ANNO XXXVII -N. 4-5 LUGLIO -OTTOBRE 1985 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO . ROMA 1985 ABBONAMENTI ANNO 1985 ANNO. L. 33.350 UN NUMERO SEPARATO , 6.100 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza O. Verdi, 1 O -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printe in Ital, Autorlnaslone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lualio 1966 (7219072) Roma, 1985 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura de//' avv. Franco Favara) pag. 521 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNA ZIONALE (a cura de/l'avv. Oscar Fiumara) 548 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDI ZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) li 576 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Paolo Cosentino e Anna Cenerini) , 596 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura de gli avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) 618 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafile) , 649 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) > 669 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) > 678 Parte seconda: QUESTIONI RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE INDICE BIBLIOGRAFICO RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , 137 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILE, L'Aquila; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI C. BAFILE, Nuovi orizzonti per il processo tributario? ..... . I, 660 A. CENERINI, Art. 22 legge 11/1971 Applicabilit alle concessioni dei beni demaniali . . . . . . . I, 601 G. D'ELIA, L'obiezione di coscienza ed i poteri della commissione di cui alla legge 7721972: un problema irrisolto . . . . . . . . . I, 618 M. STEIN, Note sulla 1evocabilit dei provvedimenti pretorili di urgenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 612 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Mancata correzione di acconti alla scadenza -Sospensione dei lavori da parte dell'impresa -Legittimit, 671. ASSICURAZIONE -Assicurazione r.c.a. -Azione diretta del danneggiato -Pregiudizio prodotto dal ritardo nell'adempimento della prestazione da parte dell'assicuratore -Risarcibilit -Limiti del massimale -Irrilevanza, 606. COMMERCIO -Disciplina di esso -Vendita in farmacia di zoccoli anatomici -Condizioni, con nota di V. NUNZIATA, 596. COMPETENZA. E GIURISDIZIONE -Cinematografia -Ammissione alla programmazione obbligatoria -Diritti ai contributi -Annullamento Degradazione a interessi legittimi Lesione -Giurisdizione amministrativa, 576. COMUNIT EUROPEE -Agricoltura -Associazioni di produttori agricoli -Normativa regionale di attuazione -Contrasti con il diritto comunitario -Insussistenza, 548. -Agricoltura -Associazioni di produttori agricoli -Normativa regionale e provinciale di attuazione -Mancanza in una parte del territorio nazionale, 548. -Agricoltura -Associazioni di produttori agricoli -Requisiti per il riconoscimento e per la revoca di esso -Legislazione nazionale e regionale di attuazione -Limiti, 548. -Agricoltura -Mercato dei cereali Importazioni via mare in Italia Agevolazioni temporanee -Requisiti, 566. -Libera circolazione delle merci Transito comunitario -Regime di libera pratica, 566. -Ravvicinamento delle legislazioni Appalti di lavori pubblici -Procedure di applicazione, 557. -Unione doganale -Regime fiscale discriminatorio -IVA -Vini spuman' ti,. 571. CONTABILITA. PUBBLICA -Contratti della pubblica ammm1strazione -Forniture -Revisione dei prezzi -Previsione in contratto Diritto soggettivo alla revisione, 669. CORTE COSTITUZIONALE. -Regolamenti parlamentari -Insilldacabilit, 524. COSA GIURIDICA PENALE --Effetti -Inammissibilit di un secondo giudizio ( ne bis in idem ) Fatto compatibile con quello giudicato in precedenza -Concorso materiale -Sussistenza, 678. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Relazione di stima -Notifica dell'avvenuto deposito -Non prevista Legittimit costituzionale, 533. FORZE ARMATE -Servizio militare -Obiezione di coscienza -Natura giuridica -Ammissione ad un beneficio e non automatico riconoscimento di un diritto, con nota di G. D'ELIA, 618. . . 1 ~ti~r:1r&i=trJifrttffir!i;m;rrl~rrfrr1&1:::::1&wt1::::t@::1:r:11=::::ri~r1:::;::r~::;::r111::;:~11m1~1111:::;1;~1;111:;11r1i~rrrir1(r11i1~m~r:r:1~1rrm111r;:1111rr!filf~1r:1~~11; INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA -Servizio militare -Obiezione di coscienza -Procedimento per l'ammissione al beneficio -Domanda -Onere di illustrazione dei motivi a carico dell'obiettore -Non sussiste, con nota di G. D'ELIA, 618. GIURISDIZIONE CIVILE -Concessione per i servizi di assistenza a terra del traffico aereo (handling) negli aeroporti di Linate e della Malpensa -Tariffe della societ concessionaria -Previa approvazione del Ministero dei Trasporti Portata -Atti di rifiuto o di ritardo in relazione a richiesta di adeguamenti tariffari -Annullamento per illegittimit da parte del giudice amministrativo -Risarcimento del danno -Giudice ordinario, con nota di G. PALMIERI, 585. -Impiego pubblico -Associazioni sindacali -Diritti sindacali -Tutela Repressione della condotta antisindacale -Distinzione -Diritti sindacali esclusivi del sindacato -Giurisdizione ordinaria -Diritti sindacali connessi a posizioni di pubblico impiego -Giurisdizione am ministrativa esclusiva, 592. -Provvedimenti di urgenza Controversie di competenza dell'a.g.o. -Revoca -Giudizio di merito -Ammissibilit, con nota di M. STEIN, 612. -Provvedimenti di urgenza -Revoca Ammissibilit da parte del giudice di merito, con nota di M. STEIN, 612. GIUSTIZIA AMIINISTRA TIVA -Appello incidentale -Termine -Riproposizione dei motivi del ricorso -Ammissibilit, 633. -Giudicato -Ricorso per l'esecuzione -Credito del dipendente pubblico -Domanda di rivalutazione Ammissibilit -Rimessione all'Adunanza plenaria, 631. -Giurisdizione esclusiva -Controversie in materia di pubblico impiego Provvedimenti cautelari provvisori e d'urgenza, 531. IMPUGNAZIONI PENALI -Sentenza che dichiara causa estintiva del reato -Improponibilit in cassazione di difetto di motivazione anche ai fini ' dell'applicazione dell'art. 152, cod. proc. pen., 678. LAVORO -Appello -Documenti non prodotti in primo grado Ammissibilit, 6fY7. -Sciopero -Diritto costituzionalmente protetto Mancanza di leggi ordinarie regolatrici Suo esercizio Limiti inerenti alla categoria Ordinanza di urgente necessit -Am missibilit, con nota di E. SERNICOLA, 640. PATRIMONIO DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI -Beni indisponibili -Fondi rustici Concessione amministrativa -Proroga del contratto ex lege 11 febbraio 1971, n. 11 -Non si applica, con nota di A. CENERINI, 601. -Beni indisponibili Utilizzazione da parte di privati -Atto di concessione -Necessit, con nota di A. CENERINI, 600. PENA -Gioco d'azzardo -Case da gioco Principio di eguaglianza -Non leso, 521. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Televisone -Ripetitori di emittenti estere -Obbligo di eliminare i messaggi pubblicitari -Illegittimit costituzionale, 539. PROCEDIMENTO CIVILE -Cassazione civile -Notifica del ricorso -Rinnovazione per iniziativa di parte -Sanatoria con effetto ex tunc , con nota di C. BAFILE, 659. PROCEDIMENTO PENALE -Dibattimento -Pubblico Ministero Omissione di conclusioni nei confronti dell'imputato -Nullit sanabile ex art. 471 cod. proc. pen., 678. VllI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO REATO -Delitto di cui all'art. 476 cod. pen. Certificati di provenienza emessi da privato esercente deposito libero di olio minerale per uso commerciale Sono atti pubblici, 678. -Delitto di concussione -"Metus publicae potestatis -Contenuto, 682. -Delitto di corruzione per atio contrario ai doveri di ufficio -Individuazione dell'atto, 682. -Delitto di corn1zione per atto contrario ai doveri di ufficio -Premessa o ricezione dell'utilit non seguita dall'atto che il p. u. si impegnato a compiere -Sussistenza del reato, 682. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Motivazione -Requisiti -Spettanza di agevolazioni Art. 15 legge 6 agosto 1967, n. 765 Motivazione per relationem -Legittimit, con nota di C. BAFILE, 659. -Ilor -Rilevanza delle risultanze catastali -Voltura richiesta e non eseguita per disfunzione del catasto Non determinano illegittimit costituzionale, 535. -Imposta sul reddito delle persone giuridiche -Enti commerciali e non Consorzio di garanzia fidi senza fine di lucro -Non ente commerciale, 650. -Riscossione -Cartella dei pagamenti -Requisiti -Omessa indicazione dell'imponibile 'e dell'aliquota -Nullit, 657. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Consolidazione di usufrutto -Costituzione in epoca anteriore alla riforma e riunione in epoca successiva -E' dovuta la imposta di consolidazione secondo le norme abrogate, 653. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributario -Appello Presentazione del ricorso -Irregolare notifica -Effetti, 649. -Contenzioso tributario -Oggetto del processo -Accertamento -Difetto di motivazione -Dichiarazione di nullit, con nota di C. BAFILE, 659. URBANISTICA -Edilizia -Enel -Costruzione di oleodotto -Difetto di concessione -Sospensione dei lavori -Illegittimit, 633. -Localizzazione -Assenza di previo contraddittorio con i soggetti interessati -Legittimit costituzionale, 545. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 23 maggio 1985, n. 152 . . 23 maggio 1985, n. 154 . . 28 giugno 1985, n. 17 ottobre 1985, n. 17 ottobre 1985, n. 17 ottobre 1985, n. 25 ottobre 1985, n. 190. 226. 229 (in cam. cons.) . 231 . 234 .......... CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sed. plen., 28 marzo 1985, nella causa 272/83 . Sed. plen., 28 marzo 1985, nella causa 274/83 . Sez. I, 20 giugno 1985, nella causa 69/84 . Sed. plen., 11 luglio 1985, nella causa 278/83 .. GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 18 ottobre 1984, n. 5247 . Sez. III, 1 febbraio 1985, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. Sez. I, 5 febbraio 1985, n. Sez. I, 5 febbraio 1985, n. Sez. I, 27 febbraio 1985, Sez. I, 23 marzo 1985, n. Sez. III, 5 luglio 1985, n. Sez. Un., 16 luglio 1985, Sez. Un., 16 luglio 1985, n. n. 660. 774 . 778 .. 786 . . 1703 . 2085 . . 4064 .. n. 4151 . n. 4154 . Sez. Lavoro, 20 luglio 1985, n. 4306 . Sez. Un., 26 luglio 1985, n. 4350 . Sez. I, 24 ottobre 1985, n. 5232 . . . TRIBUNALE DI TORINO Sez. VI, 1 agosto 1985, ordinanza del G.I. Sez. VI, 1 agosto 1985, ordinanza del G.I. Pag. 521 524 531 )) 533 535 539 )) 545 Pag. 548 557 )) 566 571 Pag. 576 600 649 650 )) 653 657 659 606 )) 585 592 607 669 671 Pag. 612 612 X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 25 maggio 1985, n. 16 ...... . Pag. 618 " X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 25 maggio 1985, n. 16 ...... . Pag. 618 " Sez. IV, 27 maggio 1985, n. 212 (ordinanza) . 631 Sez. VI, 13 maggio 1985, n. 197 . . 633 Sez. VI, 21 ottobre 1985, n. 520 . . . . . . 640 GIURISDIZIONI PENALI CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sez. III penale, 24 maggio 1985, n. 5103 . Pag. 678 Sez. VI, 29 ottobre 1985, n. 9998 . . . . . 682 PARTE SECONDA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Questioni di legittimit costituzionale I -Norme dichiarate incostituzionali II -Questioni dichiarate non fondate III -Questioni proposte . . . . . . . Pag. 137 138 140 PARTE PRIMA I ~: I GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1985, n. 152 -Pres. e Rel. Elia Comune di Sanremo e Vento Osvaldo (avv. Gallo, Ukmar e Guidi), Comune di Anzio (avv. D'Amelio), S.I.T.A.V. (avv. Lubrano) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. ~en. Stato Azzariti). Pena Gioco d'azzardo -Case da gioco Principio di eguaglianza Non leso. (Cost., art. 3; l. 3 novembre 1954, n. 1042; l. 20 novembre 1955, n. 1179; l. 18 fehh~;>in 1963, n. 67; l. 6 dicembre 1971, n. 1065 e l. 26 novembre 1981, n. 690). La circostanza che condizioni analoghe a quelle in passato considerate per autorizzare l'apertura, in deroga a norme penali, di una casa da giuoco siano presenti anche in altri comuni o regioni, di per s non concreta lesione dell'art. 3 Cast. n pu giustificare estensioni della deroga. Peraltro, appare necessario pervenire, in tempi ragionevoli, ad una legislazione organica che razionalizzi l'intero settqre. (omissis) Le ordinanze del Giudice conciliatore di Sorrento, del Pretore di Sanremo e del Pretore di Aosta, pur nella differenza dei parametri di legittimit costituzionale evocati, sollevano questioni analoghe in ordine alle normative di deroga nei confronti degli artt. 718-722 cod. pen. ed hanno altres in comune il riferimento all'art. 3 Cost. come disposizione che si asserisce violata dalle normative stesse. (omissis) Non si pu negare che l'ordinanza del Pretore di Aosta risulti nel suo. complesso alquanto disarmonica: perch da un lato il giudice a quo contesta nella motivazione, in dissenso dalle Sezioni unite penali della Cassazione, la efficacia derogatoria -rispetto agli artt. 718 e segg. cod. pen. -di precedenti leggi statali; dall'altro conclude per una censura di costituzionalit riferita soltanto all'art. 3 Cost. (per il carattere arbitrai; iamente privilegiato della deroga). Ma evidente che i termini in cui la questione di legittimit costituzionale sollevata presuppongono che l'effetto derogatorio rispetto agli artt. 718 e segg. cod. pen. si sia pur prodotto, .lamentandosi anzi che i suoi benefici, a parit di condizioni, non siano stati equamente distribuiti su tutto il territorio nazionale. Tuttavia tale squilibrio non produce l'inammissibilit della questione, perch preminente 1a considerazione del dispositivo dell'ordinanza e del suo collegamento con la parte motiva cui corrisponde, potendosi il resto considerare un mero obiter dictum. 522 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 522 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Del resto, il presupposto implicito da cui muove la questione sollevata (e cio l'essersi prodotto l'effetto derogatorio della normativa penale a favore dell'esercizio del gioco d'azzardo nel casin valdostano) sembra difficilmente contestabile alla luce della giurisprudenza ormai dominante ed in particolare di quella della Cassazione. Chiarissime e ripetute sono le prese di posizione in questo senso, anche da parte delle Sezioni unite civili, in ordine all'esercizio del gioco d'azzardo nelle case da gioco di Sanremo, di Campione e di Venezia. Si invero ritenuto ab initio che la deroga era stata prodotta dalle norme di legge, sia pur generiche, le quali, come quella del r.d.l. 22 dicembre 1927, n. 2448, avevano dato facolt al Ministro dell'interno di autorizzare, anche in deroga alle leggi vigenti, purch senza aggravio per il bilancio dello Stato, il Comune di Sanremo ad adottare tutti i provvedimenti necessari per poter addivenire all'assestamento del proprio bilancio e all'esecuzione delle opere pubbliche indilazionabili >>. I lavori preparatori, specie quelli del Senato del Regno e la circostanza che la conversione in legge del decreto (legge 27 dicembre 1928, n. 3125) era avvenuta quando la casa da gioco di Sanremo era gi stata aperta, attribuiscono alla facolt conferita al Ministro dell'interno un significato univoco, mentre l'autorizzazione ministeriale doveva considerarsi la condizione alla quale la legge subordinava l'operativit della deroga da essa prodotta. L'effetto derogatorio, rendendo non applicabili i divieti contenuti negli artt. 718-722 cod. pen., esclude che i proventi del gioco possano considerarsi prodotto o profitto del reato. La ricostruzione accolta nella giurisprudenza comporta pure che le disposizioni legislative facoltizzanti l'apertura delle case da gioco non possano ricomprendersi nello schema della legge di delegazione (evitandosi cos il contrasto con l'art. 76 Cast.) e che esse non violino la riserva di legge penale (di cui all'art. 25, secondo comma, Cast.). Alle stesse conclusioni le Sezioni unite penali sono giunte anche per il Casin di Saint Vincent, malgrado la sua apertura sia stata disposta in base ad un decreto del Presidente della Giunta regionale sicuramente illegittimo. Ora, anche se non si accettasse, in relazione ai dubbi espresi dalle Sezioni unite civili, la ricostruzione secondo la quale fin dal 1949 i provvedimenti legislativi statali recanti contributi alla Valle d'Aosta comportavano il riconoscimento della non punibilit della tenuta della_ casa da gioco (i cui proventi figuravano inclusi nei bilanci regionali), si deve ammettere che ad analogo risultato conduce l'art. 2, lett. a) della legge 6 dicembre 1971, n. 1065 (Revisione dell'ordinamento finanziario della Regione Valle d'Aosta), allorch dispone che la Regione stessa provvede al suo fabbisogno finanziario con le entrate tributarie costituite altres da altre consimili entrate d diritto pubblico, comunque denominate, derivanti da concessioni ed appalti . Infatti i lavori preparatori chiariscono come con quest'ultima espressione si intendesse fare riferimento proprio alle entrate derivanti dagli utili della casa da gioco. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE evidente che tali proventi non possono nello stesso tempo costituire prodotto o profitto di reato e insieme entrate di diritto pubblico: e ci in base al carattere di unit e di coerenza del nostro ordinamento giuridico. Si potrebbe contestare l'operativit in senso derogatorio della disposizione predetta: ma anche per essa deve ritenersi valida l'affermazione della Cassazione civile, secondo cui, se solo una legge dello Stato pu derogare al diritto penale vigente, tale effetto pu essere conseguito anche da una legge non emessa espressamente ad hoc, purch contenga disposizioni incompatibili con il divieto penalmente sanzionato . Si pu inoltre rammentare che per le disposizioni penali in generale o per quelle specifiche in tema di gioco d'azzardo (artt. 718-722 cod. pen.) fa difetto un divieto di abrogazione o modifica tacita, quale quello gi contenuto nel comma secondo dell'art. 1 legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie). In realt, sia i provvedimenti legislativi che dettero luogo all'apertura delle case da gioco di Sanremo, di Campione e di Venezia sia le leggi 6 dicembre 1971, n. 1065 e 26 novembre 1981, n. 690 (in tema di ordinamento finanziario della Valle d'Aosta) offrono il fianco alla critica per le formule a dir poco reticenti cui tutte fanno ricorso: ma tali censure, se pongono in evidenza Ie non corrette formulazioni adottate dal legislatore, non valgono a escludere la natura e la efficacia derogatoria delle disposizioni richiamate. Talune di queste ultime, d'altra parte, sono impugnate del tutto fuori luogo perch esse nulla dispongono, nemmeno indirettamente, a proposito del Casin di Saint Vincent (legge 3 novembre 1954, n. 1042; legge 18 febbraio 1963, n. 67 e legge 6 dicembre 1971, n. 1065). A sua volta la prima legge sull'ordinamento finanziario della Valle d'Aosta (legge 25 novembre 1955, n. 1179) contiene proposizioni meno significative di quelle formulate nell'art. 2 a) e nell'art. 1 a) rispettivamente delle leggi 6 dicembre 1971, n. 1065 e 26 novembre 1981, n. 690. Quanto alla questione di legittimit costituzionale sollevata dal Pretore di Aosta (in relazione all'art. 3 Cast.), a proposito di una serie di leggi statali che conterrebbero legittimazione implicita della casa da gioco di Saint Vincent, essa deve ritenersi non fondata. In realt non mancano per ciascuna deroga disposta dal legislatore ragioni giustificative della sottrazione di ipotesi di specie alla disciplina della ipotesi di genere: accanto a quella pi generale di disincentivare l'afflusso di cittadini italiani a case da gioco aperte in Stati confinanti nelle zone prossime alla frontiera, si pone quella pi particolare di sovvenire alle finanze di comuni o regioni ritenute dal legislatore particolarmente qualificate dal punto di vista turistico, e dalla situazione di dissesto finanziario. La circostanza che altri .comuni o regioni si trovino o potrebbero trovarsi in condizioni analoghe a quelle dei RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 524 comuni o della regione a statuto speciale finora considerati dal legislatore non concreta di per s sola e hic et nunc lesione dell'art. 3 Cost. E ci tanto pi in quanto dalla lamentata circostanza (cio dalla censurata omissione del legislatore) non possono trarsi conseguenze di automatica estensione. Peraltro questa Corte, mentre messa in grado di esaminare per la prima volta profili di legittimit costituzionale che riguardano le case da gioco aperte nel nostro Paese, non pu e$imersi dal rilevare che la situazione normativa formatasi a partire dal 1927 contrassegnata da un massimo di disorganicit: sia del tipo di interventi cui condizionata la apertura delle case (legge o legge seguita da autorizzazione del Ministero dell'interno), sia per la diversit dei criteri seguiti (situazione di frontiere per Sanremo e Campione, situazione non di frontiera per Venezia), sia infine per i modi disparati con i quali vengono utilizzati i proventi acquisiti nell!esercizio del gioco nei casin. La disorganicit risulta accentuata dalla recentissima legge 11 dicembre 1984, n. 848, il cui art. 25 cos formulato: Le disposizioni di cui agli artt. da 718 a 722 del codice penale e dell'art. 110 del testo unico di Pubblica Sicurezza approvato con r.d. 13 giugno 1931, n. 773, non si applicano ai fatti commessi a bordo. delle navi adibite a crociera durante il periodo di navigazione oltre lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez . Si impone dunque la necessit di una legislazione organica che razionalizzi l'intero settore, precisando tra. l'altro i possibili modi di intervento delle regioni e degli altri enti locali nonch i tipi e criteri di gestione delle case da gioco autorizzate, realizzando altres, in tema di distribuzione dei proventi, quella perequazione di cui la legge 31 ottobre 1973, n. 637, sulla destinazione degli utili della casa da gioco di Campione, pu essere considerata solo un primo passo. Queste esigenze di organica previsione normativa su scala nazionale (le quali si fanno valere soltanto nell'ipotesi che il legislatore voglia mantenere le deroghe agli artt. 718-722 cod. pen.), vanno soddisfatte in tempi ragionevoli, per superare le insufficienze e disarmonie delle quali si detto. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1985, n. 154 Pres. Elia Rel. Ferrari Russi (avv. Sorrentino), Muscariello (avv. Scoca), nonch Senato della Repubblica, Camera dei Deputati e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Corte costituzionale Regolamenti parlamentari Insindacabilit. (Cast. artt. 24, 101, 108 e 113; regolamento del Senato della Repubblica, artt. 12 e 13; regolamento della Camera dei Deputati, artt. 12 e 13). La riserva costituzionale di competenza regolamentare delle Camere del Parlamento rientra tra le guarentige disposte dalla Costituzione per PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 525 assicurare l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere; i regolamenti parlamentari non sono pertanto sindacabili dal Giudice costituzionale, .persino laddove -attribuendo alle Camere l'autodichia -escludono la tutela giurisdizionale (1). (omissis) La questione sottoposta al vaglio di questa Corte nasce da tre ordinanze, emesse dalle Sezioni unite civili della Corte di Cas sazione nel corso di giudizi per regolamento preventivo di giurisdizione, che erano stati promossi, il primo davanti a1 Tribunale di Roma, sezione lavoro, il secondo davanti al Pretore di Roma quale giudice del lavoro, il terzo davanti al Tribunale amministrativo regionale del. Lazio. Con tali ordinanze, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno denun ciato l'illegittimit costituzionale dell'art. 12.1 del regolamento del Se nato della Repubblica, dell'art. 12.3 del regolamento della Camera dei Deputati e comunque della norma attributiva dell'autodichia ad en trambi i predetti organi parlamentari, per contrasto con gli artt. 24, 113, 101, secondo comma, e 108, primo e secondo comma, Cost. (omissis) Le ordinanze esordiscono con le affermazioni: che la norma invo cata dalla difesa delle Camere -quella, cio, attributiva dell'autodichia a queste - in realt, esiste ; che essa desumibile, gi dai regola menti parlamentari in vigore (art. 12), ma anche dalle disposizioni rego lamentari previgenti; che comunque desunta, per costante tradizione interpretativa... dal sistema delle disposizioni di legge in tema di tutela giurisdizionale come limitazione posta alla portata generale di tali dispo sizioni -nel senso dell'esclusione di qualsiasi giudice o dell'introduzione di un giudice speciale -a garanzia delle Camere in riferimento alla posi zione di queste " Premesso, poi, che dall'applicazione della norma non pu prescindersi ai fini del regolamento di giurisdizione... il cui oggetto stabilire se vi sia un giudice e quale esso sia e che dei due orienta menti interpretativi Ǐ da preferire quello che accorda un giudice, anche se questo non sembra avere i requisiti voluti dalla Costituzione, si legge nelle ordinanze che la nonna fa nascere dubbi c:i'rca la sua compatibilit con fondamentali precetti della Costituzione relativi alla tutela giurisdizionale . Viene successivamente affrontato il problema se una norma quale quella suindicata... sia riconducibile agli atti aventi forza di legge, cui si riferisce l'art. 134 Cost. ; ed il problema risolto afferma tivamente per una triplice considerazione: in tal senso sarebbe la dottrina prevalente; l'assimilabilit sarebbe ancor pi evidente per la parte in cui i regolamenti parlamentari... regolino rapporti fra Camere e terzi; nessun dubbio sussisterebbe sulla loro sindacabilit, se la norma pi (1) Logicamente antecedente al problema esaminato nella motivazione della sentenza era forse il problema dei limiti della riserva di regolamento parlamentare. In uno Stato democratico e di diritto le procedure sono essenziali. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO correttamente, ed in conformit con la costante tradizione interpretativa richiamata all'inizio sia tratta dal sistema delle disposizioni di legge in tema di tutela giurisdizionale nel senso ... della attribuzione di una giurisdizione speciale dell'organo costituzionale . Ed al riguardo si precisa che l'insistito richiamo alla costante tradizione interpretativa non importa ritenere che la norma trovi la sua fonte in una consuetudine costituzionale di cui difetterebbero i requisiti. Alla luce poi degli artt. 24 e 113 Cost. -argomentano ulteriormente le ordinanze -non sarebbe sostenibile che non di limitatezza delle cennate norme si tratti, bens di una mera lacuna della normazione attuativa di esse, con la conseguenza che la tutela giurisdizionale non sarebbe positivamente esclusa, ma solo, allo stato, in concreto non realizzabile per mancanza di adeguata strumentazione. Va altres ribadito -prosegue iI giudice a quo - che delle due interpretazioni dianzi indicate come sostenibili, preferibile la seconda (quella che accorda un giudice) alla prima (che nega ogni giudice), giacch questa sembra suscettiva di offendere anche pi gravemente gli artt. 24 e 113 Cost. , mentre quella sembra suscettiva di offendere (soltanto) le garanzie di seriet ed effettivit di tutela sotto i profili dell'indipendenza-terziet, dell'indipendenza-imparzialit e della difesa e del contraddittorio, soggiungendosi che il modo in cui l'autodichia viene attualmente in concreto strumentata ed esercitata -cio, mediante il Consiglio di Presidenza, che esercita anche la potest regolamentare ed amministrativa -non vale ad attenuare le sospette lesioni. E non potendosi l'indagine esaurire -cos ancora il giudice a quo -nelle ovvie considerazioni: che l'esclusione della tutela giurisdizionale... proprio quanto gli artt. 24 e 113 sono diretti ad evitare; che non soggetto soltanto alla legge il giudice che decide in causa propria; che il Senato decide in causa propria '" allora il punto essenziale se la norma in argomento non trovi una giustificazione... nell'indipendenza degli organi costituzionali , cio nel principio cos detto della divisione dei poteri >>, ovvero se gli atti di autodichia siano riconducibili all'esercizio di un potere di autoorganizzazione incidente, in definitiva, sul modo intrinseco di essere dell'organo costituzionale . Ad entrambi i quesiti viene data risposta negativa. Ammesso pure -si dice nelle ordinanze ~ che il principio della divisione dei poteri sia accolto nella nostra Costituzione, rappresenta una forzatura postulare l'assolu.ta indipendenza di ciascun organo anche per gli atti non rientranti concettualmente e sostanzialmente nella sua funzione primaria . Nell'attuale ordinamento costituzionale si sarebbe imposta l'esigenza di reciproco controllo proprio per quel che concerne le funzioni primarie -come appunto nella funzione di indirizzo politico -, sicch non vi ragione di ritenere che l'assetto medesimo importi l'esclusione del sindacato giurisdizionale sull'esercizio delle funzioni accessorie, tanto pi che, maggiormente che per il passato, la tutela giu PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE risdizionale () considerata ormai quale principio cardine, le cui eccezioni vanno puntualmente giustificate. E deve da ultimo negarsi che qui venga in considerazione un potere di autoorgamzzaz1one , essendo certo che un'istituzione non esercita tale potere quando dispone delle situazioni dei propri dipendenti, cio di soggetti il cui destino non pu toccare direttamente il modo di essere intrinseco dell'istituzione medesima . Ne consegue -concludono le ordinanze -cne, p01cne rautod1chia in argomento non costituisce un attributo compreso i1ella posizione propria dell'organo costituzionale o da tale posizlone lmmecliatamente e necessariamente implicata, ma solo un privilegio soggettivo , non manifestamente infondata la questione della sua leJZ1tt1m1t costituzionale. (omissis) Per espresso dettato d_ell'art. 12.1 del vigente reg;olamento del Senato della Repubblica, il consiglio di presidenza, presieduto dal Presidente del Senato... adotta i provvedimenti relatvi al personale... nei casi... previsti dai regolamenti interni: analogamente, per espresso dettato dell'art. 12.3 del vigente regolamento della Camera dei Deputati, l'ufficio di presidenza.... decide in via definitiva i ricorsi che attengono allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera . Le sopra trascritte disposizioni hanno dato motivo a contrasti interpretativi, peraltro non del tutto privi di fondamento -specie con riguardo alla formulazione del regolamento del Senato, troppo scarna, e perci scarsamente significante nella sua genericit -, opinandosi addirittura -con riguardo, questa volta, al regolamento della Camera -che la formulazione di questo sul punto, in quanto mutata rispetto al regolamento anteriore, avrebbe comportato la caducazione del principio dell'autodichia, nel senso conseguentemente che ormai i ricorsi dei dipendenti dovrebbero ritenersi definiti con decisione amministrativa impugnabile in sede giurisdizionale. Senonch, con le ordinanze in esame, le Sezioni unite della Cassazione, dopo avere dichiarato esplicitamente, come gi detto, che, ai fini del regolamento di giurisdizione... oggetto stabilire se vi sia un giudice e quale esso sia , ed implicitamente che la formulazione del regolamento del Senato vale quella del regolamento della Camera, osservano che la norma attributiva dell'autodichia -e perci le due disposizioni regolamentari in parola -pu ritenersi che esclude la giurisdizione del giudice comune , sia in quanto nega qualsiasi giudice nell'ordinamento generale ed affida la risoluzione delle controversie ad una decisione adottata dall'organo costituzionale... e destinato ad operare unicamente all'interno dell'ordinamento particolare , sia in quanto istituisce nell'ordinamento generale un giudice speciale -l'organo costituzionale appunto, in una sua articolazione con competenza in causa propria >>. E poich nelle ordinanze si afferma apertamente che da preferire l'orientamento interpretativo, secon RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO do cui le controversie in tema di rapporto d'impiego dei dipendenti delle Camere sono decise da queste, sembra non dubitabile che, cos esprimendosi, il giudice a quo ha inteso riconoscere in sostanza nei due menzionati articoli i portatori del principio dell'autodichia e, quindi, l'esistenza nel nostro ordinamento dell'autodichia, sia della Camera dei Deputati, sia del Senato della Repubblica. In tutte le tre ordinanze vengono impugnati, specificamente gli a:tt. 12, in parte de qua, dei regolamenti parlamentari in vigore, e genericamente la norma attributiva dell'autodichia ad entrambe le Camere. Stante la duplict della denuncia, si rende necessario comprendere in quale rap porto l'una impugnativa si pone nei confronti dell'altra. Sembra doversi escludere che il giudice a quo abbia inteso riferirsi ad un unico dato normativo, giacch allora gli articoli dei regolamenti sarebbero meramente ricognitivi ed esplicativi di quella norma inespressa, da cui in effetti avrebbe tratto origine in passato e su cui troverebbe ancor oggi fondamento la giurisdizione domestica delle Camere; ci equivarrebbe a ravvisare l'unica e vera fonte e l'unico e vero sostegno dell'autodichia nella norma inespressa, che le disposizioni dei due articoli si sarebbero limitate a recepire. L'ipotesi inaccoglibile: basterebbe in proposito considerare anche solo che nelle ordinanze il quesito assoluta mente pregiudiziale quello relativo alla sindacabilit, da parte di questa Corte, dei regolamenti parlamentari, e che tale quesito risulterebbe proposto inutiliter -anzi, non avrebbe addirittura senso -, ove le Sezioni unite ritenessero che il rapporto fra le norme espresse e la norma inespressa sia quello test ipotizzato. Ma se, viceversa, si pone mente che in ognuna delle tre ordinanze risultano impugnati principaliter i pi volte menzionati artt. 12 dei regolamenti parlamentari, e solo successivamente la norma attributiva dell'autodichia , appare verosimile la congettura che l'impugnativa della norma inespressa sia stata proposta in via meramente subordinata e prudenziale. Se la ricostruzione del pensiero del giudice a quo sul punto esatta, ne deriva che, a parte la questione della proponibilit della denuncia di una norma inespressa, sarebbe ultroneo ogni discorso intorno a quest'ultima, in quanto ai fini del decidere necessario e sufficiente fare oggetto del presente giudizio solo gli artt. 12.1 del regolamento del Senato e 12.3 del regolamento della Camera. (omissis) Il giudice a quo si chiede: a) se la norma in argomento non trovi una giustificazione... nell'indipendenza degli organi costituzionali, cio nel principio cos detto della divisione dei poteri, ovvero nel principio che riconosce ad ogni Camera il potere di autoorganizzazione; b) se l'istituzione dell' organo costituzionale quale giudice in causa propria non offenda le garanzie di seriet ed effettivit di tutela che, in relazione agli artt. 24 e 113 Cost., sono sancite dagli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione sotto il profilo dell'indipendenza-~ ! f f PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE terziet e indipendenza-imparzialit del giudizio, e di nuovo e pi direttamente, dell'art. 24 della Costituzione sotto il profilo della difesa e del contraddittorio . Sollevando il primo interrogativo, egli sospetta che la giurisdizione domestica delle Camere -e la correlativa esclusione di un qualsivoglia giudice -non possa ritenersi ancor oggi costituzionalmente legittima, ove non si rinvenga una giustificazione nel sistema instaurato dalla Costituzione repubblicana. Sollevando il secondo interrogativo, che concerne pi propriamente il modo in cui l'autodichia viene attualmente in concreto strumentata ed esercitata, egli sospetta che non ricorrano e concorrano le garanzie che rendano costituzionalmente legittimo l'esercizio della funzione giurisdizionale. I due punti appaiono di per s meritevoli della pi attenta considerazione. Le Sezioni unite della Cassazione, pur riconoscendo all'autodichia radici storiche e, a quanto pare, anche logiche, pensano tuttavia che il nuovo sistema costituzionale ne abbia operato la delegittimazione. Ed in quanto al dubbio sulla compatibilit dell'autodichia delle Camere con i princpi costituzionali in tema di giurisdizione, non pu non convenirsi col giudice a quo, anche sulla base di princpi contenuti in convenzioni internazionali, che indipendenza ed imparzialit dell'organo che decide, garanzia di difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto stesso di una effettiva tutela, sono indefettibili nella definizione di qualsiasi controversia. Senonch, il dubbio sulla sindacabilit, da parte di questa Corte, ai sensi ed ai fini dell'art. 134, primo alinea, Cost., dei regolamenti parlamentari contenenti gli impugnati artt. 12.1 e 12.3 in ordine logico pregiudiziale rispetto ai due interrogativi di cui sopra, e perci va esaminato per primo. Il problema dell'assoggettabilit al guidizio di questa Corte dei regolamenti parlamentari adottati a sensi dell'art. 64, primo comma, Cost., il problema dell'ammissibilit della questione. Secondo il giudice a quo, tali regolamenti sono fonti del diritto oggettivo assimilabili alle leggi ordinarie. Ed invero, la riserva del potere di organizzazione delle Camere e di integrazione della disciplina del procedimento legislativo, in quanto istituisce fra gli uni e le altre un rapporto di distribuzione di competenza normativa, se non comporta la costituzionalizzazione dei regolamenti in parola e la loro parametricit, comporterebbe certamente la loro collocazione allo stesso livello delle leggi ordinarie, specie per la parte in cui vengono regolati i rapporti con terzi e, pi ancora, se si ritiene che la "norma inespressa si lascia desumere dal sistema delle disposizioni di legge in tema di tutela giurisdizionale. N varrebbe in contrario invocare il dogma dell'insindacabilit degli interna corporis degli organi costituzionali, che questa Corte ha gi ripudiato con l'ormai remota sentenza del 1959, n. 9. Di opposto avviso , viceversa, l'Avvocatura dello Stato, la quale con testa l'assimilabilit di cui sopra: i regolamenti parlamentari non sarebbero RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 530 atti dello Stato, bens di organo, cio di un singolo ramo del Parlamento, e si sottraggono, sia alla promulgazione del Presidente della Repubblica, sia all'abrogazione per referendum, sicch non possono farsi rientrare fra gli atti di cui all'art. 134 Cost., essi sarebbero privi, tanto della potenzialit attiva (abrogatrice) nei confronti delle leggi anteriori, quanto della potenzialit passiva~ (di resistenza) nei confronti delle leggi posteriori, sicch non avrebbero forza di legge: l'interpretazione della sentenza n. 9 del 1959 sarebbe tutt'altro che univoca ed, anzi, sarebbero reperibili altre sentenze (55/1964, 14/1965, 183/1973, 232/1975), dalle quali possono desumersi e sono stati desunti indirettamente altri argomenti per escludere quella sindacabilit. opinione di questa Corte che i richiami alla giurisprudenza costituzionale non danno un apporto risolutivo allo scioglimento del nodo in parola. (omissis) Sembra che la soluzione possa e debba ricercarsi nell'art. 134 Cost., prima ipotesi, indagato alla stregua del sistema costituzionale. Formulando tale articolo, il costituente ha segnato rigorosamente i precisi ed invalicabili confini della competenza del giudice delle leggi nel nostro ordinamento, e poich la formulazione ignora i regolamenti parlamentari, solo in via d'interpretazione potrebbe ritenersi che questi vi siano egualmente compresi. Ma una simile interpretazione, oltre a non trovare appiglio nel dato testuale, urterebbe contro il sistema. La Costituzione repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare, intendendosi dire che, come dimostra anche la precedenza attribuita dal testo costituzionale al Parlamento nell'ordine espositivo dell'apparato statuale, ha collocato il Parlamento al centro del sistema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento. nella logica di tale sistema che alle Camere spetti -e vada perci riconosciuta -una indipedenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, primo comma, Cost. Le guarentigie non vanno considerate singolarmente, bens nel loro insieme Ed infatti, attengano esse all'immunit dei membri delle Camere ovvero all'immunit delle rispettive sedi, evidente la loro univocit, mirando pur sempre ad assicurare la piena indipendenza degli organi. Ne conferma il divieto alla forza pubblica ed a qualsiasi persona estranea -sia pure il Presidente della Repubblica o il membro di una Camera diversa da quella di appartenenza -di entrare nell'aula, che discende dall'art. 64, ultimo comma, Cost., prima ancora che dagli artt. 62.2 e 64.1 del regolamento della Camera e 69.2 e 70.1 del regolamento del Senato. Il Parlamento, insomma, in quanto espressione immediata della sovranit popolare, diretto partecipe di tale sovranit, ed i regolamenti, in quanto svolgi mento diretto della Costituzione, hanno una peculiarit e dimensione (sentenza n. 78 del 1984), che ne impedisce la sindacabilit, se non si vuole negare che la riserva costituzionale di competenza regolamentare PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 531 rientra fra le guarentigie disposte dalla Costituzione per .assicurare l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere. Le suesposte dichiarazioni non consentono che nell'art. 134; primo alinea Cost. possano ritenersi compresi i regolamenti parlamentari in oggetto, dei quali pertanto va riconosciuta l'insindacabilit, con la conseguente dichiarazione d'inammissibilit deJla proposta questione, cui corrisponde la preclusione dell'esame del merito. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 giugno 19ES, n. 190 -Pres. Roehrssen -Rei. Andrioli -Cartelli ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Fanelli). Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva -Controversie in materia di pubblico impiego -Provvedimenti cautelari provvisori e d'urgenza. (Cost., artt. 3 e 113; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21; cod. proc. civ., art. 700). Deve essere dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e 113 Cast., l'illegittimit costituzionale dell'art. 21 ultimo comma della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R. nella parte in cui, limitando l'intervento d'urgenza del giudice amministrativo alla sospensione dell'esecutivit dell'atto impugnato, non consente al giudice stesso di adottare nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d'urgenza che appaiono secondo le circostanze pi idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, le quante volte il ricorrente abbia fondato motivo di temere che durante il tempo necessario alla prolazione della pronuncia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile. invece inammissibile la questione di legittimit costituzionale dell'art. 700 cod. proc. civ., nella parte in cui non consente al giudice ordinario di tutelare in via d'urgenza diritti soggettivi derivanti da comportamenti omissivi della pubblica amministrazione e devoluti in via di merito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (1). (1) La sentenza additiva resa dalla Corte rende -nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego -notevolmente pi oneroso il lavoro dell'avvocato dello Stato, e in genere del difensore della amministrazione resistente: per la camera di consiglio sulla cosiddetta sospensiva (s'intende, quando richiesta) dovrebbero essere offerti al T.A.R. gli atti e documenti . rilevanti per la pronuncia provvisoria e di urgenza ed una seppur sommaria esposizione delle ragioni di fatto e di diritto del provvedimento emesso (o del comportamento tenuto) dall'amministrazione. La nozione di provvedimenti d'urgenza che appaiono secondo le circostanze pi idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (cos testualmente il dispositivo della sentenza in rassegna sembra andare al di l della sospensione dell'esecutivit dell'atto impugnato ma dovrebbe pur sempre presentare i connotati ed essere aderente alle finalit delle pronunce pro RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 532 (omissis) Nei limiti in cui il T.A.R. lo ha sottoposto al giudizio della Corte per assicurare che in tal campo non si perpetui l'inammissibile diseguaglianza di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, il sospetto d'incostituzionalit dell'art. 21 ultimo comma .legge n. 1034 del 1971 fondato perch esige r:ispetto 'il principio, per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, di cui la dottrina non solo italiana fin dagli inizi del corrente secolo ha dimostrato la validit desumendola e al contempo confortandola con richiami di disposizioni normative e provoando l'inserzione nel codice di rito civile del 1942 dell'art. 700, che si esibisce quale espressione di direttiva di razionalit tutelata dall'art. 3 comma primo e, in subiecta materia, dall'art. 113 Cost. Scrittori e giudici di merito (non escluso il Consiglio di Stato) non hanno esitato ad estendere la direttiva desumibile dall'art. 700 alla giurisdizione esclusiva dei T.A.R., ma, se il tentativo non ha riscosso l'assenso del giudice della nomofilachia quel che precluso dal diritto vivente ben pu e deve essere realizzato dalla Corte. N, cos rescrivendo, si pone la Corte in contrasto con l'orientamento seguito nel campo tributario (sent.. 63/1982), nel quale il potere di sospendere la riscossione attribuito all'intendente di finanza e pu darsi parziale iscrivibilit a ruolo dei tributi contestati. Per contro, la normativa di fresca data esibisce per chiari segni la direttiva, espressa dall'art. 700 e, sol in limitata area, dall'art. 21 ultimo comma, vuoi nell'art. 28 (Tutela giurisdizionale) legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge quadro sul pubblico impiego) il quale, al comma primo, ammonisce che In sede di revisione dell'ordinamento della giurisdizione amministrativa si provveder all'emanazione di norme che si ispirino, per la tutela. giurisdizionale del pubblico impiego, ai princpi contenuti nelle leggi 20 maggio 1970, n. 300 e 11 agosto 1973, n. 533 ,vuoi nell'art. 31 (Tutela giurisdizionale) d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145 (Ordinamento dell'Azienda priamente cautelari. D'altro canto, gli effetti della decisione sul merito possono anche non verificarsi affatto, come accade ogni qualvolta la controversia si conclude con la reiezione o, pi in generale, con il non accoglimento, del ricorso: in questi casi v' la esigenza (per vero non considerata) di assicurare provvisoriamente il recupero effettivo di quanto corrisposto in ottemperanza alla pronuncia provvisoria e d'urgenza '" In realt, il bisogno di giustizia sollecita non pu essere soddisfatto -salvo casi eccezionali - a colpi di provvisionale , strumento questo che pu condurre ad ulteriori rallentamenti dei processi (il ricorrente che ottenga quanto dubita possa ritenere indotto a pratiche dilatorie) e che priva la parte resistente della garanzia di un giudice del tutto sereno ed imparziale (respingere un ricorso dopo che si concessa una provvisionale , in fondo, riconoscere di aver errato nel concederla). bene acquisire consapevolezza del pericolo che le misure provvisorie e d'urgenza siano poste al servizio, non tanto di bisogni eccezionalmente impellenti di qualche ricorrente, quanto del generico interesse degli apparati giudiziari ad una benevola tolleranza della collettivit per ritardi talvolta privi di oggettiva giustificazione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 533 autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale), il quale, dopo aver assegnato le controversie di lavoro relative al personale comunque in servizio alla esclusiva giurisdizione dei tribunali amministrativi regionali, dispone che In detti giudizi trova applicazione l'art. 28 della legge 24 maggio 1970, n. 300, ed, in quanto applicabili, le disposizioni di cui alla legge 11 agosto 1973, n. 533 , ed appena il caso di sottolineare che il richiamo della legge n. 533 del 1973 vuol dire inserzione nel tessuto della giurisdizione esclusiva dei primi tre commi del novellato art. 423 cod. proc..civ., sol per la concreta inapplicabilit dei quali entra in gioco, come norma di chiusura, l'art. 700: elasticit la quale, in difetto dell'art. 423 comma primo e terzo, in linea generale inapplicabile al settore pubblico, opera senza limiti a favore dei dipendenti pubblici. Dall'art. 700 lcito enucleare la direttiva che, le quante volte il diritto assistito da fumus boni iurs minacciato da pregiudizio imminente e irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, pi idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. In tali termini e nell'area delle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego l'art. 21 ultimo comma della legge istitutiva dei T.A.R. da dichiarare costituzionalmente illegittimo. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 17 ottobre 1985, n. 226 -Pres. e Rel. Reale - Coop. r. I. Parco degli aranci e Presidente Consiglio dei Ministri (cam. cons.). Espropriazione per pubblica utilit Relazione di stima Notifica dell'avvenuto deposito -Non prevista Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24 e 113; legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19). Pretendere che tutti gli (e ciascuno degli) atti di una procedura della quale si partecipi siano personalmente notificati significherebbe andare oltre i limiti di una ragionevole tutela del diritto di difesa; non contrasta pertanto con gli artt. 3, 24 e 113 Cast., l'art. 19 della legge n. 865 del 1971 nella parte in cui non prevede che dell'avvenuto deposito della relazione di stima da parte dell'Ufficio tecnico erariale venga data notifica o comunicazione ai proprietari ed agli altri interessati al pagamento, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione alla stima (1). (omissis) La Corte d'appello di Catanzaro con l'ordinanza di cm m epigrafe chiama la Corte a decidere se non sia costituzionalmente illegit (1) La pronuncia di notevole importanza; ed il principio in essa enunciato (e riportato nella prima parte della massima) pu trovare applicazioni anche in procedure diverse da quella di espropriazione per p.u. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 534 timo l'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 nella parte in cui non prevede che dell'avvenuto deposito della relazione di stima da parte dcll'U. T.E. venga data notifica o comunicazione ai proprietari ed agli altri interessati al pagamento ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione alla stima . La norma violerebbe l'art. 3 della Costituzione nonch il diritto di difesa (e quello alla tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione) perch porrebbe l'Amministrazione in una situazione di supremazia o almeno di privilegio, conoscendo essa, senza bisogno della particolare vigilanza necessaria al cittadino per conoscerla, la pubblica zione dell'avviso di deposito della relazione di stima; e perch non prescrive anche per questo atto del procedimento di stima la notificazione prevista per altri atti che la precedono, con conseguente violazione anche del principio di eguaglianza. La questione non fondata. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, non si pu isolare la disposizione dell,'art. 19 della legge n. 865, ma, per valutarne la congruit, ai fini della possibilit di difesa dell'espropriando, bisogna considerare l'intero corso del procedimento, quale determinato dagli artt. 10, 11 e 15 della legge. Ora la procedura regolata dalle citate disposizioni prevede: a) la notifica agli espropriandi, oltre che l'affissione nell'albo del comune e la pubblicazione nel F.A.L. della Provincia, dell'avvenuto deposito presso il comune di una relazione esplicativa dell'opera o dell'intervento da realizzare, corredata dalle mappe catastali nelle quali siano individuate le aree da espropriare, dell'elenco dei proprietari iscritti negli atti catastali nonch della planimetria dei piani urbanistici vigenti; b) decorso il termine assegnato agli interessati per la presentazione di deduzioni, la notifica (ove l'esproprio sia disposto) dell'ammontare dell'indennit prov visoria determinata nel decreto del Presidente della Giunta regionale che dichiara, ove occorra, la pubblica utilit nonch l'indifferibilit e l'urgenza dell'opera; e) se l'indennit non accettata, e non stata convenuta cessione volontaria degli immobili, la richiesta alla Commissione competente di determinare l'indennit e successivamente -come prevede l'art. 15 della legge n. 865 del 1971 -l'espropriante comunica le indennit ai proprietari degli immobili ai quali le stime si riferiscono mediante avvisi notificati nelle forme degli atti processuali civili; deposita la relazione della Commissione nella segreteria del Comune e rende noto al pubblico l'eseguito deposito mediante affissione nell'albo del Comune e inserzione nel F.A.L. della Provincia. Pertanto, anche a voler considerare l'ipotesi (esclusa dall'Avvocatura dello Stato e che sembrerebbe non consentita dal testo della legge) che la notifica dell'indennit venga eseguita in tempo posteriore alla pubblicazione della relazione, appare decisiva la considerazione che, se e quando i proprietari espropriati intendono proporre opposizione alla stima davanti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alla Corte d'Appello, essi sono stati partecipi di un procedimento del quale hanno potuto seguire tutte le fasi. Se poi l'interessato all'opposizione non la propone entro trenta giorni dalla pubblicazione dell'avvenuto deposito della relazione, come l'impugnato art. 19 della legge n. 865 dispone, egli deve attribuirne la responsabilit alla sua propria negligenza. Pretendere che tutti e ciascuno gli atti di una procedura della quale si partecipi siano personalmente notificati significherebbe andare oltre i limiti di una ragionevole tutela del diritto di difesa, non richiedere, come si afferma nell'ordinanza di rimessione, una particolare (perch al di fuori del normale) vigilanza. La Corte in altre occasioni (mancata notifica alla parte contumace dell'avvenuto cambiamento di rito a seguito della riforma del processo del lavoro con la conseguente necessit di integrazione -sentenza n. 14 del 1977; macata previsione dell'obbligo di ordinare la comparizione dell'imprenditore in camera di consiglio prima della sua dichiarazione di fallimento -sentenza n. 141 del 1970, o prima di pronunciarsi sulla domanda di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo -sentenza n. 110 del 1972; deco'rrenza del termine per l'opposizione da parte del debitore alla sentenza dichiarativa di fallimento -sentenza n. 151 del 1980) stata sensibile nel colpire previsioni legislative che finivano col rendere estremamente difficile, o addirittura impossibile, l'esercizio tempestivo del diritto di difesa; ma non ha vanificato il richiamo al principio vigilantibus iura succurrunt fino al punto da accordare tutela al dormiens, come certamente, nella specie ora in esame, dovrebbe essere considerata la parte di un procedimento di espropriazione che, conosciuti per notifica tutti gli atti essenziali del procedimento, omette di proporre opposizione davanti alla Corte d'appello entro trenta giorni dalla pubblicazione dell'avvenuto deposito della relazione che motiva la determinazione dell'indennit. Le suesposte considerazioni valgono ad escludere la fondatezza della questione sollevata non solo con riferimento all'art. 24, ma anche in riferimento agli artt. 3 e 113 della Costituzione. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 17 ottobre 1985, n. 229 (cam. cons.) -Pres. Roehrssen -Rel. Corasaniti -Cabella Lattuada c. Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Tallarida). Tributi erariali diretti -ILOR -Rilevanza delle risultanze catastali Voltura richiesta e non eseguita Disfunzioni del catasto Non determf. nano illegittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 6). La retrattabilit, in sede amministrativa e di gestione del ruolo, dell'accertamento basato sulle risultanze catastali, e, comunque, la disponi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bilit del rimedio della rivalsa, escludono la illegittimit costituzionale delle disposizioni che attribuiscono rilevanza a dette risultanze anche nei casi di voltura richiesta e non eseguita. (omissis) La Commissione tributaria di primo grado di Lecco se.spetta di illegittimit costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost., l'art: 6, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, concernente l'istituzione e la disciplina dell'ILOR. La disposizione stabilisce che per i redditi dominicali dei terreni e per i redditi agrari soggetti a tale imposta -la quale, secondo il successivo art. 8, accertata a cura degli uffici delle imposte ed riscossa mediante iscrizione a ruolo ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (concernente la riscossione delle imposte dirette) -valgono esclusivamente le risultanze del catasto al 31 agosto di ciascun periodo annuale d'imposta (anno precedente quello dell'accertamento). Con riferimento all'ipotesi (dedotta in un giudizio di impugnazione del ruolo) di intervenuta cessione del fondo e di voltura chiesta, ma non eseguita, anteriormente a tale data, il giudice a quo, nel duplice presupposto che gli aggiornamenti del catasto avvengano con diffuso e grave ritardo e che la norma vada interpretata nel senso che sancisce l'inammissibilit in ogni sede e ad ogni effetto della prova diretta a dimostrare la non rispondenza al vero delle dette risultanze (cos considerate come fonte di presun.zione assoluta), sostiene che la norma stessa si pone in contrasto con gli indicati precetti costitutivi in quanto: a) consente l'imposizione e la riscossione di un tributo senza la corrispondente capacit contributiva (art. 53 Cost.); b) determina una sperequazione sia rispetto ai titolari di redditi di altra natura pur soggetti all'ILOR, ma colpiti soltanto se effettivamente prodotti nel periodo considerato, che rispetto ai titolari di redditi della st.essa natura relativi a beni censiti in catasti aggiornati (art. 3 Cast.); c) determina una violazione del diritto di difesa, tenuto conto degli ostacoli frapposti all'utile esperimento dell'azione di regresso dallo stesso art. 6, comma primo, parte seconda, che sancisce l'inefficacia, nei confronti dell'effettivo titolare, della notificazione di atti di imposizione al precedente possessore, nonch dallo stesso art. 6 comma secondo, che pone a quest'ultimo l'onere di chiedere lo sgravio anche per esenzione o deduzione (relative all'effettivo titolare) da esso precedente possessore difficilmente conoscibili, e cos lo assoggetta al rischio di non poter recuperare, in tal caso, l'imposta da lui pagata. In primo luogo le censure, come ammette espressamente il giudice a quo, presuppongono il cattivo funzionamento del servizio di tenuta ~ 1 i I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del catasto fondiario e in particolare, il diffuso e sistematico ritardo negli aggiornamenti dell'indicazione dei possessori. Sotto questo profilo esse non si riferiscono a un vizio della norma impugnata in quanto adotta per l'ILOR sui redditi in argomento il metodo dell'accertamento catastale -tradizionalmente accolto per le imposte sui redditi (v. da ultimo l'art. 51 t.u. delle leggi sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645), successivamente abbandonato per la stessa ILOR col decreto-legge 23 dicembre 1977, n. 936 (convertito con. modificazioni non rilevanti ai fini del presente giudizio dalla legge 23 febbraio 1978, n. 38), peraltro ratione temporis non applicabile al caso concreto -ma a meri aspetti applicativi della (diversa) normativa che prevede e regola il meccanismo (catasto fondiario) assunto quale referente materiale del metodo adottato (egualmente deve ritenersi per i riflessi applicativi di norme concernenti il ruolo del catasto a fini diversi da quelli tributari: v., ad esempio, la recentissima legge 27 febbraio 1985, n. 52, entrata in vigore il 1 settembre 1985). Ma anche ad ammettere che le censure investano il metodo di accertamento catastale ed il sistema normativo in cui esso si colloca in tutte le implicazioni di questo -in particolare, per quel che riguarda l'ipotesi considerata, quelle recate dall'art. 32, comma primo, d.P.R. n. 602 del 1973 sopra richiamato, il quale prevede la responsabilit solidale del precedente possessore (iscritto in catasto) e del nuovo possessore per l'imposta e gli accessori relativi al tempo successivo alla data del titolo che serve di base alla voltura (cfr. l'art. 196, comma primo, del richiamato t.u. delle leggi sulle imposte dirette del 1958) - innegabile che per la configurabilit di una violazione degli indicati precetti costituzionali dovrebbe in ogni caso ricorrere l'altro presupposto affermato in concreto dal giudice a quo. Dovrebbe, cio, essere vero che il precedente possessore non possa in alcun modo, in alcuna sede, ad alcun effetto liberarsi dalle situazioni sfavorevoli poste a suo carico dalla legge in connessione col metodo di accertamento catastale o porvi comunque rimedio. Senonch tale presupposto -la cui affermazione nell'ordinanza di rimessione si pone per un verso quale parte integrante delle censure espresse in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., e per altro verso quale nucleo della autonoma censura formulata in riferimento all'art. 24 Cost. in realt non ricorre. Anzitutto all'art. 32, comma secondo, del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione alla solidariet prevista dal primo comma dello stesso articolo, stabilisce che, nel caso in cui la domanda di voltura catastale non abbia avuto effetto nei ruoli, l'intendente di finanza dispone, su richiesta dell'interessato, che vengano escussi soltanto i nuovi possessori, con espresso divieto all'esattore di compiere qualsiasi procedura sui beni dei RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO possessori precedenti (l'intervento dell'intendente era gi previsto dal l'art. 196, comma secondo, del richiamato t.u. delle leggi sulle imposte dirette del 1958, dal cui precetto - l'intendente... pu disporre -quelo dell'art. 32 d.P.R. n. 602 del 1973 diverge in quanto sancisce la doverosit dell'intervento). In tal modo prevista la retrattabilit, in sede amministrativa e di gestione del ruolo, dell'accertamento catastale, con la esclusione della riscossione coattiva anticipata del credito d'imposta, riscossione connessa all'esecutoriet del ruolo secondo gli artt. 45 e 23 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973 (v. sul punto la conforme circolare del Ministero delle finanze 5 novembre 1977, n. 98/15/5218). Indipendentemente dall'esperimento della descritta iniziativa presso l'intendente, non vi motivo di escludere (ed implicitamente lo ammette la circolare ministeriale suindicata) che, almeno nel caso di intervenuta presentazione della domanda di voltura, la liberazione del precedente possessore dalle situazioni sfavorevoli poste a suo carico dalla legge in connessione col metodo di accertamento catastale possa esser fatta valere dall'interessato davanti al giudice in sede cognitoria (restando ovviamente riservata all'intendente di finanza l'esclusione o la sospensione medio tempore dell'esecuzione). Soccorre, poi, contrariamente a quanto avvisato dal giudice a quo, il rimedio della rivalsa, certamente dato al precedente possessore, il quale, non avendo potuto avvalersi del mezzo di cui all'art. 32, comma secondo, del d.P.R. n. 602 del 1973 per mancata presentazione della domanda di voltura, abbia pagato l'imposta al fine di evitare l'escussione o sia stato escusso. Non vi osta la previsione dell'art. 6, comma primo, seconda parte, d.P.R. n. 599 del 1975 (ma vedi gi l'art. 51, comma secondo, t.u. numero 645/1958 sulle imposte dirette), previsione la quale si riferisce ai soli rapporti tra fisco e vero possessore stabilendo, in deroga al principio della onnivalidit delle risultanze catastali (anche per quel che concerne gli elementi obiettivi) che gli atti di accertamento nei confronti di chi risulta possessore in catastq (eventualmente mai stato vero possessore) non pregiudicano la difesa delle ragioni del vero possessore salvo il caso di imputabilit a lui della inesattezza delle, risultanze catastali -se egli sia richiesto dal fisco del pagamento dell'imposta. N l'azione di rivalsa vanificata, come sostiene il giudice a quo, dalle condizioni limitative dello sgravio, perch esse attengono alla fase di accertamento dell'imposta, cio di iscrizione nel ruolo e di gestione amministrativa di questo, e non si riflettono sull'azione di regresso se non nei limiti di imputabilit del mancato ottenimento dello sgravio ai rispettivi comportamenti dei soggetti suindicati. Le questioni. sollevate con l'ordinanza in esame sono dunque interamente non fondate gi nelle loro premesse. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 539 CORTE COSTITUZIONALE, 17 ottobre 1985, n. 231 Pres. Roehrssen Rel. Malagugini -S.p.A. Diffusione Pubblicit, s.r.l. Incremento Audience Televisivo, s.r.l. Ripetizione Programmi Televisivi (avv. Ubertazzi e Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Poste e telecomunicazioni . Televisione Ripetitori di emittenti estere Oh bligo di eliminare i messaggi pubblicitari Illegittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 21 e 41; I. 14 aprile 1975, n. 103, art. 40). La pubblicit commerciale attivit di impresa e non forma di manifestazione del pensiero; in quanto tale essa non garantita dall'art. 21 Cost. ma assistita dalle garanzie di cui all'art. 41 Cost. e pu essere sottoposta alle limitazioni ivi previste al secondo e terzo comma. Rispet. to al fine, di interesse generale, del non inaridire una fonte di finan~ 'ziamento della stampa, appare mezzo incongruo e sproporzionato il divieto assoluto di trasmissione, tramite ripetitori via etere, di messaggi pubblicitari irradiati da emittenti estere (1). (omissis) Le cinque ordinanze di rimessione sollevano tutte, in riferimento ad una pluralit di parametri, questioni di legittimit costituzionale dei medesimi disposti degli artt. 40 e 44 della legge 14 aprile 1975, n. 103, che fanno obbligo ai titolari di impianti ripetitori, via etere, nel territorio nazionale, di programmi sonori e televisivi irradiati da emittenti estere, di eliminare dai programmi medesimi i messaggi pubblicitari commerciali. I cinque giudizi possono, perci, venire riuniti. La legge n. 103 del 1975 stata approvata a seguito ed in conseguenza delle sentenze nn. 225 e 226 del 1974 di questa Corte, che hanno sottratto alla esclusiva statale gli impianti ripetitori dei programmi emessi da stazioni televisive estere nonch le emittenti private via cavo su scala locale, oltre ad enunciare i criteri cui avrebbe dovuto attenersi la nuova disciplina del monopolio statale del mezzo radiotelevisivo, nell'ambito in cui ne veniva riaffermata la legittimit. In particolare, con la sentenza n. 225 del 1974, la Corte ha negato che detto monopolio potesse abbracciare anche attivit, come quelle ine (1) La pur ampia sentenza motiva con due soli aggettivi ...,. incongruo e sproporzionato -una pronuncia demolitoria, che appare preoccupante non tanto per l'importanza attuale della pubblicit commerciale irradiata da emittenti televisive estere (ma gi ora una grande quantit di messaggi di emittenti estere anche lontane pu essere captata con appropriata antenna, e tra breve ci sar ancor pi agevole), quanto per la latitudine della possibilit di intervento a garanzia della iniziativa economica privata che la Corte sembra riconoscersi. Ma forse in questa vicenda ha influito la contiguit alla materia radiotelevisiva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO renti ai c.d. ripetitori di stazioni trasmittenti estere perch in questo particolare settore, senza apprezzabili ragioni, l'esclusiva statale sbarra la via alla libera circolazione delle ideee, compromette un bene essenziale della vita democratica, finisce per realizzare una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazione. Aggiungeva la Corte potersi ammettere che l'impianto e l'esercizio di siffatti ripetitori debbono essere sottoposti ad una disciplina legislativa, in considerazione della salvaguardia di pubblici interessi , adeguatamente tutelabili, peraltro, con un regime di autorizzazione . In adesione alla pronuncia qui sopra citata, agli impianti ripetitori via etere privati di programmi sonori e televisivi esteri e nazionali, stato dedicato il titolo III della legge n. 103 del 1975 (artt. 38-44). Specificatamente, per quanto concerne gli impianti ripetitori destinati esclusivamente alla ricezione ed alla contemporanea ed integrale diffusione via etere nel territorio nazionale dei normali programmi sonori e televisivi irradiati dagli organismi esteri esercenti i servizi pubblici di radiodiffusione nei rispettivi Paesi, nonch degli altri organismi regolarmente autorizzati in base alle leggi vigenti nei rispettivi Paesi, che non risultino costituiti allo scopo di diffondere i programmi nel territorio italiano, l'impianto e l'esercizio ne subordinato alla preventiva autorizzazione del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (art. 38, primo comma). Scopo preminente dell'autorizzazione (da rilasciare soltanto previo parere favorevole dei Ministri degli affari esteri, dell'interno e della difesa) quello di assegnare la frequenza di funzionamento degli impianti, che comunque non debbono interferire con le reti del servizio pubblico nazionale di radiodiffusione circolare, n con gli altri servizi di telecomunicazione (ibidem, secondo comma). L'autorizzazione in parola obbliga il titolare ad eliminare dai programmi esteri tutte le parti aventi, sotto qualsiasi forma, carattere pubblicitario (art. 40, primo comma). Con disposizione di carattere transitorio (art. 44), i titolari di impianti ripetitori (per quanto qui interessa) di programmi sonori e televisivi irradiati da stazioni estere. (gi) installati nel territorio nazionale, sono autorizzati a gestirli in via provvisoria fino al rilascio dell'autorizzazione, semprech ne abbiano presentato domanda nel termine ivi fissato ed a condizione... che non vengano diffusi messaggi pubblicitari esteri o nazionali . Va, infine, ricordato, per completezza, che, con la sentenza n. 202 del 1976, questa Corte ha dichiarato la illegittimit costituzionale della normativa (artt. 1, 2 e 45 della legge n. 103 del 1975) che non consentiva, previa autorizzazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva, via etere, di portata non eccedente l'ambito locale . I ' I I l ,_ i f i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Con la sentenza in esame, veniva affermata la necessit dell'intervento del legislatore nazionale perch l'esercizio del riconosciuto diritto di iniziativa privata si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse generale (di cui sopra) -della diffusione via etere su scala nazionale di programmi radiofonici e televisivi affidata al monopolio statale -e venivano dettati alcuni criteri cui il legislatore medesimo era invitato ad attenersi. Le sollecitazioni di questa Corte non sono state, per, raccolte per oltre otto anni e soltanto con il d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, convertito con modificazioni, nella legge 10 febbraio 1985, n. 10 venivano emanate disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, nessuna delle quali, peraltro, concerne specificatamente gli impianti ripetitori di programmi esteri. La normativa ora considerata contiene il preannuncio di una legge generale sul sistema radiotelevisivo , ma il termine di sei mesi dall'entrata in vigore del d.l. 807 del 1984, previsto per tale adempimento, gi stato prorogato, una prima volta, al 31 dicembre 1985, con il d.l. 1 giugno 1985, n. 223, convertito nella legge 2 agosto 1985, n. 397. In questo quadro legislativo, frammentario e dichiaratamente transitorio, condizionato dai mutamenti di fatto intervenuti e consolidati nel settore radiotelevisivo nazionale, sopratutto privato (che trovano disciplina temporanea nel succitato d.l. 807 del 1984 e nella relativa legge di conversione); a fronte delle straordinarie innovazioni gi assicurate o promesse dallo sviluppo scientifico e tecnologico; la questione decidenda, concernente il divieto assoluto, posto alle imprese di ripetizione, di diffondere via etere i messaggi pubblicitari commerciali irradiati, con i loro programmi, dalle emittenti estere, appare di scarso spessore pratico e tale da interessare un'area imprenditoriale quantitativamente e territorialmente modesta. Il divieto, infatti, riguarda la parte pubblicitaria soltanto di quei programmi sonori e televisivi emessi da stazioni estere -in pratica installate in Paesi confinanti con il nostro _,.. che o per la debolezza del segnale o per l'esistenza di ostacoli naturali non sono ricevibili direttamente in talune zone del territorio nazionale, come, invece, possono esserlo in altre. Da ci la peculiarit della situazione in esame, posto che l'attivit della quale si censura la disciplina legislativa, per ci che riguarda i messaggi pubblicitari commerciali, esclusivamente quella delle imprese di ripetizione (e non gi delle emittenti). Tanto precisato, giova tuttavia ricordare che sulla natura e sul ruolo della pubblicit commerciale nel sistema radiotelevisivo e pi in generale dell'informazione questa Corte si ripetutamente pronunziata. Con la sopracitata sentenza n. 225 del 1974, trattando della emananda normativa sul monopolio statale del mezzo radiotelevisivo, venne affermato (punto 8, lettera e della motivazione) doversi prevedere che at RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 542 traverso una adeguata limitazione della pubblicit, si eviti il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libert che la Costi tuzione fa oggetto di energica tutela. Con la coeva sentenza n. 226 del medesimo anno 1974, il concetto veniva, quanto meno implicitamente, ribadito affermandosi che la disciplina legislativa concernente l'installazione e l'esercizio delle reti private di televisione via cavo su scala locale avrebbe dovuto assicurare che, nel rispetto della libert di manifestazione del pensiero e d'iniziativa economica, siano salvaguardati gli interessi pubblici che, in varia guisa, possono entrare in gioco. Infine, con la sentenza n. 202 del 1976, (di cui supra), il legislatore veniva invitato a stabilire (n. 8, lettera e) limiti temporali per le trasmissioni pubblicitarie (delle emittenti radiotelevisive private, via etere, in ambito locale) in connessione con gli analoghi limiti imposti al servizio pubblico affidato al monopolio statale. A tali orientamenti si informata, sostanzialmente, la normativa statale. La legge n. 103 del 1975, infatti -a parte il divieto del quale qui si discute -si occupa della pubblicit commerciale in riferimento tanto al servizio pubblico, che deve contenerla nella durata complessiva del 5 per cento della durata delle trasmissioni sia televisive sia radiofoniche (art. 21, secondo comma; cfr. anche art. 21, primo comma; art. 4, primo comma, sesto alinea), quanto agli impianti privati di diffusione sonora e televisiva via cavo, per i quali viene fissato un limite temporale sostanzialmente analogo (art. 30, quarto comma, lettera a). Il d.l. n. 807 del 1984, nel testo risultante per effetto della legge di conversione (n. 10 del 1985), all'art. 3 bis, n. 1, ridetermina, in termini quanti tativi ragguagliati alle ore settimanali di trasmissione di programma e ad ogni ora di effettiva trasmissione, i limiti entro i quali consentita la trasmissione di messaggi pubblicitari ad opera di emittenti private, e demanda tale compito (ibidem n. 2), quanto al servizio pubblico, alla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, fermo il limite di cui al sopracitato art. 21, secondo comma, della legge n. 103 del 1975. Da quanto sin qui ricordato si ricava che, nel sistema di settore, il tempo di trasmissione dei messaggi pubblicitari commerciali con il mezzo radioteleviso, sia pubblico che privato, limitato dalla legge, che aderisce per questo aspetto, ai richiamati orientamenti della Corte. Tali orientamenti, espressi nella motivazione di sentenze con le quali sono state decise questioni di legittimit costituzionale non concernenti la disciplina della pubblicit con il mezzo radiotelevisivo, non consentono, come invece sostengono le difese delle parti private, di riferirli al dettato dell'art. 21 Cost. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 543 Al contrario, la netta distinzione tra le manifestazioni del pensiero delle quali, nei limiti ivi previsti, viene affermata la libert da un lato, e la pubblicit commerciale, della quale viene sottolineata la natura di fonte di finanziamento degli organi di informazione, dall'altro, sta ad indicare in modo inequivoco che quest'ultima considerata una componente dell'attivit delle imprese, come tale assistita dalle garanzie di cui all'art. 41 Cost., e assoggettabile, in ipotesi, alle limitazioni ivi previste al secondo e terzo comma. E le limitazioni quantitative ai tempi delle trasmissioni pubblicitarie commerciali con il mezzo radiotelevisivo suggerite dalla Corte ed adottate dal legislatore rientrano appunto nella indicata previsione costituzionale, avendo lo scopo di garantire una condizione ritenuta essenziale perch possa aversi pluralismo nell'informazione, dal momento che l'apporto rap presentato dagli introiti pubblicitari considerato indispensabile per la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione di massa, si tratti di organi di stampa ovvero delle emittenti radiotelevisive, pubbliche e private. Accanto a questa esigenza di carattere generale, altra se ne viene prospettando di uguale segno per la tutela dell'utente-consumatore, e a tal fine si auspica una disciplina non solo dei tempi, ma anche delle modalit di presentazione dei messaggi pubblicitari (l'importanza di tale aspetto della disciplina delle trasmissioni pubblicitarie sottolineata, tra l'altro, dalla raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa n. R (84) 3 del 23 febbraio 1984, che sollecita in particolare, a questo proposito, la chiara identificazione del messaggio pubblicitario come tale, la separazione della pubblicit dai programmi, l'accorpamento dei messaggi, la limitazione dei tempi dedicati alla pubblicit, il divieto della pubblicit subliminale: v. punti da 6 a 10 dei Principi). Ma tale questione estranea al presente giudizio e resta rimessa alla iniziativa del legislatore. Vero che la fattispecie decidenda non riguarda, come gi si avvertito, le imprese di trasmissione radiotelevisiva, ma quelle di ripeti zione, il che, di per s, rafforza l'argomentazione in ordine al parametro costituzionale di riferimento. Invero, la libert di iniziativa economica privata, in questo campo, stata riconosciuta, in regime di autorizzazione, con la sent. n. 225 del 1974, in quanto ritenuta strumentale rispetto alla libera circolazione delle idee diffuse dalle emittenti estere, cos da evitare che finisca per realizzarsi una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazione, Ora le disposizioni di legge censurate non riguardano, e perci non limitano, la libera circolazione delle idee, vale a dire dei programmi emessi dalle stazioni estere, ch, anzi, l'impresa di ripetizione deve diffonderle via etere nel territorio nazionale (contemporaneamente ed) integrai mente. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 544 Il divieto legislativo riguard<~ esclusivamente i messaggi pubblicitari commerciali esteri e nazionali ed il giudizio si esaurisce perci nella valutazione della legittimit del divieto medesimo rispetto alla affermata libert di iniziativa economica privata per quanto attiene all'impianto ed alla gestione di apparecchi ripetitori, nel territorio nazionale, di emissioni radiotelevisive provenienti da stazioni estere. , dunque, soltanto l'impresa di ripetizione a dover essere considerata per questo unico aspetto della sua attivit, essendo estranei al presente giudizio, e diversamente disciplinati dalla legge in modo specifico sia l'assegnazi9ne delle frequenze di funzionamento che i divieti di pubblicit di determinati prodotti. Una volta ritenuto che la pubblicit commerciale costituisce attivit di impresa, resta da verificare se essa sia tale anche per la impresa di ripetizione. La risposta non pu che essere affermativa. In proposito le difese delle parti private assumono che l'attivit di ripetizione di emissioni radiotelevisive estere, inariditisi ormai i possibili finanziamenti ad opera dell'industria elettronica italiana, pu reggersi, coprendo i costi di installazione, manutenzione e gestione dei propri impianti, solo se finanziata dalla emittente estera e/o dalla sua concessionaria pubblicitaria. Diretto o indiretto che sia, il finanziamento pubblicitario si rivelerebbe perci indispensabile per l'impresa di ripetizione, di talch il divieto assoluto, di cui alle disposizioni di legge denunziate, si porrebbe come ostativo, almeno tendenzialmente, alla loro stessa sopravvivenza. Non , per, necessario accertare se gli, eventuali, introiti pubblicitari siano o meno assolutamente necessari alle imprese di ripetizione. Invero sufficiente constatare -come del tutto pacifico -che la (ri)trasmis sione dei messa'.Sgi pubblicitari commerciali rientra tra le attivit delle imprese in questione. Se cos , spetta alla Corte individuare lo scopo della normativa denunziata -che una tale attivit proibisce -; vale a dire il fine di l!tilit sociale, cui vincolata la discrezionalit legislativa in materia. Spetta ancora alla Corte verificare il rapporto di congruit tra mezzi e fini, per salvaguardare la libert garantita contro interventi arbitrariamente restrittivi o contro interventi che praticamente annul lano il diritto primario inerente alla libert stessa (sent. n. 78 del 1970). Senza dubbio il fine di utilit generale perseguito dal legislatore nella fattispecie normativa in esame consiste nella esigenza di non inaridire una tradizionale fonte di finanziamento della stampa e degli altri mezzi di informazione, cos da garantire, attraverso una ripartizione tra essi di questa medesima fonte, il massimo di pluralismo nel settore. Altri scopi, che pure sono stati evocati nel dibattito parlamentare e dottrinale -quali quello di evitare l'inquinamento delle frequenze, la pubblicizzazione vietata di determinati prodotti od attivit, ovvero la com llllllll9111141llllllll1llllB,lllfllilll.:-Msa PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE m1ss10ne di illeciti valutari o l'elusione di obblighi tributari -sono estranei alla normativa in esame e trovano specifica tutela in altri disposti della medesima legge denunziata o di leggi diverse, che l'esercizio dell'attivit di ripetizione non autorizza certamente a violare. Rispetto al fine che il legislatore del 1975 ha inteso perseguire (il medesimo, cio, per cui sono state dettate semplici limitazioni quantitative dei messaggi pubblicitari per il monopolio statale e le emittenti private) il divieto assoluto del quale si discute appare mezzo incongruo e sproporzionato per eccesso e perci illegittimo per contrasto con l'art. 41, secondo comma, Cost. L'esigenza di garantire una delle condizioni ritenute necessarie perch si abbia pluralismo nell'informazione, viene, certamente, in considerazione anche per quanto concerne la (ri)trasmissione via etere nel territorio nazionale, per mezzo di ripetitori, dei messaggi pubblicitari commerciali irradiati da emittenti estere, nel senso che occorre impedire un incontrollato assorbimento, attraverso questo canale, delle risorse finanziarie derivanti dalla pubblicit stessa. Peraltro anche a tacer del fatto che, secondo dati di comune conoscenza, la pubblicit delle televisioni estere occupa una quota modesta (e decrescente negli ultimi anni) del mercato pubblicitario, la peculiarit dell'impresa di ripetizione, per i suoi costi di impianto, manutenzione e gestione certamente diversi e inferiori a quelli di una impresa di trasmissione, da un lato, e per la identificabilit, anche in termini quantitativi, dei bacini di utenza da essa serviti, dall'altro, non consente di operare sulla base del raffronto con diverse situazioni di settore. Resta perci in capo al legislatore e non a questa Corte la competenza ad imporre, determinandone la misura, limiti quantitativi alla ripetizione sul territorio nazionale a mezzo di appositi impianti dei messaggi pubblicitari commerciali nazionali ed esteri. p. q. m. dichiara la illegittimit costituzionale dell'art. 40, primo comma e 44, secondo comma, ultima parte, della legge 14 aprile 1975, n. 103. CORTE COSTITUZIONALE, 25 ottobre 1985, n. 234 -Pres. Roehrssen Rel. Borzellino -Morandi Mazzucchelli (avv. Salvucci) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). Urbanistica -J~ocalizzazione -Assenza di previo contraddittorio con i soggetti interessati -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 42 e 97; legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 51). Non irrazionale la disposizione che, per interventi sul territorio dt minore rilevanza, non prescrive una previa pubblicazione ~al fine di con 546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sentire la presentazione di opposizioni -delle deliberazioni di localizzazione; n pu ritenersi costituzionalizzata l'estensione nell'ambito amministrativo del cosiddetto principio del giusto procedimento '" (omissis) La questione, sulla quale la Corte chiamata a pronunciarsi, s'incentra sul precitato art. 51 legge 22 ottobre 1971, n. 865 nella parte in cui non prevede la pubblicazione degli atti di adozione della delibera comunale di localizzazione di aree destinate a programmi costruttivi, al fine di consentire la presentazione di opposizioni da parte dei soggetti interessati. Secondo i giudici a quibus, la norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 42, secondo comma Cost. in quanto creerebbe una situazione di ingiustificata diseguaglianza tra soggetti titolari di beni incisi dalle deliberazioni di localizzazione ex art. 51, rispetto a quelli titolari di beni oggetto dei piani di zona ex art. 1 e segg. della legge 18 aprile 1962, n. 167 ovvero da altri strumenti urbanistici, disciplinati dell'ordinamento, per l'adozione dei quali sarebbe invece previsto il suddetto obbligo della pubblicazione dei detti provvedimenti e la positiva facolt, da parte degli interessati, di presentare opposizione od osservazioni. Altres, la mancata possibilit per i soggetti privati di partecipare, in tal modo, alla formazione dei menzionati atti di strumentalizzazione urbanistica implicherebbe la violazione del principio del buon andamento espresso dall'art. 97 Cost. (omissis) Del pari, da disattendersi il rilievo dell'Avvocah.lra dello Stato, secondo cui, in assenza di esplicito positivo divieto, i giudici a quibus avrebbero dovuto, nella sfera delle proprie attribuzioni, direttamente interpretare e favorevolmente risolvere il contrasto, nel senso di una intrinseca identit del procedimento ex art. 51 con le normazioni che per altre strum~ntazioni edilizie (piani di zona), prevedono appunto, ex professo, opposizioni da parte dei privati in corso di formazione delle relative deliberazioni. In assenza, infatti, di almeno un inizio di giurisprudenza in tali sensi, espressione di un diritto vivente gi formato, o in formazione, lo stesso Consiglio di Stato ha puntualizzato (ord. 14/78) -precludendo cos altre e differenti soluzioni -come lo stesso disposto della norma (art. 51 legge n. 865 al suo ultimo comma) ammetta s l'applicabilit alla materia della compiuta normativa sui piani di zona, ma soltanto a deliberazione di localizzazione gi adottata, positivamente inferendosene l'esclusione nei riguardi d'ogni antecedente fase o modulo del procedimento. Nel merito la questione infondata. Le ordinanze di rimessione hanno univocamente denunciato la norma sia sotto il profilo di una lesione del principio di uguaglianza, sia sotto quello della violazione delle garanzie a tutela della propriet privata. A tenor d'esse, un contrasto con gli artt. 3 e 42, comma secondo, della Costituzione sarebbe individuabile per la di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE versa disciplina offerta ai titolari di beni incisi dai piani di zona (legge 18 aprile 1962, n. 167), nei cui confronti si consente Ja presentazione di opposizioni e si rende cos operante la difesa previa degli interessi privati, confrontata con il concomitante procedere della pubblica amministrazione. Tuttavia, nelle semplificazioni o accelerazioni delle procedure di adozione delle delibere di localizzazi.one ex art. 51, destinate ad attuare programmi costruttivi minori, e per di contingente pi rapida fattivit, non appare ravvisabile un irrazionale e comunque rilevante sacrificio dei ridetti interessi privati in gioco, a fronte della esigenza pubblica e tale -sul piano dei principi -da far ritenere vulnerati, senz'altro, gli enunciati degli artt. 3 e 42 Cost. A ci concorre la giurisprudenza stessa di questa Corte, l dove stata gi conclamata una sostanziale ed essenziale diversit, con evidente impossibilit di confronto sulla identit, tra i contenuti e gli scopi delle strumentazioni edilizie di pi vaste dimensioni e -per contro -la realizzazione -ed questo il caso in esame -di quelle microincidenze sul territorio, risultanti di componenti valutative, d'ordine sociale ed economico, di pi lieve intensit e minor rilevanza (sentenza n. 23 del 20 marzo 1978). D'altronde, anche l'asserita violazione dell'art. 97 Cost. si prospetta priva di pregio. Il disposto dell'art. 97 si prefigge -nella direttiva costituzionale per la regolamentazione delle pubbliche attivit, obiettivate a conseguire buon andamento ed imparzialit -la predisposizione di strutture e di moduli d'organizzazione, volti ad assicurare, appunto, ed attraverso questa, un'ottimale funzionalit. Il che non esclude che il legislatore ordinario possa indirizzarsi anche verso altri (e in aggiunta) canoni di garanzia, oltre quello della organizzazione la pi corretta: fra questi, la cosiddtta procedimentalizzazione dell'amministrazione, giusta modelli contenziosi o paracontenziosi cui, in effetti, sembrano tendere concretamente le richieste in causa. Orbene, con norme di condotta troppo eccessivamente minuziose, imposte alla amministrazione pubblica, lungi dall'ottenersi sempre fattiva garanzia, potrebbero, invece, sussistere inconvenienti, anche gravi, di ristagno. Ma a tacer di ci, certo -in ogni caso -che il dovere di adesione obbligatoria a modelli di procedimento amministrativo del genere, con la attiva partecipazione concomitante perenne, cio, dei soggetti privati, non desumibile dalla disposizione dedotta (art. 97), non potendosi ravvisare costituzionalizzato, per le considerazioni pi sopra esposte circa la portata dell'invocato parametro, il cosiddetto principio del giusto procedimento (e in tali sensi, ancora la sentenza n. 23/1978). (omissis) SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 28 marzo 1985, nella causa 272/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz Commissione delle C. E. (agente Campogrande) c. Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara). Comunit europee Agricoltura Associazioni di produttori agricoli Requi siti per il riconoscimento e per la revoca di esso Legislazione nazio nale e regionale di attuazione Limiti. (Regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78; legge 20 ottobre 1978, n. 674). Comunit europee -Agricoltura Associazioni di produttori agricoli Normativa regionale di attuazione Contrasti con il diritto comunitario Insussistenza. (Regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78; !. 20 ottobre 197ll, n. 674 !. .reg. Piemonte 22 aprile 1980, n. 27, art. 12). Comunit europee Agricoltura Associazioni di produttori agricoli Nor mativa regionale e provinciale di attuazione Mancanza in una parte del territorio nazionale. (Regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78; legge 20 ottobre 1978, n. 674). Includendo fra i requisiti per la concessione e la revoca del riconoscimento delle associazioni di produttori, di cui al regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78, concernente le associazioni di produttori e le relative unioni, l'obbligo per queste associazioni, ai sensi dell'art. 2 della legge 20 ottobre 1978, n. 674, di esercitare la loro attivit commerciale in rappresntanza dei loro associati, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE. Viceversa non venuta meno a tali obblighi per aver incluso fra i requisiti .stessi la previsione negli statuti che venga promossa la costituzione di imprese cooperative o di altre forme associative per la realizzazirme e la gestione cli impianti collettivi di stoccaggio, di lavorazione e di trasformazione e commercializzazione dei prodotti (1). (l) La Corte di giustizia ha ritenuto che l'art. 2, secondo comma, della legge 19 giugno 1978, n. 1360 (cos come, nella sua scia, numerose leggi regionali di attuazione), nel disporre che le associazioni di produttori, per il loro funzionamento e per il rispetto della normativa comunitaria, devono stabilire, fra l'altro, nei loro statuti, che l'associazione ... stipuli convenzioni e contratti, anche interprofessionali, in rappresentanza dei propri associati, abbia inteso imporre alle associazioni di esercitare la loro attivit commerciale in rappre - PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARI.\ E INTERNAZIONALE 549 Non possibile contestare alle autorit regionali italiane il fatto di aver adottato la normativa regionale di attuazione del regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78, prima che la Commissione avesse assolto il proprio compito di emanare disposizioni complementari, e in tali condizioni, mancando la possibilit di far riferimento ai regolamenti della Commissione, di aver autorizzato il Consiglio regionale a fare quanto necessario nel rispetto delle eventuali decisioni della Commissione. N pu considerarsi trasgressione al diritto comunitario il fatto che la legislazione regionale, -in un regime disciplinato da un insieme di disposizioni comunitarie (del Consiglio e della Commissione), nazionali e regionali -, riporti, ai fini della coerenza delle sue disposiz~oni e della sentanza degli associati, mentre la nonna comunitaria prevede che le associazioni devono essere lasciate libere di agire per conto e in nome proprio ovvero in rappresentanza degli associati. L'interpretazione della normativa nazionale data dalla Corte diverge da ,quella indicata dal Governo italiano nelle proprie difese. Qualora lo statuto di un'associazione -si era con esse rilevato -contempli fra i suoi scopi la concentrazione dell'offerta (come nel caso delle associazioni di produttori) conseguenziale e automatico l'esercizio da parte della associazione di un'attivit operativa e normativa diretta, cio in nome proprio. Poich il regolamento comunitario prevede anche la possibilit di un'attivit operativa indiretta, cio a nome e per conto dei propri associati, il legislatore italiano, nel dettare le norme di applicazione (in conformit al disposto dell'art. 19 del regolamento stesso), aveva ritenuto opportuno che negli sta.tuti fossero predisposti gli strumenti con i quali l'organizzazione avrebbe potuto operare allorch, con propria autonoma decisione, avesse ritenuto di agire per via indiretta, fermo che l'associazione avrebbe sempre potuto agire solo in via diretta, cio in tutta la gamma di ipotesi previste dalla normativa comunitaria. In sostanza, considerato che, senza esplicita previsione statutaria, le associazioni non avrebbero potuto, presentandosene l'opportunit, agire in forma indiretta, si era ritenuto opportuno, in piena aderenza allo spirito comunitario e alla sua lettera (la norma italiana parla in effetti di statuti che devono prevedere, fra l'altro, per il loro funzionamento, per l'adempimento degli obblighi e per l'ottemperanza delle disposizioni di cui al citato regolamento ... ), fare in modo che le associazioni riconosciute fossero state in grado di operare in qualunque momento nell'uno o nell'altro dei modi previsti dalla normativa comunitaria. La norma italiana -si era concluso -non impone affatto alle associazioni di operare solo stipulando convenzioni e contratti in rappresentanza dei propri associati. Essa si limita a imporre la previsione che l'associazione possa realizzare i propri scopi istituzionali anche in forma indiretta. Naturalmente la stessa interpretazione doveva essere data alla legislazione regionale che ripeteva le prescrizioni della legge nazionale. Sotto altra angolazione -forse pi accettabile -l'Avvocato Generale LENZ, nelle sue conclusioni, aveva recepito l'interpretazione data dal Governo italiano, ma aveva cionondimeno ritenuto fondata la contestazione mossa dalla Commissione. Ci troviamo qui -aveva rilevato l'Avvocato Generale -di fronte a due diverse interpretazioni della legge nazionale. Se ora il Governo nazionale interessato fornisce una interpretazione del tutto plausibile del proprio diritto nazionale, la Corte dovrebbe considerare esatta tale interpretazione. Non 550 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buona comprensione di queste ultime da parte dei loro destinatari, taluni elementi dei regolamenti comunitari (2). In mancanza di una legislazione di attuazione nelle regioni Valle d'Aosta e Friuli e nelle due province. autonome di Trento e Bolzano, va constatato che la Repubblica italiana non ha adottato nell'intero territorio nazionale i provvedimenti necessari per l'attuazione integrale del regolamento CEE 19 giugno 1978, n. 1360/78 (3). (omissis) 1. Con atto registrato nella cancelleria della Corte il 14 dicembre 1983, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica italiana, non avendo applicato in modo corretto il regolamento del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360, concernente le associazioni di produttori e le relative unioni (G. U. n. L 166, pa. 1), venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a nonna del Trattato CEE. 2. -Il regolamento n. 1360/78 istituisce, in talune regioni della Comunit fra cui l'intero territorio italiano, un regime di incentivazione alla costituzione di associazioni di produttori agricoli, con lo scopo di stimolare sia una concentrazione dell'offerta di taluni prodotti agricoli sia un adeguamento della loro produzione alle esigenze del mercato. Ai sensi degli artt. 4, 7 e 10 del regolamento, spetta agli Stati membri interessati riconoscere le associazioni di produttori che rispondono alle condizioni elencate nel regolamento stesso, controllare che queste condizioni continuino a ricorrere, e, infine, concedere alle associazioni riconosciute aiuti sufficiente che la ricorrente (cio la Commissione) si limiti a contrapporle un'altra interpretazione contraria. La ricorrente dovrebbe piuttosto presentare solidi argomenti, come per esempio riferimenti alla prassi nazionale, decisioni giurisprudenziali o simili. Essa ha per ammesso di non disporre di tali argomenti. Peraltro, l'Avvocato generale aveva concluso anch'egli per l'accoglimento sul punto del ricorso della Commissione, avendo rilevato che, .comunque, la normativa nazionale imponeva un obbligo supplementare rispetto agli adempimenti richiesti dal regolamento comunitario: i soci sarebbero stati costretti a concedere all'associazione un potere di rappresentanza che essi avrebbero potuto non essere disposti a concedere e che soprattutto non era richiesto dal diritto comunitario, e irrilevante appariva il fatto che le associazioni non fossero obbligate a farne uso, mentre certamente rilevante era che il riconoscimento fosse subordinato alla previsione di esso nello statuto e che il suo venir meno avrebbe potuto legittimare, secondo la norma nazionale, la revoca del riconoscimento. (2) Soluzione conforme alle tesi svolte dal Governo italiano. (3) Le altre regioni hanno emesso le disposizioni di attuazione con le seguenti leggi regionali: Piemonte n. 27/80, Toscana n. 77/80, Lombardia 550 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buona comprensione di queste ultime da parte dei loro destinatari, taluni elementi dei regolamenti comunitari (2). In mancanza di una legislazione di attuazione nelle regioni Valle d'Aosta e Friuli e nelle due province. autonome di Trento e Bolzano, va constatato che la Repubblica italiana non ha adottato nell'intero territorio nazionale i provvedimenti necessari per l'attuazione integrale del regolamento CEE 19 giugno 1978, n. 1360/78 (3). (omissis) 1. Con atto registrato nella cancelleria della Corte il 14 dicembre 1983, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica italiana, non avendo applicato in modo corretto il regolamento del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360, concernente le associazioni di produttori e le relative unioni (G. U. n. L 166, pa. 1), venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a nonna del Trattato CEE. 2. -Il regolamento n. 1360/78 istituisce, in talune regioni della Comunit fra cui l'intero territorio italiano, un regime di incentivazione alla costituzione di associazioni di produttori agricoli, con lo scopo di stimolare sia una concentrazione dell'offerta di taluni prodotti agricoli sia un adeguamento della loro produzione alle esigenze del mercato. Ai sensi degli artt. 4, 7 e 10 del regolamento, spetta agli Stati membri interessati riconoscere le associazioni di produttori che rispondono alle condizioni elencate nel regolamento stesso, controllare che queste condizioni continuino a ricorrere, e, infine, concedere alle associazioni riconosciute aiuti sufficiente che la ricorrente (cio la Commissione) si limiti a contrapporle un'altra interpretazione contraria. La ricorrente dovrebbe piuttosto presentare solidi argomenti, come per esempio riferimenti alla prassi nazionale, decisioni giurisprudenziali o simili. Essa ha per ammesso di non disporre di tali argomenti. Peraltro, l'Avvocato generale aveva concluso anch'egli per l'accoglimento sul punto del ricorso della Commissione, avendo rilevato che, .comunque, la normativa nazionale imponeva un obbligo supplementare rispetto agli adempimenti richiesti dal regolamento comunitario: i soci sarebbero stati costretti a concedere all'associazione un potere di rappresentanza che essi avrebbero potuto non essere disposti a concedere e che soprattutto non era richiesto dal diritto comunitario, e irrilevante appariva il fatto che le associazioni non fossero obbligate a farne uso, mentre certamente rilevante era che il riconoscimento fosse subordinato alla previsione di esso nello statuto e che il suo venir meno avrebbe potuto legittimare, secondo la norma nazionale, la revoca del riconoscimento. (2) Soluzione conforme alle tesi svolte dal Governo italiano. (3) Le altre regioni hanno emesso le disposizioni di attuazione con le seguenti leggi regionali: Piemonte n. 27/80, Toscana n. 77/80, Lombardia n. 97/80, Sicilia n. 81/81, Umbria n. 42/81; Emilia n~ 28/81, Veneto n. 57/81, Marche n. 42/81, Puglia n. 7/82, Campania n. 29/82, Abruzzo n. 30/82, Calabria n. 13/82, Basilicata n. 24/82, Sardegna n. 15/83, Liguria n. 23/83, Molise n. 23/84, Lazio n. 60/84. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE per incoraggiarne la costituzione e agevolarne il funzionamento amm1mstrativo. Questi aiuti sono imputabili al Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), sezione orientamento>>. 3. -La legge italiana 20 ottobre 1978, n. 674, contenente disposizioni in materia di associazioni di produttori agricoli (G. U. R. l. n. 311, pag 8011) ha come oggetto l'adeguamento della normativa italiana alla precitata normativa comunitaria. Tuttavia, in relazione all'assetto costituzionale della Repubblica italiana, che assegna a diciannove regioni ed alle due provincie autonome di Trento e Bolzano ampi poteri in materia di agricoltura, spetta a queste regioni ed alle due province autonome, a norma dell'art. 2, primo comma, della legge n. 674, adottare i provvedimenti necessari, in particolare per quel che riguarda le modalit di riconoscimento delle associazioni di produttori; questi provvedimenti devono tener conto delle norme del regolamento n. 1360/78 e di quelle della legge n. 674. L'art. 2, secondo comma, della legge n. 674 prescrive che gli statuti delle associazioni devono fra l'altro stabilire, per il loro funzionamento e per il rispetto delle norme del regolamento comunitario, talune disposizioni, pi o meno dettagliate, contenute nei nn. 1-10 del detto art. 2, secondo comma. 4. -La Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver mancato agli obblighi che le incombono: -prevedendo, nella legge n. 674 e nella legislazione regionale di applicazione, condizioni per la concessione e la revoca del riconoscimento delle associazioni di produttori e delle relative unioni diverse da quelle previste dal regolamento n. 1360/78; -mantenendo nella legislazione regionale disposizioni in materia di esclusiva competenza comunitaria, nonch disposizioni ripetitive di norme comunitarie; -non adottando in parte del suo territorio, la legislazione integrativa necessaria per l'applicazione del regolamento n. 1360/78. S. - opportuno. esaminare successivamente queste tre diverse censure. a) Le condizioni per la concessione e la revoca del riconoscimento delle associazioni di produttori. 6. -Per quel che riguarda la concessione del riconoscimento delle associazioni di produttori, Ja Commissione sostiene che la normativa italiana impone condizioni diverse da quelle disposte dalla normativa comunitaria relativamente a due punti. Innanzitutto, la legge n. 674, all'art. 2, secondo comma, n. 4, imporrebbe alle associazioni riconosciute di esercitare attivit commerciali in rappresentanza dei loro associati, mentre il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 552 regolamento n. 1360/78 lascerebbe le associazioni libere di intervenire esse stesse sul mercato o di farlo a nome e per conto dei loro associati. In secondo duogo, la medesima legge, all'art. 2, secondo comma, n. 8, imporrebbe alle associazioni di promuovere la costituzione di cooperative per la gestione degli impianti collettivi di stoccaggio, di lavorazione e di trasformazione dei prodotti, condizione non contemplata dal regolamento numero 1360/78. 