1, SSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ,.. ;rr Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. ANNO XLIV N. 2-3 APRILE -SETTEMBRE 1992 ~AJE(GNA AVV(Q)CAJrllJ~A JD)JEJLJL(Q) 1rAJr(Q) PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1993 ABBONAMENTI ANNO 1993 ANNO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 52.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Marketing e Commerciale Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (4219145) Roma, 1993 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del- l'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . pag. 159 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . . 213 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI (a cura degli avvocati Giuseppe Stipo e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . . . . 235 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/' avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . 290 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) . . . . . . . . . . . . . . 302 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI RASSEGNA Di LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 Comitato di redazione: Avv. D. Del Gaizo -Avv. G. Mangia - Avv. M. Salvatorelli -Avv. F. Sclafani La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI G. AZZARITI, Conflitto di attribuzioni tra Consiglio Superiore della Magistratura e Ministro di Grazia e Giustizia sul conferimento di incarichi direttivi a magistrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 190 M. SALVATOREIJ..I, Procedimento per la repressione di condotta antisindacale di una Pubblica Amministrazione e litispendenza . . . . . . I, 281 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ARBITRATO CORTE COSTITUZIONALE -Arbitrato rituale -Procedimento di esecutivit del lodo -Difetto di contraddittorio -Questione di costituzionalit -Infondatezza, 159. -Obbligatorio e facoltativo -Concorde volont delle parti -Arbitrato previsto da norma regolamentare -Illegittimit -Possibilit di deroga -Irnilevanza, 250. ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI -Sindacati -Procedimenti per la repressione di condotta antisindacale Ricorso proposto dinanzi a pi Pretori -Litispendenza, con nota di M. SALVATORBLLI, 281. BENI -Brevetti per invenzioni industriaH Domanda di rinnovo del brevetto per marchio d'impresa -Legittimazione -Titolare del brevetto -Delega ad un terzo -Forma scritta -Gestione d'affari altrui -Esclusione, 266. COMUNIT EUROPEE -Agricoltura -Semi di soia -Regime d'aiuti alla produzione -Regolamento contenente modalit di applicazione -Violazione del principio di parit di trattamento e del principio di proporzionalit -Invalidit, 213. -Aiuti di Stato -Procedura d'esame Atto impugnabile, 227. - Armonizzazione delle legislazioni in materia fiscale -IVA -Avvocati e procuratori legali -Contributo integrativo a favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza Non assimilabilit, 222. -Giudizio di legittimit costituzionale in via incidentale -Soggetti legittimati a costituirsi -Terz rimasti estranei al giudizio a quo -Legittimazione -Condizioni, 179. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Camera dei deputati Autodichia Controversia riguardante la procedura concorsuale per l'assunzione Difetto di ~iurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, con nota di F. SCLAFANI, 257. GIURISDIZIONE CIVILE -Impiego pubblico -Giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo -Ingiunzione fiscale -Opposizione dinanzi all'AGO -Difetto di giurisdizione, 280. -Provincia autonoma di Bolzano Rapporto di impiego con ente pubglico economico -Provvedimento di trasferimento del dipendente -Controversia sulla normativa concernente il bilancio -Giurisdizione del Giudice ordinario, 235. -Responsabilit civile -Lesione di interessi legittimi in materia di prezzi -Tutela -Non spetta -Contrasto con la normativa comunitaria -Non sussiste, 241. IMPIEGO PUBBLICO -Dipendenti degli enti lirici -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 274. -Dipendenti dell'Azienda Autonoma di assistenza al volo -Passaggio ad altra Amministrazione -Applicabilit degli artt. 202 T.U. n. 3 del 1957 e 12 d.P.R. n. 1079 del 1970 -Esclusione, 296. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO VI -Rapporto di lavoro subordinato Nullit -Diritti patrimoniali del lavoratore -Art. 2126 cod. civ. -Applicabilit, 290. -Stipendi, assegni e indennit -Indennit di funzione dei magistrati e indennit di presidenza -Cumulabilit, 300. LAVORO -Lavoro a tempo parziale -Determinazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa -Rilevanza -Potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente tale collocazione -Esclusione -Clausola di distribuzione dell'orario priva della necessaria determinazione Nullit del contratto -Esclusione, 165. - Vice Pretore onorario -Rapporto di impiego professionale (autonomo o subordinato) -Esclusione -Eventuale compenso -Natura indennitaria, 276. LOCAZIONE -Immobili ad uso non abitativo Responsabilit del conduttore per il ritardo nella restituzione dell'immobile -Esonero per il periodo anteriore alla data fissata dal giudice per il rilascio -Caso di comprovata insussistenza della difficolt per il conduttore di reperire altro immobile idoneo -Illegittimit costituzionale, 162. OBBLIGAZIONI (IN GENERE) -Adempimento -Imputazione del pagamento al capitale -Consenso del creditore -Interessi maturati per periodo inferiore al semestre -Non producono interessi, 239. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi -Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura Attivit di concertazione con il Ministro di Grazia e Giustizia da parte della Commissione per gli incarichi direttivi -Mancato accordo in tempi ragionevoli sulla proposta da formulare -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura -Insussistenza,con nota di G. AZZARITI, 190. -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi -Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura Mancato concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia sulla proposta della Commissione per gli incarichi direttivi -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura -Sussistenza, con nota di G. AZZARITI, 189. -Magistrati -Procedimento disciplinare -Riabilitazione ex art. 87 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 -Applicabilit Illegittimit costituzionale, 174. POSSESSO -Usucapione -Conferimento di bene immobile in concessione da parte della P. A. nell'errata convinzione della demanialit -Costituisce atto dispositivo utile ai fini dell'usucapione, 260. PROCEDIMENTO CIVILE -Atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti ad uno Stato estero Autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia -Applicabilit a beni diversi da quelli sottratti a misure coercitive secondo il diritto internazionale -Illegittimit costituzionale in parte qua, 183. RESPONSABILIT CIVILE -Lesione di interesse legittimo -Risarcimento del danno -Esclusione, 262. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Interferenze nelle bande di radiofrequenza tutelate -Caso fortuito Nozione, 270. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Interferenze nelle bande di 1:adiofrequenza tutelate -(;olpevolezza Onere della prova a carico dell'am ministrazione, 270. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI . -Imposta sui ~~ddit{di.riccb~zamobile ~. Plusvalenza ~ Maggior. valore dovuto a svalutazione monetaria Iscrizione in bilancio . Non costi tuisce reddito, 351. - Imposta sl reddito delle persone fisiche Accertament In:ciilpleta indicazione nelle :l'attute -Accetta mento induttivo legittimit, 354. -Iiilposta sul reddito delle persone fisiche ~ Accertarrienfo~ Motiva2:ione Metodo iriduttivo - Deterininazione del reddito in base a fatti indice accertamenti -Legittimit, 326. -Imposta sul reddito delle persone fisiche e imposta locale sui redditi . Agente di assicurazione Regime anteriore alla legge 29 dicembre 1990 n. 408 -Reddito di impresa -Assoggettamento all'ILOR. 327. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari -Fabbricati -Procedimenti -Procedimento catastale Classamento -Motivazione Requisiti, 304. -Imposta sul reddito delle persone fisiche Redditi fondiari Fabbricati Ricorso contro il classamento Motivi, 304. -Imposta sul reddito delle persone fisiche Reddito di impresa Contributi in conto esercizio -Non costituscono reddito, con nota di C. BAFILE, 309. - Imposta sul reddito delle persone fisiche -Reddito di impresa . Perdite su cambio -Deducibilit alla chiusura dell'esercizio Esclusione -Deduzione al momento della scadenza (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 72), 345. - Imposta sul reddito delle persone giuridiche Redditi fondiari Terreni Deduzione dei contributi di bonifica obbligatori Esclusione, 333. - Imposte sui redditi -Riscossione Controversia sulla spettanza di esen zioni ~ Iscrizion.e a ruolo a titolo definitivo della. int{;}ra imposta . bcrizione a ruolo frazionata -. Esclusione, 322. -llJ).poste sui redditi -Sp{;}ttanza di esertziom -Negazione -lscriziorte a :rui:>Io .a, tifo1o definitivo -Ille!P:itmi t, 322. . . . .. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI .;;;;;. Accertamento .Motivazione Criteri di svalutazione -Valore in comune commercio ~ Ammissibilit, 366. -Diritti e imposte varie -Lotto e lotterie Premi in denaro Attivit il lecita non aui:orizzabile Esclusione dell'imposizi<:>ne, 342. -Imposta di registro -Base imponi bile Vendita in esecuzione di con cordato fallimentare -Estensione dell'art. 42 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 364 -Esclusione, 369. -Imposta di registro Trasferimento di azienda -Cessione di azienda, 364. -Imposta di successione -Condono Successiva deduzione di passivit Inammissibilit, 357. - Imposte doganali Riscossione In giunzione -Opposizione -Termine Contestazione per mancanza di tem pestivo accertamento -Decadenza, 339. TRIBUTI IN GENERE. Accertamento -Accessi ispezioni e verifiche -Rifiuto di esibire libri registri e documenti -Divieto di esibizione in giudizio -Tmposte dirette Si estende, 371. -Accertamento -Notificazione -Inesistenza di abitazione ufficio o azienda -Deposito e affissione presso il comune -Insufficienza -Ricerche anagrafiche -Necessit -Omissione Nullit insanabilit, 315. -Accertamento -Notificazione -Societ -Cambiamento della sede legale Dovere di comunicazione dell'ufficio -Notifica a mani ael legale rappresentante -Sostituzione -Omessa comunicazione all'ufficio -Irrilevanza, 314. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO VJll -Accertamento -Rinnovazione prima della scadenza del termine -Ammissibilit, 321. -Contenzioso tributario -Giurisdizione condizionata -Imposte dirette Rimborsi -Ricorso alla commissione non preceduto da istanza amministrativa -Improponibilit, 331. -Contenzioso tributarfio -Giurisdizione -Opposizione all'esecuzione Terzo -Controversia di imposta Giurisdi. zione delle commissioni, 349. -Contenzioso tributario -Imposte indirette -Atti impugnabili -Avviso di liquidazione preceduto da avviso di accertamento di valore -Impugnabilit per contestare la debenza dell'imposta proporzionale, 302. -Restituzioni e rimborsi -Decadenza Diritti indisponibili -Rilevabilit d'ufficio, 336. TRIBUTI LOCALI -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Detrazione del contributo di miglioria -Contributo corrisposto nel periodo di riferimento relativamente a presupposto verificatosi anteriormente -Esclusione, 360. -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Soggetti passivi Solidariet -Parti in senso formale Esclusione, 373. -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Spese incrementative -Denuncia -Termine, 375. I I I ~ 0 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE pag. 159 4 marzo 1992, n. 80 . . 162 1 aprile 1992, n. 149 11 maggio 1992, n. 210 165 22 giugno 1992, n. 289 . 174 8 luglio 1992, n. 315 . 179 15 luglio 1992, n. 329 183 27 luglio 1992, n. 379 189 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sez. V, 8 aprile 1992, nella causa C-256/90 . . . . . pag. 213 Sez. VI, 7 maggio 1992, nella causa C-347/90 .. )) 222 )) Sed. Plen., 30 giugno 1992, nella causa C-47/91 . 227 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 17 giugno 1991, n. 6847 . pag. 235 Sez. I, 17 luglio 1991, n. 7960 . . 239 Sez. Un., 14 gennaio 1992, n. 364 . 241 Sez. Un., 10 febbraio 1992, n. 1458 . )) 250 Sez. Un., 18 febbraio 1992, n. 1993 . 257 Sez. I, 11 marzo 1992, n. 2913 . . )) 260 Sez. Un., 18 marzo 1992, n. 3357 . )) 262 Sez. I, 2 aprile 1992, n. 4017 . 302 Sez. I, 3 aprile 1992, n. 4085 . 304 Sez. I, 7 aprile 1992, n. 4264 . 309 Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4302 . 314 Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4303 . )) 321 Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4308 . 315 Sez. I, 9 aprile 1992, n. 4360 . )) 322 Sez. I, 14 aprile 1992, n. 4551 . 326 Sez. I, 16 apI'ile 1992, n. 4695 . 266 327 Sez. I, 16 aprile 1992, n. 4698 . Sez. I, 23 aprile 1992, n. 4900 . 270 Sez. Un., 23 aprile 1992, n. 4929 . 274 Sez. Lav., 27 aprile 1992, n. 5008 . 276 Sez. I, 4 maggio 1992, n. 5242 . . . 331 X RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Sez. I, 11 maggio 1992, n. 5604 . )) 333 Sez. I, 12 maggio 1992, n. 5620 . )) 336 Sez. I, 28 maggio 1992, n. 6446 . 339 Sez. I, 29 maggio 1992, n. 6520 . 342 Sez. I, 29 maggio 1992, n. 6521 . 345 Sez. Un., 3 giugno 1992, n. 6786 . 280 Sez. Un., 3 gfogno 1992, n. 6789 . 349 Sez. I, 10 giugno 1992, n. 7151 . )) 351 Sez. I, 11 giugno 1992, n. 7180 . 354 Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8026 . )) 357 Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8032 . )) 360 Sez. I, 9 luglio 1992, n. 8362 . 364 Sez. I, 10 luglio 1992, n. 8399 . 322 Sez. I, 14 luglio 1992, n. 8546 . 366 Sez. I, 14 luglio 1992, n. 8552. 369 Sez. I, 17 luglio 1992, n. 8694 . )) 371 Sez. I, 20 luglio 1992, n. 8754 . )) 373 Sez. I, 27 luglio 1992, n. 9009 . )) 375 PRETURA DI ROMA Sez. Lav., 17 giugno 1992 (decreto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 281 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 29 febbraio 1992, n. 1 . . pag. 290 Ad. Plen., 16 marzo 1992, n. 8 . . . 296 Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 238 . 300 PARTE SECONDA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: Questioni di legittimit costituzionale I -Norme dichiarate incostituzionali .................. pag. 47 II -Questioni dichiarate non fondate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 PARTE PRIMA I I ' GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 4 marzo 1992, n. 80 -Pres. Corasaniti -Red. Granata; Soc. Technicolor (avv. Colesanti) c. Soc. Telecolor (avv. Di Gravio); Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Arbitrato -Arbitrato rituale Procedimento di esecutivit del lodo Difetto di contraddittorio Questione di costituzionalit Infondatezza. (Cost., art. 24; cod. proc. civ., ari:. 825). E infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 825, cod. proc. civ., in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede la previa instaurazione del contraddittorio per la dichiarazione di esecutivit del lodo (1). (Omissis) Nel merito la questione non fondata. La norma impugnata -modificata, ma non nella parte che interessa, dall'art. 3 1. 9 febbraio 1983 n. 28 (modificata della disciplina dell'arbitrato) -prevede che la parte che intende far eseguire il lodo in Italia tenuta a depositarlo in originale, unitamente itl compromesso (o ad altro atto equipollente), nella cancelleria della pretura del luogo in cui stato deliberato nel termine (perentorio) di un anno dal ricevimento del lodo. Su tale lodo il pretore opera un duplice controllo, essendo chiamato ad accertare sia la tempestivit del deposito, sia la regolarit formale del lodo stesso. All'esito di tale verifica, se positiva, dichiara esecutivo il (1) Ci che rileva, ai fini del rispetto dell'art. 24 Cost., la sindacabilit anche successiva . del decreto di exequatur che la legge garantisce attraverso i diversi strumenti processuali indicati nella sentenza; tale pronuncia dichiaratamente in linea con C. Cost., sent. 61ugliO 1972 n. 125, in Foro it. 1972, I, 2355; ord. 19 gennaio 1988 n. 37, ivi, 1988, I, 3668; sent. 6 luglio 1970 n. 141, ivi, 1970, I, 2038. La dottrina si in particolare soffermata sul problema della natura contenziosa o volontaria della g;iurisdizione esercitata dal Pretore con il decreto di cui all'art. 825 c.p.c.: al riguardo si veda CECCHELLA, L'arbitrato, UTET, To., 1991 p. 193 e segg. e NICOTINA, La dichiarazione di esecutivit del lodo arbitrale, Cedam, PD., 1983 pag. 33 ss. L'ordinanza di rimessione Pret. Roma 1 giugno 1991 pubblicata in Temi romana 1991, I, 148. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 160 lodo con decreto, emesso inaudita altera parte, ed in tal modo gli conferisce efficacia di sentenza. Il procedimento che conduce al decreto pretorile di esecutivit quindi estremamente snello ed ben circoscritto il controllo operato dal pretore; sicch in questa fase processuale cos configurata, la norma non prevede un obbligo del pretore della previa audizione delle parti; n prevista la previa instaurazione del contraddittorio. C' per da rilevare innanzi tutto che l'atto di impulso del procedimento che sfocia nella dichiarazione di esecutivit del lodo rappresentato dalla determinazione di una delle parti espressa con il mero atto di deposito del lodo (e del compromesso) senza che sia prevista alcuna attivit difensiva ancorch volta unicamente ad illustrare le ragioni della ritenuta tempestivit del deposito e della regolarit del lodo. Il sindacato del pretore quindi operato sugli atti e pertanto, come non sente la parte che ha promosso il procedimento, analogamente non tenuto a sentire la controparte, giustificandosi tale disciplina -ispirata a finalit di semplificazione e di celerit -per il fatto che il decreto pretorile si colloca, come appendice terminale, dopo la procedura arbitrale nel corso della quale il contraddittorio tra le parti ha avuto possibilit di estrinsecarsi (arg. ex art. 816, 3 comma, c.p.c. che fa salvo in ogni caso il diritto delle parti ad avere un termine per presentare documenti e memorie e per esporre le loro repliche). D'altra parte l'ordinamento appresta adeguati strumenti processuali per instaurare successivamente all'emanazione del decreto pretorile il contraddittorio delle parti sulla sussistenza, o meno, dei presupposti per la declaratoria di esecutivit del lodo. Infatti, in caso di decreto del pretore che (illegittimamente) nega l'esecutoriet del lodo, ammesso reclamo mediante ricorso al presidente del tribunale che tenuto a sentire le parti prima di provvedere con ordinanza (art. 825, ultimo comma, c.p.c.). Nel caso, invece, del decreto che (illegittimamente) dichiara l'esecutivit del lodo, cos facendo venire ad esistenza la sentenza arbitrale (art. 825, 5 comma, c.p.c.), vero che il legislatore sia del codice di rito del 1940, sia della riforma del 1983 -sulla scorta di risalenti sollecitazioni della dottrina che aveva ritenuto ridondante la previsione del reclamo contro il decreto pretorile che dichiara l'esecutivit (com'era previsto nel previgente codice di procedura civile) -non ha contemplato uno specifico mezzo di impugnazione che consente di aggredire il solo decreto pretorile, essendo questo assorbito nella sentenza arbitrale di cui segue le sorti {analoghe ragioni si rinvengono nella relazione al disegno di legge n. 1686 di ulteriore riforma della disciplina dell'arbitrato, presentato dal ministro di grazia e giustizia e comunicato alla presidenza del senato della repubblica il 10 aprile 1989). anche vero per che nei confronti della sentenza arbitrale esperibile l'impugnazione per nullit nei casi previsti dal . :-::: -:-:::..::.::..-: .: . . ... . .. ... ... . ....... .. . .. . . . . . . ...... . . . :: .:- . . ..-: .. .. .. / .l'!~# $~~ ,P',i:k.(~ $e~aJl:l~Jt~ in r#~rl~ento a!Ja regplant~.. formale del 1o4ot*etc~~g PMtett1plat() d~ h. s della normak cQ.nie .anche possibile, r:l'.pJ;'r~.g'.Qpe;. i Pl.'~~.ppp~ti~ l'.<>ppqaj~i~, aWeseci,Jzjgne. I:n e:nttamb:i i casi ~ ~i#~~ l;tpprQXitata J~ ?p$$lW#j hoo. Un'ac~:'emtata oPini:.One; dottrinale, fatta .PP9p.~ii:l.. qaj,la.m:4.... te~l:ltc;}.. ~l;ltj$,Pf44~i.t-.4ell.i:.ofogy~)/l\Pl lodo he invece irrituale la giurisprudenza . .. P:tie~ aj.W$&jpjJ~ )'iffi.pj.fgp.ati~ Jlegoihe detlQ1'()~~i .J?~r 1~ fl'.ibiar~iQne di esectithtit de1 lodo tra$ trffi.ritto1()fu. ~~ht~nzi afl:trllsia /.?cdme lliefitHe .;;;_;_ esso stesso :i~?~t~~~~l~~i~~~~t~f~l~~~iJ~~b ~~;~ ~#~*tfo~e ffi ostiturionalit per J,?oter ricrioscere Clj~ U J#ta4!:litt9P:9 Jt~.Je:P~cti si instaura in terr.w~..... ~~~it1*~8H~l:Q~4t~ a4~i.~##<>i?Q... i'~ffiffii~i9n~.c1e1 .decreto pretorile anche: riell'iJ?<>tesi in .j ss sia dfohiarativo dell'esecutivit del lodo. >. Vers~g.Qsi 'lll,!~cli in, f~~~j$1?~ie <;li m,~o... f:lif#etjll)ento dell'instauraz~ one .. del. ontra4flitt()tj9,. q,ii~#~ {)pri~.~itime .di ol}fermare la propria giurisp:,i:u4ellta}t1 9#t~~...aJAA..r~~t1m .C:<>ffipat~l:>.it 4i siffatta posticipa~ io:n,e...col1 111.. ~~:r~.a... geil .. dir~~t9...~... <:ijfeia ..1;1:p!t.q c1all)~rt~.24 Cost. .... qs, 1;>n lifmW.~nto.. al c1~ci;~t() .<>l] c'aj.il gfty,ii. U(lUida il compenso al consulente . te?lico, . decreto. che costituisce. titol() eiecutivo contro la parte a carioo della quale posto il pagamento ed pronunciato senza la previa i11s~urMione del P~!ltradditt()ri() (art'. 2.4 disP att, c.p.c.), la ~orte (serit. n. 1~5c1el .1972, .foro it., 1912~ J, 7~55)"7 #e.ll'assimilare tale pf6vve4i#iegt(J.~l.a~t~tC>ingjfultiv()..ci:>n. ~~l').s~ge~ter#enuta a'.tnmissibili. g!N)pposiifo!l~ d.el1a ij,l"~e. interessat ' ha affermato. che in tale fattispecie non precluso il contraddittorio, ma ne differita l'attuazione alla fase pr<)<:essuale .di .oppo$.,i911e . eifa fa stessa ),QtJ;ila lglsllil.tiiia, fondh. tiri ifratiotifile fucoteriz cbff 1a,disdplina: prevfat per te altre ip&tesi . dfriiilll:t. :Ptiiale defcd!lfrait6 di..favoro sl.tbor~ dmafo, sf da Ciifllgge'e con gff MltC 3, 3cfe 38ctifo. Costituiione. n 1~1~~~~~~~1r~i~!t~~~1 prestazione : la~orati~a di fatto, . priva. di valido ~ttQ l!e11tf(;pj, .ii che costi~ WJst;J ~~~f9f1e 4xi l?fmP.Pi c;o~t~~YP2I1a~i ~cwr~ 1ll~i~9gati. . . < .:t.(i~terpr.et~~9n<;... c1et .. cita,t9 ;;p;t~ s, seS9PdRwn:iwa.alla .. quale. il g~.i::lice ~ q;t,tpJa riferi:cn,ento per.. Ia pril;)la.delltil< 4ue. ques'f;ioni .di costituzi9palit sottoposte all'esame di questa Corte, form.lata .ella. sentel}Za della Cassazione, sezione lavoro, 22 marzo 1990, n. 2382,Jn cul;:: in effetti, si legge che l'obbligo .. della:distribuzione. dell'orario. stabilito :dal citato art. 5 I; 86:3 del 1984 ... non implica la necessit di determinare; oltre alla durafa Urtitaria, la disfocazidne temporale della. prestazione lavorattfa. DF>guisa che nel eonttatto individuale possonoutilmente essere adbtfat Clausole (cosiddette A rigide '') recanti l'indicazione sia della quantit che della c&ll.ocazfone temporale cfolla prestazfone, owero clausole (cosiddette it elastiche "), cori. le quali le parti . si itnltari.b :a :determinare la durata delperfod() lavorativo setiia spedficarne la disfocatone 11eul.lmt~ di tempo in:ihtediata:cn,ente pi ampia . dhlliindetermin:t:Zza della dal.lsola parMiml derlv J'applicazione dell'art; 2126 cod. Civ; SU! favore) di fatt lav. 1990, 487 in cui >Si nega la conversione in coptratto di lavoro atempo pieno, a meno che non. risu).ti voluta dalle parti, e si applica la disciplina del lavoro di fatto. In dottrina si veda da ultimo MoRGERA P., Lavoro a tempo parziale, in Enc. giur. Treccani Roma 1990, vol XVIII; MELE L., Il part-time Milano, 1990; PAGANO S;, Linee di tendenza del lavoro temporaneo, in Dir. Lav. 1990, I. 6L 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Questa interpretazione stata assunta dal Pretore di Firenze a base e ad oggetto dell'ordinanza di remissione perch ritenuta diritto vivente , in ragione dell'affermazione di essa da parte del Supremo Collegio. Occorre invece osservare che non sussistono le condizioni perch l'emJ,t1ciato interpretativo in esame sia considerato idoneo a rappresentare .un coni;olidato indirizzo giurisprudenziale. A questo ri.gual'do, da rilevar(! che l'affermazione suddetta -che, peraltro, non risulta essere stata successivamente ripresa dalla giurisprudenza della Cassazione -non costituiva la ratio decidendi della richiamata prqnun.:z;ia, ma rapppresentava un semplice obiter dictum. Il caso ~ottoposto al.l'esame. della Cassazione, infatti, riguardava contratti di lavoro a tempol?arziale ai quali, come si legge nella motivazione, la normativa impugnata n:on era applicabile, essendo stati gli stessi conclusi prima della sua entrata in vigore. La stessa pronunzia, del resto, dichiara che non aveva alcuna rilevanza, nella fattspede ih esame, la questione relativa alla dedotta essenzialit della specifica deterfuinaziorie della collocazione temporale della prestazione lavoratiVa. Se, quindi, nori Vi sono elementi per ritenere che l'interpretazione presupposta dal giudice a quo si sia affermata come diritto vivente, vi da osservare che . essa non appare imposta e neppur suggerita dai comuni canoni ermeneutici, mentre preminente rilievo deve essere riconosciuto, in qiiei>to. caso, al. criterio secondo cui, tra pi significati possibili di una medesima disposizione, l'intel'Prete deve escludere quello. tra di essi, che non sia coerente con il dettato costituzionale. ~Ul piano letterale, la prescrizione secondo cui nel contratto di lavoro a tempo parziale devono. essere indicate, oltre alle mansioni, anche la distribuzione dell'orario, con rifermento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno non appare poter essere intel'Pretata nel senso che il legislatore abbia considerato sufficiente l'indicazione della durata della prestazione lavorativa in riferimento ai . parametri temporali specificati nella norma {e tanto meno in riferimento ad alcuni soltanto di essi). Il ricorso al termine distribuzione ed il riferimento congiunto a tutti i parametri temporali denotano con chiarezza che il legislatore non ha considerato sufficiente che il contratto specifichi il numero di ore di lavoro al giorrip (ovil'ero il nUil'lero di giorni alla settimana, al mese o all'anno, ovvero il numero di settimane al mese o all'anno, ovvero il numero di mesi all'anno) in cui la prestazione lavorativa deve svolgersi, ma ha inteso stabilire che, se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve es!ere determinata la distribuzione e cio la collocazione nel1' arco della giornata; se le parti hanno convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quello normale, la distribuzione di tali giorni nell'arco della settimana deve PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE essere preventivamente determinata; se le parti hanno pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente determinato dal contratto quali (e non solo quante) sono le settimane e i mesi in cui l'impegno lavorativo dovr essere adempiuto. In definitiva, il legislatore ha escluso, appunto, l'ammissibilit di qualunque forma di contratto c.d. a chiamata o a comando (ove, con tali formule si intenda far riferimento a rapporti nei quali il contratto individuale consente al datore di lavoro di decidere in modo unilaterale quando ultilizzare il singolo dipendente), e di certo lo ha fatto -adottando una precisa formulazione letterale -con piena consapevolezza e con piena intenzione, posto che simili figure contrattuali erano gi presenti nell'esperienza di alcuni paesi europei e nel dibattito che aveva preceduto e accompagnato l'elaborazione del testo legislativo. L'ammissibilit di un contratto di lavoro a tempo parziale nel quale sia riconosciuto il potere del datore di lavoro di determinare o variare unilateralmente, a proprio arbitrio, la collocazione temporale della prestazione lavorativa, sarebbe del resto in contraddizione con le ragioni alle quali ispirata la disciplina di tale rapporto. Come ha giustamente rilevato la giurisprudenza della Cassazione, il rapporto di lavoro a tempo parziale si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), lascia al prestatore d'opera un largo spazio per altre eventuali attivit, la cui programmabilit, da parte dello stesso prestatore d'opera, deve essere salvaguardata, anche all'ovvio fine di consentirgli di percepire; con pi rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, primo comma, della Costituzione) a realizzare un'esistenza libera e dignitosa. E su tali rilievi la medesima giurisprudenza ha basato l'affermazione che il carattere necessariamente bilaterale della volont in ordine a tale riduzione nonch alla collocazione della prestazione lavorativa in un determinato orario (reputato dalle parti come il pi corrispondente ai propri interessi) comporta che ogni modifica di detto orario non possa essere attuata unilateralmente dal datore di lavoro in forza del suo potere di organizzazione dell'attivit aziendale, essendo invece necessario il mutuo consenso di entrambe le parti (Cass., sez. lav., 22 marzo 1990, n. 2382). del tutto evidente, peraltro, che le stesse ragioni che escludono il potere del datore di lavoro di variare unilateralmente la pattuita collocazione temporale della prestazione lavorativa ridotta, conducono altres ad escludere l'ammissibilit di pattuizioni che attribuiscano al datore di lavoro un simile potere. Clausole di questo genere, infatti, farebbero venir meno la possibilit, per il lavoratore, di programmare altre attivit con le quali integrare il reddito lavorativo ricavato dal rapporto a tempo parziale. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 170 Tale possibilit -come stato osservato -deve invece essere salvaguardata, poich soltanto essa rende legittimo che dal singolo rapporto il lavoratore possa ricevere una retribuzione inferiore a quella sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Sarebbe inoltre certamente lesivo della libert del lavoratore che da un contratto di lavoro subordinato potesse derivare un suo assoggettamento ad un potere di chiamata esercitabile, non gi entro coordinate temporali contrattualmente predeterminate od oggettivamente predeterminabili, ma ad libitum, con soppressione, quindi, di qualunque spazio di libera disponibilit del proprio tempo di vita, compreso quello non impegnato dall'attivit lavorativa. A questo riguardo non superfluo ricordare quale particolare rilievo riveste il rapporto a tempo parziale per il lavoro femminile: per molte donne questa, infatti, la figura contrattuale che rende possibile il loro ingresso o la loro permanenza nel mondo del lavoro, perch consente di contemperare l'attivit lavorativa con quegli impegni di assistenza familiare che ancor oggi gravano di fatto prevalentemente sulla donna. Ma chiaro che queste esigenze verrebbero completamente obliterate ove fosse consentito pattuire la variabilit unilaterale della collocazione temporale della prestazione lavorativa. Il significato proprio della rigorosa formulazione della norma legislativa appare pienamente coerente con la necessaria salvaguardia di tali principi e di tali esigenze. Non vi quindi alcuna ragione n alcuna possibilit di attribuire alla norma stessa un'interpretazione tale da consentire la pattuizione di contratti di lavoro a tempo parziale nei quali la collocazione temporale della prestazione lavorativa nell'ambito della giornata, della settimana, del mese e dell'anno non sia determinata -o non sia resa determinabile in base a criteri oggettivi -ma sia invece rimessa allo jus variandi del datore di lavoro. La questione di costituzionalit in esame -fondata su un'opposta interpretazione della norma -deve quindi essere drichiarata non fondata. La seconda questione di costituzionalit investe, come gi si rilevato, la disciplina applicabile -secondo la giurisprudenza della Cassazione -al contratto di lavoro a tempo parziale privo della forma scritta richiesta dal comma secondo del citato art. 5, ipotesi alla quale il giudice a quo ritiene assimilabile quella della clausola di distribuzione dell'orario priva della necessaria determinatezza. Per il profilo che ha riguardo al difetto di forma scritta del contratto di lavoro a tempo parziale o della clausola di riduzione e di distribuzione dell'orario, la questione non pu essere esaminata perch priva di rilevanza nel giudizio a quo. Nel caso che il Pretore di Firenze deve decidere, infatti, il contratto era stato stipulato per iscritto e scritta era altres la clausola che rego fARTE--ISBZ;I,GIURlSPRUDE!NZAcosnTUZIONALE 111 ... .. .. :: ... ...:::::.-:>-:. ::. _::-:::.::-::::...:.:>..::::. !~~!fisJlt~~~e~a:~:.r\1~c~==~!0~i:1i~t:t::~!=:!:~:1%~~: tuitaattiep-eal SOllten.tp e non allll--forma _di_ t)Ssaed un'eventuale identit . ᥥ,ev<;:: tali s@tlt~~~ nl1>mjtolge dirtttam~nte la soluztone interpretativa . pre ~=-1:::;;0:==~==: ;ssE:;En::-~~..;:;; 1111.t.i.,qu(;} _esclud.e#l;li tra pi __ significati .possil:>ili di una-lisposizione1 qello <;:})e ;llon .sia .9~r~11Js: _.on il c;'lttato__ ostituzionl'}.le, cos,ich -una legge nQn p.p. esse:cyi :rite!l.ta iny~~ila, p~rcll~ ftlcQ.stitQzjonale, . fino. a quando ;Il~ s~~ ;t?RssiJ:>Jle, :w?-~interpret~j,ql1e_-qstitw:i2v~_I.:iel1te co~forme. ---.-_--Net .caso dii nullit d'.~lla c;;laJ.lsola di :ri<:tW:ione . e. distrib.zione del 11ma1t;t~t~fi8 non lo avrebbero c()Acluso senza quella parte del suo _contenutd che colpita dalla .nullit/ --. -- --. -----------.--. ._-----_---.- da condividete l'opiniori:e del Prefore di Firenze, secondo cui sarebbe .palesemente irrazkma1e--che dalla -violaziQn di t.Ula norma imperatiVa regolante-il eontenuto del contratt di lavofo a tempo parziale e posta proprio al fine di tutelare il lavoratore ontro la pattuizione di clausole vessatorie; potesse derivare la liberazione del datore di lavoro ad -ogni --vincolo -contrattuale. Se. questi fossero gli effetti -della-norma RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in tiva in esame, essa di certo non sarebbe in sintonia con la Costituzione. Ma la .suddetta paradossale conclusione non certamente imposta dall'ordinamento legislativo. L'art. 1419; primo comma, infatti, non applicabile rispetto ai contratto di lavoro, allorquando la nullit della clausola derivi dalla contrariet di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore, cos come, pi in generale, la disciplina degli effetti della contrariet del contratto a norme imperative trova in questo campo (come anche in altri) significativi adattamenti, volti appunto ad evitare la conseguenza della nullit del contratto. Ci, in ragione del fatto che, se la norma imperativa posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall'altro contraente, la nullit integrale del contratto nuocerebbe, anzich giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere. Cos non si dubita che non si estende all'intero contratto la nullit, per motivi di forma o di contenuto, del patto di prova {art. 2096 cod. civ.) o del patto di non concorrenza (articolo 2125), oppure del patto con cui venga attribuito al datore di lavoro un potere illimitato e incondizionato di variare unilateralmente le mansioni o il luogo di lavoro (art. 2103, secondo comma) ovvero della clausola appositiva di un termine alla durata del contratto di lavoro (legge 18 aprile 1962, n. 230), ovvero della clausola che preveda la risoluzione del rapporto di lavoro in caso di matrimonio (art. 1 legge 9 gennaio 1963, n. 7), e cos via. Ed il medesimo assetto si registra anche rispetto a pattuizioni che incidono sullo stesso schema causale del contratto: cos per l'apprendistato (legge 19 gennaio 1955, n. 25 e successive modificazioni) e per il contratto di formazione lavoro (art. 3 decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 e art. 8 legge 29 dicembre 1990, n. 407), posto che la nullit delle relative pattuizioni -per motivi di forma o procedimentali ovvero per difetto delle condizioni sostanziali di ammissibilit di tali figure contrattuali -non comunque idonea a travolgere integralmente il contratto, ma ne determina la c.d. conversione in un normale contratto di lavoro (o meglio, la qualificazione del rapporto come normale rapporto di lavoro, in ragione della inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale) senza che vi sia spazio per l'indagine oggettiva o soggettiva -circa la comune volont dei contraenti in ordine a tale esito. Tutto ci, del resto, rappresenta una naturale e generale conseguenza del fatto che, nel campo del diritto del lavoro -in ragione della diseguaglianza di fatto delle parti del contratto, dell'immanenza della persona del lavoratore nel contenuto del rapporto e, infine, dell'incidenza che la disciplina di quest'ultimo ha rispetto ad interessi sociali e collettivi -le norme imperative non assolvono Solo al ruolo di condizioni di efficacia giuridica della volont negoziale, ma, insieme alle norme PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE collettive, regolano direttamente il rapporto, in misura certamente prevalente rispetto all'autonomia individuale, cosicch il rapporto di lavoro, che pur trae vita dal contratto, invece regolato soprattutto da fonti eteronome, indipendentemente dalla comune volont dei contraenti ed anche contro di essa. Non hanno quindi modo di trovare applicazione, in questo campo, quei limiti alla operativit del principio di conservazione del rapporto che sono strettamente collegati all'identificazione nel contratto della fonte primaria del regolamento negoziale, come si verifica nell'ambito della disciplina comune dei contratti. E la violazione del modello di contratto e di rapporto imposto all'autonomia individuale d luogo, di regola, alla conformazione reale del rapporto concreto al modello prescritto -per via di sostituzione o integrazione della disciplina pattuita con quella legale ovvero per via del disconoscimento di effetti alla sola disposizione contrattuale illegittima -e non gi alla riduzione del rapporto reale ad una condizione di totale o parziale irrilevanza giuridica. L'art. 2126 cod. civ., del resto -come risulta dall'esame della giurisprudenza -ha sempre trovato applicazione rispetto ad ipotesi in cui la nullit del contratto derivava dalla contrariet a norme imperative riguardanti il fatto stesso della costituzione e dell'esistenza del rapporto (ad esempio, ipotesi in cui l'esercizio di una determinata attivit lavorativa era condizionata all'iscrizione in un albo o elenco o al possesso di una determinata autorizzazione; ipotesi in cui l'instaurazione del rapporto era vietata da una norma di legge, come si verifica per le assunzioni senza concorso ove tale procedimento sia prescritto dalla legge a pena di nullit; ipotesi di lavoro prestato da minori di et inferiore a 14 anni; e cos via) e non anche ad ipotesi di difformit tra la disciplina del rapporto pattuita dalle parti rispetto a quella dettata dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Deve quindi escludersi che, nell'ipotesi di nullit della clausola di riduzione e distribuzione dell'orario di lavoro che dia al datore di lavoro il potere di variare liberamente e unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, si possa verificare l'estensione della nullit all'intero contratto. La configurazione da dare alla fattispecie che risulta da tale evenienza costituisce un problema suscettibile di una pluralit di soluzioni, la scelta tra le quali dipende dalle caratteristiche del caso concreto ed anche da opzioni interpretative che spettano ai giudici ordinari e non alla Corte. Non pu quindi trovare avallo, in questa sede, l'implicazione che il giudice a quo ha chiesto invece alla Corte di dichiarare, e cio che in caso di nullit della clausola di distribuzione dell'orario il rapporto si deve intendere a tempo pieno, con conseguente diritto alla retribuzione integrale per il periodo pregresso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 22 giugno 1992, n. 289 -Pres. Corasaniti -Red. Baldassarre -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Ordinamento Giudiziario -Magistrati -Procedimento disciplinare -Ria bilitazione ex art. 87 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 Applicabilit Il legittimit costituzionale. (Cost., art. 3; d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 87; r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276). La specificit costituzionale dello status di magistrato non consente l'automatica estensione ai giudici dell'istituto della riabilitazione cos come previsto per gli impiegati civili dello Stato; pertanto illegittimo, 1:er contrasto con l'art. 3 Cost., il combinato disposto formato dall'art. 87 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dall'art. 276 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 nella parte in cui consente la suddetta estensione (1). (omissis) Investita di un procedimento disciplinare a carico del magistrato d'appello Giuseppe Renato Croce a seguito di un annullamento con rinvio di una stessa pronunzia di inammissibilit operato dalla Corte di cassazione -Sezioni unite civili, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha sollevato questione di legittimit costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 87 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) e dell'art. 276 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), dal quale si desume, secondo la Corte di cassazione, il principio di diritto relativo all'estensione ai giudici dell'istituto della riabilitazione, come previsto in caso di condanna nei procedimenti disciplinari posti in essere a carico degli impiegati civili dello Stato. Pi precisamente, ad avviso del giudice a quo, l'applicabilit ai magistrati della riabilitazione prevista dall'art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957 -basata sul rilievo che, trattandosi di un istituto di carattere generale non contrastante con le norme dell'ordinamento giudiziario e con lo status riconosciuto ai giudici, rientrerebbe tra le disposizioni generali (1) Il trapianto della disciplina della riabilitazione ex art. 87 d.P.R. n. 3/1957 nel sistema disciplinare previsto per i magistrati d luogo secondo la Corte ad un irragionevole innesto considerata l'eterogeneit del procedimento disciplinare degli impiegati, avente natura amministrativa, e di quello dei magistrati, il quale si svolge invece secondo moduli giurisdizionali. Sul procedimento disciplinare degli impiegati si veda C. Cost. 2 febbraio 1990 n. 40 e 4 aprile 1990 n. 158 in Giur. cost. 1990, pagg. 142 e 979; sulla peculiarit del procedimento disciplinare dei magistrati si veda C. Cost. 22 giugno 1976, n. 145, ivi, 1976, 975. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE relative agli impiegati civili dello Stato , estensibili ai giudici ai sensi dell'art. 276, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941 -si porrebbe in conflitto con le seguenti disposizioni costituzionali: a) art. 101, secondo comma, della Costituzione, che, nello stabilire che i giudici sono soggetti soltanto atla legge, dispone una riserva di giurisdizione, fa quale precluderebbe ai magistrati, in sede di interpretaziort e di applicazione delle leggi, di porre in ~~sere attivit sostanzialmente normative, contraramente a quanto nel caso avrebbe compiuto la Corte di cassazione, allorch ha attribuito ai Consigli giudiziari poteri nuovi e ha istituito sub-procedimenti non previsti dalle leggi; b) artt. 101 e 104 della Costituzione, che, nel garantire l'indipendenza della magistratura tanto come potere investito della funzione giurisdizionale quanto come ordine autonomo, vieterebbero di applicare ai magistrati un istituto, come la predetta riabilitazione, il quale avrebbe unq spiccato carattere discrezionale -. finalizzato, per di pi, . all'interesse particolare del buon andamento della pubblica amministrazione -e comporterebbe, cos come risulta delineato nell'interpretazione contestata, che un organo giurisdizionale, la Sezione disciplinare, sia sottoposto al parere praticamente vincolante di un organo amministrativo, il Consiglio giudiziario; e) art. 105 della Costituzione, il quale, nell'attribuire al Consiglio Superiore della .Magistratura il potere disciplinare nei riguardi dei giudici, precluderebbe di . riconoscere ai Consigli giudiziari un parere praticamente vincolante in relazione alle decisioni della Sezione disciplinare a pena della violazione della competenza in materia disciplinare attribuita alla Sezione stessa; d) art. 3 della Costituzione, che, nel vietare ingiustificate disparit di trattamento e irragionevoli parificazioni di posizioni obiettivamente differenziate, impedirebbe di equiparare, contrariamente a quanto sostenuto nell'interpretazione contestata, la posizione degli impiegati civili dello Stato e lo status dei magistrati, status che, ad avviso del giudice a quo, giustificherebbe, in ragione delle diversit attinenti alla configurazione del procedimento disciplinare e alla natura del rapporto di servizio relativi alle categorie considerate, la mancata previsione per i magistrati di un istituto del tipo della riabilitazione regolata dall'impugnato art. 87. La questione va accolta in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal momento che la specificit costituzionale dello status del magistrato, che si riverbera sulla configurazione legislativa del procedimento disciplinare e, quindi, sul regime normativo degli atti incidenti sulle sanzioni irrogate con quel procedimento, impedisce di considerare le situazioni poste a confronto come omogenee e preclude, pertanto, la possibilit di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 176 un.~autmatica estensione ai.giudici dell'istituto della riabilitazione previsto per gli impiegatLcivili dello Stato. Come questa Corte ha pi volte affermato, non si pu negare che la G>stit.zione, anche. sotto profiliattinenti alla materia sottoposta al present~ giuclizio, s~~l:lilisce _principi comuni, valevoli tanto per il publ? li<::9:.. i.ipiegl;lt() q.ant che _l'art'.~8 della Costituzione pone principi applicabili a tutti coforo -che syqlgon,9 attivit~ statali, inclusi i magistrati. E, con specifico riferimento al prog~dimento disciplinare, la stessa Corte (v. sent. n. 145 del 1976) ha afferriiat~ che, tanto per i funzionari statali quanto per i magiSfrati;qriel pi'Ocdiniento dev'esser legisfatfvamente determinato sulla base di>urta vattazirine conipaiativa di due contrapposti interessi: il prestigio della fnZione esercitata e una giusta tutela dei diritti dei singoli dipendenti -pubblici. --TUtta'via; nel n:iec:lesirtl.o tertl.po, qusta Corte ha precisato che il eoniune aspet-t dffondo, dipendente dal fatto che ambedue le categorie ihteressate sorio legate da un rapporto di servizio pubblico con lo Stato e svolgoil attivit in 1lortl.e e per onto dello Stato medesimo, non impedisce e, anzi, impone al legislatore di considerare, nell'ambito di un esercizio non irragionevole della sua discrezionalit politica, le differenze e le peculiarit che debbono indurre a disciplinare diversamente, sotto vari aspetti;J-0 status e icom:Piti dei magistrati rispetto a quelli degli altri_ dipendenti pubblici. Un trattamento .differenziato dei giudici , infatti; imposto dalla stessa Costituzione, la quale, agli articoli da 101 a 1131 prevede. apposite. disposizioni dirette ad assicurare, a garanzia dell'autonomia e dell'imparzialit di una funzione di vitale importanza per l'esistenza e l'att.azione di uno Stato di diritto, la pi ampia tutela dell'indipendenza dei giud,ici, considerati sia come singoli soggetti sia come ordine. gh:i,diziario'. A questi principi costituzionali, che comportano momenti di disciplina comune e momenti di differenziazione, il legislatore si essenzialmente attenuto allorch _ha regolato il procedimento disciplinare per i dipendenti civili dello Stato e quello per i magistrati. Il fqnd;u:.ento costituzjqnale di entrambi i procedimenti, come s' gi precisatq, il medesimo: assicurare, nel rispetto del principio di legalit, l'interesse pubblico, riconosciuto in via generale dall'art. 97 della Costituzione, al buon andamento e all'imparzialit delle funzioni statali (v. sentt. nn. 86 del 1982 e 18 del 1989) in bilanciamento con i diritti, costituzionalmente rilevanti, dei singoli dipendenti (v. sent. n. 145 del 1976). Ma, in relazione ai magistrati, l'uno e l'altro termine del bilanciamento assumono una qualificazione ulteriore del tutto peculiare, dovuta al fatto che, per un verso, l'interesse pubblico sopra enunciato consiste in tal caso nell'assicurazione del regolare e corretto svolgimento della funzione PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE giurisdizionale, vale a dire di una funzione che gode in Costituzione di una speciale garamJia di indipendenza e di autonomia rispetto a ogni altra funzione pubblica :(art. 101, secondo comma: I giudici sono soggetti soltanto alla legge; art. 104, primo comma: La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere); e, per altro verso, l'interesse costituzionale alla tutela dei diritti dei singoli dipendenti pubblici dev'essere commisurato, nel caso dei giudici, alla salvaguardia pi rigorosa del dovere di imparzialit e della connessa esigenza di credibilit che si collegano all'esercizio di una funzione essenziale, come quella che la Costituzione affida ai magistrati nel quadro dei principi dello Stato di diritto (v. spec. sent. n. 145 del 1976, nonch sent. n. 100 del 1981). Queste peculiarit costituzionali hanno avuto un'attuazione legislativa attraverso le norme che regolano il procedimento disciplinare per i magistrati, le quali sono sostanzialmente difformi da quelle che regolano il procedimento disciplinare per gli impiegati civili dello Stato. Quest'ultimo, infatti, configurato dalle leggi vigenti come un procedimento amministr: ativo, che, sebbene tenda a riconoscere uno spazio sempre maggiore a principi di razionalizzazione delle procedure ispirati ai modelli giurisdizionali (v. sentt. nn. 971 del 1988, nonch sentt. nn. 40 e 158 del 1990), sfocia in un provvedimento di carattere non giurisdizionale, adottato da un'autorit amministrativa superiore e soggetto al regime delle impugnazioni proprio degli atti amministrativi. Il procedimento disciplinare legislativamente previsto per i magistrati, invece, consiste in un giudizio che si svolge secondo moduli giurisdizionali, al quale sono applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni sul processo penale relative all'istruzione e al dibattimento; la cui decisione demandata a un collegio composto in prevalenza da pari ed espressione, comunque, di un organo, quale il Consiglio Superiore della Magistratura, appositamente istituito dalla Costituzione a tutela dell'indipendenza dei giudici e dell'autonomia dell'ordine giudiziario (v. sent. n. 145 del 1976); e la cui pronunzia sottoposta a un regime di impugnazione costituito dal ricorso diretto alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, oltre ad essere soggetta a revisione secondo modalit e a condizioni non dissimili da quelle previste per l'analogo istituto processuale penale. In definitiva, la scelta legislativa di configurare il procedimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale mostra chiaramente che quest'ultimo costituisce un procedimento struttutalmente e funzionalmente diverso da quello previsto per gli impiegati civili dello Stato. In esso, infatti, come questa Corte ha gi avuto modo di precisare (v. sent. n. 145 del 1976), la scelta di moduli giurisdizionali -pur se indebolita nella legislazione vigente da una grande latitudine della previsione degli illeciti disciplinari e, conseguenzialmente, da 'un ampio margine di discrezionalit dell'organo decidente -risponde al RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 178 l'esigenza di una pi rigorosa tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra i pi rilevanti beni costituzionalmente protetti , Le differenze ora sottolineate sussistenti tra il procedimento disciplinare per i magistrati e quello per gli impiegati civili dello Sfato si riflettono inevitabilmente sulla disciplina legislativa degli istituti, tra i quali rientra la riabilitazione, destinati a incidere sulle sanzioni disciplinari al fine di farne cessare gli effetti. Nel regolare la riabilitazione a favore degli impiegati civili dello Stato colpiti da sanzione disciplinare, l'art. 87 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, att;ribuisce ad essa la configurazione di un atto amministrativo. La riabilitazione, infatti, adottata con decreto ministeriale, sentiti il Consiglio di amministrazione e la Commissione di disciplina; pu essere concessa all'impiegato rimasto in servizio a partire dal compimento del secondo anno successivo alla data dell'atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare, semprech l'impiegato abbia riportato negli ultimi due anni la qualifica di ottimo; puo render nulli gli effetti della sanzione, con esclusione di qualsiasi efficacia retroattiva, ed, eventualmente, pu comportare la modifica dei giudizi complessivi riportati dall'impiegato dopo la sanzione e in conseguenza di questa. Si tratta, insomma, di un atto amministrativo di perdono, non legato a eventi eccezionali o straordinari, con il quale 'l'autorit ammin~strativa di vertice nel settore considerato, in base a una valutazione complessiva dell'interesse della pubblica amministrazione da essa diretta, decide di cancellare gli effetti di una sartzione disciplinare a seguito della buona condotta dimostrata successivamente dall'impiegato che era stato colpito dalla sanzione stessa. Cos come regolata dall'art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957, la riabilitazione non pu essere automaticamente estesa alle sanzioni disciplinari irrogate ai magistrati in conseguenza del ben diverso procedimento previsto per questi ultimi. Considerata l'eterogeneit della disciplina legislativa dell'uno e dell'altro procedimento disciplinare, il trapianto della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato nel sistema disciplinare stabilito per i magistrati d luogo a un irragionevole innesto e, come tale, si pone in manifesto contrasto con il principio disposto dall'art. 3 della Costituzione. Del resto, se si pu ammettere che la riabilitazione, come istituto in s considerato, sia espressione di un principio generale e di un'esigenza che, ancorch non rispondenti ad alcuna norma costituzionale, possono comunque trovar applicazione anche all'interno di un sistema disciplinare ispirato a paradigmi giurisdizionali, come quello previsto per i magistrati, ci non pu significare affatto che la raffigurazione di quell'istituto generale sia perfettamente rispecchiata nella particolare fattispecie regolata dall'impugnato art. 87. Infatti, se ben vero che in ciascuna delle forme di riabilitazione previste nell'ordinamento vigente -se PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE gnatamente sia nella riabilitazione penale (art. 178 c.p.) e in quella civile (art. 466 e.e.), sia nella riabilitazione dei pubblici impiegati (art. 87, del d.P.R. n. 3 del 1957) e in quella del fallito (artt. 142-145 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) -si riscontra un nucleo normativo comune, tanto con riferimento ai presupposti per l'applicazione (decorso del tempo e valutazione della buona condotta) quanto cori riferimento agli effetti (estinzione di specifiche incapacit giuridiche e di effetti ulteriori rispetto alla sanzione principale della condanna), non meno vero che ciascuna delle forme di riabilitazione indicate costituiscono un modello a s, composto da una diversa combinazione e da una diversa determinazione degli elementi essenziali sopra ricordati. E non vi dubbio che la scelta di un modello ovvero di un altro e, persino, la scelta di affidare alla riabilitazione ovvero a meccanismi diversi l'eliminazione degli effetti ulteriori della condanna disciplinare spettano al legislatore, il quale, nelresercizio non irragionevole della sua di:screzionalit politica, deve valutare quale istituto o quale modello sia pi coerente con il sistema disciplinare considerato. Le suesposte considerazioni portano, dunque, a escludere che l'art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957 possa rientrare tra le disposizioni generali relative agli impiegati civili dello Stato, che, in quanto non contrarie all'ordinamento giudiziario e non incompatibili con lo status riconosciuto ai giudici, sono applicabili, ai sensi dell'art. 276 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, anche ai magistrati dell'ordine giudiziario. p.q.m. dichiara l'illegittimit costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 87 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), e dall'art. 276 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti da sanzione disciplinare. CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1992, n. 315 -Pres. Corasaniti -Red. Pescatore -CODACONS (avv. Rienzi, Canestrelli e Lo Mastro); ANIA (avv. Pace); Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Fiumara). Corte Costituzionale Giudizio di legittimit costituzionale in via inciden tale Soggetti legittimati a costituirsi -Terzi rimasti estranei al giudizio a quo Legittimazione -Condizioni. Nei giudizi di legittimit costituzionale in via incidentale sono legittimate a costituirsi soltanto le parti del giudizio a quo che, al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell'ordinanza di rimessione, 180 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO avevano tale qualit, fatta eccezione nel caso di giudizio di costituzionalit direttamente incidente su posizioni giuridiche soggettive quando non vi sia stata la possibilit per i titolari delle medesime posizioni di difenderle come parti nel processo a quo (1). (Omissis) Si costituito in giudizio il CODACONS (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), il quale ha chiesto che la proposta questione di legittimit venga dichiarata fondata. Ha depositato atto di costituzione l'A.N.I.A. (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici). Precisando di essersi costituita nel giudizio a quo il 21 marzo 1992 e di conoscere la giurisprudenza di questa Corte che nega la legittimazione ad intervenire nel giudizio di costituzionalit ai controinteressati che non si siano costituiti prima dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione. L'A.N.I.A. chiede tuttavia di essere ammessa, eventualmente previa sollevazione da parte della stessa Corte della questione di legittimit costituzionale degli artt. 23, terzo comma, e 25 della legge n. 87 del 1953 (cos come interpretati dalla sentenza n. 220 del 1988). La situazione di specie, osserva l'A.N.I.A., non pu non ricollegarsi al diritto di agire e di difendersi in giudizio, protetto dall'art. 24 della Costituzione, cui la Corte ha riconosciuto valore di principio supremo. Del resto, riconoscere che il giudizio di costituzionalit fondato sulla ragionevolezza e sul bilanciamento dei valori comporta -soprat (1) Il principio secondo il quale nei giudizi di legittimit costituzionale in via incidentale sono legittimate a costituirsi sole le parti del giudizio a quo (da ultimo sent. 11 luglio 1991 n. 333 in questa Rassegna, 1991, 172; sent. 8 feb braio 1991, n. 63 in Giur. cost. 1991, 455) subisce alcune deroghe quando i terzi rimasti estranei al giudizio a quo, perch non potevano parteciparvi, non hanno altra possibilit di far valere le loro ragioni direttamente pregiudicate dalla eventuale pronuncia di incostituzionalit. Al iriguardo si segnalano la sent. 27 novembre 1991, n. 429, Giur. cost., 1991, 3620 in cui si ammette l'.intervento di un soggetto portatore di un interesse connesso alla prospettazione della questione di legittimdt (nella specie si trattava del preteso padre naturale intervenuto riguardo al profilo di incostituzionalit relativo alla esclusione del padre natural.e dal novero dei soggetti legittimati a promuovere l'azione di disconoscimento); la sent. 4 febbraio 1982. n. 20, ivi, 1982, 18-8, in cui si afferma che quando l'incidente di costituzionalit viene sollevato dalla stessa Corte e per effetto della relativa prospettazione nasce l'interesse a costituirsi, prima inesistente (tanto che sarebbe stato escluso l'intervento nel giudizio di merito) la legittimazione ad intervenire nel giudizio di costituzionalit prescinde dalla qualit di parte nel processo a quo; la sent. 1 luglio 1992 n. 314 in cui stato ammesso l'intervento di un soggetto che sarebbe stato legittimato ad in tervenire nel giudizio a quo, in quanto titolare di un interesse dipendente da quello che costituiva l'oggetto della controversia, ma non ha potuto parteciparvi perch non ne venuto a conoscenza. PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 181 tutto come indispensabile arricchimento delle rationes decidendi -la partecipazione di tutti coloro che sono interessati in senso sia formale che sostanziale. Nel merito, l'A.N.I.A. sostiene che la censura proposta . infondata perch muove clall'erron~a classificazione delle tariffe per la responsa bilit. civile automobilistica tra le.. prestazioni imposte a norma dell'art. 23 Cost. Ma quand'anche si volesse accedere a tale impostazione, il dubbio di costituzionalit sarebbe comunque infondato. La previsione di una Commissione consultiva composta soltanto di tecnici od esperti (oltre che da rappresentanti del ministero dell'industria, commercio e artigianato e daU1I.N.A.), mira prc>prio .a soddisfare pienamente la riserva relativa di legge della norma costituzionale, mediante l'osservanza di cri teri obiettivi e. con la salvaguardia dell'iniziativa economica delle imprese assicurative. intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che si dichiari l'infondatezza della questione. La composizione della Commissione -si afferma -assicura una valutazione obbiettiva, comprendendo .. rappresentanti pubblici ed esperti indipendenti e dotati di competenza specifica. Del tutto irrilevante appare per converso l'assenza di rappresentanti delle categ()rie di utenti: la rappresentanza ncm infatti da ritenersi indispensabile, q:uando sussista una sufficiente garanzia di effettiva e obbiettiva ponderazione degli interessi contrapposti. Considerato in diritto Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, questione di legittimit dell'art. 11, sesto comma, della 1egge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilit civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), modificato dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 di cembre 1976, n. 857, concernente modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilit civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), nella parte in cui, prevedendo -in sede di approvazione da parte del Comitato interministeriale prezzi delle tariffe dei premi e delle condizioni generali di polizza relative all'assicurazione della responsabilit civile per i danni causati dalla circolazione degli autoveicoli -l'intervento di una apposita Commissione ministeriale, in luogo della Commissione centrale prezzi, ne determina la composizione in modo meno garantistico rispetto a quest'ultima. Deve anzitutto dichiararsi inammissibile la costituzione nel presente giudizio dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (A.N.I.A.), che nel giudizio a quo si costituita soltanto dopo l'emanazione dell'or ..~~,...' wr7::,,-~,~ 182 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dinanza di rimessione. Anche nei confronti di tale associazione era stato proposto e notificato il ricorso iniziale. L'A.N.I.A. invoca, in questa sede, l'osservanza del diritto di difesa snc.\to dall'art. 24 della Costituzione, con particolare riferimento all'emergere dell'interesse a contraddire proprio a seguito della conoscenza -per il tramite della Gazzetta Ufficiale -della proposta questione di legittimit costitt1zionale. Questa Corte ha costantemente affermato che nei giudizi di legittimit costituzionale in via incidentale sono legittimate a costituirsi soltanto le parti del giudizio a quo che, al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell'ordinanza di rimessione, avevano tale qualit (tra le altre, v. sent. nn. 63 del 1991, 124 del 1990, 220 e 1022 del 1988). Al principio si derogato nel caso di giudizio direttamente incidente su posizioni giuridiche soggettive, quando non vi sia la possibilit per i titolari delle medesime posizioni di difenderle come parti nel processo stesso; :i:!. stata, cos, ammessa la costituzione nel giudizio incidentale di legittimit della parte non. costituita nel giudizio a quo, quando: a) viene sollevata una questione dalla cui risoluzione dipende l'intervento in questo giudizio del soggetto che ha chiesto di costituirsi nel processo costituzionale (sent. Ii. 429 del 1991); b) l'interesse a stare nel giudizio di costituzionalit sorge dall'ordinanza di rimessione, con la quale la stessa Corte ha sollevato questione di legittimit costtuzionale di fronte a se medesima (sent. n. 20 del 1982); c) l'interesse di cui titolare il soggetto, pur se formalmente esterno rispetto ad un giudizio cautelare, inerisca immediatamente al rapporto sostanziale, rispetto al quale -con riguardo alla concreta formulazione da parte del giudice rimettente della questione di costituzionalit -un'eventuale pronuncia di accoglimento eserciterebbe una influenza diretta, tale da produrre un pregiudizio irrimediabile della posizione soggettiva fatta valere. Se, in tali casi, non si ammettesse la costituzione, si darebbe luogo ad un giudizio direttamente incidente su situazioni soggettive, senza la possibilit per i titolari di difenderle come parti nel processo stesso (sent. n. 314 del 1992). Del tutto divrso per contro il caso di specie. La questione di legittimit costituzionale sollevata dal Tirbunale amministrativo regionale per il Lazio era infatti gi proposta, sia pure in via subordinata, nel ricorso introduttivo, in concorso con altre questioni, di pari natura. L'A.N.I.A., anche nei confronti della quale, come si gi detto, era stato proposto il ricorso introduttivo, si trovata quindi nella condizione di poter tempestivamente valutare il proprio interesse e decidere le modalit di difesa dello stesso, con riferimento ai profili di legittimit dellt;i norme. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 183 La questione di legittimit costituzionale sollevata dall'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a sua volta inammissibile. Tale Tribunale ha emanato l'ordinanza di rimessione dopo aver pronunciato la sentenza parziale recante la stessa data. Con detta sentenza il giudice amministrativo aveva respinto la censura rivolta contro il d.m. 14 gennaio 1989, riconoscendo che il ministero dell'industria, commercio e artigianato si era correttamente attenuto alla legge nel comporre la Commissione ministeriale prevista dall'art. 11, sesto comma, impugnato. Con la decisione il Tribunale amministrativo regionale ha definito quello che era l'unico oggetto del giudizio, esaurendo di conseguenza la propria cognizione. L'ammettere la questione sollevata dopo la decisione del merito della causa si porrebbe in contraddizione evidente col carattere incidentale del giudizio sulla legittimit costituzionale delle leggi. (Omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1992, n. 329 -Pres. Corasaniti -Red. Mengoni -Soc. CONDOR e FILVEM (avv. Morbidelli e Vincenzini) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Procedimento civile -Atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti ad uno Stato estero . Autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia . Applicabilit a beni diversi da quelli sottratti a misure coercitive secondo il diritto internazionale Illegittimit costituzionale in parte qua. (Cast., art. 24; r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621, articolo unico). E illegittimo, per contrasto con l'art. 24 Cost., l'articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621 (Atti esecutivi sopra beni di Stati esteri nel Regno), convertito nella legge 15 luglio 1926, n. 1623, nella parte in cui subordina all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti ad uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive (1). (1) certamente mutato il contesto di diritto internazionale che trent'anni fa aveva indotto la Corte a giudicare legittima la norma in esame (sent. 13 luglio 1963, n. 135, in Giur. cast. 1963, 1494). Oggi, vigendo il principio della c.d. immunit ristretta o funzionale della giurisdizione, la suddetta norma non rigua!'da i beni di Stati esteri destinati all'esercizio di f1.mzioni pubbliche i quali sono immuni ex se da misure coercitive in virt della norma di adattamento al diritto internazionale ex art. 10 Cost. e senza condizione di reciprocit. Pertanto, come affermato dalla Cassazione 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il T.A.R. del Lazio mette in dubbio, in riferimento agli artt. 3, 23, 24 e 41 Cost., la legittimit costituzionale dell'articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621, convertito nella legge 15 luglio 1926, n. 1263, secondo cui non si pu procedere al sequestro o pignoramento e, in genere, ad atti esecutivi su beni mobili o immobili, navi, crediti, titoli, valori e ogni altra cosa spettante a uno Stato estero, senza l'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia , sempre che si tratti di uno Stato che ammette la reciprocit, la quale deve essere dichiarata con decreto del Ministro. In un passo della motivazione il giudice remittente lamenta che nella legge denunciata non sia prevista alcuna forma di ristoro per il pregiudizio subto dal destinatario del diniego di autorizzazione , ma non se ne pu argomentare che il petitum dell'ordinanza, non definito nel dispositivo, miri a una sentenza dichiarativa di illegittimit costituzionale della legge nella parte in cui non prevede l'obbligo dello Stato italiano di corrispondere un congruo indennizzo al creditore cui stata preclusa la tutela cautelare o esecutiva del suo diritto. Valutato nel contesto in cui inserito, il passo citato non svolge un argomento autonomo (nel quel caso il giudice non avrebbe mancato di richiamare l'art. 42, terzo comma, Cost.), bens ha la funzione di rafforzare l'argomentazione precedente, volta a dimostrare la violazione dei principi di eguaglianza e di razionalit in relazione al principio della tutela giurisdizionale dei diritti: argomentazione che porta coerentemente a un giudizio di radicale illegittimit costituzionale della norma impugnata. L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilit della questione sul riflesso che l'obbligazione assunta dalla Repubblica federale della Nigeria verso le imprese ricorrenti non deriva da un atto compiuto in veste di privato contraente, ma da un intervento diretto ad attuare la moratoria del debito estero nell'esercizio di poteri sovrani di governo, e come tale sarebbe sottratta alla giurisdizione italiana. (Sez, Un. 25 maggio 1989 n. 2502 in Riv. dir. int. priv. e proc., 1990, 663 e Sez. Un. 23 agosto 1990 n. 8568, ivi, 1992, 67) l'autorizzazione ministeriale riguarda solo le procedure esecutive o cautelari su beni non destinati a fini pubblici dello Stato estero. Ed per questo motivo che la Corte, non essendo stato richiamato l'art. 10 Cost. dal giudice a quo, ha ritenuto di dover emettere una pronuncia di illegittimit in parte qua che tuttavia non lascia alcun margine di effettiva operativit alla norma stante il suddetto adattamento al principio dell'immunit ristretta e il citato orientamento della Cassazione. In argomento, per qualche analogia, si segnala Cass. Sez. Un. 18 maggio 1992, n. 5942, di prossima pubblicazione su questa Rassegna, che, mutando orientamento rispetto a Cass. Sez. Un. 18 ottobre 1982 n. 5399, ha affermato l'mmunit assoluta della FAO dalla giurisdizione del giudice italiano riguardo ad una controversia di lavoro. l'ARTB I, SEZ. I; GIURISPRUDENZA COSTI'ttJZIONALE L'ecqezione non pu essere accolta. Nella sfera dei poteri sovrani e di govemodello Stato< ngeriano :tientran<>ikprovvedimento di moratoria deLdebito esterp e1 il piano succes.sivameh.te predisposto di ripianamento dei debitie>ntfatti <:la oper~tori nigeriani 'Verso fornitori. esteri. fino.al 3l.dii.:e~br~l9$~~o~ pentrar19~. .in,ve~1..le proroe$seᥥdi pagamento.che; )~Vi;:~itt: e.. pertanto sog~etialfa giuris Lf! questfoi e ~l)n(fata/ . . . . L'immunit deglLStati esteri dala giurisdizione cautelare ed esecutiva dello; $tata dl fbro non iun . seII1plice prolringamento. dell'immunit ~IagiUrlsdizi()ne di cognizione; In anni norilontani, al caratteterelativo dell'bn.Ufiit dalla cognizione sko;pponeva; nella pif diffusa convinzione giundica.degli Stati;; il carattere (ahnefto tendenzialmente)assoluto dell'immunit dall'esec'UZine; . Nell'tt1tim ti'entenni sL .determinata pro. gressivamente ~n'inversione di tendenza,.... soprattutto. ni paesi di cu1 tura europea; per cui non pi oggi riconoscibile una nonna intei:nazfo. nale non. scritta: .. di. divieto assoluto di misure coercitive sit beni. appar tenenti a Stati stranieri. L'argomento pi frequente con cui viene giustificata la restrizione de:trimmu,riit . ari.che. in questa materia .<. di lgica . pratica,. e nella recente .. giurispl:'ild:enza dellanostr.a.Corte di cassazi:one si trova cos~for~ rilulatoi Se ni;>n ipera l'immunit da:llagiurisdizine di cogniZione .per le a.ttivit iure pri-vatorum; non deve egualmente .operare l'immunit in ordine ali'esecltlzione forzata della sentenza che' ha riconosciuto la pretesa del privato; qualora l Stato straniero rifiuti di adempiere Diversamente la sentenza verrebbe a. perdete la sua forza;la sua> stessa .. essenza, e inoltre si rivelerebbe pressdcch inutile consentire riei confronti degli Stati esteri la giurisdizione di cognizione pure nelle limitate ipotesi in cui ammessa attualmente (Sez' un., . n. 2502 del 1989) L'argomento si adatta anche alle misure . cautelari; che hanno la funzione di conservare la ga. ranzia patrimoniale deLeredito: il rilievo della loro maggiore attitudine, rispett a quelle di esecuzione, a turbare i rapporti tra gli Stati, sugge risce una. rigorosa :Cautela nel concederle, ma. non. vale ad escluderle in linea di principio. 186 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO- L'immunit dall'esecuzione conserva per un ambito normativo pi ampio di quello in cui opera l'immunit dalla giurisdizione: per negarla non basta un titolo esecutivo efficace nel territorio dello Stato del foro, oppure, se chiesta una misura cautelare, la soggezione del rapporto controverso alla cognizione delle corti di questo o di altro Stato, ma , Ioccorre altres che i beni investiti dalla domanda di sequestro o dal procedimento esecutivo non siano destinati aLl'adempimento di funzioni pub bliche {iure imperii) dello Stato estero. Cos intesa, l'immunit ristretta '(o funzionale) in materia cautelare ed esecutiva, verso la quale la giurisprudenza italiana si era orientata gi nel primo dopoguerra (cfr. Cass., s.u., 13 marzo 1926, n.. 729), stata affermat, per esempio, dalla Corte di cassazione francese a partire dagli arrets Englander dell'H febbraio 1969 e Clerget del 2 novembre 1971, dalla Corte costituzionale della Germania federale con le sentenze 13 dicembre 1977 (in una causa contro la Repubblica delle Filippine) e 12 aprile 1983 (in una causa contro la National Iranian Oil Coinpany), dal Tribunale federale svizzero con numerose pronunce (da ultimo, sentenza 19 gennaio 1987, in una causa contro la Repubblica socialista della Ro I mania) e dalla Corte d'appello dell'Aja (sentenza 28 novembre 1968, in I ~ causa N. V. Cabolent c. National Iranian Oil Company). Al principio dell'immunit. ristretta in executivis sono improntate anche le recenti legislazioni del Regno Unito (State lmmunity Act, cit.), degli U.S.A. .(Foreign I Sovereign lmmunities Act del 21 ottobre 1976) e altre di tipo analogo (Canada, Sud Africa, Pakistan, Singapore e Australia), le quali impostano I I ~ il limite con criteri e misure divevsi dalla distinzione tra beni 1destinati ~ ad atti iure imperii e beni destinati ad atti iure gestionis. La Corte non si nasconde che la distinzione d luogo a difficolt applicative, soprattutto nel caso di beni a destinazione promiscua, come i depositi bancari o i conti correnti intestati a un'ambasciata. straniera, ma, in mancanza di un I intervento legislativo, essa l'unica disponibile. ~ opportuno ricordare in proposito che non generalmente riconosciuto, e in particolare rifiutato dagli Stati dell'Europa occidentale, compreso il Regno Unito, il limite ulteriore per cui non basterebbe la destinazione del bene aggredito a fini (lato sensu) commerciali, ma occorrerebbe inoltre un legame specifico con l'oggetto della domanda, cio la destinazione specifica del bene all'operazione commerciale da cui deriva il rapporto controverso. Come spiega la relazione al testo modificato del disegno di legge per la conversione del d.l. del 1925, proposto dal Senato, rilevando l'eccezionale gravit del provvedimento legislativo sotto questo punto di vista, esso Contiene una dichiarazione unilaterale da parte dello Stato italiano, di pienissima tutela giurisdizionale accordata ai privati contro gli Stati esteri, temperata, nei confronti di quegli Stati che ammettono la reciprocit, dall'assoggettamento dell'applicazione di misure coercitive su beni di loro propriet all'autorizzazione del Ministro per la giustfaia.iIl .otripito<:U aC~rt~e la>re~iprocit rimesso lfo>stesso Ministro; sul rifl~sso che si tratt d ~< uria hldgine di fatto1 he Ia magi rdanza di indirizzi e sistemi relativam<;:nte all'esenzione dai procedimenti. conservativi. e di esecuzione su beni di Stati esteri non destinati a funzioni attinenti all'esercizio della sovranit. Nel contesto attuale, in cui si largamente affermato il principio dell'immunit ristretta, scemata la probabilit di una reazione diffusa da parte degli Stati i cui beni in Italia fossero fatti oggetto di misure coercitive: essi non potrebbero dolersi, fondandosi su ragioni di natura giuridica, di ricevere in territorio italiano il medesimo trattamento che in casi analoghi sarebbe riservato ai beni di propriet italiana situati nel loro territorio. Inoltre la prassi applicativa della norma impugnata (della quale occorre tenere conto secondo il canone ermeneutico di valutazione della legittimit costituzionale delle leggi anche alla stregU,a delle loro consegU, enze empiriche) dimostra che, lungi dal garantire un informato e rigoroso bilanciamento degli interessi in conformit delle esigenze del caso concreto, essa ha finito col ripristinare virtualmente l'immunit assoluta. Almeno a partire dal 1953, anno di emissione del primo decreto di reciprocit publicato nella Gazzetta Ufficiale (concernente la Jugoslavia), le domande di autorizzazione sono state quasi sempre respinte. La sommariet delle motivazioni dei decreti di reciprocit tradisce non di rado l'intento di inibire la procedura cautelare o esecutiva per mere ragioni di cortesia o di quieto vivere, affatto sproporzionate al danno che ne deriva al privato, tanto pi quando si tratti di crediti di impresa, dal cui tempestivo soddisfacimento dipende l'equilibrio finanziario della gestione, o di crediti di lavoro, particolarmente meritevoli di protezione in ragione della loro funzione alimentare. Del resto, non mancher al potere esecutivo uno strumento di in tervento idoneo a evitalJ."e, senza sacrificio del diritto dei singoli alla PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 189 tutela giurisdizionale, l'applicazione di misure coercitive su beni appartenenti a uno Stato estero, quando reputasse tali misure, bench limitate a beni privati , suscettibili di provcare reazioni pregiudizievoli all'interesse nazionale. fo. vist. di tale eventualit potr. essre predisposta, pr esempio, la pOssibita che 10 Starto italiano interv~nga nella procedura esecutiva offrendo al creditore il pagamento del terzo ai sensi dell'art. 1180 cod. civ., oppure nella procedura cautelare offrendo al ricorrente, in cambio de1l'abbandono della domanda di sequestro, garanzia di pagamento del debito . che sar accertato a carico dello Stato estero mediante un ordinario processo di cognizione. Restano assorbite le altre censure di costituzionalit riferite agli artt. 23 e 41 Cost. PoicM iil giudice a quo non ha richiamato l'art. 10 Cost. tra i parametri del giud,izio di legittimit costituzionale, l'articolo unico del r.d.l. n. 1621 del 1925 viene di.chiarato costituzionaLmente illegittimo solo nella parte in cui subordina all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive. Per l'altra parte la norma ~mpugnata .da ritenersi tacitamente abrogata secondo l'interpretazione sopra esposta al punto 4. p.q.m. dichiara l'illegittimit costituzionale dell'articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621 (Atti esecutivi sopra beni di Stati esteri nel Regno), convertito nella legge 15 luglio 1926, n. 1623, nella parte in cui subordina al'autorizzazione dl Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive. CORTE COSTITUZIONALE, 27 luglio 1992, n. 379 -Pres. Corasaniti -Red. Bald,assarre -Consiglio Superiore della Magistratura (avv. Barile e Onida) c. Ministero di Grazia e Giustizia e Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. Gen. Stato Azzariti). Ordinamento giudiziario -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura Mancato concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia sulla proposta della Commissione per gli incarichi direttivi -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura Sussistenza. 190 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ordinamento giudiziario -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi -Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura -Adeguata attivit di concertazione con il Ministro di Grazia e Giustizia da parte della Commissione per gli incarichi direttivi -Mancato accordo in tempi ragionevoli sulla proposta da formulare -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura -Insussistenza. (Cast., artt. 105, 106, 107 e 110; legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 11). Spetta al Ministro della Giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura di conferimento degli Uffici di rettivi quando, da parte della commissione competente, sia mancata una adeguata attivit di concertazione, ispirata al principio di leale cooperazione ai fini della formulazione della proposta e, conseguentemente, essendo mancata nella specie la detta attivit, spetta al Ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'Appello di Palermo relativo alla delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in data 11 dicembre 1991 (1). Non spetta al Ministro della Giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura sul conferimento degli uffici direttivi quando, nonostante che sia stata svolta un'adeguata attivit di concertazion.e, non si sia convenuto in tempi ragionevoli tra la commissione competente e il Ministro sulla proposta da formulare (2). (1-2) Viene qui di seguito pubblicata la parte in diritto della memoria redatta dall'Avvocato Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro di Grazia e Giustizia. Conflitto di attribuzioni tra Consiglio Superiore della Magistratura e Ministro di Grazia e Giustizia sul conferimento di incarichi direttivi a magistrati. 1. Il ricorrente C.SM. deduce, col primo motivo del ricorso, la illegittimit del rifiuto ministeriale di dare corso alla delibera del Consiglio : al Ministro di Grazia e Giustizia non spetterebbe alcun potere di controllo o sindacato sulla legittimit delle delibere adottate dal C.S.M. onde H rifiuto dello stesso Ministro di adempiere al dovere di proporre al Presidente della Repubblica l'emanazione del decreto conforme alla delibera del C.SM. realizzerebbe in ogni caso una illegittima [esione delle attribuzioni costituzionali del Consiglio. La inammissibilit di qualsiasi controllo da parte dei Ministro, in sede di esercizio delle funzioni previste dall'art. 17 della legge istitutiva del C.SM. sulla legittimit della deliberazione adoUata dal Consiglio viene, nel ricorso, desunta dad principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 44 del 1968: se l'intervento ministeriale e presidenziale previsto da quell'articolo esclusivamente finalizzato all.a esternazione della volont del Consiglio onde le deliberazioni consiliari, una volta formatesi e comunicate agli organi esecutivi, determinano il dovere giuridico a carico di questi, di renderle operanti e la pretesa da parte dell'organo deliberante alla loro adozione, deve escludersi ogni potere del Ministro non solo di assenso o di partecipazione, ma anche di sindacato sulla legittimit della deliberazione che resta riservata alla Corte dei PARTE I, SEZ . l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 191 (omissis) Con il ric:orso indicato in epigrafe il .Consiglio superiore della magistrl;ltura ha elevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al rifiuto opposto dal predetto Ministro di dare corso, me diante la proposta del relativo decreto del Presidente della Repubblica, alla nomina del Presi4ente delJ.a Corte di appello. di .Palermo deUberata 4arllo stesso Consiglio superiore della magistratura in data 11 dicembre 1991. Il ricorrente, netlamentare la menomazione delle attribuzioni ad esso garantite. dagli artt. 105,. 106, 107 e< 110 della Costituzione, domanda a questa Corte di dichiarare che non spetta al Ministro di grazia e giusti zia il potere di rifiutare di dare corso alle deliberazioni che egli ritenga illegittime e, ove questa possibilit . dovesse essere. ritenuta inerente al potere di .proposta del decreto presidenziale disciplinato dall'art. 17, primo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, domanda che la Corte medesima sollevi ,di fronte a se stessa. questione di legittimit costitu zionale del citato art. 17 per violazione degli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione. In via subordinata, il Consiglio superiore della magistratura chiede che questa Corte dichiari che non spetta al Ministro di grazia e. giustizia il.potere di impedire allo stesso Consiglio, negando il proprio positivo concerto alla proposta. di nomina, di deliberare legittimamente il conferi mento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte di appello di Palermo. Conti, in sede di controllo, ed al giudice amministrativo in sede di sindacato giurisdizionale di legittimt.. Simile potere di sindacato potrebbe riconoscersi ma solo al Presidente della Repubblica e solo nella forma del rinvio con richiesta di riesame; al Ministro esclusivamente nei confronti delle deliberazioni consiliari giuridicamente inesistenti (si propone l'esempio deUa deliberazione adottata dalla Commissione anzich dal plenum). N. la natura del vizio rilevato nella fattispecie dal Ministro, consistente nella menomazione della sua competenza di concorrere con il concerto alla formulazione della proposta, potrebbe giustificare il rifiuto di dar corso al provvedimento: non si tratterebbe di una competenza costituzionale perch questa prevista non dalla Costituzione bens dall'art. 11 della legge ordinaria n.. 195/58. N, inline, potrebbe ammettersi . un sindacato ministeriale sulla regolarit del procedimento seguito che, se non si esclude senz'altro in applicazione dei principi affermati dalla Corte Costituzionale a proposito degli interna corporis delle Camere con la sentenza n. 9 del 1959, potrebbe essere svolto esclusivamente in sede dd controllo giurisdizionale sul decreto presidenziale. Al Ministro resterebbe soltanto, a tutela delle sue competenze -se ritenute costituzionali -lo strumento del conflitto di attribuzioni. Ma se, conclude sul punto il C.S.M., dovesse ritenersi che l'art. 17 citato, conferisce al Ministro il potere di sindacare fa legittimit delle deliberazioni del C.S.M., allora quest'articolo dovrebbe essere considerato incostituzionale per contrasto con gli artt. 104, 105 e 110 Cost. 192 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO Anche in tal caso, ove la prestazione del positivo concerto da parte del Ministro rispetto alla proposta della Commissione per gli incarichi direttivi dovesse essere ritenuta condizionante la formazione della proposta stessa, il ricorrente chiede che questa Corte sollevi di fronte a se stessa questione di legittimit costituzionale, in riferimento agli artt. 104, 105 e UO della Costituzione; dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 dl 1958, nella parte in cui, prevedendo il concerto del Ministro sulla proposta di conferimento dell'ufficio, direttivo, impedisce al Consiglio superiore della magistratura di deliberare tale conferimento a favore del candidato da esso ritenuto pi idoneo anche in assenza del positivo concerto del Ministro o in presenza di un diniego di concerto del Ministro sul nominativo del candidato medesimo. Occore, innanZitutto, verificare in via definitiva l'ammissibilit del conflitto di attribuzione in questione, che questa Corte ha gi dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con l'ordinanza n. 184 dll992. Sotto il profilo oggettivo non v' dubbio che ricorrono i requisiti previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte), in base al quale sono risolti dalla Corte costit\.lzionale i conflitti tra i poteri dello Stato insorti per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i va11i poteri da norme costituzionali . Nel caso, infatti, vengono in questione com 2. -La tesi cos sostenuta nel ricorso trova; vero. il conforto di una parte autorevolissima della dottrina, ma anche vero che dottrina altrettanto autorevole, e pu diirsi prevalente, ha ritenuto: I -che dato il disposto dell'art. 17, la deliberazione del C.S.M. assume il valore di una proposta a cui il Ministro tenuto a conformarsi (atto dovuto) salva l'ipotesi in cui il contenuto della deliberazione sia contra legem (v. Torrente, voce Consiglio Superiore deN.a Magistratura, della Enciclopedia del diritto) e che a parte ogni valutazione se la soluzforte cos adottata dalla legge sia o no felice; deve riconoscersi che nessuna barriera costituzionale stata infranta da una normativa che nulla toglie alla competenza devoluta al C.S.M.; -'-che la controfirma del Ministro prescritta daU'art. 17 non significa certificazione della collaborazione prestata al Capo dello Stato nell'esercizio di una funzione esecutiva, ma ,attesta la partecipazione effettiva e primaria del Ministro al procedimento di formazione di quegli atti nell'esercizi di competenze amministrative che appartengno esclusivamente al suo dicaster; -che dagli stessi lavori preparatori della Costituzione r.isulta che, secondo i costituenti, la funzione di vdgilanza del Ministro deve estendersi anche alla legittimit delle deliberazioni del CoIJ/Siglio, essendo del tutto naturale che il Ministro, prima di proporre al Capo dello Stato la firma dei decreti, con cui vengono adottati provvedimenti del Consiglio (o prima di emanare egli stesso decreti ministeriali dello stesso contenuto) si accerti deUa conformit di questi alla legge; -che il fatto che l'art. 17 impone a carico dell'esecutivo il dovere giuridico di dare esecuzione alle delibere consiliari, non esclude ~a possibilit di un con PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 193 petenze ......, come quelle relative . alla proposta ministeriale del decreto presidenziale che d forma alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura di conferimento degli incarichi direttivi e quelle relative alla formulazione, di concerto con il Ministro della giustizia, della proposta...di conferimento dei ipredet1li incarichi da parte della commissione nfronto possa avvenire s.u basi di correttezza e di apertura alle altrui posizioni .Cos... precisata.. in base . all'interesse .publ;>lico da perseguire e al metodc;> della leale> coperazione, l'attivit di concertazione tra comInissione e l\4inistro, prevista dal ricordato art. 11, risponde all'esigenza costituzion~1 per la quale, quando si tratta di preposizione a uffici, cqme. q.e!ii relativi agli incarichi direttivi, dove forte l'incidenza delle capacit organizzative e gestionali nell'assegnazione da compiere, l'esercb; io .delle competenze. del Consiglio superiore sui provvedimenti di stato dt.'li magistrati (art. 105 della Costituzione) deve tenere ragionevolmente conto degli interessi relativi all'organizzazione e al funzionamento dei servizi giudi~iari, imputati al l\finiS .il Ministro. N la vicenda ora in esame pu considerarsi realizzazione .deU'ipotesi .formulata. in quel ricorso, ci che, del resto neppure stato so.stenuto dal ricorrente C.S.M. Il.ddniego di concerto stato infatti espresso dal Ministro nei confronti di un solo candidato, e non stato ripetuto via via anche. nei confronti di altri, n valso a far prevalere la scelta del Ministro . sulla quale non si era formato il consenso della maggioranza della Commissione. L'ipotesi del ripetuto diniego quindi un'ipotesi astratta, si ripete, di violazione dell'obbligo imposto dall'art. 11, 3 comma, al Ministro e ai componenti la Commissione di formulare proposta concertata; violazione che pu essere compiuta, non soltanto dal Ministro, ma da tutti i soggetti che devono 206 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gi da semplici divergenze, ma da gravi e insuperabili contrasti sulla proposta da formulare. In quest'ultima evenienza spetter al plenum del Consiglio superiore la deliberazione sull'incarico da conferire in relazione alla proposta della commissione competente e alle eventuali diverse indicazioni del Ministro, con il dovere per il Consiglio di motivare adeguatamente la propria scelta anche in riferimento alle vailutazioni e alle argomentazioni formulate in sede di proposta. Il conflitto di attribuzioni in esame e, pi in particolare, la questione se tra la commissione per gli incarichi direttivi e il Ministro della giustizia si sia realizzato il concerto previsto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958, in attuazione degli artt. 105 e 110 della Costituzione, vanno risolti sulla base dei criteri ora precisati. Al fine di verificare se si sia effettivamente svolta ovvero sia mancata un~adeguata attivit di concertazione, ispimta al principio della leale cooperazione, occorre procedere all'esame dei comportamenti in concreto tenuti dalle parti in sede di concerto. Dopo che, in ossequio al previgente art. 22 del regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura, la commissione per gli incarichi direttivi, il 18 luglio 1991, aveva inviato al plenum l'elenco degli aspiranti al posto di Presidente della Corte d'appello di Palermo, le proprie valutazioni e le conseguenti motivate conclusioni e dopo che, in osservanza dello stesso art. 22, il plenum aveva espresso il proprio avviso, concertarsi, tanto che stato autorevolmente osservato che la prescrizione del concerto, da ritenere opportuna sul piano pratico, pu sul piano teorico esporsi alla critica che il congegno potrebbe attribuire aii componenti la Commissione, e per di pi a due soli -ora, dopo le modifiche introdotte con l'art. 3 l. 3 gennaio 1981, n. 1, a quattro -di essi, il potere di escludere un magistrato da un ufficio direttivo, un potere cio superiore a quello degli altri componenti, il che contrasta con il principio della pariteticit del voto dei componenti nello stesso collegio. Deve, quindi, ritenersi che l'eventuale illegittimo comportamento del Ministro o dei componenti la Catmmissione, in sede di formulazione della proposta, sia sanzionabile in modo diverso dalla pronunzia dii illegittimit della norma che prescrive la formulazione di proposta concertata e che possa anche, quando l'ipotesi sopra configurata si realizzi in concreto, costituire lesione delle attribuzioni costituzionali dall'altro organo chiamato al concerto: ma, nella fattispecie, deve invece ritenersi che la delibera del Consiglio che ha deliberato definitivamente la nomina del Dr. Giardina, pur dopo aver preso atto ed aver considerato il negato concerto sulla relativa proposta espresso dal Ministro nella nota dell'll novembre 1991, abbia illegittimamente violato le attribuzioni conferite al Ministro stesso dall'art. 11, 3 comma, della legge n. 195/58 in attuazione dell'art. 110 Cost.: abbia, in definitiva, leso attribuzioni costituzionali del Ministro. 9. -Con un terzo, e subordinato motivo, il C.S.M. solleva questione incidentale di legittimit costituzionale dell'art. 11, comma 3, della legge n. 195 del 1958: se interpretata nel senso che condiziona al previo positivo concerto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 207 il Ministro della giustizia, richiesto del concerto dalla predetta commissione, inviava . una lettera al Vice-presidente del Consiglio superiore con la quale faceva presente che, in relazione all'interesse pubblico a che siano conferiti incarichi . direttivi a magistrati idonei a dirigere i servizi -servizi di cui lo stesso Ministro costituzionalmente responsabile -, egli era indotto a chiedere urgentemente una sostanziale modifica del ricordato art, 22. A parere del Ministro, infatti, quest'ultimo articolo, nel prevedere in fase di proposta la valutazione della commissione e l'avviso del plenum anteriormente al concerto con il Ministro, riduceva la partecipazione di quest'ultimo a un atto formale di assenso o di rifiuto nei confronti di una scelta sostanzialmente gi effettuata dal Consiglio superiore. In ragione di ci il Ministro chiedeva una modifica dell'art. 22 che, per essere. in armonia con la legge e con la Costituzione, avrebbe dovuto promuovere una pi proficua collaborazione tra il Consiglio e il Ministro stesso, ferma restando l'autonomia della decisione finale da parte del plenum, Con lettera del 30 luglto 1991, il Vicepresidente del Consiglio superiore rispondeva al Ministro che, pur ritenendo il testo allora in vigore dell'art. 22 pienamente legittimo, concordava sull'esigen.m della collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze e, pertanto, non poteva non ravvisare un fondamento nella richiesta del Ministro, specialmente con riguardo alla sottolineatura da questo compiuta sull'autonomia di decisione del Consiglio. Il 5 agosto dello stesso anno, il Presidente della Repubblica scriveva al Vicepresidente del Consiglio superiore rilevando del Ministro la deliberazione consiliare di conferimento dell'ufficio direttivo, allora la norma sarebbe in contrasto con gli artt. 104, 105 e 110 Cost. Per la verit non , quella cos indicata, la esatta interpretazione desumibile dal significato letterale delle parole usate dal legislatore: il previo concerto del Ministro richiesto, e la condiziona, non gi per la deliberazione consiliare, bens per la formulazione della proposta da sottoporre alla deliberazione del C.SM. La questione comunque manifestamente infondata. Come si prima osservato, il conferimento dii ufficio direttivo provvedimento che incide sulle due sfere di competenze costituzionali attribuite al C.S.M. dagli artt. 105 Cost. e 10, n. 1, l. 24 marzo 1958, n. 195 ed al Ministro di Giustizia dall'art. 110 Cost. e dal d.P.R. 26 agosto 1959, n. 775. Questo concorso di competenze propmo il presupposto che non solo giustifica, ma rende anzi necessaria, quella collaborazione tra le autorit titolari delle rispettive competenze. che si realizza appunto con il concerto o con l'intesa, la cui necessit stata affermata dalla Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n. 168 del 1963 proprio per la tutela delle competenze attribuite dalla Costituzione al C.S.M. ed al Consiglio dei Ministri. La necessit della leale collaborazione stata poi ripresa e riaffermata dalla Corte con la sentenza n. 175 del 1976, quale strumento necessario per coordinare tra loro le competenze regionale e statale e realizzare un giusto contemperamento delle finaLit rispettive (si trattava, allora, delle competenze regionale in materia urbanistica, e statale in materia di parchi nazionali). In .. II 208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la delicatezza della questione sollevata dal Ministro e manifestando l'in-~ tenzione di non porre all'ordine del giorno dei lavori consiliari il confe-[ rimento degli incarichi direttivi finch le procedure interne si prestavano W a critiche sotto il profilo del rispetto delle competenze degli organi par-,~i tecipanti. Anohe a questa lettera il Vicepresidente del Consiglio superiore 3 rispondeva il 9 agosto 1991 dichiarandosi d'accordo e comunicando di II aver gi pregato la commissione per il regolamento di varare la modifica ~ dell'art. 22 con sollecitudine, onde evitare la paralisi nel conferimento degli incarichi direttivi; Raccogliendo la preoccupazione manifestata dal Vicepresidente del Consiglio superiore circa l'urgenza del provvedere alla copertura degli ~ incarichi, il Ministro, in data 18 settembre 1991, dava il proprio assenso ~ al conferimento di tutti gli incarichi direttivi, ad eccezione di due (fra I cui quello contestato), ribadendo, tuttavia, riguardo a questi ultimi, che, Ila fino a quando non fosse adottata una nuova norma regolamentare resa conforme alla legge e alla Costituzione, non avrebbe preso in considera-' zione ulteriori provvedimenti adottati secondo l'art. 22 allora in vigore, fil ritenendo che quest'ultimo fosse in contrasto con la legge. I In conseguenza della nuova lettera del Ministro, il Consiglio supe-~ riore decideva di riunire il suo plenum per prendere posizione sulla situa-~ zione. Il 3 ottobre 1991 quest'ultimo adottava una risoluzione, con la t f,'.,_. quale, dopo aver premesso che le nuove procedure per il concerto non f: potevano avere applicazione ai conferimenti di incarichi direttivi in corso I fil attuazione del princ1p10 cos affermato venne annullata una delibera di appro vazione di piano regolatore, comprendente zone incluse in un Parco nazionale, adottata dalla Regione senza che fosse previamente intervenuta un'intesa con ~ i competenti organi dello Stato. Dopo le due sentenze n. 168 del 1963, relativa a rapporti tra organi dello I Stato, e n. 175 del 1976, relativa a rapporti tra Stato e regioni, la Corte ha ripetutamente e costantemente ribadito, in sede di definizione di conflitti tra Stato e regioni, il principio della leale collaborazione, da realizzarsi attraverso la mutua informazione ovvero attraverso intese, quale strumento basilare e necessario a garantire, con il rispetto delle rispettive competenze, l'osservanza dell'art. 97 Cost. quando l'at1livit amministrativa debba compiersi nelle zone di confine tra le I competenze statale e regionale. Ed allora, quando invece si tratti di adottare, nel rispetto dell'art. 97 Cost., provvedimenti in materia incidente su competenze non gi di Stato e regioni, bens di diversi organi o poteri dello Stato, quella leale collabora2tlone, necessaria a coordinare e contemperare le rispettive competenze e finalit, dovr realizzarsi secondo una definiziolne generalmente ac I colta, non gi attraverso intese, bens attraverso il concerto, appunto quel concerto prescritto dall'art. 11 legge 195/58 per la emanazione di provvedimenti I di conferimento degli uffici direttivi giudiziari, che coinvolgono le competenze f attribuite al C.SM. dall'art. 105 ed al Ministro dall'art. 110 Cost. ~ Perci si chiede che il ricorso del C.S.M. sia dichiarato infondato. 1 GIORGIO AZZARITI Avvocato dello Stato I ! ! ' I I I I o, coniunque;; alle .fasi . pregresse. del procedimento in atto, chiedeva al Ministro un sollecito perfezionamento delle proposte gi avviate sulla base dell'art. 22 nel. testo da liii contestato. Nel corso della stessa seduta; iliConsiglio. approvava poi il nuovo testo delr~rt; 221 con il quale si stabilisce che in fase di.proposta. la Commissione per gli incarichi direttivi in(l,ica al Ministro . l'elen quelle deLdissenzienti al .fine di proeedere al. coricertO: e; all'esito <11 ques~o, riferisce al Consiglio che delibera sull'incarico da asseg.are A seguito . de;tla richiesta del Consiglio superiore, il Ministro.. in data 11 nov.embre 19911 rifiuta il concerto sulla proposta di conferiniento dell'iricaricodi Presidente della Corted'appello diPalermo nella persona del dott/Pasquale. Giardina, allegando motivazionirelative tanto al merito della scelta quanto a;tle capacit organizzative dei candidati e affermando di J:>referire sotto entrambi i profili ildott: Antonino Palmeri;. gi indicato da alcuni commissari" Il 18 novembre 1991 fa Commissione competente,. invocando ancora il testo dell'art.22contestato, riteneva di essere priva. di.qualsiasi ulterfore potere sulLa procedura in corso e, conseguentemente, investiva per la decisione il plenum comunicando tanto la propria proposta quanto quella deLMinistro;.In.data H dicembre, il Consiglio; dopo aver deciso che non occorreva tornare in commissione per. la riformulazione della proposta o per fa proseuzione dell'istruttoria e .che occorreva procedere alla deci sione definitiva, conferiva l'incarico. in questione..al.. dott. Giardina. Il 17 dicembre 1991 il Presidente della Repubblica: inviava una lettera al Consiglio :superiore con la quiale portava a conoscenza dello stesso che ilMimstro della giustizia non intendeva proporre l'emanazione del decreto presidenziale previsto dall'art; 17 della legge n. 195 del 1958 per il fatto che. consideravair:bicevibile la deliberazione del Consiglio, ssendo questa avvenuta su una pr()post. sulla. quale non era stato effettuato il prescritto concerto .. In particolare;. il Mirustro affermava. di. non . poter partecipare alla formazione di un atto illegittimo, perch privo del richie" sto concorso della volont ministeriale alla proposta ~della commissione, e lamentava l'appUcazione nel caso del vecchio art. 22 del regolameto, il quale, a suo giudizio, costituiva un intralcio a un'effettiva collaborazione, dal no1nento che limitava, ad un tempo, la discrezionalit della commissione e l libert di valutazione del Mimstro; Su questa decisione del Ministro della giustizia di non dar corso a1 predetto decreto; i1 Consiglio superiore, in data 29 gennaio 1992, . deliberava di elevare n conflitto diattribuzioru ora m esame. Dal complesso dei comportamenti osservati dalle due parti in relazione all'attivit di concertazione svolta per il conferimento dell'incarico direttivo di Presidente della Corte di appello di Palermo risulta che il contestuale rifiuto del Ministro della giustizia di dare il concerto e 210 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di applicare il testo allora vigente dell'art. 22 del regolamento interno esprimeva l'esigenza di procedere, specialmente con riguardo agli incarichi pi delicati, a una pi intensa e fattiva collaborazione tra i partecipanti al concerto prescritto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958. Questa richiesta stata sostanzialmente condivisa dal Consiglio superiore, tanto che, per un verso, ha ripetutamente manifestato su di essa il consenso attraverso il suo Vicepresidente e, per altro verso, ha posto sollecitamente mano a una modifica dell'art. 22 del regolamento interno, diretta a disciplinare le modalit del concerto in una direzione collimante con quella postulata dal Ministro della giustizia. Tuttvia, mentre esprimeva questa posizione generale concordante con quella del Ministro, il Consiglio st1periore, in relazione al caso di specie, teneva un comportamento contraddittorio rispetto a quella posizione. Infatti, nella seduta della Commissione per gli incarichi direttivi del 18 novembre 1991, di fronte a un primo rifiuto del Ministro di dare il concerto e di fronte alle sue osservazioni critiche, la Commissione medesima negava la propria disponibilit a proseguire il confronto in relazione a un incarico direttivo di estrema delicatezza, allegando w1a carenza di potere riguardo a ulteriori confronti, che, a ben vedere, avrebbe potuto essere affermata soltanto sull'erroneo presupposto che il concerto fosse equiparabile a un parere obbligatorio, ma non vincolante. In realt, cos facendo, la commissione per gli incarichi direttivi ha mancato di esplicare l'attivit di concertazione, venendo meno al dovere di leale cooperazione cui deve ispirarsi il concerto, per il quale ricade sull'organo procedente il vincolo di fare quanto possibile per tentare di superare le eventuali divergenze insorte in vista del miglior perseguimento dell'interesse pubblico in discussione. E ci vale tanto pi in relazione al conferimento di un incarico direttivo di importanza fondamentale qual era, nel caso, quello di Presidente della Corte d'appello di Palermo. In base alle considerazioni suesposte, che portano a negare la sussistenza in concreto di un'adeguata attivit di concertazione, questa Corte, in riferimento al conflitto di attribuzioni promosso in via principale, dichiara che spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura di conferimento degli uffici direttivi quando, da parte della commissione competente, sia mancata un'adeguata attivit di concertazione, ispirata al principio della leale cooperazione in vista della formulazione della proposta. Conseguentemente, la stessa Corte dichiara che, essendo mancata, nel caso di specie, la detta attivit, spetta al Ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo, relativo alla deliberazione adottata dal Consiglio superiore della magistratura in data 11 dicembre 1991. In via subordinata, il Consiglio superiore della magistratura chiede a questa Corte di dichiarare che non spetta al Ministro della giustizia PARm I~ SBZ; I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE il potere di impedire allo stesso Consiglio, negando il proprio positivo concerto alla proposta di nomina, di deliberare il conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo. Le argomentazioni svolte e le. conclusioni raggiunte nei punti pre cedenti della motivazione contengono gi i motivi e la risoluzione da dare anche alla domand subordinata. Se alla nozione di concerto non pu associarsi la figura del parere non vincolante, ancorch obbligatorio, allo stesso modo deve negarsi che, a un'interpretazione dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958 non incompatibile con la Costi tuzione, il .concerto possa coincidere con la necessit che tra commis sione per gli incarichi direttivi e. Ministro si raggiunga un accordo sul nome da proporre per la decisione del plenum. Il concerto, s' prima detto, comporta un vincolo di metodo, non di risultato: un vincolo che obbliga le parti a una leale cooperazione, finalizzata alla ricerca della maggiore convergenza possibile attraverso una discussione effettiva e costruttiva. Pertanto, posto che l'attivit di concertazione deve essere effettuata in modo adeguato, nel senso sopra precisato, e posto che le parti non debbono tenere comportamenti ostruzionistici e sleali, n usare espedienti dilatori o pretestuosi, i tempi ragionevoli della concertazione sono quelli necessari a un'effettiva e leale discussione, quantomeno secondo lo schema dialogico indicato in precedenza: i tempi irragionevoli, infatti, sono quelli utilizzati per manovre dilatorie e per comportamenti non conferenti rispetto al miglior soddisfa cimento dell'interesse pubblico connesso al conferimento dell'incarico direttivo al candidato professionalmente pi idoneo. In considerazione del fatto che, in caso di mancato raggiungimento di un accordo, non pu, dunque, essere impedito l'ulteriore corso del procedimento (v., per l'applicazione di tale modulo in altro ambito, sentt. nn. 21 e 4822 del 1991) e, in considerazione del fatto che, come pure convengono le due parti, non pu essere arbitrariamente ostacolata la decisione finale di spettanza del plenum e l'autonomia del Consiglio superiore relatJivamente al conferimento dell'incarico direttivo, questa Corte, in ri.fedmento alla domanda subordinata del ricorrente, dichiara che non spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura sul conferimento degli uffici direttivi, quando, nonostante che sia stata svolta un'adeguata attivit di concertazione nel senso sopra precisato, non si sia convenuto in tempi ragionevoli, tra la commissione e il Ministro sulla proposta da formulare. Le interpretazioni degli artt. 11, terzo comma, e 17, primo comma, della legge n. 195 del 1958 accolte ai fini della risoluzione del presente conflitto di attribuzioni precludono la possibilit che ai suddetti articoli si conferiscano i signdficati in relazione ai quali il ricorrente ha prospettato i dubbi di legittimit costituzionale menzionati all'inizio della motivazione in diritto. Il che fa venir meno le condizioni perch questa 212 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. "DELLO srAro Corte sia tenuta a valutare se sollevare, o meno, le prospettate questioni di legittimit costituzionale. p.q.m. -dichiara inammissibile il conflitto fra poteri dello Stato, indicato in epigrafe, promosso dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri; -dichiara che spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura di conferimento degli uffici dfrettivi quando, 1da parte della commissione competente, sia mancata un'adeguata attivit di concertazione, ispirata al principio di leale cooperazione ai fini della formulazione della proposta e, conseguentemente, essendo mancata nella specie la detta attivit, spetta al Ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell'uf:IJicio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo relativo alla delibera del Consiglio superiore della magistratura in data l1 dicembre 1991; -dichiara che non spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura sul confe rimento degli uffici direttivi quando, nonostante che .sia stata svolta un'adeguata attivit di concertazione nei sensi indicati nel capo precedente, non si sia convenuto in tempi ragionevoli tra la commissine e il Ministro sulla proposta da formulare. SEZIONB _SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, s sez., 8 aprile 1992, nella causa C-256/90 -Pres. Joliet -Avv. gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Perugia nella causa Mignini s.p.a. (avv. E. Cappelli) c. A.I.M.A. -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti e Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. de March). Comunit europee -Agricoltura -Semi di soia -Regime d'aiuti alla prd~ione Regolamento contenente modalit di applicazione Viola Zione del principi di parit di trattamento e del principio di proporzionalit Invalidit. (Regolamenti CEE del Consiglio 23 maggio 1985, 1491, e succ. mod., art. 2; 25 luglio 1985 n. 2194, e succ. mod., art. 4; e della Commissione 8 agosto 1989, n. 2537, e succ. mod., art. 2). E invatido l'art. 2, n. 1, lett. b), del reg. CEE della Commissione 8 agosto 1989, n. 2537, recante modalit di applicazione delle misure speciali per i semi di soia, come integrato dall'art. 1, n. 1, del reg. CEE della Commissione 19 gennaio 1990, n. 150, in quanto esso riserva un trattanien, to d.itf erente agli incorpor_q,to!i e ai_ produttori di olio pir quanto rig..arda il controllo dell'aiuto comunitario alla soia ed eccede palesemente le_ differenze che potrebbero essere adeguate e necessarie per conseguire lo scopo perseguito (1). ' (1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano, il quale aveva presentato alla Corte osservazioni, in funzione di amicus curiae, in favore della tesi dei mangimisti 'sostenuta dalla Soc. Mignini. Considerato che rocedimento. fino a . che la Corte non si pronunzi 'in via pregitJ,cliziale sulla validit dell'art. 2, n. l, lett. b), del regolamento (CEE) ~. 2537/89 della Commissione in data 8 agosto 1989, come integrato dal regolamento {CEE) n. 150/90 in data 19 gennaio 1990 . 6. Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della causa prin dpale; delle norme coII1untarie di cui trattasi, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione. d'udienza. Questi elemerlti del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alfa comprensione del ragionamento della Corte. 7. In via preliminare, si deve ricordare che, per favorire lo svi luppo della produzione comU:iJ.itaria di soia, il citato regolamento del Consiglio n. 1491/85, nella versione modificata dal citato regolamento in relazione alle sue libere scelte economiche ma solo in relazione ai suoi ritmi di lavorazione e; non potendo stoccare il prcidotto senza godere dell'aiuto in attesa della possibilit d'identificazione secondo i suddetti ritmi, costretto ad approvvigionarsi da un mediatore (primo acquirente non trasformatore) con ovvio aggravio di spese. Non sembra possa essere negata la sussistenza di una irragionevole disparit di trattamento a carico del primo acqUirente di cui trattasi, non solo nei confronti degli altri primi acquirenti degli stessi semi destinati ad altri usi (come .la disoleazione), ma anche nei confronti dello stesso mangimista o alimentarista che trasformi contemporaneamente sia semi di soia che altri semi oleosi, come colza e girasole, per i quali non esiste nessuna delle restrizioni" sopra descritte,-malgrado la sostanziale identit delle situazioni di base. E una ragione della diversit di disciplina non sembra doversi riscontrare neanche in particolari necessit di controllo, posto che da un lato il meccanismo della identificazione, quale precisato e . rafforzato nel reg. 2537/89, appare funzionale e idoneo al controllo nella stessa misura in cui lo per il prodotto acquistato dal trasformatore; e poi .perc)l comunque, ammesso e non concesso che vi sia effettivamente una particolare e differenziata esigenza di controllo per i soli primi acqUirenti mangimisti o alimentaristi, non. sembra affatto che ad una tale esigenza debba farsi fronte necessariamente ed esclusivamente con una misura cos illogica, che tanto fortemente penalizza gli operatori a differenza di altri in posizione sostanzialmente similare, donde la violazione del principio di proporzionalit oltre che quello della parit di trattamento (O.F.) . 216 .RASSOONA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n. 2217/88, che si applica nella fattispecie di cui alla causa principale, dispone la concessione di un'integrazione a tutti i trasformatori di semi di soia che abbiano stipulato con i produttori dei semi stessi, singoli o associati, contratti i quali prevedano il pagamento di un prezzo almeno pari al prezzo minimo fissato ogni anno dalle autorit comunitarie (in prosieguo: i contratti di coltivazione). Il detto prezzo minimo garantisce al produttore di semi la vendita del prodotto ad un prezzo il pi vicino possibile al prezzo d'obiettivo, tenuto conto delle variazioni del mercato e delle spese di trasporto dalle zone di produzione alle zone di impiego. L'integrazione, pari alla differenza tra il prezzo d'obiettivo e il prezzo del mercato mondiale, allorch questo inferiore, concessa per i semi raccolti e trasformati ne11a Comunit previa produzione della prova della trasformazione. 8. Inoltre, l'art. 2, n. 2, del regolamento dispone che fino al 31 dicembre 1992 negli Stati membri nei quali la commercializzazione di semi di soia disciplinata da una normativa nazionale che garantisce un'organizzazione e un controllo sufficienti, l'integrazione pu essere con cessa ad un primo acquirente che non sia il trasformatore . 9. A tenore dell'art. 4 ,nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 25 luglio 1985, n. 2194, che stabilisce le norme generali relative alle misure speciali per i semi di soia (G.U. L. 204, pag. 1), nella versione modificata dal regolamento (CEE) del Consiglio 3 maggio 1989, n. 1231 (G.U. L. 128, pag. 24), che si applica nella fattispecie di cui alla causa principale: ai fini del presente regolamento s'intende per ' identificazione ' l'atto mediante il quale l'organismo competente dello Stato membro atte sta, su richiesta dell'interessato, che per il quantitativo di semi di soia oggetto della domanda l'importo dell'integrazione da concedere quell valido il giorno della presentazione della domanda. (. ..) L'identificazione dei semi ha luogo a partire dal loro ingresso nell'impresa dove essi saranno trasformati e prima della loro trasformazione 2. Su richiesta dell'interessato, lo Stato membro procede all'identificazione dei semi . 10. Per l'applicazione del detto regime di aiuti, si intende per im presa, ai sensi dell'art. 2, n. l, del citato regolamento della Commissione n. 2537/89, nella versione modificata dal regolamento 19 gennaio 1990, n. 150: a) un oleificio comprendente: -qualsiasi locale o altro luogo dello stabilimento di produzione; -qualsiasi impianto di deposito al di fuori di detto perimetro situati nel ter;ritorio doganale dello Stato membro dove ubicato lo stal:>i PARTE t, SU:. II,. GIURIS. COMUNITARIA B. INTBRNAZIONALE lU;nento.di produzione, che presenti garanzie sufficienti ai fini del controllo .dei prodotti immagazzinati e che sia stato preventivamente riconosciuto dall'organismo responsabile del controllo; b) oppure uno stabilimento per la produzione di alimenti destinati al consum umano o di mllnSimi. che possano essere utilizzati come tali dal consumatore mnhle. . Lo stabiliriiellfo e.leve essete dotato dun impianto di deposito, situato entro il suo perimetro, la cui capacit, determinata dall'organismo responsbile del controllo, sia adeguata alle prescrizioni del presente regolamento per quanto riguarda de disposizioni concernenti l'identificazione del semi ed il controllo della loro presenza e della loro utilizzazione da parte dell'impresa; e) oppure qualsiasi stabilimentQ gestito da un primo acquirente non trasformatore, riconosciuto a norma dell'art. 2. n. 3, del regolamento (CEE) n. 2194/85, comprendente impianti di deposito dei semi che offrano suffi. denti garanzie, ai fini del controMo dei prodotti immagazzinati e preventivamente riconosciuti dall'organismo responsabUe del controllo. 11. La Mignini e ilgoverno italiano sostengono che l'obbligo imposto ai produttori di .mangimi. e non agli .oleifici, di disporre di un impianto di deposito all'interno dello stabilimento di produzione in contrasto con il principio di proporzionailit, tesi contestata dalla Commissione. 12, ~ La Mignini e il governo italiano deducono in sostanza che, sotto il profilo dei controlli, i produttori di alimenti zootecnici o di alimenti destinati lconsumo umano (in prosieguo: gli incorporatori ) si trovano in una situazione analoga a quella dei produttori di olio. In particolare, il controllo dei quantitativi di semi di soia impiegati nella produzione potrebbe effettuarsi sug1i alimenti prodotti con garanzie di applicabilit analoghe a quelle fornite dal controllo della produzione dell'olio. Il provvedimento di cui trattasi sarebbe quindi inutMe ai fini del controllo, mentre risulterebbe molto oneroso, o addirittura dissuasivo, per le imprese interessate. 13. Dal canto suo la Commissione sostiene che gli incorporatori si trovano in situazione diversa da quella degli altri trasformatori, poich nel loro caso il numero dei beneficiari dell'aiuto potenzialmente. molto superiore e fa trasformazione dei semi molto pi difficile da controllare, non sussistendo rendimenti standard. Essa deduce inoltre che, tenuto conto dei quantitativi di soia prodotti ed importati nella Comunit nonch del numero e della difficolt dei controlli da effettuare nel settore considerato, le disposizioni controverse sono necessarie per evitare che l'aiuto sia distolto dalla sua finalit. 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14. -Tanto dalla natura delle disposizioni controverse quanto dagli argomenti presentati, da un lato, dalla Mignini e dal governo italiano e, dall'altro, dalla Commissione risulta che, per l'esame delle dette disposizioni, la violazione del principio di non discriminazione non pu andare disgiunta dalla violazione del principio di proporzionalit. Di conseguenza, la validit delle disposizioni controverse dev'essere giudicata con riguardo si.a al principio di non discriminazione sia al principio di proporzionalit. 15. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte (v. in particolare la sentenza 29 giugno 1988, Van Landschoot, punto 9 deHa motivazione, causa 300/85, Racc. pag. 3445), il divieto di discriminazione sancito dall'art. 40, n. 3, secondo comma, del Trattato, in quanto espressione specifica del principio generale della parit di trattamento osta a che situazioni analoghe siano trattate in modo diverso, a meno che la differenziazione sia obiettivamente giustificata. 16. -Sempre secondo la giurisprudenza della Corte (v. in particolare, sentenza H marzo 1987, Rau ed altri, punto 34 della motivazione, cause riunite 279, 280, 285 e 286/85, Racc. pag. 1069) onde stabilire se una disposizione di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalit si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto necessario per raggiungere il detto scopo. Inoltre, bench la manifesta inadeguatezza di un provvedimento rispetto allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire possa inficiarne la legittimit, si deve tuttavia riconoscere alle istituzioni comunitarie un ampio potere discrezionale in materia di politica agricola comune tenuto conto delle responsabilit loro conferite dal Trattato. 17 -Emerge tanto dal diciannovesimo considerando del citato regolamento della Commissione n. 2537/89, quanto dal primo considerando del citato regolamento n. 150/90, che le disposizioni controverse mirano ad ovviare alle difficolt incontrate nel controllo degli aiuti destinati a favorire .Ja coltivazione della soia nella Comunit, ma versati ai fabbricanti di mangimi o di alimenti destinati al consumo umano. 18. -Gli scopi e le modalit generali del controllo degli aiuti versati ai primi acquirenti sono definiti nell'art. 6 del citato regolamento del Consiglio n. 2194/85, il quale dispone, nella versione modificata dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 luglio 1988, n. 2218 (G. U. L 197, pag. 12), che si applica nella fattispecie di cui alla causa principale che: 1. Gli Stati membri produttori istituiscono un sistema di controllo per accertare che l'integrazione sia assegnata solo in relazione ai prodotti per i quali attribuito il diritto. Tale sistema deve includere in particolare un controllo per campione delle superfici coltivate e della contabilit PARTE I, Sl!Z~ II; GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE di magazzino e, se del caso, . della contabilit finanziaria dei richiedenti l'integrazione. Lo. Stato membro procede agli opportuni controlli: :...;.. ogni volta che il quntitativo consegnato da un produttore ad un primo acqufrentesupera quello che ragionevolmente pu essere prodotto sulla superficie in questione, oppure -in ca~o di dubbio. 2. Gli Stati membri si prestano mutua assistenza. 19. -L'art. 3 del citato reglamento della Commissione n. 2537/89, stabilisce che il detto controllo deve, in particolare, consentire di verifi~ care la corrispondehz tra il quantitativo di semi entrato nell'impresa, il cosiddetto quantitativo di semi identificato e il quantitativo di semi impiegato nei mangimi. 20. -A tenore dei nn. 2 e 3 dello stesso articolo: 2. Ai fini del controllo, le imprese tngono una contabilit di magazzino separata per i semi di soia raccolti nella Comunit e i semi di soia importaJ;i; tale contabilit deve contenere almeno i seguenti dati: -quantitativi entrati, con indicazione del peso del prodotto tal quale e, nel caso dei prodotti raccolti nella Comunit, del tenore di umidit e di b:npurit; -movimenti di prodotti fra i magazzini dell'impresa; -.quantitativi di semi trasformati nonch natura e quantitativi dei prodotti ottenuti, qualora il primo acquirente sia anche trasformatore. A richiesta dell'organismo competente, occorre indicare la percentuale di semi di soia utilizzati nei prodotti composti ottenuti; -quantitativi di semi o di prodotti trasformati che lasciano l'impresa e loro destinazione; :...;.. regolare inventario delle giacenze effettuato su base perlomeno trimestrle; .;.;_ riferimenti ai contratti, alle dichiarazioni di consegna, alle fatture o a documenti equivalenti sia per i prodotti acquistati che per i prodotti venduti, nonch riferimenti ai documenti riguardanti le consegne al trasformatore, qualora esso non sia il primo acquirente. 3. L'impresa deve inoltre tenere i propri libri contabili a disposizione dell'organismo responsabile del controllo'" 21. Ai sensi del n. 4 dello stesso articolo, il primo acquirente s'impegna in particolare a consentire l'accesso ai suoi impianti agli agenti dell'ente incaricato del controllo, a tenere a loro disposizione i documenti relativi alle operazioni effettuate, ivi compresa la contabilit finanziaria, e a facilitare le operazioni di controllo. 220 'RA-SSEGNJ\i DELL'AVVOCATURA DBLW STATO 22. -Il primo acquirente inoltre tenuto, in forza dell'art. 2, n. l, lett. b), del citato regolamento del Consiglio n. 1491/85, a depositare presso l'ente competente dello Stato membro riel quale i semi sono stati raccolti i contratti di coltivazione stipulati con i produttori comunitari nonch le dichiarazioni corrispondenti a ciascuna fornitura di semi che egli riceve dai produttori. 23. -I contratti devono obbligatoriamente contenere le indicazioni di cui all'art. 6, n. 2, del citato regolamento della Commissione n. 2537/89, tra le quali rientrano l indicazioni relative all'identificazione delle superfici seminate e quelle relative alle rese ottenute dal produttore interessato. Le dichiarazioni di fornitura devono contenere, in particolare, ai sensi dell'art. 8, n. 4, dello stesso regolamento, i riferimenti al contratto di coltivazione nonch la data e il peso della partita fornita. 24. -Gli enti incaricati del controllo dispongono cos di mezzi di controllo diversificati, particolarmente quanto all'origine dei semi trasformati. In particolare possono confrontare tra loro le informazioni onde verificare la concordanza e scoprire eventuali frodi. 25. -La Commissione sostiene, anzitutto, che un'indagine effettuata in Itala nel 1988 ha confermato, per quel che riguarda l'aiuto versato agli incorporatori, le carenze del sistema allora in vigore, che non preve deva l'obbligo del deposito all'interno dello stabilimento di produzione. 26. -La relazione redatta a conclusione dell'indagine, che stata versata agli atti su richiesta della Corte, mette in luce i punti deboli del controllo esercitato dalle autorit italiane, ma non fa emergere alcuna difficolt d'applicazione delile nornie allora vigenti in materia di controllo, specie per quel che riguarda gli incorporatori. 27. -La Commissione sostiene inoltre che solo controlli fisici sui prodotti finiti possono garantire l'affidabilit delle verifiche operate in altri modi. Tali . controlli sarebbero possibili per quel che riguarda la produzione dell'olio, ma non per quel che riguarda la produzione di mangimi. 2_8. -Questo argomento non pu essere accolto. Da un lato, emerge dai documenti del fascicolo e dalle disc~ssiorii svoltesi dinanzi alla Corte che la resa in olio dei semi di soia di una determinata qualit soggett~ a variazioni e che quindi i rischi di frode in questo settore non vanno totalmente esclusi, malgrado i controlli fisici effettuati sul prodotto finito. D'altro canto, risulta che, come ha sostenuto la Mignini senza essere contraddetta su questo punto, per la composizione dei mangimi si applicano formule precise, difficilmente modificabili, che consentono di deter PARTE I, :snz::u; GlURts::COMUNI'tAlUA e-.1&'11mNAZIONALE minare ih base aL prdotto finito il quanttativ6 di semi trasformati. Questo quantitativo pu essere determinato anche mediante nalisi al microscopio del prodotto finito, fatto non contestato dalla Commissione. 29. La Commissione ha poi rilevato che, siccome gli incorporatori sono potenzi!;llmente che sarebbero stati adottati dalle istituzioni comunitarie in materia di -coordinamento dei vari tipi di aiuto nei settori dell'industria, dell'agricoltura e della pesca. 3. -In seguito a tale decisione, le autorit italiane concedevano aiuti alla societ Italgrani, avente sede in Napoli, che si occupa della trasformazione dei cereali. Gli aiuti formavano oggetto di un contratto di programma ai sensi della legge 1 marzo 1986, n. 64, contratfb stipulato tra il ministro per gli interventi nel Mezzogiorno e' la societ Italgrani ed approvato il 12 aprile 1990 dal Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (in prosieguo: il CIPI ). 4. -Tale contratto, avente ad oggetto un programma integrato di produzione sulla base di cereali; frutta, soja e barbabietole, si articolava su vari punti: la costruzione di impianti industriali e di centri di ricerca, la realizzazione di progetti .di ricerca, nonch la formazione della manodopera industriale. I sistemi d'intervento progettati variavano in funzione del settore considerato: contributi in conto capitale, finanziamenti senza interessi o a tassi d'interesse agevolati. L'importo globale degli aiuti previsti in favore dell'Italgrani ammontava a 522,3 miliardi di lire ed era destinato al finanziamento di investimenti del valore di 964,5 miliardi di lire. 5. -Il 26 luglio 1990, in seguito ad un reclamo proposto dalla Casillo Grani, una societ concorrente dell'Italgrani, la Commissione chiedeva alle autorit italiane informazioni relative a tali aiuti. Trattato CEE); per gli aiuti gi esistenti previsto un controllo permanente della Commissione, durante l'espletamento del quale non v' alcun obbligo dello Stato membro di sospenderne l'erogazione. Nelle specie il Gover;no italiano aveva messo in evidenza che la decisione impugnata di dare avvio alla procedura di cui all'art. 93 n. ;l del. Trattato CEE aveva revocato la precedente decisione n. 88/318 recante approvazione del re gime generale italiano, venendo cosi a modificare Ia situazione giuridica deri vante da quella stessa decisione. Comportando l'ordine di sospendere il versamento dell'aiuto, essa ostacolava gravemente l'attuazione della sua politica per il mezzogiorno d'Italia, con tutte le conseguenze. negative per gli operatori economici interessati. Si attende ora la decisione nel merito del ricorso. PARTE I, SEZ. u; Glt1Rrs;. COMUNlTARlA E INTERN'.AZIONALE 6. -Il 7 settembre 19901 le autorit italiane notificavano la decisione del CIPI 12 aprile 1990. Informazioni aggiuntive venivano fornite nel corso di una riunione tenutasi il 28 settembre 1990 e con lettere del 4 e del14 ottobre seguenti. 7. -Con lettera 23 novembre 1990, la Commissione comunicava al governo italiano !a propria decisione di avviare la procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato con riferimento all'insieme degli aiuti concessi alla ltalgrani, ad eccezione di quelli relativi all'alcole d'origine agricola< e all'lievamento di suini, ed intimava allo stesso governo di presentare le proprie osservazionCLa>Comrriissione, infatti, dopo un primo esame dei documenti inviatile, }iteneva che gli aiti non potessero froire di alcUila delle deroghe di cui all'art. 92, n. 31 lett. a) e e), del TrattatO.> Nella motivazione della decisione, la Commissine del resto esprimeva dubbi quanto al rispetto, d part del governo ita1ian6; di due condizioni poste. dalla Commissione stessa nella decisione di approvazione della disciplina organca italiana. La prima riguarda i massimali d'Intensit degli aiuti, l seconda le esclusioni ed i limiti menzfo:hati nell'art. 9 .della suddetta decisione e che andrebbero applicati nl caso di aiuti. per i prodotti di cui all'Allegato II al Trattato. Nella lettera i3 novembre 1990 si rmmentava inoltre al governo italiario che a norma dell'art. 93, n. 3, del Trattato CEE, non pu essere data esecuzione ane misure progettate primache 1a procedura prevista dal paragrafo 2 del medesimo articolo abbia condotto ad una decisione definitiva . 8. -Gli Stati membri e gli altri interessati sono stati informati dall'avvio della procedura di cui all'.art. 93, n. 2, del Trattato tramite pubblicazione dela decisione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit europee (g. U ..1990, C 315,.pag. 7 e G. U.1991, .C 11, pag . .32), Essi sono. stati invitati a presentare Je loro osservazioni entro il termine di q1.Jattro. mesi. 9. -Il presente ricorso diretto contro la lettera del 23 novembre 1990. Il governo italiano ritien,e infatti che il ontratto di programma, stiptilato con la ~ociet Italgra;,.i ed appr~v~to n ~2ap~ile 1990 con delibera CIPI non fosse nient'altro che un provvedimento applicativo della disciplina di aiuti istitltlta dalla legge italiana n. 64/86ed. approvato dalla Commissione con la citata decisione 88/318/CEE. Pertanto, quest'ultima istituzio.e avrebbe dovuto. limitarsi a controllare il rispetto delle condizioni 'dettate nela decisione di approvazione della disciplina organica italiana, e non sarebb stata legittimata a procedere ad un nuovo esame globale dell'aiuto aila luce delle norme dl Trattato. La decisione controversa dovrebbe quindi essere annullata nei limiti in cui ha revocato la decisione ,88/318iCEE. Il governo italiano precisa che il ricorso non diretto contro le valutazioni operate dalla Commissione sulla compatibilit dell'aiuto con il Trattato. Secondo questo governo, tali valuta 230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zioni hanno infatti un contenuto ed una finalit meramente preparatori della decisione finale. 10. -A sostegno del proprio ricorso, il governo italiano adduce vari mezzi, tra cui la violazione delle forme sostanziali, l'inosservanza dei principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto e lo sviamento di potere, quest'ultimo da valutare in relazione tanto all'art. 175, quanto all'art. 93 del Trattato. ll. -Relativamente al primo mezzo, il governo italiano ritiene che un'atto di revoca debba essere esplicito, motivato e sottoscritto dalla stessa autorit che lo ha adottato. Tali requisiti non ricorrerebbero nel caso di specie. Quanto al secondo mezzo, il governo italiano rileva che dopo la decisione d'approvazione della disciplina organica esso poteva ritenere di essere autorizzato ad adottare i provvedimenti contestati dalla Commissione. La Commissione, avviando una nuova procedura che comporta il riesame di un aiuto autorizzato e quindi una revoca dell'autorizzazione, avrebbe conseguentemente violato i principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto senza una valida giustificazione. Per quanto riguarda lo sviamento di potere, il governo italiano adduce, in primo luogo, che l'art. 175 non faceva obbligo alla Commissione di attivarsi in seguito al reclamo della societ Casillo Grani. Tale istituzione avrebbe in realt approfittato dell'invito ad agire rivoltole dalla detta societ per avviare una procedura senza avere n il potere, n il dovere di intraprenderla. Inoltre, i motivi invocati dalla Commissione non consentirebbero di giustificare l'avvio di una nuova procedura ai sensi dell'art. 93 del Trattato. A questo fine, non sarebbe stato sufficiente che la Commissione nutrisse qualche dubbio sul rispetto da parte del governo italiano della prima condizione, posta dalla Commissione stessa nella decisione di approvazione della disciplina organica. Quanto alla seconda condizione, essa non avrebbe alcun fondamento in tale decisione. 12. -Con provvedimento 9 aprile 1991, la Commissione ha sollevato un'eccezione di irricevibilit ai sensi dell'art. 91, n. l, del Regolamento di procedura della Corte. Quest'ultima ha deciso di pronunciarsi su tale eccezione senza impegnare la discussione nel merito. 13. -Avverso la ricevibilit del ricorso, la Commissione eccepisce che la decisione impugnata un atto preparatorio, non impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato. All'affermazione del governo italiano secondo cui l'atto controverso ha efficacia revocatoria e pertanto valore di decisione, la Commissione obietta che la procedura avviata da tale atto diretta contro un aiuto non autorizzato, -pi precisamente contro un aiuto attuato in modo abusivo ai sensi dell'art. 93, n. 2. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 14. -La Commissione sostiene, del resto, che non si deve tener conto dell'obbligo di sospendere il versamento dell'aiuto previsto per decidere sulla ricevibilit del ricorso, poich tale effetto costituirebbe un'inevitabile conseguenza attribuita dal Trattato all'avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato stesso. 15. -La Commissione considera infine che se il ricorso venisse accolto, il sistema di controllo istituito dall'art. 93 del Trattato risulterebbe alterato. Innanzitutto, la Commissione sarebbe privata della possibilit di condurre indagini e di intervenire nei confronti degli Stati membri nel caso in cui questi ultimi concedano singoli aiuti nell'ambito di una disciplina generale previamente autorizzata da parte sua. Inoltre, la Corte sarebbe costretta a pronunciarsi sulla compatibilit con il Trattato di aiuti che non sarebbero stati ancora oggetto di esame completo e definitivo da parte della Commissione. Quest'ultima esprime inoltre il timore che una sentenza favorevole alla ricevibilit provochi una proliferazione di ricorsi per l'annullamento di decisioni d'avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato. 16. -A sostegno della ricevibilit del ricorso, il governo italiano fa valere che l'atto controverso costituisce invece una decisione impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato. Oltre ad aver revocato la decisione della Commissione 88/318/CEE, tale atto avrebbe impedito il versamento degli aiuti alla societ Italgrani, creando gravi ostacoli all'attuazione della politica economica e sociale del governo italiano in favore del Mezzogiorno. Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, tale effetto sospensivo non costituirebbe una conseguenza automatica dell'applicazione del Trattato, poich la Commissione sarebbe deliberatamente ritornata sulla decisione 88/318/CEE con cui aveva approvato la disciplina organica di aiuti istituita dal governo italiano. 17. -Per una pi ampia illustrazione della normativa di cui trattasi, dello svolgimento del procedimento e dei mezzi ed argomenti delle parti si rinvia alla relazione d'udienza. Questi elementi del fasci:colo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 18. -Dall'argomentazione esposta dal governo italiano emerge chiaramente come il ricorso per annullamento verta soltanto sulla decisione della Commissione di avviare la procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato nei confronti degli aiuti concessi alla Italgrani, nei limiti in cui essa revoca la precedente decisione di approvazione della disciplina organica italiana e non invece nei limiti in cui contiene valutazioni sulla compatibilit dell'aiuto con il Trattato. L'esame della Corte si limiter quindi a tale aspetto della decisione. 232 RAS.$EG!'.'1A l)El:.I.,'AVVOCATURA DEI;LO STATO 19. -Per statuire sulla ricevibilit del ricorso, si deve in primo luogo ricordare che un atto pu essere impugnato, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, soltanto se produce effetti giuridici, (v. sentenza 31 marzo 1971, detta AETR , Commissione/Consiglio, causa 22/70, Racc. pag. 263). 20. -Nella fattispecie, occorre innanzitutto rilevare che la decisione d'avvio della procedura d'esame di cui all'art. 93-, n. 2, del Trattato, notificata al governo italiano con lettera 23 novembre 1990, comportava per quest'ultimo il divieto di versate alla societ Italgrani gli aiuti pre visti prima che tale procedura si fosse conclusa con una decisione definitiva. 21. -Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, tale divieto deriva da una precisa decisione della Commissione stessa. Ci appare evidente se si inserisce l'atto controverso nel contesto del sistema di controllo degli aiuti istituito dall'art; 93. 22. -Le norme procedurali stabilite dal Trattato variano a. seconda che si tratti di aiuti gi esistenti oppure di nuovi aiuti. Mentre i primi sono soggetti all'art. 93, nn. 1 e 2, i secondi sono disciplinati dai nn. 2 e 3 dello stesso articolo. 23. -Per quanto riguarda gli aiuti gi esistenti, nel citato art.. 93, .n. si attribuisce alla Commissione la competenza a procedere, con gli Stati membri, al loro esame permanente. Nell'ambito di tale esame, la Commissione propone agli Stati le opportune misure richieste dal graduale sviluppo e dal funzionamento del mercato comune. Il n, 2 di detto articolo dispone poi, che qualora la Commissione, dopo aver intimato. agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati ch,e. un aiuto non compatibile con il mercato comune a .norma dell'art. 9Z, oppm;e che tale aiu,to attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato. 24. -Quanto ai nuovi aiuti, l'art. 93, n. 3, prevede che alla Commissione sono. comunicati, in tempo utile perch presenti le sue osservazioni, i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti. Quest'ultima procede allora ad un primo esame degli aiuti progettati. Se, in esito a tale esame, ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato comune a norma dell'art. 92, la Commissione inizia senza indugio la,,proceduFa di esme in contraddittorio di cuiall'art. 93, n; 2. In tl caso; H n. ,3, ultima frase, v1eta llo Stato meinbto interessato di dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto ad una decisione finale. I nuovi aiuti sono quindi sottoposti a:d un controllo preventivo da parte della Commissione e rton possono, in via di principio, essere attuati fino a che tale istituzione non li abbia dichiarati compatibili con il Trattato. PARTE I, SEZ. :n; GIURis:coMUNITARJA: E INTERNAZIONALE :H3 25. -Da quanto precede emerge come la decisione di intimazione agli Stati interessati e di avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato produca effetti diversi a seconda che l'aiuto considerato sia nuovo o gi esistente. Mentre, nel primo caso, lo Stato non pu attuare il progetto d'aiuto sottoposto all'esame della Commissione, un tale divieto invece non si applica nell'ipotesi di un aiuto gi esistente. 26. -Nel caso di specie, la Commissione ha deciso di applicare la disciplina sui nuovi aiuti ad aiuti che il governo italiano considerava gi esistenti in quanto concessi sulla base della legge italiana n. 64 che era stata oggetto di una decisione di approvazione della Commissione. Non pu quindi ritenersi che, nel caso presente, la sospensione del versamento dell'aiuto discenda automaticamente dal Trattato. Comportando una scelta della Commissione in ordine alle norme procedurali da applicare, la impugnata decisione di avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato produce pertanto effetti giuridici. 27. -In secondo luogo, occorre accertare che la decisione impugnata non costituisca un mero atto preparatorio, contro la cui legittimit ci si possa sufficientemente tutelare impugnando la decisione che conclude la procedura (v. sentenza 24 giugno 1986, AKZO/Commissione, punto 20 della moti;vazione, causa 53/85, Racc. pag. 1965'). 28. -Va osservato, in proposito, che una decisione che accerti la compatibilit dell'aiuto con il Trattato o il ricorso proposto contro una decisione della Commissione che accerti la sua incompatibilit non consentirebbero l'eliminazione delle irreversibili conseguenze di un ritardo nel versamento dell'aiuto, dovuto al rispetto del divieto di cui all'art. 93, n. 3, ultima frase. 29. -Del resto, si deve constatare che qualora i provvedimenti qualificati dalla Commissione come nuovi aiuti fossero stati gi eseguiti, gli effetti giuridici derivanti da una tale qualificazione resterebbero definitivi. Infatti, la sentenza 21 novembre 1991, Fdration nationale du commerce extrieur des produits alimentaires/Francia (causa C-354/90, Racc. pag. I-0000) dimostra come neppure una decisione definitiva della Commissione che dichiarasse tali aiuti compatibili con il mercato comune potrebbe sanare gli atti d'esecuzione che fossero ritenuti contrari al divieto di cui all'art. 93, n. 3, ultima frase. 30. -Si deve dunque concludere che la decisione controversa, implicando ~a scelta, da parte dell'istituzione competente, di una procedura di controllo che comporta, tra l'altro, la sospensione del versamento dell'aiuto progettato, costituisce un atto impugnabile a norma dell'art. 173 del Trattato. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 234 31. -In risposta all'obiezione della Commissione fondata sul rischio di anticipare la discussione sulla compatibilit dell'aiuto con il Trattato, va inoltre precisato come, nell'esame del merito della presente controversia, spetter esclusivamente alla Corte decidere se un aiuto, concesso sulla base di una disciplina generale gi approvata dalla Commissione, costituisca un nuovo aiuto e debba quindi sottostare al divieto di cui all'art. 93, n. 3, del Trattato qualora la Commissione ritenga che sia stato attribuito violando le condizioni poste dalla decisione di approvazione. 32. -Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere l'eccezione d'irricevibilit sollevata a norma dell'art. 91, n. 1, del Regolamento di procedura della Corte, e dichiarare ricevibile il ricorso. (omissis) ---:t'::"'. 236 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Provincia ricorrente, demiriziando violazione -per falsa applicazione -delle norme e dei principi generali attinenti alla giurisdizione e, in particolare, dell'art. 43 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, in relazione agli artt. 1, 3, 4 e 5 dello stesso d.P.R. n. 752 (nel testo modificato ed integrato con gli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 327), agli artt. 7 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1978, n. 571 e gli artt. 2, 99 e 100 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), sostiene che la giurisdizione del Consiglio di Stato discende dalla previsione dell'art. 43 cit., che ha attribuito alla Sezione autonoma del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa una giurisdizione esclusiva (fungibile medio tempore dal Consiglio di Stato) in ordine ai provvedimenti di cui ai titoli 1 e 2 del medesimo d.P.R. n. 752/1976 in materia di bilinguismo, giurisdizione che investe quindi anche il campo dei diritti soggettivi e prescinde dall'esistenza di un atto amministrativo, ai sensi dell'art. 31 legge n. 1034/1971; che l'ENEL ente strumentale che svolge un servizio pubblico di cui al predetto titolo 1 e all'art. 8 d.P.R. n. 571/1978; che in ordine all'inosservanza delle norme sull'uso della lingua tedesca sussiste la legittimazione della Provincia ricorrente, essendo lesi dalla? I violazione gli interessi della minoranza tedesca. Tanto premesso, osserva il collegio che esula dal presente giudizio IJla questione della legittimazione attiva della Provincia Autonoma di Bolzano, in relazione al disposto dell'art. 9 del d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige concernenti istituzione del T.A.R. di Trento e della Sezione autonoma di Bolzano),. l dove -in aderenza, peraltro, alla norma costituzionale I dell'art. 92 di detto Statuto -riserva l'impugnazione degli atti amministrativi degli enti ed organi della pubblica amministrazione, ritenuti I! lesivi del principio della parit dei cittadini in quanto appartenenti ad un i i ~ gruppo linguistico, ai componenti dei gruppi consiliari regionali, provinciali e comunali e non alla Provincia. .. Non si t~atta i.rifatti di questione che foyesta la susslSienza.o i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 362, cod. proc. civ. I Va poi disattesa l'altra eccezione, riguardante la pretesa novit del richiamo dll'art. 43 cit., perch l'individuazione del giudice investito della giurisdizione .. va compiuta -:-sempre che non ostino giudkaio o preclusioni. -in base ad ogni parametro applicabile alla concreta fattispecie, quand'anche non dedotto dalle parti. Il ricorso, che per le indicate ragioni ammissibile, non fondato. L'art. A3 cit.; che comptso tra l :i:J.ot'rne final e transitorie del d.P.R. 26 h1giio 1976, n: 752 (Norme diattuaziorie dello Statuto spe~ ~ial~ dell ~~gion Treo'tino-Ali:~ dige {Il mat~ri~ di pr~porzione ~egli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego) dispone: contro i provvedimenti di cui PARTE 11 SBZ.IJl; GIUR:tSPRUDBNZA Cl\IILB, GIURISDI.ZIONB E APPALTI 2,37 a.l ~tolo le Il deli presente. decreto ammesso ricorso alla sezione .auto. noma di Bolzano del 'Iribun~e di giustizia amministrativa ȥ I primi .cl'lle titoli, nelq11aclro dei .printj;pi posti dalle norme costit, .z\9p~i: gegli ai:::tt. &f.l .. e..lOQl~g}iq)978, ~. 571,46 germaio 1980, n. 84, W aprile 19$2, .i1. 327) va completato -ai fini della presente co11,troversif!;. ~ cori l'art. 8 del itatrdinarie dello Stato. Ma ci non comporta il superamento. clegH ordiriari criteri ermeneutici, n. ff venir meno. della esi~ geI1Za e degli effetti dell'inseriment di dette norme rinforzate nel sistema, al quale varuio pur sempre rapportate. La formtilazione 1essk:a1e dell'art; 43, innanzi trascritto -'-dal quale, secondo l'assunto di. parte ricorrente, dovrebbe desun:iersi l'introduzione nel nostro ordinamento 'df una lloveila giurisdizione esdusiva, compren" dente la cognizione da parte di un organo di giustizia amministrativa, oltre che sugli interessi legittimi, sui diritti soggettivi -esclude una tale interpretazione, dal momento che la stessa norma prevede il ricorso al T.GA -Sezione di Bolzano .(soltanto) contro i .provvedimenti, con dizione non dissimile da quella dell'art. 2 lett. b) della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in tema di giurisdizione generale di legittimit del T.A.R., ovvero dell'art. 26 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (T.U. delle leggi sul 238 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Consiglio di Stato); ma ben diversa da quella dei rispettivi artt. 7 e 29 sulla giurisdizione esclusiva dei predetti giudici amministrativi. L'introduzione di una speciale tutela in materia di diritti soggettivi, in difformit dai principi generali, avrebbe richiesto invece una ben diversa e precisa forma espressiva. Se, in tesi, si dovesse accedere alla ricostruzione dell'istituto processuale sostenuta dalla ricorrente, si porrebbe un problema non eludibile di legittimit costituzionale dell'art. 43, in quanto la disposizion, intesa in senso cos ampio, avrebbe ecceduto dai limiti derivanti dalla norma costituzionale dell'art. 92 dello Statuto speciale, gi citata, l dove previst che gli atti amministrativi ..., ritenuti lesivi ..., possono essere impugnati dinanzi alla autonoma sezione di Bolzano del T.R.G.A. Nella prospettiva sia dell'art. 92 che dell'art. 43 (nel combinato disposto con le norme dei precedenti titoli primo e secondo e con l'art. 8 cit.) l'interesse del gruppo linguistico, tutelabile con il ricorso a detta Sezione da parte dei soggetti abilitati, si configura, invece, quale interesse legittimo, in quanto distinto da quello pubblico e generale, connesso a:H'osservanza del!le norme sul biHnguismo ed all'esercizio (mediante, appunto, l'emanazione di atti) della relativa potest amministrativa; con la conseguenza che l'interesse medesimo pu essere fatto valere nei limiti e nelle forme propri della giurisdizione generale di legittimit. Nella fattispecie in esame difetta, per, il presupposto dell'esercizio del potere di autorganizzazione dell'ente pubblico economico e manca un provvedimento o atto amministrativo suscettibile d'impugnazione. Difatti, secondo il consolidato indirizzo di queste Sezioni Unite (conf. sent. nn. 2064/88, 63/86, 1509/82 e, con riguardo ad altri enti, nn. 6118/89, 2722/85), oltre che del Consiglio di Stato {conf. A.P. nn. 9/75; 9/78), l'art. 13, primo comma, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, stabilisce che il rapporto di lavoro del personale dipendente dell'ENEL regolato dal1e norme di diritto privato, su base contrattuale, riservando, quindi, al giudice ordinario la cognizione delle controversie inerenti a detto rapporto. Solo nella fase che precede lo stesso bando di concorso per l'assunzione dei dipendenti, l'ENEL pone in essere una tipica attivit organizzatoria e, in posizione autoritativa, istituisce, modifica e sopprime organi ed uffici, adottando provvedimenti, che sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo, se lesivi di interessi legittimi. Della non configurabilit nella specie di siffatta impugnativa appare avvertita la stessa Provincia ricorrente, allorch -al fine di superare la costruzione privatistica, con riguardo alla indiscutibile posizione di diritto soggettivo relativa al trasferimento del dipendente Gianni Sommavilla -espone la tesi, qui di,sattesa, di una giurisdizione esclusiva della Sezione autonoma del T.G.A., comprendente cio le controversie, su diritti. PARTE I, SEZ. Ili, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 239 N dalla negazione di una tale forma speciale di tutela giurisdizionale pu. ritenersi menomata la protezione del principio del bilinguismo, dal momento che --., ferma la normale azione innanzi al giudice amministrativo in presenza di atti e provvedimenti dell'ente pubblico economico ritenuti lesivi dell'interesse del. gruppo linguistico, giusta la previsione dell'art, n dello Statuto e la disciplina attuativa dettata dall'art. 9 del d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426 -nulla impedisce che nei giudizi innanzi al giudice ordinado, instaurati per azionare diritti connessi al rapporto di lavoro privatistico, siano dedotte violazioni di detto principio. Essendo esclusa per le ragioni esposte, [a giurisdizione deN.'adito Giudice amministrativo, il ricorso principale deve essere respinto. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I Civ., 17 luglio 1991, n. 7960 Pres. Falcone -Rel. Maltese -P. M. Amirante (concl. diff.). Amministrazione Nazionale Autonoma Strade {avv. Stato Cosentino) c. S.p.A. Farsura Costruzioni (avv. Cochetti). Obbligazioni (in genere) Adempimento Imputazione del pagamento al capitale Consenso del creditore Interessi maturati per periodo inferiore al semestre Non producono interessi. Per il congiunto disposto degli artt. 1194 e 1283 cod. civ., ove il cre ditore consenta che il pagamento sia imputato al capitale, gli interessi gi maturati per un periodo inferiore al semestre non sono produttivi a suo favore di ulteriori interessi (1). Con l'unico mezzo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1193, 1194, 1283 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p. Sostiene che il credito di interessi ha una particolare causa ed una particolare disciplina -quanto alla prescrizione e all'adempimento e questa non cessa di applicarsi perch il credito di interessl'economia e del lavoro. L'art. 85 ritiene incompatibili con il mercato comune gli accordi tra imprese diretti a fissare i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione e l'art. 86 vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o pi imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo, ma nessuna delle due norme restringe il potere d'intervento degli Stati sulla propria economia n impedisce che questi, nell'esercizio di quel potere, tengano conto degli accordi che non superino i limiti di tolleranza fissati dal Trattato. Una opinione diversa condurrebbe a ritenere che il Trattato abbia voluto sostituire totalmente la propria disciplina economica a quella dei singoli Stati (il che non si conciHerebbe con la tecnica adottata d'impo sizione di limiti e divieti determinati) e che si sia ispirato non gi ad una tendenziale pr_eferenza per una economia di mercato, ma al pi assoluto liberismo, il che non si spiegherebbe, per il fatto che alla CEE hanno dato vita Stati ad economia per lo pi mista, senza un abbandono esplicito o implicito della loro impostazione ecoriomico-sociale. PARm I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISUIZIONE E APPALTI Se, dunque, il Trattato attribuisce agli Stati membri rilevanti poteri d'intervento sulla loro economia e nulla dice circa le modalit di esercizio di tali poteri, limitandosi a tracciare i confini all'interno dei quali essi possono essere esercitati, vuol dire che consente tale esercizio agli Stati membri con le modalit proprie dei rispettivi ordinamenti e, quindi, in materia di prezzi, secondo il modo di operare dei relativi provvedimenti sul diritto d'impresa che, per il nostro ordinamento, si esplica non ab extra, come fattispecie di affievolimento, ma dall'interno, come limite connaturale al diritto d'impresa, con la configurabilit, di fronte al potere di fissazione dei prezzi massimi, di un interesse legittimo in capo all'imprenditore. Inoltre, essendovi il potere, ed operando dall'interno del diritto d'impresa nel senso precisato dalla sentenza n. 5030/82, da un lato, l'illegittimo esercizio di esso (anche con riguardo al diritto comunitario), che determina l'annullamento dell'atto, non pu che lasciare la posizione soggettiva nella sua originaria configurazione d'interesse legittimo; dall'altro, lo stabilire se l'imposizione di prezzi massimi sia una misura d'effetto equivalente secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia; se tale imposizione avvenga ad un livello tale da ostacolare l'importazione del similare prodotto straniero ed abbia contenuto discriminatorio o protezionistico, secondo la direttiva in materia di prezzi del 22 dicembre 1969, ovvero ostacoli gli scambi intracomunitari; se le misure di sostegno, adottate dallo Stato italiano per compensare le imprese della perdita di utili determinata dalla fissazione di prezzi massimi di vendita, incidano sugli scambi fra Stati membri, costituisce il merito della controversia che il giudice fornito di giurisdizione deve esaminare in concreto e che non interferisce coo il problema di giurisdizione. 4. Resta da esaminare la questione, prospettata con l'ultimo motivo, della risarcibilit della lesione degl'interessi legittimi. La giurisprudenza dellle Sezioni unite ispirata ail principio secondo cui l'ingiustizia del danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043 e.e. da intendersi nella duplice accezione di danno prodotto non jure (e cio in assenza di cause giustificative del fatto dannoso) e contra jus (in quanto tale fatto incida su una posizione soggettiva attiva tutelata come diritto soggettivo perfetto). Tra questi ultimi sono da comprendere anche i diritti affievoliti nel caso in cui l'atto amministrativo che li abbia degradati venga annullato dal giudice amministrativo, mentre leve escludersi la risarcibilit degl'interessi legittimi, i quali ricevono tutela esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo attraverso la rimozione dell'atto lesivo, com' stato ribadito nella sentenza 3 luglio 1989, n. 3183. Nella pi volte citata sentenza n. 5030 del 1982, talune critiche a tale indirizzo giurisprudenziale, formulate in dottrina, hanno .ricevuto puntuale confutazione, che in questa sede sufficiente richiamare, 250 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Nella stessa sentenza si anche affermato che la disciplina che esclude la risarcibilit della lesione degl'interessi legittimi conforme al dettato costituzionale {artt. 3, 24 e 113), attesa la profonda differenza di struttura e funzione che sussiste tra le due situazioni soggettive, per modo che non solo la loro diversa disciplina giuridica non urta contro alcun precetto costituzionale, ma questa diversit imposta dalla esigenza logico-giuridica di non risolvere, in definitiva, gli interessi legittimi in diritti soggettivi alla legittimit dell'azione amministrativa. 5. La sentenza impugnata, che appare anche logicamente e adeguatamente motivata, si uniformata ai principi suddetti e si sottrae per ci alle censure proposte nel ricorso. Ci implica il rigetto del ricorso medesimo, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. Civ., 10 febbraio 1992, n. 1458 -Pres. Brancaccio -Rel. Sensale -P. M. Caristo (conf.). Ministero della Difesa (avv. Stato Favara) c. COMIND (avv. Aula). I Arbitrato -Obbligatorio e facoltativo -Concorde volont delle parti Arbitrato previsto da norma regolamentare -Illegittimit -Possibilit I di deroga -Irrilevanza. ~ I ~ Affinch la previsione di devoluzione della controversia al giudizio arbitrale sia legittima. occorre che essa scaturisca dalla concorde volont delle parti, e non da norma regolamentare; in tale ultimo caso la previsione risulta illegittima e suscettibile di disapplicazione, a nulla rilevando la previsione di possibili patti in deroga (1). I Con il primo motivo, il Ministero deduce il difetto di competenza qel collegio arbitrale e denunzia la violazione e falsa applicazione della sentenza della Corte Costituzionale 14 luglio 1977 n. 127 e delle disposizioni costituzionali in essa menzionate, nonch degli artt. 806 e segg. c.p.c., degli artt. 55, 57, ultimo comma e 61, ultimo comma, del capitolato (1) La pronunzia che si pubblica risolve un contrasto giurisprudenziale in una materia particolarmente delicata quale quella degli arbitrati cd. obbligatori . Come noto, a seguito dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale (12 febbraio 1963, n. 2; 6 giugno 1968, n. 62) si pu oggi affrmare che la legittimit della devoluzione de1la controversia agli arbitri si pu fondare unicamente sulla volont delle parti; da ci consegue la potenziale illegittimit costituzionale dell'arbitrato obbligatorio previsto c:la norma di legge, e la possibifo disapplicazione delle norme di rango regolamentare. Sorge per il problema di individuare la effettiva natura dell'arbitrato (obbligatorio ovvero facoltativo) laddove un capitolato preveda la inserziorie di patti difformi, e, in difetto di infro PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 251 generale d'oneri approvato con d.m. 20 ottobre 1938, in relazione all'articolo 360, nn. 2 e 3 c.p.c. Secondo il ricorrente, potrebbe attribuirsi natura pattizia soltanto alle clausole contrattuali difformi da quelle contenute nei capitolati, mentre quelle non degorate conserverebbero il loro pieno valore regolamentare, e quindi cogente, in contrasto con quanto affermato dalla Corte Cost. con la citata sentenza n. 127 del 1977, secondo cui soltanto il contratto e non una volont autoritativa pu costituire la fonte dell'arbitrato, potendo gli atti autoritativi tutt'al pi predisporre e non disporre gli arbitrati tra le parti e cio preparare il possibile contenuto di future clausole compromissorie, fermo restando che queste ultime, in quanto costituenti negozio giuridico distinto ed autonomo e non patto accessorio del contratto, non potrebbero che essere formulate in modo esplicito. Ci tanto pi deve ritenersi, ad avviso del Ministero, in quanto, come nel caso del D. M. in esame, sia prevista anche la non impugnabilit del lodo, senza contare, inoltre, che l'art. 57 del capitolato esclude comunque dalla competenza del Collegio Arbitrale le contestazioni relative al rifiuto dei materiali presentati al collaudo e quelle relative alle condizioni tecniche delle forniture, tra le quali rientrerebbe appunto la controversia in esame: obiezione, questa, che il Collegio Arbitrale aveva ritenuto di superare affermando il contrasto di detta disposizione con l'art. 113 Cost., senza porsi il problema che l'esclusione della competenza arbitrale potesse dar luogo a quella del giudice ordinario. duzione degli stessi, se la fonte dell'obbligatoriet sia da ricercare nella volont delle parti o nella norma. La Corte di Cassazione ha oscillato tra le due tesi, ritenendo ora suscet tibile di disapplicazione la norma che prevedeva l'arbitrato in quanto fonte eteronoma rispetto alla volont delle parti (Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209, con ampia nota redazionale; Cass., 14 maggio 1981, n. 3167, in quest. Rassegna, 1981, I, 421, e in Giustizia civile, 1981, I, 2635, con nota di CARBONE, entrambe sulle Condizioni Generali d'appalto del Genio Mi litare; Cass., 13 marzo 1982, n. 1638, in questa Rassegna, 1982, I, 843), ora, invece, ritenendo sufficiente a fondare l'arbitrato sulla volont delle parti la presenza della possibilit di modificare pattiziamente le disposizioni del capitolato (Cass., 27 maggio 1981, n. 3474, in questa Rassegna, 1981, I, 597, in tema di Capitolato d'oneri per la fornitura di materiali occorrenti all'Amministrazione aeronautica). La sentenza in esame sembra aver concluso il cammino percorso dalla giurisprudenza per riportare l'arbitrato in materia di opere pubbliche nell'ambito dell'autonomia negoziale. Il divieto di arbitrato obbligatorio sancito da Corte Cost. 14 luglio 1977 n. 127 (in Giur. it. 1978, I, 1809 con nota di ScozzAFAVA e in Giur. cast. 1977, 1143 con nota di ANDRIOLI) e confermato recentemente da Corte Cast. 27 dicembre 1991 n. 488 (in Rass. arbitrato, 1992, 247, con nota di REccHIA, Disponibilit dell'azione in senso negativo ed incostituzionalit dell'arbitrato obbligatorio) era stato infatti eluso da alcune pronunce in cui si era manifestata la tendenza a conservare arbitrati sostanzialmente obbligatori qualificandoli facoltativi con argomentazioni formalistiche (come ad es. la. citata Cass. 27 maggio 1981, n. 3474 in Foro it. 1982, I, 199 con osservazioni .di C. M. 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con il secondo motivo, il Ministero denunzia la violazione e falsa applicazione della citata sentenza della Corte Costituzionale e delle disposizioni costituzionali in essa menzionate, dell'art. 1671 e.e., degli artt. 8, secondo comma, e 61, ultimo comma, del Cap. Gen. approvato con D.M. 20 ottobre 1938, degli artt. 1218 e segg. e.e. e dell'art. 829 c.p.c., il vizio di omessa motivazione su punti decisivi, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Questo motivo viene espressamente proposto solo in via subordinata, atteso il dichiarato carattere assorbente del primo, per lamentare il mancato esame, da parte della Corte d'Appello, delle censure relative alla rronea commisurazione e liquidazione dell'indennizzo ed alla erronea configurazione come risarcitorie delle somme liquidate e alla qualificazione delle stesse come debito di valore, nonostante l'affermazione dl legittimo esercizio del potere del Ministero di recedere dal contratto. Il ricorso fondato. incontroverso fra le parti che, come risulta accertato anche nella sentenza impugnata, al contratto di fornitura di serbatoi per combustibili, intercorso tra l'Amministrazione militare (ORMEC, ora STAVECOStabilimento veicoli da combattimento) e la s.p.a. COMIND, fosse applicabile il d.m. 20 ottobre 1938, contenente, all'art. 55, una clausola compromissoria con previsione di arbitrato per la decisione delle controversie I ~ fra le parti, e, all'art. 61, comma 3, una clausola di non impugnabilit del fodo, salvo, ad avviso della sentenza impugnata, che per la dedu- BARONE e da ultimo Corte App. Roma 2 aprile 1990, in Riv. arbitrato, 1991, 102 con nota di SELVAGGI). Le Sezioni Unite respingono tale tendenza e dopo aver affermato che la i concorde volont delle parti di escludere l'arbitrato non lo rende affatto facoltativo -perch in tal modo si rimette alla volont di una sola parte il potere di :rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altra -giungono alla conclusione che l'arbitrato veramente facoltativo solo quando sia consentito anche ad una sola parte di escluderlo, come nella previsione del citato art. 47 d.P.R. 1063/62 prima del 1981 . l Tale riferimento al vecchio testo dell'art. 47 del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici come esempio II di arbitrato veramente facoltativo -poich consentiva anche ad una sola parte di optare per il giudizio ordinario -equivale evidentemente ad affermare che il testo vigente dell'art. 47 (introdotto dall'art. 16 legge 10 dicembre 1981 n. 741) prevede invece un arbitrato obbbligatorio camuffato (in tal senso CLARIZIA, Legge 10 dicembre 1981 n. 741, in Nuove leggi civ. comm. 1983, 1019 ss . e SANDULLI, Ii Prime considerazioni sulla legge n. 741 del 1981, in Riv .giur. edil. 1982, II, 285). La sentenza, pertanto -pur riguardando gli artt. 55 e 61 del capitolato d'oneri per le provviste, i lavori e le vendite per il servizio del materiale automotociclistico dell'amministrazione militare approvato con d. m. 20 otttobre I 1983 -contiene una affermazione di principio che coinvolge direttamente ed espressamente la disciplina dell'arbitrato prevista dal capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche e che difficilmente potr ssere contraddetta in l futuro .stante l'esauriente e particolareggiata motivazione che la sorregge. PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI zione di motivi di nullit concernenti gli errores in procedendo del giudizio arbitrale. del pari certo che, in base all'art. 1 del capitolato, qualora nelle condizioni speciali stabilite in contratto (comprese quelle sopra menzionate) siano inseriti patti difformi da quelli dei capitolati generali d'oneri, le parti contraenti saranno tenute all'osservanza dei patti stessi, fermi restando pel rimanente i capitolati generali. noto che, in tema di arbitrato, la Corte costituzionale si pi volte pronunziata. Con la sentenza 12 febbraio 1963, n. 2, la Corte dichiar legittimo -in relazione all'art. 102 Cost., cui conferiva una funzione garantista dell'esercizio del potere attribuito al privato dal comma 1 dell'art. 24, Cost. -l'arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile, osservando che il principio di statualit della giurisdizione non implica che sia vietato ad ogni soggetto giuridico di svolgere la propria autonomia per la soluzione di controversie di suo interesse e di ricorrere ad un mezzo, come quello dell'arbitrato, che legittimato da un regolamento del diritto di azione, ma avvertendo, nel contempo, che un regolamento del genere valido nel limite in cui su questo diritto (di azione) la volont singola operi efficacemente. Ribadito, con sentenza 6 giugno 1968, n. 62, che un problema di compatibilit con l'art. 102 Cost. si pone per i soli arbitrati necessari, la Corte costituzionale, in materia di obbligatoria devoluzione al collegio arbitrale delle controversie tra datore di lavoro e dipendente-inventore ex art. 25, 1 comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, ha infine affermato (sent. n. 127 del 14 luglio 1977) che tale norma illegittima nella parte in cui non riconosce la facolt dell'inventore e del datore di lavoro di adire il giudice ordinario. Ha osservato la Corte che, per il congiunto disposto degli artt. 24, comma 1, Cost. (diritto di azione in giudizio e correlativo esercizio, costituzionalmente garantiti) e 102, comma 1, Cost. (riserva della funzione giurisdizonale ai giudici ordinari, salve le eccezioni di cui all'articolo seguente), il fondamento di qualsiasi arbitrato da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, perch solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, comma 1, Cost.) pu derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., s che la fonte dell'arbitrato non pu pi ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, pi generalmente, in una volont autoritativa; ed il principio fissato nell'art. 806, comma 1, (prima parte), c.p.c. (le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte... ) assume il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento. Nel richiamare tali pronunzie, queste Sezioni unite hanno gi avuto modo di affermare che possono non ritenersi conformi al dettato costitu zionale solo gli arbitrati resi obbligatori o necessari dalla legge e non anche quelli obbligatori per volont delle parti, le quali, nell'esercizio dell'auto 254 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nomia negoziale, ben possono anche escludere l'impugnabilit del lodo per errores in judicando (sent. 24 febbraio 1981, n. 1112). I principi che si traggono dai ripetuti interventi della Corte costituzionale possono compendiarsi nell'affermazione che l'arbitrato legittimo solo se la sua fonte sia la (concorde) volont delle parti. Conseguentemente, nella ipotesi di arbitrato obbligatorio, se la fonte della obbligatoriet una norma di legge, occorre rimettere la questione -non manifestamente infondata -alla Corte costituzionale; se come nel caso concreto, una norma regolamentare, questa deve disapplicarsi. Si tratta, dunque, di stabilire: a) se sia obbligatorio o facoltativo un capitolato che prescriva in via generale l'arbitrato, ma consenta l'inserzione nel contratto di patti difformi, fermi restando per le rimanenti parti i capitolati generali; b) se, nel silenzio della parti (le quali, come nel caso in esame, non abbiano inserito nel contratto patti difformi), il capitolato operi come fonte esterna, non contrattualizzata, oppure per libera scelta delle parti sufficiente ad assumere nel contratto, quale fonte della loro concorde volont, l'obbligatoriet dell'arbitrato; in particolare, quanto ad a), se, per considerare facoltativo l'arbitrato, basta che sia consentita un'astratta possibilit di deroga alla norma che lo prescrive (su cui occorre che entrambe le parti concordino), oppure necessario che sia consentito anche ad una sola parte di rifiutare l'arbitrato, com'era, ad esempio, nella previsione dell'art. 47 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, il quale, nel testo non ancora modificato dall'art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (secondo cui, in casi di trattativa privata, la competenza arbitrale pu essere esclusa solo con apposita clausola inserita nel contratto), stabiliva che la parte attrice potesse escludere la competenza arbitrale, proponendo la domanda davanti al giudice ordinario, e che la parte convenuta potesse farlo, a sua volta, notificando tale determinazione all'altra parte. Ai quesiti, sopra formulati, non sono state fornite risposte concordi da alcune decisioni rese da questa Corte in sezione semplice su fattispecie omologhe a quella oggetto della presente controversia. La sentenza n. 628 del 28 gennaio 1980, dopo aver ritenuto che i princpi affermati dalla Corte costituzionale hanno una forza espansiva al di l delle questioni di volta in volta decise e dopo avere rilevato che la Corte costituzionale ha indicato, come esempio di una normativa rispettosa della Costituzione, il capitolato generale dei lavori pubblici approvato con il citato d.P.R. n. 1063/62 (che istituisce un arbitrato facoltativo, dato il particolare meccanismo, ivi previsto, che consente sia all'attore che al convenuto di escludere il ricorso all'arbitrato), ha disapplicato la disposizione impositiva dell'arbitrato obbligatorio o necessario, in quanto proveniente da fonte eteronoma rispetto alla volont delle parti, quantunque tale disposizione fosse stata richiamata nel contratto a titolo meramente ricognitivo. Sulla stessa linea si sono poste le sentenze n. 3167 del 14 mag PARTE I, SEZ. III, GIURISPlWDBNZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI gio 198-1 (nella quai.le, recepiti i princ):pi affermati nella precedente decisione, si osservato che l'effetto della improponibilit della impugnazione del lodo basata sulla violazione delle regole di diritto; previsto in apposita clausola .contenuta del capitolato generaJ.e, pu derivare, invece, solo dalla inequivoca conforme volont delle parti, non potendosi ammettere che le po~izioni soggettiv, che nel diritto trovano il loro fondamento, rimangano prive.. di tutela avanti i giudici presso i quali la Costituzione ha inteso concentrare la funzione giurisdizionale) e la sentenza 13 marzo 1982, n. 1638, nella qua:le stata ribadita l'Nlegittimit di deroghe o rinunzie preventive alla. facolt di optare per la competenza del giudice ordinario in luogo di quella arbitrale. Un orientamento sostanzialmente diverso espresso nella sentenza n.. 3474 del 27 maggio 1981, con riguardo all'art. 75 del capitolato d'oneri per ola fornitura dei materiali speciali occorrenti all'Amministrazione dell'aeronautica (che deferisce ad un collegio arbitrale tutte le contestazioni sulla inter:pretazione ed esecuzione dei singoli contratti) ed all'art. 2 dello stesso capitolato, secondo il quale il capitolato d'oneri, in quanto non sia modificato espressamente dai contraenti, ha efficacia normativa fra le parti. Con tale pronunzia si ritenuto che nel caso esaminato ricorresse non un arbitrato obbligatorio o necesario, avente fonte autoritativa eteronoma rispetto alla volont delle parti, ma un arbitrato facoltativo, avente la sua fonte nella libera volont delle parti. Le Sezioni unite non condividono questo secondo orientamento e ritengono di dover risolvere l'accennato contrasto, ripudiando tale indirizzo alla stregua delle seguenti considerazioni. Come si rilevato, la Corte costituzionale ha affermato che l'arbitrato legittimo solo se ha la sua fonte nella concorde volont delle parti (nel senso che, affinch non possa farsi ricorso all'arbitrato, basta che una sola di essa voglia il giudizio ordinario). Ci vuol dire che l'arbitrato veramente facoltativo solo quando sia consentito anche ad una sola parte di escluderlo, come nella previsione del citato art. 47 della legge 1063/62 prima del 1981; non anche quando; ai fini di tale esclusione, richiesta la volont di entrambi, nel qual caso si finisce per rimettere alla volont di una sola parte di rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altra. In altri termini, la concorde volont delle parti occorre per derogare al giudizio ordinario e non gi, all'opposto, per escludere il giudizio arbitrale; e non vero che la mancanza della concorde volont di escludere l'arbitrato rende quest'ultimo facoltativo e quindi legittimo. Una norma che prescriva in via di principio l'arbitrato, salvi patti difformi inseriti nel contratto, solo apparentemente introduce una ipotesi di arbitrato facoltativo nel senso indicato dalla Corte costituzionale, se non consente anche ad una sola delle parti di optare per il giudizio ordinario. Basta, infatti, che l'altra -da sola .