ANNO XXXVII -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1985 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1985 ABBONAMENTI ANNO 1986 ANNO L. 37.000 UN NUMERO SEPARATO ,. 7.000 Per abbonamenti e acquisii rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFirO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Rom~ e/e postale n. 387001 'Stampato in 1talia -Printed in 1taly Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lualio 1966 (7219175) Roma, 1986 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato_P.V. ftrri:t\ lNDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv Franco Favara) pag. 693 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'vv. Oscar Fiumara) 737 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) 784 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Paolo Cosentino e Anna Cenerinil )) 803 Sezione quinta GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura de gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 823 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bf!.file) 833 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATRIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} 869 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocatl Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) 873 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO RASSEGNA DI DOTTRINA fa cura de/l'avv. Ignazio Caramazza) lt 167 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE , f83 La pubblicazione e diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRr, Ancona; Francesco Cocco, Bari, Carlo BAFILE, L'Aquila, Nicasio MANcuso, Palermo; Rocc BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo ScoTTr, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. NOTA REDAZIONALE Indirizzo di saluto del Presidente della Repubblica in occasione della restituzione degli auguri nella sede dell'Avvocatura dello Stato. Il Presidente della Repubblica On.le Prof. Avv. Francesco Cossiga ha onorato l'Istituto con una sua visita all'Avvocato Generale per formulare gli auguri di Natale 1985 e Capodanno 1986. Pubblichiamo il testo registrato del saluto del Capo dello Stato al quale l'Avvocato Generale ha risposto esprimendo il profondoringraziamento suo personale e dell'Istituto per l'alto riconoscimento dato dal Presidente col suo gesto e con le sue parole. Queste -ha detto, tra l'altro, l'Avvocato Generale -costituiscono il miglior incitamento per i giovani cui affidato l'arduo compito di conservare la gloriosa tradizione dell'Avvocatura dello Stato e un premio ambito per le fatiche di tutti quelli che con grande sacrificio e difficolt continuano a far fronte a crescenti ed onerosi impegni di lavoro, nonostante le vistose carenze dell'organico professionale. Con riguardo a tale argomento l'Avvocato Generale ha auspicato che il Governo -come ha promesso il Presidente del Consiglio nella lettera di risposta alla presentazione, da parte dell'Avvocato Generale, dell'ultima relazione quinquennale -dia rapidamente corso. alle proposte che egli inoltrer appena definita la legge in corso di approvazione relativa alla integrazione de.ll'organico del personale amministrativo. L'Avvocato Generale, a nome di tutti gli appartenenti all'Istituto, rinnova al Presidente della Repubblica il ringraziamento e gli auguri attraverso la Rassegna, che ha l'onore di riportarne, qui di seguito, le parole: Era mio dovere, come Capo dello Stato, venire nella sede dell'Avvocatura generale dello Stato. Le feste natalizie e il desiderio di ricambiare gli auguri che l'Avvocato generale cos cortesemente mi ha presentato questa mattina, anche a nome di tutti gli avvocati, sono soltanto un'occasione: l'occasione di un incontro che avevo gi programmato da tempo. Desiderp pertanto che la mia visita di oggi venga accolta anche come voluta e realizzata al di fuori di questa occasione. L'Avvocatura dello Stato posta a difendere a tutelare interessi e diritti che sono in modo particolarmente diretto ed immediato riferibili allo Stato. Ritengo doveroso ringraziare gli avvocati dello Stato per tale opera, . che svolgono con spirito di servizio, profonda preparazione e alta prof essionalit, come io stesso ho potuto sperimentare nella ormai non breve esperienza politico-amministrativa. Essi svolgono il loro lavoro essendo prima avvocati, nel senso pi nobile della parola, e poi avvocati dello Stato. E proprio in tal senso che deve essere intesa, a mio avviso, la funzione dell'Avvocatura dello Stato, che non partecipe dell'azione dello Stato solo come rappresentanza e difesa dinanze alle Corti di giustizia, ma anche nell'attivit di consulenza e di assistenza, che anch'essa momento rilevante di attuazione della giustizia, non solo perch evidentemente, sotto il profilo pratico, pi opportuno prevenire il conflitto che non porvi rimedio quando sia gi insorto, ma anche perch questo un modo, forse il pi desiderabile, di rendere giustizia. ..:::::t:::::I E anche per questo gli avvocati dello Stato e forse a maggior ragione degli stessi avvocati del libero foro, fanno parte del circuito dell'amministrazione della giustizia. L'avvocato, il difensore della parte, vi appartiene allo stesso titolo del giudice o del pubblico ministero, perch un'altra delle conqusitedella civilt moderna e dello Stato liberale, il giudice come terzo: il giudice come terzo non pu essere tale se non assicurato alle partiil diritto di difesa. Concorrono quindi all'amministrazione della giustizia i giudici non meno che i difensori delle parti, anche perch senza il contraddittorio il giudice diventa un inquisitore. I poteri, i diritti, le facolt; la stessa posizione dell'avvocato nel processo sono, dunque, garanzia di libert. Va osservato, a tale riguardo, che gli orlinamenti che hanno realizzato i migliori sistemi di giustizia, sono proprio quelli che hanno introdotto li concetto di parit delle parti. Credo, infatti, che la giustizia in concreto realizzablie solo quella in' cui possibile pervenire attraverso e nella griglia delle leggi. Ritenere di avere il diritto, nel nome della verit, di costruire o di affermare verit diverse da quelle che si possono costruire attraverso il sistema delle prove, attraverso il sistema della dialettica processuale, pu essere, in astratto, espressione di alta ispirazione ideale, ma rischia di portare in concreto alla negazione della giustizia, com ci ricorda quel periodomolto critico della storia della Chiesa, che quello della Santa Inquisizione. La pratica attuazione di quella che gli Enciclopedisti chiamarono l'utopi delle leggi appare la via pi concreta e sicura di realizzazione della giustizia degli uomini. I per questa, ragione che, venendo qui, compio doverosa testimonianza ~ a chi ha il compito di tutelare diritti e interessi immediatamente riferibili all'apparato statale o agli altri soggetti che .a questo fine sono equiparati allo Stato, ma nello stesso tempo, esercitano l'avvocatura con le stesse prerogative con le quali viene esercitata da ogni avvocato. Ed I per questa condizione di parit, tanto nel vestire la toga, quanto nei poteri, negli one.ri e negli obblighi, che l'avvocato dello Stato, a mio avviso, deve essere considerato (e se non lo fosse non avremmo un sistema di I giustizia liberale) soggetto del processo di giustizia alla stregua del difen sore della parte privata, ed al pari dello stesso giudice, cui si affianca I nell'esercizio di una funzione che in quanto pubblica istituzionale, esprime una fondamentale vocazione giustiziale. Per questo ho voluto portare all'Avvocato generale dello Stato ed a questo Istituto il mio saluto ed il mio augurio che si rivolge alle persone, all'istituzione, al Paese come auspicio di giustizia e quindi di pace e di serenit. ~ . ~ ... fl:!~:!~'.~;~,~:11arc1t111.:z1114r&:J.tr&!t11a11t~:rn ARTICOLit NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI S. LAPORTA, Occupazione appropriativa e prescrizione: una occasione di meditazione . . . . . . . . . . . . . . . . I, 869 A A!&)i1::1 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ATTO AMMINISTRATIVO -Sentenze Interpretazione Motivazioni Rilevanza, 803. -Termine per l'esercizio del potere Decorso del termine Effetti giuridici, 703. DEMANIO .. -Tutela giurisdizionale da parte delCOMUNIT "EUROPEE la p.a. Ammissibilit Procedimento civile Appello Intervento di ter -Agricoltura Organizzazione comuzo Presupposti, 814. ne del mercato vitivinicolo Taglio di vino rosso da tavola, 739. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA -Agricoltura Organizzazione comune UTILIT di mercato dei prodotti lattiero-caseari Prelievo di corresponsabilit -Occupazione d'urgenza non seguita Natura, 756. da decreto d'esproprio Trasforma -Agricoltura Organizzazione comu zione dell'immobile per effetto della esecuzione dell'opera Illecito Ca ne di mercato nel settore dei prodotti lattiero-caseari Prelievo di rattere istantaneo, con nota di S. LAPORTA, 869. corresponsabilit Criteri di determinazione Validit, 756. -Occupazione illegittima d'immobili -Libera circolazione dei lavoratori Diritto al risarcimento dei danni Uso di lingue diverse in materia Prescrizione Successiva offerta e li giudiziaria Vantaggio sociale, 766. quidazione dell'indennit d'esproprio Rinuncia alla prescrizione -Libera circolazione delle merci Car Esclusione, con nota di S. LAPORTA, ni bovine Contingente tariffario co 869. munitario Quote nazionali Riesportazione in altro paese comuni -Terreni agricoli Indennit Criteri tario, m. previsti dalla legge n. 865-71 Applicabilit, 803. -Libera circolazione delle merci . Pro -Terreni agricoli Indennit Criteri priet industriale e commerciale previsti dalla legge n. 865-1971 Ap Brevetti Estensione della protezio plicabilit, 803. ne Esaurimento del diritto di brevetto in caso di licenza obbligatoria rilasciata su un brevetto parallelo, FORZE ARMATE. con nota di O. FIUMARA, 748. -Servizio militare obbligatorio . Obie -Ravvicinamento delle legislazioni zione di coscienza . Legittimit costi Sostanze e preparati pericolosi ,1iuzionale, 703. Etichettatura, 772. GIURISDIZIONE CIVILE CORTE COSTITUZIONALE -'-Giurisdizione ordinaria ed ammm1 -Conflitto di attribuzione Atto di strativa Art. 60 r.d.I. 3 marzo 1938 . soggetto privato Non pu occasio Art. 62 r .d.I. 12 luglio 1934 n. 1214 nare il conflitto, 721. Revisione pensione per emolumenti -Conflitto di attribuzione Mera accessori percepiti. Versamento conastensione dall'esercizio di potere tributi relativi da parte del datore statale Non invasiva, 721. del lavoro Giurisdizione ordinaria . ~ \ I~ ~ I :I&>= . --~ INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Esecuzione revisione pensione da parte della C.P.D.E.L. Giurisdizione esclusiva Corte dei Conti, 784. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Impiego pubblico Pretese patrimoniali Ordinanza di urgenza Fatti specie, 830. -Impiego pubblico Retribuzioni arretrate Rivalutazione e interessi . Domanda proposta in appello Ammissibilit, 823. -Impiego pubblico Retribuzioni ar retrate Rivalutazione e interessi Giudizio di ottemperanza Ammissibilit, 823. . -Ricorso Termine Atto soggetto a controllo Decorrenza, 828. IMPIEGO PUBBLICO -Invalidit civile Commissione sani taria provinciale e regionale Procedimento e natura Rapporti tra i ri spettivi provvedimenti Atto amministrativo Silenzio-rigetto Procedimento dinanzi la Commissione sanitaria Applicabilit, 795. -Trattamento economico Divieto di reformatio in pejus - princi pio general~ Liquidazione di fondo previdenziale -Non prescritta da principio fondamentale, 701. LAVORO -(Collocamento) Invalidi Assunzioni obbligatorie -Posizione soggettiva del lavoratore e del datore di lavoro Natura Lesione . Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Limiti, 785. -Indennit di anzianit Differenza di .trattamento tra impiegati ed operai Legittimit costituzionale, 713. -Licenziamenti collettivi Tutela giu risdizionale del singolo lavoratore possibile, 711. -Malattie professionali -Rendita -Decorrenza della prescrizione -Primo giorno di completa astensione dal lavoro Esclusione -Sussistenza di postumo indennizzabile Necessit, 810. -Malattie professionali Rendita Interruzione della prescrizione Applicabilit della disciplina civilistica Esclusione, 810. NAVI E NAVIGAZIONE -Ordinanza della Capitaneria di porto per violazione dell'art. 1217 cod. nav. Opposizione Riesame della misura della sanzione Ammissibilit, 817. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Radiotelevisione Assegnazione di radiofrequenze attribuzione statale, 720. PROCEDIMENTO CIVILE -Opposizione di terzo Avverso ordi nanza di convalida di sfratto per morosit, 736. PROCEDIMENTO PENALE .. -Pluralit di imputati . Istruzione sommaria Richiesta di proscioglimento Reiezione e prosecuzione in via formale contro tutti gli imputati, 717. REATO -Delitto di contrabbando previsto dall'art. 295 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 Sospensione del giudizio penale per il procedimento doganale di revisione Inammissibilit, 873. -Delitto di cui all'art. 490 C.P. Certificati sanitari del veterinario di confine Sono atti pubblici, 873. -Reato permanente -Prova del momento di cessazione della permanenza Incombe all'accusa, 878. -Reato previsto dall'art. 1161 Codice lella navigazione -Carattere permanente Sussistenza, 878. -Reato previsto dall'art. 1161 Codice della navigazione Realizzazione di manufatti sul suolo demaniale marittimo -Determinazione del momento in cui cessa la permanenza, 878. REGIONI -Conservazione del suolo Vincolo idrogeologico Lavori minerari Au RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO X torizzazione dell'autorit forestale Necessit, 714. -Consiglieri regionali -Guarentigia per le opinioni espresse ed i voti dati -Limiti, 693. RESPONSABILIT CIVILE -Impiego pubblico -Concorso -Revisione graduatoria in seguito a giudicato .amministrativo -Ritardo nell'esecuzione -Danni per il vincitore nel frattempo collocato a riposo Ammissibilit, 789. TRENTINO-AHO ADIGE -Provincia di Bolzano -Convenzioni con la RAI per programmi in lingua tedesca e ladina - attribuzione statale, 720. -Provincia di Bolzano -Servizio pubblico radiotelevisivo -Competenza generale ed esclusiva nell'ambito provinciale -Non sussiste, 722. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Motivazione -Metodo induttivo -Giustificazione -Integrazione della motivazione in giudizio -Legittimit, 862. -Imposta sui fabbricati -Esenzione venticinquennale -Omessa richiesta Impugnazione del ruolo per far valere l'esenzione -Ammissibilit Estensione dell'esecuzione ai periodi di imposta anteriori coperti da accertamento definitivo -Esclusione, 833. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono -Agevolazioni -Inconciliabilit, 841. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Intento di speculazione -Accertamento -Deducibilit nel giudizio di terzo grado, 858. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Reddito di capitale -Pre~unzione di fruttuosit -Deducibilit in terzo grado, 858. -Soggetti passivi -Liquidatari di societ -Accertamento responsabilit successivo alla liquidazione -Notifca al solo liquidatore ~ Legittimit, 846. -Soggetti passivi -Liquidatari delle societ -Responsabilit -Prescrizione -Decorrenza, 846. -Soggetti passivi -Liquidatore di societ -Responsabilit -Accertamento e contenzioso -Art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 -Portata processuale -Applicabilit ai rapporti anteriori, 847. -Soggetti passivi -Liquidatore di societ -Responsabilit -Regime anteriore 1'11 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 -Limitazione della responsabilit alle somme che avrebbero trovato capienz in sede di graduazione dei privilegi -Esclusione, 847. - Soggetti passivi -Liquidatore di societ - Responsabilit -Ruolo formato contro la societ - titolo valido contro il liquidatore, 847. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Rimborso -Prescrizione -Indebito oggettivo -Inconfgurabilit -Prescrizione ordinaria -Esclusione, 845. -Jmposta sul valore aggiilnto -Riscossione provvisoria per un terzo dell'accertato -Legittimit costituzio.ale, 710. -Imposte ipotecar~e e catastali -Trascrizione di sentenze che dispongono trasferimenti immobiliari -Sentenze non passate in giudicato Im- mediato pagamento dei tributi, 698. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Poteri degli uffici Polizia tributaria -Accesso in locali destinati all'esercizio di attivit com merciali -Legittimit, 864. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Valutazione estimativa -Questioni relative all'esistenza del cespite, 858. -Contenzioso tributario -Giurisdizione condizionata -Agevolazione pluriennale -Provvedimento di ammissione - necessario, 864. -Repressione delle violazioni -Vizi del provvedimento -Impugnazione -Giudizio di merito sul rapporto -Irrilevanza dei vizi, 856. TRIBUTI LOCALI -Tassa sulle insegne -Mezzi pubblicitari esposti nelle vetrine e sulle porte di ingresso -Legittimit costituzionale, 734. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 20 marzo 1985, n. 69 . . . . . . 14 maggio 1985, n. 147 (in cam. cons.) 23 maggio 1985, n. 153 ....... . 24 m,aggio 1985, n. 164 . . . . . . . . 25 maggio 1985, n. 176 (ord. in cam. cons.) 28 giugno 1985, n. 191 (ord. in cam. cons.) 3 luglio 1985, n. 198 15 luglio 1985, n. 201 15 luglio 1985, n. 202 15 luglio 1985, n. 206 15 luglio 1985, n. 207 25 ottobre 1985, n. 233 (in cam. cons.) 25 ottobre 1985, n. 237 (in cam. cons.) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sez. IV, 14 maggio 1985, nella causa 89/94 . Sed. plen., 9 luglio 1985, nella causa 19/84 .. Sed. plen., 9 luglio 1985, nella causa 179/84 . Sed. plen., 11 luglio 1985, nella causa 137/84 Sez. III, 26 settembre 1985; nella causa 187/84 Sez. II, 7 ottobre 1985, nella causa 199/84 .. GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 2 aprile 1985, n. Sez. I, 15 aprile 1985, n. Sez. I, 15 aprile 1985, n. Sez. I, 20 aprile 1985, n. Sez. Un., 6 maggio 1985, Sez. Un., 6 maggio 1985, Sez. Un., 6 maggio 1985, Sez. I, 6 maggio 1985, n. Sez. Un., 9 maggio 1985, Sez. Un., 24 giugno 1985, 2247 2482 2493 2605 n. 2820 n. 2821 n. 2822 2829 . n. 2871 n. 3798 Pag. 693 698 701 703 710 711 713 714 717 720 722 734 736 Pag. 739 748 756 766 772 777 " Pag. 803 833 841 " 845 ,. 846 847 847 856 858 784 .d 4f11 il~~li!lh fJff:i.l:l@t::::., XI1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sez. I, 4 luglio 1985, n. 4035 Sez. I, 8 luglio 1985, n. 4071 Sez. Un., 8 ottobre 1985, n. 4857 Sez. I, 24 ottobre 1985, n. 5236 Sez. Un., 9 novembre 1985, n. 5479 Sez. Un., 23 novembre 1985, n. 5808 Sez. Un., 23 novembre 1985, n. 5813 Sez. Un., 29 novembre 1985, n. 5934 Sez. I, 30 novembre 1985, n. 5984 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE 24 dicembre 1985, n. 101 . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 1 agosto 1985, n. 18 Ad. Plen., 8 ottobre 1985, n. 19 Ad. Plen., 22 ottobre 1985, n. 20 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sez. Il, (ordinanza) 24 settembre 1985, n. 670 . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI PENALI CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sez. III penale, 12 dicembre 1985, n. 11913 Sez. III penale, 14 dicembre 1985, n. 12151 I 862 i 864 i~ & 810 ~= !i 803 i: 785 814 789 795 I 817 ' Pag. 869 Pag. 823 823 828 Pag. 830 Pag. 873 878 ;~ PARTE SECONDA Rassegna di dottrina . . . Pag. 167 Rassegna di legislazione L,eggi e decreti . . . . . . 183 " Questioni di legittimit costituzionale: I -Norme dichiarate incostituzionali Pag. 184 II -Questio.ni dichiarate non fondate 186 III -Questioni proposte 188 " PARTE PRIMA I ~ I I k I ~ I' j\_ ~ lllil!t:,,, 1ta111&11r1&~1r1t.111111aai,..,1.1 GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 20 ma:rZo 1985, n. 69 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -Regione Abruzzo (avv. Perooe). Regioni Consiglieri regionali Guarentigia per le opinioni espresse ed i voti dati Limiti. Sono coperte dall'immunit le funzioni amministrative attribuite al Consiglio regionale in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e da leggi dello Stato. Non sono, per contro, coperte dalla immunit eventuali altre funzioni amministrative, attribuite al Consiglio dalla normativa regionale; non essendo concepibile tra l'altro che il limite della potest punitiva sia segnato, invece che dalla legge dello Stato da atti della Regione (1). Con ,il ricorso in data 16 luglio 1981, la Regione Abruzzo, ha chiesto che la Corte dichiari il difetto assoluto di giurisdizione dell'Autorit giudiziaria a procedere per l'accertamento della eventuale responsabilit penale del consigliere regionale Galluppi Fernando per quanto attiene alla approvazione del parere espresso il 4 dicembre 1980 dalla V Commissione del Consiglio regionale, da lui stesso presieduta, nonch -come verr documentato dalla difesa della Regione nel corso del giudizio -della co;nseguente conforme deliberazione, adottata il 13 gennio 1981, dal Consiglio regionale; provvedimenti aventi entrambi ad oggetto l'ammissione al convenzionamento preventivo con enti mutualistici di un laboratorio privato di analisi. A carico del consigliere Galluppi viene ipotizzato, a titolo di concorso (art. 110 del codice penale), il (1) Giustamente si ricon~sce che la potest punitiva dello Stato non pu essere compressa da leggi regionali. V' da dire che analogo discorso avrebbe potuto farsi per la potest di controllo. 694 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA 'DELLO STATO delitto di interesse privato in atti di ufficio (art. 324 del codice penale). Secondo l'assunto della Regione, poieh la condotta in tal modo incriminata consisterebbe nei voti dati dal Galluppi nelle due occasioni ricordate, e quindi sicuramente, nell'esercizio di sue funzioni di consigliere regionale, di quei voti egli non pu essere chiamato a rispondere, in forza dell'art. 122, quarto comma, Cost. (omissis) Con la sentenza n. 81 del 1975 -ripetutamente richiamata dalla Regione ricorrente -questa Corte ha ricollegato la eccezionale deroga all'attuazione della potest punitiva dello Stato, di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., alla particolare natura delle attribuzioni del Consiglio regionale, esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite (ma non a livello di sovranit) attraverso l'esercizio di funzioni in parte disciplinate dalla stessa Costituzione e in parte dalle altre fonti normative cui la prima rinvia . Dopo aver espressamente menzionato -quali funzioni di maggiore spicco -la funzione legislativa e quella di indirizzo politico, la Corte ha risolto a favore della Regione il conflitto di attribuzioni allora sottopostole sull'assunto che la forma amministrativa che connota le deliberazioni consiliari non valga ad escludere l'irresponsabilit di coloro che le adottarono nell'esercizio di competenze spettanti al consiglio. Di qui il difetto di giurisdizione dell'autorit giudiziaria, dichiarato nella specie con riferimento a delibere consiliari se pur in forma amministrativa, ritenute connesse allo stato giuridico dei consiglieri regionali (stipula di contratti di assicurazione). La ratio decidendi della pronuncia del 1975, rapportata al caso deciso non implicava una affermazione generale di insindacabiiit in riferimento a qualsiasi atto consiliare in forma amministrativa, bens, pi specificamente, l'insufficienza della forma amministrativa dell'atto ai fini di escludere la guarentigia per atti aUinenti. allo stato giuridico dei consiglieri, e in definitiva all'autoorganizzazione del Consiglio stesso. L'affermazione della insindacabilit delle opinioni e dei voti dei consiglieri regionali nell'esercizio della funzione di organizzazione interna dell'organo non fa che sviluppare coerentemente il pararLlelismo con le guarentigie dei membri del Parlamento, di cui all'art. 68, primo comma, Cost. in relazione al nucleo essenziale comune e caratterizzante delle funzioni degli organi rappresentativi dello Stato e detle Regioni: accanto alla funzione primaria, quella legislativa, ed alla funzione di indirizzo politico e di controllo, la funzione dL autoorganizzazione interna, pacificamente riconosciuta al Consiglio regionale al pari che ai due rami del Parlamentb. Invero la guarentigia delle opinioni espresse e dei voti dati dai consiglieri regionali, nel sistema costituzionale, trae fondamento e trova il suo ambito in un determinato modello di funzioni dei Consigli regio PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA CoSTITUZIONALB 695 nali, ritenuto meritevole e bisognoso della tutela privilegiata apprestata dall'art. 122, quarto comma, Cost. L'esonero da responsabilit dei component~ dell'organo (sulla scia di consolidate giustificazioni dell'immunit parlamentare) vista funzionale alla tutela delle pi elevate funzioni di rappresentanza politica, in primis la funzione legislativa, volendosi garantire da qualsiasi interferenza di altri poteri il libero processo di formazione della volont politica. La giustificazione razionale della guarentigia poggia, pertanto, sulla corrispondenza fra il livello costituzionale della guarentigia stessa, ed il livello costituzionale del tipo di funzioni, il cui esercizio si eccezionalmente ritenuto opporttino sottrarre al controllo giudiziario. Quello che la Costituzione ha inteso proteggere, con disposizioni derogatorie rispetto al comune regime li responsabilit, un modello funzionale che essa stessa ha delineato ed appunto perci ha potuto valutare meritevole dell'eccezionale protezione. Funzioni di amministrazione attiva sono viste, in via di principio, estranee al nucleo caratterizzante delle funzioni consiliari. L'organo esecutivo delle Regioni la Giunta (art. 121, terzo comma, Cost.) ed il Presidente della Giunta che dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alle Regioni (art. cit., quarto comma), mentre le funzioni amministrative proprie la Regione le es~rcita normalmente delegandole alle Province, ai Comuni e ad altri enti locali o valendosi dei loro uffici (art. 118, ultimo comma, Cost.). Le funzioni amministrative delle Regioni, nella previsione costituzionale, sono affidate in via generale non al Consiglio, ma a soggetti diversi e responsabili. Appunto per questo il campo problematico dell'interpretazione della immunit consiliare costituito da funzioni amministrative, fuoriuscenti dal nucleo essenziale sopra richiamato. Vero che, come per il Parlamento, cos per i Consigli regionali le funzioni costituzionalmente previste non si esauriscono in quella legislativa. Accanto alla potest legislativa, di indirizzo, di controllo e regolamentare riservate alle Regioni, il Consiglio regionale esercita (art. 121, secondo comma, Cost.) le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi . (Un possibile esempio H riesame affidato al Consiglio di atti della Regione sui quali fosse stato esercitato controllo eventuale di merito ai sensi dell'art. 125, primo comma, Cost.). E' questo il modello I funzionale, che la disposizione sull'immunit ha per presupposto siste matico, nel senso che con la guarentigia in esame si voluto garantire il libero esercizio delle funzioni tipiche ed esclusive riservate al Consiglio regionale, differenziando, per questo, la posizione dei consiglieri regionali da quella dei componenti di tutti gli altri organi investiti di funzioni ovviamente diverse. 1 11m11r1111ittl111111ifir111~111 , 1l1t1ii11i11111rr~r::11i1ijll1111ill1rl11r1t111r111rrl:11rrrrl111ri 696 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO ,STATO L'ampliamento della portata dell'immunit risultante dall'amplia mento, rispetto al modello costituzionale, delle funzioni riservate al Con siglio regionale pu essere operato, ove consentito, soltanto con' legge dello Stato, perch soltanto il legislatore statale pu assicurare, come costituzionalmente necessario, una uguale protezione ai consiglieri di tutte le Regioni nell'esercizio delle medesime funzioni e perch soltanto una sua scelta sarebbe conforme al principio di . legalit che regge compiutamente H sistema penale. Nessuna influenza, rispetto alla estensione dell'immunit, pu essere riconosciuta nel caso di funzioni amministrative . del Consiglio regionale che (come nella specie) abbiano fondamento in normative di fonte regio. nale, compresi gli statuti. La possibile inserzione dei Consigli regionali . in funzioni di ammini strazione attiva, corrisponde ad un modello pi o meno accentuatamente assembleare del governo regionale, che diversi statuti hanno fatto proprio, e che di per s sicuramente compatibile con le norme costi tuzionali. Ma altro la distribuzione delle funzioni amministrative tra i propri organi ovvero ad enti locali che la Regione1 nell'ambito della propria autonomia, pu certamente operare, altro pretendere che la attribuzione meramente eventuale di siffatte funzioni al Consiglio regio nale renda i componenti di quest'organo irresponsabili anche per l'eser cizio di esse. Una ipotesi del genere estra!!ea al modello funzionale pre visto dal costituente e un'interpretazione dell'immunit, che .ne faccia il riflesso automatico di qualsiasi attribuzione di funzioni amministra tive al Consiglio regionale, in base a normative regionali, avrebbe impli cazioni paradossali: le Regioni con il semplice trasferire sul Consiglio date funzioni amministrative, ne porrebbero l'esercizio al riparo da qual siasi responsabilit, sostituendo soggetti im'.!'Iluni ai soggetti in via generale titolari -e responsabili -per la funzione amministrativa. Si tratta, a tutta evidenza, di implicazioni non volute dai costituenti: in contrasto sia con il prjncipio di responsabilit per gli atti compiuti, che informa l'attivit amministrativa (artt. 28 e 113 Cost.), sia con il principio che riserva alla legge dello Stato la d_eterminazione dei presup posti (positivi e negativi) della responsabilit penale (art. 25 Cost.) . ., L'interpretazione razionale dell'art. 122, quarto comma, all'interno del sistema costituzionale, conduce pertanto ad escludere che la portata della immunit possa essere estesa sulla base di atti della Regione. Ci si' risolvrebbe infatti nel consentire al Consiglio regionale la possibilit di predeterminare la irresponsabilit dei propri membri nell'esercizio di- determinate funzioni amministrative (potendosi cos configurare diversa- I I I I PARTB 1, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALI! mente, da regione a regione, l'area. delle condotte immuni) il tutto in palese contraddizione con i principi portanti dell'ordine giilridico . Riassumendo, il criterio di delimitazione dell'immunit consiliare non sta nella forma amministrativa degli atti (in ci resta valida la motivazione della sentenza n. 81/75) bens nella fonte attributiva delle funzini stesse. Sono c9perte dall'immunit le funzioni amministrative attribuite al Consiglio regionale in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e da leggi dello Stato. Non sono, per contro, coperte dalla immunit eventuali altre funzioni amministrative, attribuite al Consiglio dalla normativa regionale, non essendo concepibile tra l'altro che il limite della potest punitiva sia segnato, invece che dalla legge dello Stato da atti della Regione. Il criterio qui precisato appresta al Consiglio adeguate garanzie contro intrusioni indebite. In ogni caso, di fronte a scdnfinamenti della autorit giudiziaria nella aera coperta dall'immunit, resta ovviamente il rimedio gi sperimentato del conflitto di attribuzioni dinanzi a questa Corte. Ed anche nell'ambito funzionale fuoriuscente dall'immunit, per quanto riguarda in particolare la responsabilit penale, resta ovviamente impregiudicata la rilevanza dei principi legali e costituzionali (legalit e tipicit dell'illecito penale, ecc.) che delimitano in via generale il controllo giudiziario penale sull'attivit e, in particolare sulla discrezionalit amministrativa. Applicando i suesposti principi al caso di specie se ne deduce che per i voti dati, dapprima in una fase preparatoria e consultiva del procedimento e, quindi nella sede deliberativa consiliare, nell'esercizio di funzioni amministrative {di amministrazione attiva) devolute al Consiglio della Regione Abruzzo dalla legge regionale (I. r. n. 53 del 1978, art. 15) i Consiglieri non sono assistiti dalla guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost. p.q.m. dichiara che spetta agli organi giurisdizionali dello Stato procedere per f'accertarnento della eventuale .responsabilit penale dei consiglieri della Regione Abruzzo per i voti dati con l'approvazione del parere, favorevole all'ammissione al preconvenzionamento con enti mutualistici della s.n.c. Sanitas di Lanciano, espresso dalla V Commissione Consiliare nella seduta del 4 dicembre 1980 nonch con l'approvazione della conforme deliberazione adpttata, sul medesimo oggetto, dal Consiglio regionale dell'Abruzzo nella seduta del 13 gennaio 1981. 698 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 14 maggio 1985, n. 147 (in cam. cons.) Pres. Elia R~l. Ferrari -Garrone. Tributi erariali indirefti Imposte ipotecarie e catastali Trascrizione di sentenze che dispongono trasferimenti immobiliari Sentenze non passate in giudicato Immediato pagamento dei tributi._ (Cost., artt. 3 e 53; l. 25 gmgno 1943, n. 540, art. 19). Le imposte ipotecarie e catastali non sono imposizioni sui trasf erimenti immobiliari; non pu quindi ravvisarsi nel trapasso-acquisto di un bene il fatto. indicatore di capacit contributiva (1). Nel nostro ordinamento, le sentenze che trasferiscono . beni. immobili sono soggette a trascrizione (art. 2643 e.e.), e l'obbligo di curare che questa venga eseguita, mentre grava in linea generale sul notaio o altro pubblico ufficiale (art. 2671, primo comma, e.e.), per Je sentenze, invece -ma in genere per gli atti e provvedimenti ricevuti dal cancelliere -, viene posto a carico di quest'ultimo, il quale tenuto a farne richiesta al competente ufficio entro trenta giorni dalla data della loro pubblicazione (art. 14, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, recante disciplina delle imposte ipotecarie e catastali). La menzionata normativa trova integrazione nel d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, bench dichiarato oggetto di questo sia la disciplina dell'imposta di registro , Ed invero, per quanto riguarda l'accertamento, la riscossione e la resti tuzione delle imposte, siano ipotecarie, siano catastali, il d.P.R. n. 6~5, statuendo che al riguardo sono applicabili le disposizioni in materia di imposte di reg:iStro... (artt. 9, primo comma, e 22) fa espresso rinvio al d.P.R. n. 634, il cui art. 35 non solo precisa che sono soggetti all'imposta gli atti dell'autorit giudiziaria ordinaria che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, pur se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili '" ma prevede altres il conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato . Questo il sistema vigente dal 1 gennaio 1973 -precisamente da tale data dispongono la propria entrata in vigore, sia H d.P.R. n. 635 (art. 25), sia ii.I d.P.R. n. 634 (art. 81) -, che non poi dissimile (eccettuato il solo punto di cui si dir ben presto) da quello anteriore e vigente sino al 31 dicembre 1972: l'art. 14, primo comma, del d.P.R. n. 635, infatti, (1) La sentenza appare significativa, perch rimuove un equivoco originato dalla stretta connessione delle procedure di accertamento dei tributi de quibus con quelle per l'applicazione (anche quando in misura fissa) dell'imposta di registro. Ne risulta in qualche misura riaperto il problema dell'applicazione delle imposte ipotecarie e catastali per i trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA. 1e1r111.1r1111e1111111111illrrlfllllllll111111r PARm I, sEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 699 riproduce sostanzialmente l'art. 19, primo comma, della legge 25 giugno 1943, n; 540 (nuovo testo delle leggi sulle imposte ipotecarie), il quale compreso tra le norme espressamente abrogate dall'art. 24, primo comma, del d.P.R. n. 635. . La sola innovazione rispetto al sistema caducato quella riscontrabile nel menzionato art. 35 del .d.P.R. n. 635, e precisamente nella parte, pi sopra trascritta, che prevede la ripetibilit dell'imposta, ove. in seguito a successiva sentenza passata in giudicato risulti che tale imposta sia stata indebitamente percetta. Anterio11mente, viceversa, ai sensi degli artt. 12 e 14 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3269 (approvazione del testo di legge del registro ), l'imposta in parola, una volta pagata, non poteva essere restituita neppure nel caso di riforma o annullamento della sentenza, in base alla quale detto tributo era stato preteso e versato. Senonch questa Corte, con sentenza 29 dicembre 1972, n. 200, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost. e relativamente alle sentenze traslative di dritti, gli artt. 12 e 14 del r.d. n. 3269 del 1923. Non rileva, ai fini del decidere la presente questione, che suecessiva mente, con sentenza n. 198 del 1976, stata ribadita l'illegittimit costi tuzionale degli stessi articoli, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., e rela tivamente alle sentenze in cui si contenga l'enunciazione di un atto sog getto a registrazione o da cui si desuma la retrocessione di un diritto . Rileva, invece, tener presente che, travolto dalla prima delle due citate sentenze il divieto di restituzione, l'opposto principio della ripetibilit, introdotto con il gi menzionato art. 35 del d.P.R. n. 635 del 1972, in vigore dal 1 gennaio 1973. La Corte d'appello di Genova, decidendo in sede di gravame la con troversia di cui in narrativa, nata da un contratto di permuta, pronun ciava, con sentenza 26 maggio-3 agosto 1972, declaratoria di trasferimento, in capo alle parti, dei beni immobili permutati. Conseguentemente, il can celliere, in applicazione dell'art. 19, primo comma, legge n. 540 del 1943, trasmetteva tale sentenza all'ufficio del -registro atti giudiziari, che la registrava, accertando, ai fini della liquidazione delle imposta ipotecaria e di catasto, il valore di 100 milioni a carico di ognuna delle parti in causa. Da ci, il ricorso alla commissione tributaria di prim grado di Genova, la quale, con ordinanza emessa 1'11 luglio, 1975, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimit costituzionale dell'art. 2671 e.e., in relazione all'art. 19, p:l'imo comma, della legge 25 giugno 1943, n. 540 (ora art. 14, primo comma,, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635) . (oi:rzissis) Il giudice a quo dubita della legittimit costituzionale della dispo sizione in oggetto, ritenendo che essa contrasti con l'art. 3, primo comma, Cost. (in quanto creerebbe disparit di trattamento tributario fra gli atti privati e gli atti pubblici, da un lato,... e le sentenze, dall'altro lato , 700 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLo STATO le quali soltanto vengono assoggettate al tributo prima di acquistare efficacia), e con l'art. 53, primo comma, Cost. (in quanto dissocia la obblibazione fiscale dal momento costitutivo della capacit contributiva , la quale va valutata al momento in cui il trasferimento immobiliare... diventa effettivo). Occorre al riguardo di osservare in primo luogo che l'imposta in pa. rola, sebbene sia strutturalmente assimilata alle imposte. di registro per ragioni storiche, a rigore non , tuttavia, l pari di questa, un'imposta sui trasferimenti di ricchezza: il cl:1e rende dubbia la pertinenza di una censura di violazione del principio della capacit contributiva, intesa come capacit economica manifestata dal trapasso-acquisto di un bene. E si pu aggiungere che in ogni caso il nostro sistema tributario abbonda di fattispecie nelle quali l'acquisto di un bene viene colpito da imposta nella sua mera possibilit e, quindi, anticipatamente, salvo il rimborso, ove la possibilit non si attui o la vicenda non si verifichi, come appunto nel caso in esame. Si pu in secondo lugo rilevare che la questione di legittimit costituzonale dell'assoggettamento a trascrizione delle sentenze ancora sub judice va pi correttamente posta in riferimento al sistema della pub blicit immobiliare ed a quello processuale, prima ancora che in riferimento ai princpi di eguaglianza e della capacit contributiva. Nella stessa ordinanza in esame si riconosce, proprio con riguardo al sistema della pubblicit immobiliare, che nel caso della trascrizione delle sentenze, l'obbligo imposto al cancelliere (che non differisce, in punto, da quello imposto ai notai e ad ogni altro pubblico ufficiale) non costituisce una prevaricazione dello Stato ai danni del privato, giacch volta a pervenire a quella completezza di effetti verso i terzi ed a quella intangibilit che sono assicurate dalla trascrizione. E con riguardo al sistema processuale, va rilevato che il cancelliere non sempre in grado di conoscere tempestivamente quando una sentenza, in caso d'impugnazione, passi in giudicato. Ma allora, l'assoggettamento ad immediata trascrizione delle sentenze non ancora passate in giudicato, se non costituisce una ..Prevaricazione in danno dei' privati, stante la finalit perseguita, risulta razionalmente disposto nella logica, sia del sistema della pubblicit immobiliare, sia del sistema processuale. E vale aggiungere che, comportando l'eventuale caducazione della regola della immediata trascrizione conseguenze che vanno ben oltre la singola norma -in sostanza, il riordinamento, se non addirittura il sovvertimento, dei due suddetti sistemi -, nel potere del solo legislatore di prevedere e disciplinare tali conseguenze. La questione, come circoscritta nei termini di cui sopra, deve, quindi, dirsi infondata. (omissis) PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1985, n. 153 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Capranica ed altri, nonch Ente regionale di sviluppo agricolo (della regione Abruzzo). Impiego pubblico -Trattamento economico -Divieto di reformatio in pejus -W principio generale -Liquidazione di fondo previdenziale Non prescritta da principio fondamentale. (Cost. artt. 36, 97 e 117; I. reg. Abruzzo 28 dicembre 1978 n. 87). Il divieto della reformatio in pejus del trattamento economico principio generale talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge. Non tutte le disposizioni contenute nella legge statale n. 386 del 1976 stabiliscono principi fondamentali che devono essere osservati dalle regioni. (omissis) Nelle ordinanze predette si parte dalla premessa che le norme contenute nella legge statale 30 aprile 1976, n. 386 (Norme di principio, norme particolari e finanziarie concernenti gli enti di sviluppo ), per effetto di quanto disposto nel suo art. l, hanno valore di norme di principio che il legislatore regionale deve seguir/ in toto. Ci posto, le questioni sollevate sono sostanzialmente le seguenti: a) La norma contenuta nell'art. 15 della legge regionale, nel punto (primo comma) nel quale attribuisce al personale del disciolto Ente Fucino puramepte e semplicemente lo stato giuridico ed economico del personale regonale e liquida a favore degli interessati il fondo integrativo di previdenza, con ci consentendo la soppressione del fondo stesso, si porrebbe in contrasto con l'art. 5 della legge statale 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni per il riordinamento degli ent~ pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente, il cui art. 31 dispone che il primo accordo sindacale concluso ai sensi della presente legge. dovr far salvi gli eventuali trattamenti di miglior favore fruiti dal personale alla data di entrata in vigore della nuova disciplina e il cui art. 15 (rectius, 14, secondo c<;>mma), stabilisce che i fondi integrativi di previdenza previsti dai regolamenti di taluni enti sono conservati limitatamente al personale in servizio o gi cessato dal servizio alla data di entrata in vigore della presente legge . . In altri termini si contesta la legittimit costituzionale delle norme regiona:H predette da un Iato perch non avrebbero fatto salvo il rprincipio in virt del quale non consentita la reformatio in pejus del trattamento economico gi raggiunto dai dipendenti pubblici e dall'altro perch avrebbe proceduto alla el~minazione del fondo integrativo di previdenza. (omissis) RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO 702 Le questioni non sono fondate. La prima questione, come si notato, investe da un lato il trattamento economico dei dipendenti dell'ex ente Fucino e dall'altro il trattamento previdenziale. Per quel che concerne il presunto timore di una reformatio in pejus del trattamento economico raggiunto dai singoli dipendenti del disciolto ente inquadrati nel personale regionale, ritiene la Corte che il divieto di una siffatta reformatio ormai talmente consolidato che non ocorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo: si tratta di un principio generale elaborato e costantemente affermato dalla giurisprudenza. Non , quindi, in alcun modo dubbio che il personale proveniente dall'ente Fucino debba continuare a percepire il trattamento economico migliore del quale fruiva presso l'ente predetto anche dopo l'entrata iri vigore della denunciata legge abruzzese, la quale non pu non essere interpretata alla stregua di quei principi. Tanto pi che nel caso di specie non si rinviene, nella ripetuta legge, alcuna disposizione la quale possa indurre a ritenere che il legislatore abbia voluto discostarsene. Per quel che attiene, invece, alla pretesa 'incostituzionalit della norma in questione,per avere conse~tito la soppres~ione del fondo di J?