7. -La Commissione ricorda, sul primo punto, che ai sensi dell'art. 2, secondo comma, della legge italiana, gli statuti delle associazioni dei produttori devono prevedere, fra l'altro: " 4 -che l'associazione adotti regolamenti per il proprio funziona mento; definisce programmi di produzione e di commercializzazione; stipuli convenzioni e contratti, anche interprofessionali, in rappresentanza dei propri associati per la cessione, il ritiro, lo stoccaggio e l'immissione sul mercato dei prodotti>>. 8. -La Commissione deduce da questa disposizione che le associazioni di produttori, in forza della legge italiana, non possono organizzarsi in modo da agire, per l'immissione sul mercato dei prodotti, a nome dei propri associati ma per conto dell'associazione o addirittura a nome e per conto dell'associazione. L'art. 6 del regolamento n. 1360/78 avrebbe tuttavia provveduto a disporre che gli stati.tti delle associazioni devono prevedere l'obbligo per gli associati: -di effettuare l'immissione sul mercato di tutta la produzione destinata alla commercializzazione ... secondo le norme di conferimento e d'immissione sul mercato stabilite e controllate ... dall'associazione ... ; -ovvero di far effettuare ... dall'associazione ... l'immissione sul mercato di tutta la produzione destinata alla commercializzazione ..., a loro nome e per loro conto, oppure a loro nome e per conto dell'associazione ..., oppure a nome e per conto dell'associazione ... >>. Il diritto comunitario lascerebbe quindi le associazioni dei produttori libere di esercitare attivit normative o commerciali, e offrirebbe alle associazioni, per quel. che riguarda le attivit commerciali, una scelta che la legge italiana non consentirebbe loro. 9. -Il governo italiano attira l'attenzione sul fatto che la legge n. 674 una legge-quadro, che non diretta di per s alle associazioni di produttori bens obbliga le regioni, competenti in materia, a definire norme per il riconoscimento che lascino alle associazioni di produttori la scelta di esercitare attivit normative (adottare regolamenti e programmi) o commerciali (stipulare contratti). Per quel che riguarda le attivit commerciali, non sarebbe stato necessario stabilire che l'associazione possa agire in forma diretta sul mercato, in quanto tale potere discende dalla finalit perseguita dall'associazione, che la concentra PARTE I, SEZ. II, IURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 553 zione dell'offerta. Poich il regolamento n. 1360/78 contempla altres la possibilit per le associazioni di agire a nome e per conto dei propri associati, il legislatore italiano auebbe ritenuto opportuno che negli statuti fossero determinati gli strumenti con cui l'associazione potrebbe agire, qualora lo desideri, in forma indiretta, cio n rappresentanza dei propri associati. 10. -Va osservato innanzitutto che, in base alla formulazione dell'art. 2, 2 comma, n. 4, della legge n. 674, il riconoscimento di un'associazione pu essere rifiutato se quest'ultima non abbia inserito nel proprio statuto la forma di attivit contemplata da tale disposizione ma adotti una delle altre forme di attivit di cui all'art. 6 del regolamento n. 1360/78. In tale ipotesi, l'associazione avrebbe tuttavia il diritto di essere riconosciuta a norma della regolamentazione comunitaria. 11. -L'argomento del Governo italiano secondo cui la legge n. 674 non obbliga le associazioni di produttori ad esercitare un'attivit commerciale in rappresentanza dei propri membri, bens si limita ad invitare le autorit regionali a non trascurare questa forma di azione, non pu essere accolto. Risulta infatti, da un certo numero di leggi regionali, che queste ultime obbligano le associazioni ad inserire nei loro statuti la rappresentanza dei loro associati per la cessione, il ritiro, l'immissione sul mercato e lo stoccaggio dei prodotti, senza menzionare la possibilit, tuttavia concessa dal regolamento n. 1360/78, che le associazioni agiscano, a questo proposito, a nome proprio e per proprio conto. Cos, la legge regionale della regione Lombardia (Bollettino Ufficiale della Regione del 20 novembre 1980, n. 47) ripete all'art. 3, i requisiti di cui alla legge n. 674 e la legge regionale della regione Sicilia (Bollettino Ufficiale della Regione del 9 maggio 1981, n. 23) si limita, agli artt. 2 e 3, a farvi riferimento. Tale rinvio figura altres nelle leggi regionali dell'Emilia-Romagna (Bol lettino Ufficiale della Regione del 5 settembre 1981, n. 15), all'art. 3, e della Campania (Bollettino Ufficiale della Regione del 2 giugno 1982, n. 36), all'art. 4. 12. -Di conseguenza, l'effetto congiunto della legge nazionale e delle leggi regionali toglie alle associazioni di produttori, su una parte rilevante del territorio italiano, la libert di scegliere una forma di attivit loro. permessa .dalla normativa comunitaria. 13. -Il secondo punto trattato, a questo proposito, dalla Commissione riguarda l'art. 2, n. 8, della legge n. 674. A norma di tale disposizione, gli statuti delle associazioni di produttori devono stabilire " che venga promossa la costituzione di imprese cooperative o di altre forme associative per la realizzazione e la gestione di impianti collettivi di stoccaggio, di lavorazione e di trasformazione e commercializzazione dei prodotti . La Commissione sostiene che una disposizione del genere non figura 554 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nel regolamento n. 1360/78 e che la normativa italiana costringe quindi le associazioni ad adottare forme di attivit sconosciute al diritto comu nitario. 14. -Il governo italiano ricorda che lo scopo dell'istituzione delle associazioni di produttori consiste nell'adattare la produzione e l'offerta alle esigenze del mercato tramite forme di attivit comuni. Nell'agricoltura italiana, la cooperazione rappresenterebbe il primo stadio associativo atto a favorire l'accorciamento dei circuiti commerciali tramite la concentrazione dell'offerta e l'utilizzazione comune degli impianti di trasformazione. Lungi dal turbare il funzionamento delle associazioni, la formazione di cooperative agirebbe nel medesimo senso e sarebbe quindi idonea ad ovviare alle deficienze strutturali cui il regolamento comunitario si propone di rimediare progressivamente. 15. -La Corte ritiene che questo argomento del Governo italiano debba essere accolto. La disposizione contestata non comporta, come asserito dalla Commissione, un obbligo di promuovere la sola costituzione di imprese cooperative; essa lascia alle associazioni la scelta di incoraggiare la costituzione sia di tali imprese sia di altre forme associative che poi trebbero gestire impianti collettivi di lavorazione e di commercializzaziof f: ne. difficile immaginare che la promozione, in una forma o in un'altra, di tali attivit cooperative o collettive possa essere contraria al regola1= mento n. 1360/78, quando quest'ultimo mira precisamente, ai sensi del suo sesto considerando, ad incoraggiare l'associazione degli agricoltori I al fine di intervenire nel processo economico mediante forme di azione comune. I f 16. -Su questo punto, il ricorso va pertanto respinto. f I ~ 17. -Per quel che riguarda la revoca del riconoscimento concesso > alle associazioni, la Commissione sostiene che gli artt. 4 e 5 della legge n. 674 obbligano le regioni a disporre tale revoca qualora l'associazione abbia compiuto ripetute e gravi infrazioni alle norme comunitarie e naI zionali. I! 18. -Nel ricorso la Commissione ha ammesso che uno Stato membro ha la facolt di imporre la revoca del riconoscimento allorch l'associazione violi norme nazionali generali, vigenti per l'insieme delle persone i giuridiche e non attinenti ai requisiti ed agli obblighi specifici delle associazioni di produttori agricoli. Sarebbe invece inammissibile che il riconoscimento potesse essere revocato allorch l'associazione risponde a tutte I le condizioni stabilite dalle norme comunitarie ma non si conforma agli obblighi aggiuntivi imposti dalla legge n. 674. I l 19. -Stando cos le cose, questa parte della domanda si fonde con quella relativa alla concessione del riconoscimento delle associazioni. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 20. -Si deve quindi concludere che la Repubblica italiana non ha eseguito il regolamento n. 1360/78 in modo corretto in quanto, fra i requisiti per la concessione e la revoca del riconoscimento delle associazioni di produttori, ha inserito l'obbligo, per tali associazioni, di esercitare le loro attivit commerciali in rappresentanza dei propri associati. b) Il contenuto delle norme delle leggi regionali. 21. -La Commisione fa valere che le leggi regionali di applicazione contengono disposizioni che si limitano a ripetere le norme comunitarie nonch norme relative a materie che sono ormai di esclusiva competenza delle istituzioni comunitarie. 22. -La Commissione si riferisce per esempio all'art. 12 della legge regionale del Piemonte (Bollettino Ufficiale della Regione del 30 aprile 1980, n. 18) che attribuisce al consiglio regionale il potere di adottare, fra l'altro, norme comuni di produzione e di immissione sul mercato nonch norme in materia di dimensioni minime delle associazioni, di determinazione dei settori interessati, di definizione di spese eligibili per gli aiuti. Ora, gli artt. 6, n. 3, e 11, n. 3, del regolamento n. 1360/78 riserverebbero alla Commissione il potere di adottare norme del genere. Le dimensioni minime delle associazioni e le i;pese eligibili per gli aiuti sarebbero gi state definite dal regolamento della Commissione 31 luglio 1980, n. 2084/80, recante modalit di applicazione relative all'attivit economica delle associazioni di produttori e delle relative unioni (G.U. n. L. 203, pag. 5). 23. -Il Governo italiano sostiene che la legge regionale del Piemonte anteriore al regolamento della Commissione n. 2084/80 di cui non poteva dunque essere tenuto conto e che l'art. 12 di questa legge regionale precisa esplicitamente che il Consiglio regionale stabilisce le modalit di applicazione relative a talune materie nel rispetto delle determinazioni assunte dai competenti organi ai sensi del regolamento del Consiglio delle Comunit Europee 19 luglio 1978, n. 1360 . Sarebbe d'altronde estremamente difficile evitare tali sovrapposizioni, cos come talune ripetizioni, in una situazione in cui la produzione normativa ripartita su quattro diversi livelli, quello del Consiglio delle Comunit Europee, quello della Commissione, il livello nazionale ed il livello regionale. Le leggi regionali costituirebbero per il destinatario la fonte di informazioni pi accessibile; esse dovrebbero dunque necessariamente ripetere, per maggior chiarezza, il contenuto di talune disposizioni che si trovano a monte. 24. -Va osservato in primo luogo che il regolamento n. 1360/78 non fissa, per la propria esecuzione da parte degli Stati membri, una scader. za precisa. Talune delle sue disposizioni impongono obblighi agli Stati membri (artt. 4, 7 e 10, n. 1), altre obbligano la Commissione a sta bilire, secondo il procedimento cosiddetto del comitato di gestione, talune RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 556 modalit di applicazione (artt. 6, n. 3, e 11, n. 3). Solamente l'art. 11, n. 3, che concerne le precisazioni necessarie a delimitare la nozione di spese reali di costituzione e di funzionamento amministrativo delle associazioni, contiene una scadenza, disponendo che tali precisazioni saranno adottate entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente regolamento. Il regolamento di applicazione della Commissione, cio il precitato regolamento n. 2084/80, stato adottato pi di due anni dopo l'entrata in vigore, avvenuta il 26 giugno 1978, del regolamento n. 1360/78 (art. 20 del regolamento n. 1360/78). 25. -La Commissione ha riconosciuto che in Italia, per ragioni costituzionali, le modalit pratiche per la concessione e la revoca del riconoscimento del.le associazioni vanno definite dalle autorit regionali. Non possibile contestare a tali autorit il fatto di aver adottato la normativa regionale necessaria prima che la Commissione avesse assolto il proprio compito e, in tali condizioni, mancando la possibilit di far riferimento ai regolamenti della Commissione, di aver autorizzato il Consiglio regionale a fare quanto necessario nel rispetto delle eventuali decisioni della Commissione. 26. -Quanto alla censura relativa alla ripetizione, da parte delle leggi regionali, o di talune di queste, del contenuto della normativa comunitaria, vero che la Corte, co~e rilevato dalla Commissione, ha sottolineato nella sua sentenza 7 febbraio 1973 (causa 39/72, ITALIA, Racc., pag. 101) che i regolamenti della Comunit sono di per s direttamente efficaci in tutti gli Stati membri ed entrano in vigore per il semplice fatto della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit. Di conseguenza, uno Stato membro non libero di creare una situazione in cui l'efficacia diretta dei regolamenti comunitari verrebbe compromessa. 27. -Questo non tuttavia il caso di specie. L'attuazione del regime delle associazioni di produttori in Italia non pu essere garantita dai soli regolamenti comunitari; essa dipende, come la Commissione stessa ha riconosciuto, dalla convergenza di un insieme di disposizioni, comunitarie, nazionali e regionali. In una tale situazione particolare, il fatto cbe talune leggi regionali riportino, ai fini della coerenza delle loro disposizioni e della buona comprensione di queste ultime da parte dei loro destinatari, taluni elementi dei regolamenti comunitari non pu essere considerato come una trasgressione del diritto comunitario. 28. -Da quanto precede risulta che questa parte del ricorso della Commissione va respinta. c) La mancata adozione di leggi regionali. 29. -La Commissione sostiene nel ricorso che, in violazione delle norme comunitarie, il regolamento n. 1360/78 sarebbe applicato solamente \ I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 557 in undici regioni italiane, non essendo stati ancora adottati provvedi menti regionali di applicazione nelle regioni Valle d'Aosta, Liguria, Friuli, Lazio, Molise, Basilicata, Calabria e Sardegna n nelle due province autonome di Trento e Bolzano. 30. -Il Governo italiano ha ammesso il ritardo. 31. -Poich talune regioni hanno nel frattempo adottato i provvedi menti necessari, risulta che al termine della fase orale, due regioni, e cio la Valle d'Aosta e il Friuli, e le due province autonome di Trento e Bolzano non avevano ancora provveduto al riguardo. 32. -Va dunque constatato, su questo punto, che la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato non avendo adottato, per una parte del suo territorio, i provvedimenti necessari all'attuazione integrale del regolamento n. 1360/78. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 28 marzo 1985, nella causa 274/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz -Commissione delle C. E. (ag. Prozzillo) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Appalti di lavori pubblici -Procedure di applicazione. (Direttiva CEE del Consiglio 15 luglio 1975, n. 71/305, artt. 12 e segg., 23 e segg., 29 e 33; legge 8 aimsto 1977. n. 584; legge 10 dicembre 1981, n. 741, artt. 9, 10, 11, 13, 15; legge 8 ottobre 1984, n. 687). . , . ..J La Repubblica italiana, adottando l'art. 10, comma primo (che prevede come criterio di aggiudicazione l'offerta segreta che eguaglia o pi si avvicina alla media delle offerte), commi 3 e 5 (che prevedono una sospensione temporale dell'obbligo di pubblicazione dei bandi nella Gaz zetta Ufficiale delle C. E. e dell'obbligo di richiedere alcune particolari referenze) e l'art. 13 (che autorizza l'aggiudicazione a trattativa privata in casi di urgenza diversi da quelli previsti nella direttiva comunitaria) della legge 10 dicembre 1981, n.. 741, contenente ulteriori no1-me per l'accelerazione delle procedute per l'esecuzione di opere pubbliche, e non comunicando ufficialmente alla Commissione il testo della legge stessa, venuta meno agli obblighi ad essa imposti dalla direttiva 71/ 305/CEE del Consiglio del 15 luglio 1975 (1). (1) Molte delle ongmarie contestazioni della Commissione sono cadute in corso di causa, vuoi per rinuncia della stessa dopo i chiarimenti forniti nelle difese del Governo italiano sull'esatta portata delle norme nazionali, vuoi perch superate dalle nuove norme della legge 8 ottobre 1984, n. 687. L'unico residuo motivo di contrasto tra le parti era se il criterio di aggiudicazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 16 dicembre 1983, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far constatare che la Repubblica italiana, adottando talune disposizioni in materia d1 aggiudicazione di appalti di lavori pubblici e omettendo di comunicare alla Commissione talune disposizioni essenziali di diritto interno da essa adottate nel settore dsciplinato dalla direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, n. 71/305, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (G. V. n. L 185, pag. 5), venuta meno agli obblighi ad essa imposti dal Trattato CEE. 2. -Il 26 luglio 1971, il Consiglio delle Comunit Europee adottava due direttive intese a realizzare la libert di stabilimento e la libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici. La prima, la n. 71/304 (G. U. n. L 185, pag. 1), attua, per quanto riguarda gli appalti di lavori pubblici, il principio del divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalit in materia di libera prestazione dei servizi. La seconda, la n. 71/305 (G.U. n. L 185, pag. 5), stabilisce il coordinamento delle procedure nazionali per l'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici dettando in particolare: -norme comuni di pubblicit (artt. 12 e segg.); -norme comuni di partecipazione (titolo IV) contenenti l'enunciazione di criteri obiettivi sia per la selezione qualitativa delle imprese (artt. 23 e segg.), sia per l'aggiudicazione degli appalti (art. 29). 3. -Con sentenza 22 settembre 1976 (COMMISSIONE c. ITALIA, causa 10/76, Racc., pag. 1359), la Corte dichiarava e statuiva che, non avendo adottato entro il termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio n. 71/305, la Repubblica italiana era venuta meno ad un obbligo impostale dal Trattato. Conformandosi a questa sentenza, la Repubblica italiana adottava 1'8 agosto 1977, la legge dell'offerta segreta che eguaglia o pi si avvicina alla media (art. 10, primo comma, legge n. 741 del 1981, confermato nella legge n. 687/1984) potesse consi derarsi o meno uno dei criteri per determinare l'offerta economicamente pi vantaggiosa. La soluzione negativa accolta dalla Corte si basa sul presupposto che la determinazione dell'offerta pi vantaggiosa consegue ad una decisione discre zionale dell'amministrazione aggiudicatrice, mentre il criterio in questione impone un meccanismo automatico, che esclude qualsiasi discrezionalit. Le sentenze della Corte citate in motivazione 22 settembre 1976, nella causa 10/76, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, relativa alla mancata attuazione della direttiva 71/305, e 11 luglio 1984, nella causa 51/83, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, relativa alla corrispondenza fra lettera di diffida, parere motivato e ricorso di cui all'art. 169 del Trattato CEE, sono pubblicate in questa Rassegna 1976, I, 929, e 1984, I, 924. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE n. 584 (G.U.R.I. 26 agosto 1977, n. 232, pag. 6272) la quale, a parere della Commissione, garantiva una corretta attuazione della direttiva. 4. -Il 10 dicembre 1981, il legislatore italiano adottava la legge n. 741 recante ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche (G.U.R.I. 16 dicembre 1981, n. 344, pag. 8271). La Commissione, ritenendo, in primo luogo, che numerose norme di questa legge, e pi precisamente gli artt. 9, 10, 11, 13 e 15, fossero contrarie in particolare alle disposizioni della direttiva n. 71/305, relative alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit Europee dei bandi di gara, alla dimostrazione della capacit finanziaria, economica e tecnica dell'impresa e ai criteri di aggiudicazione dell'appalto e, in secondo luogo, che non avendole comunicato il testo di tale legge, l'Italia fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 33 di questa direttiva, con lettera 17 dicembre 1.982, invitava il Governo italiano, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, a presentare, entro un termine di due mesi a partire dal ricevimento della lettera, le proprie osservazioni sugli otto addebiti ivi formulati. 5. -Con lettera 24 febbraio 1983 della sua Rappresentanza permanente, il Governo italiano ammetteva la fondatezza degli addebiti formulati relativamente all'art. 10, terzo e quarto comma, all'art. 10, quinto comma, e all'art. 13 della legge n. 741 contestando tuttavia la fondatezza di quelli relativi all'art. 9, all'art. 10, primo comma, all'art. 11 e all'art. 15, secondo comma, prima frase, di detta legge. Il Governo italiano trasmetteva alla Commissione, in allegato a questa lettera, il testo di uno schema di disegno di legge predisposto dal Ministero dei lavori pubblici nell'intento di venire incontro alle richieste formulate dalla Commissione. 6. -Ritenendo di non poter tener conto di questo disegno preliminare di legge in quanto rappresentava solo un'intenzione vaga ed incompleta delle autorit competenti di conformarsi alle disposizioni della direttiva, il 2 agosto 1983 la Commissione emanava un parere motivato che riproduceva l'insieme degli addebiti gi formulati nella sua lettera di diffida. Ai sensi di tale parere, la Repubblica italiana veniva invitata ad adottare le misure necessarie nel termine di un mese. 7. -In risposta al parere motivato, con telex 27 settembre 1983, il Governo italiano rendeva nota alla Commissione l'intenzione del Ministro dei lavori pubblici di reiterare la presentazione al Parlamento italiano del disegno di legge succitato, che era decaduto a causa della fine della legislatura. Non essendo in seguito intervenuto alcun fatto nuovo, la Commissione decideva di adire la Corte. 8. -La legge n. 687, recante modifiche alla legge n. 741 e alle disposizioni relative alla cauzione provvisoria ed alla pubblicit, veniva adottata solamente 1'8 ottobre 1984. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 560 9. -Con il presente ricorso la Commissione lamenta innanzitutto l'adozione, avvenuta il 10 dicembre 1981, da parte dell'Italia della legge n. 741 recante norme integrative allo scopo di accelerare le procedure di esecuzione dei lavori pubblici (G.U.R.I. 16 dicembre 1981, n. 344, pag. 8271), i cui artt. 9, 10, 11, 13 e 15 sarebbero contrari a talune disposizioni della direttiva n. 71/305 e, in .secondo luogo, la mancata comunicazione nei suoi confronti, da parte della stessa, del testo di tale legge, in violazione dell'art. 33 di detta direttiva. I I. Per quel che riguarda l'adozione di talune disposizioni contenute nella legge n. 741. I a) Ammissibilit delle offe1te in aumento. 10. -La Commissione sostiene che l'art. 29, n. 1, della direttiva contempla solamente due criteri di aggiudicazione dell'appalto, cio il prezzo pi basso o l'offerta economicamente pi vantaggiosa, mentre l'art. 9 della legge italiana ammetterebbe, in caso di licitazione privata, le offerte in aumento che non corrispondono n all'uno, n all'altro, di questi due criteri. 11. -Il Governo italiano risponde a questa censura sostenendo che la possibilit di presentare offerte in aumento rispetto al prezzo di base fissato dall'amministrazione per l'aggiudicazione conforme al criterio del prezzo pi basso di cui all'art. 29, n. 1, della direttiva. Infatti, l'art. 9 disporrebbe che l'appalto viene aggiudicato al concorrente che offre l'aumento minore relativamente al prezzo fissato, in modo che l'aggiudicazione avverrebbe sempre a favore di chi ha offerto il prezzo pi basso. 12. -Tenuto conto delle osservazioni presentate dal Governo italiano, la Commissione ha dichiarato di ritirare questa censura. b) Modalit per le offerte in aumento. 13. -Secondo la Commissione, dal combinato disposto dell'art. 9 della legge italiana 10 dicembre 1981, n. 741, e dell'art. 1, n. 3, della legge 3 luglio 1970, n. 504 (G.U.R.I. 17 luglio 1970, n. 179) risulterebbe che i prezzi sono calcolati nell'ambito delle procedure di aggiudicazione con possibilit di otferte in aumento, secondo la procedura della scheda segreta, mentre l'art. 29, n. 3, della direttiva vieta, una volta scaduto il termine da essa fissato, di determinare i prezzi tramite questa procedura. 14. -Il Governo italiano ha replicato a questo addebito che il ricorso alla procedura della scheda segreta non deriva dall'art. 9 della PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE legge del 1981, e che in pratica tale procedura non preparata o utilizzata nell'ambito delle aggiudicazioni disciplinate dal detto art. 9. L'art. 1 del disegno di legge approvato il 22 dicembre 1983 vieterebb-. la procedura della scheda segreta di cui all'art. 1 della legge n. 504/70 per quel che riguarda gli appalti rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva al solo scopo di chiarire la situazione e dissipare i dubbi della Commissione. 15. -Poich il disegno di legge stato adottato 1'8 ottobre 1984, in occasione della fase orale la Commissione ha rinunciato a far valere questa censura. c) Offerta segreta che eguaglia o che pi si avvicina alla media. 16. -Secondo la Commissione, il criterio di aggiudicazione dell'appalto, per cui l'art. 10, primo comma, della legge italiana rinvia all'art. 4 della legge 2 febbraio 1973, n. 14, e, tramite questo, all'art. l, lett. d), di tale legge, che dispone che l'appalto sar aggiudicato al concorrente che ha presentato l'offerta che eguaglia o, in mancanza, che pi si avvicina per difetto alla media, non corrisponde n all'uno, n all'altro, dei due criteri contemplati nell'art. 29, n. 1, della direttiva, ossia il prezzo pi basso o l'offerta economicamente pi vantaggiosa determinata in relazione a diversi parametri variabili a seconda del mercato. 17. -Il Governo italiano ritiene invece che il criterio della media permetta, grazie alle sue speci~iche modalit di applicazione, come definite nell'art. 4 della legge n. 14/73, di determinare l'offerta economicamente pi vantaggiosa. Il Governo italiano, nel corso della fase orale, ha inoltre sollevato un'eccezione di irricevibilit fondata sul fatto che l'art. 10, primo comma, della legge n. 741, nella lettera di diffida sarebbe stato incompatibile solo con l'art. 29, n. 3, della direttiva. Nel suo parere motivato, la Commissione avrebbe invece sostenuto che il criterio di aggiu-' dicazione di cui trattasi non corrisponde a nessuno dei criteri di cui all'art. 29, n. l, della direttiva. 18. -Va ricordato che, in forza dell'art. 169 del Trattato, la Commissione pu proporre alla Corte un ricorso per la constatazione di un inadempimento solo se lo Stato in causa non si conforma al parere motivato entro il termine ivi da essa fissato. Essa emette il parere motivato solamente dopo aver posto lo Stato membro interessato in condizioni di presentare le sue osservazioni. 19. -Dalla funzione assegnata a tale fase precontenziosa dcl procedimento per inadempimento, si desume che la lettera di diffida ha lo scopo di circoscrivere la materia del contendere e di fornire allo Stato membro invitato a presentare le proprie osservazioni gli elementi necessari per pre disporre la propria difesa. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 20. -Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 11 luglio 1984 (causa 51/83, COMMISSIONE c. ITALIA, non ancora pubblicata), poich fa facolt concessa allo Stato membro interessato di presentare le sue osservazioni costituisce -anche se esso preferisce non servirsene -una garanzia fondamentale voluta dal Trattato, l'osservanza di tale garanzia un presupposto della ritualit del procedimento per la dichiarazione della trasgressione di uno Stato. 21. -Anche se ne consegue che il parere motivato di cui all'art. 169 del Trattato CEE deve contenere un'esposizione coerente e particolareggiata dei motivi che hanno condotto la Commissione alla convinzione che lo Stato interessato venuto meno a uno degli obblighi che gl'incombono in forza del Trattato, la Corte non pu per imporre requisiti di precisione cos rigidi per quel che riguarda fa diffida, la quale pu necessariamente consistere solo in un primo e breve riassunto degli addebiti. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 31 gennaio 1984 (causa 74/82, COMMISSIONE c. IRLANDA, non ancora pubblicata), nulla impedisce dunque alla Commissione di precisare, nel parere motivato, gli addebiti da essa gi esposti in maniera pi globale nella lettera di diffida. 22. -A questo proposito risulta dagli atti di causa che, nella lettera di diffida in data 17 dicembre 1982, la Commissione censurava l'art. 10, primo comma, della legge italiana per violazione dell'art. 29, n. 3, della direttiva n. 71/305, che vieta la procedura della scheda segreta. Essa precisava tuttavia, dopo aver citato il testo della legge, che tale disposizione era contraria alla direttiva analogamente a quanto osservato nel paragrafo precedente. In quest'ultimo paragrafo, essa censurava l'art. 9 della legge italiana in quanto stabiliva, fra l'altro, un criterio di aggiudicazione degli appalti non compatibile n con l'uno, n conl'altro, dei due criteri di cui all'art. 29, n. l, della direttiva. 23. -Ne consegue che la diffida, anche se la sua redazione non era molto esplicita, permetteva tuttavia al Governo italiano di prendere conoscenza dell'addebito formulato nei propri confronti. La censura della Commissione pertanto ricevibile. 24. -Quanto al merito, risulta che l'art. 10, primo comma, della legge italiana contiene, oltre ai criteri di aggiudicazione del prezzo pi basso, e dell'offerta economicamente pi vantaggiosa, di cui alla direttiva, il criterio del prezzo medio calcolato in base alla met deHe offerte che presenta i prezzi pi bassi. 25. -L'affermazione del Governo italiano, secondo cui il criterio di aggiudicazione all' offerta che eguaglia o che pi si avvicina alla media permetterebbe di determinare l'offerta economicamente pi vantaggiosa ai sensi dell'art. 29 della direttiva, inesatta. Per determinare l'offerta pi vantaggiosa, l'amministrazione aggiudicatrice deve in effetti poter I I ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 563 prendere una decisione discrezionale in base a criteri qualitativi e quantitativi variabili secondo il mercato e non potrebbe di conseguenza basarsi sul solo criterio quantitativo della media dei prezzi. 26. -Va dunque constatato che l'art. 10, primo comma, della legge n. 741, non compatibile con la direttiva n. 71/305, in quanto contiene un criterio di aggiudicazione degli appalti non previsto dall'art. 29, n. l, di detta direttiva. d) Pubblicazione dei bandi di gara. 27. -La Commissione sostiene inoltre che il terzo comma dell'art. 10, della legge n. 741, in quanto dispone la sospensione fino al 31 dicembre 1983 dell'applicazione dell'art. 7 della legge 2 febbraio 1973, n. 14, e delle norme della legge 8 agosto 1977, n. 584, relative alla pubblicazione dei bandi di gara, incompatibile con l'art. 12 della direttiva che impone l'obbligo di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit Europee i bandi di gara rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva. Il quarto comma, relativo alla pubblicit delle aggiudicazioni, sarebbe altres incompatibile con l'art. 12 della direttiva, che dispone che la pubblicazione dei bandi di gara su quotidiani non pu aver luogo prima della data del loro invio alla Gazzetta Ufficiale. 28. -Il Governo italiano non contesta la fondatezza di questi addebiti. Occorre quindi constatare l'inadempimento contestato. e) Capacit finanziaria, economica e tecnica dell'imprenditore. 29. -L'art. 10, quinto comma, della legge n. 741, in quanto dispone la sospensione sino al 31 dicembre 1983 degli artt. 17 e 18 della legge 8 agosto 1977, n. 584, che provvedevano alla trasposizione degli artt. 25 e 26 della direttiva, sarebbe, secondo la Commissione, incompatibile non solo con queste norme in cui vengono elencate le referenze che le amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere per valutare la capacit finanziaria, economica e tecnica dell'imprenditore, ma anche con gli ar~t. 17, lett. d), 20, 22 e 27 della direttiva, a norma dei quali la verifica dell'idoneit degli imprenditori va effettuata conformemente ai criteri di capacit economica, finanziaria e tecinca di cui agli artt. 25-27 della direttiva. 30. -La fondatezza di questi addebiti non stata contestata dal Governo italiano. Pertanto occorre parimenti constatare l'esistenza di un inadempimento. f) Lavori aggiuntivi o variati. 31. -La Commissione sostiene d'altronde che l'art. 11 della legge n. 741, autorizzando l'amministrazione ad effettuare La consegna dei lavori aggiuntivi o variati a seguito di parere favorevole del competente RASSEGN.\ DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 564 organo consultivo oppure deliberante in merito all'approvazione della re lativa perizia, incompatibile con l'art. 9, lett. f), della direttiva, in quanto non tiene in alcun conto le restrizioni di cui a tale articolo per quel che riguarda l'aggiudicazione dei lavori complementari all'aggiudicatario dell'opera principale. 32. -Il Governo italiano rileva invece che l'art. 11 riguarda unicamente .... la consegna dei lavori aggiuntivi o variati e non i presupposti per l'aggiudicazione dei lavori complementari all'imprenditore risultato aggiudicatario dell'appalto principale, contemplati dall'art. 9, lett. f), ddla direttiva. Questi ultimi continuerebbero ad essere disciplinati dall'art. 5, lett. f), della legge n. 584/77, che sarebbe conforme al precitato art. 9, lett. f). Una volta rispettato l'art. 5, lett. f), l'art. 11 permetterebbe tutt'al pi la consegna dei lavori all'aggiudicatario prima dell'approvazione del contratto relativo ai lavori complementari al fine di accelerare le procedure di esecuzione degli appalti pubblici. L'ipotesi su cui si basa l'addebito della Commissione, e cio che l'art. 11 introdurrebbe una deroga alle disposizioni dell'art. 9, lett. f), della direttiva, sarebbe quindi priva di fondamento. 33. -Tenuto conto di questi chiarimenti forniti dal Governo italiano, la Commissione ha dichiarato di non mantenere questa censura nel suo ricorso. g) Urgenza. 34. -La Commissione ha sostenuto che l'art. 13 della legge italiana, in quanto, rinviando all'art. 41, n. 5, del regolamento approvato con regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, autorizza l'aggiudicazione di un appalto a trattativa privata quando l'urgenza dei lavori, acquisti, trasporti e forniture sia tale da non consentire indugi incompatibile con l'art. 9, lett. d), della direttiva, in particolare nella misura in cui consente di invocare l'urgenza in casi che non corrispondono alle condizioni espressamente disposte dall'art. 9, lett. d). 35. -Il Governo italiano non ha contestato questa censura. Di conseguenza, deve constatarsi l'inadempimento contestato. h) Cauzione. 36. -La Com.missione ha infine ritenuto che l'art. 15, secondo comma, prima frase, della legge italiana, a norma del quale se previsto che l'impresa invitata non possa restare aggiudicataria che di un solo lavoro, l'impresa stessa autorizzata a depositare una sola cauzione provvisoria ragguagliata all'importo del lavoro di maggior valore, sarebbe incompatibile con gli artt. 25 e 26 della direttiva, in quanto la cauzione non fa parte delle referenze tassativamente ammesse dagli artt. 25 e 26, al momento della presentazione delle offerte, a dimostrazione della capa PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE cit economica, finanziaria e tecnica dell'mprenditore. Poich lo scopo della cauzione sarebbe di garantire all'amministrazione aggiudicatrice la corretta esecuzione dei lavori, essa potrebbe essere richiesta soltanto all'imprenditore che risulti aggiudicatario dell'appalto. 37. -Secondo il Governo italiano, questa censura sarebbe irricevibile per mancanza d'interesse in quanto fondata unicamente sull'art. 15, secondo comma, prima frase, della legge italiana n. 741, mentre l'obbligo di depositare una cauzione provvisoria per parteciparte alla gara sarebbe imposto non da questa, bens da altre norme non contestate. L'art. 15, secondo comma, prima frase, si .limiterebbe ad introdurre un'agevolazione permettendo a chi partecipa a pi gare di depositare una sola cauzione provvisoria. 38. -Inoltre, il Governo italiano sostiene che l'art. 16 lett. i), della direttiva, si riferisce, genericamente, alle cauzioni e ad ogni altra garanzia eventualmente richiesta dalle amministrazioni aggiudicatrici sotto qualunque forma e non riguarda dunque soltanto la cauzione definitiva imposta all'aggiudicatario dell'appalto, bens anche la cauzione provvisoria la cui funzione specifica di garantire il carattere serio dell'offerta e di risarcire anticipatamente il danno dell'amministrazione. La cauzione provvisoria rafforzerebbe unicamente l'obbligo stabilito all'art. 16, lett. m), della direttiva, secondo cui l'aggiudicatario tenuto a mantenere la propria offerta durante un certo lasso di tempo. 39. -Poich 1'8 ottobre 1984 stata adottata la legge italiana n. 687, che modifica la legge 741 ed in particolare la disposizioni relative alla cauzione provvisoria, la Commissione, durante la fase orale, ha rinunciato a far valere ques.ta censura. II. Sulla mancata comunicazione del testo della legge n. 741. 40. -La Commissione ritiene che l'Italia sia venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall'art. 33 della direttiva n. 71/305, in quanto ha omesso di comunicarle il testo della legge 10 dicembre 1981, n. 741. 41. -Il Governo italiano ritiene invece infondata tale censura in quanto, alla data del parere motivato, la Commissione conosceva perfettamente il testo della legge. 42. -A questo proposito va constatato che, anche se la Commissione era a conoscenza della legge n. 741 alla data del parere motivato, non meno vero che il Governo italiano non le ha comunicato ufficialmente il testo di questa legge, come era tenuto a fare in forza dell'art. 33. Va sottolineato a questo proposito che gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell'art. 5 del Trattato CEE, a facilitare alla Commissione l'assolvi 566 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento dei suoi compiti, che consistono soprattutto, a norma dell'art. 155 del Trattato CEE, nel vigilare sull'applicazione delle disposizioni del Trattato nonch delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza di questo ultimo. A tale scopo la direttiva in questione, alla stessa stregua delle altre direttive, impone agli Stati membri, all'art. 33, un obbligo di informazione. In mancanza di tale informazione, la Commissione non in grado di verificare se lo Stato membro ha effettivamente e integralmente applicato la direttiva. 43. -Occorre dunque dichiarare che la Repubblica italiana, non comunicando ufficialmente il testo della legge n. 741 alla Commissione, venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall'art. 33 della direttiva n. 71/305. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sez. I, 20 giugno 1985, nella causa 69/84 -Pres. Bosco -Avv. Gen. Slynn -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte .di cassazione italiana nella causa Padovani c. Amministrazione delle finanze -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia) e commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). Comunit europee -Agricoltura -Mercato dei cereali -Importazioni via mare in Italia -Agevolazioni temporanee -Requisiti. (Regolamento CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, e succ. mod., art. 23 n. l; d.!. 11 ottobre 1967, n. 901, conv. con mod. in legge 9 dicembre 1967, n. 1156, art. 1). Comunit europee -Libera circolazione delle merci -Transito comunitario -Regime di libera pratica. (Trattato CEE, artt. 9 e 10; regolamento CEE del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, art. l, n. 3). L'espressione importati... via mare, contenuta nell'art. 23, n. 1, del regolamento CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, relativo all'organizzazione comune dei mercati agricoli nel settore dei cereali, non comprende lo sdoganamento di prodotti che si trovino a bordo di una nave qualora tali prodotti siano rispediti, senza essere sbarcati, ad un porto situato in un altro Stato membro (1). Un prodotto agricolo importato via mare in Italia, e che abbia fruito di una riduzione del prelievo si trova in libera pratica nella Comunit ai (1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano e dalla Commissione. L'abbattimento del prelievo all'importazione di cereali via mare in Italia era infatti logicamente condizionato al fatto che l'importatore dovesse subire quei maggiori oneri portuali ecc. in vista dei quali l'abbattimento stesso era stato autorizzato dalla Comunit. 11111111111111111111111111111111114111111111111118 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 567 sensi dell'art. l, n. 3, del regolamento del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, relativo al transito comunitario (2). (omissis) 1. -Con ordinanza 13 dicembre 1983, pervenuta il 13 mar zo 1984, la Corte Suprema di Cassazione ha proposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali in ordine all'interpretazione dell'art. 23, n. 1, del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali (G. V. pag. 2269) e dell'art. 1, n. 3, del regolamento del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, relativo al transito comunitario (G. V. n. L 77, pag. 1). 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia sorta fra gli aventi causa del defunto sig. Mantovani, titolare dell'omonima ditta, e l'amministrazione delle finanze dello Stato e vertente sul tasso del prelievo da applicare ad un quantitativo di 27.040.525 Kg. di granoturco importato nella Comunit in provenienza da Baton Rouge (USA). L'articolo 23, n. 1 del regolamento n. 120/67 dispone un prelievo ridotto qualora l'importazione nella Repubblica italiana di taluni cereali foraggeri, fra cui il granoturco, sia effet1uata via mare. 3. -Nella fattispecie, la merce era stata sdoganata dalla Dogana del porto di La Spezia, sulla costa ligure, mentre si trovava a bordo di una nave; lo stesso giorno, l'importatore, sig. Mantovani, otteneva il rilascio di due documenti di transito comunitario interno. Indi, le partite di granottll'CO di cui trattasi proseguivano il viaggio -senza essere sbarcate in Italia -verso Rotterdam, dove venivano scaricate. Il Mantovani e i suoi aventi causa hanno sostenuto che, in un caso del genere, ricorrono le condizioni per l'applicazione del prelievo ridotto. 4. -Nell'ordinanza di rinvio viene considerato che l'applicazione del tasso ridotto dipenda dal fatto di stabilire se la ratio della riduzione, quale disposta dal regolamento n. 120/67, consista nei maggiori costi delle operazioni di scarico nei porti italiani ovvero nella semplice presenza di una nave nei porti stessi al fine di esservi sottoposta a operazioni doganali compiute a bordo anche senza scarico delle merci. Una volta risolta tale questione, sarebbe ancora necessario stabilire se si siano realizzate le condizioni del transito comunitario interno, ai sensi dell'art. l, n. 3, lett. a, del regolamento n. 542/69, qualora le merci di cui trattasi non siano state immesse al consumo nel territorio dello Stato membro in cui sono state effettuate le operazioni doganali. (2) Risposta ovvia, una volta considerato che il prelievo ridotto, ricorrendone i presupposti, era previsto dal diritto comunitario; sicch, pagato tale prelievo ridotto, il prodotto proveniente da paesi terzi si trova in libera pratica nella Comunit e circola in regime di transito comunitario interno. 568 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 5. -Al fine di risolvere tali problemi, il giudice nazionale ha propo sto le due questioni pregiudiziali, attraverso le quali sso chiede l'inter pretazione: a) dell'art. 23, n. l, del regolamento (CEE) 19 giugno 1967, n. 120 perch occorre accertare se la riduzione dei diritti di prelievo nella misura di 7,5 unit di conto prevista dall'accennata disposizione comunitaria per i prodotti cerealicoli importati da paesi terzi nello Stato italiano via mare si applichi anche nel caso che i prodotti stessi vengano nazionaliz zati a bordo della nave in un porto italiano, ma rispediti senza essere sbar cati con Jo stesso mezzo ad altro porto di altro Stato della CEE; b) dell'art. l, n. 3 lett. a) del regolamento CEE del Consiglio 18 mar zo 1969, n. 542, per stabilire se il regime di transito comunitario interno previsto e regolato dal suddetto regolamento possa applicarsi ai prodotti I agricoli di provenienza via mare art. 5 stabilisce che sono ammessi alla programmazione obbligatoria i lungometraggi nazionali che presentino adeguati requisiti di idoneit tecnica e su:fficlenti qualit artistiche, o culturali, o spettacolari. .584 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Se il Comitato di esperti -al quale demandato (art. 5) l'accertamento dei detti requisiti -si esprime favorevolmente il Ministero -che, ai sensi dell'art. 2, lett. F, attua i provvedimenti stabiliti dalla presente legge -emana un decreto che ammette il film alla programmazione obbligatoria.e, eventualmente con atto contestuale come avvenuto nella specie, concede i contributi. Tutto ci puntualizzato, le Sez. un. osservano che il provvedimento in discorso -dopo una serie di premesse in cui vengono esposte le vicende successive alla emanazione dei decreti del 1974 a favore della P.E.A. e del Bertolucci, tra le quali fanno spicco il giudicato penale che condannava tra gli altri, produttore e regista per il delitto di spettacolo osceno; nonch il parere del Consiglio di Stato circa la nullit ed inefficacia del I provvedimento di ammissione alla programmazione obbligatoria, a seguito ~ della citata sentenza penale -conclude nel senso che ravvisata, peri tanto, la esigenza di uniformare gli atti amministrativi relativi al film in oggetto al giudicato penale e di dichiarare privi di effetto, e comunque I annullare, i sopra indicati provvedimenti in data 1 aprile 1974 e 16 otto bre 1975... decreta: sono annullati i provvedimenti... con i quali il film j Ultimo tango a Parigi>>, prodotto dalla P.E.A., era stato ammesso alla programmazione obbligatoria ed ai conseguenti benefici . ben difficile negare che questo decreto sia un atto di annullamento l perch emerge dal suo contenuto, globalmente considerato, che esso ! tende ad eliminare il provvedimento di ammissione alla programmazione i f obbligatoria (e alla conseguente concessione. del contributo), inficiato da f' ~ illegittimit perch basato su di un parere di congruit (circa la sufficienza dei requisiti di artisticit, di cultura e di spettacolarit) del ! Comitato degli esperti che, secondo l'opinione del Ministero del Turismo e I dello Spettacolo, errato in quanto il film stato dichiarato osceno. Ora, potrebbe sostenersi in astratto che il Ministero non competente a giudicare sui requisiti per l'ammissione alla programmazione obbligatoria, in quanto il relativo accertamento spetta in via esclusiva al I Comitato degli esperti; ovvero, anche, che l'opinione di quest'ultimo basata su criteri i quali nulla hanno a che fare con il concetto di osceno I penale , sicch la rimozione del parere degli esperti stata impropriamente e illogicamente collegata al giudizio penale sulla oscenit del lungometraggio; ma, in entrambe Ie ipotesi, si individuano vizi del provvedimento e non elementi che ne modifichino la natura. In definitiva potrebbe trattarsi, a tutto voler concedere, di cattivo esercizio del potere di autotutela ma non di carenza di tale potere. Ma certamente il Consiglio di Stato ha correttamente ritenuto la propria giurisdizione. Per queste ragioni i ricorsi del Bertolucci e della P.E.A. vanno rigettati. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 585 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 16 luglio 1985, n. 4151 -Pres. Cusani - Rel. Tridico -P. M. Sgroi (concl. difI.) -Soc. S.E.A. (avv. Sandulli e Fazzalari) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Laporta). Giurisdizione civile -Concessione per i servizi di assistenza a terra del traffico aereo (handling) negli aeroporti di Linate e della Malpensa Tariffe della societ concessionaria -Previa approvazione del Ministero dei Trasporti -Portata -Atti di rifiuto o di ritardo in relazione a richiesta di adeguamenti tariffari Annullamento per illegittimit da parte del giudice amministrativo -Risarcimento del danno -Giudice ordinario. (Art. 41 Cast.; art. 2043 e.e.; art. 37 e.p.e.; art. 704 eod. nav.; legge 18 aprile 1962 n. 194; artt. 8 e 9 legge 5 maggio 1976, n. 324). Con riguardo agli aeroporti milanesi di Linate e della Malpensa, che hanno la qualit di aeroporti privati gestiti in regime di concessione, le tariffe praticate dalla ~-ociet concessionaria, per i servizi di assistenza a terra del traffico aereo (handling), sono soggetti al disposto dell'art. 704 cod. nav. (non derogato dall'art. 9 legge 5 maggio 1976, n. 324) e, pertanto, devono essere preventivamente approvate dal Ministro dei Trasporti. Tale approvazione, che s'inserisce su un atto di autonomia privata (formazione delle tariffe) quale atto di controllo correlato alla tutela di interessi generali, configura espressione di una discrezionalit tecnica limitata al riscontro della congruit dei prezzi delle tariffe medesime rispetto ai costi effettivi ed al giusto profitto di detta impresa concessionaria, con esclusione di ogni potere di comprimere o degradare il diritto dell'impresa stessa alla propria esistenza ed alla prosecuzione della propria attivit secondo criteri di economicit. Ne consegue che, a fronte di atti dell'Amministrazione che rifiutino o ritardino i richiesti adeguamenti tariffari, e che vengano annullati per illegittimit dal giudice amministrativo, la predetta societ concessionaria pu adire il giudice ordinario con azione risarcitoria, ove tali atti, oltre che illegittimi, siano anche illeciti, in quanto indebitamente ledano le sopra indicate posizioni di diritto soggettivo (1). (1) Sulle tariffe handling cfr. Tribunale Genova, 24 novembre 1975, in Foro it., 1976, I, 1377, il quale ha stabilito che la determinazione del Ministero dei Trasporti modificatrice in meno della tariffa handling... in quanto adottata da autorit assolutamente incompetente ed in ogni caso priva di potere, inidonea ad affievolire il diritto corrispettivo dei servizi, ... nella misura fissata,, dal consorzio. Sulla natura dei servizi di handling cfr. Cass., 6 dicembre 1966, n. 2861, ivi, 1967, I, 30. La Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1975, n. 415, ivi, 1975, I, 1386, ha affermato, in tema di rapporto di lavoro di un dipendente del consorzio per l'aerostazione civile dell'aeroporto San Giusto di Pisa (qualificato ente pubblico economico) che le tariffe sono approvate dalla P. A. ... secondo lo schema sovente utiliz RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 586 Col ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione la S.E.A. S.p.A. (Societ Esercizi Aeroportuali) chiede che venga dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, essendo la pretesa fondata sul risarcimento del danno cagionato alla societ dal Ministero dei trasporti e dell'aviazione civile che ha inciso, con atti amministrativi illegitH~ni, sulla attivit di handling che la stessa societ svolge da molti anni negli aeroporti di Linate e della Malpensa. Tale attivit comprende il servizio di assistenza agli aeromobili, inteso nel senso di pulizia interna ed esterna e di manutenzione tecnica; l'assistenza rampa per i passeggeri; il carico, lo scarico e la custodia dei bagagli e delle merci e cos via: attivit tipicamente accessorie rispetto a quella propria ed essenziale di un aeroporto, costituita dalla possibilit di atterrare, sostare e decollare in una determinata zona. L'Amministrazione resistente assume che nessuna pretesa risarcitoria ipotizzabile nella specie, in quanto il potere di approvazione delle zato dal legislatore, dell'intervento dei pubblici poteri nella determinazione dei prezzi di beni o servizi in materia di interesse pubblico. Sugli interventi della p. a. nell'economia cfr. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, XIV ed., Napoli, Jovene, 1984, pp. 1049 e ss.; QUADRI, Diritto pubblico dell'economia, Napoli, Jovene, 1977. Il TA.R. Lombardia 9 dicembre 1982, n. 1178, in Trib. Amm. Reg., 1983, I, 514, su ricorso proposto sempre dalla Soc. Sea contro provvedimenti del Ministero dei Trasporti determinativi delle tariffe dei servizi aeroportuali per gli anni 1979-80, ha ritenuto manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di costituzionalit degli artt. 704 cod. nav. e 9, ultimo comma, legge 5 maggio 1976, n. 324, nella parte in cui disciplinandQ il procedimento di revisione delle tariffe applicabili dalle imprese concessionarie di servizi aeroportuali, non pongono alla Amministrazione competente precisi termini per la pronuncia, in quanto le norme in considerazione sono preordinate proprio ad attuare un sollecito adeguamento delle tariffe (essendo l'inerzia dell'Amministrazione fatto anomalo, cui pu ovviarsi con l'ordinaria procedura del silenzio- rifiuto), e non essendo d'altra parte la posizione del concessionario assimilabile a quella di un qualsiasi privato imprenditore, mentre il richiamo all'art. 41 Cost. non pu prescindere dal particolare tipo di attivit svolta dall'impresa, chiamata a gestire impianti aeroportuali in regime di monopolio e nell'esercizio di un pubblico servizio, e tenuto conto che le norme in questione assicurano comunque un congruo margine di profitto . Sul punto cfr., inoltre, Cass., 6 dicembre 1966, n. 2861, cit., che riconosce alle imprese che gestiscono impianti aeroportuali il compimento di pubblici servizi in regime di monopolio, configurando una ipotesi di gestione di pubblico servizio conforme alla previsione dell'art. 43 Cost. Poich nel caso di specie la p.a. ha il potere non gi di formare, ma solo quello di controllare la congruit del prezzo, determinato dal concessionario, restano fermi i principi giurisprudenziali (Sez un., sent, 1 ottobre 1982, n. 5030), affermati in relazione ai poteri del C.I.P. (postilla p. 20 sentenza annotata). La sentenza citata n. 5030/82, in Foro it., 1982, I, 2423, con nota critica di C. M. BARONE e in Giur. it., 1983, I, 1, 1915, ha affermato, tra l'altro, che di fronte ai poteri autoritativi, concessi al C.I.P. di fissare i prezzi di beni e PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 587 tariffe di handling non altro rappresenta se non manifestazione delle pi late attribuzioni conferite dall'ordinamento alla P. A., al fine di contemperare la naturale tendenza al profitto di una attivit imprenditoriale (avente ad oggetto un pubblico servizio) con l'esigenza di assicurare in ogni momento, e nelle pi varie contingenze economiche e sociali, la disponibilit del servizio alla generalit degli utenti, all'uopo considerando il pi ampio contesto di tutti i settori economici coinvolti e la gamma di interventi collateralmente predis.o.;ti in un organico programma d'interesse collettivo. L'istanza di regolamento prevt\ntivo fondata. anzitutto, opportuno premettere che la S.E.A. S;p.A. -attuale ricorrente -, gestisce autonomamenle gli aeroporti milanesi in base ad una convenzione stipulata il 7 maggio 1962 con l'amministrazione statale. La legge 18 aprile 1962, n. 196 dispone che il Ministero della difesa autorizzato a riconoscere, ai sensi degli artt. 704 e 713 Codice della navigazione, le qualifiche private di tale sistema aeroportuale. servizi, gli operatori economici interessati dai conseguenzali provvedimenti non assumono posizioni di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo al corretto uso del potere discrezionale ; essendo i provvedimenti-prezzi ispirati a discrezionalit politico-amministrativa. Nel caso di tariffe di handling i provvedimenti della p.a. sono espressione di vera e propria discrezionalit tecnica, agevolmente controllabile alla stregua di discipine tecniche . La compatibilit fra i principi posti dalle due sentenze viene posta in serio dubbio da C. M. BARONE nella nota alla sentenza n. 4151/85, in Foro it., 1985, I, 2206. Per le critiche alla sentenza n. 5030/82, cfr. SANDUU.L, op. cit., p. 68, nota 117. Sul riparto di giurisdizione in tema di provvedimenti-prezzi cfr. Consiglio di Stato, A.P., 25 febbraio 1980, n. 5, in Cons. Stato, 1980, I, 133, che ha affermato che le impugnazioni dirette a far valere alla illegittimit dei provvedimenti medesimi, sono devolute al giudice amministrativo; invece, qualora mirino alla contestazione delle modalit di applicazione dei provvedimenti stessi, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario . Non risultano precedenti editi in termini. Ancora in tema di approvazione tariffe, telefoniche nel caso, e di giurisdizione cfr., infine, le coeve sentenze Cass., 20 luglio 1983, nn. 4990-91-92-93-94-95, in Foro it., 1983, I, 2115. La sentenza che si annota ribadisce il principio che l'azione risarcitoria spetta in relazione ad atti amministrativi i quali, oltre che illegittimi, siano anche illeciti e ledano posizioni di diritto soggettivo. Cfr. Cass., 25 maggio 1976, n. 1876, ivi, 1977, I, 2553; id. 5 ottobre 1979, n. 5145 e 5146, in Giur. it., 1979, I, 1, 1215; Cass. 1 ottobre 1982, n. 5027 e coeve, ivi, 1982, I, 1, 1663. La dottrina fortemente critica riguardo a quest'orientamento giurisprudenziale; cfr. per tutti, SANDULLI, op. cit., pp. 1124 e ss., in particolare, per la sentenza n. 5030/82 cit., nota 33; nonch M. NIGRO, Giust. amm., 2 ed., Bologna, Il Mulino, 1976, 113 e ss., 242 e ss. GABRIELLA PALMIERI 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 588 La stessa legge stabilisce, inoltre, che, allo scadere della concessione, le infrastrutture costruite dalla S.E.A. sarebbero divenute di propriet statale; l'art. 23 della convenzione, inoltre, riconosce alla S.E.A. il diritto di riscuotere o di far propri i diritti per l'uso degli aeroporti della Malpensa e di Linate, nelle misure previste dalla legge 9 gennaio 1956, n. 24, nonh tutti i diritti relativi a prestazioni da essa eseguite (servizi merci, assistenza rampa, assistenza a terra, ecc.), e derivanti da attivit secondarie a carattere commerciale esplicate negli aeroporti. La legge 5 maggio 1976, n. 324 (che ha sostituito la n. 24 del 1956) prevede che la misura dei diritti di approdo e .di partenza e di sosta o ricovero per gli aeromobili e d'imbarco per i passeggeri, fissate in essa legge, venga revisionata ogni due anni con decreti presidenziali, su proposte del ministro per i trasporti, di concerto con i ministri per il tesoro e le finanze, sentita una apposita commissione, e tenuto conto delle esigenze di politica tariffaria del settore e dell'andamento dei costi e servizi aeroportuali. L'art. 704 cod. nav. stabilisce che le tariffe relative all'esercizio degli aerodromi privati devono essere approvate dal Ministro per i trasporti e l'aviazione civile. Il sistema aeroportuale milanese -Linate-Malpensa - adunque, gestito dalla S.E.A., ossia da un'impresa privata che cura il relativo esercizio in forza di un atto di concessione. Ci premesso, si discute, anzitutto, se il carattere pubblico del servizio aeroportuale, nel senso di servizio reso al pubblico, sia tale da incidere sulla natura stessa del prezzo e soprattutto se per i servizi di assistenza a terra (handling) il potere della P. A. sia quello di approvare le tariffe, o di stabilirne direttamente l'ammontare. Sul piano della disciplina normativa, mentre l'art. 704 del cod. della navigazione dispone che le tariffe devono essere approvate da1l'Amministrazione statale, l'art. 9 -ultimo comma -della legge n. 327/76 -sia pure al fine di individuare le attribuzioni consultive dell'apposita commissione istituita presso il Ministero dei trasporti -dispone che il Ministro ne stabilisce l'ammontare; nel primo caso, il concessionario forma la tariffa, che assoggettata al controllo ministeriale; nel secondo caso, ha un autonomo potere di iniziativa e di determinazione della tariffa. Dall'esame della normativa prevista dal citato art. 9 della legge n. 324 risulta evidente che questa non ha affatto modificato, relativamente ai servizi di assistenza a terra, il regime fissato dall'art. 704 e segg. del cod. della navigazione, in base al quale l'amministrazione si limita ad approvare le tariffe predisposte dal concessionario; e ci per un triplice ordine di ragioni: 1) perch l'art. 704 quello che regola pi compiutamente e pi specificamente la materia, mentre l'art. 9 si propone soltanto ::. di determinare, in via generale, i compiti della precennata Commissione consultiva; 2) perch il verbo stabilire, usato da tale norma ben pu comprendere le ipotesi pi disparate (es.: aerodromi statali), diverse da PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE quella che qui interessa; 3) perch l'intento non innovativo traspare chiaramente dall'inciso in base alle disposizioni vigenti (le quali, pertanto, vengono espressamente confermate e richiamate); inciso che chiude l'ultima proposizione normativa dell'art. 9. In ordine ai servizi di assistenza a terra -dei quali qui si tratta la P. A. non dispone di un potere di determinazione della tariffa ma soltanto di un potere di approvazione della tariffa gi formata. La formazione deIJa tariffa, , adunque, espressione, della autonomia privata e, in definitiva, esercizio del diritto d'impresa del soggetto privato S.E.A., che ovviamente non dismette la qualit di soggetto di diritto privato per il fatto di aver acquisito anche quella di concessionario di un servizio, che viene reso al pubblico e che ovviamente resta tale anche se taluni atti -come appunto quelli concernenti la formazione delle tariffe -pur essendo sempre atti di autonomia privata -sono sottoposti al controllo del pubblico potere. Senza che sia necessario allargare il discorso ad un piano pi generale dei rapporti che, in questa ed in altre analoghe materie, vengono ad instaurarsi tra privato e pubblica amministrazione, sembra sufficiente osservare che la confluenza od interferenza di interessi pubblici e privati non altera, nelle sue grandi linee, la natura dell'attivit che il soggetto privato esercita -che resta sempre disciplinata dal codice civile e dai principi fondamentali che regolano ogni attivit . economica, imprenditoriale e non imprenditoriale. Se il soggetto privato un imprenditore, il controllo -preventivo o successivo -della P. A. deve porsi in un armonico contemperamento del pubblico e del privato interesse, come strumento non gi di indebolimento dell'impresa, ma di potenziamento della stessa, nel senso cio che l'atto di controllo -Jungi dal costituire un intralcio alla normale attivit d'impresa -debba al contrario agevolarne e facilitarne l'azione. Solo in tale prospettiva e con siffatto meccanismo, l'inserzione di un momento pubblicistico nell'attivit d'impresa pu trovare la sua giu stificazione. Ora, se l'art. 41 della Costituzione riconosce e garantisce la libert dell'attivit economico-privata, ossia il diritto d'impresa, tanto nel momen to dell'iniziativa che in quello del suo svolgimento, non v' dubbio che, per quanto riguarda il contenuto di tale diritto, a questo inerisca con naturalmente la copertura dei costi e la giusta remunerazione dell'atti vit e del rischio d'impresa, ossia il profitto. La fondamentale regola economica della remunerativit del prezzo di un qualsiasi prodotto corrisponde ad un principio di portata generale, che inerisce indissociabilmente al fenomeno dell'impresa in ogni caso ed ovviamente anche quando -come nel caso di specie -l'attivit impren~ ditoriale venga esercitata in forza di una concessione amministrativa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 590 Ora -in base al principio costituzionale di cui all'art. 41 Cost. la legge ben pu imporre, per ragioni di utilit sociale (primo comma) e nel quadro della programmazione economica (secondo comma), opportuni controlli sui prezzi dei prodotti e sulle tariffe dei servizi offerti al pubblico; controlli che ovviamente vengono ad incidere sul diritto dell'imprenditore alla remunerazione. Il problema che si pone -ove tali controlli vengano istituiti - quello di stabilire l'ampiezza del relativo potere ed i limiti che l'esercizio di tale potere incontra. Poich il sistema normativo vigente sarebbe incompleto sia per quanto si riferisce al quando di esercizio del potere amministrativo e sia soprattutto perch non conterrebbe alcuni limiti relativamente ai criteri di controllo della congruit della misura nella formazione e nell'adeguamento delle tariffe e, in definitiva, non sarebbe idoneo a garantire, nei modi ragionevoli, il diritto d'impresa del concessionario, stato avanzato il dubbio di costituzionalit della citata normativa, in quanto questa non si accorderebbe col principio costituzionale di cui all'art. 41 Cost. In tali sensi sono state, infatti, formulate le conclusioni del Procuratore Generale. Ritiene questa Corte Suprema a Sez. un., che tale richiesta non possa essere attesa. Ed invero, non si pone una questione di pregiudizialit costituzionale, quando il sistema normativo vigente contenga gi gli strumenti che consentono di escludere l'apparente contrasto tra la normativa vigente e i principi costituzionali: strumenti che l'interprete ha solo l'obbligo di ricercare e di individuare. Ora, un approfondimento del tema consente di cogliere i limiti che il potere di approvazione della tariffa incontra. Un primo limite si rinviene nell'esistenza stessa dell'impresa. Il diritto dell'impresa alla propria esistenza costituisce, in altre parole, un limite di ordine generale, invalicabile da parte di chiunque, pubblica amministrazione compresa. Non occorre al riguardo un lungo discorso per convincersi che il diritto dell'impresa alla propria esistenza e conservazione -diritto che, come si detto, l'ordinamento tutela a livello costituzionale (art. 41 Cost.) -non pu essere messo in forse o addirittura inciso e neutralizzato dalla P. A. Questa -ove la legge le attribuisca il relativo potere pu, per il conseguimento di fini di utilit generale, procedere ad espropriazione e salvo indennizzo di determinate imprese o di categorie di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, cos come pu, per finalit di interesse generale, espropriare, sempre salvo indennizzo, la propriet. privata. Vi perci una perfetta simmetria tra la norma costituzionale di cui all'art. 43 che contempla l'espropriazione di imprese, e quella di cui ! ............................................... : PARTE I, SEZ. 111, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE all'art. 42, terzo comma della Costituzione che contempla l'espropriazione della propriet privata. Siffatto parallelismo evidenzia subito quelli che sono i limiti che incontra il pubblico potere, in siffatte ipotesi. Quando la P. A. sia legittimata a penetrare nella sfera giuridica dell'autonomia privata e non sia dotata di un potere ablatorio dell'impresa o della propriet privata, non pu avvalersi dello specifico potere che la legge le attribuisce -quale che sia il contenuto ed il nomen di detto potere -per realizzare. un effetto sostanzialmente espropriativo. L'effetto espropriativo deve essere la conseguenza soltanto ed esclusivamente dell'esercizio di un potere he sia definibile -tanto sul piano formale quanto su quello sostanziale -come espropriativo. Le sintetiche osservazioni che precedono consentono di ritenere che la P. A. faccia uso di un potere che solo formalmente pu qualificarsi approvazione , quando eserciti in concreto un potere che incidendo, in senso decisamente negativo, sul diritto della impresa alla propria sopravvivenza, finisca per determinarne in definitiva l'estinzione, ossia eserciti, in senso effettivo e sostanziale, un potere di espropriazione. Secondo Ja giurisprudenza costituzionale (sent. Corte cost. n. 129/1975), principio generale quello secondo cui i poteri pubblici destinati ad incidere su diritti debbono essere strutturati ed esercitati in modo tale da sacrificare il meno possibile i diritti stessi e comunque non oltre i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire il soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse cui quei poteri sorto appunto preordinati. Ora -escluso che attraverso l'esercizio del potere di approvazione , il Ministero dei trasporti possa realizzare un effetto sostanzialmente espropriativo dell'impresa (e tale si verifica quando dal concetto di impresa venga eliminato quello della economicit) -occorre puntualizzare che l'approvazione in questione si esaurisce in un mero riscontro della congruit del prezzo e della tariffa. La P.A. pu e deve soltanto verificare che il prezzo e la tariffa non risultino incongrui rispetto alla somma costituita dagli elementi del costo effettivo e del giusto profitto. Trattasi di vera e propria discrezionalit tecnica, essendo questa legata a criteri d'ordine tecnico ed il _relativo apprezzamento -di tipo scientifico - agevolmente controllabile alla stregua di discipline tecniche. L'incidenza del potere pubblico sul diritto d'impresa -in base ad un principio di pi generale portata o valevole anche al di fuori dello specifico tema di cui qui si discuteva contenuto nei limiti della pi corretta attivit; se l'approvazione venga negata in tutto o in parte o venga data con ritardo (con evidenti riflessi negativi, anche per il fenomeno inflazionistico) ed il giudice amministrativo abbia -come nella specie -annullato l'atto illegittimo, non pu esservi dubbio che l'illegittima compressione del dir:tto soggetivo da pare della P.A. tale 592 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEILO STATO da assumere la qualifica di atto illecito, ossia di atto lesivo di un diritto soggettivo, conoscibile, come tale, dal giudice ordinario. Poich, nel caso di specie, la P.A. ha il potere, non gi di formare ma solo quello di controllare la congruit del prezzo, determinato dal concessionario, restano fermi i principi giurisprudenziali (s.u. sent. 1-10-82 n. 5030), affermati in relazione ai poteri del C.I.P. La pretesa risarcitoria dedotta rientra perci nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario. Il ricorso va, pertanto, accolto, con declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 16 luglio 1985, n. 4154 -Pres. Brancaccio -Rel. Menichino -P.M. Sgroi (parz. diff.) -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Conti) c. Sindacato Scuola CGIL Milano (avv. 1Santulli). Giurisdizione civile Impiego pubblico Associazioni sindacali -Diritti sindacali Tutela Repressione della condotta antisindacale Dii;tfn. zione Diritti sindacali esclusivi del sindacato Giurisdizione ordi naria Diritti sindacali connessi a posizioni di pubblico impiego Giurisdizione amministrativa esclusiva. (Artt. 39 e 40 Cost.; art. 29 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054; artt. 28 e 30 legge 20 maggio 1970 n. 300; art. 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1034; artt. 1, 23 e 26 legge 29 marzo 1973 n. 93). Nell'ambito del pubblico impiego, ed al fine della individuazione dei rimedi giurisdizionali esperibili dalle organizzazioni sindacali contro comportamenti antisindacali del datore di lavoro, occorre distinguere a seconda che detti comportamenti ledano soltanto diritti sindacali in senso stretto, cio propri ed esclusivi di quelle organizzazioni, ovvero presentino un carattere plurioff ensivo, in quanto, incidendo direttamente sulle posizioni soggettive del singolo dipendente, vengano anche a pregiudicare diritti sindacali connessi o correlati a tali posizioni individuali. Nella prima ipotesi, la tutela esperibile davanti all'autorit giudiziaria ordinaria, nella normale sede contenziosa, ove si tratti di dipendenti delle Amministrazioni dello Stato, cui non si applica lo statuto dei lavoratori (anche dopo la legge-quadro sul pubblico impiego), oppure nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 del predetto statuto ove si tratti di dipendenti di enti pubblici non economici, soggetti alla disciplina della medesima norma in base. al successivo art. 37. Nella seconda ipotesi, si tratti di dipendenti statali, di dipendenti di altri enti pubblici non economici, la tutela spetta al giudice amministrativ<;> in sede di giurisdizione esclusiva, dato che investe diritti attinenti al rapporto di pubblico impiego (anche se diversi da quelli dell'impiegato) l I I I I I I 593 PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE e pu essere invocata dalle organizzazioni sindacali in via autonoma, a presoindere dall'iniziativa del singolo dipendente (1). (Omissis). Con l'unico motivo del ricorso per regolamento di giurisdizione l'Amministrazione sostiene che lo Statuto dei lavoratori non si applica ai dipendenti statali. In particolare, al personale scolastico, si applicano il D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 modificato dalla L 18 marzo 1968 n. 249, nonch la 1. 30 luglio 1973 n. 477 e i relativi decreti delegati, tale disciplina garantisce ampiamente la operativit dei sindacati nella P.A. e, in particblare, nell'ambito della Pubblica Istruzione e le relative controversie appartengono alla giurisdizione dei Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato. Con le proprie conclusioni scritte (nel ricorso n. 2262/76) il P.G. ha rilevato che la questione di giurisdizione pregiudiziale e pu rilevarsi di ufficio, ed anche in sede di regolamento di competenza (come in tale ricorso), purch sul punto non si sia formata la cosa giudicata formale; e ci non poteva essersi verificato nella specie perch in sede di opposizione il Ministero aveva insistito nell'eccezione di difetto di giurisdizione senza che il Tribunale si pronunziasse al riguardo, onde la questione non risultava ancora definita irrevocabilmente. La questione di determinazione della giurisdizione sulla controversia ha carattere peraltro pregiudiziale ed assorbente essendo suscettibile da sola, di definire il giudizio. Invero, tale questione della determinazione della giurisdizione in ordine alla tutela contro l'attivit antisindacale nell'ambito del pubblico impiego stata risolta da queste Sezioni Unite con le varie sentenze del 26 luglio 1984, dal n. 4386 al n. 4411, secondo i seguenti principi distintivi: In tema di rapporto di pubblico impiego; ed a fronte di un comportamento antisindacale del datore di lavoro, che impedisca o limiti l'esercizio della libert e dell'attivit delle organizzazioni sindacali, l'individuazione dei rimedi giurisdizionali di cui tali organizzazioni possono avvalersi, a tutela delle loro posizioni (aventi natura e consistenza di diritti soggettivi), va effettuata distinguendo il caso, nel quale detto comportamento leda interessi propri ed esclusivi del sindacato (cosiddetti diritti sindacali in senso stretto), dal caso nel quale esso presenti carattere plurioffensivo, in quanto, direttamente incidendo sulle posizioni del sin (1) Questa, e le due coeve sentenze 4155 e 4162, costituiscono puntuale applicazione dei principi enunciati dalla Cassazione nelle ventisei sentenze pubblicate sotto la stessa data del 26 luglio 1984, con le quali la Corte sembra aver trovato la definitiva soluzione al problema dell'applicabilit dell'art. 28 statuto lavoratori e della tutela dei diritti sindacali nel settore del pubblico impiego Sia, perci, consentito di rimandare, per i precedenti giurisprudenziali e la dottrina in materia, alla nota di G. PALMIERI a Cassazione 26 luglio 1984,' n. 4386, in questa Rassegna 1985, I, 59. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 594 golo dipendente, venga ad interferire anche nella sfera giuridica del sindacato, con lesione di suoi interessi strettamente collegati a quelli del dipendente (cosiddetti diritti sindacali connessi o correlati). Nella prima ipotesi, la tutela esperibile davanti all'autorit giudiziaria ordinaria, nella normale sede contenziosa, quando si tratti di dipendenti delle Amministrazioni dello Stato, cui non si applica lo statuto dei lavoratori (anche dopo fa legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93), ovvero nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 dello statuto dei lavoratori, quando si tratti di dipendenti di enti pubblici non economici, ai quali si applichi il citato art. 28 dello statuto, a norma del successivo art. 37 ed in mancanza di apposita normativa speciale (e continua ad applicarsi anche dopo la menzionata legge-quadro). Nella seconda ipotesi, si tratti di dipendenti statali ovvero di dipendenti di altri enti pubblici non economici, detta tutela del sindacato spetta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, tenendo conto che riguarda diritti che attengono oggettivamente al rapporto di pubblico impiego (anche se diversi da quelli dell'impiegato), e la tutela medesima deve ritenersi esperibile non in via eventuale ed indiretta tramite intervento adesivo nel giudizio che promuova il dipendente, in quanto ci implicherebbe la possibilit di carenza di difesa giurisdizionale per i diritti del sindacato, ma bens in via autonoma ed indipendente, mediante l'instaurazione di apposito giudizio (spettando poi al giudice amministrativo l'eventuale integrazione del contraddittorio riei confronti degli altri interessati). In relazione all'indiato principio, manifestamente non ravvisabile una violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, sotto il profilo della diversa intensit ed incisivit degli strumenti a difesa dei diritti sindacali, rispettivamente nel processo davanti al giudice ordinario ed in quello davanti al giudice amministrativo, atteso che; nell'uno e nell'altro processo, sono assicurate le fondamentali garanzie delle parti e che le indicate differenze si ricollegano all'obiettiva di~ersit delle situazioni. Nella specie, la pretesa fatta valere dal sindacato per ottenere la rettifica della posizione degli insegnanti, che non avevano partecipato agli scrutini del 20 settembre 1974, da assenti ingiustificati in astenuti, in attuazione cio dell'esercizio del loro diritto di sciopero, inerisce alla tutela di una posizione di diritto del sindacato soltanto correlato a quella prevalente del diritto soggettivo dei singoli insegnanti interessati; e pertanto rientra nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Tale pronuncia non perci in contrasto con la precedente sentenza n. 4389/84, avendo questa -invece -ad oggetto la generica pretesa del sindacato di tutela dell'esercizio del diritto di sciopero in generale per il personale di un istituto di istruzione. Ugualmente, l'altra richiesta del sindacato di revoca del provvedimento del distacco della impiegata di segreteria Bottanelli Flavia, e di rilascio di un certificato di lodevole servizio alla stessa, attiene ad un PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE diritto soggettivo della impiegata in ordine alla propria posizione di servizio ed pert:;mto pure correlato alla relativa diretta tutela; anche per detta pretesa va perci dichiarata la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Per effetto di tale declaratoria, il separato regolamento di competenza perci assorbito e la sentenza del Tribunale di Milano, con questo impugnata, deve essere cassata senza rinvio. (Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE (sez. I) -19 gennaio 1985 n. 138, Pres. Santosuosso -Rel. Borruso -P. M. Dettori (concl. conf.) -Ministero Industria e Commercio (Avv. Stato De Figueiredo) e/ Virginia Agosta e Dr. Scholl's S.p.A. (avv. Stella Ricl,lter). Commercio (disciplina del) -Vendita in farmacia di zoccoli anatomici Condizioni. Il possesso dell'autorizzazione commerciale rilasciata per la vendita di articoli di ogni genere per l'allevamento del bambino, di cui alla tabella merceologica XIV, non legittima il farmacista alla vendita di qualsiasi articolo_ per l'infanzia, ma solo di quelli menzionati nella circolare I ~ del Ministero dell'Industria n. 2268/c del 24 marzo 1972 (1). (1) La S.C. con la sentenza in esame (che si legge anche in Foro It., 1985, I, 420 ss.) torna sulla vexata quaestio della vendita in farmacia degli zoccoli anatomici Dr. Scholl's, accogliendo integralmente le tesi dell'Avvocatura dello I f: Stato sul punto, ma non giungendo alla cassazione della decisione impugnata f: per la ritenuta buona fede dell'opponente. Come noto, sussiste tuttora un ampio dibattito giurisprudenziale sul punto, atteso che varie pronunce dei giudici di merito (tra le quali si possono Il indicare Pret. Vicenza 15-2-80, in Foro It., Rep. 1981, v. Farmacie, n. 72; Pret. Firenze 16-12-81, sulla cui impugnativa decide la sopra riportata sentenza, in Foro It., Rep. 1982, v. Commercio, n. 534 ed in extenso in Rass. dir. Farm. 1982, 22 con nota di NicoLOso) hanno ritenuto la vendita dei sandali anatomici non soggetta ad autorizzazione commerciale comunale, in quanto tratterebbesi di I prodotti che si discostano dalle calzature normali e sono predisposti al conseguimento di finalit terapeutiche; ovvero che gli stessi rientrerebbero in quella categoria di articoli sanitari normalmente posti in vendita nelle farmacie secondo gli usi di cui all'art. 57 del d.m. 14 gennaio 1972, per i quali l'art. 45 n. 2 della I. 11 giugno 1971 n. 426 esclude la necessit dell'apposita I autorizzazione. , Argomentazioni queste del tutto disattese dalla sentenza che si annota, la quale richiama in gran parte la precedente Cass. 7 marzo 1984 n. 1574, in Foro It. 1984, I, 1864 ss. Va infine considerato che gi dopo la pubblicazione di tale ultima sentenza, l'orientamento di alcuni giudici di merito era cambiato; in particolare, Pretura Pisa 30 giugno 1984, in Foro It. 1985, I, 617 ss., ritenuta la non vendibilit in farmacia dei predetti sandali in mancanza di autorizzazione commerciale, aveva ritenuto illegittimo e conseguentemente disapplicato il 2 comma dell'art. 57 d.m. 14 gennaio 1972 per contrasto con la norma primaria contenuta nell'art. 45, 1comma, n. 2 della I. 426/71, appunto nella parte in cui consentiva (rectius: poteva essere interpretato nel senso di consentire) la libera commerciabilit dei prodotti de quibus. VINCENZO NUNZIATA I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Col primo motivo del suo ricorso il Ministero per l'Industria, il Commercio e l'Artigianato lamenta che, per quanto ampio possa essere il significato attribuibile alla espressione Articoli per l'allevamento dei bambini , nella stessa non avrebbero potuto farsi rientrare giocattoli, bilance, capi di abbigliamento etc., cio articoli che, tra l'altro, sono espressamente contemplati in tabelle diverse da quella cui fa riferimento l'autorizzazione comunale rilasciata alla Agosta. Il motivo risulta fondato dal punto di vista oggettivo. Invero, anche 'se l'attuale ordinamento consente la vendita in farmacia, previa autorizzazione comunale, di tutta una serie di prodotti, la motivazione addotta nella specie dal giudice di merito per ritenere sic et simpliciter che l'espressione articoli di ogni genere per l'allevamento dei bambini, contenuta nell'autorizzazione comunale concessa alla opponente potesse essere interpretata alla lettera in senso omnicomprensivo, prescindendo completamente dal contesto della normativa sulle farmacie, fino a comprendere qualsiasi oggetto destinato al bambino anche se niente affatto connesso in modo particolare e diretto con la sua salute, si rivela non soltanto insufficiente e illogica, ma anche viziata da errore di diritto, perch chiaramente poggiante sul falso presupposto che, in base alle leggi vigenti sulle farmacie, e sia pure solo per effetto di autorizzazione comunale, si possa trasformare, in sostanza, la farmacia in un emporio destinato allo smercio dei prodotti pi svariati e generici, che non hanno avuto mai, n per logica n per consuetudine prima ancora che per legge, alcuna connessione con l'istituto delle farmacie. Al contrario, da tutto il complesso delle norme, che regolano in Italia le farmacie, emerge chiaramente che tutti i prodotti in essa vendibili devono riguardare in qualche modo specifico la salute delle persone. Solo l'importanza di tale bene primario pu giustificare, infatti, la speciale disciplina che, appunto a tutela della salute, regola l'impianto e l'esercizio delle farmacie. Siffatto convincimento non sembra esigere una particolare dimostrazione, trovando conferma nella semplice lettura del D.M. 14 gennaio 1972 (regolamento di esecuzione della 1. 11 giugno 1971 n. 426 sulla disciplina del commercio) e della circolare del 24 marzo 72 n. 2268/c del Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato da cui risulta che, a seguito di trattative promosse dalla P.A., stato raggiunto un accordo tra la Confederazione Generale Italiana del Commercio, la Federazione Ordine Farmacisti Italiani e la Federazione Unitaria dei titolari di farmacia, in base al quale i farmacisti si sono impegnati a richiedere l'autorizzazione comunale necessaria per la vendita al pubblico di prodotti non medicamentosi limitatamente ai prodotti dietetici per l'infanzia, per gli anziani, per gli ammalati, e i prodotti destinati all'igiene delle persone nonch quelli di cui ad un elenco che ricalca, in buona sostanza, quello di cui alla tabella XIV del citato D.M. 14 gennaio 1972. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 598 Tutti questi prodotti hanno in comune la caratteristica di essere concepiti e realizzati con particolar.e cura, volta a giovare o, comunque, a non pregiudicare la salute delle persone in considerazione della delicatezza, dal punto di vista igienico, o dell'uso in s o dei soggetti ai quali sono destinati. Per quanto, riguarda, infatti, gli articoli destinati ai bambini (i soli che qui interessino), tale elenco comprende soltanto: -apparecchi propedeutici allo sviluppo dell'attivit sensoriale e visiva del bambino parzialmente ritardato, quali attrezzature montessoriane; -articoli igienico-sanitari per la prima infanzia, quali pannolini e tutine assorbenti, vasini ortopedici etc.; -articoli per la sicurezza e la custodia del bambino nella deambulazione e nel riposo, quali bretelle sostenitrici e prime attrezzature per la sua custodia tipo infantseat ; -articoli di puericultura, quali biberon, scaJ.dabiberon, bagnetti, spargitalco, ciambelle lavatesta, accessori per bagno, spugne, termometri, accappatoi per neonati, bilance per neonati; ' -indumenti per neonati e prima infanzia di speciale tessuto filtrante e anallergico; -lenzuolini di gomma o filtranti per neonati; -mutandine igieniche porta assorbenti per neonato. Poich questi sono gli articoli concernenti i bambini che, in base alla normativa vigente, possono essere venduti in farmacia previa autorizzazione comunale e poich, d'altra parte, gli atti amministrativi si devono presumere, almeno sino a prova contraria, conformi alla legge, l'espressione articoli di ogni genere per l'allevamento dei bambini, contenuta nell'autorizzazione comunale concessa alla farmacista Agosta, doveva essere necessariamente interpretata con criterio restrittivo, tenendo, cio, loverosamente conto delle limitazioni chiaramente imposte con il sopracitato elenco e della conseguente possibilit che esse fossero sottintese pur non essendo espressamente richiamate. Col secondo motivo del suo ricorso il Ministero censura l'impugnata sentenza per essersi in essa tenuto conto del fatto che i sandali del dr. Scholl's vengono venduti esclusivamente nelle farmacie non in base ad uso comune commerciale (cio in base ad un comportamento libero, spontaneo, consolidato, tenuto dalla maggioranza degli operatori commerciali), ma in virt di un abuso della sola Societ produttrice, la quale vuole escludere dalla vendita altri possibili distributori, evitando, cos, la concorrenza e garantendosi il rispetto del prezzo imposto. Anche questo secondo motivo di ricorso oggettivamente fondato, almeno per quanto riguarda l'interpretazione dell'espressione normal PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE mente posti in vendita nelle farmacie secondo gli usi, riferita nell'art. 57 del D.M. 14 gennaio 72 agli articoli sanitari come condizione necessaria e sufficiente perch possano essere venduti in farmacia senza che occorra autorizzazione comunale, cos come non occorre per i prodotti farmaceutici- o per le specialit medicinali e per i presidi medico-chirurgici. Al riguardo, giova precisare che l'art. 45 della 1. 11 giugno 1971 n. 426 (concernente la disciplina del commercio e che impone l'autorizzazione comunale per l'apertura degli esercizi di vendita al minuto) stabilisce (al n. 2) che le disposizioni di detta legge non si applicano ai farmacisti per la vendita di prodotti farmaceutici e specialit medicinali. A sua volta l'art. 57 del D.M. 14 gennaio 1972 (regolamento di esecuzione della citata legge n. 426 del 71) confermato, per quanto qui interessa dall'art. 41 del D.M. 28 aprile 1976, cos recita: Ai fini dell'art. 45 n. 2 della legge, per prodotti farmaceutici o specialit medicinali si intendono anche gli altri prodotti affini, i presidi medico chirurgici e gli articoli sanitari, normalmente posti in vendita nelle farmacie secondo gli usi .. Orbene, come questa Corte regolatrice ha gi avuto modo di affermare con la sentenza n. 1574 dell'84, perch si possa ritenere che, di fatto, un prodotto sanitario venduto in farmacia secondo una consolidata prassi commerciale e, quindi, riconnettere a detta constatazione le conseguenze scaturenti dal_ combinato disposto dell'art. 45 n. 2 della legge e dell'art. 57 del regolamento soprariportati, occorre aver riguardo al mercato nella sua globalit e, conseguentemente, tanto agli esercizi farmaceutici, quanto a quelli non farmaceutici e non soltanto ad una singola e specifica marca di un determinato prodotto, ma all'intero tipo merceologico cui esso appartiene. Ha errato, quindi, il Pretore nel ritenere vendibili in farmacia i sandali anatomici Pescura della ditta Scholl's sol per aver accertato che tale articolo sanitario (--qualificazione questa sulla quale qui non pu discutersi, non essendo stata investita dalle censure mosse nel ricorso in esame-) si trova, da lungo tempo, in vendita pressoch in tutte le farmacie, in quanto sarebbe stato, invece, necessario accertare Sf'! calzature con plantare diverso da quello usuale per una pi scientifica corrispondenza alle esigenze anatomiche del piede normale (e, quindi, del tipo di quello che notoriamente costituisce il vanto dei sandali Pescura ), da chiunque prodotte e commerciate, siano da lungo tempo in vendita, in tutto il territorio nazionale, normalmente, soltanto nelle farmacie. Tale rigore nell'interpretazione del citato art. 57 si giustifica sol che si consideri che i prodotti sanitari, nel cui ambito rientrerebbero i sandali dei quali trattasi, sono vendibili in farmacia senza essere sottoposti -contrariamente alla norma -ad alcuna approvazione o autorizzazione specifica: non del Ministero della Sanit (come quella necessaria per i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prodotti farmaceutici o le specialit medicinali o i presidi medico-chirurgici, per i quali richiesta la preventiva registrazione) e neppure del Comune (proprio in virt della loro qualifica di prodotti sanitari che li differenzia da ogni altra merce). Si tratta, cio, per cosi dire, di un genus residuale di cui la libera vendita, eccezionalmente sottratta a qualsiasi forma di esame preventivo da parte della P .A., si giustifica solo quando: a) innanzitutto la qualifica di articolo sanitario corrisponda effettivamente a determinati requisiti intrinseci differenziali del prodotto, che ne rendano plausibile la vendita in farmacia (Requisi!i sui quali qui non il caso di soffermarsi, in quanto, come gi si rilevato, il ricorrente non contesta la qualifica di articolo sanitario attribuita nella impugnata sentenza ai sandali Scholl's); b) tale qualifica sia convalidata nella coscienza sociale da una prassi non solo consolidata nel tempo, ma generale ed univoca, .e. quindi, assolutamente prevalente, qual' appunto la vendita, in tutto il territorio nazionale, di un determinato tipo di articolo (da chiunque fabbricato e/o posto in commercio), di norma, esclusivamente presso le farmacie e non anche negli esercizi specializzati nella vendita di calzature o in altri negozi. Solo il concorso delle suddette due condizioni evita, invero, l'incongruenza logico-giuridica, gi stigmatizzata nella citata sentenza di questa Corte n. 1574 dell'84, che la qualifica di prodotto sanitario -con le conseguenze che ne scaturiscono agli effetti della libert di vendita senza autorizzazione comunale, -possa essere attribuita ad nutum del singolo produttore interessato ad imporne la vendita solo in farmacia per accreditare nel pubblico il convincimento che esso possegga speciali. virt terapeutiche o, comunque, sanitarie e per rendere, cosi, accettabile un prezzo maggiorato, ovvero che il ceto dei farmacisti sia arbitro di determinare, sia pure nell'ambito degli articoli sanitari, quali oggetti poter vendere senza licenza di commercio per effetto di una sorta di autoregolamentazione corporativa. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 1 febbraio 1985, n. 660 -Pres. Gabrieli Est. Tropea P.M. (conf.) .Floris Antonio (avv. !setta) c. ETFAS-Ente di sviluppo in Sardegna (avv. Stato Mataloni). Patrimonio dello Stato e degli enti pubblici -Beni indisponibili Utilizza zione da parte di privati Atto di concessione Necessit. (Legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 22). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 601 Patrimonio dello Stato e degli enti pubblici Beni indisponibili Fondi rustici Concessione amministrativa Proroga del contratto ex lege 11 febbraio 1971 n. 11 Non si applica. L'utilizzazione provvisoria ed eccezionale in favo re di terzi di beni del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico (nella specie terreni di propriet dell'ETFAS) non pu avvenire se non in forza dello strumento pubblicistico dell'atto di concessione (1). L'art. 22 legge 11-2-1971 n. 11 non riguarda la concessione di terreni rientranti nel patrimonio indisponibile di un ente pubblico ceduti in godimento per uso agricolo (2). (1-2) Art. 22 legge 11/1971. Applicabilit alle concessioni dei beni demaniali. La sentenza, pur nella sua succinta motivazione, interessante perch conferma un indirizzo ormai conslidato della Suprema Corte sull'interpretazione dell'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11 nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici'" pur a fronte di diverse interpretazioni occasionate dall'entrata in vigore della legge. Come noto, l'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11 Nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici recita: le norme della legge 12 giugno 1962 n. 567 e della presente legge si applicano anche ai terreni che comunque vengono concessi per l'utilizzazione agricola o silvio pastorale dello Stato, delle provincie e comuni o gli altri enti . Con tale disposizione pertanto si ritenevano automaticamente applicabili ai terreni dati in concessione dagli enti indicati i vari istituti previsti dalla normativa della medesima legge 11/1971 e della precedente 567/1962 ed in particolare l'istituto della predeterminazione dell'equo canone per l'affitto dei fondi rustici, nonch il regime di proroga dei contratti medesimi. La Cassazione, con la sentenza n. 8 del 9 gennaio 1973 (Foro it. 1973, 1098) interpret subito l'art. 22 nel senso che tra i terreni in esso indicati non potevano ritenersi compresi quelli demaniali o quelli del patrimonio indisponibile degli enti dello Stato o degli altri enti pubblici. Partendo dalla distinzione tra contratto di affitto del fondo appartenente al patrimonio disponibile dello Stato (o dell'ente pubblico) e concessione-contratto appartenente a patrimonio indisponibile dell'Ente pubblico, territoriale o non, e individuando una incompatibilit genetico strutturale tra rapporto pubblicistico derivante dalla concessione-contratto e istituti previsti dalla normativa speciale agraria, la Cassazione ha escluso l'applicabilit dell'istituto della perequazione del canone alla concessione-contratto ed in margine anche di eventuali altri istituti previsti dalla medesima normativa quali quelli relativi alla regolamentazione delle migliorie (art. 21 stessa legge), o alla trasformazione coattiva, a richiesta del coltivatore, della natura giuridica del contratto quale voluto e stipulato dalle parti. Nel senso della sentenza n. 8 sono andate le successive sentenze delle Sezioni Unite n. 2642 del 19 ottbre 1973 e n. 1225 dell'8 aprile 1976, le quali hanno affermato la non applicabilit alle concessioni contratto della legge 11/1971 ed in conseguenza hanno stabilito per le controversie relative la giurisdizione del TAR. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 602 Col primo motivo denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. e.e. 830 in relazione all'art. 828 comma secondo e.e.; 22 1. n. 11/1971, nonch omessa motivazione sui punti decisivi de11a controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.) il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte d'Appello di Cagliari erroneamente affermato che l'utilizzazione dei beni indisponibili di un ente pubblico non pu essere effettuata in forme diverse dalla concessione amministrativa, facendo discendere da tale erronea affermazione Ja conseguenza che il rapporto intercorso tra le parti doveva configurarsi come mero rapporto di natura pubblicistica, senza tener conto n delle risultanze processuali dalle Il legislatore dal canto suo con la legge 10 dicembre 1973 n. 814 modificava la legge 1971 n. 11 e put lasciando inalterato l'art. 22 stabiliva una norma modificativa dell'art. 24 che, se pur indirettamente, poteva far dubitare della corretta interpretazione dell'art. 22. L'art. 24 infatti nel testo precedente la 814/1973 disponeva: sono trasformati in contratti d'affitto a richiesta del coltivatore i contratti in corso nei quali vi sono elementi di contratto di affitto ancorch non prevalenti, i contratti di affitto per la utilizzazione delle erbe, i contratti di soccida con conferimento di pascolo ed i contratti di pascolo, anche di durata inferiore ad un anno con corrispettivo rapportato al numero dei capi di bestiame introdotti nel fondo ... Sono esclusi dal presente articolo i contratti di affitto o le' vendite di erbe di durata inferiore ad un anno riguardante l'utilizzazione stagionale a pascolo dei terreni coltivati con rotazione tra colture e periodo di riposo o comunque destinati precariamente al pascolo. Nella determinazione dei canoni per i contratti di cui al comma precedente si applicano i criteri stabiliti dall'art. 3 della presente legge (norme per la determinazione dei canoni di equo aggetto) con riferimento ai terreni a pascolo, proporzionando l'ammontare del canone al periodo pascolativo previsto dal contratto . A questo articolo l'art. 5 della legge 814/1973 aggiunge un ulteriore comma per i terreni appartenenti al demanio pubblico o per quelli delle regioni, pro vincie e comuni soggetti al regime dei beni demaniali, dati in concessione per lo sfalcio delle erbe o per il pascolo, i canoni da corrispondere saranno determinati dalle commissioni tecniche provinciali in base ai canoni medi provinciali stabiliti in applicazione dei criteri della presente legge ridotti del 70 % . Ove per la prima volta se pur con riferimento ad una fattispecie limitata, i contratti per lo sfalcio delle erbe e per il pascolo, si detta un norma speciale non gi per i terreni degli enti pubblici ma proprio per i terreni demaniali generalmente esclusi dall'applicazione della legge 11/1971. Ulteriori perplessit sull'interpretazione dell'art. 22 conseguono all'entrata in vigore del decreto legge 2 ottobre 1981 n. 546 convertito con modificazioni nella legge 1 dicembre 19881 n. 692. Come noto, tale testo legislativo reca disposizioni in materia di imposte di bollo, di regime fiscale delle cambiali e di adeguamento della misura dei canoni demaniali. pertanto una norma di natura prettamente finanziaria tesa ad incrementare alcune entrate dello Stato. Nel determinare l'adeguamento della misura dei canoni di concessione demaniale (art. 2), all'ultimo comma la legge prevede restano fermi i canoni ed i proventi che sono dovuti in misura superiore a quella risultante in base PARTE l, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA ClVlLE 603 quali emergeva in modo pacifico che si trattava di un vero e proprio contratto di affitto di natura privatistica assoggettato al regime vincolistico ex art. 22 1. 11/71, n delle deduzioni delle prove che avrebbero confermato tale circostanza. Aggiunge che in ogni caso anche a voler ritenere che i beni del patrimonio indisponibile degli enti pubblici non possono costituire oggetto di rapporti di natura privatistica si sarebbe dovuto giungere ad eguale risultato non potendosi negare efficacia al contratto di diritto privato intercorso tra le parti fino a quando esso non fosse stato annullato. Il motivo infondato. agli aumenti stabiliti nei precedenti commi nonch quelli derivanti dall'applicazione dell'art. 5 della legge 10 dicembre 1973 n. 814 . In sede di conversione fu aggiunto un ulteriore comma resta altres ferma l'applicabilit delle norme sull'affitto dei fondi rustici .anche ai terreni demaniali o soggetti al regime dei beni demaniali di qualsivoglia natura, appartenenti ad enti pubblici territoriali o non territoriali, fino a che persista la utilizzazione agricola o silvio pastorale dei terreni medesimi, in conformit con quanto disposto dall'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11 , La formulazione dell'articolo appare quanto mai infelice, perch il riferimento ai terreni demaniali o soggetti al regime dei beni demaniali... in conformit con quanto disposto dall'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11, non sembra tener conto che proprio l'art. 22, secondo quantomeno l'interpretazione datane dalla giurisprudenza, era stato inteso non comprendere i contratti su terreni di siffatto regime,. e che proprio la Cassazione aveva posto in luce un'incompatibilit strutturale tra regime speciale dei contratti agrari e concessioni-contratto di beni demaniali. bens vero che il contenuto dell'art. 9 limitato all'adeguamento del canone per l'utilizzazione del terreno agricolo, sicch rimarrebbe impregiudicata la questione dell'applicabilit del regime vincolistico alle concessioni contratto di terreni demaniali; ma deve rilevarsi che l'ampia dizione dell'art. 22 (le norme della legge 12 giugno 1962 n. 567 e della presente legge) impone per logica che o l'intera normativa sia applicabile ai terreni demaniali e pertanto gli istituti pi qualificanti della stessa quali quelli della perequazione del canone e del regime vincolistico, nonch tutte le altre norme sopra indicate relative ai poteri dell'affittuario e all'esecuzione dei miglioramenti, o nessuno degli stessi, salvo la norma speciale di cui all'art. 5 legge 814. La Cassazione, con la sentenza n. 2069/83, ha mantenuto ferma la propria giurisprudenza, ribadendo in generale l'inapplicabilit ai beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti pubblici degli istituti previsti dalla legge n.11/71 (di pari avviso andata la successiva sentenza n. 5562/83) ed in particolare del regime vincolistico. Ha infatti affermato che il carattere, se non pubblicistico, quanto meno atipico del negozio -a causa della natura del bene che ne costituisce oggetto -osta infatti alla sua incondizionata assimilazione ai contratti di affitto di diritto comune ed in particolare ne impedisce l'assoggettamento a quelle norme speciali che, prolungando in forma cogente la durata del rapporto, precluderebbe il condizionamento ed il controllo della sua protrazione entro i limiti di una perdurante ed attuale compatibilit con il conseguimento delle finalit informatrici della disciplina propria dei terreni di uso civico . 1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 604 Il ricorrente non specifica n dimostra che la Corte di merito abbia omesso di valutare un qualsiasi preciso elemento dal quale possa dedursi con certezza che l'Ente resistente avesse posto in essere nella fattispecie un'attivit contrattuale di diritto privato e pretenderebbe inammissibilmente di giungere a una conclusione di tal genere con un nuovo esame e una diretta e diversa valutazione in questa sede delle risultanze processuali. Prescindendo dalle affermazioni generali di principio della sentenza impugnata alle quali il ricorrente tenta di appigliarsi per prospettare l'ipotizzabilit di un indimostrato rapporto di diritto privato rimangono peraltro a conforto della conformit a diritto della pronuncia della Corte Ha ritenuto pertanto la Suprema Corte la non pertinenza dell'art. 5 della legge 814/73 che regola la sola materia della determinazione del canone di alcuni tipi di contratti agrari e l'irrilevanza nella materia de quo della legge 2 ottobre 1981 n. 546 la quale si limita a stabilire le percentuali degli adeguamenti dei c~noni gi stabiliti i~ base ad altra normativa e solo incidentalmente fa salvi i canoni conseguenti l'applicazione della legge 814/73 (art. 5) e della legg 11/71, art. 22. da segnalare per che proprio la legge del 1981 n. 692 ha costituito il presupposto per una diversa interpretazione dell'art. 22 I. 11/71 da parte del Consiglio di Stato. Infatti con il parere del 10 aprile 1984, sez. III, n. 511/83, trasfuso nella circolare ministeriale 10 febbraio 1982 n. 403 pressoch integralmente riportata nella rivista Il coltivatore del 2 dicembre 1984, il Consiglio di Stato, gi dubbioso dell'interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione sull'art. 22 della legge 71, pur ritenendola compatibile con l'incerto dettato legislativo, ha ritenuto tale interpretazione non pi giustificabile alla luce delle disposizioni dell'art. 5 legge 814/1973, art. 4 e 5 legge 4 agosto 1978 n. 440 e sopratutto della legge 692/81. Secondo il Consiglio di Stato, la legge 814 introduce un esplicito riferimento ai beni demaniali, la 440 equipara l'assoggettamento dei terreni demaniali ai fondi rustici e soprattutto la legge 1 dicembre 1981, con la quale il legislatore aveva ben presenti i problemi interpretativi posti dall'art. 22, avrebbe risolto l'incerto dettato normativo nel senso di confermare la estensione del regime dei fondi rustici previsto dalla legge del 71 anche ai beni demaniali. Il Consiglio di Stato ba per avvertito l'e&igenza di delineare un limite di operativit di quel regime in modo da conciliarlo con la natura pubblica del bene e con la prevalenza del pubblico interesse, e l'ha individuato nella persistenza della utilizzazione agricola o silvio pastorale dei terreni e nell'assenza di una. volont della P.A. di destinare il bene ad altri fini. In linea generale per, secondo il Consiglio di Stato, l'art. 9 ba il valore di una vera e propria interpretazione autentica della precedente disciplina con la conseguenza che in base alla normativa sopra citata la concessione-contratto o il contratto atipico di beni demaniali o del patrimonio indisponibile sarebbe soggetta a tutte le prescrizioni della normativa speciale agraria. Tali argomentazioni per lasciano qualche perplessit sopratutto se poste a confronto con le pi articolate motivazioni della S.C. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 605 sul punto due elementi p;recisi. E cio da un lato la circostanza accertata in sentenza sulla scorta delle acquisizioni processuali che il rapporto cle quo era stato originato da una concessione che era stata poi revocata dall'Ente concedente senza alcuna .contestazione e dall'altro lato che i terreni dell'ente resistente, come pure correttamente affermato nella decisione impugnata, sono assoggettati per legge a vincolo di destinazione che li qualifica come facenti parte del patrimonio indisponibile dell'ente medesimo (in termini Cass. SS.UU. 25-5-1971 n. 1538). Di modo che la loro utilizzazione provvisoria ed eccezionale in favore di terzi, nel periodo anteriore al loro impiego per la realizzazione dei fini istituzionali del- A parte la validit delle osservazioni di pdnc1p10 enunciate sopratutto nella sentenza n. 8 del 73. ed in quella 2069 del 1983 su una strutturale incompatibilit tra atto di concessione a carattere pubblicistico e regime vincolato del contratto di affitto, teso a dirimere un conflitto di interessi tra privati, mentre la concessione atto in cui strutturalmente si tutela un interesse pubblico e solo in via indiretta un interesse privato (tanto che lo stesso Consiglio di Stato ha dovuto ammettere l'essenziale revocabilit della concessione di beni per uso agricolo, ogni qualvolta debba venire meno la utilizzazione agricola o silvio pastorale dei terreni), sono proprio le argomentazioni del Consiglio di Stato a non apparire sufficientemente convincenti da porre nel nulla il consolidato orientamento della S.C. Certo il testo legislativo equivoco, ma argomentare dall'art. 5 1. 814/73 e soprattutto dall'art. 9 legge n. 692/81 una interpretazione autentica della legge del 71, appare andare al di l del volere del legislatore, in quanto l'art. 5 legge 814 ha integrato l'art. 24 1. 11/71 prevedendo solo una predeterminazione della misura del canone per le concessioni di beni demaniali per lo sfalcio delle erbe o per il pascolo diversa dagli altri contratti d'affitto. Sicch il disposto di tale norma non pu estendersi a dare un diverso contenuto a quanto stabilito dall'art. 22 che non menziona affatto i terreni demaniali. E d'altra parte appare forzare il senso della legge dell'81 nel volerle attribuire un contenuto di interpretazione autentica della legge del '71. In difetto di una espressa menzione interpretativa appare assai improbabile infatti che con un decreto legge di carattere finanziario tendente a modificare le aliquote di varie imposte, il legislatore abbia voluto dare una interpretazione autentica ad una norma precedente, mentre sembra molto pi plausibile ritenere che l'imperfetta dizione legislativa la quale ricalca pedissequamente la dizione dell'art. 5 legge 814/73 abbia voluto mantenere fermo ed escludere dalle prescrizioni dell'art. 9, e quindi dagli aumenti del canone ivi previsti, quanto gi (e se gi) regolamentato con altre leggi. Ed in ogni caso, trattandosi di una norma che tende a mantenere uno statu-quo per certe situazioni giuridiche, la stessa non vuole n pu avere alcuna efficacia modificativa di precedente disciplina. Tanto pi che la legge n. 203 del 6 maggio 1982 sui contratti agrari sede pi idonea per eventuali modifiche o interpretazioni autentiche sembra aver voluto mantenere l'art. 22 nella sua originaria portata, a dettare disposizioni, con l'art. 51, relative al procedimento per la concessione del terreno in caso di pluralit di richiedenti. ANNA CENERINI 606 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'Ente, non poteva avvenire se non, appunto, con lo strumento pubblicistico dell'atto di concessione. Le censure in esame vanno quindi disattese. Del pari infondato il secondo motivo col quale si sostiene che anche i rapporti derivanti da concessione amministrativa rientrano tra quelli indicati dall'art. 22 1. 11-2-1971 n. 11, tenuto conto della chiara formulazione della norma la quale nel primo comma fa riferimento ai terreni che comunque vengono concessi e nello ultimo comma definisce concessione l'atto che pu dar luogo al rapporto di utilizzazione di terreni dello Stato o di enti pubblici; con la conseguenza dell'estensione a tali rapporti della disciplina vincolistica. In proposito deve invero osservarsi, in conformit del costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte del quale lo stesso ricorrente d atto e dal quale non vi sono motivi per discostarsi, che l'art. 22 1. 11-2-1971, n. 11 non riguarda la concessione di terreni rientranti nel patrimonio indisponibile, ceduti in godimento per uso agricolo, dovendo l'espressione di tale norma essere riferita ai contratti atipici di diritto privato, aventi contenuto e struttura affini all'affitto ma non riconducibili nello schema negoziale di esso (S.S. U.U. 9-1-1973 n. 8 e 8-4-1976 n. 1225). CORTE DI CASSAZIONE, sez III, 5 luglio 1985 n. 4064 -Pres. Bile -Est. Quaglione -P.M. Martinelli -Soc. Sai (avv. De Santis) c. Righi (avvocato !annotta). Assicurazione -Assicurazione r.c.a. -Azione diretta del danneggiato Pregiudizio prodotto dal ritardo nell'adempimento della prestazione da parte dell'assicuratore -Risarcibilit -Limiti del massimale -Irrilevanza. Ove l'assicuratore, in violazione dei doveri di correttezza, buona fede e diligenza, ritardi o rifiuti, senza giustificato motivo, l'adempimento della sua obbligazione legale, e da tale comportamento colposo derivi all'avente diritto un ulteriore pregiudizio, il limite del massimale pu operare solo per l'originario importo dell'indennizza, non anche per gli ulteriori danni (1). (1) La massima conferma il precedente orientamento della giurisprudenza, anche se criticato dalla dottrina, M. FRANZONI, L'azione diretta nei confronti l dell'assicur:atore, in Riv. dir. privato, 1984, 773. Per la giurisprudenza, cfr. Cass. f 21 m= 1985, n. 2064, "'' Un. 29 luglio 19'.1 n. 5218. I I i ' I lt{ifllflllillllillltilllllllllldwlltlillflllltll&tfilBllilll~flllifllWi~ ., PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 607 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 20 luglio 1985 n. 4306 -Pres. Franceschelli -Est. Nocella -P. M. Ferraiuolo -De Angeli c. Soc. editrice Il Messaggero. Lavoro -Appello -Documenti non prodotti in primo grado -Ammissibilit. Nel giudizio di appello, che si svolge secondo il rito del lavoro, ammissibile la produzione di documenti, deducibi.li, ma non dedotti, nel giudizio di primo grado (1). Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 432, 2 comma, c.p.c. nonch vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e si deduce che dal combinato disposto degli art. 345, 2 comma, e 437, 3 comma, c.p.c. pu desumersi che mentre il legislatore del 1973 ha richiamato il divieto di nuovi mezzi di prova, non ha invece richiamato il divieto di produrre nuovi documenti, che concretando una prova precostituita (e non una prova costituenda) possono essere acquisiti senza preventiva attivit processuale finp all'inizio della discussione orale. Il tn bunale ha pertanto erroneamente dichiarato l'inammissibilit dei documenti prodotti con il ricorso d'appello, che erano peraltro indispensabili ai fini dell'attribuzione della richiesta qualifica superiore. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2095, 2099, 2108, 2109 e.e., delle norme di ermeneutica contrattuale in relazione agli art. 2, 18, 19 nonch degli art. 12, 13, 4, 7, 8 e 11 del c.c.n.I. per i dipendenti di aziende editrici e stampatrici di giornali del 10 luglio 170, dell'art. 116 c.p.c. ed omessa motivazione (art. 360, nn. 5 e 5, c.p.c.) e si deduce che il tribunale ha effettuato sulle prove ammesse una valutazione del tutto parziale, fermandosi a ritenere essenziali, ai fini della esclusione della qualifica richiesta, elementi del tutto ininfluenti, quali il numero dei dipendenti e degli addetti al traffico telescriventi oppure la complessit dell'organizzazione, che, invece, avrebbe potuto far capo ad un solo responsabile, purch dotato di competenza e capacit tecnica adeguata, secondo la descrizione della qualifica, contenuta nelle norme collettive, e nel minimizzare le mansioni del ricorrente ha operato un esame parziale ed incompleto sul materiale probatorio di primo grado. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli art. 345 e 437 c.p.r con riferimento agli istituti contrattuali economici e normativi dal con (1) Con questa sentenza la Cassazione ha di nuovo esaminato la questione circa la ammissibilit della produzione di documenti nel giudizio di appello, risolvendola affermativamente: cfr. Cass. 18 agosto 1982 n. 4660. 608 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tratto collettivo predeto ed omessa motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e si sosiene che il tribunale: a) ha erroneamente considerato come nuove le richieste di differenze retributive, che trovano il loro fondamento negli istituti economici della contrattazione collettiva del settore (compenso per lavoro domenicale, per lavoro notturno, straordinario, tredicesima, ecc.); b) non ha considerato che non si trattava di domande nuove, ma di specificazione contabile di somme e indennit accessorie, come stabilite dalla suddetta contrattazione ed applicate nella busta-paga; e) ha completamente omesso ogni decisione sulla dedotta novit delle richieste e non ha dato il giudizio di indispensabilit, o meno, delle prove testimoniali, richieste in grado di appello e specificamente articolate. I tre riassunti motivi possono essere congiuntamente esaminati. Mentre il primo motivo dev'essere accolto, con assorbimento conseguen ziale del secondo, il terzo dev'essere accolto per quanto di ragione nei limiti seguenti. U divieto di nuove domande ed eccezioni in grado di appello attua in modo puntuale e rigoroso il principio del doppio grado di giurisdizione, che impedisce ogni estensione della cognizione e della decisione del giu dice d'appello oltre i limiti obiettivi, fissati nel giudizio di primo grado. Domanda nuova, data la ratio del divieto, dev'essere intesa come quella che, confrontata con quella proposta in primo grado, si differenzia da essa per alcuno degli elementi di identificazione dell'azione (soggetti, petitum e causa petendi) e pertanto1 implica una dilatazione dei limiti, cos prede terminati, della cognizione e della decisione del giudice d'appello, mentre, ovviamente, non pu essere intesa come nuova quella che, vertendo sui fatti gi dedotti in primo grado, riguarda soltanto la qualificazione giuridica di essi. Nella specie con il ricorso introduttivo del giudizio stata proposta domanda di inquadramento in una categoria impiegatizia superiore, con la conseguente condanna della societ convenuta al ricalcolo delle retri buzioni, ivi compresi gli scatti biennali, ed al versamento delle differenze retributive nonch di adeguamento della posizione assicurativa e previ denziale in relazione a tale inquadramento. Le ulteriori domande, proposte per la prima volta in grado di appello, non erano in connessione conseguenziale del richiesto riconoscimento della superiore categoria, ma erano autonome rispetto a questo, ponendosi rispetto alle conseguenti differenze retributive non gi come una specificazione contabile di esse e quindi come uno sviluppo dello stesso titolo, ma come petita autonome al di fuori del titolo giuridico dedotto. Le domande inerenti al compenso per lavoro straordinario, notturno e domenicale si fondano invero su specifici presupposti di fatto e di diritto, come pure la domanda inerente alla tredicesima mensilit (tranne che nella parte in cui sia dchiesta PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE come differenza retributiva). Si trattava quindi di domande nuove in quanto implicavano una pi ampia cognizione del giudice di appello rispetto al thema decidendum, introdotto in primo grado, con eventuale esigenza di nuovi mezzi istruttori a prova dei fatti costitutivi, posti a loro fondamento. Pertanto il tribunale ha rettamente dichiarato inammissibili tali nuove domanpe, data l'assolutezza del divieto posto dall'art. 437, 2 comma, c.p.c. e correlativamente il terzo motivo dev'essere rigettato per quanto riguarda le censure sub a) e b). Il divieto d,i nova riguarda non soltanto le nuove domande ma anche l'assunzione di nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della nuova (art. 437, 2 comma, c.p.c.). Nella specie il tribunale non ha motivato sulla richiesta di prova testimoniale, formulata dall'appellante, mancando di definirne sia la rilevanza nell'ipotesi che si trattasse di prove disattese in primo e riproposte in secondo grado sia l'indispensabilit e cio la loro decisivit ai fini della risoluzione della controversia nell'ipotesi che si trattasse di prove veramente nuove, non proposte in primo grado. In tali limiti dev'essere accolta la censura sub e) del terzo motivo. Questa Corte suprema con sentenza n. 2835 del 29 giugno 1977 (Foro it. Rep. 1977, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 291), seguita da numerose conformi (tra le altre: Cass. 3 aprile 1979, n. 1932, id., Rep. 1979, voce cit., n. 469; 10 gennaio 180, n. 198, id., Rep. 1980, voce cit., n. 407; 13 novembre 1981, n. 6023, id., Rep. 1981, voce cit., n. 479; 21 gennaio 1982, n. 1691, id., Rep. 1982, voce cit., n. 501, e da ultimo 16 aprile 1984, n. 2461 id., Rep. 1984, voce cit., n. 456) ha ritenuto che il divieto suddetto sia limitato alle prove costituende e ~on si estenda quindi a quelle costituite, e cio all'acquisizione di nuovi documenti. Non si ritiene di discostarsi da tale orientamento giurisprudenziale quasi costante (conti-a: Cass. 18 agosto 1982, n. 4660, id., 1983, I, 393). La distinzione concettuale tra mezzi di prova e documenti trova riscontro nella lettera della legge e nel sistema normativo. L'art. 437, 2 comma, c.p.c. menziona, infatti, soltanto i nuovi mezzi di prova, non i documenti, subordinando la loro ammissione al giudizio di ammissibilit ai fini della successiva assunzione. Gli art. 184 e 345 c.p.c. sia nel testo originario che in quello novellato menzionano separatamente i mezzi di prova e i documenti. La stessa separazione rinvenibile negli art. 414, n. 5, e 416, 3 comma c.p.c. (nuovo testo), che accanto ai mezzi di prova, dei quali le parti intendono avvalersi, danno particolare risalto ai documenti, che l'attore deve offrire in comunicazione con il ricorso ed il convenuto depositare con la memoria di costituzione .. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 610 Alla separata considerazione testuale dei documenti rispetto ai mezzi di prova corrisponde sotto l'aspetto della ratio una differente disciplina giuridica. Il silenzio mantenuto dal legislatore nell'art. 437 citato per quanto riguarda i documenti, che sono invece espressan1ente menzionati per il rito ordinario negli art. 184 e 345 c.p,c., non pu essere interpretato come una casuale omissione, ma, inquadrato nel sistema e nelle caratteristiche del rito del lavoro, dev'essere inteso come una voluta diversit di regolamentazione: se infatti per i mezzi di prova si richiede un procedimento di assunzione, conseguente al giudizio di indispensabilit, per i documenti, in relazione alla loro natura di prova gi formata e precostituita, non sarebbe razionalmente giustificato un analogo procedimento di assunzione diretta al compimento di atti istruttori, essendo per essi sufficiente la semplice acquisizione al processo. Devesi coerentemente ritenere che il legislatore non abbia voluto estendere il divieto di nova in appello fino ad impedire l'acquisizione di documenti, che per la loro natura di voces mortuae e l'esaurimento della loro produzione in unico atto, non richiede alcun prolungamento della attivit processuale, contrario alla esigenza di celerit e concentrazione, che il legislatore stesso ha voluto soddisfare con il nuovo rito, con particolare riferimento al giudizio d'appello. N pu ritenersi che la possibilit accordata alle parti di produrre documenti in grado d'appello incoerente con il sistema di preclusione, introdotto in primo grado, in quanto la decadenza gi verificatasi per effetto degli art. 414 e 416 c.p.c. ne impedirebbe l'ammissione in grado d'appello. L'incoerenza soltanto apparente. Se il divieto del novum in quanto inteso ad assicurare il principio del doppio grado di giurisdizione, gioca un ruolo decisivo e rigoroso nell'impedire l'estensione del giudizio di secondo grado a domande ed eccezioni nuove, che, ampliandone il contenuto, creerebbe una diversit del thema decidendum, non assume, invece, una rilevanza altrettanto rigorosa sul piano delle prove, quando queste, rimanendo nell'ambito del decisum, non siano poste a sostegno di domande ed eccezioni nuove. Occorre infatti considerare che nel sistema normativo, introdotto dalla 1. n. 533 del 1973, non rientrano soltanto le preclusioni di cui agli art. 414 e 416 c.p.c., che impongono all'attore e, pariteticamente, al convenuto d'indicare i mezzi di prova e i documenti, offerti in comunicazione e depositati, rispettivamente con il ricorso introduttivo e la memoria di costituzione, ma anche i poteri istruttori del giudice, che in primo grado implicano le disponibilit d'ufficio di ogni mezzo di prova in qualsiasi momento ed in secondo grado l'ammissibilit d'ufficio di nuovi mezzi di prova, anche se subordinatamente alla loro indispensabilit: il che rende evidente che il sistema normativo, seppur non attua un sistema .inquisitorio puro, tende a contemperare in considerazione dalla particolare natura del rapporto di lavoro e degli interessi in discus PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE sione, alcuni dei quali riguardanti diritti di rilevanza costituzionale, il principio dispositivo, che obbedisce alla regola formale di giudizio fondato sull'onere della prova (art. 2697 e.e.), con il principio inquisitorio, che tende alla ricerca della verit reale mediante una rilevante partecipazione ed un'efficace azione del giudice nel processo. Pu essere pertanto accettato l'orientamento dottrinale, secondo cui, in relazione alla tipicit delle controversie del lavoro, la rigidit del sistema di preclusioni risulta in definitiva superata daJ tendenziale principio della ricerca della verit reale, per modo che come in primo grado l'attivit istruttoria pu essere disposta anche superando le preclusioni formatesi a danno delle parti, cos in grado d'appello l'acquisizione dei mezzi di prova pu essere disposta ove siano ritenuti indispensabili per risolvere la causa sulla base dell'accertamento pieno dei fatti controversi e non sulla base di regole formali di giudizio. Non pertanto accettabile la tesi, sostenuta nella sentenza n. 4660 del 18 agosto 1982 di questa Corte suprema, secondo cui non possono pi ritenersi ammissibili in grado d'appello i documenti, che la parte, ove fosse stata pi diligente, avrebbe potuto e dovuto portare all'esame del giudice di primo grado a norma dei richiamati art. 414, n. 5, e 416, 3comma, c.p.c., e che, colpiti da decadenza, diventano per ci stesso inidonei alla dimostrazione del fatto costitutivo della domanda, secondo la regola generale prevista dall'art. 2697 e.e. Tale tesi, che sostanzialmente crea un onere insussistente, non si pone in linea col ritenuto criterio di prevalenza della verit reale, fondamentale nelle finalit del rito del favoro, rispetto al criterio formale della regola legale di giudizio, ed attribuisce al requisito dell'indispensabilit dei mezzi di prova un valore di direttiva generale, mentre esso, quando funzionalmente possibile in relazione alla natura non documentale della prova, si esaurisce in una valutazione del caso concreto, riservata al giudice d'appello, e soggetto al controllo di legittimit soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione. Ala stregua dei principi esposti la motivazione del tribunale si rivela apodittica ed insufficiente, essendosi esso limitato a dichiarare inammissibile la copiosa documentazione sol perch prodotta dall'appellante soltanto in secondo grado senza giustificato motivo , mentre avrebbe dovuto dare ingresso alle prove precostituite per procedere alla valutazione della loro rilevanza ai fini della decisione. Con l'accoglimento del primo motivo deve ritenersi assorbito il secondo punto perch attinente ai pretesi difetti logici e giuridici della valutazione di merito, che dovr essere compiuta dal giudice d'appello, in assoluta libert di giudizio, anche in relazione all'eventuale rilevanza dei nuovi documenti prodotti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 612 I TRIBUNALE DI TORINO, Sez. VI, 1 agosto 1985, ordinanza del G.I. Ministero delle Finanze c. Soc. Alessandrina Petroli. Giurisdizione civile Provvedimenti di urgenza Revoca -Ammissibilit da parte del giudice di merito. Il giudice investito della causa di merito competente alla revoca del provvedimento di urgenza emesso dal Pretore ex art. 700 c.p.c. in materia (esecuzione esattoriale di tributi diretti) sottratta alla cognizione dell'A.G.O. (1). II TRIBUNALE DI TORINO, Sez. VI, 1 agosto 1985, ordinanza del G.I. Ministero delle Finanze c. Soc. DE.P.S. Giurisdizione civile -Provvedimenti di urgenza Controversie di competenza dell'a.g.o. . Revoca Giudizio di merito Ammissibilit. Il giudice investito della causa di merito competente a revocare il provvedimento emesso dal Pretore ex art. 700 c.p.c., essendo il potere di provvedere di urgenza immanente nel giudizio di merito e presupponendo in ogni caso la giurisdizione dell'A.G.O. (2). (1-2) Note sulla revocabilit dei provvedimenti pretorili di urgenza. Le due ordinanze coeve in rassegna meritano segnalazione per l'esatto governo fatto non soltanto della regola -da tempo consolidata nella giurispmdenza di legittimit -secondo cui il potere di emettere provvedimenti di urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., attribuito al giudice ordinario limitatamente alle materie rientranti nella sua giurisdizione (Cass. SS.UU. 4402/79, 5575/79, 5334/80, 1484/81, 6328/81, 4204/82, 5165/82, 5348/82, 5653-5654/82, 7319/83, 7369/83, 1232/84, 5277/84, 2364/65; per una applicazione in tema di contenzioso tributario v. Cass. SS. UU. 4507/78, in Giust. civ. 1979, I, 74), ma, prima ancora, dell'importante principio, soltanto recentemente affermato con chiarezza dalla Corte di cassazione (sez. lav., 1 marzo 1985 n. 1782, in Foro it. 1985, I, 1684), secondo cui i provvedimenti di urgenza emanati ante causam dal pretore possono essere revocati dal giudice istruttore prima della decisione di merito. Si ottenuta in tal modo, nello spazio di un mese, la revoca di due ordinanze pretorili con le quali -senza darsi minimamente carico del 1.:ontrario orientamento della Cassazione -era stata sospesa l'esecuzione esattoriale per crediti ingenti, arrecando grave danno all'Amministrazione finanziaria. Allorch la Corte regolatrice fu chiamata a pronunciarsi esplicitamente sulla questione (agitata soprattutto in relazione alla nota vicenda dei precari universitari, e variamente risolta dai giudici di merito) concernente la possibilit, sostenuta da una cer~a dottrina, di richiedere al giudice ordinario provvedi PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 613 I Il Giudice Istruttore sciogliendo la riserva; rilevato che il non avere il Pretore fissato, nel provvedimento di urgenza concesso ex artt. 702, 700 c.p.c., il termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito da parte dell'istante non esclude che la controparte interessata possa in ogni momento iniziare la causa di merito, anche al fine di ottenere la caducazione del provvedimento di urgenza contro di essa pronunciato; che pertanto questo Tribunale e questo Giudice Istruttore appaiono ritualmente investiti della causa di accertamento proposta dall'Amministrazione attore, e volta a fare dichiarare il difetto di giurisdizione della A.G.O.; che a ci non osta Ja statuizione del Pretore di sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 (sospensione riferibile evidentemente al solo procedimento ex art. 700 c.p.c.), essendo menti di urgenza nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (questione destinata, ora a perdere una parte della sua importanza in seguito alla sentenza n. 190/85 della Corte costituzionale), si era auspicato (cfr. nota a Cass. 5575/79, in Rass. Avv. Stato 1979, I, 671) che la sua decisione avrebbe messo fine alle iniziative di taluni pretori, i quali avevano preteso di concedere i provvedimenti richiesti sulla base di un'asserita (ed inesistente) generalit della tutela cautelare prevista dall'art. 700 c.p.c. Questo auspicio, per la verit, non si avverato interamente, continuandosi da giudici di merito ad ignorare l'insegnamento della Cassazione, a non tenere conto, cio, del principio secondo cui un orientamento giurisprudenziale consolidato concorre a formare il diritto Yigente, al quale i giudici devono attenersi, a meno che non siano in grado di apportare argomenti tali da poter fare -in ipotesi -mutare di avviso il giudice superiore. Le ordinanze del Tribunale di Torino, qui annotate, rappresentano la dimostrazione concreta che, volendo, possibile una efficace difesa avverso i provvedimenti anomali di cui si parlato. Scartato lo strumento del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, il quale, a causa dei tempi occorrenti per farlo decidere, si risolverebbe -come stato giustamente osservato -in una sterile riaffermazione di principi gi noti, sembra che l'immediato inizio della causa di merito (nella fattispecie in esame si anche ottenuta, in considerazione del valore delle controversie, l'abbreviazione del termine di comparizione), con domanda principale volta alla declaratoria del difetto di giurisdizione dell'A.G.O. e con la contestuale domanda di revoca del provvedimento d'urgenza rivolta al giudice istruttore, possa di regola condurre in tempi brevi a correggere l'errore in cui sia incorso H giudice del procedimento cautelare. Si accennato in apertura all'interesse che presentano le ordinanze in rassegna per avere esattamente affermato il potere del Giudice Istruttore della causa di merito di revocare il provvedimento d'urgenza emesso ante causam dal pretore. La questione, come si ricorder, stata a lungo controversa. L'esistenza di un simile potere era stata da tempo autorevolmente sostenuta, con la consueta chiarezza argomentativa, da ANDRIOLI (Commentario al codice di procedura civile, Napoli 1964, IV, 274 ss.), il quale richiamava, in senso con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 614 essa priva di oggetto, in quanto concernente una causa non pm pendente davanti al Pretore poich gi definita con la concessione del richiesto provvedimento di urgenza; ritenuto inoltre che il Giudice Istruttore investito della causa di merito sia competente alla revoca del provvedimento di urgenza ex artt. 700 segg. c.p.c., verificandosi altrimenti una ingiustificata e incomprensibile disparit di trattamento rispetto al caso in cui il provvedimento di urgenza sia concesso in corso di causa; considerato che, nel caso in esame, il provvedimento di urgenza emanato dal Pretore ai sensi degli artt. 700 segg. c.p.c. verteva in tema di illegittimit di paventata esecuzione esattoriale per tributi diretti, materia quest'ultima la cui cognizione sottratta alla A.G.O., e ci anche agli effetti della pronuncia dei provvedimenti d'urgenza (Cass. Sez. Un. 11 ottobre 1978 n. 4507); che la mancanza di tutela giurisdizionale, a trario, una remota ordinanza della Corte di cassazione (28 aprile 1948, in Foro civ., 1948, 122) ed una pi recente sentenza (1 luglio 1958 n. 2343, in Foro pad. 1958, I, 1134) che, per vero, non prende realmente posizione sul punto. Il problema venuto in speciale rilievo, negli ultimi tempi, in relazione alla nota vicenda della cooperativa editoriale Il Manifesto, riguardante il pagamento dei contributi erogati dall'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta; ed in quel caso il Giudice Istruttore del Tribunale di Roma aveva ritenuto, con motivazione senz'altro da condividere (ord. 1 aprile 1983, in Foro it. 1983, I, 1098), che il provvedimento d'urgenza concesso dal pretore ben potesse essere revocato dal giudice istruttore della causa di merito, ancorch (ed anche quest'assunto, mutuato del resto da Cass. SS.UU. 5 maggio 1981 n. 27"14, in Foro it. 1981, I, 1252 appare esattissimo) sia stato nel frattempo interposto ricorso per regolamento di giurisdizione. In consapevole contrasto con questa pronuncia si era, invece, posto il Giudice Istruttore di una diversa sezione del Tribunale di Torino (ord. 14 giugno 1983, in Foro it. 1983, I, 2558), le cui ragioni, peraltro, non convincono: n nel richiamo fatto ad un orientamento della Corte di cassazione che, come si accennato, all'epoca si riduceva ad una sola e lontana ordinanza e, per il resto, ad una o due affermazioni equivoche; n nell'asserita necessit di evitare una duplicazione del provvedimento anticipatorio della decisione di merito (di cui, in realt, non si vede quali sarebbero gli inconvenienti); n, infine, nel preteso argomento logico-letterale ricavabile dall'art. 177 c.p.c., dato che questa norma, avente una portata endoprocessuale, non pu essere estesa sic et simpliciter a regolare i rapporti fra due procedimenti -cautelare e di merito -che sono tra di loro interamente autonomi (v. per tutte Cass. 27 luglio 1983 n. 5157). Ancor meno accettabili sono i brevi argomenti svolti, nello stesso senso, dal Giudice Istruttore del Tribunale di Camerino (ord. 22 dicembre 1983, in Foro it. 1984, I, 277), il quale ammette soltanto, e dubitativamente, la revocabilit per il tramite di un nuovo provvedimento di urgenza, emanato dall'istruttore ex art. 701 ultima parte, qualora siano prospettati fatti nuovi e diversi rispetto a quelli gi delibati dal pretore. All'orientamento del Tribumle di Roma ha aderito, invece, il Giudice Istruttore del Tribunale di Grosseto con ordinanza del 17 gennaio 1984 (in Foro it. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 615 tale ultimo riguardo, del contribuente (addotta talora a sostegno della opposta tesi, caldeggiante una interpretazione evolutiva ispirata all'art. 113 Cost.) non appare costituzionalmente illegittima, gi essendo stato chiarito che la tutela accordata contro gli atti della P.A. dall'art. 113 Cost. non comprende la giurisdizione a contenuto cautelare (Corte Cost. 1 apri le 1983 n. 63), s che, tra l'altro, appare manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale sollevata da parte convenuta; considerata la situazione di pregiudizio per l'Amministrazione finanziaria, stante l'elevatezza della somma, derivante dal perdurare del provvedimento pretorile, il quale, per quanto argomentato, appare viziato da difetto di giurisdizione, e valutata la conseguente opportunit di provvedere fin d'ora alla revoca del medesimo; P.Q.M. in accoglimento della domanda attorea, revoca l'ordinanza del Pretore di Alessandria in data 28 maggio 1985 confermativa di decreto 21 maggio 1985, per cui causa. 1985, I, 1685), nella quale si trova l'esatta osservazione (loc. cit., 1693) che l'in ciso nella motivazione di Cass. SS.UU. 2774/81, a cui, come si ricordato, aveva fatto richiamo il Tribunale di Roma (i provvedimenti cautelari o di urgenza sono indefettibilmente sottoposti al controllo del giudice del merito... che pu revocarli ancor prima di definire il merito della causa, e perfino, deve ritenersi, durante la sospensione del giudizio di merito a seguito di proposizione di regolamento di giurisdizione, sia in considerazione dell'autonomia del procedimento cautelare rispetto a quello di merito, sia perch, essendo il potere di revoca ugual e contrario a quello di emanazione, se, durante la quiescenza del giudizio di merito, consentito l'esercizio positivo del potere cautelare, non pu non ritenersi consentito anche l'esercizio dello stesso potere in forma negativa ), e da cui gi si ricavava con certezza l'avviso affermativo della Corte in ordine alla revocabilit dei provvedimenti pretorili da parte del Giudice Istruttore e non solo del Collegio, non pu considerarsi un mero obiter dictum, essendo tale rilievo essenziale all'economia della decisione nella misura in cui precisamente dalla mancanza di definitivit del provvedimento cautelare (sostanziantesi nella sua concreta revocabilit in qualsiasi momento della causa di merito, e non soltanto nel suo assorbimento o caducazione con la sentenza che la conclude) si fatta discendere -in linea con la costante giurisprudenza della Corte -l'inammissibilit della sua impugnazione ex art. 111 Cost. La questione, si spera, dovrebbe essere definitivamente risolta a seguito della sentenza 1782/85 della sezione lavoro, citata all'inizio di questa nota. Anche qui si trattava di giustificare la dichiarazione di inammissibilit del ricorso ex art. 111 Cost. proposto, nel caso, avverso l'ordinanza con cui il pretore aveva revocato, nel corso del procedimento di merito, il provvedimento di urgenza concesso ante causam; ed in questa decisione la Corte, dopo aver puntualmente richiamato i contrastanti orientamenti emersi nella propria giurisprudenza, ha esaurientemente motivato circa le ragioni che rendono preferibile aderire alla tesi della revocabilit dei provvedimenti di urgenza in ogni RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 616 II Il Giudice Istruttore sciogliendo la riserva; ritenuta preliminarmente la propria competenza a revocare, nel corso del giudizio di merito, il provvedimento d'urgenza emesso dal Pretore ai sensi degli artt. 700 segg. c.p.c., essendo il potere di provvedere d'urgenza immanente nel giudizio di merito (art. 701 c.p.c.) e perci anche il suo esercizio in forma negativa o di revoca di precedente provvedimento, e considerata altres l'ingiustificata disparit di trattamento che si avrebbe, in caso contrario, rispetto all'ipotesi di provvedimento d'urgenza concesso in corso di causa di merito (revocabile in tale caso senza dubbio ai sensi dell'art. 177 c.p.c.) (cfr. Cass. Sez. II, 15 dicembre 1984, n. 6579); considerato che nel caso in esame il provvedimento pretorile verte in tema di illegittimit di paventata esecuzione esattoriale per tributi diretti, materia questa la cui cognizione palesamente sottratta alla A.G.O. in quanto di competenza delle Comm. tributarie; ritenuto che lo stesso principio vale anche per la pronuncia dei provvedimenti d'urgenza, che parimenti presuppongono la giurisdizione della autorit giudiziaria investita (v. tra altre Cass. Sez. Un. 11 ottobre 1978 n. 4507), mentre gli scrupoli di illegittimit costituzionale posti a base del diverso orientamento non paiono giustificati, posto che (Corte Cost. 1 aprile 1982 n. 63) Ja tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. costituzionalmente garantita non comprende anche l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali cautelari; stato della causa di merito, e quindi anche da parte del giudice istruttore, in quanto pi coerente con l'intrinseco carattere strumentale e ordinatorio dei provvedimenti in parola. Siffatti chiarimenti, pi che mai opportuni visto il contrasto delineatosi negli ultimi anni fra i giudici di merito (favorito, peraltro, dall'occasionalit delle precedenti sporadiche asserzioni della stessa S.C.), sono da un lato pienamente congrui con la rammentata giurisprudenza, ormai consolidata, circa la non ricorribilit per cassazione dei provvedimenti emessi ex art. 700 c.p.c., e d'altro lato riconoscono finalmente alle parti il diritto di ottenere il riesame dei medesimi in qualsiasi momento della causa di merito, la cui durata potrebbe, altrimenti, recare grave pregiudizio al soggetto passivo di un provvedimento cautelare erroneamente concesso o, addirittura, a contenuto anomalo. Le ordinanze in rassegna, sebbene (appunto per avere tenuto conto dell'at tuale orientamento della Cassazione, segnalato dall'Avvocatura nell'istanza di revoca) non hanno diffusamente motivato sul punto, limitandosi a cogliere in poche righe il nucleo dell'inconveniente -assai grave -cui conduceva l'op posta tesi, rappresentano comunque umi significativa applicazione del principio ormai chiaramente enunciato dalla Corte; e segnano, come si detto sopra, una via attraverso la quale dovrebbe porsi rimedio, in tempi ragionevolmente brevi, agli errori di diritto che commettono alcuni giudici concedendo prov vedimenti di. urgenza non previsti dall'ordinamento. MASSIMILIANO STEIN PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE considerata la situazione di pregiudizio derivante alla Amministrazione delle finanze, per la cospicuit della somma, dal perdurare del provvedimento pretorile ex art. 700 c.p.c., il quale, per quanto argomentato, appare viziato da difetto di giurisdizione, e valutata la conseguente opportunit di provvedere, in accoglimento dell'istanza attorea, alla revoca di esso; P.Q.M. revoca l'ordinanza del Pretore di Alessandria 28 maggio 1985 confermativa di decreto 17 maggio 1985 pronunciati nei confronti della Esat. Com. di Alessandria su ricorso della s.p.a. D.E.P.S. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 25 maggio 1985, n. 16 -Pres. Pescatore, Est. Trotta -Roncat ed altro (avv. Ramadori e Lanzinger) c. Ministero della Difesa (Avv. Gen. Stato). Forze Armate -Servizio militare -Obiezione cli coscienza Natura giuri dica . Ammissione ad un beneficio e non automatico riconoscimento di un diritto. Servizio militare . Obiezione di coscienza Procedime11fo per I'ammissionP. al beneficio -Domanda -Onere di llustrazione dei motivi a carico dell'obiettore Non sussiste. Tra le due opposte concezioni del riconoscimento dell'obiezione di coscienza (come ammissione ad un beneficio ovvero come automatico riconoscimento di un diritto individuale) il legislatore ha scelto la prima alternativa, adottando, per scoraggiare i falsi obiettori, un sistema doppiamente selettivo basato da un lato sulla maggior durata del servizio militare non armato o del servizio civile sostitutivo, e dall'altro su di una autonoma commissione incaricata di formulare, previa un'istruttoria, un parere sulla consistenza della domanda (1). L'aspirante al beneficio del riconoscimento dell'obiezione di coscienza ha soltanto l'onere di compilare l'atto introduttivo del procedimento recante, tra l'altro, l'indicazione dei motivi che sono alla base della domanda, senza necessit di fornire la prova della profondit dei propri convincimenti, spettando all'apposita commissione il compito di raccogliere e valutare tutti gli elementi atti a verificare l'attendibilit dei motivi addotti. Pertanto illegittimo il provvedimento di diniego adottato dalla P.A. basato sulla mancata allegazione di elementi probatori da parte' del richiedente (2). (1-2) L'obiezione di coscienza ed i poteri della commissione di cui alla legge 772/72: un problema irrisolto. Con la legge 15 dicembre 1972, n. 772 l'obiezione di coscienza ha trovato cittadinanza nell'ordinamento giuridico italiano, con il risultato di sanare tutte le potenziali situazioni di contrasto fra singoli individui ed obblighi di natura pubblica, che avevano la loro fonte in convincimenti ideologici in s rispettabilissimi e che portavano inevitabilmente a conseguenze di carattere penale. La disciplina che stata dettata risente tuttavia della difficolt di regolare il rapporto fra l'esigenza del sacro dovere di difesa della Patria imposto dalla Costituzione, da un lato, e dall'altro il rispetto della libert PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 619 (Omissis). Il signor Renzo Roncat, con istanza 22 dicembre 1980, chiedeva al Ministero della Difesa il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. Il predetto Dicastero, sentito il parere della Commissione di cui agli artt. 3 e 4 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, respingeva la domanda con decreto 1 marzo 1983 n. 915 recante la seguente motivazione: Il giovane che si genericamente richiamato ad imprescindibili motivi di coscienza, non ha fornito alcun elemento che consenta di ascrivere la sua obiezione a profondi motivi di ordine etico, o filosofico o religioso. D'altra parte il comportamento del Roncat manifestamente in contrasto con i principi morali che il legislatore ha inteso considerare come fondamento dell'obiezione di coscienza . Con una motivazione sostanzialmente analoga lo stesso Ministero respingeva con decreto 22 aprile 1983, n. 1015, la domanda del sig. Luciano Daini, nei confronti del quale la seconda proposizione della motivazione veniva formulata nei seguenti termini: D'altra parte, il comportamento del Daini, che ha un precedente penale per danneggiamento, manifestamente .in contrasto con i principi morali che il legislatore ha inteso considerare come fondamento dell'obiezione di coscienza . di coscienza individuale, del pari sancito dalla Costituzione. Si trattava c10e di stabilire entro quali limiti sia consentito ad un cittadino sottrarsi al servizio militare obbligatorio e, una volta stabiliti questi limiti, di creare gli strumenti mediante i quali la Pubblica Amministrazione possa regolarsi di fronte a coloro che chiedano di sottrarvisi. La legge n. 772 ha individuato quei limiti nena necessit che la volont di non prestare servizio di leva sia dettata da imprescindibili motivi di coscienza, attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto. La ratio della legge si caratterizza dunque nella preoccupazione che le intime convinzioni dell'individuo non vengano compresse dall'imposizione di obblighi di natura pubblica, come appunto la prestazione di servizio militare armato. D'altra parte era necessario assicurare che l'interesse dello Stato all'organizzazione della propria difesa armata venisse, in linea generale, soddisfatto. La dialettica fra questi due interessi, entrambi costituzionalmente garantiti, ha fatto s che l'intera legge venisse investita da dubbi di costituzionalit; dubbi che la Corte Costituzionale ha dissipato (sent. n. 164 del 24 maggio 1985) affermando che la prestazione di servizio civile o di servizio militare non armato in luogo di quello armato non si traduce in una deroga al dovere di difesa della patria, ma rappresenta semplicemente un modo di adempiere a quel dovere sotto diversa forma. Il discorso si complica quando si passa a delimitare i mezzi che l'Ammi nistrazione ha per riconoscere i casi in cui ricorrano i presupposti per conce dere l'esenzione dal servizio militare armato, e, pi specificamente, le funzioni ed i poteri della commissione istituita dalla legge n. 772. intorno a questo problema che si dibattono la maggior parte delle controversie giurisdizionali aventi ad oggetto l'impugnazione di provvedimenti di diniego del riconosci mento dell'obiezione di coscienza; ed in merito al medesimo problema che il Consiglio di Stato, prima a sezione semplice e poi in Adunanza Plenaria, stato chiamato a pronunciarsi. 8 620 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Avverso i predetti decreti del Ministero della Difesa, i signori Roncat e Daini proponevano distinti ricorsi al Consiglio di Stato con i quali gli interessati deducevano tre ordini di censure sostanzialmente identici: 1) assoluta carenza di motivazione e contraddittoriet del provvedimento. Contrariamente a quanto affermato nella prima parte della motivazione dei decreti ministeriali, le richieste dei ricorrenti contenevano una dettagliata argomentazione delle ragioni della loro obieziJ genere (chP. non possono avere carattere normativo e possono essere emanati entro i limiti indicati nella cit. sent. n. 8/1956) invadano campi ove si esercitano i diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione agginge che in tale evenienza spetta al giudice competente di accertare se nei singoli casi sussista la violazione di quei diritti (in tal senso anche Cons. Stato, Sez. IV, dee. 486/1976 sopra cit.). PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 645 Limiti tra i quali, per quanto rilevato in precedenza, non pu farsi rientrare l'asserita intangibilit del diritto di sciopero, atteso che, come riscontrato, tale diritto presenta, anche esso, limiti coessenziali in relazione ai quali consentito l'intervento compressivo dell'autorit amministrativa. L'indagine, peraltro, relativa alla individuazione dei limiti del potere di ordinanza del Prefetto va svolta confrontando in astratto la situazione enunciata dalle parti e la previsione legislativa quale risulta, particolarmente, dalla !interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale. E solo qualora dovesse ritenersi, in esito al confronto anzidetto, che siano stati violati i limiti posti dall'ordinamento all'attribuzione del potere in esame, potrebbe conseguire la conferma della declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario atteso che, in tale ipotesi, l'atto emanato, in quanto adottato nella assoluta carenza di potere amministrativo, dovrebbe considerarsi non idoneo a produrre l'effetto di affievolimento dell'originaria posizione di diritto soggettivo. Qualora, viceversa, si dovesse concludere che l'autorit amministrativa ha operato nell'ambito del potere ad essa attribuito dall'ordinamento e nei limiti stabiliti per l'esistenza del potere stesso, allora la competenza apparterrebbe al giudice amministrativo, al quale spetterebbe la successiva, ulteriore verifica circa le modalit dell'esercizio in concreto del potere stesso in relazione alla regolamentazione legislativa che lo concerne. Si impone, pertanto, di delimitare resatta portata della previsione legislativa di cui all'art. 2 t.u. n. 773/1931 menzionato, quale risulta a seguito della interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale. Il problema non nuovo. Ricorda, in proposito, la Sezione che, con una prima sentenza del 2 luglio 1956, n. 8, la Corte anzidetta aveva ad affermare che i provvedimenti in questione hanno il carattere di atti amministrativi, adottati dal prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati La stessa Corte ha inoltre riconosciuto la legittimit dell'art. 20 t.u.c. e p. n. 383 del 3 marzo 1934 che attribuisce al Prefetto di emettere ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia di edilizia, polizia locale ed igiene, per motivi di sanit o sicurezza pubblica, ammettendo che dall'esercizio del potere medesimo possano derivare limitazioni al diritto di sciopero (Corte Cost., 12 gennaio 1977, n. 4, in Foro it., 1977, I, 276 e ss.). Non pertinente il richiamo della sentenza 6 luglio 1974, n. 1978, delle sezioni unite della Corte di Cassazione (Foro it., 1974, I, 3072 e ss.), in quanto tale sentenza si riferisce ad una fattispecie del tutto particolare concernente la costituzione di un consorzio di polizia rurale, con imposizione di tributo a carico dei proprietari dei terreni del luogo, senza limitazioni di tempo, onde la Corte ha ritenuto di poter configurare una ipotesi di carenza assoluta del potere per violazione del limite esterno del medesimo derivante dalle norme costituzionali (vedasi sull'argomento Luoo, In tema di competenza giudicare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 646 nel tempo e nell'ambito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti dell'ordinamento. Tali provvedimenti, inoltre, possono toccare tutti i campi nei quali si esercitano i diritti dei cittadini, anche se garantiti dalla Costituzione; ed il giudicare se l'ordinanza prefettizia leda tali diritti indagine di volta in volta da farsi dal giudice ordinario o amministrativo che sia eventualmente competente. La Corte, infine, auspicava che, nell'opera di revisione, in corso presso gli organi legislativi, il testo dell'art. 2 anzidetto trovasse una formulazione che lo ponesse, nella misura massima possibile, al riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della Costituzione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza del 27 maggio 1961, n. 26, ritornando sull'argomento, chiariva ed ulteriormente precisava che le ordinanze del prefetto non possono violare i principi dell'ordinamento ed escludeva, rettificando la precedente affermazione, che le medesime potessero menomare l'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione. Secondo la Corte, ancora, l'art. 2 del t.u. n. 773/1931 conferisce al prefetto poteri che non possono in nessun modo considerarsi di carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti. Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finch si mantengono nei limiti posti dall'ordinamento, non possono mai essere tali da invadere il campo riservato alla attivit degli organi legislativi, n a quella di altri organi costituzionali dello Stato. Secondo la Corte, poi, i provvedimenti in questione non possono mai contrastare con i principi fondamentali dell'ordinamento, dovunque tali principi siano espressi e comunque essi risultino; e precisamente non possano essere in contrasto con quei precetti della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardine dell'ordinamento, non consentono alcuna possibilit di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria. della legittimit dell'ordinanza prefettizia di precettazione, in Giust. civ., 1983, I, 2210 e ss.). Nella fattispecie in considerazione, per contro (come pure riconosce l'A. cit. nella cit. nota alla stessa sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio impugnata dalle predette Amministrazioni) si trattava di un provvedimento di carattere del tutto provvisorio adottato in relazione ad una situazione egualmente provvisoria ed eccezionale ed il provvedimento medesimo non dettava alcuna regolamentazione del diritto di sciopero invadendo funzioni di competenza del legislatore, ma si limitava a dare particolari disposizioni per attenuare il danno derivante dallo sciopero nel senso di contenerne le conseguenze entro limiti compatibili con preminenti esigenze di pubblico interesse inerenti alla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico. Onde appare evidente che il controllo della legittimit delle ordinanze impugnate rientri nella competenza del giudice amministrativo. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 647 La Corte precisava, infine, che nei casi in cui la Costituzione stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una determinata materia, non pu concepirsi che nella materia stessa l'art. 2 permetta la emanazione d atti che dispongano in difformit della legge pre.vista dalla Costituzione. Laddove, invece, la riserva di legge sia relativa nulla vieta che, nella materia, una disposizione di legge ordinaria conferisca al prefetto il potere di emettere ordinanze di necessit ed urgenza, ma occorre che le stesse risultino adeguate ai limiti posti all'esercizio del potere conferito. Delimitato in questi sensi -da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi -il potere di intervento del Prefetto, di cui all'art. 2 del t.u. n. 773 del 1931, il Collegio ritiene che non vi stata, nel caso di specie, alcuna esorbitanza dai limiti medesimi, per cui da escludere che possa ipotizzarsi la dedotta assoluta carenza del potere amministrativo. In primo luogo, va sottolineato che non stata adottata alcuna disciplina astratta del diritto di sciopero, e non vi stata, quindi, alcuna interferenza nel potere legislativo dal momento che ci si limitati in concreto ad ordinare ad alcuni dipendenti di assicurare la pro secuzione del servizio, la cui perdurante int~rruzione implicava gravi ripercussioni per l'ordine e la sicurezza pubblica. Circostanza, quest'ultima, la quale implicava, altres, che l'intervento doveva ritenersi consentito, (anche tenuto conto che si interferiva con il diritto di sciopero) in quanto la limitazione non incideva sul contenuto del diritto stesso quale tutelato dalla Costituzione, bens riguardava profili afferenti la identificazione del diritto, n relazione ai suoi limiti coessenziali , e con riferimento ad un interesse (sicurezza ed ordine pubblico) rispetto al quale l'interesse all'autodisciplina di categoria doveva considerarsi cedevole. La precettazione, infine, aveva il carattere della provvisoriet, essendo strettamente correlata alla situazione di emergenza che l'aveva provo- Non conferente (ai fini della dimostrazione tlell'asserta carenza di potere) il richiamo.. contenuto nella motivazione della sentenza impugnata in ordine all'art. 4 della legge 23 maggio 1980, n. 242. Che anzi questa disposizione costituisce una ulteriore conferma della limitazione del diritto di sciopero del personale addetto ai servizi di controllo del traffico aereo ed assistenza al volo ed contenuta in una norma che aveva una efficacia immediatamente precettiva (nel senso che norme del genere possano essere inserite, come frequentemente accade, in leggi di delega, CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Il, 1, Padova 1975, pag. 78); peraltro, la delega disposta con la cit. legge si riferiva alla emanazione di norme per l'ordinamento dell'Azienda di Stato per l'assistenza al volo ed il traffico aereo e queste norme sono state emanate entro il termine previsto dalla legge medesima che non era affatto scaduto alla data di emanazione delle ordinanze prefettizie dalle quali trae argomento il presente giudizio. EMILIO SERNICOLA RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 648 cata; ed il provvedimento adottato osservava i limiti spaziali di operativit correlati all'autorit che l'aveva emanato. Nessun particolare principio dell'ordinamento stato violato; ch, anzi, la misura straordinaria veniva adottata, sia pure sacrificando il diritto di sciopero per alcuni dipendenti, proprio allo scopo di assicurare la salvaguardia dei valori fondamentali (ordine e sicurezza generale ed individuale) dell'ordinamento medesimo. Per quanto qui rileva, pertanto, si deve ritenere che il provvedimento del Prefetto, adottato a norma dell'art. 2 t.u. n. 773 del 1931, era adeguato alla situazione eccezionale che si intendeva fronteggiare e rispetto ad esso non era configurabile alcuna mancanza di presupposti che potessero implicare assoluta carenza di potere amministrativo. Sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo e gli atti vanno rimessi al T.A.R., cui competer verificare se il potere stesso stato, in concreto, esercitato legittimamente, in relazione alle censure svolte dalle parti, od anche alla asserita incompetenza (relativa) del Prefetto. (omissis). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 774 -Pres. Scanzano Est. Rossi -P. M. Sgroi (conf.) -Marinelli c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Corti). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello -Presentazione del ricorso -Irregolare notifica -Effetti. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25) . . Il termine per la proposizione dell'appello osservato con la presentazione del ricorso in segreteria s che la irregolarit della successiva notifica, che adempimento della segreteria, non pu tornare a danno dell'appellante; e poich la notifica ha soltanto lo scopo di assicurare il contraddittorio, l'irregolarit della notificazione sanata ex tunc dal concreto esercizio del diritto di difesa (1). (omissis) Con i primi due motivi, strettamente collegati, il Marinelli sostiene che la Commissione tributaria centrale avrebbe dovuto rilevare la nullit della notifica dell'atto di appello, proposto dall'Ufficio innanzi alla Commissione tributaria di 2 gra,do, in quanto eseguita a mani del proprio fratello non convivente e non facente parte del suo nucleo familiare, sicch egli non aveva avuto che tardiva conoscenza dell'atto; e avrebbe dovuto ritenere avvenuto il passaggio in giudicato della deci sione appellata, non impedito dalla sua costituzione in giudizio effettuata in data successiva al termine per la proposizione del gravame, e non osta tiva quindi alla declaratoria di inammisibilit dell'appello. Il ricorrente addebita pertanto alla Commissione centrale di aver cos violato e falsamente applicato gli artt. 24, 139 e 170 cod. proc. civ., con riferimento all'art. 360 nn. 3 e 4; e di aver anzi completamente omesso ogni esame delle proprie relative deduzioni, svolte anche con il corredo di specifica documentazione sulla residenza propria e quella diversa del fratello (art. 360, n. 5). L'assunto non fondato, data la insussistenza dei vizi dedotti. L'appello dell'Ufficio stato proposto entro il termine stabilito e ci valso ad impedire il passaggio in giudicato della decisione della Com missione tributaria di 1 grado. (1) Massima di evidente esattezza. 650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ed invero il termine di cui all'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, si intende osservato con il deposito del ricorso presso la segreteria della Commissione di secondo grado, mentre la notificazione alla controparte (che un adempimento della detta segreteria, i cui eventuali ritardi non possono tornare a danno di colui che ha proposto l'impugnazione) ha la funzione di assicurare il contraddittorio. Nella specie peraltro la .dedotta nullit della notificazione dell'atto di impugnazione non sussiste, data la ricezione dell'atto stesso senza riserve, nell'abitazione del notificando, da parte di un familiare (ancorch residente altrove, v. Cass., 19 gennaio 1979, n.. 397), la cui presenza ivi non risulta essere stata puramente occasionale; e sarebbe comunque sanata, ex tunc, dall'avvenuto concreto esercizio del diritto di difesa nel processo cui la notificazione si riferiva. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 778 Pres. Scanzano . Est. Sgroi P. M. Zema (diff.) Consorzio Garanzia fidi provincia di Udine (avv. Fermanelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Tributi erariali diretti Imposta sul reddito delle persone giuridiche Enti commerciali e non Consorzio di garanzia fidi senza fine di lucro Non ente commerciale. (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 2 e 20; cod. civ., art. 2195). Se di norma il fine di lucro indifferente per la definizione del reddito di impresa quale risulta definito nell'art. 51 del d.P.R. n. 597/1973, tuttavia in deroga alla norma generale l'art. 20 del d.P.R. n. 598/1973 (nel testo integrato con l'art. 2 del d.P.R. 954/1982) non considera attivit di impresa la prestazione alle imprese consorziate o socie di garanzie mutualistiche da parte di consorzi o cooperative non aventi fine di lucro (1). (omissis) Con l'unico motivo, il consorzio deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, dell'art. 51 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e dell'art. 2195 cod. (1) Conformi alle altre due sentenze in pari data n. 779 e 780. ) La questione specifica risolta dalla legge sopravvenuta. tuttavia impori tante la motivazione che enuncia una regola generale di cui il caso di specie I una eccezione. I I ..........,_.,-1 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA civ. in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ, lamentando che la decisione impugnata si sia limitata a constatare che l'attivit del Consorzio di prestazione di garanzia pu farsi rientrare fra le attivit ausiliarie di cui all'art. 2195 cod. civ. e che pertanto essa costituisce, ai sensi dell'art. 51 d.P.R. n. 597 del 1973, esercizio oggettivo di impresa commerciale, con conseguente assoggettamento all'IRPEG ed all'ILOR. Secondo il ricorrente, la Commissione Centrale non ha posto mente al presupposto del suddetto assoggettamento, costituito dalla produzione di un reddito , per cui soggetto all'IRPEG pu essere soltanto un Consorzio che svolga una attivit capace di produrre un reddito e non un consorzio che, per statuto, non svolge una consimile attivit N vale obiettare, secondo il ricorrente, che il Consorzio percepisce gli interessi sui depositi presso le banche, in quanto quegli interessi non solo non sono profitti di un'attivit, ma sono esclusi dalla base imponibile dall'art. 3 del d.P.R. n. 598, essendo soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. Il motivo fondato, in relazione all'ultima argomentazione. Poich, infatti, risulta che l'imposta pretesa dall'Amministrazione quella avente come base imponibile gli interessi che le Banche convenzionate col Consorzio gli corrispondono, sul deposito del Fondo rischi, si deve stabilire se tali interessi sono tassabili a titolo d'imposta o d'acconto. Invero, nel primo caso, essi sono esclusi dalla base imponibile dall'IRPEG, ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; e non costituiscono reddito soggetto all'ILOR, ai sensi dell'art. 1, lett. c) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599. Ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo fissato dall'art. 3 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, nei confronti dei soggetti all'IRPEG (quali sono indubbiamente i Consorzi-Fidi, perch essi rientrano fra i soggetti passivi elencati nell'art. 2 del d.P.R. n. 598, e l'unico problema quello di stabilire se si tratta di enti compresi nella lettera b) ovvero nella lettera c) del predetto art. 2) le ritenute relative alle somme di cui al secondo comma dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 (e cio sugli interessi pagati dalle aziende di credito ai depositanti e correntisti) sono applicate a titolo di acconto se dette somme sono corrisposte alle societ ed agli enti indicati alle lettere a) e b) dell'art. 2 del d.P.R. n. 598; mentre, nei confronti dei soggetti esenti dall'IRPEG ed in ogni altro caso le ritenute sono applicate a titolo d'imposta. Si tratta, dunque, di stabilire se il Consorzio ricorrente (non compreso nella lettera a) del citato art. 2 in quanto non costituito in forma di societ cooperativa) possa ritenersi compreso nella lettera b) e cio fra gli altri enti aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di 652 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attivit commerciale, compresi i consorzi, le associazioni non riconosciute nonch le altre organizzazioni senza personaHt giuridica. A tale quesito la Commissione centrale ha dato risposta positiva, ma non ha (ovviamente, in relazione all'epoca della decisione) tenuto presente il disposto dell'art. 2 del d.P.R. 28 dicembre 1982, n. 954 che, sostituendo con l'art. 2 l'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973, al terzo comma dispone: non sono invece considerate attivit commerciali: la prestazione alle imprese consorziate o socie, da parte di consorzi o cooperative non aventi fini di lucro, di garanzie mutualistiche. Tale disposizione (che, in base all'art. 9 del d.P.R. n. 954 del 1982 ha effetto dal, 1 gennaio 1974) rilevante, in quanto l'identificazione dell'attivit non commerciale farebbe rientrare il Consorzio ricorrente nella lett. e) dell'art. 2 del d.P.R. n. 598. Si tratta di una disposizione che apporta un'espressa deroga alla nozione di impresa commerciale delineata dall'art. 51 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. Invero, a tenore di quest'ultima norma, che -quella che la Commissione Tributaria ha applicato, l'esercizio di imprese commerciali, ai fini fiscali, si ha nel caso di attivit commerciali di cui all'art. 2195 anche se non organizzate in forma di impresa e nel caso di attivit di prestazione di servizi a terzi non rientranti nell'art. 2195 cod. civ., ma organizzate in forma di impresa, s che si deve ritenere -come ha esattamente ricordato, la Commissione centrale -che la finalit di lucro sia indifferente, nell'ambito della definizione del reddito di impresa commerciale. Invece, la disposizione del 1982 d un rilievo all'inesistenza del fine di lucro e considera non commerciali le attivit di un certo tipo esercitate da cooperative e consorzi, e cio da organizzazioni che, in .linea di principio, possono svolgere attivit commerciale, nel senso di cui all'art. 51 del d.P.R. n. 597. Pertanto, non ha rilievo decisivo il richiamo (fatto dalla difesa dell'Amministrazione) ad un precedente di questa Corte (sentenza 17 maggio 1984, n. 3053) che ha ritenuto che esattamente il giudice tributario aveva stabilito che un Consorzio-Fidi svolgesse attivit commerciale, in presenza di uno statuto in forza del quale quel Consorzio svolgeva una attivit complessa, costituita dall'allestimento di garanzie collettive, consistenti sia nella prestazione di fideiussioni in favore degli istituti di credito, che il Consorzio concede raccogliendo e convogliando e cio organizzando le adesioni di tutti gli imprenditori associati; sia nella gestione e finalizzazione del fondo rischi, sul quale le ~ziende di credito possono immediatamente e direttamente soddisfarsi. Nella materia in esame, invero, la decisione circa la natura del consorzio strettamente dipendente dalle previsioni dello statuto dei singoli enti e dell'effettiva attivit svolta da ciascuno di essi. --I wtifi=t=1t:i:r1~1t1111;&11=1rilllli%1tur1&1111~rtlfriniri1i!fllrr1=itili_;~_ji_.r_~~r.~} 1 1 __;r_r_r_r_;r_;;_;;r_:;r_;~.-~rtrr11::1.r-_;~rr ' -....:'.:-:-:-:-:-:.:-:-:--:;-:-'.-..-.-.............-.........:-:--:-:-:-.-. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 653 Orbene, nel caso della presente controversia la Commissione centrale ha descritto tale attivit limitandola, alla prestazione diretta di fi. deiussione, da parte del Consorzio, a favore delle Banche creditrici dei singoli associati; fideiussione garantita a sua volta con un fondo appartenente al Consorzio, alimentato dal denaro proveniente da terzi, dagli associati e dallo stesso Consorzio, come innanzi si detto. La Commissione centrale ha poi ritenuto l'esistenza di una struttura mutualistica (e quindi imprenditoriale); ed ha ritenuto infine che la mancanza di fine di lucro nello statuto fosse fiscalmente indifferente, stante l'irrilevanza dell'esistenza o meno del fine di lucro per la defini zione dell'attivit commerciale sotto il profilo tributario, quando l'at tivit stessa oggettivamente commerciale (nella specie, qualificata come attivit ausiliaria ex art. 2195 n. 5 cod. civ.). Tutti i suddetti accertamenti (che portavano alla conclusione adot tata dalla Commisione centrale, alla stregua della legislazione allora vigente) devono essere rivisti alla luce della norma del 1982 che, con effetto dal 1974, esclude d'imperio la qualificazione commerciale per l'attivit di garanzia mutualistica prestata alle imprese consorziate o socie da parte di consorzi o cooperative non aventi fine di lucro. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 786 Pres. Falcone . Est. Zappulli -P. M. Paolucci (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Mari) c. Nicolini. Tributi erariali indiretti Imposta di registro Consolidazione di usufrutto Costituzione in epoca anteriore alla riforma e riunione in epoca successiva E' dovuta l'imposta di consolidazione secondo le norme abrogate. (R.d. 30 dicembre 1923, 11. 3269, art. 20 e 21; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 77). Poich nell'abrogata legge di registro l'imposta sulla consolidazione dell'usufrutto era considerata una ritardata esazione (complementare) dell'unica imposta sull'unico negozio di costituzione dell'usufrutto, ancora oggi la consolidazione deve essere assoggettata all'imposta secondo le norme vigenti al tempo della separazione dell'usufrutto e della nuda propriet (1). (1) Decisione da condividere che conferma Cass., 23 novembre 1984, n. 6071, in questa Rassegna, 1985, I, 175). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 654 (Omissis). L'Amministrazione finanziaria, con l'unico motivo del ricorso, ha censurato la sentenza impugnata per violazione degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, dell'art. 21 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 e degli artt. 77 e 80 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, per avere la Commissione tributaria centrale omesso di considerare che nella successione delle leggi tributarie quella precedente mantiene i suoi effetti sui rapporti non esauriti allorch in base ad essa una delle parti (finanza o contribuenti) abbia gi definitivamente acquisito un diritto soggettivo. Quest'ultimo, secondo la ricorrente, nel caso d'atti anteriori alla suddetta legge del 1972 e traslativi della sola nuda propriet, previsti e regolati dagli artt. 20 e 21 della citata legge del registro del 1923, era sorto con l'atto stesso a favore dell'amministrazione anche per la quota dell'imposta relativa all'usufrutto, pur se l'accertamento e la riscossione potevano aver luogo solo con la successiva consolidazione. Ha sostenuto la ricorrente che il secondo comma dell'art. 77 della nuova legge n. 634 del 1972, -nello statuire che i rapporti tributari derivanti da atti formati anteriormente alla stessa sono regolati dalle disposizioni anteriori purch alla sua entrata in vigore non sia ancora scaduto il termine per la registrazione, -si era riferito, attraverso la contrapposizione tra formazione e registrazione degli atti, a quelli non ancora registrati, distinguendo secondo che il termine per quell'adempimento fiscale fosse gi scaduto o no al 1 gennaio 1973. Il ricorso fondato. Va previamente riconosciuto che il quesito posto nell'attuale controversia , come precisato nella decisione impugnata, se, in presenza delle norme transitorie degli art. 77 e 80 del d.P.R. n. 634 del 1972, possa ancora applicarsi, per gli atti traslativi della sola nuda propriet anteriori alla sua entrata in vigore e registrati in precedenza, l'art. 21 della legge di registro del 1923 relativo alla consolidazione. Per tale quesito non pu, per, condividersi la soluzione negativa accolta nella decisione impugnata, e ci in base al principio fondamentale e generale che quella del registro imposta d'atto, riferendosi esclusivamente al medesimo. A corollario di tale principio, nella specifica materia della separata regolamentazione negoziale della propriet e dell'usufrutto e della loro successiva riunione, gi questa corte regolatrice ha affermato che, a norma dell'art. 21 della precedente legge organica di registro, l'acquirente a titolo oneroso della nuda propriet tenuto subito al pagamento della imposta sul prezzo o corrispettivo dichiarato nell'atto e, poi, al momento di quella riunione, al pagamento della residua imposta sulla differenza tra esso e il valore della piena propriet al momento della consolidazione, onde questa successiva tassazione, lungi dall'essere una nuova imposta principale, ha natura complementare della prima, ed determinata dalle PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA norme che erano in vigore al tempo del . trasferimento della nuda propriet (Sez. Un. 2 marzo 1964 n. 424 in motivazione). stato precisato nella stessa sentenza che quel passaggio della nuda propriet fa sorgere immediatamente l'obbligo del pagamento dell'imposta di registro su tutto il valore della propriet piena, ma, poich sotto il profilo economico il trasferimento si attua in due tempi, pure in due tempi ripartita la riscossione dell'imposta: il valore della nuda propriet assunto solo come imponibile provvisorio in attesa di stabilire quello globale definitivo al momento della consolidazione, quarido, essendo venuto meno l'usufrutto, si siano interamente verificati i presupposti economici per l'applicazione totale dell'imposta. Recentemente stato riaffermato che, ai sensi dell'art. 20 della legge del 1923, l'esazione della parte dell'imposta sul valore dell'usufrutto da riunire alla nuda propriet rimandata ad un momento successivo, e cio a quello della cessazione dell'usufrutto, costituendo l'imposta di consolidazione il residuo di quella dovuta per il trasferimento della nuda propriet (Cass., 25 maggio 1979, n: 3031). Anche in dottrina, pur con notevole contrasto, stata prevalentemente affermata, nell'applicazione della legge del 1923, !'.unit dell'imposizione con mera divisione in due tempi della riscossione, compreso il rispettivo accertamento. sufficiente osservare, secondo questo indirizzo giurisprudenziale prevalente, che nel trasferimento della nuda propriet stato ravvisato un necessariamente connesso trasferimento di quella ntera, con rinvio temporale per la parte relativa all'usufrutto e con coerente riconoscimento di un'unica obbligazione tributaria commisurata al valore dell'intera propriet, dividendosene in due tempi l'accertamento e la conseguente riscossione dell'imposta. Una volta ritenuta tale unitariet dell'imposizione, secondo la citata legge, del 1923 in conformit alla natura di imposta d'atto di quella del registro non appare che l'entrata in vigore del d.P.R. n. 634 del 1972, ispirato a differenti principi per quanto concerne i trasferimenti a persone diverse delle propriet e dell'usufrutto con nuova disciplina (artt. 41 e 45), abbia sottratto al pagamento dell'imposta dovuta per le consolidazioni coloro che abbiano ante11iormente acquisito la nuda propriet, valutata secondo un criterio diverso in considerazione del rinviato pagamento dell'imposta relativa all'usufrutto. pur vero, infatti, che la norma transitoria del 2 comma dell'art. 77 della nuova legge cli registro ha statuito che i rapporti tributari derivanti da atti formati prima dell'entrata in vigore del presente decreto sono regolati dalle disposizioni anteriori, purch il termine stabilito per la richiesta di registrazione non sia ancora scaduto a tale data, mentre l'atto in questione era stato registrato anteriormente. Ma questo condiziona 656 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento alla mancata registrazione per la sottoposizione alla vecchia disciplina per i rapporti tributari sorti anteriormente non pu trovare applicazione, a causa della riaffermata unitariet dell'imposizione, se non per quei rapporti tributari che, pur derivando da rapporti anteriori, hanno una propria autonomia. Invece la stessa esclusa per quelli relativi alle citate separazioni dello usufrutto per il rilevato fatto che la cosiddetta imposta di consolidazione non costituisce altro se non una parte di quella dovuta per il trasferimento dell'unico bene con differimento nel tempo dell'accertamento e del relativo pagamento per la successiva e connessa riunione. N vale, al riguardo, il richiamo del resistente alla possibilit di cessazione dell'usufrutto senza consolidazione considerata nella dottrina, (come nel caso di crollo dell'edificio formante oggetto di quel separato trasferimento). In tale ipotesi, come in .altre analoghe, infatti, l'obbligo tributario viene meno per la parte soggetta a dilazione in virt di un fatto es~intivo sopravvenuto con effetto ex nunc, senza che sia esclusa l'unitariet sussistente fino al suo verificarsi. Per la stessa unitariet ininfluente il richiamo della resistente al terzo comma del citato art. 77 relativo agli atti sottoposti a condizione sospensiva perch l'obbligazione tributaria gi sorta con l'atto traslativo anche per la parte soggetta a futura consolidazione. Per il loro carattere eccezionale non possono, infine, fornire elementi contrari alla rilevata unitariet di disciplina i successivi commi del medesimo art. 77. Resta, infine, da considerare, a conferma di essa e della esclusione dei citati rapporti tributari, che sarebbe illogico e contrario ai principi del nostro ordinamento in tal materia, nonch di dubbia legittimit costitu~ zionale, sottoporre a regime impositivo non coordinato e rispondente a diversi sistemi, il trasferimento di un bene per una parte (la nuda propriet) con applicazione dell'imposta proporzionale vigente all'epoca di esso e per l'altra (l'usufrutto riunito) alla sola imposta fissa, e ci senza alcuna ragione di tale favore per il soggetto obbligato. La decisione impugnata deve, perci, essere cassata con rinvio della controversia alla Commissione tributaria centrale, la quale si atterr al principio in virt del quale, a causa della unitariet della imposizione, nel caso di trasferimento di nuda propriet anteriore all'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, con consolidazione posteriore, quest'ultb:na soggetta al regime tributario posto dal r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269. Per la sua soccombenza il resistente Nicolini va condannato al pagamento delle spese a favore del Ministero ricorrente, mentre nei confronti dei Dallamano, in seguito alla loro acquiescenza alle richieste dell'Amministrazione finanziaria indicata nella memoria della stessa, si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese. (Omissis). j -- I !! I :15~;7t~:1;,:~t:t~~:1::~::~=~~~~::=i1mf!:;1:tn{:1~~1i;:~!;~rif1f:tb;1;iKt>dik@/N11i:fitt!;f:f:r:~::~0ff1~f!iir~Jr11=111:=;:rillri?c1:1r~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 657 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 febbraio 1985, n. 1703 -Pres. Scanzano -Est. Tilocca -P. M. Zema (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta) c. De Simone. Tributi erariali diretti -Riscossione -Cartella dei pagamenti -Requisiti Omessa indicazione dell'imponibile e dell'aliquota Nullit. (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25). nulla la cartella dei pagamenti che, non indicando l'imponibile e l'aliquota, non consente il necessario controllo sulla .legittimit dell'imposizione e l'esercizio dell'impugnazione in tutta la sua pienezza (1) .. (Omissis). Con il primo motivo l'Amministrazione delle finanze denuncia la violazione dell'art: 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e degli artt. 156 e 157 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la Commissione centrale considerato che la pronuncia di nullit, per mancanza dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo, va emessa, non gi sulla base di un interpretazione astratta, ma con riferimento alla fattispecie concreta e, quindi, per non aver valutato (la Commissione medesima) che l'imponibile per l'anno 1973 era stato definito, in via automatica, a richiesta dello stesso contribuente avvalsosi della procedura di cui all'art. 4 del decreto-legge stilla definizione delle pen (1) La. decisione desta molte perplessit. L'art. 25, e parallelamente l'art. 12, del d.P.R. n. 602 del 1973, stabiliscono che il ruolo e la cartella dei pagamenti devono indicare gli elementi costitutivi del credito di imposta (imponibile, aliquota, imposta, versamenti diretti, imposta residua); ma ci non tuttavia prescritto a pena di nullit. Peraltro non sembra potersi ricavare dalla indicazione del contenuto del ruolo e della cartella il principio che dalla semplice lettura di essi, e senza il sussidio di altri elementi, debba poter essere valutata la legittimit dell'imposizione e debba poter essere impostata la difesa in sede giurisdizionale. Il procedimento di liquidazione non cos semplice come enunciato negli artt. 12 e 25, almeno riguardo all'IRPEF; dall'imponibile vanno fatte le deduzioni dell'art. 10 e dall'imposta le detrazioni degli artt. 15, 16 e 16-bis, d.P.R. n. 597 del 1973; dall'imposta cos ottenuta vanno poi detratti non soltanto i versamenti diretti (come si preoccupato di precisare l'art. 3 del d.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920, che ha integrato gli artt. 12 e 25) ma anche i crediti di imposta. Tutto ci nelle situazioni normali. Vi sono poi iscrizioni a ruolo particolari come quella per imposta liquidata o riliquidata per condono, come nel caso, o a seguito di decisioni di commissioni computando le riscossioni gi eseguite per effetto di iscrizioni provvisorie. Insomma illusoria la possibilit di trovare nel ruolo, che contiene delle indicazioni schematiche compatibili con sistemi meccanografici (art. 12), tutto quanto necessario per apprezzare la legittimit dell'imposizione e per impostare un ricorso. Del resto ci non si pretende nemmeno per una sentenza la cui impugnabilit pu essere valutata solo con l'esame del fascicolo. 658 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO denze tributarie e che erano state detratte le somme dovute a rimborso per gli anni precedenti. Sicch se in via ordinaria risponde ad un'ovvia esigenza di certezza l'indicazione dell'imponibile e dell'aliquota di imposta applicata, nella specie l'osservanza di tali prescrizioni non era possibile, atteso che la somma portata della cartella non derivava della semplice applicazione di una data aliquota ad un dato imponibile, ma conseguiva ad un calcolo pi complesso, che riguardava anche gli anni precedenti . Il motivo va respinto. La Commissione centrale, contrariamente a quanto afferma l'Amministrazione ricorrente, non si limitata a sottolineare, alla stregua dell'art. 25 d.P.R. n. 600 del 1973 ( gi dell'art. 189 del t.u. n. 645 del 1958), il carattere essenziale dell'indicazione dell'imponibile e dell'aliquota applicata nella cartella esattoriale e ai fini della validit del medesimo, ma ha specificamente rilevato che nel caso concreto la mancanza di tale duplice indicazione nella cartella notificata al contribuente impediva il necessario controllo sulla legittimit dell'imposizione in tutti i suoi vari aspetti e, quindi, l'esercizio di impugnazione in tutta la sua pienezza, pur richiamandosi agli accertamenti all'uopo eseguiti dalla commissione di merito, in quanto non contrastati, nel giudizio svoltosi davanti ad essa, dall'Amministrazione ricorrente. Che l'imponibile per l'anno 1973 sia stato, poi, definito in via automatica a seguito della domanda del contribuente non esonerava l'Ammini- Quanto poi all'aliquota, la sua indicazione chiaramente un non essenziale completamento sia perch l'aliquota sempre nota, sia perch nel caso dell'aliquota progressiva la sua indicazione addirittura insignificante. Gli artt. 12 e 25 non fanno poi nessuna distinzione tra le ipotesi che il ruolo sia stato o meno preceduto dall'accertamento; e ci dimostra che, in relazione alla esigenza di verifica della legittimit dell'imposizione, le disposizioni degli artt. 12 e 25 non sono poste a pena di nullit. Il problema va dunque riesaminato integralmente sulla premessa che per stabilire la legittimit dell'imposizione non da escludere la consultazione degli atti dell'ufficio. Problema connesso quello dell'accertamento per il quale l'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 prescrive, oltre alla motivazione, l'indicazione dell'imponibile, delle aliquote, dell'imposta al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute e dei crediti di imposta. Bench in questo caso sia espressamente prevista la sanzione della nullit, non si pu certo dire che qualunque imperfezione comporti la nullit dell'intero accertamento; anche qui vale lo stesso discorso per aliquota la cui omessa indicazione assai poco significativa se il calcolo stato fatto esattamente secondo l'aliquota stabilita nella legge. L'omissione di taluna delle altre indicazioni difficilmente pu essere importante, se solo formale. Se poi l'omissione fosse sostanziale, nel senso che non si sia tenuto conto di una detrazione, una ritenuta o un credito, l'accertamento potr essere integrato e corretto ma non sar da dichiarare nullo. La nullit riferita alla mancanza di motivazione e di sottoscrizione non pu essere intesa allo stesso modo per le indicazioni formali. PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA strazione dall'obbligo cli indicare fimponibile e l'aliquota applicata, poich tale tipo di definizione non escludeva la possibilit cli errori incidenti sulla determinazione dell'imponibile e nella scelta dell'esatta aliquota applicabile e, quindi, l'esigenza di consentire al contribuente un adeguato controllo sulla legittimit dell'imposizione sotto tutti i profili ai fini della valutazione della convenienza di impugnare o meno il ruolo. L'Amministrazione ha c~rtamente determinato l'imponibile, sia pure eseguendo un calcolo pi complesso di quello normalmente occorrente, ed applicato una certa aliquota; sarebbe stato sufficiente che essa avesse indicato nella cartella l'uno e l'altro elemento per ottemperare compiutamente alle prescrizioni dell'art. 25 d.P.R. n. 600 del 1973 (perci l'integrazione deHa cartella era tutt'altro che impossibile). (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 marzo 1985, n. 2085 -Pres. ~cansano Est. Cantillo -P.M. Iannelli (diff. in parte) Ministero delle Finanze (avv. Stato Linguiti) c. Spezza. Procedimento civile Cassazione civile Notifica del ricorso -Rinnovazione per iniziativa di parte Sanatoria con effetto ex tunc . (Cod. proc. civ., art. 291). Tributi in genere -Contenzioso tributario Oggetto del processo -Accertamento Difetto di motivazione -Dichiarazione di nullit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 21, come modificati con d.P.R. 21 novembre 1Ql\I n. 739). Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione Requisiti -Spet tanza di agevolazioni -Art. 15 legge 6 agosto 1967 n. 765 -Motivazione per relationem Legittimit. (Legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 15). Poich l'art. 291 cod. proc. civ. applicabile anche al ricorso per cassazione, la irregolarit della notifica del ricorso (nella specie eseguita a mezzo posta senza la allegazione dell'avviso di ricevimento) pu essere sanata con effetto ex tunc da una seconda notifica eseguita spontaneamente dal ricorrente anticipando l'ordinanza che la Corte avrebbe dovuto pronunciare per ordinare la rinnovazione. Anche se il processo tributario innanzi alle commissioni era di accertamento del rapporto e non di annullamento dell'atto (ma ci deve essere ver:ificato a seguito delle incisive modificazioni introdotte con il d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739), il giudice deve emanare una pronunzia di solo annullamento quando l'atto inficiato da vizi che incidono sulla sostanza, RASSEGN.\ DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 660 come l'incompetenza assoluta e la mancanza di motivazione, non essendo in tal .caso consentita una indagine sul merito (1). L'obbligo di motivazione dell'accertamento normalmente necessario per gli atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata e complessa, si attenua per gli altri atti di identificazione di una determinata disciplina legale, come nell'atto di diniego dell'agevolazione per le case di abitazione in contrasto con la concessione edilizia a norma dell'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765, nel qual caso legittima la motivazione per relationem alla comunicazione del comune che contenga l'indicazione delle violazioni urbanistiche (2). (Omissis). La domanda di Irene Spessa, diretta ad ottenere l'esenzione venticinquennale dall'imposta sul reddito di un suo fabbricato in Loano, con provvedimento del 5 novembre 1976 veniva respinta dall'Ufficio distrettuale di Albenga per il motivo che l'immobile era stato costruito in violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 della 1. 6 agosto 1967, n. 765. La Commissione tributaria di primo grado di Savona annullava il provvedimento, ritenendolo viziato per difetto di motivazione; e la pronunzia veniva confermata dalla Commissione di secondo grado e, con la decisione ora denunziata del 29 dicembre 1982, da:lla Commissione tributaria centrale. Premesso che l'art. 15 della legge n. 765 del 1967, richiamato nell'atto dell'Ufficio, elenca specificamente le violazioni che, per i fabbricati realizzati in contrasto con la .concessione edilizia, comportano la perdita delle agevolazioni fiscali, la Commissione centrale ha osservato che la semplice citazione della norma non sufficiente a rendere noto al contribuente il (1-2) Nuovi orizzonti peril processo tributario? La parte della sentenza oggetto della secnda massima chiaramente intesa a provocare una riflessione sull'oggetto del processo in connessione con la novella del d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739; tale proposito di provocazione alla discussione risulta evidente se si considera che la digressione della sentenza irrilevante sulla decisione, sia perch il processo si era incardinato prima della novella, sia perch, nel caso, l'ipotetico annullamento dell'atto impugnato stato in concreto escluso. Sul vastissimo problema possono farsi, per il momento, solo alcune considerazioni. Sulla natura del processo tributario innanzi alle commissioni la giurisprudenza era fermissima nella tesi, pur contrastata da molta parte della dottrina che, nonostante il necessario collegamento cronologico con un atto dell'uJficio, il ricorso tende all'accertamento dcl rapporto tributario (impugnazione-merito) e non all'annullamento dell'atto impugnato (fra le molte pronunzie, assai significative 17 maggio 1984, n. 3047 e 30 luglio 1984, n. 4541, in questa Rassegna, 1984, I, 583 e 1014 che si pongono sulla stessa linea della nota sentenza delle sez. nn.. 5 marzo 1980, n. 1471, ivi, 1981, I, 345 condivisa da Corte cost., 1 aprile 1982, n. 63, ivi, 1982, I, 227). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 661 motivo che, fra quelli astrattamente previsti, stato ritenuto in concreto determinante per la decadenza dalle agevolazioni. N il difetto di motivazione si pu superare ponendo in relazione il provvedimento fiscale con gli atti di accertamento della violazione compiuti dall'autorit locale, noti al contribuente e comunicati -come prescrive lo stesso art. 15 cit. -all'Intendente di finanza. Infatti, l'obbligo di precisare le violazioni accertate e assunte a fondamento della sanzione non adempie soltanto alla funzione di individuare la violazione considerata dall'Ufficio, ma anche di porre il contribuente nella condizione di stabilire se la violazione medesima sia o non sia configurabile come causa di decadenza dal beneficio. Nella specie, invece, il provvedimento era del tutto privo di motivazione, non richiamando neppure gli atti di accertamento compiuti dal Comune competente, e perci non consentiva in alcun modo alla contribuente di individuare la violazione accertata e conseguenzialmente di svolgere un'adeguata difesa. Avverso la decisione l'Amministrazione ha proposto ricorso (in base a due motivi), il quale, essendo stato depositato due volte, ha dato luogo ad altrettanti procedimenti formalmente distinti (n. 139/84 e 1487/84). La controparte non ha presentato difese. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -I procedimenti debbono essere riuniti perch relativi alla stessa sentenza e soprattutto perch riguardano lo stesso ricorso, notificato e depositato due volte, con la conseguenza che Sono stati erroneamente formati due fascicoli contraddistinti da diversi numeri di ruolo. Ora per si affaccia l'ipotesi che la natura dcl processo sia radicalmente cambiata e in base a questa riflessione si induce che anche anteriormente, sia pure entro ristretti limiti, il processo tributario poteva essere soltanto di annullamento, ipotizzando cos una diversit di struttura del processo a seconda che l'accertamento sia inficiato o meno da vizi essenziali. Non si vede tuttavia quale radicale sovvertimento abbia potuto introdurre la novella del 1981 su un punto tanto fondamentale e non si comprende perch tale nuova normativa non sembra consentire dubbio in ordine all'attribuzione al giudice tributario del potere di annullare il provvedimento impugnato per vizi inerenti alla sua legittimit formale. Sembrerebbe che tale fondamentale innovazione sia ricavabile dal nuovo testo dell'art. 21 che consentendo una sanatoria dei vizi di incompetenza (non assoluta?) e non attinenti all'esis- tenza e all'ammontare del credito, ma escludendola per il difetto di motivazione, imporrebbe l'annullamento dell'accertamento non motivato senza alcuna possibilit di accertamento giurisdizionale di merito (ci che conferma la natura non sostitutiva del giudizio speciale tributario) . In vero la novella dell'art. 21 appare assai pit modesta. L'originaria ammissibilit della sanatoria dei soli vizi di notificazione stata ampliata per comprendervi l'incompetenza ed altri vizi non sostanziali; per il resto l'art. 21 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 662 2. -Sebbene la prima notificazione, eseguita a mezzo del servizio postale il 27 dicembre 1983, sia invalida per la mancata allegazione della ricevuta di ritorno, il ricorso pu essere ugualmente trattato in conseguenza della seconda notificazione, che invece risulta regolarmente eseguita essendo stato allegato l'avviso di ricevimento, sottoscritto da Irene Spessa, attestante che l'atto venne ad essa consegnato il 17 febbraio 1984. vero che il perfezionameno della notifica a mezzo posta si ha appunto con la consegna del piego raccomandato e perci, se si dovesse avere riguardo -agli effetti della tempestivit del gravame -a questa seconda notificazione, il ricorso sarebbe tardivo per essere decorso, anche tenuto conto della sospensione feriale, il termine annuale di cui all'art. 327 cod. proc. civ., applicabile perch la decisione, depositata il 29 dicembre 1982, non venne notificata. Sennonch occorre considerare che anche per il ricorso per cassazione opera l'art. 291, primo comma, cod. proc. civ., in forza del quale, in caso di nullit della notificazione, se ne deve disporre la rinnovazione e la nuova notifica, se regolarmente eseguita nl termine all'uopo fissato, impedisce ogni decadenza, risolvendosi, in pratica, in una sanatoria ex tunc della prima (v., fra altre, sent. n. 4905 del 1978). Nella specie, alla stregua di detta norma, la seconda notificazione deve essere qualificata come rinnovazione spontanea della precedente, eseguita dalla ricorrente prima del provvedimento che in tali sensi avrebbe dovuto .adottare questa Corte; e ci, nel rendere ultronea un'ulteriore attivit notificatoria, comporta che il ricorso risulta tempestivo, siccome l'osservanza del termine deve essere accertata, ai sensi del principio suddetto, con riferimento alla prima notifica, ricadente nell'anno dal deposito della decisione impugnata. rimasto immutato: era ed esclusa la sanatoria per il difetto di motivazione e per la notificazione intervenuta dopo la scadenza del termine di decadenza. In conclusione il problema dell'accertamento non motivato non ha subto alcuna incisiva modificazione. Le norme sostanziali sanciscono la nullit dell'accertamento non motivato (ma questo un diverso problema di rilevanza sostanziale) e di conseguenza il processo non pu ignorare tale realt; ma ci non basta per affermare che il processo tributario (ieri come oggi) di annullamento. La nullit dell'accertamento un dato sostanziale; il giudice cio accerta che l'Amministrazione non ha validamente esercitato il potere di accertare la maggiore imposta o decaduto da esso, ma non pronuncia un mero annullamento per vizi formali. Se mai l'estensione dell'art. 21 sta a significare che il giudice tributario non ha un generale potere di annullare atti viziati (avendo l'obbligo di rimetterli all'ufficio per la rinnovazione), e solo in presenza di vizi sostanziali che comportano il venir meno del potere di accertare deve emettere una pronuncia, che pur sempre di accertamento del rapporto, ossia di infondatezza della pretesa dell'ufficio. L'art. 21 pone sulla stessa linea l'accertamento non motivato e quello notificato dopo la scadenza del termine; in quest'ultimo .caso non si pu ! ~~~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 663 3. -Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione dei principi relativi all'oggetto del processo tributario, l'Amministrazione sostiene che la Commissione centrale, una volta accertato -per altro erroneamente (per le ragioni di cui al secondo mezzo) -il difetto di motivazione del provvedimento di diniego del beneficio fiscale, non poteva limitarsi a dichiararne la nullit, ma, non trattandosi di una giurisdizione di mero annullamento, avrebbe dovuto prendere in esame direttamente il rapporto e statuire sul:la spettanza, o meno, del beneficio medesimo. La censura infondata. Si deve convenire sulla premessa da cui essa muove, cio che il giudizio innanzi alle commissioni tributarie, sebbene costruito come processo di impugnazione di atti dell'amministrazione finanziaria, non circoscritto alla verifica (formale) della legittimit degli stessi e si estende, invece, al riesame del merito del rapporto d'imposta, in quanto il giudice deve direttamente accertare, nei limiti della contestazione, i presupposti materiali e giuridici della pretesa dell'amministrazione, assunti a fondamento del provvedimento impugnato. Ed altres vero che, in considerazione di siffatta estensione dell'attivit conoscitiva di merito, questa Corte ha pi volte affermato, sul (diverso) piano dell'oggetto del processo e della potest decisoria, che non si tratta di un giudizio di impugnazione-annullamento, bens di accertamento dell'obbligazione tributaria, ancorch svolto per il tramite dell'impugnazione di specifici atti dell'amministrazione (cfr., sez. un., n. 1471 del 1980, n. 4507 del 1978 e n. 942 del 1977, nonch, fra le pi significative di questa stessa sezione, le sent. n. 1471 del 1980 e n. 2407 del 1982). affatto parlare di annullamento per vizi formali dovendosi invece affermare nel merito che a causa dell'intervenuta decadenza nessuna pretesa pu essere vantata dall'ufficio; lo stesso a dirsi quando si riconosce che l'accertamento nullo per difetto di motivazione o altra causa. Non si poteva e non si pu dunque parlare di impossibilit di emettere una pronuncia di merito in presenza di un accertamento non motivato (e conseguentemente non sostenibile che il processo non ha natura sostitutiva) perch la decisione che riconosce l'illegittimit dell'accertamento, dichiara infondata la pretesa tributaria e con ci accerta definitivamente il rapporto cos come lo accerta quando rigettando il ricorso dichiara fondata la pretesa o quando accogliendo il ricorso riduce o anche esclude la pretesa stessa. In o.,gni caso il giudice emette la sua statuizione, a prescindere dall'atto impugnato, per dichiarare I'an e il quantum della obbligazione; la nullit dell'accertamento (per vizi sostanziali, la cui sussistenza deve essere attentamente delimitata) non rileva come tale, ma solo perch si risolve nella affermazione della insistenza dell'obbligazione vantata. Ben altra cosa l'impossibilit per il giudice di pronunciare l'accertamento in luogo dell'ufficio (in tal senso sarebbe esatta l'affermazione che il processo non ha natura sostitutiva perch non pi affidata al giudice quella residua 664 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sennonch -a parte il rilievo che l'attuale validit dell'indirizzo deve essere controllata alla stregua delle incisive modificazioni introdotte nella disciplina del contenzioso con il d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739, che sembra non consentire dubbio in ordine all'attribuzione al giudice tributario del potere di annullare il provvedimento impugnato per vizi inerenti alla sua legittimit formale -anche rimanendo nell'ottica del giudizio di impugnazione -merito, per cui gli stessi sono normalmente irrilevanti al fine dell'accertamento dell'obbligazione d'imposta, occorre ammettere che la pronunzia deve necessariamente arrestarsi all'annullamento dell'atto impugnato se i vizi formali che lo inficiano incidono sulla sostanza del rapporto precludendo l'indagine sul merito dello stesso, come nei casi di incompetenza assoluta dell'organo o di mancanza di motivazione. In particolare, con riferimento a quest'ultima ipotesi, che ora interessa, la tutela giurisdizionale non pu che consistere nell'invalidazione del provvedimento quando la carenza di motivazione sia tale da non consentire l'identificazione degli elementi materiali e giuridici cui correlata la pretesa tributaria e, di conseguenza, il controllo degli stessi da parte del contribuente e il loro accertamento ad opera del giudice tributario; il quale ai fini del riesame di merito dispone di un ampio potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento di rapporti innanzi al giudice ordinario), ma non pu, ovviamente, sostituirsi all'amministrazione nella ricerca dei presupposti del rapporto d'imposta. In questi sensi la fattispecie si trova ora espressamente disciplinata dall'art. 21 del d.P.R. n. 636 del 1972, nel testo dettato con la riforma suddetta, il quale, mentre dispone in via generale che i:1 giudice, nel caso rilevi un vizio di incompetenza o che comunque non attiene all'esistenza o all'ammontare del credito tributario, deve sospendere il giudizio ed attivit amministrativa che aveva fatto un tempo dubitare della giurisdizionalit delle commissioni), il che nessuno ha pensato di negare anche prima della modifica dell'art. 21. Se il processo tributario fosse soltanto di annullamento, l'atto annullato potrebbe essere nuovamente emanato dall'ufficio (tutt'altro problema quello dell'eventuale decadenza) non essendovi nel giudicato una definizione el rap porto. Non sembra tuttavia che la S.C. abbia inteso ricondurre il processo tributario al tipo di processo amministrativo. invero sorprendente come la digressione sulla natura del processo sia stata introotta proprio in una fattispecie nella quale l'inadeguatezza del giudizio di annullamento si manifestava con particolare evidenza. L'atto impugnato, come la stessa sentenza pone in evidenza nell'esame del secondo motivo, non era un comune accertamento ma un provvedimento che negava l'esenzione venticinquennale dell'ILOR per una casa di abitazione non di lusso in contrasto con la licenza edilizia. La controversia dunque riguardava la spettanza della esenzione e non certo la motivazione del provvedimento, essendo evidente che dall'asserita illegittimit del provvedimento per difetto di motivazione non discendeva immediatamente il diritto all'esenzione. In tale situazione se si fosse potuta profilare una possibilit di mero annullamento del provvedimento, Il f: f: - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 665 assegnare un termine all'amministrazione per rinnovare l'atto viziato, esclude che possa provvedersi a rinnovazione quando il vizio consista nel difetto di motivazione; la quale disposizione comporta che l'esistenza del vizio d luogo necessariamente all'annullamento dell'atto, senza alcuna possibilit di un accertamento giurisdizionale di merito (ci che conferma la natura non sostitutiva del giudizio speciale tributario). Pertanto, sul piano della tipologia delle decisioni, va detto che. anche in base alla disciplina anteriore alla legge del 1981 il giudice tributario aveva il potere di emettere pronunzie limitate all'invalidazione dell'atto impositivo ca.rente di motivazione; e ci sufficiente a respingere la censura in esame, risultando la questione circoscritta all'oggetto del secondo mezzo, che impone di controllare la decisione di annullamento sotto il profilo della logicit e correttezza delle ragioni in base alle quali il provvedimento stato ritenuto non congruamente motivato. Giova avvertire, poi, che nella presente controversia, insorta prima dell'entrata in vigore del cit. d.P.R. n. 739 del 1981, non viene in rilievo il delicato problema -che avrebbe carattere pregiudiziale -circa l'ammissibilit dell'impugnazione dei provvedimenti (come quello in esame) relativi alla spettanza di agevolazioni fiscali, in quanto non compresi nell'elenco degli atti contro i quali, ai sensi dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, possibile proporre ricorso. Invero, l'elenco medesimo, modificato con l'aggiunta di altri provvedimenti tipici, stato reso tassativo soltanto con la novella, in quanto il nuovo testo dell'art. 16 espressamente stabilisce che non possono essere autonomamente impugnati gli atti diversi da quelli ivi indicati, mentre in passato, in assenza di un analogo disposto, l'indicazione degli atti doveva ritenersi esemplificativa; la possibilit di ricorrere direttamente contro i provvedimenti in materia di age per difetto di motivazione o altro v1z10 formale, sarebbero rimasti salvi gli ulteriori provvedimenti dell'autorit amministrativa, si sarebbe cio dovuto nuovamente pronunciare l'ufficio sulla spettanza dell'esenzione, al che poteva seguire nuovo ricorso con possibile nuovo annullamento e ulteriore rimessione all'ufficio secondo le regole del giudizio amministrativo di annullamento (e nella specie non esisterebbero decadenze che potrebbero troncare il corso e ricorso tra giurisdizione e amministrazione). Ci nessuno osa pensarlo perch la commissione in una sola battuta deve statuire sul rapporto (di diritto soggettiv), deve affermare se l'esenzione spetta o non spetta, indipendentemente dalla motivazione del provvedimento o dalla sua ipotetica nullit. Se cos non fosse avverrebbe che l'accertamento non motivato dovrebbe essere semplicemente annullato, mentre quello motivato in modo sufficiente ma erroneo, secondo quanto sembrerebbe dedursi dalla sentenza, aprirebbe la via ad un giudizio di merito. Il provvedimento che nega l'esenzione o agevolazione (se ne fatto in passato ampia. esperienza sulla imposta di registro) non ha ragione di essere motivato perch consta soltanto di una affermazione le cui ragioni (in diritto), che potrebbero essere di un'ampiezza e complessit sconfinate (come lo sono le motivazioni delle sentenze sulla stessa questione) sono oggetto della contro 666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO volazioni veniva, quindi, generalmente riconosciuta (e nella specie non stata contestata dall'amministrazione). 