ANNO XXXV -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1983 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI ANNO 1983 ANNo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO , . . . 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltaly Autorizz.,,ione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (5219127) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara} . . . . . . pag. 791 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA de/l'avv. Oscar E INTERNA Fiumara} 836 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio ingolo} . . li 863 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Antonio Catrical e Paolo Cosentino} li 889 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 111 910 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafi/e} (a cura de/l'avli 922 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} 958 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni} 975 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI NOTIZIARIO QUESTIONI .. pag. 117 LEGISLAZIONE 161 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco A.RGAN, Torino; MauriZio DE FRANcHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANOO, Venezia. ARTICULI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI G. MANZARI, AVVOCATO GENERALE DELLO STATO: Legislazione speciale per combattere il terrorismo e la criminalit organizzata nel rispetto delle garanzie costituzionali . . . . . . . . . . . . . . pag. V C. BAFILE: Considerazioni sugli effetti della dichiarazione . . . . . . I, 935 F. GuccIARDI: Problematiche inerenti la confisca penale valutaria, con particolare riguardo alla confisca di azioni . . . . . . . . . . . I, '116 G. PALMIERI: Nota minima in tema di responsabilit precontrattuale della pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 864 Atti ~ell'!ncontro di studio su " Il giudice nazionale e il diritto comunitario ............................. . II, 117 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA AMNISTIA E INDULTO -Legge di delegazione - sufficiente la promulgazione anteriore al decreto presidenziale, 832. ARBITRATO -Clausola compromissoria in contratto della regione Sicilia -Richiamo al capitolato generale oo.pp. del 1895 -Fonte negoziale dell'arbitrato obbligatorio -Sopravvenienza del capitolato generale oo.pp. del 1962 e delle leggi regionali n. 19 del 1972 e n. 21 del 1973 -Derogabilit della competenza arbitrale per unilaterale volont di una parte -Esclusione, con nota di F. FRATTINI, 959. -Competenza arbitrale -Clausola compromissoria -Estensione a tutte le controversie aventi origine dal contratto, con nota di F. FRATTINI, 958. -Competenza arbitrale -Connessione con causa pendente dinanzi all'A. G.O. -Prevalenza della competenza del giudice ordinario, con nota di F. FRATTINI, 958. ATTO AMMINISTRATIVO -Annullamento d'ufficio -Concessione di costruzione -Motivazione -Spe- Annullamento d'ufficio -Tempestivit -Sufficienza interesse pubblico al ripristino legalit, 921. -Prova dei fatti -Facolt di allegazione del privato e poteri istruttori della P.A., 816. AVVOCATI E PROCURATORI -Dipendente da un comune -Indennit di toga Inclusione nella base pensionabile, 821. CACCIA -Esercizio in luogo vietato -Sequestro dell'arma -Efficacia del prov vedimento -Durata, 895. -Esercizio in luogo vietato -Verbale di contravvenzione -Pubblica fede -Limiti, 895. COMUNI -Delega di funzioni amministrative al Comune -Individuazione del l'organo comunale competente -Fa colt del legislatore regionale, 829. COMUNIT EUROPEE -Agricoltura -Integrazione di prez zo ai produttori di olio di oliva ACQUE PUBBLICHE -Piano regolatore generale degli acquedtti -Prescrizioni sull'uso delle acque non traducentiS! in vincolo di portata -Effetti, 972. AGRICOLTURA E FORESTE -Terre incolte o insufficientemente coltivate -Concessione ai contadini -Legittimit costituzionale, 816. cificazione ragione pubbico interesse -Affidamento del privato Fat tispecie, 920. -Annullamento d'ufficio Giustificazione interesse pubblico -Non necessariet per atto attributivo sta tus illegittimo, 921. -Annullamento d'ufficio Motivazione -Comparazione interesse pubbli co e privato -Non necessariet per interesse privato non merite vole di tutela -Stipendi non dovuti, 920. INDICE ANALITICO-ALFABBTICO DBLLA GIURISPRtJOONZA accordata da regolamenti comunitari -Termine per il pagamento Disciplina applicabile, 856. -Corte di giustizia -Domanda di pronuncia pregiudiziale -Giudice competente a proporla -Presidente del Tribunale nel procedimento per decreto ingiuntivo, con nota di S. LAPORTA, 848. -Libera circolazione delle merci -Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute -Derrate alimentari -Aggiunta di vitamine -Disciplina nazionale, 836. -Libera circolazione delle merci -Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute -Derrate alimentari -Aggiunta di vitamine -' Poteri delle autorit nazionali -Limiti, 836. -Unione doganale Dazi doganali . Pagamento -Casi di dispensa -Perdita della merce Furto -Irrilevanza, 844. -Unione doganale Rimborso o sgravio di diritti all'importazione o all'esportazione -Regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430 Ambito di applicazione, con nota di S. LAP0RTA, 848. -Unione doganale Tributi nazionali riscossi in contrasto con il diritto comunitario Ripetizione -Ripercussione sul prezzo dei prodotti . Effetti, con nota di S. LAPORTA, 848. CONTRATTI (IN GENERALE) -Interruzione ingiustificata delle trattative -Responsabilit precontrattuale -Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 863. -Redazione scritta delle trattative svoltesi -Ipotesi della c.d. puntuazione Recesso - consentito Eventuale responsabilit precontrat tuale Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 863. CORTE COSTITUZIONALE -Legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimit costituzionale -Pretore adito ex art. 700 cod. proc. civ. -Limiti, 815. CORTE DEI CONTI -Giurisdizione contabile -Ente pubblico economico e suoi dipendenti Non sussiste L'ISVEIMER ente pubblico economico -Giuri sdizione contabile da parte del1' A.G.O., 882. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA -Accertamento dei presupposti e adozione del provvedimento abitatorio -Concentrazione delle due funzioni del medesimo organo -Legit timit costituzionale, 829. -Occupazione Occupazione d'urgenza Edilizia scolastica Rapporti tra Ministero dei LL.PP. e Amministrazioni provinciali -Schema dell'affidamento in concessione, 892. GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento di giurisdizione -Riforma fondiaria Assegnazione con patto di riservato dominio -Reces so dell'assegnatario -Spettanze conseguenti -Concessione di beni patrimoniali indisponibili -Art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 -Giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo -Non compromettibilit in arbitri, 879. ..... Regolamento -Procuratore generale della Corte dei conti -Avvocatura dello Stato -Rappresentanza in giudizio - inammissibile, 881. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Incompetenza territoriale -Regolamento di competenza -Questione di costituzionalit manifestamente infondata, 916. -Notificazione del ricorso all'autorit emanante -Regione Sardegna -Notificazione al Presidente della Giunta -Validit anche per impugnazione di atto di un assessore -Piano di zona per l'edilizia economica e popolare, 914. VDJ INDICB ANALITICO-ALFABBTIOO DBLLA GIURISPRUDENZA -Sospensione Occupazione d'urgen za Obbligo di restituzione Realizzazione opera pubblica -Irreversibilit dell'occupazione, 910. IMPIEGO PUBBLICO -Atto formale di nomina Illegitti mo Controversia di lavoro Giu risdizione amministrativa Fattispecie, con .nota di G. PALMIERI, 874. -Dirigente Responsabilit dirigenziale Caratteristiche, 915. -Dirigente Responsabilit dirigenziale Contraddittorio Fatti con testati, 915. -Dirigente Responsabilit dirigen ziale per atti del Ministro Valutabilit, 915. -Dirigente Responsabilit dirigenziale -Valutazione -Disfunzioni oggettive Incensurabilit, 915. -Ente pubblico non economico Atto formale di nomina -Carenza -Controversia di lavoro Giurisdizione amministrati.va Fattispecie, con nota di G. PALMIERI, 875. IMPUGNAZIONI PENALI -Sentenza emessa dalla Corte di appello in sede di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza Ricorso per cassazione Inammissibilit, '175. LAVORO -Braccianti agricoli Indennit di maternit Requisiti instaurazione di un valido rapporto assicurativo Maturazione delle 51 giornate lavorative Necessit, 895. -Danni da infortunio sul lavoro Credito per risarcimento . Privile gio generale, 834. -Infortuni Diritto alla rendita . Dipendenti P.T. addetti agli uffici Condizioni, 889. OPERE PUBBLICHE -Appalto Licitazione privata Diniego approvazione Aggiudicazione -Gravi motivi -Convenienza nuova gara -Idoneit, 913. -Appalto -Licitazione privata -Diniego approvazione -Aggiudicazione Gravi motivi -Eccezionalit Motivazione, 913. -Appalto -Licitazione privata -Diniego approvazione -Aggiudicazione -Gravi motivi -Sindacabilit della coerenza e logica dell'azione amministrativa, 913. PROCEDIMENTO PENALE -Connessione e competenza Concorso di minorenni e maggiorenni nello stesso reato -Evoluzione dell'ordinamento, 794. -Estinzione del reato per amnistia o indulto -Appellabilit della sentenza, 799. -Preistruttoria di polizia -Immediata perquisizione sul posto Possibilit di farsi assistere da un difensore -Mancata previsione -Legittimit costituzionale, 810. -Rito direttissimo -Interesse dell'imputato a separata fase istruttoria Non costituzionalmente garantito -Termine per la presentazione al dibattimento -Mancata determinazione ex lege -Legittimit costituzionale, 791. REATO -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1'176, n. 159 e suc cessive modifiche -Confisca di azioni -Ordine di annotazione della sentenza nei registri dei soci; con nota di F. GUICCIARDI, 97'5. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e suc cessive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. -Op portunit di disporla ove permanga la disponibilit all'estero, con nota di F. GUICCIARDI, 975. INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA REGIONI -Costruzione di asili nido -Rientra nella materia lavori pubblici di interesse regionale, 829. -Lavori pubblici di esclusivo interesse regionale -Opere portuali Classificazione dei porti - attri buzione amministrativa dello Stato, 812. SANIT -Convenzionamento esterno -Accordo Nazionale -Decreto presidenzia le di esecuzione -Impugnazione lus superveniens -Irrilevanza, 917. -Accordo nazionale -Convenzionamento esterno -Dereto presidenziale di esecuzione -Impugnazione Regione -Controinteressati -Esclusione, 916. -Convenzionamento esterno -Accordo nazionale -Decreto presidenziale di esecuzione -Impugnazione Regione -Intervento -Ammissibilit, 916. -Convenzionamento esterno -Accordo nazionale -Decreto presidenziale di esecuzione -Impugnazione Soggetti legittimati, 916. -Servizio Sanitario nazionale -Principio generale libera scelta -Inesistenza, 917. - Servizio Sanitario nazionale -Strutture pubbliche -Presidi privati convenzionati -Pari ordinazione -Utilizzabilit presidi privati solo in difetto tempestiva prestazione struttura pubblica -Illegittimit, 917. TRENTINO ALTO ADIGE -Provincia di Bolzano -Parificazione delle lingue italiana e tedesca -Riserva di norme di attuazione dello statuto -Non sussiste -Effettivo bilinguismo degli addetti a pubbliche funzioni od a servizi di pubblico interesse -Obbligo -Farmacisti -Sono addetti a servizio di pubblico interesse, 823. TRIBUTI (IN GENERE). -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni Appello -Notifica ad istanza di parte e successivo deposito nella segreteria -Nullit -Sanatoria Esclusione, 954. -Contenzioso tributario -Ricorso alla commissione centrale -Motivazione -Finalit -Requisiti, 948. -Dichiarazione -Effetti -Rettifica a favore del contribuente -Esclusione, con nota di C. BAFILE, 935. -Sanzioni -Provvedimento di irrogazione -Natura dichiarativa -Nascita dell'obbligazione al momento della commissione, 949. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta complementare progressisa sul reddito complessivo -Partecipazione in societ di persone -Determinazione con riferimento alla quota del reddito sociale -Effettiva percezione da parte del socio Irrilevanza, 953. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetto passivo -Tassazione facoltativa in base a bilancio -Societ di capitali trasformata in societ di persone -Domanda espressa - necessaria, 922. -Imposta sulle societ -Agevolazione per il Mezzogiorno -Societ per l'esercizio di cantieri edili -Si estende, 945. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Oneri deducibili -Omessa documentazione -Ricorso contro il ruolo -Dimostrazione -Ammissibilit, 943. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Trasferimento di immobili -Vendita forzata senza incanto, 834. -Imposta sul valore aggiunto (IV A) Evasione -Misure cautelari a garan zia del credito per pena pecuniaria -Iscrizione d'ipoteca -Competenza a richiederla -Spetta all'Intendente di finanza, 904. -Imposte di fabbricazione -Interessi su pagamento dilazionato-Articolo 3-quater d.l. 6 luglio 1974, n. 251 introdotto con legge di conversione X INDICB ANALITIOO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 14 agosto 1974, n. 346 -Entrata in vigore -Data di pubblicazione del la legge di conversione, 925. -Imposte doganali Correzione della liquidazione -Applicazione di una diversa voce di tariffa -Ingiunzione Legittimit -Revisione dell'accertamento Non necessaria, 932. -Imposte doganali -Ingiunzione Motivazione -Requisiti, 932. -Imposte in surrogazione del bollo e del registro Credito a medio e lungo termine -Regime sostitutivo . Contratto condizionato di mutuo Risoluzione consensuale -Applicabilit, 928. TRIBUTI LOCALI -Imposta comunale sull'incremento degli immobili Rettifica del valo re finale Adeguamento del valore iniziale dichiarato da parte dell'ufficio o del giudice -Esclusione Impugnazione del contribuente contribuente -Aumento del valore iniziale dichiarato -Ammissibilit . Limiti, con nota di C. BAFILE, 935. INVIM Applicazione per decorso del decennio -Determinazione del va lore iniziale Legittimit costituzionale, 802. INVIM Base imponibile . Inclusione in essa della componente imputa bile alla svalutazione monetaria Legittimit costituzionale, 802. INVIM Trasferimento di immobili In regime IVA -Esclusione della rettifica del corrispettivo fatturato . Legittimit costituzionale, 803. k .. Ir. ~.,~~~*74~~ INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 13 giugno 1983, n. 164 18 luglio 1983, n. 222 21 luglio 1983, n. 224 . 25 luglio 1983, n. 239 . 26 settembre 1983, n. 261 26 settembre 1983, n. 262 29 settembre 1983, n. 276 29 settembre 1983, n. 286 (ord.) 10 ottobre 1963, n. 301 10 ottobre 1983, n. 302 _18 ottobre 1983, n. 312 20 ottobre 1983, n. 319 20 ottobre 1983, n. 321 28 novembre 1983, n. 326 28 novembre 1983, n. 328 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sez. V, 14 luglio 1983, nella causa 174/82 . . . . . . Sez. IV, 5 ottobre 1983, nelle cause riunite 186 e 187/82 9 novembre 1983, nella causa 199/82 ...... . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 15 luglio 1982, n. 4171 Sez. I, 20 luglio 1982, n. 4257 . Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 320 Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3152 Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3952 Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4123 Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4126 Sez. I, 20 giugno 1983, n. 4229 Sez. Lavoro, 2 luglio 1983, n. 4452 Sez. I, 4 luglio 1983, n. 4470 Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4527 Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4531 pag. 791 794 799 802 810 )) 803 )) 812 815 816 )) 821 823 )) 829 832 834 834 pag. 836 )) 844 848 pag. 958 958 889 )) 863 892 )) 922 )) 925 959 )) 895 928 932 )) 935 XD INDICE CRONOLOGICO Dfll.LA GIURISPRUDENZA Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4730 pag. 943 Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4731 945 Sez. I, 15 luglio 1983, n. 4868 948 Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5002 874 Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5003 875 Sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552 949 Sez. I, 16 settembre 1983, n. 5583 953 Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5692 954 Sez. Un., 12 ottobre 1983, n. 5924 879 Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6178 881 Sez. I, 9 novembre 1983, n. 6628 895 Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6738 856 Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7162 904 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 19 ottobre 1983, n. 38 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 972 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., ordinanza 1 giugno 1983, n. 14 pag. 910 Sez. IV, 11 aprile 1983, n. 223 913 Sez. IV, 9 maggio 1983, n. 285 )) 914 Sez. IV, 24 maggio 1983, n. 330 915 Sez. V, 25 marzo 1983, n. 112 )) 916 Sez. V, 1 agosto 1983, n. 342 920 Sez. VI, 13 gennaio 1983', n. 2 920 Sez. VI, 4 ottobre 1983, n. 682 921 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Pen., 18 novembre 1983, n. 1832 . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 975 CORTE DI APPELLO DI GENOVA Sez. I-A, 15 marzo 1983, n. 418 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 975 PARTE SECONDA QUESTIONI Atti dell'incontro di studio su Il giudice nazionale e il diritto comunitario . . . . . . . . . . . . . pag. 117 LEGISLAZIONE I. Norme dichiarate incostituzionali pag. 161 II. Questioni dichiarate non fondate 161 III. -Questioni proposte 162 LEGISLAZIONE SPECIALE PER COMBATTERE IL TERRORISMO E LA CRIMINALIT ORGANIZZATA NEL RISPETTO DELLE GARANZIE COSTITUZIONALI (*) I 1. -POSIZIONE DEL PROBLEMA. stato notato giustamente che impossibile costruire una categoria unitaria del terrorismo, a meno di non cadere in astrazioni metafisiche. Si pu, in generale, dire che quello itaiLiiano contemporaneo corriiisiponde a.i connotati del terrorismo urbano della nuova smistra, cui appartengono anche i simbionesi americani e la Rote Armee Fraktion tedesca ed , come quelli, caratterizzato dalla sua organizzazione criminale. 2. -CRIMINE ORGANIZZATO E DIRITTO PENALE. La risposta dell'ordinamento penale alla criminalit organizzata deve necessariamente adeguarsi all'entit del fenomeno: quando, infatti, l'organizzazione superi una certa soglia dimensionale, quantitativa o qualitativa, essa minaccia di diventare eversiva del sistema. La minaccia proporzionale all'estendersi dell'organizzazione in un determinato territorio, al crescere dell'elemer.to personale rappresentato dagli aderenti, al costituirsi di un ordinamento giuridico al suo interno, alla proclamazione di valori-guida, ovviamente contrapposti a quelli statuali. In tali circostanze il conflitto con l'organizzazione statuale pu assumere le forme della guerriglia (quando non si trasformi in guerra civile) e pu sollecitare misure di reazione di tipo militare con sospensione delle garanzie costituzionali. Il fenomeno si variamente atteggiato in Italia, come in rapida sintesi mi propongo di esporre per l'inquadramento nel contesto storico dei problemi giuridici da valutare. (*) Nello scorso dicembre, l'Avvocato Generale dello Stato stato invitato a tenere, negli Stati Uniti, una serie di Conferenze sul terrorismo e .fa criminalit organizzata in Italda. Viene qui pubblicata quella tenuta all'Universit di Berkeley. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO XVI II 3. -LA CRIMINALIT ORGANIZZATA E IL TERRORISMO IN ITALIA PRIMA DEL 1970. Si pu, con qualche necessaria approssimazione, assumere il 1970 come l'anno in cui si verifica in Italia un salto di qualit nei fenomeni di criminalit comune organizzata. e di terrorismo. Le forme di criminalit organizzata fino allora operanti possono schematicamente ricondursi ai seguenti cinque ceppi criminologici: -la malavita dell'Italia settentrionale, che operava con organizzazione di modesta dimensione secondo uno schema comune a quello di tutte le societ opulente (ad es. il classico milieu francese); -il banditismo sardo, che si ricollegava alla sottocultura violenta di una societ separata -in particolare in Barbagia -che si rifiutava d'integrarsi nello Stato, restando chiusa per ragioni storiche, geografiche e sociologiche in un sistema agro-pastorale, in cui abigeato, rapina, omicidio costituivano quasi norme di vita; -la camorra napoletana,, la 'ndrangheta calabrese, la mafia siciliana: queste tre forme si caratterizzavano per essere legate a societ agricole di modeste dimensioni economiche, per avere qualche ispirazione sociale di tipo hobsbamwiano e per la pretesa di supplenza nei confronti del potere statale sentito come assente o nemico. Complessivamente nessuno degli indicati fenomeni appariva tanto minaccioso da richiedere una particolare reazione e si confidava -negli anni '50 e '60 -nel superamento della criminalit organizzata, tipica del Mezzogiorno, con lo sviluppo della civilt e del benessere. Anche il terrorismo non dest in quel periodo preoccupazioni gravi, limitato, com'era, a due settori: quello alto-atesino e quello neofascista. Il primo, insorto in seno al gruppo linguistico tedesco del Trentino Alto-Adige, appariva ricalcare schemi di stampo ribellistico ottocentesco, vicini alla visione romantica cara a Shelley della tempestosa bellezza del terrore e generalmente si rivolgeva solo contro le cose (come i tralicci dell'alta tensione). L'altra forma non preoccupava per la scarsa consistenza oggettiva delle sue manifestazioni, per l'evanescenza della struttura organizzativa di appoggio e per la scarsa idoneit degli ideali retrostanti a coagulare simpatia e consenso. 4. -LA RISPOSTA DELL'ORDINAMENTO. Il codice penale del 1930 si limitava a considerare come aggravante la partecipazione al reato di pi di cinque persone e configurava come NOTA REDAZIONALE xvn reati a s l'associazione a delinquere semplice o qualificata da particolari finalit illegali. Nel dopoguerra, la legge n. 42 del 1948 si limit a vietare le Associazioni militari, e, poi, la Costituzione repubblicana viet le as,sociazioni segrete e quelle militari con scopi politici. Furono in seguito emanate le leggi n. 1423 del 1956 e 575 del 1965 che prevedevano misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica e la pubblica moralit e indiziate di appartenenza ad associazioni ma fiose. L'idea go.ida del legislatore fu quella di sradicare il soggetto pericoloso dal suo territorio in modo da disintegrare l'organizzazione locale per poi eliminarla: l'effetto fu opposto, perch il trapianto di focolai della malavita meridionale ne favor il dilagare nell'ambito della pi ricca economia dei luoghi di soggiorno. Quanto alla normazione processuale del codice di rito -fedele ad uno schema di tipo schiettamente inquisitorio, coerente con l'epoca della sua emanazione, coeva al codice sostantivo -si ebbe negli anni del dopoguerra un fenomeno di liberalizzazione, grazie a interventi legislativi novellistici ed a pronuncie della Corte costituzionale, che accentuarono le garanzie del diritto alla difesa e limitarono i poteri di polizia giudiziaria e la durata della carcerazione preventiva. L'ultima iniziativa legislativa in tal senso fu la legge n. 98 del 1974 in tema di intercettazioni t~lefoniche. III 5. -CRIMINALIT ORGANIZZATA E TERRORISMO DOPO IL 1970. Il panorama cambia radicalmente negli anni settanta: in essi mala vita e terrorismo si sviluppano in maniera sconcertante dando luogo a fenomeni di interconnessione sempre pi gravi e allarmanti. Accanto al terrorismo nero, divenuto pi feroce ed efficiente (strage di Brescia, treno Italicus, strage di Bologna) sorge quello rosso, alimentato dall'ampio retroterra di una cultura di sinistrn e sostenuto da un'area di simpatizzanti che era, almeno all'inizio, tale da consentire agli aderenti di nuotarvi dentro come pesci, secondo la classica immagine di Mao. Viene raggiunta un'organizzazione particolarmente efficiente che stata ricostruita ed emersa in pieno nel corso del processo Moro. Vale la pena di farne un cenno: essa prevedeva al vertice una Direzione strategica coadiuvata da un Consiglio, cui spettava, insieme xvm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO all'alta direzione politica, quello che in termini di dottrina dello Stato potrebbe definirsi il potere legislativo. Accanto alla direzione strategica era previsto un Comitato esecutivo che praticamente riuniva il potere esecutivo e quello giudiziario. L'apparato militare era composto di colonne -autosufficienti e indipendenti organizzativamente -in cui confluivano brigate -dotate di autonomia tattica -a loro volta suddivise in cellule di non meno di 3 e non pi di 5 unit, che formavano i minimi nuclei operativi. Tutta l'organizzazione era dominata dal principio di compartimentazione in senso verticale e orizzontale nei rapporti con superiori e collaterali. Parallelamente all'organizzazione militare si svilupp un'organizzazione politica costituita dai Comitati rivoluzionari affiancati alle colonne. In un secondo momento intervennero i Fronti, organi di mediazione politica tra Direzione strategica e colonne. Una struttura complessa e articolata, che ricorda quella di organizzazione della guerra partigiana e che riecheggia per molti aspetti la doppia subordinazione del sistema costituzionale-amministrativo sovietico. Le B.R. avevano inoltre istituito una rete di contatti con altri gruppi di analoga matrice, tra i quali si possono ricordare P.L. e N.A.P. A tali organizzazioni risalgono i feroci omicidi di decine di politici, di magistrati, giornalisti, avvocati, sindacalisti, il sequestro e l'assassinio dell'on. Moro, che segn il punto pi alto e pi tragico dell'attacco portato al cuore dello Stato. In quel torno di tempo il fenomeno della malavita comune organizzata si acutizzava con l'estendersi dei suoi allacciamenti e con la tendenza a fondersi tra loro delle organizzazioni tradizonali. Queste perdevano via via il retaggio di qualche valore positivo, anche se deviante, con l'abbandono del settore povero dell'economia agricola e la penetrazione in quelli pi ricchi dell'edilizia privata e pubblica e del- l'industria. Traffico di droga e racket del commercio diventano vere e proprie industrie ramificate ormai sul territorio nazionale, conservando tuttavia delle origini tutta l'efficacia intimidatoria e la legge ferrea del- l'omert. Il banditismo sardo esporta nel continente il know-how del sequestro di persone. Si intensificano i contatti oggettivi e soggettivi tra malavita comune e malavita politica per il diffondersi, da una parte, della pratica dell'autofinanziamento mediante i reati comuni, con il proliferare, dall'altra, delle conversioni ideologiche, specie nelle carceri, dei delinquenti comuni sotto l'incalzare del proselitismo politico. Il crimine organizzato -ormai non pi nettamente distinguibile tra malavita e terrorismo -penetra e si diffonde nei settori pi ricchi della NOTA REDAZIONALE economia italiana ed i proventi criminali raggiungono dimensioni rile vantissime infiltrando tutto il tesssuto economico col riciclaggio attra verso le banche, le case da gioco, l'esportazione e importazione di valuta. Sembra che si verifichi per le orgnizzazioni criminali non pi con finate in sacche localizzate una sorta di metastasi, che aggredisce la societ civile dovunque e a tutti i livelli. 6. -LA RISPOSTA DELL'ORDINAMENTO. a) La legislazione d'emergenza -antiterrorismo. Vincendo la tentazione del ricorso a misure straordinarie (lo stato di guerra) il legislatore italiano reag al terrorismo con una serie di normative che ancorch frammentarie e disorganiche, non sono risultate -sia detto senza trionfalismi -prive di successo. Il drammatico crescendo di tali misure viene significativamente espresso dall'intitolazione delle leggi: si va dalla legge n. 497 del 1974 intitolata nuove norme contro la criminalit alla legge n. 152 del 1975 e 533 del 1977 intitolate alla tutela dell'ordine pubblico e si arriva poi al d.l. n. 625 del 1979 (convertito in legge n. 15 del 1980) intitolato alla difesa dell'ordine democratico e alla legge n. 646 del 1982, intitolata alla difesa dell'ordinamento costitu zionale. Senza poter esaminare i numerosi articoli che la compongono cer cher di sintetizzzare le direttive di tale normazione, che risultano le seguenti: i) interventi strumentali indiretti come la disciplina delle armi (anche improprie) e degli esplosivi; il divieto di uso di caschi e altri mezzi idonei a rendere difficile il riconoscimento; l'obbligo di comunicare alla polizia gli atti di disposizione di immobili; il sequestro obbligatorio di immobili in cui siano rinvenute armi ed esplosivi; ii) potenziamento dei poteri di polizia: in particolare il fermo e la perquisizione anche fuori dei casi di flagranza, salvo il controllo succes sivo dell'autorit giudiziaria; la possibilit di perquisizione di interi bloc chi di edifici su autorizzazione del Procuratore generale della Repubblica; iii) strumenti processuali: come l'ampliamento del giudizio diret tissimo, l'obbligatoriet del mandato di cattura, il diniego della conces sione della libert provvisoria; la proroga fino ad un terzo della durata della carcerazione preventiva per i reati aggravati da finalit di ter rorismo; xx RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO iv) strumenti sostanziali: in particolare la creazione di nuove ipotesi di reato come l'associazione con finalit di terrorismo e di eversione dell'ordinamento democratico, l'aggravamento di pene per reati connessi col terrorismo (ad es. sequestri di persona) e la previsione generale di aggravante per tutti i reati con finalit terroristica; v) nuove esimenti ed attenuanti: queste sono state previste per ipotesi di dissociazione e di pentimento a favore dei compartecipi che si risolvano a collaborare con la giustizia. Tale normativa, che rappresenta un'assoluta novit nel sistema italiano dove l'azione penale obbligatoria e irretrattabile, sembra aver notevolmente contribuito ai successi ottenuti ultimamente. b) La legislazione antimafia. Senza indugiare su misure minori come l'obbligo di identificazione di chi compia operazioni bancarie o presso pubblici uffici d'importo ecce dente i 20 milioni (legge n. 533 del 1975), ovvero come la sospensione dell'amministrazione dei beni personali -esclusi quelli destinati alla professione o ad attivit produttive (legge n. 152 del 1975) -va ricordata la svolta decisiva che si avuta con la legge n. 646 del 1982, che individua una nuova figura di reato l'associazione di tipo mafioso che si ha quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omert che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo dii.retto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attivit economiche, di concessioni, di autorizzazione, appalti o servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per s o per altri. Si tratta di una previsione normativa ad ampio spettro che mira a colpire tutte le forme di delinquenza organizzata proprio nel momento pi pericoloso, che quello della loro infiltrazione nell'economia pubblica. Allo scopo sono previste misure strumentali: come l'attribuzione al Procuratore della Repubblica di speciali poteri d'indagine sul tenore di vita, sulle disponibilit finanziarie e sul patrimonio degli indiziati, del coniuge, dei figli e di chi abbia convissuto negli ultimi quattro anni, nonch delle persone giuridiche su cui l'indiziato abbia il controllo pi o meno esteso. Sono altres previste misure cautelari come il sequestro dei beni ritenuti di illecita provenienza o derivanti dal reimpiego, salva la confisca in caso di condanna. Misure sostanziali vengono adottate prevedendo nuove figure di reati, quali la concorrenza con violenza o minaccia in attivit commerciali o comunque produttive, e come l'incriminazione dei pubblici dipendenti e amministratori che non osservino le norme restrittive prescritte per NOTA REDAZIONALE il rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni, ecc., o non applichino le misure di ritiro o di decadenza prescritte dalla legge. Numerose altres le norme strumentali di incidenza fiscale o valutaria come la prescrizione, in caso di sentenza anche non definitiva di condanna, alla Guardia di Finanza di procedere alla valutazione della posizione fiscale, anche con riguardo a illeciti valutari e societari; la previsione della cattura obbligatoria in caso di accertamento positivo, e l'iscrizione dell'esito in apposita banca dati presso il Ministero dell'interno. istituito un regime di controllo patrimoniale dei dieci anni successivi all'emanazione della condanna, con obbligo di comunicare tutte le variazioni patrimoniali superiori ai 20 milioni e con l'elevazione a specifico reato dell'eventuale inadempimento a tale obbligo. Va anche ricordata la creazione di una Commissione parlamentare sul terrorismo e la mafia e di un Alto Commissario per il coordinamento con poteri straordinari d'indagine. Si pu, infine, ricordare la legge n. 17 del 1982, emanata in occasione dello scioglimento della Loggia P2 che, in attuazione dell'art. 28 della Costituzione, ha definito la figura del reato di associazione segreta. IV 8. -PROBLEMI DI COSTITUZIONALIT. La legislazione di emergenza ha sollevato problemi di compatibilit di alcune norme con i principi della carta costituzionale, segnatamente quelli dell'inviolabilit della libert personale e domiciliare, della durata della carcerazione preventiva e della difesa dell'imputato. Altri problemi potrebbero prospettarsi per la legislazione antimafia in relazione ai principi di rispetto della propriet e dell'iniziativa economica privata. La Corte costituzionale ha avuto occasione di enunziare una serie di principi che consentono di ritenere che anche la pi recente normativa in esame, pur assai severa, non travalichi i limiti della legalit democratica costituzionalmente garantita. Con le due importanti sentenze n. 125 del 1979 e n. 15 del 1982 la Corte ha indicato tre criteri alla luce dei quali va condotta l'indagine della legislazione antiterrorismo (e il principio sembra doversi estendere a quella antimafia): l'effettivit, la ragionevolezza e l'emergenza. L'effettivit -riferita al diritto di difesa -comporta di valutare se a ciascuno consentita in concreto una difesa adeguata e congruente con riferimento al tipo di procedimento cui assoggettato. Il principio, affermato per escludere il diritto all'autodifesa in sede penale, costituisce un parametro generale che sembra idoneo ad esclu XXII RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dere che la legislazione in esame abbia violato il diritto alla difesa, dato che essa mette sempre gli interessati in condizione di tutelare i propri interessi. Il principio di ragionevolezza legittima una reazione normativa pi severa per comportamenti indubbiamente pi gravi e pericolosi di quelli di criminalit comune. La constatazione di un'emergenza in atto, infine, giustifica sia pure con implicito riferimento ad una necessaria temporaneit dei ri medi -un rigore commisurato alle difficolt del momento. Del resto il nostro ordinamento ha apprestato una misura particolarmente importante di garanzia come l'istituzione del Tribunale della libert (legge n. 532 del 1982). Esso assicura inoltre l'importante tutela di ben tre gradi di giurisdizione, ed offre .il presidio del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza dell'imputato. Si pu concludere, come stato ritenuto da molti studiosi, che la normativa considerata, anche se ispirata dal principio salits reipublicae suprema lex, resta al di qua dei limiti della costituzionalit, anche se ad essi assai vicina. PARTE PRIMA I~ -: =~ f=I! GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 13 giugno 1983, n. 164 -Pres. EJ.ia -Rel. Saja Gallina (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale -Rito direttissimo -Interesse dell'imputato a sepa rata fase istruttoria -Non costituzionalmente garantito Termine per la presentazione al dibattimento Mancata determinazione ex lege Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24 e 25; I. 14 ottobre 1974, n. 497, art. 2). Non costituzionalmente protetto l'interesse dell'imputato a che si abbia un'autonoma fase (istruttoria) anteriore al dibattimento. Quando si deve procedere con il rito direttissimo, il pubblico ministero sempre tenuto ad investire il giudice del dibattimento con la massima possibile rapidit, e, se l'imputato detenuto, deve essere osservato il termine di 40 giorni stabilito dall'art. 272 cod. pen. (omissis) Con l'ordinanza in epigrafe il tribUIIlale di Larino denuncia l'art. 2 legge 14 ottobre 1974 n. 497, relativa a nuove norme sulla criminalit, il quale per alcuni delilitti, tra cui quelli concernenti le armi e gli esplosivi, prevede in ogni caso il giudizio direttissimo in deroga a quanto previsto dal primo comma dell'art. 502 cod. proc. penale. Sembra al giudice a quo che la norma suddetta contrasti: a) con l'art. 3 Cost. per irrazionale disparit di trattamento, in quanto gli imputati dei reati suddetti -a differenza di coloro che debbono rispondere di altri delitti -non ipossono usufruire della fase istruttoria, nella quale potrebbero ottenere il proscioglimento, ma hanno l'onere di presentarsi al dibattimento; la norma risulterebbe poi irrazionale anche intrinsecamente perch, da un lato prescrive il procedimento direttissimo e, dall'altro, non fissa alcun termine per l'esercizio del ll'elativo potere-dovere da parte del pubblico ministero, ~l quale pertanto potrebbe dtardare iHi mitatamente il giudizio; b) con l'art. 24 secondo comma Cost. perch limita il diritto di difesa, il quale, per effetto della soppressione della fase istruttoria, pu essell'e esercitato soltanto nel dibattimento; e) con l'articolo 25 primo comma Cost. perch, in violazione del principio del giudice naturale, il pubblico ministero, peraltro non vincolato dall'osservanza di RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 792 un termine, pu stabi1ire con illimitata discreziomclit la data dell'udienza e quindi ha la possibilit di scegliere la sezione ovvero la specifica composizione dell'organo giudicante. (omissis) Pi consistente sembra l'altro profilo, con cui Sii denuncia l'intrinseca irrazionalit della norma perch prescrive il giudizio direttissimo, ma non pone al riguardo alcun termine, sicch il pubblico ministero -secondo quanto si deduce -potrebbe vanificare il fine perseguito dalla legge ri.ta:ridando a suo arbitrfo H dibattimento. Ma ritiene 1a Corte che, in realt, neppure tale rilievo possa essere condiviso. : vero che, secondo la ricordata giurisprudenza o:ridinairia, non dato trarre dalla il.1orma in esame una specifica previsione di carattere