-_revidenza, 1 la Corte osserva preliminarmente che l'art. 1 della legge statale n. 386 del 1976 non afferma affatto che tutte indistintamente le disposizioni della legge medesima costituiscono principi da osservarsi dal legislatore regiomde: l'art. 1 contenuto nel titolo I della Iegge norme di principio e afferma che le leggi regionali istitutive degli enti di sviluppo agricolo sono emanate nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla presente legge. E' soltanto attraverso la applicazione delle usuali regole di ermeneutica ohe si possono individuare le norme di principio ohe devono essere osservate dalle Regioni a statuto ordinario nell'ambito delle precisazioni fatte dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che le Regioni sono tenute ad osservare non gi gli specifici disposti legislativi ma piuttosto i criteri generali ed ha riconosciuto in ogni caso alle Regioni medesime una qualche discrezionalit-quanto meno nello adattamento delle norme statali alle esigenze locali (Sent. n. 97 del 1974 e n. 83 del 1982). Ci posto, ad avviso della Corte, la norma contenuta nell'art. 14 non pu rientrare nell'ambito dei principi fondamentali di cui l'art. 117 Cost. esige il rispetto, in quanto si tratta di una disposizione di carattere chia ramente transit~rio, destinata a rimanere in vigore solo fino al sopravve nire di una nuova disciplina definitiva della materia. In queste condizioni dall'art. 14 non pu derivare alcuna limitazione al potere legislativo della Regione nella materia de qua e l'art. 15, quinto comma, della legge regionale n; 87 del 1978 Iion si pone in contrasto con alcuna regola statale da ,, osservare necessariamente. " ~ f PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDF.NZA COSTITUZIONALB 703 D'altro canto il quinto comma dell'art. 15 della legge regionale prevede la liquidazione a favore degli interessati del fondo integrativo di previdenza, skch i diritti patrimoniali di costoro derivanti dai versa menti effettuati.. in passato non vengono menomati. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 24 maggio 1985, n. 164 Pres. Elia Rel. Conso Loccisano (avv. Mellini) e Presidente Consiglio idei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). 1'< Forze armate Servizio milit'are obbligatorio Obiezione di coscienza Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 2, 3 e 52; I. 15 dicembre 1972, n. 772). Atto amministrativo Termine per l'esercizio del potere Decorso del termine Effetti giuridici. (Cost., artt. 3 e 97; I. 15 dicembre 1972 n. 772, art. 3). Dal dovere di difesa della Patria, inderogabile per tutti i cittadini, va distinto l'obbligo di prestare servizio militare di leva, il primo suscet tibile di adempimento anche attraverso la prestazione di adeguati com portamenti di impegno sociale non armato. Dalla determinazione legale di un termine non-perentorio per l'ema nazione di un atto amministrativo (nella specie, il termine di sei mesi per la decisione del Ministro della Difesa) conseguono due effetti giuri dici: da un lato, quello di impedire, nell'in-teresse del buon andamento degli uffici, che prima della scadenza di esso, l'amministrazione possa essere messa in mora ai fini della formazione del silenzio-rifiuto, e, dal1' altro, quello di fissare il momento a partire dal quale il richiedente pu subito attivare la procedura per la formazione del silenzio-rifiuto, onde ottenere entro una scadenza predeterminabile a breve l'accesso alla tutela giurisdizionale, per sentir dichiarare in sede di giudizio cognitorio l'obbligo dell'amministrazione di decidere sull'istanza e, nel caso di persi stente inerzia, per veder suc~essivamente assumere in sede di giudizio di ottemperanza le necessarie misure coattive (1). (1) Palese l'importanza delle affermazioni contenute nella pronuncia (interpretativa di rigetto) cui la seconda massima si riferisce. I termini per l'e sercizio di una potest pubblica si sogliono classificare in perentori, dilatori e ordinatori (taluno ha individuato anche la categoria di termini comminatori, ossia dei termini ordinatori la cui inosservanza comporta irrogazione di san zione, ad esempio disciplinare, a carico del soggetto rimasto inerte). La perentoriet, producendo la grave conseguenza del venir meno della potest, deve essere esplicitamente prevista dalla legge; di qui il gran numero di terminL rllllfllllllllll-fllllllllflll,llllllllllllrtlflrlllllltlllA 'RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 704 (omissis) .;.ciascuna delle dieci ordinanze, emanate dal Tribunale amminist~ativo regionale del Piemonte nell'arco di un triennio, sottopone al vaglio di questa Corte, con riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, a causa della mancata prefissione di Ulil termine perentorio aJ Ministro della difesa per decidere sulla domanda con cui chi si dichiara obiettore di coscienza chiede, come avvenuto in tutti i casi di specie, di essere ammesso a prestare servizio sostitutivo civile, sempre preferito al servizio militare non armato. La stessa legittimit della norma viene, peraltro, contestata dalle cinque ordinanze del secondo gruppo anche con espresso riferimento all'art. 97 Cost. A sua volta, un'ordinanza del primo gruppo antepone alla specifica denuncia del suddetto art. 3, secondo comma, la denuncia globale della legge 15 dicembre 1972, n. 772, comprese le sue successive modificazioni ed integrazioni, con riferimento a due serie di parametri costituzionali, alternativamente indicate (artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost.; oppure artt. 2, 3, primo comma, 19 e 21, primo comma, Cost.). (omissis) La motivazione dell'ordinanza enuclea per prima la questione di legittimit dell'intera legge 15 dicembre 1972, n. 772, per contrasto con gli artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost. Questo, in sintesi, il ragionamento del giudie a quo: (La Carta costituzionale) non slo fonte di diritti e ausilio garantistico di libert, ma pone anche ai componenti della comunit associata dei doveri inderogabili e qualificanti del loro status civitatis (art. 2 Cost.) , tra l'altro proclamando (art. 52) che la difesa della Patria sacro dovere del cittadir~ o e dichiarando di conseguenza che il servizio militare obbligatorio ; tale dovere non pu non rivolgersi a tutti i cittadini, i quali per il princpio di eguaglianza non sono pari solo per fruire dei diritti ma evidentemente anche per adempiere ai doveri ; La Costituzione ripudia la guerra ma chiama a raccolta tutti i c'i.ttadini in caso di situazioni eccezionali e inevitabili. Non v' del resto ragione per ritenere che il travaglio di coscienza attanagli in tali, circostanze solo coloro che affermano (anche sinceramente) che l'uso personale delle armi contrasta _con le loro convinzioni religiose, filosofiche e morali; di fronte all'eventualit, sia pur eccezionale, di un nuovo conflitto la Costituzione ha giudicato debba prevalere lo spirito di solidariet di tutti i cittadini nella' difesa della integrit e dignit della comunit come societ libera e indipendente . ricondotti nella categoria degli ordinatori, categoria che conseguentemente divenuta residuale e poco omogenea. La pronuncia della Corte, ovviamente di portata non limitata alla specie, individua -nell'ambito giusamministrativistico uno strumento di tutela contro l'inosservanza dei termini ordinatori, i quali quindi, pur rimanendo non-perentori, assumono una consistenza giuridica che li rende (opportunamente) meno vacui. PARTE I, SEZ. J GlpRISPJ..UDENZA COSTITUZIONALE La questione cos posta non fondata. Il congiunto richiamo degli artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost. sembra .dare per presupposto che l'obbligo di prestare servizio militare armato sia un dovere .di solidariet politica inderogabile per tutti i cittadini. Inderogabile dovere di solidariet politica per tutti i cittadini , invece, la difesa della Patria, cui il servizio militare obbligatorio si ricollega, pur differenziandosene concettualmente ed istituzionalmente. '" La mancata distinzione tra il primo ed il secondo comma dell'art. 52 Cost., invocato dall'ordin~za come un tutt'uno, al tempo stesso la causa ed il sintomo dell'equivoco in cui ,incorre il ragionarp.ento dianzi riassunto: un equivoco che riappare ancora pi chiaramente nel prosieguo dell'ordinanza, allorch, ventilando l'eventualit di un rigetto della questione, il giudice a quo sembrerebbe non saperlo spiegare altrimenti che con il ritenere che la difesa della Patria non pi un dovere sacro per tutti i cittadini " Questa Corte, come l'Avvocatura dello Stato ha puntualmente ricordato nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, ha gi avuto modo di precisare (sentenza n. 53 del 1967) che per tutti i cittadini, senza esclusioni, la difesa della Patria -che condizione prima della conservazione della comunit nazionale -rappresenta un dovere collocato al di sopra di tutti gli altri , cosicch esso trascende e supera lo stesso dovere del servizio militare . Di conseguenza, questo servizio - nel quale... non si esaurisce, per i cittadini, il dovere ' sacro ' di difesa della Patria -ha una sua autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere patriottico contemplato dal primo comma dell'art. 52 Cost. , il che impQne di tenere distinte le rispettive sfere di applicazione. In particolare, mentre il dovere di difesa inderogabile, nel senso che nessuna legge potrebbe farlo venir meno, il servizio militare obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge , purch, ovviamente, non siano violati altri precetti costituzionali . La legge che, con il dare riconoscimento e, quindi, ingresso all'obiezione di coscienza, ha previsto per gli obbligati alla leva la possibilit di venire ammessi aprestare, in luogo del servizio militare armato, servizio militare non armto o servizio sostitutivo civile, non si traduce assolutamente in una deroga al dovere di difesa della Patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale m;m armato. Quanto ai rapporti con il servizio militare obbligatorio -problema qui non posto a causa dell'equivoco gi sottolineato -il fatto che sia stata demandata al legislatore ordinario la determinazione dei modi e dei limiti del relativo obbligo, owiamente nel rispett~ degli altri precetti RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 706 costituzionali, consente di affermare che, a determinate condizioni, il servizio militare armato pu essere sostituito con altre prestazioni personali di portata equivalente, riconducibili anch'esse all'idea di difesa della Patria. (omissis) Con le altre nove ordinanze in epigrafe il T.A.R. del Piemonte porta al vaglio di questa Corte l'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, per .contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. Pi precisamente, dalla motivazione delle ordinanze, in definitiva sempre la stessa, si ricava che il comma in discussione ( Il Ministro decide entro sei mesi dalla presentazione della domanda) viene denunciato a causa della mancata prefissione di un termine perentorio per decidere sulla domanda di cui all'art. 2 della stessa legge " Quanto ai parametri invocati, dal confronto delle motivazioni si ricava cle anche le due ordinanze (r.o. nn. 357 e 358 del 1979), il cui dispositivo richiama il solo art. 3 Cost., contengono il passaggio argomentativo a seguito del quaile le altre sette (r.o. Dll1. da 849 a 855 del 1982) 'sono state .indotte a richiamare esplicitamente sia l'ari. 3 sia l'art. 97 Cost. Tutto questo comporta che si faccia luogo ad una trattazione unitaria. Le ordinanze prendono le mo~se dalla tesi difensiva -posta, ogni volta, ailla base del ricorso principale -staaldo alla quale il termine previsto dall'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. ,772, sarebbe di natura perentoria. Ma, poich tale tesi viene disattesa attraverso un'articolata confutazione, al T.A.R. del Piemonte n<5n resta che riconoscere al termine di cui' al 2 comma dell'art. 3 della legge n. 772 del 1972 carattere ordinatario. Da ci l'insorgere dei dubbi di legittimit costituzionale per il giudice a quo. Il carattere ordinatario, anzich' perentorio, del termine in questione' implicherebbe, infa1.tti, per il cittadino soggetto agli obblighi di leva, ma contrario all'uso delle armi per motivi di coscienza, il venir meno dell'imprescindibile garanzia di non restare per un periodo indeterminabile alla merc di circostanze esterne in attesa di una decisione, imprevedibile anche nel ' quando ', del Ministero della difesa in ordine all'accoglimento o meno della sua domanda: con gravi ed irreparabili " pregiudizi... in un periodo decisivo della vita lavorativa del giovane , posto nella pratica impossibilit di programmare in concreto le proprie scelte. Questa libert per l'Amministrazione di procrastinare illimitatamente le sue determinazioni, mentre, da un lato, potrebbe dare dito persino a comportamenti larvatamente vessatori in conflitto con la esigenza di buon andamento ed imparzialit degli uffici (art. 97 Cast.), dall'altro, e prima ancora, si troverebbe in contrasto con il princ1p10 di eguaglianza, data la differenza riscontrabile con gli altri obbligati i I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alla leva: la circostanza che questi siano in grado di conoscere tempestivamente il momento della chiamata alle armi fa apparire non rispettata l'esigenza che a parit di situazione di assoggettamento agli obblighi di leva corrisponda una parit di trattamento in ordine all'effettiva prevedibilit del momento della chiamata alla prestazione del servizio militare non armato o (del) servizio sostitutivo civile, rispetto al momento della chiamata alla prestazione del servizio militare armato . Prin{a di individuare il tipo di pronuncia che le ordinanze di rimessione 'mirerebbero ad ottenere. da questa Corte, qualora venisse accertata la violazione, da parte della norma sottoposta a vaglio di legittimit, dei parametri costituzionali invocati, e, c01punque, prima di procedere a tale accertamento, occorre verificare se l'interpretazione data dal giudice a quo all'art. 3, secondo comma, della legge 15 picembre 1972, n. 772 -nel senso che chi fa domanda di ammissione al servizio sostitutivo civile resterebbe per un periodo indeterminabile alla merc di circostanze esterne, con possibilit per lAmministrazione di procrastinare ad _libitum ~a propria determinazione -sia conforme all'attuale assetto normativo, quale risulta anche alla stregua del diritto vivente formatosi nella materia. La prima precisazione che si impone riguarda il significato da attribuire alla contrapposizione termine perentorio -termine ordinatorio , ripetutamente utilizzata dal giudice a quo. Un'attenta lettura delle ordinanze di rimessione in tutti i loro passaggi argomentativi porta a ritenere che, al di l della terminologia ivi adoperata, e al di l del linguaggio comunemente usato dalla giurisprudenza amministrativa, la vera contrapposizione dovrebbe, pi puntualmente, essere fondata sul prodursi o no di effetti giuridici in conseguenza dell'inosservanza del termine preordinato alla decisione d un'istanza rispetto alla quale l'Amministrazione abbia, come nella specie, l'obbligo di provvedere. Ordinatori sarebbero, dunque, i termini la cui inosservanza non determina effetti; perentori sarebbero tutti gli altri, anche se va sbito aggiunto che la variet degli effetti alternativamente possibili richiede, a proposito di tale seconda categoria di termini, un'analisi pi articolata. Basta quest'ultima osservazione per dimostrare come la tesi difensiva -avanzata in partenza dai ricorrenti al T.A.R. del Piemonte, nel senso che il termine di cui all'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sarebbe da considerare perentorio, perch, in corrispondenza alla sua inosservanza, si verrebbe a configurare un'ipotesi di silenzio-accoglimento della domanda presentata -sia, prima ancora che errata, come ha rilevato il giudice a quo, concettualmente troppo riduttiva. Le stesse ordinanze di rimessione, dopo aver escluso che sia possibile -stante l'eccezionalit e tassativit di previsioni come quella di cui 708 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO all'art. 12, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (domanda presentata da chi, anteriormente all'entrata in vigore delila legge, sia stato imputato o condannato per reato militare determinato da obiezioni di !~ coscienza) -ricavare un'ipotesi implicita di silenzio-accoglimento, si sono date carico di ventilare altre ipotesi di effetti ricollegabili all'inosservanza del termine in esame, soffermandosi, in particolare, sia sull'ipotizzabilit della formazione immediata di un silenzio-rifiuto, tale da legit timare l'interessato ad adire le vie giurisdizionali non appena scaduto il termine stesso (soluzione anch'essa scartata in mancanza di un principio generale al riguardo), sia sull'eventualit di una decadenza del potere ministeriale di pronunciarsi sulla 'domanda una volta decorsi i sei mesi. (soluzione ritenuta incompatibile con la presenza di una disposizione quale il {erzo comma dell'art. 3: La prsentazione alle armi sospesa sino a quando il Ministro per la difesa non si sia pronunciato sulla qomanda ). A questo punto, il fatto che, soltanto dopo l'esclusione di ben tre alternative, le ordinanze siano giunte a concludere per "l' ordinariet del termine, elevando nel contempo a problema di costituzionalit la mancata prefissine di un termine perentorio , potrebbe condurre a. dubitare dell'ammissibilit della questione: le varie possibili soluzioni sottostanti alla generica qualifica di termine perentorio sembrerebbero, infatti, riservare ogni opzione alla discrezionalit del legislatore, tanto pi che l'attribuire un significato piuttsto che un altro al silenzio dell'Amministrazione presuppone sempre una scelt di politica legislativa. Ma una lacuna nella panoramica che degli effetti potenzialmente ricollegabili all'inosservanza del termine previsto dall'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, il giudice a quo ha cercato di delineare, porta a disattendere la conclusione dallo stesso raggiunta nel senso dell' ordinariet di tale termine. Il tutto alla stregua di una giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, he ritiene utilizzabile, anche con riguardo al procedimento di ammissione al servizio sostitu tivo civile, il meccanismo, operante in via generale, dell'istanza-diffida ai fini della formazione del silenzio-rifiuto. Alla determinazione legale del termine di sei mesi viene cos riconosciuto un duplice effetto: da un lato, quello di impedire, nell'interesse del buon andamento degli uf. fici, che prima della scadenza di esso, l'amministrazione possa essere messa in mora ai fini dell formazione del silenzio-rifiuto, e, dall'altro, quello di fissare il momento a partire dal quale il richiedente pu sbito attivare la procedura per la formazione del silenzio-rifiuto, onde ottenere entro una scadenza predeterminabile a breve l'accesso alla tutela giurisdizi6nale, per sentir dichiarare in sede ~ giudizio cognitorio l'obbligo I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'amministrazione di decidere sull'istanza e, nel caso di persistente inerzia, per veder successivamente assumere in sede di giudizio di ottemperanza le necessarie misure coattive. Grazie all'esistenza di questa forma di-tutela, l'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972 n. 772, si sottrae alla doglianza posta a base delle ordinanze di rimessione. Proprio perch il termine ivi p:revisto non pu essere considerato meramente ordinatorio , prende consistenza l'asserto secondo cui chi si dichiara obiettore di coscienza resterebbe -a differenza degli altri obbligati alla leva -per un periodo indeterminabile alla mrc dell'Amministrazione, esposto al rischio di comportamenti vessatori. Naturalmente, non si pu pretendere (n le ordinanze di rimessione, ponendo l'accento soltanto sull';;issoluta indeterminabilit del momento iniziale del servizio sostitutivo civile, lo pretendono) che l'invocata parit nell'assoggettamento agli obblighi di leva comoorti una completa parit con il servizio militare armato anche per quanto riguarda il momento iniziale del servizio. Sotto questo profilo, le situazioni a confronto non possono certamente dirsi omogenee, basate come sono, rispettivamente, sull'automatismo dell'avvio al servizio armato e sulla necessit di una domanda motivata da parte dell'interessato per l'ammissione al servizio sostitutivo civile, domanda meramente eventuale e, quindi, non preventivabile. Una coincidenza nei momenti iniziali sarebbe possibile soltanto in un regime di altemativit incondizionata tra i due tipi di servizio, ma una simile soluzione presupporrebbe necessariamente la facoltativit del servizio militare armato, cui di ostacolo l'art. 52, secondo comma, Cost. Ci non toglie, ovvio, che, di pari passo con la ricerca di soluzioni anche pratiche tendenti a realizzare equipollenza di contenuti tra i diversi tipi di servizio previsti per gli obbligati alla leva, ci si debba attendere una pi puntuale applicazione dell'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, onde circoscrivere al minimo indispensabile gli innegabili disagi connessi ad ogni prolungata attesa. Al superamento degli inconvenienti, che si sono veri,ficati e si verificano in concreto, dovrebbero dare sicuramente contributo positivo, oltre a:l progressivo assestamento delle varie componenti dell'istituto, sia l'impiego di strumenti organizzativi fortemente acceleratori quali l'informatica mette sempre pi a disposizione, sia, una volta esaurito l'arretrato della fase transitoria, la piena operativit della ricordata abrogazione della circolare che dal 1979 al-1984 aveva provocato un aumento abnorme nelle domande di ammissione al servizio sostitutivo civile, peraltro ancora non ben definito quanto a strutture e funzionamento. (omissis) 710 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STTO CORTE COSTITUZIONALE, 25 maggio 1985, n. 176 (ord. in cam. cons.) Pres. Roehrssen -Rei. Saja -Ditta GORT ed altri e Consiglio dei Ministri. , Tributi erariali indiretti Imposta sul valore 1;1gglunto Riscossione provvisoria per un terzo dell'accertato Legittimit costituzionale. (Cost. artt. 3, 24 e 113; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 60). La garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non postula la necessaria anticipazione dell'efficacia di una sentenza eventualmente favorevole attraverso la sospensione del provvedimento amministrativo esecutivo, ma comporta soltanto la concreta possibilit della soddisfazione della giusta pretesa del contribuente, che assicurata attraverso la successiva reintegrazione del suo patrimonio; non contrasta con gli artt. 3, 24 e 113 Cost. la. disposizione prescrivente la riscossione provvisoria, per un terza sulla ~ase dell'avviso, dell'I.V.A. dovuta dal contribuente. (omissis) Ritenuto che nel corso di due procedimenti iniziati con ri corsi dell'impresa GORT e relativi ad accertamento per imposta sul v:alore aggiunto, la Commissione tributaria di primo grado di Modena, con ordinanze del 7 dicembre 1978, motivate in modo identico, sollevava questione di legittimit costituzionale dell'art. 60 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 nella parte (secondo comma, n. 1) in cui esso dispone che, se il contribuente propone ricorso contro l'accertamento, il pagamento dell'imposta o della maggiore imposta dev'essere eseguito per un terzo dell'ammontare accertato dall'ufficio entro sessanta giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento; che secondo la Commissione la norma impugnata, in quanto sostanzialmente fondata sul principio del solve; et repete -gi oggetto delle . . sentenze n. 21 e 79 del 1961 di questa Corte -sembrava contrastare con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione; in queste due sentenze la Corte aveva ritenuto che il detto istituto -canonizzato negli artt. 6, secondo comma, legge n. 2248 del 1865 ali. E (sent. 21/1961), 149 r.d. n. 3269 del 1923, 52, secondo comma, legge n. 762 del 1940, 24, terzo comma, legge n. 1424 del 1940 (sent. 79 del 1961) -contrastasse con l'art. 3 Cost. per la disparit di trattamento fra contribuente in grado di pagare immediatamente e contribuente non abbiente, nonch con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto menomava la tutela giurisdizionale dei cittadini; (omissis~ che l'art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, disponendo il pagamento graduale dell'imposta accertata nel corso del procedimento giurisdizionale, com' manifesto, non pone alcuna coo.dizione di procedibilit all'azione giudiziaria ma costituisce espressione. del principio della normale esecutorie PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 711 t dei provvedimenti amministrativi, la cui non contrariet agli artt. 3, 24 e 113 Cost. stata espressamente affermata da questa Corte con le sentenze n. 21 del 1961 e n. 63 del 1982, nonch con le ordinanze nn. 168 e 367 del 1983; che nella sent. n. 63/1982 la Corte ha anche osservato come l'effettivit della tutela giurisdizionale, di cui agli artt. 24 e 113 Cost., non postuli la necessaria anticipa2lione dell'efficacia di una sentenza eventualmente favorevole attraverso la sospensione del provvedimento amministrativo esecutivo, ma comporti soltanto la concreta possibilit della soddisfazione della giusta pretesa del contribuente, che assicurata attraverso la successiva reintegrazione del suo patrimonio. CORTE COSTITUZIONALE, 28 giugno 1985, n. 191 (ord. in cam. cons.) - Pres. Roehrssen Est. Greco s.a.s. Ursus Peroni. s.a.s. Ursus Peroni. Lavoro -Licenziamenti collettivi Tutela giurisdizionale del singol lavoratore -E' possibile. (Cost. artt. ~ e 24; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 11). La disciplina legislativa del licenziamento collettivo non priva il lavoratore, da esso colpito, di tutela giurisdizionale, la quale pu concre tarsi a) nel sindacato sulla ricorrenza dei presupposti che hanno determinato il ricorso, da parte del datore ,di lavoro, alla procedura collettiva e la obiettivit della scelta e b) nell'accertamento d.ella ricorrenza delle condizioni di efficacia del recesso (quali il decorso del termine fissato per l'esaurimento delle procedure di conciliazione previste dagli accordi collettivi) e nel controllo dell'osservanza da parte del datore di lavoro dci criteri fissati dai patti sindacali di categoria per la concreta selezione dei ,dipendenti da licenziare. Ritenuto che con l'ordinanza di rimessione di cui in epigrafe il Tribunale di Lodi ha rilevato che l'art. 11, secondo comma, della legge' 15 luglio 1966, n. 604, escludendo i licenziamenti collettivi dalla disciplina dettata per i licenziamenti individuali, nega il diritto dei lavoratori licenziati collettivamente di ottenere l'accertamento giurisdizionale della illegittimit del licenziamento per violazione dei criteri di scelta del personale da licenziare stabiliti dall'art. 2 dell'accordo interconfederale 20 dicembre 1950 (reso efficace erga omnes con d.P.R. 14 luglio 1960, n. 1019) e dell'accordo interconfederale 5 maggio 1965 e ne ha quindi denunciata la illegittimit costituzionale in quanto viola l'art. 24 Cost. perch l'impossibilit del lavoratore collettivamente licenziato di far 712 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO valere in giudizio qualsiasi conseguenza della mancata osservanza dei criteri di scelta di cui alfa normazione collettiva, costitui,sce lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e l'art. 3 Cost. pe~ch ai lavoratori collettivamente licenziati riservato ingiustamente un trattamento deteriore rispetto a quello fatto ai lavoratori colpiti da licenziamenti rindividuali. Considerato che la denuncia non riguarda e non poteva riguardare gli accordi interconfederali che dettano i criteri per la scelta dei lavoratori da colpire con il licenziamento collettivo, e propriamente l'art. 2 dell'accordo interconfederale 5 maggio 1965 siccome di natura contrattuale; che, in sostanza si chiede alla Corte, con l'abrogazione dell'art. 11, legge n. 604 del 1966, di sostituire alla disciplina apprestata dal legislatore per ri licenziamenti coHettivi quello previsto dallo 'Stesso legislatore rper i licenziamenti indivriduali; che l'invocato sindacato verrebbe a colpire una scelta discrezionale operata dal legislatore, scelta, peraltro, razionale e giustificata dalla diversit delle fattispecie e dalla diversit degli interessi regolati; che secondo quanto costantemente ritenuto da questa Corte (sent. n. 63/82), consentito, in materia processuale, stabilire procedure differenziate in quanto la tutela giurisdizionale ben pu diversificarsi in relazione alle varie situazioni sostanziali dedotte in giudizo; che, peraltro, secondo la pi recente giurisprudenza dei Giudici di merito e della Corte di Cassazione, la disciplina legislativa dell'istituto, conforme, sia .pure in parte, alle direttive della Comunit Economica Europea, non priva il lavoratore, colpito dal licenziamento collettivo, di tutela dinanzi al giudice ordinario; che detta tutela, ferma restando la incensurabilit delle scelte tecniche e produttive dell'imprenditore, quale estrinsecazione della libert di iniziativa economica garantitagli dalla Costituzione (art. 41), consiste: a) nel sindacato della ricorrenza dei presupposti che hanno determinato il ricorso, da parte del datore di lavoro, alla procedura collettiva e la obiettivit della scelta con la conseguente possibilit anche di una tutela ireale del lavoratore nel caso in cui, per difetto dei detti presupposti, il licenziamento deve qualificarsi come individuale; b) nell'accertamento della ricorrenza delle condizioni di efficacia def recesso (quali il decorso del termine fissato per l'esaurimento delle procedure di conciliazione previste dagli accordi collettivi) e nel controllo dell'osservanza da parte del datore di lavoro dei criteri fissati dai patti sindacali di categoria per la concreta selezione dei dipendenti da licenziare (hl cui rispetto, se contestato, i:1 datore di Javoro ha l'onere di dimostrare) con la conse PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE guenza, :nel caso di inosservanza da parte del datore di lavoro di dette regole, dell:obbligo Tisardtorio, dovendosi il 1recesso considerare illecito; che, pertanto, la sollevata questione di legittimit costituzionale manifestamente infondata. CORTE COSTITUZIONALE, 3 luglio 1985, n. 198 -Pres. Roehrssen -Rel. Saja -Soc. Condotte d'acqua e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Lavoro Inde:llnit di anzianit -Differenza di trattamento tra impiegati ed operai -Legittimit costituzionale. (Cost., art. 3; I. 18 dicembre 1960 n. 1561, art. 1}. E' dubbio che il carattere retributivo dell'indennit di anzianit, il quale costituiva l'indispensabile presupposto della disciplina differenziata, possa essere con certezza riferito anche all'attuale trattamento di fine rapporto; comunque, non contrastano con l'art. 3 .Cost. le disposizioni che, anteriormente al raggiungimento della completa parit in proposito tra impiegati ed operai (31 dicembre 1989), prevedono un pi favorevole trattamento per gli impiegati. L'ordinanza di rimessione dubita della legittimit costituzionale dell'art. 1 I. 18 dicembre 1960 n. 1561, il quale dispone che l'indennit di anzianit spettante agli impiegati privati deve essere corrisposta in misura non inferiore all'importo di tante mensilit di retribuzione per quanti sono gli anni di servizio pre~tati. Secondo il giudice a quo, detta norma sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost, in quanto la sua previsione limitata agli impiegati e non comprende anche gli operai, nei cui confronti quindi possibile un trattamento meno favorevole in base a una speciale disposizione di legge ovvero per effetto di una contrattazione collettiva o individuale. (omissis) In realt, la fattispecie del giudizio a quo analoga a quelle esaminate con le richiamate decisioni (n. 18 del 1974, n. 117 del 1976) perch si tratta di indennit di anzianit fissata in un contratto collettivo in misura diversa per gli operai rispetto a quella stabilita per gli impiegati dalla legge n. 1561 del 1960, sicch valgono le medesime considerazioni contenute nelle decisioni stesse (si veda pure la cit. sent. n. 136 del 1984, in motivazione) per escludere la denunziata violazione della norma costituzionale. N in proposito pu influire l'equipaira2lione tra operai e impiegati accolta, quanto al trattamento di fine rapporto, dalla cit. 1. n. 297 del RASSE> sarebbe il contrasto con il diritto di difesa, l'analisi deve prendere le mosse dalla questione incentrata sulla violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione. L'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, procrastinando per un imputato la declaratoria di non doversi procedere, di per s gi matura, all'esito di tutta la istruzione formale ... nei confronti di tutti gli altri imputati, lederebbe il diritto .di difesa, che pu, anzi, deve essere inteso anche come diritto dell'imputato ad avere prontamente ed in tempo ragionevole dichiarata la propria innocenza appena se ne verifichino le condizioni che la evidenzian? . La questione non fondata. Prima ancora di verificare quale sia la corretta interpretazione della normativa in esame, non si pu non mettere in rilievo . -come, ancora di recente, ha puntualizzato un'auto revole dottrina -che la problematica dei tempi processuali, recepita all'interno della Convenzione europea per la salvaguardia de! diritti del- l'uomo quale aspetto del giusto processo , non trova eco nella Carta costituzionale, se si eccettua la particolare previsione dell'art. 13, quinto comma, il quale impone alla legge di stabilire i limiti massimi di car cerazione preventiva, senza affatto preoccuparsi dei tempi processuali allorc4 l'imputato si trovi comunque a piede libero; nemmeno l'art. 24, secondq comma, della Costituzione pu, quindi essere utilmente invocato in proposito. Quanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, l'ordinanza di rimessione la ravvisa nella ingiustificata disparit di trattamento fra situazioni identiche, quali la situazione del coimputato reputato pro scioglibile dall'organo requirente e dall'organo giudicante ... nell'ipotesi in cui il G. I. accoglie la richiesta del P. M. di proscioglimento anche degli altri .imputati e nell' ... ipotesi in cui il G. I. non acoglie la richiesta di proscioglimento degli altri imputati . In entrambe le ipotesi pubblico ministero e giudice istruttore convengono sul proscioglimento di quel l'imputato: ma mentre nel primo caso il G. I. pu pronunciare pronta PARm I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE mente la sentenza cli proscioglimento, nell'altro caso tale potere gli precluso, dovendo, illvece, disporre l'istruzione formale anche nei confronti dello stesso, cllegando pertanto la legge il destino processuale di tale imputato al parametro instabile della posizione degli altri i:riiputati . In sintesi, l' immediato proscioglimento di tale imputato dipender, cli fatto, dalla ' fortuna ' di trovarsi coimputato con l'altra persona di cui si richiede e si accoglie il proscioglimento . La questione non fondata. In linea di principio, vi sarebbe da osservare come argomentazioni del genere verrebbero a coinvolgere, prima ancora dell'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, l'istituto della connessione complessivamente considerato (v., in proposito, le sentenze n. 130 del 1963 e n. 139 del 1971, concordi nel coglieriri un criterio fondamentale di attribuzione della competenza). Ma soffermarsi su prospettazioni cos~ generali risulterebbe ultroneo; del resto, la. stessa ordinanza di rimessione a riconoscere <municazioni ). (omissis) Ci posto, all'esame di tutte le censure pregiudiziale