4. -Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 15 della legge n. 765 del 1967 e vizi della motivazione, la ricorrente sostiene che erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto sussistere il vizio suddetto, laddove il provvedimento di diniego delle agevolazioni in questione, meramente conseguenziale alla segnalazione del Comune riguardante una delle violazioni edilizie cui la norma ricollega la sanzione fiscale, dev ritenersi sufficientemente motivato attraverso il riferimento alla segnalazione medesima ed alla disposizione di legge. La censura fondata. Altre volte questa Corte ha avvertito che l'obbligo di motivare gli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e funzione che essi hanno in base alle norme loro proprie, giacch, accanto ad atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata e complessa, e assumono, quindi, una veste formale e un contenuto precisamente regolato dalla legge (ad es., l'avviso di accertamento, nelle imposte dirette come in quelle indirette), ve ne sono altri in cui la funzione viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, risolvendosi talvolta nella mera imposizione di una determinata disciplina. in relazione al contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, quindi, che deve essere verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, nel senso che questo deve ritenersi adempiuto allorch la motivazione, ancorch sommaria e semplificata, sia tale da esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi e logico-deduttivi, e consentendo di conseguenza al destinatario di svolgere efficacemente la propria difesa attra versia in sede giurisdizionale; se la motivazione in diritto non si richiede nemmeno per la sentenza (arg. art. 384 cod. proc. civ.) non si pu certo pretendere che essa sia richiesta, a pena di nullit, nel provvedimento amministrativo. Di ci si resa conto la sentenza in rassegna nell'esame del secondo motivo ove ha ricordato la distinzione tra gli atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo (gli atti di accertamento veri e propri che, pur non potendo essere definiti atti di imposizione, determinano, con esercizio di poteri di autorit, la certezza e esigibilit del credito di imposta) e gli altri atti che individuano una determinata disciplina e per la loro natura consentono al destinatario di svolgere una adeguata difesa. Questa precisazione, che si ricollega ai principi enunciati con le menzionate sentenze 17 maggio 1984, n. 3047 e 30 luglio 1984, n. ~541, sul problema della motivazione dell'accertamento esatta in termini generali e molto importante, ma poco si concilia con la prima parte della sentenza. La decisione di merito sulla spettanza della esenzione doveva essere pronunciata dalla commissione non gi perch il provvedimento, adeguatamente motivato, non doveva essere annullato ma perch la commissione doveva comunque pronunziarsi sulla spettanza della esenzione, quale che fosse la motivazione del provvedimento, e in nessun caso avrebbe potuto limitarsi ad un mero annullamento, non risolutivo --! ! 1: f ----~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 667 verso la tempestiva e motivata impugnazione giurisdizionale dell'atto medesimo. Ora, per le opere realizzate in contrasto con la concessione edilizia, l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, prevede -quale ulteriore sanzione dell'illecito edilizio -l'esclusione de iure delle vigenti agevolazioni fiscali nel caso che le difformit riguardino violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta, le quali eccedano, per ogni singola unit immobiliare, il due per cento delle misure prescritte; e all'uopo jl Comune obbligato a segnalare entro un certo termine siffatte violazioni all'Amministrazione finanziaria, la quale, non essendo normativamente previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un provvedimento o di diniego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o decadenza) di quello gi concesso. Si tratta, quindi, di un atto rigidamente vincolato, rispetto al quale l'Amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento discrezionale, in quanto obbligata ad emetterlo in base ai risultati dell'accertamento compiuto dall'autorit locale cui spetta la vigilanza in materia edilizia; e di tale accertamento l'autore dell'illecito riceve formale notizia gi attraverso la notifica della diffida del Sindaco, che costituisce il primo atto del procedimento repressivo dell'abuso edilizio. Il provvedimento in oggetto deve ritenersi, quindi, sufficientemente motivato attraverso l'indicazione dell'accertamento amministrativo che ha dato luogo alla comunicazione comunale e della norma di legge che prevede la perdita automatica del beneficio fiscale, giacch in tal modo risultano enunciati in modo intellegibile al destinatario i presupposti di del merito del rapporto, cos come avrebbe potuto dichiarare spettante la esenzione negata con un provvedimento ampiamente motivato e fonnalmente perfetto. Su un ulteriore punto la sentenza si preoccupata di porre sul tappeto una questione, non strettament attinente al decisum, originata dalla novella del 1981: un atto, quale quello di diniego delle agevolazioni, sicuramente impugnabile in vigenza della prima formulazione dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972 (contenente una elencazione esemplificativa degli atti impugnabili) potrebbe non essere attualmente impugnabile per non essere ricompreso nella nuova enumerazione dell'art. 16, divenuta tassativa. L'elencazione degli atti impugnabili non era esemplificativa in passato e non tassativa, in senso rigoroso, attualmente. L'affermazione che gli atti diversi da quelli menzionati non sono impugnabili autonomamente, pu significare soltanto che non sono impugnabili in modo autonomo gli atti strumentali che si inseriscono in una serie procedimentale per assorbirsi nel provvedimento conclusivo, ma non pu certo significare che non sono impugnabili gli atti compiuti e finali che, non assorbendosi in atti successivi, non sarebbero in alcun modo impugnabili. L'art. 16 norma che disciplina il procedimento e non pu restringere l'ambito della giurisdizione come definita nell'art. 1; d'altra parte la esclusivit 11 668 RASSEGNA IJEIL1AVVOCATURA IJELLO STATO fatto e cli diritto dell'atto, cio sia l'esistenza della violazione e sia l'appartenenza della stessa al novero cli quelle che, ai sensi dell'art. 15 cit., comportano la sanzione fiscale; n ha rilievo che si tratta di una motivazione per relationem, la quale sicuramente ammissibile sempre che l'atto al quale si fa rinvio sia idoneo a mettere il contribuente nella condizione di conoscere esattamente le ragioni che sorreggono il provvedimento (in relazione ad una fattispecie uguale a quella in esame stato appunto affermato che sussiste difetto di motivazione quando neppure dalle ordinanze comunali risulti contestata specificamente una delle violazioni di cui all'art. 15 cit., v. sent. n. 6470 del 1983). Nel caso in esame, il provvedimento di diniego dell'esenzione venticinquennale conteneva, come risulta dalla decisione impugnata, entrambe le indicazioni ~uddette; e risulta del tutto immotivata l'affermazione che il riferimento alla violazione contestata dal Comune non fosse idoneo ad individuare le ragioni della sanzione, laddove il contribuente si era difeso anche nel merito, contestando l'entit della violazione e sostenendo, fra l'altro, che il riferimento della norma alla singola unit immobiliare introduce un limite alla fattispecie sanzionatoria, che la rendeva in concreto inapplicabile. Pertanto fa decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa Commissione Tributaria Centrale, la quale proceder a nuovo esame della controversia alla stregua dei principi cli diritto e dei rilievi sopra svolti, tenendo altres presente che l'accertamento della spettanza del diritto alle agevolazioni fiscali d luogo ad una questione di fatto non inerente a valutazione estimativa e perci rientra nella cognizione della Commissione medesima. (Omissis). della giurisdizione delle commissioni sulle controversie tributarie ormai uni versalmente riconosciuta, s che la non impugnabilit di taluni atti si risolvereb be in un inammissibile diniego di tutela giurisdizionale. Di conseguenza ogni atto non considerato che comunque tocca in modo definitivo il diritto sogget tivo del contribuente deve poter essere impugnato. E ci non contrasta nem meno con una corretta interpretazione dell'art. 16, dovendosi (come gi in pas sato) intendere per accertamento qualunque atto comunque denominato che dichiara l'obbligazione o un elemento di essa (Cass., 25 novembre 1980, n. 6262, in questa Rassegna, 1981, 579). Sono quindi certamente impugnabili gli atti individuali del procedimento catastale, peraltro espressamente menzionati nel l'art. 1, il concordato, il provvedimento che nega il condono (l'ipotesi avanzata di illegittimit costituzionale delle norme che non ammetterebbero !'impugna bilit non ha ragion d'essere) ed ogni altro atto che, anche in rapporto a leggi future, ha portata di accertamento, in senso lato. Conseguentemente il provve dimento che nega l'esenzione anch'esso, al pari dell'avviso di liquidazione dell'imposta suppletiva dovuta per il disconoscimento di un beneficio, un atto di accertamento che non soltanto pu, ma deve, essere impugnato per impe dirne la irretrattabilit (Cass., 6 luglio 1978, n. 3343, in questa Rassegna, 1978, I, 734; 25 novembre 1980, n. 6062 citata).. CARLO BAFILE I ! I I I SEZIONE SETTIJMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 luglio 1985, n. 4350 -Pres. Cusani Est. Cherubini -S.p.A. Star (avv. Biamonti) c. Ministero Difesa (avv. Stato Corti). Contabilit pubblica -Contratti della pubblica amministrazione Forni ture -Revisione dei prezzi Previsione in contratto Diritto soggettivo alla revisione. (r.d.1. 13 iiugno 1940, n. 901, artt. 1, 2, 3 e 4). Ai sensi del r.d.l. 13 giugno 1940 n. 901, la revisione del prezzo espressamente pattuita nei contratti di pubbliche forniture d luogo ad una situazione di diritto soggettivo del privato contraente, tutelabile innanzi all'A.G.O. (1). (omissis) Il ricorso articolato in tre motivi che in realt consistono in altrettante argomentazioni di un'unica censura rivolta dalla STAR avverso la sentenza impugnata per aver negato la giurisdizione dell'A.G.O. a decidere la controversia, nel falso presupposto che la posizione soggettiva della societ fornitrice integrasse un interesse legittimo, anzich un diritto soggettivo. (1) Nello stesso senso le coeve sentenze nn. 4349 e 4351, la prima delle quali ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in una fattispecie nella quale il contratto di fornitura conteneva una clausola del seguente tenore: oltre che dalle clausole contenute negli articoli del presente contratto, la fornitura che ne costituisce l'oggetto sar regolata dalle norme contenute nel Cpitolato d'oneri per la fornitura e la riparazione dei materiali occorrenti ll'Amministrazione aeronautica, approvato con d.m. in data 6 marzo 1974 . Dopo aver ricordato che tale Capitolato contiene un rinvio formale alle norme sulla revisione dei prezzi cos da rendere applicabile, dalla data della loro entrata in vigore, le disposizioni del r.d.l. n. 901 del 1940, la sentenza n. 4349/1985 ha escluso che la riferita clausola contrattuale potesse aver trasferito, nella specie, la disciplina della revisione dei prezzi dal piano della discrezionalit amministrativa a quello paritetico contrattuale, nulla disponendo circa la revisione stessa e limitandosi ad un mero rinvio al r.d.l. del 1940. Cass., Sez. Un., 23 febbraio 1983, n. 1370 pubblicata in questa Rassegna 1983, I, 414. Bench le argomentazioni della sentenza riprodotta non riescano del tutto appaganti, il ribadito indirizzo della Corte regolatrice induce ad escludere che la questione, almeno allo stato, possa essere utilmente riproposta. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 670 Il ricorso fondato. Queste Sezioni Unite hanno recentemente riaffermato, con la sentenza n. 6593 del 1981 e con quella n. 1370 del 1983, che la disciplina contenuta nel r.d.l. 13 giugno 1940 n. 901, va intesa nel senso che qualora le parti espressamente pattuiscano, nel contratto di pubbliche forniture, la revisione dei prezzi, quest'ttima esula dai poteri discrezionali dell'amministrazione e costituisce oggetto di una posizione di diritto soggettivo del privato contraente. Questa interpretazione , del resto, conforme all'opinione manifestata, fin dalle prime decisioni riguardanti la portata del d.l. n. 901 del 1940, da questa Corte la quale' (S. U. 16 maggio 1945 n. 345) ha osservato che l'espressa pattuizione in un contratto di pubbliche forniture della revisione dei prezzi, in connessione con determinate variazioni delle condizioni di mercato, d luogo ad un rapporto sinallagmatico, con correlative posizioni di diritto di credito e di obbligazione, tali da escludere che la revisione sia oggetto di una semplice facolt dell'Amministrazione, rispetto alla quale sia configurabile una posizione di interesse legittimo. Il Ministero della Difesa sostiene nel controricorso che il ragionamento di queste Sezioni Unite in precedenti giudizi, aventi ad oggetto l'interpretazione del r.d.l. n. 901 del 1940, non pu essere seguito perch fondato sull'inaccettabile premessa che la volont negoziale sarebbe da sola sufficiente a qualificare come di diritto soggettivo le posizioni che la legge ricollega a tali manifestazioni di volont; di qui la necessit di esaminare il citato r.d.l. n. 901 al fine di accertare quale effettivamente sia la posizione soggettiva che la legge riserva al privato fornitore. La tesi dell'Amministrazione mostra di complicare inutilmente il problema. Invero la sentenza n. 6593/81 di queste Sezioni Unite -contro la quale sono dichiaratamente rivolte le critiche -non afferma affatto che la clausola contrattuale che prevede la revisione sia da sola suffi. ciente a qualificare la posizione soggettiva del privato contraente come diritto soggettivo ma piuttosto parte dalla indubbia constatazione che i contratti tra P.A. e privato aventi ad oggetto forniture sono contratti di diritto privato e si chiede se esistano norme imperative che disciplinino la revisione dei prezzi come semplice facolt dell'Amministrazione. La citata sentenza passa, quindi, all'esame del r.d.l. n. 901 del 1940 ed esclude che le relative norme possano avere una tale portata. Sicch tutto si riduce, ancora una volta, all'interpretazione della normativa da ultimo richiamata e al riguardo il Ministero della Difesa non svolge argomentazioni che possano indurre ad una modifica della uniforme giurisprudenza di queste S. U. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, sussiste la giurisdizione del1' A.G.O. '~ ! f f PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 671 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 ottobre 1985, n. 5232 -Pres. La Torre -Est. Di Salvo -Assessorato LL.PP. regione siciliana (avv. Stato Del Greco) c. Messina (avv. Angelini). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Mancata corresponsione di acconti alla scadenza -Sospensione dei lavori da parte dell'impresa -Les!ittimit. (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35; e.e., art. 1460). Nel caso in cui il ritardo nella corresponsione di acconti in corso d'opera sia imputabile al comportamento doloso o gravemente colposo della P.A. committente, giustificata l'applicazione della disciplina contrattuale di diritto comune con la conseguenza che deve ritenersi legittima, alla stregua del principio inadimplenti non est ademplendum, la sospensione dell'esecuzione dei lavori da parte dell'appaltatore (1). (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Assessorato per i lavori pubblici della Regione Sicilia, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 341 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F e degli artt. 29 e 35 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nonch degli artt. 1453 e 1460 e.e., in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., sostiene che erroneamente la Corte di appello avrebbe riconosciuto all'appaltatore il diritto di sospendere l'esecuzione dei lavori avvalendosi dell'eccezione inadimplenti non est adimplendum, senza considerare: a) che gli acconti non costituiscono pagamenti delle partite di lavoro eseguite, ma anticipazioni parziali del prezzo finale e che, non esistendo un ob)Jligo di pagare singole partite di lavoro eseguite, non pu esistere inadempienza dell'Amministrazione committente nel caso di mancato o ritardato pagamento delle somme che ad esse si riferiscono: b) che il ritardo dei nagamenti degli acconti contrattualmente previsti sanzionato esclusivamente dall'obbligo di corrispondere gli interessi legali e moratori, ai sensi dell'art. 35 del d.P.R. n. 1063 del 1962, e solo quando l'omesso pagamento superi il quarto dell'importo contrattuale, l'appaltatore ha diritto di chiedere la risolu( 1) Cass. 19 novembre 1973, n. 3089, citata in motivazione, pubblicata in questa Rassegna 1973, I, 1194 con nota di A. MARZANO (Il ritardo dei pagamenti nell'appalto d'opera pubblica); Cass. 13 maggio 1971, n. 1384, parimenti richfa mata, si legge in questa Rassegna 1971, I, 698. Non consta, invece, di precedenti in termini'" riferiti cio all'art. 35 del vigente Capitolato gen. di cui al d.P.R. 1063/1962. Sulla legittimit della sospensione dei lavori ad iniziativa dell'appaltatore (per la ~uale v. Coll. arb. 25 marzo 1974 n. 16, in Arb. app. 1974, 79) sembra giustificata qualche riserva, soprattutto considerando che nella facolt at.tri buita all'impresa dal quarto comma dell'art. 35 cap. gen. oo.pp. azzardiltn ricomprendere, attraverso una mera relazione logica da maggiore a minore. il diritto d'opporre l'eccezione d'inadempimento (art. 1460 cod. civ.). 672 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione del contratto; e) che in base alle disposizioni di legge che regolano gli appalti di opere pubbliche, l'appaltatore non ha alcuna possibilit di proporre l'eccezione di inadempimento per sottrarsi all'obbligo di proseguire i lavori. ' Le censure proposte dall'Assessorato ricorrente si fondano sul presupposto che nei contratti d'appalto delle opere pubbliche l'amministrazione non abbia alcun obbligo di pagare gli acconti nei termini contrattualmente previsti e che, pertanto, essa, nel caso di ritardo, non sia tenuta al risarcimento del danno, e sul presupposto che tale suo comportamento legittimi l'apprutatore a sollevare l'eccezione inadimplenti non est adimplendum; ci perch l'art. 35 del d.P.R. n. 1063 del 1962 stabilisce che il ritardo nel pagamento di tali acconti sarebbe sanzionato esclusivamente con la corresponsione degli interessi legali e moratori, mentre la risoluzione del contratto potrebbe essere richiesta dall'appaltatore solo quando l'omesso pagamento superi il quarto dell'importo contrattuale. All'esame delle proposte censure occorre premettere che agli appalti stipulati dalla regione Siciliana applicabile, con valore normativo, il capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei LL.PP., approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, per effetto dell'art. 9 della L.R. 26 maggio 1973, n. 21 il quale stabilisce l'obbligo di applicare il detto capitolato agli appalti stipulati dalla Regione. Pertanto inesattamente la difesa dell'Amministrazione richiama la massima di questa Corte n. 2349 del 1970 che risulta inapplicabile alla fattispecie perch relativa ad un contratto di appalto di un ente pubblico nel quale l'art. 40 dell'abrogato capitolato generale dello Stato (D.M. 28 maggio 1895) figurava richiamato con valore di semplice atto negoziale. La tesi sostenuta dal ricorrente, e sopr richiamata, non pu essere condivisa ed stata gi disattesa da precedenti pronuncie di questa Corte relative a fattispecie disciplinate dal d.m. 28 maggio 1895, ora abrogato, che conteneva il precedente capitolato generale per gli appalti dipendenti dal Ministero dei LL.PP. I princpi affermati con tali decisioni sono compatibili ed anzi, come si vedr, sono validi a fortiori nel nuovo ordinamento risultante dall'art. 35 del citato nuovo capitolato generale. Questa Corte ha, invero, affermato (Cass. 1971, n. 1384/1973, n. 3089) che la limitazione di responsabilit prevista dal predetto art. 40 non pu spiegare efficacia in ogni ipotesi di inadempimento della P.A., e, quindi, anche in caso di inattivit volontaria o gravemente colposa dei suoi organi, perch la deroga in ogni e qualsiasi caso alla disciplina ordinaria della responsabilit contrattuale sarebbe in contrasto ingiustificato con il principio generale che, in uno Stato di diritto, l'ente pubblico, al pari di ogni altra persona giuridica, non pu esimersi dal rispondere dei danni PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 673 che, sul piano contrattuale, l'inadempimento volontario o gravemente colposo di una sua obbligazione determina ai privati; ha, inoltre, precisato che il predetto art. 40, io comma, costituendo deroga alla disciplina generale dell'adempimento, una norma di stretta interpretazione, sicch esso esclude soltanto quella responsabilit dell'ente pubblico che possa ricollegarsi strettamente alla sua ratio immediata, consistente nella necessit di tener salva l'Amministrazione pubblica da pretese risarcitorie derivanti da ritardi dovuti alle caratteristiche proprie dell'organizzazione e del modo di funzionamento dell'apparato statale o, comunque, pubblico ed alla complessivit. di procedimenti attraverso i quali si realizza la sua attivit giuridica. Pertanto, in ogni altra situazione in cui si dimostri che si fuori da questa esigenza, ed in particolare che il ritardo dipenda esclusivamente da un comportamento ascrivibile a dolo o colpa grave dell'Amministrazione, giustificata l'applicazione della disciplina contrattuale comune, ovviamente con l'esclusione della presunzione di responsabilit ex art. 1218 e.e; Questi princpi sono stati enunciati sia con riferimento a:I un'ipotesi in cui la pretesa fatta valere dall'appaltatore concerneva il risarcimento dei maggiori danni (oltre gli interessi legali) derivanti dalla svalutazione monetaria da lui subita a causa del ritardo colpevole dell'Amministrazione nel provvedere al collaudo ed al conseguente pagamento del saldo (Cass. 1973, n. 3089), sia con riferimento al colposo ritardo della P. A. nelle operazioni di emissione del certificato delle rate di acconto e, nella redazione dello stato finale dei lavori e dell'espletamento del collaudo. (Cass. 1971, n. 1384). Da tale orientamento non vi ragione di discostarsi nella decisione della presente causa, in quanto le predette argomentazioni trovano piena conferma nell'art. 35 del nuovo capitolato generale, il quale regola la stessa materia dei ritardi nei pagamenti degli acconti, disciplinando la corresponsione degli interessi, ma si differenzia, con una innovazione, che significativa della progressiva riduzione dei privilegi della P. A., la cui posizione giuridica, nei negozi di diritto privato, viene parificata a quella delle altre parti. Invero, mentre l'art. 10 del precedente capitolato si apriva con la enunciazione che i ritardi nei pagamenti non danno diritto all'appaltatore di pretendere indennit di qualsiasi specie, n di chiedere lo scioglimento del contratto >>, l'art. 35 del vigente capitolato non contiene alcuna prescrizione avente tale contenuto, ma, al contrario, regola i presupposti e la procedura per proporre l'azione di risoluzione del contratto (quarto comma). La risoluzione, pu essere chiesta quando siano trascorsi i termini massimi stabiliti per l'emissione del certificato delle rate di acconto o per l'emissione del titolo di spesa, ovvero quando l'ammontare delle rate di acconto per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il quarto dell'importo netto contrattuale. Alla esplicita previsione della esperibilit dell'azione di riso 674 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO luzione devono aggiungersi, data l'entit della ratio e della loro finalit, tutti i rimedi stabiliti per garantire l'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni ed impedirne l'alterazione in danno di una delle parti; deve, quindi, ritenersi legittima anche la proposizione dell'eccezione di inadempimento che tende a paralizzare la pretesa dell'inadempiente, che perseveri nel suo rifiuto, di ottenere l'adempimento dell'altra parte; cos come deve ritenersi legittima la sospensione dei lavori da parte dell'appaltatore ed il suo rifiuto di riprenderli dopo la sospensione ordinata dalla P. A. L'Amministrazione, infatti, responsabile dell'inattivit, volontaria o gravemente colposa dei suoi organi, e tale responsabilit rilevante, non solo ai fini della proposizione dell'azione di risoluzione, ma anche ai fini della exceptio inadimplenti non est adimplendum. La giurisprudenza di questa Corte ha gi indicato la differenza esistente tra la gravit dell'inadempimento richiesta ai fini della risoluzione del contratto e la gravit dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento, ai fini dell'eccezione di inadempimento. Si , infatti, precisato che la prima serve per determinare il punto oltre il quale, secondo un criterio direttivo rapportato al particolare contratto, viene meno l'utilit per il contraente di ricevere la prestazione, cos come gli viene offerta, ovvero di attendere che l'altra parte esegua, sia pure con ritardo, la sua prestazione. Nella seconda, invece, e cio quando la consistenza dell'inadempimento viene in rilievo ai fini della proposizione dell'eccezione, la gravit dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento, ha la limitata finalit di stabilire se, stando alle circostanze del caso, la controparte possa ritenersi abilitata a pretendere che sia effettuata la prestazione avversa, cos come prevista nel contratto, prima di eseguire la propria. Pertanto, il relativo giudizio non pu fondarsi solo sull'entit del fatto avverso, ma deve comprendere anche l'indagine di altre questioni, fra le quali la proporzione tra ci che mancato e ci che stato versato in controprestazione nonch la valutazione dell'importanza che il fatto altrui pu avere nell'esecuzione della prestazione della eccipiente (Cass. 1979, n. 2230). Di conseguenza, l'Amministrazione, anche quando la sua inadempienza sia di scarsa importanza ai fini della risoluzione del contratto, non pu perseverare nell'inadempimento della propria obbligazione scaduta e pretendere, contestualmente, dall'appaltatore l'esatto adempimento del- l'obbligazione posta a suo carico perch tra le due prestazioni vi un rapporto sinallagmatico che non consente di considerarle totalmente indipendenti l'una dall'altra. Anche i princpi di correttezza e buona fede, che permeano la disciplina delle obbligazioni (art. 1175 e.e.) e del contratto, con particolare riguardo al momento della sua esecuzione (art. 1337, 1366 e 1375 e.e.) e che, sotto il profilo in esame, impegnano il debitore a svolgere senza ingiustificate dilatazioni, ma con diligente sollecitudine, l'attivit necessaria I r i I I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 675 all'adempimento, non consentono di pervenire alla conclusione sollecitata dalla ricorrente Amministrazione. La gravit e la rilevanza dell'inadempimento dell'obbligazione dell'Assessorato regionale, ai ..fini della giustificazione del rifiuto dell'appaltatore di eseguire la propria obbligazione, stata accertata dalla Corte di merito, la quale ha rilevato che il contratto prevedeva il pagamento di acconti; che i termini relativi erano gi scaduti quando l'impresa avrebbe dovuto riprendere i lavori gi sospesi; che la percezione delle somme illegittimamente non pagate dall'amministrazione, era necessaria all'impresa per far fronte alla continuazione dci lavori; che il mancato pagamento delle rate degli acconti esponeva l'impresa a maggiori oneri non giustificati, anzi causati dalla condotta gravemente colposa dell'amministrazione. Tali giudizi di fatto, essendo sorretti d'adeguata e congrua motivazione, immune da errori logici e giuridici, si sottraggono al sindacato di questa Corte di legittimit. La ricorrente Amministrazione denunzia, altres, la violazione dell'art. 29 del d.P.R. n. 1063 del 1962 sostenendo che esso esclude il diritto dell'appaltatore di chiedere la risoluzione del contratto ovvero di proporre l'azione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 e.e. La tesi , per, infondata in quanto il predetto art. 29, dopo avere stabilito nei primi commi l'obbligo dell'appaltatore di ultimare i lavori nel termine stabilito nel contratto e le sanzioni poste a suo carico per l'inadempimento, prevede espressamente, nell'ultimo periodo del sesto comma, che resta salvo cd impregiudicato ogni eventuale diritto dell'appaltatore, qualora il ritardo sia dovuto a fatto imputabile alla amministrazione . Infondata , altres, la tesi dell'Amministrazione ricorrente secondo cui, muovendo dalla premessa che gli acconti non costituiscono pagamenti delle partite di lavoro eseguite, ma anticipazioni parziali del prezzo finale, ne deduce che non esisterebbe un obbligo di pagare le singole partite di lavori eseguite e l'ulteriore conseguenza che non esisterebbe inadempienza dell'amministrazione committente nel caso di mancato o ritardato pagamento. In realt, l'affermata inesistenza di un obbligo di pagare le rate di acconto costituisce una premessa apodittica, non soltanto indimostrata, ma in contrasto con gli obblighi contrattuali assunti quali sono stati accertati, dai giudici di merito e con la stessa natura degli acconti in corso d'opera; essa non , quindi, idonea a sorreggere la conclusione che non pu sussistere inadempimento della P. A. La tesi non pu, dunque, essere accolta. In linea di massima deve ammettersi che il principio della postnumerazione del corrispettivo, codificato nell'art. 1665, u.c. e.e., opera anche nell'appalto di opere pubbliche, e che, per effetto di esso, il credito del 676 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'appaltatore al prezzo diventa certo liquido ed esigibile solo dopo la ultimazione, la collaudazione e l'accettazione delle opere, in quanto nei negozi modellati sulla locatio operis le due prestazioni reciproche non debbono essere eseguite contemporaneamente, ma l'adempimento della committente segue la gi avvenuta prestazione dell'altra parte; occorre, tuttavia, precisare che l'applicazione di tale regola ha subto notevoli attenuazioni per effetto della prevista disciplina del versamento degli acconti in corso d'opera la quale ha apportato notevoli e radicali deroghe al principio privatistico. Il pagamento degli acconti in corso d'opera previsto dalla legge -come ha osservato la sentenza impugnata -allo scopo di evitare allo appaltatore oneri finanziari troppo rilevanti con inevitabili riflessi sul costo dell'opera e, quindi, nell'interesse pubblico. Essi hanno carattere provvisorio, non costituiscono solutio e non costituiscono riconoscimento del credito dell'appaltatore da parte dell'amministrazione. L'art. 33, primo comma, del vigente capitolato generale regola il pagamento di tali acconti e stabilisce che essi devono essere corrisposti in conto del corrispettivo degli appalti nei termini o nelle rate stabilite nel capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti . I commi successivi e l'art. 34 stabiliscono, quindi, i termini per l'emissione dei certificati di pagamento, l'obbligo dell'Ammini strazione di effettuare ritenute-garanzia che si aggiunge alla cauzione per l'adempimento degli obblighi dell'appaltatore, nonch i criteri per la valutazione dei lavori in corso d'opera da effettuare al fine dei pagamenti degli acconti. L'art. 35, di cui si gi detto, e l'art. 36, disciplinano rispettivamente le conseguenze dei ritardi nei pagamenti degli acconti e del ritardo nel pagamento della rata di saldo. L'art. 35, in particolare, regola distintamente l'ipotesi del ritardo nella emissione del certificato di pagamento della rata di acconto e quella del ritardo nell'emissione del titolo di spesa a favore dell'appaltatore; esso stabilisce le sanzioni civili a carico dell'Amministrazione, che consistono nell'obbligo di pagare gli interessi legali, in taluni casi, e gli interessi moratori, in altri, e legittima l'appaltatore, nei casi pi gravi di ritardo, ad agire innanzi al giudice arbitrale od ordinario per ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto. La norma in esame prevede, altres, limitazioni di responsabilit a favore della P. A. le quali trovano la loro ratio nelle peculiarit struttu rali e funzionali dei suoi organi; esse, per, non trovano applicazione quando l'inadempimento sia volontario e determinato, quindi, da dolo o da grave colpa; in questi casi -come si visto -la responsabilit dell'Amministrazione regolata non pi dalle norme speciali in esame, ma dalle. norme di diritto comune sull'adempimento delle obbligazioni pecuniarie, esclusa, per, la presunzione di colpa e con il trasferimento PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI dell'onere della prova alla parte creditrice (art. 1224, 1282 e 1453 s.s. cod. civ., nonch, per quanto interessa pi specificamente in questa sede, l'art. 1460 e.e.). Occorre, inoltre, precisare che il pagamento degli acconti in corso d'opera da parte della pubblica Amministrazione, contrariamente a quanto ritiene l'Assessorato ricorrente, un diritto dell'appaltatore per la cui tutela egli pu agire in giudizio per chiederne non solo la liquidazione, ma anche il pagamento perch la solutio costituisce il contenuto di un obbligo dell'amministrazione e, reciprocamente, di un diritto dell'appaltatore che, per sua natura e per espressa previsione normativa, deve essere adempiuto durante l'esecuzione dei lavori, senza pregiudizio dell'adempimento dello stesso appaltatore e della determinazione del suo credito finale, che saranno poi verificati dopo il collaudo e per i quali l'amministrazione garantita, sia dalla cauzione che dalle ritenute sugli acconti stessi previste dall'art. 33 del d.P.R. n. 1063 del 1962. Inoltre, poich il pagamento di tali acconti costituisce un' diritto subiettivo dell'appaltatore, egli pu proporre anche l'azione diretta a conseguire il pagamento degli interessi gi scaduti sulle rate di acconto non versate. SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 24 maggio 1985, n. 5103 -Pres. Radaelli -Rel. Cavallari -Imp. Andreucci Francesco ed altri -Parte civile Amministrazione finanziaria dello Stato (avv. dello Stato De Stefano). Procedimento penale Dibattimento -Pubblico Ministero -Omissione di conclusioni nei confronti dell'imputato Nullit sanabile ex art. 471 cod. proc. pen. Cosa giudicata penale Effetti Inammissibilit di un secondo giudizio (ne bis in idem) Fatto compatibile con quello giudicato in prece denza Concorso materiale -Sussistenza. Reato Delitto di cui all'art. 476 cod. pen. -Certificati di provenienza (1) emessi da privato esercente deposito libero di olio minerale per uso commerciale Sono atti pubblici. Impugnazioni penali Sentenza che dichiara causa estintiva del reato Improponibilit in cassazione di difetto di motivazione anche ai fini dell'applicazione dell'art. 152 cod. proc. pen. Qualora nel dibattimento il rappresentante del Pubblico Ministero non prenda conclusioni nei confronti degli imputati, tale omissione determina una nullit sanabile ex art. 471 cod. proc. pen. La disposizione dell'art. 90 cod. proc. pen. non applicabile quando oggetto del nuovo procedimento un fatto compatibile con quello giudicato in precedenza e quindi suscettibile di concorso materiale col medesimo. Il certificato di provenienza, necessario per legittimare il trasporto degli oli minerali, costituito dal modello H ter 16 un atto pubblico, e il soggetto che lo rilascia un pubblico ufficiale anche se si tratti di privato esercente deposito libero di olio minerale per uso commerciale, autorizzato dall'Amministrazione finanziaria dello Stato ad emettere detto certificato. In presenza di una causa estintiva del reato non sono proponibili in cassazione difetti di motivazione della sentenza impugnata neppure ai fini dell'art. 152 cpv. cod. proc. pen. (1) Modelli H ter 16 previsti dal d.l. 5 maggio 1957, n. 271 conv. in I. 2 luglio 1957, n. 474. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE (omissis) Neppure ha pregio la nullit dedotta da Rocca Aristide e Rocca Gianfranco (motivo 1). Se vero che nel dibattimento di appello il rappresentante del P. M. non .ha preso conclusioni nei confronti degli imputati in violazione delle norme di cui agli art. 76, 150 c.p.p., altres vero che questa omissione ha determinato una nullit sanabile, e che, nella specie, la stessa nullit stata sanata, non essendo stata rilevata dagli interessati con dichiarazione inserita nel processo verbale ex art. 471 c.p.p. (Cass. S. U. 4 maggio 1968 -Borrasi -Giust. Pen. 1968 -III -481; Sez. II, 8 aprile 1970 -Sbriccoli -Cass. Pen. Mass. 1972 -281). La preclusione di cui all'art. 90 c.p.p., invocata dal Ricci (motivo 2), dal Canaccini, dal Pucciarelli e dal Pantani (motivo 2), stata correttamente esclusa dai giudici sulla base delle risultanze processuali, tenuto conto della mancata coincidenza temporale tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli gi irrevocabilmente giudicati con sentenza 12 novembre 1981 di questa Corte (Processo Petrobenz) e considerato pure che le fonti di provenienza dei prodotti petroliferi erano diverse, stante la emissione di fittizi H ter 16, destinati a coprire anche quantitativi di benzina, mentre certo che la Petrobenz aveva fornito soltanto gasolio. Gli imputati non hanno, comunque, dimostrato, come era, invece, loro onere, la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per la relativa pronuncia di improcedibilit, mentre noto che la disposizione dell'art. 90 c.p.p. non applicabile quando oggetto del nuovo procedimento sia un fatto compatibile con quello giudicato in precedenza e quindi suscettibile di concorso materiale col medesimo (Cass. 8 giugno 1982 -Chivolon - Giust. Pen 1983 -III -460; 26 ottobre 1981 -Massarutti -Riv. Pen. 1982 1031). Le censure di Assilli Giorgio e di Alasso Adolfo sulla ritenuta esistenza dell'associazione per delinquere (motivo 2 dei rispettivi ricorsi) sono infondate. Al riguardo, va osservato che la sentenza impugnata ha desunto proprio dalle ammissioni degli imputati, avvalorate da obiettivi riscontri, la prova che la societ a.r.l. Samoa di Livorno era stata, fin dalla sua origine, costituita, con predisposizione di mezzi, suddivisione di incarichi, divisione di utili, al solo scopo di commettere in modo continuativo e sistematico, su vasta scala, un numero indeterminato di reati di contrabbando di prodotti petroliferi. Pertanto, non si sarebbe potuta ravvisare, nella specie, la semplice compartecipazione criminosa perch, in questa, l'accordo diretto al compimento di uno o pi reati, commessi i quali l'accordo si esaurisce e non costituisce pi alcun pericolo, ma esattamente stato ipotizzato il reato contestato, in presenza di un vincolo associativo consapevolmente esteso ad un generico programma delittuoso (affectio societatis scelerum) e cio in presenza di un accordo tale da costituire di per s un nucleo di forze, rappresentante, per il solo fatto della sua esistenza, indipendentemente dai reati di contrabbando, un RASSEGNA l>ELL1AVVOCATUllA !>ELLO STATO 680 pericolo per l'ordine pubblico (Cass. 17 giugno 1982 Liberti_ Riv. Pen. 1983 -705; 28 aprile 1982 -Bosco -idem, 1983 676). Neppure merita censura il convincimento dei giudici sulla ritenuta esistenza del reato di cui all'art. 476 c.p., anzich di ipotesi delittuose meno gravi di falso (artt. 477 482 -489 .p.), in relazione alla falsificazione dei certificati di provenienza H ter 16 (motivo 1 ricorso Assilli; motivo 3 ricorso Alasso; motivo 2 ricorso Biagiotti, motivo 1 ricorso Privilegi). Anzitutto risulta di tutta evidenza il concorso dell'Assilli e dell'Alasso nella falsificazione degli H ter 16 materialmente perpetrata da Catania Vincenzo, ove si consideri che tale falsificazione, peraltro avvenuta d'accordo con gli altri imputati, era il necessario presupposto della successiva attivit contrabbandiera. N, al riguardo, ha importanza che il Catania non poteva assumere la veste di pubblico ufficiale siccome non delegato dalla P. A. all'emissione degli H ter 16, dato che la delega conferita, a sua richiesta, alla societ Samoa (di cui gli imputati erano ammi nistratori o soci) aveva consentito l'emissione, da parte della stessa societ, dei certificati di provenienza ideologicamente falsi sulla base dei primi certificati materialmente falsi. Va, poi, osservato che, giusta l'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (S. U. 29 ottobre 1983 -Mario ed Altri Giust. Pen. 1984 II -140), il certificato di provenienza, necessario per legittimare il trasporto degli oli minerali, costituito dal modello H ter 16 del modulario generale delle dogane e delle imposte indirette, un atto pubblico e il soggetto che lo rilascia un pubblico ufficiale anche qualora sia un privato esercente di deposito libero di olio minerale per uso commerciale, legalmente autorizzato al rilascio dai competenti uffici dell'amministrazione finanziaria. Poich istituzionalmente la formazione del documento in questione appartiene alla P. A., esso senz'altro un atto pubblico che non muta natura quando sia rilasciato, su delega della stessa P. A., dal privato esercente del deposito libero di olio minerale. In tal caso il privato investito occasionalmente di una pubblica funzione svolta con la formazione di un atto che possiede rilevanza probatoria ed effetti identici a quelli che esso avrebbe avuto se fosse stato rilasciato dall'ufficio pubblico. L'ordinamento penale riconosce espressamente la possibilit dello esercizio di una pubblica funzione da parte del privato che diventa os pubblico ufficiale agli effetti della legge penale (art. 357, n. 2 c.p.). La delega della pubblica funzione al privato, anche se qualificata come autorizzazione, certamente atto di natura concessoria e non autorizzativa, poich non preesiste nel privato alcun potere (nella specie, di emettere pubblica documentazione), per il cui esercizio sia necessario l'intervento della pubblica amministrazione. Come noto, la concessione PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE un negozio di diritto amministrativo, che ha per oggetto il conferimento di potest e di diritti alla persona cui rivolta; essa si distingue dall'autorizzazione, in quanto quest'ultima non crea nel soggetto alcun nuovo potere, ma solo rende lecito o possibile l'esercizio di poteri o di diritti di cui lo stesso soggetto gi sia titolare. N il fatto che la delega assuma, nella specie, la forma contrattuale pu importare una rinunzia, da parte della P. A., alla sua funzione, che verrebbe ad essere attribuita contrattualmente al privato, con la conseguenza che il certificato di provenienza rientrerebbe nella categoria delle autorizzazioni amministrative, tutelate, ai fini della loro autenticit, dall'art. 477 c.p. Invero, il rapporto bilaterale a cui d origine la concessione cosa del tutto distinta dall'atto che tale rapporto produce, s ch diverso il loro rispettivo carattere, e l'esistenza della convenzione, che importa diritti e doveri reciproci tra le parti, non vale a mutare la natura della concessione come atto amministrativo, con cui viene trasferito al privato soltanto l'esercizio di poteri che rimangono di esclusiva pertinenza dello Stato. La stessa consolidata giurisprudenza di questa Corte ha escluso che il modello H ter 16 sia un certificato amministrativo. La natura di atto pubblico del documento di cui trattasi dimostrata dalla constatazione che l'attestazione della provenienza del prodotto petrolifero dal deposito in esso indicato, la prova della sua identit e delle circostanze soggettive, di spazio e di tempo, che ne accompagnano il trasporto scaturiscono in modo originario dall'attivit direttamente compiuta o caduta sotto la diretta percezione del pubblico ufficiale che forma il documento. , infatti, l'esercente il deposito, investito della pubblica funzione, che personalmente identifica il deposito stesso dal quale i prodotti sono estratti e ne accerta qualit e. quantit, coevamente attestando ci che in quello stesso momento va compiendo. Si verifica cio quel primo passaggio dalla realt fenomenica a quella giuridica che carattere essenziale dell'atto pubblico e non del certificato, che atto derivativo di secondo grado, nel quale presupposta, una prova gi acquisita del fatto oggetto di certificazione (cfr. sent. cit.). La sentenza impugnata ha, pertanto, correttamente ravvisato, nella fattispecie il pi grave reato di falso commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici, anzich le me.no gravi ipotesi criminose, di falso in certificati o autorizzazioni amministrative (art. 477 c.p.), di falso commesso da privato in atti pubblici (art. 482 c.p.), di uso di atto falso (art. 489 c.p.). Invero, dalla sentenza impugnata, in base agli elementi di fatto da essa risultanti, non dato rilevare, all'evidenza, cause di non punibilit pi favorevoli, mentre noto che in presenza di una causa estintiva del reato non sono proponibili in cassazione difetti di motivazione della sentenza impugnata neppure ai fini dell'applicazione dell'art. 152 cpv. c.p.p., perch l'inevitabile rinvio al giudice di merito sarebbe incom RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 682 patibile con il principio di applicazione immediata della causa estintiva (Cass. 6 maggio 1982 -Alboetti -Riv. Pen. 1983 -207; 22 marzo 1982 - Bicoli -idem, 1983 -602; 16 febbraio 1982 -Paganotti -idem, 1983 -517). Va, altres, osservato che sulla pretesa erronea qualificazione giuridica del reato nonch sull'assoluzione con formula dubitativa prevale la declaratoria di estinzione, essendo questa esclusa soltanto dall'evidenza delle prove delfinsussistenza del fatto, o dell'incolpevolezza dell'imputato, ovvero perch il fatto non preveduto dalla legge come reato. CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. VI, 29 ottobre 1985, n. 9998 - Pres. Mastursi -Est. Trojano -Rie. P.G. e Amm.ne finanziaria dello Stato (avv. Stato Nicola Bruni). Reato -Delitto di concussione - Metus publicae potestatis -Contenuto. Reato -Delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio Individuazione dell'atto. Reato -Delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio Promessa o ricezione dell'utilit non seguita dall'atto che il p.u. si impegnato a compiere -Sussistenza del reato. Nel delitto di concussione il metus publicae potestatis si atteggia in modo diverso a seconda che l'abuso, posto in essere dal pubblico ufficiale, si realizzi mediante costrizione o induzione per persuasione. Mentre nel primo caso il metus consiste nel timore di un danno apertamente minacciato, nel secondo esso si risolve nella soggezione del soggetto passivo alla posizione di preminenza del p.u., il quale, abusando della propria qualit e delle sue funzioni, faccia leva su di esse per suggestionare, consigliare o convincere a dare o promettere denaro o altra utilit, al fine di stornare un male maggiore, il cui verificarsi sia stato in qualche modo prospettato dall'agente. Nel delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, l'individuazione dell'atto da parte dei contraenti del (( pactum sceleris ricorre anche quando la controprestazione della promessa o della dazione dell'utilit sia costituita da un comportam.ento del p.u. ben determinato nel suo contenuto anche se suscettibile di specificarsi in una pluralit di atti singoli non specificamente previsti e programmati (ha ritenuto il S. C. che tale requisito pu ben ricorrere allorch il direttore dell'ufficio IVA si impegni, nell'ambito di un rapporto di consulenza a carattere continuativo, ad aiutare il contribuente ad evadere le imposte afferenti ad una sua ben precisa e determinata attivit economica). PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Dal momento consumativo del delitto di c6rruzione di cui all'rt. 319 c.p. esula l'effettivo compimento dell'atto, tanto che il reato si consuma anche se il p.u. non faccia seguire alla promessa o alla ricezione della uti lit l'atto elle si impegnato a compiere. (omissis) In via preliminare, deve essete dichiarata l'inammissibilit, per sopravvenuta rinunzia, del ricorso proposto dal Procuratore Generale' presso la Corte di Appello di Venezia contro il proscioglimento del Paolacci da tutti i reati ascrittigli diversi dal delitto di concussione, nonch contro l'assoluzione degli imputati Villani, Zennaro, Tamburro, Ferroni, Ronconi e Dondi. Con l'uriico motivo del ricorso del P. M. e con la. seconda censura del ricorso proposto dalla parte civile si censura la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione dell'art. 317 cod. pen., per aver erroneamente escluso che valesse a concretare il delitto di concussione il comportamento tenuto dal Paolacci nei confronti del Salustri e consistente nell'averlo indotto a procurare clienti alla societ RO/Quattro, della quale erano soci alcuni suoi parenti. Si assume, al riguardo, che tale condotta, sia per la posizione del Paolacci, dirigente del secondo ufficio IV A di Rovigo, sia per le modalit di tempo in cui era stata posta in essere -dopo una ispezione fiscale eseguita a carico del soggetto passivo e quando non era da escludere che altra ispezione potesse essere disposta in ordine ad altra attivit imprenditoriale dello stesso contribuente -aveva sostanziato un vero e proprio abuso della qualit e delle funzioni del pubblico ufficiale, diretto ad indurre il Salustri, sia pure in modo velato, a favorire la cennata societ contro il suo volere. Tale censura infondata. La Corte del merito accert che il Paolacci, dopo aver eseguito, nello studio del Salustri, un'ispezione fiscale conclusasi in modo favorevole al contribuente, era ritornato in detto studio e, conversando con un collaboratore dello stesso Salustri, aveva raccomandato la societ R0/4 dei fratelli Ronconi, di cui erano soci la moglie ed i cognati, chiedendo che le venissero indirizzati dei clienti. Su tali premesse, la Corte escluse la sussistenza degli estremi del contestato delitto sul quadruplice rilievo che la raccomandazione, pur evidenziando una mancanza di correttezza da parte del pubblico ufficiale, non sostanziava, di per s sola, un abuso di ufficio; eh~ non v'era prova che la medesima fosse stata compiuta in forme prevaricatrici o comunque, inti midatorie; che, quanto al requisito del metus pubblicae potestatis, il Salustri, essendo uscito indenne dalla precedente ispezione fiscale, aveva poco da temere dall'imputato; che, infine, dai pregressi rapporti di affari correnti fra il Salustri e la societ R0/4 non era da escludere che l'invio a quest'ultima di nuovi clienti sarebbe avvenuto anche senza l'intervento 684 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del Paolacci. Orbene, tale motivazione, considerata nel suo complesso, resiste alle censure mossele dai ricorrenti. Giova rilevare a tale riguardo, che, come pi volte affermato da questa Corte, il metus publicae potestatis si atteggia, nel delitto di concussione, in modo diverso a seconda che l'abuso, posto in essere dal pubblico ufficiale, si realizzi mediante costrizione, induzione per persuasione o induzione pre frode. Prescindendo da quest'ultima ipotesi del tutto estranea alla fattispecie in esame, da rilevare che, mentre nel primo caso, il metus consiste nel timore di un danno apertamente minacciato, nel secondo, esso si risolve nella soggezione del soggetto passivo alla posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il quale, abusando della propria qualit e delle sue funzioni, faccia leva su di esse per suggestionare, consigliar~ o convincere a dare o promettere denaro o altra utilit, al fine di stornare un male maggiore, il cui possibile verificarsi sia stato in qualche modo prospettato dall'agente. Nella specie, come gi rilevato, la sentenza impugnata ha ritenuto non dimostrato che la raccomandazione rivolta dal Paolacci al collaboratore del Salustri fosse stata accompagnata dall'aperta minaccia di una nuova ispezione fiscale ovvero da quella forma sottile ed indiretta di intimidazione in cui si concreta l'induzione per persuasione. E tale apprezzamento non censurabile in questa sede, poich, se, da un lato, certamente esatto che la mera richiesta di favori avanzata dal pubblico ufficiale ad un privato, non vale a concretare la fattispecie criminosa in esame ove non sia fondata sulla preminenza intimidatrice del soggetto attivo, a sua volta imperniata sull'abuso delle qualit o delle funzioni, dall'altro, come esattamente ritenuto dal giudice del merito, le stesse modalit temporali delle raccomandazioni, non costituivano un elemento decisivo sufficiente a provare che, nella specie, siffatta intimidazione fosse stata realmente consumata. Che, anzi, la stessa circostanza che tale raccomandazione sia stata avanzata non prima o durante l'ispezione fiscale, ma dopo l'esito positivo di questa, potrebbe essere invocata come un indizio contrario alla tesi dei ricorrenti. Non assume, infine, rilievo, ai fini della qualificazione del fatto, l'ulteriore circostanza alligata dai ricorrenti che, cio, il Salustri, infor mato dalle sollecitazioni dell'imputato, sarebbe stato indotto ad aderirvi dal timore delle possibili conseguenze negative di un suo rifiuto; e ci sia perch tale assurdo collide con il convincimento del giudice del merito, tratto dalla testimonianza resa dal medesimo Salustri nell'istrut toria formale, che, e per i pregressi rapporti di affari fra il testimone e la societ R0/4, e per il limitato numero delle imprese operanti nello stesso campo di tale societ, appariva quanto meno possibile che la rac comandazione del Paolacci non avesse spiegato un ruolo decisivo, sia perch, comunque, ai fini della prova della sussistenza di un reato, assu- I I I PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE mono rilievo decisivo la natura e le modalit della condotta tenuta dall'imputato e non certo le reazioni psicologiche o l'interpretazione soggettiva data ai fatti dal soggetto passivo. Con il terzo motivo la parte civile Amministrazione delle Finanze si duole che la sentenza impugnata ha escluso la responsabilit del Paolacci per il delitto di corruzione propria, ritenendo non provato il compimento, da parte del medesimo dietro compenso in denaro, di atti contrari ai doveri del proprio ufficio, senza