(il che, a giudizio della Corte 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costituzionale, non consentito) -voglia l'arbitrato per vanificarne l'apparente facoltativit. Queste conclusioni -che consentono di rispondere al primo dei quesiti formulati nel senso che deve ritenersi pur sempre obbligatorio, e non facoltativo, un capitolato che prescriva in via generale l'arbitrato, ma consenta l'inserzione nel contratto di patti difformi, fermi restando per le rimanenti parti i capitolati generali -incidono anche sulla soluzione del secondo quesito. Affinch la norma che prescrive l'arbitrato operi non come fonte eteronoma di esso, ma come .fonte negoziale, non basta che le parti tacciano nel contratto, poich il silenzio rende operante la fonte esterna come tale; ma occorre che la richiamino -e non con un significato meramente ricognitivo di quella fonte, che resta in taI caso esterna -e dichiarino di farla propria come oggetto di concorde volont negoziale. La mancanza del patto difforme non si traduce nella presenza di un patto conforme alla norma di arbitrato, necessario a far ritenere recepita la norma stessa nell'ambito negoziale, potendo anche significare (soltanto) che sulla scelta dell'arbitrato non si formato l'accordo e che quindi non vi stato ai1cun patto, s che l'arbitrato risulta e rimane imposto da una fonte esterna. Quanto si osservato conduce alla conclusione che, avendo inteso la norma costituzionale concentrare, come regola, la funzione giurisdizionale avanti ai giudici ordinari, ma essendo tuttavia consentito alle parti, nell'esercizio dell'autonomia che l'ordinamento loro attribuisce, derogare a quella regola, scegliendo il giudizio arbitrale come uno dei possibili modi di provvedere alla tutela dei propri interessi e di disporre, anche in senso negativo, del diritto sancito dall'art. 24, comma 1, Cost., ne discende che, affinch l'arbitrato possa considerarsi facoltativo, e quindi legittimo, occorre che oggetto del patto sia la deroga al giudizio ordinario, perch solo in tal caso rimane consacrata la concorde volont delle parti che pu costituire la fonte negoziale dell'arbitrato, essendo evidente che, se manca tale concorde volont, il patto non pu venire ad esistenza e rimane irrilevante, ai fini della deroga al giudizio arbitrale. Analogo significato, con un capovolgimento logico dei rapporti fra giudizio ordinario e giudizio arbitrarle, non potrebbe, invece, attribuirsi ad un patto che, contro la previsione del giudizio arbitrale, contenuta nel capitolato come regola contrastante ed incompatibile con quella, opposta, sancita in via di principio dalla norma costituzionale, manifestasse la volont delle parti di sottrarsi al giudizio arbitrale. In questa ipotesi, infatti, basta che una sola deMe parti non consenta l'opzione per il giudizio ordinario perch la norma regolamentare esplichi, autoritativamente per l'altra, la sua efficacia di fonte eteronoma dell'arbitrato, vanificando il principio secondo cui soltanto la concorde volont delle parti pu costituire la fonte costituzionalmente legittima. I I I tmmr'-I PARTB I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 25 7 In conseguenza, la norma regolamentare contenuta del d.m. 20 ottobre 1938, che prevede l'arbitrato per fa risoluzione delle controversie fra le parti derivanti dai contratti cui il capitolato si riferisce e sancisce la non impugnabilit del lodo, non perde la sua natura di fonte di un arbitrato obbligatorio o necessario, anche se consente alle parti d'inserire nel contratto patti difformi da quelli dei capitolati generali d'oneri. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 febbraio 1992, n. 1993 -Pres. Brancaccio -Red. Amirante -P. M. Caristo (conci. conf.). Camera dei Deputati (avv. Stato Sclafani) c. Polito (avv. D'Urso). Costituzione della Repubblica -Camera dei deputati -Autodichia -Controversia riguardante la procedura concorsuale per l'assunzione -Difetto di giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo. Sono sottratte alla giurisdizione sia del giudice ordinario che del comune giudice amministrativo, perch rientrano nel potere di autodichia della Camera dei Deputati, non solo le controversie con i dipendenti ma anche quelle con i terzi riguardanti le procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli della Camera(l). (omissis) Il Collegio rileva la fondatezza della tesi esposta in ricorso, secondo la quale, per l'autodichia, di cui la Camera dei Deputati dotata, il giudice ordinario, nonch il comune giudice amministrativo (complesso TAR-Consiglio di Stato) sono carenti di giurisdizione. Infatti, in una controversia, avente ad oggetto pretese avanzate da un dipendente della Camera dei Deputati, queste sezioni unite affermarono il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, in quanto la giurisdizione, era attribuita agli organi di (1) Prima d'ora la Corte di Cassazione si era pronunciata sull'autodichia parlamentare in controversie con i dipendenti delle Camere. Quella che si annota la prima sentenza in cui l'argomento viene affrontato con riguardo ad una controversia sorta con un candidato ad un concorso per l'assunzione nei ruoli della Camera dei Deputati, cio con un terzo che aspira di diventare dipendente parlamentare. Inoltre si tratta della prima pronuncia dopo l'emanazione dei regolamenti processuali approvati dal Consiglio di Presidenza del Senato il 10 gennaio 1986 (ma il testo coordinato stato emanato con decreto del Presidente del Senato del 1 febbraio 1988, n. 6314) e dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati il 28 aprile 1988 (reso esecutivo con decreto del Presidente della Camera 16 maggio 1988, n. 420 e modificato con decreto 19 novembre 1990, n. 1754) con i quali si disciplina compiutamente la procedura sulla falsariga del processo amministrativo con un doppio grado di giudizio. In particolare l'art. 1 del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera dispone che la stessa facolt di ricorso al giudice dome 258 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quest'ultima, ai sensi dell'art. 12, n. 3 del regolamento della Camera dei Deputati del 18 febbraio 1981 e successive modificazioni, il quale, tra l'altro, disponeva che l'Uffico di presidenza, con provvedimenti resi esecutivi mediante decreti del Presidente, decideva in via definitiva i ricorsi II attinenti allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera (v. Sez. Un., 23 aprile 1986, n. 2861, nonch, riguardo ai dipendenti del Senato, per i quali la questione si posta in termini analoghi, Sez. Un., 10 aprile 1986, n. 2546; Sez. Un., 18 novembre 1988, n. 6241). Tutto ci, dopo che la Corte Costituzionale, nel dichiarare l'inammissibiUt del sindacato del giudice delle leggi sugli atti regolamentari dei due rami del Parlamento, aveva in motivazJione affermato che alle Camere spettava una indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui doveva ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, 1 comma della Costituzione. Ed aveva proseguito affermando che le guarentigie non andavano considerate singolarmente, bens nel loro insieme, menzionando quindi l'immunit personale dei membri del parlamento e quella locale delle sedi (v. Corte Costituzionale n. 154 del 23 maggio 1985). I & stico, prevista per i dipendenti in servizio o in quiescenza, ammessa a favore dei terzi interessati dalle decisioni degli organi dell'Amministrazione concernenti ~ procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli della Camera dei Deputati . I Tale disposizione non altro che la traduzione, sul piano della legittimazione ~ ad agire, di un principio gi espresso dall'art. 12, 3 comma, del Regolamento della Camera il quale, nel delineare i confini dell'autodichia, indica i ricorsi I che attengono allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera. Secondo le Sezioni Unite il fatto che quest'ultima norma, nella sua letterale formulazione, riguardi i rapporti di lavoro gi costituiti del tutto ininfluente I perch la ratio della disposizione di sottrarre il Parlamento ad ogni ingerenza di altri poteri stante la sua insindacabile autonomia normativa prevista dal I l'art. 64, 1 comma, Cost. In verit gi discutibile che la lettera dell'art. 12, 3 comma, del Regolamento si riferisca soltanto alle vicende di rapporti d'impiego gi instaurati perch l'uso del termine stato in aggiunta a carriera giuridica ed economica non pu che essere interpretato con riferimento anche alle vicende che attengono alla nascita dello status di dipendente parlamentare quindi alla scelta del personale e all'instaurazione del rapporto di impiego. ! Comunque evidente che l'indipendenza delle Camere ha i suoi punti di emergenza non solo nelle vicende del rapporto di impiego successive alla sua I instaurazione ma anche e soprattutto nel procedimento di provvista e di selezione del personale il quale a maggior ragione deve essere sottratto ad ogni sindacato esterno. I Ma ci sono anche ragioni di ordine sistematico che militano a favore ! della interpretazione estensiva dell'art. 12 cit. compiuta dalle Sezioni Unite. Infatti la riduzione dell'autodichia alle sole controversie con i dipendenti in l servizio o in quiescenza porterebbe ad un ingiustificato sdoppiamento della ! l I ! i I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 259 Sulla base di tiali premesse, era gi ininfluente, il fatto che l'art. 12 del regolamento della Camera nella parte sopracitata che qu interessa -(come i precedenti citati) -riguardasse, nella sua letterale formulazione, i rapporti di lavoro gi costituiti. Se, infatti, l'autodichia della Camera concernente le controverSIe con i propri dipendenti, trovava la sua ragione giustificatrice, tale da sottrarre al sindacato del giudice delle leggi la norma che la prevede, nell'esigenza che il Parlamento, quale organo centrale nell'assetto costituzionale dello Stato, fosse sottratto ad ogni ingerenza di altri poteri o organi pubblici, sarebbe stato necessario interpretare la norma regolamentare in questione alla luce di tale ratio . Ed in qest'ordine d'idee, sarebbe stato errato interpretare la norma in senso non estensivo e limitarne il campo di applicazione alle controversie aventi ad oggetto rapporti gi costituiti. Se l'autonomia del Parlamento pu essere lesa qualora a:ltri poteri s'-ingeriscano nei rapporti che intrattiene con i suoi dipendenti, con pari ragione tale lesione pu prodursi qualora si ammetta che organi estranei al Parlamento giudichino sui rapporti in fieri . La determinazione dei crite1i di scel1Ja dei propri dipendenti e le procedure di ammissione sono, infatti, espressione di quella stessa autonomia riconosciuta, come si giurisdizione sul rapporto d'impiego che verrebbe ad essere giudicato dai giudici comuni per tutto ci che attiene alla sua instaurazione e dal giudice domestico per le vicende successive; mentre di regola tutta la giurisdizione sulle controversie comunque attinenti al rapporto di lavoro devoluta allo stesso giudice (TAR o Pretore del lavoro). D'altra parte non v' dubbio che l'interesse alla partecipazione ad un concorso pubblico strettamente connesso con l'interesse alla nomina nei ruoli dell'amministrazione, anzi privo di una sua autonoma rilevanza, per cui non v' alcuna ragione di attribuire le relative controversie ad un giudice diverso da quello c.d. del rapporto. Peraltro opportuno sottolineare che l'art. 12 del regolamento della Camera determina l'ambito dell'autodichia ratione materiae, cio con riferimento a tutti i provvedimenti che in qualunque modo attengono alla nomina e, in generale, al rapporto d'impiego. Ci vuol dire che fa giurisdizione non pu essere ammessa o esclusa a seconda che l'atto impugnato abbia contenuto positivo o negativo quando la sua causa e il suo effetto finale sullo status di dipendente sono gli stessi. Ed proprio questa l'inaccettabile conseguenza della interpretazione restrittiva disattesa nella sentenza in quanto da un lato si dovrebbe negare l'autodichia sul provvedimento di esclusione da un concorso mentre dall'altro fa si dovrebbe ammettere nel caso in cui, a nomina avvenuta, si controverta sull'illegittimit della nomina derivante dall'illegittimit del provvedimento di ammissione al concorso. Tra la dottrina pi recente si segnalano SCOCA, Operazione cosmetica per i giudici parlamentari, in Dir. proc. amm., 1988, p. 491; DI MUCCIO, L'autodichia parlamentare sugli impiegati delle camere, in Dir. e societ, 1990, p. 133. (Francesco Sclafani) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 260 detto, ai due rami del Parlamento sui rapporti costituiti con propri dipendenti. Tutto ci stato reso esplicito con il regolamento per la tutela giu risdizionale dei dipendenti, approvato con decreti del Presidente della Camera dei deputati 16 maggio 1988, n. 420 e 19 novembre 1990, n. 1754. Esso, infatti, oltre a stabilire le competenze ed a regolare le procedure, istituendo un'apposita commissione, definita Commissione giurisdizionale per il personale , ha espressamente stabilito -art. 1, n. 2 -, che la facolt di ricorrere per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi ammessa anche a favore dei terzi interessati alle decisioni degli organi dell'Amministrazione concernenti procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli della Camera dei deputati. Pertanto, deve essere dichiarato i1l difetto di giurisdizione del giudice mdina:rio e del comune giudice amministrativo (TAR-Consiglio di Stato). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I Civ., 11 marzo 1992, n. 2913 -Pres. Mon tanari Visco -Rel. Luccioli -Est. De Musis -P. M. Donnarumma (concl. diff.). Amministrazione delle Finanze (avv. Stato Salvatorelli) c. Donato Filippo ed altri {avv. Mancuso) e Scimone Placido (avv. Biondo). Possesso Usucapione Conferimento di bene immobile in concessione da parte della p.A. nell'errata convinzione della demanialit Costituisce atto dispositivo utile ai fini dell'usucapione. J)eve riconoscersi la possibilit che la p.A. usucapisca il diritto di propriet su un immobile, del quale abbia per oltre un ventennio disposto conferendolo in concessione nell'erroneo presupposto della sua demanialit, poich il regime di concessione costituisce uno dei modi fisiologici di uso e disposizione dei beni pubblici, attuandosi una situazione analoga a quella prevista dall'art. 1140 e.e. di possesso mediato (1). (omissis) 7) Fondati sono, per converso, i motivi secondo del ricorso Scimone e primo del ricorso della Finanza che, per quanto detto, possono congiuntamente esaminarsi. Il capo della sentenza di appello, che detti motivi convergono a censurare, invero quello relativo alla negata usucapibilit, da parte (1) Con la pronunzia di cui qui si pubblica uno stralcio la S.C. riesamina il problema della usucapibilit di immobili da parte della Amministrazione pubblica nella ipotesi in cui il possesso ad usucapionem si esplichi in attivit di disposizione tipicamente pubblicistica (concessione di un bene ritenuto dema niale). La decisione appare di notevole interesse, poich, accogliendo le tesi sostenute dalla Avvocatura dello Stato nel ricorso per cassazione, supera con ampia e coerente motivazione una precedente sentenza (Cass., 15 gennaio 1987, n. 232) PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 261 della P.A., di un immobile,. del quale essa abbia, pur per oltre un ventennio, disposto, conferendolo in concessione, nell'erroneo convincimento della sua natura demaniale. Siffatta conclusione, del. Collegio a quo, si fonda -come gi in narrativa 1riferito -sul duplice presupposto che non sussista, per un verso, nella specie, l'elemento materiale del possesso (utile ad usucapione), non ravvisabile nella semplice attivit amministrativa di concessione in uso del bene; e non ne ricorra, per altro verso, neppure l'elemento soggettivo, manifestando la detta attivit di concessione non la volont di esercitare un diritto di propriet patrimoniale, bens quella di esercitare una pubblica potest su un bene demaniale . Ed entrambe tali linee argomentative effettivamente non resistono alle critiche dei ricorrenti. 7 /1) Non infatti, in primo luogo, esatto che l'attivit amministrativa di concessione in uso a terzi di un bene della P. A. non implichi il possesso del bene medesimo, da parte della concedente; vero essendo, invece, che il regime di concessione costituisce uno dei modi fisiologici, alternativi, di uso (indiretto) e di disposizione dei beni pubblici da parte dell'ente titolare. L'art. 1140, comma 2 e.e., del resto, espressamente ammette il possesso mediato attraverso il detentore; e tale appunto il concessionario nei confronti dell'amministrazione che -come ius receptum a mezzo di lui possiede. 7 /2) N pu condividersi l'altro segmento del sillogismo decisorio del giudice d'appello (che pure trova riscontro in un precedente di questa Corte -sentenza n. 232 del 1987 -dal quale, melius re perpensa, il Collegio ritiene ora di discostarsi) per cui il possesso (ultraventennale), come nella specie esercitato dalla P. A. nelle forme corrispondenti alla (supposta) natura demaniale del bene posseduto, sia, per ci stesso, non utile all'usucapione, perch non assistito dalla volont di comportarsi uti dominus. Il vizio di fondo che inficia tale affermazione quello di configurare la propriet pubblica come qualcosa di diverso, quoad essentiam, dal diritto di propriet (privata). Invero, tale impostazione, bench talvolta sostenuta in giurisprudenza, non appare reggere ad un sereno vaglio critico: unico, infatti, come la cui lo stesso Procuratore Generale aveva fatto richiamo in sede di discussione orale per fondare la richiesta di rigetto del ricorso. La Corte afferma che non possono configurarsi due tipi di propriet, pubblica e privata, bens due categorie giuridiche di beni, aventi regimi peculiari, ma rientranti nello schema del medesimo diritto reale di propriet; coerentemente, pertanto, la S.C. conclude rilevando che l'errore compiuto dalla Amministrazione errore sul regime giuridico del bene, che non incide sul possesso finalizzato alla usucapione. 262 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO dottrina ha rilevato, appare essere il concetto di propriet, bench i rapporti relativi a determinati beni -per le peculiarit loro proprie -possano essere retti da una particolare normativa. sempre, infatti, il codice civile a disciplinare (Libro III, titolo I, capo Il) nella pi ampia categoria dei beni, i beni appartenenti allo Stato, che possono poi essere demaniali o non demaniali. E decisivo appare, in particolare al riguardo, il supporto normativo dell'art. 823 e.e., il quale, in applicazione del principio della giurisdizione unica dell'a.g.o. in tema di diritti mggettivi, consente all'Amministrazione il ricorso alternativo alla potest di autotutela ovvero alla tutela giurisdizionale per quanto concerne i beni demaniali (cfr. Cass. SS. UU. 1976, n. 2592), facultizzandola ad avvalersi dei mezzi oroinari a difesa della propriet e del possesso. La connotazione alternativa pubblico-privato non discrimina, quindi, due categorie concettuali di propriet, ma pi propriamente due categorie giuridiche di beni. Ed significativo che l'individuazione della categoria dei beni pubblici sia operata dalla pi accreditata dottrina in materia non gi in base ad un criterio soggettivo (essendoci beni dello Stato e degli enti pubblici che non sono pubblici; e beni, per converso, dei privati, come quelli di interesse storico, artistico ecc., che tali vanno considerati) sibbene in base ad un criterio oggettivo. Tale criterio propriamente correlato alla peculiarit del regime giuridico, che, con varia modulazione, va dalla inalienabilit ed inusucapibilit dei beni demaniali al vincolo di destinazione (ed alla soggezione a poteri di polizia amministrativa ecc.) dei beni pubblici di appartenenza ai privati. Senza che mai tale pur accentuata specialit di regime (che, si ripete, pu inerire anche a beni di privata appartenenza) possa, per, infrangere lo schema paradigmatico del diritto reale {di propriet) su di essi esercitato. Consegue da ci che l'errata supposizione di demanialit del bene, da parte della P. A., non pu incidere sulla sua volont di gestirlo uti dominus, ma si risolve in un errore sul regime giuridico della cosa posseduta, come tale irrilevante ai fini dell'usucapione. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 marzo 1992, n. 3357 -Pres. Brancaccio -Rel. Volpe -P. M. Amatucci (concl. conf.). Codelli (avv. Stato Nunziata) c. Rossi Antonioli (avv. Paoletti e Mussato). Responsabilit civile -Lesione di interesse legittimo -Risarcimento del danno -Esclusione. Non risarcibile il danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo in quanto la fattispecie dell'illecito civile presuppone la viola PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 263 zione di un diritto soggettivo (caso di un insegnante che ritiene di essere stato danneggiato dal mancato conferimento di una supplenza (1). (omissis) Con il primo motivo, denunciando difetto assoluto di giurisdizione -violazione art. 4 L.A.C. e principi generali in tema di risarcibilit di 1interessi legittimi lesi -violazione art. 28 Cost. e art. 23 T.V. imp. civ., la ricorrente deduce che in forza della legge abolitrice del contenzioso amministrativo (citato art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 AH. E) sono -e debbono rimanere -sottratti alla giurisdizione dei tribunali civili tutti i casi nei quali la pretesa illegittimit compiuta dall'Amministrazione, pur in ipotesi lesiva di interessi di soggetti privati, non si risolve in pregiudizio di situazioni configuranti diritti soggettivi. E nella specie nessun ragionevole dubbio pu sussistere in ordine alla natura di interesse legittimo della posizione soggettiva che si assume lesa dall'atto amministrativo. L'assoluto difetto di giurisdfaione del giudice ordinario va altresi ricollegato -secondo la ricorrente -alla circostanza che i provvedimenti amministrativi di cui si discute non sono stati affatto emanati in una situazione di carenza di potere, ma in pieno, perfetto esercizio del potere demandato all'organo amministrativo, la cui azione era (come doveva essere) ispirata unicamente all'esigenza del migliore soddisfacimento del pubblico interesse. La pretesa, dunque, di risarcimento danni, sul presupposto di un atto amministratvo illegttimo, non potrebbe trovare accoglimento ex artt. 28 Cost. e 23 T.V. imp. civ., azionato in questa sede, richiedendo tali norme la violazione dei diritti dei terzi. (1) Com' noto la dottrina decisamente favorevole ad un ampliamento della portata dell'art. 2043 e.e., tale da ricomprendere nella nozione di danno ingiusto >>, non solo la lesione di un diritto soggettivo, ma anche di altre situazioni giuridiche economicamente risarcibili e considerate rilevanti dall'ordinamento. In tale prospettiva, ai fini di configurare l'illecito civile e la conseguente obbligazione risarcitoria, si pone l'accento sull'esistenza di un pregiudizio cagionato da una condotta contraria al diritto oggettivo piuttosto che -come tradizionalmente argomentato -sulla natura (di diritto soggettivo) della posizione soggettiva lesa. Per una attenta disamina delle situazioni giuridiche protette dall'ordinamento ai fini del risarcimento da atto illecito cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, III ed., E.S.I., 673 e segg. Per un completo inquadramento della questione nel senso appena prospettato cfr. Ar.PA-BESSONE. I fatti illeciti, in tratt. Rescigno, XIV, Torino, 1982, 56 e segg.; FORCHIELLI, Lesione dell'interesse, violazione del diritto, risarcimento, in Riv. dir. civ., 1964, I, 346; pi recentemente cfr. S. TASSONE, Ancora sul risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Giur. it., 1992, I, 1, 303 e segg.; nonch, con riguardo ad una questione pi particolare, A. PRINCIGALLI, nota a Cass., Sez. Un., 367/1992 in Foro it., 1992, 1421. Recependo le affermazioni della dottrina la giurisprudenza ha gi notevolmente esteso l'area del danno risarcibile. Cos avvenuto per il risarcimento 264 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Con il secondo motivo, denunciando violazione artt. 22 e 23 T.U. imp. civili -mancanza e contraddittoliet della motivazione , la ricorrente deduce che erronamente stata ravvisata la sussistenza della colpa grave, non essendovi gli estremi di quella grave negligenza rispetto ai doveri d'ufficio richiesta dalla normativa richiamata. Osserva il Collegio che la presente controversia verte tra privati, avendo la Rossi Antonioli agito contro la Codelli perch ritenuta responsabile, nella sua qualit di preside del liceo scientifico statale di Latisana, di un fatto colposo, dal quale assume di aver ricevuto un danno. Ha contestato, infatti, alla Codelli di aver proceduto, nell'esercizio di attribuzioni proprie dell'ufficio, senza osservare le prescrizioni dettate dall'ordinanza ministeriale per il conferimento delle supplenze, nominando supplente una insegnante che la seguiva in graduatoria. Essendo la domanda intesa a far valere la responsabilit civile della Codelli ai sensi degli artt. 22 e 23 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti :lo statuto degli impiegati civili dello Stato), la controversia non pu non rientrare nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario. E d'altra parte noto che secondo l'attuale, costante giurisprudenza di questa Corte, non neppure prospettabile un dubbio sulla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario allorch la lite verta esclusivamente fra privati. I Va, dunque, disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla ricorrente con il primo motivo. Ci posto, occorre stabilire per se sia configurabile, nel particolare I caso in esame, la lesione di un diritto soggetivo: che questione attinente al merito della causa. del danno derivante da lesione del diritto di credito ad opera di soggetti I diversi dal debitore, che ne abbiano impedito l'adempimento (cfr. Cass., Sez. ~ I! ~ Un., 174/71, in Foro it., 1971, I, 1284; Cass., 2135/72, in Foro it., Rep., 1972, voce Resp. civile, n. 40; Cass., 2489/76, in Foro it., Rep., 1976, voce Resp. civile, n. 77; Cass., 2449/77, in Foro it., Rep., 1977, voce Resp. civile, n. 72; Cass., 9407/87, in Giust. civ., 1988, I, 2053; Cass., Sez. Un., 6132/88, in Foro it., 1989, I, 742); ovvero, ancora, per il risarcimento del danno provocato dalla perdita di chance (Cass., Sez. Un., 6506/85, in Foro it., 1986, I, 383). Altre volte la stessa Corte ha pi espressa mente riconosciuto la risarcibilit dell'interesse legittimo leso dall'esercizio di un potere privato (cos Cass., Sez. Un., 5688/79, in Giur. it., 1980, I, 1, 440 con riferimento al potere imprenditoriale in materia di progressione di carriera dei dipendenti). Diversa la posizione assunta dalla giurisprudenza per quanto riguarda la risarcibilit di situazioni giuridiche differenti dal diritto soggettivo, in particolare degli interessi legittimi, nei rapporti tra privati e P.A. A tale proposito costituisce ius receptum nella giurisprudenza della Cassa zione, l'affermazione secondo la quale perch sorga il diritto al risarcimento del danno nei confronti della P .A. occorre che l'atto amministrativo sia non solo illegittimo ma anche illecito ossia lesivo di un bene rispetto al quale il singolo sia in una rel!lZione che l'ordinamento tuteli immediatamente (diritto soggettivo) PARTB I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONB E APPALTI 265 La fattispecie dell'illecito civile presuppone, infatti, la violazione di tale posizione, non essendo risarcibile, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il danno per lesione di interessi legittimi (S. U., sent; .lluglio 1989, n. 3183). E l'art.. 23 del citato testo unico, specificando quanto del testo gi scritto nell'art. 28 Cost.,. chiarisce che il danno ingiusto .risarcibile dall'impiegato personalmente, a norma del precedente art. 221 quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave , Orbene, la pretesa di risarcimento, fatta valere direttamente nei confronti della preside ai sensi delle ricordate norme, si ricollega non gi (come prospettato dall'attrice) ad una posizione di diritto soggettivo, bens all'interesse. legittimo che i docenti inseriti nell'apposita graduatoria hanno al corretto esercizio dell'attivit amministrativa che si concreta nel conferimento delle supplenze. Invero, le norme che disciplinano i pubblici concorsi o le modalit di. conferimento di incarichi nella pubblica amministrazione sono dettate in modo precipuo nell'interesse pubblico, affinch il posto sia ricoperto da chi al:lbia. i requisiti previsti; sono,. cio, I1orm. di 1:1.zione,. stabilite per l'eserci;z;io defpotre demandato all'organo amministrativo (cfr. S. U., sent. 24 ottobre 1991, n. 11325; nonch le sent. & agosto 1989, n. 3649 e 7 novembre 1978, n. 5066). Ne consegue che la condotta ascritta alla convenuta si sarebbe comunque inserita -alterandolo -in un rapporto di interesse legittimo fra l'attrice e l'ammirJistrazione pubblica e quindi, quand'anche fosse stata irregolare, non avrebbe mai potuto ledere un diritto della Rossi Antonioli. (cos, testualmente, Cass., Sez .. Un., 1742/71, in Giur. it., 1972, I, l, 1505; nello stesso sensoretato nel senso che il rapporto dei dipendenti degrli enti Iirioi; bench regolato dalla contrattazione colilettiva e da norme privatistiche, sia pur sempre .di pubblico impiego, sarebbe in contrasto con gl[ arbt. 3, 23 e 113 detla Costituzione. Secondo iii ricorrent d cliperidenti dgli enti pubblici economici ed i dipendenti di enti ilirioi godrebbero di una diversa tutela giurlsdizionalle, pur essendo sostanzialmente i loro rapporti di lavoro regolati da norme analoghe. I dipendenti degli enti lirici da un lato non fruirebbero delle garallZJe proprie del rapporto di pubbJico impiego, da1Jl'altro, soggiunge il ricorrente, dowebbero soggiacere ai principi dell'impugnazione degli atti ammimstrart:ivii. Le censure, concernenti entrambe la questione di giurisdizione, la sola dedudbiJle in questa sede, devono essere trattate congiuntamente e sono infondate. necessario premettere ail.cuni principi, consolidati nella giurisprudenza di quste sezioni unite: a) il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di ente pubblico non economico ha natura di pubblico impiego; b) tale rapporto conDigurabile anche in difetto di atto formale di nomin; qualora, esserido subordinato, risulti l'inserzione del lavoratore nella struttura dell'ente; e) non osta alla configurazione come pubblico del rapporto il fatto che esso sia disdplin~to nella sostanza da norme contrattuali -(v. tra le molte, S. U. 18 dicembre 1990, n. 12010) -;' d) la natura privata di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di ente non economico, anche agli effetti processuali e della individuazione della giurisdizione competente, pu essere ritenuta soltanto in presenza di una norma di legge che ne stabilisca la natura privata a tutti gli effetti. (v. S. U. 21 aprile 1982, n. 2647). 276 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Siffatti principi manifestamente non sono in contrasto con le indicate norme costituzionali, dal momento che rientra nell'esercizio ragionevole delia discrezionaliit legislativa stabilire che, quando il datore ha qualit di ente non economico, i mpporti di lavoro dei suoi dipendenti siano di pubblico impiego, anche se regol.ati da una disciplina di natura privata di origine con1lrattuaJe. (v. S. U. 20 gennaio 1989, n. 300; 5 febbraio 1983, n. 950; 5 agosto 1975, n. 2979; 21 agosto 1973, n. 2373). Si deve, inoltre, osservare che 1a giurisdizione esclusiva, per quanto concerne 1a tutela dei dirtti soggettivi, non verte sull'impugnazione di atti, ma sul rapporto, sicch nessuna sostanziale diminuzione di tutela dci lavoratori configurabile per essere soggetti alla giurisidizione del giudice amministrativo anzich a quella del giudice ordinario. Tutto oi premesso, 111 Cohlegio rileva che in controversie analoghe alla presente si cos statuito: La natura di enti pubblici non economici degli enti autonomi lirid, ne1la disciplina di cui alla 1. 14 agosto 1967, n. 800, con '1a conseguenziaile giurisdizione esdusiva del giudice amministrativo su1le controversie inerenti al rapporto di lavoro con il personale, deve essere riconosciuta anche dopo l'entrata in vigore del d.l. 11 settembre 1987, n. 374, (convertito con modificazioni con la 1. 29 ottobre 1987, n. 450), il quale, pur rendendo applicablli a detto rapporto disposizioni r1guardan1li i dipendenti degli enti pubblici economici (art. 3), non incid s. detta quarlit del datore di lavoro. (v., tra le pi recenti, S. U. 11 gennaio 1990, n. 65). Per le considerazioni esposte, l'orientamento deve essere ribadito, non ravvisandosi ragioni che possano indurre a discostarsene. (Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 27 apri~e 1992, n. 5008 Pres. Mollica Rel. Bicone -P. M. La Valva (concl. conf.). Crimi ~avv. Toscano) c. Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato Zotta). Lavoro (rapporto) Vice Pretore onorario Rapporto di impiego professionale (autonomo o subordinato) Esclusione Eventuale compenso -Natura indennitaria. L'attivit di vice pretore onorario, ancorch incaricato di funzioni giudiziarie o reggente>>, si colloca fuori dello schema generale della prestazione lavorativa subordinata per cui non riconducibile ad un ,rapport:Jo di pubblico impiego, ma neppure ad un rapporto di lavora' autonomo, trattandosi di servizio non professionale ma onorario il cui compenso, se accordato da leggi o atti amministrativi, ha natura indennitaria o di ristoro delle spese ai sensi e per gli effetti dell'art. 2041, cod. civ. (1). (1) La Corte conferma l'orientamento gi espresso in Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1991 n. 1845 in cui Si legge che la posizione giuridica correlata allo svol PARTE I, SEZ. III; GIURISPRUDENZA CIVILI!; GIURISDIZIONE E APPALTI 277 (Omissis) Secondo iil costante orientamento della Suprema Corte, 'l'attivit di vice pretore onarario, ancooch incaricato di funzioni giudiziarie o reggente, si colloca fuori dello schema generale de1la prestazione lavorativa subordinarta, sicch non riconduoibile ad un rapporto di pubblico impiego, ma neppure ad un riapporto di lavoro autonomo, trattandosi di una fattispecie di servizio non professionale ma onorario ('sentenze nn. 1845 del 1991, n. 9315 del 1987). Al servii.zio onorario non sono perci applicabiilii gli artt. 35 e 36 Cost., che tutelano specificamente il lavoro, mentre dall'art. 54 del medesimo testo normativo si evince l'esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticit tra esercizio de.ltla funzione e compenso per tale esercizio, compenso che, se accordato da leggi o atti amministrativi, ha natura indennitaria o di ristoro deiHe spese. L'atto d'investituria, per effetto del quaile un soggetto presta servizio in favore dell'amministrazione in veste cli funzionario onorario, costituisce quindi la causa giuridica deH'attribuzione patrimoniale che iii soggetto pubblico riceve, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2041, cod. civ. Dalla natura del servizio onorario discende l'impossibilit di app;lioare ad esso i principi generali e le .regole che forniscono la disciplina: del rapporto di pubblico impiego. In particolare, mentre non sono richiesti atti formali di nomina per rives,tire la qualifica soggettiva di impiegato pubblico, la funzione onoraria attribuita esclusivamente da atti formali di investitura, come si desume dal 2 comma dell'art. 54 Cost. (i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche ...), posto che dall'attribuzione della funzione pubblica che nasce il rapporto di servizio e non il rapporto di servizio a precedere H conferimento della funzione, come avviene invece per i pubblici dipendenti. La disciplina dei compensi per la funzione onoraria, ove previsti, data esclusivamente daHe fonti che specificamente li contemplano, re gimento delle funzioni di vice pretore onorario non riconducibile, neppure a,strattamente, n al rapporto. di impiego privato, n a quello pubblico, posto che l'esercizio delle funzioni giudiziarie, come non pu essere oggetto di un rapporto di servizio di diritto privato, cos non pu essere oggetto di un rapporto d'impiego di diritto pubblico che non si costituisca, per concorso, con formale titolo di nomina ; in senso conforme si veda anche Cass., Sez. Un., 16 dicembre 1987, n. 9315. Mentre nei due precedenti citati la questione era stata esaminata solo sotto il profilo della giurisdizione, nella sentenza che si annota la Cassazione appro fondisce l'analisi sottolineando che al servizio onorario non sono applicabili gli artt. 35 e 36 Cost., che tutelano il lavoro. e non c' alcun rapporto sinal lagmatico tra la prestazione onoraria e il relativo compenso il quale trova la sua causa giuridica nell'art. 2041 cod. civ. Si veda anche Corte Cost. 21 aprile 1983, n. 105, in Giur. cost. 1983, I, 474 in tema di trattamento economico dei vice pretori onorari. 278 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DBIJ.O STATO stando preclusa ogni integrazione cli essa mediante il ricorso a regole dettate per l'apporti di natura diversa. Di questi principi ha fatto corretta applicazione la sentenza , impa'gnata: -attvibuendo rilievo esolusivamente alla certificazione del Tribunale di Catania, in ordine ai preriodi di reggenza de1la Pretura per assenza del titolare, non al servizio svolto di fatto (sicch non ha fondamento la critica del ricorrente di omesso esame del documento proveniente daMa canceLleria della Pretura di Randazzo, che avrebbe consentito di accertare l'attivit effettivamente svolta); -giudicando suilile pretese azionate dal Crimi in base alle sole norme che prevedono benefici economici e giuridici per i vice-pretori onorari, senza prendere in considerazione principi e ,disposizioni dettati per i publ) l.ici dipendenti, in particolare per gli impiegati non di ruolo deHo Stato. L'anzidetta specifica normativa sta:ta, infine, correttamente applicata dal Tribunale di Catania alla fattispecie. La legge 18 maggio 1974, n. 217 ( sistemazione giuridico-economica dei vice pretori onorari incaricati di funzioni giudiziarie ai sensi del 2 comma dell'art. 32 dell'ordinamento giudiziario), e pi precisamente l'art. 1 della legge medesima (che assicura la conservazione dell'incarico a tempo indeterminato e la corresponsione dello stipendio spettante ai magistrati di tribunale, con l'applica2lione del d.l. n. 147 del 1948 e successive modificazioni o integrazioni, de!Jla legge n. 1077 del 1966, della legge n. 336 del 1970, deM'art. 90 dell'ordinamento giudiziario, come modificato dalla legge n. 704 del 1%1, nonch dii tutte le altre leggi a favore del personale non di ruolo dello Stato, non include fra i destinatoo dei benefici giuridici ed economici i vice pretori onorari reggenti le preture prive di titolare, previsti dall'art. 101 ord. giud. (la Corte Costituzionale, con sentemla 21 aprile 1983, n. 105, ha giudicato costituzionalmente legiUima siffatta esclusione). Per cogliere H divario esistente tra la categoria dei vice pretori incaricati, di cui al capoverso dell'art. 32 deLl'ordinamento giudizario, e la categoria dei vice pretori reggenti previsti da!Jl'art. 101, comma 3, dell'ordinamento medesimo, basta confux>ntare le due disposizioni ricordate. Stando alila prima di esse, se nelle preture indicate nella tabella M -poi sostituita dalla tabella D allegata al d.P.R. 30 agosto 1951, n. 757 mancano gli uditori giudiziari, possono essere destinati, in loro vece, .. vice pretori onorari, i quali non esercitano la professione forense ; stando invece aUa seconda previsione normativa, in caso di mancanza o di impedimento del titolare, cui non si possa altrimenti rimediare, le funzioni sono esercitate ... dal vice pretore onorario o da uno dei vice pretori onorari destinato dal presidente del ,tribunale. Diversamente dai vice pretori 1ncaricati, i vice pretori reggenti non entrano dunque a comporre l'ufficio pretorile, ma esercitano solo funzioni vicarie, non si ve PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 279 dono precluso a priori qualunque esercizio della professione forense, n il corrispondente trattamento di quiescenza (anche se circolari del Consi~ J.io Superiore de1la Magistratura prescrivono che gli stessi reggenti devono impegnarsi a non trattare cause innanzi alla pretura od alla se2lione di pretura cui siano destinati) e possono, infine, supplire il titolare in ogni sede, anzich neMe sole preture indicate dalla predetta tabe1la. Cos precisata la categoria del vice pretori incaricati di funzioni giudizarie di cui a1l capoverso dell'art. 32 dell'ordinamento giudizario, non controverso che il Crimi non aveva la qualifica soggettiva necessaria per l'applicazione dell'art. 2 de:Ha menzionata legge n. 217 del 1974 (che dispone l'applicazione dei benefici di cui aiJJI'art. 1 anche al vice pretori onorari di cui aHo stesso articolo in servizio ail 1 ottobre 1972, e con decorrenza da tale data, ancorch non lo siano pi alla data di entrata in vigore deHa presente legge). Soltanto la sopravvenuta legge 4 agosto 1977, n. 516, con riguardo a coloro che si trovavano in servizio al!J.a data del 30 giugno 1976 avendo esercitato le funzioni di reggente per quindici anni, astenendosi dalla professione forense e da ogni ailtra attivit retribuita, ha esteso i predetti benefici, nei limiti predetti, anche ai1Jla categoria dei reggenti. Ma la sentenza impugnata ha correttamente accertato che il Crimi non possedeva il requisito deM'esercizio delile funzioni di reggente per quindici anni. Presupposto indefettibile perch un vice pretore onorario, ai sensi della seconda parte dell'ultimo comma de1l'art. 101 dell'ordinamento giu diziario, sia investito della funzione di reggente, la mancanza del titolare dell'ufficio, in quanto non nominato o giuridicamente impossi bilitato ad esercitare le funzioni. Si tratta di eventi accertati con atti formali, in presenza dei quali H vice pretore onorario che sia l'unico addetto all'ufificio assume ipso iure, in veste vicaria, le funzioni del tito lare, mentre se pi siano i vice pretori deve intervenire una designazione da parte dei titolari degli uffici superiori. Lo stesso art. 1 dellla legge n. 516 del 1977 si esprime molto chiara mente nel senso che destinatari dei benclici economici e giuridici sono i vice pretori onorari reggenti sedi di preture prive di titolare... remu nerati ai sensi dell'art. 1 decreto legislativo 30 gennaio 1948, n. 99, che sostituisce l'art. 208 del vigente ordinamento giudi2liario . Pertanto, i periodi di reggenza della Pretura di Randazzo non potevano essere che quelJi coincidenti con la mancanza o l'impedimento, in senso giuridico-formale, del titolare dell'ufficio, durante i quali al Crimi era stato corrisposto il previsto trattamento economico. In considerazione deMa natura e delle peculiarit della .controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti per intero le spese di questo giudizio. 280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELllO STATO CORTE DI CASSAZJONE, Sez. Un. Civ., 3 giugno 1992, n. 6786 -Pres. Zucconi Ga11li Fonseca -Rel. Pontrandolfi -P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (Avv. Stato Del Gaizo) c. Bucci (avv. Rocco). Giurisdizione civile -Impiego pubblico -Giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo -Ingiunzione fiscale -Opposizione dinanzi all'AGO Difetto di giurisdizione. Sussiste il difetto .di giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere dell'opposizione ad ingiunzione fiscale per la riscossione di entrate patrimoniali (R.D. n. 639/1910) quando l'opponente deduce una pretesa che trovi il suo titolo necessario in. un rapporto di pubblico impiego (1). Col quinto ed ultimo motivo, denunciando difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la ricorrente deduce che nella specie sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, sicuramente in ordine alla seconda domanda formulata dall'opponente, volta a contestare la ripetibilit della somma perch percepita in buona fede~ dato che tale pretesa trova il I suo titolo nel rapporto di pubblico impiego. La ricorrente fa presente, per quanto occorrer possa anche a titqlo .di regolamento preventivo di giurisdizione, che questo motivo viene pro l posto per mero scrupolo difensivo, qualora si ritenga che, nell'even~ I ~ tualit. dell'accoglimento del ricorso, per uno dei precedenti motivi, e d"'l rinv.io della causa ad altro giudice, rimarrebpe pregiudicata la questione di giurisdizione circa il merito deHa pretesa fatta valere con .l'opposizione . Riilevato che la ric~rribilit diretta per Cassazione delle sentenze del Gidice condliatore prevista dall'ultimo comma dell'art. 339, c.p.c., come I i sostituito dall'art. 5 della legge 30 luglio 1984, n. 399; ancorch tale modifica 1 I non abbia, per mera dimenticanza e mancato coordinamento, modificato, di conseguenza, l'art. 360, c.p.c., che, nel testo originario, escludeva l'impugnabilit in Cassazione di tutte le sentenze del Conciliatore e che, per questa parte, deve ritenersi implicitamente abrogato, si osserva che, ! per il suo carattere pregiudiziale ed assorbente, va esaminato con prioI rit il quinto motivo del ricorso con cui si deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l'appartenenza della controversia nel merito (la~dove si contesta la ripetibilit della somma in quanto percepita in buona fede) al giudice amministrativo perch la pretesa azionata con l'opposizione all'ingiunzione fiscale troverebbe il suo titolo nel rapporto di pubblico impiego. (1) La Corte di Cassazione fa applicazione di un principio pacifico nella sua giurisprudenza: in termini cfr. Cass .. 25 febbraio 1967, n. 430. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 281 n suddetto motivo fondato. Anzitutto, v rilevato che non proponibile'davanti al giudice urdi nario l'opposizione ad un'ingiunzione fiscale per la riscossione di entrate patrimoniali (R.D. 14 aprile 1910, n. 639) quando l'opponente deduce in giudizio una pretesa che trovi il suo titolo necessario in un rapporto di pubblico impiego (Cass, civ;1 S. U., 25 .febbraio 1967, n. 430). Inoltre, la domanda proposta dallo Stato o da un ente pubblico non economico, per la ripetizione di somme che assuma indebitamente corri sposte al proprio dipendente in relazione al rapporto d'impiego, rientra nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la quale riguarda tutte le controversie che trovino titolo immediato e diretto in detto rapporto, e qtiindi, non solo quelle instaurate dal pubbl.co dipendente, ma anche quelle promosse dall'Amministrazione, ove non possa o non voW}ia avvalersi de1la facolt di attuare coattivamente le proprie pretese (Cass. civ., S. U., 21 novembre 1983~ n. 6922; idem, 5 novembre 1987, n. 8207; 24 ottobre 1990, n. 10326). Ne deriva che va accolto il quinto motivo del ricorso e che vanno 'diclHttati assorbiti gli alfri: motivi, che va dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che la . sentenza impugnata va cassata senza rinvio. PRETURA DI ROMA, Sez. Lav., 17 giugno 1992 (decreto). Pretore Laterza. COMU (avv.. Baldari) c. Ente Ferrovie dello Stato (Avv. Stato Salvatorelli); interv. AGENS (avv. Scognamiglio, De Luca-Tamajo, Vesci). AssociaZloni e fondazioni . Sindacati -Procedimenti per la repressione . di condotta antisindacale -Ricorso proposto dinanzi a pii. Pretori Litispendenza. Sussiste la litispendenza tra pi ricorsi volti alla repressione di comportamento asseritamente antisindacale, aventi il medesimo .oggetto . e proposto da organismi locali della. stessa organizzazione sindacale dinanzi .a Giudici diversi, nel cui ambito. territoriale si sia egualmente; verificata la condotta ~he si assume zesiva delle prerogative sindac~li (1). . (1) Non constano precedenti in termini. Procedimento per la repression di c()ndotta antisindacale c;li una pubblica Amministrazione . e litj.spendenZa. 1. Il. decreto del Pretore di Roma concerne una fattispecie che ha destato l'interesse dell'opinione pubblica in seguito all'ampio risalto dato alla vicenda dalla stampa. Come noto, in seguito alla proclamazione da parte del COMU (organiz zazione, della. quale incerta la natura sindacale, che intende tutelare. i mac 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ritenuto che stata sohlevata dal convenuto e daM'Agens eccezione di litispendenza in relazione al ricorso ex art. 28 legge 300/70 proposto davanti aJ. Pretore di Firenze il 14 aprile 1992 dal Comu in persona di Gallori Ezio quale coordimatore compartimentale del relativo organismo territoriale, nonch quale legale rappresentante nazionale del COMU, ricorso deciso con decreto del Pretore di Firenze del 24 aprile 1992 (Foro it., 1992, I, 2535) avverso H quale pendente l'opposizione come hanno espressamente dichiarato gli stessi ricorrenti; ritenuto che la litispendenza costituisce questione rilevabile anche d'ufficio, e secondo una giurisprudenza consoUdata ha la priorit nel1' ordine logico anche nelil'ambito delle questioni pregiudiziali (cfr. Cass. 1216/65, id., Rep. 1965 voce Competenza e giurisdizione civile, n. 359); letto i:1 ricorso avanzato davanti al Pretore di Firenze, ritenuto che tra la presente controversia e quella pendente davanti al pretore di Firenze vi litispendenza ex art. 39 c,p.c., sussistendo identit di parti, di petitum e causa petendi; ritenuto infatti che in entrambe le controversie le parti sono l'ente Ferrovie dello Stato convenuto, l'Agens interveniente ed il COMU ricorrente, ed infatti la parte ricorrente non pu che essere l'associazione sindacale nazionale, come peraltro dispone espressamente l'art. 28 legge 300/70 per le seguenti considerazioni in diritto. chinisti dipendenti delle Ferrovie deNo Stato) di agitazioni in contrasto con il codice di autoregolamentazione e con gli stessi accordi in precedenza sottoscritti dalla medesima associazione, l'Ente FF.SS. faceva affiggere in tutti luoghi di lavoro comunicati con i quali si prospettava, per i dipendenti che avessero aderito a dette agitazioni, il diniego di estensione di determinati trattamenti economici pattuiti con altre Organizzazioni Sindacali nell'ambito delle pi vaste intese concernenti l'organizzazione del lavoro gi accettate dallo stesso COMU. L'associazione reagiva proponendo una serie di identici ricorsi volti alla repressione del comportamento, asseritamente antisindacale, dinanzi ai Pretori di ciascuna sede di Compartimento ferroviario (luoghi in ognuno dei quali si sarebbe quindi posto in essere il lamentato comportamento lesivo delle prerogative sindacali). Nel costituirsi in giudizio dinanzi al Pretore di Roma -adito successivamente rispetto al Pretore di Firenze, che aveva gi rigettato il ricorso -l'Ente FF.SS. eccepiva, tra l'altro, il giudicato e -appreso che il primo decreto ex art. 28 St. Lav. era stato gravato di opposizione -la litispendenza tra i due giudizi. Con la pronunzia che qui si pubblica, il Pretore di Roma, accogliendo l'eccezione formulata, ha dichiarato con decreto la litispedenza ed ha disposto con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. 2. La statuizione -che, pure, avrebbe dovuto forse essere adottata con sentenza -appare convincente nel suo contenuto, facendo giustizia, anche alfa luce di considerazioni equitative, di un comportamento processuale a dir poco disinvolto. Sembra, peraltro, che, al di l dei motivi contingenti che possono aver ispirato la pronunzia pretorile, solidi argomenti sistematici militino a favore della PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 283 L'art. 28 conferisce espressamente la legitimatio ad processum agli organiismi locaili delle associazioni sindacali naziona:li e la ratio della norma . evidente in quanto 'l'organismo focale queno a pi stretto contatto con il luogo ove si deduce essersi verificato il comportamento antisinJClacale; La legitimatio ad. processum conferita espressamente dal[a legge non va per confusa, secondo la migliore dottrina e giurisprudenza con la legitimatio ad causam. La legitimatio ad processum regolata dall'art. 75 c.p.c. e viene in genere. qua1Uficata come capacit processuale o formale, e consiste nella capaicit di stare in giudizio come attore o come convenuto, investendo quale presupposto processuale, la regolarit formale del rapporto. La legtimatio ad causam, o legittimazione a:d agire presuppone in primo luogo la soggettivit giuridica e risulta dall'identit della persona dell'attore con il titolare dell'azione (legittimazione attiva) o della persona del convenuto con quella cntro cui l'azione concessa (legittimazione passiva), essa costituisce condizione dell'azione, ossia la condizione a cui subordin.ato l'ac.coglimento defil:a domanda. In genere vi coincidenza tra queste entit, in quanto alla capacit giuridica, ossia alila soggettivit corrisponde quella di essere parte nel processo. tesi della esistenza di una litispendenza tra i diversi giudizi incardinati dal medesimo Sindacato dinanzi a . vari Pretori. Invero, pacificamente essendo, in casi quale quello di specie, identici il petitum e la causa petendi, unico argomento utile per contrastare la eccezione sarebbe costituito dalla mancanza del requisito della identit dell.e parti del giudizio, essendo stati incardinati i due procedimenti da diverse articolazioni della OS. Tale tesi, per, come si tenter brevemente di dimostrare in queste note .scaturite da una prima riflessione sulla vicenda, appare non reggere ad un sereno vaglio critico, non solo in conseguenza di un attento e$ame della lettera dell'art. 28 St. Lav. e defila origine della norma, ma soprattutto attese la iMogicit della contraria interpretazione e le aberranti conseguenze cui condurrebbe, in contrasto con fondamentali principi del sistema: per tacere poi della circostanza che si finirebbe con il premiare " ima condotta processuale altamente spregiudicata. :e noto, infatti, che costituisce principio cardine del nostro ordinamento processuale, volto a soddisfare la stessa esigenza della certezza del diritto, quello espresso nel noto brocardo del ne bis in idem. Con esso vuole evitarsi la possibilit della pendenza di pi giudizi aventi il medesimo oggetto ed, in ultima analisi, di giudicati contrastanti (si veda per tutte la necessaria norma di chiusura posta dall'art. 395, n. 5, c.p.c.). 3. Un primo rilievo deve essere fatto, con riferimento a:l concetto di parte sostanziale del giudizio, poich ad essa che vanno riferiti tanto la pendenza del giudizio quanto i limiti soggettivi del giudicato: sembra invero indubitabile che, nel procedimento di repressione deHa condotta antisindacale, tale posizione RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 284 Nel caso di cui all'art. 28 legge 300/70 sembra invece vi sia-una distinziori: e: ila capacit di stare in giudizio (legitimatio ad processum) non conferita alla associazione sindacale nazionale, che sicuramente fornita di soggettivit giuridica, ma essa conferita all'organismo locale, che in genere sfornito di soggetivit giuridica autonoma e distinta rispetto alla associazione naziona>le di cui fa parte. Invero la dizione stessa della legge organismi locali pare far riferimento proprio ad entit sfornite di soggettivit giuridica autonoma ed ai quali. pure conferisce la legitimatio ad processum. Nel caso di specie evidente che il coordinamento compartimentale di Roma, come la maggioranza degli organismi locali delle organizzazioni sindacali nazionali, non ha una soggettivit autonoma rispetto al COMU, eppure la legge prescrive che sia questo a proporre l'azione ex art. 28 ed all'uopo analoghi poteri sono previsti dallo statuto del COMU (cfr. art. 5-del testo depositato presso il notaio); si tratta di una sorta di rappresentanza ex lege, che per non pu far dimenticare che la parte in senso sostanziale in ogni caso il COMU; si pu infatti parlare di soggettivit del COMU come associazione che non persona giuridica, ex art. 75, ultimo comma, c.p.c., ma non di soggettivit giuridica da quetO distinta e autonoma di un suo coordinamento compartimentale , ed infatti, rileva esattamente l'avvocatura dello Stato che non si pu rica sia rivestita dall'O.S. nazionale della quale emanazione l'organismo locale espressamente indicato dalla disposizione quale legittimato ad processum. Quest'ultimo, come dimostra il dettato testuale dell'art.. 28 St. Lav., ha una mera legittimazione processuale ex lege, ma non ha n pu avere una personalit giuridica distinta da quello dell'O.S. di appartenenza, n potrebbe divenire centro d'imputazione diverso e distinto di rapporti giuridici, specie in considerazione del rilievo che tale posizione sostanziale (gravida, tra l'altro, di rilevanti conseguenze giuridiche) verrebbe ad essere ricavata da una norma avente carattere meramente processuale; risulta, d'altro canto, evidentemente inconcepibile che possa esistere una personalit giuridica distinta dell'organismo locale, ma uni. camente a certi fini, ovvero limitatamente a determinati rapporti giuridici, trat. tandosi di costruzione estranea al nostro ordinamento. Sembra, pertanto, indubitabile che l'efficacia dell'accertamento contenuto. in una pronuncia ex art. 28 St. Lav. possa essere opposta da (o fatta valere nei confronti di) un'O.S. nazionale il cui organismo locale abbia incardinato il giudizio. 4. In realt, la complessa problematica che oggi s'i pone, anche e soprattutto in seguito alla novellazione introdotta con la legge n. 146/90 e la estensione della procedura in discorso alle Amministrazioni statali, deriva dall'uso distorto e comunque ampliato del rimedio del ricorso ex art. 28 St. Lav. rispetto alla originaria previsione del Legislatore. Non vi dubbio che intento della norma fosse quello di prevenire e/o reprimere quei conflitti in campo aziendale, minuti e circoscritti, ma pur assai rilevanti nell'ottica di una legislazione di sostegno, aventi ad oggetto la lesione di posizioni soggettive del sindacato che trovano perspicua esplicazione in quello PARTE I, SEZ. III1 GIURISPRUDENZA CIVILE; GIURISDIZIONE E APPALTI 285 vare la soggettivit sostanziale de1l'organi!smo locale da una norma meramente processuale come quella di cui all'art. 28 legge 300/70. Non si ignora che una parte della giurisprudenza ritiene che lo statuto riconosca negli organismi locali delile associazioni sindaca:H nazionali una soggettivit distinta rispetto a quefila di tali associazioni, considerando che gli stessi, quali autonomi titolari di determinati interessi co]i[ettivi, sono dotati pertanto di una propria legittimazione a chiederne la relativa tutela (cfr. Cas. 29 marzo 1979, n. 1825, id., 1979, I, 1443). Invero la n0I1ma non autorizza a ritenere l'esistenza di una soggettivit distinta da parte delil'organismo locale, in quanto la sua previsione riguarda sola la legitimatio ad processum (come peraltro ritenuto da larga parte dehla dottrina). Se cos non fosse, l'art. 28 legge 300/70 sarebbe passibile di applicazione in contrasto con i prlllcipi cardine dell'ordinamento processuale. Se infatti, seguendo questa tesi, in tutti i casi in cui una qualsiasi azienda nazionale, avente una pluralit di sedi, mettesse in atto, in seguito ad una decisione a livelilo centrale, degli identici comportamenti diretti, nelle varie sedi, a impedire o limitare l'esercizio della libert e dell'attivit sindacale, nonch dcl diritto di sciopero, dovrebbe essere consentito ai vari organismi locali di proporre distinti ricorsi ex art. 28 legge 300/70, e quindi ottenere distinti decreti, con possibilit di contrasto l'uno con l'altro. stesso, limitato ambito (si pensi ai diritti di cui al titolo III della L. n. 300/70, che sono quelli che per elezione dovrebbero trovare tutela con questo particolare strumento), conflitti che sarebbero invece di complessa e non rapida individuazione e tutela se riguardati a livello nazionale. Per essi si ritenne necessario fornire uno strumento di tutela immediato ed efficace, ed a tal fine non poteva che farsi riferimento alla realt locale -e, in primo luogo, aziendale -che, meglio di ogni altra, pu conoscere con immediatezza i fatti lesivi ed avvertirne la rilevanza. Si volle pertanto istituire un procedimento a cognizione sommaria, legittimando all'azione un organismo locale; peraltro, ad escludere una eccessiva parce1lizzazione della tutela giurisdizionale e al fine di garantire una fondamentale aderenza a problematiche di rilevanza non esclusivamente locale ed una 'Sostanziale seriet del ricorso allo strumento introdotto, si previde che la parte attrice dovesse essere strettamente collegata con associazione sin dacale di rilevanza nazionale. 5. comunque certo che il Legislatore concep H particolare strumento in esame come ben circoscritto, e non mai riferito ad atti aventi efficacia estesa sul territorio e, al limite, a carattere nazionale. Ci vale a maggior ragione per atti provenienti da Amministrazioni pubbliche, che hanno contenuto organizza. torio e si rapportano con una particolarissima reaJlt qual quella della con trattazione collettiva in campo pubblico, e, talora, contenuto autoritativo e provvedimentale: anche e soprattutto in quanto un tal tipo di contenzioso non era all'epoca nemmeno prevedibile. La odierna estensione dell'ambito di applicazione del procedimento _per la repressione della condotta antisindacale a soggetti ed atti completamente diversi da quelli originariamente contemplati dal Legislatore non pu e non deve por 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO Infatti, radicandosi la competenza territoriale in ciascuna delle varie sedi aziendali, uno stesso comportamento potrebbe essere ritenuto antisindacale nei confronti di un determinato organismo locale, mentre ben potrebbe essere dichiarato pienamente legittimo in altro contemporaneo giudizio, nei confronti di un altro organismo locale parte in quel processo. Si comprende che ci comporterebbe una applicazione inammissibile della norma posta a tutela deM'attivit e libert sindacale, in quanto la valutazione di uno stesso comportamento datoriale non pu essere diversa per l'uno o per l'altro organismo locale: un comportamento o antisindacale o non >lo . Si Consideri ino1tre che, ammettendo la possibilit di concorso di pi ricorsi ex art. 28 da parte di vari organismi locali, alcuni decreti potrebbero oridinare la cessazione del comportamento e la rimozione degli effetti e la pronuncia sarebbe efficace solo nei confronti degli organismi locali ricorrenti, mentre altri decreti potrebbero non inficiare il comportamento datoriale nei confronti di altri organismi locali ricorrenti, il che darebbe luogo a problemi insormontabiili ove si lamentasse come antisindacale un atto datoriale assolutamente non scindibile. Si pensi, ad es., alla stipulazione di un contratto tra datore di lavoro e terzo, che si assumesse essere antisindacale, ad es. perch non preceduto da obb[igatorie conswltazioni deHe organizzazioni sindacali, in tal caso, tare, dunque, ad un pedissequo ed acritico recepimento di schemi riguardanti la realt pi propriamente aziendale, pur se consolidati. Deve pertanto soccorrere, in primo luogo, il dettato normativo, laddove si legittima all'azione l'organismo locale che vi abbia interesse. Tale formula, per riprendere la terminologia adottata dalla Suprema Corte di Cassazione nella pi nota -e oramai risalente -pronunzia adottata in punto di legittimazione (Cass., 29 marzo 1979, n. 1826, la quale, peraltro, risulta alla lettura riferirsi alle situazioni tipicamente azienda1i cui prima si faceva cenno), non pu che fare riferimento all'interesse collettivo di cui la parte ricorrente lamenta la lesione ed alla estensione della efficacia del comportamento che si assume antisindacale. E non a caso, di fronte ad atti, come quello sottoposto all'esame del Pretore di Roma, aventi ambito di applicazione pi esteso di quello strettamente loc~ le, la giurisprudenza di merito andata oscillando tra diverse posizioni, tutte per lo pi qualificate dalla ritenuta diversit della fattispecie rispetto a quella tipica , e dalla conseguente necessit di trovare un soddisfacente fondamento giuridico alla soluzione da adottare: vi stato cos chi, in base alla gi rammentata ratio della norma, ha ritenuto tout court impraticabile, nel caso di specie, la strada dell'azione ex art. 28 St. Lav., rimanendo esperibili i soli rimedi forniti dal giudizio in via ordinaria; chi ha ritenuto -il che, peraltro, sembra contrastare con il testuale disposto normativo -in ipotesi di tal genere l'ambito locale -e la conseguente legittimazione ad agire -pi esteso, fino a ricomprendere, al limite, l'intero territorio nazionale, con conseguente azionabilit da parte del Sindacato nazionale; chi ha comunque ravvisato la legittimazione deH'organismo locale pi periferico del sindacato nazionale, con il sussidio di vari criteri per stabilire la eventuale competenza territoriale. PARTE I, SBZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE B APPALTI 287 seguendo questa logica, M contratto con il terzo dovrebbe essere annullato solo nei confronti di alcuni organismi sindacali locali e non nei confronti di adtri, il che sarebbe inammiss~bile. Ci conferma che . l'interpretazione corretta della norma quella secondo cui la ;parte. sostanziale deil procedimento il'associazione nazionale non l'organiSill locale In questo modo il comportamento datoriale, impugnato presso pi giudk:i dai vari organismi locali, attraverso il meccanismo della litispendenza, dovr essere correttamente sottoposto al giudizio di un solo giudice, quelllo. prevenrtivamente adito, iJ quale dir se lo stesso antisindacale o. meno, in tutte le sedi ove si svolge. E presente ricorso poi uguale a quello esaminato dal Pretore di Firenze ed infatti anche se il testo non coincidente, il comportamento impugnato di antisindacailit lo stesso, si tratta invero di due diversi comportamenti: l'esistenza ed il contenuto deH'ordine di servizio del 10 .aprile c.m. con cui l'ente dichiarava di non ritenersi obbligato ad estendere l'efficacia del contratto integrativo dell'8 aprile 1992 ai dipendenti che avessero partecipato allo sciopero dell'll-12 aprile 1992, comportamento che sarebbe idoneo a ledere. il diritto di sciopero. In entrambi i ricorsi poi si lamenta anche un diverso comportamento idoneo a fodere l'attivit sindacale del Comu: si deduce cio che Una cosa, peraltro, appare chiara ed incontestabile: uno ed uno solo il comportamento lesivo, e n lo stesso, n, soprattutto, le sue giuridiche conseguenze possono essere frazionati con riferimento a singole realt territoriali. Il comportamento da giudicare sempre lo stesso, insomma, e pu essere o non essere antisindacale (ill.ecito, illegittimo, ecc.), ma non pu mutare tale sua connotazione a seconda di rea:lt che siano territorialmente distinte, ma sostanzialmente identiche nel regime del rapporto di lavoro e delle relazioni sindaca!li. 6. Se l'ultima considerazione corretta, l'unica conclusione logica e coerente appare la seguente: il giudizio non pu che essere uno ed uno soltanto, in quanto proposto da una parte sostanziale (il sindacato, inteso come organizzazione a livello nazionale che lamenta la antisindacalit di un comportamento interessante l'intero territorio nazionale) contro l'altra parte sostanziale (l'Amministrazione che ha tenuto il comportamento in esame), a prescindere dal luogo ove il giudizio venga incardinato (e salva ogni considerazione in punto di competenza); anche a voler. ipotizzare, in taluni casi, una concorrente legittimazione dei vari organismi locali, la fattispecie apparirebbe per qualche verso assimilabi>le ai beni noti diritti potestativi concorrenti dei quali si parla in materia di impugnazioni di delibere assembleari (come noto, pi sono i soggetti legittimati ad impugnare -i.e. i soci dissenzienti -ma l'accertamento contenuto in sentenza fa stato nei confronti di tutti), per i quali pacifico che il giudizio impugnatorio e resta uno solo; nel caso del procedimento ex art. 28 St. Lav., pertanto, in caso di ritenuta competenza concorrente, il Giudice concretamente competente dovrebbe essere individuato in base all'ordinario criterio dehla prevenzione. 7. i!. d'altro canto evidente che negare la sussistenza della litispendenza in casi quali quelli esaminati dal decreto che si pubblica, porterebbe ad aberranti 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'!'O l'ente Ferrovie dello Stato non avrebbe mantenuto i patti con il Comu, con cui aveva gi stipuJato l'accordo del.['8 novembre 1991, e che l'ente non potrebbe negare agli scioperanti, aderenti aJ Comu, i benefici economici che aveva gi concesso con il citato accordo dell'8 novembre 1991. Ed infatti a pag. 5 del ricorso presso la Pretura di Firenze ed a pag 6 del presente ricorso si deduce che la condotta antisindacale denunciata, ossia il mancato pagamento dei benefici economici di cui al contratto integrativo, non si esaurita ma continua a produrre gli effetti, di talch si dice nel ricorso al Pretore di Firenze che essa invece risulter pienamente in atto e della stessa potr legittimamente chiedersi la repressione , ed infatti nelle conclusioni di quel ricorso si chiede che sia dichiarata l'antisinda:calit non solo del comportamento aziendale concretizzatosi con la diffusione e la pubb~i:cazione dell'avviso datato 10 aprile 1992, ma si chiede anche di dichiarare l'antisindacalit del comportamento aziendale concretizzatosi nell'espresso rifiuto di riconoscere i miglioramenti economici previsti dai recenti accordi sindacali ai dipendenti sindacalmente rappresentati dal Comu e si chiede quindi la cessazione immedita dei comportamenti illegittimi. Anche nel presente ricol'So si chiede sostanzialmente di dichiarare antisindacale il comportamento di cui aJ capo A) ossia la minaccia, fatta I con la comunicazione del >10 aprile 1992, di non pagare agli scioperanti I I conseguenze, certamente non volute dal Legislatore, in contrasto con i fondamentali principi processuali che si i11ustravano sopra. , Invero, H sindacato ricorrente avrebbe a sua disposizione non una azione, ma tante quante sono le realt territoriali nelle quali opera l'Ente che ha posto in essere il comportamento impugnato, avendo agio di affinare le proprie argomentazioni sulla medesima questione alla luce de11e difese proposte e sempre in attesa di trovare -il che, in questioni cos complesse ed in una certa misura II& controvertibili, potrebbe non essere difficile -un Giudice disposto a dare ingresso alle doglianze proposte. La conseguenza di anche un solo decreto di accoglimento -o di una sentenza, su opposizione, o su appello; ecco come agevole moltiplicare le ipotesi potenzialmente favorevoli ai ricorrenti -sarebbe d'altronde quella di travolgere in toto il comportamento impugnato, essendo arduo, ad esempio, ritenere le Igittima in una parte del territorio e non in un'altra l'affissione di un manifesto, ovvero dovuto un determinato trattamento economico a seconda del luogo presso il quale il dipendente pubblico presta servizio. 8. In conclusione, sembra che si debba in ogni modo evitare l'adozione di pronunzie che potrebbero portare ad un sostanziale contrasto di giudicati e a risultati manifestamente assurdi, e correttamente, pertanto, il Pretore di Roma ha dichiarato nel caso di specie la litispendenza. Rimane evidente come la rHevanza, la novit e l'obiettiva incertezza della questione non possano peraltro che indurre ad una certa cautela l'interprete, in attesa di un auspicabile consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali, con l'intervento anche della Suprema Corte regolatrice. l\AASSIJ.\10 SALVATORELLI PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 289 i benefici economici del contratto integrativo e si chiede di dichiarare antisindacale il comportamento di oui ail capo B), ossia il rifiuto di corrispondere i benefici economici che agli aderenti al C0mu sarebbero gi dovuti in forza dell'accordo stipulato 1'8 novembre 1991. Le argomentazioni dei due rico11si presentano delle dhrersit perch, ripetesi ,il testo non coincide, ma petitum ossia da condanna alla cessazione dei due compo11tamenti e causa petendi ossia il fatto che entrambi sarebbero idonei a violare il diritto di sciopero. nonch la libert a l'attivit del Comu, sono uguaU nei due ricorsi ed irrilevante che le argomentazioni a sostegno siano parzialmente diverse. Riilevato che avverso il decreto emesso dal Pretore di Firenze stata proposta opposizione e quindi si aperto un giudizio a cognizione piena sugli stessi comportamenti dell'ente Fenovie dello Stato qui lamentati e che pertanto sussiste litispendenza tra quello ed il presente procedimento, perch a determinare la fattispecie di cU! all'art. 39, 1 comma, c.p.c. necessario e sufficiente fa simultaneit dehl'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di giudici diversi in ordine aMo stesso oggetto e tra le stesse parti. lO SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 29 febbraio 1992, n. 1 -Pres. Crisci -Est. Barberio Corsetti -Fargetta (avv. Ferrari) c. Ministero Difesa ed altri (avv. Stato Russo V.). Impiego pubblico Rapporto di lavoro subordinato -Nullit Diritti patrimoniali del lavoratore -Art. 2126 cod. civ. Applicabilit. Il rapporto di lavoro instaurato con la Pubblica Amministrazione, in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano, ove sia espressament prevista una sanzione di nullit come quella di cui all'art. 12, primo comma, del d.l.c.p.s. n. 207 del 1947, sia esso rapporto a termine o a tempo indeterminato, nasce e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rivelatori del pubblico impiego assumono soltanto fun~ zione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative: a tali prestazioni di fatto, rese nell'ambito del rapporto nullo, si applica l'art. 2126 cod. civ., con tutte le conse-, guenze retributive e previdenziali connesse (1). (omissis) pacifico che la Signora Fargetta prest serv1z10 presso il Comando della I Regione aerea -Direzione Demanio di Milano ininterrottamente dal 1 febbraio 1971 al 15 ottobre 1982 con mansioni di dattilografa. Ella si avvalse, per l'espletamento dei suoi compiti, rientranti tra quelli istituzionali dell'amministrazione, dei mezzi e dei locali posti a disposizione dell'amministrazione stessa (con accesso mediante documento di riconoscimento rilasciato dall'amministrazione ai propri dipendenti), osserv un orario d'ufficio (con sottoscrizione dei fogli di presenza), fu sottoposta a controllo gerarchico e fu retribuita con compensi sostanzialmente costanti anche se formalmente corrisposti su presentazione di fattura. Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il rapporto di lavoro intercorso con l'amministrazione militare aveva (1) Cfr. Cass., Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2490, in Mass. Foro It. 1988, p. 303; in dottrina, si veda A M., Le prestazioni di fatto nel pubblico impiego, in Atti del convegno su Le prestazioni di fatto nel rapporto di lavoro con le USL, Catania 1990 e VIRGA, Il pubblico impiego, Milano 1991. PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA tutte le caratteristiche ritenute dalla giurisprudenza amministrativa indici sostanziali rivelatori di un rapporto di pubblico impiego. La continuit e l'ultradecennale estensione del rapporto confortano del resto,. tale convincimento .. Ci posto, occorre esaminare .se nella fattispecie possa configurarsi, sotto il profilo giuridico, un tappo:rto di pubblico impiego, con. tutte le cox;lseguenze anche economiche che ne derivano; ovvero se le prestazioni rese dalla Fargetta debbano essere valutate come semplici prestazioni di fatto. In primo. luog9 si deve osservare che nella specie non si in presenza di .n contratto gi,l.avoro a termine pi volte prorogato, in quanto non risulta che l'a:mministrazione apbia mai adottato un provvedimento in tal senso, ma piuttosto di un comportamento concludente dal quale si evince il perdurare nel tempo del rapporto in relazione al protrasi delle esi~enze dell'am:ministrazione. Fu affidato alla Fargetta un compito di dattilografia, a partire da urta certa data (1 febbraio i971), ed ella seguit a svolgerlo ininterrottamente fino all'atto di adozione del provvedimento impugnato, .senza che, intervenissero da parte dell'amministrazione atti di conferma o di proroga. Da ci deriva che l'unico atto lesivo dell'interesse della Fargetta il provvedimento impugnato, col quale l'Amministrazione le ha comunicato di non avere pi intenzione di avvalersi della sua opera. Non vi sono dunque dubbi di sorta circa la facolt del giudice amministrativo di valutare l'intero rapporto, unitariamente considerato. L'ordinallZ.a della quarta Sezione sottopone all'Adunanza, come primo problema, quello della possibilit di accesso al pubblico impiego in contrasto con quanto disposto dall'articolo 3 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (t.u. 3 gennaio 1957, n. 3) che, espressamente dispone: salve le eccezioni previste dal presente decreto, l'assunzione agli impieghi senza il concorso prescritto per le singole carriere nulla di diritto e non produce alcun effetto a carico dell'Amministrazione, ferma restando la responsabilit dell'impiegato che vi ha provveduto. Il Collegio osserva che a parte ogni altra considerazione, tale divieto non sembra applicabile al caso di specie, perch in questo non si discute della possibilit di accesso senza concorso all'impiego di ruolo, bens della possibilit di instaurazione di un rapporto di impiego non di ruolo. Per quest'ultimo, che ha sempre avuto disciplina autonoma rispetto all'impiego di ruolo, si rinvengono nell'ordinamento specifiche disposizioni. L'articolo 12 del D. Lgs. C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, introducendo un espresso divieto di assunzione di personale non di ruolo presso le Amministrazioni dello Stato per qualunque titolo e sotto qualsiasi forma e su qualunque capitolo di bilancio comminava la nullit del provvedi 292 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO .STATO mento assunto in contrasto col divieto e poneva a carico degli amministratori la responsabilit economica personale e solidale per le assunzioni in contrasto. La stessa disposizione introduceva per talune eccezioni al divieto, delle quali la pi rilevante quella relativa alle assunzioni di carattere eccezionale e straordinario di breve durata. Tale eccezione quella che ha provocato, nel corso del tempo, maggiori problemi applicativi prestandosi, per la sua genericit, ad interpretazioni estensive. Con legge 28 ottobre 1970, n. 775, si inteso porre un rimedio a disfunzioni verificatesi, abrogando ad un tempo tutte le disposizioni che consentivano assunzioni di personale straordinario (art. 25 comma 2) e dando al Governo la delega per disciplinare nuovamente la materia. A tanto si provveduto col d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276, recante norme sulle assunzioni temporanee di personale presso le amministrazioni dello Stato. La legge 28 ottobre 1970, n. 775, all'art. 25, dopo la norma di delega al Governo per la disciplina delle assunzioni temporanee, stabilisce che con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia tutte le disposizioni che consentono assunzioni di personale straordinario, anche con contratto di diritto privato o a contratto a termine, comunque denominato. Il decreto delegato, d.P.R. 31 marzo 1971, all'articolo 3 ha provveduto a regolarizzare la situazione di tutti gli assunti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 775/70 ed ha sancito all'articolo 4 la nullit di diritto delle assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni degli articoli 1, 2 e 3. La Fargetta fu assunta il 1 febbraio 1971, vale a dire dopo l'entrata in vigore della legge, ma prima dell'entrata in vigore del decreto delegato. In tale situazione ella non ha potuto usufruire della citata disposizione contenuta nell'art. 3 in base alla quale l'amministrazione ha provveduto a regolarizzare la situazione di tutti gli altri dattilografi che si trovavano nella sua stessa posizione di lavoro, ma erano stati assunti prima della entrata in vigore della legge n. 775/70. Il primo problema che si pone con riguardo alla fattispecie in esame se essa rientri nelle ipotesi di assunzione temporanea, ovvero se essa sia da riguardare come un'assunzione a tempo indeterminato, rientrante nel generale divieto di cui alle disposizioni del 1947. Il collegio d'avviso che, in relazione alla documentazione esibita, nella quale si fa riferimento ad esigenze particolari dell'amministrazione in un determinato periodo, possa ritenersi che l'amministrazione della difesa abbia inteso inizialmente ricorrere all'opera di taluni dattilogra{i PARTE l, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA per sopperire a momentanee carenze di personale, anche se, come detto, il rapporto ebbe a protrarsi per il perdurare di tali carenze; Sembra, quindi, che la fattispecie rientri tra quelle disciplinate dalla citata legge n. 775170 e dal d.P.R. n. 276/71. Occorre ora esi:ninre la disposizione abrogativa contenuta nel citato art. 25 della citata fogge n; 775170; Se si ritiene che con esso si sia inteso porre nel nulla il complesso dell disposizioni che regolavano precedentemente tutto il regime delle assunzioni temporanee, si deve ritenere che all'epoca (1 febbraio 1971) fosse venuta meno anche la sanzione di nullit dei rapporti di lavoro costituiti in violazione di dette disposizfoni;se si ritiene, invece, che it legislatore abbia nteso limitare gli effetti dell'abrogazfon alle disposizfoni che autorizzavano le assunzioni temporanee, mantenendo ferini il divieto e la relativa sanzione di nullit; si deve concludere che all'atto dell'assunzione della Fargetta vigeva ancora il dvieto di cui all'art. 12 primo comma, del d.l.C.p;S. n. 207/1947. L'adunanza Plenaria ritiene che la seconda impostazione interpretativa sia pi coerente con la ratio della legge n. 775/70, la quale, a mezzo della delega al Governo contenuta nel . primo comma dell'art. 25 si proponeva di sostituire integralmente le deroghe previgenti con un sistema diverso, ma non poteva. non tener fermo il generale divieto di assunzioni di personale non di ruolo sancito dal primo comma dell'art. 12 del d.l.C.p.S. del 1947, poich, altrimenti, nelle more, sarebbe stata consentita una libert di assunzioni, sia pur temporanea, certamente non voluta dal legislatore. Ne discende che il rapporto di lavoro instaurato dall'Amministrazione della difesa con la Fargetta, ai sensi del citato art. 12, deve ritenersi nullo. Per quanto riguarda la portata di tale comminatoria, l'Adunanza Plenaria richiama le considerazioni svolte nelle decisioni rese in pari data sui ricorsi Frugis e altri contro Comune di Taranto, e Lagomarsino ed altri contro Provincia di Genova in ordine ad una formulazione normativa che, per i suoi caratteri e per le sue .finalit, impone una interpretazione rigorosa, nel senso della nullit intesa in senso civilistico, e pertanto imprescrittibile, insanabile e rilevabile d'ufficio. Da tale impostazione discende una serie di conseguenze, tra le quali la prima che il rapporto di lavoro instaurato con lo Stato in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano, ove sia espressamente prevista una sanzione di nullit del tipo sopra menzionato, sia esso rapporto a termine o a tempo indeterminato, nasce e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rivelatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 294 della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative. Altra conseguenza che in simile circostanza a parte qualsiasi altra considerazione, si appalesa inapplicabile la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato (art. 2 legge 18 aprile 1962, n. 230) in quanto esiste una specifica disciplina del lavoro temporaneo del personale non di ruolo dello Stato. Poich si tratta di prestazioni di fatto, in favore della Pubblica Amministrazione, si prospetta poi il problema relativo all'applicabilit dell'art. 2126 e.civ. da parte del giudice amministrativo. A tal proposito l'indagine relativa alla astratta configurabilit del pubblico impiego rileva sia ai fini della giurisdizione, sia ai fini del merito. Ripartita la giurisdizione sulla base della domanda circostanziata, accompagnata dall'indicazione dell'esistenza di indici rivelatori dell'esistenza del rapporto di pubblico impiego (Cass. n. 5631/81), il giudice amministrativo dovr infatti rigettare la domanda relativa all'applicazione dell'art. 2126 solo laddove ritenga che il rapporto dedotto non sia configurabile come pubblico impiego. Ma ci non si verifica nel caso in esame. Il giudice della giurisdizione si pi volte pronunciato, affermando che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in controversia promossa per conseguire la retribuzione dovuta in relazione a prestazioni lavorative subordinate svolte in favore dello Stato o di enti pubblici non economici, non resta esclusa dalla nullit del relativo rapporto atteso che, sia pure ai limitati fini della retribuzione, l'art. 2126 e.civ. pone una fictio iuris di validit del rapporto nullo (Cass., Sez. Un., n. 2993 del 3 maggio 1986 e n. 2490 del 18 marzo 1988). L'art. 2126 del codice civile, sotto la rubrica prestazioni di fatto con violazione di legge stabilisce che la nullit o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullit derivi dall'illiceit dell'oggetto o della causa. Per stabilire se esso sia applicabile alle prestazioni lavorative di fatto, astrattamente definibili come di impiego pubblico, occorre dunque indagare se nel rapporto sia ravvisabile un oggetto o una causa illecita. Quanto all'oggetto, rappresentato dalla prestazione lavorativa, ci deve senz'altro escludersi. Per quanto, riguarda la causa, l'indagine appare pi delicata, essendo a sua volta definita l'illiceit anche come contrariet a norme imperative (art. 1343 cod. civ). Come accennato, la Cassazione ha peraltro sempre ritenuto che per causa del contratto debba intendersi la funzione economica giuridica (Cass., 15 gennaio 1947, n. 32; 3 giugno 1967, n. 1216; 11 gennaio 1973, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 295 n. 68), posta direttamente dalla norma per ciascun contratto tipieo, e presenti contratti atipici attraverso il limite di rispondenza concreta ad una delle funzioni astratte degne di tutela secondo l'ordinamento. Ha al riguardo precisato che anche per i contratti tipici possibile l'illiceit della causa ove la funzione astrattamente assegnata al contratto dall'ordinamento venga meno nel contratto concretamente posto in essere. D'altra parte, se per norma imperativa s'intendesse quella che detta la sanzione di nullit del rapporto di lavoro posto in essere in contrasto con essa, l'art. 2126 non potrebbe mai trovare applicazione nel caso di nullit del cmtratto. Ne consegue che l'illiceit della causa in subiecta materia deve ritenersi limitata alle altre due ipotesi tipiche di causa illecita individuate nell'art. 1343 cod. civ. (contrariet all'ordine pubblico o al buon costume), ovvero l'individuazione dell'imperativit delle norme ai fini che ne interessano deve esser fatta in base a parametri diversi da quello della sanzione di nullit. La Corte Costituzionale, riprendendo un indirizzo gi tracciato dalla Cassazione (Cass., Sez. Un., 11 gennaio 1973, n. 63), si recentemente pronunciata su tale argomento (sent. 14-19 giugno 1990, n. 296) affermando testualmente che l'illiceit che, ai sensi dell'art. 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro, non pu ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalit, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con princpi basilari pubblicistici dell'ordinamento. Nel caso di specie non pu ritenersi violato nessun principio fondamentale perch il rapporto di lavoro temporaneo nello Stato sempre stato previsto, anche se stato assoggettato a precisi limiti temporali (da ultimo anche dalla legge 28 dicembre 1988, n. 554). E, riprendendo la citata sentenza della Corte Costituzionale la violazione di un limite temporale dettato dalla legge per ragioni che non attengono a princpi giuridici ed etici fondamentali dell'ordinamento non si riflette in un giudizio di illiceit della prestazione di lavoro , L'Adunanza Plenaria condivide l'accennata impostazione, nella considerazione che intenzione del legislatore tutelare le prestazioni esplicate effettivamente dal lavoratore, a meno che il contratto nullo che ha reso di fatto possibili tali prestazioni, non urti, con la partecipazione di entrambi i contraenti, con indirizzi vitali per l'integrit dell'Ordinamento. Le stesse considerazioni possono essere svolte per l'ipotesi di cui all'art. 1344 cod. civ., che estende l'illiceit della causa al caso in cui il contratto costituisca il mezzo per eludere l'applicazione di norme imperative. Pu aggiungersi che nel caso del negozio in frode alla legge le parti pongono in essere una dichiarazione negoziale effettivamente voluta da entrambe, al fine di eludere una norma imperativa. 296 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel caso che ne occupa, invece, le parti nulla hanno dichiarato, n risulta la volont fraudolenta, avendo esse semplicemente posto in essere un rapporto di lavoro di fatto collegato ad esigenze reali, sia pure in violazione di un divieto assoluto. Potrebbe al massimo ricadersi nel caso della simulazione (emergente dal pagamento delle prestazioni sulla base di fatture di quasi costante importo). Non ogni simulazione nasconde per una ipotesi di frode alla legge. Deve pertanto concludersi che nella fattispecie l'incarico attribuito dall'appellante si risolto in un rapporto avente le caratteristiche del pubblico impiego; che tale rapporto nullo in forza di quanto disposto dall'art. 12 del D.L.C.P.S. n. 207/1947; che alle prestazioni di fatto rese dalla Fargetta deve applicarsi l'art. 2126 cod. civ., con tutte le conseguenze retributive e previdenziali connesse. L'appello deve pertanto essere accolto nei limiti sopra descritti. CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 16 marzo 1992 n. 8 -Pres. Crisci -Est. Bozzi -Ministero dei Trasporti (avv. Stato Cocco) c. Denitto e altro (avv. Recca). ~ Impiego pubblico -Dipendenti dell'Azienda Autonoma di assistenza al volo -Passaggio ad altra Amministrazione -Applicabilit degli artt. 202 T.U. n. 3 del 1957 e 12 d.P.R. n. 1079 del 1970 -Esclusione. Considerata la normale accezione del termine Amministrazione statale , l'Azienda di assistenza al volo non pu qualificarsi come apparte I nente ad essa: l'Azienda ha, infatti, una personalit giuridica del tutto I distinta da quella dello Stato, come espressamente sottolinea l'art. 1 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145 e deve, pertanto, escludersi l'inserimento funI zionale dell'Azienda stessa nell'organizzazione statale (1). Non consentito comprendere anche l'Azienda autonoma di assistenza al volo nel novero delle amministrazioni alle quali riferire la sfera di operativit degli artt. 202 del t.u. n. 3 del 1957 e 12 del d.P.R. n. 1079 del 1970 -relativi al divieto della c.d. reformatio in peius del trattamento economico raggiunto dall'impiegato nell'ipotesi di un mutamento di carriera nell'ambito dell'organizzazione burocratica dello Stato -perch non ricorrono a tal fine le condizioni richieste da tali norme (2). I (1) Su:lle aziende autonome e la loro natura cfr. P. VIRGA, Manuale di diritto amministrativo, I, Milano, 1991, 58 e segg. ! (2) Sul divieto di reformatio in pejus nel pubblico impiego cfr. Cons. I Stato, Sez. V, 21 dicembre 1985, n. 26, in Cons. Stato, 1985, I, 1561; in dottrina, j si veda P. VIRGA, Il pubblico impiego, Milano 1991, 243. II I I I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (omissis) Viene sottoposta all'Adunanza Plenaria la questione della applicabilit dell'art. 12 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (in relazione all'art. 202 del d;P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) a due dipendenti dell'Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale, transitati al Ministero dei Trasporti. Quest'ultimo; con gli atti di appello, contesta che nei casi in esame possa trovare applicazione il meccanismo, contemplato dal citato art..12, di rideterminazione del trattamento economico goduto dagli interessati quali dipendenti del Ministero dei Trasporti, con riferimento al precedente trattamento economico, presso l'Azienda di assistenza al volo. A suo avviso l'Azienda, ente pubblico non economico distinto dallo Stato, non pu essere. qualificata amministrazione dello Stato ai sensi e per gli effetti delle su richiamate disposizioni. Gli appelli sono fondati. Nell'accogliere la domanda dei ricorrenti, il TAR ha affermato che l'Azienda di assistenza al volo svolge funzioni proprie dello Stato e che pertanto da ricomprendere tra i c.d. enti strumentali rispetto allo Stato e perci legati a questo da vincoli di soggezione . Dal canto loro gli appellati, contestando le tesi svolte dalla difesa della Amrilinistrazione, richiamano, fra l'altro, la legge 7 agosto 1990, n. 248, la quale prevede che per il trattamento di quiescenza e di previdenza dei dipendenti dell'Azienda trovino applicazione le disposizioni del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092; delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato. Sicch, secondo il TAR e le pari appellate, la statizzazione della Azienda risulterebbe in modo evidente dal modello di organizzazione tracciato dall'ordinamento dell'Azienda stessa, contenuto nel d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, e caratterizzato dalla natura della attivit dell'Ente, nonch dalla intensit dei poteri di direttiva e di controllo, anche di merito esercitati dallo Stato. Ritiene l'Adunanza Plenaria che, considerata la normale accezione del termine Amministrazione statale l'Azienda di assistenza al volo non possa qualificarsi come appartenente ad essa. L'Azienda ha, infatti, una personalit giuridica del tutto distinta da quella dello Stato, come espressamente sottolinea l'art. 1 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145. Per le stesse ragioni l'Azienda di assistenza al volo non pu essere assimilata ad una azienda statale autonoma, inquadrata organicamente nell'Amministrazione dello Stato. Essa, infatti, non dotata di mera autonomia amministrativa, finanziaria e contabile nell'ambito dell'apparato statale, ma nettamente separata dallo Stato essendo munita di un proprio patrimonio giuridicamente distinto da quello dello Stato (art. 18 d.P.R. n. 145 del 1981), avendo propri amministratori e revisori (art. 7 seg.), - RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 298 avendo dipendenti con un proprio stato giuridico (art. 26) e costituendo, insomma, un centro di riferimento di rapporti, di diritti e di obblighi che non sono imputabili allo Stato Amministrazione e neanche allo Stato Ordinamento. Ora, come noto, stato in pi occasioni affermato dalla giurisprudenza, che l'art. 202 del T.U. n. 3 del 1957 prevede l'attribuzione di un assegno personale utile a pensione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica solo nel caso di passaggio di carriera presso la stessa amministrazione o diversa amministrazione, ma anche essa statale (Sez. VI, 20 febbraio 1970, n. 102; Sez. IV, 2 luglio 1969, n. 333). Si , al riguardo, osservato (Cons. Stato, Sez. IV, 21 novembre 1958, n. 878) che l'intento del legislatore stato quello di conservare al personale che passi da uno ad altro ruolo della stessa o di altra Amministrazione, la posizione economica acquisita al momento di passaggio (favorito attualmente dall'orientamento verso la mobilit), in modo che mai il mutamento di carriera nell'ambito dell'Organizzazione burocratica dello Stato possa comportare, per gli interessati, un regresso nel trattamento economico raggiunto. E di regresso pu parlarsi confrontando posizioni omogenee nel contesto di un sistema burocratico unitario, entro il quale il dipendente statale si sposti con le modalit previste per il passaggio ad altra Amministrazione o ad altra carriera (v. art. 199 e 200 del Testo Unico n. 3 del 1957) e non attraverso una libera vicenda di dimissioni e di riammissioni nel servizio statale. Sotto gli accennati profili, dunque, la normativa invocata dagli interessati non appare applicabile. Il Collegio non ignora che alcune pronunzie hanno affermato che il citato art. 202 del Testo Unico del 1957 ed il meccanismo da esso contemplato possono trovare applicazione dilatando o travalicando l'area dello Stato-Amministrazione in senso stretto, inteso come soggetto di diritto al cui interno si articolano varie branche operazionali. Cos, l'art. 202 e il collegato art. 12 del d.P.R. n. 1079 del 1970 sono stati ritenuti estensibili a favore di dipendenti gi appartenenti al personale della Banca d'Italia, dell'Amministrazione per le Attivit Assistenziali Italiane ed Internazionali, del Senato della Repubblica e delle Universit, sulla motivazione che l'attribuzione a quegli organismi e istituzioni di una sfera giuridica distinta sotto altri aspetti dallo Stato Amministrazione, e di una particolare autonomia non di mera esecuzione, non costituisce circostanza idonea a escludere l'operativit del meccanismo contemplato dalle su citate disposizioni. Si tratta non dell'applicazione di un principio generale, ma di situazioni eccezionali in cui si ritenuto di poter pervenire ad una interpre PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA tazione estensiva delle norme citate, tenendo conto, caso per caso, dello strettissimo collegamento funzionale degli Organismi presi in considerazione con lo Stato, con i suoi fini e con i suoi poteri essenziali, ovvero dell'appartenenza degli interessati alla categoria dei funzionari dipendenti dallo Stato, anche se fuori dall'ambito dell'Esecutivo. Nella materia, che qui interessa, dei dipendenti degli enti pubblici, pu ritenersi che l'accennata interpretazione estensiva sia percorribile, di massima, per i cosiddetti enti-organi, o organi con personalit giuridica o uffici entificati . Si tratta di una categoria limitata in cui l'attribuzione della qualifica di organo sta a. sottolineare l'assoluta e connaturale essenzialit per lo Stato delle funzioni esplicate dall'ente, e in cui il conferimento della personalit giuridica appare frutto di contingenti valutazioni relative all'opportunit di un distacco dalle normali regole in vigore presso l'Amministrazione statale. Nei predetti casi, in altri termini, vi pi l'apparenza che la sostanza di una separazione fra enti pubblici e Stato, costituendo essi una sostanziale unit, caratterizzata dalla immedesimazione tecnologica e funzionale. Sembra per inammissibile dilatare l'interpretazione in modo da ricomprendere nell'ambito della normativa di cui all'art. 202 del Testo Unico, i dipendenti di tutti gli enti pubblici c.d. strumentali, a prescindere dalle accennate, eccezionali caratteristiche. Non pu dirsi, infatti, che gli enti parastatali o strumentali svolgano indiscriminatamente compiti istituzionalmente statali, e che, perci, siano Stato. Al di fuori della contingente disciplina normativa delle singole fattispecie, infatti spesso arduo, specialmente in materia di servizi di utilit pubblica, tracciare il confine fra attivit proprie dello Stato e attivit da esso distinte (si pensi alle vicende delle ferrovie, degli enti pubblici economici, delle partecipazioni statali, della Banca d'Italia, ecc.). Vero , invece, che gli enti parastatali o strumentali svolgono, in genere, attivit complementari a quella dello Stato e soggette a un intenso controllo statale, non attivit statali; sono vicini allo Stato, e a volte indispensabili per lo svolgimento della sua attivit, ma non sono Stato. Nel caso di specie, va considerato che l'Azienda autonoma di assistenza al volo non un organo-ente, poich non esiste un rapporto di immedesimazione organica con l'Amministrazione .Statale, pur se lo Stato ha poteri di direttiva, esercita un penetrante controllo, anche di merito, e pur se altri aspetti organizzativi dell'Ente si richiamano alla disciplina vigente per l'Amministrazione statale. D'altra parte i compiti dell'Azienda, quali sono indicati negli artt. 3 e 4 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, hanno natura prevalentemente tecnica e, pur se appaiono rilevanti per l'interesse collettivo, non determinano 300 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO una coessenzialit fra organizzazione dell'ente e organizzazione statale (come accade, del resto, per altri servizi esercitati da enti vari). Deve conseguentemente escludersi l'inserimento funzionale dell'Azienda nell'organizzazione dello Stato. Deve altres escludersi che il vigente ordinamento assegni all'Azienda una collocazione tale da indurre a considerarla riconducibile nell'ambito dello Stato-Comunit (o dello Stato-Ordinamento), come pu ipotizzarsi per talune Amministrazioni indipendenti o per taluni settori amministrativi appartenenti a poteri statali diversi dall'organizzazione governativa. Per le considerazioni sopra svolte, non pertanto consentito comprendere anche l'Azienda autonoma di assistenza al volo nel novero delle amministrazioni alle quali riferire la sfera di operativit dei pi volte citati artt. 202 del T.U. n. 3/1957 e 12 del d.P.R. n. 1079/70, non ricorrendo a tal fine le condizioni richieste da quelle norme (a parte le modalit particolari con cui si attuato, nella specie, l'inserimento degli interessati dall'Amministrazione statale nell'ente, il successivo distacco dall'Ente, e la riammissione in servizio statale). Per le esposte considerazioni, gli appelli debbono essere accolti, con la conseguente totale riforma delle sentenze appellate. I I CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 238 -Pres. Paleologo -Est. Santoro -Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato ~ Laporta) c. Catrical ed altri (avv. Marzano). Impiego pubblico -Stipendi, assegni e indennit -Indennit di funzione dei magistrati e indennit di presidenza -Cumulabilit. L'indennit ex art. 8 legge 8 agosto 1985 n. 455 (c.d. indennit di Presidenza spettante al personale comunque in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) cumulabile con l'indennit di funzione di cui all'art. 3 legge 19 febbraio 1981 n.27, spettante ai magistrati ed equiparati, indipendentemente dall'effettivo esercizio di funzioni giurisdizionali, o di difesa giudiziale e consulenza alle Amministrazioni. (omissis) L'appello infondato. La questione di diritto da risolvere nella presente controversia consiste nello stabilire se alla corresponsione agli appellati della c.d. indennit di Presidenza di cui all'art. 8 della legge 8 agosto 1985, n. 455, sia di ostacolo il divieto di cumulo stabilito dal capoverso del medesimo articolo, secondo cui tale indennit sostituisce ogni altra indennit o compenso dovuti in relazione all'espletamento delle effettive prestazioni ordinarie di servizio o comunque connessi all'espletamento di compiti di istituto, e ci in relazione alla speciale indennit non pensionabile c.d. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 301 di funzione di cui all'art. J della legge 19 febbraio 1981, n. 27 ed agli artt. 1 e 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425, goduta dagli appellati nel periodo in cui essi hanno anche prestato servizio. presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il problema consiste, in particolare, nello stabilire se l'indennit ex legge n. 27/1981 abbia natura retributiva ovvero indennitaria e, comunque, se essa sia connessa con 1a prestazione effettiva di servizi non pi espletati dagli appellati a seguito del comando o distacco od altra forma dt applicazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nella seconda ipotesi infatti non soltanto opererebbe il divieto di cum.lo sopra esaminato, ma sorgerebbe anche l'onere per gli interessati di scegliere tra le Indennit o compensi goduti presso l'Amministrazione di appartenenza e. l'indennit ex art. 8 legge 455 cit., giusta l'ultimo comma di tale articolo. Il criterio per la disamina del problema stato individuato dal parere della I Sezione del Consiglio di Stato 15 giugno 1988, n. 1519. Sulla base delle indicazioni contenute nella decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 16 dicembre 1983, n. 27, circa la natura strettamente retributiva dell'indennit ex legge n. 27/1981 e n. 425/1984 in quanto legata allo status di magistrato (o di avvocato o procuratore dello Stato) e non gi all'effettivo ed attuale esercizio delle funzioni giurisdizionali (o di difesa giudiziale e consulenza alle Amministrazioni), il richiamato parere ha concluso per la piena compatibilit di questa con la diversa indennit c.d. di Presidenza . Depongono a favore delle tesi qui condivise pure circostanze ulteriori. L'indennit c.d. di funzione soggetta al medesimo sistema di rivalutazione periodica previsto per lo stipendio tabellare. Compete anche a soggetti che occasionalmente assumano lo status di magistrato, ed indipendentemente dall'effettivo esercizio delle relative funzioni (cos la legge 25 ottobre 1982, n. 795 che l'ha estesa ai giudici popolari). Di essa espressamente esclusa la pensionabilit e la computabilit ai fini della determinazione delle indennit parlamentari; esclusioni queste che resterebbero prive di significato se non riferite ad emolumento di carattere retributivo. corrisposta in ratei mensili, insieme con lo stipendio tabellare e le altre voci stipendiali. Ed soggetta al medesimo trattamento tributario dei redditi di lavoro dipendente, dimodoch il collegamento dell'indennit in questione con gli oneri inerenti allo svolgimento dell'attivit resta soltanto formale. N infine inutile ricordare che il divieto di cumulo, anche a seguito dell'interpretazione qui accolta, conserva la sua logica in relazione a tutte quelle indennit aventi carattere di premio o compenso incentivante, incompatibili come tali con l'indennit di Presidenza , in quanto stret tamente collegate ad un'attuale prestazione del servizio presso l'Am ministrazione di provenienza ed alla produttivit del medesimo.( omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 2 aprile 1992 n. 4017 Pres. Corda -Est. Carbone -P. M. Donnarumma (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta) c. Ospedali civili di Brescia (avv. Carboni Corner). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Imposte indirette -Atti impugnabili -Avviso di liquidazione preceduto da avviso di accertamento di valore -Impugnabilit per contestare la debenza dell'imposta proporzionale. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). L'avviso di liquidazione dell'imposta di registro anche se preceduto dall'avviso di accertamento di valore, impugnabile su tutto quanto at~ tiene alla liquidazione dell'imposta (1). I (omissis) Con il primo mezzo del proposto ricorso, l'Amministrazione I I ili finanziaria censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicalli Im zione dell'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 lamentand la mancata declaratoria di inammissibilit del ricorso del contribuente avverso l'avviso di liquidazione di imposta in quanto non preceduta dall'impugnazione dell'avviso di accertamento da considerarsi presupposto indispensabi!e II del secondo. In altri termini, se il contribuente non impugna l'avviso di accertamento decadrebbe in ogni caso dal diritto di impugnare successivamente la liquidazione, l'ingiunzione, il ruolo e l'avviso di mora per vizi che non siano loro propri. @ (1). Decisione esatta. Per antica tradizione nelle imposte indirette sul trasferimento della ricchezza vi sempre stata una netta separazione (a cui un tempo corrispondeva anche una distinta competenza degli organi del contenzioso) tra atti relativi alla determinazione della base imponib'le (accertamento di valore, un tempo concordato) e atti relativi aHa determinazione dell'imposta con riferimento ad una base imponibile anteriormente definita (ingiunzione e poi avviso di liquidazione). Tale separazione conservata nelle norme sostanziali e processuali deHa riforma: l'accertamento di maggior valore contiene soltanto l'indicazione di un valore ed impugnabile solo per ragioni estimative; successivamente e separatamente interverr l'avviso di liquidazione che, sulla base del valore predeterminato, liquider l'imposta e sar impugnabile soltanto per ragioni di imponibilit. Questo tradizionale assetto, che invero appesantisce i procedimenti, tende ad essere superato: gli artt. 34 e 35 del t.u. sull'imposta di successione (d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 346) stabiliscono che l'Ufficio del registro provvede con lo PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 303 La censura infondata. Nella fattispecie pacifico in punto di fatto che l'Ufficio del Registro di Brescia ha notificato agli Ospedali civili di Brescia avviso di accertamento di maggior valore in data 5 novembre 1981 e che detto accertamento divenuto definitivo ed inoppugnabile per mancanza di contestazione, avendo il contribuente ritenuta esatta la valutazione degli immobili compiuta dal Fisco. Successivamente il Fisco ha notificato in data 11 maggio 1982 avviso di liquidazione applicando sui valori non contestati l'imposta proporzionate. Avverso quest'ultimo avviso, impugnabile autonomamente ai sensi del comma 1 dell'art. 16 del richiamato d.P.R. 636/1972, il contribuente presenta ricorso contestando unicamente la misura dell'imposta, in quanto considera illegittima quella proporzionale applicata dall'ufficio, mentre ritiene corretta quella fissa da applicare sulla non opposta e definitiva valutazione. Ci nonostante secondo il Fisco dovrebbe dichiararsi inammissibile il ricorso avverso l'avviso di liquidazione d'imposta in quanto non preceduto dall'impugnazione dell'avviso di accertamento da considerarsi atto presupposto. Ma l'argomentazione non regge ove si pensi che l'oggetto della controversia attiene alla misura dell'imposta, proporzionale o fissa, in relazione alla quale l'accertamento di valore non esplica alcun rilievo e non pu pertanto atteggiarsi ad atto presupposto della successiva liquidazione. Questa autonomia, relativa al tipo di liquidazione e cio all'imposta in concreto applicabile, tra avviso di liquidazione e avviso di accertamento trova piena conferma nella norma del citato art. 16 sotto un duplice profilo. Da un lato, la norma al terzo consente espressamente l'impugnazione dei c.d. atti conseguenti quali l'ingiunzione, il ruolo e l'av stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta. Resta ancora l'antica separazione per l'imposta di registro. In base al sistema tradizionale pu bene accadere che la determinazione della base imponibHe, che pu anche essere il risultato di un laborioso giudizio, pu rivelarsi irrilevante se in altra sede si stabilir che dovuta l'imposta fissa (si ricordano tuttavia i casi, pi frequenti in passato, in cui si doveva proce dere aH'accertamento di valore, nell'osservanza del termine, per l'eventualit che a seguito della decadenza da agevolazioni dovesse liquidarsi l'imposta pro porzionale). La contestazione dell'avviso di liquidazione per ragioni di imponibilit pu incontrare un limite, di natura sostanziale, nel principio della consolidazione del criterio di tassazione: se l'ufficio in sede di liquidazione dell'imposta prin cipale ha liquidato e percepito l'imposta proporzionale liquidata con un deter minato criterio (il che presumibile se poi l'ufficio ha proceduto ad accerta mento di maggior valore), quel criterio non sar contestabile se entro tre anni non stato domandato il rimborso dell'imposta principale ex art. 77 d.P.R. n. 131/1986 e art. 42 comma 2 d.P.R. n. 346/1990: non infatti ammissibile che l'imposta principale sia liquidata con un criterio (ad es. aliquota 8 %) e l'imposta completamente con un criterio diverso (ad es. aliquota 1% o fissa) . ,,,.""....Jr... RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 304 viso di mora senza l'impugnazione dell'atto presupposto quando si tratti di vizi propri ed autonomi del singolo atto; e la sola misura dell'imposta, fissa o proporzionale, costituisce un vizio proprio dell'avviso di liquidazione che non richiede affatto la preventiva impugnazione dell'atto presupposto. Dall'altro, da un esame attento della normativa, si evince che il legislatore mentre per l'ingiunzione, il ruolo e la mora ha creato tranne che per i vizi propri -questo collegamento con l'atto presupposto che pu essere uno dei due avvisi (accertamento o liquidazione), una siffatta conseguenzialit non ha posto invece tra gli stessi, cio tra avviso di accertamento ed avviso di liquidazione. In altri termini, erra il ricorrente quando vuole porre sullo stesso piano dell'ingiunzione, del ruolo e della mora, l'avviso di liquidazione, perch il legislatore ha considerato entrambi gli avvisi come atti presupposti senza porre alcuna conseguenzialit tra accertamento e liquidazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 aprile 1992 n. 4085 -Pres. Favara -Est. Olla -P. M. Romagnoli (conf.) -Ravaioli (avv. Ravaioli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari -Fabbricati -Procedimento catastale -Classamento Motivazione -Requisiti. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari -Fabbricati -Ricorso contro il classamento -Motivi. (d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 74 e 75). L'atto di classamento di un fabbricato sufficientemente motivato con la sola indicazione dei dati oggettivi della categoria e della classe (1). Il ricorso contro il classamento sull'applicazione della categoria e della classe inammissibile ove non contenga, a norma dell'art. 75 del d.P.R. 1 dicembre 1949 n. 1142, l'indicazione delle unit immobiliari della stessa zona da assumere a raffronto. Il ricorso contro il classamento sulla consistenza inammissibile, a norma dell'art. 74 dello stesso d.P.R., se non allegata la planimetria dell'unit immobiliare o non depositata la somma necessaria per la spesa occorrente per la verifica d'ufficio (2). (omissis) 1. -La Corte d'appello di Roma ha affermato che tutte le censure formulate da Parisio Ravaioli nei confronti della decisione della Commissione tributaria di secondo grado in Roma che aveva rigettato (1-2) Sulla prima massima v. Cass. 17 novembre 1983, n. 6854, in questa Rassegna, 1984, I, 161 e Corte Cost. ord. 10 marzo 1988, n. 296. l'~li. s~vv, GIURI;$J'l,lUDBN,:zlA TRIBU'l'A!UA . . . . .. . =,,=~~==:n:1as.:!'Z:;::s=:~ ragi()l:li .> > .... .. < .. . .. . .. . . . . ... ........ . . . . . ma~11s1~~1f:@ di c.(a!I'art. 75, c, 1. d.:.R. 19 dicembre 1949, .11.1142. . . . . . . . -~=:~~ reg9lare plaJliD.)e?'ia dell'unit~ imlll()bili~re urbma; fit1llata da ingegnere o arcJ:iitett() opetjtoedile eguimento di proventi a fronte di costi ed oneri dedotti o di passivit~ . iscritte in bilancio in precedenti periodi di imposta e quelle derivanti dalla sopravvenuta insussistenza di costi o di oneri dedotti o di passivit iscritte in bilancio in precedenti periodi di imposta), aggiullgei al. secondo comma, che sono inoltre considerati sopravvenienze attive: a) le somme in, danaro e i beniin natura ricevuti a titolo di contributo o di liberalit, ad esclusione dei. contributi in conto esercizio corrisposti in base a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici; ( ... omissis ... ). Poich la equiparazione delle somme di cui alla lettera a) alle sopravvenienze attive stabilita ai fini del precedente comma (cio ai fini del concorso dei relativi importanti alla formazione del reddito d'impresa), l'espressa esclusione dei suddetti contributi statali significa inequivocabilmente che essi non costituiscono componenti del reddito dell'impresa (art. 55 ultimo comma). Ma soprattutto la collocazione dei contributi fra i componenti (apparentemente) attivi del reddito si spiega perch, essendo i contributi vincolativamente destinati all'investimento in beni strumentali, entra in gioco l'ammortamento; ma puntl,lalmente l'art. 68 stabilisce che la deduzione delle quote di ammortamento ammessa in misura non superiore a quella risultante dall'applicazione al costo dei beni, a lordo degli eventuali .contributii di terzi, .dei coefficienti stabiliti con decreto ministeriale. Si ha quindi che i contributi che figurano come componenti attivi di recldito (sopravvenienze) figurano anche come componenti passivi (parte delle quote di ammortamento). In sostanza il d.P.R. n. 597, pur adottando una pi sofisticata impostazione, non si discosta dal principio, logico e oggettivo; affermato :nel T.U. del 1958. Ma lo stesso principio seguito anche riguardo ai contributi in conto esercizio. vero che di questi contributi non si parla, ma ci non autorizza l'affermazione che essi siano un elemento neutro. Non era necessaria una espressa considerazione perch in base all'art. 52 il reddito dUmpresa (che non definito autonomamente) costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo di imposta determinati in base al conto dei profitti e delle perdite con le variazioni derivanti dai criteri stabilitii nelle successive disposizioni del titolo V. E poich non dubbio che i contributi in conto esercizio devono necessariamente figurare nel conto dei profitti e delle perdite (art. 2425-bis n. 12 codice civile), s che sarebbe falso il conto economico nel quale i contributi percepiti risultassero occultati, e poich nessuna norma del titolo V consente di appor 312 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e sono, pertanto, intassabili, a condizione che risultino corrisposti in conto esercizio e trovino la loro fonte in norme di legge. N giova alla ricorrente affermare che essa non ha mai preteso di tassare quelle somme come tali (giacch oggetto del tributo il reddito, e quindi una differenza tra costi e ricavi). infatti, evidente che, ove si seguisse la tesi della Finanza, gli importi dei contributi in questione, comunque considerati, determinerebbero un corrispondente aumento dei componenti attivi del reddito ed un conseguenziale aumento degli utili netti assoggettabili ad imposizione. Sono, pertanto, infondati i profili di censura fin qui esaminati. 4) N hanno maggior consistenza i rilievi critici che sembrano far leva sulla oggettiva natura di ricavi delle somme corrisposte dallo Stato per i titoli pi volte indicati, sicch queste somme concorrerebbero alla formazione del reddito d'impresa -a quanto dato comprendere -in forza della disposizione generale di cui all'art. 53 del d.P.R. n. 597/73 (della quale, peraltro, non viene specificamente denunciata la violazione o l'omessa applicazione), piuttosto che ai sensi dell'art. 55. Questa tesi si basa sulla considerazione che, ove l'impresa esponga tra i costi di esercizio gli interi importi della contribuzione previdenziale a suo carico e degli interessi dovuti all'Istituto mutuante, nonostante che una parte di tali oneri sia pagata dallo Stato agli enti creditori, risulterebbero contabilizzate come passivit nel bilancio (e come costi nel conto economico) somme che non rappresentano costi effettivi per l'im tare al conto una variante in diminuziione, incontestabile che i contributi in conto esercizio debbono figurare aN'attivo. Si potr discutere su quale posta dell'attivo detti contributi debbono correttamente figurare (il che irrilevante in termini di risultato); comunque secondo la pi affermata tecnica aziendalistica che deve presiedere alla formazione del bilancio (art. 15, ultimo comma, d.P .R. n. 600/1973) i contributi in conto esercizio vanno collocati fra i ricavi. Non corretto procedere alla esegesi delfart. 53 per stabilire se nelle definizioni in esso contenute possono essere ricompresi i contributi. L'art. 53, come tutte le successive disposizioni del titolo V, vanno lette come derogatorie alle regole civilistiche e contabili del bilancio; il cardine di ci che entra a comporre il reddito fondamentalmente l'art. 52. Il T.U. sulle imposte sui redditi n. 917/1986 chiarisce all'art. 53 che sono considerati ricavi i contributi in conto esercizio dello Stato e degli altri enti pubblici spettanti a norma di legge, e all'art. 55 che sono considerate sopravvenienze i proventi conseguiti a titolo di contributo diversi da quelli di cui all'art. 53. Questa nuova sistemazione normativa da intendere (piuttosto che interpretativa) come mero perfezionamento testuale, utile ad intendere la portata delle corrispondenti norme del 1973, senza far ricorso all'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42. Non infatti ragionevole supporre che dal 1958 al 1986 la materia dei contributi abbia subito due rivoluzioni copernichiane. C. BAFILE PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA presa, proprio perch parzialmente sostenuti dallo Stato; ne deriverebbe, secondo la Finanza, la necessit di correggere la contabilit aziendale con una posta attiva, sotto forma di credito dell'impresa verso lo Stato, di importo pari a quello dei contributi da quest'ultimo corrisposti, al fine di riequilibrare il rapporto tra costi (reali) e ricavi e di giungere ad una determinazione contabilmente corretta del reddito d'impresa. La Corte non ritiene di poter condividere tale assunto, che risponde forse a rigorosi criteri di contabilit aziendale, ma contrasta con una specifica disposizione della legge tributaria e non tiene conto delle finalit e degli obiettivi perseguiti con le speciali normative che prevedono l'erogazione di incentivi, contributi, agevolazioni alle imprese, nelle pi svariate forme e con le pi diverse modalit. Come gi risulta dalle precedenti considerazioni, i contributi in questione sarebbero considerati sopravvenienze attive (al pari delle altre somme, dei beni e dei valori indicati nel secondo comma dell'art. 55) -e come tali sarebbero tassati -se il legislatore non avesse espressamente disposto, alla lettera a), la loro esclusione dal novero dei componenti attivi del reddito d'impresa. A fronte di una cos chiara espressione della volont del legislatore, evidentemente volta ad evitare qualsiasi decurtazione per oneri fiscali dei contributi corrisposti dallo Stato per insindacabili finalit di politica economica e sociale (ed anche ad impedire -come stato esattamente rilevato -che fossero avvantaggiate le imprese che chiudono il loro bilancio in passivo rispetto a quelle pi sane), non consentito all'interprete eludere la ratio legis con argomenti improntati ad una logica ragioneristica , non compatibile con la diversa logica seguita dal legislatore tributario per esigenze di pubblico interesse, riconducendo i contributi statali alla generale nozione di ricavi per renderli comunque rilevanti agli effetti della determinazione del reddito imponibile. Oltre tutto, ai contributi in esame non si attaglia la definizione dei ricavi dettata dall'art. 53, primo comma, del d.P.R. n. 597/73, secondo cui costituiscono ricavi i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio diretta l'attivit dell'impresa, nonch i corrispettivi delle cessioni di materie prime, materie sussidiarie, semilavorati e merci acquistati per essere impiegati nella produzione, al netto dei relativi sconti, abbuoni e premi . Lo stesso art. 53 indica poi le condizioni alle quali i titoli azionari e obbligazionari e i titoli similari si comprendono fra beni al cui scambio diretta l'attivit dell'impresa (comma secondo); e precisa infine che compreso tra i ricavi il valore normale dei beni indicati nel primo e nel secondo comma destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore o ad altre finalit estranee all'esercizio dell'impresa o assegnati ai soci (ultimo comma). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 314 A nessuna delle suddette categorie di ricavi appaiono riconducibili le somme di cui si discute. Ed il fatto che i contributi statali in conto esercizio, esclusi dalle sopravvenienze attive, non risultino neppure com presi tra i ricavi non certo casuale, ma costituisce conseguenza di una precisa scelfa legislativa nel senso della totale intassabilit dei re lativi importi, indipendentemente dalla loro collocazione nel bilancio civile e nel relativo conto dei profitti e delle perdite (che devono essere in ogni caso redatti secondo criteri di verit e trasparenza, a norma degli artt. 2217, 2423, 2424, 2425 bis cod. civ.): scelta successivamente mutata in favore di un'opzione opposta, come chiaramente emerge dal confronto tra il testo dell'art. 53 del d.P.R. n. 597/73, inanzi riportato, e quello dell'art. 53 del nuovo T.U. delle imposte dirette, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 ed entrato in vigore il 1 gennaio 1988, il quale espressamente include tra i ricavi i contributi in conto esercizio dello Stato e di altri enti pubblici spettanti a norma di legge (comma primo, lettera f), escludendoli per tale ragione dalle sopravvenienze attive (art. 55, comma terzo, lettera b). La Corte, in conclusione, ritiene che, nel regime della imposizione sui redditi di cui ai dd.PP.RR. 29 settembre 1973 nn. 597, 598 e 599, le somme corrisposte dallo Stato o da altri enti pubblici, in base a norme di legge, a titolo di contributi in conto esercizio (come nel caso di parziale fiscalizzazione degli oneri sociali prevista dalla legge n. 102/77 e succ. modif. e di contributo in conto interessi passivi su finanziamenti agevolati a medio termine ai sensi della legge n. 623/59, ancorch non erogate direttamente alle imprese beneficiarie, non concorrono alla formazione del reddito dell'impresa assoggettabile ad IRPEF e ad ILOR, essendo espressamente escluse dalle sopravvenienze attive (art. 55, comma secondo, lett. a cit. d.P.R. n. 597/73) e non risultando compresi tra i proventi costituiscono ricavi a norma dell'art. 53 dello stesso decreto. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 8 aprile 1992 n. 4302 -Pres. Bologna Est. Lupo -P. M. Amirante (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. soc. Montefiorino. Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Societ -Cambiamento della sede legale -Dovere di comunicazione all'ufficio -Notifica a mani del legale rappresentante -Sostituzione -Omessa comunicazione all'ufficio Irrilevanza. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36 e 60; e.p.e. art. 145; e.e. 2450 bis). Le societ hanno il dovere di comunicare all'ufficio tributario le variazioni di indirizzo della loro sede legale o amministrativa agli effetti PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 315 delle notificazioni; non invece prescritto il dovere di comunicare la sostituzione della persona del legale rappresentante. Pertanto nulla la notifica che, risultata impossibile presso la sede legale non pi attuale, sia stata eseguita a norma del terzo comma dell'art. 145 c.p.c. personalmente al legale rappresentante che non rivesta pi tale qualit per essere stato sostituito con deliberazione pubblicata a norma dell'art. 2450 bis e.e. -La nullit insanabile (1). II CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 8 aprile 1992 n. 4308 -Pres. Bologna -Est. Ruggiero -P. M. Romagnoli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli) c. Spano. Tributi bi genere Accertamento Ntificazione Inesistenza di abitazione ufficio o azienda Deposito e affissione presso il comune Insufficienza Ricerche anagrafiche Necessit Omissione Nullit hisana. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60; c.p.c. art. 140). Quando nel luogo indicato come domicilio fiscale non si trova abitazione, ufficio o azienda del destinatario, non si pu procedere alla no1 tifica a norma dell'art. 60 lett. e) del d.P.R. n. 600/1973 (deposito dell'atto e affissione dell'avviso presso il comune) se prima non siano state eseguite ricerche, anche anagrafiche, per rintracciare il destinatario. In difetto la nullit della notifica insanabile (2). (1-2) La tormentata materia delle notificazioni continua a ricevere dalla giurisprudenza interpretazioni non omogenee ma prevalentemente improntate ad un rigore che non tiene conto della realt operativa. Nel caso della prima sentenza una societ in liquidazione aveva trasferito la sede sociale ed aveva sostituito la persona del liquidatore, senza dare alcuna comunicazione all'ufficio; non meritava quindi troppi riguardi. 1' stata invece dichiarata nulla la notifica eseguita, non essendo stata possibile la consegna presso la sede legale non pi attuale, personalmente al liquidatore che risultava dagli atti, in quanto il liquidatore era stato sostituito con deliberazione depositata presso la cancelleria a norma dell'art. 2450 bis codice civile. Se si aggiunge che altre sentenze hanno affermato che nel caso di inesistenza nel luogo indicato come domicilio fiscale di ogni collegamento con il destinatario non possibile la notifica a norma deM'art. 140 c.p.c., che presuppone un impedimento solo temporaneo della consegna nel luogo di effettiva sussistenza di un recapito del destinatario (Cass. 6 dicembre 1978 n. 5753. Foro it. 1979, I, 9, seguita da numerose altre), ed ancora che per le societ non possibile la notifica a norma dell'art. 143 c.p.c. perch la societ sempre reperibile presso la sua sede pubblicizzata (Cass. 1 marzo 1989 n. 1102, in ci:uesta 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 58 e 60 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nonch dell'art. 145 c.p.c. (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.). Nel ricorso si sostiene che la notifica effettuata il 29 dicembre 1977 mediante consegna alla sig.ra Alma Scicluna valida ai sensi del terzo comma del citato art. 145. Invero il trasferimento della sede della societ a r1. Montefiorino -deliberato con atto del 27 novembre 1987 registrato il successivo 1 dicembre -non era opponibile all'Amministrazione finanziaria perch non era stato ad essa comunicato, come prescritto dell'art. 36, secondo comma, del citato d.P.R. n. 600/73. La notifica degli avvisi di accertamento era stata perci tentata presso la vecchia sede sociale (sita in via Ridolfino Venuti) il 20 dicembre 1977, ed essendo risultata ivi impossibile, poteva farsi applicazione del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., che prevede la notifica alla persona fisica che rappresenta l'ente. Tale persona fisica doveva essere considerata la sig.ra Alma I ~ Scicluna, liquidatore della societ, non essendo opponibile all'Amministrazione finanziaria la sostituzione del liquidatore (avvenuta con delibera I del 25 novembre 1977, registrata il successivo 1 dicembre), perch non Ii Rassegna 1990, I, 131), appare chiaro come raggiungere il risultato di una notifica valida pressoch impossibile. Ed infatti altre pronunzie hanno fatto diventare un obbligo la facolt dell'U!ltimo comma dell'art. 145 c.p.c. di eseguire la ! notifica alla persona fisica del rappresentante che sia indicata nell'atto (15 marzo 1989 n. 1296, ivi, 1990 I, 132). Ma ora si aggiunge un altro trabocchetto: la persona fisica del rappresentante deve essere indiv1duata esaminando le risultanze I della cancelleria commerciaie del tribunale; non basta che risulti dall'atto. Pervero tutto questo sistema di barriere qualche volta viene infranto da I altre pronun:Zlie: infatti la sentenza 10 luglio 1991 n. 7650, in questa Rassegna ' ! 1991, I, 329) ha affermato che la notifica validamente eseguita nel luogo indicato nella dichiarazione (del quale non siano state comunicate variazioni ex art. 60, d.P.R. n. 600/1973) anche a norma de~l'art. 140, senza che siano necessarie altre ricerche; si pu cio procedere ex art. 140 anche se nel luogo indicato della societ destinataria non esiste traccia. Questa conclusione ineccepibile: l'ultimo periodo dell'ultimo comma dell'art. 60 del d.P.R. n. 600 chiarissimo in tal senso; ne danno conferma proprio quelle sentenze che ritengono che le societ sono sempre reperibili in una sede dichiarata, sede che per l'ufficio tributario quella indicata nella dichiarazione, anche se diversa da quella pub blicizzata secondo le disposizioni del cod. civ. Questa linea non per sufficientemente chiara e costante, cosicch avviene che l'ufficiale giudiziario che nella sede dichiarata non trova traccia della societ destinataria non procede ex art. 140 e per eccesso di zelo prende altre iniziative o ex art. 143 o ex art. 145 ultimo comma; e qui si urta contro rigori ingiu stificati. La seconda sentenza, che riguarda le persone fisiche, ritiene ammissibile la notifilca a norma della lettera e) dell'art. 60 del d.P.R. n. 600, solo se sonc PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 317 comunicata all'Amministrazione, come prescritto dal primo comma del citato art. 36 del d.P.R. n. 600/73. Il motivo di ricorso infondato. esatta la considerazione iniziale della parte ricorrente, che fa leva sul secondo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 600/73, il quale impone alla societ di dare comunicazione all'ufficio delle imposte della variazione dell'indirizzo della loro sede legale o amministrativa . A tale comunicazione il successivo art. 60, ultimo comma, subordina l'efficacia della variazione rispetto all'Amministrazione finanziaria, nel senso che tale variazione ha effetto dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell'ufficio della comunicazione prescritta dal secondo comma dell'art. 36 , Poich il trasferimento della sede della societ r.l. Montefiorino (da via Ridolfino Venuti a via di Vigna Stelluti), deliberato con atto del 27 novembre 1977, non era stato comunicato all'Amministrazione finanziaria, esso non aveva effetto rispetto alla stessa, onde la sede sociale ove effettuare la notifica degli avvisi di accertamento, a norma del primo comma dell'art. 145 c.p.c., era ancora quella di via Ridolfino Venuti. Dato che la notifica tentata a quest'ultimo indirizzo il 20 dicembre 1977 non pot essere eseguita, sussisteva il presupposto per l'applica state eseguite ricerche, anche anagrafiche, per rintracciare il destinatario nell'ambito del comune in luogo diverso da quello indicato nella dichiarazione. Questo orientamento in netto contrasto con l'ultimo comma dell'art. 60 e con la ragion d'essere della predeterminazione formale del luogo nel quale la notifica pu essere eseguita senza rischi. Le ricerche, anche anagrafiche, di cui menzione nell'art. 148 (che concerne i requisiti della relazione ma non prescrive la necessit di tali ricerche) non hanno ragion d'essere quando deve esistere un luogo predeterminato nel quale la consegna deve avvenire; certamente incongruo parlare di ricerche anagrafiche per le notifiche di cui agU artt. 170, 330, 645 c.p.c. Del resto anche la prima delle sentenze in esame riconosce che la notifica vaLidamente fatta presso la sede dell.a societ risultante dagli atti se della variazione non stata data comunicazione. In conclusione non si pu ammettere che sulle soglie della scadenza di un termine perentorio la validit della notifica possa essere subordinata a ricerche, presso l'anagrafe o presso la cancelleria, che in una grande citt sono laboriose e richiedono tempo. Infine non si pu non esprimere sorPresa per l'affermazione disinvoltamente fatta in ambedue le sentenze che le imperfezioni riscontrate comportano la nullit insanabile (anzi l'inesistenza) della notificazione. Ci si risolve nella soppressione dell'art. 160 c.p.c. che non si vede in quali casi potrebbe operare (in senso contrario Cass. 30 marzo 1988 n. 2670, in questa Rassegna 1988, I, 414). 318 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., e cio la possibilit di notificare gli avvisi di accertamento alla persona fisica che rappresentava la societ. Ma tale persona fisica non era, come ha rilevato la decisione impugnata, la sig.ra Alma Scicluna, che negli atti notificati il 29 dicembre 1977 era indicata come liquidatore, ma che in tale carica era stata sostituita da altra persona con delibera del 25 novembre 1977. L'Amministrazione finanziaria afferma che tale sostituzione le doveva essere comunicata, a norma del primo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 600 del 1973, e che, non essendo stata comunicata, essa non era alla stessa opponibile. Va, in senso contrario, osservato che dal citato art. 36, primo comma, non deriva l'obbligo di comunicare all'ufficio tributario la sostituzione del liquidatore. La citata disposizione, invero, prevede che devono essere inviate alil'udficio delile imposte, entro tre mesi, copia dell'atto costitutivo e delle deliberazioni che lo modificano . La sostituzione dei liquidatori, e cio il cambiamento delle persone dei liquidatori (art. 2450, ultimo comma, e art. 2450-bis cod. civ.), non comporta una modifica dell'atto costitutivo e pertanto essa non pu essere I inclusa tra i fatti che le societ devono comunicare a norma del primo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 600/73. Va, inoltre, osservato che il terzo comma del citato art. 36 prevede I specificamente l'obbligo della societ di inviare al competente ufficio delle imposte, entro trenta giorni, copia della deliberazione o del provvedimento con il quale la societ posta in liquidazione , ma non estende la comunicazione anche alle persone dei liquidatori, ed in particolare al cambiamento delle persone degli stessi. I & Con riguardo a tali cariche la legge tributaria ha, perci, ritenuto suf ~ ficiente la pubblicit generale imposta dall'art. 2450-bis cod. civ., che ~ prevede l'iscrizione nella cancelleria commerciale e la pubblicazione nel BUSARL della nomina e della sostituzione dei liquidatori. Non inutile, infine, osservare che l'art. 60, invocato correttamente dalla parte ricorrente per sostenere la inefficacia rispetto all'Amministrazione finanziaria della variazione della sede sociale ad essa non comunicata, non prevede le conseguenze della inosservanza dell'obbligo di comunicazione imposto nel primo e nel terzo comma dell'art. 36, onde, anche se si volesse ritenere che la sostituzione dei liquidatori deve pure essa formare oggetto di comunicazione, occorrerebbe dimostrare che daHa omessa comunicazione discende lo stesso effetto che l'art. 60, ultimo comma, limita espressamente alla violazione del secondo comma dell'art. 36. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA In conclusione, va confermata la decisione della Commissione tributaria centrale, che ha ritenuto nulla la notifica effettuata il 29 dicembre 1977, ai sensi del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., alla sig.ra Alma Scicluna, dato che la stessa non era pi, dal 25 novembre 1977, la persona fisica rappresentante della societ rl. Montefiorino. (omissis) Il (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, 140 cod. proc. civ. e 21 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 come modificato dall'art. 23 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, e deduce che erroneamente la commissione tributaria centrale avrebbe dichiarato la nullit degli accertamenti per gli anni 1970 e 1971 per irritualit della notifica. Sostiene in particolare: a) che l'omessa indicazione nella relata di notifica delle ricerche anagrafiche effettuate costituiva vizio che sarebbe stato sanato per avere l'atto raggiunto il suo scopo, tanto che il contribuente aveva proposto tempestivo ricorso avverso gli accertamenti; b) che per la notificazione al contribuente irreperibile era sufficiente, a norma dell'art. 38 del d.P.R. 645/1958, il deposito dell'atto nella casa del comune, senza necessit di spedizione di alcuna raccomandata; e) che in ogni caso la c.t.c. avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della notifica. La censura infondata. Deve essere anzitutto precisato che nella specie, essendo stata la notificazione degli accertamenti in questione disposta il 31 dicembre 1977, essa era regolata dall'art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che peraltro, per la parte che qui interessa, corrisponde al disposto dell'art. 38 del d.P.R~ 29 gennaio 1958, n. 645 nel testo risultante a seguito della dichiarazione di parziale Hlegittimit costituzionale di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 26 giugno 1974. Ai sensi della citata mora la notificazione degli atti di accertamento deve essere eseguita secondo le norme degli artt. 137 e seguenti cod. proc. civ. nel comune di domicilio fiscale del contribuente; se per nel suddetto comune non vi abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l'avviso del deposito prescritto dall'art. 140 cod. proc. civ. si affigge nell'albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione (art. 60 lett. e) d.P.R. 600/1973, art. 38 lett. f) d.P.R. 645/1958). 320 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla base, quindi, delle menzionate disposizioni, come questa Suprema Corte ha ripetutamente avuto modo di precisare, soltanto nell'ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il mezzo notificante deve svolgere nell'ambito del comune di domicilio fiscale, in esso non si rinvenga l'effettiva abitazione o l'ufficio o l'azienda del contribuente, la notificazione dell'avviso di accertamento ritualmente effettuata mediante deposito dell'atto nella casa comunale ed affissione dell'avviso di deposito nell'albo del comune, senza necessit di comunicazione all'interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, n di ulteriori ricerche al di fuori del detto comune. Nel caso invece di mancato rinvenimento del contribuente o di altra persona capace e disposta a ricevere l'atto nel luogo di effettiva abitazione o ufficio o azienda del contribuente nel comune di domicilio fiscale, la notificazione va eseguita per intero a norma dell'art. 140 cod. proc. civ., con tutti gli adempimenti ivi prescritti (deposito di copia dell'atto nella casa comunale, affissione dell'avviso alla porta dell'abitazione, spedizione della raccomandata), che sono tutti essenziali per il compimento e la costituzione della stessa fattispecie notificatoria; sicch la mancanza anche di uno solo di essi non costituisce un semplice vizio di una notificazione comunque effettuata, ma esclude proprio che la notificazione possa ritenersi eseguita ed il procedimento di accertamento completato, con la conseguenza che, ove siano trascorsi i termini stabiliti dalla legge per l'accertamento stesso, si determina la decadenza dell'ufficio dal relativo potere che, per il suo carattere sostanziale, non suscettibile di sanatoria per effetto della successiva proposizione di ricorso da parte del contribuente, e tanto meno di trovare rimedio in una rinnovazione della notificazione (cfr. Cass. 7453/90. 4782/84, 2937/84, 2358/84, 1686/84, 723/83 e altre). Nella specie, come ha rilevato la commissione tributaria centrale, la notificazione degli accertamenti in questione stata eseguita direttamente a norma dell'art. 140 c.p.c. (che contempla appunto l'ipotesi del mancato rinvenimento del destinatario o di altra persona atta a ricevere nel luogo di notificazione) mediante il solo deposito nella casa del comune ed affissione nel relativo albo, omettendosi gli altri adempimenti prescritti dalla norma, senza che dalla relata risultasse io svolgimento di ricerche che avessero accertato la mancanza nel comune dell'effettiva abitazione, o ufficio o azienda del contribuente. Correttamente, pertanto, la c.t.c., alla stregua dei principi sopra esposti, ha dichiarato la nullit (rectius: inesistenza) della notificazione degli accertamenti. (omissis) PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 321 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 aprile 1992; n. 4303 -Pres. Scanzano Est. De Musis -P. M. Leo (conf.) -Lazzaroni (avv. Moretti) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zecca). Tributi in genere -Accertamento -Rinnovazione prima della scadenza del. termine AmmisSibilit, Prima della scadenza del termine di decadenza, l'ufficio pu annullare l'accertamento che ritiene viziato e sostituirlo con altro (1). (omissis) Con il primo motivo si deduce che, ritenendo legittima la sostituzione di avvisi di accertamento nulli per l'omessa indicazione delle aliquote con nuovi avvisi privi di tale vizio, e ci entro il termine di decadenza dall'accertamento, la commissione tributaria centrale incorsa in violazione degli artt. 42, secondo comma e 43, u.c., del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 699: perch quest'ultima norma consente la modifica dell'accertamento solo per la sopravvenienza di nuovi elementi e perch l sol~ione adottata: vanificherebbe la dichiarazione d nullit dei primi avvisi... di accertamento eventualmente pronunziata. dalle commissioni tributarie. Il motivo infondato. L'art. 42 dispone che l'avviso di accertamento deve recare indicazione .......delle aliquote applicate .. (secondo comma) e che l'accertamento nullo se l'avviso non reca ... le indicazioni ...di cui al presente articolo (terzo comma). L'art. 43 dispone che gli avvisi di acertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui stata presentata la dichiarazione (primo comma) oppure fino al 31 dicembre del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione (omessa o nulla) avrebbe dovuto essere presentata (secondo comma) e che fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento pu essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell'avviso devono. essere specificati, a pena di nullit, i nuovi elementi e. gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dall'ufficio delle imposte (terzo comma). La normativa stata esaminata sotto entrambi i profili per i quali stata mossa censura e l'orientamento (gi espresso in Cass., 27 aprile 1984 n. 2646 e ribadito, previo esame approfondito, da Cass., 29 marzo 1990 n. 2576), dal quale, in difetto di valide contrastanti argomentazioni, non (1) Si conferma la sent. 29 marzo 1990 n. 2576, in questa Rassegna 1990, I, 352, con nota di C. BAFILB. 12 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si ha motivo per discostarsi, nel senso: che la disciplina dell'art. 43, , comma terzo, non applicabile all'atto di accertamento colpito da nullit perch l'atto giuridico nullo insuscettibile di integrazione o modificazione; che pertanto l'atto di accertamento nullo non di ostacolo alla rinnovazione ex nunc dell'atto stesso in base al potere sostanziale dell'Amministrazione di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo il limite che l'atto rinnovato non costituisce elusione o violazione dell'eventuale giudicato formatosi nel precedente atto nullo. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 aprile 1992 n. 4360 -Pres. Vela -Est. Sgroi -P. M. Iannelli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Borgna. Tributi erariali diretti . Imposte sui redditi Riscossione Controversia sulla spettanza di esenzioni Iscrizione a ruolo a titolo definitivo della intera imposta Iscrizione a ruolo frazionata Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15). L'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, che prevede l'iscrizione provvisoria a ruolo frazionata, presuppone una controversia sulla misura della base imponibile; esso non pu trovare applicazione quando la controversia investe la spettanza delle esenzioni. In tal caso l'imposta va iscritta a ruolo per intero e definitivamente, salvo sgravio o rimborso a seguito del giudicato {1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1992 n. 8399 -Pres. Vela -Est. Grieco Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Rubatti. Tributi erariali diretti Imposte sui redditi Spettanza di esenzioni Negazione Iscrizione a ruolo a titolo definitivo Illegittimit. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 14). L'iscrizione a ruolo a titolo definitivo presuppone la definitivit dell'accertamento ed consentita solo eccezionalmente, nei casi dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, quando debba essere soltanto liquidata (1-2) La prima pronunzia di evidente esattezza, e opportunamente precisa la legittimit della iscrizione a ruolo definitivo anche in pendenza del ri PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 323 l'imposta su un reddito dichiarato. Pertanto ove il contribuente abbia nella dichiarazione considerato esente un reddito, l'ufficio non pu procedere alla iscrizione a ruolo fino a che la controversia sulla spettanza dell'agevolazione non sia definitivamente decisa (2). I (omissis) Il secondo motivo cli ricorso fondato. L'art. 15 del d.PR n. 602 del 1973 (sul quale ha basato la propria sol.zione dela vertenza la. Commissione centrale) si riferisce chiaramente all'ipotesi di reddito o di maggior reddito imponibile accertato rispetto a quello dichiarato dal contribuente -e non ancora definito, in quanto contestato o suscettibile di contestazione nella sua esistenza e nel suo ammontare; e la disciplina dell'iscrizione provvisoria a ruolo, con la sua gradualit, si spiega, appunto, soltanto con la possibilit cli una diversa determinazione del reddito, sulla base delle contestazioni del. contribuente, nel giudizio davanti alle Commissioni, e della maggiore o minore probabilit di una diversa determinazione quantitativa a seconda della fase in cui si trova il giudizio. Non invece compatibile con la suddetta normativa la fattispecie in esame, in cui non vi stato l'accertamento di un reddito o di un maggior reddito non dichiarato, n si fa questione circa la sussistenza o l'importo del reddito stesso, ma si discute soltanto se ricorrano o meno le condizioni dell'esenzione di legge. Il reddito, dato che non oggetto di contestazione, definitivo e non provvisorio, e la controversia non riguarda la sua determinazione quantitativa, ma unicamente la possibilit di. applicare l'esenzione. Fino a che non venga riconosciuta la ricorrenza dell'esenzione, non vi luogo ad un'iscrizione provvisoria a ruolo, ma l'imposta deve essere iscritta a ruolo per intero e definitivamente, salvo sgravio o rimborso a favore del contribuente, ove venga accertato, in sede competente, il diritto all'esenzione. (omissis) corso contro l'atto che revoca (o nega) la spettanza dell'esenzione. Nello stesso senso. Cass. 9 aprile 1991 n. 3718, in questa Rassegna, 1991, I, 121. Non pu invece condividersi la seconda sentenza che capovolgendo l'argomentazione, ritiene iscrivJbili a ruolo a titolo definitivo, ex art. 14 d.P.R. n. 602/1973, solo le imposte definitivamente accertate, senza considerare che sia l'art. 14 che l'art. 15 fanno riferimento alla circostanza che sia o meno controversa la quantit imponibile. Sarebbe certamente illogico escludere totalmente la riscuotibilit di una imposta su w1 reddito certo e dichiarato fino a quando controversa l'imponibilit, mentre si accede a11a riscossione frazionata quando controversa la quantit imponibile. 324 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II (omissis) Il Comune di Loano contest a Pierangelo Rubatti la violazione di norme edilizie per avere, in contrasto con la licenza, trasformato 546 mq di un suo immobile destinato all'industria in appartamenti. Notificato al Rubatti il provvedimento di decadenza dal diritto alla esenzione venticinquennale dalla imposta sui fabbricati, quegli lo impugn vittoriosamente sia in primo che in secondo grado. Successivamente, l'Ufficio delle imposte dirette di Albenga iscrisse a ruolo nel 1976 l'imposta fabbricati per l'anno 1973 relativa al predetto edificio. Avverso la iscrizione a ruolo, il Rubatti propose ricorso sostenendo la illegittimit dell'operato dell'Ufficio in pendenza del giudizio contro il provvedimento di diniego della esenzione venticinquennale. Tanto la Commissione di primo che di secondo grado accolsero la tesi del contribuente annullando la iscrizione a ruolo e disponendo il rimborso della somma pagata. La Commissione tributaria centrale adita dall'Ufficio -con decisione del 17 marzo 1986 -rigett l'impugnazione osservando che non essendo definitivo il provvedimento di ruolo in seguito al ricorso dell'interessato non era legittima la iscrizione in quanto l'art. 14 del d.P.R. 602/72 la consente solo se le relative imposte risultano da accertamenti definitivi; il che non si era verificato nella fattispecie. Contro la decisione ha proposto ricorso per cassazione l'Amministrazione finanziaria dello Stato sulla base di un unico motivo. Motivi della decisione. Con l'unica censura, l'Amministrazione finanziaria dello Stato denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 14, lett. b) del d.P.R. 602/73 e dell'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765 ed afferma che il provvedimento di diniego dei benefici fiscali, in quanto atto di accertamento negativo, non di imposizione, abilita l'Amministrazione ad esercitare il potere-dovere di recupero dell'imposta mediante iscrizione a ruolo; che a detto esercizio non osta la impugnazione del provvedimento perch, non risolvendosi esso in un accertamento in rettifica di quanto dichiarato dal contribuente, all'Amministrazione compete il potere di agire esecutivamente per il recupero dell'imposta fino all'eventuale annullamento di quel provvedimento. La censura non ha fondamento giuridico. L'Amministrazione ricorrente omette di considerare che la iscrizione a ruolo delle imposte costituisce il punto terminale di un procedimento specificamente disciplinato che prevede la notifica preventiva dell'avviso di accertamento. Solo con riferimento alla liquidazione delle imposte dovute in base a dichiarazioni, l'art. 36 bis, comma 2, lett. a d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, attribuisce all'Amministrazione finanziaria il potere di correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai PARTE I, SEZ. V, GIURlSPRUDENZA TRIBUTARIA 325 contribuenti nella determinazione degli imponibili e delle imposte e di procedere direttamente alla iscrizione a ruolo a titolo definitivo ex art. 14 d.P.R. n. 602/73 della maggiore imposta dovuta, delle soprattasse per ritardato pagamento e degli interessi. E, dunque, emerge all'evidenza il carattere eccezionale del procedimento ex art. 36 bis previsto per superare agevolmente, in fase di liquidazione del tributo, situazioni connotate da errori materiali e di calcolo, epperci, idonee ad essere valutate compiutamente con rapidit. Siffatti caratteri fanno salvo -come ha gi rilevato questa Corte: Cass. 4958/89 il principio secondo cui il potere-dovere di rettificare la dichiarazione va esercitato attraverso atti di accertamento rigorosamente motivati proprio perch la specialit della fattispecie, caratterizzata da errori materiali e di calcolo, conferisce all'Amministrazione, attraverso la notifica al contribuente dell'iscrizione a ruolo -e, quindi, con un atto che non prevede alcuna motivazione (per essere stata, questa, espressa nel precedente avviso di accertamento) -la facolt di agire in via esecutiva. E per quel che concerne il caso in esame i rilievi espressi sono, allo stato, sufficienti ritenendo acquisito che esulano dalla disposizione (art. 36 bis) le ipotesi che implicano l'applicazione di norme non considerate dal contribuente; una interpretazione della legge diversa da quella seguita nella dichiarazione; valutazioni o apprezzamenti di fatto difformi; etc., sicch se il contribuente, ritenendo di essere nelle condizioni agevolative, determina conseguentemente il tributo, l'Amministrazione finanziaria che intenda contrastarne l'operato non pu esimersi dal notificare al contribuente l'avviso di accertamento. Nessun carattere risolutivo pu avere, poi, la dedotta qualifica di accertamento negativo che la ricorrente Amministrazione attribuisce al provvedimento di diniego della esenzione venticinquennale essendo intuitivo che il presupposto necessario per la iscrizione a ruolo la notifica dell'avviso di accertamento dell'imponibile in base al quale calcolata la imposta dovuta. In definitiva, l'Amministrazione ricorrente ha effettuato una illegittima iscrizione a ruolo non essendo stato accertato in giudizio il correlativo obbligo del contribuente secondo l'ordinario iter procedurale che -vale rilevarlo -sarebbe stravolto dall'applicazione del principio sostenuto dalla ricorrente secondo cui la dichiarazione di decadenza dalla esenzione venticinquennale abiliterebbe, di per s, e fino a decisione contraria, l'Amministrazione a iscrivere a ruolo l'imposta che ritiene dovuta; risultando evidente, in tal modo, la contraddizione tra questa affermazione e l'altra formulata nel ricorso dalla stessa Amministrazione finanziaria allorch, parlando di potere-dovere di recupero dell'imposta mediante iscrizione a ruolo, presuppone, evidentemente, una imposta legittimamente accertata. Nella specie, inesistente. (omissis) 326 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 aprile 1992 n. 4551 -Pres. Montanari Visco -Est. Carbone -P. M. Zema (conf.) -Soc. OAM (avv. Vacirca) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti Imposta sul reddito delle persone fisiche Accertamento Motivazione Metodo induttivo Determinazione del reddito in base a fatti indice accertati Legittimit. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39; d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, artt. 1 e 15). Ove per l'inosservanza dei doveri formali del contribuente (nella specie presentazione del prospetto delle attivit e passivit esistenti al 1 gennaio 1974 a norma degli artt. 1 e 15 del d.P.R. 23 dicembre 1974 n. 689) l'ufficio abilitato a procedere all'accertamento a norma del secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, la determinazione del reddito legittimamente eseguita sulla base di un dato certo (nella specie consumo di materie prime e sussidiarie) ricostruendo il reddito imponibile presuntivamente (1). (omissis) Con il primo motivo del proposto ricorso la societ contribuente censura l'impugnata decisione per violazione dell'art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo l'accertamento sintetico nonostante che l'intervento della Guardia di Finanza non avesse accertato alcuna evasione d'imposta, dando luogo ad un comportamento contraddittorio che aveva impedito al contribuente di esplicare le proprie difese al fine di contestare la indicazione dei fatti assunti a fondamento della propria pretesa da parte dell'Amministrazione finanziaria. La censura non fondata. L'avviso di accertamento soddisfa l'obbligo della motivazione allorquando pone il contribuente nella condizione di conoscere la pretesa dell'Aro ministrazione finanziaria individuata nel suo petitum e nella causa petendi e conseguenzialmente di difendersi davanti le Commissioni senza che sia necessario che negli avvisi siano specificati tutti gli elementi probatori che potranno essere prodotti anche nel corso del giudizio. Nella specie, l'ufficio, sulla base dei dati e delle notizie offerte dal contribuente e dei rilievi analitici della Guardia di Finanza, poich le societ contribuenti (1) La pronunzia va segnalata in quanto riconosce come a fronte della mancanza di elementi offerti dal contribuente, la determinazione quantitativa del reddito deve necessariamente essere sintetica e approssimativa, affidata cio all'id quod plerumque accidit. Da un fatto indice, quale il consumo di materie prime e sussidiarie, attraverso una operazione di scandaglio, il reddito pu essere ragionevolmente determinato; non si possono pretendere dall'ufficio impossibili anaLisi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA si erano rese inadempienti rispetto all'obbligo imposto dal d.P.R. 689/1974 di redigere e presentare il prospetto, rendendo cos. inattendibili i redditi dichiarati, ha rilevato come il consumo di materie prime (e sussidiarie) risultante dalle dichiarazioni dello stesso contribuente fosse del tutto sproporzionato rispetto ai ricavi dichiarati; proprio dal consumo stesso, in base ai normali rapporti tra consumi e materie prime e produzione dei beni dell/impresa 1la dedotto.i ricavi non dichiaratj. In altri termini, il consumo notevole di materie prime e SJ.tsiiidiarie dichiarato dal contribuente, Ill,a sproporzi0nato rispetto ai ricavi indicati, costituisce ilfatto-indice.rilevante, .fatto certo da cui risalire .al fatto incerto. e cioin via pre,sun:tiva, ai maggic>ri..ricavi oggetto dell'accertamento. Non sussiste inoltre alcuna contraQ,dittoriet nella motivazione per il riferimento ai dati analitici offerti dalllil Guardia di Finanza, dati. che sono il risultato . di. un'operazio.e a scandaglio, perch questi dati analittci Jp..sieme a q1;1.elli forniti dal contribmmte sono insuffiienti per un accei:tainent0 analitico aveni:lo ome$so il contribuente, in violazione. della specifica norma, di .redigere ed inviare n richiesto prospetto,.. facendo co$t scattare. la necessit. per l'ufficio dell'accertamento induttivo (art 15 d.P.R. 689/'1974 e 39 d.P.R. 600/73) che dal fatto. noto perch dichiarato dal contribuente (il consumo di materie prime) risalito al fatto ignoto (i maggiori ricavi non dichiarati) in .base all'id qtwd plerumque accidit. Infine, nella motivazione degli avvisi di accertament0, ben evidente .il .fatto in120 del d.P.R. n. 9l7/S6 e 9be U cC>mWa terz() applicabile ai tei!:litth partire dal 1 getlI,laioJ992.. (sicch Jl. comma secondo dovrebbe ritenersi applicabile anche pdma... se!lZa . talelimite tempPrale).Inver<; il .comma quartC> .(che sposta a. p~ire. dal 1 J'eff~tto. di esd.dere quell'.applica:bilit d.al 1 genn~o 1991 che sarebbe discesa dall'al'.t; 22 e~< la presente legge entta in vigore il giorno success~ vq .a 9"1:lel~o del!asua pubblicazione.1 avv~uta il 31 dicembre J990); ma..~...t:.vl@.te hejl comma: secondo .. si appUcnerclaL1~ gimnaio.1991. :e.opportuno citare le.succ~si:ve vicende; che confermano fasuddetta concb.tsione: con dJ. l'L mai:zo 1991 n.. 62, .art. 2 comma secondo;. sono st1:tte apportate. modifiche alla legge n; 408 del 1990 ed in particolare stato sostituito il comma secondo dell'art 9; il comma terzo del decreto legge disponeva: le mocUficaziom all'art. 51 comma secondo lett. a) ed all'art/ 115 del d.PR. n. 917/86, app<>rtate con l'art. 9 dell L n. 408/90 e con il presente articolo si applicano sta'bilire . se )a n()zione. (li. reddito .. d'hnprel)a. ai fini. delf'IL01l.si11 quell~.stessa .che.co.tenut.a ..ell'art. 51. d.J,>.R n. 597 del 1973; b) fu caso affermativo, occorre tldividuare l'esatta portata del cit. art. 51 (si veda, ora, l'art. 51 del 1:.u. :ri. 917 del 1986, le cui modifiche non interessano la figura dell'agente di commercio). I decreti del 1973 (emanati in base alla delega del 1971) non forniscono la nozione di reddito , .quindi le disposizioni in esse contenute definiscono i singoli redditi (art. 6 d.P.R. n. 597). A sua volta, il d.P.R. n. 599/73 sull'ILOR non contiene alcuna autonoma definizione delle cin 330 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO que categorie di reddito e l'art. 4 dispone che nei confronti delle persone fisiche l'imposta si applica sull'ammontare dei singoli redditi determinato ai fini dell'IRPEF; l'art. 7 dispone in tema di deduzione dai redditi agrari, d'impresa e di lavoro autonomo; l'art. 6 parla di redditi fondiari; l'art. 8 richiama i decreti n. 600 e n. 602; l'art. 11 elenca i redditi di cui al d.P.R. n. 597. Pertanto, le categorie di reddito sono soltanto quelle definite dal d.P.R. n. 597; e il reddito d'impresa quello individuato dall'art. 51, secondo cui tale quello che deriva dall'esercizio di imprese commerciali, con la puntualizzazione che per tale si intende l'esercizio per professione abituale, ancorch non esclusiva, delle attivit commerciali di cui all'articolo 2195, anche se non organizzate in forma di impresa. Pertanto, non ha il minimo rilievo la forma dell'organizzazione e l'assenza dell'azienda organizzata ai sensi dell'art. 2555 e.e. Il terzo comma dispone che i servizi a terzi, diversi da quelli indicati nell'art. 2195 e.e., danno luogo a reddito d'impresa solo se l'attivit organizzata in forma d'impresa. L'agente di assicurazione rientra fra gli esercenti un'attivit ausiliaria, ai sensi del n. 5 dell'art. 2195 (Cass. 1516/73; n. 6770/82). Ai fini tributari non prevista quella distinzione fra attivit organizzata ed attivit prevalentemente personale che posta dall'art. 409 novellato c.p.c. Il t.u. n. 917 del 1986 apporta una modifica che non riguarda gli ausiliari di cui all'art. 2195 n. 5 e.e., appunto perch il presupposto della sua operativit che i servizi prestati non rientrino nell'art. 2195. La sentenza della Corte cost. n. 87 del 1986 non consente di pervenire ad una diversa articolazione del reddito d'impresa, che compito del legislatore, secondo criteri puramente quantitativi che non potrebbero essere affidati all'interprete, caso per caso. Deve seguirsi il criterio qualitativo della legge, che non consente distinzioni di dimensioni dell'attivit dell'agente (a tale esigenza si provveduto con la legge n. 408 del 1990), mentre per il passato, all'esigenza di tener conto dell'apporto del lavoro personale sufficiente il meccanismo delle deduzioni di cui all'art. 7 d.P.R. n. 599 del 1973 e successive modifiche. Nessun argomento pu essere tratto -come ha ritenuto la Commissione centrale -dall'art. 49 ultimo comma del d.P.R. n. 597: se per l'indennit di fine rapporto di agenzia la qualifica fiscale quella di reddito di lavoro autonomo, tale dato normativo irrilevante nella specie (in cui non stata tassata l'indennit suddetta), perch l'attivit di gestione ed esercizio dell'agenzia di assicurazioni rientra nell'art. 51 del d.P.R. 597 e nell'art. 51 del t.u. Dalla qualifica di una componente specifica del reddito, non si pu trarre la qualifica dell'intero reddito; ch anzi la norma stata dettata per evitare che alla specifica indennit si estendesse la qualifica generale. Lo stesso articolo 49 alla lettera a) ha cura di distinguere dai redditi di ,,,.,,.,,,,,,.,,,,,,.,,.,., PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 331 lavoro autonomo quelli derivanti da attivit considerate nel titolo V (reddito d'impresa). Il legislatore ha inteso dare all'indennit di fine rapporto una qualificazione espressa, senza rendere inoperante l'art. 51 per i redditi della attivit ausiliaria (agente di assicurazione) che vi rientra anche se non organizzata in forma di impresa . Con le suddette argomentazioni si intendono superate quelle contenute nelle sentenze n. 3477 del 19 aprile 1987 e n. 788 del 6 febbraio 1990 (vedi sent. 13 aprile 1991 n. 3950). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 maggio 1992 n. 5242 -Pres. Scanzano Est. Vignale -P. M. Lami (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Chiavegatti. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giurisdizione condizionata Imposte dirette -Rimborsi Ricorso alla commissione non preceduto da istanza amministrativa Improponibilit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38). Il procedimento innanzi alle commissioni tributarie sempre costruito come processo di impugnazione di atti; anche .nel caso di rimborso, presupposto processuale un atto esprf4sso o un atto equiparato quale il silenzio. Conseguentemente improponibile il ricorso per rimborso di imposte dirette non preceduto da istanza amministrativa ex art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 (1). (omissis) L'Amministrazione finanziaria ha censurato la decisione della Commissione Tributaria Centrale nella parte in cui ha ritenuto che il rapporto tributario contestato non fosse esaurito. Il contribuente ha dedotto, a tal proposito, che all'epoca della decisione della Corte Costituzionale, il rapporto in questione non poteva essere ritenuto definitivo, in quanto. relativamente ad esso egli aveva proposto ricorso innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado ancor prima che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimit della norma impositiva. Dagli atti di causa risulta, per, che il contribuente adl la Commissione Tributaria direttamente, senza, cio, osservare le regole prescritte dalla legge per la richiesta di rimborso. Invero, la ripetizione dell'Ilor regolata dal comb. disp. dell'art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, in materia di riscossione dell'imposta sui redditi, (1) Viene riaffermato il principio, costantemente seguito, de11a giurisdizione condizionata del giudice tributario; non ma.ii ammessa fazione di accertamento negativo, neppure in materia di rimborsi. 332 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e dall'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sulla disciplina del contenzioso tributario. La prima di tali disposizioni, nel disciplinare la materia specifica del rimborso dei versamenti diretti di imposte sui redditi (tra i quali vanno ricompresi quelli eseguiti per autotassazione), pone a carico del contribuente l'onere di presentare apposita istanza all'Intendente di Finanza, nel termine di diciotto mesi dal versamento. La seconda, nella formulazione vigente all'epoca in cui il Chiavegatti propose ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado, disponeva che, nel caso di autotassazione (o meglio, in tutte le ipotesi di tributi corrisposti senza preventiva imposizione), il contribuente che intendesse agire per la ripetizione del pagamento in via giurisdizionale era tenuto a notificare alla Amministrazione un'intimazione a provvedere e solo dopo che fossero inutilmente trascorsi novanta giorni da questa, poteva, nell'ulteriore termine di sessanta giorni, adire la Commissione Tributaria di primo grado per impugnare l'implicito rifiuto dell'amministrazione a provvedere, equiparato dalla legge all'atto impositivo. Invero, il procedimento innanzi alle Commissioni Tributarie costruito come processo d'impugnazione di atti impositivi, sicch l'esistenza dell'atto impugnabile si configura come presupposto processuale della domanda. Conseguentemente, la mancanza, al tempo della proposizione del ricorso, di un atto d'imposizione o di un atto equiparato (il c.d. silenzio-rifiuto), non consentendo alcuna forma di sindacato sull'atto da parte del giudice tributario, rendeva improponibile la domanda. Non pu, peraltro, neppure ritenersi che la formazione dell'atto impositivo, nell'ipotesi di controversia sul diritto al rimborso di pagamento eseguito col sistema delil'autotassazione, non fosse soggetta (se non per via analogica e, quindi, con il limite dell'inapplicabilit di disposizioni restrittive) al procedimento di cui ai citati artt. 38 d.P.R. n. 602 del 1973 e 16 d.P.R. n. 636 del 1972. Invero, come le Sezioni unite di questa Corte (sent. 9 giugno 1989 n. 2786) hanno affermato componendo le difformit emerse nella precedente giurisprudenza della 1a Sezione, l'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 trova applicazione in tutti i casi di versamenti diretti, cio non preceduti da un formale atto impositivo, senza possibilit di distinguere tra i versamenti effettuati presso l'Esattoria e quelli eseguiti presso la Sezione di Tesoreria dello Stato tramite gli Istituti di credito all'uopo delegati. Alla luce di questi principi, quindi, la decisione impugnata si appalesa erronea, giacch nella specie, quantunque risultasse che, all'epoca della sentenza della Corte Costituzionale, innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado gi pendeva il procedimento relativo al rapporto tributario, certo che non esisteva, in quanto neppure aveva avuto modo di formarsi, un provvedimento da sottoporre all'esame della commissione stessa, non essendo mai stata proposta l'istanza di rimborso all'Autorit PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 333 competente. E poich tra i poteri del giudice rientra certamente quello (esercitabile anche d'ufficio in ogni stato grado del processo, nel rispetto del solo giudicato) di controllare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio della giurisdizione, questa Corte, mancando un presupposto processuale, deve dichiarare che la domanda del Chiavegatti era sin dall'origine improponibile e cassare senza rinvio la decisione impugnata, a norma dell'art. 382 cod. proc. civ. {Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1992 n. 5604 -Pres. Caturani Est. Ruggiero -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Liasora. Tributi erariali diretti . Imposta sul reddito delle persone giuridiche Redditi fondiari Terreni Deduzione dei contributi di bonifica obbligatori Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10, 40 e 52; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, artt. 3, 5 e 6). L'imposta sul reddito delle persone giuridiche costituita per le societ di capitali dagli utili netti risultanti dal conto dei profitti e delle perdite secondo le norme stabilite nel d.P.R. 597/1973 per il reddito di impresa, con la conseguenza che per i beni immobili non strumentali non si tiene conto dei proventi e dei costi relativi e il reddito, determinato secondo le regole dei redditi fondiari, concorre a formare il reddito complessivo; pertanto non sono deducibili i contributi di bonifica obbligatori (1). (omissis) Con il secondo motivo del ricorso, l'Amministrazione denuncia violazione dell'art. 6 del d.P .R. 29 settembre 1973 n. 598 e dell'art. 10 del d.P.R. 597/1975, ed assume che erroneamente la c.t.c. avrebbe ritenuto deducibili ai fini dell'IRPEG i contributi obbligatori versati a consorzi di bonifica, previsti dalla legge in deduzione dal reddito complessivo soltanto per l'imposta sul reddito delle persone fisiche e non anche per quella sul reddito delle persone giuridiche, n peraltro detraibili dai redditi fondiari, nella specie denunciati dalla contribuente come tali, quali redditi dominicali ed agrari, nell'esercizio di un'azienda agricola. La censura va accolta. E' anzitutto certamente da escludere che la deducibilit dei contributi in questione possa farsi derivare dall'art. 10 lett. b) del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, tale norma prevedendo la deduzione soltanto ai fini (1) Decisione di evidente esattezza. La motivazione offerta dalla sentenza porta a ritenere che anche per l'impresa individuale debbono valere le stesse conclusioni, anche se a queste si applica l'art. 10 lett. b) del d.P.R. n. 597/1973. 334 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dell'IRPEF. Ma in effetti l'inapplicabilit della citata disposizione ai fini dell'IRPEG stata ritenuta anche dalla commissione tributaria centrale, la quale ha richiamato a fondamento della sua decisione l'art. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 che ammette in deduzione i costi e gli oneri che concorrono alla formazione degli utili netti, rilevando che i contributi per i consorzi obbligatori rientrano tra i suddetti oneri e costi e che essi non sono considerati nelle tariffe di estimo catastale. Senonch, proprio in base alla norma richiamata dalla c.t.c., coordinata con le precedenti disposizioni del d.P.R. 598/1973 istitutivo dell'IRPEG, come vigenti ed applicabili per i periodi d'imposta in questione, che deve escludersi la deducibilit dei contributi di cui si tratta dai redditi fondiari che come tali siano denunciati ai fini dell'IRPEG concorrendo alla determinazione del reddito imponibile. Anzitutto l'art. 3 del citato d.P.R. 598/1973 stabilisce che l'imposta si applica sul reddito complessivo netto, formato da tutti i redditi del soggetto passivo... ; l'art. 5 dispone che il reddito complessivo costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo d'imposta determinati in base alle risultanze del conto dei profitti e delle perdite o del rendiconto secondo le norme del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 relativa al reddito d'imposta . L'art. 6, infine, stabilisce al primo comma che dal reddito complessivo determinato a norma dell'articolo precedente non sono ammesse deduzioni in aggiunta a quelle dei costi e degli oneri che concorrono alla formazione degli utili netti, ammettendo poi al secondo comma, anche in deroga al precedente comma, la deducibilit delle (sole) spese relative ad immobili di interesse storico, artistico ed archeologico sostenute ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089. Il reddito imponibile ai fini dell'IRPEG ha quindi la stessa natura del reddito d'impresa ai fini dell'IRPEF, ed determinato con le stesse regole e gli stessi criteri, l'art. 5 del d.P.R. 598/1973 ripetendo la stessa formula adoperata come criterio fondamentale per la determinazione del reddito d'impresa (commerciale) dall'art. 52, primo comma, del d.P.R. 597/1973, e richiamando espressamente le norme di quest'ultimo decreto che disciplinano specificamente, secondo i principi e le esigenze proprie dell'imposizione tributaria, la concreta determinazione di tale categoria di reddito nelle varie voci che lo compongono secondo la tecnica contabile e le regole civilistiche. Il reddito d'impresa (commerciale) un reddito determinato analitica IImente attraverso la somma algebrica dei ricavi e dei costi (effettivamente) conseguiti o sostenuti nel periodo d'imposta, sia pur secondo I ! i criteri e con i limiti, le variazioni ed i correttivi dettati dalla legge i tributaria. Nel reddito d'impresa rietrano anche i redditi degli immobili j posseduti ed utilizzati per l'esercizio dell'attivit di impresa, e tali I redditi anzi, a norma dell'art. 40 del d.P.R. 597/1973, non sono pi conside- I ! I I I I 1 I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA rati redditi fondiari, ma concorrono a formare il reddito complessivo come componenti del reddito di impresa; essi cio non vanno denunciati in base alle risultanze catastali, ma vanno compresi nel conto dei profitti e delle partite con gli effettivi ricavi e gli effettivi costi ad essi relativi. Detta regola, ai sensi della citata disposizione, vale per soltanto per i redditi degli immobili che siano direttamente strumentali all'esercizio dell'impresa commerciale, mentre, a norma dell'art. 52, secondo comma, del d.P.R. 597/1973, quando si tratta di immobili per i quali quella strumentalit faccia difetto, nella determinazione degli utili netti non si tiene conto dei proventi e dei costi ad essi relativi, ed i redditi dei suddetti immobili concorrono a formare il reddito d'impresa nell'ammontare determinato secondo le regole concernenti i redditi fondiari, vale a dire mediante l'applicazione delle tariffe d'estimo catastale, le quali, come noto, hanno riguardo al reddito medio netto ordinariamente ritraibile da immobili di una data classe, categoria e qualit, determinato in maniera presuntiva e forfettaria secondo i criteri prestabiliti daMe norme catastali, indipendentemente dai ricavi e dai costi effet tivi del singolo periodo d'imposta. Ai fini dell'IRPEF, dal reddito complessivo, costituito dalla somma dei redditi netti delle varie categorie che siano posseduti dal soggetto d'imposta, e ciascuno di essi determinato secondo le disposizioni che rispettivamente le riguardano, sono ammessi in deduzione gli oneri specificamente indicati nell'art. 10 del citato d.P.R. 597/1973 e successive modificazioni, nei termini, nei limiti ed alle condizioni ivi indicati. Ai fini dell'IRPEG, invece la citata disposizione dell'art. 6 del d.P.R. 598/1973 vieta qualunque deduzione che non si riferisca ai costi ed agli oneri che concorrono alla formazione degli utili netti (con la sola eccezione delle spese relative ad immobili di interesse artistico, storico ed archeologico), e pertanto, ove si tratti di oneri, costi o spese riguardanti immobili il cui reddito debba essere denunciato sulla base delle risultanze catastali e non mediante l'esposizione dei ricavi e dei costi relativi, essi non sono deducibili, trattandosi di costi che, unitamente ai ricavi, non rilevano, come si visto, ai fini della determinazione degli utili netti non andando ricompresi nel conto analitico dei profitti e delle perdite. Nella specie i contributi per i consorzi di bonifica di cui la societ contribuente ha chiesto la deduzione dal reddito imponibile ai fini dell'IRPEG, si riferiscono a terreni non strumentali all'esercizio di un'impresa commerciale, ma destinati ed utilizzati per attivit agricola, ed i cui redditi perci, come pacifico in causa, sono stati denunciati e determinati nell'ammontare risultante dall'applicazione delle tariffe d'estimo catastale, e non in quello risultante mediante l'appostazione analitica dei proventi e dei costi relativi; di conseguenza erroneamente, per quanto sopra si 336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO detto, la commissione tributaria centrale ha ammesso la deduzione dei suddetti contributi. In contrario non potrebbe opporsi il rilievo dello stesso giudice tributario che dei contributi in questione non risulterebbe essere stata tenuta considerazione in sede di determinazione delle tariffe catastali, poich la circostanza potrebbe eventualmente determinare nella sede competente una revisione della rendita e delle deduzioni catastali, ma non giustificare l'alterazione ed il sostanziale svuotamento della determinazione legale del reddito fondiario, effettuata a priori con criteri di media e di ordinariet, mediante l'enucleazione a posteriori e la considerazione e la valutazione analitica di uno solo dei suoi elementi. Pertanto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso dell'Amministrazione, sul punto in questione la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa commissione tributaria centrale, la quale, in ordine alla deducibilit dei contributi di cui si tratta, decider la controversia attenendosi al principio che nella determinazione del reddito imponibile ai fini dell'IRPEG, nel sistema di cui agli artt. 5 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, dai redditi fondiari esposti e denunciati come tali, mediante l'applicazione delle tariffe di estimo catastale, non sono ammessi in deduzione oneri, spese o costi relativi agli immobili da cui i redditi provengono, ad eccezione delle sole spese indicate nel secondo comma del citato art. 6 del suddetto d.P.R. 598/1973, ed in particolare dal reddito dominicale dei terreni non sono deducibili i contributi versati a consorzi obbligatori di bonifica. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1992 n. 5620 -Pres. Vela -Est. Olla -P. M. Martinelli (conf.) -Soc. Miniati (avv. Soldani Benzi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato G. Arena). Tributi in genere Restituzioni e rimborsi -Decadenza -Diritti indisponibili Rilevabilit d'ufficio. (e.e. art. 2969). Poich in materia tributaria il regime relativo ai termini entro i quali il contribuente pu proporre l'azione di rimborso sottratto alla disponibilit delle parti, la decadenza deve essere rilevata d'ufficio a norma dell'art. 2969 e.e. in ogni grado del processo, salvo che sul punto si sia creato giudicato interno (1). (1) Viene confermata l'importante affermazione gi fatta con la sent. 2 lu glio 1991, n. 7248, in questa Rassegna, 1991, I, 355. Natura[mente il principio estensibile ad ogni decadenza in materia di tributi. l'ARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 337 (omissis) -1.2. -La prima si fonda sulla circostanza che nel giudizio tributano l'Amministrazione Finanziaria non aveva mai dedotto che il rapporto era divenuto definitivo a far data dal 21 ottobre 1978 per la ragione valorizzata dalla Commissione Tributaria centrale; nonch sul rilievo che1 perci, tal ragione di definitivit stata rilevata d'ufficio da quel giudice. Sennonch, osserva la ricorrente, la caducazione del diritto al rimborso di un tributo indebitamente corrisposto, per il mancato esercizio della relativa azione entro il termine di legge, realizza un fatto estintivo del diritto stesso; ossia, un'eccezione in senso stretto e, in quanto tale, non rilevabile d'ufficio dal giudice neanche nel giudizio di primo grado e, a, fortiori, in quello di secondo. Tanto, ad ancor maggior ragione nel proesso tributario, che limita ulteriormente i poteri del giudice perch li ncora rigorosamente ai motivi prospettati dalle parti, come reso evidente dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 sul Contenzioso tributario e, ili particolare, dai suoi artt. 11 (per il quale il thema del giudizio di primo grado circoscritto ai motivi enunciati nel ricorso integrabile soltanto a determinate condizioni ed entro precisi limiti) 22 e 26. D'altra parte, soggiunge, la decisione impugnata ha dichiarato l'estinzione del diritto al rimborso (con la connessa definitivit del rapporto tributario} come conseguenza della decadenza dall'azione al rimborso, e dunque ha rilevato d'ufficio una decadenza, laddove ci non consentito dal disposto dell'art. 2969 cod. civ. Denuncia, perci, che la decisione impugnata, nel rilevare d'ufficio la anzidetta ragione d'estinzione del diritto al rimborso, ha violato gli artt.Jl, 22 e 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 ed i principi di diritto processuale di cui agli artt. 345 e 346 Cod. proc. civ. Come risulta evidente, la ricorrente si limita a censurare l'avvenuto rilievo d'ufficio della sua decadenza dall'azione di rimborso. Non contesta, cio, la fondatezza dei principi affermati dalla CommissiOne Tributaria Centrale, per i quali la decadenza dell'azione per il rimborso del tributo principale, corrisposto a seguito d'un avviso di liquidazione non impugnato, determina la definitivit del rapporto tributario ili ordine a tutti i momenti logico-giuridici dell'avviso e, in particolare, al lll.efodo ed ~.criteri di tassazione da applicarsi in relazione al presupposto impositivo; tal definitivit ha effetti diretti sull'imposta complementare, con la conseguenza che, dopo la detta definitivit, non pi contestabile che la liquidazione di questo tributo debba avvenire secondo il metodo ed il criterio di tassazione utilizzato per la liquidazione deU'imposizione principale; e, in ultima analisi, la definitivit dell'imposta principale determina la coeva definitivit del rapporto tributario relativo all'imposta complementare in ordine al punto sul sistema di tassazione. 13 338 RASSEr.NA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO Pertanto, l'indagine circoscritta alla questione sulla rilevabilit d'ufficio della decadenza del contribuente dall'azione al rimborso d'un tributo indebitamente versato. In proposito, contrariamente a quanto sostenuto dalla societ Miniati, la regola per la quale la decadenza non pu essere rilevata d'ufficio non ha carattere assoluto: a mente dell'art. 2969 Cod. civ., il precetto trova deroga (con la conseguente rilevabilit d'ufficio) nell'ipotesi che si controverta su materia sottratta alla disponibilit delle parti, e che la declaratoria di decadenza determini l'improponibilit dell'azione. -~ Ora, materia sottratta alla disponibilit delle parti non soltanto quella che riguarda i diritti indisponibili per la loro propria natura, ma, piuttosto, quella per la quale v' un regime legale che escluda un potere di disponibilit delle parti nel senso che tal regime non pu essere da loro obliterato, rinunciato o, comunque modificato. Ebbene, di tutta evidenza che in materia tributaria il regime relativo ai termini entro il quale il contribuente pu proporre l'azione di rimborso del tributo indebitamente versato sottratta alla disponibilit delle parti nel senso chiarito, di modo che il giudice deve rilevare d'ufficio la decadenza dall'azione, ove non proposta entro il termine di legge. Del resto, il principio stato gi affermato da questa Corte nella I sentenza 29 ottobre 1975 n. 3635, sia pure con riferimento all'ipotesi della decadenza del contribuente dal diritto a dedurre un debito dall'asse ereditario per l'inosservanza dell'onere di produrne la documentazione entro il termine di cui all'art. 50 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270. Peraltro, la rilevabilit d'ufficio della decadenza in presenza dei requisiti dei quali s' detto, non limitata al giudizio di primo grado (per l'art. 112 Cod. proc. civ., in siffatte ipotesi il giudice non viola la regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) ma pu essere effettuata anche negli altri gradi del processo, salvo che sul punto Inon si sia creato il giudicato interno espresso, ossia che sulla questione vi sia stata una statuizione espressa non impugnata e, perci, divenuta intangibile a norma dell'art. 329 secondo comma Cod. proc. civ.; in altri termini, a precludere a tali giudici la rilevabilit d'una questione che l'ordinamento positivo assoggetta alla regola deHa rilevabilit d'ufficio, non sufficiente che fa questione si debba considerare risolta, per implicito, dal giudice di grado inferiore ma necessita un'esplicita pronuncia sul punto. La disciplina esposta, poi, afferendo ai principi generali del processo civile, trova applicazione anche nel processo tributario. i ! Ne consegue che la Commissione Tributaria Centrale, nel rilevare d'uf ! ficio la decadenza della societ Miniati dall'azione per il rimborso del tributo principale, non incorsa nelle violazioni di legge denunciate nella censura. I Questa, pertanto, infondata e deve essere disattesa. (omissis) I I . II I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 339 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 maggio 1992 n. 6446 -Pres. Vela -Est. Olla -P. M. Martinelli (conf.) -Mussetti (avv. Di Pasquale) c. Mini stero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali Riscossione Ingiunzione Op posizione -Termine -Contestazione per mancanza di tempestivo accertamento Decadenza. (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74 e 82). Il termine di quindici giorni per l'opposizione alla ingiunzione sta" bilito nell'art; 82 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 inoperante solo quando sia negato in astratto il potere di imposizione nei confronti della generalit dei cittadini in quanto non previsto dalla legge; di conseguenza inammissibile l'opposizione contro l'ingiunzione che si dice non preceduta da tempestivo accertamnto (1). (omissis) 1. -Il ricorrente assume che la disposizione dell'art. 82, secondo comma del d.P.R. 23 genaio 1973, n. 43 contenente il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale (per la quale l'opposizione avverso l'ingiunzione fiscale con cui l'Amministrazione doganale ha ordinato il pagamento di un tributo doganale deve essere proposta entro il termine di quindici giorni dalla sua notificazione) non si applica nell'ipotesi che con il provvedimento monitorio l'Amministrazione attui una pretesa, pur essendo decaduta dal relativo diritto non avendo compiuto tempestivamente i preventivi adempimenti. Difatti, spiega, in questi casi l'ingiunzione fiscale ha mera natura di atto di riscossione, sicch non coinvolge il tema relativo all'accertamento della sussistenza del credito e la mancata opposizione tempestiva non pu determinare una preclusione a far valere l'infondatezza della pretesa fiscale. Ora, soggiunge, nella specie, la pretesa da lui resistita (tra l'altro, con una azione di accertamento negativo e non con un'opposizione all'ingiunzione fiscale) riguardava proprio una simile ipotesi. Infatti la fattispecie riguardava importazioni di automezzi per le quali, a seguito di accertamenti definitivi, erano stati riscossi i tributi doganali previsti per la categoria degli autoveicoli destinati al trasporto di merci; ma per le quali, sul presupposto dell'erroneit della tariffa applicata, trattandosi, invece, di autoveicoli destinati al trasporto di persone, l'Amministrazione pretendeva il pagamento dei maggiori tributi contemplati nella tariffa per questa diversa categoria. Sennonch, osserva, siffatta pretesa si ricollega non gi ad un'erronea interpretazione ed applicazione della tariffa doganale, ma ad una revi (1) Applicazione ad un caso specifico di principio pacifico in gdurisprudenza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 340 sione della qualificazione del bene in relazione alle sue caratteristiche oggettive. Perci essa pretesa era soggetta all'effettuazione della revisione entro il termine di sei mesi dall'accertamento definitivo di cui all'art. 74 del T.U. n. 43/1973, e non al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 84 dello stesso testo legislativo; inoltre, come era incontroverso, nella specie il termine semestrale era ampiamente decorso. Pertanto, il decorso del termine di quindici giorni dalla notifica del-. l'ingiunzione fiscale non gli aveva precluso il diritto ad opporsi, con una azione di accertamento negativo, a siffatta pretesa. Ne trae che la sentenza della Corte di Torino che ha dichiarato l'inammissibilit della sua azione tesa a dichiarare l'illegittimit della pretesa fiscale per le ragioni esposte, viziata per un duplice ordine di ragioni, racchiuse, rispettivamente, nel primo e nel secondo motivo di cassazione: a) ha omesso di motivare il rigetto della deduzione relativa alla sopraggiunta immodificabilit dell'accertamento definitivo per il man cato espletamento tempestivo della revisione, punto, questo, la cui decisivit deriva dalla constatazione che all'acclaramento di tal circostanza connessa l'ammissibilit dell'azione proposta; b) affermando che la disciplina dell'art. 82 comma secondo del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 si applica anche nei confronti di una controversia tesa alla declaratoria dell'infondatezza di una pretesa fiscale per la decadenza dell'Amministrazione dal diritto fatto valere, ha violato gli artt. 74, 82, 84 del detto T. U. n. 43 del 1973. 2. -Questa Corte ha gi reiteratamente esaminato la questione di fondo proposta dal ricorso, relativa alla portata della disposizione di cui all'art. 82, comma secondo d.P.R. n. 43/1973. L'ha costantemente risolta nel senso che il precetto non trova appli cazione soltanto nell'ipotesi che, con la controversia, si neghi l'esistenza del potere di imposizione in astratto e nei confronti della generalit dei cittadini in quanto non previsto dalla legge; e che, invece, si applica quando la controversia ha per oggetto la sussistenza in concreto dei presupposti impositivi, ossia quando contesti l'esercizio del potere impositivo rispetto al caso singolo. Inoltre, ha specificato che la carenza del potere impositivo in astratto si pu configurare soltanto quando, con l'ingiunzione, l'Amministrazione pretenda l'adempimento di una prestazione pecuniaria non prevista dall'ordinamento, H che si potrebbe verificare, ad esempio, quando si fondi su un presupposto d'imposta o su un tributo non contemplati dal sistema impositivo. Non anche quando fa prestazione, in astratto, riconducibile ad una previsione normativa impositiva, mentre non do PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vuta solo per le particolarit del caso di specie: in queste ipotesi, l'Amministrazione non crea una previsione impositiva, ma si limita a supporre come effettivamente accaduti, contrariamente al vero, fatti astrattamente idonei ad integrare la fattispecie normativa effettivamente esistente; si limita, cio, ad esercitare in modo scorretto un potere attribuitole. (V., da ultimo, Cass. 30 novembre 1985, n. 5985). Alla stregua di questo indirizzo, che si conferma, risulta di immediata percezione che al fine di accertare se una opposizione ad ingiunzione fiscale debba essere proposta, o no, entro il termine di decadenza fissato dall'art. 82 della legge doganale, occorre far riferimento al tema della controversia proposto dal contribuente. Se si incentra sulla deduzione che gi dall'esposizione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria espressa nel provvedimento monitorio, appare esulare, nella sua prospettiva astratta, da qualsiasi paradigma normativo impositivo, certo che il tema ha per oggetto la contestazione in radice della pretesa impositiva, ossia la sua negazione in astratto. Se, di contro, si incentra sulla deduzione dell'insussistenza, nel caso concreto, di quei presupposti -positivi o negativi -per l'esercizio del potere impositivo che, ove esistenti, legittimerebbero l'esercizio medesimo, altrettanto certo che il tema ha per oggetto la contestazione in concreto di detto potere. Perci, al fine di acquisire se l'opposizione all'ingiunzione fiscale proposta dal ricorrente (tal natura, infatti, ha la sua azione, come emerge in maniera incontestabile dalla richiesta, in essa contenuta, della declaratoria di illegittimit e di inefficacia giuridica del provvedimento monitorio) fosse soggetta o no al termine di decadenza del quale si tratta, occorre tener conto soltanto delle ragioni della contestazione della pretesa fiscale in essa sviluppate; non anche della loro fondatezza, come presuppone il primo motivo di cassazione, che, quindi, per ci solo infondato e da respingere. 3. -In quest'ordine di idee, indubbio che si deve considerare diretta a contestare in concreto, e non in astratto, il potere impositivo dell'Amministrazione una controversia con la quale -come nel caso di specie -il debitore ingiunto deduca che la pretesa tributaria infondata in quanto presuppone una revisione degli accertamenti definitivi ormai inammissibile per l'intervenuta decadenza dal diritto a provvedervi. Con una simile controversia, infatti, si contesta esclusivamente l'esercizio del potere impositivo della Amministrazione con riferimento al caso singolo. Ne deriva che un'opposizione ad ingiunzione fiscale che sviluppi una siffatta contestazione deve essere proposta, a pena di inammissibilit, entro il termine di quindici giorni dalla notifica del provvedimento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 342 4. -Tanto comporta che la sentenza impugnata che, uniformandosi a questi principi, ha dichiarato inammissibile l'opposizione proposta dal Mussetti stante la sua tardivit, non incorsa nella violazione di legge denunciata nel secondo motivo, sicch anche questa censura deve essere disattesa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 maggio 1992 n. 6520 -Pres. Vela Est. Sgroi -P. M. Martinelli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Guicciardi) c. Soc. Permaflex (avv. Puoti). Tributi erariali indiretti Diritti e imposte varie -Lotto e lotterie Premi in denaro -Attivit illecita non autorizzabile -Esclusione dell'imposizione. (r.d.l. 19 ottobre 1933 n. 1938, artt. 49 e 51). Una tassa collegata ad una autorizzazione dovuta quando l'autorizzazione non sia stata chiesta per il solo fatto che l'attivit (nellf4 specie operazioni a premio) sia stata svolta, semprech trattisi di attivit autorizzabili; se al contrario vengono svolte attivit non autorizzabili (nella specie operazioni con premio in denaro) il tributo non dovuto (1). (omissis) Col primo motivo l'Amministrazione denuncia la mancanza od insufficienza di motivazione su un punto decisivo; la violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), osservando che nella specie il'imposta applicata era stata quella proporzionale di cui al quarto comma dell'art. 49 r.d.l. n. 1933 del 1938, che non tassa di licenza (tassa fissa dovuta in relazione all'avvenuta autorizzazione ad espletare un numero indefinito di operazioni per un certo periodo di tempo), ma un prelievo che previsto perch superato il limite, fissato dal Ministero, dell'ammontare dei premi, non pi ragguagliato al tempo di durata dell'autorizzazione, ma all'ammontare effettivo dei premi, con l'aliquota dell'8 %. (1) Decisione allarmante. Per quanto stretto possa essere il collegamento tra provvedimento di autorizzazione e tributo. diff~cile ammettere che una attivit, in tutto simiJle a quella considerata dalla norma, possa sfuggire all'imposta solo perch si caratterizza con un elemento che sarebbe stato di ostacolo aiJ.la autorizzazione. D'altra parte non si vede una effettiva differenza tra autorizzazione inesistente (perch non richiesta) e autorizzazione inesistente (perch, oltre che non richiesta, ipoteticamente non autorizzabile). Ancor pi preoccupa il qualificare l'operazione con premio in denaro come una legittima elusione. Elusione un risultato ottenuto con comportamenti leciti non l'esecuzione di attivit illecita, voluta come tale per sottrarsi all'imposizione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Nella specie non vi era tassa di licenza, ma tassa proporzionale, per cui: a) o la Corte di Roma aveva avuto presente la differenza suddetta, ed allora la questione da essa decisa in realt non si presentava; b) o la Corte non aveva avuto presente detta differenza, ed allora la sentenza erronea, perch la tassa proporzionale non collegata alla licenza ed un prelievo collegato al fatto che comunque si conseguono (in modo lecito o non, con autorizzazione o non) effetti promozionali. Col secondo motivo, l'Amministrazione denuncia la violazione degli artt. 43, 46, 49, 53, 54 del r.d.I. n. 1933/38 (art. 360 n. 3 c.p.c.), osservando che la tesi accolta dalla Corte di Appello paradossale, perch teorizza un beneficio da doppia illegittimit, in quanto ammette che la Permaflex, in quanto non ha chiesto la preventiva autorizzazione ed ha erogato premi consistenti in denaro, commettendo un atto vietato, non deve pagare la tassa proporzionale. Secondo l'Amministrazione, a parte gli aspetti sanzionatori penali, vi la necessit del ripristino della situazione giuridica lesa sotto il profilo dell'entrata fiscale, perch l'effetto promozionale conseguito con il denaro non pu andare esente da tributo. Trattasi di tributi percetti in occasione di un'autorizzazione amministrativa, che hanno come presupposto lo svolgimento di attivit promozionali mediante meccanismi premiali. Secondo l'Amministrazione, non si pu ricorrere all'argomento secondo cui non suscettibile di tassazione !"attivit illecita, perch il fatto illecito consiste nell'aver organizzato una manifestazione a premi senza aver ricevuto la preventiva autorizzazione e senza aver pagato la relativa tassa, non nella scelta del mezzo (denaro) con cui il premio veniva erogato, essendo questa una circostanza influente sulla concedibilit dell'autorizzazione, ma non costituente un autonomo specifico illecito. L'obbligo fiscale -secondo la ricorrente -non eludibile organizzando la manifestazione con modalit tali da renderla non autorizzabile. Una volta che l'operazione si sia svolta, le sue modalit non possono escludere la percezione del tributo sull'ammontare dei premi erogati. Il ricorso infondato. In primo luogo, le censure contenute nel primo motivo non colgono nel segno perch evidente e chiaro il contenuto della sentenza impugnata, che partita dal presupposto che la tassa di cui all'art. 49 del r.d. n. 1933 del 1938 e succ. mod. sia in ogni caso una tassa di licenza, sia quando stabilita in misura fissa che quando stabilita in misura proporzionale all'ammontare dei premi. Tale assunto si deve condividere. 344 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'art. 49 stabilisce una tassa di licenza in misura variabile a seconda del reddito del soggetto ed a seconda della oircostanza che le operazioni a premio siano limitate ad una provincia od estese in due o pi province, ma sempre in misura fissa, per ciascuno dei suddetti casi. Il quarto comma dispone: L'applicazione della tassa di licenza subordinata, per, alla condizione che i premi assicurati a tutti, considerati nel loro valore assoluto e non in relazione all'entit degli acquisti, siano contenuti nei limiti che sono fissati ogni anno... . Ed il successivo comma dispone: Qualora il valore dei premi sia per tutti superiore al limite stabilito, dovr applicarsi la tassa proporzionale nella misura dell'8 per cento sul valore complessivo dei premi stessi; qualora invece il valore dei premi sia per alcuni contenuto nei limiti stabiliti nel decreto del Ministro per le finanze e per gli altri sia superiore a tale limite, dovuta sui primi la tassa di licenza e sugli altri la tassa proporzionale dell'8 per cento . Dall'ultimo comma dell'art. 49 risulta l'alternativit fra le due misure di tassa, ma non la distinzione fra esse. La tassa fissa indicata come tassa di licenza, per brevit (comprendendosi in essa tutte le ipotesi indicate nei primi tre commi); la tassa proporzionale non espressamente indicata come tassa di licenza, ma ci non significa che essa non sia tale. Altrimenti si dovrebbe concludere che quella proporzionale non collegata all'autorizzazione, ma ad un altro presupposto, e cio al compimento di fatto dell'operazione a premio. Tale conclusione contrasta con tutto il sistema del titolo V della legge, che si occupa, appunto, delle previe autorizzazioni necessarie per i concorsi e le operazioni a premio, nonch con il tenore letterale dell'art. 124: Chiunque promuove od organizza concorsi od operazioni a premio senza aver ottenuto la prescritta autorizzazione o senza aver pagato la relativa tassa, punito... . La punizione si riferisce, evidentemente, ai due tipi di tassa, non essendo previsto un esonero da responsabilit, nel caso che sia dovuta la tassa proporzionale la quale, quindi, espressamente definita come relativa all'autorizzazione, e cio come tassa connessa all'autorizzazione medesima. L'alternativit fra le. due ipotesi si spiega con l'osservazione che, evidentemente, chi non ha ottenuto la prescritta autorizzazione, non avr pagato la tassa relativa ad essa; ma chi ha ottenuto l'autorizzazione pu incorrere nella contravvenzione solo per il fatto (diverso) di non aver pagato la relativa tassa. Sorge il problema se una tassa collegata all'autorizzazione sia dovuta quando detta autorizzazione non sia stata chiesta (e cio per il fatto I i obiettivo di avere organizzato o promosso le operazioni a premio) e la risposta non pu che essere positiva (perch altrimenti si autorizzerebbe l'evasione volontaria dal tributo, realizzata con la semplice astensione dal richiedere l'autorizzazione), ad una precisa condizione: che, cio, la suddetta operazione rientri fra le operazioni autorizzabili. I I 1 II I I I - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 345 Se l'autorizzazione non pu essere data (per esempio, come nel caso di specie, perch i premi consistevano in denaro e cio l'operazione era organizzata con modalit vietate dall'art. 51) si spezza il lagame necessario fra l'autorizzazione (concessa o concedibile) e la tassa, la quale andrebbe a colpire non un fatto di evasione fiscale, ma un fatto di elusione e cio un procedimento indiretto rivolto al medesimo risultato pratico, con modalit diverse da quelle previste dalla legge. Si pu ammettere la parificazione fra l'evasione o l'elusione quando la legge prevede un'ipotesi specifica di frode fiscale, colpendo con la stessa imposizione tutti i fatti -comunque configurati -diretti a raggiungere il medesimo scopo, ovvero quando dal sistema risulta l'indifferenza di un atto formale, per la percezione della tassa. Se, invece, il sistema , come nel caso di specie, nel senso di un'indefettibile correlazione fra la tassa e l'atto formale, se questo non solo non esiste, ma non potrebbe neppure esistere per difetto di un requisito dell'atto da autorizzare, l'imposizione andrebbe a colpire un atto diverso da quello configurato dalla legge e, quindi, difettandone uno degli elementi costitutivi, non pu essere pretesa. Certamente, il sistema ricostruito in tal modo si presta ad una facile elusione fiscale, ma dovrebbe essere la legge a prevedere tale fenomeno (con l'espressione, per esempio: con qualunque mezzo o modalit riferita all'operazione a premio, per la quale dovuta la tassa di licenza non richiesta e, quindi, non ottenuta e, per avventura, neppure ottenibile). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 29 maggio 1992 n. 6521 -Pres. Vela -Est. Morelli -P. M. Martinelli (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Soc. Laria (avv. Cagnano). Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Reddito di impresa -Perdite su cambio -Deducibilit alla chiusura dell'esercizio -Esclusione -Deduzione al momento della scadenza. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 9, 51 e 74; d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 72). Nel vigore del d.P.R. 597/1973, ai fini delle imposte sul reddito di impresa e con riguardo ai debiti in valuta estera non ancora scaduti, non sono deducibili le differenze negative tra il cambio esistente al momento dell'assunzione dell'obbligo e quello in atto alla chiusura dell'esercizio; la perdita sar deducibile al momento della scadenza dell'obbligazione (1). (1) Decisione esatta. Soltanto per i titoli posseduti dall'imprenditore le variazioni devono essere valutate, come beni merce, a norma dell'art. 63 del 346 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Sulla premessa, in fatto non controversa, che nell'esercizio 1974 la societ Laria non aveva effettuato alcun pagamento in restituzione dei prestiti da essa contratti, nel 1971, per 200.000 dollari U.S.A. e per 1 milione di marchi tedeschi, l'Ufficio delle Imposte ha negato -come gi detto -la detraibilit, ai fini dell'imponibile IRPEG per il 1974, della somma (di Lit. 91.806.644) esposta in deduzione dalla resistente alla stregua dei cambi dell'ultimo esercizio. Ed avverso la dichiarazione di illegittimit di tale rettifica -contenuta nella sentenza impugnata -insorge ora appunto l'Amministrazione, con la denuncia di violazione delle norme in narrativa indicate. 2. -Il problema, che con l'odierna impugnazione si chiede in sostanza al Collegio di risolvere, quello (invero assai risalente) del trattamento fiscale delle differenze-cambio [sulle divise in portafoglio e] sui [crediti e] debiti in valuta estera, nell'ambito del sistema di determinazione del reddito di impresa. Di esso si cominciato a dibattere nel vigore del T .U. di R.M. del 1877: gi in quel contesto delineandosi l'antitesi di fondo (che qui tende a riproporsi) tra una prospettiva aziendalistica e civilistica, favorevole alla detraibilit e tassabilit immediata delle differenze in questione (per cui non rileva che esse siano durature o passeggere) ed un opposto orientamento che nega rilevanza alle differenze-cambio in quanto prive del requisito di definibilit. Dopo iniziali oscillazioni, prevalse -come noto -sempre pi decisamente, in quel contesto normativo, la seconda tesi. Per cui la giurisprudenza fin col consolidarsi nell'affermazione che (al di fuori delle ipotesi di divise o titoli esteri rimasti in portafoglio a fine esercizio a chi ne faccia oggetto della propria attivit industriale o commerciale, configurabili come monte merci , anche per quanto riguarda le correlative differenze ; e delle variazioni dovute non a mere oscillazioni del corso del cambio ma a mutamento nella consistenza obiettiva della moneta), in ogni altro caso, il momento rilevante coincidesse non col verificarsi delle variazioni nel corso del cambio ma [con la vendita delle divise estere, con la riscossione del credito o] con il pagamento del d.P.R. 597/73. Rispetto ai crediti e ai debiti le fluttuazioni intermedie sono irrilevanti fino alla scadenza. Indipendentemente dal principio di competenza, che pure sarebbe applicabile nel reddito di impresa, evidente che la variazione negativa non costituisce perdita come la variazione positiva non costituisce reddito prima della reailizzazione (alla scadenza) del credito e del debito. Il nuovo t.u. n. 917/1986 ha previsto per la prima volta (art. 72) un fondo a copertura dei rischi di cambio che consente, con un complicato meccanismo, la deduzione di .una quota che sar riassorbita al momento della riscossione o del pagamento; ma questa una facolt che non modifica la regola che le variazioni del cambio diventano rilevanti solo altla scadenza. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA debito. E ci perch, avendo la legge concepito come reddito soltanto una effettiva entit economica, si disinteressa, agli effetti della sua determinazione, di quei fatti od emergenze, passive od attive, che non si sono ancora tradotti in una precisa e definitiva realt economica. 3. -Questo indirizzo, mantenuto fermo anche nella vigenza del T.U. del 1958, dovrebbe considerarsi -secondo la Corte d'Appello -viceversa modificato con l'entrata in vigore della successiva riforma del 1973, per effetto della adesione da questa operata al principio di competenza in materia di determinazione del reddito di impresa (art. 74 d.P.R. 597 cit.). Per cui in definitiva -come sostenuto da dottrina, cui pi volte il giudice torinese mostra di volersi adeguare -anche agli effetti del trattamento delle differenze-cambio sarebbe divenuto ora dlevante il momento di nascita del diritto o dell'obbligazione e non quello della loro estinzione, se diverso dal primo . 4. -Osserva, per, il Collegio che questa prospettiva interpretativa -mossa dall'intento di conformare la disciplina tributaria alla configurazione aziendalistica del fenomeno della oscillazione dei cambi (in un contesto, per di pi in cui varie congiunture internazionali ne hanno, a volte drammaticamente, amplificato la dimensione) -urta per con la connotazione reddituale e non patrimoniale dell'imposta in questione e soprattutto non trova reali spazi di inserimento nelle maglie del tessuto normativo in applicazione. 5. -L'art. 9 del menzionato d.P.R. 597, di cui non a torto l'Avvocatura lamenta la violazione, drasticamente esclude, infatti -con disposizione (sub lett. a) di carattere generale, estendibile ad ogni tipo di credito o debito (anche quindi, a quelli in moneta estera) -che possa tenersi conto, ai fini della determinazione del reddito, [dei crediti esigibili non ancora riscossi e] dei debiti scaduti non ancora pagati. E ci gi di per s conduce a negare la deducibilit (come nella specie si pretende) rdi componenti di debiti addirittura neppure ancora scaduti. Sulla stessa linea -per quanto riguarda le categorie (per alcuni profili omogenea a quella considerata) delle spese ed oneri in valuta estera -stabilisce del resto, ancora l'art. 9 sub lett. b, che la correlativa valutazione debba operarsi secondo il cambio del giorno in cui sono stati sostenuti. 6. -Il significato di tali prescrizioni quindi tranciante; e non pu valere a superarlo la tesi, pur suggestivamente esposta, che trattisi di disposizioni generali in materia di reddito, derogabili, all'interno dello stesso d.P.R., dalla normativa speciale (artt. 51 ss., 74) in tema di reddito d'impresa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 348 Una siffatta deroga -nel senso prospettato della immediata detraibilit delle differenze sui cambi nell'esercizio in cui risultino verificate, anche in relazione a debiti non scaduti -dovrebbe in tesi, direttamente infatti discendere dalla opzione espressa, in materia, dal legislatore per il principio di competenza: che -come si sostiene -dovrebbe appunto implicare, per le suddette differenze , il disancoraggio della correlativa rilevanza dal momento di effettiva incidenza suU'operazione in valuta, quale sarebbe viceversa postulato dail principio di cassa. Gli per -e qui sta la forzatura (se non l'equivoco) concettuale dell'esaminata costruzione -che, a fronte del fenomeno della modificazione del corso dei cambi, la perdita eventualmente risentita dal mutuarlo non deriva dal fatto che egli debba, per l'effetto, corrispondente un importo superiore del proprio debito (che resta viceversa fermo nel suo valore nominale iniziale) sibbene dal maggior costo della moneta estera di cui egli deve approvvigionarsi per estinguere l'obbligazione. Si tratta, in altre parole, di perdita che non si pone in relazione a spese od oneri in valuta estera, ma all'acquisto di tale valuta, nella contrapposizione tra costo e ricavo. Per modo che, anche applicando il criterio della competenza, non si modifica comunque la soluzione (gi scaturente dall'art. 9 cit.) per cui la sopravvenienza passiva (se cos pu qualificarsi) per differenza cambi diviene rilevante ed conseguentemente deducibile [solo] nell'esercizio in cui, dovendosi estinguere (per l'intervenuta scadenza) in tutto o in parte l'obbligazione restitutoria il mutuatario viene a subire il maggior costo della valuta all'uopo occorrente: dacch quello, appunto, l'esercizio di competenza di detto costo. 7. -Antecedentemente al momento estintivo del debito, in correlazione alle modifiche dei cambi sopravvenute nell'arco temporale successivo alla stipula del mutuo, non esiste quindi un dato reddituale riferibile all'imprenditore mutuatario, che sia fiscalmente rilevante. Esiste bens un rischio per il maggior costo cui in futuro questi pu andare incontro nell'approvigionamento della valuta estera. Ma tale rischio -in considerazione del quale il legislatore dell'86 ha configurato una ipotesi ad hoc di accantonamento entro dati limiti) deducibile (v. art. 72 T.U. 1986 n. 917) non aveva sbocchi di rilevanza normativa nella pregressa disciplina delle imposte sul reddito d'impresa, attesa la mancanza, in quel contesto, di una ipotesi analoga ed il principio di tassativit degli accantonamenti deducibili. 8. -Il ricorso della Finanza , pertanto, fondato e va accolto: con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Torino. La quale si atterr, nel deciderla, al principio di diritto per cui, nel vigore dei PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 349 decreti P.R. n. 597 e n. 598 del 1973, ai fini delle imposte sul reddito d'impresa e con riguardo a debiti di valuta dell'imprenditore non ancora scaduti, non sono deducibili le eventuali differenze negative tra il cambio esistente al momento di stipulazione del mutuo e quello in atto alla chiusura dell'esercizio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 3 giugno 1992 n. 6789 -Pres. Montanari Visco -Est. Favara -P. M. Di Renzo (conf.). -Rivetti (avv. Jona) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli). Tributi in genere Contenzioso tributario Giurisdizione Opposizione all'esecuzione Terzo Controversia di imposta Giurisdizione delle commissioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 52 e 53; c.p.c. art. 619). Nelle imposte ricomprese nell'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972 la tutela giurisdizionale sempre affidata alle commissioni tributarie ogni volta che sia contestata nei confronti della Amministrazione, anche in sede di opposizione all'esecuzione, la debenza del tributo; tale principio valido anche per il terza che non limiti la sua opposizione alla appartenenza del bene pignorato al debitore (1). (omissis) 2. -Con i primi due motivi del ricorso principale, che possono esaminarsi congiuntamente perch tra loro logicamente connessi, si deduce (denunciando -rispettivamente -violazione degli artt. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione all'art. 54 d.P.R. n. 602/73 e 619 c.p.c., nonch violazione degli artt. 8 legge 2 dicembre 1975 n. 576 e 65 d.P.R. n. 602/73 in relazione agli artt. 34 d.P.R. n. 645/1958 e 619 c.p.c.): a) che erroneamente la Corte di Torino ha pronunciato il proprio difetto di giurisdizione, senza considerare che non si trattava di azione proposta dall'obbligato principale o solidale d'imposta (come nel caso di cui alla sentenza n. 6042/83 della Cassazione, richiamata e posta a base della (1) Decisione conforme a varie altre (da ultimo Cass. 19 marzo 1990, n. 2281 e 29 agosto 1990, n. 8979, in questa Rassegna, 1991, I, 86) esatta in termini generali sulla giurisdizione, ma che non affronta, malgrado un accenno, il problema della legittimazione del terzo a proporre una vera controversia di imposta. Sul punto necessario un maggiore approfondimento per distinguere la posizione del vero e proprio terzo, da quella del terzo in particolare situazione (come il possessore di bene gravato di privilegio speciale) e dei soggetti (non pi terzi) diversi dal contribuente ma soggetti passivi dell'obbligazione, come i responsabili di imposta. Sulla questione v. C. BAFILE, Alcune riflessioni sui limiti della giurisdizione speciale tributaria, in Riv. dir. trib., 1991, I, 721. 350 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO decisione), ma di opposizione di terzo che si affermava proprietario dei beni pignorati, estraneo al processo tributario, il quale aveva richiesto un mero accertamento in via incidentale limitato al giudizio di opposizione ed esulante dal concetto di controversia tributaria (affidata dal d.P.R. n. 636/72 alla giurisdizione speciale delle Commissioni; b) che inoltre la Corte, nel respingere l'opposizione, ha erroneamente ritenuto estesa la responsabilit d'imposta alla Gualino, moglie del debitore, in base ad un'inesistente solidariet ex art. 65 d.P.R. n. 602/73 (poich il ruolo era stato emesso in base a titolo costituito dail concordato fiscale posto in essere dal curatore dell'eredit giacente del defunto marito, a cui non aveva partecipato la Gualino). Entrambi i motivi sono infondati. Questa Corte, nell'esaminare la questione della tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente a seguito della nuova disciplina del contenzioso tributario introdotta dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, ha gi avuto pi volte modo di affermare il principio che, con riguardo alle imposte contemplate dall'art. 1 del decreto su citato, detta tutela si esplica esclusivamente mediante il ricorso alle Commissioni tributarie e che perci resta preclusa, per difetto di giurisdizione, la proponibilit davanti all'autorit giudiziaria ordinaria delle azioni volte a contestare, nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, la debenza del tributo, anche in forma di accertamento negativo della pretesa della detta amministrazione (S.U. 3 febbraio 1986 n. 660; Id. 17 ottobre 1988 n. 5629, oltre alla gi citata sentenza n. 6042/83; e pi di recente, Cass. 19 giugno 1990 n. 6174). i Ci anche in sede di opposizione all'esecuzione, quando con essa I ~ si introduca una controversia tributaria, denunciando l'illegittimit dell'azione esecutiva. In tali ipotesi infatti la domanda, anche se limitata all'accertamento della non debenza dell'imposta, tende a risolvere in via preventiva una questione di carattere tipicamente tributario, come tale riservata alla giurisdizione speciale attribuita in materia dal citato d.P.R. n. 636/73 in via esclusiva alle Commissioni, che non pu risultare pregiudicata ad opera di un giudice diverso. Con la sentenza n. 6040 del 15 ottobre 1986 questa Corte ha poi specificamente esaminato il caso dell'opposizione all'esecuzione esattoriale intrapresa nei confronti di un soggetto diverso dal debitore iscritto a ruolo in forza di una pretesa sua coobbligazione solidale; ed ha affermato che la domanda di detto soggetto passivo rivolta a denunciare l'illegittimit dell'azione esecutiva per difetto di titolo configura un'opposizione all'esecuzione, come tale non proponibile (ai sensi degli artt. 53 e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 604) dinanzi al giudice ordinario e che resta invece devoluto alle commissioni tributarie l'accertamento dell'inesistenza dei presupposti dell'obbligazione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351 Tale principio non pu non essere esteso al terzo che, in via di opposizione ex art. 619 c.p.c., faccia valere un'uguale pretesa, con riferimento alla posizione del debitore d'imposta o di un coobbligato di questi, e chieda al giudice (ordinario) dell'esecuzione l'accertamento in via incidentale della non debenza del tributo da parte dei detti soggetti, per i riflessi che indirettamente deriverebbero a suo favore da un simile accertamento negativo. Oggetto del giudizio di opposizione di terzo, che autonomo rispetto al processo esecutivo, la legittimit dell'esecuzione esclusivamente sotto il profilo dell'appartenenza del bene pignorato al debitore. Il terzo non cio legittimato a far valere vizi della procedura; tanto meno pu, quando per l'accertamento di questi prevista la giurisdizione delle Commissioni Tributarie, dedurre detti vizi dinanzi al giudice ordinario dell'opposizione ex art. 619 c.p.c., al quale non pu essere rimessa la cognizione di una controversia tributaria neppure in via di accertamento incidentale. Al di fuori di ci, resta invece ferma ovviamente, la competenza giurisdizionale dello stesso giudice a conoscere nel merito dell'opposizione di terzo, per quanto riguarda l'appartenenza del bene sottoposto all'esecuzione fiscale. Correttamente perci nel caso in esame la Corte di merito ha ribadito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della questione proposta dall'opponente in ordine all'inesistenza dell'obbligazione tributaria, a titolo solidale, della Gualino quale moglie del debitore, per non avere essa sottoscritto il concordato fiscale concluso dal curatore dell'eredit giacente del marito, unico debitore d'imposta. Ci tanto pi in quanto di detta questione era stato investito (su istanza degli eredi della Gualino) proprio il giudice tributario, come risulta dalla decisione della Commissione Centrale esibita dal ricorrente in questa sede. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1992 n. 7151 -Pres. Montanari Visco -Est. De Musis -P. M. Amirante (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Zecca) c. soc. ISMEP (avv. Bassi). Tributi erariali diretti Imposta sui redditi di ricchezza mobile Plusva lenza Maggior valore dovuto a svalutazione monetaria Iscrizione hl bilancio Non costituisce reddito. (t.u. 29 gennaio 1938, n. 645, artt. 100 e 106). La plusvalenza imponibile, che ha un substrato economico, deve essere non soltanto nominale ma effettiva, cosicch i valori da porre a raffronto per determinare l'incremento devono essere riportati ad omoge-1 neit tenendosi conto dell'intervenuta svalutazione monetaria (1). (1) La decisione, riferita all'imposta di ricchezza mobile, non dovrebbe fare da precedente, si spera, per Je imposte ora vigenti. Ma anche con riferimento 352 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo si deduce che la Commissione tributaria centrale, affermando, in conformit con l'orientamento di questa Corte, che la rivalutazione degli immobili iscritti in bilancio, in base alla intervenuta svalutazione monetaria, non costituiva plusvalenza tassabile, incorsa in violazione degli artt. 44 e 106 del d.P.R. 20 gennaio 1958 n. 645, dell'art. 11 della preleggi, dei principi generali sul carattere nominalistico della imposizione tributaria nonch in vizio di motivazione perch: a) la tassazione deHa p1usvailenza (allorch questa ) iscritta in bilancio costituisce una conseguenza normale della disciplina dei criteri di valutazione dell'attivo, secondo la quale (art. 2425 e.e.) gli immobili non possono essere iscritti per un valore superiore al prezzo di costo e solo speciali ragioni consentono di derogare a tale prescrizione; b) la tassazione della plusvalenza meramente monetaria conforme al principio, sul quale basato l'intero sistema tributario, e secondo il quale il reddito tassabile quello monetario e non quello reale e, inoltre, tale principio, del tutto ragionevole, stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale, con riferimento alla tassazione della indennit integrativa speciale (sentenza n. 277 del 1984); e) ha ritenuto che solo la peculiarit della fattispecie consentisse di seguire l'orientamento di questa Corte, e ci nonostante che questo esprimesse un principio di portata generale e che la ragione che aveva determinato l'iscrizione (ottenimento di un maggior credito) era irrilevante ai fini fiscali. Il motivo infondato. Il vizio di motivazione, consistente nell'erroneit della giustificazione di doversi conformare all'orientamento di questa Corte non sussiste poich irrilevante il motivo che ha indotto il giudice del merito e seguire un determinato orientamento giurisprudenziale, essendo invece decisivo al tributo abrogato, le conclusioni della sentenza non possono essere condivise. In passato gi stata affermata la intassabilit delle plusvalenze meramente nominali in relazione alle plusvalenze da speculazione realizzate da soggetto non imprenditore, ma non per quelle conseguite nell'ambito dell'impresa e pi ancora di soggetti tassabili in base a bilancio (Cass. 23 gennaio 1984, n. 547 in questa Rassegna, 1984, I, 343 e 10 febbraio 1987, n. 1338, in Dir. prat. trib., 1987. II, 399). Proprio per la affermata omogenea natura delle plusvalenze realizzate mediante cessione e delle plusvruenze iscritte, si deve ritenere che come la plusvalenza iscritta d luogo immancabilmente alla imposizione, senza poter discernere nel maggior valore risultante da bilancio la parte afferente alla svalutazione monetaria, cos ogni altra plusvalenza prescinde dalla svalutazione, come avviene universalmente in tutto il sistema tributario rigidamente nominalistico. Diversamente non si saprebbe comprendere la ragione della lunga serie delle rivalutazioni monetarie (parziali) esenti da imposta stabilite con legge, se in PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 che egli si sia in concreto uniformato all'orientamento, e pertanto solo questo censurabile. La violazione di legge non sussiste poich l'orientamento di questa Corte, espresso nella sentenza n. 547 del 23 gennaio 1984 -e secondo il quale in tema di imposta di ricchezza mobile il concetto giuridico-tributario di plusvalenza non pu separarsi dal substrato economico e si riferisce ad una plusvalenza non meramente nominale, bens effettiva e reale, per cui i valori da porre a confronto per la determinazione della plusvalenza devono essere riportati ad omogeneit tenendosi conto della intervenuta svalutazione monetaria - stato confermato nella sentenza n. 1388 del 10 febbraio 1987, la quale ha ulteriormente approfondito la questione. E non v' motivo per discostarsi da tale orientamento, dal momento che le argomentazioni addotte nell'attuale ricorso devono ritenersi sostanzialmente gi esaminate nelle citate sentenze. Due sole considerazioni appaiono opportune, in relazione a due argomentazioni sulle quali la ricorrente particolarmente insiste, e cio: 1) che la tassabilit della plusvalenza, in caso di iscrizione in bilancio, deriva dai criteri che presiedono a tale iscrizione; 2) che la iscrizione di un immobile con un valore di rivalutazione desunto dall'intervenuta svalutazione monetaria importerebbe la iscrizione di maggiori quote di ammortamento, le quali determinerebbero il computo di costi in realt non sostenuti. Va al riguardo rilevato: sub 1): la iscrizione in bilancio non costituisce essa la ragione della sussistenza della plusvalenza; questa, cio, non diversa dalla plusvalenza non iscritta in bilancio, ma (comunque) realizzata o distribuita. La plusvalenza ha sempre la stessa natura, quale fissata, per le imprese commerciali, dall'art. 100 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645. Il successivo art. 106 -secondo il quale le plusvalenze di tutti i beni appartenenti ai soggetti tassabili in base a bilancio concorrono a via ordinaria la rivalutazione sempre possibile e per l'intero. Al contrario l'iscrizione in bilancio della rivalutaziooe fondata sulla sola perdita del potere di acquisto della moneta, al di fuori di specifiche norme che la autorizzano, non solo non esente da imposta ma vietata dall'art. 2425 cod. civ.; se quindi l'iscrizione di un maggior valore stata possibile, vuol dire che essa dovuta a causa diversa dalla svalutazione. Inesatta anche l'affermazione che il maggior valore iscritto in bi!lancio non d luogo ad un maggiore ammortamento perch questo resta sempre riferito al prezzo di costo del bene. L'ammortamento deve invece seguire gli incrementi patrimoniali del bene proprio per bilanciare il deperimento e il consumo a nor ma dell'art. 2425 n. 1 cod. civ. Ed infatti nel:le leggi di rivalutazione monetaria (cfr. da ultimo art. 25 comma 7, ilegge 30 dicembre 1971, n. 413) espressamente previsto che le quote di ammortamento vanno commisurate al valore aggiornato. 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 354 formare il reddito imponibile dell'esercizio nel quale sono realizzate, distribuite o iscritte in bilancio -indica solamente il periodo fiscale al quale vanno riferite le plusvalenze, ma non contiene una definizione di queste, la quale presupposta e non pu essere che quella data nel precedente art. 100; sub 2): le quote di ammortamento vanno calcolate come prescrive l'art. 2425 n. 1 e.e., (nel testo anteriore al d.l. n. 127 del 1991) non in relazione al valore dell'immobile, ma in relazione al valore di esso non superiore al prezzo di costo. quindi a quest'ultimo, e non al valore in s dell'immobile che va parametrato l'ammortamento, il cui ammontare, se fosse parametrato al valore attuale dell'immobile, costituirebbe, nella parte in cui supera l'ammontare dell'ammortamento come individuato, un fondo di rinnovamento. CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 giugno 1992 n. 7180 -Pres. Scanzano Est. Sgroi -P. M. Grossi (conf.). -Marchese (avv. Tiraboschi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cingolo). Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Accertamento Incompleta indicazione nelle fatture Accertamento induttivo Legittimit. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21). La indicazione delle quantit da riportare nelle fatture, quando no11; sufficientemente espressa dal numero delle unit, deve essere espressa nel peso (nel caso deciso si trattava di animali da macello); di conseguenza l'indicazione del solo numero delle unit d la facolt all'ufficio di procedere all'accertamento induttivo a norma del secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 (1). (omissis) Il Marchese, col primo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi generali che regolano l'accertamento induttivo e in particolare dell'art. 39 secondo comma punto d) del d.P.R. n. 600/73, nonch omessa e comunque insufficiente motivazione circa punti decisivi (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), lamentando che la motivazione della decisione impugnata si esaurisca nella trascrizione dei giudizi espressi dalla Guardia di Finanza, facendoli propri sic et simpliciter, mentre essa avrebbe dovuto verificare se la fattispecie concreta rilevata nel (1) Decisione da condividere pienamente e da segnalare per la tecnica di ricostruzione del reddito quando non esistono gli elementi per l'accertamento analitico. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA processo verbale della Guardia di Finanza si potesse attagliare a quella astratta prevista dal dt. art. 39 e se tale norma poteva applicarsi ai fatto concreto; e cio avrebbe dovuto motivare indicando le omissioni contenute nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni del ricorrente, nonch la particolare gravit e ripetuta frequenza delle irregolarit formali delle scritture contabili e delle dichiarazioni del Marchese. Dalla motivazione della decisione impugnata non risulta quali fossero gli elementi necessari perch le scritture contabili meritassero fede o per rendere trasparente l'ammontare dei ricavi; la Commissione Centrale avrebbe dovuto procedere ad identificare le irregolarit formali e quelle sostanziali delle dichiarazioni e della contabilit, mentre essa ha confuso le une e le altre, senza neppure indicarle. Secondo il ricorrente, non esistevano n le une n le altre, perch il Marchese aveva puntualmento annotato i corrispettivi, aveva puntualmente annotato le spese ed aveva regolarmente dichiarato i ricavi, come le spese e gli utili; si imputava al Marchese di non avere annotato nelle fatture di acquisto del bestiame vivo il peso di quest'ultimo, ma egli aveva indicato in fattura il numero dei capi acquistati, ai sensi dell'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, che impone l'indicazione della quantit e non del peso; e poich nessun rilievo era stato mosso in relazione al numero dei capi acquistati, era incomprensibile l'esistenza di un'omissione o falsa ed inesatta indicazione nelle scritture contabili che potesse portare ad accertamento induttivo, mentre nessuna violazione era stata accertata nell'annotazione dei corrispettivi. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 39 primo comma del d.P.R. n. 600 del 1973, nonch omessa o comunque insufficiente motivazione su punti decisivi (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), affermando che, alla luce di quanto affermato nel primo motivo, era evidente l'omessa motivazione in ordine ai maggiori ricavi accertati, perch [e presunzioni devono essere gravi, precise e concordanti, mentre la Commissione Centrale non ne indicava neppure uno, pur affermando che le scritture contabili del Marchese erano inattendibili, mentre l'unica presunzione ipotizzabile era quella relativa alla mancata indicazione, nelle fatture, del peso dei capi acquistati vivi (soltanto in via ipotetica, perch la motivazione della sentenza non dava alcuna indicazione al riguardo, per cui era affetta da omissione di motivazione). Il ricorso infondato. Cos risulta dal testo dell'art. 39 d.P.R. n. 600, l'Ufficio procede alla rettifica sulla base (anche) delle ispezioni e delle altre verifiche di cui all'art. 33, che possono essere effettuate anche dalla Guardia di Finanza. Una motivazione dell'accertamento (e della decisione giudiziale sulla sua contestazione) ben pu essere esaurita dal rinvio totale alle risultanze delle suddette verifiche, se esse corrispondono alla previsione della legge. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 356 Nella specie, dalla lettura integrale della decisione impugnata (che, invece, non contenuta nel ricorso) risulta che la Commissione Centrale ha ritenuto provati i seguenti dati: a) omissione delle quantit (nel senso di peso) degli animali acquistati per il macello (il cui numero era incontroverso); b) accertamento dei corrispettivi pagati per il loro acquisto desunto dalla contabilit del Marchese; e) accertamento del peso vivo e della resa, desunto da uno studio settoriale; d) accertamento del prezzo medio (di rivendita) risultante presso la Camera di Commercio. Il ricorrente non ha preso in considerazione altro che il primo elemento, con considerazioni errate in diritto. Infatti, l'art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972, che impone che nella fattura debba essere indicata (fra l'altro) la quantit dei beni, deve essere interpretato nel senso che non sufficiente indicare il numero delle unit dei beni acquistati, quando esso non esprime adeguatamente le quantit e cio l'elemento determinante del corrispettivo. evidente che, per gli animali da macello, l'elemento rilevante per la determinazione del prezzo il peso e non il numero degli animali. L'omissione delle quantit, (nel senso del peso) ripetuta per tutte le fatture, concretava quella omissione nelle scritture che la Commissione Centrale ha ritenuto che rientrassero nell'ambito del secondo comma lettera d) dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/73 (cos gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilit sistematica). Tale giudizio sfugge alle censure del ricorrente, perch l'assenza dell'elemento fondamentale per determinare la quantit di carne rivenduta (il peso), impediva di dar credito alla contabilit, riflettendosi in un vizio che inficiava sistematicamente la sua attendibilit, sotto il profilo dei ricavi, da rapportare alle quantit (in peso) effettivamente comprate e rivendute, in luogo di quelle risultanti dalla contabilit. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Commissione Centrale ha dato succinta, ma completa e precisa giustificazione del ricorso dell'Amministrazione all'accertamento induttivo di cui al secondo comma, nell'ipotesi della lettera d) dell'art. 39 citato, alla stregua di principi pi volte affermati (Cass. n. 4726 del 29 aprile 1991; Cass. n. 1022 del 24 febbraio 1989). La norma dispone che, in caso di ricorrenza dei suddetti presupposti, 1'Amministrazione possa avvalersi anche di presunzioni prive di requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma 1 (e cio presunzoni semplici, purch queste siano gravi, precise e concordanti. evidente che, a maggior ragione, l'Amministrazione pu avvalersene anche nell'ipotesi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 di cui al secondo comma lettera d), quali sono quelle ritenute in concreto dalla Commissione Centrale. Contrariamente all'opinione del ricorrente, le presunzioni erano basate non solo sul primo, ma anche sugli altri tre fatti supra elencati; ed il giudizio di gravit, precisione e concordanza giustificato, solo che si consideri: 1) che il fatto sub b) era stato desunto dalla stessa contabilit del Marchese e non contestato dal predetto (che afferma nessuna violazione, n formale n sostanziale stata accertata nell'annotazione dei corrispettivi ). 2) che H fatto sub c) non contestato, al pari di quello sub d). Ora, evidente che, rapportando fra di loro i vari dati (quantit effettiva di carne comprata; peso vivo e resa; corrispettivo pagato per il suo acquisto; prezzo medio di rivendita) potevano determinarsi i ricavi effettivi in modo presuntivo, alla stregua di presunzioni gravi, perch provate o non contestate; concordanti, perch cospiranti tutte ad ottenere un dato risultato (ricavi complessivi, a cui applicare un certo grado di redditivit e quindi la percentuale di utili). Anche sotto questo secondo profilo, pertanto, le censure del ricorrente principale sono infondate; invero, una volta che l'inattendibilit di cui a:lla lettera d) del secondo comma dell'art. 39 era stata esattamente basata sulla mancanza del dato essenziale della quantit in peso degli animali acquistati per il macello e la rivendita, era possibile determinare il reddito d'impresa sulla base dei dati e notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, con facolt di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture conta!bili e avvalersi anche delle suddette presunzioni, il giudizio in ordine alla quale stato dato implicitamente, ma chiaramente dalla Commissione Centrale, come risulta dalla correlazione fra i dati di fatto esposti nella parte in fatto e le considerazioni in diritto della seconda parte. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1992 n. 8026 -Pres. Caturani Est. Nardino -P. M. Lo Cascio (conf.) -Sogno (avv. Spaziani) c. Mi nistero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Condono -Successiva deduzione di passivit -Inammissibilit. (d.l. 5 novembre 1973, n. 600, art. 6}. La definizione per condono nelle imposte indirette comporta l'irretrattabile definizione per tutte le parti della base imponibile,-di conseguenza il condono preclude la successiva deduzione di passivit (1). (1) La decisione fa applicazione, forse troppo assoluta, di un principio esatto. Nell'imposta di successione. anche successivamente a:lla definizione della 358 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) La ricorrente principale, denunciando violazione dell'art. 6 della legge 19 dicembre 1973 n. 823, censura la decisione della C.T.C. per aver ritenuto definitivamente fissata la base imponibile al momento della presentazione dell'istanza di condono e, di conseguenza, indeducibili dalI' . ' ~ l'attivo ereditario le passivit denunciate e documentate. Ad avviso della ricorrente, sia la deduzione delle passivit sia la contestazione della loro ammissibilit da parte dell'Ufficio sarebbero attivit consentite anche dopo la richiesta di definizione del rapporto tributario secondo i criteri della legge di condono, trattandosi di materia che esula dall'ambito del condono medesimo, limitato alla valutazione dei beni che compongono l'attivo ereditario e che possono formare oggetto di giudizio di congruit. La censura non fondata. La Commissione Centrale, nell'escludere la possibilit di rimettere in discussione la base imponibile..., ormai divenuta definitiva , per effetto dell'istanza di applicazione del condono, si puntualmente uniformata al consolidato principio secondo il quale il condono tributario di cui al d.I. 5 novembre 1973 n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 1973 n. 823, ha carattere di automaticit e globalit e persegue lo scopo di porre termine a qualsiasi contestazione ulteriore sia sull'an che sul quantum della pretesa tributaria. Questa finalit risulterebbe frustrta se, con riferimento all'imposta di successione, l'art. 6 del citato d.l. fosse interpretato nel senso che la richiesta di applicazione del condono renderebbe immodificabile il solo valore dei beni caduti in successione ma non impedirebbe la contestazione, anche in sede contenziosa, su ogni altra questione -di fatto o di diritto -esulante dalla materia della valutazione dell'attivo ereditario. Tale assunto, oltre tutto, non trova il minimo fondamento nel testo della suindicata norma agevolativa, la quale chiaramente dispone che per le successioni apertesi e per gli atti formati entro il 31 dicembre 1972, purch registrati entro il 26 gennaio 1973, se alla data del presente decreto non sia stato ancora notificato avviso di accertamento di maggior valore, il contribuente pu chiedere che l'imposta dovuta sia liquidata sulla base del valore dichiarato aumentato del venti per cento, senza applicazione di soprattasse e pene pecuniarie , base imponibile (per decadenza dell'ufficio o per giudicato) possono verificarsi sopravvenienze sia attive (bene la cui propriet riconosciuta, crediti prima esclusi ex art. 11 d.P.R. n. 637/1972), sia anche passive (debiti il cui accertamento sia successivo, art. 16). ~ infatti normale la presentazione di ulteriori dichiarazioni e di ulteriori richieste di deduzioni di passivit. Tutto ci pu dar luogo a qualche problema di coordinamento con il condono, ma non si pu affermare rigidamente che il condono elimina ogni rilevanza degli eventi futuri. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La norma stabilisce un criterio automatico per la determinazione della base imponibile, in sostituzione dei criteri normali dettati dalla legge regolatrice del tributo. Il contribuente ha facolt di scelta tra l'applicazione dell'uno o dell'altro sistema; ma ove eserciti tale facolt nel senso di richiedere la liquidazione dell'imposta in base alle disposizioni della legge di condono, non pu pretendere che la liquidazione cosi effettuata venga successivamente sottoposta a revisione o, per qualsiasi ragione, modificata in suo favore, in applicazione di diversi criteri di determinazione dell'imponibile previsti dal d.P.R. n. 637/72, salvo i casi, espressamente contemplati dall'art. 11 cpv del D.L. n. 660/73, di errore materiale o di violazione delle norme del decreto di condono. Ne consegue che correttamente la Commissione centrale ha ritenuto incompatibile con il prescelto sistema di definizione automatica del rapporto tributario in questione [a pretesa deWa contribuente di ottenere la riliquidazione dell'imposta dovuta su un imponibile ridotto per effetto delle passivit denunciate nonch il rimborso di una parte dell'imposta pagata. Tale conclusione perfettamente in linea -come gi si detto con la costante giurisprudenza di questa Corte, che, sia pure in relazione a tributi diversi, ha statuito che, una volta proposta dal contribuente la domanda di definizione agevolata in base ai criteri automatici di cui al D.L. n. 600/72), non pi possibile esaminare, n in sede amministrativa n in sede contenziosa (salvo i casi previsti dal citato art. 11 cpv.) se quell'imposta era realmente dovuta e, in particolare, se ricorresse o meno qualche causa di esenzione o agevolazione, restando preclusa..., sia al contribuente che all'Ufficio, ogni questione sull'individuazione o determinazione dell'imponibile effettivo (cfr. Cass. 8 gennaio 1991 n. 80) ed essendo irrilevante l'eventuale riconoscimento del diritto all'esenzione con provvedimento posteriore alla data di presentazione dell'istanza di condono o a quella di scadenza del termine per la proposizione di detta istanza (cfr. Cass. 19 giugno 1990 n. 6169; v. anche, in senso sostanzialmente conforme, Cass. nn. 4662/90, 3723/90, 425/90, 5087/89, 4077/89 e numerose altre pronunce precedenti e successive). fin troppo evidente che, alla stregua del suesposto principio, la preclusione non pu non estendersi alla questione relativa all'ammissibilit di debiti ereditari, denunciati dopo la domanda di definizione agevolata, i quali comporterebbero una modifica -non consentita -dell'imponibile definitivamente determinato in base ai criteri automatici. Il ricorso principale deve essere, pertanto, rigettato. (omissis) 360 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1992 n. 8032 -Pres. Sensale Est. Nardino -P. M. Romagnoli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Tintoretto. Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Detrazione del contributo di miglioria -Contributo corrisposto nel periodo di riferimento relativamente a presupposto verificatosi anteriormente -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 32). La disposizione dell'art. 32 terzo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 va intesa nel senso che non sono detraibili i contributi di miglioria che, sebbene corrisposti nel periodo di riferimento valevole ai fini della determinazione dell'incremento di valore, abbiano causa da presupposto verificatosi anteriormente (1). (omissis) L'Amministrazione ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, sostiene che l'interpertazione data dalla C.T.C. a tale norma, pur sembrando rispettosa del dato testuale di essa, contrasta con l'intenzione del legislatore, ravvisabile nell'esigenza di evitare, mediante la I detraibilit dall'imposta INVIM di quanto dovuto per contributo di miglioria, la duplice imposizione di uno stesso incremento. Ove si ritenesse detraibile il contributo materialmente pagato nel periodo di riferi I 1 mento, anche se relativo a presupposti verificatisi antecedentemente , ! si creerebbero inammissibili sperequazioni tra i contribuenti, risul i tando favoriti i proprietari degli immobili avvantaggiati dall'opera pubblica eseguita antecedentemente al periodo preso a base per il calcolo dell'incremento imponibile agli effetti dell'INVIM : costoro, infatti, oltre a corrispondere l'INVIM calcolata con riguardo al valore iniziale I dell'immobile gi maggiorato del plusvalore ad esso derivato dall'opera pubblica, avrebbero l'ulteriore vantaggio di detrarre dal tributo quanto I corrisposto in relazione all'incremento di valore precedentemente lucrato . Aggiunge la ricorrente che, in ogni caso, l'art. 32 cit. non pu esser letto senza tener conto del sistema in cui la norma s'inquadra, ed in particolare delle regole dettate dagli artt. 11 e 12 del d.P.R. n. 643/72. Il ricorso fondato. Sulla questione sottoposta al giudizio della Corte sono intervenute contrastanti pronunzie della Commissione Tributaria Centrale, alcune (1) Con ampia motivazione la S. C. per la prima volta affronta la questione che stata oggetto di contrastanti pronunzie della Commissione Tributaria Centrale. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA delle quali (nn. 7499/84, 97/85, 5661/85, 904/86), privilegiando il contenuto testuale della norma in esame (art. 32 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643), ritengono decisivo, ai fini della detraibilit del contributo di miglioria dall'INVIM, il fatto che il contributo stesso sia stato corrisposto nl periodo considerato agli effetti dell'INVIM, non richiedendo la legge alcun altro requisito o condizione, mentre altre decisioni (nn. 511/81, 2989/85) escludono la detraibilit del contributo di miglioria ove il suo presupposto (cio l'esecuzione dell'opera pubblica che ad esso ha dato causa) si sia verificato anteriormente all'inizio dell'anzidetto periodo. Il contrasto stato risolto dalle Sezioni Unite della Commissione Centrale che; con la decisione n. 5072 del 22 giugno 1987, hanno condiviso il secondo dei cennati orientamenti. E non diversa soluzione ritiene di dover adottare questa Suprema Corte, sembrando non persuasive ed agevolmente confutabili le argomentazioni svolte a sostegno dell'opposto indirizzo (al quale ha aderito la decisione impugnata). L'art. 32 del citato decreto istitutivo dell'INVIM (d.P.R. n. 643/72), contenente norme transitorie e finali, cos dispone: Con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono soppressi i contributi di miglioria previsti dalle norme vigenti nonch l'imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili istituita con legge 5 marzo 1963 n. 246 (primo comma). L'ente titolare pu tuttavia procedere all'accertamento ed alla riscossione dell'imposta e dei contributi di cui al primo comma se alla data dell'entrata in vigore del presente decreto si era gi verificato il presupposto per l'applicazione dell'imposta o del contributo (secondo comma). L'importo del contributo di miglioria o di altre analoghe contribuzioni obbligatorie corrisposte nel periodo preso a base per il calcolo dell'incremento imponibile ai fini dell'applicazione dell'imposta di cui a[ presente decreto dedotto dall'ammontare dell'imposta medesima (3 comma). (omissis) La decisione impugnata, prendendo in esame il solo terzo comma dell'art. 32, afferma che la lettera della disposizione normativa a tal punto chiara (nel senso che la detraibilit del contributo condizionata unicamente al pagamento di questo nel periodo di riferimento preso a base per la liquidazione dell'INVIM ) da rendere superflua ogni altra indagine in ordine alla mens legis ed irrilevante l'inconveniente prospettato dall'Ufficio circa un vantaggio ricollegato al mero ritardo del pagamento del contributo . Ritiene, invece, il Collegio che questa interpretazione non sia conforme ai criteri ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi. La Commissione Centrale ha, infatti, fondato il proprio giudizio esclusivamente sul significato letterale di alcune parole del testo normativo, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 362 ignorando del tutto l'intenzione del legislatore ed il fine perseguito dalla norma stessa e -per giunta -isolando la disposizione del terzo comma dal contesto della disciplina transitoria in cui essa si inserisce e dal sistema di accertamento e liquidazione dell'INVIM, con l'effetto di attribuire irrazionalmente un rilevante vantaggio a quei contribuenti che, per cause accidentali e fortuite o addirittura per fatti dipendenti dalla loro volont e dal loro comportamento, abbiano corrisposto, nel periodo preso in considerazione ai fini dell'INVIM, il contributo di miglioria, bench questo sia collegato ad un'opera pubblica che, per essere stata realizzata anteriormente all'inizio di detto periodo, ha gi determinato un aumento del valore iniziale dell'immobile soggetto ad INVIM ed una corrispondente diminuzione dell'incremento di valore imponibile agli effetti di quest'ultimo tributo (da calcolarsi con i criteri previsti dagli artt. 3, 6 ed 11 del d.P .R. n. 643/72). Se vero che -come la decisione impugnata e l'orientamento giurisprudenziale da essa seguito non disconoscono -la ratio della detrazione del contributo di miglioria dall'INVIM risiede nell'esigenza di evitare una iniqua doppia imposizione per l'incremento di valore conseguito dal bene in uno stesso periodo di tempo, risulta assolutamente illoggica e discriminatoria una interpretazione della norma in esame, in forza della quale vengono posti sullo stesso piano ed assoggettati al medesimo trattamento tributario i contribuenti che si trovano nella situazione considerata dal legislatore e quelli che, per le ragioni innanzi spiegate, in nessun caso potrebbero andar soggetti ad una duplicazione d'imposta. Questo rilievo avrebbe dovuto indurre i giudici tributari a dubitare della correttezza del risultanto interpretativo da essi raggiunto, posto che l'asserita chiarezza del dettato normativo non impedisce di constatare che, ove si dia rilevanza assoluta ed esclusiva -come ha fatto la C.T.C. al mero dato temporale della corresponsione del contributo, scindendolo dal momento in cui si realizza il presupposto giuridico e di fatto che determina l'insorgenza della relativa obbligazione, si fa dipendere il diritto alla detrazione da un elemento meramente occasionale, che pu variare in relazione alla maggiore o minore speditezza del procedimento di accertamento e riscossione del contributo ed anche -come si accennato -in dipendenza di fatti e comportamenti imputabili allo stesso contribuente; con l'ulteriore conseguenza che la disposizione del terzo comma dell'art. 32 risulta priva di qualsiasi giustificazione nella misura in cui consenta al contribuente di detrarre dall'INVIM dovuta con riferimento ad un determinato periodo (normativamente stabilito) il contributo afferente ad una miglioria realizzata in un periodo precedente e diverso e che aveva gi prodotto gli effetti rilevanti sotto il profilo economico e tributario. N pu indurre in contrario avviso la considerazione in base alla quale la C.T.C. disattende la tesi della Finanza relativa al possibile lucro del PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA l'interessato, derivante dall' aumento del valore iniziale dell'immobile. Secondo i giudici tributari siffatto lucro sarebbe da escludere, perch il vantaggio connesso ad un'opera pubblica del tipo di quello qui considerato (costruzione della metropolitana di Milano) si riflette necessariamente anche sul valore finale . Ma la decisione impugnata omette di considerare che il valore finale dell'immobile soggetto ad INVIM decennale in ogni caso positivamente influenzato dalla costruzione dell'opera pubblica, sia questa eseguita prima dell'inizio o nel corso del decennio, mentre varia sensibilmente l'ammontare dell'incremento imponibile ai fini dell'INVIM, a seconda che il valore iniziale del bene venga determinato tenendo conto della miglioria apportata dall'opera pubblica gi eseguita (cio avendo riguardo, in concreto, al valore venale -accertato in base ai criteri di cui all'art. 6 d.P.R. n. 643/72 e succ. modif. -di un immobile gi servito dalla rete metropolitana alla data d'inizio del decennio di riferimento) ovvero senza tener conto di tale apporto migliorativo (non ancora verificatosi alla suddetta data). Il lucro, vanamente negato dalla C.T.C., consiste proprio nella possibilit, inspiegabilmente offerta al contribuente (ove si seguisse la soluzione qui contrastata), di assolvere l'INVIM decennale su un imponibile minore (per effetto del minor divario tra il valore finale e quello iniziale dell'immobile) e di detrarre -al tempo stesso -dall'ammontare dell'imposta l'importo del contributo di miglioria, pagato nel corso del decennio preso in considerazione ma collegato ad un presupposto verificatosi prima dell'inizio di tale periodo. Il vero che l'interpretazione dell'art. 32 accolta dalla C.T.C. non solo si discosta -come si dimostrato -dai criteri (logico, teleologico e sistematico) che debbono insieme concorrere al conseguimento di un corretto risultato ermeneutico, quando l'elemento letterale non consente, da solo, di attribuire alla norma un significato ed una ratio appaganti, ma neppure sembra adeguatamente sorretta dal mero riferimento al dato testuale della norma stessa. Ed infatti il rilievo che il terzo comma dell'art. 32 consente la detrazione dall'INVIM del contributo di miglioria corrisposto nel periodo preso a base per il calcolo dell'incremento di valore assoggettabile ad INVIM non impedisce di ritenere, anche sotto il profilo strettamente letterale, che il legislatore abbia inteso subordinare il diritto aHa detrazione all'uUeriore condizione (implicita ma Tispondente ad elementari principi di razionalit e di equit fiscale) che, oltre al materiale pagamento, anche il presupposto dell'obbligo correlativo si sia verificato nell'anzidetto periodo. Questa conclusione, che consente di dare alla norma un senso ed una portata coerenti con il suo scopo e con il sistema di calcolo dell'imponibile previsto dal d.P.R. n. 643/72, trova indiretta ma sicura conferma nella disposizione del secondo comma dello stesso art. 32, la quale dimostra come il legislatore, lungi dal trascurare il necessario collegamento crono 364 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO logico tra il fatto generatore dell'obbligo di corrispondere il contributo di miglioria e l'adempimento dell'obbligo medesimo, abbia dato ad esso decisiva rHevanza, nel contesto di un'unica ed articolata norma transitoria, stabilendo che, ove il presupposto per l'applicazione del contributo si sia verificato prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 643/72, l'ente titolare pu procedere all'accertamento ed alla riscossione del contributo stesso, nonostante la soppressione di tal genere di tributo disposta con il primo comma. In definitiva, la Corte ritiene non conforme a diritto l'impugnata pronuncia; la quale va, di conseguenza, cassata con rinvio della controversia ad altra Sezione della Commissione Tributaria Centrale, che si uniformer al seguente principio: La disposizione transitoria di cui all'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 va interpretata nel senso che l'importo del contributo di miglioria detraibile dall'INVIM allorch non solo il pagamento del contributo medesimo ma anche il presupposto per la sua applicazione si sia verificato nel periodo preso a base per il calcolo dell'incremento di valore imponibile ai fini dell'INVIM . (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 luglio 1992 n. 8362 -Pres. Favara -Est. Baldassarre -P. M. Lanni (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Corsini) c. Soc. SARI. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Trasferimento di azienda Cessione di azienda. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 48). Si deve ravvisare una cessione d'azienda (esente da IVA ma soggetta all'imposta di registro) quando nell'insieme dei beni trasferiti permanga una residua organizzazione che ne dimostri la complessiva attitudine all'esercizio dell'impresa, anche se il complesso sia non funzionante al momento del trasferimento (1). (omissis) Con i due motivi, che per connessione vanno trattati congiuntamente, la ricorrente Amministrazione deduce: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e dell'art. 2555 cod. civ., per non avere considerato la C.T.C. che, trattandosi di vendita di un complesso immobiliare costituito da locali adibiti a lavorazione del latte, a cabina elettrica, a magazzino per la con( 1) La sentenza 9 agosto 1991 n. 8678, citata nel testo, pubblicata in questa Rassegna, 1991, I, 573 con annotazione critica. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA servazione degli acidi, a lavaggio ed officina, a pasticceria, a magazzino e refettori, ad alloggio custode, tutti debitamente attrezzati (accessioni, pertinenze e dipendenze), sussisteva un nesso funzionale tra i beni venduti, che coprivano tutte le fasi della produzione, e, stanti la complementariet ed interdipendenza al fine della produzione, integravano il concetto di azienda, essendo, comunque, irrilevante il requisito volontaristico in relazione ell'esecuzione coattiva. 2) Mancata, insufficiente, contraddittoria motivazione, per avere il Giudice tributario tralasciato la necessaria indagine in ordine al fattore organizzativo ed alla attitudine produttiva dei beni, mentre l'ammissione che essi costituivano un complesso strumentale avrebbe dovuto far concludere per la natura aziendale del complesso medesimo. I due motivi, nei Hmiti e per le ragioni appresso indicati, vanno accolti. Invero, a norma dell'art. 2, terzo comma, lettera b) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 nel testo introdotto dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24 (applicabile al caso in esame), non sono considerate cessioni di beni, ai fini dell'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa. La nuova formulazione, eliminando l'inciso gestiti distintamente e con contabilit separata, che nel testo previgente restringeva le ipotesi di esenzione dall'IVA (e di correlativa corresponsione dell'ordinaria imposta di registro) per le cessioni di parti organizzate dei beni aziendali e le qualificava in base, oltre che alla loro piena autonomia, al perdurare della gestione del singolo ramo dell'impresa, ricollega l'esenzione al solo aspetto obiettivo e strutturale del ramo d'impresa trasferito. Va quindi ribadito il principio, espresso, anche di recente da questa Sezione (conf. sent. 9 agosto 1991 n. 8678), secondo cui sussiste cessione di azienda, agli effetti dell'imposta di registro, ogni volta che permanga nel complesso dei beni oggetto del trasferimento un residuo di organizzazione che ne dimostri la complessiva attitudine all'esercizio dell'impresa, non rilevando in contrario che, al momento della cessione, il complesso aziendale non si trovi in stato attuale di produttivit ed essendo, invece, sufficiente che esso, anche se momentaneamente inutilizzato, mantenga una residua potenzialit produttiva (o ne presenti una nuova a seguito di prevedibili ristrutturazioni). A>la stregua di tale principio, che si enuncia ai sensi ed effetti di cui all'art. 384 cod. proc. civ., la motivazione della decisione impugnata risulta insufficiente, in quanto il Giudice del merito, dopo avere elencato i beni posti in vendita in unico lotto , comprese tutte le accessioni, pertinenze e dipendenze inerenti all'unit predetta , non fornisce ragioni a sostegno della (implicita) esclusione di una potenzialit produttiva, che, 366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in concreto, potrebbe non essere stata esclusa dalla ces\iazione dell'attivit dell'impresa cedente, n dall'esecuzione forzata da questa subita. I La C.T.C. cade, per altro, in contraddizione quando ?-fferma trattarsi di trasferimento solo di alcuni elementi patrimoniali, subito dopo qualifi I candoli come costituenti un complesso strumentale . (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 luglio 1992 n. 8546 -Pres. Falcone -Est. Olla -P. M. Bonaiuto (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Canegallo (avv. Mandela). Tributi erariali indiretti -Accertamento -Motivazione -Criteri di valutazione Valore in comune commercio -Ammissibilit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 48). L'accertamento di valore degli immobili trasferiti pu essere basato su criteri diversi da quelli stabiliti nell'art. 48 del d.P.R. 634/J.972 e quindi anche sul criterio del valore in comune commercio (1). (omissis) L'avviso di accertamento per il quale controversia fondava la rettifica: sul valore in comune commercio degli edifici aventi carat teristiche similari all'immobile acquistato dai coniugi Paolo Canegallo ed Ines De Rossi; sul reddito netto del quale detto immobile era suscet tibile tenuto conto del tasso medio di capitalizzazione; e, infine, sul dato che lo stesso immobile faceva parte di un fabbricato di tipo economico ubicato nel quartiere Montesacro di Roma costituente zona periferica ricercata, ottimamente collegata col centro urbano, dove gli immobili vengono valutati a non meno di L. 12.000.000 a vano catastale. La Commissione Centrale ha fondato la decisione sul principio che, in tema di imposta di registro, ai fini della validit della motivazione di un avviso di accertamento del maggior valore di un immobile, occorre sia che tal atto sia fondato esclusivamente sui criteri previsti dall'art. 48, secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, e sia che questi criteri vengano non solo enunciati ma, anche, specificati nei rispettivi elementi concreti. (1) Decisione di grande rilevanza che va a completare la lunga catena di pronunce che hanno demolito il mito della motivazione degli avvisi di accertamento di valore nelle imposte indirette (fra le numerose pronunce v. da ultimo 19 luglio 1991 n. 8033 ed altre in questa Rassegna, 1991, I, 569), Il criterio, di gran lunga prevalente, del valore in comune commercio, copre ogni esigenza di motivazione; tutto il resto merito. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 Difatti, non ha attribuito alcuna rilevanza all'indicazione delle caratteristiche dell'immobile e del suo valore in comune commercio, ed ha ritenuto insufficiente ai fini della validit dell'avviso l'enunciazione degli altri due criteri: tanto perch, ha affermato, l'Ufficio avrebbe dovuto indicare gli immobili aventi analoghe caratteristiche raffrontate a quello da valutare, e i valori concreti da essi assunti nelrultimo trimestre [rectius, triennio] e ad atti di trasferimento o di divisione o le perizie per i quali tali valori erano stati determinati. Del pari, il reddito, di cui l'immobile sarebbe stato suscettibile, doveva essere indicato nella sua dimensione numerica, insieme al tasso medio di capitalizzazione concretamente individuato tra tutti quelli possibili . 2. -Nel motivo d'annullamento la ricorrente denuncia che tal pronuncia viola gli artt. 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 ed il sistema del contenzioso tributario come delineata dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e successive modificazioni; inoltre inficiata da difetto di motivazione. In concreto, secondo la Amministrazione Finanziaria, la Commissione Tributaria Centrale ha errato allorch: I) si limitata a pronunciare la nullit dell'avviso di rettifica; difatti, il giudizio tributario -essendo di tipo non annullatorio ma di accertamento -non si pu concludere con una statuizione di annullamento o di nullit per difetto di motivazione dell'atto impositivo, ma deve sempre decidere sul merito della pretesa tributaria; II) ha ritenuto che il difetto di motivazione dell'avviso di rettifica comporti la nullit di tal atto, laddove l'ordinamento positivo non riconduce a tal vizio una siffatta sanzione; III) ha disatteso i precetti normativi in ordine al contenuto dell'avviso di accertamento in tema di imposta di registro; IV) ha motivato la conclusione che l'avviso di accertamento era carente del requisito della specificit della indicazione dei criteri adottati per la rettifica; difatti, non ha fornito ragione del mancato rilievo attribuito alla circostanza che l'avviso in questione aveva giustificato la rettifica con riguardo a dati concreti e specifici, come la qualit deHa zona, il collegamento con il centro e cos via. 3. -Nell'ordine logico, il secondo ed il terzo profilo della censura -tra loro connessi e, perci, da esaminarsi congiuntamente -hanno carattere prioritario. Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte (espresso, da ultimo, nella sentenza delle sue Sezioni Unite 17 agosto 1990 n. 8351), che qui si ribadisce, con riguardo all'avviso di accertamento di maggior valore ai fini dell'imposta di registro e dell'INVIM, la sussistenza d'una motiva 368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione adeguata, cio tale da delimitare l'ambito delle contestazioni dell'Ufficio e mettere il contribuente in grado di esercitare il diritto di difesa, ed il cui difetto impone al giudice tributario di dichiarare la nullit dell'avviso medesimo senza possibilit di statuire nel merito del rapporto, postula l'enunciazione dell'astratto criterio normativo in base al quale viene determinato il maggior valore, con le eventuali illustrazioni richieste dalla fattispecie, ovvero, in caso di utilizzazione di criteri diversi da quelli previsti dalla legge, l'indicazione ancorch implicita, dell'insufficienza di questi ultimi, in relazione alle peculiarit della situazione concreta; ove detta motivazione adeguata sia presente, resta poi a carico dell'Amministrazione, nel giudizio instaurato dal contribuente con ricorso avverso l'avviso, di provare la sussistenza delle circostanze che giustificano, nell'ambito del parametro prescelto, il quantum accertato (rimanendo inibita l'utilizzazione di criteri diversi), mentre il contribuente stesso pu dimostrare l'infondatezza della pretesa creditoria anche in base a criteri non utilizzati dall'Ufficio. La decisione impugnata si discostata da questi principi. Innanzitutto, nel punto in cui ha escluso che ai fini della validit della motivazione dell'avviso di accertamento del maggior valore (ed aprescindere, perci dalla loro valutazione ai fini del merito) possano essere I I @utilizzati criteri diversi da quelli dettati dalla legge; e, in questa prospettiva, non ha valutato l'incidenza del richiamo al valore del bene in comune commercio espresso nell'avviso di accertamento del quale si tratta. Inoltre, nel punto in cui ha escluso, sempre ai fini della validit della motivazione dell'avviso, la sufficienza dell'enunciazione dell'astratto criterio normativo in base al quale viene determinato il maggior valore con le eventuali illustrazioni richieste dalla fattispecie. In tal modo, ometI tendo di valutare se tanto si fosse realizzato nel caso di specie; e se le I ~ indicazioni contenute nell'avviso circa le caratteristiche dell'immobile del quale si tratta e del suo valore di mercato, fossero idonee ad integrare l'elemento della eventuale illustrazione della fattispecie; si tratta, tra I l'altro, di un accertamento che, in effetti, avrebbe dovuto essere espletato anche nell'ambito del principio cui ha fatto riferimento il giudice tributario (questi, cio, avrebbe dovuto accertare se l'anzidetta indicazione esaudisse la specificit e la concretezza della motivazione dell'avviso) sicch, il suo difetto avrebbe determinato, comunque, un vizio di motivazione della pronuncia impugnata. Ne deriva che le due censure in esame sono fondate e devono essere accolte. Stante il loro carattere prioritario tanto comporta l'annullamento della decisione impugnata e l'assorbimento degli altri due profili del ricorso. (omissis) PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 luglio 1992, n. 8552 -Pres. Vela -Est. De Musis P. M. Martinelli (conf.) -Ministro delle Finanze (avv. Stato Cocco) c. Soc. Libert. Tributi erariali indiretti ,; Imposta di registro -Base imponibile -Vendita iIJ:>esecuzione di concordato fallimentare -Estensione dell'art. 42 del d.P,;a. 26 ottt>bre 1972, n. 634 -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42). Il priripipio stabilito nell'art. 42 del d.P.R. n. 634/1972, secondo il quale nqn sono $Oggette a verifica della congruit del valore le vendite fatte all'incanto, non applicabile alla vendita conclusa in esecuzione di concordato fallimentare (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce che la Commissione Tributaria Centrale,..affermando che il prezzo indicato nell'atto di trasferimento di immobili disposto in esecuzione di concordato fallimentare costituivai ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. 26 settembre 1972 n. 634, base imponibile insuscettibile di ulteriore accertamento, incorsa in violazione e falsa applicazione di tale articolo e dell'art. 14 delle preleggi, perch, non essendo detto trasferimento compreso tra le ipotesi previste dall'art. 42, essa Commissione ha finito con l'applicare questa norma analogicamente, e ci6 era vietato dal menzionato art. 14 in quanto si trattava di norma eccezionale rispetto alla regola generale che consente all'Amministrazione, nel caso di trasferimento di immobili, l'accertamento di un valore di questi maggiore di quello dichiarato nell'atto. Il motivo fondato. L'art. 42, intitolato espropriazione forzata e trasferimenti coattivi, dispone: Per la vendita di beni mobili e immobili fatta all'incanto in sede di espropriazione forzata o comunque all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito pubblico incanto la base imponibile costituita dal prezzo di aggiudicazione. Per l'espropriazione per pubblica utilit e per ogni altro atto della pubblica autorit traslativo o costitutivo della propriet di beni mobili o immobili, di aziende e di diritti reali sugli stessi la base imponibile costituita dall'ammontare dell'indennizzo . La Commissione Tributaria Centrale ha ritenuto che la fattispecie in esame doveva essere compresa tra le ipotesi previste dalla riportata norma in base ai seguenti rilievi: a) il trasferimento era avvenuto con (1) Conforme ia sent. 11 luglio 1992, n. 8470: Decisione da condividere :pienamente. 15 - 370 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO provvedimento giudiziale e il prezzo era stato determinato con procedura cautelare che garantiva la corretta individuazione del valore dei beni; b) tali due circostanze erano state ritenute sussistenti per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e segg. c.p.c., dalla Corte Costituzionale, la quale per questo motivo aveva, con sentenza n. 328 del 1983, dichiarato la illegittimit costituzionale dall'art. 42 nella parte in cui non disponeva che anche per dette vendite la base impo nibile fosse costituita dal prezzo di aggiudicazione. La decisione errata gi per una preliminare considerazione. La dichiarazione di illegittimit conseguita all'accertamento che la vendita forzata senza incanto aveva la medesima ratio in base alla quale era stata prevista una delle specifiche ipotesi indicate nell'art. 42, e, nonostante ci, non era stata inserita tra le stesse dal legislatore. Analogamente il rilievo che la medesima ratio ricorresse nella fattispecie ora in esame avrebbe potuto giustificare la denunzia di illegittimit costituzionale dell'art. 42, nella parte in cui non comprendeva anche detta fattispecie, ma giammai avrebbe potuto portare alla diretta inclusione di questa tra le ipotesi, previste nell'articolo, mediante interpretazione estensiva. Ma in realt non sussiste la ritenuta identit di ratio: e ci esclude sia la eventuale denunzia di illegittimit costituzionale dell'art. 42 che la eventuale applicazione analogica dello stesso, a prescindere in questa seconda ipotesi dall'ulteriore accertamento della ricorrenza del divieto di tale applicazione per la eccezionalit della norma. La identit di ratio stata rinvenuta dalla Corte Costituzionale nel rilievo che nelle vendite con incanto e senza incanto -in quanto accomunate dalle stesse circostanze: costituiscono due diversi modi di attuazione della (stessa) espropriazione forzata; presuppongono la determinazione giudiziale del prezzo dell'immobile, sono preordinate alla realizzazione del maggior prezzo possibile -ricorrono le due condizioni ritenute giustificatrici delle ipotesi previste dall'art. 42: e cio la autenticit del prezzo pagato e la presumibile corrispondenza di questo al prezzo di mercato. Nessuna delle due condizioni ricorre nelle vendite disposte in esecuzione del concordato fallimentare. Non la prima: perch il prezzo fissato non dal giudice ma dalle parti (le quali quindi possono integrarlo attraverso convenzioni non trasfuse nel concordato). Non la seconda: perch il controllo, che il giudice esercita sulla proposta di concordato, nel suo complesso inteso soprattutto ad accertare se il concordato sia conveniente per i creditori (rispetto ai risultati presumibili dell'esecuzione della procedura fallimentare), ma non invece finalizzato principalmente ad accertaTe se il prezzo di vendita dei beni sia corrispondente a quello di mercato. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Il ricorso dev'essere pertanto accolto e la decisione impugnata va cessata, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Centrale, la quale si atterr al seguente principio: il trasferimento di immobili disposto in esecuzione di concordato fallimentare non pu essere compreso, n mediante interpretazione estensiva n in via di applicazione analogica tra le ipotesi (espropriazione forzata e trasferimenti coattivi) per le quali l'art. 42 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 predetermina la base imponibile. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1992 n. 8694 -Pres. Scanzano Est. Finoccbiaro -P. M. Bonaiuto (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Soc. Lancia Film. Tributi in genere -Accertamento Accessi ispezic;mi e verifiche -Rifiuto di esibire libri registri e documenti Divieto di esibizione in .giudi zio -Imposte dirette -Si e.stende. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33; d;P.R. 26 ottobre 1932, n. 633, art. 52; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; art. 19 bis). Il rinvio che l'art. 33 del d.P.R. n. 600/1973 fa all'art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 deve intendersi riferito all'intero articolo e quindi anche al quinto comma il quale dispone che i libri, registri, scritture e documenti di cui rifiutata l'esibizione nel corso dell'istruttoria non possono essere presi in considerazione a favo re del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Conseguentemente detti documenti non possono essere esibiti in giudizio e ci non contraddice alla regola dell'art. 19 bis del d.P.R. n. 636/1972 (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazion e falsa applicazione degli artt. 52, comma quinto, d.P.R. n. 633 del 1972 e 33, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. per non avere la Commissione Centrale tenuto presente il rinvio contenuto nel richiamato art. 33 d.P.R. n. 600 del 1973 all'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972 e per. non avere dichiarato l'inammissibilit della produzione, innanzi alle Commissioni Tributarie degli atti documentanti oneri e costi deducibili. Il ricorso fondato. L'art. 33, comma primo, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 -in tema di disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (1) Identica altra senten:l'Ja 27 giugno 1992, n. 8033. Decisione di evidente esattezza. L'omogeneit delle regole dell'accertamento in materia di imposta sui redditi e di IVA risulta con evidente esattezza da tutta l'impostazione deUa disciplina. 312 RASSEGNA .DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ,dispone che per l'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell'art: 52 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 . La norma richiamata -in tema di istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto -nel disciplinare accessi, ispezioni e verifiche, contiene un. quinto comma cos formulato: I libri, registri, scritture e documenti di cui rifiutata l'esibizione non .possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi all'ispezione . Nel caso di specie incontroverso che la documentazione relativa ai costi deducibili nori stata esibita in occasione dell'ispezione della Guardia di Finanza. La questfone sottoposta a questa Corte consiste nello stabilire se, i11 presenza del rinvio contenuto ~ell'art. 33, comma primo d.P.R. n. 600 del 1973, in matrla di imposte sul reddito si applichino solamente le disposizioni dell'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972 .che disciplinano la esecuzione degli accessi, ispezioni e verifiche o se invece siano applicabili tutte le disposizjo; n~,nyllo stesso t1:rticolo co:i:itenute, ivi comprese quelle clie comminano ~a dec~denza per omis.sioni compiute dal contribuente in occasione degli ac II cessi, isp~zioni e veijfiche. Rifa~ne .U Collegio .che si. , debba . seguire la seconda interpretazione inducendo tale conclusione 11' dato testuale costituito dall'art..33, com rna l, d.P.R. n. 600 del 1973, senz.a che. possa opporsi in contrario il fatto che la norma, ne! disporre il rinvio, sembra limitar-lo alla sola esecuzione degli accessi, dal momento. che; tale parola -in materia tributaria -si riferisce anche alle conseguenze dell'esecuzione di attivit accertative1 co;me dimostrato dal comma ottavo dell'art. 52 d.P.R, n. 633 I del 1972 il quale nello stabilire che < le disposizioni dei commi precedenti ~i applicano anhe per l'esecuzione di verifiche e di ricerche relative a merci o altri beni viaggianti su autoveicoli e natanti adibiti al trasporto per confo terzi , ricomprende anche il comma quinto della stessa norma relativa alle 66nseguenze del comporfamenf omissivo del contribuente. Tale interpretazione, oltre ad essere coerrite con il dato testuale, l'unica che consente di uniformare la disciplina dei controlli ai fini sia dell'IVA che delle imposte dirette ed impedisce una disciplina differenziata che sarebbe ir~azionale ove si tenga presente' ciie -com esi:tttamenle rilevato dall'Amministrazione rico~rente -il controllo ha per oggetto la medesima attivit economica del contribuente, che costituisce la base di applicazione di ambedue i regimi di imposta. N la precedente conclusiqp.~ .. on,traddetta dll'art.. 19 bis d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 che prevede, con carattere di generalit, la prod PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA cibilit, innanzi alle Commissioni Tributarie, di documenti non prodotti dal contribuente in occasione della dichiarazione. Tale disposizione infatti -applicabile anche in materia di IVA -va coordinata con le altre norme con le quali sono comminate decadenze o preclusioni, le quali altrimenti finirebbero con l'essere implicitamente caducate nel momento stesso in cui sono poste, sicch la stessa da intendere nel senso che il potere per il contribuente di produrre documenti non prodotti in occasione della dichiarazione sussiste nei limiti in cui il contribuente non sia incorso in decadenza, con la conseguenza che tanto in materia di imposte dirette, quanto in materia di IVA il contribuente non pu produrre o -il che lo stesso - non possono essere prese in favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa i libri, registri, scritture e documenti di cui stata rifiutata l'esibizione in occasione di accessi, ispezioni e verifiche. Ci del resto espressione di un principio generale dell'ordinamento che gi sulla base del t.u. di cui al d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 espressamente vietava all'art. 42 di prendere in considerazione, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa, i libri, registri, scritture e documenti che il contribuente aveva rifiutato di esibire in sede di ispezione documentale. La Commissione Tributaria Centrale non ha applicato gli esposti principi, sicch la decisione impugnata va cassata e la causa va rinviata alla stessa Commissione la quale, nel decidere, applicher il seguente principio di diritto: in materia di imposte sui redditi, in considerazione del rinvio contenuto nell'art. 33, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 alle disposizioni di cui all'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, il contribuente non pu produrre innanzi alle Commissioni Tributarie atti che documentano l'esistenza di oneri deducibili, qualora il contribuente abbia rifiutato la esibizione degli stessi in occasione di accessi, ispezioni e verifiche, senza che possa invocarsi in contrario il disposto dell'art. 19 bis d.P.R. n. 636 del 1972, il quale consente la produzione di documenti non prodotti in sede di dichiarazione nella sola ipotesi, in cui il contribuente non sia decaduto, sulla base di altre disposizioni, dal potere di produrli . CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 luglio 1992 n. 8754 -Pres. Scanzano Est. Pannella -P. M. Nicita (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Fallimento Greco. Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Soggetti passivi -Solidariet -Parti in senso formale -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 26). Nell'imposta di incremento di valore degli immobili, a differenza dell'imposta di registro, rispondono solidalmente del tributo gli alienanti 374 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO o i beneficiari del trasferimento, e non gi la parte in senso formale (nella specie procuratore dell'alienante) (1). I (omissis) La ricorrente Amministrazione denuncia violazione dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, in quanto non (sarebbe stato) correttamente interpretato alla stregua dell'insegnamento della Suprema Corte regolatrice che in tema di imposta di registro ha considerato parte contraente sia la parte in senso sostanziale, titolare del rapporto negoziale, e sia la parte in senso formale, immediata e diretta destinataria del rapporto giuridico: qual il rappresentante volontario. Tale principio -aggiunge la ricorrente - di portata generale ed riferibile a tutte le imposte indirette sugli affari, essendo finalizzato ad allargare la sfera dei soggetti obbligati al pagamento del tributo per meglio garantire l'interesse pubblico alla riscossione dell'imposta. La censura non condivisibile sull'evidente considerazione che anche in tema di imposte indirette esistono diversit di ragioni economicosociali e diversit di scopi, a fondamento di ciascuna di esse, tali da non consentire una mutualit di principi fra loro. proprio il caso dell'imposta di registro e dell'imposta INVIM. I La prima stata sempre ed tuttora ritenuta un'imposta d'atto legata soprattutto al crisma della registrazione: significativo il I contenuto del concetto di solidariet rimasto inalterato (nella sua parte essenziale) nella novella dell'art. 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 rispetto all'art. 93 n .1 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269. Oltre ai pubblici ufficiali I ed alle parti contraenti dell'atto negoziale sono indicati -in entrambe le disposizioni legislative - i soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione . Di modo che si presenta palese come il legislatore, at I tribuendo alla formalit della registrazione una ragione ed uno scopo di peculiare rilievo rispetto al contenuto del negozio registrato, ha I ampliato la sfera dei soggetti obbligati al pagamento del tributo, includendovi i soggetti interessati alla sola effettuazione della formalit di registrazione, tra i quaU da comprendere i procuratori volontari delle parti contraenti, in quanto necessariamente coinvolti a compiere un atto fiscale in prosecuzione dell'attivit giuridica attribuita loro per mandato (Confr. sent. 28 giugno 1984 n. 3824). . La seconda imposta di recente istituzione (legge delega del 9 ottobre 1971 n. 825 -legge delega d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643). Deriva dall'abrogata legge 5 marzo 1963 n. 246 (incremento valore aree fabbricabil). Sorta per ragioni contingenti in favore dei Comuni (nel cui territorio sito l'immobile da tassare), essa ha lo scopo di colpire il plusvalore dei (1) Non constano precedenti. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 beni immobili realizzatosi per effetto delle regole di mercato e di moneta nel corso del tempo. Non essendo un'imposta d'atto, e non assumendo quindi rilevanti aspetti puramente formali, essa non pu che gravare unicamente sugli alienanti dei beni a titolo onoroso o sugli acquirenti a titolo gratuito o per usucapione (art. 4). Il legislatore, con l'art. 26, ha, espressamente, disciplinato in modo autonomo (senza la possibilit di rinvio ad altre leggi come erroneamente potrebbe sembrare da un'errata lettura dell'art. 31) il principio della solidariet.>>, limitandolo fra gli alienanti ovvero i beneficiari di ciascun immobile >>. Da ci l'ulteriore considerazione che sarebbe fuori da ogni concezione di responsabilit patrimoniale tributaria l'assunto volto a ravvisare nelle enunciazioni: alienanti e beneficiari dell'art. 26 citato due tipi o categorie di parti: in senso sostanziale e formale, per attribuire la responsabilit patrimoniale anche ai rappresentanti volontari degli alienanti o dei beneficiari. Si giungerebbe -cos -ad un'arbitraria esegesi degli enunciati legislativi: alienanti e beneficiari senza neppure il sostegno dell'ulteriore enunciato: soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione >>, che proprio e soltanto dell'art. 55 della legge di registro (legge 634/72). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 luglio 1992 n. 9009 -Pres. Scanzano Est. Vignale -P. M. Amirante (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Arena G.) c. Soc. Nautica Allestimenti. Tributi locali Imposta sull'incremento di valore degli immobili Spese incrementative Denuncia . Termine. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 18). Le spese incrementative devono essere denunciate al pi tardi al momento della registrazione dell'atto, se pure consentita successivamente la relativa documentazione (1). (omissis) La ricorrente Amministrazione lamenta che erroneamente la Commissione Tributaria Centrale, ai fini della liquidazione dell'INVIM. abbia ritenuto legittimo il computo di una spesa incrementativa del valore iniziale dell'immobile (sotto il profilo che la relativa documentazione probatoria poteva essere prodotta anche in corso di giudizio). Omettendo di considerare che la contestazione verteva sulla computabilit della (1) Decisione dneccepibile. 376 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spesa, quando il contribuente abbia omesso (oltre che di documentare), addirittura di denunciare quella spesa, nel termine di decadenza di cui all'art. 18 d.P.R. n. 643 del 1972. La censura fondata. In tutti i gradi di giudizio, come risulta dalle decisione impugnata, l'Amministrazione Finanziaria ha sempre eccepito che la decadenza del contribuente dal diritto di detrnrre la spesa incrementativa, derivava dal mancato rispetto, da parte dello stesso, del termine posto dalla norma citata. E il terzo comma deH'art. 18 'd.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 prescrive appunto che le spese di cui al precedente art. 11 debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'Ufficio al momento della registrazione dell'atto ... , La decisione deve, pertanto, ritenersi errata nella parte in cui non ha applicato la suddetta norma alla fattispecie concretamente dedotta in giudizio. Ne consegue l'accoglimento del ricorso, con rinvio alla Commissione Tributaria Centrale che s atterr al prin cipio che, ai fini della liquidazione dell'INVIM, non ammesso il computo di spese incrementative del valore iniziale dell'immobile, quando queste non siano state denunciate nei termini di cui al terzo comma dell'art. 18 d.P.R. n. 646 del 1972. (omissis) PARTE SECONDA I I I ~ I II RASSEGNA DI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilit a partecipare all'udienza dibattimentale del giudice per le indagini preliminari presso la pretura che abbia respinto la richiesta di applicazione di pena concordata per la ritenuta non concedibilit di circostanze attenuanti. Sentenza 25 marzo 1992, n. 124, G.U. 1 aprile 1992, n. 14. Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilit del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice a partecipare al giudizio. Sentenza 22 aprile 1992, n. 186, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. Codice di procedura penale, art. 70, primo comma, limitatamente alle parole sopravvenuta al fatto . Sentenza 20 luglio 1992, n. 340, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Codice di procedura penale, artt. 406, primo comma, e 553, secondo comma, nelle parti in cui prevedono che il giudice possa prorogare il termine per le indagini preliminari solo prima della scadenza del termine stesso. Sentenza 15 aprile 1992, n. 174, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. Codice di procedura penale, art. 406, secondo comma, nella parte in cui prevede che il giudice possa concedere ulteriori proroghe del termine per le indagini preliminari solo prima della scadenza del termine prorogato . Sentenza 15 aprile 1992, n. 174, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. Codice di procedura penale, art. 500, terzo comma. Sentenza 3 giugno 1992, n. 255, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. Codice di procedura penale, art. 500, quarto comma, nella parte in cui non prevede l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dai commi primo e secondo, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Sentenza 3 giugno 1992, n. 255, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. 4/J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Codice di procedura penale, art. 513, secondo comma, nella parte in cui non prevede che il giudice, sentite le parti, dispone la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al primo comma del medesimo articolo rese dalle persone indicate nell'art. 210, qualora queste si avvalgano della facolt di non rispondere. Sentenza 3 giugno 1992, n. 254, G.U~ 4 giugno 1992, n. 24. Codice di procedura penale, art. 519 secondo comma: a) nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 516 del codice di procedura penfile, non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove; b) dell'inciso, a norma dell'art. 507 . Sentenza 3 giugno 1992, n. 241, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. Codice di procedura. penale, art. 566, nono comma, nella parte in cui esclude l'applicabilit al rito pretorile dell'art. 449, quarto comma, dello stesso codice. Sentenza 15 aprile 1992, n. 175, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. Codice penale militare di pace, art. 122. Sentenza. 24 giugno 1992, n. 299, G.U. 1 luglio 1992, n. 28. legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, ~ d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b), nella parte in cui non prevedono che siano esentati dagli obblighi di leva coloro-che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale siano tenuti a prestare il servizio militare. Sentenza 17 giugno 1992, n. 278, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, art. 11, nella parte in cui non prevede, tra gli effetti dell'ammissione al gratuito patrocinio, l'anticipazione a carico dello Stato delle spese per il compimento dell'opera non eseguita o per la distruzion di quella compiuta. Sentenza 28 aprile 1992, n. 194, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621, articolo unico [coiiv. 1n legge 15 luglio 1926, n. 1263], nella parte in cui subordina all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, _secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive. Sentenza 15 luglio 1992, n. 329, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. Combinato disposto R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276, e d.P.R. 10 gen naio 1957, n. 3, art. 87, nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti da san zione disciplinare. Sentenza 22 giugno 1992, n. 289, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. combinato disposto d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 87 e R.D. 30 gen naio 1941 n. 12, art. 276, nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti da sanzione disciplinare. Sentenza 22 giugno 1992 n. 289, G:U. 24 giugno 1992, h~ 27. PARTE li, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 49 legge 9 gennaio 1963; n. 9, art. 1, secondo comma, nella prte in cui preclude l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit a carico del Fori.do per coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione erogata dal Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia. Sentenza 8 aprile 1992, n. 165, G.U. 15 aprile 1992, n. 16. legge . 9 gennaio 1963, n . 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui prel.de Yintegrazione al minimo della pensione di riversibilit a carico del Fondo per coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione di veccehiaia erogata dal Fondo speciale per gli artigiani. Sentenza 8 aprile 1992, ri. 165, G.U. 15 aprile 1992, n. 16. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b) e legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, .ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che siano esentati dagli obblighi' di leva colpro che' abbiano perduto ia .cittadinanza italiana a .seguito deH:acquisto di quella d{ un altro Stato nel quale siano tenuti a prestare il sei-vizio militare. . . . ~ Sentenza 17 giugno 1992, n. 278, G.U. 24 giugno 1992, n. 27 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, nella parte in cui non prevede tra le persone assicurate gli associati .in partecipazione i quali prestino opera.manuale, oppure non manuaie, alle pondizioni di cui al n. 2 del medesimo art. 4. Sentenza. 15 luglio 1992, n. 332, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minirno della pensione di riversibilit erogata dalla Ges.tione speciale commercianti .in caso. di cumulo con pensione di rivers.ibilit a dtico dell'ENPALS. Sentenza 8 giugno 1992 n. 257, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della . pensione di riversibilit erogata dalla Gestione speciale commercianti in caso di cumulo con pensione diretta a carico dell'ENPALS. ' S(':nt(;!nz~. 8. aprile 1992, n.1~, (;.U. 15.aprile 1992~ n. 16. . legge 7 ottobre 19~9,. n. 7421 ,i.-t. 1, nella parte in cui non dispone cheJ'istituto della sospensiony ciei teqni!li. ;>i app\ic:W ~che a quello stabilito per ricorrere, avverso le delibere dei Consigli provinciali, al, Consiglio nazionale degli architetti. Sentenza 29 iuglio 1992, n.380, G.U. 5 ~gosto 1992, n. 33. legge 22 ottobre 1911, n. 865, art. 20, quarto comma, nella parte lii 'cui non prevede che anche l'espropriante possa proporre opposizione davanti alla corte d'appello contro la determinazione dell'inderinit di occupazione dei beni da espropriare, con atto di citazione notificato alle controparti nei modi ivi stabi liti e; quando l'espropriante sfa il 'comune; i:on decorrenza del termine per l'op posizione dal giorno in cui sia pervenuta: aI comune stesso l comunicazio:tie della determinazione di detta indennit da parte della comm'issione prevista dall'art. 16. Sentenza 27 luglio 1992, i:i.; 365, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. 17 fO RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 97, primo comma, nella parte in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non compete la tredicesima mensilit. Sentenza 27 maggio 1992, n. 232, G.U. 3 giugno 1992, n. 23. D.L. 8 luglio 1974, n. 261, art. 1 [come modificato dall'art. 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355], nella parte in cui non estende a tutti gli altri lavoratori destinatari di quelle provvidenze, tra le ipotesi di cessazione dal servizio non pregiudicanti il godimento dei benefici stabiliti per gli ex combattenti, anche quella della anticipata estinzione del rapporto di lavoro per soppressione del posto o riduzione dell'organico. Sentenza 15 luglio 1992, n. 330, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 nella parte in cui non prevede che l'obbligo del locatore di corrispondere al conduttore la indennit per l'avviamento commerciale non ricorre quando causa di cessazione del rapporto un provvedimento della pubblica Amministrazione che esclude indefinitamente la utilizzazione economica dell'immobile. Sentenza 3 giugno 1992, n. 242, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 17, primo comma e D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 15, [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33], nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione oltre la quale diventano operanti l'esclusione e il congelamento dell'indennit integrativa speciale. Sentenza 28 aprile 1992, n. 204, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 2, nella parte in cui, ai fini dell'inquadramento nella posizione funzionale di psicologo coadiutore degli psicologi provenienti dagli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 che alla data del 20 dicembre 1979 prestavano attivit nei predetti enti con la qualifica di psico logo collaboratore tecnico coordinatore, richiede che gli stessi fossero preposti alla direzione di strutture organizzative. Sentenza 15 luglio 1992, n. 331, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 15 [conv. in legge 29 febbraio 1980 n. 33] e legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 17, primo comma, nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l'esclusione e il congelamento dell'indennit integrativa speciale. Sentenza 28 aprile 1992, n. 204, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. legge reg. Marche 21 maggio 1980, n. 35, art. 7, secondo comma, limitatamente alle parole o statutarie . Sentenza 28 aprile 1992, n. 195, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, art. 25, primo comma [nel testo di cui all'art. 17, primo comma, della legge 6 ottobre 1986 n. 656], nella parte in cui non prevede l'esperibilit dell'azione in via giurisdizionale anche in mancanza del preventivo ricorso gerarchico. Sentenza 2 aprile 1992, n. 154, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 2, quinto comma. Sentenza 3 giugno 1992, n. 243, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 5, terzo comma, nella parte in cui non prevede la sua applicabilit ai giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, ivi compresi i giudizi elettorali. Sentenza 30 marzo 1992, n. 140, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 29 aprile 1983, n. 167, art. 2, primo comma [come sostituito dall'art. 1, numero 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 897], nella parte in cui non prevede l'adozione del provvedimento dell'affidamento in prova indipendentemente dall'osservazione della pesonalit del condannato per almeno un mese nello stabilimento militare di pena. Sentenza 23 marzo 1992, n. 119, G.U. 1 aprile 1992, n. 14. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 6, secondo comma, nella parte in cui non consente l'adozione di uno o pi fratelli in stato di adottabilit, quando per uno di essi l'et degli adottanti supera di pi di quarant'anni l'et dell'adottando e dalla separazione deriva ai minori un danno grave per il venir meno della comunanza di vita e di educazione. Sentenza 1 aprile 1992, n. 148, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. n. 76, nella parte in cui prevede il potere del giudice di allegare nel fascicolo processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, solo le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto, e non anche le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Sentenza 3 giugno 1992, n. 255, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 19 [in relazione agli artt. 4 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 e 1 tariffa allegata], nella parte in cui non comprende nell'esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione. Sentenza 15 aprile 1992, n. 176, G.U. 22 aprile 1992, n. 17.