l'individuazione della effettiva estensione delle competenze costituzionalmente garantite della Provincia di Bolzano in materia di diffusioni radiotelevisive. E la individuazione va operata ovviamente -come postula la Provincia alla stregua del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante il testo unico delle I I I I PARTB I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (decreto che, d'ora innanzi, sar indicato col termine statuto in vigore) e del d.P.R. 1 novembre 1973, n. 691, recante norme di attuazione del detto statuto, nella parte concernente manifestazioni e attivit artistiche, culturali ed educative locali e, per la Provincia di Bolzano, anche con i mezzi radiotelevisivi (decreto, che, d'ora innanzi, sar indicato col termine norme di attuazione). (omissis) La Provincia fa leva sull'art. 8, nn. 18 e 19, dello statuto in vigore, attributivi ad essa Provincia di potest legislativa (esclusiva) rispettiva-, mente: a~ su usi e costumi locali ed istituzioni culturali (biblioteche, accademie, istituti, musei) aventi carattere provinciale; manifestazioni ed attivit artistiche, culturali ed educative locali, e per la Provincia di Bolzano anche con i mezzi radiotelevisivi, esclusa la facolt di impiantare stazioni radiotelevisive; b) su comunicazioni e trasporti di interesse provinciale, compresa la regolamentazione tecnica e gli impianti di funivia ; e) su assunzione diretta di servizi pubblici e foro gestione a mezzo di aziende speciali; nonch sull'art. 9, n. 11, dello statuto in vigore, attributivo ad essa Provincia di potest legislativa su attivit sportive e ricreative . Disposizioni tutte alle quali si correla l'art. 16 del detto statuto, che attribuisce nelle stesse materie alle Province le funzioni amministrative in precedenza esrcitate dallo Stato. Si richiama altres all'art. 7 delle norme di attuazione, nel quale si ribadisce che le attribuzioni (gi) dello Stato in materia di nanifestazioni ed attivit artistiche, culturali ed educative locali con i mezzi radiotelevisivi sono ese1citate, nell'ambito del proprio territorio, dalla Provincia di Bolzano, precisandosi che l'esercizio predetto riguarda, fra l'altro, le funzioni amministrative previste dagli artt. 8, 9 e 10 del decreto legislativo 3 aprile 1947, n. 428 . E ancora fa riferimento all'art. 10 delle stesse norme di attuazione, in cui si riconosce alla Provincia il potere di realizzare e di gestire una rete di ripetitori, :per la recezione e la ritrasmissione, nel territorio provinciale, di programmi diffusi da organismi radiotelevisivi esteri dell'area culturale tedesca e ladina, e, in connessione con tale potere, quello di concordare il piano tecnico della rete col Ministero delle poste e delle telecomunicazioni anche al fine del coordinamento con gli altri servizi pubblici di telecomunicazione , nonch quello di utilizzare i collegamenti l.isponibili della rete pubblica nazionale di telecomunicazioni del detto Ministero e dei sudi concessionari, e di acquisire impianti di privati per ristrutturarli e gestirli. Ora dalla sola, pur innegabile, molteplicit delle attribuzioni come sopra elencate e garantite dallo statuto in vigore e dalle norme di attuazione non pu desumersi -come argomenta la ricorrente -il riconoscimento .a su favore di 'una competenza generale ed esclusiva come quella da essa rivendicata. ' 124 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DEU.0 STATO Vi si oppone anzitutto la constatazione che alla Provincia, con gli artt. 8, n. 4, dello statuto in vigore e 7 delle norme di attuazione sono assegnate nell'ambito del territorio provinciale, per quel che concerne il servizio pubblico delle diffusioni radiotelevisive in generale, le specifiche funzioni esercitate fino a quel momento dal Comitato istituito presso il Ministero dehle poste e delle telecomunicazioni con l'art. 8 del d. lv. C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428 (decreto recante la normativa in materia di radiodiffusioni circolari previgente alla legge di riforma n. 103 del 1975), e cio quelle concernenti la determinazione delle direttive di massima culturali, artistiche educative, ecc. dei programmi di radiodiffusione circolare (ovviamente estesa alle direttive dei programmi televisivi) e la vigilanza sulla loro attuazione. Laddove tutte le altre funzioni, cio quella attinente alla vigilanza sulla diffusione di notizie e di programmi informativi e quella d'ordine tecnico, affidate dal detto decreto n. 428 del 1947 rispettivamente alla Commissione parlamentare con esso istituita (art. 9), avente appunto il compito dell'alta vigilanza per assicurare l'indipendenza politica e IIl'obbiettivit informativa delle radiodiffusioni , e al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (art. 1), non risultano attribuite alla Provincia dalla norma statutaria e dalle norme di attuazione anzidette. Ci I risulta inequivocabilmente, oltre che dal tenore letterale, come sopra I riprodotto, della norma statutaria e della norma di attuazione, dal I puntuale richiamo fatto da quest'ultima ai soli artt. 8, 9 e 10 del decreto legislativo n. 428 del 1947, relativi al Comitato e non anche alla Commisif sione parlamentare. , , Ma soprattutto l'individuazione cos operata delle attribuzioni della ~:' . lProvincia in materia trova sostegno nella considerazione che esse hanno il loro referente costituzionale nella tutela dell'autogestione del patri. monio culturale delle minoranze linguistiche, tutela cui coerente la m I strutturazione delle dette attribuzioni quale componente strumentale di quelle pi ampie riconosciute alla Provincia in tema di manifestazioni ed attivit artistiche, culturali ed educative locali. E' in riferimento a tali pi ampie attribuzioni (art. 8, n. 4, statuto in vigore e 7, comma primo; norme di attuazione) che v intesa la precisazione delle norme di attuazione (art. 7, comma secondo) secondo la quale l'esercizio di esse comprende, fra l'a1tro >>, le funzioni amministrative previste dagli artt. 8, 9 ' e 10 del decreto legislativo n. 428 del 1947: non gi, come pretende la Provincia, nel senso del carattere meramente esemplificativo del richiamo rispetto ad as,serite pi estese attribuzioni in materia cU servizio pubblico radiotelevisivo. N offrono argomenti alla tesi della Provincia: a) la locuzione comunicazioni e trasporti contenuta nell'art. 8, n. 18, dello statuto in vigore ('endiadi si riferisce chiaramente ai trasporti PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA .CX>SnTUZIONALB di persone o di cose, materia distinta anche in altri' statuti speciali e nelle relative norme di attuazione da quella stessa delle telecomunicazioni, e tanto pi da quella delle diffusioni radiotelevisive: vedi art. 7 d.P.R. 17 dicembre 1953, n. 1113, in ordine all'art. 17, lett. a), dello Statuto siciliano, recante analoga formulazione; vedi altres art. 30 d.P.R. 30 giu~o 1951, n. 574, in ordine all'art. 4, n. 14, dello stesso statuto del. Trentino-Alto Adige 26 febbraio 1948, n. 5, recante analoga formulazione); b) la locuzione assunzione diretta di servizi pubblici, contenuta nell'art. 8, n. 19, dello statuto in vigore (tali attribuzioni, attesa l'indeterminatezza dell'oggetto, non possono senz'altro estendersi a quelle, distintamente considerate dalla legislazione ordinaria e dalle stesse norme statutarie e di attuazione, concernenti lo specifico servizio pubblico delle diffusioni circolari radiotelevisive); c) la locuzione attivit sportive e pcreative contenuta nell'art. 9, n. 11, dello statuto in vigore (il riferimento sarebbe addirittura controproducente, se la nozione di attivit ricreative potesse essere messa in connessione con quelle enunciate nell'art. 8, n. 4, dello statuto nel senso di una ricreativit culturalmente qualificata; ma solo non conferente, se la locuzione interpretata, siccome imposto dall'endiadi, quale ricreativit mera o. sportiva, in relazione alla situazione ambientale). L'assetto dei rapporti fra Stato e Provincia cos delineato sulla base dell'interpretaziorre diretta delle norme statutarie -ammesso che per illu minarlo sia consentito fare riferimento alla legislazione ordinaria succes siva -non risulta modificato a vantaggio della Provincia (come questa pretende) da ci, che l'art. 4 della legge n. 103 del 1975 ha attribuito ad un unico organo la formulazione degli indirizzi generali per la predisposizione di tutti i programmi televisivi, vale a dire sia di quelli ricreativi, culturali ed educativi, sia di quelli informativi (cosicch non vi sarebbe pi ragine di ritenere le competenze della Provincia limitate ai primi). Tale superiore compito stato infatti riservato -nel quadro della scelta adottata per !!attuazione della garamia dei princpi costituzionali di obbiettivit, im parzialit e completezza della pubblica informazione (v. sentenze di que sta Corte nn. 59/601 225/74, 148/81), princpi ritenuti operanti anche relati vamente ai programmi culturali e ricreativi -alla ristrutturata Commis sione parlamentare, e non alla Provincia di Bolzano le cui competenze come sopra assegnate dalle norme statutarie, anche con riguardo ai programmi radiotelevisivi, sono peraltro preservate dalla stessa legge (art. 48), nella loro misura privilegiata rispetto a quella delle attribuzioni riconosciute a ogni altro centro di autonomia garantita. Che, poi, l'assetto suindicato -rientrante, malgrado il trattamento privilegiato fatto salvo alla Provincia di Bolzano, nell'orientamento nor mativo favorevole allo Stato nei rapporti fra questo e l~ autonomie regio 726 RASSEGNA Dtl:.'AVVOCATURA DELLO STATO nali in tema di pubblica informazione (v. sentenza di questa Corte n. 94 del 1977) -possa risentire conseguenze da un eventuale incremento della partecipazione di ogni autonomia regionale all'organizzazione e gestione del servizio pubblico radiotelevisivo, che sia compatibile con la garanzia dei princpi costituzionali dianzi ricordati, prospettiva eccedente l'individuazione delle competenze come sopra costituzionalmente garantite dalla Provincia ad autonomia speciale di Bolzano, e quindi il presente conflitto. Per le ragioni esposte va di!sattesa la pi radicale censura prospettata in .relazione alla stessa stipulazione della convenzione ad opera dello Stato, mentre, pur in presenza delle ragioni medesime, la pronuncia sulla censura prospettata in relazione al precetto espresso nell'art. 3 della convenzione assorbita dalla statuizione che (come sar detto fra poco) va resa sulla censura dedotta in relazione alla mancata partecipazione del Presidente della giunta provinciale alla deliberazione del Consiglio dei ministri, vale a dire al procedimento attinente alla formazione. dell'atto impugnato. A quest'ultimo proposito va anzitutto superato il dubbio, pur sollevato dal resistente, che il mancato ii:;itervento del Presidente della Provincia alla seduta del Consiglio dei ministri e, ancor prima, l'omesso invito nei suoi confronti ad intervenire -anche se in contrasto con l'art. 52 dello statuto in vigore e con l'art. 19 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, recante norme di attuazione di esso in materia di organi della regione e delle Province di Trento e di Bolzano -diano vita a lesioni di autonomia costituzionalmente garantita, anzich, in ipotesi, a mere illegittimit procedimentali. Le due disposizioni ora richiamate -nel prescrivere rispettivamente la partecipazione e l'invito, a questa strumentale, suindicati' concorrono alla garanzia costituzionale delle competenze della Provincia di Bolzano. E pertanto l'inosservanza di esse pu esser fatta valere come lesione delle dette competenze mediante il conflitto di attribuzione, indipendentemente dalla circostanza che, dal punto di vista morfologico o strutturale, l'inosservanza stessa si configuri anche come vizio del proce, dimento (v. analogamente, rispetto all'art. 21 dello Statuto siciliano, le sentenze di questa Corte nn. 4/66 e 1/68). Nel merito da rilevare che realmente ricorre l'inosservanza delle disposizioni in argomento. L'art. 52 dello statuto in vigore impone l'intervento del Presidente della Provincia alle sedute del Consiglio quando si trattano questioni che riguardano la Provincia; l'art. 19 delle norme di attuazione approvate col d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, precisa, al comma secondo e al I i ~omma terzo, rispettivamente, che il detto Presidente invitato alle sedute del Consiglio dei ministri quando questo chiamato ad appro I vare, fra l'altro, atti o provvedimenti che riguardano la sfera di I attribuzioni della Provincia o a deliberare su argomenti che comportano l i I l'applicazione del principio della: tutela delle minoranze linguistiche tede-. I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE sca e ladina. Orbene non vi dubbio che l'approvazione della convenzione relativa alla trasmissione, a cura del servizio pubblico delle diffusioni radiotelevisive concesso alla RAI, di programmi radiotelevisiV'i in lingua tedesca e radiofonici in lingua ladina, riguardi la sfera di attribuzioni della Provincia di Bolzano, anche se le competenze di questa, in materia di servizio pubblico radiotelevisivo, sono come sopra delimitate. N vi dubbio, d'altra parte, che l'approvazione della convenzione comporti l'applicazione del principio della tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina. La lesio?e delle competenze costituzionalmente garantite della Provincia appare evidente ove si consideri che, come stato sopra rilevato, tali competenze in materia di diffusione radiotelevisiva trovano il loro referente costituzionale nella tutela dell'autogestione del patrimonio culturale delle dette minoranze. Per questa parte il ricorso per conflitto di attribuzione va dunque accolto, dichiarandosi che non spetta allo Stato approvare la convenzione in argomento senza aver sollecitato la partecipazione, alla relativa deliberazione del Consiglio dei ministri, del Presidente della giunta provinciale di Bolzano, e annullandosi il decreto di approvazione emesso in mancanza di tale partecipazione. Con altri due dei cinque conflitti la Provincia di Bolzano denuncia, come invasiv-i delle sue competenze sopra indicate, rispettivamente il decr~ to del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni 3 dicembre 1976, recante l'approvazione del piano nazionale delle radiofrequenze e il decreto dello stesso Ministero 31 gennaio 1983, recante l'approvazione di un nuovo piano nazionale di ripartizione delle radiofrequenze. Con i rispettivi ricorsi la Provincia sostanzialmente deduce che ciascuno dei decreti impugnati, attribuendo al Ministero delle poste, quale utilizzatore per la concessione di pubblici servizi, ma con salvezza della possibilit di assegnazione a privati, una serie di bande di frequenza notoriamente usate in atto dalle emittenti locali, e comunque riservando al Ministero l'assegnazione delle bande di frequenza nell'intero territorio nazionale, lede le attribuzioni funzionali spettanti ad essa Provincia, per il proprio territorio, in tema di attivit locali con mezzi radiotelevisivi , attribuzioni da ritenere comprensive del potere di assegnazione delle frequenze. (omissis) Nel merito da rilevare che la Provincia ricorrente formula le proprie censure soprattutto in riferimento alla stessa competenza generale in materia di diffusioni radiotele~isive -sostitutiva, di quella dello Stato nell'ambito del territorio proviinciale -da essa Provincia rivendicata con il conflitto sollevato in ordine al d.P.R. 9 diq:mbre 1975, n. 860, sopra esaminato, e sulla base delle stesse norme statutarie e di attuazione ivi invocate. 728 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Negata per ile ragioni sopra esposte quella competenza generale, la questione si riduce a stabilire se una competenza specifica della Pro. vincia di disporre in materia di assegnazione delle bande di frequenza nell'ambito del suo territorio possa trovare almeno un principo di giustificazione nell'unica norma indicata dalla ricorrente che abbia attinenza a funzioni concernenti gli strumenti tecnici del:Ia diffusione radiotele visiva: i'art. 8 delle norme di attuazione. Senonch la detta norma si limita a stabilire che la commissione istituita con l'art. 2 del d. lv. C.P.S. n. 428 del 1947 presso ogni sede di singola stazione trasmittente circolare sia composta, per la sede RAI di Bolzano, in un certo modo (oio da!l presidente e da tre membri designati dal consiglio regionale di cui uno di lingua italiana, uno di lingua tedesca e uno di lingua ladina). Ma non innova affatto rispetto al cennato art. 2, al quale;: anzi per questa parte si riporta interamente, circa i compiti. della commissione, che sono quelli della vigilanza tecnica sugli impianti e sui servizi delle radiodiffusioni circolari con facolt di proporre al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni modifiche e miglioramenti. Sulla base dell'invocata norma di attuazione (art. 8) l'indicata commissione in Bolzano non si sostituisce, dunque, neppure nell'ambito locale, al Ministero de1le poste e delle telecomUiilicazioni, nelle numerose ed ampie funzioni d'ordine tecnico ad esso attribuite dall'art. 1 del d.... iv. C.P.S. n. 428 del 1947, Ministero al quale la commiss.ione in Bolzano ha solo la facolt di formulare proposte, al pari delle altre commissioni. Del resto, mentre non vi motivo di Titenere Cihe la commissione in parola sia investita, sia pure in ambito locale, del governo tecnico dell'etere, da rilevare che ancor prima dell'espressa attribuzione -operata dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, modificativo dell'art. 183 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (nuovo codice postale) -del potere di assegnazione delle frequenze radioelettriche, il detto governo, -se inteso come potere di intervenire allo scopo di assicurare la. compatibilit reciproca non solo fra le radiodiffusioni circolari ma fra tutte le forme di servizio radiotelettrico, spettava al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni ai sensi dell'art. l, comma quarto, del d. lv. C.P.S. n. 428 del 1947 pi volte richiamato, ed addirittura chiaramente presupposto, anche in riferimento alle diffusioni radiotelevisive, dallo stesso art. 10 delle norme di attuazione, cio da uno degli elementi principali del complesso normativo, da cui la Provincia ~corrente afferma di ripetere le proprie competenze. L'art. 10 del d.P.R. 1 novembre 1973, n. 691, infatti, prescrive (comma secondo) che il piano tecnico della rete di ripetitori, che la Provincia autorizzata a realizzare per la ritrasmissione di programmi esteri provenienti dall'area culturale tedesca e ladina, sia concordato col Ministero delle poste e delle telecomunicazioni anche al fine PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del -coordinamento con gli altri servizi pubblici di telecomunicazione (vale a dire, nel contesto, al fine di rendere possibile al Ministero di assicurarne la reciproca compatibilit). N ci contraddetto dalla previsione, ad opera dello stesso art. 10 (comma terzo), che la Provincia pu, nell'esercizio della propria rete, utilizzare i collegamenti della rete pubblica nazionale che siano disponibili, perch l'utilizzazione in discorso presuppone un giudizio di disponibilit che solo il Mmistero pu dare, ovviamente tenendo conto della compatibilit suindicata. Non senza ragione, d'altronde, che questa Corte, con la sentenza n. 202/76, nel porsi il problema della compatibilit fra servizio delle radiotelevisioni circolari nell'intero territorio dello Stato ed emittenza rprivata circolare nell.'ambito locale, ha affemnato che il problema va risolto mediante l'attribuzione a un organo dell'amministrazione centrale dello Stato del potere di provvedere all'assegnazione delle frequenze e all'effettuazione dei relativi controlli, ed ha fatto riferimento in proposito anche alla necessit di assicurare il risptto degli obblighi internazionali (materia, quest'ultima, riservata allo Stato). I due ricorsi in esame sono dunque infondati e si deve dichiarare che non spetta alla Provincia alcun potere, neppure nell'ambito del territorio provinciale, di disposizione delle frequenze radioelettriche. Con ulteriore ricorso la Provincia censura il comportamento dilatorio e quindi il diniego opposti dal Ministero delle poste e telecomunicazioni prima astenendosi dal rispondere e poi rispondendo negativamente (nota del 18 maggio 1984) alla richiesta di essa Provincia relativa all'istituzione di una terza rete televisiva per la recezione e ritrasmissione di programmi esteri trasmessi dall'atea culturale tedesca e ladina. In particolare la Provincia afferma (v~ anche la memoria) che il comportamento e l'atto censurati, oltre a ledere quella generale competenza costituzionalmente garantita ohe essa pretende di avere in materia di diffusioni radiotelevisive (delineata COlllle negli altri ricorsi sopra esaminati e in base alle norme statutarie e di attuazione ivi indicate), comprimono il potere di realizzare e di gestire una rete di ripetitori, ad essa attribuito dal pi volte richiamato art. 10 del d.P.R. 1 novembre 1973, n. 691, concretandosi nel rifiuto del Ministero di concordare il piano tecnico della rete (come previsto dalla detta disposizione), rifiuto ingiustificato alla luce del riferimento, fatto dal Ministero stesso, alle ragioni dell'emittenza locale privata, cos privilegiate o preservate. Di fronte all'obbiezione del resistente -che, cio, la rete di cui alla cennata norma di attuazione stata gi istituita e concessa in gestione ad una apposita azienda (la RAS -Radiotelevisione azienda speciale della Provincia di Bolzano) -la Provincia ha chiarito nella difesa orale, senza essere contraddetta sul punto, che si tratta del completamento della rete in discorso mediante un terzo programma destinato alle trasmissioni este :-:. 730 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO re di lingua ladina provenienti dall'omonima area culturale (ne esisterebbero altri due di lingua tedesca provenienti rispettivamente dall'area culturale germanica e da quella austriaca). Ora, esclusa anche a proposito del presente conflitto la generale com, petenza rivendicata dalla Provincia in materia di diffusioni radiotelevisive, non si vuol negare che il potere ad essa riconosciuto dalla suindicata norma di attuazione -di realizzare e di gestire la propria rete di ripetitori, e quindi anche di completarla o di integrarla per renderla idonea agli scopi previsti dalla norma stessa -sia una competenza defendibile mediante conflitto di attribuzione. Vanamente il resistente lo contesta sulla base della considerazione che la legge, adoperando la locuzione la Provincia autorizzata , avrebbe con ci stesso mostrato di non voler riconoscere n attribuire alla Provincia una competenza avente tale oggetto. Che si tratti, invece, anche dopo la liberalizzazione dei ripetitori risultante dalla senten.Za di questa Corte n. 225/74, di una competenza garantita, si desume dal carattere della fonte attributiva (norma di attuazione dello statuto) e dal contenuto privilegiato (comprendente fra l'altro il potere di servirsi dei collegamenti disponibili della rete nazionale). Tuttavia la Provincia muove da una nozione di invasivit che non pu I essere, condivisa. Anche quando, configurandosi una competenza costituzionalmente garantita dell'autonomia regionale o provinciale rispetto al potere dello Stato, I si presenti la necessit di un'intesa (o di un concordamento ) per evitare l'interf~renza di fatto tra le rispettive esplicazioni, o quando addirittura l'intesa (o il concordamento ) costituisca lo strumento istitu I zionalmente previsto per l'esercizio coordinato delle due potest, a dar vita a una lesione dell'autonomia garantita non sufficiente (da parte i dello Stato) un diniego implicito o esplicito in ragione del solo suo con0 & tenuto negativo, vale a dire un comportamento o un atto, che si esaurisca nel mero esercizio (negativo) del potere statale. Orbene il diniego prima implicito e quindi esplicito del Ministero delle poste fatto oggetto di ricorso non censurato dalla stessa ricorrente altrimenti che per il suo contenuto negativo. Dalle stesse allegazioni della ricorrente esso non appare diverso da qualsiasi atto di esercizio del potere spettante al Ministero di pronunciarsi in ordine al piano da concordare. Per di pi tale esercizio motivato con la ravvisata impossibilit, al momento , di procedere a modifiche degli attuali equilibri esistenti nel campo dell'utilizzazione delle bande di frequenza, equilibri che la nota 18 maggio 1984 mostra di considerare in riferimento non solo all' ambito privato, ma anche ali' ambito pubblico, vale a dire ad esigenze d'impiego non riconducibili a quelle dell'emittenza privata locale, che la PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Prov~ncia lamenta essere state privilegiate o preservate in danno della sua attribuzione. N la Provincia, che solo con la memoria formula una generica accusa di pretestuosit della motivazione, adduce che questa sia pretestuosa l dove si riferisce a:ll' ambito pubblico , Il conflitto pertanto inammissibile. Con il conflitto sollevato nei confronti dello Stato, in ordine alla deliberazione in data 16 dicembre 1977 del consigliQ di amministrazione della RAI, relativa all'istituzione della terza rete televisiva, la Provincia sostiene che la strutturazione di quest'ultima quale operata dalla deliberazione impugnata lesiva delle competenze garantite ad essa Provincia, in materia di direttive di massima per i programmi artistici, culturali ed educativi di rilevanza locale della diffusione radiotelevisiva circolare, dall'art. 8, n. 4, dello statuto in vigore e dall'art. 7 delle norme di attuazione (che richiama il d. lv. C.P.S. n. 428 del 1947), nonch dall'art. 9 delle dette norme di attuazione (che prevede la nomina di un coordinatore dei programmi in lingua tedesca d'intesa fra essa Provincia e la RAI). Ma tale conflitto, in accoglimento dell'eccezione opposta dal resistente, va dichiarato inammissibile perch l'atto censurato atto proprio del concessionario del servizio, vale a dire della RAI, ente priv~to in quanto societ per azioni, e non gi dello Stato o a questo comunque direttamente imputabile. Le sentenze nn. 105 del 1968, 128 del 1969 e 175 del 1976 di questa Corte sono richiamate dalla Provincia non a proposito, in quanto la prima di esse non affronta un problema di imputabilit dell'atto impugnato, mentre le altre due riguardano un atto imputabile alla regione contro la quale era stato proposto il conflitto. p.q.m. 1) dichiara che non spetta alla Provincia di Bolzano stipulare la convenzione con la RAI relativa ai programmi televisivi e radiofonici in lingua tedesca e radiofonici in lingua ladina per la Provincia di Bolzano, approvata con d.P.R. 9 dicembre 1975, n. 860; 2) dichiara che non spetta allo Stato approvare la convenzione con la RAI relativa ai programmi televisivi e radiofonici in lingua tedesca e radiofonici in lingua ladina per la Provincia di Bolzano senza .previo invito al Presidente della Provincia a intrvenire alla relativa seduta del Consiglio dei ministri, e conseguentemente annulla il d.P.R. 9 dicembre 1975, n. 860, che approva la detta convenzione; 3) dichiara che non spetta alla provincia di Bolzano provvedere nell'ambito del proprio territorio all'assegnazione delle frequenze radio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllLLO STATO 732 elettriche disposta rispettivamente con i decreti del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni del 3 dicembre 1976 e del 31 gennaio 1983; ... (omissis) II Oggetto della questione di legittimit proposta in via diretta dalla Provincia di Bolzano il decreto legge 6 dicembre 1984, n.' 807, recante disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive (succes-. sivamente cortvertito dalla legge 4 febbraio 1985, n. 10, con modificazioni che non rilevano ai fini del presente conflitto). Con tale decreto, mentre ribadita la riserva allo Stato della diffusione radiotelevisiva sull'intero territorio nazionale con qualsiasi mezzo, ed previsto l'esercizio da parte dello Sta'.to stesso del servizio pubblico radiotelevisivo su scala nazionale mediante concessione a una societ per azioni a totale partecipazione pubblica (art. 1), consentita, in via temporanea, la prosecuzione delle attivit (eccedenti l'ambito locale) delle singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione gi in funzione alla data del 1 ottobre 1984 (art. 3). E' stabilito altresl che l'attivit di radiodiffusione sonora e televisiva dell'emittenza pubblica e privata si svolge sulla base del piano nazionale di assegnazione delle frequenze (art. 2), ed fatto carico ai pri~ati, esercenti impianti di radiodiffusione circolare alla data di entrata in vigore del decreto, di fornire al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni i dati occorrenti per la formazione del piano .e dei relativi bacini di utenza (art. 4). L'impugnazione investe il decreto nel suo complesso e in particolare: l'art. 1, primo comma (riserva allo Stato della diffusione radiotelevisiva s;ull'intero territorio nazionale); l'art. 2, commi primo e secondo (previsione della formazione del piano delle frequenze, con l'individuazione delle frequenze necessarie al servizio pubblico, dei bacini di utenza idonei a consentire la presenza e l'economica gestione, entro ciascun bacino, di un numero di emittenti private tale da evitare situazioni di monopolio o di oligopolio, e delle frequenze utilizzabili dalle emittenti private); l'art. 4 (obbligo ai privati esercenti di fornire al Ministero delle poste e delle telecomunicazoni i dati suindicati). La Provincia ritiene illegittima la normativa impugnata pereh inva siva della sua competenza costituzionalmente garantita in materia di servizio pubblico radiotelevisivo. E il presupposto formulato sulla base delle seguenti norme del d.P.R. 31 ago~to 1972, n. 670, di approvazione del Testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto ! I PARTE I, SEZ. I, GIUIUSPRUDBNZA COSTITUZIONALE speciale per il Trentino-Alto Adige e del d.P.R. 1 novembre 1973, n. 691, di approvazione delle relative norme di attuazione: 1) art. 3, comma terzo, art. 8, nn. 4, 18 e 19, e art. 16 dello statuto speciale, attributivi ad essa Provincia rispettivamente di autonomia speciale, di potest legislativa esclusiva e di funzioni amministrative in materia di .manifestazioni e attivit artistiche, culturaff ed educative locali, anche con mezzi radiotelevisivi, di comunicazioni e di assunzione diretta di servizi pubblici; 2) art. 7. delle norme di attuazione, devolutivo ad essa Provincia di tutte le attribuzioni esercitate in precedenza dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di . manifestazioni artistiche, culturali ed educative locali con i mezzi radiotelevisivi; 3) art. 8 delle stesse .. norme di attuazione, attributivo della vigilanza tecnica S1Ugli impianti neLla P.rovincia ad una commissione istituita presso la sede RAI di Bolzano con una speciale composizione; 4) art. 10 delle stesse norme di attuazione, attributivo ad essa Provincia di Bolzano del potere di realizzare e gestire una rete di ripetitori per la ricezione e contemporanea ritrasmissione di programmi diffusi da organismi radiotelevisivi esteri dell'area culturale tedesca e ladina concordando le condizioni della ricezione e ritrasmissione con gli organismi esteri, e altres della facolt di utilizzare, a1 fine suindicato, i collegamenti disponibili della rete pubblica nazionale di telecomunicazione del Ministero delle poste, nonch di acquistare, per ristrutturarli e gestirli, impianti privati esistenti nel territorio provinciale. Sostiene in particolare la ricorrente che la normativa impugnata lede la sua competenza come sopra' delineata in quanto, senza neppure far salve le norme attributive di essa, per un verso riservando allo Stato la gestione generale del servizio pubblico radiotelevisivo (art. 1), nega le analoghe generali attribuzioni delle quali ad essa Provincia spetta l'esercizio, nell'ambito del territorio provinciale, in luogo dello Stato; per altro verso, riservando allo Stato la formazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze, nega le particolari attribuzioni delle quali ad essa Provincia spetta l'esercizio, nell'ambito del territorio provinciale, in tema di disposizione delle frequenze. (omissis). La Provincia, si duole del. regime di ripartizione, fra lo Stato ed essa Provincia, delle relative attribuzioni pubbliche affermando che tale regime: lede la competenza generale che" essa pretende di avere su ogni aspetto del servizio pubblico radiotelevisivo in luogo dello Stato nell'ambito del territorio provinciale; in ogni caso lede la competenza specifica che essa prevede di avere, sempre in luogo dello Stato, nell'ambito del territorio provin 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ciale, in materia di pianificazione e di assegnazione pianificata delle bande di frequenza (governo tecnico dell'etere). Sul primo punto vale il rilievo -espresso nella sentenza di pari data n. 206/85 -che alla Provincia non spetta, sulla base delle .norme statutarie e di attuazione da essa invocate, quella competenza generale ed esclusiva, che essa rivendica in materia di servizio pubblico radiotelevisivo. (omissis) Esclusa la competenza generale rivendicata dalla Provincia e individuate in quelle come sopra circoscritte le sue 'attribuzioni costituzionalmente garantite in materia, chiaro che con esse non presenta alcuna incompatibilit la disciplina dettata col decreto-legge impugnato, la quale, anche se non fa espressamente salvi i rapporti fra Stato e Provincia di Bolzano, non contiene alcuna innovazione rispetto alla situazione normativa previgente circa tali rapporti, n circa quelli fra lo Stato e ogni altro centro di autonomia garantita. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 25 ottobre 1985, n. 233 (in cam. cons.) -Pres. Roehrssen -Rel. Paladin -s.p.a. Standa e Presidente Consiglio dei Ministri. Tributi locali -Tassa sulle insegne -Mezzi pubblicitari esposti nelle vetrine e sulle porte di ingresso -Legittimit costituzionale. (Cost., art. 77; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, art. 20). Non contrasta con la legge delega n. 825 del 1971 la disposizione che sottopone alla tassa sulle insegne i mezzi pubblicitari esposti nelle vetrine e sulle porte di ingresso dei locali adibiti alla vendita al dettaglio. Per temperare il rigore del testo unico sulla finanza locale, che aveva sottoposto alla tassa sulle insegne, entro il perimetro dell'abitato, le iscrizioni, avvisi, richiami di pubblicit od indirizzi,... tanto se collocati su porte o vetrate di accesso agli esercizi, sulle facciate dei fabbricati, nelle finestre o nei balconi ove gli esercizi stessi hanno sede, quanto se posti in localit diverse (cfr. l'art. 201, primo comma, del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175), l'art. 3, primo comma, del d. leg. 8 novembre 1947, n. 1417, ha stabilito che non sono assoggettabili al pagamento dei diritti di pubblicit gli avvisi, cartelli ed altri mezzi pubblicitari esposti nelle vetrine dei locaili di commercio... o collocati sulle tariffe o negli ingressi di tali locali, quando si riferiscano al commercio esercitato nei locali stessi ovvero a prodotti fabbricati dagli esercenti...: sia pure nei limiti contestualmente fissati dal secondo comma, ai sensi del quale si sono eccettuati i mezzi che superino la superficie di 50 decimetri quadrati , consentendo che per essi fosse imposto il paga~ ' ~ m m B J Iili I !:i I I II I I 1: f; 1:1 --r.: ~ J J . . -.111111ilillildiidiil.lllj:.:J111 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB mento dei diritti della rispettiva tariffa con una riduzione non inferiore al SO per cento . E questi criteri informano tuttora, fondamentalmente, l'art. 20 n. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, in tema di applicazione dell'imposta sulla pubblicit, che esenta fra l'altro dalla imposta stessa i mezzi pubblicitari, escluse le insegne, esposti nelle vetrine e sulle porte d'ingresso dei locali (di somministrazione e adibiti alla vendita di prodotti al dettaglio), purch si riferiscano all'attivit in essi esercitata e non superino, nel complesso, la superficie di mezzo metro quadrato per ciascuna vetrina o ingresso . Senonch il Tribunale di Perugia prospetta il dubbio che tale disciplina sia viziata da un eccesso di delega legislativa, in violazione del primo comma dell'art. 77 Cost. Rileva infatti il giudice a quo che l'art. 12, secondo comma n. l, della legge delegante 9 ottobre 1971, n. 82S, ha previsto l'istituzione... di una imposta comunale sulla pubblicit, sostitu- tiva della tassa sulle insegne e dell'imposta comunale sulla pubblicit affine, seguendo i criteri della legge S luglio 1961, n. 641 , ed escludendo comunque i locali di somministrazione e adibiti alla vendita di prodotti al dettaglio; laddove la norma impugnata avrebbe reintrodotto i locali medesimi nell'ambito di applicazione dell'imposta in esame, rela tivamente ai mezzi pubblicitari di certe dimensioni. La questione non fondata. Per fissare l'effettiva portata della delega . di cui si controverte, va considerato l'intero contesto dell'art. 12, secondo comma n. l, della legge n. 825, nel quale assume un centrale rilievo il riferimento alla legge S luglio 1961, n. 641 (contenente Disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicit affine); senza di che, d'altra parte, si potrebbe dubitare che il legislatore delegante abbia determinato cori la necessaria precisazione i priincpi e i criteri direttivi atti a condizionare sul punto, l'esercizio della funzione legislativa delegata. Ora, ben vero che l'art. 1 della legge n. 641, nel comprendere sotto la denominazione di pubbliche affissioni ogni esposizione di manifesti, avvisi, fotografie od altri mezzi pubblicitari stampati, litografati o 'manoscritti su carta od altro materale simile, in modo da essere totalmente visibile dalle vie d dalle piazze pubbliche, lasciava espressamente salvi i disposti di cui ai commi primo e terzo dell'art. 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 8 novembre 1947, n. 1417 (cfr. il primo ed il quarto comma dell'articolo stesso); ma non faceva menzione del. secondo comma, concernente appunto la tassabilit dei mezzi pubblicitari superiori a SO decimetri quadrati, esposti nelle vetrine o negli ingressi dei locali di commercio. Giustamente, per, l'Avvocatura dello Stato osserva che un tale silenzio non implicava affatto l'abrogazione e la conseguente inapplicabilit del secondo comma (anche ai fini della delega disposta dall'art. 12, secondo comma n. l, della legge n. 825 del 1971). Al contrario, il richiamo del terzo comma del citato art. 3, che 736 RASSEGNA. DELL'AVVOCATURA DEU..O 'STATI> testualmente dichiarava esenti dai diritti di pubblicit, qualunque sia la loro superficie, i cartelli e gli altri mezzi di propaganda turistica obiettiva e 'generica esposti. nelle vetrine od all'esterno dei locali delle agenzie di viaggio e delle associazioni d'interesse turistico, non avrebbe avuto un senso compiuto, se non fosse rimasta in vigore la regola stabilita dal comma precedente, quanto alla superficie minima tassabile e quanto alla misura della relativa tassa. Una sicura riprova si desume, del resto, dal seguito della legge n. 641 e, in particolare, dal comma finale dell'art. 8, l dove si precisa che le disposizioni di cui al secondo comma dell'art. 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 8 novembre 1947, n. 1417, non si applicano ai mezzi pubblicitari concernenti pubblici spettacoli: il che sta indubbiamente a significare che il detto secondo comma non era divenuto incompatibile con la disciplina del 1961, malgrado la mancata menzione da parte dell'art. 1 I. cit... E, non a caso, fra le norme abrogate dal decreto presidenziale n. 639 del 1972, l'art. 58 del decreto stesso ricomprende ancora -senza operare distinzioni di sorta -il decreto legislativo 8 novembre 1947, n. 1417, al pari della legge 5 luglio 1961, n. 641. CORTE COS'IITUZIONALE, 25 ottobre 1985, n. 237 (in caro. cons.) -Pres. Paladin -Rel. Andrioli -Tota e Presidente Consiglio dei Ministri. Procedimento civile -Opposizione di terzo -Avverso ordinanza di convalida di sfratto per morosit. (Cast. artt. 3 e. 24; cod. proc. civ., art. 404). L'art. 404 c.p.c. costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, non ammette l'opposizione di terzo avverso l'ordinanza di sfratto per morosit (1). Questa Corte, con sent. 7 giugno 1984, n. 167, ha dichiarato l'illegittimit costituzionale dell'art. 404 c.p.c. nella parte in cui non ammette l'opposizione di terzo avverso l'ordihanza di sfratto per finita locazione per la mancata comparizione dell'intimato o per la mancata opposizione dell'intimato pur comparso, e l'identit di ragione la induce a giudicare illegittimo l'art. 404 nella parte in cui non ammette l'opposizione di . terzo avverso l'ordinanza di sfratto per morosit. (1) La pronuncia si collega alla precedente n. 167 del 1984 (in questa Rassegna, 1984, I, 620). Entrambe, -pur rimanendo sul terreno processuale sostanzialmente rendono un po' pi reale la situazione del conduttore di immobile. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (con la quale era stata contestata la mancata attuazione della direttiva 75/129/ CEE), la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 171 del Trattato CEE. -26 novembre 1985, nella causa 182/84, Miro BV, nella quale, in tema di libera circolazione delle merci (ginepro), la Corte ha dichiarato che il divieto di misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE osta a che uno Stato membro applichi ai prodotti dello stesso tipo importati da un altro Stato membro una normativa nazionale che subordini il diritto di usare la denominazione di una bevanda nazionale alla osservanza di una gradazione alcolica minima qualora tali prodotti siano correttamente e tradizionalmente fabbricati e messi in commercio con la stessa denominazione nello Stato membro d'origine e sia garantita l'adeguata informazione degli acquirenti . -12 dicembre 1985 nella causa 276/84 Metelmann GmbH c. Hamptzollamt Amburgo-Jonas, sul regime delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli, con la quale la Corte ha statuito che l'art. 9, n. 1, del reg. 2730/79, il quale subordina il pagamento della restituzione all'esportazione al fatto che il prodotto abbia lasciato "come tale" il territorio geografico della Comunit, va interpretato nel senso che la modifica delle caratteristiche esteriori della merce comporta la perdita del diritto alla restituzione, qualora tale modifica renda pi difiicile il 'controllo doganale; che, anche se le formalit doganali di esportazione possono ancora essere espletate, a titolo eccezionale, in un momento successivo, l'aliquota della restituzione da applicarsi quella vigente alla data in cui la merce ha lasciato il territono geografico della Comunit; che le soluzioni date alle prime due questioni valgono anche per il pagamento degli importi compensativi monetari ai sensi del reg. 1371/81 . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, 4a sez., 14 maggio 1985, nella causa 89/84 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Slynn Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte d'appello di Montpellier nel procedimento penale c. P. Ramel -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione delle C.E. (ag. Sch). Comunit europee -Agricoltura -Organizzazione comune del mercato viti vinicolo -Taglio di vino rosso da tavola e di vino rosato da tavola. (Regolamento CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 355, artt. 2, 43 e 48, e della Com missione 5 dicembre 1973, n. 3282, art. 2). Il combinato disposto del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, considerati in particolare i suoi artt. 43 e 48, del regolamento della Commissione 5 dicembre 1973, n. 3282, relativo alla definizione del taglio e della vinificazione, considerato in particolare il suo art. 2, e del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve, considerati in particolare i suoi artt. 2 e 43, va interpretato nel senso ch'esso consente il taglio di un vino da tavola rosso con un vino da tavola ro RASSllGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 140 sato, entrambi originari di pi Stati membri, e la messa in commercio nell'ambito della Comunit del prodotto cos ottenuto, sotto la denominazione vino rosato da tavola di vari pa~si della Comunit Europea, purch l'indicazione rosato non sia in contrasto con una caratteristica obiettiva del vino che permetta di distinguerlo, unicamente in base al colore, dal vino rosso o dal vino bianco (1). (omissis) 1. -Con sentenza 7 marzo 1984, pervenuta in cancelleria il 29 marzo 1984, la Court d'appel di Montpellier ha. sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione della normativa comunitaria riguardante l'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, al fine di valutare se siano compatibili con tale normativa comunitaria la produzione, mediante taglio, di taluni vini da tavola e la loro vendita sotto particolari denominazioni. 2. -Tale questione stata sollevata nell'ambito di un procedi mento penale intentato congiuntamente dal Service de la Rpression des Fraudes et. du 'Controle >, cosicch l'acquirente non poteva fare confusione circa la loro origine e le loro caratteristiche tradizionali e .sostanziali. Perci, secondo la Corte d'appello, il problema sollevato riguarda essenzialmente la liceit del taglio, nel territorio della Comunit, di vini da tavola rossi e rosati provenienti da vari paesi della Comunit. In secondo luogo, constatando che esistono seri dubbi sulla questione di principio relativa alla liceit dei tagli effettuati, e tenuto conto dell'interesse pubblico generale di dissipare qualsiasi equivoco che possa sussistere in proposito, il giudice nazionale ha ritenuto necessario adire questa Corte e sottoporle la seguente questione pregiudiziale: Se, allo stato attuale della disciplina comunitaria, sia lecito effettuare -in uno Stato membro della Comunit -il taglio di vini rossi e rosati provenienti da uno qualsiasi degli Stati membri della Comunit e mettere in commercio, in uno di detti Stati membri, il prodotto cos ottenuto, sotto la denominazione vin ros DPCE o vin rouge DPCE . 8. -Dal fascicolo risulta che la questione sottoposta alla Corte riguarda soltanto il taglio di vini da tavola rossi e rosati originari di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vri Stati membri e la vendita del vino cos ottenuto sotto la denomina .zione vino rosato da tavola originario di vari Stati membri della Co munit Europea . 9. -La FNPVTP fa valere in sostanza che il regolamento n. 337/79, bench stabilisca, all'art. 43, n. 3, la regola generale secondo cui il taglio di un vino da tavola bianco con un vino da tavola rosso non pu dare vino da tavola, non contiene tuttavia una disciplina esauriente del taglio dei vini da tavola. Cos, in questo regolamento nulla detto sul vino rosato, che il prodotto di una vinificazione speciale e che ha caratteristiche diverse da quelle del vino rosso. FNPVTP sostiene che, in mancanza di qualsiasi normativa comunitaria che vieti o permetta il taglio del vino rosato con vino rosso, gli usi leali e costanti secondo cui vietato porre in vendita il prodotto ottenuto mediante taglio di vino rosato con. vino rosso sotto la denominazione vino rosato sono compatibili col diritto comunitario. Essa non contesta che detto taglio pu, a determinate condizioni, essere lecito, ma insiste sul fatto che la miscela non dovrebbe mai essere venduta sotto la denominazione vino rosato . La lacuna esistente nella normativa comunitaria non pu quindi, a suo avviso, ostare all'applicazione delia legislazione o della giurisprudenza nazionali, come risulta anche dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalle sentenze 30 settembre 1975 (cause riunite 10-14/75, Lahaille, Racc. pag. 1053) e 16 febbraio 1982 (causa 204/80, Vedei, Racc. pag. 465). 10. -Per contro, gli imputati, il Governo italiano e la Commissione assumono in sostanza che, bench la normativa vitivinicola non abbia espressamente autorizzato il taglio di vini da tavola rossi e di vini da tavola rosati provenienti da vari paesi della Comunit e non contenga alcuna definizione del ' vino rosato, l'art. 43 del regolamento n. 337/79 I contiene, per quanto riguarda il taglio di vini da tavola, una disciplina completa ed esauriente e si applica, quindi, anche ai vini da tavola rosati. Di conseguenza, sarebbe lecito effettuare il taglio in questione e presentare al consumatore il vino cos ottenuto sotto la denominazione vin rosato . 11. -Nelle loro osservazioni, gli imputati richiamano l'attenzione sul fatto che esiste un'indefinita variet di vini rosati. L'aggettivo rosato , infatti, significa soltanto che il vino ha colorazione debole. A loro avviso, i vini rosati devono essere considerati della stessa famiglia dei vini rossi. Essi sostengono, perci, che la miscela di vino rosato e di vino rosso non vietata. Quanto alla vinificazione, gli imputati spiegano che gli esperti enologi non sono unanimi in merito alle regole per la lavo, razione dei vini rosati, perch tali' regole variano da uno Stato membro all'altro. Infine; gli imputati si richiamano al reg0lamento della Com PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE missione 5 dicembre 1973, n. 3282, relativo alla definizione del ta~lio e della vinificazione (G.U. n. L 337, pag. 20), per la cui applicazione il vino rosato considerato come vino rosso. 12. -Secondo il Governo italiano i requisiti che un vino deve soddisfare per. essere qualificato vino da tvola sono stabiliti, ai sensi dell'art. 48, n. 1, del regoJamento n. 337/79, al punto 11 dehl'aillegato II del regolamento medesimo. Ne deriverebbe che le caratteristiche del vino da tavola sono fissate senza alcuna distinzione in funzione del colore. Inoltre, dagli artt. 1 e 2 del regolamento <;lel Consiglio 5 febbraio 1979, n. 340, che determina i tipi di vino da tavola (G.U. n. L 54, pag. 60), risulterebbe che, secondo la disciplina comunitaria, il colore del vino da tavola preso in considerazione .solo come caratteristica finale del prodotto. Riferendosi alla sentenza della Corte 13 marzo 1984 (causa 16/83, Prantl, Racc. pag. 1299), il Governo italiano sostiene che non si pu escludere una violazione dell'art. 30 del Trattato CEE, qu11lora la legislazione nazionale vieti di porre in commercio sotto la denominazione vino da tavola un vino prodotto in modo conforme alle norme comunitarie ed ammesso in quanto vino da tavola dalla legislazione di un altro Stato membro. Infine, il Governo italiano si riferisce all'art. 2 del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve (G.U. n. L 54, pag. 99) e ne deduce che un vino rispondente ai criteri stabiliti per il vino da tavola e che presenti obiettiv.amente il colore rosato pu essere posto in commercio sotto la denominazione vino da tavola rosato . 13. -La Commissione, dovo aver illustrato i vari metodi di vinificazione ed aver. esaminato i regolamenti ohe riguardano specificamente i vini rossi, rosati e bianchi, rileva che gli usi nazionali si applicano soltanto nei limiti in cui il legislatore comunitario non abbia esercitato i propri poteri in materia di taglio dei vini. Essa ritiene che alcune disposizioni di diritto comunitario, in particolare l'art. 43 del regolamento 'n. 337/79 e l'art. 2 del regolamento n. 355/79, implicano che il taglio del vino rosso da tavola e del vino rosato da tavola un'operazione lecita. Poich gli imputati si sarebbero conformati alle disposizioni riguardanti la designazione e la presentazione <;lei prodotti (e cio all'art. 43, n. 1, del regolamento n. 355/79), la Commissione sostiene che non si pu far loro carico del semplice fatto che il vino posto in commercio fosse costituito da una miscela. 14. -Di fronte a tale divergenza di opinioni, si deve anzitutto precisare che la questione pregiudiziale presenta due aspetti. Il primo riguarda il problema del se la normativa comunitaria debba essere inter 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO pretata nel senso ch'essa permette il taglio di un vino da tavola rosso con un vino da tavola rosato, qualora tali vini siano originari di pi Stati membri, nonch la messa in commercio del prodotto di detto taglio (il vino tagliato) nell'ambito della Comunit. Il secondo aspetto della questione riguarda il problema del se alla stregua della normativa comunitaria sia lecito designare il vino tagliato come vino rosato da tavola originario di vari paesi della Comunit Europea. Sul taglio del vino da tavola e sulla messa in commercio del vino da tavola tagliato. 15. -Per quanto riguarda il taglio del vino da tavola, si deve anzitutto rilevare che nel 28 punto del preambolo del regolamento n. 337/ 79 si considera che il taglio una pratica enologica corrente e 9he, tenuto conto degli effetti che pu avere, necessario disciplinarne l'uso, segnatamente per evitare qualsiasi abuso . Inoltre, l'art. 43 dello stesso regolamento, facente parte del titolo IV, che contiene le regole relative a talune pratiche enologiche e all'ammissione al consumo, stabilisce al n. 1 che, in generale, in caso di taglio .. sono vini da tavola soltanto i prodotti del taglio tra vini da tavola ... . Per contro, ai sensi del n. 3, 1 comma, in generale, il taglio .'.. di un vino da tavola bianco ... con un vino da tavola rosso non pu dare vino da tavola . Secondo l'art. 48, n. 2, dello stesso regolamento, in generale, soltanto i vini rispondenti almeno ai criteri stabiliti per i vini da tavola possono essere offerti o consegnati per il consumo umano diretto all'interno della Comunit. 16. -A questa disciplina riguardante il taglio del vino da tavola si aggiunge il regolamento n. 3282/73, il quale, nel primo punto del preambolo, definisce il proprio scopo, che quello di pervenire ad un'interpretazione coerente dei termini taglio e vinificazione nella normativa comunitaria, e stabilisce nell'art. 2, n. 1, che per taglio si intende la mescolanza di vini o di mosti provenienti: a) da diversi Stati, ... d) o da diverse categorie di vino o di mosto . Il n. 2 dello stesso articolo considera come diverse categorie di vino o di mosto, al primo trattino, il vino rosso, il vino bianco, nonch i mosti o i vini da cui si possa attenere uno di questi tipi di vino e, al secondo trattino, il vino da pasto ff (espressione equivalente, in italiano, a vino da tavola), il v.q.p.r.d. (vino ~ di qualit prodotto in regioni determinate), nonch i mosti o i vini da cui I si possa ottenere uno di questi tipi di vino . Secondo l'ultima frase del n. 2, ai fini dell'applicazione del presente paragrafo, il vino rosato I f f i ~ ~ Pl\RTB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE considerato un vino rosso . Da questa disposizione risulta che, per quanto riguarda il taglio, il vino rosato non costituisce una categoria diversa da quella del vino rosso. 17. -Infine, l'art. 46 del regolamento n. 337/79 stabilisce, al n. l, 2 comma, che ... vietato in particolare mescolare o tagliare: -vini da tavola tra loro ... se uno dei componenti non conforme alle disposizioni del presente regolamento o a quelle adottate in applicazione di esso. 18. -Di fronte a tali disposizioni, si deve riconoscere che la normativa comunitaria, come stato sostenuto dagli imputati, dal Governo italiano e dalla Commissione, considera il taglio di vini da tavola tra loro come un'operazione lecita, fatte salve talune eccezioni, fra le quali in particolare il taglio di vino rosso con vino bianco. Poich, a tale riguardo, il vino rosato considerato come facente' parte della categoria del vino rosso, si deve constatare che il taglio di vino da tavola rosso con vino da tavola rosato permesso dalla normativa comunitaria se i due tipi di vino sono originari di pi Statj membri. Inoltre, poich il risultato di detto taglio d un vino da tavola, questo deve poter circolare liberamente nella Comunit e la sua messa in commercio per il consumo umano diretto nell'ambito della Comunit dev'essere consentita. Sulla designazione del vino da tavola tagliato 19. -Si deve anzitutto constatare che la normativa comunitaria non contiene definizini enologiche, n del vino rosso, n del vino bianco, n del vino rosato, pur stabilendo alcuni criteri obbligatori per le varie categorie di vini, in particolare per quanto riguarda il loro tenore di acidit e di anidride solforosa. E' questo il motivo per cui la FNPVTP sostiene che gli Stati membri sono liberi di stabilire una normativa autonoma in questo campo. 20. -In proposito si deve osservare che il regolamento n. 355/79, nella versione risultante dal regolamento del Consiglio 9 aprile 1981, n. 1016, che modifica il regolamento (CEE) n. 355/79, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve (G.U. n. L 103, pag. 7), all'art. 2, n. 1, dispone che per i vini da tavola, la designazione sull'etichettatura contiene l'indicazione: a) della menzione vino da tavola; ... d) per quanto riguarda: ... iii) i.I vino da tavola risultante dal taglio ... di prodotti originari di vari Stati 746 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEU.O STATO ' membri ... della dicitura vino di vari paesi della Comunit Europea . Ai sensi dell'art. 2, n. l, lettere a) e d), il vino risultante dal taglio di viaj 'rossi da tavola e di vini rosati da tavola provenienti da vari Stati membri, come il vino di cui trattasi nella presente causa, deve recare la menzione vino da tavola e vino di vari paesi della Comunit Europea per essere conforme alle norme fissate da tale regolamento. 21. -Per quanto riguarda pi particolarmente la denominazione vino rosato , l'art. 2, n. 2, del regolamento n. 355/79 stabilisce che per i vini da tavola, la designazione sull'etichettatura pu essere completata dall'indicazione: a) della precisazione che si tratta di un vino rosso, di un vino rosato o di un vino bianco; ... . Come risulta dal secondo punto del preambolo idi detto regolamento, fo scopo di tale indicazione deve essere di fornire delle informazioni quanto pi esatte e precise possibili per l'apprezzamento della merce tanto da parte dell'eventuale acquirante quanto da parte degli enti pubblici incaricati della gestione e del controllo del commercio dei prodotti in questione . Il terzo punto del preambolo stabilisce la distinzione tra le indicazioni obbligatorie necessarie per l'identificazione del prodotto, e le indicazioni facoltative intese piuttosto a specificare le caratteristiche intrinseche del prodotto o a qualificare lo stesso . 22. ......: Allo scopo di un'informazione ottimale del consumatore, l'articolo 43, n. 1, dello stesso regolamento stabilisce che la designazio~e e la presentazione dei prodotti detenuti per ila vendita, ivi compreso qualsiasi tipo di pubblicit, non devono creare confusione sulla natura; origine e composizione del prodotto per quanto .riguarda le indicazioni di cui agli artt. 2, ... . 23. -Dalle suddette disposizioni relative alla . designazione dei vm1 si deve desumere che la normativa comunitaria permette che un vino da tavola venga designato come vino rosato, a condizione ch~esso presenti obiettivamente il colore rosato e possa essere distinto, perci, da un vino Tosso o da un vino bianco, senza ohe i consumatori o altri interessati possano essere indotti in errore circa le caratteristiche e le qualit del prodotto in questione. Spetta tuttavia al giudice nazionale accertare se il vino di cui trattasi risponda al criterio del colore rosato. 24. -Stando cos le cose, non si possono condividere le osservazioni presentate dalla FNPVTP, secondo cui costituirebbe truffa la vendita di un vino risultante dal taglio di vini da tavola rossi con vini da tavola rosati sotto la denominazione vino rosato, poich questo vino non sarebbe conforme alle esigenze degli usi francesi. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 25. -Come stato gi rilevato dalla Corte nella sentenza 13 marzo 1984 (causa 16/83, Prantl, Racc. pag. 1299), le norme di diritto comunitario relative all'organizzazione comune ,del mercato vitivinicolo possono essere considerate come una disciplina esauriente, segnatamente in materia di prezzi e di intervento, di scambi con i paesi terzi, di produzione, e per quanto concerne talune pratiche enologiche, nonch la designazione dei vini e l'etichettatura. Di conseguenza, gli Stati membri non sono pi competenti in materia, salvo specifiche disposizioni comunitarie in senso contrario. 26. -In proposito si deve osservare che non esistono specifiche disposizioni del genere. Bench l'art. 2, n. 2, lett. h), del regolamento n. 355/ 79, a norma 'del guale, rper i vini da tavola, la designazione sUll'etichettatura pu essere completata dall'indicazione di precisazioni concernenti ... il tipo del prodotto ... un colore particolare del vino da tavola, purch tali indicazioni siano disciplinate da modalit d'applicazione o, mancando queste, da disposizioni dell~ Stato membro interessato , consehta ad uno Stato membro, in manc~a di una disciplina comunitaria, di stabilire norme vincolanti in merito alle precisazioni supplementari circa il vino offerto al consumo, la suddetta disposizione non gli consente, tuttavia, di vietare di designare un vino da tavola come vino rosato e di metterlo in commercio come tale, per la sola ragione che detto vino da tavola non stato prodotto secondo gli usi locali, regionali o nazionali. 27. -Di conseguenza, la questione formulata dal giudice nazionale va risolta dichiarando che il combinato disposto del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, considerati in particolare i suoi artt. 43 e 48, del regolamento della Commissione 5 dicembre 1973, n. 3282, relativo alla definizione del taglio e della vinificazione, considerato in particolare il suo art. 2, e del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve, considerati in particolare i suoi artt. 2 e 43, va interpretato nel senso ch'esso consente il taglio di un vino da tavola rosso con un vino da tavola rosato, entrambi originari di pi Stati membri, e la messa in commercio nell'ambito della Comunit del prodotto cos ottenuto, sotto la denominazione vino rosato da tavola di vari paesi della Comunit Europea , purch l'indicazione rosato non sia in contrasto con una caratteristica obiettiva del vino che permetta di distinguerlo, unicamente in base al colore, dal vino rosso o dal vino bianco. (omissis) 748 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plert., 9 luglio 1985, nella causa 19/84 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Mancini -Domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di cassazione olandese nella causa Pharmon BV (avv. Lohman) c. Hoechst AG (avv. Stoop e Mestmacker) -Interv.: Governi danese (ag. Mikaelsen), della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel), francese (ag. Costes), italiano (avv. Stato Fiumara), olandese (ag. Verkade) e del Regno unito (ag. Dagtoglou, avv. Hugh Laddie) e Commissione delle C.E. (ag. Haagsma). Comunit europee -Libera circolazione delle merci -Propriet industriale e commerciale Brevetti -Estensione della protezione Esaurimento del diritto di brevetto in caso di licenza obbligatoria rilasciata su un brevetto parallelo. ~ (Trattato CEE, artt. 30 e 36). Gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE non vietano l'applicazione delle norme di uno Stato membro che attribuiscono al titolare di un brevetto il diritto di impedire la messa in commercio, in tale Stato, d'un prodotto fabbricato in un altro Stato membro dal concessionario d'una licenza obbligatoria relativa 'ad un brevetto parallelo detenuto dal medesimo titolare. In proposito irrilevante che per la licenza obbligatoria sia stato imposto il divieto di esportazione, che essa contempli com-. pensi per il titolare del brevetto e che questi abbia accettato o rifiutato detti compensi (1). (1) La Corte, riferendosi nella sua pronuncia pm m generale alla messa in commercio del prodotto in questione nello Stato membro in cui vige il brevetto, anzich soltanto alla vendita diretta in tale Stato da parte del titolare della licenza obbligatoria, ha risposto in termini pi ampi e soddisfacenti ai quesiti posti dal giudice di rinvio, nel senso auspicato in modo particolare dal gove11I10 dtialIDano intervenuto. Fra la posizione della Commissione delle comunit europee e quella degli Stati intervenuti e della soc. Hoechst -si era osservato, fra l'altro, nella difesa orale del governo italiano -vi una notevole differenza, malgrado la concordanza su alcuni punti essenziali. In effetti la Commissione ha cura di precisare, molto esplicitamente, che le sue argomentazioni e le sue conclusioni presuppongono una circostanza di fatto essenziale, posta a base dei quesiti del giudice nazionale: e cio che la ditta britannica titolare della licenza obbligatoria abbia venduto essa stessa direttamente alla Pharmon in Olanda i prodotti di cui causa, fabbricati nel Regno Unito. Argomentazioni e conclusioni che non debbono ritenersi applica bili -ha precisato la Commissione -nel caso di rivendita attraverso un'impresa stabilita nel Regno unito che avesse essa acquistato i prodotti dalla ditta titolare della licenza. Le argomentazioni degli Stati (e in particolare quelle dell'Italia) si I}'.lUOvono in un'ottica molto pi vasta. E' cio del tutto indifferente che il prodotto PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 749 1. -Con sentenza 13 gennaio 1984, pervenuta alla Corte il 20 gennaio successivo, lo Hoge Raad ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione delle norme comunitarie relative alla libera circolazione delle merci, al fine di tracciare i limiti dell'applicazione delle norme nazionali sui brevetti d'invenzione in caso d'importazione di una merce prodotta in un altro Stato membro in base ad una licenza obbligatoria rilasciata su brevetto parallelo. 2. -La questione stata sollevata nell'ambito di una lite fra la ditta tedesca Hoechst e la ditta olandese Pharmon, dato che la prima si oppone a che la seconda ponga in commercio una partita di medicinali nel territorio dei Paesi Bassi. 3. -Alla data degli antefatti, cio nel 1976, la Hoechst era titolare di un brevetto nella Repubblica federale di Germania e di brevetti paralleli, tanto nei P~esi Bassi quanto nel Regno Unito, vertenti sulla stessa invenzione, cio un procedimento di fabbricazione d'un medicinale denominato furosemide . 4. -Nel 1972, sul brevetto parallelo ottenuto nel Regno Unito dalla Hoechst, la societ britannica DDSA Pharmaceuticals Ltd. (in prosieguo: DDSA ) otteneva, in forza dell'art. 41 dell'allora vigente Patents Act 1949, una licenza obbligatoria per lo sfruttamento dell'invenzione. 5. -La licenza obbligatoria concessa nel C\SO in esame era basata sull'art. 41 del Patents Aot del 1949 ohe contempfava un regime specifico per i brevetti riguardanti le derrate alimentari, i medicinali e gli strumenti chirurgici. Nel caso di tali brevetti, il Comptroller of Patents doveva, salvo valide ragioni, concedere una licenza obbligatoria a chiunque ne facesse domanda. sia stato venduto prima nel Regno Unito ed esportato p01 m Olanda, ovvero che esso sia stato venduto dalla DDSA direttamente alla Pharmon. E' del tutto indifferente cio che il prodotto sia stato prima commercializzato nel Regno unito e poi esportato e non invece direttamente esportato. Quel che importa sapere invece se il prodotto possa circolare, oltre che nel Regno unito, in forza della licenza obbligatoria, anche nel resto della Comunit o in particolare nei paesi come l'Olanda in cui esso brevettato. E' chiaro che il problema cos molto pi vasto e la soluzione estremamente pi interessante. Invero la Corte di cassazione olandese ha posto un quesito specifico e restrittivo, che presuppone in effetti che il prodotto sia stato venduto direttamente all'estero dal titolare della licenza obbligatoria, ma una risposta che partisse esclusivamente da questo presupposto potrebbe risultare asfittica, risolvendo il caso di specie ma non il problema di fondo. E' ben chiaro infatti che un divieto limitato alle sole vendite dirette all'estero potrebbe essere facilmente eluso con vendite ad intermediari abilmente ma facilmente mascherabili. 750 RASSF.GNA DEI.L'AWOCATURA DELLO STATO 6. -Dal n. 2 di tale articolo si desume che detta normativa mirava a far s che dette merci potessero essere ottenute al prezzo minimo possibile, pur consentendo al titolare del brevetto di trarre da questo un equo profitto. La licenza obbligatoria non era firmata-n dal licenziato, n dal titolare . del brevetto, ma unicamente dall'impiegato dell'ufficio britannico dei brevetti. 7. -Nel caso in esame si trattava di una.licenza obbligatoria non esclusiva e non cedibile, rilasciata per il territorio del Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda settentrionale e dell'isola di Man e soggette al divieto d'esportazione. 8. -Cionondimeno, poco prima della scadenza del brevetto britannico, cio alla fine del 1976, la DDSA ignorava questo divieto d'esportazione vendendo alla ditta farmaceutica olandese Pharmon una consistente partita di compresse di furosemide da essa prodotte. La Pharmon intendeva smerciare nei Paesi Ba~si i prodotti farmaceutici che si era procurata. 9. -La Hoechst citava in giudizio la Pharmon dinanzi al Tribunale di Rotterdam il q1:1ale, con sentenza 1 febbraio 1977 passata in giudicato, vietava in generale alla seconda di ledere i diritti derivanti dal brevetto olandese della Hoechst. Dunque sembra che il problema vada affrontato nei suoi termini generali. E in tali termini non pu essere accettato il distinguo fra vendita diretta e vendita dndiretta che sembra porre fa CO:mm:i:ssione. <\enza ripetere argomenti che sono stati gi svolti nelle osserv~oni ""rit~c. che -si muovono nella stessa linea seguita dagli altri Governi intervenuti, appare sufficiente sottolineare ora: -che il concetto di esa"!lrimento comunitario stato es;pressp dalla Corte con specifico riferimento alla messa in commercio del prodotto nello Stato membro di esportazione dal titolare del brevetto (nel paese di importazione) o con il suo consenso; -Che Ia Jiicemia obblig:atoria viene conoessa per un !interesse nazionale di approvvigionamento o addirittura per un interesse pubblico nazionale, contro o comunque senza la volont del titolare del brevetto; -che se la merce destinata ad essere esportata, non v' alcun motivo di concedere la licenza (si noti come lo stesso Governo del Regno unito abbia rilevato l'inutilit di un esplicito divieto di esportazione nella icenza obbligatoria); -che, anzi, proprio il rilascio di una licenza obbligatoria pu costituire sotto certi profili un ostacofo alla libera circolazione delle merci: e infatti giustamente la convenzione di Lussemburgo sul brevetto comunitario del 15 dicembre 1975 si preoccupa di non consentir~a (salvo esigenze di pubblico interesse) quando H prodotto tutelato dal brevettO, fabbricato in uno Stato contraente, sia messo in commercio nel territorio di un altro Stato membro per il quale la licenza verrebbe richiesta in quantit sufficiente a soddisfare le esigenze del territorio di quest'ultimo Stato; e giustamente i Governi intervenuti, e parti PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 751 10. -La Pharmon, che si rifiuta di ammettere che il divieto generale di cui sopra riguardi il furosemide originario del Regno Unito in cui, a suo dire, esso era stato regolarment messo i. commercio dalla DDSA, ha chiesto al Tribunale di Rotterdam di emettere una sentenza declaratoria in tal senso. 11. -La causa giungeva dinanzi alla Corte d'appello dell'Aia la quale decideva che, giacch la Pharmon aveva.acquistato direttamente la partita di furosemide della DDSA, tali compresse non erano state messe sul mercato nel Regno Unito e che inoltre si doveva ritenere che la Hoechst non aveva il:'iscosso comtpensi peir tale partita. Quindi, con sentenza 3 marzo 1982, essa respingeva la domanda della Pharmon. 12. -La Pharmon ricorreva allora in cassazione sostenendo in particolare che a torto la Corte d'appello veva ritenuto che la partita di furoseinide non fosse stata messa sul mercato britannico e che pure a torto detto giudice aveva attribuito rilevanza al fatto che non fossero stati versati compensi alla Hoechst. 13. -Con sentenza 13 gennaio 1984, lo Hoge Raad, ritenendo che detta causa sollevasse diverse questioni d'interpretazione del diritto comunitario, ha chiesto alla Corte di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulle seguenti questioni: 1. Se le norme relative alla libera circolazione delle merci all'interno del mercato comune ostino a che il titolare di un brevetto eserciti il diritto attribuitogli dalle norme di uno Stato membro di opporsi alla messa in commercio in questo' Stato di una merce tutelata dal brevetto, colarmente quello danese, quello inglese e quello tedesco, hanno sottolineato i pericoli di una proliferazione di licenze obbligatorie che potrebbe prodursi, con effetti distorsivi dell'intero mercato, se esse consentissero di superare cosl agevolmente i diritti del titolare del brevetto; -JJa realt che fa licenza obbligiatorua iill frutto dJi un provvedimento di confisca (ha detto n governo francese), di tipo esproprianvo (ha detto iil governo italiano), che oltretutto (oome ha osservato il' gO'Verno francese), consente la produzione della merce al di fuoru 'di quals:iiasi controlo, suggerimento, accordo del titolwe dcl brevetto, con conseguenze che potrebbero anche essere notevoli per l'immagine del prodotto e del titolare del brevetto; -la licenza, dunque, resti efficace nei limiti funzionali per cui stata data e non sia consentita la commercializzazione del prodotto al di fuori del territorio per il quale stata concessa, secondo quanto stato anche stabilito nella convenzione di Lussemburgo, che altrimenti non avrebbe pi senso: abbiamo parlato di divieto di commercializzazione oggettiva del prodotto all'estero e non so1o di dlivdero dJi vendita diretta all'estero del prodotto da parte del l!ioenz1a1Jartlo, oon oi intendendo ancora una volta sottolineare Ja vastit del principio che ci attendiamo sia espresso dalla Corte. (0. F.) 752 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO qualora si tratti di merci prodotte in un altro Stato membro e che siano direttamente vendute e consegnate ad un acquirente nel primo Stato membro dal titolare di una licenza obbligatoria, a fronte di un brevetto parallelo che lo stesso titolare del brevetto possiede in quest'altro Stato membro. 2. Se il fatto che, per la predetta licenza obbligatoria, le autorit dell'altro Stato membro, abbiano imposto il divieto di esportazione influisca sulla soluzione della prima questione. 3.. Se abbia rilevanza ai fini della soluzJione della prima questione: a) il fatto che il titolare del brevetto possa, in generale, pretendere compensi per merci messe in commercio dal titolare della licenza obbligatoria in forza della stessa; b) il fatto che il titolare del brevetto possa pretendere compensi per la partita di cui causa; e) il fatto che il titolare del brevetto non solo possa pret~ndere un compenso, ma lo abbia effettivamente ottenuto (o voluto ottenere). Sulla soluzione da dare alla prima questione. 14. Con la prima questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se gli artt. 30 e 36 del Trattato ostino all'applicazione delle norme di uno Stato membro che attribuiscono al titolare di un brevetto il diritto d'impedire lo smercio, in questo Stato, di un prodotto fabbricato in un altro Stato membro dal concessionario di una licenza obbligatoria relativa ad un brevetto parallelo detenuto dal medesimo titolare. 15. -La Pharmon, ricorrente nella causa principale, sostiene che si deve riconoscere al titolare di una licenza obbligatoria il diritto di consegnare direttamente nel territorio di un altro Stato membro, dove esiste un brevetto parallelo, il prodotto oggetto del brevetto iniziale, del brevetto parallelo e della licenza obbligatoria. 16. -Essa svolge vari argomenti a sostegno della sua tesi: la natura della licenza obbligatoria non differisce molto da q~ella della licenza libe ramente concessa, tenuto conto delle norme di procedura relative al rilascio delle licenze obbligatorie, della possibilit di impugnazione offerta al titolare del brevetto e del versamento a questo d'una ragionevole retribuzione. Circa il problema del. consenso del titolare del brevetto, essa sostiene che la decisione delle autorit nazionali si pu ritenere sostituisca tale consenso, e che in ogni caso l'esaurimento del diritto di brevetto si ha del pari quando il prodotto stato posto in vendita nello Stato in cui stata rilasciata la licenza obbligatoria. La Pharmon assu PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B. INTERNAZIONALE 753 me inoltre che varie sentenze della Corte di giustizia suffragano la sua tesi, particolarmente le sentenze 3 luglio 1974 (Van Zuylen e/ Caff Hag, causa 192/73, Racc. pag. 731), 20 gennaio 1981 (M.sik -Vertrieb Membran e/ GEMA, cause riunite 55 e 57/80, Raoc. pag. 147) e 14 luglio 1981 (Merck e/ Stephar, causa 187/80, Racc. pag. 2063). Tali sentenze implioherebbero che colui ohe decide di valersi della possibilit di chiedere urn brevetto iparaililelo nel Regno Unito accetta perci stesso le norme britanniche nel Joro complesso con rutte le conseguenze che ci implica, ivi compresa la possibilit che venga rilasciata una licenza obbligatoria sul brevetto parallelo stesiso. 17. -La Hoechst, i sei Stati membri che hanno presentato osservazioni e la Commissione sostengono in modo ampiamente concordante che il titolare di una licenza obbligatoria non h.a il diritto di vendere direttamente nel territorio di uno Stato membro dove esista un brevetto parallelo. Di conseguenza, essi sostengono che le norme relative alla libera circolazione delle merci non ostano a che il titolare d'un brevetto eserciti il diritto, attribuitogli dalle norme di uno Stato membro, di opporsi allo smercio nella summenzionata ipotesi, in tale Stato, d'un prodotto tutelato dal brevetto di cui titolare. 18. -In primo luogo, viene sostenuto che la licenza obbligatoria ha natura diversa dalla licenza volontaria, in particolare a causa della mancanza di vere e proprie trattative tra il licenziato obbligatorio ed il titolare del brevetto, della mancanza di firma del licenziato e del titolare del brevetto su un documento che resta un provvedimento adottato da una pubblica autorit, e dell'inesistenza dei rapporti che normalmente si instaurano tra il titolar.e del brevetto ed il licenziato per contratto. 19. -In secondo luogo, stato assunto che la licenza obbligatoria e la licenza volontaria non hanno gli stessi scopi. Mentre la seconda costituirebbe un modo di sfruttamento che rientra nello scopo specifico del diritto di brevetto quale stato precisato dalla Corte, la prima, al contrario, avrebbe essenzialmente lo scopo di soddisfare gli interessi particolari di uno Stato membro. Di conseguenza, sarebbe ingiusto, o pericoloso, favorire ulteriormente tale Stato membro consentendo la vendita diretta della merce prodotta sotto la licenza obbligatoria ch'esso attribuisce, negli Stati membri dove esiste un brevetto parallelo. 20. -In terzo luogo, tutte le summenzionate osservazioni hanno particolarmente insistito sulla mancanza di consenso diretto o indiretto del titolare del brevetto in caso di licenza obbligatoria. Richiamandosi alla giurisprudenza della Corte (in particolare alle sentenze 31 ottobre 1974, Centrafarm c/ Sterling Drug, causa 15/74, Racc. pag. 1147; sentenza 14 Luglio 1981, Societ Merck c/ Stephar, gi menzionata e sentenza 14 set 754 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tembre 1982, Keurkoop, causa 144/81, Racc. pag. 2853), le osservazioni pongono l'accento sulla circostanza che in caso di licenza obbligatoria, non sarebbe soddisfatta alcuna delle condizioni che secondo la giurisprudenza della Corte fissano il limite d'ordine comunitario all'esercizio d'un dirittb di propriet industriale e commerciale tutelato sul piano nazionale. Quindi, la teoria dell'esaurimento del diritto di brevetto, la quale presuppone che il prodotto di cui trattasi sia stato posto in commercio liberamente e volontariamente dal titolare del brevetto, o da terzi' col suo consenso, non potrebbe applicarsi in caso di licenza obbligatoria. Questa opinione sarebbe confermata dalla Convenzione relativa al brevetto europeo per il mercato comne (Convenzione sul brevetto comunitario) (G. U. del 26 gennaio 1976, n. L 17, pag. 1), in particolare dall'art. 81, n. 3, la quale, anche se non anora entrata in vigore, manifesterebbe cionondimeno l'atteggiamento degli Stati membri in proposito. 21. -In quarto luogo, la Hoechst e tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni hanno sostenuto che il principio della territorialit degli atti delle pubbliche autorit di uno Stato membro osta a che al titolare di una licenza obbligatoria vengano attribuiti dei diritti nei territori degli altri Stati membri. La licenza obbligatoria, dato che un provvedimento d'eccezione e costituisce spesso una sanzione per il titolare del brevetto, dovrebbe applicarsi in modo restrittivo e i suoi effetti non andrebbero estesi al di l dello scopo che le assegnato, cio in generale l'interesse pubblico e, in particolare in fatto di medicinali, il rifornimento del mercato interno in modo soddisfacente. 22., - opportuno ricordare ohe secondo la costante giurisprudenza, gli artt. 30 e 36 del Trattato ostano all'applicazione delle norme nazionali che attribuiscono al titolare di un brevetto il diritto di oppor>. La Corte, peraltro, ha limitato la sua pronuncia al caso del lavoratore cittadino di uno Stato membro residente in un altro Stato membro >>, circostanza questa desunta dal fascicolo di causa, malgrado ch il quesito posto dal giudice di rinvio fosse formulato in termini generali, con riferimento a cittadino comu nitario non necessariamente lavoratore migrante. E nell'ambito di questa ipotesi la Corte si mossa, dichiarando che nei confronti del lavoratore migrante pos sono essere invooate le norme comunitarie perch g1i sia garantito, attraverso lo strumento del vantaggio sociale di cui all'art. 7 del reg. CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, anche l'uso della lingua madre, se questo consentito, in un determinato territorio dllo Stato membro in cui egli lavora, in favore di una categoria di cittadini di tale Stato: soluzione questa che, pur nei limiti in cui stata indicata, suscita qualche perplessit, tenuto conto che l'uso della lingua madre diversa da quella nazionale in un processo consentito non a tutti i cittadini, ma solo agli appartenenti ad una minoranza linguistica a sal vaguardia e a tutela della medesima. Sulla nozione di vantaggio sociale cfr., fra le pi recenti, le sentenze della Corte 6 giugno 1985, nella causa 157/84, FRASCOGNA, inedita; 27 marzo 1985, nella causa 249/83, HOECKX, inedita; 12 luglio 1984, nella causa 261/83, CASTELLI, in questa Rassegna, 1984, I, 928. (0.F) :' - PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE La suddetta disposizione ha, di per s, il solo effetto di indicare, come scopo, l'estensione, da parte di ciascuno Stato membro, ai cittadini degli altri Stati membri, delle garanzie ch'esso offre nella materia di cui trattasi ai propri cittadini. Nella prospettiva di una comunit basata sul principio della libera circolazione delle persone e della libert di stabilimento la tutela dei diritti e delle prerogative dei singoli in materia linguistica riveste un'importanza particolare. 12. L'art. 7 del Trattato dispone, dal canto suo, che nel campo di applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, vie~ata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalit . Si deve garantire che questa norma trovi piena applicazione nei confronti di qualsiasi persona che sia stabilita nel territorio di uno Stato membro e si trovi in una situazione disciplinata dal diritto comunitario. Nello stesso contesto si deve rilevare che l'art. 48, relativo alla situazione giuridica dei lavoratori subordinati, presuppone anch'esso l'estensione del trattamento nazionale ai cittadini di un qualsiasi Stato membro legittimamente stabiliti nel territorio di un altro Stato membro per ,svolgervi un'attivit lavorativa subordinata. 13. Occorre pertanto accertare se la facolt di chiedere che un procedimento giudiziario si svolga in una determinata lingua rientri nella sfera d'applicazione del Trattato e debba, di conseguenza, essere valutata alla luce del divieto di discriminazione sancito dalle citate disposizioni. 14. Considerato che in base agli atti l'imputato ha la qualit di lavoratore subordinato (nell"atto di opposizione alla sentenza contumaciale 2 novembre 1982 egli si qualifica come conciatetti occupato nell'impresa del padre), la questione dev'essere esaminata in particolare alla luce degli artt. 48 e 49 del Trattato e delle disposizioni di diritto derivato adottate per la loro attuazione, segnatamente del regolamento del Consiglio n. 1612/68. 15. -Infatti, com' dichiarato nel quinto punto del preambolo del regolamento n. 1612/68, il diritto di libera circolazione richiede, perch esso possa essere esercitato in condizioni obiettive di libert e di dignit, che sia assicurata di diritto e di fatto la parit di trattamento per tutto ci che si riferisce all'esercizio stesso di un'attivit subordinata e all'accesso all'alloggio, e che siano anche eliminati gli ostacoli che si oppongono alla mobilit dei lavoratori, specie per quanto riguarda il diritto per il lavoratore di farsi raggiungere dalla famiglia e le condizioni d'integrazione della famiglia nella societ del paese ospitante . 16. -La facolt di usare la propria lingua in un procedimento dinanzi ai giudici dello Stato membro di residenza, alle stes,se condizioni che val 772 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gono per i lavoratori cittadini di detto Stato, contribuisce in notevole misura all'integrazione del lavoratore migrante e della sua famiglia nella so ciet del paese ospitante e quindi al raggiungimento dello scopo della libera circolazione dei lavoratori. 17. -Di conseguenza, si deve considerare che la predetta facolt ricompresa nella nozione di vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7, n. 2, del citato regolamento n. 1612/68, il quale dispone che il lavoratore citta ' PARm I, SBZ. n, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 773 bre 1979, impone l'obbligo di etichettare soltanto le sostanze pericolose in quanto tali, ma non i preparati contenenti una o pi di dette sostanze (1). (Omissis). 1. -Con ordinanza 9 luglio 1984, pervenuta alla Corte il 13 luglio 1984, il pretore di Torino ha sottoposto alla Corte di giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale sull'interpretazione di determinate disposizioni della direttiva del Consiglio 27 giugno 1967, n. 67/548, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose (G.U. n. L 196, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 settembre 1979, n. 79/831 (G.U. n. L 259, pag. 10). 2. -La questione insorta nell'ambito di un procedimento penale promosso nei confronti del sig. Caldana, legale rappresentante della Pina Italiana S.p.A., in seguito alla constatazione, da parte di ispettori ecologi del servizio protezione ambiente, che gli oli minerali per autotrazione posti in vendita dalla societ in questione contenevano policlorodifenili (in prosieguo PCB) in percentuali diverse (tuttavia non superiori al limite massimo previsto dalla legge per la loro immissione sul mercato) mentre sulle etichette apposte sui recipienti non era indicato, in particolare, che l'olio conteneva PCB. (1) Soluzione conforme a quella proposta in tutte le osservazioni scritte presentate alla Corte. Nell'ordinamento italiano la direttiva 67/548/CE del Consiglio del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento dell disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e alla etichettatura delle sostanze pericolose (in G.U.C.E. n. 196 del 16 agosto 1967), modificata da ultimo dalla direttiva 79/831/CEE del 18 settembre 1979 (in G.U.C.E. n. L 259 del 15 ottobre 1979), stata recepita con la legge 29 maggio 1974, n. 256. L'art. 3 della legge italiana prevede che alla classificazione delle sostanze e dei preparati pericolosi si provveda con decreto ministeriale, in conformit alle direttive e ad altri provvedimenti delle Comunit europee. E si sono infatti succeduti nel tempo alcuni decreti ministeriali ~cfr. al tempo della causa il decreto del Ministro della Sanit 21 maggio 1981 e oggi il decreto dello stesso Ministro 3 dicembre 1985, mGazz. Uff. R.I. suppi. ord. n. 2 al n. 305 del 30 dicembre 1985) che nell'allegato I hanno elencato le sostanze pericolose conformemente al corrispondente allegato I della direttiva del 1967 e agli aggiornamenti che sono seguiti. Quanto all'aggiornamento delle prescrizioiii tecniche di cui alla legge stessa, in conformit delle direttive comunitarie in materia, si provvede -secondo l'art. 16 della legge -con decreto del Presidente della Repubblica. E si sono infatti succeduti nel tempo alcuni decreti presideru;iali: cfr., da ultimo, il d.P.R. 24 novembre 1981, n. 927. T 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -Il Caldana stato denunciato a norma della legge italiana 29 mag. gio 1974, n. 256/74, relativa alla classificazione e al regime degli imballaggi e dell'etichettatura delle sostanze pericolose (GURI 9 luglio 1974, pag. 4543). 4. -Emerge dal fascicolo che detta legge italiana, alla quale hanno f~tto seguito diversi decreti d'applicazione, mirava a trasporre nell'ordinamento giuridico italiano la direttiva 67/548 summenzionata, ultimamente modificata dalla direttiva del 18 settembre 1979, n. 79/831 (G.U. n. L 259, pag. 10). L'ordinanza di rinvio rileva che detta legge e i decreti adottati per la sua applicazione vengono interpretati in due modi opposti, che implicherebbero,. l'uno il :proscioglimento,' l'altro la condanna dell'imputato. Secondo l'interpretazione seguita dal Ministero della sanit, le disposizioni della disciplina in materia d'etichettatura degli imballaggi si !applicano soltanto alle sostanze pericolose e non ai preparati che contengono una o pi sostanze pericolose per le quali vi sono presciizioni in materia di etichettatura. Secondo l'interpretazione del giudice penale, l'obbligo d'etichettatura prescritto anche per i preparati. 5. -Cos stando le cose, il pretore di Torino, ritenendo che 'U[l'interpretazione della summenzionata direttiva fosse necessaria per interpretare la legge nazionale, ha sospeso il procedimento e con ordinanza 9 luglio 19.84 ha sottopost~ e viene lasciata a ciascun Stato membro la scelta del sistema di gestione della propria aliquota in modo da assicurare una ripartizione adeguata dal punto di vista economico (quarto punto del preambolo del regolamento). Si tratta invero, secondo il giudice nazionale, di individuare in primo luogo la portata del criterio di ripartizione formulato con riferimento al fabbisogno del paese assegnatario ed, in particolare, di chiarire se con detto criterio si sia inteso identificare l'uso della carne per far fronte alle esigenze di consumo interno del prodotto ovvero alludere a qualunque impiego di carattere economico del medesimo. In secondo luogo, il giudice nazionale considera che, irrJ. mancanza di un es;presso divieto regolamentare della riesportabilit della merce importata, occorre stl:!-bilire se detto divieto possa desumersi dallo stesso sistema della equa ri~artibilit del contingente tra gli Stati membri. 6. -Per questi motivi, il giudice nazionale ha ritenuto necessario rivolgersi alla Corte ed ha sollevato la seguente questione pregiudiziale:. Se nel ripartire il contingente tariffario tra i paesi membri secondo il fabbisogno determinato in base ai criteri stabiliti dal regolamento n. 3225/82 il medesimo abbia inteso riferirsi alla destinazione al consumo ed al commercio della carne importata dal paese terzo solo entro l'ambito del paese importatore senza la possibilit di riesportazione della carne verso paese d,iverso compreso nella Comunit . 7. -La questione mira in sostanza a stabilire se il regolamento n. 3225/82, tenuto conto del fatto che esso miri a garantire che la riparti: i:;ione del contingente tariffario comunitario sia effettuata proporzionalmente al fabbisogno degli Stati membri e lasci a ogni Stato membro la scelta del sistema di gestione delle sue quote, in modo da assicurare RASSEGNA DEl.J..'AVVOCATURA DELLO STATO 780 una ripartizione adeguata dal punto di vista econqmico, debba essere interpretato nel senso che autorizzi gli Stati membri ad adottare provvedimenti intesi ad impedire, a restringere o ad intralciare la riesportazione della merce importata regolarmente nell'ambito di detto contingente. 8. -Gli imputati sostengono che l'assenza di indicazioni nel regolamento n. 3225/82 circa lo scopo della ripartizione del contingente dimostra che non esiste alcuna limitazione quanto alla destinazione della carne. Essi si riferiscono al secondo punto del preambolo del regolamento per dedurne che il riferimento al fabbisogno degli Stati membri costituisce unicamente un criterio tecnico di ripartizione del contingente. Dai principi enunciati negli artt. 39 e 40 del Trattato risulterebbe che il legislatore nazionale non deve intervenire in modo da influenzare la libera formazione del prezzo di mercato. Infine, il divieto di esportare costituirebbe una palese infrazione e la negazione dell'intera filosofia comunitaria. 9. -Il Governo italiano ritiene che la normativa nazionale miri .ad evitare tutte le disparit di accesso a fonti di ricchezza o di approvvigionamento di scorte di carne importate nella Comunit in esenzione dai diritti di prelievo. Allorch una partita di carne venga importata al solo fine di ottenerne la messa in libera pratica in uno Stato membro, ma con l'intento di avviarla direttamente ad un qualsiasi impiego fuori del territorio nazionale, non si potrebbe ritenere che la carne sia destinata al soddisfacimento del fabbisogno del paese dove l'importazione stata eseguita anzich di quello del Paese nel cui cir:cuito economico la carne immediatamente e effettivamente inserita attraverso la riesportazione. Tale comportamento creerebbe anche le predette disparit. Il Governo italiano si richiama all'art. 3, n. 1, del regolamento di cui trattasi, in relazione all'art. 44, n. 1, lett. a), del regolamento della Commissione, 3 dicembre 1980 n. 3183, che stabilisce le modalit comuni di applicazione del regime dei titoli d'importazione, di esportazione e di fissazione anticipata relativi ai prodotti agricoli (G. U. n. L 338, pag. 1), per escludere che l'operatore sia libero cli utilizzare il titolo di importazione per effettuare un'importazione definitivamente destinata ad un qualunque Stato membro della Comunit, divers da quello alla cui aliquota nazionale il quantitativo di merce risulta imputato. Infatti, a tenore del predetto art. 44, n. l, lett. a), il titolo d'importazione valido soltanto nello Stato membro che lo ha rilasciato. In base alle considerazioni che precedono, il Governo italiano conclude che la corrispondenza tra aliquota nazionale del contingente e fabbisogno di ciascun Stato membro appartiene intrinsecamente alla logica ed alla finalit comunitaria del contingente e sta ad esprimere una destinazione delle sin PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE gole aliquote nazionali a soddisfare il fabbisogno interno di ciascun Stato membro. 10. -Infine, il Governo italiano conferma che l'applicazione del regolamento n. 3225/82 non potrebbe mai sortire l'effetto di vietare la riesportazione della merce di cui trattasi. La sua operativit inciderebbe soltanto sulla conservazione del diritto all'esenzione doganale allorch l'operazione di esportazione non risulti compatibile con una destinazione conforme a quella prescritta dalla norma comunitaria. 11. -Il Governo belga si richiama del pari all'art. 44, n. l, lett. a), del regolamento n. 3183/80, ma rileva che quest'ultimo, alla stessa stregua del regolamento n. 3225/82, non contempla nessuna limitazione per la riesportazione. Esso interpreta la nozione di operatori interessati, sulla falsariga delle. osservazioni presentate dalla Commissione in una precedente causa (causa 35/79, Grosoli, sentenza 23 gennaio 1980, Racc. pag. 177) come riguardante tutte le persone fisiche o giuridiche stabilite nel te:i;-ritorio di uno Stato membro, che procedono o fanno procedere allo sdoganamento di carni bovine congelate per l'immissione al consumo in detto territorio . Per immissione al consumo s'intenderebbe manifestamente pi della semplice messa in libera pratica. Di conseguenza, tutti gli altri tributi gravanti su dette merci dovrebbero essere pagati. Una volta che ci sia stato fatto, non vi sarebbe alcun motivo per vietare l'esportazione intracomunitaria in altri Stati membri. Infine, uno Stato membro non avrebbe il diritto di aggiungere una condizione o un divieto che non siano espressamente contemplati dal regolamento n. 3225/82. 12. -Secondo la Commissione, la merce impOl'tata in uno Stato membro nell'ambito di un contingente tariffario comunitario accordato in base al GATT e ripartita fra gli Stati membri secondo i criteri stabiliti pu essere riesportata in un altro Stato membro. La Commissione desume dalla giurisprudenza della Corte che, in assenza di disposizioni comunitarie espresse, gli Stati membri assegnatari non possono porre vincoli alla destinazione della carne importata in base al regime di cui trattasi. Inoltre, la nozione di operatori interessati avrebbe una vasta portata, che non sarebbe circoscritta a quella di importatori . La ripartizione del volume del contingente comunitario tra gli Stati membri non costituirebbe altro che un metodo realistico di gestione, che permette l'attribuzione del beneficio tariffario agli operatori per il tramite delle amministrazioni nazionali. 13. -Sotto un profilo pi generale, la Commissione rileva che il di' vieto di riesportazione della carne in un altro $tato membro non pu mai essere contemplato espressamente in un regolamento comunitario, 782 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO poich contrasterebbe con il principio della libera circolazione delle merci e, pi particolarmente, con l'art. 34 del Trattato, che si applicherebbe non soltanto alle merci di origine comunitaria, ma altres alle merci originarie di paesi terzi, messe in libera pratica nella. Comunit. 14. -Per risolvere la questione sollevata, occorre ricordare, in primo luogo, che la Corte ha gi ripetutamente dichiarato che l'abolizione, fra gli Stati membri, degli ostacoli al commercio costituisce un principio fondamentale del mercato comune, vigente per tutti i prodotti e tutte le merci, di guisa che qualsiasi eccezione, del resto da interpretarsi restrittivamente, dev'essere espressamente prevista (si vedano la sentenza 20 aprile 1978, cause riunite 80 e 81/77, Commissionaires runis, Racc. pag. 927 e quella ivi richiamata). 15. -Per quanto riguarda pi specificamente i contingenti tariffari comunitari negoziati dalla Comunit in forza del potere attribuitole dal Trattp.to in materia di politica doganale e commerciale e aperti nell'ambito del GATT, si deve constatare che il regolamento del Consiglio n. 3225/82, aHa ,stregua dei regolamenti precedenti, qualifica espres,samente tale contingente come comunitario . Ne consegue che le parti di contingenti attribuite agli Stati membri hanno la stessa natura. 16. -Nel predetto regolamento si dichiara, nel secondo punto del preambolo, che un sistema di utilizzazione del contingente tariffario comunitario basato su una ripartizione tra gli Stati membri appare idoneo a rispettarne la natura comunitaria... . Inoltre, risulta dal medesimo punto de.I preambolo c;he la ripartizione del contingente effettuata proporzionalmente al fabbisogno degli Stati membri ha, in definitiva, il solo scopo di ripartire equamente detto contingente fra gli operatori economici interessati degli Stati membri, in particolare per quanto attiene all'uguaglianza e alla continuit di accesso di tutti gli operatori interessati della Comunit al contingente, qualunque sia la natura o l'indirizzo delle loro attivit. 17. -In questo contesto occorre ricordare parimenti la costante giurisprudenza della Corte, secondo la quale la gestione di quote affidata agli Stati membri affinch essi le ripai;tiscano secondo le proprie disposizioni amministrative non li autorizza a adottare disposizioni che mirino a disciplinare la destinazione dei quantitativi loro attribuiti e, inoltre, necessariamente limitata alle norme tecnico-procedurali volte a garantire in generale l'osservanza dei limiti del contingente e la parit di trattamento dei beneficiari (sentenze 12 dicembre 1973, causa 131/73, Grosoli, Racc. pag. 1555, e 30 ottobre 1982, cause riunite 213-215/81, Norddeutsches Vieh-und Fleischkontor, Racc. pag. 3583). Ne consegue che solo le imprese stabilite nello Stato membro interessato hanno il PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE diritto d'importare la merce nell'ambito del contingente in base al titolo d'importazione il quale, pertanto, valido solo nello Stato membro che lo ha rilasciato, (art. 44, n. l, del regolamento n. 3183/80). Tuttavia, tale limitazione territoriale della validit del certificato, non incide affatto sul commercio intracomunitario della merce. 18. -Si deve anche sottolineare che la Corte ha gi avuto modo di dic4iarare che, anche se la ripartizione di un contingente tariffario globale in" quote nazionali pu essere compatibile col Trattato, ci v~le alla espressa condizione che la ripartizione non pregiudichi la libera circolazione delle merci comprese nel contingente, dopo che siano state messe in libera pratica nel territorio di uno Sfato membro (sentenza 13 dicembre 1983, causa 218/82, Commissione c. Consiglio, Racc. pag. 4063). 19. -Per quanto attiene alla tesi sostenuta dal Governo italiano secondo la quale il regolamento di cui trattasi, anche se non pu avere l'effetto di vietare la riesportazione, consente che la merce sia assoggettata ai dazi doganali qualora non resti nello Stato membro nell'ambito del cui contingente era stata importata nella Comunit, si deve rilevare che qualsiasi disposizione o provvedimento di uno Stato membro che abbia l'effetto di compromettere la natura comunitaria di un contingente in contrasto con uno degli obiettivi fondamentali del mercato comune, cio la libera circolazione delle merci. A tenore dell'art. 9, n. 2, del Trattato, l'eliminazione delle restrizioni nel commercio intracomunitario vale anche per i prodotti provenienti da paesi terzi che si trovino in libera pratica in uno Stato membro. 20. -.In base alle considerazioni che precedono, la questione sollevata dal giudice nazionale dev'essere risolta come segue: il regolamento n. 3225/82 mira a garantire che la ripartizione del contingente tariffario comunitario sia effettuata proporzionalmente al fabbisogno degli Stati membri e deve essere interpretato nel senso che il contingente comunitario deve essere ripartito equamente tra gli operatori interessati di ciascuno Stato membro, ma non autorizza gli Stati membri ad adottare provvedimenti che mirino ad impedire, a restringere o ad intralciare la riesportazione della merce importata regolarmente nell'ambito di detto contingente e che si trova per questo motivo in libera pratica in uno Stato membro. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 giugno 1985, n. 3798 -Pres. Mirabelli -Rei. Cassata -P. M. Valente -A.C.E.A. (avv. Fanti) c. Adiutori ed altri (avv. Macchia) e C.P.D.E.L. (avv. Stato Nucaro). Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Art. 60 r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680 Art. 62 r.d.1. 12 luglio 1934 n. 1214 Revisione pensione per emolumenti accessori percepiti Versamento contributi relativi da parte del datore del lavoro Giurisdizione ordinaria Esecuzione revisione pensione da parte della C.P.D.E.L. Giurisdizione esclusiva Corte dei Conti. Ai sensi dell'art. 60 del R.D.L. 3 marzo 1938 n. 680 in relazione all'art. 62 R.D.L. 12 luglio 1934 n. 1214, rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di pensioni anche parzialmente a carico dello Stato la controversia attinente alla domanda di condanna della C.P.D.E.L. ad eseguire la revisione della pensione incrementando la base pensionistica annua degli importi dei percepiti emolumenti accessori della retribuzione (1). (1) La decisione conferma integralmente il precedente avviso espresso da Cass. 29 marzo 1983 n. 2240 e da Cass. 10 gennaio 1984 n. 167. Sul pi vasto tema della giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato ai sensi degli artt. 13 e 62 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214, pare opportuno ricordare che stata invece ritenuta rientrante nella giurisdizione dei T.A.R. la controversia tendente ad ottenere, durante la vigenza del rapporto d'impiego, il riconoscimento del diritto a riscattare, anche a fini di quiescenza, periodi di servizio prestato con iscrizione all'INPS, trattandosi di questioni che, pur ravendo influenza sulla futura pensione, attengono in via immediata allo svolgimento del rapporto d'impiego e a diritti inerenti al rapporto di servizio in atto (TAR Lazio, sez. Il, 8 aprile 1983 n. 333 in T.A.R. 1983, 1332). Vale comunque la pena di ricordare come di recente (A.P. n. 21 del 5 di cembre J.984), in mratenia di controversie connesse al ddritto a pensione, anche la giurisprudenza amministrativa, modificando il precedente orientamento (A.P) nn. 1 e 2 del 30 marzo 1976) ha aderito alla indicazione fornita dalle Sez. Un. della Corte di Cassazione (23 ottobre 1979 n. 5507; 7 gennaio 1981 n. 77; 24 novembre 1982 n. 6350 e 6 giugno 1983 n. 3815) nel senso di riconoscere, in subiecta materia, la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti, interpretando cos l'art. 62 del T.U. 12 luglio 1934 n. 1214 in maniera pi allargata rispetto al semplice rife rimento testuale, che appare invece limitato alle sole controversie aventi ad oggetto i provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione . PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 785 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 nov. 1985, n. 5479 -Pres. Mirabelli Est. Panzarani -P. M. Fabi -Soc. Siciet (avv. Marino) c. Ministero del lavoro (avv. Stato Fiengo). Lavoro (collocamento) -Invalidi -Assunzioni obbligatorie Posizione soggettiva del lavoratore e del datore di lavoro Natura Lesione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Limiti. Nella tematica delle assunzioni obbligatorie (di cui alla legge 2 aprile 1968 n. 482) le posizioni soggettive, rispettivamente, dei lavoratori avviati dall'ufficio del lavoro e dei datori di lavoro tenuti alle assunzioni consistono in diritti soggettivi e in doveri giuridici operanti nel campo del diritto civile ancorch sorti in forza di un atto amministrativo avente per contenuto l'ordine di assunzione; con la precisazione che l'obbligo di assunzione di invalidi (ed assimilati), integrando un limite imposto alla iniziativa economica privata, subisce una. compressione del relativo diritto soggettivo dell'imprenditore, la quale, se esorbiti dalla misura cons?ntita dalla legge, ne determina una lesione che rientra nella cognizione dell'a.g.o., mentre lo stesso obbligo se viene considerato in rapporto a norme che f acoltizzano gli organi amministrativi ad operq.re una riduzione del limite stesso sulla base di valutazioni discrezionali, d luogo ad una lesione che rientra nella cognizione del giudice amministrativo (1). Tutto ci richiamato, osserva il Collegio che, per le considerazioni che seguono, la giurisdizione a conoscere la presente controversia appartiene al Giudice amministrativo. Questa Suprema Corte ha avuto numerose volte occasione di esamiaare, con riferimento alla tematica delle assunzioni obbligatorie di cui (da ultimo) alla legge 2 aprile 1968 n. 482, il problema della natura giuridica delle posizioni soggettive, rispettivamente, dei lavoratori avviati dall'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione e dei datori di lavoro tenuti alle relative assunzioni, riscontrando in tali posizioni gli estremi di veri e propri diritti soggettivi e di doveri giuridici operanti nel campo del diritto civile ancorch sorti in forza di un atto amministrativo avente per contenuto l'ordine di assunzione (cfr. p. es. la sentenza 2 marzo 1979 n. 1322). Il rifiuto di assunzione da parte del datore di lavoro stato pertanto valutato quale suo inadempimento di un'ob (1) Sulla tematica delle assunzioni obbligatorie la Corte Suprema completa, con questa sentenza, l'indirizzo gi indicato con le precedenti pronunce riportate in motivazione: cfr. in particolare Sez. Un., 11 marzo 1981 n. 1369; 12 marzo 1981 n. 1421 e 17 febbraio 1981 n. 941. 786 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bligazione esistente nei confronti del lavoratore avviato e non gi della Pubblica Amministrazione, con le relative conseguenze sul piano risarcitorio, escludendosi peraltro -tranne che nell'isolata decisione 22 gennaio 1979 n. 487 -la configurabilit dell'esecuzione specifica a norma dell'art. 2932 cod. civ. Tuttavia, in presenza di un complesso di problemi giuridici sorti nella concreta applicazione della legge che prevede -nell'ambito di una gestione burocratica del collocamento obbligatorio -l'adempimento di alcuni obblighi di carattere generale ~a parte dei datori di lavoro titolari di imprese con pi di 35 dipendenti (art. 11, comma 1) e il compimento di determinati atti da parte degH organi amministrativi, questa Suprema Corte ha enunciato alcuni criteri interpretativi diretti a chiarire, tra l'altro, quali siano gli specifici presupposti per l'insorgenza a carico degli stessi datori di lavoro dell'obbligo di assunzione di invalidi e' assimilati. E' stato cos in primo luogo indicato, fra tali .presupposti, quello dell'avvenuto precedente inoltro della richiesta prevista dall'art. 16, comma 4, della legge la quale integra a sua volta un requisito di legittimit dell'atto di avviamento; stato ancora affermato il dovere dello organo ammilistrativo di avviare alle impi::~se dei lavoratori appartenenti alla categoria operaia ovvero a quella impiegatizia a seconda della precisazione che in tal senso sia stata fatta nella richiesta stessa (cfr. la sentenza 11 marzo 1981 n. 1369). E' stato altres riconosciuto lo specifico interesse del datore di lavoro all'osservanza dei criteri di scorrimento stabiliti dalla commissione provinciale per il collocamento obbligatorio (art. 9, comma 3, e 17, lett. C) nonch all'osservanza dei principi di deter minazione,, delle quote di riservatori (cfr. la sentenza 12 marzo 1981 n. 1421 e quella 17 febbraio 1981 n. 941 di queste Sezioni Unite). Dato invero che ....:.. pur non avendo connotazioni esclusivamente assistenziali -l'obbligo di assunzione di invalidi e assimilati integra un limite imposto all'iniziativa economica privata (art. 41, comma l, della Costituzione) e perci una compressione del relativo diritto soggettivo dell'imprenditore (il quale deve pur in ogni caso operare nell'osservanza degli altri precetti contenuti nello stesso art. 41), ove tale compressione esorbiti da quella misura che la legge consente ovvero venga attuata al di fuori di quei presupposti che, secondo la richiamata giurisprudenza, la legge stessa richiede, in tali casi evidente l'ingiustificata lesione di una posizione soggettiva che l'Ordinamento giuridico riconosce come propria dell'imprenditore medesimo, al quale pertanto non pu non spettare la tutela riservata ai diritti soggettivi perfetti, con attribuzione della relativa cognizione all'Autorit giudiziaria ordinaria. . Allorquando invece vengano in considerazione norme che non salvaguardano direttamente una siffatta posizione, ma -nella sussistenza PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE dei presupposti legali per l'imposizione del limite di cui si detto facoltiZzano gli organi amministrativi a operare una riduzione dell'entit del limite stesso sulla base di valutazioni di carattere discrezionale, .in tal caso non configurabile un diritto soggettivo del datore di lavoro a ottenere una tale riduzione1 il che da dirsi, in particolare, con riferi, mento alla previsione contenuta nell'art. 13, comma 5, della fegge in esame. Invero, a differenza di quanto direttamente previsto nei precedenti commi circa l'esonero totale -per determinate categorie di personale -dalle assunzioni obbligatorie e la limitazione a determinate qualifiche e percentuali (per le Ferrovie dello Stato, le imprese di trasporto etc.), tale norma dispone soltanto che con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentita la commissione provinciale di cui all'art. 16, le aziende private che, per le speciali condizioni della loro attivit non possono occupare l'intera percentuale di invalidi prescritta, potranno essere parzialmente esonerate dall'obbligo dell'assunzione alla condizione che, in sostituzione degli invalidi, provvedano ad assumere orfani e vedove delle varie categorie . Sono pertant? rimesse all'esclusiva valutazione della Pubblica Amministrazione sia la stessa concessione del beneficio sia la determinazione della relativa misura, valutazione che peraltro -stante la formulazione della disposizione in parola -non pu essere circoscritta all'esame di profili strettamente tecnici attinenti al tipo di attivit svolta nelle aziende interessate, ma necessariamente influenzata dalla considerazione circa le concrete possibilit d'impiego di invalidi presso altre aziende in vista di quel primario obiettivo occupazionale specificamente propostosi dalla legge n. 482 del 1968, cos come da quelle che l'hanno preceduta, per il cui perseguimento il parere di una commissione come quella prevista dall'art. 16 della legge stessa -composta anche da rappresentanti delle opere, degli enti e delle associazioni di tutela delle categorie interessate -si appalesa indubbiamente il pi qualificato al riguardo. Non pu pertanto semplicemente affermarsi che il solo fatto dello svolgimento di un certo tipo di attivit produttiva (ritenuta non adatta rispetto alle condizioni fisiche degli invalidi) determini di per s, in base alla surricordata disposizione dell'art. 13, comma 5, della legge, l'esonero dalle relative assunzioni obbligatorie ditalch la Pubblica Amministrazione svolgerebbe in proposito un mero compito d'accertamento semplicemente riconducibile alla c.d; discrezionalit tecnica. Non pertinenti con riferimento alla fattispecie sarebbero pertanto i richiami a quelle ipotesi in cui i~ subiecta materia si ritenuto la configurabilit di. vere e proprie posizioni di diritto soggettivo (diritto delfinvalido avviato ad essere assunto e di essere adibito alle mansioni compatibili con le sue condizioni, diritto del datore di lavoro a non / RASSEGNA DmL'AWOCATURA DELLO STATO 788 assumere invalidi in caso di mancata richiesta, salve le eventuali sanzioni etc.). Pertanto, con particolare riferimento alla cit. sentenza di que~ ste Sezioni Unite n. 941 del 1981 menzionata nella memoria della ricorrente, sufficiente osservare che la controversia in essa trattata concerneva -secondo quanto considerato nella stessa decisione -la d~dotta violazione delle norme riguardanti, tra l'altro, la determinazione delle quote dei riservatari attribuibili per categoria, le esigenze dell'impresa in relazione alle unit da avviare e l'emanazione del provvedimento su dchiesta (dell'impresa stessa), posizioni cio -come rilevato nella detta decisione -descrittive degli elementi che debbono ricorrere acciocch l'ufficio possa emanare il provvedimento dal quale deriva l'obbligo del datore di lavoro di assumere il lavoratore ed il correlativo diritto del favoratore di essere assunto (v. altres le coeve sentenze dal n. 942 al n. 945). Pu perci riassuntivamente osservarsi che la legge n. 482 del 1968 sancisce diritti soggettivi dei lavoratori invalidi e assimilati ed obblighi dei datori di lavoro che sovente abbisognano per la loro concreta insorgenza del compimento di atti dalla legge stessa direttamente prefigurati e disciplinati (p. es. la richiesta da parte delle aziende, l'atto di avviamento ad opera dell'Ufficio, l'assunzione del lavoratore avviato etc.). Le pretese giuridiche avanzate al riguardo (quanto al lavoratore, di essere assunto; quanto al datore di lavoro di non essere assoggettato al relativo obbligo: cfr. p. es. la sentenza 2 giugno 1982 n. 3348) rientrano perci de plano nella cognizione del giudice ordinario e, ove emerga l'illegittimit di alcuno dei provvedimenti amministrativi emanati in proposito, lo stesso giudice si limiter a esercitare il potere di disapplicazione di cui all'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 alleg. E (cfr. al riguardo p. es. le sentenze n. 1421 del 1981 cit. e 27 giugno 1984 n. 3762; v. altres quella delle Sez. Un. 6 maggio 1981 n. 2808). Ma allorquando la legge attribuisca alla volont della Pubblica Amministrazione la possibilit di apportare modifiche alle posizioni soggettive sulla base di valutazioni rimesse ,alla stessa per ci che concerne altresl la relativa misura, in tali casi non pu riconoscersi un diritto all'emissione del relativo atto amministrativo, ma -da ravvisare soltanto un interesse legittimo acch la Pubblica Amministrazione provveda al riguardo conformandosi agli intenti della legge. Solo una volta emanato il provvedimento, la parte ad esso interessata verr ad essere titolare di una posizione direttamente tutelata nei suoi confronti, vale a dire di un diritto soggettivo, ma prima di ci essa non pu far valere che una pretesa al corretto esercizio dell'azione amministrativa. In relazione alla fattispecie va pertanto rilevata l'esattezza delle argomentazioni del Tribunale. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 789 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 novembre 1985 n. 5813 -Pres. Cusani -Rel. Morsillo -P. M. Sgtoi -Rossitto (avv. Ronchi) c. Ministero della Difesa (avv. Stato Fiengo). Responsabilit civile Impiego pubblico Concorso -Revisione graduatoria in seguito a giudicato amministrativo Ritardo nell'esecuzione Danni per il vincitore nel frattempo collocato a riposo Ammissibilit. La domanda del pubblico dipendente, prospettata come risarcitoria e proporzionata alle retribuzioni ed al grado che gli sarebbero spettati in conseguenza di una seconda graduatoria a lui f.avorevole, applicativa di giudicato amministrativo, investe solo incidentalmente la violazione di norme di azione relative ai concorsi pubblici ed al pubblico impiego, ma consiste in un'azione promossa contro la p.a. obbligata al risarcimento dei danni ingiusti arrecati dall'operato illecito (delittuoso) dei suoi age,nti nell'esercizio delle loro funzioni, e ci in applicazione del principio per il quale ogni reato che abbia cagionato un danno, patrimoniale o non, obbliga al risarcimento il colpe.vole e le persone che devono rispondere per il fatto di lui (1). Con il primo ed il secondo motivo di gravame, denunziando omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, artt. 360 c.p.c. in relazione agli artt. 328, 323 e 185 'cod. pen. nonch violazione e falsa applicazione di nm:me di diritto il ricorrente censura l'impugnata sentenza per non avere minimamente preso in esame le ragioni di fatto e di diritto che egli aveva ampiamente esposto nel giudizio avanti la Corte d'Appello e in quello avanti al Tribunale per dimostrare che, in realt, gli indebiti ed ingiustificati' comportamenti posti in essere dalla commissione di concorso e dagli organi ministeriali potevano e dovevano considerarsi, oltre che illeciti di_ carattere civile, anche illeciti di natura penale integranti, con fondata presunzione di dolo e, quantomeno, di colpa grave, gli estremi dei reati di omissione o ritardo di atti d'ufficio o di abuso innominato di ufficio, con la conseguenza del suo diritto al risarcimento del danno ex art. 185 c.p.c. nei confronti della P.A., la quale doveva rispondere per l'operato dei suoi agenti e funzionari. Ih particolare il Rossitto, riportando le ragioni di fatto e diritto, gi esposte nelle precedenti fasi di merito, sostiene l'esistenza di presun (1) Applicazione di esatti principi ad un caso di specie, nel quale il danno cagionato al ricorrente consisteva nell'ingiusto e prolungato ritardo che era stato frapposto dalla p.a. all'esecuzione di giudicato amministrativo e che gli impediva, per l'intervenuto collocamento a riposo, di ricoprire e svolgere le funzioni del nuovo ufficio, al quale doveva essere nominato in seguito all'esito favorevole di un concorso. 