considerare che l'imputato era venuto meno all'obbligo del rapporto in ordine alla sussistenza di conti correnti occulti, sui quali venivano gestiti i fondi neri della societ Dondi, pur essendone a conoscenza in quanto proprio sui detti conti venivano tratti gli assegni emessi in suo favore; che lo stesso Paolacci si era, inoltre, reso complice nell'emissione, da parte di tale societ, di fatture per operazioni inesistenti; che le dichiarazioni della societ Dondi ai fini dell'l.V.A. contenevano irregolarit ed inesattezze. Questa doglianza merita di essere accolta, poich la motivazione della sentenza impugnata sul punto gravemente lacunsa e contraddittoria. Invero, il giudice di appello rivel essere incontestabile che il Paolacci aveva percepito dalla cennata societ diversi assegni bancari e che la corrispondenza della data di riscossione di questi titoli di credito con l'inizio e la fine dell'anno solare accreditava la tesi che i relativi importi rappresentavano il compenso di incarichi di consulenza fiscale in tema di pagamento dell'l.V.A. Osserv che, tuttavia, l'espletamento di tali incarichi, pur violando un preciso divieto posto dallo statuto dei pubblici impiegati, non valeva, di per s solo a comprovare il delitto di corruzione propria. Invero, premesso che elemento tipico di questo reato l'individuazione, da parte dei soggetti attivi, degli specifici atti contrari ai doveri di ufficio che il pubblico ufficale si impegna a compiere dietro co:t'npenso, la Corte rilev che, nella specie, non sussisteva alcuna prova in ordine a detta individuazione e, comunque, al compimento di tali atti. In particolare, non risultava dimostrato, ad avviso dei giudici del merito, che il Paolacci avesse suggerito alla societ Dondi specifici stratagemmi diretti all'evasione fiscale; ed invero: a) l'apertura di conti correnti intestati ad uno degli amministratori, sui quali confluivano gli introiti della contabilit non ufficiale della societ, rappresentava un'operazione consueta nel mondo degli affari, per la quale la societ Dondi non aveva bisogno di particolari suggerimenti; b) gli illeciti tributari consumati da questa societ non erano particolarmente gravi e, comunque, rientravano, anch'essi nella norma; e) non poteva ritenersi, comunque, che il Paolacci, salvo per quanto atteneva alle dichiarazioni I.V.A. redatte di suo pugno, fosse l'unico o il primo responsabile di tali irregolarit; d) il solo dato sospetto -consistente nelle differenze fra le dichiarazioni I.V.A. e le risultanze dei registri, dovute all'impiego di RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 686 aliquote diverse -non costituiva, di per s, un decisivo elemento di prova, non essendo stata provata la sussistenza del dolo o, comunque, che il Paolacci avesse ricevuto compensi per porre in essere siffatte irregolarit; e) la posizione grarchica dell'imputato non era, inoltre, tale da impedire eventuali verifiche tributarie; f) non risultava, infine, che la societ. Dondi fosse stata agevolata per quanto riguardava i rimborsi di imposta. Al fine di valutare l'idoneit di tale motivazione a sorreggere il proscioglimento del Paolacci, occorre rilevare che la Corte del merito prende le mosse dal principio enunciato da questa Corte (Cass. VI, 24 febbraio 1982, n. 1940) secondo il quale elemento tipico del delitto di corruzione la precisa determinazione dell'atto di ufficio o contrario al dovere di ufficio da compiersi dal pubblico ufficialj!. Invero, l'incontro dei consensi fra corruttore. e corrottq non pu non riguardare la negoziazione di un atto o di un comportamento amministrativo individuato nel suo oggetto e nella sua portata, poich il concetto di compenso previsto dagli artt. 318 e 319, cod. pen., implica una controprestazione che, a sua volta, richiede un termine determinato di riferimento. Sicch non rappresenta elemento idoneo _ad integrare il delitto in esame l'utilit data o promessa nella generica previsione di eventuali, futuri ed imprecisati atti omissivi o commissivi al fine di ottenere la benevolenza del pubblico ufficiale. Senonch il richiamo di questo principio tutt'altro che pertinente al caso di specie. Inver, non pu contestarsi che l'individuazione dell'atto o del comportamento contrario ai doveri di ufficio, da parte dei contraenti del pactum sceleris -ricorre anche quando la controprestazione della promessa o della dazione dell'utilt sia costituito da un comportamento del pubblico ufficiale ben determinato nel suo contenuto anche se suscettibile di specificarsi in una pluralit di atti singoli non specificamente previsti e programmati. E tale requisito pu ben ricorrere allorch il pubblico ufficiale si impegni, nell'ambito di un rapporto di consulenza a carattere continuativo, ad aiutare il contribuente ad evadere le imposte afferenti ad una sua ben precisa e determinata ~ttivit economica. , altres, incontestabile che il rapporto di consulenza tributaria, considerato in se stesso, pu ben mantenersi nei limiti del mero illecito amministrativo e--disciplinare, sotto il profilo dell'inosservanza del divieto, posto ai pubblici dipendenti dall'art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, di esercitare alcune professioni o di assumere impieghi alle dipendenze di privati; ma anche vero che siffatta consulenza, ove riguardi, come nella specie, attivit che il pubblico ufficiale tenuto a vigilare nell'esercizio delle sue specifiche incombenze di ufficio, racchiude in s un grave elemento di sospetto in ordine al suo possibile travalicare nel PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE l'illecito penale, quale strumento rivolto a suggerire al privato comportamenti idonei a sfuggire al controllo. Ne deriva che siffatto rapporto di consulenza, se accertato, deve. costituire l'oggetto di un approfondito esame da parte del giudice del merito allo scopo di appurare se i suddetti limiti siano stati in concreto travalicati. Ed in tale indagine, particolare rilievo assume il comportamento successivo tenuto dal pubblico ,ufficiale, poich, se dal momento consumativo del delitto de quo esula certamente l'effettivo compimento dell'atto tanto che il reato si consuma anche se il pubblico ufficiale non faccia seguire alla promessa o alla \ ricezione dell'utilit l'atto che si impegnato a compiere (cfr. Cass. VI, 12 giugno 1982, n. 5913), del pari indubbio che l'effettiva . ...realizzazione di quest'atto sostanzi un elemento di prova illuminante in ordine all'effettiva portata del pactum sceleris. Per contro, l'indagine condotta sul punto dalla Corte di merito tutt'altro che esente da critiche. Ed, invero, una volta accertato che la societ Dondi si rese responsabile di una serie di infrazioni alle norme tributarie e che queste riguardarono anche le dichi~.razioni ai fini dell'IVA redatte di pugno del Paolacci, la colpevolezza di quest'ultimo poteva essere esclusa soltanto se fosse stato accertato che il medesimo mm vi aveva consapevolmente concorso, essendo, invece, privo di qualsiasi rilievo il sostenere, come invece fa la Corte di appell.o, che tali irregolarit rientravano nella norma o che l'imputato non poteva essere considerato l'unico o il principale responsabile delle irregolarit commesse dall'anzidetta impresa. Inoltre, essendo stato appurato che la societ Dondi aveva aperto conti correnti, intestati ad uno dei suoi amministratori, per farvi confluire i c.d. f9ndi neri , non era sufficiente osservare, al fine di escludere che l'imputato fosse venuto meno all'obbligo di segnalare tale circostanza ai suoi superiori, che trattavasi di un sotterfugio generalmente praticato, la cui adozione non richiedeva il suggerimento di esperti. Sarebbe stato, invece, indispensabile accertare che il Paolacci, pur venendo retribuito con assegni tratti sui detti conti correnti, non ne avesse avuto sentore. Ancora, non pu sfuggire la palese contraddizione esistente fra l'assunto della Corte del merito che la posizione gerarchica ricoperta dal Paolacci nel proprio ufficio non gli consentiva di evitare che la societ Dondi fosse soggetta a verifiche fiscali e l'altra affermazione, pur essa c9ntenuta nella sentenza impugnata, che tali verifiche, pur essendo disposte da ltro funzionario, venivano normalmente eseguite su segnalazione dello stesso Paolacci, cui era attribuita la competenza ad eseguire gli accertamenti tributari, dai quali poteva emergere l'opportunit di indagini ispettive. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata per quanto attiene al reato di corruzione, devolvendosi al giudice del rinvio il compito di accertare la consumazione di tale reato sulla base di una rivalutazione globale di tutte le emergenze istruttorie. 688 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con altro motivo, infine, la parte civile denunzia la violazione del d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, in riferimento all'art. 50, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto. In particolare, si censura la sentenza impugnata per aver applicato l'amnistia prevista dal citato d.P.R. n. 525 del 1982, ai reati tributari commessi da alcuni degli imputati mediante l'emissione di fatture per operazioni commerciali inesistenti o comunque difformi da quelle indicate nelle fatture medesime. Si sostiene, al riguardo, che la suindicata amnistia, proprio perch condizionata alla presentazione di una dichiarazione integrativa la quale comporti la definizione automatica della pendenza tributaria o, comunque, assicuri all'erario un'entrata non inferiore ad un determinato importo, riguarda esclusivamente i reati che abbiano comportato l'evasione del tributo e, pertanto, non applicabile anche ai delitti in esame, previsti nel quarto comma del cit. art. 50, che si sostanziano in reati di mera condotta, del tutto svincolati da una effettiva evasione. Questa doglianza, avente ad oggetto la sola dichiarazione di estin zione dei suindicati reati per intevenuta amnistia, non sorretta da un effettivo interesse a ricorrerre ed , comunque, infondata. Deve rilevarsi, a questo riguardo, che l'art. 1 del citato d.P.R. n. 525 del 1982 ha concesso l'amnistia per i reati previsti, fra l'altro, dall'art. 50 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, subordinando il godimento di tale bene ficio alla presentazione, da parte del contribuente o di chiunque vi abbia interesse, dell'istanza di definizione automatica della pendenza tributaria (secondo comma), ovvero, indichi un'imposta non inferiore a determinati importi (terzo comma). Sin dalla prima applicazione di tale norma, un orientamento dottrinale condiviso da qualche magistratura di merito, ritenne che la stessa condizione cui subordinata l'amnistia -e, cio, la presentazione della dichiarazione integrativa, la quale deve indicare, a norma dell'art. 30 della legge 7 agosto 1982, n. 516, l'ammontare dell'imposta dovuta o la minore eccedenza detraibile -escluderebbe l'applicabilit dd provvedimento di clemenza al reato, di cui al quarto comma del cit. art. 50, consistente, come quelli in esame, nella emissione di fatture inesistenti e nell'annotazione di tali fatture nei registri di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 633 del 1972, poich questo delitto, costituendo un reato formale o di mero pericolo, prescinde, ai fini della sua composizione, da una concreta evasione tributaria. Senonch questa tesi non pu essere condivisa sia perch collide con la chiara formulazione letterale della norma in esame, che ha ri guardo a tutti i reati puniti dall'art. 50 del d.P.R. n. 633 del 1972, e non soltanto alle ipotesi previste nei primi tre commi di quest'ultima norma, sia perch non logicamente ammissibile che il legislatore abbia inteso concedere l'amnistia ai pi gravi reati di cui ai primi due commi dello I I ~ I PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALB stesso articolo, consistenti nel mancato pagamento dell'imposta per un ammontare superiore ai cento milioni o nell'aver ottenuto un indebito rimborso per un ammontare superiore ad un milione ed, invece, negare lo stesso beneficio al meno grave reato di emissione ed annotazione di fatture per operazioni inesistenti. L'unico quesito astrattamente prospettabile concerne, pertanto, i presupposti necessari per l'applicabilit del provvedimento di clemenza a quest'ultimo reato. Invero, mentre una parte della dottrina ritiene che tale delitto sarebbe amnistiabile in modo incondizionato e, cio, indipendentemente dalla presentazione della dichiarazione integrativa, si oppone da altri che, invece, siffatta condizione riguarda tutti i reati previsti dal cit. art. 50, sia perch il testo dell'art. 1 del d.P.R. 525 del 1982 non introduce al riguardo alcuna distinzione, sia perch, infine, la connaturata idoneit dell'emissione e registrazione di fatture false a pregiudicare l'interesse fiscale protetto rende tutt'altro che irrazionale la previsione della presentazione della dichiarazione sostitutiva quale presupposto necessario per l'applicabilit dell'amnistia. Peraltro la risoluzione di tale quesito esula dall'economia del processo, poich, da comunicazione dell'ufficio tributario, risulta che le dichiarazioni integrative in esame sono state nella specie presentate da tutti gli interessati. PARTE SECONDA LEGISLA.ZIONE I NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette l'opposizione di terzo avverso l'ordinanza di sfratto per morosit. Sentenza 25 ottobre 1985, n. 237, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. codice penale, art. 273. Sentenza 3 luglio 1985, n. 193, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. codice penale, art. 274. Sentenza 3 luglio 1985, n. 193, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 211. Sentenza 3 luglio 1985, n. 193, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 3 aprile 19!18, n. 460, art. 32, quarto comma, nella parte in cui non prevedeva che anche i sottufficiali di p.s. potessero conseguire la pensionP-::il compimento di quindici anni di servizio se dispensati dal servizio di autorit. o rimossi dal grado, o cessati comunque dal servizio per effetto di condanna penale. Sentenza 25 ottobre 1985, n. 236, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-1'is. legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21, ultimo comma, nella parte, in cui limitando l'intervento di urgenza del giudice amministrativo alla sospem.ione dell'esecutivit dell'atto impugnato, non consente al giudice stesso di adottare nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d'urgenza che appaiano secondo le circostanze pi idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, le quante volte il ricorrente abbia fondato motivo di temere che durante il tempo necessario alla prolazione della pronuncia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile. Sentenza 28 giugno 1985, n. 190, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. legge 14 aprile 197!1, n. 103, artt. 40, primo comma, e 44, secondo comma, ultima parte. Sentenza 17 ottobre 1985, n. 231, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2122, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 22 luglio 1985, n. 213, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. codice penale, art. 280, ultimo comma_ (art. 3 della Costituzione). Sentenza 3 luglio 1985, n. 194, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. codice di procedura penale, art. 395, primo comma (artt. 3 e 24 della Costi tuzione). Sentenza 15 luglio 1985, n. 202, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. codice procedura penale, art. 489, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 25 luglio 1985, n. 222, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. d.P.R. 14 agosto 1954, 11. 676 (artt. 3, 11 e 53 de1Ia Costituzione). Sentenza 25 luglio 1985, n. 219, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. d.P.R. 23 agosto 1960, n. 905 (artt. 3, 11 e 53 della Costituzione). Sentenza 25 luglio 1985, n. 219, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. legge 18 dicembre 1960, n. 1561, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 3 luglio 1985, n. 198, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. legge 12 giugno 1962, n. 567, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 17 ottobre 1985, n. 227, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 205, lett. a) e e), e 213 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 25 luglio 1985, n. 221, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 28 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 17 ottobre 1985, n. 227, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Sentenza 17 ottobre 1985, n. 226, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. legge 7 agosto 1973, n. 5i9, artt. 64, quarto comma, e 66 (art. 3 della Costi tuzione). Sentenza 22 luglio 1985, n. 212, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. PARTE II, LEGISLAZIONE legge reg. Emilia-Romagna 28 agosto 1973, n. 31, art. 1, secondo comma (art. 130 della Costituzione). Sentenza 22 luglio 1985, n. 211, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. d.P.R. 29 settembre '1973, n. 599, art. 6, primo comma (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Sentenza 17 ottobre 1985, n. 229, G. ,u. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. d.P.R. 29 dicembre 1973, 11. 1092, art. 85, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 giugno 1985, n. 186, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, primo comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 15 luglio 1985, n. 203, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. legge reg. Friuli-Venezia Giulia 17 luglio 1974, n. 31 (artt. 4 e 68 dello statuto regionale). Sentenza 28 giugno 1985, n. 188, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 18 aprile 1975, n. 148, art. 12 (artt. 3, 4, 34 e 36 della Costituzione). Sentenza 22 luglio 1985, n. 210, G. U. 7 agosto .. 1985, n. 185-bis. legge 3 gennaio 1978, n. 1 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 22 luglio 1985, n. 214, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. legge 3 gennaio 1978, n. 1 (artl. 8, n. 5, 17, 22 e 28 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige): Sentenza 22 luglio 1985, n. 214, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. legge 18 agosto 1978, n. 497, art. 4 (artt. 8, n. 5, e 16 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 22 luglio 1985, n. 215, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, ptimo e terzo comma (artt. 3, 36, 51 e 97 della Costituzione). Sentenza 15 luglio 1985, n. 204, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, nel suo complesso e, in particolare, artt. 1, primo comma, 2, primo e secondo comma, e 4 [conv. in legge 4 febbraio 1985. n. 10] (artt. 3, 8, 18 e 19 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 15 luglio 1985, n. 207, G.U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. legge 6 febbraio 1985, n. 16 (artt. 3, 8, n. 5, e 16 dello Statuto spec. TrentinoAlto Adige). Sentenza 22 luglio 1985, n. 216, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 244, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Savona, ordinanza 24 aprile 1984, n. 250/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. codice civile, art. 1916, secondo comma (artt. 35 e 38 della Costituzione). Giudice istruttore tribunale di Genova, ordinanza 26 novembre 1984, n. 239/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. codice di procedura civile, art. 164 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Bari, ordinanza 15 febbraio 1985, n. 311, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. codice di procedura civile, artt. 216, primo comma, e 648, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Fermo, ordinanza 28 gennaio 1985, n. 240, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. codice di procedura civile, art. 246 (artt. 2, 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 25 ottobre 1983, n. 249/85, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. codice di procedura civile, art. 404 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 25 maggio 1984, n. 85/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. codice penale, art. 206, primo e terzo comma (art. 13 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale di Perugia, ordinanza 25 febbraio 1985, n. 262, G. U. 11 settembre 1985, n. 214-bis. codice penale, art. 235 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 7 dicembre 1984, n. 137/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. codice penale, art. 384, pdmo comma (artt. 3 e 29 della Costituzione). Giudice istruttore tribunale di Camerino, ordinanza 6 febbraio 1985, n. 193, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. codice penale, art. 589 (artt. 3, 29 e 30 della Costituzione). ~ Tribunale di Frosinone, ordinanza 7 febbraio 1985, n. 316, G. U. 25 settemi bre 1985, n. 226-bis. I codice di procedura penale, art. 31, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). ! ! Pretore di Urbino, ordinanza 11 febbraio 1985, n. 181, G. U. 31 luglio 1985, i I f n. 119-bis. I ' PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura penale, art. 41-bis (artt. 3 e 97 della Costituzione). Giudice istruttore presso Tribunale di Enna, ordinanza 6 novembre 1984, n. 169/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. codice di procedura penale, art. 192 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Gravina di Puglia, ordinanza 23 marzo 1985, n. 303, G.U. 18 set tembre 1985, n". 220-bis. codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 26 novembre 1984, n. 202/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. Corte di cassazione, ordinanza 17 dicembre 1984, n. 201/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. Corte di cassazione, ordinanza 14 febbraio 1985, n. 255, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. codice di procedura penale, art. 282, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 17 dicembre 1984, n. 266/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. codice di procedura penale, art. 323, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costi tuzione). Giudice istruttore presso tribunale di Vigevano, ordinanza 20 ottobre 1984, n. 285/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. codice di procedura penale, artt. 392, secondo comma, e 296, secondo comma (artt. 24, 25, 97 e 112 della Costituzione). Pretore di San Giovanni Valdarno, ordinanza 8 marzo 1985, n. 319, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. codice di procedura penale, artt. 392, secondo comma, e 296 secondo e terzo comma (artt. 3, 25 e 31 della Costituzione). Pretore di San Giovanni Valdarno, ordinanza 8 marzo 1985, n. 319, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. codice penale militare di pace, artt. 223 e 260 (art. 3 della Costituzione). Corte militare d'appello di Verona, ordinanza 28 marzo 1985, n. 344, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 11, sesto comma, ali. T all'art. 39 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanze (due) 17 maggio 1984, nn. 171 e 172/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 142 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29, n. 1, e 39 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore cli Sal, ordinanza 11 dicembre 1984, n. 112/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. r.d. 18 giugno 1931, l.l 773, art. 86 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tivoli, ordinanza 27 marzo 1985, n. 412, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 152, secondo comma (artt. 2 e 97 della Co~tl tuzione). Pretore di Legnano, ordinanza 28 febbraio 1985, n. 256, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Gravina di Puglia, ordinanza 23 marzo 1985, n. 303, G. U. 18 set tembre 1985, n. 220-bis. legge 10 maggio 1938, n. 745, art. 11 (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Catania, ordinanza 17 gennaio 1985, n. 253, G. U. 17 luglio 1985, n. 161-bis. r.d. 25 maggio 1939, n. 1279, art. 47 (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Catania, ordinanza 17 gennaio 1985, n. 253, G. U. 17 luglio 1985, n. 161-bis. legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24, 25 e 112 della Costituzione). Pretore di Voghera, ordinanza 29 maggio 1984, n. 259/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 3 marzo 1982, n. 194/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 161-bis. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanza 29 novembre 1984, n. 260/85, G. U. 4 set tembre 1985, n. 208-bis. legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 23 (arti. 2, 3 e 33 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 15 marzo 1985, n. 365, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 30 (artt. 3 e 136 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 14 marzo 1984, n. 129/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Tribunale di Bologna, ordinanza 7 maggio 1984, n. 116/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. I I! i I I I PARTB II, LEGISLAZIONE legge 23 marzo 1956, n. 167, art. 8 (artt. 3 e 103 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 28 febbraio 1985, n. 264, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge reg. Trentino-Alto Adige 6 aprile 1956, n. 5, art. 16, secondo comma Cartt. 25 e 63 dellq statuto regionale). Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 aprile 1985, n. 327, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89 e 140, ultimo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 10 dicembre 1984, n. 382/85, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, primo comma, e 140, ultimo comma (artt. 38 e 53 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 21 dicembre 1984, n. 313/85, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 58, ottavo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tolmezzo, ordinanza 31 gennaio 1985, n. 391, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. d.p. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 6 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Gorte d'appello di Catania, ordinanza 26 ottobre 1984, n. 98/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 230/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. Pretore di Messina, ordinanza 20 marzo 1985, n. 338, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Savona, ordinanze (due) 4 dicembre 1984, nn. 76-77/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 115-bis. Pretore di Udine, ordinanza 14 dicembre 1984, n. 80/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Pretore di Palermo, ordinanza 21 dicembre 1984, n. 127/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Pretore di Savona, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 179, G. U. 31 luglio 1985, n. 119-bis. Pretore di Udine, ordinanza 18 gennaio 1985, n. 185, G. U. 31 luglio 1985, n. 119-bis. 1.44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pretore di Ancona, ordinanza 30 ottobre 1984, n. 267/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. Pretore di Bari, ordinanza 15 febbraio 1985, n. 238; G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. Pretore di Udine, ordinanza 15 febbraio 1985, n. 302, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. Pretore di Pescara, ordinanza 28 febbraio 1985, n. 296, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. Pretore di Aosta, ordinanza 23 marzo 1985, n. 297, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. Pretore di Udine, ordinanza 26 marzo 1985, n. 351, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. Pretore di Savona, ordinanze (due) 28 marzo 1985, nn. 356 e 357, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. Pretore di Savona, ordinanza 25 marzo 1985, n. 358, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione. Pretore di Marsala, ordinanza 15 dicembre 1984, n. 75/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Tribunale di Cagliari, ordinanza 22 febbraio 1985, n. 326, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. legge 5 marzo 1963, n. 245, artt. 3, secondo comma, e 12 (artt. 3 e 32 della Costituzione). I Pretore di Milano, ordinanza 9 gennaio 1985, n. 235, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. I legge 10 maggio 1964, n. 336, artt. 1 e 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (tre) 27 nov..em I! bre 1984, nn. 299-301/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis e G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Imperia, ordinanza 27 marzo 1985, n. 341, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 12 febbraio 1985, n. 199, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Nuoro, ordinanza 12 dicembre 1984, n. 298/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. I! ! ! ~ PARm II, LEGISLAZIONE 14f d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 9 novembre 1984, n. 221/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, terzo comma (artt. 3, 114 e 128 della Costituzione e 14 dello statuto regionale). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 26 gennaio 1984, n. 113/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 23 gennaio 1985, n. 220, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 37 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 5 febbraio 1985, n. 268, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. legge 12 marzo 1968, n. 334, art. 8, primo comma (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 5 febbraio 1985, 11. 186, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. Pretore di Lecce, ordinanza 18 aprile 1985, n. 339, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. legge 12 marzo 1968, n. 334, art. 8, primo comma (artt. 41, 42 e 44 della Costituzione). Pretore di Maglie, ordinanza 12 marzo 1985, n. 306, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Vicenza, ordinanza 12 novembre 1984, n. 89/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 60 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 novembre 1984, n. 299/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (due) 27 nnvembre 1984, nn. 300 e 301/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Savona, ordinanza 4 dicembre 1984, n. 76/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Marsala, ordinanza 15 dicembre 1984, n. 75/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 28 e 37 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Sal, ordinanza 11 dicembre 1984, n. 112/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Legge 25 maggio 1970, n. 364, art. 19 cpv., sub 2, (artt. 81, 114, 118, 119 e 130 della Costituzione e ottava disp. trans. e finale della Cost.). Consiglio di Stato, ordinanza 25 maggio 1984, n. 359/85, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. Legge 9 ottobre 1971 n. 825, art. 4, n. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, ordinanza 8 ottobre 1984, n. 286/8.5, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. Legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, primo e secondo comma, n. 14 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 27 novembre 1984, n. 205/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 17, secondo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 22 ottobre 1984, n. 315/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. Legge 24 novembre 1971, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Olbia, ordinanza 20 giugno 1984, n. 241/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 7, 19 e 21 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Sal, ordinanza 11 dicembre 1984, n. 112/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Legge 8 agosto 1972, n. 464, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 6 febbraio 1985, n. 293, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. Legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14, primo comma (artt. 108, 116 e 117 della Costituzione e 4, 8 e 9 dello statuto Trentino-Alto Adige). Corte di cassazione, ordinanze (due) 24 gennaio 1985, nn. 424 e 425, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 20, prima parte (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Salerno, ordinanza 22 gennaio 1985, n. 330, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. i I I PARTE II, LEGISLAZIONE Tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 (artt. 3, 70 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 30 aprile 1984, n. 322/85, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1, secondo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 27 novembre 1984, n. 205/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 53, 97 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Cagliari, ordinanza 27 aprile 1984, n. 209/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, secondo comma (artt. 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 29 settembre 1984, n. 211/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cremona, ordinanza 20 dicembre 1984, n. 237/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (artt. 3 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Siena, ordinanza 7 febbraio 1985, n. 265, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11 (artt. 25 e 103 della Costituzione). Tribunale militare di Cagliari, ordinanza 14 novembre 1984, n. 164/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Tribunale militare di Verona, ordinanza 12 novembre 1984, n. 233/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. Tribunale militare di Verona, ordinanza 26 marzo 1985, n. 348/85, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. d.P.R.. 1 febbraio 1973, n. 50, art. 5, secondo comma (artt. 25 e 63 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 aprile 1985, n. 327, G. U. 2 otto bre 1985, n. 232-bis. d.P.R. 29 marzo 19,73, n. 156, artt. 1 e 183 [come sost. dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3, 15, 21 e 41). Tribunale di Milano, ordinanza 28 marzo 1985, n. 474, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 4 aprile 1985, n. 448, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. Pretore di Calitri, ordinanza 12 giugno 1985, n. 576, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (artt. 3, 10, 21 e 27 della . Costituzione). Pretore di Castiglione delle Stiviere, ordinanza 7 ottobre 1983, n. 321/85, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituziene). Pretore di Torino, ordinanza 23 marzo 1985, n. 423, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. Pretore di Regalbuto, ordinanza 18 aprile 1985, n. 54QJ G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 18 febbraio 1985, n. 345, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 (artt. 3, 10 21 e 27 della Costituzione). Pretore di Taggia, ordinanza 29 novembre 1984, n. 320/85, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, artt. 183, 195 e 336, primo comma, n. 2 (artt. 3, 21 e 27 della Costituzione). Pretore di Ficarolo, ordinanza 12 giugno 1984, n. 328/85, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 334 e seguenti, 183 e 195 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Pretore di Chieri, ordinanza 24 novembre 1984, n. 294/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 7 novembre 1984, n. 350/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. e) (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 22 febbraio 1985, n. 349, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. PARm II, LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. f) (artt. 2, 3, 32, 53 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 18 giugno 1984, n. 215/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Novara, ordinanza 30 novembre 1983, n. 216/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanze (due) 18 e 24 novembre 1983, n. 243-244/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 10 dicembre 1984, n. 382/85, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. d.P.R. \29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 3, 38, 53 "' 7ft della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 15 maggio 1982, n. 210/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), e 46, secondo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pinerolo, ordinanza 16 marzo 1984, n. 122/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 46, primo comma, e 48 (art. 36 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 6 giugno 1984, n. 212/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 48 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Lamezia Terme, ordinanze (tre) 9 febbraio 1984, n. 307-309/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis e G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 49 e 51 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mondov, ordinanza 22 giugno 1984, n. 84/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, ordinanza 8 ottobre 1984, n. 286/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis~ Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 29 settembre 1984, n. 295/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. HO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Macerata, ordinanza 21 feb braio 1984, n. 192/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 29 settem bre 1984, n. 295/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. I Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 12 febbraio 1985, n. 383, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondq grado di Ferrara, ordinanza 8 otto bre 1984, n. 286/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55 (art. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 10 luglio 1984, n. 242/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costi tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 15 maggio 1982, n. 210/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 36 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 6 giugno 1984, n. 212/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 25 marzo 1985, n. 332, G.U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. Pretore di Caltanissetta, ordinanza 30 marzo 1985, n. 334, G.U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. Pretore di Caltanissetta, ordinanze (due) 30 marzo 1985, nn. 335 e 337, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. Pretore di Caltanissetta, ordinanza 25 marzo 1985, n. 333, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. Pretore di Caltanissetta, ordinanza 30 marzo 1985, n. 336, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 52, secondo comma, lett. b) (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Cosenza, ordinanza 14 novembre 1984, n. 226/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ivrea, ordinanza 16 novem bre 1984, n. 314/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. PARTE II, LEGISLAZIONE 1.J1 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 10 luglio 1984, n. 242/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 14 febbraio 1984, n. 263/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, secondo comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 18 giugno 1984, n. 257/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. legge reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, art. 8 (art. 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 no vembre 1984, n. 367/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. legge reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, art. 9 (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia~Romagna, ordinanza 17 novembre 1983, n. 178/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo cpv. (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 maggio 1981, n. 272/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 giugno 1982, D.. 273/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. Tribunale di Agrigento, ordinanza 14 giugno 1982, n. 274/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 1 dicembre 1984, n. 219/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. legge 17 maggio 1985, n. 210 in toto ed, in particolare, artt. 1, 2, 14, 15, 18, 20, 21, 22 e 25 (artt. 2, 3, 8, nn. 5, 18 e 29; 14; 16, 68, 69, 100 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e art. 10 della Costituzione). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 8 luglio 1985, n. 26, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 4 (art. 125 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 novembre 1983, n. 88/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 1.12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26 e 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di La Spezia, ordinanza 16 dicembre 1983, n. 121/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 81 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 7 dicembre 1984, n. 137/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 81, primo comma (art. 10 della Costi tuzione). Corte d'appello di Perugia, ordinanza 26 marzo 1985, :n. 347, G. U. 16 otto bre 1985, n. 244-bis. legge reg. Friuli-Venezia Giulia 15 marzo 1976, n. 2, art. 1 (art. 4 statuto regionale). Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 21 nov;embre 1984, n. 305/85, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 106 (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 novem bre 1983, n. 88/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. d.P.R. 24 luglio JJ77, n. 616, art. 106, ultimo conuna (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (due) 23 feb braio 1985, nn. 291 e 292, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. legge reg. Emilia-Romagna 13 gennaio 1978, n. 5, art. 3 (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 novembre 1983, n. 88/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 29, secondo comma, e 73 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Npoli, ordinanza 23 gennaio 1985, n. 246, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pizzo, ordinanza 2 marzo 1985, n. 258, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Potenza, ordinanze (tre) 21 dicembre 1984 nn. 206-208/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 119-bis. Pretore di Lucca, ordinanza 13 marzo 1985, n. 269, G. U. n. 214-bis. f e 19 gennaio 1985, J 11 settembre 1985, I I I I I PARm II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 14 dicembre 1983, n. 352/85, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. Pretore di Milano, ordinanza 31 gennaio 1985, n. 353, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 2 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 13 marzo 1985, n. 288, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69, settimo comma, e 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). ' Tribunale di Torino, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 167, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 6, terzo comma .is [conv. in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 25 gennaio 1984, n. 175/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ovdinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 1985, n: 161-bis. Pretore di Milano, ordinanza 9 novembre 1984, n. 200/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanze (due) 29 novembre e 5 dicembre 1984, nn. 189 e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 11 gennaio 1985, n. 191, G. U. 17 lug!.io 1985, n. 167-bis. Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 3 maggio 1985, n. 340,' G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Matelica, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 279, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 35, 37, 38 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 13 febbraio 1984, n. 166/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 40 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 6 luglio 1984, n. 231/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. i d.I. 2 luglio 1982, n. 402, art. 5 [come conv. in legge 3 settembre 1982, n. 627] ! I (art. 3 della Costituzione). i j Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 novembre \ 1984, n. 299/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. : Tribunale amministrativo regionale per i1 Piemonte, ordinanze (due) 27 novembre 1984, nn. 300 e 301/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. i I II PARTE II, LEGISLAZIONE 1f9 d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 16 [conv. In legge 7 agosto 1982, n. 516] (arti coli 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bologna, ordinanza 3 aprile 1984, n. 284/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 5 luglio 1984, n. 174/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Santhi, ordinanza 15 marzo 1985, n. 387, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11, 23 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 1 febbraio 1985, n. 229, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. In legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 9 novembre 1984, n. 100/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Tribunale di Roma, ordinanza 21 maggio 1984, n. 117/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. Corte d'appello di Trieste, ordinanza 9 novembre 1984, n. 128/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Tribunale di Napoli, ordinanza 14 novembre 1984, n. 318/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. dJ. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 1, terzo comma [conv. In legge 28 febbraio 1983, n. 53] (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 18 settembre 1984, n. 245/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. d.1. 10 gennaio 1983, n. 2, art. 8 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.J. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 19 [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanza 3 novembre 1984, n. 188/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.I. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19 e 20, quinto, sesto, decimo e undicesimo conana [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione 'tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 28 settembre 1984, n. 125/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19, 20, 21, 22 e 23 [conv. in legge 26 apri le 1983, n. 131] (artt. 3, 23 47 e 53 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 8 novembre 1984, n. 247/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 26 [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cremona, ordinanza 20 dicembre 1984, n. 237/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 16 marzo 1985, n. 310, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 79 (artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 7 gennaio 1985, n. 176, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. dJ. 29 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. in leg2e Il novembre 1983, n. 638] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.P.R. 4 novembre 1983, n. 820, artt. 1, 2, 3, 4, 6, 8, 11, 13, 14, 15 e 17 (artt. 3, 101 e 104 della Costituzione). Tribunale di Messina, ordinanza 7 novembre 1984, n. 355/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. legge 11 novembre 1983 n. 638, art. 14 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanze (due) 29 novembre e 5 dicembre 1984, nn. 189 e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 11 ge~aio 1985, n. 191, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. Pretore di Bari, ordinanza 20 dicembre 1984, n. 124/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. Tribunale di Piacenza, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 290/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. I legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (art. 104 della Costituzione). Tribunale di Piacenza, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 290/85, G. U. 4 set-l tembre 1985, n. 208-bis. i. I . I II ..~ ..........,~ PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. Pretore di Milano, ordinanza 9 novembre 1984, n. 200/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 161-bis. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33, n. 3 (artt. 3, 23 e 53 della Costi tuzione). Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. d.l. 26 maggio 1984, n. 158, art. 6 (artt. 24, 77 e 101 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 22 febbraio 1985, n. 248, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. accordo collettivo nazionale approvato con d.P.R. 16 ottobre 1984, n. 882, art. 3, secondo comma, lett. b) (artt. 3 e 32 dell Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 27 febbraio 1985, n. 271, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. accordo collettivo nazionale approvato con d:P.R. 16 ottobre 1984, n. 882, art. 4 (artt. 3, 4, 32 e 35 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 4 marzo 1985, n. 270, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 10 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costitu zione). Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, primo, secondo, terzo e settimo comma (artt. 24 e 42 della Costituzione). Pretore cii Milano, ordinanza 13 aprile 1985, n. 385, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 13 aprile 1985, n. 385, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e 44 (artt. 3, 25, 79 e 101 della Costituzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 18 marzo 1985, n. 329, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis, primo alinea (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 maggio 1985, n. 371, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9bis, primo alinea (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 6 maggio 1985, n. 372, G~ U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. Pretore di Roma, ordinanze (tre) 10 maggio 1985, nn; 368-370, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. Pretore di Roma, ordinanza 22 maggio 1985, n. 487, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. Pretore di Roma, ordinanze (due) 27 e 24 maggio 1985, nn. 488-489, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. legge reg. Valle d'Aosta approvata il 19 aprile 1985 e riapprovata il 4 luglio 1985 (artt. 2 e 3 dello statuto speciale di autonomia). Presidente Consiglio dei ministri, ricorso 1 agosto 1985, n. 33, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. d.l. 22 aprile 1985, n. 144, artt. 1, 1-bis, 1-quater e 2 [come convertito in legge 21 giugno 1985, n. 297] (artt. 77, 117, 118 e 119 della Costituzione). Regione Lombardia, ricorso 29 luglio 1985, n. 31, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. Regione Emilia-Romagna, ricorso 29 luglio 1985, n. 32, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge reg. sarda approvata il 23 aprile 1985 e riapprovata il 21 giugno 1985 (art. 33, secondo comma dello statuto di autonomia). Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso 19 luglio 1985, n. 27, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. legge 21 giugno 1985, n. 297 [contenente la conversione in legge del d.I. 22 aprile 1985, n. 144] (art. 5, n. 16, dello statuto spec. Friuli-Venezia Giulia). Regione Friuli-Venezia Giulia, ricorso 29 luglio 1985, n. 30, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge 21 giugno 1985, n. 297, artt. 1, lbis, 1-ter, 1-quater e 2 [contenente la conversione in legge del d.l. 22 aprile 1985, n. 144] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Regione Toscana, ricorso 26 luglio 1985, n. 29, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. legge prov. Bolzano riapprovata il 26 giugno 1985 (artt. 8, 9 e 10 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 luglio 1985, n. 28, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. l ! i PARTE II, LEGISLAZIONE 16S d.l. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1, primo, secondo e quinto comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). Regione Veneto, ricorso 2 agosto 1985, n. 34, G. U. 4 settembre 1985, :.. 208-bis. dJ. 22 luglio 1985, n. 356, art. 3 (artt. 3, 77, 81, 97, 117 e 119 della Costi tuzione). Regione Toscana, ricorso 22 agosto 1985, n. 35, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. legge 3 agosto 1985, n. 429, articolo unico, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma (artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione). Regione Liguria, ricorso 27 settembre 1985, n. 39, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. legge 8 agosto 1985, n. 431 (artt. 2, 3 e 4 dello statuto speciale Valle d'Aosta). Regione aut. Valle d'Aosta, ricorso 25 settembre 1985, n. 36, G. U. 9 otto bre 1985, n. 238-bis. legge 8 agosto 1985, n. 431 (art. 4, n. 12 dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). Regione Friuli-Venezia Giulia, ricorso 27 settembre 1985, n. 40, G. U. 16 otto bre 1985, n. 244-bis. legge 8 agosto 1985, n. 431 in toto e in special modo art. 2 (artt. 3, terzo comma, 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24, e 16, primo comma, dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Provincia aut. di Bolzano, ricorso 25 settembre 1985, n. 37, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. legge 8 agosto 1985, n. 431, art. 2 (artt. 3, 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24, e 16 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Provincia aut. di Trento, ricorso 26 settembre 1985, n. 38, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis.