalistico, per la sua inerenza, diretta o indiretta, alla competizione elettorale, sia quando ha, come scopo immediato o mediato, quello di acquistare voti o sottrarne agli avversari, sia RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO quando ha come scopo, anche mediato, di convincere l'elettore a non votare, oppure a presentare scheda bianca, a rendere il voto nullo o ad esprimerlo in modo inefficace (per tutte: Cass. penale 26 giugno 1989). La pubblicit elettorale o politica, pur costituendo una manifestazione del pen siero in forma di propaganda, fondata sull'impiego di tecniche usate dal mercato ~ commerciale, e si sostanzia, come si potuto rilevare in occasione di recenti ele~ i zioni, in un'attivit promozionale che finisce con il trattare i soggetti politici ed i loro programmi alla stregua di un prodotto commerciale; il messaggio, infatti, enunciato privilegiando l'immagine e la tecnica di rappresentazione rispetto al contenuto, con la scoperta finalit di Catturare il consenso del destinatario. I La propaganda, in quanto caratterizzata da una valenza manipolativa e persuasiva poich il messaggio che a suo mezzo viene trasmesso ha la finalit di provocare l'adesione dei destinatari verso l'opzione enunciata dall'autore della comunicazione, si distingue concettualmente dall'informazione, ma come avvertono gli studiosi della comunicazione, la distinzione, agevole in astratto, pu in concreto presentare difficolt nei casi limite. Risulta evidente, alla stregua di tali premesse, la concreta portata dell'illecito sanzionato nell'art. 2 che appare definito nei suoi effettivi contorni, ponendo esso il divieto di propaganda elettorale, oltre che a mezzo di spot, a mezzo di ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria, nel dichiarato intento di assicurare la parit di trattamento fra tutti i partecipanti alla competizione elettorale, enunciato nell'art. 1, gi citato. La norma viene, poi, specificata con le indicazioni di cui all'art. 15 del provvedimento del Garante del quale si detto, ma il complessivo apparato normativo cos articolato non denota gli aspetti di illegittimit dedotti nella discussione dal difensore della societ controricorrente il quale ha posto in dubbio la legittimit della integrazione del precetto contenente la sanzione con una fonte secondaria, quale il citato regolamento, sotto il profilo della violazione del principio di legalit. L'obiezione non si palesa, tuttavia, fondata poich nel caso in esame, come si rileva agevolmente dal confronto fra le disposizioni contenute nei d~e atti normativi, l'atto normativo secondario ha la funzione di precisare, sul piano semantico, gli elementi della fattispecie determinati in via legislativa nel loro nucleo essenziale, sicc~ la specificazione della condotta vietata contenuta nella norma regolamentare appare del tutto consentita, trattandosi del mero richiamo al significato corrente delle locuzioni adottate nella previsione della legge, senza porsi in contrasto con il testo di essa. Va, conseguentemente, esclusa la postulata lesione del principio di legalit operante anche nel campo delle sanzioni amministrative ai sensi dell'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale del tutto salvaguardato quando, come nella specie, la previsione sanzionatoria dell'illecito amministrativo richiama elementi normativi extragiuridici, come quelli di propaganda, pubblicit, e simili, il cui significato nel contesto sociale di riferimento agevolmente percepibile. La norma, poi, neppure si pone in contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione, secondo la prospettazione della controricorrente (terzo motivo del ricorso incidentale condizionato). j= Ed invero, quanto alla prima delle due citate norme costituzionali, la dedotta i:: disparit di trattamento che si ravviserebbe rispetto alla carta stampata, giustifica-!i .. I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE ta e razionale avuto riguardo, per un verso, alla diversa capacit espansiva della televisione rispetto ai giornali, per i quali la legge, del resto, contiene analoghi divieti, per altro verso, alle modalit di accesso del pubblico con tali mezzi di informazione, modalit pi immediate e pi agevoli relativamente al mezzo televisivo. Per quanto concerne l'asserito contrasto con la norma dell'art. 21 mette conto di rilevare che se, da un lato, qualsiasi normativa volta a regolare in modo organico la propaganda politica nel periodo che precede le consultazioni elettorali deve misurarsi con le garanzie costituzionali poste a tutela della libert di manifestazione del pensiero, dall'altro lato occorre tenere conto del peculiare modo di essere di questa fondamentale situazione giuridica costituzionalmente garantita nel senso che il diritto del singolo di esprimere il proprio pensiero riconosciuto non soltanto al fine di consentire all'uomo di comunicare con il proprio simile, ma anche con riguardo al suo rilievo sociale, nell'ottica del corretto funzionamento del sistema democratico e ci comporta, secondo la linea costantemente espressa dal Giudice delle leggi, la legittimit costituzionale di disposizioni limitatrici di determinate forme di propaganda elettorale, atteso che la disciplina delle modalit di esercizio di un diritto non costituisce per s stessa lesione del diritto medesimo, sempre che le restrizioni che ne derivano non siano tali da comportare lo snaturamento del diritto (in tal senso: Corte Costituzionale 9 maggio 1985, n. 138). E nel caso di cui si tratta questa evenienza non si configura atteso che l'area del divieto circoscritta alla propaganda elettorale a mezzo di inserzioni pubblicitarie e ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria televisiva, mentre non operante relativamente alle altre forme di comunicazione indicate nella norma e delle quali si innanzi riferito. In tal modo la disposizione, lungi dal contrastare con la Costituzione, ne attua puntualmente i principi da essa desumibili, quali il rispetto della libert di scelta degli elettori e della democraticit della competizione elettorale, coordinando la libert di manifestare il pensiero con quella degli altri cittadini, di formare le proprie determinazioni senza essere illegittimamente prevaricati da una propaganda scorretta, ed altres con il carattere democratico della Repubblica (art. 1) che impone la partecipazione ad armi pari alla competizione elettorale, valori chiaramente emergenti dagli artt. 48 e 49 della Costituzione, surrettiziamente insidiati da una tale forma di propaganda. Alla stregua di quanto sin qui osservato ne deriva che costituisce trasmissione propagandistica vietata ai sensi della legge 515/1993, non soltanto quella in cui sia nominativamente indicato il candidato o il gruppo politico a cui vantaggio venga apertamente fatta (come mostra di ritenere il Pretore), ma anche quella che, pur non riferendosi specificamente all'uno o all'altro, sia idonea, attraverso l'intervista casuale, ad esercitare sullo spettatore una tale capacit suggestiva da orientarne le libere scelte, senza che rilevi la individuazione della parte politica a favore della quale operi siffatta incidenza. In altri termini, il sistema introdotto con la legge di cui si tratta comporta che il messaggio informativo deve rispettare i canoni della correttezza, dell'obiettivit, della completezza e dell'imparzialit, sia in relazione ai contenuti, sia in relazione alle modalit, evitando le ambiguit degli accostamenti accattivanti o delle tendenziose supposizioni e ogni altra forma di comunicazione surrettizia o deformante anche per l'o - RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 100 missione di particolari o di circostanze rilevanti per l'esatta rappresentazione dei fatti, secondo il testuale tenore del protocollo di intesa sottoscritto dalle concessionarie radiotelevisive RAI e FININVEST in data 18 febbraio 1994 per rego~![ x lare in modo uniforme lo svolgimento delle trasmissioni di carattere politico - elettorale in vista delle elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994, e ci vale quanto dire che la sfera di operativit del divieto comprende, sia la propaganda trasparente , sia quella che tale non , ma che riveste un maggior grado di scorretI' '. . tezza, proprio perch agisce in modo pi insidioso ed ha una maggiore potenzialit adescatrice. Evidenziate in tal modo le coordinate lungo le quali si muove il sistema normativo del quale si discute, da ci consegue l'accoglimento del ricorso principale e la cassazione della sentenza impugnata. Il giudice del merito, infatti, avendo posto a base delle decisione di accoglimento dell'opposizione il dato per il quale soltanto un numero esiguo di intervistatori si era espresso in senso favorevole al movimento politico di Forza Italia, ha, per ci stesso assunto una non corretta premessa circa i connotati dell'illecito, la cui materialit consiste, secondo quanto si esposto, nell'attuazione di una propaganda elettorale a mezzo di trasmissione pubblicitaria a favore di uno qualunque dei competitori. Inoltre, non si rinviene, nelle scarne proposizioni nelle quali si articola la decisone impugnata, adeguata motivazione neppure con riferimento alla identificazione del beneficiario della propaganda. A tal fine, infatti, sarebbe stato necessario procedere ad una valutazione contestuale delle domande e delle risposte, essendo del tutto evidente che soltanto la disamina globale delle une e delle altre avrebbe consentito di accertare la sussistenza o meno della contestata infrazione, secondo la linea innanzi. Quanto al ricorso incidentale, rilevata la manifesta infondatezza delle questioni di legittimit costituzionale con esso dedotte con il secondo ed il terzo motivo, quanto alla doglianza espressa con il primo motivo, esso inammissibile poich inerisce a questioni non esaminate nel giudizio di merito e che potranno riemergere in sede di rinvio. Pertanto, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per un nuovo esame alla Pretura circondariale di Milano, in persona di diverso magistrato. Il giudizio di rinvio proceder ad un nuovo esame sulla base di quanto innanzi esposto e provveder anche sulle spese del giudizio di cassazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 gennaio 1998 n. 483 -Pres. Grieco -Est. Cappuccio -P.G. Lo Cascio (cont). -Marana ed altri (avv. Ricca) c. Assessorato BB.CC.AA. e P.I. Regione siciliana (avv. Stato Laporta). Espropriazione per pubblica utilit -Opposizione a stima -Opposizione riconvenzionale Termine di cui all'art. 19 legge n. 865/1971 -Inapplicabilit Art. 167 cod. proc. civ. -Applicabilit. (legge 22 ottobre 1971 n. 865, art. 19; cod. proc. civ., art. 167). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 101 Espropriazione per pubblica utilit -Indennit -Terreni edificabili e terreni agricoli -Tertium genus -Incontigurabilit. (legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis). Il convenuto in giudizio di opposizione a stima d'immobili espropriati pu proporre, a propria volta, opposizione nei modi e termini propri della domanda riconvenzionale (1). In base all'art. 5 bis legge 8 agosto 1992 n. 359 va esclusa qualsiasi rilevanza alle qualit non agricole d'un terreno, di cui debbano escludersi le possibilit legali ed effettive di edificazione, rimanendo per ci stesso inconfi.gurabile, ai fini della determinazione dell'indennit d'esproprio, un tertium genus di aree accanto a quelli della dicotomica, ed esaustiva, indicazione della norma. (Nella specie, stata cassata la sentenza di merito che aveva maggiorato il valore agricolo del terreno espropriato in considerazione del premio che sarebbe spettato al proprietario in caso di ritrovamento di reperti archeologici) (2). (omissis) Col primo motivo di ricorso, sostengono Paolo Marana e litisconsorti che la sentenza impugnata incorsa in violazione dell'art. 19 della legge n. 865/1971 per aver ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal1' Assessorato siciliano con comparsa depositata in causa il 12 novembre 1990, mentre avrebbe dovuto dichiararne la tardivit, perch proposta ben oltre i trenta giorni sia dalla comunicazione della stima della indennit d'esproprio da parte della competente Commissione (datata 29 maggio 1990ecomunicata1'8 giugno 1990 a cura dell'ufficio locale dello stesso Assessorato) sia dall'emissione del decreto ablativo, datato 2 ottobre 1990. Il motivo infondato. Questa Corte ha gi precisato che la tempestiva opposizione alla stima da parte di uno dei soggetti legittimati fa venir meno l'efficacia vincolante della stima stessa per tutti i soggetti del rapporto espropriativo. Ne consegue che sia l'espropriato -nel caso che l'opposizione sia stata proposta dall'espropriante -sia l'espropriante -nella normale ipotesi contraria -possono avanzare richieste in ordine all'accertamento dell'indennit, sia che si ritenga che l'opposizione comporta il potere-dovere del giudice adito di stabilire autonomamente il quantum della indennit effettivamente dovuta, indipendentemente dalle richieste (1) Principio pacifico, avuto riguardo al sorgere dell'interesse alla contro-impugnazione della stima amministrativa, determinato dalla opposizione avversaria. (2) Corte Cost. 23 luglio 1997 n. 261 ha escluso che. la dicotomia risultante dalla scelta operata dal legislatore, con la disposizione dell'art. 5 bis, possa dirsi viziata da irragionevolezza od arbitrariet e che la stessa sia, di per s, tale da pregiudicare il serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato. Sull'interpretazione della formula possibilit legali ed effettive di edificazione (di cui al terzo comma dell'art. 5 bis), l'orientamento che va consolidandosi nella giurisprudenza di legittimit (e non del tutto compiutamente desumibile dalla sentenza in rassegna) , sostanzialmente, nel senso che la edificabilit di fatto -da considerare mero criterio sussidiario -rilevi unicamente allorch la situazione che la sostanzia sia suscettibile di evolversi senza contrasto con gli strumenti urbanistici (o perch questi manchino o perch, pur esistenti, nulla prescrivano per la zona nella quale compreso il terreno espropriato). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.,, 102 formulate al riguardo dalle parti (Cass. 6 maggio 1994 n. 4429), e, in conseguenza, che le deduzioni dell'opposto, pur se divergenti da quelle dell'opponente, non con figurano una domanda riconvenzionale, soggetta alle relative preclusioni (Cass. 4429/95 e 6790/92), ma l'enunciazione di semplici punti di vista, sia che si assuma che una volta iniziata la fase giurisdizionale dell'opposizione alla stima, da parte di uno dei due soggetti legittimati del rapporto espropriativo, la domanda riconven zionale dell'altra parte, pur rivolta alla determinazione della giusta indennit, possa essere validamente proposta nelle forme e nei termini del codice di rito, senza che sia pi vincolata al termine per l'opposizione (Cass. 3 aprile 1995, n. 3902). Col secondo motivo del ricorso principale si sostiene la violazione dell'art. 5 bis della legge 359/92 e comunque la insufficiente e contraddittoria motivazione, per non aver la Corte di Messina considerato sufficiente, a ritenere la natura edificato ria del terreno espropriato, la chiara vocazione edificatoria di fatto emergente dalla collocazione dell'area nel pieno abitato del Comune Giardini di Naxos, in un com prensorio interamente urbanizzato, limitando ogni indagine sul valore ai fini del calcolo delle indennit di espropriazione ad utilit diverse (quale quella correlata al , premio per il ritrovamento di eventuali reperti). A sua volta l'Avvocatura, con l'unico motivo di ricorso incidentale, sostiene la violazione e falsa applicazione della stessa norma di legge, nonch degli artt. 16 della legge 865/1971 e 44, 46, 47 e 49 della legge 1089/1939, per la indebita mag giorazione del valore agricolo del terreno, operata in contrasto col disposto del quar to comma dell'art. 5 bis della legge 359/92, ed in difetto dei presupposti dettati dalla legge sulla tutela delle cose di interesse storico ed artistico. Questa Corte ha pi volte statuito che la dizione del terzo comma dell'art. 5 bis legge 359/92 (Per la valutazione della edificabilit delle aree, si devono considera re le possibilit legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposi zione del vincolo preordinato all'esproprio) impone di ritenere la natura edificato ria del terreno solo nel concorso di entrambe le possibilit (o vocazioni) dell'area (1 agosto 1997 n. 7152; 9 giugno 1997 n. 5111; 11 dicembre 1996 n. 11037; 28 marzo 1996 n. 2856) riconoscendo quindi sul piano letterale alla particella e un valore cumulativo anzich disgiuntivo e, su quello sistematico, la peculiarit del concetto di edificabilit adottato dalla norma in esame. noto che, sulla assolutezza del vincolo di inedificabilit posto dall'art. 11.2 della legge 1089/1939 si pronunci in senso dubitativo questa Corte (Cass. 14 dicembre 1979 n. 6519) nell'assunto che indimostrato ed indimostrabile che l'edi ficazione comporti per sua stessa natura, sempre e necessariamente, un uso del reperto archeologico incompatibile con il suo carattere storico o, comunque, tale da recare pregiudizio alla sua conservazione ed integrit, rinvenendo di tale interpre tazione testuale conferma nell'ampia possibilit di deroga prevista dall'art. 18 della stessa legge 1089/1939. La pronuncia, variamente accolta in dottrina, non in con trasto, peraltro, con la successiva giurisprudenza di questa Corte che ha escluso l'e dificazione quando l'interesse archeologico non gi inerisca e rimanga circoscritto a determinati resti presenti nell'area, sibbene si correli al luogo stesso nel suo com plesso, quale sede di una pluralit di reperti testimonianti uno specifico assetto sto rico di insediamento (Cass. 23 marzo 1993 n. 3451) riaffermando cos l'assolutez za del vincolo con riferimento specifico al sito dell'antica citt di Naxos (conf. Cass. PARTE I, SEZ. lll, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 12 agosto 1976 n. 3033). Del resto, i ricorrenti principali non solo non contestano la motivata qualificazione del vincolo data dalla sentenza impugnata, ma ne riconoscono espressamente la esattezza (ricorso, c. 10-11) ed quindi incensurabile, sotto questo profilo, la decisione della Corte di merito che, di fronte al gi richiamato articolo 5 bis della legge 359/92, sopravvenuto in corso di causa ma applicabile, per espressa disposizione di legge, con efficacia retroattiva, non poteva adottare altra soluzione che negare l'edificabilit dell'area. La censura -del ricorso incidentale -di inesistenza dei presupposti dettati dagli artt. 44, 46, 47 e 49 della legge 1 giugno 1939 n. 1089, generica e, in ogni caso, non provata. Il difetto dei condizionanti presupposti dettati dagli artt. 44, 46, 47 e 49 della legge 1 giugno 1939 n. 1089, espressione che esaurisce il primo profilo dell'unico motivo di censura proposto dall'Assessorato siciliano va rigettato perch non consente di comprendere se si intende lamentare l'assenza di ritrovamenti (art. 44.1 e 49), la mancanza di un accordo sul premio (artt. 46 e 47), o l'invasione della competenza esclusiva dell'apposita commissione (artt. 44.3, 46.4, 47.5 e 49.4); n sussistono, d'altra parte, delle emergenze fattuali che consentano, sia pure per relationem, di chiarire il dubbio. Va, invece, esaminato l'ulteriore motivo, a sostegno della stessa censura incidentale dell'Assessorato siciliano, circa la riconoscibilit di una categoria di beni intermedia tra quelli edificabili e quelli agrari. Secondo la regione ricorrente, tale possibilit risulterebbe esclusa dalla lettera del 4 comma dell'art. 5 bis legge n. 359/92, perch l'affermazione che Per le aree agricole e per quelle che, ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili, si applicano le norme di cui al titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni imporrebbe una dicotomia, tra aree edificabili ed aree che tali non sono, esaustiva della materia. noto che, anteriormente all'entrata in vigore del richiamato art. 5 bis legge 359/92, la giurisprudenza di legittimit aveva sistematicamente riconosciuto una terza categoria, intermedia tra terreni edificabili e terreni agricoli, che ricomprendeva tutti quegli immobili che, pur non edificabili, erano tuttavia suscettibili di utilizzazioni diverse e pi proficue di quella meramente agricola (parcheggio: S.U. 13596/91, 2685/87; cava: 9598/92, 12085/90, 2061J'.91; campeggio: 1988/87 e, quanto ai terreni gravati da vincolo archeologico, 4097/90 ed altre). Peraltro, il comma 4 dell'art. 5 bis della legge 359/92 distingue soltanto tra beni edificabili e beni che tali non sono, determinando questa seconda categoria in negativo (per le aree agricole e per quelle che ... non sono classificabili come edificabili; e cfr. in tal senso Cass. 18 agosto 1997 n. 7663) ed assoggettandola integralmente alla disciplina dettata dal titolo II della legge 865/71 che, nella sua portata residua dopo l'intervento della Corte costituzionale 30 gennaio 1980 n. 5, ammette solo il calcolo tabellare dell'indennit (Cass. 16 luglio 1997 n. 6510). Si deve, quindi, concludere che, nel dettare l'art. 5 bis della legge 359/92 il legislatore, senza peraltro essersi dato carico di tutti gli interrogativi e le motivazioni che giustificavano il diritto vivente precedente, ha escluso la rilevanza delle qualit non agricole del terreno -ove non ne concretino la vocazione edificatoria ed ha previsto la liquidazione indifferenziata dell'indennit secondo i residui parametri degli artt. 16 e ss. della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modifiche. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 104 CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 13 febbraio 1998, n. 1561 -Pres. Varrone -Rei. Segreto -Piazza Giuseppe (avv. Farina) c. Ministero Difesa (avv. Stato Giordano), Assitalia (avv. Mazz). Assicurazioni -Assicurazione obbligatoria per la circolazione stradale -Risarcimento del danno -Sinistro avvenuto su area pubblica .o ad essa equiparata -Azione diretta del terzo danneggiato nei confronti della societ assicuratrice -Ammissibilit -Polizza relativa ai danni subiti su area privata Efficacia tra le parti contraenti. L'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilit civile (art. 18 legge 24 dicembre 1969 n. 990) ammissibile soltanto se il sinistro avvenuto in area pubblica o ad essa equiparabile in quanto transitabile da un numero indeterminato di persone (artt. 1 e 2 d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393; artt. 1 legge 990 del 1969 cit. e 2 del d.P.R. 24 novembre 1970 n. 973), diverse dai titolari di diritti su di essa, mentre l'assicurazione anche per i danni su aree private rileva soltanto tra le parti del contratto (massima ufficiale) (1). (omissis) Con un primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 e.e., in relazione alla mancata indagine sulla colpa nella causazione del fatto e pi particolarmente riguardo ai criteri di comune diligenza, alle norme di prudenza ed alle regole di guida ricavate dal codice della strada e dalla comune esperienza e dal buon senso, nonch il vizio motivazionale sul punto di assegnazione della colpa esclusiva ad esso attore ricorrente. In particolare ritiene il ricorrente che erra la Corte di merito nell'escludere la responsabilit del conducente del camion per mancata concessione della precedenza all'auto proveniente da destra solo perch la visuale dell'imbocco di detta strada (da cui proveniva esso Piazza) era impedita da altri autocarri militari in sosta; che, (1) La sentenza conforme ad un costante orientamento giurisprudenziale che ammette l'azione diretta del terzo danneggiato nei confronti della societ assicuratrice soltanto nell'ipotesi in cui di sinistro cagionato da veicoli circolanti in un'area aperta al pubblico o ad essa equiparata (Cass., 9 febbraio 1998, n. 1321; Cass., 15 aprile 1996, n. 3538, in Foro it., 1996, I, 1596). A tal fine si deve aver riguardo non gi al luogo ove il sinistro si verificato, ma al luogo dove avvenuta la circolazione del veicolo che ha prodotto il danno (Cass., 15 aprile 1996, n. 3538, cit.). In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che ai fini dell'esperibilit dell'azione diretta irrilevante che l'area in questione sia pubblica o privata, essendo determinante l'uso pubblico della stessa (Cass., 12 fabbraio 1996, n. 1062, inArch. giur. circ. strad., 1996, 748, la quale ha precisato che per uso pubblico si intende l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone e cio la possibilit giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico; Cass., 12agosto1995, n. 8846, inArch. giur. circ. strad., 1996, 547; Cass., 7 maggio 1992, n. 5414, in Arch. giur. circ. strad., 1992, 1006). Pertanto, se il sinistro stato cagionato da un veicolo circolante in area non aperta al pubblico, nell'accezione considerata, il terzo danneggiato non dispone di un'azione diretta nei confronti della societ assicuratrice. Infatti, ove la polizza assicurativa sia stata stipulata anche per coprire tale ipotesi, il danneggiato estraneo rispetto al rapporto contrattuale intercorrente tra assicuratore e assicurato (Cass., 21 aprile 1997, n. 3426; Cass., 27 dicembre 1991, n. 13925, in Giust. civ., 1992, I, 2745). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE in ogni caso, la velocit dell'auto di esso attore era ridotta, mentre quella dell'auto carro era elevata. Ritiene questa Corte che detto motivo di ricorso fondato. Va, anzitutto, rilevato che il danneggiato da un sinistro stradale ha azione diret ta nei confronti dell'assicuratore del responsabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 18 legge 24 dicembre 1969 n. 990, soltanto per i sinistri cagionati da veicoli posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate. A questo fine indifferente la natura pubblica o privata dell'area aperta alla circolazione, essendo rilevante soltanto l'uso pubblico della stessa, per tale intendendosi l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone e cio la possibilit giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico, ossia di tutti i soggetti diversi dai titolari dei diritti sull'area stessa (Cass. 15 aprile 1996, n. 3538; Cass. 12 febbraio 1996, n. 1062). Nella fattispecie la sentenza impugnata ha ritenuto, in punto di fatto, che tale fosse quella parte dell'aereoporto militare di Sigonella in cui si verificato l'incidente in questione e che, quindi, fosse ammissibile l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore. Il punto non stato oggetto di censure. Ed solo questo il motivo per cui pu ritenersi ammissibile l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore di r.c.a., mentre non esatto, quanto affermato dalla sentenza impugnata, come seconda autonoma ragione, secondo cui l'azione diretta era, in ogni caso, ammissibile, poich la polizza assicurativa copriva anche i sinistri avvenuti in aree private o in comprensori militari. Infatti il principio che l'azione diretta ammissibile solo per i danni conseguenti a circolazione su strade pubbliche o equiparate non derogato dalla previsione contrattuale di un'estensione della copertura assicurativa anche per i sinistri stradali avvenuti su aree private, in quanto tale estensione produce i suoi effetti soltanto tra le parti del contratto di assicurazione, ma non rende ammissibile un'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicurazione del danneggiante. Premesso ci e ritenuto, quindi, come fatto ormai accertato che la circolazione sull'area in questione era equiparabile, per la possibilit di accesso da parte di un numero indeterminato di persone, alla circolazione su area pubblica, ne consegue che detta circolazione andava regolata direttamente dalle norme del codice stradale. Dette norme, cio, non vanno applicate come ritenuto dalla corte di merito, come parametri di comune prudenza, da applicarsi su un'area privata, per cui esse non troverebbero un'applicazione per cos dire diretta, ma costituirebbero solo il contenuto della comune prudenza, quale formatasi nella coscienza dei consociati. Il principio sarebbe in astratto esatto se si fosse trattato di area privata non aper ta al pubblico transito (dove l'aggettivo pubblico non necessariamente individua tutta la collettivit ma sta a significare che su detta area pu accedere un numero indeterminato di persone). Tuttavia, avendo la corte di merito ritenuta ammissibile l'azione diretta proposta ex art. 18 legge n. 990/69 contro l'assicuratore, anche sul l'autonomo presupposto che si trattava di area privata equiparata ad area pubblica, proprio per effetto del traffico aperto al pubblico, conseguentemente doveva ritene re detta equiparazione del luogo, ove si verific l'incidente, anche ai fini dell'appli cabilit in via diretta (e non mediata, quale contenuto della nozione di comune pru denza) delle norme del codice della strada. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 106 e. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 107 zione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell' evento dannoso. Infatti tale diritto di precedenza non esonera il conducente, che ne fruisce, dall'obbligo di osservare le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti della prudenza, sicch, anche nel caso di palese colpa del conducente del veicolo proveniente da sinistra per non aver dato la precedenza al conducente proveniente da destra, l'inosservanza da parte di quest'ultimo delle norme e dei precetti suddetti (in particolare, di ridurre la velocit agli incroci, ai sensi dell'art. 102, c. 1 e 2, tanto pi se si rende conto che la situazione ambientale rende difficoltoso il suo avvistamento) pu comportarne l'affermazione della colpa concorrente (Cass. 6 aprile 1978, n. 1593; Cass. 25 maggio 1987, n. 4689). Il giudice, quindi, ove anche accerti la responsabilit di uno dei conducenti, per infrazione dell'obbligo di dare la precedenza, non esentato dal verificare se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa dell'altro conducente danneggiato (omissis). La sentenza impugnata va, dunque, cassata e la causa va rinviata ad altro giudice di appello, che si designa nella Corte d'appello di Messina. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 19 febbraio 1998 n. 1761 -Pres. Meriggiala Est. Limongelli -P.G. Ceniccola (parz. diff.) -Gaggi (avv. Pacciarini) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Giordano). Responsabilit civile Fatto costituente reato Successiva abolitio criminis Rilevanza sull'azione risarcitoria Esclusione. (cod. civ., artt. 2043, 2059; cod. pen. art. 185) Il danno prodotto da un fatto ingiusto risarcibile pur quando, per effetto di successiva abolitio criminis, sia venuta meno la connotazione di illecito penale che caratterizzava il fatto dannoso al momento della sua commissione (1). (1) Abolitio criminis e risarcimento del danno La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in tema di rapporti tra illecito penale e ille cito civile, interviene con una sentenza che costituisce un novum: non risultano infatti preceden ti decisioni sul punto. Il caso posto all'attenzione del Supremo Collegio riguarda l'ammissibilit della domanda di risarcimento del danno a seguito di condotta qualificata dal giudice penale come peculato per distrazione. Il problema non di poco momento, considerato che, nelle more dei vari giudizi penali e civili, il peculato per distrazione, fatto penalmente rilevante ex art. 314 secondo comma c.p.p. nel 1972, tempus commissi delicti, ha cessato di esserlo al momento della pronuncia del giudice civi le. Difatti la legge 86/90 di riforma dei reati contro la P.A., nel sopprimere il secondo comma del citato art. 314, ha sostanzialmente riversato alcune delle ipotesi di cui all'abrogato peculato per distrazione nell'ambito dell'art. 323 c.p.p., cos come nuovamente formulato; ed altres di gran de attualit, considerati i continui mutamenti che subiscono le leggi penali sostanziali nel tentati vo di tecnica legislativa volta al raggiungimento della massima tipicizzazione dell'illecito pena le, in ossequio al principio di tassativit. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 108 (omissis) Col primo motivo il ricorrente, sul rilievo che con l'entrata in vigore della legge n. 86 del 1990 i fatti addebitatigli nel procedimento penale non avrebbero pi potuto considerarsi punibili a titolo di peculato per distrazione, sostiene che, tanto verificato, la corte di merito avrebbe dovuto, per ci solo, escludere che l'azione civile, proposta contro di lui dall'l.N.G.l.C. nel processo penale in relazione a detto specifico titolo di reato, potesse essere riproposta dinanzi al giudice civile. Lamenta, quindi, che in violazione degli artt. 185 cod. pen. e 2043 cod. civ., la Corte perugina, eccedendo i limiti delle sue attribuzioni, si sia interrogata circa la sussumibilit di quegli stessi fatti entro l'ambito di previsione dell'art. 323 cod. pen, come riformulato dalla novella legislativa e, risolvendo positivamente la questione, abbia ritenuto che essi potessero assumersi in considerazione sotto specie di illecito civile. La doglianza non ha fondamento. Qualsiasi fatto ingiusto obbliga, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., chi lo ha commesso a risarcire il danno ed il risarcimento dovuto indipendentemente dalla rispondenza del fatto ad una qualsiasi ipotesi di reato. Questo principio trova riscontro: 1) nell'art. 185 cod. pen. che (contrariamente a quanto sembra sostenere il ricorrente) non dispone che il danno provocato da uno specifico titolo di reato sia risarcibile soltanto se al momento della pronunzia giudiziale il fatto corrisponda ancora a quella specifica ipotesi criminosa, ma, riproducendo implicitamente l'enunciato principio di ordine generale, statuisce che ogni reato obbliga il colpevole al risarcimento solo se ed in quanto sia al contempo lesivo di un interesse civilmente tutela- Il risultato dell'operazione stata una delimitazione della incriminazione penale, con eliminazione dal novero della sfera del punibile di ipotesi con riferimento alle quali pi facilmente, secondo la vecchia legislazione potevano avvenire confusioni tra area del lecito ed area dell'illecito, ed indebite intromissioni del potere giudiziario nell'esercizio della discrezionalit amministrativa. Il quesito risolto con la sentenza in esame se spetti alla vittima del reato, o comunque alla parte offesa, il diritto al risarcimento del danno quando medio tempore l'illecito sia stato depenalizzato (o modificato) a seguito di ius superveniens, tale per cui il fatto commesso non sia pi sussumibile sotto la abrogata norma incriminatrice. Alla stregua del ragionamento posto in essere dalla Corte il problema non sposta sostanzialmente i suoi termini, sia che la successione di leggi penali realizzi un'ipotesi di abrogatio criminis (art. 2, secondo comma c.p.), ovvero un'ipotesi di semplice modificazione (art. 2, terzo comma c.p.), atteso che in ogni caso preclusa al giudice civile la possibilit di analizzare il fatto nella prospettiva penalistica. Se questo il principio base affermato in sentenza, dall'analisi della motivazione emergono ulteriori punti fermi: a) l'art. 2 c.p. opera e rileva esclusivamente nell'area penale; b) l'illecito penale e l'illecito civile si pongono su piani totalmente differenti; e) la norma penale e conseguentemente la fattispecie ivi sanzionata esauriscono la loro rilevanza nell'ambito dello specifico ordinamento che le contempla; d) il fatto non pi penalmente rilevante rileva e genera una responsabilit civile solo se, riguardato alla stregua dei principi propri di quell'ordinamento, contenga gli elementi costitutivi dell'illecito civile. Tale ultima valutazione va condotta con riferimento alle leggi civili vigenti al tempo della commissione del reato, rectius al tempo in cui il fatto stato compiuto ed in cui il diritto al risarcimento sorto. PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 109 to e, quindi, produttivo di un danno ingiusto (ogni reato che 'abbia' cagionato un danno obbliga al risarcimento); 2) nell'abrogato codice di procedura penale 1930 (vigente quando il Gaggi fu convenuto in primo grado), che vietava la riproposizione dinanzi al giudice civile dell'azione risarcitoria, gi proposta dinanzi al giudice penale, soltanto se il giudizio penale fosse stato definito con una pronunzia, che (consistendo nella dichiarazione che il fatto non si era verificato o che l'imputato non lo aveva commesso o che il fatto era stato compiuto rtell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolt legittima ovvero che non era sufficiente la prova che il fatto fosse avvenuto o fosse stato commesso dall'imputato) avesse implicitamente escluso o avesse ritenuto insufficientemente provata la responsabilit dell'imputato, oltre che in ordine ad una qualsiasi fattispecie criminosa, anche in ordine ad una ipotesi di illecito civile, e, quindi, non precludeva la riproposizione dell'azione civile qualora il giudizio penale si fosse concluso con una pronunzia, che, escludendo soltanto la ravvisabilit nel fatto di estremi di reato, non avesse presupposto anche la liceit del fatto agli effetti civili; 3) nel vigente codice di procedura penale (1988), che, non avendo riprodotto la disposizione dell'art. 25 c.p.p. 1930, ispirato al principio della piena autonomia dell'azione civile da quella penale (Cass. 7 febbraio 1996, n. 1501; Cass. 7 maggio 1997 n. 3992). Dallo stesso fatto possono, dunque, scaturire, rispettivamente nella sfera civile e in quella penale, due distinte conseguenze di ordine sanzionatorio (il risarcimento e la pena), che non sempre concorrono, ma sempre si pongono, l'una rispetto all'altra, in termini di reciproca indifferenza, nel senso, beninteso, che ciascuna di esse soggiace ad una propria disciplina giuridica, distinta e indipendente da quella cui soggiace l'altra. Ci comporta che il danno prodotto da un fatto ingiusto risarcibile sia nel caso in cui Qualora, come nel caso posto all'attenzione della Corte, nella condotta posta in essere siano ravvisabili gli elementi costitutivi di cui all'art. 2043 e.e. sorge in favore del titolare del diritto offeso il conseguente diritto al risarcimento. Ci che rileva quindi a tale fine non la qualificazione penale del fatto come reato, ma la sua antigiuridicit, quale lesione di un diritto, da cui deriva l'ingiustizia del danno arrecato. Qualche perplessit pu sorgere laddove la Corte ha ritenuto liquidabile, nel caso di specie, anche il danno non patrimoniale, in quanto gli artt. 185 c.p. e 2059 e.e. ancorano l'ammontare del risarcimento, comprensivo di tale voce, alla circostanza che il fatto da cui deriva il danno costituisca anche un reato: a stretto rigore solo in tal caso sarebbe risarcibile pure il danno morale o non patrimoniale. In realt l'evoluzione giurisprudenziale, in linea con il sistema giuridico civile che sta spostando la sua attenzione dall'autore alla vittima del danno, si esprime sempre pi attraverso un'ampia interpretazione dell'art. 2059 e.e.: cos per esempio in tema di danno biologico o di tutela dell'ambiente La decisione annotata pertanto ampiamente da condividere, sia laddove, sottolineando l'autonomia degli ordinamenti civile e penale, nega che i mutamenti della norma penale sostanziale possano incidere in maniera diretta ed automatica anche sugli effetti civili del fatto commesso, che mantiene pertanto una doppia specifica autonomia giuridica alla luce solo della quale va giudicato ed eventualmente sanzionato; sia laddove, in linea con le esigenze evidenziate ed accolte dalla Corte Costituzionale (sul punto cfr. sent. n. 184/86), tende a realizzare sempre pi l'effettivit della tutela, anche riconoscendo voci di danno al di fuori dei limiti ristretti posti e dall'art. 2059 e.e. e dall'art. 185 c.p., definito testualmente come norma integrativa della regolamentazione legale dell'illecito civile. DIANA RANUCCI RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 110 il fatto non costituisca reato nel momento in cui commesso, sia nel caso in cui in quel momento il fatto integri anche una fattispecie criminosa, sia infine, nel caso in cui il fatto, pur costituendo reato nel momento della sua commissione, abbia successivamente perduto la sua connotazione di illiceit per effetto di abolitio criminis . A diversa conclusione non pu indurre la considerazione che l'art. 185 cod. pen. prevede l'obbligo del risarcimento del danno non patrimoniale solo come conseguenza del reato, perch la risarcibilit del danno non patrimoniale prevista anche dalla norma civile (art. 2059 cod. civ.), che, anzi, in ragione della sua generica formulazione, riferisce la risarcibilit del danno non patrimoniale non soltanto all'ipotesi prevista dall'art. 185 cod. pen., ma anche ad ipotesi (artt. 89 co. II cod. proc. civ., art, 598 cod. pen.) prive di rilevanza penale, ond' che lo stesso art. 185 si pone come norma integrativa della regolamentazione legale dell'illecito civile. L'autonomia del regime giuridico proprio della responsabilit civile rispetto a quello che presiede alla responsabilit penale implica, come conseguenza, che la disposizione dell'art. 2 cod. pen., che, eccettuando al principio generale di irretroattivit della legge, contenuto nell'art. 11 delle Disp. Prel. Cod. Civ., stabilisce che nessuno pu essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore, non costituisca pi reato, operi esclusivamente sul piano penale e non trovi, quindi, applicazione ove si controverta solo della risarcibilit del danno prodotto da un fatto che debba considerarsi ingiusto agli effetti civili, giacch sotto questo profilo la giustizia o l'ingiustizia del fatto e delle sue conseguenze lesive vanno valutate con esclusivo riferimento alle norme (anche penali) vigenti nel momento in cui il fatto stato compiuto ed in cui il diritto al risarcimento sorto (Cass. 27 luglio 1965, n. 1770). Nella specie la Corte territoriale ha rilevato che il peculato per distrazione ai danni dell'l.N.G.I.C., contestato al Gaggi a titolo di concorso, integrava, nel momento in cui era stato commesso, anche un fatto ingiusto idoneo a ledere l'interesse, civilmente protetto, dell'istituto ed, avendo con ci esaurito l'ambito della indagine volta ad accertare la rispondenza del fatto-reato (cos come contestato) ad una ipotesi di illecito civile, non avrebbe, per quanto si detto, potuto domandarsi, senza impegnarsi in una ulteriore indagine del tutto superflua, se quel fatto costituisse ancora reato nel )llomento della decisione e se, in particolare, esso potesse considerarsi ricompreso nella nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen. In quanto intesa a contraddire l'ammissibilit e l'esito di tale ulteriore, superflua indagine, anche la censura fin qui esaminata appare, pertanto, ultronea e priva di consistenza. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. Un., 23 febbraio 1998, n. 1948 -Pres. La Torre Est. Amirante -P.G. Morozzo della Rocca (conf.) -Petrignano (avv. Marino) c. Cassa depositi e prestiti (Avv. Stato Nunziata). Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria e amministrativa -Cassa Deposi ti e Prestiti -Ente pubblico economico -Controversie d'impiego -Giuri sdizione dell' A.G.O. (legge 13 maggio 1983, n. 197; legge 19 marzo 1993, n. 68). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 111 Con l'acquisto della personalit giuridica, attribuitale dalla legge 19 marzo 1993, n. 68 a completamento della ristruttazione fattane con legge 13maggio1983, n. 187, la Cassa depositi e prestiti deve essere considerata ente pubblico economico, non rilevando in contrario che l'attivit della stessa, in quanto strumentale al perseguimento dei fini di politica finanziaria, rimanga, per certi aspetti, soggetta al potere d'intervento dello Stato; ne consegue che le controversie nascenti dal rapporto di lavoro con la Cassa, appartengono alla giurisdizione dell'A.G.0. (1). (omissis) La statuizione sulla giurisdizione dipende pertanto dal modo in cui si scioglie il dilemma, rapporto di lavoro pubblico o rapporto di lavoro privato. L' opzione consegue, in.linea di principio, dalla qualit del datore di lavoro, ad eccezione dell'ipotesi, nella specie non ricorrente, che sia lo stesso legislatore a qualificare il rapporto in un modo o nell'altro. , Sulla natura della Cassa Depositi e Prestiti regna tra gli interpreti una notevole incertezza dovuta alla sua lunga storia ed alla pluralit delle sue attivit. Per quanto qui interessa occorre definire la natura della Cassa quale datrice di lavoro ed in particolare quale datrice di lavoro del Petrignani. E poich sulla pubblicit della Cassa non esistono e non possono esistere dubbi, l'attenzione si accentra sulla economicit o non economicit della sua attivit e sull'autonomia di cui dotata. Prima di procedere all'individuazione delle principali attivit della Cassa, opportuno compiere una sintetica ricognizione della giurisprudenza di questa Corte in terna di attivit economica, esercitata da un soggetto pubblico. Lo svolgimento di siffatta attivit da parte di un soggetto pubblico pu essere inquadrata in due categorie generali: I) esercizio di attivit economica da parte di un'amministrazione o di un ente, la cui natura non economica indiscussa (esercizio di impresa da parte di un soggetto pubblico, art. 2093, secondo comma e.e.); II) esercizio di attivit da parte di un ente, la cui natura economica o non economica occorre individuare. Ci premesso, si rileva che comune ad entrambe le ipotesi il principio che un'attivit obiettivamente economica quando, avendo ad oggetto la produzione o lo scambio di beni o servizi, sia soggetta ad una disciplina che, indipendentemente dall'assegnazione o distribuzione di utili, imponga che i ricavi siano tendenzialmente almeno pari ai costi (Cass. S.U. 3 novembre 1973 n. 2853 e n. 2854; 11 luglio 1975 n. 2740; 21 aprile 1982 n. 2467; 12 dicembre 1988 n. 6749 e n. 6750; 3 aprile 1989 n. 1602; 28 dicembre 1990 n. 12207; 14 febbraio 1994 n. 1437; 3 maggio 1994 n. 5249). Con riguardo all'attivit economica svolta da una pubblica amministrazione o da un ente non economico, si affermato che, al fine di qualificare privati i rapporti di lavoro dei dipendenti dediti a tale attivit, necessario che questa sia esercitata con gestione autonoma, sotto i profili organizzativi e contabili, rispetto a quella prettamente pubblica dell'amministrazione o dell'ente (attestano la costanza dell'orientamento: Cass. S.U. 3 novembre 1973 n. 2853 e n. 2854; Cass. S.U. 13 marzo 1976 n. 878; 9 novembre 1985 n. 5476; 27 giugno 1987 n. 5728; 14 febbraio 1994 n. 1437; 30 maggio 1994 n. 5249; 9 agosto 1996 n. 7338). (1) Genere di questioni che, ricco di casistica per il passato, appare destinato ad incanalarsi lungo le linee della recente riattribuzione di competenze giurisdizionali. La sentenza resta di grande interesse per le notazioni sulla natura della Cassa DD.PP. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 112 Ai fini della qualificazione di un ente pubblico, la cui natura economica occorre accertare, si affermato che, se le attivit da lui esercitate non sono omogenee, occorre applicare il criterio della prevalenza dell'una attivit rispetto ad altre (Cass. S.U. 14 ottobre 1971 n. 2896; 6 luglio 1973 n. 1910; 25 novembre 1974 n. 3818; 14 ottobre 1980 n. 5503; 29 aprile 1988 n. 3261). Si altres ritenuta l'irrilevanza del carattere vincolante di istruzioni e controlli da parte di autorit statali concernenti l'attivit dell'ente -(v. la fondamentale sentenza delle sezioni unite 14 dicembre 1985 n. 6328 sugli enti di gestione delle partecipazioni statali; nonch S.U. 29 aprile 1988 n. 3261) -e del perseguimento di finalit d'interesse generale che correlativa alla pubblicit dell'ente, rispetto alla quale la sua economicit si pone come specificazione e non come negazione (Cass. S.U. 3 aprile 1989 n. 1602). Venendo ora all'esame della disciplina della Cassa Depositi e Prestiti e senza indulgere a pi lontani riferimenti storici, si rileva che essa fu oggetto di una prima disciplina unitaria con il T.U. 2 gennaio 1913 n. 453 e costitu fino alla legge 13 maggio 1983 n. 197 una articolazione dell'amministrazione statale, anche se soggetta ad una specifica regolamentazione in correlazione alle peculiarit dei suoi compiti. La legge 197/83 cit. ha avuto ad oggetto specifico, secondo il suo titolo, la ristrutturazione della Cassa depositi e prestiti. L'art. 1 della legge, nello stabilire che la Cassa ha organizzazione, patrimonio e bilanci separati da quelli dello Stato, ha soppresso la Direzione Generale della Cassa presso il Ministero del Tesoro. L'art. 15, secondo comma ha stabilito che le disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilit dello Stato, approvate con R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, e successive modificazioni ed integrazioni, non si applicano alla Cassa depositi e prestiti. L'art. 4 ha stabilito che la Cassa, per l'attuazione dei suoi fini istituzionali utilizza: a) il fondo di dotazione; b) i fondi provenienti dal risparmio postale; c) i fondi provenienti dal servizio dei conti correnti postali, nei limiti di cui alla legge 15 aprile 1965 n. 344; d) i fondi provenienti dall'emissione di titoli; e) i rientri di capitale; f) i prestiti esteri. Il principale, tradizionale scopo istituzionale della Cassa, le cui modalit di conseguimento sono disciplinate in una pluralit di disposizioni la cui enumerazione non funzionale alla presente decisione, costituito dalla concessione di mutui ad enti pubblici o a societ a prevalente capitale pubblico (province, comuni, comunit montane consorzi, societ a capitale pubblico) per il finanziamento di opere pubbliche (mutui di scopo). L'attivit della Cassa, se si ha riguardo ai mezzi di cui si serve ed ai fini che persegue, costituita prevalentemente dall'impiego del risparmio privato (risparmio postale) per il finanziamento di opere pubbliche. Per la natura del suo oggetto e per gli strumenti di cui si serve l'attivit della Cassa perci essenzialmente economica. Non sarebbe, infatti, concepibile l'utilizzazione del risparmio privato per un'attivit che non comportasse, quantomeno, l'equiparazione dei costi ai ricavi. Ma v' di pi, perch la legge (art. 4 legge 13 maggio 1983 n. 197) espressamente prevede il conseguimento di utili e disciplina la loro destinazione al fondo di riserva ed a quello di dotazione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CfVlLE Le incertezze e variet di opinioni che si riscontrano in dottrina sulla natura della Cassa Depositi e Prestiti hanno riguardato pi la sua identit strutturale che non l'obiettiva natura economica della sua attivit. Essa, infatti, stata assimilata talvolta alla generale attivit bancaria, tal altra a quella di alcuni istituti di credito speciale, ed ancora prima della citata legge 197/83 qualcuno la defin ente creditizio, altri impresa pubblica di diritto privato che opera nel campo del credito. Incertezze della dottrina di cui vi traccia anche nella giurisprudenza. Infatti, mentre la Corte dei conti ha ritenuto la Cassa inserita nel sistema bancario (Corte conti sez. cont. 5 settembre 1995 n. 115), la Corte Costituzionale ha affermato che qualunque sia la natura giuridica di tale istituto, non vi dubbio che la Cassa costituisca un apparato strumentale, destinato ad assolvere una funzione statale e non regionale: ossia l'esercizio del credito, con specifico riguardo alla concessione di mutui mediante i quali comuni e province possono concretare alcune loro autonome scelte (Corte Cost. 11 ottobre 1983 n. 307). Riassumendo, si pu affermare che, mentre nessun dubbio insorto n pu insorgere sulla obiettiva economicit dell'attivit della Cassa, le incertezze nascevano dal fatto che l'originario testo della legge di ristrutturazione 197/83, nel sopprimere la direzione generale della Cassa depositi e prestiti presso il Ministero del tesoro e nello stabilirne la separatezza del patrimonio e del bilancio da quelli dello Stato, non aveva formalmente definito il livello di tale autonomia. La fonte di siffatte incertezze stata eliminata dal d.l. 18 gennaio 1993 n. 8, convertito con modifiche con la legge 19 marzo 1993 n. 68, il cui art. 22 ha espressamente attribuito personalit giuridica alla Cassa depositi e prestiti. Quali che siano le sue peculiarit, la Corte ritiene che la Cassa, al fine che qui interessa di qualificazione dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti, debba essere considerata ente pubblico economico. Il fatto che lo Stato possa intervenire, da un lato fissando alcuni elementi dei contratti della Cassa, dall'altro disciplinando l'accesso degli enti al credito da essa concesso, attiene alla pubblicit dell'ente ed alla natura strumentale della sua attivit per il perseguimento dei fini della politica finanziaria dello Stato stesso, ma non incide sulla economicit dell'ente e sulla sua autonomia, formalmente riconosciuta con l'attribuzione con legge della personalit giuridica. Ne consegue che le controversie che, come la presente, hanno ad oggetto pretese nascenti dai suindicati rapporti di lavoro devono essere conosciute dal giudice ordinario.(omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. Un., 27 febbraio 1998 n. 2185 -Pres. Sgroi V. Est. Finocchiaro -P.G. Leo (conf.) -Pres. Consiglio Ministri (avv. Stato Mangia) c. Costanzo. Impiego pubblico -Servizi pubblici essenziali -Sciopero -Precettazione -Violazione Ordinanza irrogativa di sanzione pecuniaria -Opposizione -Giurisdizione ordinaria. (legge 12 giugno 1990 n. 146, art. 9; legge 6 dicembre 1970, n. 1034). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO-, 114 La sanzione pecuniaria amministrativa comminata a pubblico dipendente per aver esercitato il diritto di sciopero in violazione del c.d. ordine di precettazione non attiene alla disciplina del rapporto di impiego, con la conseguenza che l'opposizione avverso l'ingiunzione irrogativa della sanzione devoluta alla giurisdizione dell'A. G.O. (non rilevando, in contrario, che a motivo dell'opposizione sia dedotta l'illegittimit del/' atto amministrativo generale preordinato a garantire l'erogazione di servizi pubblici essenziali) (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1, 2, 4, 8, 9, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 12 giugno 1990 n. 146, nonch degli artt. 3, 5 e 7 della legge 6 dicembre 1970 n. 1034, in relazione all'art. 360 n. 1, 3 e 5 c.p.c. ed all'art. 111 cost. Difetto di giurisdizione del pretore adito in favore della giurisdizione del giudice amministrativo. Violazione di legge. Difetto e contraddittoriet nella motivazione, per non avere il giudice adito dichiarato il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. nella controversia a lui sottoposta, senza tenere presente che la materia in esame concerne il diritto di sciopero di un pubblico impiegato, ovvero si discute della sfera dei diritti e degli obblighi degli insegnanti, nella qualit di dipendenti pubblici, in relazione ai quali la cognizione appartiene in via esclusiva al giudice amministrativo. Secondo i ricorrenti la materia dello sciopero nei servizi pubblici essenziali appartiene nella sua globalit alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo espressamente prevista la possibilit d'impugnazione del provvedimento di precettazione, ai sensi dell'art. 10 della legge 146/1990 avanti al competente Tar nei termini ivi previsti. I singoli provvedimenti di irrogazione delle sanzioni costituiscono, poi, atti meramente esecutivi che possono essere impugnati avanti all'a.g.o. per vizi propri e senza alcun riferimento a quelli del provvedimento amministrativo presupposto, come risulta invece avvenuto nella specie. Il motivo di ricorso infondato sulla base delle considerazioni che seguono. La legge 12 giugno 1990 n. 146, norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona, allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati -alla vita, alla salute, alla libert ed alla sicurezza, alla libert di circofazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libert di comunicazione -dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettivit, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi. (1) Questione nuova, a quanto consta. Di notevole interesse, in particolare, sono le considerazioni alla cui stregua, nella lucida motivazione della sentenza in rassegna, la Corte regolatrice perviene ad escludere un profilo disciplinare nella vicenda dell'inosservanza all'ordine di precettazione : se ne pu arguire che la prestazione di lavoro precettata non debba pi riguardarsi come svolta nell'interesse (particolare) della controparte del rapporto, bens diretta al soddisfacimento d'un dovere nei confronti della collettivit. Sulla natura del potere sanzionatorio, v. SANTUCCI R., in Rass. dir. civ. 1996, (in nota a Corte Cast. 24 febbraio 1995 n. 57). Per una Rassegna di giurisp. sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, v. SESTITO F., in Riv. amm. 1993, 1263. In genere, l'attenzione della dottrina risulta prevalentemente concentrata sulla precettazione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA Cl'VILE Nell~ambito dei servizi pubblici essenziali il diritto di sciopero esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili, che, per quanto riguarda l'istruzione, sono individuate, fra l'altro, nello svolgimento degli scrutini finali e degli esami. Quando esiste un fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, a causa del mancato funzionamento dei servizi di preminente interesse generale, il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato, se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, ovvero il prefetto o il corrispondente organo nelle regioni a statuto speciale, invitano le parti a desistere dai comportamenti che determinano tale situazione di pericolo e propongono alle stesse un tentativo di conciliazione, invitando le parti, in caso di esito negativo del medesimo, ad attenersi al rispetto della proposta eventualmente formulata dalla commissione di garanzia (art. 8, comma 1). Qualora tale situazione permanga, l'autorit competente, sentite, ove possibile, le organizzazioni dei lavoratori che promuovono l'azione e le amministrazioni o le imprese erogatrici del servizio emana ordinanza motivata diretta a garantire le prestazioni indispensabili e impone ali'amministrazione od impresa erogatrice le misure idonee ad assicurare adeguati livelli di funzionamento del servizio, contemperando l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti (art. 8, comma 2). L'ordinanza portata a conoscenza dei destinatari (art. 8, comma 4). L'inosservanza da parte dei prestatori di lavoro delle disposizioni contenute nell'ordinanza assoggettata ad una sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di mancata ottemperanza, da un minimo di L. 100.000, ad un massimo di L. 400.000 (art. 9, comma 1). Le sanzioni sono irrogate con decreto dalla stessa autorit che ha emanato l'ordinanza ed avverso il decreto proponibile impugnazione ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 24 novembre 1981 n. 689 (art. 9, comma 4). La stessa legge prevede altres che i soggetti che promuovono lo sciopero, le ammini~trazioni, le imprese e i singoli prestatori di lavoro destinatari del provvedimento, che ne abbiano interesse, possono promuovere ricorso contro l'ordinanza prevista dall'art. 8, comma 2, avanti al TAR competente (art. 10, comma 1). Il legislatore del 1990 ha.quindi operato delle scelte in tema di giurisdizione in conformit ai principi generali. Nei confronti di un atto amministrativo generale quale quello di emanazione dell'ordinanza di c.d. precettazione i soggetti interessati -ivi compresi non solo i privati, ma anche le amministrazioni e le imprese -sono titolari di una posizione di interesse legittimo alla corretta emanazione dello stesso tutelabile esclusivamente innanzi al giudice amministrativo, al quale possono ricorrere per l'annullamento del provvedimento. Nei riguardi, invece, del singolo provvedimento sanzionatorio emanato per la violazione dell'atto amministrativo generale, la posizione del privato assume la consistenza del diritto soggettivo tutelabile innanzi all'autorit giudiziaria ordinaria per l'accertamento dell'esistenza o dell'inesistenza del potere dell'autorit competente di pretendere la sanzione, dal momento che il privato titolare di una posizione soggettiva perfetta alla corretta applicazione della norma che tale sanzione prevede, e, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO , 116 cio, a non essere sottoposto a sanzione se non nei casi, nei limiti, nella misura e con le modalit stabilite dalla legge. Ci premesso, evidente che la giurisdizione va determinata in funzione della domanda proposta. Nella specie, la parte opponente ha impugnato non gi il provvedimento generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della Funzione Pubblica -ma solo il provvedimento che ha irrogato, in concreto, la sanzione amministrativa, in attuazione della norma legislativa e dell'atto amministrativo generale ( c.d. precettazione), in quanto astrattamente idoneo a ledere la sua posizione di diritto soggettivo, come in precedenza evidenziato e ci sufficiente per l'affermazione della giurisdizione dell' A.G.0. a conoscere di questa domanda, dal momento che la declaratoria di inefficacia del protocollo e dell'ordinanza ministeriale richiesta quale mezzo al fine della domanda di illegittimit del provvedimento di ingiunzione. Sulla giurisdizione di tale giudice non influisce la circostanza che lo stesso, per accertare la fondatezza della domanda, debba valutare la legittimit dell'atto amministrativo generale, dal momento che proprio nelle controversie attribuite alla giurisdizione dell'a.g.o. sussiste il potere di accertare tale legittimit, ai fini, eventualmente, di disapplicarlo, ove ne sussistano le condizioni, in relazione al caso deciso. In altre parole, la questione se il giudice ordinario investito della domanda di annullamento dell'ordinanza irrogati va della sanzione amministrativa pecuniaria abbia o meno il potere di disapplicare il provvedimento amministrativo autoritativo che incide direttamente sul diritto di sciopero escludendolo e, per il quale, prevista l'impugnazione entro un breve termine al TAR, attiene all'esercizio dei limiti interni della giurisdizione del giudice investito della controversia e, quindi, alla fondatezza, nel merito, dell'opposizione proposta. N le precedenti conclusioni sono superate dal fatto che si in presenza di un rapporto di pubblico impiego, in relazione al quale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. infatti da rilevare -in considerazione anche, ma non solo, delle modalit di irrogazione della sanzione (con decreto da parte della stessa autorit che ha emanato l'ordinanza: art. 9, comma 4) che proviene da autorit diversa dal datore di lavoro -che la stessa nori si pone come sanzione disciplinare perviolazione di doveri di comportamento nell'ambito dello svolgimento del rapporto di pubblico impiego, ma come sanzione per un comportamento -astrattamente lecito, come manifestazione di un diritto costituzionalmente garantito, come quello del diritto di sciopero, riconosciuto a tutti i cittadini -divenuto illecito per l'intervento di provvedimenti autoritativi limitativi o esclusivi di tale diritto. N in contrario al precedente rilievo valgono le osservazioni circa la spettanza alla Funzione Pubblica della disciplina del rapporto d'impiego statale fin dal 1983 e l'unitariet della persona giuridica Stato, con la conseguente impossibilit di considerare i singoli Ministeri come soggetti di diritto l'un dall'altro diversi. Pur non contestandosi, in linea di principio, tali osservazioni da rilevare che la previsione, proprio nella legge in esame, di un potere delle amministrazioni -e quindi anche del Ministero della Pubblica Istruzione, datore di lavoro della parte opponente -di promuovere ricorso contro l'ordinanza prevista dall'art. 8, comma ! r F ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA avn..E 2, avanti al TAR competente (art. 10, comma 1), dimostra sia la differenziazione dei diversi Ministeri, pur nell'ambito dell'unitariet dello Stato -sia l'estraneit della sanzione amministrativa pecuniaria al rapporto di pubblico impiego. La circostanza che la sanzione sia inflitta ad un pubblico dipendente non sufficiente per ritenere che la stessa attenga allo svolgimento del rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che la controversia insorta fra le parti per contestare la legittimit della sanzione stessa non pu che appartenere alla giurisdizione del1' A.G.0., giudice dei diritti soggettivi, non trovando applicazione la disposizione, eccezionale, circa la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di rapporto di pubblico impiego e con l'ulteriore conseguenza che la norma di cui all'art. 9, comma 4, della legge n. 146 del 1990, che ammette l'impugnazione ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 24 novembre 1981 n. 689 avverso l'ingiunzione irrogativa della sanzione amministrativa pecuniaria, attributiva di giurisdizione e non anche di sola competenza nell'ambito delle controversie devolute al giudice ordinario, proprio perch non si ravvisa, in materia, alcuna giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ( cfr., per analoga affermazione, circa il riconoscimento di norma attributiva della giurisdizione all'art. 218, codice della strada, in tema di competenza del pretore a conoscere della controversia sulla sospensione della validit della patente, Cass. 8 luglio 1996 n. 6231). Concludendo, si deve ritenere che, in tema di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, di cui alla legge 12 giugno 1990 n. 146, la sanzione pecuniaria amministrativa comminata per la violazione del divieto di esercizio del diritto di sciopero, disposto con provvedimento amministrativo di carattere generale, non attiene -anche quando riguarda pubblici impiegati -alla disciplina del rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che l'opposizione avverso tale sanzione devoluta, ai sensi dell'art 9, comma 4, della citata legge, alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che siffatta giurisdizione venga meno per essere stata dedotta, quale mezzo al fine per l'accoglimento dell'impugnazione, l'illegittimit del provvedimento amministrativo con il quale il divieto stato disposto, dal moment8 che i limiti entro i quali il giudice adito pu conoscere di tale illegittimit, anche in conseguenza dei termini estremamente ridotti entro i quali la stessa pu essere fatta valere innanzi al giudice amministrativo, attiene alle modalit di esercizio della funzione giurisdizionale e, quindi, alla fondatezza, nel merito, dell'opposizione proposta e non anche ai limiti esterni di tale giurisdizione. Va, pertanto, rigettato il primo motivo di ricorso e va affermata la giurisdizione dell' A.G.O. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 marzo 1998, n. 2924 -Pres. Cantillo -Rei. Berruti -P.M. Palmieri (conf.) -Orbitai Engine Company (avv. Colantoni) c. Ministero industria (avv. Stato Fiumara). Costituzione della Repubblica -Dichiarazione d'illegittimit costituzionale Successiva alla proposizione di ricorso per cassazione -Effetti nel relativo giudizio -Limiti. (Cost., art. 136; cod. proc. civ., art. 360). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 118 Industria -Brevetti per invenzioni industriali -Decadenza per mancato pagamento della tassa annuale -Reintegrazione nel diritto -Condizioni -Inadempimento verificatosi nonostante la massima diligenza esigibile -Nozione. (r.a. 29 giugno 1939, n. 1127, art. 90; d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, art. 36). Ancorch sopravvenuta alla proposizione del ricorso, la dichiarazione di illegittimit costituzionale di una norma resta senza effetti nel giudizio di cassazione quando la regola in essa contenuta (ed espunta dall'ordinamento ad esito d'incidente di costituzionalit) riguardi un punto della controversia non formante oggetto dei motivi del ricorso. (Nella specie, la norma dichiarata incostituzionale riguardava la composizione del Giudice, la cui sentenza era stata impugnata per cassazione) (1). La massima diligenza esigibile, alla cui dimostrazione la legge subordina la restitutio in integrum nel diritto di brevetto il cui titolare ne sia stato dichiarato decaduto per omesso pagamento della tassa nel termine stabilito, richiede la prova di aver fatto tutto quanto era umanamente possibile perch la prestazione, imposta a pena di decadenza, fosse effettuata in modo tempestivo. (Nella specie, stato escluso che la non conoscibilit dell'errore di procedure informatiche nella segnalazione della scadenza di pagamento integrasse la prova dell'impiego del grado di diligenza richiesto dalla norma) (2). (omissis) 1. -Va preliminarmente esaminata la questione di nullit della decisione impugnata avanzata per la prima volta dalla ricorrente Orbital in memoria ex art. 378 cpc. Tale parte fa rilevare che la Corte Costituzionale, dopo della proposizione del ricorso per Cassazione, con sentenza n. 158 del 1995, ha dichiarato incostituzionale l'art. 71, comma secondo, del r.d. n. 1127 del 1939, nella parte in cui esso prevedeva che il Direttore dell'Ufficio Brevetti e Marchi facesse parte della Commissione dei ricorsi in sede giurisdizionale. Secondo la ricorrente tale illegittimit sopravvenuta rilevava anche nel giudizio di Cassazione, e poich determina la nullit della decisione impugnata, chiede che la Corte anche per tale preliminare ragione, ne pronunci la cassazione. la. -Osserva il collegio che sia pure in ordine a vicende di altra natura, questa Corte ha esaminato la questione della operativit nei giudizi in corso, inclusi quelli di legittimit, delle pronunce della Corte Costituzionale. A partire dalla decisione delle sezioni unite n. 1368 del 1992 si pertanto formato un orientamento stabile, dal quale il collegio non ha motivato per discostarsi, che coordina l'art. 136 della Costituzione con i principi che regolano il giudizio di cassazione. In particolare si precisato che occorre tener conto che la funzione di legittimit si esercita attraverso (1) Cass. S.U. 7 febbraio 1992, n. 1368, citata in motivazione (e che intervenne a risolvere contrasto di giurisprudenza), si legge in Foro it. 1992, I, con nota di CAPONI; ibidem 1993, I, 1206 con nota di CERRI, nonch in Corr. giw: 1992, 273 con nota di CARBONE. (2) Nello stesso senso, Cass. 21 febbraio 1998, n. 1883. Sulla restitutio in integrum, v., in dottrina, FLORIDIA G., in Dir. ind. 1996, 5. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE la individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso, e sulla base di essi. Il ricorso in esame dunque non cenna alla questione avanzata in memoria, e non vale a superare questa constatazione il rilievo della posteriorit della decisione abrogativa del giudice delle leggi, rispetto all'atto introduttivo medesimo. Nel sistema delle garanzie costituzionali, come pure stato osservato da questa Corte Suprema (sent. n. 2346 del 1994), l'incidente di costituzionalit, che attuabile anche ad iniziativa di parte, rende di fatto proponibile e delibabile dal giudice ordinario, anche di legittimit, questioni il cui fondamento presuppone la rimozione di una norma, in tesi contrastante con la Costituzione. Ci nella specie non avvenuto. La questione pertanto, estranea alla fase di merito, e come tale alla prospettazione del ricorso per cassazione, nuova, e dunque inammissibile. (omissis) 3. -Con il secondo motivo la Orbital lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 90 del r.d. n. 1127 del 1939 con conseguente errata interpretazione del requisito della massima diligenza esigibile, e la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sul punto. Sostiene che nella specie l'ufficio e la commissione avrebbero dovuto constatare che la complessiva attivit di chi si affida ad un mandatario qualificato e quindi svolge tutto quanto in suo potere per gestire legittimamente il proprio brevetto, esclude la imputabilit di un errore come quello del caso di specie. 4. -Con il terzo motivo, che connesso al precedente e deve pertanto essere esaminato insieme, la ricorrente lamenta la violazione dei principi generali in materia di rappresentanza e di mandato, conseguenti al fatto di aver trascurato che quando, come nella specie, il mandatario ha adottato tutta la diligenza possibile, nulla pu essere rimproverato al mandante. 5. -Osserva il collegio che l'istituto della restitutio in integrum disciplinato dall'art. 90 del r.d. n. 1127 del 1939, a seguito della modifica a quel testo introdotta dal d.p.r. n. 338 del 1979, consente di sanare gli effetti giuridici negativi che derivano, tra l'altro, dal mancato rispetto di un termine anche nei confronti dell'ufficio centrale brevetti. Il richieden~e, dunque, reintegrato nei suoi diritti, se, come nel caso di specie, l'impedimento ha per conseguenza diretta la decadenza dal brevetto, purch abbia usato la massima diligenza esigibile. Quesito sottoposto alla Corte se ricorra la suddetta massima diligenza esigibile, nel caso in cui il titolare del brevetto abbia incaricato un accreditato mandatario di gestire i suoi diritti e questi non abbia pagato una rata di tassa annuale a cagione di un errore delle procedure informatiche messe in atto nella sua organizzazione professionale. 5a. -Il rapporto mandante-mandatario, in ordine alla gestione dei diritti di brevetto, stato affrontato dalla Corte di cassazione ed stato risolto nel senso che ai fini della reintegrazione in questione l'onere della massima diligenza esigibile in capo al titolare del brevetto deve essere riscontrato, nel caso in cui le operazioni di pagamento siano state affidate ad un mandatario, valutando anche il comportamento di quest'ultimo, cosicch la reintegrazione stessa deve essere negata a fronte di un comportamento del mandatario non improntato al rispetto del suddetto rigoroso criterio (Cass. n. 3186 del 1985). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATb .. Tale orientamento, che il collegio condivide, impone di considerare al fine che ne occupa, il comportamento del mandatario, cosicch il titolare del brevetto non pu liberarsi del suo onere di provare il proprio comportamento diligente, nel senso ~i precisato, allegando semplicemente il fatto di essersi rivolto ad un mandatario professionalmente attendibile. [: 5b. Va ancora osservato che il concetto di diligenza cui fa riferimento la legge sul brevetto non coincidente con quello richiamato dal codice civile in una molteplicit di fattispecie, giacch tale legge lo adopera per regolare rapporti di diritto privato, e massimamente rapporti obbligatori quale criterio di valutazione della con i dotta del debitore. La elaborazione pi cospicua alla quale la clausola generale in parola ha dato luogo, unitamente all'ulteriore parametro logico del buon padre di famiglia, sorta dalla necessit di raccordare le previsioni di cui agli artt. 1176 e.e., che impone al debitore nell'adempimento la diligenza del buon padre di famiglia, e 1218 e.e., che esonera il debitore dalla responsabilit per inadempimento quando l'impossibilit della prestazione derivata da causa a lui non imputabile. L'opinione dominante, accettata dalla prevalente giurisprudenza, ha finito con l'assegnare alla diligenza la funzione di criterio di responsabilit. Nel senso che una volta intervenuto il fatto impeditivo dell'adempimento, per dire se esso imputabile al debitore la condotta di questi deve essere valutata alla stregua della diligenza del buon padre di famiglia. Deve cio essere valutata secondo un parametro di prudente normalit (Cass. nn. 1840 del 1987; 6404 del 1986; 5267 del 1982; 5617 del 1996). Nel caso in esame la legge speciale richiama un criterio noto all'ordinamento, per cui si pu ritenere certo che con esso si inteso pur sempre dar rilevanza ad una valutazione deontologica, ovvero comportamentale, ma tuttavia considerando la particolarit di un rapporto che vede come parte una pubblica amministrazione e deve comporre esigenze ulteriori a quelle che trovano soddisfazione nel diritto del privato alla protezione esclusiva della sua idea inventiva. Oltre a ci va rilevato che la legge adopera una espressione particolare per definire il parametro comportamentale, la quale, pur richiamando, come si detto, un noto criterio di valutazione, inequivocabilmente lo connette ad una pi netta tutela dell'interesse pubblico. Massima diligenza esigibile non espressione eguale a diligenza tout court. Con quest'ultima si identifica una modalit di effettuazione della prestazione, di per s gi identificata dal titolo. La soddisfazione della pretesa del creditore affidata all'esatto adempimento, ovvero all'adempimento cos come previsto dal titolo, mentre la diligenza serve a guidare il debitore per l'appunto a compiere esattamente ci che deve. Cosicch solo l'accadimento che, oltre ad impedire il compimento della prestazione, non stato impedito dalla predetta diligenza, inutilmente dispiegata, esenta dalla responsabilit per inadempimento (Cass. nn. 1635 del 1987; 1917 del 1986; 699 del 1997). 5c. -Nel caso di specie la legge prevede che certe tasse si paghino a certe scadenze, pena la decadenza dal diritto di brevetto. Il titolare del diritto tenuto al pagamento ad una certa data. La legge non gli impone una specifica procedura di pagamento, ma semplicemente impone che il pagamento avvenga entro un certo ter! ' f mine. La struttura del rapporto non richiama affatto la attuazione di una obbligazio ~ f ne di diritto privato, bens l'assolvimento di un onere e la sanzione predisposta per i ~ i PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE il mancato pagamento la decadenza dal diritto, ovvero la tipica reazione dell'ordinamento che prescinde, in quanto di ordine pubblico, da ogni considerazione delle ragioni del comportamento richiesto, rendendo prevalenti le motivazioni organizzative che lo fanno imporre. Il rigoroso regime che si delinea da una siffatta lettura del presupposto della restitutio coerente con le ragioni della tutela brevettuale. Il brevetto infatti attribuisce il monopolio esclusivo sullo sfruttamento di una idea. Esso, per non esorbitare dalla funzione di premio alla inventiva, e non divenire contraddittorio con la regola generale della libert di concorrenza, deve essere racchiuso dentro fattispecie precise i cui presupposti, anche di natura fiscale, ne costituiscono elemento essenziale. Consegue che la esenzione dalla decadenza non pu essere riguardata con meccanica trasposizione dell'esperienza maturata sulla interpretazione della norma di cui all'art. 1218 e.e., e dei principi sulla esenzione della responsabilit per inadempimento. La previsione di una siffatta massima diligenza esigibile fa concludere che non basti, ad escludere la decadenza, la prova della intenzione del debitore di pagare e del compimento diligente di atti diretti a tale risultato. Occorre, in pi, la prova di aver fatto tutto quanto era umanamente possibile perch il pagamento, comunque disposto, si effettui nel termine di legge. Occorre provare che il mancato pagamento dipeso da circostanza che il titolare del brevetto non poteva controllare, ad onta del fatto di avere posto in essere tutte le cautele possibili atte ad assicurare il pagamento entro il termine. 5d. -La ricorrente afferma che la prova dell'errore delle procedure informatiche del mandatario, risalente, per le ragioni dette al mandante e consistito nella mancata evidenziazione di una scadenza e nella mancata automatica disposizione di pagamento, essendo incolpevole, ovvero non voluto, e non essendo conoscibile dal1' utilizzatore del procedimento stesso, esaurisce l'onere di massima diligenza. Tale conclusione, conformemente a quanto si precisato, non pu essere condivisa. Il fatto che l'errore della procedura sia rimasto non spiegato non rileva nel senso voluto dal ricorrente. La legge non si occupa, come si cennato, del modo di pagare. Non si pu in via di principio addossare l'inconveniente che oggettivamente pu derivare da uno specifico modo di inoltrare il pagamento a destinatario del medesimo. Ma soprattutto l'errore di cui si parla errore umano. Esso corrisponde ad una insufficienza dei programmi di software ovvero, come si sostiene dalla amministrazione, alla insufficienza dei necessari controlli sulle elaborazioni elettroniche, oppure, ammettendo si tratti di eventualit strutturale alle programmazioni elettroniche, come in qualche modo si tende ad insinuare da parte della ricorrente, esso comunque conseguente alla scelta, errata, di un mezzo che non in grado di garantire la certezza che la legge richiede. N la circostanza della eccezionalit di un tale accadimento basta ad esaurire l'onere in questione, giacch la legge pone espressamente la valutazione comportamentale al limite della inesigibilit. Il titolare del brevetto in questione ha sicuramente dato prova di ordinaria, normale diligenza, affidandosi ad un mandatario attendibile, il quale per suo conto ha posto in essere regolari procedure di pagamento affidate ad archivi elettronici. Non ha provato la massima diligenza esigibile, perch quella procedura di pagamento risale alla sua scelta, ed alla sua scelta risale anche la sua verificata insufficienza, quand'anche essa fosse stata, come non stato provato, e come parrebbe assai azzardato ritenere, oggettivamente inevitabile attesa la natura del prescelto mezzo elettronico. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 122 I CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 marzo 1998, n. 2940 -Pres. Sgroi R. -Est. Cappuccio -P. G. Golia (parz. diff.) -Artese ( avv. D'Aurelio) c. Poste Italiane (avv. Stato Laporta). Espropriazione per p.u. -Opposizione a stima -Determinazione valore venale del terreno nella misura indicata dal C.T.U. -Difetto di motivazione Deducibilit col ricorso per cassazione -Esclusione. (Art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). Espropriazione per p.u. -Indennit -Art. 5 bis legge n. 359/92 -Riduzione del 40 per cento nei giudizi pendenti Nuova offerta da parte dell'espropriante -Necessit. (legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis). Non censurabile per difetto di motivazione la sentenza di merito che, ai fini della determinazione del valore venale d'un terreno espropriato, abbia recepito la stima proposta dalla consulenza tecnica d'ufficio, di questa fornendo una valutazione positiva (con l'apprezzarne la precisione e l'accuratezza dell'indagine ) (1). A seguito di Corte Cost. n. 283/1993, la riduzione del quaranta per cento dell'indennit d'esproprio prevista dall'art. 5 bis legge n. 359/1992 applicabile nei giudizi pendenti (alla data di entrata in vigore della legge) a condizione che l'espropriante abbia offerto all'espropriato l'indennit calcolata secondo i nuovi criteri (2). (1) Entrambe le sentenze in rassegna fanno applicazione, nella sostanza, d'un orientamento consolidato, secondo cui -in definitiva - consentito al giudice di merito motivare per relationem la stima d'un terreno in misura corrispondente alla valutazione proposta, per l'immobile, con le conclusioni della rec;epita consulenza tecnica d'ufficio. Il punto da segnalare , per, questo: quid, come nel caso esaminato dalla prima sentenza, allorch la (recepita) consulenza tecnica d'ufficio manchi, del tutto, della specifica indicazione di -verificabili -parametri di confronto (utilizzati dal C.T.U., ma solo genericamente evocati nel1' elaborato peritale) e, quindi, di quella indicazione delle fonti dalle quali come afferma la seconda sentenza, possa desumersi l'implicito rigetto dei contrari assunti delle parti? Sta bene, in altri termini, una stima motivata per relationem ai rilievi ed elementi di giudizio contenuti nella perizia del C.T.U.; ma quando questa si riduca a mere asserzioni, sottraendo -cos -al controllo delle parti la pertinenza degli elementi di stima (che il C.T.U. si limiti ad affermare d'aver tenuto presenti), la motivazione per relationem -che dovrebbe risultare sufficiente a sorreggere il recepimento delle conclusioni del C.T.U. -si risolve in un rinvio al nulla, denotando assoluto difetto di controllo logico sull'operato del consulente. Difetto, vale aggiungere, cui non possono far velo formule di generico apprezzamento (come quelle relative alla precisione ed accuratezza) dell'indagine tecnica, se non si vuole pervenire allo snaturamento radicale del principio -in astratto condivisibile -della sufficienza della motivazione per relationem (ovvero della non necessit di una specifica motivazione, da parte del giudice di merito, del recepimento delle conclusioni del C.T.U.). PARTE I, SEZ. lll, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIYLE 123 II CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 27 giugno 1998, n. 6361 -Pres. Sensale -Rei. Spirito -P.M. Maccarone (conf.) -Ministero Trasporti (avv. Stato Arena G.) c. CED S.r.l. (avv. Pallotta). Espropriazione per p.u. -Opposizione a stima -Determinazione del valore venale del terreno nella misura indicata dal C.T.U. -Obbligo di specifica motivazione Insussistenza. Espropriazione per p.u. -Opposizione a stima -Determinazione del valore venale del terreno nella misura indicata dal consulente di parte -Obbligo di motivazione -Sussiste. (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) A differenza dall'ipotesi di recepimento della stima proposta da un consulente di parte, il giudice di merito, quando riconosca convincenti le conclusioni del C.T.U., non tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poich l'obbligo di motivazione assolto gi con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate (1). I (omissis) Col primo motivo del ricorso incidentale si assume la violazione dell'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 ed il difetto assoluto di motivazione sulla determinazione del valore venale. Secondo l'Amministrazione, il riferimento alla consulenza tecnica d'ufficio ed il riscontro che la sentenza assume di averne effettuato costituiscono motivazione solo apparente, dal momento che nell'elaborato del c.t.u. mancano, in maniera assoluta, gli elementi indispensabili a consentire il controllo ( asseritamente) operato dal Giudice; ne risulta altres violato il principio della stima del bene a valore di mercato, data l'impossibilit di individuare i concreti parametri di valutazione utilizzati dalla Corte aquilana. La censura improponibile, perch volta ad ottenere In definitiva, sembrerebbe possibile che la Corte di cassazione -senza, evidentemente, scendere ad un riesame (nel merito) dell'elaborato peritale -si limiti a verificare se le formule di apprezzamento della consulenza tecnica siano giustificate dal contenuto anche soltanto formale della relazione del C.T.U. (all'uopo distinguendo tra motivazione per relationem, consentita, e motivazione soltanto apparente della sentenza di merito). (2) Il principio si va consolidando. Nello stesso senso, v. Cass. 21 gennaio 1998, n. 509; 11 ottobre 1997, n. 9882 (la cui massima sottolinea l'estraneit al sistema di legge, quale risultante da Corte Cost. 283/1993, di ogni riferimento alle indennit determinate dal giudice o, addirittura, dal consulente tecnico d'ufficio); 21agosto1997, n. 7800; 20 giugno 1997, n. 5554. In senso parzialmente diverso sembrerebbe, invece, Cass. 3 ottobre 1997, n. 9662 (secondo cui l'accettazione, da parte dell'espropriato, potrebbe avere ad oggetto la indennit risultante dall'istruttoria del giudizio di opposizione a stima). S. L. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 124 una nuova valutazione delle risultanze processuali in sede di legittimit. La sentenza impugnata espone infatti di aver apprezzato la precisione ed accuratezza dell'indagine del c.t.u., basata su elementi cronologicamente contigui al decreto d'esproprio, ricavati dal contenzioso tributario relativo a terreni analoghi, con adeguata I considerazione sia della centralit urbana del terreno, che della sua specifica vocazione urbanistica: il giudice di merito ha quindi esaminato accuratamente la consu II lenza fornendone una valutazione positiva, espressa con adeguata e non contraddittoria motivazione. Riscontrare l'assunto della ricorrente incidentale (che le affermazioni del c.t.u. sono assiomatiche, che il richiamo ad accertamenti esperiti in altro giudizio sono inconferenti, che i dati fiscali sono richiamati in termini generici ed in modo non esauriente) implicherebbe un riesame dell'elaborato peritale che, da un lato, costituirebbe violazione del principio di libero convincimento del giudice di merito e dall'altro non troverebbe giustificazione in vizi di motivazione della sentenza. Rimane assorbita la censura di violazione della legge sugli espropri, sic I come conseguente all'asserito vizio di motivazione. Col primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione dell'art. 5 bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 in correlazione alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 283 del 16 giugno 1993. Sostiene il ricorrente Artese che il decreto d'esproprio venne emesso il 5 agosto 1989, prima quindi dell'entrata in vigore della normativa richiamata. Risultava quindi applicabile il principio affermato dalla Corte Costituzionale con la decisione 283/93 e ribadito con la decisione 153/95, erroneamente disatteso dalla sentenza impugnata, sia perch l'istituto della cessione volontaria non sarebbe pi operante dopo gli interventi della Corte Costituzionale con le decisioni 5/80 e 223/83, sia perch, seguendo la Corte aquilana, il principio affermato dalla Corte Costituzionale non avrebbe possibilit di applicazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla stessa Cassazione che, con sentenza 7687/94, ha escluso la riduzione per i soggetti che hanno accettato la indennit liquidata in sede di giudizio di opposizione, accettazione che, ad ogni buon fine, il ricorrente aveva effettuato con raccomandata 1 marzo 1995. Secondo la Amministrazione, invece, con le richiamate pronunce la Corte Costituzionale ha, in ultima analisi, riconosciuto agli espropriati versanti in situazione di diritto transitorio la facolt di accettare la nuova misura dell'indennit, con l'effetto di evitare la decurtazione del 40% che, dalla norma, era invece tassativamente condizionato al consensuale trasferimento della propriet; accettazione peraltro da comunicare all'espropriante in tempo utile ad una definizione amichevole della controversia giudiziale sulla misura dell'indennit, onde non era tempestiva la accettazione comunicata dall' Artese il 1 marzo 1995, in pendenza del termine per ricorrere per cassazione. Secondo la lettura che della norma in esame propone la sentenza impugnata, l'unica possibilit di evitare l'abbattimento del 40% costituita dalla previsione del secondo comma del richiamato art. 5 bis secondo cui: In ogni fase del procedimento espropriativo il soggetto espropriato pu convenire la cessione volontaria del bene. In tal caso non si applica la riduzione di cui al comma l. Cessione volontaria, che, nel caso, non intervenuta. Ma, se la norma richiamata fosse suscettibile solo della proposta lettura, secondo una interpretazione strettamente letterale del1' articolo, la questione di costituzionalit dovrebbe essere rimessa nuovamente alla .. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Corte, risolvendosi in una ingiustificabile menomazione del diritto alla difesa. Infatti, premessa l'ovvia considerazione che in tanto la cessione del bene pu intervenire in quanto non sia stato ancora decretato l'esproprio e che in tanto l'a.g.o. pu essere adita in quanto il decreto d'esproprio sia stato emesso, ne risulterebbe che il ricorso alla giustizia importerebbe in ogni caso una riduzione dell'indennit del 40%, con una sorta di automatismo del tutto indifferente alle ragioni -ed all'esito -dell'invocata tutela. La norma pu consentire, per, una diversa lettura. Se, infatti, si considera che il legislatore intendeva impedire le opposizioni alla stima dettate da intenti speculativi o dilatori e non la tutela del cittadino di fronte a prevaricazioni degli enti pubblici esproprianti -o dei privati appaltatori, concessionari, delegatari, ove incaricati della procedura -la ragione della riduzione deve essere rinvenuta nella adeguatezza dell'indennit offerta e non accettata e, viceversa, la esclusione dell'abbattimento nella inadeguatezza. In tal senso appare determinante il riferimento alla cessione volontaria. Poich tale cessione costituirebbe (Cass. 2513/94) un contratto pubblicistico la cui connotazione caratteristica consiste nel fatto che il trasferimento volontario si correla in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per l'indennit dovuta per l'ablazione, dai quali non possibile in alcun modo distaccarsi , tanto che anche nel calcolo del corrispettivo della cessione trova applicazione l'art. 5 bis sopravvenuto in corso di causa (Cass. 6554/94; 7606/94) ed sufficiente una cessione salvo conguaglio per escludere la riduzione (Corte Cost. 442/93), sembra logico concludere che solo l'opposizione alla giusta indennit che rende applicabile la riduzione. Non sembra poi che la dimostrazione della propria disponibilit a cedere il bene per la giusta indennit di legge imponga al privato formalit particolari, dato il meccanismo legislativo che, vincolando anche l'ente espropriante alle determinazioni della Commissione provinciale (ragione ripetutamente addotta per escludere, medio tempore, la mora dell'espropriante), non consente cessioni per un importo diverso da quello della stima definitiva, salva sempre, si presume, la possibilit per l'ente di ricorrere a negozi traslativi di diritto privato, ipotesi che esula, per, dalla disciplina dell'espropriazione e dal problema in esame. Questa impostazione dell'istituto si riflette anche sulla disciplina di carattere transitorio. noto che -sotto il profilo della ragionevolezza -la Corte Costituzionale ha ritenuto (decisioni 283 e 442 del 1993; 153 del 1995) l'illegittimit della riduzione del 40% nei limiti in cui non prevede il diritto di accettare l'indennit in favore di quei soggetti gi espropriati al momento della entrata in vigore della legge. n. 359 del 1992 e, in esito alla dichiarazione di incostituzionalit dell'art. 5 bis della legge 359/92 per mancata previsione di una disciplina transitoria. Questa Corte di cassazione ha gi affermato -sentenze 5554, 7800, 9882 del 1997 -che la riduzione del 40% della indennit potr aver luogo solo se l'espropriante, dopo l'entrata in vigore della norma citata, abbia offerto all'espropriato la indennit determinata secondo i criteri di cui alla suddetta norma e l'espropriato non labbia accettata. Altre pronunce pongono invece l'iniziativa a carico dell'espropriato al quale richiedono una manifestazione di volont -Cass. 9662 e 9665 del 1997 -che si precisa nella rinuncia a contestare sia lo ius superveniens che la determinazione giudiziale dell'indennit (Cass. 9584/97). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 126 Alla soluzione del caso in esame sufficiente il rilievo che, dovendo avere l'accettazione un oggetto, identificarlo nella indennit contestata equivarrebbe ad escludere --o quantomeno a penalizzare fortemente -il diritto di difesa dell'espropriato; che la indennit accertata in sede giudiziaria non stata offerta dalla Amministrazione, che anzi l'ha contestata sia in sede di conclusioni dinanzi al giudice di merito, sia in questa sede, col primo motivo del ricorso incidentale; che in mancanza di offerta, non ipotizzabile una accettazione che non pu avere come destinatario n il giudice (al quale del resto, in sede di conclusioni, l' Artese aveva richiesto di liquidare il prezzo di mercato stimato dal c.t.u.) n la controparte non offerente. Ne consegue che, non essendosi verificata la condizione (offerta non accettata) non si verificato neppure l'effetto sanzionatorio e l'indennit deve essere riconosciuta all' Artese al netto da decurtazioni (omissis). II (omissis) 1. -Per ragioni di ordine logico occorre iniziare la trattazione dall'esame del primo motivo del ricorso incidentale, nel quale la CED contesta le ragioni adottate nella sentenza impugnata per addivenire alla valutazione del fondo espropriato. L'eventuale accoglimento di questo motivo condurrebbe, infatti, all'assorbimento dell'unico motivo del ricorso principale, con il quale il Ministero censura il metodo con il quale nella sentenza impugnata sono stati adoperati i criteri dell'art. 5 bis della legge n. 392 del 1992. La Corte romana, in relazione al valore venale dell'area espropriata, ha osservato che appare pi idonea e corretta la valutazione operata dal C.T. di parte Ministero dei Trasporti che identifica il valore commerciale del suolo espropriato rifacendosi direttamente al valore del medesimo al 1992 -tempo dell'esproprio -di f 3.400.000 x mq. (vm di f 3.200.000-3.600.000 x mq quale riportato dalle valutazioni immobiliari dell'epoca -riv. Metro quadro anno 1992), con una valutazione quindi dell'area de qua di f 538.877.000. Nel primo motivo del suo ricorso incidentale, la CED lamenta il difetto di motivazione con riferimento alla riferita parte della sentenza impugnata, sostenendo che il giudice, per discostar.si dalla valutazione del C.T.U. (che aveva dato all'area un valore commerciale maggiore), avrebbe dovuto dettagliatamente motivare le ragioni della diversa valutazione accolta. Il motivo fondato. noto, infatti, che il giudice di merito, quando riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, non tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poich l'obbligo della motivazione assolto gi con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate (Cass. 24 febbraio 1995, n. 2114). Nel caso in cui, invece, dissenta da tali conclusioni, il giudice obbligato ad un'attenta e dettagliata motivazione che renda attuabile, nelle successive sedi giurisdizionali, il controllo sulla sua decisione. Tale esigenza non postula che egli debba necessariamente contrapporre nozioni ed apprezzamenti tecnici a quelli affermati dal consulente, onde dimostrarne l'inattendibilit sul piano scientifico o pratico, tuttavia il giudice non pu, senza incorrere in PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 127 vizi di motivazione, mettere in dubbio o negare tali elementi con affermazioni generiche (Cass. 14 maggio 1993, n. 5485). Il dovere di motivare tanto pi cogente nel caso in cui il giudice non sostituisca il proprio apprezzamento a quello del consulente di ufficio, ma faccia proprie le conclusioni della parte o del consulente della parte stessa, atteso che la consulenza tecnica di parte non costituisce un mezzo di prova, come la consulenza d'ufficio, ma consiste in allegazioni difensive di contenuto tecnico (Cass. 10 gennaio 1995, n. 245). Nella specie, il giudice, nel determinare il valore commerciale dell'area espropriata, ha dissentito dalle conclusioni del consulente d'ufficio, aderendo esplicitamente a quelle del consulente del Ministero, il quale attribuiva al suolo in oggetto un valore sensibilmente inferiore rispetto a quello riconosciutogli dal consulente d'ufficio. Tale dissenso stato espresso attraverso la tautologica frase appare pi idonea e corretta la valutazione operata dal C.T di parte Ministero Trasporti, la quale non manifesta in s alcun contenuto di motivazione, in quanto non spiega le ragioni della maggior correttezza ed idoneit della valutazione stessa. N pu ritenersi compiuta la motivazione con il riferimento (a sua volta mutuato dalla consulenza di parte) alla rivista immobiliare Metro quadro, poich anche a tal riguardo la sentenza avrebbe dovuto dar conto del metodo attraverso il quale la rivista stessa pervenuta al risultato accolto e ne avrebbe dovuto stimare ed apprezzare la maggior idoneit e correttezza rispetto alle conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione a tale punto decisivo della controversia ed il giudice del rinvio proceder ad una nuova stima del valore venale del fondo espropriato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 aprile 1998, n. 3669 -Pres. Ferro -Est. Macioce -P.G. Schir (conf.) -Immobiliare Agnano c. Presidenza Consiglio Ministri e Comune di Pozzuoli. Calamit naturali -Terremoti -Requisizione di immobili effettuata dal Sindaco su delega del Commissario Straordinario di Governo -Azione di risarcimento danni posta in essere dai proprietari degli immobili requisiti -Legittimazione passiva dell'Amministrazione statale delegante -Sussistenza. L'attivit di requisizione di immobili posta in essere dal sindaco su delega del Commissario straordinario di Governo per le zone colpite dal terremoto del novembre 1980, ai sensi dell'art. 3 del d.l. 26 novembre 1980 n. 776, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 1980, n. 874, riferibile non gi all'ente territoriale, bens ali'amministrazione dello Stato delegante, la quale pertanto passivamente legittimata nel giudizio per danni cagionati a terzi dalla omessa manutenzione dell'immobile requisito. (Massima ufficiale)(l). (1) La sentenza ripropone la soluzione offerta, in causa analoga, da Cass., SU, 26 maggio 1997, n. 4671, in Giust. Civ., 1997, I, 1768. In tale occasione le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che la delega ai Sindaci rilasciata dal Commissario straordinario di Gover RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 128 (omissis) Riuniti, preliminarmente, i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ed esaminando il ricorso principale, si osserva che con esso la societ Immobiliare Agnano a r.l. censura con unico mezzo la decisione impugnata per violazione degli artt. 1 e 3 del d.l. 776/80 conv. in legge 874/80, 7 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, per avere quei giudici negato ali' Amministrazione della Protezione civile (oggi Dipartimento della P.C. della Presidenza del Consiglio dei Ministri -sezione stralcio del disciolto Commissario di Governo ex art. 5 legge 996/70) la veste di effettiva legittimata passiva alla pretesa, dimenticando che il Sindaco di Pozzuoli -delegato dal Commissario di Governo ebbe ad agire solo come ufficiale di Governo. La doglianza fondata, per le ragioni esposte da questa Corte con la recente pronunzia n. 4671 in data 26 maggio 1997 resa a S.U. alla cui motivazione, completamente condivisa dal Collegio, pare opportuno interamente riportarsi. stato infatti in tal sentenza affermato che: L'istituto della delegazione intersoggettiva (o esterna), che si realizza con il conferimento da parte di un ente pubblico( ... ) ad altro autonomo soggetto, investito di pubbliche funzioni, del potere di operare in nome proprio e per conto del delegante, comporta che gli atti posti in essere dal delegato sono a questi imputabili e che lo stesso ne risponde nei confronti dei terzi; sempre in virt di norma di legge che tanto preveda. La qualificazione del rapporto tra Amministrazione della protezione civile e i sindaci dei comuni colpiti dal terremoto dipende, pertanto, dalla identificazione del soggetto pubblico investito dell'originaria titolarit del potere di operare le requisizioni e dalla ricerca ed interpretazione della normativa che consente e disciplina la delega. Orbene, gli interventi urgenti in occasione di pubbliche calamit, che incidono sui diritti reali dei soggetti passivi delle requisizioni, comprimendoli, attuano l'interesse generale (che proprio dello Stato) alla protezione dei cittadini colpiti da no per le zone colpite dal sisma del 1980, in virt dei poteri ad esso conferiti dal d.!. n. 776/80, conv. e modif. dalla legge n. 874/80, non integra una forma di delegazione intersoggettiva e, pertanto, non si realizza <O l'applicazione di quali criteri si potesse pervenire alla determinazione del1' indennit espropriati va. La giurisprudenza, chiamata: ad affrontare la questione, ritenne, dopo alcune oscillazioni, di potere addiveriire ad una soluzione che fosse in grado di salvaguardare le legittime aspettative dei proprietari di questi terreni, a vocazione, per cos dir, particolare. I giudici (si veda, per tutte, Cass., Sez. I, sent. del 21 ottobre 1991 n. 11133) affermarono, infatti, che, accanto a terreni a vocazione agricola ed a terreni suscettibili di edificazione, doveva individuarsi un c.d. tertium genus, nel quale andavano ricomprese tutte quelle aree che, pur non presentando indici di edificabilit (sia di diritto che di fatto), non potevano essere ricondotte nel novero delle aree agricole. Per tale tertium genus, occorreva, al fine di determinare la relativa indennit espropriativa, procedere ad una valutazione, in concreto, delle utilit ricavabili dal singolo terreno (sfruttamento dello stesso come area di stoccaggio, come area per campeggio, adibizione del terreno ad impianto sportivo, ecc.). (1) Sent. Corte Cost.le 23 luglio 1997, n. 261, in Giurisprudenza costituzionale, 1997, 2397. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 4 Questo era lo stato dell'arte (come si usa dire) quando sul c.d. tertium genus intervenne la sentenza n. 261/97 della Corte Costituzinale. Con tale sentenza i giudici della Consulta, nel dichiarare l'infondatezza di due questioni di legittimit costituzionale, sollevate, rispettivamente, dalla Corte d'Appello di Catania e dalla Corte d'Appello di Trento, hanno sancito la morte giuridica del c.d. tertium genus. La Corte Costituzionale, infatti, ha affermato che l'introduzione di un tertium genus tra le aree edificabili e tutte le altre aree, si porrebbe in contrasto con la scelta del legislatore di suddividere le aree in due sole categorie (aree edificabili da una parte e tutte le rimanenti dall'altra). Una scelta, quest'ultima, che, come sottolineato dalla Consulta, non presenta caratteri di irragionevolezza o di arbitrariet tale da far riscontrare un vizio sotto i profili denunciati (dai giudici remittenti) n comunque pregiudica, di per s, il serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato ; trattasi di soluzione (quella adottata dal legislatore) netta, nel senso di creare, per semplificare il sistema, ai soli fini del calcolo dell'indennit di espropriazione, una dicotomia, contrapponendo le aree edificabili a tutte le altre. La decisione della Corte Costituzionale che, per la sua natura di sentenza interpretativa di rigetto, non poneva alcun problema di vincolativit (salvo che per i giudici a quibus) ha trovato, invece, pi~na conferma nella sentenza (inedita) n. 2929 del 20 marzo 1998 della Corte Suprema di Cassazione. Con tale decisione, la Prima Sezione della Corte di legittimit ha affermato che, a seguito della sentenza n. 261/97 della Corte Costituzionale, non pi possibile predicare l'esistenza, nel nostro ordinamento giuridico, di un tertium genus, accanto ai terreni a vocazione edificabile ed a quelli a vocazione agricola; con la conseguenza che, ai fini della determinazione dell'indennit espropriativa, i suoli non edifica- tori, bench suscettibili di utilizzazione diversa da quella strettamente agricola (destinazione a verde pubblico, impiantistica sportiva, parcheggi, ecc.) devono essere valutati secondo parametri omogenei a quelli utilizzati per i terreni agricoli. Con la sentenza, sopra menzionata, la Suprema Corte ha voluto a propria volta rimarcare l'ineludibilit di una stringente alternativa: aree edificabili od aree agricole. Tutto risolto? Non proprio. L'impossibilit, sancita dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimit, di configurare, accanto alle aree edificabili ed a quelle agricole, un tertium genus di aree (a vocazione particolare), lascia, sul terreno, il problema di come calcolare, in concreto, l'indennit espropriativa, da corrispondere al proprietario di un terreno, destinato, per esempio, all'attivit di pescicoltura. Quale valore tabellare dovr applicarsi in questo caso? Quello corrispondente ai terreni incolti, ovvero quello relativo ai terreni adibiti a pascolo (quasi che, come il bestiame pascola nei terreni, cos i pesci pascolano in una vasca di pescicoltura)? Trattasi di un problema, la cui esemplificazione desunta da concreta esperienza giudiziaria, che impegner, non poco, i giudici di merito e che appare foriero di soluzioni molto variegate. Considerazione conclusiva: la scelta adottata dal legislatore, ovvero quella di creare, ai fini del calcolo della indennit di espropriazione, una dicotomia, contrapponendo le aree edificabili a tutte le altre, ha veramente semplificato il sistema, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 261/97? Non resta che attendere gli ulteriori sviluppi. MAURIZIO BORGO RASSEGNA BIBLIOGRAFICA RAFFAELE TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e ambientali, Giuffr, Milano, 1998. Anch'io ero stato tentato, come la maggior parte dei recensori, di procedere per saltum in una materia a cui dedico attenzione da tanti anni. Ma un primo approccio in questo senso ha acuito il mio interesse per il libro inducendomi ad una lettura pi attenta e sistematica: e ne valsa la pena. Lo scrupolo e la misura con cui l'Autore ha impostato ed articolato la sua trattazione hanno infatti reso l'opera calibrata ed organica, consentendone una agevole lettura ed al medesimo tempo un serio studio, cos come -per gli operatori -la possibilit di una sicura ed aggiornata consultazione. Il che non stupisce chi come me -esercitando da tanti anni la propria attivit nell'Avvocatura dello Stato, come l'Autore -conosce l'interesse che egli ha sempre dedicato a questa disciplina, a lungo rivestendo incarichi qualificati nel Ministero alla cui competenza appartiene dal 1974 la materia trattata. Anche per chi, quindi, ha seguito l'evoluzione dottrinale in questo campo dal (secondo) dopoguerra ai nostri giorni -giungendo da un ormai lontano volume del Grisolia all'opera fondamentale di Alibrandi e Ferri -questo libro offre l'occasione di una puntuale verifica e di una adeguata prospettiva sui temi del patrimonio culturale e dei valori ambientali. E la connessione tra questi due aspetti dell'interesse pubblico voluta al momento dell'istituzione del Ministero non certo casuale ma corrisponde ad una scelta di indirizzo politico meditata e preveggente (quali che siano stati o siano per essere i successivi sviluppi legislativi per il governo del territorio). Non casuale che il libro sia nato da lezioni a specializzandi in archeologia e sia desti.nato a studenti di lettere e filosofia: questo appunto significativo della ineludibile esigenza che la disciplina giuridica e l'azione culturale non rimangano separate -come spesso accaduto in passato -ma convergano nell'esigenza unitaria di valorizzare e diffondere organicamente la cultura e di garantire l'ambiente della vita umana nella societ del futuro. E tanto pi la problematica relativa viene evidenziata dagli ampi e significativi richiami giurisprudenziali, che giovano ad avvalorare -riportandolo ai suoi termini concreti -il discorso sistematico. Come ha incisivamente evidenziato in relazione all'art. 9 Cost. la Corte Costituzionale -e l'Autore lo ricorda -la cultura si compenetra nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale, e la cui tutela quindi strettamente connessa e preordinata alla formazione umana e civile. In questa ottica, merita una particolare attenzione il capitolo III, relativo ai beni ambientali ed alla pianificazione urbanistica; cos come il V approfondisce il raccordo tra normativa interna e comunitaria per la circolazione dei beni culturali, mentre l'VIII, per converso, mette a fuoco la tanto pi rigorosa necessit di reprimere la falsificazione dei beni culturali e controllare la disciplina delle attivit commerciali. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO .. 6 Sono punti nodali per la tutela di beni, come quelli culturali, di cui va sistematicamente verificata l'appartenenza ed assicurata la fruizione pubblica ma -prima ancora ed in radice -garantita l'autenticit: valore che -in un'epoca di sviluppo . IJ; tecnologico sempre pi avanzato -rischia di appannarsi irreparabilmente. Anche in questa prospettiva, il libro di Tamiozzo si pone da un angolo visuale ~== ' molto attento e costruttivo: quindi ci auguriamo che abbia successo non solo per i . meriti del suo Autore ma per l'utilit che potranno averne i suoi fruitori (espressione particolarmente pertinente alla materia!). PLINIO SACCHETIO CONSULTAZIONI Arri AMMINISTRATIVI -Annullamento giurisdizione atto di controllo -Effetti. Atti amministrativi: atto di controllo annullato in sede giurisdizionale per motivo diverso dalla tardivit; se il potere di controllo possa o debba essere nuovamente esercitato (es. 1780/97). AVVOCATURA DELLO STATO -Patrocinio Enti. Se l'Ente per il Museo Nazionale di Scienza e Tecnica Leonardo da Vinci possa avvalersi del patrocinio legale e dell'attivit di consulenza dell'Avvocatura dello Stato (es. 3827 /98). Patrocinio Policlinici Universitari. Policlinici Universitari (art. 4 quinto co. D.lgs 502/92: se abbiano capacit processuale ai sensi dell'art. 75 c.p.c. e -nell'affermativa -se godano del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (es. 10685/97). CIRCOLAZIONE STRADALE -Sanzioni -Revoca patente -Riabilitazione. Se il soggetto al quale sia stata revocata la patente di guida a seguito di condanna penale, possa, una volta intervenuta riabilitazione ai sensi dell'art. 178 c.p., ottenere il rilascio di una nuova patente (es. 4596/97). Sanzioni -Sequestro veicoli. Infrazioni al Codice della Strada: veicoli sequestrati e non confiscati: condizioni e procedure per venderli (o rottamarli) (es. 3247/98). CIITADINANZA -Acquisto da parte coniuge straniero -Effetti preclusivi sentenza condanna. Acquisto della cittadinanza italiana da parte del coniuge straniero o apolide (art. 5 L. 5 febbraio 1992 n. 91): se la sentenza che applica una pena a richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., costituisca sentenza di condanna preclusiva dell'acquisto della cittadinanza ex art. 6 primo co. lett. b) L. 91/92 (es. 218/98). CONTABILIT PUBBLICA -Appalto servizi alberghieri S.S.PA. -Revisione prezzi. Contratto di appalto stipulato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, con la Soc. Kemihospital, per la gestione dei servizi alberghieri RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 8 del Centro Residenziale e Studi della Scuola medesima: questioni relative all'esecuzione dello stesso: in particolare come vada calcolata la revisione prezzi e da quando debba decorrere la corresponsione del prezzo revisionato (es. 6133/97). Esecuzione forzata contro la P.A. -Procedimento e limiti. Art. 14 D.L. 669/96 (esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni di provvedimenti giurisdizionali e lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di denaro): se il creditore dello Stato possa notificare atto di precetto, prima che siano trascorsi 60 giorni dalla notifica del titolo esecutivo; e, nella negativa, quali iniziative sia opportuno assumere ove ci avvenga (es. 8129/97). Locazione immobili per uffici pubblici -Spese miglioramento sicurezza e salute. Immobile condotto in locazione dalla P.A. ed adibito ad ufficio pubblico: interventi strutturali per adeguare detto immobile alle disposizioni del D.Lgs. 626/94 (emesso per l'attuazione di varie direttive CEE riguardanti il miglioramento della ~ sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro): se debbano essere effet J tuati dal proprietario locatore o dall'Amministrazione conduttrice (es. 4407/97). I ~ DEMANIO -Demanio marittimo -Costruzioni abusive -Sanatoria. Autorizzazione ad erigere costruzioni su suolo del demanio marittimo e auto l rizzazione ed erigere costruzioni nella fascia di rispetto del demanio marittimo: se I ~ possano essere rilasciate in sanatoria (es. 8488/97). Demanio marittimo -Porti -Competenza alla manutenzione. I Decreto Interministeriale (del Ministro dei Lavori Pubblici di concerto con il Ministro della Marina Mercantile ed il Ministro del Tesoro) n. 2849 in data 12 novembre 1981 con il quale il Porto di Manfredonia stato iscritto nella I classe della II categoria dei porti marittimi nazionali: se riguardi il solo porto vecchio di Manfredonia o anche il porto industriale (esame condotto al fine di individuare l'Amministrazione competente alla manutenzione di quest'ultimo) (es. 2016/98). Immobili ad uso scolastico -Trasferimento alle province. Trasferimento degli immobili di propriet delle istituzioni scolastiche statali alle province (art. 8 L. 23/96): a) se il trasferimento degli immobili sia avvenuto ex lege o consegua alla stipula della convenzione prevista dall'art. 8 L. 23/96 (esame condotto anche al fine di stabilire se dopo il 1 gennaio 1997, ed in attesa della suddetta stipula l'istituzione scolastica debba o possa continuare a sostenere gli oneri di funzionamento dell'immobile); l I PARTE Il, CONSULTAZIONI 9 b) se il trasferimento dell'immobile comporti -anche -il subentro della provincia in un rapporto di appalto relativo alla costruzione di una palestra e alla ristrutturazione e adeguamento dell'immobile trasferito alle norme di sicurezza (es. 2438/98). Immobili demanio e patrimonio dello Stato -Canone e proventi -Attraversamenti con linee elettriche. Rideterminazione, a decorrere dal 1990, dei canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del demanio e del patrimonio dello Stato; annullamento in sede giurisdizionale del DM Finanze 20 luglio 1990; conseguenze (esame condotto con particolare riguardo ai canoni corrisposti per attraversamenti aerei con linee elettriche) (es. 13403/97). Uso immobili per circoli ricreativi personale. Attivit di protezione sociale a favore del personale militare e civile delle Forze Armate; esercizio diretto delle attivit da parte dell'Amministrazione: se nel caso di gestione diretta di un circolo ricreativo si possa prevedere l'uso gratuito dei locali demaniali utilizzati (es. 1695/96). Circoli ricreativi del Ministero della Difesa: loro natura giuridica dopo il 31 dicembre 1996 (organi interni della P.A. o enti privati) (es. 1909/97). EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Contratto di mutuo agevolato -Modificazione situazione reddituale -Variazione tasso previsto. Case popolari ed economiche; agevolazioni per l'acquisto di alloggi realizzati da una societ cooperativa; assegnatario di uno di detti alloggi per il quale sia stato determinato il tasso agevolato del contratto di mutuo in relazione ai requisiti soggettivi posseduti al momento di assegnazione dell'alloggio; se sia possibile stabilire una nuova e pi favorevole misura del contributo pubblico in conto interessi, a seguito di una modificazione della situazione reddituale dell'assegnatario medesimo, intervenuta dopo l'assegnazione dell'alloggio e prima della stipula del suddetto contratto di mutuo individuale (es. 10943/97). Mutui ordinari edilizi -Garanzia dello Stato -Limiti e decorrenza. Edilizia Economica e Popolare: garanzia dello Stato per i mutui ordinari edilizi non fruenti di agevolazioni a carico dello Stato (art. 44 L. 457/78): a) se alla stessa si applichi il disposto dell'art. 3, secondo comma, L. 513/77 (giusta il quale: la garanzia ... diventa operante entro 120 giorni dalla data in cui risultato infruttuoso almeno il terzo esperimento d'asta, purch l'incanto sia stato fissato per un prezzo base inferiore al credito dell'istituto mutuante); b) da quando decorra la ridetta garanzia; se essa si estenda agli interessi moratori convenzionali; se riguardi anche i mutui integrativi (es. 834/89). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 10 GIUSTIZIA -Collaboratori di giustizia -Abitazioni. Appartamento condotto in locazione dal Ministero dell'Interno e messo a disposizione (come abitazione) di collaboratore di giustizia fruitore delle misure di protezione ed assistenza di cui al D.L. 8/91; interruzione di queste ultime; se per ottenere il rilascio dell'immobile di che trattasi la P.A. possa agire in via di autotutela, o debba adire le vie giudiziali (es. 7504/97). GIUSTIZIA PENALE -Iscrizione ipoteca legale -Pagamento tributi iscrizioni e cancellazioni in caso di patteggiamento. Iscrizione di ipoteca legale, su immobile di propriet dell'imputato, ex art. 189 c.p. e 616 c.p.p. Rocco; successiva definizione del processo penale con applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p. vigente): se colui che ha patteggiato la pena sia tenuto a pagare i tributi relativi all'iscrizione e alla cancellazione dell'ipoteca (es. 10200/96). IMPIEGO PUBBLICO -Assunzione lavoratori -Requisiti richiesti. Assunzione dei lavoratori, da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali, per i quali non richiesto titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo, effettuata dallo Stato e da Enti Pubblici (art. 16 L. 56/87); quando sia legittima la specificazione di particolari requisiti professionali nella richiesta di assunzione inviata dall'Amministrazione all'Ufficio Provinciale del Lavoro e quali provvedimenti possa adottare quest'ultimo nell'avviare a selezione i lavoratori allorch ritenga non legittima la specificazione di cui sopra (es. 3394/97). Attivit di volo e ricerca in mare -Riposo settimanale. Lavoro dipendente: principi e norme disciplinanti il riposo settimanale nel1' ambi~o dello svolgimento dell'attivit di volo relativa a collegamenti con piattaforme di ricerca e perforazione in mare (off-shore) e ad emergenze mediche (HEMS) (es. 6923/96). Dipendenti Amministrazioni pubbliche -Spese patrocinio legale -Criteri rimborso. Rimborso a dipendenti di Amministrazioni pubbliche delle spese legali dagli stessi sostenute per difendersi in procedimenti giudiziari concernenti fatti relativi al servizio prestato: criteri per la determinazione del rimborso spettante (es. 2092/96; es. 11468/97). Dipendenti Regione Sicilia -Spese di patrocinio legale -Funzioni per le quali spetta rimborso. Art. 39 L.R. Sicilia 145/80 (giusta il quale: ai dipendenti che in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti di ufficio, siano PARTE Il, CONSULTAZIONI soggetti a procedimenti di responsabilit civile o penale o amministrativa, assicurata l'assistenza legale, in ogni stato e grado del giudizio, mediante rimborso, secondo le tariffe ufficiali, di tutte le spese sostenute, sempre che gli interessati siano dichiarati esenti da responsabilit). Se la norma de qua possa trovare applicazione ove il procedimento riguardi atti o fatti connessi ali' espletamento, da parte di dipendente della Regione Siciliana, di incarico di commissario ad acta, commissario provveditore, commissario regionale, amministratore ordinario o straordinario, revisore dei conti, presso comuni, province o altri enti, e presupposto per il conferimento del ridetto incarico sia la qualit di dipendente regionale (es. 8143/97). Dipendenti statali -Spese di patrocinio legale -Rimborso. Dipendenti di Amministrazioni Statali: rimborso ai medesimi delle spese di patrocinio legale relative a giudizi per responsabilit civile o penale o amministrativa promossi nei loro confronti in conseguenza di fatti connessi con l'espletamento del servizio (art. 18 D.L. 67/97): se possa darsi seguito a richieste di rimborso non corredate da fatture quietanzate dal professionista che ha difeso il dipendente, se l'amministrazione possa verificare la congruit della somma richiesta come rimborso e se possano rimborsarsi le spese sostenute