8 790 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zioni gravi, precise e concordanti atte a far presumere che tanto le irregolarit del primo concorso, successivamente annullato, quando l'in giustificabile ritardo di cinque anni, dopo tale annullamento, impiegati per la rinnovazione delle operazioni di concorso o per l'approvazione della nuova gra~uatoria costituivano il frutto di un ben preciso disegno, preordinato allo scopo di favorire alcuni concorrenti e di danneggiarne altri. Contesta la stessa ammissibilit del proposto gravame la difesa del1' Amministrazione, la quale osserva che i giudici del merito si sono limitati a stabilire che, vertendosi in tema di lesione di meri interessi legittimi, la domanda stessa doveva considerarsi improponibile per difetto di giurisdizione e che, in ogni caso, quand'anche fosse riconosciuta la natura di diritto soggettivo alla posizione dedotta in lite, resterebbe pur sempre da valutare se ed in quali limiti la domanda, in quanto afferente ad aspetti reintegratori del rapporto di pubblico impiego, non sfugga egualmente alla cognizione del giudice ordinario per essere riservata alla cognizione esclusiva dei T.A.R. Cos puntualizzate le rispettive posizioni delle parti, il problema che a queste Sezioni Unite si pone se, nella concreta fattispecie prospettatasi, sia individuabile l'esistenza (e, quindi, la lesione) di un diritto soggettivo del privato inciso dall'illegale esercizio del potere amministrativo, con la conseguente proponibilit della domanda di risarcimento dei danni avanti ail giudice ordinario, ovvero un mero interesse legittimo, la cui tutela si esaurisca nell'apposita sede e cio avanti al giudice amministrativo. In sostanza, il profilarsi della responsabilit civile della P.A. presuppone l'incidenza dell'attivit della stessa su diritti soggettivi perfetti di .terzi (nella specie, del ricorrente) e, quindi, la proponibilit dell'azione risarcitoria presuppone la nece:;sit di un pregiudizio .ad una situazione giuridica di siffatta natura, di talch tutte le volte in cui quest'ultima difetti perch l'ordinamento giuridico non presuppone una tutela dii:;etta ed immediata all'interesse dedotto e di cui si assuma il pregiudizio, ne deriva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. :B altres noto che ai fini della proponibilit davanti all'autorit giu Idiziaria ordinaria di azioni di risarcimento danni derivati dall'illegittimit di atti amministrativi, dichiarati nella competente sede giurisdi- I zionale amministrativa con consenguenziale pronuncia di annullamento, r, non sufficiente che il giudice amministrativo abbia annullato l'atto, ma necessario altresi che questo abbia inciso su una posizione originaria '' di diritto soggettivo, cosicch la funzione dell'annullamento sia stata ! quella di restituire ad una posizione soggettiva, degradata ad interesse ed affievolita dall'azione dell'amministrazione, la sua qualificazione ori I ginaria di diritto soggettivo. Occorre, cio, che l'atto amministrativo ! ~ f annullato risulti non soltanto illegittimo, in quanto abbia violato una I I PARTE I, SEZ. 111, GIURIS. 'SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 791 norma di azione, ma altres illecito e, quindi, violatore di un diritto soggettivo (Cass. S.U. n. 1867/73; Cass. 616/79; Cass. 4779/81). Pr giurisprudenza costante, quindi, la fattispecie della responsabilit civile, quale concretamente delineata dall'art. 2043 e.e., individua come suo elemento essenziale quello della ingiustizia del danno, che ricorre quando venga lesa una posizione soggettiva riconosciuta e garantita dall'ordinamento nella forma pi piena del diritto soggettivo, principio questo applicabile anche nel caso dell'azfone di responsabilit per danni intentata nei confronti della pubblica amministrazione, il cui comportamento, per, oltre che essere illegittimo deve essere anche illecito, abbia cio violato un diritto soggettivo del singolo, per cui la mancanza di un tale presupposto postulerebbe un difetto di giurisdizione del giudice ordinario alla stregua dei principi costantemente affermati da 1 questa: Suprema Corte. Il problema , pertanto, quello di accertare se nella specie sia individuabile un diritto soggettivo del Rossitto, che sia stato leso dall'operato dei funzionari della P.A. nella travagliata vicenda che il ricorrente assume essere stata posta in essere a suo danno. Lamenta infatti il Ross1tto . che della sua domanda di partecipazione al concorso per commissario di leva del 1962 sia stato fatto malgoverno dalla commissione di concorso, che lo aveva escluso dalla nomina, essendo risultato il 157 su 40 posti a concorso, che il Ministero della difesa non abbia tenuto conto della decisione del Consiglio di Stato che annullava il,concorso, in quanto s,olo dopo beri otto anni nel successivo iter concorsuale veniva approvata una nuova graduatoria, nella quale egli risultava essere stato compreso al 19 posto, e che pur avendo il nuovo decreto decorrenza dal maggio 1965, la nomina non poteva spiegare effetto alcuno nei confronti di esso ricorrente, per avere egli raggiunto il 65 anno di et ed essendo stato collocato in pensione. In sostanza il ricorrente censura in questa sede sia le operazioni della prima commissione di concorso, sotto il profilo di .un erroneo ed illegale comportamen~o della stessa (v. pag. 3 ricorso) sia il forte ed ingiustificato ritardo con il quale la decisione del Consiglio di Stato aveva avuto esecuzione, assumendo che da tale comportamento dell'amministrazione, che egli asserisce preordinato delittuosamente ai suoi danni sarebbero derivati ingiusti danni economici. e morali: a) per la perdita degli assegni di servizio attivo con i previsti aumenti e scatti. dal 26 maggio 1965 al 16 gennaio 1973; b) per H mancato godimento dei benefici combattentistici previsti da!la legge 336/1970 e per la conseguente mancata promozione in servizio al grado di generale di brigata con relativi assegni; 792 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO c) per la mancata riscossione dell'indennit di cessazione dal servizio nella misura di lire 26 milioni spettanti al generale di brigata, in luogo delle riscosse lire 2.4W.OOO; d) per la perdita, per il resto della vita, della pensione relativa al grado di generale di brigata, riscossa invece dal 1964 nella misura prevista per 1'11 scatto di colonnello. Le doglianze proposte dal ricorrente devono essere accolte nei limiti appresso indicati. I giudici di merito hanno ritenuto che non fosse possibile da parte del Rossitto la sua tutela innanzi agli organi della giurisdizione ordinaria nella errata convinzione che la domanda dal ricorrente proposta investisse interessi legittimi. Ora pur vero che le norme regolatrici dei pubblici concorsi sono tipiche norme d'azione perch, non essendo rivolte a tutelare in via immediata e diretta la .situazione soggettiva del privato cittadino, e rivolgendosi invece, agli organi amministrativi (commissione di concorso, amministrazione attiva) sono volte ad assicurare la coincidenza dell'operato dell'amministrazione al pubblico interesse, onde la posizione soggettiva dell'aspirante all'ammissione al concorso, e poi quale concorrente e vincitore dello stesso, si qualificano come posizioni di interesse legittimo, tanto vero che la stessa posizione giuridica del vincitore non di diritto soggettivo, essendo essa condizionata aifila sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive volute dalla legge, nonch all'eventuale esercizio del potere di revoca dello stesso concorso da parte del-. l'amministrazione; ove siano venute meno le ragioni cbe indussero la pubblica amministrazione a bandirlo. N vale a mutare l'originaria posizione di interesse legittimo dell'attore in' diritto soggettivo, da azionare ai fini del risarcimento l'even tuale inosservanza del dovere dell'amministrazione di ottemperanza al giudicato amministrativo, posto che ai fini della proponibilit dinnanzi all'autorit giudiziaria di azioni di risarcimento di danni derivati dalla illegittimit di atti amministrativi, dichiarati nella propria competente sede giurisdizionale, con conseguente pronuncia di annullamento, non sufficiente che il giudice amministrativo abbia annullato l'atto, ma necessario che questo abbia inciso su posizioni originarie di diritto soggettivo. necessario, cio, che la funzione dell'annullamento sia stata quella di restituire ad una posizione soggettiva, degradata ad interesse ed affievolita dall'azione dell'amministrazione, la sua qualificazione originaria di diritto soggettivo. Se, invece, nonostante l'annullamento, quello che era interesse legittimo tale sia rimasto il soggetto passivo dell'atto P~TE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUSTIONI DI' GIURISDIZIONE annullato non pu ottenere un incremento ed un ampliamento di tutela giurisdizionale consistente nella concessione, successiva alla pronuncia giurisdizionale amministrativa, dell'azione giudiziaria per il risarcimento del danno (Cass. S. U. 17 febbraio 1969 n. 543; Cass. S.U. 7 gennaio 1975 n. 15; Cass. S.U. 8 aprile 1983 n. 2491). Nel caso di specie, per, la domanda del Rossitto relativa al quantum proporzionato alle retribuzioni 'ed al grado che gli sarebbero spettati in conseguenza della formazione della seconda graduatoria e ad alle conseguenti indennit, fin dal primo momento stata prospettata come domanda risarcitoria, ed ancorch investente incidentalmente diritti scaturenti dal rappor:to di pubblico impiego, e come tali devoluti alla cognizione del giudice amministrativo profila un'azione di risarcimento del danno non con riguardo ad atti amministrativi illegittimi per violazione di norme di azione, quali quelli adottati in materia di procedura concorsuale e successivo provvedimento di nomina di pubblici dipendenti; come hanno ritenuto i giudici del merito, bens come azione da lui promossa nei confronti della pubblica amministrazione, in quanto obbligata al risarcimento dei danni ingiusti da lui subiti per l'operato illecito dei suoi agenti e funzionari nell'esercizio delle loro funzioni, in pregiudizio delle ragioni del Rossitto. Costui, sia in primo grado che nel corso del giudizio d'appello, ha ?recisato le ragioni di fatto e di diritto per le quali aveva proposto l'azione di fronte al giudice ordinario, e cio l'esistenza di fatti verificatisi nella vicenda, dai quali potevano trarsi le necessarie presunziorii del caso, atte a far ritenere che nel concorso di cui trattasi si fosse voluto favorire alcuni ufficiali provvisti di titoli insufficienti e che, una volta annullata la graduatoria da parte del Consiglio di Stato perch illegittima, nbn individuati funzionari della Pbblica Amministrazione avessero posto dolosamente in/ essere ingiustificati, indebiti e prolungati ritardi nella formazione e nella pubblicazione dei provvedimenti di loro competenza. Orbene, alla luce di quanto prospettato dal ricorrente, i giudici del merito non soltanto non hanno ritenuto di dover eventualmente fare ricorso all'istituto della sospensione necessaria quale profilantesi negli artt. 295 c.p.c. e 3 cod. proc. pen., trasmettendo se del caso gli atti al P.M. per quanto di sa competenza, ma per di pi, dimenticando l'esatta prospettazione della domanda, non hanno speso una sola parola in relazione all'asserita esistenza di illeciti sulla quale il ricorrente aveya impostato .la propria domanda risardtoria ex art. 185 c.p., per H quale ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale e non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui. D'altronde che il Rossitto abbia impostato fin dal primo momento un'azione di risarcimento del danno fondata sugli artt. 185 c.p. e 2043 e.e. 794 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO non sfuggito all'attenta difesa della P.A. la quale, a pag. 5 del proprio controricorso non disconosce implicitamente la natura di diritto soggettivo alla posizione dedotta in lite e si chiede se in tal caso non resti sempre da valutare se ed in quali limiti la domanda, in quanto afferente ad aspetti reintegratori del rapporto di pubblico impiego, non sfugga egualmente alla cognizione del giudice ordinario per essere riservata alla cognizione esclusiva del T.A.R. Domanda alla quale gi precedentemente si data risposta, allorch si detto che l'azione proposta dal Rossitto, ancorch investa incidentalmente di.ritt~ scaturenti dal p~bblico impiego, e come tali devoluti alla cognizione del giudice amministrativo, trova il suo fondamento non nella violazione di norme di azione ma nel comportamento doloso di non individuati funzionari della P. A., integrante gli estremi di reato. (Cfr. Cass. S.U. 18 giugno 1965 n. 1258), e pertanto egli nel chiedere il risarcimento sulla base di un assunto fatto-reato fa indubbiamente valere un diritto soggettivo (vedansi al riguardo le conclusioni dell'attore in primo grado -verb. ud. 27 febbraio 1978, memoria di replica 23 gennaio 1978 pag. 1 e 4, ove si parla anche di dolo dei componenti la commissione del concorso, integrante gli estremi di un conseguente illecito di natura penale). Quanto al problema, cui pur deve accennarsi, della responsabilit della P. A. per il fatto commesso da colui che giuridicamente si costruisce come strumento della sua azione, vale a dire ilrsuo dipendente, necessario che tale rapporto di dipendenza sussista e sia operante nel mome. nto in cui il comportamento delittuoso sia posto in essere, proprio perch ai :fini proposti la soggettivit giuridica del dipendente viene meno e si parla di unica soggettivit giuriidca, fondamento della natura diretta alla responsabilit. Conseguentemente se gli atti ed il comportamento del pubblico dipendente. non siano riferibili all'Amministrazione se dettati da fini assolutamente estranei ad essa e non legati da necessaria occasionalit con la funzione e se la responsabilit dell'amministrazione statale nei confronti del privato per l'atto illegittimo di un proprio organo postuli solo una astratta riferibilit di tale atto all'amministrazione (Cass. 28 giugno 1979 n. 3612; Cass. S.U. 18 ottobre 1979, n. 5428) problema da devolversi al giudice del merito. V', comunque, di certo che, a fronte di fatti illeciti rapportabili alla condotta di dipendenti della pubblica amministrazione, che abbiano ca gionato al ricorrente ingiusti danni patrimoniali e morali, va affermato l'obbligo della P. A., nel rispondere dell'operato dei suoi agenti e fun. zionari (cfr. Cass. pen. 24 luglio 1963, n. 2037; Cass. 'pen. 6 settembre 1963, n .2441) al risarcimento del dami~, almeno per equivalente. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 795 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 novembre 1985 n. 5934 -Pres. Bran. caccio -Rel. Nocella -P. M. Sgroi -Ministero della Sanit (avv. Stato Cosentino) c. Garofalo Ebe (avv. Romagnoli). Impiego pubblico -Invalidit civile -Commissione sanitaria provinciale e regionale -Procedimento e natura -Rapporti tra i rispettivi provvedi menti Atto amministrativo -Silenzio -Silenzio-rigetto Procedimento dinanzi la Commissione sanitaria -Applicabilit. Il provvedimento della Commissione sanitaria provinciale costitui sce un elemento strutturale della serie procedimentale, in cui inserito, di autonoma rilevanza, avendo esso effetti immediatamente incidenti su particolari situazioni di diritto soggettivo, talch la proposizione del ricorso da parte dell'assistito avanti la commissione sanitaria regionale con la finalit di rimuovere quegli effetti assume carattere impugnatorio di quel provvedimento. Correlativamente la decisione della Commissione sanitaria regionale, sebbene emessa in base ad un potere autonomo di valutazione mediante l'adozione di nuovi accertamenti diagnostici, non pu considerarsi svincolata dal provvedimento della commissione provinciale fino al punto da costituirne una semplice sovrapposizione, senza effetto ablatorio o correttivo del precedente atto, atteso che essa non pu prescindere dal risultato della decisione di prima istanza (1). L'istituto del silenzio rigetto deve, di ~onseguenza, essere applicabile al ricorso avanti alla Commissione regionale in relazione alla sua natura di ricorso gerarchico improprio, con l'effetto che, decorso il termine del l'art. 6 del d.P.R. n. 1199 del 1971, il ricorso si intende respinto ed il procedimento amministrativo si intende esaurito, con la possibilit di promuovere per la lesione dei diritti soggettivi, l'azione giudiziaria (2). Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 D.P.R. 24 novembre 1971 n.'1199 in relazione agl artt. 6, 8, 9, 10 e 22 L. 30 marzo 1971 n. 118; omessa ed erronea motivazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) e difetto di giurisdizione (art. 360 n. 1 c.p.c.) e si sostiene che mentre l'istituto del silenzio-rigetto, previsto dal citato art. 6 del D.P.R. n. 1199 del 1971 applicabile ai ricorsi gerarchici, propri ed impropri, non invece applicabile ai ricorsi amministrativi non impugnatori e cio ai ricorsi, che, non consistendo nell'impugnativa di un atto amministrativo, vengono decisi da un'autorit che si trova in posizione di terziet tra il privato e la pubblica amministrazione: tra i ricorsi non impugna( 1-2) Sentenza di particolare interesse che accoglie la distinzione tra ricorsi impugnatori e non impugnatori, elaborata dalla dottrina, e gi recepita dal Con siglio di Stato (Ad. plen. 11 luglio 1983 n..18). 796 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tori precisamente ascrivibile quello proposto a norma dell'art. 9 della legge n. 11_8 del 1971 alla commissione regionale sanitaria, che si trova appunto in posizione di terziet rispetto al Ministero dell'Interno e decide non gi per riesaminare gli accertamenti medico-legali compiuti dalla commissione sanitaria provinciale, ma in base ad una propria autonoma valutazione attraverso nuovi accertamenti diagnostici. Il motivo infondato. La Corte d'Appello dell'Aquila ha ritenuto che l'istituto del silenzio rigetto, previsto dall'art. 6 citato, applicabile a tutti i ricorsi gerarchici, e quindi anche a quelli impropri, in quanto il secondo comma dell'art. 1 del D.P.R. n. 1199 del 1971 ha inteso stabilire una equiparazione di tutti i ricorsi, propri ed imp:opri, ai fini dell'applicabilit della norma ed ha inquadrato il ricorso, proposto alla commissione regionale sanitaria ai sensi dell'art. 9 delila L. n. 118 del 1971 tra quelli impropri, tenuto conto che esso proposto davanti ad organo collegiale di diversa composizione, non gerarchicamente sovraordinato, senza che rilevi in contrario il fatto che la commissione sanitaria regionale sia abilitata a rinnovare l'accertamento compiuto dalla commissione sanitaria provinciale in modo del tutto svincolato dal giudizio di questa, avvalendosi di analoghi poteri istruttori e decisori, atteso che nel procedimento amministrativo il giudizio di secondo grado, anche con tali particolarit, non cessa di costituire una revisio prioris instantiae esercitata nei limiti della devolutio. Il Ministero ricorrente, adeguandosi ora alla costante giurisprudenza in argomento (Cons. Stato 7 febbraio 1978 n. 4; 29 aprile 1975 n. 135; 17 dicembre 1976 n. 480; 20 ottobre 1978 n. 1043 e conformi), non nega pi l'applicabilit dell'istituto del silenzio rigetto ai ricorsi gerarchici impropri, ma sostiene che al ricorso, proposto avverso la decisione della comm. issione provinciale sanitaria avanti . a quella regionale a norma dell'art. 9 suddetto, non pu attribuirsi natura di ricorso gerarchico improprio, rientrando esso nel tertium genus dei ricorsi gerarchici atipici, non impugnatori. (la cui nozione, elaborata dalla dottrina, accolta dalla giurisprudenza amministrativa), e quindi tale ricorso , come tale, sottratto alla disciplina del silenzio rigetto. Si deve premettere che secondo giurisprudenza costante di questa Corte Suprema (Cass. 15 luglio 1980 n. 4565; 30 ottobre 1981 n. 5729 e conformi) la domanda con la quale viene chiesta al Ministero dell'Interno la pensione di inabilit e l'assegno, previsti dalla L. n. 118 del 1971, in quanto relativa ad erogazioni pensionistiche, disciplinate da espresse disposizioni di legge e non rimesse alla discrezione della pubblica amministrazione, alle quali corrisponde il correlativo diritto soggettivo in capo agli assistiti, rientra nelle forme di assistenza obbligatoria, devolute alla competenza del Pretore in funzione di giudice del lavoro a norma dell'art. 442 c.p.c., anche se non direttamente cllegata ad un rapporto di lavoro su PARTE I, SEZ. III, G~URiS. su otiESTIONI ol GIURISDIZIONE bordinato presente e precorso. Conseguentemente a tale tipo di controversia applicabile l'art. 443 c.p.c., che, correlato con l'art. 148 disp. att. c.p.c., dev'essere interpretato nel senso che dal mancato esperimento dl procedimento amministrativo non consegue pi l'improponibilit della domanda con la connessa sanzione di decadenza, ma una semplice improcedibilit, che d luogo solo ad una temporanea sospensione del giudizio da parte del Pretore sino a quando non sia esaurita la procedura amministrativa (Cass. 17 luglio 1977 n. 3582; 12 dicembre 1981 n. 6587 e conformi). Deriva da ci che erroneo il riferimento dell'amministrazione ricorrente ad un preteso mancato verificarsi di una condizione di proponibilit della domanda in sede giudiziaria a seguito della mancata pronuncia della commissione sanitaria regionale e alla connessa ipotesi di decadenza dell'azione giudiziaria, che potrebbe anche ipoteticamente im plicare un problem~. di giurisdizione, dovendosi sostituire aHa condizione di proponibilit quella di procedi,_bilit, non importante alcun problema di giurisdizione, ma soltanto la necessit della verifica, anche in sede di legittimit, quale vizio in procedendo, dell'effettivo esaurimento del procedimento amministrativo. Nell'esercizio di tale verifica si deve stabilire il momento in cui il procedimento amministrativo possa ritenersi esaurito nell'ambito di un procedimento complesso qual' quello previsto dagli artt. 6 e segg. della L. 30 marzo 1971 n. 118, e, all'interno di questo, se possa essere attribuito il significato di silenzio rigetto alla mancata pronuncia della commissione sanitaria regionale, abilitante come tale la proposizione dell'azione giu diziaria. La legge n. 118 del 1971, dopo aver determinato nell'art. 2 natura e grado delle minorazioni psico-fisiche dell'invalido, considerate agli effetti della legge stessa, affida l'accertamento delle condizioni di minorazione degli aspiranti alle provvidenze da essa previste ad una commissione sanitaria nominata dal Prefetto (art. 6). La Commissione, compiuti gli accertamenti previsti dall'art. 8 comunica, a cura del segretario, direttamente alla prefettura i nominativi dei mutilati ed invalidi civili che hanno diritto alla pensione di inabilit o all'assegno di assistenza. La domanda per il conseguimento delle provvidenze previste dagli art. 12 (pensione di inabilit) 13 (assegno mensile) 23 (addestramento, qualificazione professionale etc.) e 24 (indennit frequenza corsi addestramento) deve essere presentata direttamente alla commissione sanitaria provinciale. Contro il giudizio delle commissioni sanitari~ provinciali previsto il ricorso alla commissione regionale sanitaria, nominata dal ministro della sanit, la cui decisione definitiva (art. 9). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 798 Con tale decisione si conclude il procedimento amministrativo per l'accertamento delle condizioni di minorazione ai fini dei benefici di cui agli artt. 23 e 24. Per quanto riguarda invece i benefici di cui all'art. 12 e 13 il procedimento amministrativo ,prosegue per l'accertamento delle condizioni economiche davanti al comitato provinciale di assistenza e beneficenza e l'eventuale delibera di concessione della pensione o dell'assegno (art. 14). Contro tale deliberazine ammesso ricorso al ministero dell'interno (art. 15). Infine, contro i provvedimenti definitivi previsti dagli artt. 9 e 15 ammessa la tutela giurisdizionale dinanzi ai competenti organi ordinari e amministrativi (art. 22). Si tratta dunque di un procedimento complesso, che, sebbene diviso in due fasi in relazione al contenuto dell'accertamento, l'uno medico-legale inerente alle condizioni di minorazione dell'assistito e l'altro inerente alla sussistenza delle condizioni economiche richieste per l'attribuzione dell'assegno o pensione, tuttavia articolato in diversi elementi strutturali, i quali, pur confluendo nel provvedimento finale, assumono rilevanza ed effetti giuridici autonomi, talch il difetto o la mancanza di uno di essi, ripercuotendosi sul risultato finale, suscettibile di concretare di per s r stesso l'immediato pregiudizio di un diritto soggettivo, autonomamente tutelabile avanti l'autorit giudiziaria ordinaria. Non pu perci affermarsi che il procedimento amministrativo non possa ritenersi esaurito se non dopo il provvedimento definitivo del Ministero dell'Interno nel presupposto che esso esiga il totale percorso dell'iter, previsto dalla legge per pervenire alla conclusione finale dell'attribuzione o della negazione dell'assegno o pensione. In realt la negazione dei requisiti di carattere sanitario nella fase tecnica medico-legale pu incidere non soltanto, con effetto autonomo, sul diritto all'assistenza sanitaria (art. 3, in via transitoria), sui benefici relativi alla qualificazione professionale (art. 23) nonch sull'assegno di accompagnamento, che svincolato da condizioni di reddito (art. 17), ma anche e soprattutto, con effetto riflesso, quale presupposto negativo, sull'attribuzione finale della pensione o assegno, giustificando perci solo l'immediata proposizione dell'azione giudiziaria e la totale cognizione del giudice ordinario in ordine all'accertamento delle condizioni economiche, anche se su di queste non sia intervenuta la pronuncia del comitato provinciale di assistenza e beneficenza ~d il provvedimento definitivo del Ministero dell'Interno. La soluzione adottata conforme ai principi del sistema e a quelli di rilevanza costituzionale. La previsione di un procedimento amministrativo volta non alla formazione di un atto, che debba poi essere soggetto ad impugnaiione f' f ! f f PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIUlHSDIZIONE avanti all'autorit giudiziaria ordinaria, ma soltanto alla composizione in' sede amministrativa della controversia in materia di previdenza e assistenza obbligatoria. Correlativamente la cognizione del giudice ordinario non verte sull'impugnazione dell'atto, ma si esercita autonomamente sulla totalit del rapporto e cio sulle posizioni di diritto e di obbligo delle parti senza limitazione alcuna. L'art. 22 della legge in questione, la cui formula stata ritenuta sovrabbondante e superflua nella sua totalit in quanto ripetitiva dell'art. 113 deLla Cost. (Cons. St. 25 gennaio 1983 n. 37), non pu, nella sua assoluta genericit, essere interpretato nel senso di attribuire natura di procedimento di impugnazione all'atto definitivo della commissione regionale o del Ministero. Tale norma nella sua esp1essione letterale pu anzi assumere il significato di prevedere la possibilit di immediata tutela giudiziaria sia nel caso di cui all'art. 9, nell'ipotesi che con tale provvedimento si concluda definitivamente il procedimento per la concessione della pensione o dell'assegno, sia nel caso di cui all'art. 15, nella ipotesi in cui, invece, il procedimento abbia potuto svolgersi ne.lle sue due fasi di accertamento (del'le condizioni di minorazion~ e delle condizioni economiche). L'immediatezza della tutela in qualsiasi fase amministrativa in presenza di un possibile pregiudizio di un diritto soggettivo giustificata, infine, dallo stesso contenuto di quest, relativo all'assistenza sociale, costituzionalmente garantito dall'art. 38 della Costituzione. Non pu esservi dubbio dunque che la condizione di procedibilit, prevista dall'art. 443 c.p.c., pu ritenersi verificata con la decisione definitiva della commissione sanitaria regionale, di cui all'art. 9, che, negando le condizioni di minorazione di cui all'art. 2, rende inutile e quindi improseguibile il procedimento delle condizioni econ()miche necessarie per il conseguimento del diritto vantato. Si prospetta ora il partkolare problema, agitato nella presente controversia, circa la possibilit della formazione del silenzio rigetto nell'ipotesi di mancata decisione della commissione sanitaria regionale nel termine previsto dall'art. 6 del d.P.R. n. 119 del 1971. La categoria dei ricorsi non impugnatori, elabprata dalla dottrina, stata recentemente accolta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Ad. plen. 11 luglio 1983 n. 18), seguita dal T.A.R. Abruzzo con decisione n. 342 del 25 giugno 1982, con specifico riferimento ai ricorsi di atti amministrativi rimessi alla decisione delle commissioni regionali (o della commissione centrale per avocazione) di vigilanza per l'edilizia economica e popolare con l'art. 19, commi 2 lett. b) e 4 del d.P.R. 23 maggio 1964 n. 655, rispetto ai quali il Consesso Amministrativo ha escluso la riferibilit della disciplina del silenzio rigetto, introdotta cori l'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199. La questione era stata peraltro risolta in senso contrario dallo stesso Consiglio di Stato (sent. 24 aprile 1979 n. 298 e 800 RASSEGNA DELL'WOCATURA DELLO STATO 21 marzo 1978 n. 226) e cio nel senso della riferibilit della stessa disciplina a tali ricorsi, definiti come ricorsi gerarchici impropri. Con la pi recente decisione, il Consiglio di Stato, conformemente alla prevalente dottrina, ha identificato la categoria dei ricorsi non impugnatori nei ricor~ i concernenti controversie insorte (generalmente in materia di diritti) tra due o pi soggetti, contendenti in un campo che tocc gli interessi (di assistenza sociale) della Pubblica Amministrazione, i quali si avvicinano ai ricorsi gerarchici impropri per il fatto di essere indirizzati ad organi in posizione di terziet, ma se ne distinguono perch non sono impugnatori di un atto amministrativo (e possono quillldi sfociare anche in una pronuncia dichiarativa); ritenuto poi che il 1 co. del suddetto d.P.R. si riferisce al ricorso gerarchico improprio, ha affermato che nessuna attenzione viene invece rivolta ai ricorsi amministrativi di tipo non ir.pugnatorio, ai quali le regole fissate per il ricorso gerarchico non si applicano, neppure in . via suppletiva. La categoria dei ricorsi atipici non impugnatori ha quindi in comune con i ricorsi gerarchici impropri, a.i quali generlmente riconosciuta applicabile la disciplina del silenzio-rigetto, la terziet dell'organo chiamato alla decisione, distinguendosi da questi per l'assenza di un atto amministrativo, e ci comporta il difetto di un termine di decadenza per la loro proposizione ed inoltre la mancanza, connessa alla loro natura prevalentemente dichiarativa, in caso di loro accoglimento, di un esito eliminatorio di un precedente atto amministrativo. '\ Cos intesa la nozione dei ricorsi non impugnatori, peraltro negata da una parte della dottrina mediante una sostanziale assimilazione ai ricorsi gerarchici impropri, non pu ritenersi che il ricorso alla commissione sanitaria regionale possa catalogarsi tra i primi, ove si consideri la reale funzione che esso assume nell'ambito del complesso procedi mento amministrativo in cui inserito, dovendo pi concretamente ascriversi . tra i secondi. Il provvedimento della commissione sanitaria provinciale, costituisce un elemento strutturale della serie procedimentale, in cui inserito, di autonoma rilevanza, avendo essi effetti immediatamente incidenti, come accennato, su particolari situazioni di diritto soggettivo, e mediatamente riflessi sulla situazione di diritto soggettivo, che costituisce l'oggetto del provvedimento finale, a cui il procedimento diretto, talch la proposi zione del ricorso da parte dell'assistito avanti alla commissione sanitaria regionale con la finalit di rimuovere quegli effetti, diretti o riflessi, assume un carattere decisamente impugnatorio di quel provvedimento. Correlativamente la decisione della commissione sanitaria regionale, sebbene emessa in base ad un potere autonomo di valutazione mediante l'adozione di nuovi accertamenti diagnostici, non pu considerarsi assolutamente svincolata dal provvedimento della commissione sanitaria pro! 1f ~ Ef f1 ltllll~lllllflf4al&~-4'a.IL PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 801 vinciale fino al punto da costituirne una semplice sovrapposizione, senza effetto ablatorio o corrttivo del precedente atto amministrativo, atteso che essa non pu prescindere, pur non costituendone un riesame, dal risultato della decisione di prima istanza, avente identico oggetto. L'esercizio di autonomi poteri istruttori mediante l'adozione di nuovi accertamenti diagnostici una caratteristica connessa alla natura squisitamente tecnica del giudizio sanitario, che irrilevante sul piano procedimentale, non essendo incompatibile ...::... come osservato dalla Corte di merito -in linea generale con il giudizio di seconda istanza l'uso di autonomi poteri istruttori nei limiti della devolutio operata dal ricorso. La previsione di un termine per la proposizione del ricorso avanti alla commissione sanitarla regionale, entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione della decisione della commissione sanitaria provinciale contribuisce infine ad abbattere ogni residuo dubbio sulla possibilit di ritenere che la fattispecie non integri un ricorso gerarchico improprio, ma un ricorso non impugnatorio. L'istituto del silenzio rigetto deve quindi ritenersi applicabile al ricorso avanti alla comll!-issione sanitaria regionale in relazione appunto alla sua natura di ricorso gerarchico improprio, con la conseguenza che, decorso il termine previsto dall'art. 6 del d.P.R. n. 119 del 1971, il ricorso s'intende respinto a tutti gli effetti e il procedimento amministrativo, posto come condizione di procedibilit dell'azione giudiziaria, integralmente esaurito. Non pu costituire vaHdo argomento interpretativo in senso contrario l'inconveniente lamentato dalla Avvocatura dello Stato relativamente alla incongruit del termine di novanta giorni a disposizione della commissione sanitaria regionale per procedere al nuovo esame delle condizioni degli aspiranti tutte le volte che dovessero ritenersi necessarie nuove indagini psicodiagnostiche e attitudinali mediante ricoveri ospedalieri e adeguati periodi di osservazione. Anche a non voler considerare che la deduzione dei possibili inconvenienti in sede applicativa non possono costituire idonei argomenti in sede interpretativa di una legge, occorre osservare che si tratta di materia in cui vengono i.Il discussione diritti, di rilevanza costituzionale, di una categoria di cittadini particolarmente bisognos;:t e indifesa, per cui la celerit dei termini soddisfa l'esigenza di una pi intensa e pronta tutela. Con il secondo moti:vo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 22 legge 30 marzo 1971 n. 118 in relazione agli artt. 1 e 6 d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199'; omessa ed erronea motivazione e difetto di giurisdizione (art. 360 n. 3, 1 e 3 c.p.c.) e si deduce che se in denegata ipotesi dovesse ritenersi che il ricorso alla commissione sanitaria regionale ha natura di ricorso gerarchico improprio, sussisterebbe tuttavia improponibilit della domanda, dovendosi ritenere che la citata norma 1 802 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO dell'art. 6 dirett~ a disciplinare esclusivamente i rapporti tra i ricorsi amministrativi gerarchici e l'ulteriore fase giurisdizionale amministrativa, ma non anche a discipliiilare i rapporti tra ricorsi amministrativi ed azione giurisdizionale avanti all'autorit giudiziaria ordiiilaria, m presenza di una norma, quale quella dell'art. 22 della legge n. 118 del 1971, che sancisce una giurisdizione condizionata all'esaurimento della fase amministrativa, prevedendo che l'A.G.O. possa essere adita dopo che sia inter venuta la definitiva decisione del ricorso amministrativo. Il motivo infondato. L'art. 22 citato, il qual dispone che contro i provvedimenti definitivi previsti dagli artt. 9 e 15 ammessa la tutela giurisdizionale avanti ai competenti organi ordinari o amministrativi non pu essere interpretato nel senso limitativo prospettato, sia per ragioni letterali, giacch la tutela indifferentemente riferita per entrambi i provvedimenti all'organo ordinario o amministrativo senza alcuna ulteriore precisazione (che avrebbe potuto essere indicata con l'avverbio rispettivamente), sia per ragioni sistematiche e razionali in quanto la norma, nella sua formulazione generica e ripetitiva dell'art. 113 della Cost., non pu significare una deroga alla regola generale del riparto di giurisdizione in relazione alla posizione soggettiva tutelata, che, inerendo precisamente a posizioni di diritto sog . gettivo, implica l'attribuzione di giurisdizione ,all'autorit giudiziaria ordinaria. La limitazione della disciplina del silenzio rigetto ai soli rapporti tra ricol"si amministrativi e giudizio amministrativo introdurrebbe d'altra parte una inammi'Ssibile .differenza di trattamento, nel senso che ove si tratti di interessi legittimi la pubblica amministrazione dovrebbe essere tenuta ad un rispetto della posizione del ricorrente pi intenso di quello dovuto nel caso che si versi invece in tema di diritti, in cui il tempo della decisione sarebbe rimesso all'arbitrio dell'organo decidente: differenza di trattamento davvero inspiegabile, sia dal punto di vista costituzionale sia dal punto di vista dell'intensit e immediatezza della tutela. I i SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE I CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 2 aprile 1985 n. 2247 -Pres. Sandulli - Rel. Ruggiero -P. M. Grassi (concl. conf.) -ANAS (avv. Stato Laporta) c. Griffi e Pacca (avv. Lemma). Corte costituzionale -Sentenze -Interpretazione Motivazioni Rilevanza. Espropriazione per pubblica utilit -Terreni agricoli Indennit Criteri previsti dalla legge n. 865-71 Applicabilit. (legge 22 ottobre 1971 n. 865, art. 16). Ai fini dell'interpretazione delle sentenze della Corte Costituzionale, occorre prendere in considerazione non soltanto il dispositivo, ma anche la motivazione, costituendo entrambi elementi dello stesso atto giuridico (1). Anche a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 5/80 e n. 223/83, nel caso di espropriazione per pubblica utilit di terreni agricoli, si applicano ai fini della determinazione dell'indennit i criteri di cui alla legge 22 qttobre 1971 n. 865 (2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 ottobre 1985 n. 5236 -Pres. Bologna - Rel. Di Salvo -P. M. Martinelli (conci. conf.) -Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Bruno) e~ La Nuova Portuense s.p.a. (avv. Petrucci). Espropriazione per pubblica utilit Terreni agricoli Indennit Criteri previsti dalla legge n. 865-1971 Applicabilit. (legge 22 ottobre 1971 n. 865, art. 16). Anche a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 5/80 e 223/83, nel caso di espropriazione per pubblica utilit di terreni agricoli, si applicano ai fini della determinazione dell'indennit i criteri di cui alla legge 22 ottobre 1971 n. 865 (2). (1-2) Giurisprudenza ormai consolidatasi anche a seguito di Corte Cost., 30 luglio 1984 n. 231 (in Foro It. 1985, I, 47 ss.) e di Cass. SS.UU. 24 ottobre 1984 n. 540, (ibidem, con note di Pietrosanti e Pizzorusso). Per ulteriori precedenti sulla nota questione concernnte la rilevanza della motivazione delle sentenze della Corte Coi;tituzionale, cfr. nota di richiamo a Cass. 12 dicembre 1984 n. 6533, in questa Rassegna, 1984, I, 961 ss. 804 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Con l'unico motivo del ricorso principale l'A.N.A.S. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 ali. E, 4 del d.l. 2 maggio 1974 n. 115, come modificato con la legge di conversione 27 giugno 1974 n. 247, 16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865, 14 e 19 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, e sostiene che erroneamente la corte di merito avr~bbe proceduto alla determinazione dell'indennit di espropriazione e di quella per occupazione legittima secondo il criterio del valore venale previsto dalla legige n. 2359 del 1865, e non secondo i diversi criteri dettati dall'art. 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni, senza considerare che questi ultimi criteri, in virt dell'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974, come modificato dalla legge di conversione n. 247 del 1974, dovevano necessariamente applicarsi a tutte le espropriazioni comunque preordinate, come nella specie, alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato e degli altri enti pubblici, qualunque fosse la procedura espropriativa. e la normativa in concreto adottata dall'ente espropriante. Deve essere preliminarmente rilevato che non pu essere pi posto in discussione in questa sede il principio affermato dal tribunale, e che non ha formato oggetto di impugnazione nei successivi gradi di giudizio, che per effetto della soprnvvenuta emanaziooe del decreto di espropriaztone del 29 aprile 1976, l'originaria domanda proposta dalle proprietarie per il risarcimento del danno conseguente alla illegittima occupazione dei loro immobili, divenuta definitiva ed, irreversibile a causa dell'utilizzazione degli stessi per la realizzazione di un'opera pubblica, si convertita in opposizione alla stima dell'indennit espropriativa. Di conseguenza, non pu essere nella specie applicato il principio enunciato dalle Sezioni Unite. di questa Corte con la sentenza 26 febbraio 1983 n. 1464, e. successivamente ribadito in numerose altre pronuncie (cfr. Cass. n. 1754, 4767, 6432, 6919, 7022 del 1983, 1859, 2201, 2689, 2854, 3118, 3659 ~el 1984), secondo il quale la costruzione di un'opera pubblica in costanza di occupazione illegittima determina l'acquisizione a titolo originario della propriet del bene occupato in capo all'ente pubblico ed il diritto del privato al risarcimento dei danni commisurati al valore del bene perduto, rendendo inutile il decreto di espropriazione eventualmente sopravvenuto; e pertanto il thema decidendum, in conseguenza del formarsi del giudicato sull'indicata statuizione, rimane circoscritto all'individuazione dei criteri legali di determinazione dell'indennit di esproprio, come proposto dalla amministrazione ricorrente. Tanto premesso, il ricorso fondato e deve essere accolto. Come infatti questa Suprema Corte ha gi ripetutamente avuto modo di affermare, per effetto della disposizione contenuta nel comma aggiunto r-.1111t111=1r111111a1111111a1111111111t.I .. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE all'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974 n. 115 dalla relativa legge di conversione 27 giugno 1974 n. 247, la quale ha esteso le disposizioni del titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 in materia di determina.zione dell'indennit di espropriazione, a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle provincie, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali, si prodotta l'unificazione legislativa dei criteri di detrminazione dell'indennit per tutte le espropriazioni interessanti lo Stato e gli altri enti pubblici, con efficacia sostitutiva dei vari e distinti criteri gi stabiliti per i diversi tipi e modelli espropriativi previsti nell'ordinamento, pur lasciandosi ferme le regole procedimentali proprie di ciascun tipo di espropriazione, con la conseguenza, che qualunque sia lo strumento ablatorio in concreto prescelto dalla pubblica amministrazione, esso c~mporta in ogni caso, dopo l'entrata in ~igore della citata legge n. 247 del 1974, l'applicazione dei nuovi criteri di determinazi<;me dell'indennit, e non gi di quelli originariamente previsti nella legge relativ~, da intendersi abrogati e sostituiti da quelli della legge del 1971. N un tale principio si pone in conflitto con l'altro fondamentale principio, pure costantemente affermato da questa Corte, ed al quale ha ritenuto di richiamarsi la decisione impugnata, che il sistema di determinazione dell'indennit espropriativa va necessariamente individuato in base alla legge in forza della quale l'espropriazione stata pronunciata, non essendo consentito al giudice ordinario di sindacare le scelte operate _dalla pubblica ammini_strazione e di sostituire ai criteri da questa adottati altri criteri previsti da leggi diverse, anche se eventualmente applicabili. Nel caso in esame, infatti, poich, come si detto, la legge n. 247 del 1974 ha prescritto in modo vincolante i parametri di determinazione della indenp.it per ogni tipo di procedimento espropriativo interessante lo Stato e gli altri enti pubblici, sostituendo ed integrando in proposito le relative norme in precedenza vigenti, il giudice dell'opposizione alla stima, facendo applicazione dei nuovi criteri, non viene a censurare o modificare la scelta dello strumento ablatorio adottato dalla pubblica amministrazione ed a questa esclusivamente riservata, ma va ad applicare proprio la disciplina ed i criteri di determinazione dell'indennit operanti per il procedimento prescelto, sulla base e nel rispetto dello schema legale proprio di quel procedimento, come risulta vigente al momento del decreto di espropriazione per effetto delle sostituzioni e delle modificazioni ad esso apportate dalla citata legge n. 247 del 1974 (cfr. Cass. n. 4690, 5793, 6098 del 1981,, 1673, 1754, 3338, 4525, 5806 del 1982, 1525, 3247 del 1983). La persistente applicabilit dei principi ora enunciati deve essere, peraltro, nella specie, verificata in relazione alle vicende subte dai criteri di determinazione dell'indennit espropriativa stabiliti dalla legge 806 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n. 865 del 1971. i! noto, infatti, che sia l'art. 16 della predetta legge, nella parte in cui introduceva i nuovi criteri di determinazione dell'indennit di espropriazione, sia il comma premesso all'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974 dalla relativa legge di conversione n. 247 del 1974, sono stati I dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 5 del 1980 della Corte Costituzionale, mentre con la successiva sentenza n. 223 del 1983 I della stessa Corte sono state dichiarate costituzionalmente illegittime la legge 29 luglio 1980, n. 385, e tutte le successive leggi di proroga, che quegli stessi criteri avevano riprodotto, sia pure in via provvisoria e salvo conguaglio. A tal fine, un'ulteriore precisazione preliminarmente si impone in punto di fatto, che cio, come risulta dalla sentenza impugnata, i terreni oggetto dell'espropriazione di cui si tratta sono stati indubitabilmente consid~rati e valutati come terreni agricoli, ed un tale accerta I mento di fatto ormai definitivamente acquisito in causa, non risultando oggetto di alcuna censura. I Orbene, nella citata sentenza n. 5 del 1980 della Corte Costituzio I t nale, mentre nel dispositivo si adotta una formula assoluta che farebbe apparire totale la caducazione delle norme oggetto della pronuncia di incostituzionalit, la motivazione della stessa appare svolta e costruita nel senso di ritenere l'illegittimit dei denunciati criteri legali di deter ~ minazione della indennit di espropriazione (e di occupazione), in qu~to i applicati ai terreni che a!Jbiano destinazione edificatoria, poich per I ~ questi adottano parametri estimativi .che astraggono e prescindono del tutto dalle caratteristiche del bene espropriato, e ch possono quindi condurre alla liquidazione di indennit del tutto irrisorie e ad una irrazionale diversit di trattamento di situazioni identiche. Per le aree con destinazione agricola, invece, nella motivazione della stessa sen I tenza si afferma che la fr;gge denunciata, prevedendo che l'indennit di esproprio sia fissata con esplicito ri:ferimerito alle colture effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in relazione all'esercizio deli'azienda agricola, stabilisce l'esatto criterio che l'indennit va liquidata I in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche ed alla sua destinazione economica. Si pone quindi il problema se fa predetta sentenza della Corte I! Costituzionale~ nonostante che nel dispositivo non operi alcuna distin 1i zione in proposito, abbia comunque fatto salvo, alla stregua delle enunciazioni contenute nella motivazione, il siistema di determinazione del! \ l'indennit di espropriazione delineato dalla legge n. 865 del 1971 e successive integrazioni e modificazioni, almeno per quanto riguarda le espropriazioni di suoli con destinazione agricola; problema che implica la I soluzione a monte di quello pi generale concernente la rilevanza e PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE l'efficacia giuridica da attribuire alla motivazione delle sentenze della Corte Costituzionale in rapporto al dispositivo, se, cio, e fino a qual punto anche per tali sentenze, ed in particolare per quelle di accoglimento, possa applicarsi il principio secondo il quale la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione. Il problema, che non aveva sempre ricevuto una soluzione univoca nella giurispntdenza di questa Suprema Corte, stato nuovamente esaminato in data recentissima, e proprio con riferimento all'ambito di efficacia da attribuire alla sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980, dalle Sezioni Unite, che con sentenza n. 5401 del 1984, resa all'udienza del 14 giugno 1984, hanno accolto la tesi che anche per le sentnze di accoglimento della Corte Costituzionale la portata e l'estensione della pronuncia di incostituzionalit vanno individuate non soltanto in base al dispositivo ma anche alla stregua delle ragioni della decisione contenute nella motivazione, e che quindi la dichiarazione di illegittimit costituzionale, contenuta nella sentenza n. 5 del 1980, dei criteri di determinazione dell'indennit di esproprio di cui all'art. 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni e integrazioni, deve intendersi rlimitata aJle es,propriazioni che hanno ad oggetto aree con destinazione edilizia, solo per tali aree valendo le considerazioni svolte nella parte motiva di quella sentenza. Le Sezioni Unite, premesso che costituisce canone fondamentale di interpretazione n principio secondo cui l'atto giuridico che ne costituisce oggetto va interpretato secondo il criterio delli;i. totalit, tenendo conto, cio, del significato oggettivo che ad esso deve riconoscersi secondo la legge di formazione dell'atto, la sua struttura giuridiea ed il sistema normativo in cui si inserisce, hanno rilevato che, avendo il legislatore adottato per le pronunce della Corte Costituzionale il modello della sentenza, non pu non aver inteso che fossero nche ad esse applicabili le regole di interpretazione di quel tipo di atti, in cui sussiste un'intima compenetrazione tra le ragioni che hanno determinato la pronuncia, contenute nella parte ~otiva, ed il dispositivo che enuncia il comando giuridico, venendo .in definitiva, motivazione e dispositivo a costituire elementi dello stesso atto giuridico ed a ~armare tra loro un corpo unitario. Di conseguenza, hanno soggiunto le Szioni Unite, non pu assumere rilievo il fatto che solo il dispositivo delle sentenze della Corte Costituzionale sia pubblicato nelle forme previste per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo (art. 136 Cost. e 30 della 1. 11 marzo 1953 n. 87), poich le forme attraverso cui reso riconoscibile l'atto giuridico non possono condizionarne l'intima 808 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essenza, ed il dispositivo rimane tale anche se ad esso sia limitata la pubblicazione e, quale dispositivo di una sentenza, rimanda necessariamente alle ragioni che ne hanno determinato la emanazione. ~ II L'Amministrazione delle Finanze deduce violazione e falsa applicazione della 1. 22 ottobre 1971, n. 865 e della 1. 27 giugno 1974, n. 247, in relazione all'art. 360, n. 3. Sostiene la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha liquidato l'indennit di espropriazione in via provvisoria e, quindi, salvo conguaglio, perch dalle decisioni della Corte Costituzionale n. 5/1980 e n. 223/1984, emerge che l'illegittimit costituzionale delle norme determinative dell'indennit di espropriazione concerne soltanto le aree destinate all'edificazione e non anche quelle destinate ad uso agricolo, come quelle di cui trattasi. La censura fondata. La portata e l'ambito operativo delle predette sentenze della Corte Costituzionale -e cio della sentenza 'n. 5 del 1980, che ha dichiarato illegittimo l'art. 16, comma 5, 6 e 7 della 1. 865/1971, come modificato dall'art. 14 1. 10/1977, che adottava il valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria quale criterio per la determinazione dell'indennit di esproprio, per violazione dell'art. 3, comma 1 e 42 comma 3 della Costituzione, nonch della sentenz!j, n. 223/1983, che ha dichiarato pure illegittime, per violazione dell'art. 42, comma 3 e 136, comma 1 della Costituzione, gli artt. l, comma 1 e 2 e l'art. 2 della 1. n. 385/1980 e delle successive leggi di proroga - stato oggetto di vivo contrasto, ritenendosi da una parte; che esse avessero prodotto la caducazione delle norme dichiarate illegittime in tutto l'ambito delle loro previsioni e, quindi, per i terreni di ogni tipo, indipendentemente dalla loro destinazione edilizia od agricola, come sembrava doversi desumere dal dispositivo, ovvero, come altri sostenevano, limitatamente alle aree con vocazione edificatoria, cdme poteva argomentarsi dalle ragioni della decisione svolte nella motivazione,, nonch dell'oggetto della disciplina transitoria prevista dalla 1. 385/1980. La questione interpretativa stata ora risolta dalle sezioni unite di questa Suprema Corte (n. 5401/1984 e 94/1985) nel senso che il dispositivo della sentenza n. 5/1980 della Corte Costituzionale deve essere interpretato alla luce della corrispondente motivazione, per modo che il decisum che ha dichiarato illegittimi i menzionati commi dell'art. 16 della 1. 865/171 deve essere inteso nel senso che i criteri di determinazione della indennit di esproprio, in tanto sono da ritenere PARTE I, SEZ. TV, GIURISPRUDENZA CIVILE caducati, in quanto si riferiscono alle aree con destinazione edilizia. Infatti, hanno osservato le predette sentenze soltanto per tali aree valgono le considerazioni svolte nella parte motiva di quella sentenza, la quale ha sottolineato il contrasto dell'art. 16 cit., con gli artt. 3 e 42 Cost., in quanto applica criteri estimativi che astraggono e prescindono del tutto dalle ca~atteristiche del bene espropriato, onde possono condurre alla liquidazione di indennit del tutto irrisorie e perch, riconoscendo, a tal fine, la distinzione tra aree interne ed esterne al centro abitato, pu condurre a diversit di trattamento di situazioni identiche, come pu accadere per le aree contigue, ma esterne ai centri edificati, che abbiano comunque destinazione edificatoria. Dalla motivazione risulta, invece, che, per quanto riguarda le aree con destinzione agricola, non sussiste ragione di illegittimit, dato che, in tal caso, l'art. 15 della 1. n. 865/1971 come modificato dall'art. 14 della 1. n. 10/1977, tiene presenti le ciiratteristiche oggettive del bene espropriato in quanto prevede che ~r i terreni agricoli l'indennit di esproprio sia fissata con specifico riferimento alle colture effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in .relazione all'esercizio de1la azienda agricola. Si stabilisce, cosi, l'esatto criterio che l'indennit va liquidata in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche ed alla sua destinazione economica; l'aver pretermesso tali riferimenti ;per le aree con destinazione edilizia ed adottato per queste criteri astratti ed irrazionali, determina una ulteriore disparit di trattamento fra gli espropriati . Nel caso in esame, poich la sentenza impugnata fondata sul riconoscimento della destinazione agricola delle aree espropriate, l'inden nit di esproprio deve, essere determinata ai sensi dell'~rt. 16 della 1. n. 865/1971, cosi come modificata dall'art. 14 della 1. n. 10/1977 con una liquidazione di carattere definitivo, non essendo applicabili le norme successive, peraltro dichiarate incostituzionali, che, come si visto; hanno prorogato l'applicazione dei predetti criteri solo per le aree aventi vocazione edificatoria. L'applicabilit alla espropriazione in esame della predetta legge, deriva dalla 1. 27 giugno ~974, n. 247, la quale, nel convertire in legge il d.l. 2 maggio 1974, n. 115, con il comma aggiunto all'art. 4, ha esteso le disposizioni del titolo II della predetta legge n. 865/1971 a tutte le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione di opere e di interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali . Questa norma ha, quindi, abrogato per incompatibilit le precedenti norme che disponevano diversamente ed, in particolare, il d.l. 31 ottobre 1967, n. 969, convertito nella 1. 23 dicembre 1967, n. 1246 che regolava, in modo specifico le espropriazioni necessarie per la costruzion~ dell'aeroporto di Fiumicino rinviando per la determinazione dell'inden 810 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nit ai criteri dettati dalla legge 15 gennaio 1885, n. 2892 sud risana mento della citt di Napoli (iper utHi rifer1menH, cfr. Cass. 1982 n. 3338, Sez. Unite 1981 n. 4690). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 8 ottobre 1985, n. 4857 Pres. Cusani Rel. Menichino P. M . .Valente (conci. conf.) Pari ed altri (avv. Agostini) c. FF.SS. (avv. Stato Stipo). Lavoro Malattie professionali Rendita Decorrenza della prescrizione Primo giorno di compl~ta astensione dal lavoro Esclusione Sussistenza di postumo indennizzabile Necessit. Lavoro Malattie professionali Rendita Interruzione della prescrizione Applicabilit della disciplina civilistica Esclusione. La nozione di manifestazione della malattia professionale'? che a norma dell'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 provoca la decorrenza della prescrizione della relativa domanda, non va determinata a norma dell'art. 135 d.P.R. cit. con riferimento al primo giorno di astensione dal lavoro ovvero al giorno di presentazione della denuncia all'Istituto Assicuratore; ma, anche per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 116/69, tale decorrenza inizia dal momento in cui la malattia abbia dato luogo al postumo indennizzabile (alla cui dimostrazione tenuto l'Istituto che eccepisce la prescrizione) (1). Stante la peculiare disciplina della interruzione della prescrizione quale prevista dall'art. 112 del d.P.R. 1124/65, fondata su esigenze di cer tezza ed immediatezza delle indagini in ordine alla causa professionale della malattia non risulta applicabile, al riguardo, la generale normativa civilistica (2). Per quanto concerne il secondo .motivo, devesi premettere che esso parte da una inesatta e superata interpretazione dell'art. 112 del T.U. di cui al d.P.R. 30 giugno 1965 n. 112~ circa. la decorrenza lfella prescri (il) Sulla prima massima la gicurJ.sprudenza appare pacifica. Ci'!r., peraltro, citatein motivazione, Cass. 13 marzo 1982, n. 1650, in Foro lt., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro, nn. 396, 404 e 410; Cass. 9 ottobre 1982 n. 5192, ibidem, nn. 392394; Cass. 14 maggio 1983 n. 334 6, ibidem, 1983, n. 105. (2) Sulla seconda massima, la giurisprudenza ugualmente conforme, con esclusione di: Cass. 11 maggio 1984 n. 2904, in Foro lt. 1985, I, 849; Cass. 25 luglio 1984, n. 4367, in Giust. civ. 1984, I, 3010; Cass. 21 novembre 1984 n. 5962, in Foro It., 1984, v. Infortuni sul lavoro, n. 287. Le SS.UU. giustamente motivano la non appli cabilit delle norme civilistiche in materia di interruzione della prescrizione sul rilievo che un eccei;;sivo decorso del termine pregiudicherebbe la possibilit di ricognizione tecnica dei presupposti della domanda. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVIL!l zione dell'azione per il conseguimento della rendita per inabilit permanente derivante da malattia professionale. Invero i ricorrenti insistono nell'affermare che la prescrizione decorre dal giorno di manifestazione della malattia professionale stessa e che tale si debba considerare il primo giorno di completa astensione dal lavoro a causa della malattia, ai sensi dell'art. 135, 1 comma d.P.R. 1124-1965, ovvro -se non vi sia stata astensione, o se la malattia sia insorta dopo la cessazione dell'attivit nella lavorazione determinante la malattia -che la prescrizione decorra dal giorno di presentazione della denuncia, ai sensi dell'art. 135, 2 comma stesso d.P.R. Al contrario, secondo la costante interpretazione dell'art. 112 citato, dopo la sentenza della Corte Costituzionale 8 lugli 1969 n~ 116 -che ha dichiarato l'illegittimit di tale articolo nella parte in cui prevista la prescrittibilit dell'azione per il conseguimento della rendita per inabilit permanente derivante da malattia professionale nonostante che; entro il relativo termine, tale inabilit non abbia raggiunto il grado minimo per pndso a ripetere quanto_ pagato alla stregua di accertamenti definitivi, ma cui viene consentito di far valere tale incostituzionalit rispetto ad accertamenti che definitivi non sono. . 5. -Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto, ricoi?-oscendo da un lato che il diritto all'esenzione non pu essere fatto valere indipendentemente da un'apposita istanza (attribuendo aHa finanza l'onere ineseguibile di accertarne a priori i presupposti) ma ammettendo dall'altro i1l contribuente, ohe non abbia proceduto a coltivare la pratica di esenzione in via amministrativa, ad azionare, in via giurisdizionale, il relativo diritto, incontrando il solo limite della definitivit dell'accertamento anno per anno, e subendo, quindi, le conse. guenze negative della inerzia serbata, esclusivamente per le annualit comprese nel periodo venticinquennale rispetto alle quali ha lasciato ohe l'aocertaanento divenisse definitivo. -L'inerzia si riverbera esclusivamente su singoli periodi di imposta .che mantengono la loro autonomia anche per quanto riguarda la pretesa all'esenzione che pu sempre residualmente farsi valere per gli anni che ancora ricadono nel periodo stesso. Esclusa la decadenza, ed esclusa .altres la proiezione dell'inerzia precedente e della mancata istanza di fronte alla tempestiva reazione all'accertamento, ovvero al ruolo, for malmente il contribuente ben poteva azionare il suo diritto, e quindi la impugnata sentenza che glielo ha riconosciuto non merita censura, nono stante le mende della motivazfone in diritto (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 ApTile 1985, n. 2493 -Pres. Moscone Est. Di Salvo -P. M. Di Rienzo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelni) c/ Simonit (avv. Manfredonia). Tributi erariali diretti Imposta sui redditi di ricchezza mobile Con dono Agevolazioni . Inconciliabilit. (d.P.R. 5 novembre 1973, n. 660, artt. 3 e 10). Il condono inconciliabile con ogni agevolazione, anche se anteriormente riconosciuta (1). (omissis). -Con l'unico motivo l'amministrazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 3, commi 1 e 4 della legge 19 dicembre 1973, n. 823 (di conversione con modificazioni del d.l< 5 novembre 1973, n. 660) nonch difetto di motivazione ai sensi dell'art. 360, (1) RialLaooiaindosi alla sentenza 19 marzo 1984, n. 1865 (itn questa Rassegna, 1984, I, 377), la S.C. riafferma la inconciliabilit dell'esenzione con il condono, anche nel caso di esenzione pluriennale gi riconosciuta e che continua a spiegare effetto per i periodi di imposta non coperti da condono. 842 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nn. 3 e 5' c.p.c., per non avere la commissione centrale tenuto presente l'art. 3, comma IV della predetta legge. Ricorda che la norma, dopo avere stabilito che i redditi non ancora definiti possono essere deter minati automaticamente, a domanda del contribuente, sulla base di un aumento percentuale; anno per anno, dell'ultimo reddito definito (comma 1), dispone, al IV comma, che ai fini del primo comma l'imponibile dichiarato e l'ultimo imponibile definito si assumono al lordo delle detrazioni previste dall'art. 8 del D.L. 30 agosto 1968, n. 1089, e successive modificazioni e le imposte sono commisurate al maggior imponibile al netto della detrazione relativa al periodo da definire. Di ogni altra nuova o maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante non si tiene conto nei casi in cui le relative imposte, a norma dei precedenti commi, sono commisurate all'ultimo imponibile definito maggiorato del dieci o del venti per cento. Il ricorso fondato. Questa Corte, con la sentenz 19 marzo 1984, n. 1865, ha gi esaminato la questione in esame concernente gli effetti sull'istanza di definizione agevolata del successivo accoglimento della richiesta, precedentemente presentata e diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una esenzione preesistente alla presentazione della predetta istanza, (c.d. di condono). Con tale sentenza si ritenuto che non possa essere accolta la tesi che l'accoglimento della domanda di esenzione assorba e prevalga sulla domanda di condono perch essa introdurrebbe una ipotesi di cessazione di efficacia della domanda di condono che contraddice alla irrevocabilit della stessa espressamente prevista dall'art. 10, comma 1 del D.L. n. 660 del 1973, senza alcun limite od eccezione. Ha, quindi, precisato che presupposto per l'applicazione del tributo non l'esistenza di un reddito imponibile con riferimento al periodo di imposta da definire, ma la dichiarazione (o l'intervenuta definizione dell'esistenza di un reddito im ponibile) relativa ad un periodo d'imposta precedente a quello da defi nire e ci a prescindere dall'esistenza anche in tale periodo, di un reddito imponibile , in quanto il legislatore ha dato rilievo nop gi alla effettiva esistenza di un reddito da sottoporre a tributo, ma alla circostanza che il contribuente lo abbia dichiarato per i periodi da prendere a base per la liquidazione e che, nel domandare l'applicazione delle disposizioni contenute nel d.l. n. 660 del 1973 ne affermi implicitamente l'esistenza per il periodo successivo. L'irrilevanza della riconosciuta esenzione non deriva dalla natura dichiarativa o meno del provvedimento di riconoscimento dell'esenzione spettante ai sensi dell'art. 8 della legge 1957, n. 635, ma dalla circostanza che per 11 provvedimento legislativo di condono, l'esenzione si pone come elemento estraneo alla fattispecie agevolativa. Infatti tale esenzione, ha gi affermato questa Corte di legittimit con la sentenza citata, malgrado il carattere dichiarativo del i I \ I t I II PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA provvedimento che la riconosce, come non pu operare con riferimento ad un periodo d'imposta in ordine al quale sia intervenuto un accerta imento definitivo, non pu parimenti operare quando sopravvenga in un periodo nel quale avrebbe potuto astrattamente operare ove non fosse stata presentata la domanda di esenzione agevolata, la quale, manifestando, per il suo carattere irrevocabile, la volont del contribuente di ottenere la liquidazione dell'imposta secondo i criteri fissati dal provvedimento che la prevede e l'obbligo dell'amministrazione di procedere a tale . liquidazione secondo gli stessi parametri, impedisce ad entrambe le parti del rapporto di procedere (o di pretendere che si proceda) ad una determinazione del reddito imponibile -e ad una conseguente liquidazione dell'imposta -valorizzando provvedimenti agevolativi o di esenzione dall'imposta e senza che la novit o men~ delle agevolazioni o delle esenzioni induca a conclusioni diverse . Invero, la parte finale del quarto comma sopra ripo_rtato, laddove esclude che nell'applicazioqe del condono si debba tener conto delle nuove agevolazioni non legittima l'interpretazione secondo cui si debba, invece, tener conto delle agevolazioni od esenzioni non nuove . Infatti per queste ultime il contribuente, pu, sulla base della legislazione vigente decidere liberamente della convenienza o meno della presentazione della domanda optando per l'esenzione o le agevolazioni previste, ovvero per la defini~ione agevolativa; ove egli abbia optato per quest'ultima non pu chiedere, altresi, la concessione degli altri benefici, cumulandoli, dopo avervi implicitamente rinunziato con decisione irrevocabile; in coerenza con il principio secondo cui la domanda deve comprendere a pena di n.ullit tutte le pendenze relative all'imposta da definire (art. 1, d.l. n. 660), non possibile escludere dal condono alcuni accertamenti non definiti senza che possa avere alcuna inflenza la circostanza che tali agevolazioni o esenzioni siano state gi ottenute al momento della scadenza del termine per la .richiesta del condono ovvero che la relativa richiesta sia ancora in corso di definizione; ancora meno rilevante poi la circostanza, sulla quale insiste la difesa del contribuente, ohe la domanda di definizione agevolata sia stata presentata ~on al momento della scadenza del termine, ma con un congruo anticipo rispetto ad esso; infatti, anche questa circostanza, che anch'essa frutto di un atto volontario del contribuente, non idonea ad incidere sui principi prima eJ]Ull1ciati relativi alle carntteristiche strutturali e funzionali del provvedimento di condno, per . cui la perdita del diritto alle esenzioni od agevolazioni prima richieste opera indipendentemente dalla data di presentazione della domanda di condono; del resto la circostanza del tutto ininfluente perch la posizione giuridica del contribuente non sarebbe stata diversa nell'ipotesi in cui egli avesse atteso l'ultimo mo 844 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento utile per presentare la domanda di condono, dato che anche in tale istante il provvedimento dell'ufficio di accoglimento parziale della richiesta esenzione non era stato ancora adottato, essendo intervenuto solo successivamente. Queste ultime considerazioni pongono in luce la manifesta infondatezza della questione di legittimit costituzionale prospettata dai resistenti. Essi sostengono che l"art. 4 della legge 1973, in. 660 darebbe luogo a disparit di trattamento (art. 3 cost.) e violazione del principio di capacit contributiva (art. 53, Cost.) perch tratterebbe diversa;rnente, a parit di situazioni giuridiche, i contribuenti, a seconda che abbiano presentato la domanda di definizione automatica nel febbraio 1974 ovvero il 30 aprile dello stesso anno, data di scadenza del termine stabilito per chiedere tale beneficio. L'assunto si fop.da, per, su un elemento di fatto errato perch, come ha accertato la Commissione tributaria, il provvedimento di parziale accoglimento dell'esenzione stato adottato il 4 maggio ed stato notificato il successivo 15 maggio 1974, cio in data non precedente, ma successiva al 30 aprile 1974, che, come si visto, era la data di scadenza 1del termine per la presentazione dell'istanza di definizione gevolata. L'assunto del resistente, presuppone, inoltre, che gli effetti giuridici sarebbero stati diversi nell'ipotesi che il contribuente, anzich presentare l'istanza con notevole anticipo, avesse atteso la scadenza del termine. Questa ricostruzione della volont normativa, data per certa dai re_si stenti, non pu per essere condivisa; in primo luogo perch muove dalla erronea individuazione, gi messa in rilievo, della data del provve dimento di accoglimento dell'esenzione ed, in secondo luogo, perch si fonda su una interpretazione della norma gi esaminata e disattesa da questa Corte di legittimit, interpretazione secondo la quale il contri buente che abbia presentato l'istanza di definizione agevolata conser verebbe il diritto di usufruire di altre esenzioni ed, in particolare, di que~la prevista dall'art. 8 della 'legge 1957, n. 635. , La questione di legittimit costituzionale, nei termini prospettati, dunque manifestamente infondata perch individua una diversit di trattamento giuridico -dalla quale discenderebbe anche la violazione del principio della capacit contributiva -del tutto inesistente nell'articolo 3 della legge n. 823 del 1973. Ritenuta infondata la questione di legittimit costituzionale proposta dai resistenti occorre concludere che il provvedimento di esenzione non opera limitatamente agli anni per i quali il contribuente ha usufruito della definizione automatica del condono, ma conserva la propria efficacia per gli anni successivi (omissis). PAR'ffi I, Sl!Z. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 845 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 aprile 1985, n. 2605 -Pres. Virgilio Es~. Rossi -P. M. Valente (conf.). Soc. Gambogi c/ Ministero delle Finanze (Avv. Stato D'Amico). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro Rimborso Prescrizine Indebito oggettivo lnconfigurabilit Prescrizione ordinaria Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3263, art. 136). La domanda di rimborso di una imposta che si assume non dovuta per la spettanza di un'esenzione non configurabile come azione di indebito oggettivo,' essa pertanto soggetta alla prescrizione dell'art. 136 dell'abrogata legge di registro, che regola compiutamente la materia, e non alla prescrizione ordinaria (1). (omissis) l'I secOIDJdo, il tmzo, H quinto ed il settimo motivo vanno congiuntamente trattati essendo caratterizzati dalla coinune pretesa che si tratti di atto esente da imposta. Con essi infatti, il ricorrente denuncia la vioiazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2946 e.e. e 15 delle preleggi, in relazione all'art. 8 comma 1, della legge 729/1961 e all'art. 360 n. 3 c.p.c., addebitando alla Corte di merito di non aver considerato.. che il pagamento effettuato a titolo di imposta non dovuta, in quanto pretesa riferentesi ad atto esente, costituisce indebito oggettivo, sicch deve trovare applicazione l'art. 2946 e.e., che prevede la prescrizione decennale del diritto al rimborso (e che certamente abrogativo -per incompatibilit -dell'art. 136 della legge _di registro, il quale stabilisce la prescrizione triennale, cos come avviene in ogni caso di contestazione in radice del potere di imposizione (terzo motivo); in tali casi l'assoggettamento ad imposta di atto esente integra infatti gli estremi dell'atto illecito produttivo di danni, con conseguente applicazione della prescrizione quinquennale (quinto motivo, in relazione agli artt. 2043 e 2947 e.e.). Anche queste censure sono infondate. Con indirizzo costante questa Corte ha precisato che il citato art. 136 (con le disposizioni seguenti) regola compiutamente la materia della prescrizione in tema di imposta di registro, quale legge speciale prevalente su quella generale; con ambito di previsione che ricomprende (1) Decisione da condividere pienamente. Il tentativo di presentare la domanda di rimborso di tributi come indebito oggettivo per superare decadenze e preclusioni stabilite nei procedimenti tributari o per spostare la giurisdizione sempre stato respinto oo11a giurisprudenza (Cass .10 marzo .1982, n. 1544; 21 novembre 1003, n. 6WS, in questa Rassegna, 1982, I, 816; 1984, I, 327). 846 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quindi ogni fattispecie in cui il contribuente, avendo eseguito il pagamento di un'imposta di registro non dovuta, ne chiede la ripetizione, anche in caso di pretesa esenzione o inesistenza dell'obbligo tributario (cfr. per tutte Cass. sent. 3199/77). La societ ricorrente peraltro non a ragione sostiene che si tratti nella specie di contestazione in radice del potere .di imposizione, laddove ricorre evidentemente la diversa ipotesi c~ratterizzata da pretesa di recupero di imposta, che si assume non dovuta in quanto l'atto sottoI>osto a registrazione. avrebbe dovuto usufruire di un trattamento diverso da quello adottato dall'Amministrazione. E non neppure astrattamente configurabile una ipotesi di fatto illecito, produttivo di danni riosardbili ex art. 2043 segg. e.e., in relazione ad assoggettamento ,ad imposta di atto non ~sente (omissis). I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 maggio 1985, n. 2820 Pres. Mirabelli Est. Scanzano P. M. Valente (conf.). Maretti e/ Ministero delle Finanze (avv. Stato Tallarida). Tributi erariali diretti Soggetti passivi Liquidatari delle societ Responsabilit Prescrizione Decorrenza (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Tributi erariali diretti'. Soggetti passivi Liquidatari di societ ' Accertamento responsabilit successivo alla liquidazione Notifica al solo liquidatore -.~gittimit. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Poich la responsabilit dei liquidatori per i debiti di imposta della . societ presuppone che i debiti non siano stati pagati con le attivit della liquidazione, la relativa azione pu essere esercitata solo dopo che, con il deposito del bilancio finale di liquidazione, si abbia la certezza che li debito non stato e non potr pi essere soddisfatto; e quindi solo da questo momento inizia a decorrere il termine di prescrizione (1). Bench sia possibile agire contro la sooiet gi liquidata e cancellata i dal registro, legittimo l'accertamento notificato dopo la cancellazione I! al solo liquidatore (2). ! (1-5) Le tre sentenze, sulla base di principi ormai .approfonditamente defini1li. (Oass. 6 luglio 1977, n . 2fJ72, iin questa Rassegna, 1977, I, 699, 14 marzo 1fJ78, n. 1273, ivi, 1978, I, 478, 19 maggio 1980, n. 3270, ivi, 1981, I, 223), evidenziano ancora alcuni profili di interesse. I I . II J PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 847 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 maggio 1985, n. 2821 Pres. Mirabelli Est. Scanzano -P. M. Valente (conf.). -Lamburghini (avv. Della Lunga) e/ Ministero delle Finanze (avv. Stato Linguiti). Tributi erariali diretti -Soggetti passivi -Liquidatore di societ , Responsabilit Ruolo formato contro la societ E' titolo valido contro il liquidatore. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). Una volta dichiarata, con decreto dell'Intendente di finanza, la responsabilit del liquidatore, il titolo di esigibilit nei suoi confronti costituito dal ruolo gi emesso contro la societ, non essendo necessario e nemmeno possibile emettere nuovo ruolo nei confronti del liquidatore (3). III CORTE DI C~SAZIONE -Sez. Un., 6 maggio 1985, n. 2822 -Pres. Mirabelli -Est. Scanzano -P. M. Valente (conf.). -Ricci e/ Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello).. Tributi erariali diretti Soggetti passivi Liquidatore di. societ Responsabilit Accertamento e contenzioso Art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 Portata processuale Applicabilit ai rapporti anteriori (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36). Tributi erariali diretti Sggetti passivi Liquidatore di societ Responsa bllit Regime anteriore al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 Limita zione della responsabilit alle somme che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei privilegi Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36). Le norme dell'art. 36 penultimo e ultimo comma del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 hanno portata processuale e sono immediatamente appli cabili ai rapporti gi sorti, con la conseguenza che la contestazione della responsabilit del liquidatore della persona giuridica se pur riferita a (1-5) Le tre sentenze, sulla base di principi ormai approfonditamente definiti (Cass. 6 luglio 1977 n. 2972, in questa Rassegna, 1977, I, 699; 14 marzo 1978 n. 1273, ivi, 1978, I, 478; 19 maggio 1980 n. 3270, ivi 1981, I, 223), evidenziano ancora alcuni profili di interesse. La prima sentenza sul punto della prescrizione (si fa riferimento, perch non era proposta impugnazione, alla prescrizione quinquennale ma invece da applicare la prescrizione ordinaria perch il . t~tolo della responsabilit non risarcitorio, come precisa la citata 'sentenza n. 2972/1977) molto esattamente rileva che il termine non comincia a decorrere prima del deposito del bilancio finale di liquidazione, perch solo in questo momento si ha la certezza che il debito di imposta non stato e non potr pi essere pagato; anteriormente non potrebbe essere invocata la responsabilit del liquidatore in quanto, proce 848 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fatti anteriori, _fleducibile contro l'accertamento dell'ufficio delle imposte secondo le norme del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (4). La responsabilit del liquidatore della societ soggetta al regime sostanziale del tempo in cui essa sorta anche se accertata successivamente; di conseguenza se i presupposti della responsabilit si siano verificati in vigenza dell'art. 265 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, che prevedeva una responsabilit .incondizionata, non trova applicazione l'art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 che limita la responsabilit alle somme per crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei privilegi (5). dendo la liquidazione senza l'osservanza dei privilegi o di altre determinazioni temporali, non si potrebbe mai affermare che sia maturato il presupposto costitutivo della responsabilit. La seconda massima della prima sentenza pure esatta ma pu lasciare qualche perplessit. Dopo' la liquidazione e cancellazione della societ certamen, te possibile dichiarare la responsabilit del liquidatore. Non risulta tuttavia ben chiaro dalla motivazione se anche l'accertamento dell'obbligo di imposta sia stato notificato soltanto al liquidatore. Se cos fosse, sarebbe da dubitare della regolarit del procedimento perch da un lato l'obbligazione tributaria va sempre accertata nei confronti del contribuente con la conseguenza che di tale obbligazione il liquidatore risponde solo in via sussidiaria; dall'altro, come pure stato precisato (sent. citata n. 1273/1978) il liquidatore non legittiimato a contestare l'obbliga2'Ji.one della ,societ. Se fosse omessa la notifica dell'accertamento alla societ (bench liquidata), non sarebbe pos sibile la sua impugnazione e il liquidatore si troverebbe a rispondere di un obbligo non assoggettato a verifica giurisdizionale. Di quanto precede d una riconferma la seconda sentenza che correttamente scinde l'accertamento ed il ;ruolo diretti contro la societ e l'accertamento del titolo della responsabilit del liquidatore; sui primi legittimata all'impugnazione solo la societ, sul secondo il liquidatore pu contestare la sua qualit di responsabile ma non l'obbligazione tributaria. per questo che una volta dichiarata la responsabilit del liquidatore il titolo (e l'oggetto) della esigibilit lo istesso ruolo. (Oass. 28 aprile 1m, n. 1615, dn questa Rassegna, 1977, I, 457). L'ultima sentenza di evidente esattezza. L'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 di contenuto processuale per ci che concerne le modalit di accertamento e ricorso contro di esso (ultimo e penultimo comma) e contenuto sostanziale per quanto concerne la disciplina della responsabilit (nello stesso senso anche CalSls. 24 giugno 1985, n. 3797 dd cud si omette la pubblicazione).' Anteriormente, l'art. 265 non poneva limiti alla responsabilit del liquidatore per tutti i debiti di imposta non pagati quali che fossero le attivit disponibili e il concorso di altri creditori; se il liquidatore avvertiva di non poter soddisfare tutti i debiti non aveva altra via per sottrarsi alla responsabilit pers" nale che promuovere la dichiarazione di fallimento. Ove i presupposti della responsabilit siano maturati sotto il vigore di questa disciplina non pu trovare applicazione l'art. 36 che regola solo per l'avvenire in modo diverso i limiti della responsabilit prevedendo che il liquidatore risponda solo per i crediti di imposta non soddisfatti che avrebbero potuto trovare capienza in una (ideale) ~raduazione dei privilegi da ricostruire ex post. f ~ ! f i ' t PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I (omissis) Coi primo motivo i ricorrenti denunciano falsa applicazione dell'art. 265 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e violazione degli artt. 2456 e 2949 cod. civ., e ripropongono la tesi che il ten:nine di prescrizione della azione di responsabilit verso i liquidati decorre dalla cancellazione della societ dal registro delle imprese. Dopo avere contestato l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui il debito di cui si tratta sarebbe stato iscritto. a ruolo dopo la decisione della Commissione distrettuale, essi sostengono che il citato art. 265 ha il suo proprium nel fatto di abilitare l'Amministrazione finanziaria ad una procedura che prescinde dall'intervento del giudice; ma, nel comunicare la personale responsabilit dei liquidatori che per dolo o colpa abbiano omesso di soddisfare i crediti del fisco, ha fondamento e contenuto sostanziale non diversi da quelli della norma dell'art. 2456 cod. civ. (che in presenza degli stessi presupposti legittima genericamente i creditori sociali ad agire verso i liquidatori medesimi). Dovrebbe quindi applicarsi anche in questa materia il principio desumibile dall'art. 2456, il quale, mentre non esclude che il fisco ed ogni altro creditore possano agire nei confronti dei liquidatori non appena vengono a realizzarsi i presupposti della loro responsabilit, sposta -a tutto beneficio del creditore -la dec;orrenza del termine di prescrizione alla data della cancellazione della societ dall'apposito registro. Essendo stata, nella specie, tale formalit eseguita il 20 maggio 1965, il termine quinquennale di prescrizione sarebbe gi decorso allorch il 4 e il 6 giugno 1970 venne notificato il provvedimento che li chiamava a rispondere del debito della societ; ci, senza dire -concludono -che aH'Aimministrazione finanziaria era gi nota la ohiusura della liquidazione attraverso la documentazione allegata alla dichiarazione unica dei redditi presentata il 30 novembre 1964. La censura priva di fondamento. Va premesso che ogni questione relativa al termine di prescnz1one applicabHe preclusa in questa sede, giacoh la Corte d'Appello -ribadendo l'opinione gi epressa dal Tribunale e non censurata in sede di gravame -ha individuato il termine stesso in quello quinquennale, mentre il ricorso non contiene impugnativa sul punto e deduce solo questioni attinenti all'identificazione del dies a quo (v. Cass. 1273/78, 5411/81). Va aggiunto che, riguardo al dies a quo concretamene identificato dalla Corte di merito, la prima parte del motivo in esame esprime una contestazione che da respingere. Da un lato, infatti, essa apodittica e generica e non indica gli specifici elementi dai quali il detto giudice avesse potuto trarre argomento per una diversa decisione; dall'altro essa irrilevante giacch, una volta che si valorizzi (come si vedr deve farsi), ai fini considerati, la data di iscrizione a ruolo, deve constatarsi che -co 8,50 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO me si evince dalla sentenza impugnata -essa non pu non essere posteriore al 21 dicmbre 1966, risultando che in tale data furono notificati gli avvisi di accertamento delle imposte cui l'iscrizione si riferiva. E tale data ricade nel quinquennio anteriore alla notificazione (4 e 6 giugno 1970) del decreto intendentizio che estende l'efficacia del ruolo ai liquidatori. Detto questo, va osservato che la tesi secondo cui dovrebbe equipararsi la speciale responsabilit dei liquidatori prevista dall'art. 265 del t.u. citato a quella prevista ~ei loro confronti dall'art. 24S6 cod. civ., e pertanto con la cancellazione della societ inizierebbe a decorrere il termine di prescrizione dell'azione del fisco contro i liquidatori stessi, si infrange contro l'assorbente rili.evo che tale azione non pu essere esercitata senza e prima che il ruolo in cui iscritto il debito tributario della societ possa legalmente essere posto in riscossione. sufficiente quindi l'applicazione del principio fondamentale espresso, in materia di prescrizione, dall'art. 2935 cod. civ. per affermare che il termine predetto non pu cominciare a decorrere prima che quella legale possibilit siasi realizzata, e ohe quindi irrilevante, a questi fini, il fatto dell'eventuale anteriore cancellazione della societ. Possono invece avere le vicende della vita della societ una loro rile vanza solo nel caso in cui il credito d'imposta nei confronti di questa sia divenuto gi anteriormente esigibile. Dichiaratasi l'esecutivit del ruolo ed avvenuta la sua consegna ahl'Esattore, questi pu certamente agire -secondo l'art. 265 citato -contro i liquidatori senza attendere (come debbono secondo l'art. 2456, i comuni creditori sociali) la cancellazione della societ. Potendo, tuttavia, egli fare legittimamente affidamento sull'adempimento della societ (obbligata in base al mpiporto tributario) e potendo d'altronde agire contro i liquidatori personalmente solo dopo che essi non abbiano pagato le imposte con le attivit della liquidazione (cio non abbiano pagato come organi della societ, giacch appunto a tale qualit si ricollega la disponibilit delle attivit anzidette), evidente che l'azione di che trattasi pu essere esercitata (e pu quindi cominciare a decorrere il relativo termine di prescrizione) solo quando sia divenuto legalmente certo che con le attivit della liquidazione il debito d'imposta non stato pagato:_ ed il momento in tal senso rilevante quello del deposito del bilancio finale di liquidazione (art. 2453, 2 comma cod. civ.). Non merita d1i!Ilque censura la statuizione con cui l'eccezione di prescrizione stata respinta. Col secondo motivo si denuncia erronea interpretazione delle norme sulla colpa con conseguente falsa apvlicazione dell'art. 265 del t.u. citato, e si censura la impugnata sentenza per avere affermato la responsabilit personale dei liquidatori per il paga:mento delle imposte sebbene gli accertamenti fiscali relativi fossero stati notificati dopo la cancellazione della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA societ. Sostengono i ricorrenti: a) che siccome la societ continua. ad esistere, sebbene cancellata, fino alla completa estinzione dei rapporti giuridici di cui titolare, l'Amministrazione finanziaria doveva far valere le sue pretese, non nei confronti di essi liquidatori ma della societ; b) che non sono configurabili colpa e responsabilit personale dei liquidatori, nella materia considerata, quando l'avviso di accertamento dell'imposa pretesa venga 'notificato dopo la chiusura della liquidazione, perch nessuna norma _di diligenza impone di attendere la scadenza dei termini fissati per eventuali accertamenti futuri, specie quando essi non siano neanche prevedibili (come appunto nel caso, dato che il bilancio non evidenziava alcuna plusvalenza, mentre la societ era stata assoggettata sempre e solo all'imposta ~ui fabbricati). La censura non fondata. La tesi riassunta sub a) palesemente contraria lla logica dell'art. 265 del testo unico che, pure dando per scontata la teorica possibilit sol che, accellerando i tempi della liquidazione, riuscissero a preve dere in prop!'.'io i liquidatori che abbiano esaurito le disponibilit' della liquidazione senza provvedere al pagamento delle imposte, e non subordina ad alcuna altra condizione la proponibilit della relativa azione del fisco. La tesi di cui sub b) si infrange contro il motivato apprezzamento di merito espresso nella impugnata sentenza. La Corte d'appello muove dal principio secondo cui agli effetti del ripetuto art. 265, le. imposte dovute dalla societ sono quelle i cui presupposti si siano verificati nei confronti di questa, in relazione a1la sua attivit, ancorch accertate successivamente, sia pur dopo l'esaurimento della liquidazione e la cancellazione: principio che non pu contestarsi se non giungendo ad elidere la forza ed il valore sanzionatorio della norma considerata. Secondo la tesi dei ricorrenti, infatti, liquidatori pur consapevoli dell'esistenza d'imposta, potrebbero sottrarsi alla loro personale responsabilit sol che, accellerando i tempi della liquidazione, riuscissero a prevenire con l'affrettat~ cancellazione della societ gli accertamenti che l'ente impositore potrebbe ancora legittimamente compiere. In punto di fatto poi la detta Corte ha osservato che la plusvalenza concorrente a formare l'imponibile (di ricchezza mobile e dell'imposta sulle societ) poi tassato derivava da un fatto che era gi precedentemente insorto, ed era anche nota per essere stata gi contestata alla Societ, sia pure ai fini della diversa imposta di registro, mentre la possibilit del fisco di estendere tale contestazione ai fini dei tributi di cui si tratta doveva essere conosciuta da persone che assumevano l'incarico di liquidatori di soggetti tassabili in base a bilancio. Il Maretti ed il Giove quindi -secondo il pensiero della Corte barese -avevano la possibilit di prevedere gli accertamenti e non potevano perci affrettarsi a ripartire tra i soci le cospicue disponibilit sociali. Si tratta di un RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 852 apprezzamento di merito con cui stata rigettata la doglianza dei liquidatori diretta a vedere esclusa la loro colpa; apprezzamento che, essendo sorretto da motivazione sufficiente e coerente, oltre che giuridicamente esatta, si sottrae al sindacato di questa Corte. E pich coh ci la colpa degli odierni ricorrenti risulta legittimamente accertata, rimane assor, bita la questione (da essi prospettata sulla base di Cass. 21 aprile 1964, n. 952) relativa alla rilevanza dell'elemento psicologico ne\la fattispecie prevista dall'art. 265 del testo unico del 1958 sulle imposte dirette. (omissis). II (omissis) Col primo motivo il Lamburghirni ,lamenta che la Corte di merito abbia omesso di esaminare la domanda con cui si sosteneva che il decreto dell'intendente di finanza non costituisce titolo esecutivo contro il preteso responsabile del debito tributario della societ e che pertanto nei suoi confronti pu procedersi solo in forza di nuovo ruolo senza possibilit di estendere a lui gli effetti di quello in cui iscritto il debito predetto. Col secondo motivo, e per mero tuziorismo ripropone la questione di legittimit costituzionale dell'art. 265 citato in quanto possa consentire ad un organo della stessa Amministrazione finanziaria di costituire, inaudita altera parte, un titolo esecutivo implicante un giudizio di con darpia nei confronti del preteso responsabile dell'imposta dovuta dalla societ. Il ricorso non fondato. Il vizio di attivit denunciato col primo motivo non sussiste, giac ch -come risulta dalla narrativa che precede -la corte d'appello ha esaminato la domanda che il Lamburghini assume trascurata e l'ha di sattesa, individuando negli artt. 265, 267 e 270 del citato testo unico la fonte del potere dell'Intendente di finanza di accertare i presupposti della responsabilit di cui si discute e di porre in essere il titolo per l'attua zione della relativa sanzione. Se, pertanto, la censura qui proposta dovesse essere interpretata come limitata alla denuncia di omesso esame di que sto profilo della domanda, il compito di questa Corte potrebbe ritenersi esaurito con il rilievo test svolto. Possono tuttavia ritenersi implicite nel ricorso la contestazione delle ragioni in base alle quali quel profilo stato disatteso e la riproposizione dell'assunto gi prospettato al giudice di merito; ed invero la forma in cui stata dedotta la questione di costitu zionalit involge appunto una tesi principale -ribadita poi e sviluppata nella memoria -nel senso che l'esatta interpretazione del sistema (de nunciato altrimenti come sospetto) condurrebbe a ritenere illegittimi il decreto intendentizio e la procedura esattoriale. I I I ! I I I I I PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA Ma quella tesi non fondata. Come gi queste Sezioni unite hanno pi volte affermato (e da ulti mo, in una controversia tra le stesse parti: v. sent. n. 2145/85), il decreto con cui l'intendente di finanza individua il soggetto tenuto a rispondere, ex art. 265 del t.u. n. 645, del mancato pagamento del debito tributario della Societ, legittimando cos nei confronti di lui l'esecuzione esatto riale, non previsto in modo espresso da una particolare disposizione di legge, ma configurabile -secondo le inequivoche implicazioni del si stema -come, atto di specifica attribuzione dt;ll'Intendente. Ci, sia per la competenza generale di questo come organo preposto, tra l'altro, alla vigilanza sull'esattezza e sulla puntualit delle riscossioni e sulla realiz zazione anche in via giudiziaria dei crediti erariali, sia per quella, pari menti generale, ad accertare la conformit del ruolo alle disposizioni di legge e renderlo esecutivo (art. 185 t.u. citato), si11 per quella pi speci fica ad applicare le sanzioni diverse dalla sopratassa (art. 27 o dello stes so testo unico). E la responsabilit del liquidatore e dell'amministratore prevista appunto -come risulta anche dalla collocazione dell'art. 265 -a titolo sanzionatorio. Se a ci si aggiunge che la P.A. pu esprimere anche in forma esecutiva le sue pretese senza bisogno di rivolgersi previamente al giudice e che perci deriva dai principi la possibilit che essa individui direttamente il ,soggetto responsabHe e lo chiami autoritativamente a ri spondere, appare pienamente coerente col sistema che sia l'intendente di finanza l'organo abilitato a determinare i presupposti necessari affinch rau1vita di riscossione cui il ruolo preordinato possa concretamente svolgersi nei confronti di tale soggetto. N per legittimarsi tale attivit necessaria l'emissione di un nuovo ruolo nei confronti del liquidatore o dell'amministratore. In proposito stato gi affermato che la natura non tributaria del debito di cui si discte esclude la possibilit di una sua iscrizione a ruolo (v. sent. n. 2145/'85 citata e arg. ex artt. 173 gg. del citato testo unico) e che, nel sistema d~lla legge, urta volta intervenuto il provvedimento dell'intendente di finanza, l'iscrizione effettuata al nome della societ costituisce egualmente titolo di esigibilit del debito stesso nei confronti del liquidatore o dell'amministratore. Pu aggiungersi, contro la tesi del ricorrente, che il contenuto dei ruoli determinato dalla legge e che, secondo gli artt. 182 e 183 del citato testo . unico, la materia di cui si discute non prevista come possibile conte nuto di ruoli straordinari o speciali. Ci, senza dire dell'anomalia di una ulteriore iscrizione a ruolo della stessa somma (sia pure nei confronti di soggetto tenuto a rispondere a diverso titolo), in un sistema in cui il ruolo costituisce l'esattore debitore delle somme iscritte, indipendentemente . dalla loro riscossione 854 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (art. 63 dell'allora vigente t.u. 15 maggio 1903 n. 858), e quindi dell'anomalia di una ulteriore obbligazione dell'esattore verso l'erario. Deve quindi ritenersi legittima l'estensione al Lamburghini del titolo di esigibilit costituito dal ruolo in cui stato iscritto il debito della societ. Rimane con ci disattesaanche la questione (di cui all'ultima parte della memoria del ricorrente) relativa alla nullit dell'avviso di mora ed alla illegittimit ex tunc della esecuzione esattoriale. Manifestamente infondata infine deve ritenersi la eccezione di illegittimit costituzionale della normativa che attribuisce all'intendente di finanza la competenza di cui si detto, con riferimento all'art. 102 Cost. L'intendente interviene, infatti, nella materia, non in funzione di giudice, ma in funzione di organo amministrativo, con un provvedimento che ha natura amministrativa, ha l'esecutoriet propria degli atti amministrativi e non suscettibile di passare in giudicato. Il tutto appare pi evidente dal rilievo che giudice della legittimit della pretesa espressa dal decreto intendentizio rimane pur sempre l'A.G.O., dinanzi alla quale la stessa Amministrazione finanziaria (cui l'intendente appartiene) ad assumere la qualit di parte nel cui contraddittorio vengono accertati i presupposti della responsabilit. del liquidatore o dell'amministratore. Nono sono quindi pertinenti i rilievi svolti dal ricorrente sulla base della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le norme della legge 7 gennaio 1929, n. 4 relative al decreto penale dell'Intendente di finanza (omissis). III (Omissis). -Col primo motivo si denuncia il difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie. Il ricorrente, richiamando il principio n. 1273, sostiene che la controversia insorta sui presupposti della personale responsabilit di cui si tratta non ha ad oggetto il debito d'imposta della societ, ~ rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella delle commissioni tributarie. La censura priva di fondamento. Il principio richiamato nel ricorso appartiene, i:q. Vf(rit, alla gurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, anche a Sezioni Unite; ma stato affermato con riferimento alla disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ed stato affermato sul rilievo che quella del liquidatore inadempiente all'obbligo di estinguere il debito tributario della societ una responsabilit di tipo sanzionatorio, il cui accertamento non involge l'an ed il quantum di tale R r PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA debito, cio quei temi che costituiscono l'oggetto della competenza delle commissioni tributarie. Con l'entrata in vigore del d.P.R. citato la mate ria della responsabilit personale del liquidatore verso l'Amministrazione finanziaria stata modificata con innovazioni di natura sostanziale e di natura procedimentale, essendosi appunto previsto (art. 36) che la re sponsabilit in parola va contestata con avviso di accertamento emesso dall'Ufficio delle Imposte dirette e che contro di esso ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636: quindi ricorso alle commissioni tributarie. E sicco me, nel caso in esame, il procedimento ha avuto. appunto inizio dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e con .le forme da essa pre viste, esso rimane -quanto a modalit di svolgimento e quanto a com petenza degli organi giurisdizionali -interamente disciplinato dalla nor mativa stessa, sebbene la contestata responsabilit tragga origine dal' mancato pagamento di imposte ormai abolite. Ed invero, per quanto ri guarda il profilo qui considerato, le disposizioni transitorie del d.P.R. ci tato non contengono alcuna deroga al principio dell'immediata applica bilit delle norme di natura processuale. Col secondo motivo il ricorrente lamenta che la commissione tributaria centrale, nel negare che fosse stato dimostrato il corretto impiego delle attivit della liquidazione, abbia omesso di considerare i documenti comprovanti che con quelle attivit erano stati soddisfatti creditori ipotecari, i quali avevano diritto, in quanto tali, di essere preferiti al fisco. La censura non . fondata. Essa sottintende l'assunto che la responsabilit del liquidatore . esclusa quando le attivit predette siano state impiegate nell'estinzione di crediti aventi grado poziore rispetto a quelli tributari, cio quell'assun" to che trova ora una base normativa nell'art. 36 del d.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973. Ma tale disposizione ha carattere innovativo, e non pu trovare perci applicazione quando i presupposti della responsa bilit del liquidatore si siano verificati nella vigenza dell'art. 265 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 (come appunto nel caso in esame: dato che la so ciet Torricella era stata cancellata gi dal 9 agosto 1972). Tale art. 265, infatti, stato abrogato (dall'art. 104 del d.P.R. n. 602) a decorrere dal primo gennaio 1974, per cui rimangono ferme le conseguenze di natura sanzionatoria scaturite gi anteriormente dalla. sua inosservanza e i rela tivi criteri di vajutazione. Orbene, secondo il ripetuto art. 265 (e giusta l'interpre,tazione gi adottata da questa Corte: v. sent. 29 ottobre .1974, n. 3259), il liquidatore che, valutata con la necessaria diligenza la situazione patrimoniale della societ, constati l'insufficienza del patrimonio al soddisfacimento di tutte le passivit, e quindi l'impossibilit di estinguere i debiti tributari, non pu posporre le ragioni del fisco (che quella disposizione vuole comun 856 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO que garantire). a quelle di altri creditori che ritenga assistiti da garanzie poziori, ma, se vuol evitare la sua personale responsabilit verso il fisco, non ha altra scelta che accantonare le disponibilit e chiedere il fallimento della Societ. La possibilit del liquidatore di risi>lvere problemi di graduazione con effetti per 1ui liberatori rispetto alla responsabilit di cui all'art. 265 del t.u. n. 645 (responsabilit prevista incondizionatamente, a differenza di quanto ora dispone il citato art. 36), presupporrebbe almeno la natura concorsuale del procedimento di liquidazione, con le connesse garanzie per i creditori (v. ad esempio gli artt. 498 sgg. cod. civ. in tema di eredit beneficiata). Ma tale natura il predetto procedimento non ha, per cui l'incondizionata responsabilit prevista dailo art. 265 non puq consentire la deroga che il ricorrente pretende. evidente allora, la irrilevanza della documentazione della quale si lamenta l'omesso esame (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 maggio 1985, n. 2829 -Pres. MoS.Cone Est. Senofonte -P. M. Di Rienzo (conf.). -Costa (avv. Paolucci) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Ferri). Tributi in genere Repressione delle violazioni Vizi del provvedimento Impugnazione Giudizio di merito sul rapporto Irrilevanza dei vizi. Oggetto del processo sulle sanzioni non tanto l'atto autoritario bens~ la pretesa sanzionatoria della quale il giudice investito dell'opposizione all'atto che la esprime deve .autonomamente accertare i presupposti sostanziali (riconducibilit del comportamento concreto alla previsione legale); ne consegue che i vizi formali del provvedimento sanzionatorio sono irrilevanti (1). (1) Decisione di molto interesse, al di l della fattispecie decisa. Essendo il giudizio sulle sanzioni di diritto soggettivo, sulla sussistenza della violazione e con cognizione piena, sono indifferenti i vizi formali del provvedimento sanzionatorio. Questo principio oggi affermato in materia valutaria (sul punto Cass. Zl gennaiio 19Sl, n. 602, in Dir. Prat. Trib. 1&81, Il, 12118), valevole anche per i provveddmentd ex art. 55 e isegg. de11a legge 7 gennaio 1929, n. 4 con i quali unitamente alla irrogazione della sanzione si accerta il debito di imposta (Ciass. 7 aprile 1976, n. 11~ dn questa Rassegna, 1976, I, 608). Ma lo stesso principio vale per l'accertamento in genere e per il giudizio, sempre sul rapporto, innanzi alle commissioni; quando si aecide nel merito la sussistenza dell'obb.higazione e se ne determina la quantit, non sono pi rilevanti i vizi di forma dell'accertamento la cui perfezione non l'oggetto dei giudizio. Ci non significa che nessun vizio sia mai rilevante. In presenza di vizi sostanziali che invalicl,ano la potest di accertamento il giudice dovr dichiarare . ' .....,.,,.,,,,. P-mP~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 857 (omissis) Il primo motivo non fondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata deve essere sul punto corretta, ai sensi del l'art. 384, cpv., c.p.c., per le ragioni che seguono. La tecnica della disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice ordinario presuppone, infatti, la qissociazione tra vali dit ed efficacia dell'atto (imperativit dell'atto invalido), con la conse guente degradazione del diritto soggetivo ad interesse legitti,mo (da ulti mo, Cass. 3849/1984, conf. Cass. 6252/1981), e non , quindi, utilizzabile nei casi in cui il cittadino faccia valere l'incomprimibile diritto a non subire lesioni del proprio patrimonio mediante irrogazioni di sanzioni amministrative non conformi a legge. Il rifiuto della Corte felsinea di disapplicare il decreto xninisteriale opposto sarebbe, quindi, sotto questo aspetto, legittimo. Ma i giudici bolognesi, privilegiando altra (e contrapposta) ottica, haiino diversamente motivato il rigetto della richiesta . di disapplicazione, affermando che esclu sivamente competente a pronunciarsi sui vizi fon:iali del provvedimento (non riguar:danti 1a sua esistenxa o provenienza dall'organo che al?Paren temente lo ha emanato) sar:ebbe il giudice amministrativo. La proposizione errata, perch, indipendentemente dalla ipotizzazione (sostenuta specialmente in dottrina) di una competenza piena ed esclusiva (estesa, cio, anche agli interessi legittimi) dell'autorit giudiziaria nella materia, l'indifferenza dei vizi considerati nel processo di, nanzi al giudice ordinario, ha, nel caso di specie (e negli altri. con ana l'insussistenza del credito, ma non annullando l'accertamento viziato bens dichiarando che la pretesa all'imposta non stata validamente manifestata. :E!. pertanto importante la sentenza in esame che riconferma un principio che vi.iene sempre pi msistentemente messo in dubbio (v. Cass. 23 marzo 1985, :p. 2085, in questa Rassegna, 1985, I, 659 con nota di C. BAFILE e in Riv. Dir. Finanz. 1985, Il, 137 con nota di F. TESAURO). Il processo tributario non pu essere allo stesso tempo di legittimit e di merito; non pu tendere all'annullamento dell'accertamento per ogni sorta di vizio (come il processo amministrativo) e in mancanza di vizi all'accertamento del rapporto con riduzione anche della base imponibile (come il processo ordinario). E non vale l'accostamento con il giudizi<> di opposizione all'ordinanza ingiunzione per le sanzioni depenalizzate che comincia a profilarsi come giu . dizio di annullamento e di merito; questo un particolare giudizio caratteriz zato da una norma (art. 23, legge 24 novembre 1981, n. 689), specificamente diretta a rompere lo schema tradizionale del divieto fatto al giudice ordinario di sindacare l'atto amministrativo risalente all'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 alil. E (Caisis. 7 marzo 1985, n. 1880 e 22 apriHe 1980, n. 2645 in Foro It. 1985, I, 946 e 1294); Peraltro proprio il potere conferito al giudice di modificare (o sostituire) l'ordinanza anche per la sola entit della sanzione, sta a significare che il giudizio non di annullamento, ma di verifica del comportamento rispetto alla previsione di legge sia pure con le maggiori garanzie di controllo del legittimo esercizio del potere sanzionatori. 858 R~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO . . loghe caratteristiche), radici pi profonde identificabili nella irrilevanza di essi (Cass. 2989/1978, 1223/1976, 2824/1971), poioh oggetto di tale processo non tanto l'atto autoritativo, comunque strutturato, bens la pretesa sanzionatoria, della quale il giudice investito dell'opposizione all'atto che la esprime deve autonomamente accertare i presupposti sostanziali (riconducibilit del comportamento concreto alla previsione legale). La statuizione impugnata, cos emanata nella motivazione, non pu essere, pertanto, cassata (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1985, n. 2871 -Pres. Cusani , Est. Sensale -P. M. Fabi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Corti) c. Quinteri (avv. Falsitta). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado Valu tazione estimativa Questioni relative all'esistenza del cespite. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile Plusvalenza Intento di speculazione Accertamento Deducibilit nel gi dizio di terzo grado. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). Tributi erariali diretfi Imposta sui redditi di ricchezza mobile Redditi di capitale Presunzione di fruttuosit -Deducibilit in terzo grado. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 86; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). I poteri del giudice di terzo grado, corrispondentl. a quelli che prima della riforma erano attribuiti alla Commissione centrale e al giudice ordinario, non si estendono alle questioni di fatto relative alla valutazione estimativa nella quale-vanno ricomprese le questioni relative all'esistenza del reddito o del cespite o del presupposto materiale e oggettivo del tributo (1). L'accertamento dell'intento di speculazione nella realizzazione di plusvalenza, anche se attiene al mero fatto, costituendo la condizione in presenza della quale il reddito soggetto a tributo, ricompreso nella competenza del giudice di terzo grado (2). i(ll) Nello stesso senso altra pronuncia fra le stesse parti 24 ottobre 1985, n. 5250. La prima massini.a ormai consolidata e nella sua ripetitivit rischia di div;enllare una fomnula vuota (cfr. fra le pi recenti 13 ottobre 1983, n. 5960; 8 novembre 1984, n. 5643 e 12 novembre 1984, n. 5690 in questa Rassegna, 1984, I; 1135 e 1985, I, 168 e 169). (2) La seconda massima del pari ormai ben ferma (sent. n. 5960 del 1983 cit.). PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 859 La determinazione della sussistenza del reddito da interessi per presunzione di fruttuosit di capitali impiegati, a norma dell'art. 86 del t.u. delle imposte dirette, poich non ha ad oggetto la mera individuazione della base imponibile nei suoi elementi costitutivi, deducibile in terza grado (3). (omissis) 1. -Con il primo motivo l'Amministrazione delle Finanze denuncia, ai sensi dell'art. 3.60 n. 1 c.p.s., la violazione dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, deducendo che la Commissione tributaria centrale -nel rinnovare l'esame della questione relativa all'esistenza dell'intento speculativo nelle operazioni di compravendita delle azioni della Banca di Calabria, da cui ha tratto origine la presente controversia avrebbe ecceduto dai limiti della propria giurisdizione. Secondo l'Amministrazione, la questione concernente l'esistenza del~ l'intento speculativo andrebbe classificata nell'ambito delle questioni di estimazione semplice, sottratte alla cognizione della Commissione tri butarfa centrale. E -come ha spiegato nel corso della discussione orale, a precisa zione dell'esatto ambito della censura proposta -del pari sottratta a tale cognizione sarebbe la questione relativa. alla tassabilit degl'interessi pre suntivamente ricavati dalla contribuente dal possesso di somme di denaro derivato dalla vendita di terreni e di suoli edificatori. Tali censure sono infondate. Il problema dei limiti di cognizione della Commissione tributaria centrale stato diffusamente esaminato da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 5960/83 ed qui sufficiente riassumere i principi in essa enun ciati. A) La Commissione centrale organo di giustizia tributaria dello stesso ordine di giurisdizione speciale al quale appartengono le Commis (3) Nuova invece l'affermazione dell'ultima massima. In passato si riteneva che la valutazione degli elementi in base ai quali si stabilisce la presun zione di fruttuosit dei capitali rientrasse nella estimazione semplice (8 no. vembre 19711, n. 311411 in questa Rassegna, 19711, I, 98). La contraria odierna affermazione basata sulla considerazione che, come nell'accertamento dell'intento di speculazione, oggetto della controversia non soltanto il fatto imponibile e la sua quantit ma l'applicazione di una norma di legge, contraddice alla prima massima Lo stabilire se si prodotto o meno un reddito di capitali questione che riguarda appunto l'esistenza del reddito o del presupposto; e non basta che si faccia ricorso a presunzioni legali per affermare che in ogni caso si controverte sulla applicazione della legge 1'. ovviamente ben possibile che si discuta anche della applicazione e interpretazione della norma ed in tal caso potr sorgere una questione (preliminare) di estimazione complessa, ma non sembra potersi dubitare che l'apprezzamento in punto di fatto, con valuta zione della prova, per accertare l'esistenza del reddito e valutarne la misura rientri nella valutazione estimativa. 860 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sioni di primo e di secondo grado, s che accertare se la questione, a motivo della sua inerenza o meno all'area della valutazione estimativa, debba ritenersi riservata a tali Commissioni o di essa possa conoscere la Commissione centrale in sede di gravame problema che non incide sUilla giurisdizione, bens sulla ripartizione della competenza interna fra giudici dell'unica giurisdizione speciale, coordinati fra loro per ragioni di grado e di materia. B) La formula estimazione semplice e quella per soli motivi di legittimit, contenute nell'art. 10, n. 14 della legge di delega, per la riforma tributaria (9 ottobre 1971, n. 825) e che sono testualmente riprese dalla precedente normativa (sotto il cui vigore si era elaborata una nozione di estimazione complessa tale da comprendere non solo le questioni di diritto, comprese quelle attinenti a vizi in procedendo, ma anche gli accertamenti di fatto costituenti la premessa necessaria per l'applicazione della legge), iivelano l'intento legislativo di conservare, in via di principio, alla Commissione centrale (e alla Corte d'appello) la medesima sfera di competenza che ad esse veniva attribuita nella disci plina allora in vigore, con la cons~guenza che l'espressione per soli motivi di legittimit non equivale a motivi attinenti esclusivamente a questieni di diritto e non corrisponde al disposto dell'art. 360, n. 3 c.p.c. , relativo all'ambito del giudizio di cassazione. C) L'art. 26 del decreto presidenziale n. 636 del 1972, comprendendo nell'ambito dei poteri cognitivi della Commissione centrale e della Corte d'appello le denunzie di violazione di legge e le questioni di fatto, escluse soltanto quelle relative a valutazione estimativa, e ponendo una discriminazione delle questioni di fatto, secondo che esse ineriscano, oppur no, a valutazione estimativa, ha eliminato le ragioni d'incertezza presenti nella precedente disciplina, attraverso il superamento della nozione di estimazione complessa nel senso che ormai tutte le questioni di. fatto estranee a valutazione estimativa (e tutte le questioni di diritto) sono indiscutibilmente attratte nella cognizione piena della Commissione tributaria amtrale e della Corte d'appello. D) L'ambito della valutazione estimativa, come attivit di giudizio, comprende non solo la mera quantificazione, ma anche le questioni' di fatto relative alla esistenza del reddito o del cespite e, in genere, della base imponibile e del presupposto materiale ed oggettivo del tributo, restandone escluse -in quanto non relative a valutazione estimativa le questioni concernenti la individuazione dei soggetti passivi del rapporto tributario e la loro qualit e modo d'essere, nonch la tassabilit, o meno, del reddito o del cespite, in relazione, ad esempio, al concorso di ulteriori condizioni richieste dalla legge per la integrazione della fattispecie o alla spettanza di esenzioni, agevolazioni o detrazioni, al cui fine PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA '861 non precluso alla Commissione centrale e alla Corte d'appello l'accertamento degli elementi di fatto che quelle condizioni realizzino o che diano diritto a quelle esenzioni, agevolazioni o detrazioni, appunto perch integranti questioni di fatto non relative a valutazione estimativa e non strettamente implicate da questa. E) Il problema relativo alla sfera di cognizione della Commissione tributaria centrale si pone in quanto sulla individuazione del reddito o del cespite (e, in genere, dei presupposti materiali ed oggettivi del tributo) ovvero sulla loro quantificazione vi sia contestazion~. F) Questione di fatto relativa a valutazione estimativa , con la indi . viduazione e la quantificazione del cespite o del reddito, ogni questione di fatto strettamente implicata dalla valutazione estimativa, qual ad esempio, per le imposte indirette, l'accertamento della esistenza del negozio che costituisce il presupposto della imposizione, esclusa la qualificazione di esso che postula il compimento di una operazione giuridica, non lllteressata dalla bipartizione tra questioni di fatto e questioni di fatto relative a valutazione estimativa. 2. Alla luce di queste premesse, nella vichiamta decisione si ritenuto che, in tema di plusvalenze tassabili, le questioni di fatto relative a valutazione estimativa sono limitate a quelle nelle quali vengano in discussione l'esistenza della plusvalenza e l'ammontare di essa (costituente il reddito che pu essere assoggettato alla imposta di ricchezza mobile ai sensi dell'art. 81 opv del t.u. n. 645 del 1958, aipplicabi:le alla controversia in esame con riguardo al tempo in cui il presupposto della imposizione si ve:i;ificato), mentre l'accertamento della dipendenza, o meno, di essa da operazioni speculative (l'accertamento, appunto, dell'intento speculativo) ha per oggetto la condizione, in presenza della quale quel reddito soggetto a tributo, e ifa sor:gere Uill problema di tassabilit del reddito e non gi di accertamento -nell'an e nel quantum -di esso. In tale prospettiva, non occorre chiedersi se, in concreto, siano sorte, oppur no, questioni di diritto, sull'ambito di applicazione della norma, di sussunzione della fattispecie concreta nel modello legale, di . qualificazioi:ie giuridica di atti: questioni, tutt, di diritto in ordine alle quali un dubbio sui poteri col:Dtivi della Commissione centrale non avrebbe modo di arlarsi d'inutilit d'un simile provvedimento agli effetti del trasferimento della propriet, occorrer rifarsi per la regolamentazione giudiziale del conflitto d'interessi alle regole elaborate prima della citata sentenza n. 1464/1983 delle Sezioni Unite: spetteranno, cio, al proprietario l'indennit d'ocupazione legittima e quella d'esproprio ed, inoltre, il risarcimento dei danni per il periodo d'occupazione illegittima. Viene, cos, ad assumere decisiva rilevanza l'esatta individuazione del momento di realizzazione dell'opera pubblica, da questa indagine di fatto dipendendo la ricostruzione del trasferimento della propriet dei beni occu pati (in termini d'illecito ovvero di legittima acquisizione per atto autoritativo) con radicale diversit di conseguenz giuridiche per i soggetti interessati alla vicenda. Nel claJso deciso dal Tribunale Superiore -.giova ripetere -i giochi erano ormai stati fatti e non restava che trame le implicazioni, cui si accennato, agli effetti della prescrizione Ma va affidata alla riflessione del cortese lettore la seguente constatazione: dalla narrativa (qui omessa) della sentenza risulta che l'occupazione, autorizzata in via d'urgen:ioa con decreto prefettizio, era avvenuta nel dicembre 1972; risulta, sempre dalla narrativa, che con la do manda di danni i proprietari avevano collocato il completamento dell'opera nel 1974. Non si in grado, per, di verificare quale scrupolo d'indagine fosse sotteso alla pronuncia di primo grado che aveva accertato avvenuto il com pletamento dell'opera prima del maggio 1975 '" SERGIO LAPORTA ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO, avrebbe riconosciuto il loro diritto ad ottenere l'indennit di espropriazione con nota del 24 marzo 1981 e con decreto del 19 novembre 1982. agevole obiettare che l'asserito riconoscimento, in quanto successivo alla scadenza del termine di prescrizione, potrebbe esser apprezzato non come atto interruttivo del periodo prescrizionale, ex art. 2944 cod. civ., ma solo come implicita rinunzia alla prescrizione gi compiuta, ex arti colo 2937, terzo comma, cod. civ.; e gli atti suddetti, che att