temporale, ma ci non significa che in subiecta materia non sussista alcun termine e il pubblico ministero possa conseguentemente agire con una discrezionalit talmente illimitata da sconfinare nell'arbitrio. Anzitutto, se l'imputato detenuto soccorre il prevalente orientamento giurisprudenzia! le, secondo cui, anche nel caso di giudizio direttissimo atipico obbligatorio previsto dalla norma denunciata, deve essere osservato il termine di quaranta giorni stabilito dall'art. 272 secondo comma cod. proc. penale. Peral1.Jro, in via generale, non pu dubitarsi che sussista sempre H dovere del pubblico ministero, desumibile dalla stessa natura del giudizio direttissimo, di investire di giudice del d1battimento con la massima rapidit possibile (cfr. in tali sensi la sentenza di questa Corte 12 dicembre 1972, n. 170). E va osservato che, se vero che la violazione di ta:le dovere non produce nullit, non men vero che sussiste rpUII' sempre t'obbligo di osservarlo (art. 154 primo comma cod. proc. pen.), con la conseguenza che, in caso di colposa omissione, il magistrato soggetto alle sanzioni disciplinari previste dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Inoltre, anche in Vl'ipotesi di procedimenti contro minOTi e maggiori coimputati dello stesso reato, non ricorre quando il reato commesso dal minore... sia distinto e diverso da quello compiuto dal maggore degli anni diciotto, anche se fra tali ,reati sussiste connessione; pertanto, come gi !l"icordato, Ia COTte ha !l"iconosoiuto che la norma impugnata contrastava con l'art. 3 della Costituzione nella :parte in cui non limitava la competenza del giudice oodinario nei confronti dei coimputati minori al caso di procedimenti nei quali minori e maggiori degli anni diciotto siano coimputati dello stesso reato. Le tre pronunce della Corte, dunque, per giustificare la deroga hanno fatto tutte leva sulla esiigenza del simultaneus processus, considerata preminente rispetto alla ratio ispiratrice dell'istituzione di un giudice specializzato per gl'Qmputati minorenni. In particolare, per quanto concerne il rispetto del principio di eguaglianza, 1a ragionevolezza deHa disparit del trattamento riservato a minori autori del medesimo reato, giucl!icati da organi a composizione diversa e con diverso procedimento, a seconda vi siano o meno coimputati maggiorenni, stata dedotta daill'ordinamento, frn esso ravvisando una sorta di preponderante favor per il cumulo processuale, ritenuto necessario per prevenire l'eventualit di giudizi difformi. Ma posteriormente alle richiamate decisioni di questa Corte, il sistema del codice di procedura penale appare sensibilmente modificato, per quanto concerne gli effetti della connessione, da un complesso di disposizioni, dalle quali emerge un deciso orientamento in senso riduttivo. Giova in proposito ricordare che, in correlazione con l'accentuato ricorso, per varie categorie cl!i reati, al giudizio direttissimo, si pone come regola, nell'ambito della connessione, la separazione dei procedimenti. Ed invero, l'art. 35 della legge 18 aprile 1975, n. 110, in materia di controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, nel prescrivere, 796 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per i reati da essa previsti, H rito direttissimo, stabilisce che per i reati connessi si procede, di regola, previa separazione dei giudizi. Del pari gli artt. 17 e 26 della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni a tute1a dell'ordine pubblico, nel prevedere il giudizio direttissimo per determinati reati, stabiliscono che la connessione opera soltanto se indispensabile per l'accertamento dei reati medesimi o della responsabilit dell'imputato. Formule ,analoghe, procedendosi con giudizio direttissimo, si ritrovano in successive leggi: art. 4 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, convertito con modificazioni in legge 30 aprile 1976, n. 159, recante disposizfoni penali in materia d'infrazioni valutarie; art. 80 della legge 1 apr.le 1981, n. 121, per taluni delitti commessi da appartenenti a11'Amministrazione della pubblica sicurezza. Anche al di fuori della instaurazione del procedimento direttissimo, il legislatore nell'ultimo decennio ha inciso in senso limitativo sui casi e sugli effetti della connessione nel processo penale. Cos l'art. 31 della gi citata legge n. 152 del 1975 ha introdotto un'ulteriore deroga, disponendo che i reati commessi da ufficiali o agenti di polizia per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle 'armi sono di regola giudicati separatamente , Sempre nella stessa linea di tendenza, ma con portata di carattere generale, va soprattutto tenuta presente la novella dell'art. 48-bis (art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 534), in punto di rilevanza della connessione , secondo cui la connessione non produce effetti n sulla competenza n ai fini delLa riunione, rispetto ai procedimenti relativi a reati commessi da arrestati, detenuti o internati, ai reati per i quali l'imputato o gli imputati sono stati sorpresi in flagranza e ai reati per i quali la prova appare evidente, procedendosi in questi casi separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati. Norma, quest'ultima, operante pure nella ipotesi di connessione per concorso di persone nel medesimo reato, e che stata ritenuta dalla Corte di cassazione applicabile anche per il concorso del minore con il maggiore di et, ove il primo soltanto sia stato sorpreso in flagranza. Della citata legge n. 534 del 1977 va del pari ricordato, nella stessa prospettiva, l'art. 10, che ha sostituito il testo dell'art. 414 del codice di procedura penale, disponendo che qualora l'ordinanza di rinvio a giudi zio o la richiesta o il decreto di citazione abbiano per oggetto un reato attribuito a pi imputati o pi reati attribuiti a uno o pi imputati, il giudice, sentite le parti, possa ordinare la separazione dei giudizi, ove si manifesti la possibilit di definire prontamente uno o pi dei procedi menti riuniti. Infine, nell'intento di ovviare ai possibili inconvenienti della separazione, la stessa legge n. 534 del 1977, mediante gli artt. 3, 9 e 11, ha inserito nel codice di procedura penale disposizioni che consen tono, nei casi in cui si proceda separatamente nei confronti di imputati dello stesso reato o di reati connessi, di acquisire e dare lettura di atti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dei procedimenti separati, anche se non ancora definiti con sentenza irrevocabile (art. 144-bis); e di sentire liberamente, tanto nella fase istruttoria che in quella dibattimentale, le persone imputate per lo stesso reato o per un reato connesso, nei cui confronti si proceda separatamente (artt. 348-bis e 450-bis). N pu dirsi, invero, che l'orientamento, quale dato desumere dall'attuale normazione, verso una attenuazione della rilevanza della connessione ai fini dell'attribuzione della competenza, abbia carattere contingente: posto che l'art. 2 della legge 3 aprile 1974, 111. 108, nel dettare i princpi ed i criteri direttivi della delega legislativa al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, gi prevedeva, al punto 13, per la disciplina de1l'istituto della connessione, non solo la eliminazione di ogni discrezionalit nella determinazione del giudice competente, ed il potere di disporre, anche in sede di appello, la separazione dei procedimenti su istanza dell'imputato che vi abbia interesse, .ma anche, per quanto attiene al profilo che qui interessa, la esclusione della connessione nel. caso di imputati minori . Nella relazione della commissione ministeriale sul progetto preliminare del codice di procedura penale si legge in proposito che ai fini del maggiore snellimento e della semplificazione del nuovo processo, stato seguito l'orientamento di ridurre notevolmente i casi di connessione ; e che l'art. 14 del progetto riproduce la direttiva n. B della legge delega escludendo l'operativit della connessione in caso di reati commessi in regime di concorso da imputati minori e maggiori degli anni diciotto. Scaduto il 31 ottobre 1979 il termine, pi volte prorogato, per l'esercizio della delega, analogo orientamento si evince anche dai lavori parlamentari preordinati al suo rinnovo, essendo da ultimo previsto, nella relazione che accompagna il testo apprestato dalla IV commissione della Camera dei deputati, presentata il 17 novembre 1982, che i princpi relativi alla disciplina della connessione rimangano quasi del tutto immutati rispetto a quelli della precedente delega, salvo piccole modifiche di coordinamento. Per i minori, poi, ivi prevista, con apposita direttiva (n. 87), una disciplina del processo ispirata ai princpi generali del nuovo processo penale, con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturit e dalle esigenze della sua educazione , nonch dall'attuazione di vari criteri, tra cui indicata, alla lett. a), la non operativit della connessione tra procedimenti concernenti imputati minorenni al momento della commissione del fatto e procedimenti concernenti imputati maggiorenni . La Corte, nuovamente chiamata a verificare se contrasti con il precetto dell'art. 3 della Costituzione la norma che alla competenza penale del tribunale per i minorenni, avente carattere di generalit per gli imputati minori degli anni diciotto, tuttora sottrae soltanto quei minori che siano coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso reato, ritiene RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di non poter pi invocare, a differenza da quanto operato nelle precedenti pronunce, l'esigenza del simultaneus processus, per giustificare la deroga alla competenza del giudice specializzato. Ed invero, la sopravvenuta evoluzione dell'ordinamento processuale penale dimostra chiaramente come in esso, a sguito delle apportate modifiche, il timore del possibile conflitto di giudicati per effetto della separazione dei procedhnenti, timore che alla base del ricorso al processo cumulativo, pi non prevalga necessariamente su altre esigenze parimenti meritevoli di tutela. Del resto gi questa Corte aveva in passato avuto occasione di affermare nella sentenza n. 139 del 1971, che la connessione un criterio fondamentale di attribuzione della competenza , ma nei limiti in cui il simultaneus processus non pregiudica esigenze che l'ordinamento considera preminenti . In contrapposto alla cennata esigenza, cui la contestata deroga intende sopperire, si pone, infatti, con rilievo che la Corte riconosce preminente, la finalit perseguita con la istituzione di un giudice specializzato per gl'imputati minorenni. Il tribunale per i minorenni -si legge nella relazione del Consiglio superiore della magistratura per il 1971 sullo stato della giustizia -fu istituito proprio perch si ritenne che il minore, spesso portato al delitto da complesse carenze di personalit dovute a fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici specializzati che avessero strumenti tecnici e capacit personali particolari per vagliare adeguatamente la personalit del minore al fine di individuare il trattamento rieducativo pi appropriato . Questa Corte -che gi nella sentenza n. 25 del 1964 aveva osservato come la giustizia minorile abbia una particolare struttura in quanto diretta in modo specifico alla ricerca delle forme pi adatte per la rieducazione dei minorenni -ha fatto in proposito richiamo, nella sentenza n. 46 del 1978, alla necessit di valutazioni del giudice fondate su prognosi ovviamente individualizzate in ordine alla prospettiva di recupero del minore deviante , nell'ambito di quella protezione della giovent , che trova fondamento nell'ultimo comma dell'art. 31 della Costituzione. La tutela dei minori si colloca cos tra gli interessi costituzionalmente garantiti, come questa Corte ha sottolineato in varie pronunce (sentenze n. 25 del 1965, nn. 16 e 17 del 1981); ed il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue complessive attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, ben pu essere annoverato tra quegli istituti dei quali la Repubblica deve favorire lo sviluppo ed il funzionamento, cos adempiendo al precetto costituzionale che la impegna aUa protezione della giovent . A conferma di tale configurazione stanno la particolare struttura del collegio giudicante (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), gli altri organi che ne preparano o fiancheggiano l'operato, nonch le peculiari garanzie che PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE assistono l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti all'organo specializzato. E tutto ci, appunto, in vista dell'essenziale finalit del recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale, in armonia con la mta additata dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, nonch dall'art. 14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con legge 25 ottobre 1977, n. 881), a norma del quale la procedura applicabile ai minorenni rispetto alla legge penale dovr tener conto della loro et e dell'interesse a promuovere la loro rieducazione. Alla luce delle su esposte considerazioni la residua deroga alla gene rale competenza del tribunale per i minorenni risulta ormai carente di adeguata giustificazione; e poich ogni deroga ad una disciplina generale (specie se la disciplina, come quella in esame, sia preordinata a tutela di interessi costituzionalmente garantiti) dev'essere sorretta da valide ragioni giustificative, evidente appare il suo contrasto con il principio sancito dall'art. 3 della Costituzione. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 21 luglio 1983, n. 224 -Pres. Elia -Rel. Rossano -Ippolito (avv. Cataldo). Procedimento penale -Estinzione del reato per amnistia o indulto Ap pellabilit della sentenza. (Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. pen., artt. 387, 399 e 512). Non giustificata la disparit di trattamento tra P.M., che ha il diritto di proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non consentito. (omissis) ... il legislatore del 1930, nel dettare la disciplina delle impugnazioni delle sentenze istruttorie e dibattimentali da parte dell'imputato, segu un sistema unitario, ponendo gli stessi limiti all'appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate in giudizio dal pretore (art. 512, n. 2, cod. proc. pen.) e dal tribunale (art. 513, n. 2, cod. proc. pen.) e contro le sentenze di proscioglimento emanate al termine dell'istruzione formale (art. 387, comma terzo, cod. proc. pen.) o dell'istruzione sommaria (art. 395, comma terzo, cod. proc. pen.) e dal pretore nei procedimenti di sua competenza (art. 399 cod. proc. pen.). Contro le sentenze istruttorie e dibattimentali di proscioglimento per estinzione del reato non era concesso l'appello all'imputato, che poteva RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 800 proporre solo il ricorso per Cassazione, che , di per s, limitato ai motivi di legittimit, con esclusione, quindi, di riesame del merito. L'appello del P.M. era consentito in ogni caso. I suddetti limiti all'appello dell'imputato avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento per estinzione del reato sono stati notevolmente circoscritti da questa Corte. In particolare, con le sentenze n. 70 del 1975, n. 73 del 1978, n. 72 del 1979, n. 53 del 1981, alle quali sono seguite le ordinanze n. 79 del 1979 e nn. 11 e 87 del 1980, stata dichiarata l'illegittimit costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen. nelle parti in cui escludevano il diritto dell'imputato a proporre appello contro le sentenze dibattimentali di proscioglimento perch i reati erano estinti per effetto di amnistia o di prescrizione a seguito di giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, a seguito della concessione di circostanze attenuanti, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione o nell'ordinanza di rinvio a giudizio. In tali sentenze stato rilevato che le norme impugnate concernevano un proscioglimento caratterizzato da un previo riconoscimento di colpevolezza, idoneo a produrre effetti negativi in altri giudizi civili ed amministrativi, essendo necessario valutare in concreto la condotta dell'imputato al fine di accertare se il fatto sussistesse, se l'imputato lo avesse commesso o se fosse previsto dalla legge come reato; e, solo sul presupposto di un giudizio affermativo di colpevolezza, avrebbe potuto avere luogo l'altro giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti o di concessione delle circostanze attenuanti ed il proscioglimento per amnistia o per prescrizione nell'ipotesi che anche questo secondo giudizio fosse stato favorevole all'imputato. Nelle stesse sentenze, inoltre, stata posta in evidenza la possibilit che le sentenze dibattimentali di proscioglimento arrecassero un pregiudizio morale e giuridico al soggetto prosciolto, perch le norme impugnate sopprimevano ingiustificatamente taluni modi generali d'esercizio della difesa, negando al solo imputato il diritto di appellare la sentenza di primo grado. Anche le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di amnistia o di prescrizione, che, come quelle pronunciate dai giudici istruttori di Milano, Roma, Torino e Cassino, escludono l'applicabilit dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., in quanto contengono una sostanziale dichiarazione di colpevolezza, possono arrecare agli imputati pregiudizi di ordine morale e di ordine giuridico. innegabile, quindi, che l'imputato ha interesse a dolersi della sentenza istruttoria di proscioglimento, che abbia ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi dei reati contestati e rigettato la sua specifica richiesta diretta ad ottenere il proscioglimento con formula ampia ai sensi dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. o escluso l'applicabilit di tale norma indipendentemente da quella determinata richiesta. In tali specifici casi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'interesse dell'imputato va riconosciuto pi rilevante degli interessi di carattere collettivo e sociale che sono soddisfatti dagli istituti dell'amnistia e della prescrizione. Il proscioglimento per amnistia nella fase istruttoria non comporta preclusione dell'azione civile risarcitoria e dell'azione disciplinare nei confronti di pubblici dipendenti per la sua inefficacia di giudicato nei giudizi civili o nel procedimento disciplinare, ma certamente non pu disconoscersi l'influenza che possano avere in tali giudizi l'accertamento e la valutazione dei fatti effettuati in sede penale. In particolare l'art. 29, comma secondo, r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, sulle guarentigie della Magistratura prescrive l'obbligo di iniziare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato prosciolto con sentenza istruttoria di non doversi procedere per estinzione del reato. Il pregiudizio derivante all'imputato dalle sentenze istruttorie di proscioglimento fu messo in evidenza da questa Corte con la sentenza n. 151 del 1967, dichiarativa della illegittimit costituzionale degli artt. 376, 395, comma ultimo, e 398, comma ultimo, cod. proc. pen. per le mancate previsioni della contestazione del fatto e dell'interrogatorio dell'imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quelle che il fatto non sussiste o non stato commesso dall'imputato. In tale decisione si afferma che le sentenze istruttorie di proscioglimento per loro natura sono atte a cagionare un nocumento almeno temporaneamente irrimediabile in quanto, a differenza delle pronuncie di rinvio a giudizio, chiudono il processo. La citata decisione aggiunge che il proscioglimento pu ferire la dignit del cittadino non dissimilmente da una pronuncia di rinvio a giudizio e che anche la declaratoria istruttoria di estinzione del reato per sopravvenuta amnistia produce effetti analoghi a quelli della corrispondente pronuncia dibattimentale, senza, per, che vi sia stato un previo accertamento di reit. All'interesse morale dell'imputato ad ottenere la sentenza istruttoria di proscioglimento con la formula a lui pi favorevole questa Corte ha, poi, riconosciuto rilevanza anche con la sentenza n. 5 del 1975 dichiarativa della illegittimit costituzionale dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. nella parte in cui non comprende tra le ipotesi, in cui il giudice istruttore, ad istruttoria ultimata, deve pronunciare sentenza di proscioglimento nel merito, anzich declaratoria di estinzione del reato per amnistia, anche l'ipotesi in cui manchi del tutto la prova che l'imputato abbia commesso il reato stesso. Analoghe considerazioni portano a ritenere, quanto al caso in esame, non giustificata la disparit di trattamento tra PM., che ha il diritto di proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non consentito. La norma impugnata turba il necessario equilibrio del contraddittorio ed in tal senso viola anche il principio del diritto di difesa. (omissis) 802 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO p.q.m. dichiara: a) l'illegittimit costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del giudice istruttore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione; b) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit costituzionale dell'art. 399, comma primo, cod. proc. pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del pretore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato pe:r amnistia o prescrizione; c) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen., come sostituiti dagli artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale), nelle parti in cui escludono il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del pretore, del tribunale e della Corte di assise che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. I CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1983, n. 239 -Pres. Elia -Rel. Ferrari Soc. Cestelis ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi locali INVIM -Base imponibile Inclusione in essa della com ponente imputabile alla svalutazione monetaria -Legittimit costi tuzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 1, 2, 3, 6, 14 e 15). Tributi locali -INVIM -Applicazione per decorso del decennio -Deter minazione del valore iniziale -Legittimit costituzionale. (Cost., art. 76; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6). L'inclusione nell'imponibile dell'INVIM della componente imputabile alla svalutazione monetaria non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. Non contrasta con l'art. 76 Cost. l'art. 6 del d.P.R. n. 643 del 1972 nella parte in cui disciplina la determinazione del valore iniziale ai fini dell'applicazione dell'INVIM per decorso decennio. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 803 II CORTE COSTITUZIONALE, 26 settembre 1983, n. 262 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -S.p.A. Centrale di Costruzioni IMCO (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi locali -INVIM -Trasferimento di immobili -In Tegime IVA Esclusione della rettifica del corrispettivo fatturato -Legittimit costituzionale. (Cost., artt.. 3 e 53; l. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 6; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6). Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. l'art. 6, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, che discrimina tra trasferimenti immobiliari sottoposti ad imposta registro (o sulle successioni) e trasferimenti immobiliari assoggettati ad IVA, escludendo per questi ultimi la facolt dell'ufficio di rettificare i corrispettivi dichiarati (1). I (omissis) L'imposta in parola, (la INVIM), che succeduta a quella sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili (IV AF), di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 246 -la quale a sua volta aveva sostituito il contributo di miglioria istituito col testo unico per la finanza locale (r.d. 14 settembre 1931, n. 1175) - stata oggetto, non solo di successivi aggiustamenti ad opera del legislatore, e precisamente nel 1974 (d.P.R. n. 688), 1975 (legge n. 694), 1977 (legge n. 904), 1979 (d.l. n. 571, convertito nella legge 12 gennaio 1980, n. 2) e, da ultimo, nel 1982 (d.P.R. n. 953, convertito nella legge 28 febbraio 1983, n. 53), ma anche di varie pronunce di questa Corte, tra cui le sentenze nn. 8 del 1978, 126 del 1979 e 121 del 1982, oltre le ordinanze nn. 9 e 67 del 1978, 39 e 148 del 1980, 60 del 1981, 8 del 1983 (di (1) Uno dei tanti miti creati dalla riforma tributaria del 1972-1973 quello della inevitabilit della sottrazione dei trasferimenti immobiliari avvenuti in regime IVA al potere della amministrazione finanziaria di procedere a revisione del corrispettivo dichiarato (e quindi anche fatturato). In realt, nulla osterebbe ad un ripristino della generale estensione di tale potere, ai fini di una imposizione di registro di conguaglio (con gettito stimabile superiore a lire 200 miliardi l'anno); ed anzi una siffatta soluzione contr.ibuirebbe a contrastare la diffusa pratica della sottofatturazione nel settore edilizio e immobiliare. Va comunque rilevato che la sottofatturazione -beninteso, se accertata -pu ora essere penalmente rilevante (art. 1, comma secondo, del d.l. 10 luglio 11982, n. 429). Il discorso non finisce qui. Il confine tra regime IV A e imposizione proporzionale di registro stato, dalla nostra legislazione delegata, fissato in modo che pare non conforme alla VI direttiva CEE in tema di IVA e quindi contrastante con gli artt. 11 e 76 della Costituzione (cfr. anche Corte giust. 804 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO restituzione ai giudici a quibus) e 27 del 1983 (di manifesta inammissibilit). Con le sentenze nn. 8 del 1978 e 121 del 1982 stata dichiarata la non fondatezza delle .questioni di legittimit costituzionale sollevate, sotto il profilo dell'eccesso rispetto alla legge di delegazione in ordine agli articoli 2, primo comma, 7 e 15 lettera e), del d.P.R. n. 643 del 1972 e, in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., in ordine all'art. 18, quarto comma, dello stesso decreto presidenziale, il quale dispone che le spese incrementative, da computarsi ai fini del calcolo del valore iniziale del bene, se non gi esposte nella dichiarazione, debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'ufficio al momento della registrazione dell'atto . Con la sentenza n. 126 del 1979, infine, giudicando sulla legittimit costituzionale degli articoli 2, 4, 6, 7, 14, 15 e 16 del decreto presidenziale n. 643 del 1972 e dell'art. 8 della legge n. 904 del 1977, denunziati in riferimento agli artt. 3, 42, 47 e 53 Cost., la Corte, premesso: che gli incrementi di valore sono dovuti, non gi alle iniziative dei privati, ma all'insieme dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e degli enti locali; che l'imposta ha pertanto una giustificazione fondamentale; che l'incremento dei valori immobiliari di per s costituisce sicuro indice di capacit contributiva; che, conseguentemente, legittima l'imposizione diretta a colpire gli effettivi incrementi di valore degli immobili , ha rigettato la censura formulata in riferimento all'art. 53 Cost., affermando in primo luogo che deve ritenersi non sindacabile in questa sede la disciplina normativa dei presupposti e dei criteri di applicazione del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione della moneta, giacch si tratta di scelte politiche, salvo che gli eventuali effetti distorsivi imputabili alla svalutazione non comportino la violazione di qualche principio costituzionale, ovvero non determinino un sicuro travalicamento del normale ambito di discrezionalit che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore ordinario , Ha tuttavia ritenuto la questione fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio Comunit europee, 19 gennaio .1982, in causa Becker). Ed invero, per l'art. 13, lettera B, punto e, gli acquisti di immobili non di nuova costruzione destinati o da destinare all'attivit, esente da I.V.A., di locazione !immobiliare (in pratica, parte cospicua degli acquisti delle societ immobiliari) non pu beneciare del regime IV A e quindi delle relative detrazioni, e dovrebbe quindi essere compreso nell'area dell'imposizione proporzionale di registro. Ove la legislazione nazionale si conformasse alla direttiva, il fisco trarrebbe benefici e in termini di maggior gettito tributario e in termini di minor volume dei rimborsi IVA. Da ultimo, .si segnala che con decisione .16 dicembre 1980, n. 2999 la commissione centrale ha affermato che, nel caso di permuta, si devono applicare contemporaneamente l'IVA per il bene ceduto dal soggetto passivo IV A e la imposta di registro con aliquota proporzionale per H bene dato in permuta dall'altro contraente ( cfr. anche NAPOLITANO, IVA e registro nei contratti di permuta, in Boll. trib., 1982, 1565). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE di eguaglianza, e quindi, illegittimi gli artt. 14 d.P.R. n. 643 del 1972 ed 8 legge n. 904 del 1977, con la motivazione che le detrazioni dall'incremento di valore introdotte per correggere o ridurre gli effetti della svalutazione monetaria, si risolvono in un meccanismo di liquidazione dell'imposta , il quale, per effetto della progressivit delle aliquote, comporta in con creto un trattamento differenziato e palesemente discriminatorio , nel senso che l'onere tributario risulta notevolmente pi gravoso per chi aliena dopo un pi lungo periodo di possesso . Ha infine negato che si configuri disparit di trattamento anche in danno dei proprietari di aree fabbricabili, apparendo ineccepibile la liquidazione separata delle aree rispetto a quella dei fabbricati, nonch fra i contribuenti di diversi Comuni, dato che questi devono pur sempre, nel deliberare la misura delle aliquote, attenersi ai limiti fissati dalla legge (omissis) Ne consegue che nel presente giudizio oggetto di esame della Corte sono gli artt. 3, in relazione agli artt. 1 e 2, e 6 del d.P.R. n. 643 del 1972, di cui l'uno concerne, secondo quanto gi si visto, l'imposta decennale, l'altro pi propriamente la determinazione dell'imponibile. La sentenza n. 126 del 1979 di questa Corte stata pronunciata, come risulta dalla premessa rievocazione dei precedenti, con riguardo specifico all'applicazione dell'imposta nei casi di alienazione a titolo oneroso o di acquisto a titolo gratuito (art. 2 del d.P.R. cit.), ed al perento meccanismo delle detrazioni (artt. 14 stesso d.P.R. ed 8 legge n. 904 del 1977). Nel presente giudizio, viceversa, in discussione l'applicazione della medesima imposta per il semplice decorso del decennio, cio l'ipotesi pr~vista dall'art. 3 del decreto delegato in discorso ... Ma se nuovo e diverso il thema decidendum, rimangono invariati gli argomenti a sostegno dell'asserita illegittimit costituzionale, in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili per decorso del decennio. La Commissione tributaria ... dopo aver affermato che indici di capa cit contributiva, a seasi dell'art. 53 Cost., sono le manifestazioni di ric chezza, osserva che, aggirandosi l'inflazione intorno al 20 % annuo, l'im posta in parola colpisce pressoch esclusivamente il deprezzamento della moneta, il quale sicuramente non costituisce indice di ricchezza e quindi di capacit contributiva . Secondo l'attuale meccanismo -prosegue lo stesso giudice a quo -si sarebbe giunti ormai ad un'ipotesi veramente limite, di fronte alla quale la pur amplissima discrezionalit del legislatore deve trovare un freno costituzionale ; incremento di valore, infatti, non solo costituito quasi per intero da svalutazione monetaria, ma talora pu anche non esistere , come nel caso in cui sia aumentato il valore nominale dell'immobile, ma diminuito quello reale, con conseguente applicazione dell'imposta ad una perdita. Del resto -si legge ancora nell'ordinanza -, per un verso la stessa Corte costituzionale ha affermato (sent. n. 126 del 1979) che compete proprio al legislatore te RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nere conto degli effetti conseguenti a processi inflattivi , e per altro verso le sezioni unite della Corte di cassazione hanno recentemente (sent. 4 luglio 1979, n. 3776) posto in discussione il principio nominalistico della moneta mediante la rivalutazione delle somme dedotte in obbligazione, e ci anche per i debiti di valuta . Analogamente argomentano le altre ordinanze, le quali lamentano anch'esse: che l'imposta colpisce il puro e semplice possesso, indipendente da qualsiasi negozio giuridico e, quindi, non l'incremento di valore, ma il valore stesso del bene; che, in tempi di fortissima svalutazione , non esisterebbe l'asserito maggior valore; che di fatto la tassazione decennale si risolverebbe in una vera e propria imposta patrimoniale, giacch colpisce la propriet ininterrotta di beni immobili (fabbricati), prescindendo in via assoluta dal concetto di capacit contributiva, che presuppone, necessariamente, un criterio di reddito e cio una manifestazione dlretta od indiretta di ricchezza . In particolare si imputa altres al legislatore di non attribuire rilevanza al decadimento degli immobili per vetust e per l'uso e di non tener conto, sia della concreta incommerciabilit di un immobile con fitto bloccato, sia dell'eventualit che, successivamente al compimento del decennio, un terreno con buon indice di edificabilit possa essere ridotto ad area verde per effetto di variazione del piano regolatore ed un immobile possa, in conseguenza di un cataclisma, venire addirittura distrutto o gravemente danneggiato, senza che sia previsto il diritto ad alcun rimborso o detrazione . La questione infondata. Gli argomenti addotti a dimostrazione dell'illegittimit costituzionale, in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta all'incremento di valore per decorso del decennio non sono, n nuovi, n diversi rispetto a quelli a suo tempo esposti avverso l'applicazione della stessa imposta all'incremento di valore in conseguenza del trasferimento degli immobili. E pertanto valgono nei confronti dell'art. 3 d.P.R. n. 643 del 1972 gli stessi motivi, in base ai quali questa Corte, con la sentenza n. 126 del 1979, dichiar infondata la questione sollevata in ordine all'art. 2, sempre per asserito contrasto con l'art. 53 Cost. La Corte ebbe allora ad affermare -ed ora ribadisce -che non dubitabile la giustificazione fondamentale del'imposta in oggetto. Questa stata istituita, come gi si rilevato, allo scopo di colpire gli incrementi di valore che di regola derivano ai beni immobili anche indipendentemente da alcuna iniziativa dei proprietari. Trattandosi perci, secondo quanto stato chiarito nella predetta sentenza, di imposta sugli incrementi di valore, e non sui trasferimenti, la giustificazione fondamentale, ravvisata a riguardo dell'INVIM su-questi ultimi, cio dell'art. 2, conserva validit anche a riguardo dell'INVIM decennale, cio dell'impugnato art. 3. E per quanto concerne in particolare la denunzia della dubbia legittimit costituzionale della determinazione dell'imponibile -vale a dire, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'art. 6 -, prospettata in relazione alla crescente svalutazione monetaria, deve... richiamarsi ancora una volta alla sentenza di questa Corte n. 126/1979, la quale in proposito ha statuito che la presenza del fattore inflattivo di per s, n costituisce ostacolo alla applicazione d'una imposta sul plusvalore degli immobili, n impone al legislatore di depurare gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile alla svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione o di integrale rivalutazione, in contrasto con i principi cui si ispira, non solo il vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni pecuniarie, corrispondente alle esigenze di una economia sviluppata, in cui la moneta indispensabile misura dei valori di mercato. (omissis) Deve dichiararsi parimenti infondata la questione di legittimit dell'imposta per decorso decennio, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. Si afferma da alcuni giudici a quibus che l'art. 3 della legge istitutiva dell'INVIM, escludendo dall'imposta decennale gli immobili appartenenti a persone fisiche, darebbe luogo ,ad un diverso trattamento tributario fra contribuenti proprietari di immobili nel senso che stabilirebbe due categorie di contribuenti, alcuni tenuti al pagamento di una tassa l dove altri, a perfetta eguaglianza di condizioni obiettive, non lo sono e discriminerebbe, senza che si rinvenga idonea ragione..., i cittadini che investono i propri risparmi in beni immobili rispetto a quelli che li investono in mobili particolarmente adatti a conservare il loro valore nel tempo o, addirittura, ad incrementarlo, quali i preziosi o i francobolli, e proprio allo scopo di sottrarre i risparmi al fenomeno inflattivo'" L'asserita disparit di trattamento non sussiste. Premesso in linea generale che una disciplina differenziata per persone fisiche e per entit soggettive diverse da queste, stante la loro eterogeneit, non presta il fianco a rilievi sotto il profilo della ragionevolezza, bastevole ricordare nuovamente che il tributo in parola non configurabile come imposta sui trasferimenti, bens come imposta sugli incrementi di valore (sentenza n. 126/1979), per negare che si profili una trasgressione del principio d'eguaglianza in danno delle entit soggettive di cui all'art. 3 d.P.R. 643/ 1972. Anzi, se si tiene presente che a queste ultime non si addice l'ipotesi di successione mortis causa, mentre le persone fisiche vengono assoggettate all'imposta in oggetto anche in caso di acquisto a titolo gratuito oltre che in caso di alienazione a titolo oneroso -, non pu non riconoscersi che proprio la periodicit dell'imposta evita che si verifichi la disparit di trattamento a svantaggio delle persone fisiche, rivelando cos anche la sua finalit perequativa. N costituiscono argomento in contrario i casi di investimenti in beni mobili particolarmente idonei a sfuggire all'imposta, nonostante il loro incremento di valore. Sembrano evidenti, infatti, le ragioni che. impediscono il raffronto di tali beni con gli immobili: baster considerare che il loro incremento di valore, peraltro eventuale, non dipende certo dalla 808 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esecuzione di opere pubbliche o dall'istituzione di servizi pubblici. E va da ultimo ricordato, con riguardo alla censura di cui all'ordinanza emessa dalla commissione tributaria di Mondov, che il legislatore non ha mancato di prevedere, come pi sopra stato appositamente posto in evidenza nell'esposizione della normativa in discorso, esenzioni e riduzioni, di cui i giudici tributari non mancheranno di tener conto, ove ne ricorrano gli estremi. Deve dichiararsi infondata, da ultimo, anche la questione sollevata dalla commissione tributaria . . . la quale denuncia il vizio di eccesso di delega, lamentando che l'art. 6, penultimo comma, della legge delegata n. 643 del 1972 contrasterebbe con l'art. 6, nn. 3 e 4, della legge di delegazione n. 851 del 1971 e, quindi, violerebbe l'art. 76 Cost. Ai fini della determinazione del valore iniziale per le possidenze societarie decennali -cos il giudice a quo -, mentre la legge di delegazione statuisce semplicemente che tale valore quello alla data dell'acquisto per atto tra vivi o per causa di morte, la legge delegata, viceversa, inserendo l'inciso che il valore in discorso Ǐ determinato ai sensi dei commi precedenti, avrebbe arbitrariamente esteso all'imposta decennale il criterio dell'accertamento fiscale ai fini dell'imposta iniziale di registro. La censura non ha fondamento. Va al riguardo osservato che il legislatore delegato ha inteso stabilire, con l'inciso di cui sopra, il criterio di determinazione concreta del valore iniziale. Ma in tal modo, esso ha attuato, non gi vulnerato la legge di delegazione, essendo il valore accertato ai fini dell'imposta di registro esattamente quello venale, che ne costituisce la base imponibile, secondo quanto risulta inequivocamente dal combinato disposto degli artt. 41, n. 1, 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, recante disciplina dell'imposta di registro. Appare pertanto insussistente l'addotta violazione dell'art. 76 Cost. L'ordinanza lamenta altres che dall'applicazione del valore fiscale accertato ai fini dell'imposta di registro o di successione, per determinare, anche in ordine all'imposta decennale, il valore iniziale, deriverebbero differenti criteri di valutazione (valori reali per l'imposta decennale, valori fiscali per quella sui trasferimenti) >>, in quanto non verrebbe tenuto conto della differenza fra le situazioni rispettivamente incise (una situazione patrimoniale statica ed una situazione di riscossione occasionata da un trasferimento), Senonch, si appena osservato che tale differenza nei criteri di valutazione non ricorre. A parte ci, giova chiarire che la disposizione impugnata vale, per un verso, ad evitare discrasie nella valutazione dello stesso bene -apparendo del tutto inammissibile che il valore venale possa essere, ai fini dell'INVIM, diverso da quello gi determinato in sede di imposta di registro -e, per altro verso, a rendere omogenea l'applicazione del tributo nelle varie ipotesi, dato che la base imponibile costituita in ogni caso dall'incremento di valore di un immobile in un determinato periodo di tempo. (omissis) llllrr11141r@trr1illr111:1~1l1,~:111::1:~1~it~~:~==11:1:;1t'.1rif:1l~1-:-:=:rrJirffi::::if:ri:i:ri:=::i=ffii:lr01~r.1=i11~;:11r;,~r1i11~111ri:r1:11;::::~1:::=::1t1~1:rg:iii~1rrll&r&;1111 :: PARTE I. SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE II (omissis) Deve, viceversa, dichiararsi non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 6, n. 4, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 6, secondo comma, penultimo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, nella parte in cui si stabilisce che per i trasferimenti assoggettati all'imposta sul valore aggiunto si assumono, quali valore finale ed iniziale, i corrispettivi determinati ai fini di detta imposta, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, sollevata dalla commissione tributaria di primo grado di Firenze con ordinanza del 20 novembre 1980. Bench i profili della censura non emergano con tutta nettezza, sembra tuttavia che la denunziata illegittimit costituzionale consista nel dato che l'imposta in parola (INVIM) graverebbe sui trasferimenti soggetti ad IVA meno pesantemente che su quelli soggetti a registro. Dal fatto che per i trasferimenti soggetti all'imposta sul valore aggiunto si adottino quali valori di riferimento i corrispettivi, anzich i valori venali deriverebbe l'impossibilit per l'ufficio di operare su valori diversi da quelli indicati nell'atto di trasferimento, con conseguente violazione, sia del principio d'eguaglianza, sia del principio della capacit contributiva, di cui appunto agli artt. 3 e 53 Cost. La questione si rivela non fondata. La disposizione intesa ad evitare, ai fini del calcolo dell'incremento di valore imponibile (INVIM) -nei casi di trasferimenti di immobili da parte di entit soggette ad IVA -un'autonoma procedura di accertamento per la determinazione dei valori di confronto non censurabile sotto i denunziati profili di legittimit costituzionale. Uno degli obiettivi perseguiti dalla riforma fiscale stato quello della semplificazione del metodo di prelievo, in maniera da ridurre il troppo elevato costo del sistema di riscossione delle imposte. In questa logica va vista l'unificazione delle procedure di accertamento dei tributi, di cui appositamente riservato l'esercizio esclusivamente agli uffici finanziari dello Stato, ed in cui non pu non farsi rientrare la tendenza ad evitare, in linea di principio, ogni duplicazione di accertamento che non appaia necessaria, e che pertanto potrebbe conseguire il risultato di ritardare ingiustificatamente la riscossione, specie tenendo conto della lentezza e dell'imperfezione funzionale degli uffici fiscali. a questo criterio, non privo di giustificazione, che si ispirato il legislatore nel dettare sul punto la disciplina in oggetto. Di conseguenza, non pu riconoscersi pregio alla censura, non solo per la suesposta considerazione, ma anche per il rilievo che essa rivolta ad un aspetto squisitamente tecnico, attinente alla realizzazione del tributo. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 810 CORTE COSTITUZIONALE, 26 settembre 1983, n. 261 -Pres. Elia -Rei. La Pergola -Jellimo (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Procedimento penale -Preistruttoria di polizia -Immediata perquisizione sul posto -Possibilit di farsi assistere da un difensore -Mancata pre visione -Legittimit costituzionale. (Cast., artt. 13 e 24; l. 22 maggio 1975, n. 152, art. 4). Il legislatore ordinario pu consentire alla polizia di procedere, nei casi di necessit ed urgenza, ad immediata perquisizione, senza obbligo per i procedenti di assicurare al perquisito la possibilit di avvalersi della assistenza di un difensore. La statuizione all'esame della Corte, posta nell'art. 4 della legge n. 152 del 1975, cos formulata: In casi eccezionali di necessit e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell'autorit giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all'identificazione, all'immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo non appaiono giustificabili. Nell'ipotesi di cui al comma precedente la perquisizione pu estendersi per le medesime finalit al mezzo di trasporto utilizzato dalle persone suindicate per giungere sul posto. Delle perquisizioni previste nei commi precedenti deve essere redatto verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo comma, consegnato all'interessato . (omissis) Nell'ordinanza del pretore di Pizzo, la rilevanza della questione forma invece, come si premesso, oggetto di espressa e puntuale delibazione, ed cos argomentata: a) la norma dedotta in giudizio costituisce, nel vigente ordinamento, la sola base sulla quale la perquisizione possa nel caso in esame ritenersi eseguita; b) detta statuizione -norma eccezionale, si dice, e contenuta in una legge sull'ordine pubblico -priverebbe il soggetto delle garanzie di difesa, che lo assistono secondo le generali previsioni del codice di rito (artt. 304-bis, 304-ter e 224 cod. proc. pen.): con il risultato che il perquisito non sarebbe avvertito della possibilit di farsi assistere da un difensore, e il difensore, dal canto suo, non avrebbe diritto al preavviso; c) un'eventuale pronunzia di accoglimento, in rela PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zione alla prospettata lesione dell'art. 24 Cost., estenderebbe alla specie le garanzie di cui si lamenta la mancata previsione; d) l'imputato sarebbe stato tuttavia perquisito senza l'osservanza di tali garanzie, con conseguente nullit assoluta ed insanabile della perquisizione e di tutti gli altri atti compiuti. Le deduzioni test esposte non possono essere accolte. Lo stesso giudice a quo, com' riferito in narrativa, asserisce che il verbale dell'avvenuta perquisizione non stato redatto e trasmesso, nell'apposito modulo ed entro il termine previsto dalla disposizione censurata, alla competente autorit giudiziaria. Si potrebbe, quindi, gi per questo dubitare che nella specie difettino gli estremi contemplati dal legislatore perch detta norma riceva applicazione. Anche, poi, a voler condividere l'assunto del giudice a quo, non si pu consentire sulle conseguenze che egli ne trae, quanto alla rilevanza della questione sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. Posto, infatti, che la perquisizione nella specie cada sotto la previsione dell'art. 4 della legge n. 152, si versa nel caso eccezionale di necessit ed urgenza ivi configurato, che legittima l'esercizio dell'attivit di polizia, anche nella sfera della prevenzione; tale sfera si atteggia peraltro, nella stessa prospettazione del giudice a quo, come estranea e irriducibile al sistema del processo penale: e se cos , una violazione del diritto di difesa non neppure ipotizzabile. Invero, dove sussistano gli estremi della necessit ed urgenza, con la conseguente impossibilit del tempestivo provvedimento dell'autorit giudiziaria, la previa autorizzazione di quest'ultima non prescritta occorrre ricordare -nemmeno ai sensi dell'art. 224 del codice di rito, che ha riguardo, in via generale, alle perquisizioni della polizia giudiziaria. In relazione all'ipotesi qui considerata, il sistema processuale penale non esige n che il perquisito sia avvertito della possibilit di avvalersi del diritto di difesa, n che alcun preavviso sia dato al difensore: per il quale ultimo la facolt di intervento resta aperta se ne in concreto possibile l'esercizio, come risulta anche dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze 63/72; 173/74). La richiesta estensione delle previsioni del codice di procedura penale (artt. 224 e 304-ter) al caso di specie -e cos all'ambito in cui operano le eccezionali esigenze di necessit ed urgenza, sottostanti alla legge n. 152 -non potrebbe, allora, avere le conseguenze prospettate nell'ordinanza di rinvio. Ammesso pure che il perquisito non sia stato avvertito della possibilit di farsi assistere dal difensore, e che il difensore non fosse presente nel luogo in cui sono intervenuti gli organi perquirenti, ci non implicherebbe la nullit della perquisizione: e dunque, nemmeno la nullit di tutti gli atti successivi. La dedotta rilevanza della questione, in conclusione, non sussiste. (omissis) 812 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I@ CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 276 -Pres. De Stefano - Rel. Ferrari -Regione Sardegna (avv. Mercuri) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). I r.:i Regi::mi Lavori pubblici di esclusivo interesse regionale -Opere por~~~ tl.ul.li Classificazione dei porti -~ attribuzione amministrativa dello Stato. La classificazione dei porti, ancorch rilevante per il riparto delle attribuzioni tra Stato e Regione, rimessa all'amministrazione statale e non pu essere modificata mediante sentenza della Corte costituzionale (1). (omissis) Lo statuto speciale della regione Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, elenca all'art. 3 le materie nelle quali la regione, col rispetto... degli interessi nazionali -oltre che degli obblighi internazionali... e delle norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica, nonch, ovviamente, in armonia con la I J f: Costituzione e i princpi dell'ordinamento giuridico dello Stato -, ha potest legislativa primaria e, quindi, anche amministrativa. Fra tali materie risultano compresi, alla lettera-e), lavori pubblici di esclusivo inte~ j, ~; resse della regione . Il regio decreto 2 aprile 1885, n. 3095 (approvazione del testo unico della legge 16 luglio 1884, n. 2518, con le disposizioni del titolo IV, porti spiagge e fari della preesistente 20 marzo 1865, sui lavori pubblici), nell'intento di E dettare criteri oggettivi per la classificazione dei porti, distingue questi in due categorie, suddividendo la seconda in quattro classi. All'uopo, l'art. 1 dispone, al primo comma, che alla prima categoria appartengono i porti I ~:i e le spiagge che interessano la sicurezza della navigazione generale, e ser ili' vono unicamente o precipuamente a rifugio, o alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, ed al secondo comma, che della seconda categoria fanno parte i porti e gli approdi che servono precipuamente al comr mercio ed abbiano i requisiti dell'articolo seguente . A sua volta, l'art. 2, tenendo comunque conto del tonnellaggio delle merci imbarcate e sbarcate, assegna: alla prima classe, porti situati a capo di grandi linee di comunicazione , ed il cui movimento commerciale giovi ad estesa parte i del Regno , per cui sono da considerarsi d'interesse generale dello Sta j to; alla seconda classe, quelli, il cui movimento commerciale interessa soltanto ad una o ad alcune province ; alla terza, quelli, l'utilit dei quali si estende soltanto ad una parte notevole di una provincia; alla quarta, infine, tutti gli altri porti, seni, golfi e spiagge, tanto del continente, quanto delle isole, non assegnati alle tre classi precedenti . A sensi, poi, rf (1) La sentenza esclude che il giudice costituzionale, adito per conflitto di V attribuzione, possa sostituire l'ammiillistrazione nella emanazione di un atto ' (oltre che demolire l'atto ritenuto illegittimo). ~,: f:' 1~. (::: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'art. 3, primo comma, come modificato dall'art. 15 del d.P.R. 30 giugno 1955, n. 1534 (decentramento del servizio del Ministero dei lavori pubblici), alla classifica delle opere marittime si provvede mediante decreto del ministro per i lavori pubblici, di concerto con il ministro per il tesoro e gli altri ministri interessati, sentiti i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio superiore della marina mercantile, nonch dei Consigli delle provincie e dei comuni interessati, mentre il regolamento per l'esecuzione della legge 2 aprile 1885, n. 3095, sui porti, spiagge e fari {r.d. 26 settembre 1904, n. 713) stabilisce che le attribuzioni e l'ingerenza devolute al Ministero dei lavori pubblici sull'esecuzione delle opere marittime sono subordinati a preventivi concerti... col ministro della marina... (art. 1). L'attribuzione della materia di cui all'art. 3, lettera e) dello statuto alla competenza della regione Sardegna ha originato il problema di individuare i porti, in ordine ai quali spetta alla regione di eseguire le prescritte opere marittime. Per risolvere il problema, venne tenuto in Cagliari, il 26 novembre 1975, un incontro a livello tecnico fra Stato e regione, che peraltro non sort esito positivo. Pochi giorni dopo, e precisamente il 4 dicembre, il Ministero dei lavori pubblici invi alla regione sarda una nota, con la quale, premesso che preminente, ai fini dell'individuazione delle competenze trasferite in materia di opere marittime (art. 2, lettera d), del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480) la classifica dei porti risultante da formali provvedimenti amministrativi; che il sopravvenuto mutamento dei presupposti di fatto non pu avere alcun valore in mancanza di un nuovo provvedimento di riclassificazione; che, in ogni caso, la riclassificazione spettante al Ministero dei lavori pubblici, di concerto con quello della mari-. na mercantile, indicava nominatim i porti su cui permaneva la competenza statale, riducendo a 7 quelli di esclusiva competenza regionale, e concludeva con l'invito all'ufficio del genio civile a procedere all'appalto dei servizi di pulitura dei porti di competenza statale..., nonch di competenza promiscua . Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per conflitto di attribuzioni la regione Sardegna, la cui difesa poggia preliminarmente e fondamentalmente sulle nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna (d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480), dalle quali trae argomento per formulare il primo motivo del ricorso. L'art. 2, infatti, -cos la difesa imposta la questione -, ricalcando l'art. 9 delle precedenti norme di attuazione (d.P.R. 19 maggio 1950, n. 327), afferma che sono di preminente interesse statale la costruzione e manutenzione di porti di prima e seconda categoria, prima classe . Facendo, poi, ririvio all'art. 2 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, sul trasferimento alle regioni a statuto ordinario di funzioni amministrative statali, ribadisce che queste sono trasferite alle regioni, nella materia lavori pubblici di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO interesse regionale , quando si tratti di opere concernenti i porti di seconda categoria dalla seconda classe in poi . Sulla base di tale normativa, la regione sostiene: in primo luogo, che, in relazione all'art. 3, lettera e), dello Statuto sardo, la ripartizione della competenza in materia fra Stato e regione stata gi operata dalla legge; in secondo luogo, e conseguentemente, che non necessario il tramite di un atto amministrativo; in terzo luogo, che questo ha valore meramente ricognitivo; da ultimo, che in ogni caso la riclassificazione non pu essere compiuta unilateralmente dallo Stato, il quale altrimenti potrebbe, con comportamento omissivo o dilatorio, vanificare un'attribuzione costituzionalmente conferita alla regione . Ma i suddetti porti -ed questo il secondo motivo del ricorso devono considerarsi trasferiti alla regione, almeno per quanto concerne le opere non finalizzate al rifugio . Ci da ritenersi, sia per i porti suscettibili di duplice classificazione (porto rifugio e porto commerciale), sia per quelli che non sono stati inquadrati nella seconda o terza classe della seconda categoria, i quali, per la sola circostanza di non essere stati diversamente classificati, appartengono alla quarta classe..., senza necessit di provvedimenti formali di classificazione. Si sostiene infule che, in materia di opere portuali, vi sia pieno trasferimento... della competenza alla regione relativamente a quei porti, ove la funzione di rifugio nettamente superata dalla funzione commerciale . (omissis) Il ricorso infondato. Le norme che, con innegabile univocit, stabiliscono, per un verso, la devoluzione, dallo Stato alle regioni, in materia di lavori pubblici di interesse regionale, delle funzioni amministrative relativamente alle opere concernenti i porti di seconda categoria dalla seconda classe in poi, e, per altro verso, la conservazione allo Stato, perch di suo preminente interesse, delle funzioni in tema di costruzione e manutenzione di porti di prima e seconda categoria, prima classe, postulano, con tutta evidenza, l'emanazione di ulteriori atti, che a quelle norme diano concreta esecuzione, indicando singulatim l'appartenenza dei vari porti all'una o all'altra categoria, all'una o all'altra classe della seconda categoria. Ci asserito espressamente dall'Avvocatura dello Stato, quando afferma doversi provvedere all'effettivo trasferimento alla regione sarda delle funzioni amministrative nella materia de qua, e risulta, in fondo, riconosciuto anche dalla difesa della regione, quando a sua volta afferma che per stabilire concretamente quali in effetti siano i porti sui quali si estende la competenza della regione, venne indetta una riunione tra rappresentanti dello Stato e della regione . La constatazione test fatta rende implausibile l'assunto, secondo cui, per quanto riguarda la spettanza dell'esercizio delle funzioni amministrative sui singoli porti, la ripartizione... discende direttamente dalla legge e non abbisogna del tramite di un atto amministrativo. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDl~NZA COSTITUZIONALE La legge (r.d. 3095/1885) -e non importa, essendo ancora vigente, che appartenga ad una stagione normativa superata -detta i criteri cui l'organo di esecuzione deve attenersi per classificare i porti; tali sono, a titolo esemplificativo, la collocazione a capo di grandi linee di comunicazione , il volume del movimento commerciale, secondo che giovi ad estesa parte del regno ed al traffico internazionale terrestre , ovvero soltanto ad una o ad alcune province ovvero ancora ad una parte notevole di una provincia, la quantit delle merci imbarcate o sbarcate , ecc. Ora, la ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare la competenza della regione Sardegna in merito alle opere portuali dei porti sardi, che, pur inquadrati formalmente soltanto o anche nella prima categoria, svolgano una funzione prevalentemente commerciale. In effetti, essa chiede a questa Corte di dirimere un conflitto di attribuzione, adottando, in relazione all'art. 3, lettera e), dello statuto speciale della Sardegna, il quale riserva alla competenza regionale le opere pubbliche di esclusivo interesse regionale, un provvedimento che tenga luogo delle classificazioni fatte in base a criteri contenuti in una legge, ancora in vigore, bench vetusta, e peraltro neppure denunciata per sospetta illegittimit costituzionale. Pertanto tale domanda non pu trovare accoglimento, restando cos assorbiti gli altri motivi dedotti. p.q.m. dichiara che non spetta alla regione Sardegna la competenza in merito alle opere portuali dei porti sardi di prima categoria, che svolgano una funzione prevalentemente commerciale. CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 286 (ord.) -Pres. Elia - Rel. Bucciarelli Ducci -Bonamassa e Presidente Consiglio dei Ministri. Corte Costituzionale -Legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimit costituzionale Pretore adito ex art. 700 cod. proc. civ. Limiti. (Cost., artt. 24 e 134, e I. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1; 1. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23). Il Pretore, dopo aver emanato il provvedimento di urgenza, ha, il solo obbligo -prescritto dall'art. 702, comma secondo, cod. proc. civ. di fissare il termine perentorio per l'inizio della causa di merito e non legittimato a sollevare questioni di legittimit costituzionale dato che non pendente il giudizio di merito sul quale debbano esplicare influenza tali questioni. -I 816 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) Considerato che il pretore di Bologna, con ordinanza 12 settembre 1980, ha dichiarato, a norma dell'art. 700 cod. proc. civ., che sussiste il diritto dei ricorrenti Pasquale Bonamassa e Francesca Indelicato ad essere inclusi, quali privi della vista, nell'elenco degli invalidi di cui all'art. 19 legge 2 aprile 1968, n. 482 (disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private), e si riservato di provvedere con altra ordinanza sull'ulteriore corso del procedimento, senza fissare il termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, imposto dall'art. 702, comma secondo, cod. proc. civ.; rilevato che lo stesso pretore con ordinanza 29 dicembre 1980 -a scioglimento delle precedente riserva -ha sollevato, di ufficio, le questioni di legittimit costituzionale dell'art. 23, comma secondo, legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in riferimento agli artt. 134 e 24, comma primo, della Costituzione e all'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (norme sui giudizi di legittimit costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale); e dell'art. 6 comma secondo, citata legge n. 482 del 1968, in riferimento agli artt. 3, comma primo; 4, comma primo; 35, comma primo; 38, comma quarto, della Costituzione; rilevato che il pretore, dopo aver emanato il provvedimento di urgenza, ha il solo obbligo -prescritto dal citato art. 702, comma secondo, cod. proc. civ. -di fissare il termine perentorio per l'inizio della causa di merito e non legittimato a sollevare questioni di legittimit costituzionale dato che non pendente il giudizio di merito sul quale debbano esplicare influenza tali questioni. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1963, n. 301 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Ceccarelli (avv. Pandolfi), Adinolfi (avv. Guarino), Coop. Ninfina (avv. Cervati) e Presi.dente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Agricoltura e foreste . Terre incolte o insufficientemente coltivate Concessione ai contadini Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 42, 43, 44, 97 e 113; d.!. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 e successive integrazioni e modificazioni). Atto amministrativo . Prova dei fatti Facolt di allegazione del 'privato e poteri istruttori della P .A. Non contrastano con disposizioni costituzionali il d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 (Concessione ai contadini delle terre incolte), come integrato e modificato dal d.l. lgt. 26 aprile 1946, n. 597, dai d.l. C.p.S. 6 settembre 1946, n. 89, 27 dicembre 1947, n. 710, dalla legge 18 aprile 1950, n. 199 ~ ti ;:: fi fil 4;:: l ti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e dall'art. 27 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici). Nei procedimenti ammir.istrativi vige la regola secondo la quale ciascuna delle parti ha facolt di addurre tutte le prove da essa ritenute utili, cos come la stessa P.A. ha facolt di procedere agli accertamenti del caso. (omissis) La Corte chiamata a risolvere alcune questioni di legittimit costituzionale concernenti le norme legislative emanate in un arco di tempo che va dall'anno 1944 all'anno 1950, nella materia della concessione a contadini delle terre non coltviate o insufficientemente coltivate. Come stato ripetutamente posto in luce dalla giurisprudenza amministrativa, oltre che dalla dottrina, questo complesso di norme ha avuto di mira, essenzialmente, la situazione contingente delle masse contadine in relazione soprattutto alla difficile situazione verificatasi negli anni del dopoguerra, cos come era gi avvenuto subito dopo la prima guerra mondiale, quando il legislatore intervenne con il r.d. 2 settembre 1919, n. 1633 e con il r.d.l. 8 ottobre 1920, n. 1465, ricalcati dalla legislazione di questo secondo dopoguerra. Con le cennate disposizioni, pertanto, si voluto venire incontro alle pressanti esigenze di lavoro di una vasta parte del popolo italiano, apprestando un mezzo ritenuto atto a soddisfare, almeno parzialmente, una grande richiesta di lavoro e rivolgendo, quindi, l'attenzione al fenomeno della non coltivazione e dell'insufficiente coltivazione che investiva non poche porzioni del nostro territorio nazionale. In questo quadro si voluto guardare a situazioni di carattere ogget tivo, di meto fatto, e cio al cennato stato di incoltivazione o di insuffi. dente coltivazione dei terreni, indipendentemente dalla causa dalla quale dipendeva lo stato medesimo: volendo affrontare in maniera anche rapida (come dimostrato dal fatto che le norme in parola hanno apposto ter mini, peraltro non perentori, all'autorit competente per l'emanazione della decisione sulle domande di concessione: art. 5 del d.l. lgt. n. 279 del 1944; art. 2 del d.l. 27 dicembre 1947, n. 1710; art. 2 della legge 18 aprile 1950, n. 199) una situazione che interessava altres l'ordine pubblico in un Paese ancora in guerra o appena uscito dalla guerra, il legislatore del tempo ha ritenuto preferibile, come si detto, guardare a dati concreti, agevolmente accertabili e che non avrebbero potuto dar luogo a contesta zioni dilatorie o pretestuose. (omissis) Si trattato, quindi di una legislazione di emergenza, ma non per questo disgiunta dalla considerazione delle esigenze della Nazione nel suo settore agricolo. La stessa legislazione, d'altro canto, quasi totalmente anteriore alla Costituzione repubblicana (la sola legge n. 199 del 1950 successiva, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ma di poco). Ormai, superata la fase che si indicata e verificatesi nuove situazioni, il legislatore finalmente intervenuto con una nuova normativa, contenuta nella legge 4 agosto 1978, n. 440, la quale, avendo come principale finalit, come dicesi nei lavori preparatori, il recupero delle terre, ha dettato disposizioni nuove, pi ampie e pi articolate, le quali, peraltro, hanno lasciato in vita il criterio secondo cui la procedura per la concessione delle terre incolte prende l'avvio dalla domanda di una organizzazione di contadini. Ma le disposizioni della legge n. 440, prive come sono di efficacia retroattiva, non possono influire sulla valutazione della legittimit costituzionale delle norme anteriori, delle quali soltanto questa Corte oggi chiamata a giudicare... Le questioni non sono fondate. Una prima questione, di carattere pi generale, investe l'art. 1 del d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279, come modificato con l'art. 1 del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946, e denuncia la violazione degli artt. 4, 41, 42, 43 e 44 Cost. in quanto la libert economica verrebbe lesa senza riferimento a programmi (anzi, si afferma, qui si avrebbe la negazione della programmazione), non si tenderebbe al razionale sfruttamento della terra n a porre in essere equi rapporti sociali, dato che le norme non portano al recupero produttivo delle terre e le organizzazioni contadine sono sempre indotte a chiedere le terre migliori. Ci sarebbe divenuto pi grave per effetto dell'art. 1 del citato d.l. n. 89 del 1946, il quale, sostituendo l'art. 1 del d.l. n. 279 del 1944, avrebbe enormemente dilatata la nozione di insufficiente coltivazione. Premesso che le prime disposizioni sulla concessione di terre incolte sono anteriori alla Costituzione del 1947, la Corte deve anzitutto rilevare che questa in nessuna delle . disposizioni invocate... prevede la program mazione come obbligatoria. Peraltro non da dubitare che le limita zioni alla libera iniziativa economica ed al diritto di propriet devono tro vare fondamento in regole ed in criteri razionali. Ma non pu dirsi che le disposizioni in questione siano irrazionali. Da un lato, come si veduto, esse hanno voluto far fronte a gravi situazioni contingenti e di ordine pubblico, ma dall'altro, nell'imporre il vincolo in parola, esse non si sono discostate dalle esigenze della produ zione agricola nazionale. L'idea di un recupero delle terre, certamente, in re ipsa quando a chi riceve il beneficio della concessione si impone l'obbligo di coltivare e di rendere produttive le terre: la giurisprudenza amministrativa infatti ha ripetutamente affermato che la concessione del le terre incolte ha per fine anche il potenziamento della produttivit dei terreni. A questo criterio essenziale risultano ispirate e coordinate le disposizioni censurate. Infatti, mentre la giurisprudenza vuole che prima di addivenire alla concessione occorre accertare l'idoneit tecnico-finanziaria PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'organizzazione richiedente, la legge ha stabilito che in presenza di pi domande relative al medesimo fondo il giudizio deve avvenire tenendo presenti la forza lavorativa delle associazioni richiedenti e la capacit tecnica dei dirigenti (art. 2 d.l. lgt. 26 aprile 1946, n. 597); che nel disciplinare della concessione devono essere fissate le norme occorrenti per la conduzione del terreno concesso (art. 4 d.l. lgt. n. 279); che nel decreto di concessione deve essere stabilita la data di inizio della coltivazione delle terre stesse (art. 4 cit.); e infine, che l'abbandono del terreno e la inadempienza degli obblighi stabiliti comportano la revoca della concessione (art. 6 d.l. lgt. n. 279/1944; art. 7 d.I. n. 89/1946). Con queste prescrizioni il legislatore non ha mancato di tenere nel dovuto conto le esigenze della produzione agricola (del resto espressamente menzionate nell'art. 1 sia del d.l. n. 279 sia del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946) ed a queste ha adeguato la disciplina della concessione, la quale, pertanto, non appare preveduta e regolata esclusivamente in funzione delle aspirazioni dei richiedenti: tutta l'attivit che la P.A. deve svolgere in proposito deve essere correlata ai princpi ed ai criteri, certamente non irrazionali, posti in queste disposizioni. Che gli interessati possano richiedere la concessione delle terre che essi medesimi ritengono migliori pu essere un dato di fatto esatto, ma non in alcun modo decisivo poich la domanda del privato, come meglio si vedr pi innanzi, costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni da parte della P .A., alla quale spetta decidere nel merito. Sembra appena il caso di ricordare, infine, che il fornire lavoro a persone disoccupate, contemporaneamente arrecando vantaggi alla pro duzione nazionale, d luogo indubbiamente alla realizzazione di finalit sociali. Ne consegue che, contrariamente a quanto si osserva dai giudici a quibus, non si affatto al di fuori del disposto n dell'art. 41, terzo com ma, Cost., il quale vuole che l'iniziativa economica pubblica e privata sia indirizzata a fini sociali n dell'art. 44, primo comma, Cost., il quale pre vede l'imposizione di obblighi e vincoli alla propriet privata al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali (omissis) Una terza censura concerne ancora violazione degli artt. 43 e 44 Cost., assumendo che mentre i provvedimenti di concessione avrebbero carat tere sostanzialmente ablatorio, la legislazione non avrebbe n fissato limiti di godimento del bene in relazione alla coltivazione n avrebbe posto le direttive necessarie per la conduzione del fondo concesso. Anche questa censura priva di fondamento in punto di fatto. Ed invero: a) l'art. 4 del d.l. n. 279 del 1944 stabilisce che a cura dell'ispetto rato agrario si deve redigere apposito disciplinare contenente le norme RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO occorrenti alla conduzione del fondo concesso: il successivo art. 6 stabilisce che in caso di violazione degli obblighi inerenti alla conduzione si fa luogo alla decadenza della concessione. Tale disposizione ribadita dall'art. 7 del d.l. n. 597 del 1946 e dall'art. 7 del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946; b) l'art. 2 del d.l. n. 279 del 1944 stabilisce altres che deve essere fissato il termine per l'inizio della coltivazione da parte del concessionario, obbligo anch'esso sanzionato con la decadenza della concessione. chiaro che attraverso tutte queste disposizioni si pongono in essere le direttive per l'attivit che deve essere svolta dal concessionario, con ovvio riguardo allo stato dei singoli fondi, e si stabiliscono altres i limiti al godimento del fondo medesimo, in modo da non pregiudicare i diritti del proprietario, il quale, allo scadere della concessione, riassumer un fondo in condizioni migliori. (omissis) Con una quinta censura si denuncia la violazione degli artt. 3, pri mo comma, 97, primo comma, e 113, secondo comma, Cost. sotto due profili e cio: da un lato perch non sarebbe stato assicurato nella sua effettivit il principio del contraddittorio (il proprietario del terreno richiesto potrebbe intervenire soltanto in una fase avanzata del procedi mento) e dall'altro perch non sarebbe neppure prevista la possibilit di addurre prove, di effettuare sopralluoghi, di fruire di consulenze tecniche. Anche queste censure risultano infondate. Ed invero, in ordine al primo profilo gi l'art. 3 del d.l. lgt. n. 279 del 1944, stabilendo che la commissione provinciale ivi preveduta esamina l'istanza per la concessione sentite le parti, ha imposto la presenza del proprietario del terreno nel corso del procedimento, del quale ovvia mente deve avere avuto notizia, al fine di prospettare le eventuali ragioni a suo favore. L'art. 10 del d.l. lgt. n. 597 del 1946 ha poi stabilito in termini pi generali che, pur non dovendosi osservare le norme della procedura ordi naria, deve tuttavia essere assicurato il diritto delle parti al contraddit torio: di questa norma nello stesso d.l. lgt. n. 597 si hanno due ulteriori precisazioni, perch l'art. 3 stabilisce che l'istanza di concessione ed il provvedimento che fissa l'udienza di comparizione devono essere notifi cati all'altra parte (e la giurisprudenza ha affermato che la notificazione deve essere effettuata con le norme degli artt. 137 e segg. del cod. proc. civ.), e l'art. 4, a sua volta, tratta della comparizione della parti dinanzi alla pi volte ripetuta commissione. (omissis) Quanto al profilo relativo alle prove da addurre si deve osservare che le leggi in parola non contengono alcuna norma limitativa delle pos sibilit per il proprietario di addurre prove o formulare richieste di accertamenti; nei procedimenti amministrativi in genere vige la regola secondo la quale ciascuna delle parti ha facolt di addurre tutte le prove PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE da essa ritenute utili, cos come la stessa P.A. ha facolt di procedere agli accertamenti del caso. Del resto la possibilit di addurre prove o di richiedere ulteriori accertamenti da ritenere insita nella necessit di chiamare il proprie tario a partecipare al procedimento. Per quel che riguarda in particolare la possibilit di sopralluoghi anche da dire che la giurisprudenza amministrativa vi ha fatto ripetuta mente riferimento nelle sue pronuncie, sicch da ritenere che mezzi di prova di tal genere non siano neppure esclusi in punto di fatto. E non va taciuto, da ultimo, che con l'art. 6, ultimo comma, della legge n. 440 del 1978 sono stati estesi i poteri di cognizione e di istru zione del giudice amministrativo di legittimit per quel che riguarda provvedimenti relativi a terre insufficientemente coltivate. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1983, n. 302 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Costa (avv. Nigro) e Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato De Francisci). Avvocati e procuratori -Dipendente da un comune -Indennit di toga Inclusione nella base pensionabile. (Cost., artt. 3 e 36; l. 5 dicembre 1959, n. 1077, art. 18). Poich l'indennit di toga corrisposta agli avvocati del comune costituisce parte fondamentale della retribuzione ed soggetta interamente a contribuzione, costituzionalmente illegittima la disposizione che la esclude (anche solo in parte) dalla base pensionabile. (omissis) L'avv. Domenico Costa, capo dell'ufficio legale presso il comune di Roma, percepiva, all'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti d'et (1 maggio 1972) la retribuzione complessiva annua di L. 7.277.712, di cui 1.440.000 venivano corrisposte a titolo di indennit di toga . E poich tale retribuzione risultava superiore a quella del segretario generale dello stesso comune -ammontante, infatti, a L. 6.524.500 -, il consiglio d'amministrazione della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (CPDEL) riteneva di doverla valutare, ai fini del trattamento di quiescenza, sino alla cifra corrispondente a quella del segretario generale, per cui, con decreto (26 gennaio 1974) del direttore generale degli istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, veniva liquidata la pensione di L. 5.444.500. Alla suddetta valutazione ed alla conseguente liquidazione del trattamento di quiescenza nella misura test indicata la Cassa era pervenuta in applicazione dell'art. 18, primo comma, 822 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, il quale dispone che per ciascun dipendente, la retribuzione contributiva riferita al servizio reso a comune o provincia in nessun caso pu superare quella del rispettivo segretario , precisando che a tal fine, si considera un'anzianit di qualifica del segretario pari a quella del dipendente nella qualifica o grado rivestito . In concreto, aveva calcolato l'indennit di toga, non gi nella sua interezza, bens in un quarto, cio, non nella somma di L. 1.440.000, ma in quella di L. 360.000, abbassando cos la retribuzione pensionabile da L. 7.277.712 a L. 6.197.712 e, quindi, la pensione da L. 6.524.500 a L. 5.444.500. (omissis) Il procedimento di liquidazione del trattamento di quiescenza si bipartisce in due fasi, l'una immediatamente consecutiva all'altra, .ma tra loro inconfondibili: la prima consiste nella definizione dell'ammontare della retribuzione pensionabile, l'altra nella computazione, su quella cifra, della percentuale che il legislatore ha discrezionalmente determinato ai fini della liquidazione della pensione. Ora, la quest.ione su cui la Corte sollecitata a pronunciarsi stata sollevata appunto in ordine alla prima fase: pi esattamente, in ordine alla decurtazione dell'indennit di toga, nella misura del settantacinque per cento, che nel corso della suddetta fase stata operata, determinandosi cos una retribuzione pensionabile inferiore a quella corrisposta in costanza del rapporto d'impiego e, quindi, una pensione rapportata, non gi alla retribuzione effettivamente prcepita, ma a quella minore, ottenuta mediante la suddescritta decurtazione del- l'indennit di toga. A nulla gioverebbe rievocare l'origine e le vicende di questa indennit. Ai fini della decisione, appare utile, invece, prendere atto, per un verso, che il giudice a quo, il quale si richiama alla propria giurisprudenza in termini, riconosce che l'indennit di toga corrisposta agli avvocati del comune... costituisce... parte fondamentale della retribuzione e, per altro verso, che essa risulta soggetta interamente a contributo. Se, dunque, l'indennit in parola ha natura di retribuzione contributiva, non pu non ritenersi collidere con il principio di cui a:ll'art. 36, primo comma, Cost. la norma di cui all'impugnato art. 18 legge 1077/1959, intesa come disposizione facoltizzante la CPDEL a valutare solo in parte, anzich nella sua interezza, la suddetta indennit all'atto della determinazione della base pensionabile. Il principio costituzionale, infatti, della retribuzione proporzionata alla quantit e qualit del... lavoro prestato si estende innegabilmente, nella sua ampia portata, agli emolumenti che costituiscono parte fondamentale della retribuzione -e tale, come si visto, il giudice di merito. dichiara l'indennit in discorso -, e non si ravvisa alcun motivo, sia nell'art. 18, sia nella legge che lo contiene, il quale induca a considerare la decurtazione della retribuzione contributiva compatibile con esso prin cipio costituzionale. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 823 CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 312 -Pres. Elia -Rel. Malagugini D'Andrea ed altro (avv. Giannini) Cirio (avv. Pototschinig), Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni) e Provincia di Bolzano (avv. Guarino). Trentino Alto Adige Provincia di Bolzano Parificazione delle lingue ita liana e tedesca Riserva di norme di attuazione dello statuto Non sussiste Effettivo bilinguismo degli addetti a pubbliche funzioni od a servizi di pubblico interesse -Obbligo -Farmacisti Sono addetti a servizio. di pubblico interesse. (Cost., artt. 3, 6 e 41; statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4, 8, 100 e 107; 1. Bolzano 3 settembre 1979, n. 12, art. 1). Non v' riserva di norma di attuazione dello Statuto della regione Trentino-Alto Adige per quanto concerne l'obbligo degli aqdetti a pubbliche funzioni od a servizi di pubblico interesse, di avere una adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca; e poich l'uso delle anzidette lingue non costituisce materia a s stante, la provincia di Bolzano -e quindi anche lo Stato -possono disgiuntamente discipl.inare l'uso nelle materie di rispettiva competenza. I farmacisti, a prescindere dalla qualificazione del regime (concessorio o autoritario) cui sono sottoposte le farmacie, svolgono un servizio di pubblico interesse (1). (omissis) In forza dell'art. 1 della legge della provincia autonoma di Bolzano n. 12 del 3 settembre 1979: al personale sanitario e alle categorie non mediche che viene integrato, ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, nel servizio sanitario nazionale, si applica il titolo primo del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752 . A sua volta, il d.P.R. n. 752 del 1976 (portante norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego ) per la parte che qui interessa, pone all'art. 1, primo comma, la conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca, adeguata alle esigenze del buon andamento del servizio , come requisito necessario per le assunzioni comunque strutturate e denominate ad impieghi nelle amministrazioni dello Stato, comprese quelle ad ordinamento autonomo, e degli enti pubblici in provincia di Bolzano nonch per il personale di cui al secondo comma del medesimo art. 1. (1) :i:! dubbio che la sentenza, laddove riconosce sia alla provincia che allo Stato la facolt di legiferare unilateralmente in tema di uso delle due lingue italiana e tedesca nelle materie di rispettiva competenza, contribuisca al reperimento di una soluzione unitaria e coerente al problema, pervero molto delicato (anche in Paesi che da tempo si cimentano con il plurilinguismo, quali alcuni cantoni svizzeri e alcune province belghe). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I successivi artt. 3, 4 e 5 disciplinano le composizioni delle commissioni giudicatrici, il rilascio degli attestati in relazione alle prove di esame distinte per carriere, la sede e la data delle prove medesime. In applicazione della normativa qui sopra richiamata, il medico provinciale della provincia autonoma di Bolzano, indicendo, in data 30 maggio 1980, bando di concorso per titoli ed esami per l'assegnazione delle farmacie vacanti e di nuova istituzione nella provincia stessa, stabiliva, all'art. 10, che il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio della farmacia subordinato... al possesso dell'attestato comprovante la conoscenza delle lingue italiana e tedesca corrispondente alla carriera direttiva, rilasciato dall'apposita commissione ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, come previsto dalla legge provinciale 3 settembre 1979 n. 12 . Di tale articolo del bando di concorso il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso 21 luglio 1980, ha chiesto l'annullamento, sollevando conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente della provincia autonoma di Bolzano, perch, a dire del ricorrente, non spetta alla provincia stessa ed ai suoi organi amministrativi statuire in materia di possesso di requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle farmacie per ci che attiene il bilinguismo . Con ordinanza 16 dicembre 1980 il Consiglio di Stato, sez. IV giurisdizionale, ha sollevato questione di legittimit costituzionale dell'art. 1 della legge provinciale n. 12 del 1979 per contrasto con gli artt. 3, 6 e 41 Cost., nonch con gli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, e con gli artt. 100 e 107 del citato d.P.R. n. 670/72 in relazione al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, cos come modificato e integrato dal d.P.R. 31 luglio 1978 n. 571 . Sia il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri che l'ordinanza del Consiglio di Stato pongono a questa Corte in sostanza, lo stesso quesito: se cio la provincia autonoma di Bolzano possa legiferare e deliberare sull'uso del bilinguismo o pi esattamente sull'obbligo di adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'esercizio di determinate attivit, tra cui quella farmaceutica. I due giudizi pssono, quindi, essere riuniti e decisi con unica sentenza. In primo luogo vanno esaminate, delle censure avanzate dal Consiglio di Stato, quelle che negano in radice ogni competenza della provincia autonoma di Bolzano a statuire, con propria legge, l'obbligo di una adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'esercizio dell'attivit farmaceutica nella provincia stessa. In questi termini, il giudice a quo prospetta il contrasto dell'art. 1 della citata legge provinciale con l'art. 6 Cost. e con gli artt. 4, 8, 100 e 107 dello Statuto speciale di autonomia nel testo unificato di cui al d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670. Delle disposizioni statutarie il giudice rimettente offre peraltro una interpretazione che non tiene in alcun conto le modificazioni introdotte PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE con le leggi costituzionali n. 1 del 1971 e n. 1 del 1972 (recepite, appunto, nel testo unificato), Hmitandosi a richiamare alcune decisioni di questa Corte tutte anteriori alle modificazioni in discorso. Al contrario, occorre verificare se le disposizioni costituzionali sopravvenute siano rilevanti di per s, ai fini del presente giudizio e se esse concorrano a suggerire una lettura dell'art. 6 Cost. diversa da quella adottata da questa Corte in un quadro normativo costituzionale che le predette disposizioni hanno ora modificato. Ad entrambi i quesiti la risposta non pu che essere affermativa. Anche a prescindere da ogni considerazione se -per la natura meramente strumentale della lingua quale mezzo di comunicazione tra gli uomini -qui si tratti di una materia nel senso in cui il termine usato in Costituzione ai fini del riparto delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni (e provincie autonome); anche ad ignorare la collocazione dell'art. 6 tra i princpi fondamentali della Costituzione; sta di fatto che dall'art. 4 dello Statuto per la regione Trentino-Alto Adige, nel testo unificato, si deduce con chiarezza che l'interesse nazionale -nel rispetto, anche, degli obblighi internazionali -alla tutela delle minoranze linguistiche locali costituisce uno dei princpi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, che si pone come limite e al tempo stesso come indirizzo per l'esercizio della potest legislativa (e amministrativa) regionale e provinciale nel Trentino-Alto Adige. Inoltre, come osserva la difesa della provincia, stata cancellata anche quella disposizione dello statuto originario di autonomia (art. 84) per cui l'uso della lingua tedesca nella vita pubblica viene garantito da quanto in materia dispongono le norme contenute nel presente statuto e nelle leggi speciali della Repubblica, dalla quale la Corte (sentenze nn. 32 del 1960 e 1 del 1961) aveva desunto argomenti per affermare la competenza legislativa esclusiva dello Stato in tale materia. Il vigente art. 99 del testo unificato dello statuto di autonomia (per effetto dell'art. 52 della legge costituzionale n. 1 del 1971) recita, invece: Nella regione la lingua tedesca parificata a quella italiana che la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali nel presente statuto prevista la redazione bilingue . Non soltanto, dunque, scomparso il riferimento alle leggi speciali della Repubblica in tema di uso della lingua tedesca nella vita pubblica, ma solennemente proclamata la parificazione della lingua tedesca a quella italiana: con il corollario, espresso nel successivo art. 100 del medesimo testo unificato, per cui i cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno facolt di usare la loro lingua non solo nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale (l'art. 85 dello statuto originario menzionava unicamente gli organi ed uffici della pubblica amministrazione), ma anche con i concessionari RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa , i quali tutti sono tenuti ad usare nella corrispondenza e nei rapporti orali la lingua del richiedente (art. 100 cit. terzo comma). Per concludere sul punto, una volta affermato in termini costituzionalmente vincolanti l'obbligo di rispettare nella Regione la parit tra la lingua italiana e quella tedesca; una volta riconosciuta la facolt dei cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano di usare la loro lingua nei rapporti con gli umci giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale nonch con i concessionari di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa; una volta affermato l'obbligo di questi ultimi di usare, anch'essi, la lingua del richiedente (nella risposta); da tutto ci discende che non viola, ma, al contrario costituisce attuazione del principio costituzionale di cui all'art. 6 Cost. e all'art. 4 dello statuto di autonomia la normativa provinciale che disciplini in conformit ad essi l'uso delle lingue italiana e tedesca. Il Consiglio di Stato denuncia anche la violazione dell'art. 107 dello Statuto speciale di autonomia osservando come l'applicazione della regola del bilinguismo, posta dal (menzionato) art. 100 dello statuto per i concessionari di servizi di pubblico interesse debba necessariamente passare (cos come per i pubblici impiegati) attraverso le norme statali di attuazione . Neppure questa censura fondata. Gi vigente la disposizione ongmaria dello statuto speciale (art. 95) che si limita(va) a prevedere l'emanazione con decreto legislativo delle norme di attuazione , questa Corte ebbe ad osservare (sent. n. 108 del 1971) che non sempre n necessariamente queste (norme di attuazione) sono richieste affinch le regioni possano validamente esercitare la propria potest legislativa. Ed infatti non dato ravvisare la necessit di alcuna norma attuativa del principio del bilinguismo quando esso debba trovare appiicazion:: in materia di pacifica competenza provinciale, quale l'assistenza sanitaria (art. 9, n. 10 dello statuto speciale, nel testo unificato). L'infondatezza della censura in esame appare tanto pi evidente quando si ricordi che l'obbligo del bilinguismo in provincia di Bolzano per gli esercenti un servizio di pubblico interesse (quali indubbiamente sono i farmacisti) posto direttamente da una disposizione statutaria (art. 100) e che la legge provinciale (n. 12 del 1979) si limitata ad utilizzare il meccanismo previsto dalla legge statale (d.P.R. n. 752 del 1976) per l'accertamento della conoscenza delle due lingue da parte dei soggetti interessati, in conformit al disposto di altra legge statale di riforma (art. 80, legge 833 del 1978). Parimenti infondata la censura proposta dal Consiglio di Stato con riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La parificazione della lingua italiana e tedesca comporta, per la provincia di Bolzano, l'obbligo del bilinguismo per tutti i pubblici funzionari e gli esercenti di servizi di pubblico interesse dovendosi, in quella provincia, porre sullo stesso piano l'obbligo del cittadino di lingua tedesca di conoscere la lingua italiana e del cittadino di lingua italiana di conoscere la lingua tedesca naturalmente nell'esercizio e per l'esercizio di quelle funzioni pubbliche e di quei servizi di pubblico interesse. La parificazione delle lingue non rappresenta soltanto un modo di tutela di una minoranza linguistica -tale nell'ambito nazionale, ed invece maggioritaria nella provincia di Bolzano -ma esprime il riconoscimento (anche in adempimento di obblighi internazionali dello Stato) di una tale situazione di fatto e del dovere di ogni cittadino, quale che sia la sua madre lingua, di essere in grado di comunicare con tutti gli altri cittadini, quando investito di funzioni pubbliche o tenuto a prestare un servizio di pubblico interesse. Il precetto, perci, ha come destinatari non soltanto i cittadini (rientranti in quelle categorie e operanti nella provincia di Bolzano) di lingua madre italiana, ma anche quelli di lingua madre tedesca e, lungi dal violare, realizza il principio di eguaglianza, rispetto al quale, come ebbe gi a rilevare questa Corte (sent. n. 86 del 1975) rappresenta qualcosa di diverso e di pi, in puntuale applicazione dell'art. 6 Cost. Quanto, infine, alla pretesa violazione dell'art. 41 Cost., baster osservare che lo stesso giudice a quo considera il requisito del bilinguismo come una limitazione all'esercizio dell'attivit professionale di farmacista e che, anche a volerla considerare apposta alla libert di iniziativa economica, sarebbe pur sempre ispirata alla necessit di evitare che ne possano derivare danni ai cittadini nei cui confronti il farmacista chiamato a prestare la propria opera e che nella provincia di Bolzano ben possono esprimersi in una delle due lingue indifferentemente. Del resto, come gi si ricordato, la stessa legge statale (anzi una legge di riforma) e precisamente la legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che all'art. 80, nello stabilire che restano ferme le competenze spettanti alle provincie autonome di Trento e Bolzano secondo le forme e condizioni particolari di autonomia definite dal d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 e relative norme di attuazione ribadisce che ci debba avvenire nel rispetto per quanto attiene alla provincia autonoma di Bolzano delle norme relative... alla parificazione delle lingue italiana e tedesca . Conclusivamente, tutte le questioni sollevate dal Consiglio di Stato devono essere dichiarate infondate. Invero, la provincia di Bolzano, con la propria legge n. 12 del 1979 ha inteso provvedere, come recita l'intestazione della legge stessa, alla appli ...,.,... 828 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cazione delle norme relative alla parificazione delle lingue italiana e tedesca per il personale a rapporto convenzionale nel servizio sanitario provinciale . L'art. 1 di detta legge, per la parte impugnata, pone lo stesso requisito, di adeguata conoscenza delle due lingue, tanto per il personale sanitario quanto per le categorie non mediche integrate ai sensi dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978, nel servizio sanitario nazionale. Tra queste ultime, ex art. 28 della medesima legge 833 del 1978 rientrano i farmacisti, che, a prescindere dalla qualificazione del regime, concessorio o autorizzativo, cui sono sottoposte le farmacie, svolgono indubbiamente un servizio di pubblico interesse. Se cos , non dubbio che la provincia di Bolzano ha legiferato in materia nel pieno rispetto dei princpi fondamentali di cui all'art. 6 Cost. e 4 dello Statuto speciale di autonomia, in armonia con gli ulteriori dispo sti di cui agli artt. 99 e 100 dello statuto medesimo. Le considerazioni sin qui svolte conducono d1e plano al rigetto del ricorso per conflitto di attribuzioni proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso il provvedimento del medico provinciale di Bolzano di cui all'art. 10 del bando di concorso, emanato il 30 maggio 1980, per la assegnazione di farmacie vacanti e di nuova istituzione nella provincia stessa. Invero, una volta riconosciuta la competenza legislativa della provincia nella soggetta materia, evidentemente incontstabile la correlata potest amministrativa. p.q.m. 1) dichiara non fondate le questioni di legittimit costituzionale dell'art. 1 della legge della provincia autonoma di Bolzano 3 settembre 1979 n. 12 sollevate in riferimento agli artt. 3, 6 e 41 Cost., nonch agli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, ed agli artt. 8, 9, 100 e 107 del suddetto d.P.R. in relazione al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, cos come modificato e integrato dal d.P.R. 31 luglio 1978 n. 571, dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, con l'ordinanza 16 dicembre 1980, di cui in epigrafe; 2) dichiara che spetta alla provincia autonoma di Bolzano ed ai suoi organi amministrativi statuire in materia di possesso di requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle farmacie nella provincia medesima per ci che attiene al bilinguismo e conseguentemente rigetta il ricorso per conflitto di attribuzioni proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri contro il presidente della provincia autonoma di Bolzano, notificato il 29 luglio 1980, di cui in epigrafe. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 20 ottobre 1983, n. 319 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Marzilli (avv. Stoppani), Picano (avv. Pallottino), S.p.A. Soc. It. Risanamento Agrario (avv. Sorrentino), Regione Lazio e Regione Campania (avv. Albamonte), Comune di Roma (avv. Carnovale) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Regioni Costruzione di asili nido -Rientra nella materia lavori pubblici di interesse regionale. (Cost., art. 117; 1. 6 dicembre 1971, n. 1044, art. 6). Espropriazimw per pubblica utilit -Accertamento dei presupposti e adozione del provvedimento ablatorio -Concentrazione delle due funzioni nel medesimo organo Legittimit costituzionale. (Cost., art. 97; !. 3 gennaio 1978, n. 1, artt. 1 e 3; !. reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 3, 4, 8, 13 e 14). Comuni -Delega di funzioni amministrative al Comune -Individuazione dell'organo comunale competente Facolt del legislatore regionale. (Cost., artt. 118 e 128; !. reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, art. 13). La materia lavori pubblici di interesse regionale, comprensiva anche di lavori di interesse subregionale, include i lavori relativi alla costruzione degli asili-nido. Non contrasta con il principio di imparzialit (art. 97 Cast.) il non avere attribuito a distinte competenze amministrative (e, precisamente, a diversi organi appartenenti al medesimo soggetto) le due fasi proprie del procedimento espropriativo, quella dell'accertamento dei presupposti per la espropriazione e quella successiva della concreta adozione dei provvedimenti amministrativi ablatori. La legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative al comune, precisi anche quale fra gli organi comunali previsti dall'ordinamento dettato dallo Stato debba esercitare le funzioni medesime senza alterare la tipologia diella sua organizzazione, non lede l'autonomia dei comuni n invade la sfera di competenza dello Stato. (omissis) Una prima questione di legittimit costituzionale riguarda l'art. 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044 (piano quinquennale per la istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato), con il quale lo Stato avrebbe delegato alle Regioni a Statuto ordinario la facolt di dettare norme legislative in tema di asili-nido. In tal modo sarebbe stato violato l'art. 117 Cost., non rientrando la materia degli asili nido fra quelle affidate alla potest legislativa concorrente delle regioni. La questione non fondata. In realt l'art. 6, n. 1 della citata legge n. 1044. non contiene alcuna delega di potest legislativa alle Regioni per quel che attiene alla questione che ha fo11mato oggetto dei giudizi dinanzi ai giudici a quibus, e cio per quel che concerne i lavori relativi alla 830 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costruzione degli asili nido. Infatti ad avviso della Corte questi favori non possono non essere compresi nell'ambito dell'art. 117 Cost., laddove parla della materia indicata come lavori pubblici di interesse regionale, la quale comprensiva anche dei lavori di interesse subregionale. A. riguardo da rilevare che gli asili nido costituiscono istituzioni le quali operano nell'ambito comunale, cio in un ambito locale, allo scopo di venire incontro alle esigenze delle famiglie insediate in quel territorio: rappresentano, quindi, la localizzazione di interessi certamente pi vasti. E ci sufficiente a fare ritenere che i lavori relativi alla costruzione ed alla manutenzione degli edifici destinati a sede degli asili nido erano da considerre compresi nell'art. 117 Cost., ancor prima che tutta l'attivit dei medesimi asili fosse trasferita alle regioni per effetto della nuova concezione che stata data alla beneficenza pubblica con l'art. 22 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (sent. n. 174 del 1981 di questa Corte). (omissis). Una terza questione di legittimit costituzionale investe gli art. 3, 4, 8, B e 14 della legge n. 41 del 1974 della regione Lazio per violazione dell'art. 97 Cost., in quanto queste disposizioni non avrebbero osservato il principio di imparzialit. Questo richiederebbe, ad avviso dei giudici a quibus, da un lato di tener distinte le autorit che hanno competenza per le dichiarazioni di p.u. e di indifferibilit ed urgenza e quelle che adottano i provvedimenti di espropriazione e di occupazione d'urgenza e dall'altro di non affidare al comune beneficiario delle espropriazioni il potere di emanare gli atti espropriativi, il che tanto pi grave in quanto il comune non pu avere una struttura amministrativa articolata al pari dell'amministrazione statale. L'ordinan:lla ... investe sotto questo stesso profilo anche gli artt. 1 e 3 della legge statale 3 gennaio 1978, n. l, i quali hanno anch'essi eliminato ogni distinzione fra organi che espropriano ed organi che dichiarano la pubblica utilit. Anche tale questione non fondata. Premesso che la P.A. nello svolgimento dei suoi compiti agisce sempre nella sua qualit di parte, cio di esponente degli interessi pubblici che le sono affidati, e che di conseguenza essa tende in primis al soddisfacimento degli interessi della collettivit, ma con la rigorosa osservanza del principio di legalit (riaffermato anche dall'art. 97 Cost., allorquando parla della imparzialit), non ritiene la Corte che il non avere attribuito a distinte competenze amministrative (e, precisamente, a diversi organi appartenenti al medesimo soggetto) le due fasi proprie del procedimento espropriativo, quella dell'accertamento dei presupposti per la espropriazione e !:~ quella successiva della concreta adozione dei provvedimenti amministrativi { ablatori, ponga in essere alcuna violazione del cennato principio di imparzialit. lii! r: L'obbligo di dare esatta e completa applicazione alla legge e di osservarla pienamente nella sua lettera e nel suo spirito in modo da perse '~ - f:I~ ~ = =,,,,~_,,,__.,.,.,.........'"'''"'"'"'"''''' -................~......... .,...............,.,,..............,.,,.,...,. ., ...,...,.,,,,,,,.,,,..,.....,__J ri1111is&llllllfiflirr111111111r11r1@11inllt1111t1lt111rt11rr111111r#1 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE guire in maniera obbiettiva il soddisfacimento degli interessi pubblici pu bene ottenersi anche se non si operino distinzioni di quel genere: non si vede, in realt, per qual motivo questo risultato non possa ottenersi se non attraverso una pi o meno netta separazione degli organi che pongono in essere le due cennate fasi del procedimento espropriativo. La unificazione delle competenze, d'altro canto, stata effettuata, tanto dalla legge statale quanto dalle leggi regionali, allo scopo essenziale di accelerare i tempi per la realizzazione delle opere pubbliche, eliminando fasi procedurali ritenute superflue. E certamente nel regolamentare in questo modo la materia i vari legislatori hanno tenuto presente da un lato che non sono mancati, anche in passato, casi nei quali le cennate fasi erano affidate ai medesimi organi (art. 31 del r.d. 8 febbraio 1923, n. 422, art. 1 r.d.l. 15 agosto 1925, n. 1636 e artt. 1 e 2 r.d. 11 aprile 1926, n. 752, ecc.) e dall'altro che la pi recente legislazione ha notevolmente modificato il valore degli atti con i quali si autorizza la occupazione di urgenza dei terreni o si procede all'esproprio. In realt i momenti principali ed essenziali per far luogo ad una espropriazione sono quelli nei quali, deliberata la realizzazione dell'opera (spesso gi preveduta da appositi piani o programmi di carattere vincolante), si fa luogo alla individuazione dell'area sulla quale essa deve insistere, il che, se non gi avvenuto al momento iniziale di detta deliberazione, avviene nel momento della progettazione dell'opera, noto essendo che ogni progetto tecnico strettamente legato nella sua essenza al terreno. Di conseguenza la prima decisiva incisione dei diritti dei singoli avviene nel momento della dichiarazione di p.u. (che presuppone un piano di massima indicante anche la descrizione dei terreni da occupare: art. 3 legge 25 giugno 1865, n. 2359) o quando si fa luogo alla approvazione del progetto (se si operi in regime di dichiarazione implicita di p.u.) con la osservanza delle norme relative alla localizzazione delle opere pubbliche: i successivi provvedimenti in base ai quali la P.A. pu immettersi nel fondo del privato, a titolo provvisorio o definitivo, costituiscono, sotto questo profilo, pi che altro atti esecutivi, onde anche per questo aspetto non pu ritenersi irrazionale n l'avere affidato ai medesimi organi le due fasi predette n l'avere affidato (come avviene del resto in non poche leggi statali) la emanazione del provvedimento ablatorio allo stesso soggetto che dell'esproprio deve beneficiare. L'ultima questione concerne l'art. 13 della citata legge regionale del Lazio n. 41 del 1974, il quale violerebbe l'art. 128 Cost. in quanto non si limita a disporre la delega a favore del Comune, ma indica anche quale sia l'organo comunale competente all'esercizio del potere delegato. Anche tale questione non fondata. La disposizione contenuta nell'art. 128 Cost. indubbiamente sottrae al potere legislativo delle regioni a statuto ordinario la disciplina della organizzazione degli enti territoriali, che rimane affidata esclusivamente al potere legislativo statale. 832 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ma la legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative al comune, precisi anche quale fra gli organi comunali previsti dall'ordinamento dettato dallo Stato debba esercitare le funzioni medesime senza alterare la tipologia della sua organizzazione, non lede l'autonomia dei comuni n invade la sfera di competenza dello Stato. Si tratta di norma la quale opera nell'ambito della organizzazione data dalla legge statale e precisa lo specifico organo che deve in concreto provvedere. E ci da un lato costituisce ovvia e necessaria precisazione di un aspetto della delega e dall'altro corrisponde anche al concetto espresso dall'art. 118, terzo comma, Cost., in base al quale le regioni esercitano normalmente le loro funzioni amministrative delegandole agli enti minori o valendosi dei loro uffici: evidente che la regione pu individuare l'ufficio comunale che ritiene maggiormente idoneo a svolgere le funzioni delle quali essa titolare ed il cui esercizio trasferisce ad altri. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 20 ottobre 1983, n. 321 -Pres. Elia -Rel. Saja Morelli e altri (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). Amnistia e indulto -Legge di delegazione sufficiente la promulgazione anteriore al decreto presidenziale. (Cost., artt. 73 e 79; d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744). Per l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di concedere l'amnistia o l'indulto, non necessaria la pubblicazione della legge di delegazione, ed sufficiente la sua promulgazione prima dell'emanazione del decreto impugnato. (omissis) Ci posto e passando al merito, osserva la Corte che i giudici rimettenti dubitano tutti della legittimit costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, con cui venne concessa l'amnistia e l'indulto per alcuni reati, in quanto esso venne pubblicato nella stessa Gazzetta Ufficiale n. 348 del 19 dicembre 1981, in cui fu pubblicata altres la legge di delegazione (18 dicembre 1981 n. 743): in altri termini, il Presidente della Repubblica nell'emanare il decreto delegato in data 18 dicembre 1981 avrebbe esercitato un potere che ancora non gli competeva perch la legge di delegazione era stata pubblicata il giorno successivo (19 dicembre 1981) e pertanto solo da tale giorno era divenuta efficace. La questione che si pone a questa Corte consiste pertanto nel decidere se, per l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di concedere l'amnistia o l'indulto, sia necessaria la pubblicazione della legge di - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE delegazione ovvero se sia sufficiente la sua promulgazione, avvenuta nella specie, cos come non contestato, prima dell'emanazione del decreto impugnato. Ritiene la Corte che la questione debba essere risolta in questo ultimo senso. La pubblicazione della legge costituisce un atto diretto a dare comunicazione della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed impone conseguentemente la' generale osservanza. Ma, ancor prima della pubblicazione, interviene nel procedimento legislativo, inteso in senso lato, la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, la quale consiste in un atto che si compone di tre elementi: l'accertamento della sussistenza e dell'identit della volont delle due Camere, espressa mediante l'approvazione del disegno o della proposta di legge; la manifestazione della volont del Presidente della Repubblica di procedere alla promulgazione suddetta, ed infine l'ordine di esecuzione diretto ad assicurare la piena operativit della legge. Tale atto non costituisce soltanto il presupposto della successiva pubblicazione, la quale vdene attuata attraverso una serie di operazioni (il c.d. visto, l'inserzione della Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, e la pubblicazione, propriamente detta, nella Gazzetta Ufficiale). Esso attribuisce altres immediata efficacia, o se si vuole esecutoriet (che si distingue dalla obbligatoriet erga omnes conseguente alla pubblicazione), all'atto normativo. Quest'ultimo, pertanto, deve considerarsi non solo esistente nell'ordinamento giuridico ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente il Presidente della Repubblica nonch il Governo; ci che avvenuto nel caso di specie, in cui il Consiglio dei ministri intervenuto con la sua deliberazione nel procedimento conclusosi con l'emanazione dell'atto di clemenza. Da ci le varie applicazioni che dal principio conseguono, e che sono generalmente ricordate in dottrina. Cos per stabilire l'anteriorit o la posteriorit di una legge rispetto ad un'altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicch la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo; cos, ai fini dell'osservanza del termine fissato dalle leggi di delegazione, sufficiente che l'atto (delegato) sia perfezionato con la emanazione prima della scadenza di detto termine anche se la pubblicazione avviene successivamente (cfr. in tali sensi anche le sentenze di questa Corte 6 luglio 1959, n. 39; 24 maggio 1960, n. 34; 12 novembre 1962, n. 91; 21 marzo 1974 n. 83). Dai superiori rilievi risulta evidente come, una volta avvenuta la promulgazione, sussisteva il potere delegato dal Parlamento al Presidente della Repubblica, il quale pertanto legittimamente ha emanato l'impugnato decreto di concessione dell'amnistia e dell'indulto. (omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 28 novembre 1983, n. 326 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Lomastro (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Sernicola). Lavoro -Danni da infortunio sul lavoro -Credito per risarcimento Privilegio generale. (Cost., art. 3, cod. civ., art. 2751-bis). Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 2751-bis n. 1 cod. civ. (sub art. 2 legge 29 luglio 1975, n. 426) nella parte in cui non munisce del privilegio generale, istituito dall'art. 2 legge n. 4262 del 1975, il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro, se e nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto della percezione delle indennit previdenziali e assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso infortunio. (omissis) La Corte, cos giudicando, non invade l'area riservata alle scelte economico-politiche del legislatore, nelle quali non pu non affondare le radici la causa del credito che, ai sensi dell'art. 2745 cod. civ., rappresenta la ragione giustificatrice della creaZJione di qualsiasi privilegio, ma inquadra la disposizione impugnata nel sistema del codice civile, di cui il legislatore ordinario non ha dato adeguata rappresentazione nella pur novellata disciplina del privilegio generale a favore del prestatore di lavoro subordinato. Il quale, se per l'attuazione nel concorso dei creditori della responsabilit patrimoniale del datore per infortuni sul lavoro fosse confuso nella folla, sempre folta, dei creditori chirografari, sarebbe posposto ai crediti che gli artt. 2756, 2757, 2760 e 2761 (e la moltitudine delle leggi speciali sopravvenute) muniscono di non effimeri privilegi speciali. Ditalch la legislazione italiana del 1975 regredirebbe ai tempi in cui non si temeva di allineare il lavoro speso dall'uomo a vantaggio di altri simili sul piano delle locationes bovis et rei. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 novembre 1983, n. 328 -Pres. e rel. Elia - Rigatti (n.p.). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Trasferimento di im mobili. -Vendita forzata senza incanto. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42). Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 42 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (disciplina dell'.imposta di registro), nella parte in cui non dispone che anche per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e seguenti del codice di procedura civile, la base imponibile costituita dal prezzo di aggiudicazione. ~ ~= ~ 1: ~ ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La norma denunziata (art. 42, d.P.R. n. 634/1972) riproduce in sostanza l'art. so, secondo comma, della legge di registro che analogamente non disponeva che per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi dell'art. 570 e seguenti del codice di procedura civile, la tassa proporzionale fosse dovuta sul prezzo di aggiudicazione. Anche in questo caso quindi va rilevato, come gi fatto con sentenza n. 156/1976, che per le vendite coatte senza incanto, disciplinate dagli artt. 570 e seguenti del codice di procedura civile, non sono contestabili l'autenticit del prezzo pagato e la sua presumibile corrispondenza al prezzo di mercato: ci avviene grazie a un procedimento di determinazione del valore venale che, per essere posto sotto il controllo del giudice dell'esecuzione, e subordinato a rigorose forme di pubblicit, presenta ampie gai;: anzie di oggettivit e di automatismo per la realizzazione del massimo ricavo possibile. evidente quindi che per i beni soggetti ad esecuzione forzata venduti senza incanto sussistono le stesse ragioni perch si applichi la normativa contenuta nell'art. 42 del d.P.R. n. 634/1972: ne deriva che la discriminazione attuata dalla norma impugnata nell'ambito dell'espropriazione forzata, tra vendite realizzate con il sistema all'incanto e vendite senza incanto, priva di ogni fondamento razionale e deve essere considerata costituzionalmente illegittima. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sez. V, 14 luglio 1983, nella causa 174/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank di Hertogenbosch nella causa Officier von Justitie c. ditta Sandoz B.V. -Interv.: Governi dei Paesi Bassi (ag. Italiener), danese (ag. Lachmann e Bos) e italiano (avv. Stato Braguglia) e Commis sione delle C.E. (ag. Wiigenbaur e Verstrynge). Comunit Europee -Libera circolazione delle merci Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute Derrate alimentari Ag giunta di vitamine Disciplina nazionale. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttive CEE del Consiglio 23 ottobre 1962; 5 novembre 1963, n. 64/54; 21 dicembre 1976, n. 77/94}. Comunit Europee -Libera circolazione delle merci Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute Derrate alimentari Aggiunta di vitamine Poteri delle autorit nazionali Limiti. (Trattato CEE, artt. 30 e 36). \ Il diritto comunitario non osta alla disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di derrate alimentari, legalmente vendute in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina, purch la vendita sia autori'z,zata quando l'aggiunta di vitamine risponde ad una esigenza reale, in particolare di ordine tecnico o alimentare. (1) (1-2) Sui prodotti dietetici -cio prodotti destinati ad una alimentazione particolare, che devono essere ogg-etto clii controlli di natura sanitaria e che sono nettamente distinti dai prodotti alimentari di consumo corrente (cfr., in Italia, la legge 29 marzo 19511, n. 3Z7, e il suo regolamento di esecuzione, appr. con d.P.R. 30 maggio 1953, n. 578) -una prima fase di ravvicinamento delle legisla2lioni degli Stati membri stata gi attuata, come ricordato dalla Corte, con la direttiva del ConsigMo 77/94/CEE del 21 dicembre ,1976. Le disposizioni di questa direttiva rendono evidente I'esig-enza imperativa di controlli, finalizza1Ji. alla tutela della salute pubblica, sulla produzione e sulla commercializzazione dei prodotti in questione: non solo controlli di etichettatura, per evitare al consumatore delusioni circa le effettive propriet del prodotto, bens accertamenti sulla composizione del prodotto medesimo, il quale deve rispondere alle esigenze cui destinato e, ovviamente, non deve essere nocivo. In mancanza di diret1Ji.ve specifiche del Consiglio (art. .1 n.. 3) la direttiva riserva alle disposizioni nazionali (art. 3) il controllo sulle modifiche apportate ai pro PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 837 Il diritto comunitario osta alla normativa nazionale che subordini la autorizzazione di vendere alla prova da parte dell'importatore che la merce non nociva per la salute, salvo restando la facolt delle autorit nazio nali di chiedere all'importatore l'esibizione di tutti i dati in suo possesso, utili per la valutazione dei fatti. E osta altres alla normativa nazionale la quale subordini l'autorizzazione alla vendita alla prova da parte dell'importatore che la vendita del prodotto risponde ad una domanda sul mer cato. (2) (omissis) 1. -Con sentenza 3 maggio 1982, pervenuta alla Corte il 28 giugno 1982, l'Economische Politierechter (Giudice di polizia economica) deU'Arrondissementsrechtbank (Tribunale) di s'Hertogenbosch ha sollevato, in forza dell'art. 177 del Trattato Cee, tre questioni pregiudiziali rela tive all'interpretazione delle disposizioni del Trattato CEE in fatto di libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit, e in particolare del l'art. 36 di detto Trattato. 2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di una causa penale promossa a carico della Sandoz B.V. con sede in Uden, la quale, senza l'autorizzazione del Ministro competente, aveva venduto e consegnato nei Paesi Bassi der dotti per renderli destinati ad una alimentazione particolare. E la clausola di libera circolazione del successivo art. 7 da un lato fa salva la riserva di cui al precedente art. 3, dall'altro rende legittimi. gli ostacoli alla libera circola zione, quando essi dipendano da disposizioni non armonizzate giustificate da motivi di tutela della salute pubblica, di repressione delle frodi, di tutela della propriet industriale, ecc. Secondo la direttiva, dunque, i prodotti destinati ad una alimentazione particolare (fra i quali, normalmente, quelli con l'aggiunta di vitamine) sono prodotti sensibili in ragione delle riconosciute esigenze di tutela della salute pubblica (oltre che per ragioni di tutela del consumatore), e, dn difetto di direttive specifiche di armonizzazione particolare, sono tuttora soggetti alle disposizioni nazionali, le quali, per ragioni giustificate da motivi di tutela della salute pubblica, possono anche costituire legittimo ostacolo alla libera circola zione dei prodotti medesimi. Non poteva, quindi, non ritenersi rimasto integro in linea generale, in assenza di direttive specifiche, il potere degli Stati membri in ordine alla protezione della salute e della vita delle persone, salva nello svolgimento dei controlli la proporzionalit e la non discriminazione fra prodotti importati e nazionali (cfr., precedentemente, le sentenze della Corte 20 maggio 1976, nella causa 104/75, DE PEIJPER, in Racc., 1976, pag. 613; 8 novembre 1979, nella causa 251/78, DENKAVIT, ibidem, ,1978, pag. 3369; 5 febbraio 1981, nella oausa 53/80, EYSSEN, ibidem, 1981, pag. 409; 17 dicembre 1981, nella causa 272/80, BIOLOGISCHE PRODUCTEN, ibidem, 1981, pag. 3277). Circa la collocazione dd prodotti vitaminici nella categoria dei medicinali, ai sensi della direttiva del Consiglio 65/65/CEE del 26 gennaio ,1965, o in quella dei prodotti alimentari, cfr. la successiva sentenza della -Corte 30 novembre 1983, nella causa 227/82, BENNEKOM, di prossima pubblicazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 838 rate alimentari e bevande destinate al commercio ed al consumo umano, alle quali erano state aggiunte vitamine. 3. -L'art. 10-bis, n. l, dell'Algemeen Besluit (decreto) 11 luglio 1949, emanato in forza degli artt. 14 e 15 della Warenwet [legge sulle merci] del 1935, vieta di aggiungere alle derrate alimentari ed alle bevande... delle vitamine... senza l'autorizzazione del Ministro incaricato dell'esecuzione del presente decreto->>. 4. -Nel nostro caso, la Sandoz B.V. [in prosieguo Sandoz] vendeva nei Paesi Bassi bastoncini di muesli, del powerback e delle bevande analettiche ai quali erano state aggiunte determinate vitamine, in particolare delle vitamine A e D. Dal fascicolo si desume che tutti i prodotti di cui trattasi sono lecitamente venduti nella Repubblica federale di Germania o nel Belgio. Prima di venderli nei Paesi Bassi, la Sandoz ne chiedeva la autorizzazione, in conformit alla legge sopracitata. L'organo olandese competente rispondeva in un primo tempo che l'autorizzazione viene concessa solo se le merci sono richieste sul mercato. La domanda d'autorizzazione veniva poi respinta per il motivo che la presenza nelle merci delle vitamine A e D costituiva un rischio per la sanit pubblica. 5. -Ritenendo che la propria pronuncia dipendeva dalla questione se le norme olandesi sopramenzionate fossero compatibili con gli artt. 30 e seguenti del Trattato e che quindi l'interpretazione di tali disposizioni gli era necessaria per pronunciare la sentenza, l'Economische Politierechter ha sospeso il giudizio ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 1. Supposto che: a) un cibo e/o bevanda, al quale sia aggiunta della vitamina, sia stato messo in commercio in uno o pi Stati membri in modo legale, cio in conformit alla legislazione che col in vigore, e b) un importatore di cibi e/o bevande, stabilito in un altro Stato membro, importi di cibo e/o bevanda di cui sopra, da uno degli Stati membri di cui al punto a) nello Stato membro nel quale stabilito, se le disposizioni che derogano alle norme relative alla libera circolazione delle merci all'interno della Comunit, in particolare l'art. 36 del Trattato CEE, per quanto riguardano la tutela della salute pubblica, giustifichino che le autorit dello Stato membro d'importazione vietino lo smercio del cibo e/o bevanda di cui trattasi in questo paese, salvo autorizzazione ministeriale. 2. Se sia rilevante per la soluzione da dare alla questfone di cui sopra che il divieto generale di vendere cibi e bevande alle quali siano state aggiunte delle vitamine, salvo autorizzazione concessa con decisione del Mi('. : nistro, abbia per effetto che l'importatore sopra considerato al punto 1.b), ~~ ; ; ff ~ PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ha l'onere di provare che la merce di cui trattasi non nociva per la sanit pubblica e pertanto dev'essere autorizzata. 3. Se sia rilevante ai fini di quanto precede che l'applicazione del divieto generale di vendere cibi e bevande alle quali siano state aggiunte delle vitamine, a meno che tale vendita sia autorizzata con decreto ministeriale, abbia per effetto che le autorit nazionali di uno Stato membro vietino la vendita di cibi e bevande vitaminizzate che sono lecitamente prodotte e messe in commercio in un altro Stato membro, a meno che il produttore o il venditore dimostrino non solo che queste merci non sono . nocive per la salute, ma anche che il loro smercio auspicabile e che l'aggiunta di vitamine risponde ad una necessit. Sulla prima questione. 6. -Con la prima questione il giudice nazionale vuole in sostanza sapere se, ed eventualmente in quali ipotesi, le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci ostino alla disciplina nazionale Ja quale vieti, salvo previa autorizza2lione amministrativa, lo smercio di derrate alimentari, lecitamente vendute in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina. 7. -A norma dell'art. 30 del Trattato sono vietate nel commercio fra Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonch le misure d'effetto equivalente. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, va considerata misura d'effetto equivalente alle restrizioni quantitative qualsiasi disciplina commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in potenza o in atto, il commercio intracomunitario. Tuttavia, a norma dell'art. 36 del Trattato, l'art. 30 non osta ai divieti o restrizioni d'importazione giustificate, fra l'altro, da motivi di tutela della salute delle persone, purch tali divieti o restrizioni non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n una restrizione dissimulata nel commercio fra gli Stati membri. 8. - manifesto che la normativa nazionale del genere di quella cui il giudice proponente si riferisce, la quale vieti, salvo previa autorizzazione amministrativa, la vendita di derrate alimentari cui sia stata aggiunta della vitamina, atta ad ostacolare il commercio fra Stati membri e va quindi considerata una misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato. La soluzione della questione sollevata dipende quindi dalla possibilit di applicare l'art. 36 a detta normativa. 9. -In proposito, secondo la Sandoz e la Commissione, solo in caso di consumo eccessivo, il quale sarebbe tuttavia escluso per le merci di cui trattasi, le vitamine ed in particolare le vitamine liposolubili, quali RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO le vitamine A e D, possono avere effetti nocivi. Il divieto generale di vendere derrate alimentari cui siano state aggiunte vitamine di qualsiasi tipo non sarebbe quindi giustificato, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute e sarebbe comunque sproporzionato ai sensi dell'ultimo inciso dell'articolo stesso. 10. -Per contro, i Governi olandese e danese sostengono che una normativa del genere resa ncessaria dalla natura stessa delle sostanze aggiunte, dato che l'assorbimento di qualsfasi vitamina in dosi elevate o per un periodo prolungato pu implicare rischi per la salute o, quantomeno, effetti secondari deprecabili, quale il manifestarsi di carenze alimentari. Tenuto conto delle incertezze della scienza e del fatto che la nocivit delle vitamine dipende dalla quantit assorbita unitamente alla alimentazione complessiva, non sarebbe possibile, per alcuna derrata alimentare cui sia stata aggiunta della vitamina, affermare con certezza se essa sia nociva o meno. 11. -Dal fascicolo si desume che le vitamine non sono di per s sostanze nocive, bens al contrario. sono considerate dalla scienza moderna necessarie per l'organismo umano. Tuttavia il loro consumo eccessivo per un periodo prolungato pu avere effetti nocivi la cui gravit dipende dal tipo: le vitamine liposolubili rischiano in via generale di essere pi nocive di quelle idrosolubili. Cionondimeno, stando alle osservazioni sottoposte alla Corte, la ricerca scientifica non sembra essere ancora in grado di determinare con certezza le quantit critiche ed i precisi effetti. 12. -Non contestato dalle parti che hanno sottoposto osservazioni che la concentrazione delle vitamine contenute nelle derrate alimentari del genere di quelle di cui causa lungi dal raggiungere la soglia critica di nocivit, di guisa che nemmeno il consumo eccessivo di esse pu di per s implicare un rischio per la sanit pubblica. Tuttavia un rischio del genere non si pu escludere nel caso in cui il consumatore assorba inoltre delle quantit di vitamine incontrollabili ed imprevedibili con altri alimenti. 13. -La questione dell'aggiunta di vitamine rientra quindi nell'ambito della politica generale riguardante gli additivi alimentari i quali costituiscono gi, in misura limitata, l'oggetto di armonizzazioni comunitarie. La direttiva del Consiglio 23 ottobre 1962, relativa al riavvicinamento delle normative degli Stati membri riguardanti le materie coloranti che possono essere usate nelle derrate destinate all'alimentazione umana (G.U. pagina 2645) e la direttiva del Consiglio 5 novembre 1963, n. 64/54, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti gli agenti conservanti che possono essere usati nelle derrate destinate alla ~ .. . . x. . m . ~ ;:_ ...:"{ .. ::::...;. ::::: . ::::.:::.-:-: u . . :-"hM :!...: ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 841 alimentazione umana (G. U. 1964, pag. 161), emendata, ad esempio, obbligano gli Stati membri ad autorizzare unicamente le materie coloranti e gli agenti conservanti tassativamente enumerati in un elenco allegato, ma lasciano gli Stati membri liberi di restringere, in determinati casi, l'uso delle stesse materie enumerate. 14. -Per quanto riguarda le derrate alimentari destinate ad una particolare alimentazione, una certa armonizzazione stata effettuata con la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/94, relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti le derrate alimentari, destinate ad una particolare alimentazione (G. U. 1977, n. L 26, pag. 35). L'art. 7 di detta direttiva ordina agli Stati membri di adottare tutti gli opportuni provvedimenti perch il commercio di detti prodotti non possa essere ostacolato dall'applicazione delle norme nazionali non armonizzate che disciplinano la composizione, le caratteristiche produttive, il confezionamento o l'etichettatura delle derrate alimentari, salve restando tuttavia le disposizioni giustificate da motivi, fra l'altro, di tutela della sanit pubblica. '15. -Gli atti comunitari di cui sopra rendono manifesto che il legislatore comunitario parte dal principio che opportuno restringere l'uso degli additivi alimentari alle sostanze tassativamente specificate, pur lasciando agli Stati membri un certo margine discrezionale per emanare disposizioni pi rigorose. Questi atti dimostrano quindi una grande prudenza per quanto riguarda la potenziale nocivit degli additivi, il cui grado ancora incerto per le varie sostanze, e lasciano un ampio potere discrezionale agli Stati membri per quanto riguarda gli additivi stessi. 16. -Come la Corte ha affermato nella sentenza 17 dicembre 1981 {Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten, 272/80, Racc. pag. 3277), tutte le volte che sussistono delle incertezze nello stato attuale della ricerca scientifica, spetta agli Stati membri, in mancanza d'armonizzazione, decidere il livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone, pur tenendo conto delle esigenze della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit. 17. -Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle vitamine le quali non sono in via generale nocive di per s, ma possono produrre effetti nocivi particolari nel solo caso del consumo eccessivo col complesso degli alimenti la cui composizione imprevedibile ed in. controllabile. Date le incertezze inerenti alla valutazione scientifica, la disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di 842 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO derrate alimentari cui siano state aggiunte delle vitamine in linea di principio giustificata, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute umana. 18. -Tuttavia il principio di proporzionalit che costituisce il fondamento dell'ultimo inciso dell'art. 36 del Trattato esige che la facolt degli Stati membri di vietare le importazioni dei prodotti di cui trattasi da altri Stati membri sia limitata a ci che necessario per conseguire gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti. La normativa nazionale che contempli un divieto del genere quindi giustificata solo se le autorizzazioni di vendita sono concesse ogni volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute. 19. -Una valutazione del genere, cionondimeno difficile quando si tratta di additivi come le vitamine, caratterizzate dalle propriet sopraindicate, le quali escludono la possibilit di prevedere o di controllare le I quantit sorbite col complesso degli alimenti ed il cui grado di nocivit non pu essere determinato con sufficiente certezza. Ciononostante, bench, tenuto conto dello stato attuale dell'armonizzazione delle legislazioni I f nazionali a livello comunitario, un ampio margine discrezionale debba i= essere lasciato agli Stati membri, questi, in ossequio al principio di proporzionalit, devono autorizzare la vendita quando l'aggiunta di vitamine I a derrate alimentari risponde ad un'esigenza reale in particolare di ordine f: tecnico o alimentare. 20. -La prima questione va quindi risolta nel senso che il diritto coI munitario non osta alla disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di derrate alimentari, legalmente vendute in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina, purch la ven I dita sia autorizzata quando l'aggiunta di vitamine risponde ad un'esigenza reale, in particolare di ordine tecnico o alimentare. I Sulla seconda questione. 21. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto comunitario osti ad una normativa nazionale del genere di quella di cui trattasi, qualora l'autorizzazione di vendita sia subordinata alla condizione che l'importatore provi che la merce non nociva per la salute. 22. -Nei casi in cui, tenuto conto della soluzione data alla prima questione, in occasione di una domanda di autorizzazione sorge un pro PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 843 blema di onere della prova, opportuno ricordare che l'art. 36 del Trattato implica un'eccezione, da interpretarsi restrittivamente, al princ1p10 della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit, il quale fa parte dei principi fondamentali del mercato comune. Ne consegue che spetta alle autorit nazionali le quali invocano detta disposizione, onde adottare un provvedimento restrittivo del commercio intracomunitario, di controllare di volta in volta se il provvedimento in progetto risponda ai criteri della disposizione stessa. 23. -Di conseguenza, bench le autorit nazionali, qualora non ne dispongano, possano chiedere all'importatore di esibire i dati in suo possesso relativi alla composizione della merce ed all'esigenza tecnica o alimentare di aggiungere della vitamina, spetta alle stesse autorit nazionali il valutare, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, se l'autorizzazione debba essere concessa in conformit al diritto comunitario. 24. -La seconda questione va quindi risolta nel senso che il diritto comunitario osta alla normativa nazionale che subordini l'autorizzazione di vendere alla prova da parte dell'importatore che la merce non nociva per la salute, salva restando la facolt delle autorit nazionali di chiedere all'importatore l'esibizione di tutti i dati in suo possesso, utili per la valutazione dei fatti. Sulla terza questione. 25. -Con la terza questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto comunitario osti ad una normativa nazionale del genere di cui trattasi, qualora l'autorizzazione alla vendita sia subordinata alla condizione che l'importatore provi che la vendita della merce risponde ad una domanda sul mercato. 26. -Per quanto riguarda l'esigenza della domanda sul mercato, si deve rilevare che il semplice fatto di porre una condizione del genere costituisce di per s una misura d'effetto equivalente vietata dall'art. 30 e che non rientra affatto nell'eccezione di cui all'art. 36. Lo scopo perseguito dalla libera circolazione delle merci consiste precisamente nel garantire alle merci dei vari Stati membri l'accesso ai mercati sui quali esse non erano precedentemente presenti. 27. -La terza questione va quindi risolta nel senso che il diritto ingiuntivo; ma resta che tale valutazione, e la conseguente domanda di pro ~j g ~: ra111r1~11rt1111iftllirlltlrltlllrillitir11~11;111~111r1;r1111rt1rfiliflf;1111r11iirrili111r1r1111sl PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 849 Uno Stato membro non pu subordinare il rimborso dei tributi nazionali riscossi in contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla prova che detti tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora il rimborso sia subordinato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile fesercizio di tale diritto, e ci anche nel caso in cui il rimborso di altri dazi, imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale sia sottoposto alle medesime condizioni restrittive. (2) Il regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso e allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione indebitamente riscossi, si applica solo ai dazi, tasse, prelievi ed imposizioni previsti dalle normative comunitarie e riscossi dagli Stati membri per conto della Comunit. (3) (omissis) 1. -Con ordinanza 23 luglio 1982, pervenuta alla Corte il 5 agosto 1982, il presidente istruttore del tribunale di Trento ha proposto, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, alcune questioni pregiudiziali vertenti sulla determinazione dei principi del Trattato CEE relativi al rimborso di tributi pagati in contrasto col diritto comunitario nonch sull'in terpretazione del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione (G. U. n. L 175, pag. 1). 2. -Dal fascicolo si desume che la societ San Giorgio, attrice nella causa principale, ha dovuto versare, nel periodo 1974-1977, in contrasto col diritto comunitario, diritti di visita sanitaria all'importazione di prodotti lattiero-caseari da Stati membri della CEE. nuncia pregiudiziale avrebbero dovuto restare riservate al Tribunale, mentre sono state usurpate dall'Istruttore, agli effetti di un provvedimento (giurisdizionale certamente ma) privo d'ogni carattere di decisoriet. (2-3) Dalla dichiarata applicabilit del reg. CEE 2 luglio 1979, n. ,1430 ai soli tributi. della Comunit consegue che, pur dopo il 1 luglio il980, la restituzione delle tasse d'effetto equivalente continua ad essere disciplinata dagli ordinamenti nazionali dei singoli Stati membri, secondo quanto pi volte avvertito dalla Corte: inevitabile, quindi, la disparit di trattamento per gli operatori economici nella Comunit, in dipendenza dei diversi regimi nazionali, che in varia misura accordano mezzi di recupero del pagamento :i!ndeb!ito. Lo sforzo della Corte di precisare i limiti di compatibilit delle normative nazionali coi princpi dell'ordinamento comunitario, nel lodevole tenta1livo di sopperire in qualche modo alla mancanza di una regolamentazione comune in materia, non potr attingere facilmente Io scopo della r,eductio ad unum se non con la pi scrupolosa cooperazione dei giudici nazionali, cui spetta -in ultima analisi -di saggiare concretamente la conformit della disciplina interna della condictio ai princpi comunitari. Tali princpi, come si desume dall'orientamento ribadito con la sentenza in rassegna, si riducono -poi -ad uno soltanto, consistente nel divieto di rendere praticamente impossibile l'esercizio del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -Avendo la San Giorgio adito il Tribunale di Trento per la restituzione dei suddetti importi, il Presidente del Tribunale, con decreto nel procedimento d'ingiunzione , ingiungeva all'Amministrazione delle fi. nanze dello Stato di rimborsare alla San Giorgio Ja somma di Lit. 65.160.585 ed autorizzava la provvisoria esecuzione del decreto. 4. -L'Amministrazione delle finanze, dopo aver proposto opposizione avverso il decreto del presidente del tribunale, chiedeva di sospenderne la esecuzione. A sostegno della domanda essa invocava l'art. 10 del decreto legge 10 luglio 1982, n. 430, che reca disposizioni in materia d'imposta di fabbricazione e di movimento dei prodotti petroliferi, di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e relative sanzioni (Gazz Uff. Rep. lt. 13 luglio 1982, n. 190) il quale dispone testualmente: Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazipne, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, non ha diritto al rimborso delle somme pagate, salvo il caso di errore materiale, quando l'onere relativo stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti. L'onere si presume trasferito ogni qual volta le merci in relazione alle quali il pagamento stato operato siano state cedute, anche dopo lavorazione, trasformazione, montaggio, assemblaggio o adattamento di esse, salva la prova documentale contraria... . 5. -Poich la San Giorgio aveva sollevato dubbi sulla compatibilit di dette norme con i principi dell'ordinamento giuridico comunitario, il presidente del tribunale, vista la seriet delle osservazioni mosse e la diritto di ripetizione dell'indebito (tale qualificabile alla stregua di norma comu nitaria). Nella sentenza della Corte il problema riguardato sotto due aspetti: la possibilit -nuovamente riconosciuta -cli tener conto della traslazione dell'imposta al consumo e la regolamentazione del regime probatorio della circostanza legittimamente dichiarata ostativa alla restituzione. Intuitivamente, per, un impedimento all'utile esperimento della condictio potrebbe scaturire da una clisciplina nazionale anche meno articolata di quella dettata nell'ordinamento italiano con l'art. 19 d.l. n. 688/.1982 (riproduttivo della disposizione cli precedente decreto non convertito): pu pensarsi, ad esempio, ad una norma che stabilisse un brevissimo termine di decadenza per ripetere il pagamento (la cui incompatibilit con l'ordinamento comunitario potrebbe non risultare prima facie ed essere accertata solo dopo qualche tempo, e magari dopo l'intervento della Corte). Per restare, comunque, ai problemi connessi all'emanazione dell'art. 19 d.l. n. 688/11982 (da pi parti denunciato d'illegittimit costituzionale, in relazione agli artt. 24 e l1 Cost.) v' da dire, anzitutto, che le affermazioni in diritto della Corte di giustizia autorizzano, senza perplessit alcuna, ad escludere che, dal punto di vista dell'ordinamento comunitario, un !impedimento insormontabile all'esercizio della condictio sia ravvisabile nel fatto stesso d'aver condizionato PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 851 loro rilevanza ai fini della decisione sulla sospensione della provvisoria esecuzione, ha chiesto alla Corte di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali: 1. A chiarimento e, se del caso, a completamento della propria giurisprudenza quale risulta segnatamente dalle sentenze 27 marzo 1980 in causa 61/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Denkavit), 10 luglio 1980, in causa 811/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Ariete) e 10 luglio 1980 in causa 826/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Mireco), la Corte voglia precisare: a) se una legge nazionale che (in deroga alle norme generali concernenti la ripetizione dell'indebito) condizioni alla prova della mancata traslazione su altri soggetti il rimborso di determinati diritti (tra i quali segnatamente, i diritti di visita sanitaria) riscossi indebitamente in contrasto con prescrizioni del diritto 'Comunitario,' in quanto tasse di effetto equivalente a dogana, e non sottopone, invece, alla stessa condizione il rimborso di ogni altra imposta, diritto o tributo indebitamente riscossi, debba considerarsi discriminatoria, in contrasto con i principi dell'ordinamento comunitario; o se sia rilevante la circostanza che i tributi contemplati dalla norma suddetta siano stati in pratica i.ndebitamente riscossi soltanto perch in contrasto con un precetto comunitario; b) se la prova documentale negativa alla quale, ai sensi della legge nazionale predetta, unicamente condizionato il rimborso dei tributi indebitamente riscossi, renda praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare. la restituzione della tassa alla non avvenuta sua traslazione al consumo (secondo criterio gi introdotto, anni or sono, nell'ordinamento giuridico francese senza -a quanto consta -reazioni di sorta). In secondo luogo, e per altro verso, non sembra che dalla sentenza della Corte possano trarsi rfaolutive indicazioni ai fini del giudizio di compatibilit della norma nazionale con l'ordinamento comunitario per quanto concerne il regime probatorio della traslazione. Ed infatti mentre la presunzione che, in tal senso, volesse intravedersi posta nella norma non sarebbe, comunque, una presunzione vincolante per il giudice, pare chiaro che la limitazione dei mezzi di prova (in contrario) non potrebbe, di per se stessa e in assoluto, ritenersi ostacolo insormontabile all'esercizio del diritto, simile giudizio dovendo scaturire -all'evidenza -solo da una coordinata lettura di tutte le altre m;irme dell'ordinamento (nazionale) al quale spetta di disciplinare la restituzione: con la conseguenza, secondo quanto sembra di poter rilevare, che non pu dirsi materialmente impossibile l'esibizione di documenti -come quelLi relativi all'esercizio de1l'impresa commerciale -che gi in base a norme preesistenti (fin dal momento della commercializzazione del prodotto importato o fabbricato) dovevano essere conservati, ex art. 2220 cod. civ., per un periodo esattamente coincidente col termine di prescrizione ordinario applicabile alla azione di ripetizione. S.L. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 2. Se, a partire dal 1 luglio 1980, data di entrata in vigore del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione che si applica testualmente (art. 1, par. 2) ai dazi doganali ed alle tasse di effetto equivalente sia stato per la prima volta instaurato un regime comunitario che disciplina la restituzione dei diritti indebitamente riscossi, senza prevedere alcuna eccezione per l'ipotesi di traslazione dell'onere su altri soggetti; se tale regime debba prevalere su ogni legge nazionale pi antica o pi recente, 6. -Va sottolineato che il decreto legge n. 430, in vigore al momento in cui il presidente del tribunale ha adito la Corte, non stato convertito in legge, ma disposizioni identifiche a quelle dell'art. 10 sono state successivamente riprese dall'art. 19 del decreto legge 30 settembre 1982, n. 688. che introduce misure urgenti in materia di entrate fiscali, convertito in legge dalla legge 27 novembre 1982, n. 873 (Gazz. Uff. Rep. It. 30 settembre 1982, n. 270 e 29 novembre 1982, n. 328). La norma del seguente tenore: Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l'onere relativo non stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale. La prova documentale di cui al comma precedente deve essere fornita anche quando le merci, in relazione alle quali il pagamento stato operato, siano state cedute dopo lavorazione, trasformazione, montaggio o assemblaggio o adattamento di esse... . Sulla ricevibilit. 7. -Il Governo italiano eccepisce !'irricevibilit delle questioni sottoposte alla Corte dal presidente del tribunale nella fase preliminare del giudizio. Esso sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale non pu venir proposta nell'ambito di un procedimento d'ingiunzione, in quanto la decisione da adottare ai sensi del secondo comma dell'art. 177 non rientra nelle competenze del presidente istruttore , ma in quelle del tribunale in quanto organo collegiale. 8. -La Corte ricorda, in proposito, la sua giurisprudenza costante secondo la quale il diritto di adire la Corte a norma dell'art. 177 spetta a qualsiasi giudice degli Stati membri indipendentemente, peraltro, dalla fase del giudizio di cui esso investito e dalla natura della decisione che esso tenuto a pronunciare (v. in merito specialmente le sentenze 14 dicembre 1971, Politi, causa 43/71, Racc. 1971, pag. 1039; 21 febbraio 1974, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Birra Dreher, causa 162/73, Racc. 1974, pag. 201, e 28 giugno 1978, Sim menthal, causa 70/77, Racc. 1978, pag. 1453). 9. -Va osservato in merito che sia il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale, sia la decisione su un'eventuale sospensione del decreto, in seguito all'opposizione dell'amministrazione delle finanze, rien trano nell'ambito degli atti di cui all'art. 177, secondo comma, del Trattato. 10. -L'eccezione preliminare sollevata dal Governo italiano per tanto infondata. Sulla prima questione. 11. -Con la prima questione si chiede essenzialmente se uno Stato membro possa subordinare alla prova della mancata traslazione su altri soggetti il rimborso di tributi nazionali riscossi in contrasto con le disposizioni comunitarie. -qualora il rimborso sia condizionato a criteri di prova che ren dano praticamente impossibile l'esercizio di diritti che i giudici nazionali hanno l'obbligo di tutelare; -qualora il rimborso di tutte le altre imposte, dazi o tasse a carat tere nazionale, indebitamente riscossi, non sia sottoposto alle stesse con dizioni restrittive. 12. -Va osservato in proposito, anzitutto, che il diritto di ottenere il rimborso di tributi riscossi da uno Stato membro in contrasto con le norme di diritto comunitario la conseguenza ed il complemento dei diritti riconosciuti ai singoli dalle norme comunitarie che vietano le tasse d'effetto equivalente a dazi doganali o, secondo i casi, l'applicazione discri minatoria di imposte interne. bens vero che il rimborso pu essere richiesto solo alle condizioni, di merito e di forma, stabilite dalle varie legislazioni nazionali in materia, tuttavia, come risulta dalla giurispru denza costante della Corte tali condizioni non possono essere meno favo revoli di quelle che riguardano analoghe impugnazioni di diritto nazionale e che non devono comunque rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali hanno l'obbligo di salvaguardare (v. in proposito le seguenti sentenze: 15 dicembre 1976, Rewe e Comet, 33 e 45/76, Racc. 1976, pagg. 1989 e 2043; 27 febbraio 1980, Hans Just c. Mini stero danese delle Imposte ed Accise, 68/79, Ra:cc. 1980, pag. 501; 27 mar zo 1980, Denkavit italiana, 61/79, Racc. 1980, pag. 1205; 10 luglio 1980, Ariete e Mireco, 811 ed 826/79, Racc. 1980, pagg. 2545 e 2559, le ultime tre decisioni vengono menzionate dal giudice di rinvio). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 13. -Tuttavia, come la Corte ha inoltre ammesso nella sua precedente giurisprudenza e, in particolare, nella gi menzionata sentenza 27 febbraio 1980 (Hans Just), il diritto comunitario non impedisce ad un sistema giuridico nazionale di rifiutare la restituzione di tributi indebitamente riscossi qualora ci comporti un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto. Per quanto riguarda il diritto comunitario, nulla impedisce quindi ai giudici di tener conto, a norma del loro diritto nazionale, del fatto che i tributi indebitamente riscossi hanno potuto essere incorporati nel prezzo delle merci e riversati in tal modo sugli acquirenti. Non si possono pertanto ritenere contrarie al diritto comunitario, nel loro principio ispiratore, disposizioni legislative naiiona1i che escludano il rimborso di dazi, imposte e tasse riscossi in contrasto col diritto comunitario qualora sia appurato che la persona tenuta al pagamento del tributo lo ha di fatto riversato su altri soggetti. 14. -Viceversa, sarebbero incompatibili col diritto comunitario le condizioni di prova che abbiano l'effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dei tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario. quanto avviene in particolare per le presunzioni o i criteri di prova che tendono a lasciare al contribuente l'onere di dimostrare che i tributi indebitamente versati non sono stati trasferiti su altri soggetti, o di particolari limitazioni in merito alla forma della prova da fornire, come l'esclusione di qualsiasi prova non documentale. Una volta stabilita l'incompatibilit della riscossione col diritto comunitario, il giudice deve essere libero di valutare se l'onere dell'imposta sia stato trasferito su altri soggetti e se lo sia stato in tutto o in parte. 15. -In un'economia di mercato basata sulla ribera concorrenza, la questione se ed in quale misura l'onere fiscale imposto all'importatore abbia potuto essere effettivamente riversato sugli stadi economici successivi comporta un margine d'incertezza che non pu sistematicamente essere imputato alla persona tenuta al pagamento di un tributo contrario al diritto comunitario. 16. -D'altra parte, il giudice nazionale chiede alla Corte se la regolamentazione restrittiva del rimborso dei tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario sia compatibile coi princpi del Trattato CEE qualora non venga applicata in modo identico a tutte le altre imposte, dazi o tasse di carattere nazionale. Esso ricorda in proposito le sentenze nelle quali la Corte, dopo aver constatato che il problema della contestazione di tasse illegittimamente pretese, o della restituzione di tasse indebitamente pagate risolto in modi diversi nei vari Stati membri e persino all'interno di uno stesso Stato, a seconda dei diversi tipi di imposte e di tasse in questione (v. in particolare la sentenza 27 marzo 1980, Denkavit PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE italiana), ha sottolineato che i contribuenti che fanno valere i loro diritti in forza del diritto comunitario non possono avere un trattamento meno favorevole di coloro che propongono reclami analoghi in base al diritto nazionale. 