per avvalersi di due legali (es. 2347/98). Pubblico dipendente infortunato -Cumulabilit equo indennizzo e risarcimento danno dal terzo responsabile. Pubblico impiego; equo indennizzo: se il pubblico dipendente possa percepire, cumulativamente, le somme spettantigli a titolo di equo indennizzo, per infermit provocatagli da un terzo, e quelle ottenute, a titolo di risarcimento del danno, dal terzo o dall'assicuratore di questi (es. 5356/97). Sospensione dal servizio di dipendente per processo penale -Possibilit reiterazione sospensione. Impiegato dello Stato raggiunto da ordine di cattura (per delitti di peculato, falso in atto pubblico, riciclaggio) sospeso dal servizio per oltre 5 anni (dapprima sospensione obbligatoria, poi facoltativa; art. 91 T.U. lmp. Civ.) e -poi -riammesso in servizio in applicazione dell'art. 9 secondo co. L. 19/90; successiva condanna in primo grado (gravata di appello), per i delitti di cui ali' ordine di cattura, del suddetto impiegato; se lo stesso debba o possa essere nuovamente sospeso dal servizio in applicazione dell'art. 1 comma quarto septies L. 16/92 (es. 9342/96). Trasferimento dipendenti pubblici ad IRITEL -Modalit versamento somme fondo pensioni. Legge 29 gennaio 1992 n. 58 (Disposizioni per la riforma del settore delle telecomunicazioni); art. 5; costituzione di un'unica posizione assicurativa previdenzia RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 12 le, presso il fondo per le pensioni al personale addetto ai pubblici servizi di telefonia, a favore dei dipendenti statali trasferiti all'IRITEL o alle societ concessionarie dei servizi di telecomunicazione; somme che il Ministero del Tesoro deve versare al Fondo in 15 rate annuali; se su dette somme vadano corrisposti interessi per il periodo di preammortamento (il periodo intercorrente fra il giorno di passaggio del suddetto personale all'IRITEL e quello di inizio del periodo cui si riferisce la I rata) (es. 7728/97). Universit -Collaboratori tecnici -Funzione di assistente. Se possano essere attribuite funzioni assistenziali a collaboratori tecnici dell'area tecnico-scientifica e socio-sanitaria delle Universit, in possesso di laurea in medicina, assunti con decorrenza successiva al 30 ottobre 1992 (es. 13856/97). IMPIEGO PUBBLICO -INDENNIT FINE RAPPORTO -Pignorabilit per crediti da danno erariale -Limiti. Declaratoria di illegittimit costituzionale degli artt. 4 L. 424/66 e 21 d.P.R. 1032/73 nella parte in cui prevedono, per i dipendenti civili e militari dello Stato, la sequestrabilit o la pignorabilit delle indennit di fine rapporto di lavoro, anche per i crediti da danno erariale, senza osservare il limite del quinto dell'ammontare delle ridette indennit; (Sentenza Corte Cast. 225/97): pignoramenti eseguiti, o fermi amministrativi apposti, (facendo valere credito per danno erariale) sulle stesse o su porzioni delle stesse superiori alla quinta parte, in data anteriore al 9 luglio 1997 (data di pubblicazione nella G. U. della sentenza 225/97); in quali casi non trovi applicazione la precitata pronunzia della Corte Costituzionale (es. 11128/97). IMPIEGO PUBBLICO -PERSONALE MILITARE -Indennit di trasferimento -Prescrizione -'Rivalutazione. Indennit di trasferimento spettante al personale militare ex art. 1 L. 100/87: a) se il diritto alla stessa si prescriva in cinque o dieci anni; b) se la predetta indennit sia suscettibile di rivalutazione monetaria ai sensi dell'art. 429 c.p.c. (es. 3101/96). INVALIDI CIVILI -Giudizi relativi pensioni -Legittimazione Stato o Regioni. a) Annullamento da parte della Corte Costituzionale (sentenza 156/96) dell'art. 3 quinto co. d.P.R. 698/94 nella parte in cui prevede che spetti alla Regione la legittimazione passiva nei procedimenti giurisdizionali concernenti gli accertamenti sanitari relativi all'invalidit civile, alla cecit civile e al sordomutismo effet PARTE II, CONSULTAZIONI tuati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento ... allorch ...l'atto impugnato sia stato emanato dalle commissioni mediche operanti le unit sanitarie locali; quale sia il soggetto passivamente legittimato nei processi di cui sopra (es. 9083/96). b) Revoca di pensione di inabilit e di indennit di accompagnamento, a seguito di accertamento di insussistenza dei necessari requisiti sanitari compiuto a seguito di verifica ex art. 3 D.L. 173/88 -dalla Commissione Medica Superiore e d'Invalidit Civile: quale sia l'amministrazione passivamente legittimata a resistere nel giudizio in cui si contesti (esclusivamente) la suddetta valutazione di inesistenza dei requisiti sanitari (es. 8186/96). OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) -Cauzione provvisoria per partecipazione gara Modalit versamento. Appalto di opere pubbliche: se la cauzione provvisoria che correda la domanda di partecipazione alla gara (art. 30 primo co. L. 109/94) possa essere prestata con assegno circolare intestato all'Amministrazione; e -nell'affermativa -se sia legittimo ed opportuno che questa ponga immediatamente all'incasso il riferito titolo di credito (es. 9641/97). Concorrenti -Accesso ai documenti di gara. Appalto di opere pubbliche; licitazioni indette dall' ANAS; se, e nell'affermativa a quali condizioni ed entro quali limiti, i concorrenti abbiano diritto di accesso ai documenti di gara (ed in particolare all'offerta dell'aggiudicatario) (es. 13855/97). Interessi di mora ed imputazione prezzo da pagare. Appalto di opere pubbliche: a) interessi di mora ex artt. 35 e 36 d.P.R. 1063/62: quale sia il termine finale di maturazione degli stessi; b) somme pagate all'appaltatore a titolo di prezzo dalla P.A.: se possano essere imputate -ex art. 1194 cc -agli interessi; e, nell'affermativa, quale sia il regime degli interessi sulla sorte capitale rimasta insoddisfatta (es. 8002/97). Subappaltatore -Criteri e competenza per disporre la sostituzione. Appalto di opere pubbliche: sostituzione del soggetto designato in sede di offerta quale sub appaltatore, in caso di accertata impossibilit di affidamento del subappalto (art. 3 comma ter L. 55/90): a) nozione di impossibilit di affidamento; b) quale sia l'organo competente ad autorizzare la sostituzione nelle more della costituzione dell'Autorit per la vigilanza sui lavori pubblici (es. 12852/97). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 14 PENSIONI -Pensione ad orfano di dipendente statale -Successiva adozione del minore. Minore titolare di pensione ordinaria indiretta quale orfano di dipendente statale: se possa continuare a fruire del trattamento pensionistico dopo essere stato adottato (es. 7798/97). PERSONALE INSEGNANTE -Docenti e ricercatori universitari -Copertura posti vacanti nelle strutture assistenziali -Procedura. Attivit assistenziale svolta da docenti universitari e ricercatori presso cliniche e istituti universitari di ricovero e cura, convenzionati con le regioni ai sensi dell'art. 39 L. 833/78; vacanza di posti nelle strutture assistenziali a direzione universitaria: se, in presenza di domanda avanzata da un professore ordinario (o straordinario) di ricoprire un posto vacante di primario, si possa bandire la procedura (di cui all'art. 102 quinto e sesto co. d.P.R. 382/80) di attribuzione di qualifica superiore a fini assistenziali, per la copertura del posto di cui sopra (e se, alla considerata procedura, possa partecipare un professore ordinario o straordinario) (et. 8192/96). Docenti universitari -Tempo pieno -Compatibilit presidente ERSU. Se lo status di docente universitario a tempo pieno, sia compatibile con la carica di Presidente dell'ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario) (es. 3102/97). Ricercatori universitari in servizio presso i Policlinici -Base stipendiale per assegno alimentare. Se l'indennit corrisposta -ex art. 31 d.P.R. 761/79 -al ricercatore universitario che presti servizio presso i Policlinici, le cliniche e gli Istituti Universitari di ricovero e cura convenzionati con le Regioni e con le Aziende Sanitarie Locali, faccia parte della base stipendiale da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell'assegno alimentare spettante al ricercatore sospeso dal servizio (es. 7664/96). POLIGRAFICO DELLO STATO (ISTITUTO) -Inserzioni sul FAL di Roma relative a procedure di eredit giacente o fallimentari -Attribuzione oneri relativi. Se le inserzioni effettuate sul Foglio Annunzi Legali della Provincia di Roma (la cui amministrazione, stampa e vendita sono state affidate -dal R.D.L. 97/32 all'Istituto Poligrafico dello Stato, per conto della Prefettura) e relative a procedure di eredit giacente o alle procedure fallimentari, siano da classificare, in base all'art. 14 DM 17 luglio 1934 (norme per l'esecuzione del R.D.L. 97/32) come annunci a pagamento o a credito o gratuiti; e -nell'eventualit che non si tratti di annunzi a pagamento -su chi debbano gravare (Ministero dell'Interno o Istituto) gli oneri ad essi relativi (nell'eventualit che si tratti di annunzi a credito, ovviamente, ove il credito sia rimasto insoddisfatto per insufficienza dell'attivo) (es. 10571/95). ~11111111--111 PARTE Il, CONSULTAZIONI 15 PREVIDENZA -Addebito contributi professionisti lavoratori autonomi al committente -Condizioni. Contribuzione previdenziale ex art. 2 comma 26 e ss. L. 8 agosto 1995 n. 335; diritto di addebito, al committente, di una somma pari al 4% dei corrispettivi lordi previsto a favore dei soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo di cui all'art. 49 primo co. d.P.R. 917 /86: a) da quando il considerato diritto possa essere esercitato e quale sia il fatto generatore dello stesso; b) se -e nell'affermativa a quali condizioni -possa spettare ad ingegneri ed architetti; c) effetti della mancata esposizione in fattura dell'addebito della somma pari al 4% dei corrispettivi lordi (es. 9294/96). PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Diritto di accesso e diritto alla riservatezza. Accesso ai documenti amministrativi: a) se possa riconoscersi un diritto di accesso anche a prescindere dalla partecipazione ad un procedimento amministrativo; b) rapporto tra diritto all'accesso e diritto alla riservatezza (es. 1223/98). Soppressione e messa in liquidazione enti diritto pubblico -Limiti recupero crediti o pagamento debiti -Criteri. L. 4 dicembre 1956 n. 1404 (soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale); art. 9 u.c. (giusta il quale: non si fa luogo a recupero di crediti o a pagamento di debiti delle gestioni di liquidazioni.... quando gli importi delle singole partite non superino le f. 200.000 ); interpretazione: a) nozione di singola partita; b) se la norma riguardi i residui di crediti o debiti in origine di importo superiore, per i quali, nel corso della liquidazione, vi sia stato parziale pagamento; c) se l'importo di f. 200.000 vada riferito alla sola sorte capitale o se -invece -debba tenersi conto anche degli interessi sulla stessa maturati (es. 5120/91). Trasferimento al Ministero del Tesoro azioni societ in liquidazione -Garanzia debiti -Limiti. a) se l'avvenuta messa in liquidazione della soc. Armamenti e Aerospazi, le cui azioni dovrebbero essere trasferite al Ministero del Tesoro ex art. 5 co. 2 septies D.L. 487/92, sia ostativa a detto trasferimento; b) se la garanzia dello Stato ex art. 5 co. 2 ter D.L. 487/92 per i debiti delle societ del gruppo EFIM sia attivabile in relazione ad un debito di mora di tale RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ... 16 societ accertato con lodo arbitrale internazionale per il solo fatto di tale intervenuto accertamento giudiziario (es. 287/95). PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -SEDE UFFICI -Locazione immobili -Rinnovazione contratto fra PA. locatarie e locatore. Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione: a) se ai contratti stipulati dallo Stato in qualit di conduttore si applichino le disposizioni in materia di rinnovazione del contratto dettate dagli artt. 28 e 29 L. 392/78; e nell'affermativa quali conseguenze derivino dal diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza non motivato o fondato su motivo che atti compiuti dal locatore palesino insussistente; b) esame del seguente caso: immobile condotto in locazione da Amministrazione Statale; diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza motivato con l'intenzione di adibire il ridetto immobile a sede di uffici della societ locatrice; successiva offerta della ridetta societ di stipulare un nuovo contratto a I canone notevolmente maggiorato; trattative fra Amministrazione e Societ sfociate nella predisposizione di un atto di impegno a locare sottoscritto dalla seconda: se sia I legittimo ed opportuno il rifiuto dell'Amministrazione di stipulare il nuovo contrat., to (es. 1727 /98). RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE -Consorzi concessionari -Esercizio vigilanza. Consorzio obbligatorio tra i Concessionari del servizio di riscossione deitributi: natura e modalit di esercizio della vigilanza governativa sullo stesso (es. 13539/97). SANZIONI AMMINISTRATIVE -Recupero importo sanzioni pecuniarie irrogate a trasgressore fallito. Sanzioni pecuniarie amministrative; fallimento del trasgressore successivo alla commissione dell'infrazione: se, in costanza di fallimento, l'Amministrazione possa emettere ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. 689/81 e nei confronti di chi (es. 9427/97). SANZIONI AMMINISTRATIVE -MEDIATORI -Attivit abusiva -Sanzioni pecuniarie Organi accertamento e contestazione. Illeciti puniti con sanzione pecuniaria amministrativa: esercizio abusivo del1' attivit di mediatore (art. 8 L. 39/89): organi abilitati ad accertare e contestare la predetta infrazione (es. 624/96). PARTE Il, CONSULTAZIONI SANZIONI AMMINISTRATIVE -VENDITA AL PUBBLICO -Infrazioni -Sanzioni pecuniarie -Competenza all'irrogazione. Commercio di vendita al pubblico; infrazioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa (commesse da chi esercita il commercio su aree pubbliche) previste dall'art. 6 L. 112/91; infrazioni commesse prima dell'entrata in vigore della L. 77/97 e per le quali il rapporto degli accertatori sia pervenuto all'UPICA prima dell'entrata in vigore della ridetta L. 77 /97; se l'Autorit competente ad emanare l'ordinanza- ingiunzione sia l'UPICA o il Sindaco (es. 13035/97). STRADE -Concessioni autostradali -Proroga per ammortamento costi. Se, dopo l'entrata in vigore della L. 109/94 possano essere consentite proroghe di rapporti concessori autostradali (correnti con societ diverse da quelle previste nel D.L. 333/92, artt. 1 e 14) al fine di consentire, attraverso i proventi di gestione del1' autostrada, l'ammortamento di costi subiti dalla concessionaria per la manutenzione o l'ampliamento dell'autostrada o apportare innovazioni alla stessa (es. 7635/97). Concessioni autostradali -Proroga ventennale. Societ, titolari di concessioni autostradali, controllate dalla soc. AUTOSTRADE S.p.A.; se e a quali condizioni, possano fruire della proroga ventennale di concessioni disposta dall'art. 14 D.L. 333/92 (es. 7682/97). TRASPORTI -Ferrovie -Concessioni 'l'A.V -Norme comunitarie. TAV SPA concessionaria per la progettazione esecutiva, la costruzione e lo sfruttamento economico del sistema alta velocit; mandato che la stessa intenderebbe conferire ad istituti di credito per la raccolta di fondi; se l'attivit di conferimento del ridett mandato rientri o meno nel campo di applicazione della direttiva 93/38 CEE del Consiglio e del D.Lgs. 158/95 (es. 2986/98). TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IMPOSTE DI CONSUMO -Agevolazioni -Ente Poste. Imposta di consumo sul gas metano: se -e nell'affermativa entro quali limiti -l'Ente Poste Italiane possa fruire dell'aliquota agevolata per gli usi industriali (es. 3678/97). Aliquota agevolata per uso industriale da parte di istituzioni a finalit sociali ed assistenziali. Imposta di consumo sul gas metano: aliquota agevolata per usi industriali: se possano usufruirne: orfanotrofi, case di riposo per anziani, case albergo per handi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 18 cappati, comunit di recupero per tossicodipendenti, aziende ospedaliere, case di cura, strutture ricettive (diverse dagli alberghi) di cui all'art. 6 L. 217/83; istituti che offrono ricovero e alloggio per i religiosi, convitti e collegi (es. 5947/97). TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IVA -Cessione fabbricati -Limiti agevolazione. Aliquota IVA agevolata per le cessioni di fabbricati rispondenti alle caratteristiche fissate nell'art. 13 L. 408/49 e successive modificazioni e integrazioni; pluralit di fabbricati costruiti nell'ambito di una lottizzazione: se la proporzione fra la superficie destinata ad uffici o negozi e quella destinata ad abitazioni vada calcolata (al fine di determinare se vi sia la rispondenza alla normativa di cui sopra) in relazione ad ognuno dei fabbricati o al complesso di questi (es. 11693/97). IVA su prestazioni leasing -Somme per rivalsa ICI. Immobili concessi in locazione finanziaria; IVA dovuta sulla prestazione di leasing: se le somme che il concedente addebita al locatario, a titolo di rivalsa ICI, entrino a far parte della base imponibile IVA (esame relativo al periodo anteriore all'entrata in vigore dell'art. 58 D.Lgs. 446/97) (es. 11689/97). URBANISTICA -Misure di salvaguardia -Adozione piani territoriali paesistici. Misure di salvaguardia ex artt. 1 ter e 1 quinquies D.L. 312/85 (conv. L. 431/85): se esse perdono efficacia al momento dell'adozione dei piani territoriali paesistici (o dei piani urbanistico-territoriali) o al momento dell'approvazione definitiva di questi (et. 21721/96).