17. -Va precisato in proposito che non si pu ritenere che il requisito di non discriminazione formulato dalla Corte possa giustificare provvedimenti legislativi diretti a rendere praticamente impossibile qualsiasi rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario, purch il medesimo trattamento venga esteso ai contribuenti che fanno valere censure analoghe per l'inosservanza del diritto fiscale nazionale. Il fatto che un regime di prova riconosciuto incompatibile con il diritto comunitario sia esteso, dalla legge, ad una buona parte delle imposte, dazi e tasse nazionali o anche al loro complesso non quindi un motivo per rifiutare il rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario. 18. -La prima questione va quindi risolta nel senso che uno Stato membro non pu subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi in contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla prova che detti tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora il rimborso sia subordinato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile l'esercizio di tale diritto, e ci anche nel caso in cui il rimborso di altri dazi, imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale sia sottoposto alle medesime condizioni restrittive. Sulla seconda questione. 19. -Con la seconda questione si chiede se la soluzione della prima questione possa trovarsi nel regolamento 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso. o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione (G. U. n. L 175, pag. 1). 20. -L'attenzione del giudice nazionale va attirata sul fatto che il sud-. detto regolamento, il quale disciplina il rimborso e lo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione indebitamente riscossi, si applica, ai sensi dell'art. l, n. 2, solo ai dazi, tasse, prelievi ed imposizioni previsti dalla normativa comunitaria e riscossi dagli Stati membri per conto della Comunit. In quanto tale, il regolamento non si applica ai dazi, imposte e tasse nazionali, eventualmente riscossi in contrasto col diritto comunitario. 21. - bens vero che il regolamento mira a garantire la restituzione di imposte comunitarie indebitamente riscosse e che prevede, all'uopo, una procedura specifica, cionondimeno esso non pu applicarsi al rimborso dei tributi nazionali. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6738 Pres. Grana ta Est. Caturani P. M. Antoci (parz. cliff.). Vasciave<;> (avv.ti Cap pelli e De Caterini) c. AIMA (avv. Stato Fiumara). Comunit europee Agricoltura Integrazione di prezzo ai produttori di olio di oliva accordata da regolamenti comunitari . Termine per il pagamento Disciplina applicabile. (Trattato CEE, art. 189; regolamenti CEE del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136; 26 ottobre 1%7, n. 754; cod. civ., artt. 1183, 1224). I regolamenti comunitari che accordano un'.integrazione di prezzo ai produttori di olio d'oliva, omettendo la fissazione diretta del termine per l'adempimento, richiamano implicitamente gli ordinamenti interni; e quindi, per quanto riguarda l'ordinamento italiano, la norma dell'art. 1183 cod. civ., il quale, disponendo l'immediata esigibilit del credito, realizza il massimo della tutela per il creditore, salva per l'applicabilit dei ptincpi che le norme sulla contabilit di Stato dettano in materia di debiti pecuniari della pubblica amministrazione, per cui la stessa pu essere considerata in mora e tenuta a corrispondere i relativi interessi, solo quando, dopo l'espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti previsti, ritardi ingiustificatamente di versare al creditore le somme a costui spettanti. (1) (omissis) Con i primi due motivi, denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 177 del Trattato CEE, dell'art. 3 legge 13 marzo 1958, n. 204, dell'art. 10 del regolamento CEE n. 136/66, del regolamento CEE 2311/71, nonch difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), si assume che quando sollevato davanti ad una giurisdizione di uno degli Stati contraenti un problema di .interpretazione di norme comunitarie, Ql giudice nazionale tenuto ,a richiedere in ogni caso alla Corte CEE una pronuncia in proposito ovvero deve motivare circa l'assenza di problemi interpretativi. I giudici del merito, secondo il ricorrente, non si sono invece occupati del problema ed hanno ritenuto applicabile l'art. 1183 cod. civ. senza indicare le ragioni della scelta della norma ritenuta applicabile. D'altro canto -si sostiene -se vero che nei regolamenti comunitari non figura alcuna indicazione esplicita circa il termine entro cui gli (1) Per le sentenze citate in motivazione, cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 1982, nella causa 283/81, CILFIT, in questa Rassegna, supra, I, 47, con nota di LAPORTA, Manifesta infondatezza di questioni e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunit europee; e 21 maggio :1976, nella causa 26/74, ibidem, 1976, I, 511; Cass., sez. un., 26 aprile 1977, n . .J.561, ibidem, 1977, I, 376, con nota di VITTORIA. " PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE organi dei singoli Stati debbono provvedere al versamento della integrazione, altrettanto vero che esigenze di uniformit nel funzionamento dell'organizzazione comune del mercato dei cereali inducono a ritenere implicito nel sistema la esistenza di un termine ultimo, la cui determinazione non pu che essere rimessa alla Corte di giustizia della CEE. Le riassunte censure sono infondate. noto che in seguito all'istituzione della Comunit economica europea, l'attribuzione di un potere normativo agli organi della comunit (che trae fondamento interno nell'art. 11 Cost. che prevede, in condizioni di parit con gli altri Stati, le limitazioni di sovranit necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni). si realiz21ata nei rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamento interno una vera e propria ripartizione di competenze per materia (Corte cost., n. 183 del 1973). Da un lato quindi la partecipazione dello Stato al Trattato di Roma ha presupposto il riconoscimento di una potest normativa in determinate materie agli organi della Comunit, dall'altra corrispondentemente si prodotta una limitazione degli analoghi poteri degli Stati membri. Secondo l'accennato indirizzo costituzionale, si tratta la conseguenza che i regolamenti comunitari emessi, a norma dell'art. 189 del Trattato CEE, appartenendo ad un sistema normativo che deve essere coordinato con i sistemi normativi degli Stati membri, hanno piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati della Comunit senza la necessit di leggi di recezione e adattamento e che i medesimi costituiscono fonte immediata di diritti ed obblighi sia per gli Stati sia per i loro cittadini in quanto soggetti della Comunit. E si altres affermata l'incostituzionalit di norme nazionali riproduttive e sostitutive di norme comunitarie caratterizzate dalla pienezza di contenuto dispositivo, per violazione dell'art. 11 Cost., sul presupposto che con questa tecnica legislativa dell'ordinamento interno si verifica un'indebita interferenza nei poteri degli organi comunitari, sottraendosi alla Corte di Giustizia l'interpretazione della norma (comunitaria) da applicare (Corte cost., n. 232 del 1975; sez. Un., n. 1773 del 1972; n. 2 del 1975; n. 3461 del 1977). Il problema -che il presente ricorso sottopone all'esame del Collegio -riguarda, in particolare, la fattispecie in cui, difettando una (esplicita) norma comunitaria, in una materia rientrante nella competenza dei relativi organi secondo la disciplina propria del Trattato di Roma la quale regoli un punto del rapporto giuridico in concreto previsto, necessario prendere posizione circa la soluzione del quesito consistente nel decidere se in tal caso la cosiddetta lacuna della disciplina comunitaria possa essere colmata ricorrendo alle norme di diritto interno che disciplinano materie analoghe ovvero non si tratti piuttosto di risolvere una controversia interpretativa di una norma comunitaria, come tale rien RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trante nella competenza esclusiva degli organi della Comunit (art. 177 del Trattato). Nel caso di specie, i regolamenti CEE del Consiglio n. 136/1966, n. 2211/ 1971, n. 2323/1972 e della Commissione n. 2510/1971, n. 2765/1971 e n. 2412/ 1972, che accordano una integrazione del prezzo ai produttori di olio di oliva, pur delineando un sistema che esclude ogni margine di discrezionalit per i competenti organi dello Stato, tenuti a porre in essere una attivit di mero accertamento delle condizioni richieste per la delimitazione quantitativa dell'intervento a favore dei produttori di olio di oliva (sez. un., 17 marzo 1977, n. 1060) e pur avendo compiutamente disciplinato il corrispondente rapporto obbligatorio che si instaura tra lo Stato (debitore) ed i produttori, creditori di un'obbligazione pubblica la quale trova in sede comunitaria i criteri generali della relativa determinazione, essendo allo Stato riservata soltanto un'attivit istruttoria delle domande all'uopo proposte dagli aventi diritto (art. 3 regolamento n. 754/1967), non hanno previsto il termine di adempimento dell'obbligo di corrispondere le somme dovute a tale titolo, onde la necessit di stabilire in qual modo il medesimo deve essere determinato. Deve premettersi che in proposito sussistono due precedenti delle sezioni unite; la sentenza 26 aprile 1977, n. 1561, in tema di pretese dei singoli alle restituzioni alle esportazioni di cereali e la sentenza 4 agosto 1977, n. 3461. Nella prima pronunzia, le sezioni unite rilevarono che, per quanto attiene al pagamento delle restituzioni, al fine di stabilire in che modo si profili nella specie una mora della p.a. e quindi se possa la medesima e con quale decorrenza essere tenuta al pagamento degli interessi moratori, sono applicabili le norme interne. Infatti -si osserv i regolamenti comunitari mentre disciplinano il diritto alla restituzione, l'ammontare di questa e le prove che dimostrano il diritto dell'esportatore alla restituzione stessa, nulla dispongono in ordine alle modalit ed ai tempi del suo pagamento con la conseguenza che le norme dei regolamenti comunitari, non avendo sul punto compiutezza di contenuto dispositivo, non hanno efficacia automatica nell'ordinamento interno. Si escluse pertanto in quella occasione la necessit di sottoporre alla Corte CEE quesiti interpretativi, dovendo risolversi un problema. di interpretazione di norme interne (art. 177 commi 1 e 3 del Trattato di Roma). Nell'altro precedente accennato, invece, riflettente il premio di macellazione, si rilev che, in base all'interpretazione delle relative norme comunitarie da parte della Corte CEE, le disposizioni comunitarie attributrici del diritto di macellazione, hanno compiutezza di contenuto dispositivo per quanto concerne: la nascita del diritto stesso; il contenuto; la base attuativa (esigibilit del premio, scaduto il termine di due mesi dalla prova della macellazione) e pertanto lo Stato risulta debitore per fatto proprio se, per il ritardo nello stanziamento dei fondi, non esegue la prestazione nei termini stabiliti. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 859 Nel caso in questione, la difesa del ricorrente, in chiave critica allo fadirizzo accolto della prima delle citate pronuncie, osserva che la tesi secondo cui il legislatore comunitario avrebbe rimesso la determinazione del termine all'arbitrio delle singole amministrazioni degli Stati membri, in contrasto con la disciplina comunitaria del rapporto, in quanto il fatto dell'adempimento non indifferente alla realizzazione concreta all'interesse del singolo produttore-creditore. Argomenta che, infatti, se vera la mancanza di un termine di adempimento dell'obbligazione pubblica de qua nei regolamenti comunitari, altrettanto vero che gli scopi .stessi del regime di integrazione del prezzo dell'olio sarebbero compromessi in maniera irrimediabile senza l'indicazione di un termine ultimo per il versamento dell'integrazione, valevole in tutti gli Stati della Comunit. La tesi, nella sua assolutezza, non pu essere condivisa dal Collegio. Non v' dubbio che il termine entro cui lo Stato deve procedere al versamento dell'integrazione quale soggetto passivo di un'obbligazione pubblica nei confronti dei produttori attiene alla disciplina della materia rientrante nella competenza degli organi comunitari. Si tratta quindi di ricavare dal regolamento quale sia la regola che riguarda in concreto la determinazione del termine. Il quale non costituisce qualcosa di estrinseco all'obbligazione che si tratta di adempiere, come accade in materia .di restituzione di somme indebitamente percepite dagJJ organi dello Stato per adempimenti ritenuti imposti dal diritto comunitario. In tal caso non vi alcun dubbio che il giudice nazionale, nell'individuare la norma che disciplini il termine del rimborso tenuto ad applicare il diritto interno, non essendo in questione alcun interesse di carattere comunitario (sentenza del Consiglio CEE 21 maggio 1976, in causa 26/74; 5 marzo 1980 in causa 265/78; 12 giugno 1980, in causa 130/79). Il problema profondamente diverso nell'ipotesi che si considera, raio successive, le quali disciplinavano in maniera definitiva ed irrevocabile le rnoclalit esecu:ttve dell'operazione stessa e prevedevano, anzi, che le azioni avrebbero doy.t() .. essere trasferite ad un >. Sostiene l'avvocatura generale dello Stato che la norma, compresa nella sez. VI riflettente le agevolazioni fiscali per l'industria, intanto pu trovare applicazione in quanto si tratti di iniziativa produttiva attraverso cui si realizza una produzione industriale mediante stabilimenti. all'uopo impiantati. La tesi non appare conforme alla disciplina giuridica della agevolazione de qua e risulta influenzata dai requisiti che lo stesso testo unico espressamente richiede ai fini della concessione dei benefici tributari per altri tipi di imposta. Cos per la esenzione dall'imposta di ricchezza mobile, l'art. 106 richiede che si tratti di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati. La parte non superiore al 50 per cento degli utili dichiarati dalle societ previste dall'art. 107, la quale sia direttamente impiegata nella costruzione, ampliamento o riattivazione di impianti industriali nei territori di cui all'art. 1, esente da imposta di ricchezza mobile di cat. B. (1) La decisione d luogo a seri dubbi. t!. sempre stato pacifico che l'attivit edilizia non una attivit industriale agevolata nel Mezzogiorno (Cass., 9 maggio ,1979, n. 2645, in questa Rassegna, 1979, I, 757). La distinzione testuale fra le norme riferite all'agevolazione per l'imposta di ricchezza mobile (artt. 106 e 107) e l'imposta di registro (artt. 107 e 108) e quella per l'imposta sulle PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 947 Altrettanto va detto per quanto dispongono gli artt. 108 e 109 a proposito della registrazione a tassa fissa dei contratti di acquisto di suoli a fini industriali da parte dei comuni e dei trasferimenti di terreni e fabbricati, dove la finalit del contratto deve essere diretta a realizzare l'impianto, la installazione o la costruzione per l'esercizio di attivit industriali e rispettivamente risiedere nel costituire il primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati. La formulazion letterale dell'art. 115 del t.u. che riguarda la esenzione dall'imposta sulle societ, invece chiaramente nel senso che la norma ha inteso concedere il beneficio alle societ che si costituiscono per la realizzazione di nuove iniziative produttive e cio di societ, che pur senza avere il carattere di stabilimenti tecnicamente organizzati, siano rivolte alla produzione di beni o servizi. Rientrano quindi nella previsione normativa anche le societ costituite nei territori dell'art. 1 per l'esercizio di cantieri edili, i quali -secondo la intenzione legislativa (art. 12 disp. prel.) -egualmente contribuiscono allo sviluppo delle condizioni economiche del Mezzogiorno, anche , attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, in definitiva ponendo le premesse di un incremento della occupazione locale. D'altro lato, che la ratio legis sia quella accennata, perfettamente conforme alla lettera del precetto normativo, risulta ulteriormente confortato da quanto statuisce il precedente artt. 111 dello stesso testo a proposito della registrazione a tassa fissa di atti costitutivi di societ industriali, dove per essere ammessi al beneficio si richiede non solo che si tratti di societ aventi ad oggetto l'esercizio di attivit industriali ma che il capitale relativo sia destinato all'impianto negli indicati territori, di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati e al loro esercizio. In conclusione, la decisione impugnata che ha riconosciuto l'applica zione del beneficio previsto dall'art. 115 del testo unico alla societ SA.CA.VA. che con l'atto costitutivo di cui si contende svolge l'attivit di costruzione edilizia nei territori di cui all'art. 1, non merita alcuna censura ed il ricorso deve essere respinto. (omissis). societ, si spiega perch quest'ultima imposta, personale, non pu avere un riferimento esclusivo a impianti e stabilimenti industriali; ma ci non basta per affermare che qualunque attivit produttiva sia agevolata. Ed certamente poco ragionevole che lo stesso reddito sia esente daLl'imposta ,sulle societ e non dall'imposta di ricchezza mobile. Per di pi la societ avente sede nel Mezzogiorno pu svolgere la sua attivit anche al di fuori del territorio s che l'agevolazione avrebbe una por tata di grandissima estensione. 948 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 luglio 1983, n. 4868 -Pres. Mazzacane, Est. Cantillo -P. M. Cantagalli (diff.). Sassatelli c. Ministero delle finanze (avv. Stato d'Amico). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso alla commissione centrale -Motivazione -Finalit -Requisiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). Il ricorso alla commissione centrale richiede una motivazione tale che, se pure senza l'osservanza di un rigido modello formale, consenta di desumere dal complesso dell'atto, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della controversia e l'ambito di impugnazione e sia idonea a identificare le parti della decisione che si intendano impugnare ed a consentire l'immediato controllo della ammissibilit del ricorso. (1) (omissis) 1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato con precedenza il secondo motivo, con il quale i ricorrenti sostengono che la commissione tributaria centrale abbia apoditticamente ritenuto ammissibile il ricorso dell'Amministrazione, a loro parere non evidenziante i motivi del gravame avverso la decisione della commissione di secondo grado. La censura infondata. esatto che, ai sensi dell'art. 25, secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il ricorso alla commissione tributaria centrale deve contenere, a pena di inammissibilit, l'esposizione sommaria dei fatti e dei motivi dlla impugnazione; il quale requisito, pur non comportando l'osservanza di un rigido modello formale, impone che dal complesso dell'atto debbano potersi desumere, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della controversia e l'ambito del giudizio di impugnazione, cio i punti e le questioni di cui si chiede il riesame. a dire, anzi, che il precetto -espressione di un principio generale comune a tutti i mezzi di gravame (stabilito dallo stesso d.P.R. n. 636 del 1972 anche per il ricorso alla commissione di secondo grado) -assume particolare rilievo nell'impugnazione in oggetto, in quanto, oltre ad adempiere alla funzione di identificare le parti della decisione che si intende impugnare e, per converso, quelle alle quali si vuol prestare acquiescenza, consente altres l'immediato control lo di ammissibilit del ricorso medesimo sotto il profilo delle questioni che possono essere portate alla cognizione del giudice di terzo grado, al quale sono sottratte, come noto, le questioni di mero fatto attinenti alla (1) Decisione esattissima con la quale si corregge la troppo elastica massima di Cass., 9 marzo :1981, n . .1316, in questa Rassegna, .19Sl, I, Sl8. Sull'argo mento v. C. BAFILE, Il giudizio di terzo grado nel processo tributario, Padova, 1982, 116 ss. 11r11111111111a11!11111111111111,1r1aar111111~~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 949 valutazione estimativa e alla misura delle pene pecuniarie (art. 26); e ci era sufficiente a negare la possibilit di specificare i motivi o di aggiungerne altri in un momento successivo, con la memoria, anche prima della novella di cui al d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che ha tolto qualsiasi dubbio al riguardo, avendo escluso pure in primo grado l'ammissibilit del ricorso c.d. interruttivo (art. 15, terzo comma). Nella specie, per, la decisione impugnata, nel respingere l'eccezione di inammissibilit, ha osservato che il ricorso, lungi dall'esaurirsi in una generica contestazione della pretesa tributaria, prospettava chiaramente l'oggetto della lite e il vizio denunziato, relativo alla qualificazione giuridica dell'atto sottoposto a tassazione; e appunto tale questione risulta in concreto esaminata, sicch correttamente stato ritenuto adempiuto l'onere di specifioazione dei motivi. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552 -Pres. Santosuosso -Est. Soanzano -P. M. Ferraiolo (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Fallimento Maglificio Schilling. Tributi in genere -Sanzioni -Provvedimento di irrogazione -Natura dichiarativa : Nascita dell'obbligazione al momento della commissione. (legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 3 e 17; d.P.R. 26 ottobre 1933, n. 633, artt. 51, 57, 58 e 75). Il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa discrezionale soltanto quanto alla determinazione della misura, mentre dichiarativo quanto alla verifica della sussistenza del comportamento assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria e presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali; pertanto l'obbligazione civile da sanzione sorge, se pure con oggetto illiquido, al momento della commissione della violazione (applicazione in tema di insinuazione nel passivo di sanzioni accertate dopo la dichiarazione di fallimento per infrazioni consumate anteriormente). (1) (1) Decisione di molto interesse di cui va segnalata la preclSlone della motivazione. Parallelamente alla definizione dell'obbligazione tributaria, ormai pacifica in giurisprudenza (v. Relazione Avv. Stato, ;1976-80, II, 417) viene riaffer mata la stessa natura di obbligazione legale, che sorge per il verificarsi dell'evento assunto dalla legge come costitutivo della fattispecie sanzionatoria, anche per la pena pecuniaria, bench essa richieda, per assumere liquidit ed essere adempiuta, un provvedimento che discrezionale limitatamente alla determinazione del1a misura. Se ne dovrebbero trarre le conseguenze 'logiche anche in tema di interessi sulla sanzione: allo stato mentre pacifica la debenza degli interessi sulla soprattassa (Cass., 5 ottobre 1982, n. 51rl5, in questa Rassegna, 1983, I, 181) non risulta ancora chiarito se gli interessi gra vino alla pena pecuniaria. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO (omissis). -L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 legge 7 gennaio 1929, n. 4; 21 sgg. in relazione all'art. 41 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e premesso che, nell'ambito del rapporto giuridico d'imposta, la legge ricollega al verificarsi di un dato presupposto la nascita di obbligazioni formali e sostanziali a carico del soggetto passivo, sostiene che la violazione di doveri di comportamento preordinati al concreto e fruttuoso esercizio del potere di imposizione tributaria costituisce fatto da cui discendono immediatamente conseguenze patrimoniali, in termini di sanzione. In ordine a tali conseguenze -soggiunge -la discrezionalit di cui gode l'Amministrazione riguarda solo la graduazione della pena pecuniaria, mentre l'atto con cui essa accerta verificati i relativi presupposti ed irroga la sanzione rimane fuori della fattispecie costitutiva della relativa obbligazione. Risolutivo in tal senso sarebbe l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui il diritto alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive col decorso di cinque anni dalla commessa violazione. Il ricorso fondato. La Corte di merito muove dalla premessa della natura costitutiva dell'accertamento tributario e ritiene di potere trarre conforto, in ci, dalla sentenza di questo Supremo Collegio del 12 agosto 1963, n. 2293. Tale sentenza per non giustifica quella premessa, perch 'anzi, essa, dopo avere enunciato le varie teorie circa la natura del detto accertamento, afferma che il delicato problema relativo al momento in cui sorge il debito di imposta non viene in rilievo ai fini dell'applicazione dell'art. 184 della legge fallimentare. Si trattava in quella occasione di stabilire, appunto, se, ai sensi di tale disposizione, il credito per imposta straordinaria sul patrimonio, non esigibile per difetto di accertamento e di iscrizone nei ruoli, fosse da considerare anteriore al concordato preventivo; e la questione fu risolta in senso negativo sul fondamentale rilievo che prima del concordato, e riguardo alla imposta non ancora accertata, H suo titolare (rectius, il titolare del diritto di riscossione, giacch, era parte in causa l'Esattoria comunale) non aveva un diritto di credito (tanto che l'obbligato non poteva neanche soddisfarlo prima dell'accertamento) e comunque il diritto di riscuoterlo. Problema analogo tratta la sentenza n. 849/73 invocata nel controricorso. Per ritenere che l'accertamento tributario abbia natura dichiarativa giova invece richiamare il prevalente orientamento dottrinario, formatosi gi anteriormente alla riforma, secondo il quale con l'accertamento l'Am ministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi verificatisi, al solo fine di precisare in termini quantitativi gli effetti giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilit (v. Cass., n. 2397/81). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Giova inoltre ricordare che nel regime istituito con la riforma tributaria, vige anche per le imposte personali (corrispondenti a quelle che anteriormente erano qualificate imposte con accertamento) il sistema dell'autoaccertamento e dell'autotassazione, rispetto a cui il successivo eventuale accertamento dell'Amministrazione ha, in definitiva, la funzione di verifica della regolarit formale e sostanziale degli adempimenti del contribuente, e, in caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, di dichiarare gli effetti che la legge ricollega alla fattispecie assunta come presupposto dell'imposta. Se dunque il problema dovesse essere risolto in base alla natura dell'accertamento tributario, non sarebbe dubbio che la data di riferimento, ai fini del giudizio sull'anteriorit al fallimento del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella dell'infrazione e non quella dell'irrogazione della sanzione. Anche per l'IVA, infatti, il d.P.R. n. 633/72 prevede specifiche forme di autoaccertamento ed autotassazione e, in apertura del titolo quarto, concernente l'accertamento e la riscossione, prevede attribuzioni e poteri al l'ufficio in funzione di controllo delle dichiarazioni del contribuente. Ma, volendo prescindere dalla problematica all'accertamento del tri buto ed avere riguardo al provvedimento irrogativo di sanzione pecuniaria ed al relativo credito (cio al credito da pena pecuniaria per violazione degli obblighi imposti dal citato d.P.R. n. 633), le conclusioni nel senso anzidetto si impongono in forma altrettanto perentoria. Richiamando il principio secondo cui un credito si considera anteriore al fallimento, e quindi ammissibile al concorso, se il relativo fatto costitutivo (contratto, fatto illecito, atto o fatto idoneo a produrlo in conformit dell'ordinamento) si sia concretato prima della data della sentenza dichiarativa di fallimento, e che a questi fini non ha alcuna rilevanza la circostanza che il credito sia, prima di tale data, liquido ed esigibile o non, agevole constatare che il credito erariale per sanzione pecuniaria trova la sua origine in un comportmento commissivo od omissivo che diventa giuridicamente rilevante (come fatto costitutivo della ragione di credito) nello stesso momento in cui esso stato posto in essere. L'art. 51 del d.P.R. n. 633/72 attribuisce all'ufficio il potere-dovere di irrogare la sanzione nell'ambito della (su ricordata) attivit con cui esso controlla la dichiarazione del contribuente o ne rileva l'eventuale omissione, per modo che il provvedimento irrogativo della sanzione (applicabile in caso di accertate violazioni) non che la constatazione degli effetti di un comportamento anteriore e la determinazione quantitativa delle conseguenze patrimoniali derivatene a carico dell'autore della violazione. Solo a tale determinazione (lo riconosce anche il controricorrente) si riferisce il margine di discrezionalit che l'art. 49 del d.P.R. in esame attribuisce all'Ufficio medesimo. invece sottratto alla sua disponibilit l'obbligazione in s, potendo solo gli organi del contenzioso tributario (a 952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO norma dell'art. 48 ultimo comma) dichiarare non dovute le pene pecu. niarie, con una valutazione che non esclude l'esistenza dell'anteriore presupposto all'obbligazione stessa e valorizza circostanze che facciano apparire non censurabile in concreto il comportamento del contribuente. Depone a favore della tesi qui accolta l'art. 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633, secondo cui il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive in cinque anni dalla data dell'infrazione. La norma richiamata, anche se non pu trarre qui applicazione diretta ed esaustiva (stante il disposto dell'art. 58 del d.P.R. citato) esprime tuttavia un principio generale nel senso che il fatto costitutivo del diritto di credito da sanzione pecuniaria sorge col comportamento commissivo od omissivo del contribuente, assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria e come presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali. Ed a tale principio questa Corte ha riconosciuto una forza tale da porre a carico dell'Amministrazione i tempi ne.cessari allo svolgimento del procedimento di accertamento dell'infrazione (v. Cass., nn. 1502/78, 3431/80). Una disciplina pi specifica dettata, in materia, dall'art. 58 d.P.R. n. 633/72, che, al terzo comma, con riferimento alle infrazioni che non danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere il termine per la notifica del provvedimento di irrogazione della sanzione assumendo come anno iniziale quello in cui avvenuta la violazione, cos come, analogamente, il secondo comma (coordinato col precedente art. 57) per quanto riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamento, fa riferimento all'anno in cui la dichiarazione del contribuente stata o avrebbe dovuto essere presentata. Ora, bens vero che la norma prevede piuttosto una decadenza dal potere di irrogazione della sanzione, che una prescrizione del relativo credito; anche vero per, che tale potere si risolve nella constatazione formale (della rilevanza) di un fatto anteriore, costituente infrazione, e nella determinazione degli effetti che la legge prescrive si concretano in una obbligazione di pagamento di una somma di denaro, e siccome la detta obbligazione ha carattere civile, ne deriva che essa (a differenza di quella relativa ad una sanzione penale) concepibil~, e pu sussistere, anche come avente ad oggetto un illiquido, e che quindi il fatto considerato dalla legge come idoneo a produrla (cio il comportamento omissivo o commissivo del contribuente) integra compiutamente il suo momento genetico. Deve allora concludersi che (come questa Corte ha gi rilevato con sentenza n. 1502 del 3 aprile 1978 in tema di infrazioni valutarie) anche in materia di IVA il procedimento sanzionatorio ed il conseguente provvedimento hanno la funzione di accertare nei suoi termini anche quantitativi una obbligazione pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo pre PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 953 cedente, e che se tale fatto anteriore al fallimento dell'autore della violazione, il relativo credito dello Stato ammissibile al concorso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 settembre 19'83, n. 5583 -Pres. Brancaccio -Est. Virgilio -P. M. Catelani (conf.). Ministero delle finanze (avv. Stato Palatiello) c. Pandolfini. Tributi erariali diretti -Imposta complementare progressiva sul reddito complessivo -Partecipazione in societ di persone -Determinazione con riferimento alla quota del reddito sociale -Effettiva percezione da parte del socio -Irrilevanza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 115). Ai fini dell'imposta complementare, il reddito del socio di una societ di persone sempre costituito dalla quota del reddito della societ indipendentemente dall'effettiva percezione. (1) (omissis) La ricorrente deduce violazione dell'art. 135 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dell'art. 2262 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonch insufficienza di motivazione, e sostiene che la Corte di appello ha omesso di considerare il diverso regime stabilito dalle lett. c) e d) del citato art. 135, rispettivamente, per le societ di persone e di capitali. Per le prime, i soci sono assoggettabili all'imposta complementare in ragione della loro quota di diritto sugli utili sociali, la quale costituisce una componente del reddito complessivo del socio indipendente dalla effettiva percezione di essa da parte dell'avente diritto. La censura fondata. La formulazione letterale delle disposizioni di cui all'art. 135 c) e d), del t.u. n. 645 del 1958 denota chiaramente il diverso regime stabilito dalla legge ai fini della determinazione dei redditi derivanti da partecipazione in societ semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice ovvero da partecipazioni in societ per a:z;ioni, in accomandita per azioni, a responsabilit limitata e cooperative . (1) Decisione indubbiamente esatta, rilevante oggi per comprendere lo stesso principio stabilito per l'IRPEG dall'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e per dimostrare l'inconsistenza delle critiche mosse a questa norma. Una eccezione al principio stata affermata per l'ipotesi in cui socio della societ di persone sia una societ di capitali (Cass., 27 febbraio 1982, n. il.268, in questa Rassegna, 1982, I, 808; 8 maggio 1982, n. 2866, ivi, 962). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 954 Nel primo caso (societ di persone) il reddito valutato in misura pari all'ammontare dei redditi netti della societ proporzionalmente alla quota per la quale il contribuente ha diritto di partecipare agli utili della societ stessa; nell'altra ipotesi (societ di capitali) in misura pari all'ammontare degli utili a qualunque titolo o in qualsiasi forma percepiti dal contribuente. Il raffronto tra le due disposizioni pone in evidenza che nel primo caso elemento essenziale e sufficiente per attribuire al socio il reddito della societ, nella misura corrispondente al suo diritto di partecipazione agli utili, soltanto la sua qualit di socio, indipendentemente da ogni prova sulla effettiva percezione della quota-parte di utile netto a lui spettante; nel caso delle societ di capitali, per la diversa struttura di tali enti, invece necessario il requisito della effettiva percezione, da parte del socio, degli utili che a lui competono, perch solo in tale situazione sorge la pretesa tributaria afferente al reddito derivante dalla sua partecipazione all'ente. La ragione del diverso trattamento ravvisabile, come si gi detto, nella differente configurazione che i due tipi di societ hanno nell'ordinamento giuridico, sicch nella ipotesi della societ di persone il fatto stesso della partecipazione ad essa (e nei limiti del diritto alla. quota di utili) determina automaticamente e indiscutibilmente, ai fini tributari, l'attribuzione del reddito proporzionale al socio, in quanto si ritiene senz'altro che l'utile netto accertato per la societ sia stato ripartito tra i soci (Cass., 24 aprile 1979, n. 2324), laddove nell'altro caso, in considerazione dei pi complessi meccanismi di produzione e di distribuzione degli utili e della diversa struttura dei rapporti tra societ e soci, l'attribuzione a questi ultimi di una quota di reddito presuppone che gli utili siano stati effettivamente distribuiti, e perci che sia avvenuta la loro percezione, cio il trasferimento di una quota di reddito dalla societ al socio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5692 -Pres. Brancaccio; Est. Zappulli, P. M. Paolucci -Ministero delle finanze (avv. Stato Salimei) c. Natoli. Tributi in genere -Contenzioso tributario Procedimento innanzi alle commissioni Appello Notifica ad istanza di parte e successivo deposito nella segreteria -Nullit Sanatoria Esclusione. {d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 22; cod. proc. civ. art. 156). nullo l'appello notificato ad istanza di parte e successivamente depositato nella segreteria della Commissione in violazione dell'art. 22 del PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 955 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; la nullit non sanata dalla partecipazione dell'appellato al giudizio di appello. (1) (omissis) Con l'unico motivo del suo ricorso il Ministero suddetto ha censurato quella decisione per violazione degli artt. 156 e 160 cod. proc. civ., richiamati dall'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, deducendo che la rilevata inosservanza dell'art. 22 del medesimo relativo alla notificazione dell'appello avverso la decisione della commissione di primo grado attraverso la segreteria di quest'ultima, a causa della notifica diretta da parte dell'ufficio invece che nella forma prevista da quella norma, importava solo una irritualit dell'atto, e non una nullit. Secondo l'amministrazione ricorrente tale nullit non era comminata da alcuna norma, come richiesto dall'art. 156 cod. proc. civ., e l'atto aveva, comunque, raggiunto il suo scopo, tanto che la destinataria aveva presentato memoria difensiva innanzi la commissione di secondo grado. Il ricorrente, ha sostenuto, inoltre, che pure la trasmissione diretta dell'atto d'appello e del fascicolo di primo grado dall'ufficio appellante alla commissione di secondo grado, invece che per il tramite della segreteria della commissione di primo grado, costituiva una mera irregolarit sanata dal conseguimento dello scopo. Il motivo infondato. Invero, come gi posto in rilievo da questa Suprema Corte (Cass., 7 giugno 1982, n. 3442), in seguito alla riforma del contenzioso tributario di cui al menzionato d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il procedimento di appello innanzi le commisioni di secondo grado, regolato dagli artt. 22-24, fondato su un evidente impulso processuale di ufficio e si articola in precisi momenti aventi carattere e funzione di presupposti (presentazione del gravame alla segreteria della commissione tributaria che ha emesso la decisione impugnata) e di atti procedimentali (notificazione dell'atto di appello alla controparte ad opera della medesima segreteria, ricezione e notificazione dell'eventuale appello incidentale che deve essere proposto entro sessanta giorni dalla prima notificazione ad iniziativa della segreteria suddetta, formazione del fascicolo, trasmissione del medesimo alla commissione di secondo grado). (11) Il rigore della massima pu essere giustificato con la inesistenza di un termine entro il quale l'appello notificato ad istanza di parte debba essere depositato; ci potrebbe dar luogo ad un vuoto nell1t sequenza procedimentale determinando una anomala pendenza dell'appello che peraltro la segreteria della commissione ignora. Il principio dell'officialit del processo meno rilevante; ne d dimostrazione la modifica introdotta con il d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che, per il ricorso in primo grado, ha sostituito la notifica per iniziativa di parte a quella a cura della segreteria. giusto invece il rilievo che i tempi del procedimento non. devono essere alterati. Per analoga ragione nullo il ricorso presentato all'ufficio e trasmesso oltre il termine alla segre teria (Cass., 4 febbraio 1981, n. 754, in questa Rassegna, 1981, I, 595). 956 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO In tale situazione l'attivit e le funzioni della segreteria della commissione a qua rappresentano il nuovo elemento caratterizzante il procedimento di secondo grado. Tale elemento stato, poi, sottolineato dal d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, contenente norme integrative di quello del 1972 n. 636:. invero ai sensi dell'art. 14 del nuovo decreto, alla formula l'atto di appello... presentato alla segreteria della commissione ... stata sostituita l'altra ... proposto mediante consegna o spedizione ... alla segreteria della commissione ... con un significativo chiarimento circa la funzione della segreteria de qua. Rispetto a tali forme cos prescritte la notificazione dell'appello diversamente effettuata, e cio direttamente alla controparte e con deposito dell'atto ad iniziativa dell'appellante presso la segreteria della commissione di s.econdo grado, rappresenta secondo la citata sentenza un atto estraneo alla fattispecie procedimentale legale e non pu valere come equipollente della fattispecie stessa. I principi di comminatoria legale dei casi di nullit (art. 156, primo comma cod. proc. civ.) e di raggiungimento dello scopo (art. 156, terzo comma) non sono utilizzabili nella specie, che riguarda non atti processuali viziati (rispetto ai quali possa configurarsi una sanatoria quoad effectum), ma il compimento di atti strutturalmente e funzionalmente estranei alla fattispecie procedimentale legale. Non poi da trascurare che il sistema adottato con la nuova normativa non semplicemente diretto ad una tutela delle parti nel necessario contraddittorio, ma ad assicurare pi rapidi accertamenti, nello interesse generale dell'attivit tributaria dello Stato, con possibilit di pi semplice e pronta documentazione sulla proposizione delle impugnazioni nei termini di legge a causa di quel necessario loro passaggio attraverso la segreteria della stessa commissione che ha emesso la decisione. In tal modo, nell'assenza di tempestivi ricorsi immediata alla scadenza dei termini la conoscibilit da parte degli uffici interessati della conseguente definitivit delle decisioni, senza bisogno di ulteriori richieste e comunicazioni tra uffici e segreterie di commissioni diverse. Invece, nel caso di presentazioni di impugnazioni la stessa segre teria che, effettuate le necessarie comunicazioni e controllato lo scadere dei termini, pu provvedere all'invio dei fascicoli alla commissione di grado superiore senza necessit di ulteriori richieste e segnalazioni. fa cile rilevare come questa semplificazione con la conseguente maggiore rapidit corrisponde ai principi direttivi della riforma tributaria attuata per la parte del contenzioso con il citato d.P.R. n. 636 del 1972. Inoltre, per quanto riguarda la possibilit di appello incidentale ovvio che la mancata applicazione delle norme di cui all'art. 22 di quel decreto importa difficolt e incertezze per la sua eventuale proposizione da parte del destinatario dell'impugnazione principale, che incidono sul PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA contraddittorio. Al riguardo vana l'affermazione dell'Amministrazione ricorrente sulla assenza nella specie di pregiudizi per la contribuente a causa della totale vittoria di costei nel giudizio di primo grado: infatti, la volont del legislatore sulla inderogabilit della applicazione di un procedimento, quale quello previsto dal ripetuto art. 22, va considerata in linea generale e non con riferimento alle singole fattispecie. Resta da precisare che l'attuazione della notificazione attraverso un sistema di atti estranei all'attuale ordinamento, alterando il modo di trasmissione del fascicolo alla commissione di secondo grado, aggrava gli inconvenienti rilevati e produce anche attraverso quella diversit effetti differenti da quelli voluti dal legislatore. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 15 luglio 1982, n. 4171 -Pres. De Biasi Rel. Giardina -P. M. Nicita (conf.) -Soc. Sicilprofilati (avv. Manfre donia) c. Comune di Palermo (avv. Compagno e La Marca). Arbitrato -Comp~tenza arbitrale -Connessione con causa .pendente dinanzi all'A.G.O. -Prevalenza della competenza del ,giudice ordinario. Ove sussista rapporto di connessione tra cause pendenti dinanzi a giudici ordinari ed arbitrali, deve ritenersi prevalente -ed assorbente la competenza dell'A.G.O. (1) II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 luglio 1982, n. 4257 -Pres. Tamburrino -Rel. Santosuosso -P. M. Nicita (conf.) -Impresa Costruzioni Prefabbricati LC.P. S.p.A. (avv. Miglior e Cualbu) c. Cooperativa Edilizia Olimpia S.r.l. (avv. Marmironi). Arbitrato -Competenza arbitrale -Clausola compromissoria Estensione a tutte le controversie aventi origine dal contratto. La clausola compromissoria, inserita in un contratto, deve essere intesa nel senso che entrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese che hanno la loro causa petendi nel contratto, che abbiano cio per oggetto diritti quali hanno in quest'ultimo la loro fonte genetica (2). (1-3) La prima sentenza riportata in epigrafe ribadisce concetti ormai pacifici nella giurisprudenza della Cassazione. In numerose occasioni (si cfr. fra tutte, Cass., 20 maggio 1969, n. 1379, in Giust. civ., 1969, I, ,1427; Cass., 7 agosto 1972, n. 2647, in Giust. civ., 1973, I, 827; Cass., 28 maggio 1979, n. 3099, in Giust. civ. Mass., 1979, '1340; Cass., 27 gennaio 11981, n. 628, in Giur. comm., 11981, II, 888) la Suprema Corte ha affermato che l'assorbimento della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario trova fondamento nell'esigenza di unit clli giudi2lio in cause connesse, e nella prevalenza della giurisdizione dell'A.G.O. Si altres ritenuto in giurisprudenza (da ultimo, Cass., 27 gennaio 19&1, n. 628, cit.) che tale assorbimento si PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 959 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 giugno J983, n. 4229 -Pres. Sandulli -Rel. Lipari -P. M. Nioita {conf.). -Rizzo (avv. A. Pallot~ino e Cresoimairmo) c. Assessoraito ai lavori pubblici delJa regione Sicilia (n. c.). Arbitrato Clausola compromissoria in cont.ratto della reglone Sicilia Richiamo al capitolato generale oo.pp. del 1895 Fonte negoziale dell'arbitrato obbligatorio Sopravvenienza del capitolato generale oo.pp. del 1962 e delle legi r:egionali n. 19 del U72 .e n. 21 del 1973 . D.eroga, b!Ut deJla .c~peteJU')a ro-bitrale p,er unU.aterale volont di una. parte -Esclusione. (d.m. 28 maggio 1895, ,art. 42; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47; I. x;eg. Sicilia 31 marzo c1972, n. 19, e 26 maggio 1973, I. 21). Il capitolfl.to g.et1-ert1.le del 1895, non diversame11>, predisposto daUa P.A. per i propri contratti e vincolante esclusi vamente in detto ambito, mentre la qualificazione normativa spetta ai soli capitolati richiamati nei contratti di appalto di cui sia parte contraente lo Stato (toccando una situazione radicalmente diversa da quella di specie). 3. -E qui si innesta il discorso, fin troppo noto, sulla natura giuridica dei capitolati d'appalto. Sia rispetto al capitolato del 1895, che a quello del 1962, si postulate (in via interpretativa per il primo, e per espressa statuizione formale per il secondo) il carattere normativo solo quando venga invocato dallo Stato. Se il richiamo operato da soggetti diversi dello Stato ha carattere negoziale, venendone esclusa la natura normativa, la disciplina resta ancorata alle clausole contenute nel contratto, o da questo puntualmente richiamate, senza che possano spiegare effetti di sorta le modificazioni intervenute sul piano normativo. Ne consegue che il passaggio dal regime della obbligatoriet a quello della facoltativit dell'arbitrato, esplica i suoi effetti sui rapporti in corso solo se si tratta di appalti che ripetono la loro disciplina dalla matrice legale del capitolato medesimo, quale regola imposta ab extra alla volont dei contraenti. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 961 Se, dunque, il capitolato generale del 1962 (recentemente modificato sul punto della clausola arbitrale dalla legge n. 751 del 1981, ispirata da criteri restrittivi nell'opzione per la competenza ordinaria) ha natura e valore normativo di regolamento di organizza:tiione solo nei confronti delle amministrazioni dello Sta,to, quando viene in considerazione la relatio operata in tal senso da altri enti, ancorch tenuti ad uniformare i propri capitolati a quello generale dello Stato, le previsioni del capitolato medesimo costituiscono clausole negoziali, operanti per volont pattizia (e non in quanto imposte autoritativamente nel quadro di un rapporto che implica, entro certi limiti, la subordinazione di un soggetto ad un altro anche durante il suo svolgimento). Questa essendo la limitata forza negoziale del richiamo operato al capitolato nei contratti che non siano stipulati da amministrazioni dello Stato, ne consegue che la volont negoziale formatasi per relationem al capitolato generale vigente al momento in cui il contratto concluso, e richiamato nominatim, resta definitivamente ancorata alle pattuizioni consacrate nell'atto, senza che le eventuali modificazioni sopravvenute possano riflettersi su tale disciplina, alterando il rapporto pattizio del contratto in corso. Infatti la timmediata applicabilit dello ius superveniens (e quindi specificamente la disciplina facoltativa dell'arbitrato in luogo di quella obbligatoria ed inderogabile) si pu manifestare esclusivamente sul piano suo proprio della normativit, se ed in quanto il capitolato venga in considerazione nella qualit e con l'efficacia propria dell'atto normativo. Ci posto, il discorso del ricorrente appare privo di pregio perch inammissibilmente ancorato al presupposto della normativit del capitolato richiamato e di quello sopravvenuto, che ha operato il passaggio dal carattere obbligatorio a quello facoltativo dell'arbitrato. Se esatto quel che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha sempre ritenuto, postulando il carattere negoziale del capitolato richiamato da soggetto diverso dalla amministrazione statale, (anche se tenuto ad uniformarvisi), la sopravvenienza di una norma che introduca ex novo un obbligo siffatto per l'innanzi insussistente, opera (e non pu che operare) con proiezione esclusiva verso il futuro, nel senso, cio, che l'ente non potr, dalla data di entrata in vigore della norma che impone quell'obbligo, addivenire a contratti non contemplanti una relatio siffatta; ma tale sopravvenienza non spiega alcun effetto sulla disciplina pattizia (Cass. n. 178/82) sia per le previsioni di carattere sostanziale, sia per quella di carattere processuale (Cass., nn. 3018/75, 5413/77, 1638/82). Con ci non si nega che la eterointegrazione sia possibile in astratto, ma si esclude recisamente che le leggi regionali siciliane richiamate ab biano una efficacia siffatta. Esse non si propongono di incidere sui rap porti in c0rso mediante sostituzione di parte della disciplina pattizia, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 968 ma vincolano per il futuro Regione ed enti regionali alla stipula di contratti nei quali sia necessariamente operata la relatio alle clausole del capitolato del 1962. L'applicazione del capitolato vincola in relazione alla stipula di futuri contratti, ma non riguarda affatto i contratti iin corso. questo snodo del ragionamento del ricorrente che risulta del tutto apodittico ed indimostrato; conseguentemente manca di base la successiva illazione che l'art. 47 del nuovo capitolato del 1962 si sostituisce all'art. 42 del vecchio capitolato. Poich le leggi regionali si proiettano esclusivamente nel futuro (in coerenza con la caratteristica tipica, che ne limita in principio, l'efficacia retroattiva) acquista determinante rilievo, costituendo l'essenziale spartiacque interpretativo, l'anteriorit della stipula del contratto in esame all'emanazione della norma che impone alla Regione di uniformarsi (per il futuro) al capitolato, imposizione che di per s non si riflette sulla disciplina negoziale, vincolando il committente a predisporre lo schema dei futuri contratti secondo determinati parametri contenutistici mutuati al capitolato del 1962, ma non tocca la disciplina dei contratti, il cui contenuto resta integrato, in forza di recezione materiale, dal capitolato vigente al moment9 della stipula (e ad esso solo). Nel caso in esame, alla data della stipula del contratto di appalto le leggi regionali non erano ancora intervenute, imponendo al committente l'adozione dello schema del capitolato del 1962 (del resto nemmeno entrato .in vigore); e, pertanto, l'Assessorato era libero di addivenire ad una stipula in cui il regolamento negoziale veniva completato dalla relatio al capitolato del 1895, e specificamente alla clausola arbitrale inderogabile di natura negoziale che restava insensibile alle modificazioni normative sopravvenute incidenti esclusivamente sulle situazioni negoziali che postulano obbligatoriamente l'adozione della normativa, del capitolato, trattandosi di negozi posti in essere dalle amministrazioni statali. 4. -Rappresenta, pertanto, una forzatura esegetica, priva di qualsiasi riscontro, l'assunto che le richiamate leggi regionali non si siano limitate a prescrivere l'obbligo della regione e degli enti pubblici da essi dipendenti di uniformare i propri capitolati a quello generale dello Stato, dettando un obbligo di tacere operante per il futuro (e incidente soltanto sul contenuto dei negozi da stipulare), ma abbiano prescritto, con effetto sostitutivo immediato, l'adozione in tutti i contratti in corso, delle norme del capitolato dello Stato che trovavano applicazione come fonte unica diretta ed immediata di disciplina del rapporto. La tesi non solo non risponde all'univoco dettato della legge, ma comporterebbe, se tale fosse stata la volont del legislatore regionale, una manifesta esorbitanza dall'ambito della competenza normativa regionale. 1111111J11:mr1111irt111;1ri==rlrlli1t11i111111111;;111t111111111far,1 :~ ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 969 Non, quindi, la disposizione negoziale che introduce per la risoluzione delle liti lo strumento dell'arbitrato obbligatorio inderogabile (che nulla ha a che vedere con il paradigma della giurisdizione speciale), ma la eventuale pretesa del legislatore regionale di incidere sulla materia contrattuale si presenterebbe quale evidente violazione del sistema costituzionale delle fonti. Senza che occorra delibare, sia pure sommariamente, la delicata problematica che ruota intorno alla norma dell'art. 1339 cod. civ., sull'inserzione automatica di clausole nei contratti, sembra sufficiente sottolineare che se fosse esatta, ma non lo , l'ipotesi interpretativa affacciata dall'appaltatore, la legge regionale che pretendesse di operare una siffatta inserzione di clausole nei contratti vigenti, conformandone il contenuto ad un archetipo obbligatoriamente imposto per tutti i contratti in corso di svolgimento (in un dato ambito regionale), si porrebbe in contrasto con la Costituzione. Ritiene fermamente il Collegio che questo il legislatore regionale non abbia voluto fare, essendone chiaro l'intento di dettare un vincolo per le future contrattazioni; si deve, comunque, rilevare ad abundantiam che non avrebbe potuto farlo per l'impedimento nascente dai limiti che esso incontra in materia di diritto privato e di disciplina dei contratti, sia pure ad evidenza pubblica, quale si presenta l'appalto di opere pubbliche; e perch ne sarebbe conseguita una pafese diversit di trattamento fra contratto e contratto in ambito spaziale differenziato, con violazione del principio di eguaglianza. Altro, infatti, il potere della regione di dettare un modello negoziale ai propri organi deputati alla stipulazione dei contratti, predisponendo il contenuto sul quale si dovr formare il consenso, altro il potere di rompere l'equilibrio di contratti gi stipulati per imporre ab extra una disciplina diversa da quella espressa dal regolamento negoziale, potendo avvenire la sostituzione delle clausole dei contratti (anche ammesso, ma la tesi lascia perplessi, che tale sostituzione possa riguardare contratti stipulati quando ancora l'imposizione legale del contenuto della clausola non si era avuta) soltanto in forza di leggi dello Stato. In effetti, la giurisprudenza della Corte cost. fermissima nell'esclu dere l'interferenza della potest legislativa regionale nel campo del diritto privato contrattuale (cfr. sentt. nn. 38/77, 154/72, 108/59) ed ha corretto un antecedente orientamento che consentiva alla regione di apprezzare eccezionali situazioni locali, precisando che, quantunque lo statuto sici liano, soltanto all'art. 14 lett. d) a proposito di industria e commercio, escluda espressamente la competenza di diritto privato, in via di prin cipio la disciplina dei rapporti intersoggettivi di natura privatistica appar tiene alla competenza istituzionale dello Stato, perch ad essa sotto stanno esigenze di unit e di eguaglianza che possono essere salvaguar date esclusivamente dall'ente esponenziale dell'intera collettivit nazionale. rapporti negoziali rapporti negoziali :-:_.:.-..-::: ............. 970 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La regione, dunque, ben poteva, come ha fatto, imporre a soggetti di diritto pubblico di adottare determinati parametri contenutistici nell'addivenire ai futuri contratti di appalto; ma rispetto a in atto, difettava radicalmente di quel potere sostitutivo, dai delicati connotati, cui fa riferimento l'art. 1339 cod. civ. nemmeno attraverso l'imposizione di detti contenuti in via indiretta dettando cio la norma imperativa la cui sostituzione viene a dipendere dalla forza propria dell'art. 1339' cod. civ. Si vuol dire, cio, che rappresenterebbe una indebita interferenza nella disciplina legale contrattuale pretendere di sostituire le clausole contenute nei contratti stipulati dalla regione con altre clausole retroattivamente imposte, poich, a parte il problema della retroattivit, il dettare regole suscettibili di imporsi ai contraenti nel senso che ad esse si debbano confermare i contratti futuri, con l'effetto di venire ad essere sostituite le clausole convenzionali da quelle legali, compito riservato al legisla tore nazionale, perch in funzione di un'esigenza che non pu non imporsi onnicomprensivamente all'intera collettivit nell'ambito di efficacia dell'ordinamento. N gioverebbe far leva sul carattere processuale dello strumento arbitrale e sull'attitudine delle norme processuali ad essere applicate quale ius superveniens ai rapporti in corso, venendo sotto questo profilo in considerazione la successione di fonti normative, il passaggio da una disciplina legale avente riflessi processuali ad altra disciplina di segno. diverso, mentre nel caso in esame la matrice negoziale della relatio del contratto al capitolato del 1895 con carattere sicuramente recettizio, fuori discussione. Riemerge, a questo punto, l'essenziale rilievo della distinzione fra capitolati di fonte normativa e capitolati di fonte negoziale che restano tali anche quando sia la legge ad imporne l'adozione, operando la normativit solo rispetto al capitolato generale richiamato nei contratti stipulati dallo Stato. A questo punto il discorso torna al suo alveo dovendosi intendere le leggi regionali nella loro effettiva portata che quella di imporre la relatio al capitolato dello Stato rispetto a futuri contratti che la regione e gli enti andranno a stipulare; con la conseguenza che le clausole compromissorie resteranno ancorate alla formula scaturente dal capitolato vigente all'epoca della stipula ed espressamente richiamato cos come impone la legge. Ci non implica, peraltro, normativizzazione del capitolato medesimo; con l'effetto che eventuali sopravvenute modifiche delle modalit delle clausole arbitrali (in ipotesi quelle di cui alla legge n. 739 del 1981), non potranno riverberarsi nella disciplina degli arbitrati innestata sui contratti anteriormente stipulati. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Ci vale, a maggior ragione, in regime di libera scelta del contenuto delle clausole e del modello di clausola compromissoria attuata mediante il riferimento specifico, effettuato nominatim al capitolato statale del 1895 (che, del resto, era ancora vigente al momento della stipula). Le sopravvenute leggi regionali vincolano i destinatari delle norme ad includere nello schema negoziale da sottoporre agli appaltatori le norme del capitolato approvato con d.P .R. 19 luglio 1962, n. 1063, ma non si riflettono in alcun modo sul contenuto delle clausole dei contratti gi stipulati. Una sostituzione siffatta, imposta con legge regionale, per un verso sarebbe contraria al sistema delle fonti; e per altro v.erso non realizzerebbe la normativizza.zj;one del capitolato richiamato che riguarda esclusivamente i contratti stipulati da amministrazioni statali. In conclu&ione: p&ich il contratto si perfezionato quando era ancora in vig@,re il capitolato del 1895 e le parti hanno inteso vincolarsi alla soggezione :integrativa a1le disposizioni del capitolato medesimo (il quale prevedeva come '6bbligatoria ed inderogabile la competenza arbitrale~, ed il ,oo.ntratto, essem.do stipulato daila regione e non -dallo Stato, veniY.a a riguardai:e H ;capitolato medesimo con vincolativit di fonte negozia.le e non normativa, restando insensibile alle modificazioni riguardanti la qualificazione normativa (ad essa sola), nonch alla sopravvenuta imperativa previsione dell'adozione delle clausole del nuovo capitolato del 1962, imposto cl.alle leggi regionali siciliane nn. 19/72 e 21/73, le parti medesime, vincolate dalla prevdsion~ de1l'arbitrato obbligatorio, dovevano adire gli arbitri anzich riv.olgersi, come avevano fatto, inutilmente, all'autorit giudiziaria ordinaria, non valendo addurre in.contrario la possibile lettura dell'art. 9 della legge reg. Sicilia n. 21 del 1973 secondo cui si sarebbe dovuto applicare obbligatoriamente il capitolato generale di appalto -approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nel senso della sostitutivit : sia perch la lettura della norma non dispone in tal senso; sia perch una sostituzione siffatta non si sarebbe potuta imporre con legge regionale, ed anche se operata validamente non avrebbe avuto il preteso effetto normativo, che accompagna esclusivamente l'adozione del capitolato statale da parte delle amministrazioni dello Stato. In conformit all'univoco orientamento di questa Corte che riposa su una prassi ormai pi che ventennale, non pu trovare ingresso la memoria del ricorrente poich nel procedimento di regolamento di competenza, il quale non prevede la notificazione alle parti della conclusione del P. M. resta preclusa la produzione di memorie difensive, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 378 cod. proc. civ. (cfr., fra le tante, Cass. n. 1939/81). Deve essere, pertanto, dichiarata la competenza del collegio arbitrale, rigettando il ricorso. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 972 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 19 ottobre 1983, n. 38 -Pres. Tamburrino -Rel. !annotta -Calvo (avv. M. Conte) c. Assessorato ai lavori pubblici della regione siciliana e Amministrazione dei lavori pubblici (avv. Stato Russo). Acque pubbliche Piano regolatore generale degli acquedotti Prescrl zioni sull'uso delle acque non traducentisi in vincolo di portata Effetti. (d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090). La disposizione del P.R.G. degli acquedotti, secondo la quale, in relazione a determinate acque, debbano compiersi studi e ricerche in vista di eventuali miglioramenti delle previsioni di piano, vincola l'Ammini straziane ad identificare bisogni ulteriori o di miglioramento dell'alimentazione idrica 'e perci esclude che l'acqua possa risultare totalmente esaurita attraverso concessioni. Non traducendosi per la disposizione in un vincolo attuale di portata, essa non importa la legittimit di un diniego totale di concessione, dovendo invece l'Amministrazione discrezionalmente valutare, sulla base dei necessari apprezzamenti tecnici, la compatibilit delle domande di concessione con i criteri di gestione del patrimonio idrico fissati dal P.R.G. degli acquedotti. (1) (omissis) 1. -Il diniego di concessione di acqua all'avv. Antonio Cal vo, che aveva presentato specifica domanda, fu giustificato sul presup posto della incompatibilit tra la richiesta dello stesso avv. Calvo e le disposizioni del piano regolatore generale degli acquedotti, per la parte relativa al territorio della regione Sicilia. In particolare l'Assessore pre cis, giusta quanto si desume dalle premesse del provvedimento impu gnato, che la sorgente Malastalla oggetto di vincolo, secondo lo schema 148/A del piano citato. Tale schema, che una delle disposizioni costituenti il piano regola tore generale degli acquedotti, dispone nel senso della possibilit di cap tazione di acque sotterranee esistenti nel bacino idrico nei versanti nord est e nord-ovest del massiccio etneo. Tra queste acque sono comprese anche quelle esistenti nel territorio del comune di Biancavilla di Sicilia, ove si trova la sorgente Malastalla. Tuttavia la citata disposizione del piano generale suindicato non im porta un vincolo di portata; infatti nella nota allo schema citato (G. U. 21 marzo 1977, n. 77, p. 2010) precisato che relativamente alle acque del (11) Non consta di precedenti in termini. Sul rapporto tra vincoli di destinazione recati dal P.R.G. sugli acquedotti e domande di concessione, cfr. Trib. sup. acque pubbliche, 27 ottobre 1977, n. 32, in questa Rassegna, 1978, I. 394. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI bacino suindicato sono previsti studi e ricerche in vista di eventuali miglioramenti delle previsioni di piano .. La citata disposizione del piano generale, pur non importando un vincolo di destinazione attuale su un bene pubblico, fissa un criterio di azione amministrativa circa la gestione del demanio idrico della zona sopra precisata. Tale criterio consiste nel vincolare l'Amministrazione ad identificare bisogni ulteriori o di miglioramento nell'alimentazione idrica; bisogni da soddisfare eventualmente mediante le acque sotterranee. La determinazione di questo criterio di azione amministrativa implica che l'Amministrazione deve evitare la sopravvenienza di qualunque pregiudizio all'utilizzabilit, per le esigenze individuate nel Piano generale, del patrimonio idrico esistente nel bacino, al quale si fatto cenno. Da ci segue che l'assenza del vincolo attuale di portata non implica che l'Amministrazione sia tenuta a soddisfare tutte le domande di concessione. Il patrimonio idrico suindicato deve essere amministrato in modo da evitare che possa essere disattesa la previsione programmatica espressa dallo schema 148/ A. Una diversa conclusione postulerebbe la possibilit di un eventuale esaurimento o sensibile riduzione del patrimonio idrico, oggetto dello schema citato. N potrebbe essere accettata l'impostazione opposta, sul rilievo che lo schema 148/A concerne acque sotterranee ma non acque sorgenti. In effetti il complesso delle acque sotterranee alimenta le distinte sorgenti esistenti nel bacino. Pertanto l'utilizzazione delle acque sorgenti non pu prescindere dalla destinabilit, in conformit delle prescrizioni del piano regolatore generale, delle acque sotterranee collegate alle prime. Dalle suesposte considerazioni discende l'infondatezza del terzo mo tivo di ricorso. 2. -L'assenza del vincolo attuale di portata preclude la legittimit del diniego totale di concessione di acque pubbliche comprese nel bacino idrico, individuato dallo schema 148/A. Il diniego di qualunque concessione Jmporterebbe la sostanziale equiparazione del vincolo ex schema 148/A a quello di portata, posto da altre disposizioni del piano generale. Spetta naturalmente all'Amministrazione valutare, discrezionalmente, e sulla base dei necessari apprezzamenti tecnici, la compatibilit delle iniziative, proposte con le domande di concessione, con i criteri di amministrazione del patrimonio idrico, fissati dal piano generale degli acquedotti. Non pu sfuggire alla valutazione amministrativa, in vista dell'esistenza o meno della compatibilit alla quale sia fatto cenno, la quantit d'acqua da derivare, l'uso della derivazione, l'entit delle attrezzature e degli impianti necessari per assicurare l'utilizzazione dell'acqua. La quan RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 974 tit d'acqua ha importanza sotto il profilo dell'incidenza della concessione sulla conservazione del patrimonio idrico, eventualmente utilizzabile. L'uso della derivazione pu essere valutato opportunamente sia in vista della natura del bisogno da ,soddisfare sia della .continuit o costanza della derivazione, in modo da apprezzare l'incidenza di quest'ultima sul patrimonio idrico. L'analisi delle attrezzature e degli impianti assume rilevanza per calcolare l'impegno finanziario del concessionario, i tempi dell'ammortamento; da .questi dati si possono dedur.re utili elementi per prevedere la tempestiva .estinzione ,del rapporto di concessione, in vista della :&oprav,venienza di un bisogno pubblico, da soddisfare, irrefragabilmente. Il ricorso de:v.e .pertanto essere accolto nei limiti suindicati; sussistono .giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio. ili i ~ Il r: f I . I 1111111111111r11i111111:11r111111t1111111111111111r11rr11rr111rai ' SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III Pen.. 18 novembre 1983. n. 1832 -Pres. De Martino -Rel. Nardi -Rie. Pongiglione Vincenzo e Salvi Bianca Parte civile Amministrazione del Tesoro e Ufficio Italiano Cambi (avv. dello Stato Nicola Bruni). (1) Impugnazioni penali -Sentenza emessa dalla Corte di appello in sede di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza Ricorso per cassazione -Inammissibilit. Contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello in sede di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza non proponibile ricorso per cassazione, potendo l'interessato esperire soltanto il rimedio previsto dall'art. 640 cod. proc. pen., con la speciale procedura in tale norma indicata. (1) Con tale pronunzia la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dagli :interessati avverso la sentenza deUa Corte di Appello di Genova del 15 marzo 11983, che si riporta appresso con nota. CORTE DI APPELLO DI GENOVA, Sez. I-A, 15 marzo 1983, n. 418 -Pres. Curto -Rel. Schiavo -App. Pongiglione Vincenzo e Salvi Bianca -Parte civile Ministero del Tesoro (avv. Stato Guicciardi). Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. -Opportunit di disporla ove permanga la disponibilit all'estero. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca di azioni -Ordine di annotazione della sentenza nei registri dei soci. Sussiste l'opportunit di procedere alla confisca dei cespiti esterovestiti, di cui stata omessa la denuncia 1nei termini di legge, a sensi art. 2 legge n. 159 del 1976, per effetto del disposto dell'art. 240 cod. pen., quando il permanere della situazione di fittizia intestazione, con masche ramento degli effettivi proprietari, consentirebbe a questi ultimi la libera disponibilit di azioni fittiziamente intestate a societ estere e circolanti all'estero, con conseguente possibilit di porre in essere atti di aliena 14 976 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione o disposizione effettiva o fittizia dei relativi cespiti e conseguente nuova crea~ione all'estero di disponibilit valutarie occulte in favore degli imputati medesimi, mantenendo viva l'idea e l'attrattiva alla commissione di altri reati di natura analoga, che l'istituto della confisca mira a vanificare. AZ,la pronuncia di confisca di azioni deve accompagnarsi l'ordine di .~Jlllft.~r,,~og.e, 1.,~U~~ sen~enza nel registr~ d~i socj-dell~ rel~tive societ, p.1fWffsi~f_{l'e.g~~nsecazwne nei confronti dei soci e dei terzi delle conse 1 guenze delta aisposta confisca. (om_issi~) Ha la Suprema Corte di cassazione, con la sentenza del ~lfo.('!~telpbre 1982, in parziale accoglimento dell~ ragioni poste a fondamento del ricorso proposto dal P.G. avverso la sentenza di questa Corte, Sez. Il, in data 5 marzo 1981 limitatamente alla disposta revoca della confisca di azioni e immobili e con petitum limitato alla richiesta di confisca m:1.te azioni delle societ Sn Gallo, Ettore Vernazza ed Immobiliare Cor. ~ possedute dalle societ Sihl, Ilmar, Privest, Fortema, e Anstalt Spon' Sor, nonch dell'immobile Abbadia di San Giuliano di propriet della societ Harwil di Vaduz, annullato il capo della predetta sentenza di questa Corte relativo alla statuizione di revoca della confisca di azioni Problematiche inerenti la confisca penale valutaria, con particolare riguardo alla confisca di azioni. La Corte di appello di Genova prende in esame per fa seconda volta la complessa vicenda (la precedente decisione 5 marzo 1981, n. 371, stata pub blicata, con nota, in Rassegna, 1982, I, 407), dopo la sentenza della Suprema Corte 27 settembre 1982, Sez. Ili, n. 1762 (pure pubblicata in questa Rassegna, 1982, I, 997), con la quale veniva riformata la precedente pronuntia della Corte d'appello di Genova, nel punto in cui escludeva la confisca delle azioni delle societ italiane esterovestite, affermandosi dal Supremo Collegio l'applicabilit alla specie dell'ai:t. 240 coq.. ~en. Da condividersi s!>pof,J~ ,ar,YSW~W-~ioni addot te dalla Corte d1 Appello d1 Genova a sostegno cieli~ tfispqsfa con'l!:sca facol tativa, evidenziandosi come altrimenti si con'S~ntire'bbJbif.i~pfrl,filhrsi della situazione antigiuridica, consentendo il mantenimento della disponibilit valu taria all'estero con l'ulteriore negativo ris_ifl~~t? ..$.,1I!:~I}!~P~IJ! ".Za.,negli impu 1 tati l'idea e 1l'attrattiva del reato, il che"'~piiJol:a ful.!lra it1 sicureZ'ia mira ad evitare. 1-::A 4-:. {'.li.1 ~-~; ,*' ~"} '. ~n t> ' r"'1 ' ;-iz.q,:~ La decisione in esame offre l'occasione anche di mettere a fuoco il pro blema dell'attuabilit di una confisca di azioni, che non risulta precedentemente affrontato in giurisprudenza .. "Il"\;,,; ..... " .)1,.1,... .. ,.,. ... Va infatti osservat.>. )p ~inea,,. geQ.~:r,aJ,e "cow~h l:e,!_~etJ~~on,e de~l'.\s~tutp della c?nfisca sta ponend?,,n:u~y~ ', p.ro\?le~a~ip~~\ 8~1 ron ,~xe~~1?:o ~~.n~fa .flV,U.to. mod~ di emergere e che e da ritenere si porranno anche in apphcaz1one'l:lelle leggi 'arltimafia (d.l. n, 629JrI982 cdnV."in le!iW''ff."726/1'9&'2); 8ndi :ferlete l'!ffettiva rm:ente operante l'espropriazioneI idekdiritro 'in favore"dUo' Statoy inehe la \eon.6.s~1:lli ~cooe~eta,\ con. . 1>, della letteralit e del!' astrattezza che normalmente ad essi si ricollegano (G. SPADAZZA, Le societ per azioni, UTET, voi. I, 180; GRAZIANI, Diritto della societ, 241). Fatta questa breve puntualizzazione si osserva come secondo la pi accreditata dottrina nel nostro diritto delle societ la parola azione significa la partecipazione sociale nella societ per azioni {B. V1SENTINI, voce Azioni di societ, in Enc. Dir., voi. IV, %7) onde impropriamente con detto termine si designa una parte del capitale sociale o il documento che '1a rappresenta (certificato azionario). Va anzi rilevato come, a sensi art. 5 r.d. 29 marzo 11942, n. 239, il certificato azionario un mero elemento eventuale della societ per azioni, ben potendo la sodet deliberare che non si distribuiscono ai soci i titoli delle azioill . In ogni caso ben certo che l'azione come partecipazione sociale ed il certificato azionario sono, anche giuridicamente, due nozioni distinte, e ci anche quando le partecipazioni sono incorporate nei certificati azionari (B. VISEN TINI, op. e Zoe. cit.). La formula del secondo comma dell'art. 2325 cod. civ., secondo la quale le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni indica un elemento essenziale della societ per azioni per la parte che .implicitamente si riferisce alle azioni come partecipazioni, e indica invece un elemento non essenziale per la parte che si riferisce alla incorporazione delle parte cipazioni .in certificati azionari. Da ci l'autorevole citata dottrina ha tratto l'ulteriore fondamentale con elusione che L'emissione dei certificati azionari non attiene ai rapporti fra [ ~: PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 979 2 aprile 1979, ricorrente Milanesio, in Giust. Pen., 1980, II, 452) che la misura di sicurezza patrimoniale della confisca, prevista dall'art. 240 cod. pen., tende a prevenire la commissione di nuovi reati, mediante la espropriazione, in favore dello Stato, di quelle cose che, o perch provenienti dalla commissione di un fatto sanzionato penalmente o perch collegate alla esecuzione di tale illecito, manterrebbero viva l'idea e l'attrattiva del reato (cfr., anche, nello stesso senso, la relazione al progetto definitivo del codice penale), per cui il mantenimento delle cose stesse potrebbe risolversi come fatto incentivante per la commissione di ulteriori azioni criminose. Ed in applicazione di tale principio di diritto e tenuto conto di quanto suggerito nella sentenza della Corte di cassazione sopra richiamata del 27 settembre 1982, non pu essere posto in dubbio che un provvedimento di questa Corte, che omettesse di disporre la confisca e delle azioni e dell'immobile, evidentemente permetterebbe di mantenere una situazione di concreta apparenza di appartenenza a societ estere -fittiziamente create dal Pongiglione Alberto e, per le quote singole di appartenenza, dagli odierni imputati -di azioni in effetti di pertinenza dei Pongiglione, nonch di concreta intestazione fittizia dell'immobile Abba- la societ e i terzi, e alla tutela di questi, n essa elemento che attenga alla struttura e al funzionamento degli organi sociali, e neppure, come elemento indispensabiile, al trasferimento delle partecipazioni azionarie. (B. VISENTINI, op. cit., 992). Si riconosce anzi a' sensi del citato r.d. n. 239/42 la possibilit di una estinzione def titoli emessi dalla societ ed in circolazione, in virt di semplice delibera dell'assemblea, il che appunto possibile, in quanto, come si visto, l'emissione dei certificati azionari non attiene ai rapporti tra societ e terzi n funzionale alla tutela di questi; in tal caso ogni trasferimento dovr operarsi esclusivamente sul libro dei soci (VISENTINI, op. e Zoe. cit.). D'altro canto ben noto come in via generale l'art. 2022 cod. civ. disponga che il trasferimento del titolo nominativo si operi mediante l'annotazione del nome dell'acquirente sul titolo e nel registro dell'emittente, ovvero col rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare e 1l'annotazione nel registro. Prendendo in esame il secondo comma della citata disposizione, che determina d requisiti che legittimano ad ottenere H transfert o dl rilascio di un nuovo certifiicato, la Suprema Corte, in una .importante decisione, rii.teneva che in ogni caso costituiva valido titolo per il trasferimento l'accertamento giudiziale del relativo diritto: Com' noto, l'atto autentico che l'articolo 2022 richiede affinch, dimostrando con esso il proprio diritto, il nuovo possessore del titolo nominativo possa ottenere il cosiiddetto transfert (la duplice annotazione, cio, a cura dell'emittente, del nome dell'acquirente sul titolo e nel proprio registro), ovvero il rilascio di un titolo nuovo intestato al nuovo titolare con relativa annotazione nel registro deve consacrare il negozio giuridico in forza del quale il trasferimento del titolo avvenuto. Vero che ove l'acquisto del titolo non sia accompagnato dalla formazione del relativo atto autentico, a11a mancanza di questo pu supplirsi, occorrendo, mediante una sentenza da cui risulti che l'acquisto effettivamente seguito RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dia San Giuliano a societ estera, con mascheramento dei reali ed effettivi proprietari: situazione, questa, non sanata n validamente eliminata dalle tardive ed evidentemente strumentali denunce dei cespiti, effettuate dagli eredi del defunto Pongiglione Alberto, in particolare nelle more del giudizio di cassazione ed in parte successivamente alla pronuncia che tale giudizio ha concluso, e concernenti, tra l'altro, le quote ereditate e senza specifico riconoscimento, da parte degli odierni imputati, della compropriet delle azioni stesse e dell'immobile, secondo le statuizioni delle sentenze e del tribunale e della Corte di appello, sul punto divenute irrevocabili. Con l'ulteriore conseguenza che 1a libera disponibtlit, senza un provvedimento di confisca, da parte degli imputati, delle azioni fittiziamente intestate a societ estere e circolanti all'estero (libera disponibilit non ostacolata dall'esistenza del diritto di pegno in favore della FINAC, suscettibile di diretta regolamentazione), nonch il permanere della fittizia intestazione alla Halwil A.G. dell' Abbadia San Giuliano consentirebbero alle societ estere, apparenti proprietarie dei detti cespiti -e quindi agli imputati -atti di alienazione o disposizione fittizia a favore di altri soggetti e diretti ad ulteriormente mascherare la reale situazione di tito in virt di un valido negozio t11aslativo . (Cass., Sez. I, 6 novembre 1967, n. 2689). Sulla base dei richiamati principi, stabilito quindi che la titolarit del diritto pu prescindere dal possesso del documento, alla cui mancanza pu supplirsi nelle forme previste, mentre spetta al giudice accertare i requisiti esistenti per l'esercizio del diritto, non sembra suss1stiano ostacoli di carat tere giuridico a riconoscere la possibilit, nel caso in cui sia giudizialmente accertato l'acquisto per espropriazione a favore dello Stato dei diritti di partecipazione e quindi delle azioni relative ad una determinata societ, che venga ordinato dalla autorit giudiziaria, che dispone con M provvedimento di confisca l'espropriazione della partecipazione azionaria, l'annotazione della sentenza nel libro dei soci, cos come ha disposto la sentenza della Corte di appello di Genova. Trattasi evidentemente di una diretta estrinsecazione del provvedimento di confisca, inerente il suo contenuto ablatorio, il cui effetto quelilo di rendere opponibile la confisca stessa oltre che ai soci ad ogni eventuale cessionario delle azioni, consentendo quindi l'utile esperibilit della azione di revindica da parte dello Stato nei confronti dell'intestatario dei certificati delle azioni oggetto di confisca (nel caso concreto le societ di comodo di Vaduz e la societ elvetica cui esse sono state girate per garanzia in pegno), con gli effetti indicati nella menzionata sentenza della Suprema Corte in data 6 novembre 1967, n. 2689. Si condivide senz'altro lo sforzo della giurisprudenza per rendere effettivo l'istituto della confisca, e si osserva che se il legislatore intende mantenere all'iistituto la maggiore estensione ad esso attribuita dagli ultimi provvedimenti legislativi, sar opportuna anche l'emanazione di chiare disposizioni di 11accordo s da ewtare incertez:re nella applicazione pratica delrnstituto. FRANCESCO GUICCIARDJ PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE larit dei beni stessi, o atti di alienazione effettiva, con nuova creazione all'estero di disponibilit valutarie occulte -costituite dai ricavi dell'alienazione -in favore degli imputati medesimi. In tal modo, cio, rimarrebbe viva in questi ultimi l'idea e l'attrattiva alla commissione di altri reati, di natura analoga a quello represso con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile, attrattiva che, come si sopra detto, costituisce l'obiettivo che, in via di prevenzione, l'istituto della confisca mira a vanificare. E le considerazioni dianzi svolte fanno apparire del tutto superate le argomentazioni con cui la difesa degli imputati ha sostenuto l'inopportunit della confisca, sia sotto il profilo dell'inesistenza di una possibile futura violazione di legge penale, che sotto il profilo della mancanza di un danno all'economia nazionale, in relazione alla irrevocabilit della sentenza di condanna che ha accertato l'appartenenza ai Pongiglione dei beni esterovestiti , mentre irrilevanti appaiono le argomentazioni difensive in ordine alla maggior convenienza circa l'esperibilit di azioni di natura civilistica, che egualmente tutelerebbero gli interessi dello Stato, ma che, in. concreto, non eliminerebbero l'attualit del pericolo sopraevidenziato e la cui valutazione, del resto, esula dal thema decidendum, limitato ad indagini di carattere strettamente penalistico con riferimento ai principi di diritto sopra esposti. E cos giustificato e per le suddette ragioni disposto il provvedimento di confisca delle azioni delle societ San Gallo, Ettore Vernazza ed Immobiliare Corte -evidentemente nei limiti di appartenenza di tali azioni alle societ estere fittiziamente dai Pongiglioni create (Sihl, Ilmar, Privest, Fortema e Anstalt Sponsor) nonch dell'immobile denominato Abbadia Benedettina di San Giuliano fittiziamente intestato alla Halwil A.G. di Vaduz -non resta alla Corte che dare atto che, con la confisca, e azioni ed immobile vanno devoluti al patrimonio dello Stato, con ulteriore statuizione, per quanto riguarda le azioni ed ai fini della estrinsecazione nei confronti dei soci e dei terzi delle conseguenze della disposta confisca, dell'annotazione della presente sentenza nel libro dei soci delle anzice:n,nate societ San Gallo, Ettore Vernazza e Immobiliare Corte. (omissis) PARTE SECONDA QUESTIONI ASSOCIAZIONE GIURISTI EUROPEI ATTI DELL'INCONTRO DI STUDIO su IL GIUDICE NAZJONALE E IL DIRITTO COMUNITARIO Roma, 12 febbraio 1982 Sala Vanvitelli -Avvocatuva Generale dello Stato PRESENTAZIONE Eccellenza MANZARI, avvocato generale dello Stato. (*) Eccellenze, signore, signori, per me motivo di grande soddisfazione dare il benvenuto nella sede dell'Avvocatura agli amici dell'Associazione italiana dei giuristi europei e ringraziare, a nome dell'Istituto, dei colleghi e mio personale tutti gli intervenuti. Un ringraziamento particolare va naturalmente agli illustri relatori che si apprestanp ad introdurre questo incontro-dibattito. L'argomento di grande attualit e questo Istituto, a nome del quale ho l'onore e il piacere di rivolgere il mio saluto, ne consueto protagonista. Mi sia consentita una trasgressione dal tema specifilco per sottolineare con quanto calore io rivolgo questo saluto. La mia vita di studioso e di operatore del diritto, per una singolare coincidenza, si riallaccia tutta alle tappe pi significative dell'evoluzione dell'idea dell'integrazione europea. Avevo appena conseguito la laurea in legge nel giugno 1941 quando fu emesso il messaggio, che profondamente rimasto nel mio animo, del Manifesto di Ventotene. Era la prima ideazione di un programma politico di unione europea nel nome della democrazia e della libert in opposizione alla dittatura fascista e al forsennato nazionalismo guerresco. Certo si potrebbe andare molto indietro e ricordare altre antiche espressioni programmatiche come l'opuscolo del 1814 di Saint-Simon che s'intitolava Il proposito di una riorganizzazione della societ europea per riunire i popoli d'Europa in un solo corpo politico conservando ciascuno la sua indipendenza nazionale . Ma cos indietro, per la verit, i miei (*) Il saluto dell'Avvocato generale dello Stato stato gi pubblicato nel fascicolo n. 6/1981 di questa Rassegna, pag. V. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO anni non vanno ed oggettivamente il Manifesto di Ventotene apriva una ben diversa e nuova visione ispirata al superamento dei nazionalismi per l'affermazione dei valori di democrazia e di libert. Ricordo ancora che ero appena entrato, nel settembre 1946, congedandomi cos dal lungo servizio militare, nell'Avvocatura di Stato quando Winston Churchill, che fu il primo dei grandi uomini politici a rendersi interprete delle aspirazioni europee e della societ del dopoguerra, lanci il famoso appello di Zurigo per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Fu, poi in occasione della mia prima esperienza di collaborazione alla attivit di Governo prestata ad Aldo Moro che vennero firmati in Roma, nel 1957, i trattati che creavano gli organismi sovranazionali della Comunit economica europea e della Comunit europea dell'energia atomica. Raccolsi allora i primi commenti e le prime caute ma penetranti intuizioni del grande uomo politico cui rivolgo un commosso, riverente pensiero di omaggio. Fu di nuovo con lui che, nel 1970, quale Capo del servizio del contenzioso diplomatico partecipai a quel Consiglio d'Europa che tra il 1 e il 2 dicembre deliber che le elezioni europee si tenessero in data unica nei paesi membri. Quella deliberazione significativamente il solo precedente richiamato nella decisione della Comunit che approv l'atto per le elezioni politiche sottoposte insieme all'approvazione del Parlamento italiano nel 1976 su proposta del Ministro degli esteri, Asldo Moro. Ed oggi sono qui ad ascoltare, nell'esercizio della mia nuova responsabilit, questo dibattito su di un tema che felicemente dimostra quanta strada, superando stenti e difficolt, sia stata finora compiuta ed incoraggia a proseguire nell'ancora lungo e faticoso cammino deWintegrazione europea. Oggi per non v' chi non avverta l'angustia di un orizzonte operativo ristretto ai confini nazionali e non senta che il grande ideale dell'inte grazione europea pu ancora rappresentare, nel suo realizzarsi, un signi ficativo contributo del vecchio continente all'evolversi della civilt umana. Di recente Massimo Severo Giannini ha individuato il nucleo della crisi interepocale che stiamo vivendo nella dissoluzione degli Stati nazionali, giunti ormai al compimento del loro ciclo vitale. La diagnosi probabil mente esatta, e se cos , la Comunit europea rappresenta una tempe stiva risposta alle esigenze dei tempi nuovi che vanno maturando. Possiamo intanto rilevare che accanto ai primi, immediati risultati di integrazione sul piano economico, si vanno ormai cogliendo quelli che si realizzano sul piano giuridico, i quali seguono con quella pi meditata lentezza che propria del conservatorismo degli uomini di legge. Si pu dire comunque ormai compiuta, irreversibile la prima costruzione di un ordinamento comunitario ed importante constatare che la problematica dei suoi rapporti con l'ordinamento interno fa parte ormai dell'esperienza quotidiana degli operatori giuridici cos come solidamente acquisita PARTE II, QUESTIONI l'esistenza di un giudice a Lussemburgo con cui il giudice nazionale ha preso disinvoltamente a dialogare, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. Non un caso, d'altronde, che alla presidenza della Suprema Corte di cassazione siede oggi un uomo come Mario Berri che ha dedicato una intensa e profonda attivit alla costruzione e alla diffusione del diritto comunitario. Oggi il presidente Berri non con .noi perch, come ha voluto cortesemente comunicare, partecipa ad una cerimonia commemorativa di Vittorio Bachelet. Desidero associarmi, a nome di tutti, al rimpianto per la sua scomparsa ricordando il valore del giurista, l'altissimo, sereno impegno civile che anim la sua vita e ne caus l'assassinio. Le due immagini di Moro e di Bachelet appartengono al patrimonio ideale dei giuristi non soltanto italiani, che s'inchinano con riverente pensiero alla loro memoria. Neppure un caso -riprendendo il nostro tema -che la Corte costituzionale con due recenti sentenze -176 e 177 del 1981 -abbia aperto nuovi spiragli interpretativi in tema di integrazione tra ordinamenti, e conforta ancora la constatazione che vi sono molti uomini politici sensibili all'esigenza di un sistema che valga finalmente ad adeguare tem pestivamente l'ordinamento interno a quello comunitario in forme quanto pi possibile equivalenti a quelle di un trasformatore continuo. ti mio preciso dovere al riguardo, ai sensi dell'art. 15 della legge 103/79 sull'ordinamento dell'Avvocatura, ritornare sulla segnalazione, gi fatta al Governo, di una grave carenza del nostro sistema legislativo. 1t necessario ormai superarla nel solco dell'indicazione e dell'ammonimento che proviene dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale. Non si pu ulteriormente indugiare di fronte all'urgenza di creare un adeguato meccanismo tecnico; ai giuristi non manca l'inventiva per assecondare la volont politica, tanto che indicazioni sono state gi fornite anche da questo Istituto e potranno essere opportunamente approfondite per creare -come dicevo -quello strumento capace di assicurare un tempestivo e continuo adeguamento dell'ordinamento interno delle decisioni comunitarie cos da far coincidere gli atteggiamenti concreti del paese con lo spirito europeo che anima il Parlamento e il Governo .italiano. Sembra giunto ormai il momento di farlo, posto che l'Europa appare sempre meno un'astrazione e sempre pi s'impone come una realt viva nella coscienza sociale. Traendo auspicio da .questa convinzione, vorrei concludere il mio saluto, per non rubare altro tempo ai relatori che illustreranno il tema della collaborazione tra giudici nazionali e giudici comunitari, un rapporto che s'inscrive a grande rilievo nello spirito e negli ideali che pre siedono al processo di evoluzione dell'integrazione europea. Lo sviluppo di questo processo un sicuro pegno di pace e di fratellanza tra i popoli, particolarmente tra quelli accomunati nel destino da un patrimonio di RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO tradizioni e di civilt che insieme dobbiamo salvare. Vi sono in esso quei valori essenziali che rappresentano il filo di continuit tra la civilt del passato che non dobbiamo rinnegare e la civilt di domani che dobbiamo concorrere, noi giuristi per la nostra parte, a costruire. Grazie. RELAZIONI E REPLICHE Prof. FRANCESCO CAPOTORTI, Avvocato generale presso la Corte di Giustizia. Il mio proposito soprattutto quello di indicare alcuni spunti, da cui potr trarre avvio il dibattito sul tema di questo incontro: un tema ampio, rico di contenuti e di implicazioni, che presenta non pochi aspetti controversi. Conviene chiarire in primo luogo quale sia il ruolo del giudice. nazionale dal punto di vista del diritto comunitario. Non vi dubbio. che la responsabilit dell'interpretazione e della applicazione di tale diritto spetta in gran parte ai giudici nazionali. Tutti sanno che i Trattati CECA, CEE ed EURATOM riservano alla competen za della Corte delle Comunit un numero abbastanza limitato di azioni che i privati possono direttamente promuovere: azioni di annullamento di atti obbligatori o di accertamento di carenze del Consiglio o della Commissione -alle condizioni fissate dagli articoli 33-35 del Trattato CECA e 173-175 del Trattato CEE -, impugnativa di sanzioni applicate dalla Commissione alle imprese, ricorsi per responsabilit delle Comunit stesse, derivante da fatto illecito (senza parlare del contenzioso dei funzionari). Per tutt'altro, giudice comunitario il giudice nazionale: vale a dire, il compito di assicurare il rispetto del diritto comunitario e di risolvere le controversie sorgenti dalla sua applicazione ad istanza dei singoli spetta alle giurisdizioni degli Stati membri, salva beninteso quella forma di cooperazione che offerta dall'art. 177 del Trattato CEE (meccanismo dell'interpretazione pregiudiziale) della quale parler pi oltre. Direi che molte affermazioni della Corte -e in particolare quelle, tan to discusse, della nota sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 -circa la posizione del giudice nazionale di fronte a norme nazionali incompatibili con norme comunitarie si spiegano proprio in quanto, nell'ottica comuni taria, il giudice nazionale ha la veste di giudice comunitario. D'altronde, se vero che l'ordinamento comunitario e quello degli Stati membri coesistono e si combinano nella loro applicazione, sicch nell'ambito di un singolo caso concreto possono risultare contemporaneamente appli cabili disposizioni comunitarie per certi aspetti e norme interne per altri, non vi da meravigliarsi che si attribuisca ai giudici degli Stati membri la duplice veste di cui ho detto, a partire dal giorno in cui gli ordina menti dei rispettivi Paesi hanno ammesso l'interferenza nei loro ambiti PARTE II, QUESTIONI d'efficacia del diritto comunitario. Questa concezione coerente con il fatto che il diritto comunitario non si trasforma in diritto nazionale, e che quindi nell'applicare norme comunitarie il giudice nazionale non nella stessa posizione in cui si trova quando applica non;ne interne di adattamento al diritto intemazionale. vero che anche i trattati istitutivi delle Comunit sono stati oggetto nel nostro Paese di una normale legge di esecuzione, ma il significato di questa legge stato reso peculiare dal collegamento con l'art. 11 della Costituzione. Quanto ai regolamenti, sappiamo bene -e la Corte costituzionale lo precis nella sentenza Frontini, dando finalmente ingresso nel nostro ordinamento a concetti del tutto conformi all'impostazione giuridica della Corte comunitaria -che essi valgono in quanto fonti comunitarie non recepite da fonti interne, n suscettibili di essere incorporate in leggi statali. Il discorso aperto, invece, per le direttive, non essendovi accordo sul punto di stabilire se le norme delle direttive, per le quali non ci siano state tempestive leggi statali di applicazione, siano suscettibili di produrre effetti diretti. merito della Corte comunitaria avere elaborato questa teoria, o meglio questa tecnica dell'effetto diretto, la quale in fondo consiste nel desumere tutti i possibili effetti riferibili ai singoli da norme che di per s non appaiono rivolte agli individui, e dunque, prima di tutto, da norme dei Trattati. Lascio qui da parte questo aspetto del discorso che pure ricco di interesse, cio mi astengo dal considerare in quanti casi la Corte comunitaria abbia riconosciuto diritti soggettivi dei singoli ricavandoli da norme dei trattati, apparentemente rivolte agli Stati membri, che sembrerebbero attendere un'ulteriore opera di emanazione di leggi da parte loro. Ci che importa piuttosto ricordare che la stessa tecnica stata applicata alle direttive, e che dunque anche rispetto ad esse la Corte comunitaria ha individuato casi nei quali, concorrendo certe caratteri stiche di contenuto dell'atto, cio in presenza di norme che non richiedano dei necessari completamenti, possibile parlare di diritti soggettivi degli individui. Al tempo stesso va segnalato che sono emerse al riguardo alcune resistenze di giurisdizioni interne. In particolare, il Consiglio di Stato francese, che fra le giurisdizioni nazionali si spesso dimostrata quella pi resta a un'interpretazione larga dei precetti comunitari, nella famosa sentenza Cohn Bendit del dicembre del 1978, afferm che la dottrina dell'effetto diretto, concepita ed applicata dalla Corte comuni taria nel suo ambito, non vincolava i giudici nazionali, tenuti al rispetto dei trattati comunitari. Pi recentemente, una pronunzia tedesca si messa sulla stessa linea -mi riferisco alla sentenza 16 luglio 1981 del Bundesfinanzgericht tedesco -riprendendo le proposizioni della sentenza del Consiglio di Stato francese. Anch'essa ha negato che dalla direttiva 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO possano nascere effetti immediati, e ha invocato la regola sulle fonti (art. 189 del Trattato CEE) che sicuramente descrive la direttiva in modo da far risaltare la sua diversit rispetto al regolamento, affidando agli Stati membri il compito di eseguire le direttive con propri atti. Questi due casi interessanti ci portano a considerare un problema pi generale, vale a dire in che misura il giudice nazionale, al di l dell'obbli go di attenersi alla decisione della Corte in una procedura di rinvio pregiudiziale, sia tenuto ad applicare princpi risultanti dalla giurisprudenza di tale Corte. Il problema presenta aspetti diversi. Si pu discutere anzitutto la questione della portata specifica o no delle singole sentenze pronunciate dalla Corte comunitaria sulla base dell'art. 177. E siccome non possiamo dimenticare che si tratta talora di sentenze di interpretazione, altre volte di sentenze sulla validit degli atti comunitari, la questione va esaminata pensando sia alle prime, sia alle seconde. Senza la pretesa di fornire in cos breve tempo una risposta esauriente, noter che tutti sono certamente d'accordo nel riconoscere che la giurisprudenza comunitaria come tale ha valore anche per il giudice interno, ma un valore di strumento interpretativo e privo di obbligatoriet. D'altra parte, molti autori sono ancora convinti che il procedimento di cui all'art. 177 sia destinato ad avere effetti solo nei limiti della con troversia per la quale la decisione preliminare della Corte stata chiesta. Se si condivide questa affermazione, bisogna dedurne che, senza pregiudizio della portata interpretativa della giurisprudenza comunitaria, le singole decisioni non abbiano conseguenze vincolanti al di fuori dei casi nel cui ambito esse sono state pronunciate. Va tuttavia segnalato che c' una indubbia tendenza della Corte comunitaria a costruire le sue sentenze sulla base dei precedenti. Anche mediante la tecnica della frequente ripetizione nel corpo delle sentenze di princpi dedotti da altre sentenze nella stessa materia, si nota la tendenza a far prevalere una linea di continuit, che man mano si consolida. Questo accade probabilmente per tutte le giurisdizioni, ma direi che il fenomeno particolarmente chiaro nell'esperienza della Corte delle Comunit; oltre tutto, vi operano anche giuristi di Stati che accordano alla giurisprudenza un peso maggiore di quel che accade fra noi. C' di pi. Va considerato che a livello comunitario l'atteggiamento della Commissione solitamente concorde sul piano attuativo con quello della Corte. Ci significa che, quando in una singola pronuncia pregiudiziale una certa linea interpretativa stata accolta oppure l'invalidit di un atto comunitario stata riconosciuta, ai fini della controversia per cui la questione stata posta, di norma la Commissione segue l'indi rizzo della Corte, anche se non ci sono elementi per dire che essa sia obbligata a seguirlo (ed anzi si pu spiegare il fenomeno come sintomo di una corretta collaborazione interistituzionale). 'PARTE II, QUESTIONI Sta di fatto che spesso, attraverso la accennata collaborazione fornita dalla Commissione, un'affermazione incidentale di invalidit finisce per produrre effetti equi".alenti a quelli di un annullamento, perch la Commissione, non appena la Corte ha deciso, si affretta a proporre al Consiglio la modifica del regolamento dichiarato invalido ed agisce come se fosse intervenuta una vera e propria pronuncia di annullamento. Lo stesso si pu dire, naturalmente, per le sentenze interpretative, anche sotto il profilo dei riflessi che esse finiscono con l'avere sulla condotta degli Stati, partendo dall'interpretazione della portata cli certi loro obblighi. In verit, qualche colpo di freno stato dato negli ultimi tempi da alcune giurisdizioni nazionali. Si pu citare per esempio una sentenza (di per s di interesse modesto) pronunciata dal tribunale di Lille nel luglio .del 1981. Il tribunale aveva chiesto alla Corte comunitaria di pronunciarsi, incidentalmente, sulla validit di un regolamento. La Corte aveva fatto un'operazione non nuova: nel dichiarare la invalidit aveva aggiunto che, per ragioni di sicurezza giuridica, era preferibile che essa decorresse da una certa data, non ex tunc, n interamente ex nunc, ma da un'epoca pi recente (pi o meno quella dell'inizio del giudizio). Questo tipo di cosmesi che la Corte ha applicato qualche volta alle sentenze di invalidit costituisce una applicazione indiretta -forse analogica pi che estensiva -dell'art. 174 Trattato CEE, che per le pronuncie di annullamento vere e proprie consente in effetti alla Corte di stabilire la decorrenza degli effetti dell'annullamento. Ebbene il tribunale di Lille, pur riconoscendo di dover prestare ossequio alla pronuncia della Corte sul punto dell'invalidit, ha aggiunto che non si sentiva tenuto a seguire la Corte sul punto della decorrenza dell'invalidit, e ha sostenuto che qui la Corte andata al di l delle sue competenze, avendo agito non pi sulla base dell'art. 177 masulla base di una discutibile interpretazione dell'art. 174, in realt applicabile al solo contenzioso dell'annullamento (art. 173). Nell'insieme, dunque, bisogna riconoscere che da parte della Corte comunitaria c' una marcata tendenza ad attribuire almeno praticamente un effetto generale alle pronuncie rese sulla base dell'art. 177, mentre da parte dei giudici nazionali si notano qua e l dei sintomi di resistenza, perlomeno nel senso che si cerca di limitare l'ambito nel quale le decisioni prese dalla Corte sono vincolanti. Un commento tuttavia lecito: quando si dice, giustamente, che la Corte comunitaria ha contribuito alla costruzione dell'ordinamento comunitario, riempiendo molte lacune e soprattutto mettendo qua e l quella sorta di cemento che costituito da una serie di principi, i quali hanno chiarito la portata delle norme comunitarie, nonch i loro 15 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO collegamenti, e hanno delineato il disegno sistematico di quell'ordinamento, si accetta implicitamente l'idea che quanto la giurisprudenza della Corte ha precisato sia entrato a far parte del diritto comunitario. A tal proposito si pu aggiungere che in altri paesi diversi dal nostro si insegna il diritto comunitario non tanto sulla base delle norme quanto sulla base della giurisprudenza. Perci, pur senza avere l'intenzione di sopravvalutare i risultati dell'attivit della Corte, bisogna rendersi conto che le resistenze basate su motivi rigorosamente formali hanno un peso abbastanza ridotto rispetto all'importanza che man mano la giurisprudenza della Corte ha assunto. Altri problemi riguardano egualmente l'art. 177, ponendo in evidenza vari nodi che l'articolo presenta e che la sua applicazione ha rilevato. Mi fermer su uno di questi. Va premesso che detta norma viene molto largamente utilizzata: forse non tutti sanno che praticamente i quattro quinti dell'attivit della Corte consistono nel giudicare su ricorsi pregiudiziali. In altd termini, pur avendo la Corte com.nitaria molte competenze (differenziate sensibilmente fra loro) sulla competenza regolata dal citato art. 177 che si basa la giurisprudenza quantitativamente prevalente. Ma ci che voglio aggiungere che la norma in questione, chiaramente concepita per assicurare l'uniformit dell'interpretazione del diritto comunitario e per risolvere in ultima istanza i problemi di validit degli atti comunitari, ha poi finito con l'avere anche altri usi indiretti. Per esempio, noto che molte inadempienze di Stati, il cui accertamento dovrebbe avvenire mediante l'azione che il Trattato CEE fa dipendere dalla iniziativa della Commissione o di qualcuno degli Stati membri contro l'inadempiente, sono state rilevate a seguito di sentenze emesse sulla base dell'art. 177; queste, infatti, pur essendo destinate ad interpretare determinati obblighi controversi in termini generali, lasciano chiaramente intravedere, tenuto conto dei fatti della causa, che un obbligo non stato rispettato da un dato governo. Ci posto, e tenuto conto del fatto che interesse degli Stati evitare la soccombenza in futuri giudizi ex art. 169, accade spesso che il Governo interessato ponga rimedio alla sua inadempienza a beneficio di tutti i privati interessati. Tuttavia, proprio il frequente uso indiretto dell'art. 177 ha finito col far sorgere alla stessa Corte il dubbio se un impiego improprio di tale strumento sia accettabile al di l di certi limiti. Alludo alle famose due/sentenze Foglia/Novello; in esse la questione consistente nel valutare la rilevanza effettiva della questione pregiudiziale posta costituisce la spia del disagio della Corte, di fronte a un uso molto esteso che ha finito per essere fatto della procedura in questione, allo scopo di far venire a galla delle inadempienze degli Stati. Un ultimo problema, al quale mi limito a fare allusione, quello dei limiti entro cui vi l'obbligo di adire la Corte a carico delle giu[:: ~= f: PARTE Il, QUESTIONI 12J risdizioni nazionali di ultima istanza. Qui si avuta di recente la remissione del quesito ai giudici comunitari da parte della Corte di cassazione nel caso Cilfit/Gavardo. Ma tale caso non stato ancora esaminato dalla Corte comunitaria; converr attendere la sentenza, soprattutto per conoscere se, e fino a che punto, sar riconosciuto alle giurisdizioni anzidette un certo margine di discrezionalit in presenza di norme chiare . (Replica). Si dedicata qui tanta attenzione alle due sentenze Foglia-Novello, che non posso fare a meno di esporre il mio punto di vista in proposito. Ci si aspetta forse che appartenendo alla Corte io ne sostenga le tesi a tutti i costi, ma non ho nessuna intenzione di difenderle d'ufficio. Le mie riflessioni hanno un carattere assolutamente personale; n potrebbe essere altrimenti, a mio avviso, data anche la natura di questo incontro. Ci precisato, non ho esitazione a dirvi che le sentenze Foglia-Novello non mi sono piaciute. Non ero l'avvocato generale n nell'uno n nell'altro caso e quindi posso facilmente discuterne come un osservatore imparziale, che guarda equamente al quadro complessivo della giurisprudenza della Corte, e ha un orecchio sensibile ai lamenti che si sono levati sulla degenerazione a cui la Corte pare stia andando incontro. Ma sono lamenti giustificati? La prima cosa che vorrei dire che, se si fa questione di protezione giudiziaria degli interessi dei singoli, non si dovrebbe dimenticare che in materia di tutela del singolo la Corte ha fatto molto, sin dall'inizio. Alcune prese di posizione, nel momento in cui erano assunte, veramente apparivano, in qualche misura, rivoluzionarie, a partire dalla famosa sentenza v,an Gent en Loos che fece le prime affermazioni sulla priorit del diritto comunitario e sull'effetto diretto. Da allora, la Corte ha ampliato la sfera di tutela del singolo, soprattutto confermando la giurisprudenza secondo cui molte norme del Trattato, che secondo una interpretazione tradizionale avrebbero potuto essere intese come rivolte unicamente agli Stati membri, e tali da lasciare loro margini discrezionali o margini di tempo per l'esecuzione, sono invece interpretate nel senso di conferire immediatamente diritti soggettivi ai singoli. La stessa cosa la Corte ha fatto per le direttive; l'ho ricordato nel mio intervento e non. occorre che io lo ripeta. Si deve insomma riconoscere che la Corte ha manifestato -in varie forme e a varie riprese -una sollecitudine concreta per la tutela dei singoli, talch mi sembra ancora oggi non esagerato dire che la posizione giuridica dei singoli ha tratto van 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO taggio non tanto dalle norme comunitarie quanto dal modo in cui 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO taggio non tanto dalle norme comunitarie quanto dal modo in cui esse sono state interpretate dai giudici delle Comunit. Ci posto, non credibile che la sentenza Foglia-Novello sia interpretata come il sintomo di un radicale mutamento di rotta. Detto questo, io poi mi chiedo perch la Corte non dovrebbe preoc I cuparsi di tutelare anche gli Stati membri. Essa -non dimentichia I molo -l'organo di una comunit di cui fanno parte cos i singoli come i governi degli Stati membri. Probabilmente, certi squilibri che possono essersi verificati in qualche occasione hanno finito col generare I la convinzione che la Corte debba per sistema andare contro gli inte I ressi degli Stati membri, anche quando risulti giustificato il contrario. Se questa convinzione si formata in qualcuno, evidente che bisogna ritenerla sbagliata. Penso ora, fra l'altro, alla sentenza Casati, perch vi stata fatta allusione, anche se, dati i limiti di, questo dibattito, non c' tempo di mettere tutti al corrente dei lineamenti di quel caso. In breve: trattandsi di una questione di circolazione di capitali, molti si aspettavano che la Corte confermasse l'indirizzo accolto su altre libert di circolazione, dando l'interpretazione pi ampia anche alle norme relative ai capitali. Queste persone sono poi state deluse, perch la Corte ha dato ragione allo Stato. Nella causa Casati sono stato avvocato generale e ho difeso la tesi secondo cui l'interpretazione da dare doveva essere quella sostenuta dalla difesa dello Stato; ma evidentemente perch mi sembrato -ed sembrato poi ugualmente alla Corte -che questa fosse l'unica interpretazione corretta delle norme del Trattato CEE che erano in gioco. Non pretendo, beninteso, che il ragionamento seguito sia impeccabile o inappuntabile, ma certo che non lo si pu sospettare di aver favorito lo Stato per ragioni politiche. Pi in generale, respingo l'idea che spesso influiscano sull'orientamento dei giudici delle considerazioni di opportunit. Mi sembra che nell'insieme la giurisprudenza della Corte abbi dimostrato di sapere contrastare gli interessi degli Stati quando non erano in armonia col Trattato e di saperli difendere quando sulla base del Trattato era giusto difenderli. Veniamo .adesso alla questione del rapporto che il Trattato CEE ha stabilito fra la procedura pregiudiziale e quella per l'accertamento di violazioni commesse dagli Stati membri. La seconda, come ha ricordato il cons. Abate, pu essere messa in moto da altri Stati membri o dalla Commissione. Nella pratica si sa che pi spesso la Commissione a prendere un'iniziativa del genere, dato che gli Stati membri preferiscono sovente evitare di schierarsi apertamente l'uno contro l'altro. In ogni modo, sono queste le vie che il Trattato ha previste per far valere in giudizio l'illecito comunitario dello Stato. Il Trattato non ! ~ .?ARTI! II, QUESTIONI ha, invece, affatto concepito l'art. 177 come un mezzo di azione contro lo Stato. L'art. 177 una norma rivolta ad istituire una procedura di interpretazione pregiudiziale del diritto comunitario: interpretazione che pu essere chiesta (dal giudice nazionale) nel quadro di una lite fra due privati o di una lite fra un privato e un ente pubblico (basta pensare alle numerose cause promosse da singoli contro enti agricoli come l'AIMA, o alle cause tra i privati e gli enti assicurativi nazionali). Certo, come ho gi detto prima, specialmente se la controparte un'amministrazione pubblica, pu essere .sollevato sotto forma di quesito interpretativo di natura generale il problema concreto della conformit o meno al diritto comunitario di norme o atti regolamentari dell'Amministrazione, e nell'ipotesi di risposta negativa si avr praticamente una censura indiretta nei confronti dello Stato che ha mantenuto in vigore quelle norme o quegli atti; seguir magari la decisione dello Stato in questione di rimuoverli. Ma questo, ripeto, e mi pare ovvio, l'effetto indiretto di certe procedure ex art. 177; mentre l'effetto immediato e diretto solo quello che si produce nell'ambito della stessa causa pregiudiziale in conseguenza della risposta fornita al giudice nazionale, che poi applicher tale risposta al caso concreto, emanando la sentenza. Non a caso ho notato fin dall'inizio che chi applica il diritto comunitario prima di tutto il giudice nazionale. La Corte, pronunciandosi ai sensi dell'art. 177, interpreta e non applica le norme comunitarie; questo pacifico e non c' che da ribadirlo. Parlare dunque di denegata giustizia o addirittura di scandalo, perch nel caso Foglia-Novello sarebbe stato eluso l'obbligo della Corte di rispondere ai quesiti proposti dai giudici nazionali, mi sembra fuor di luogo. Per quanto riguarda poi la Commissione, pu ben darsi che essa preferisca a volte non introdurre un ricorso ex art. 169 per ragioni politiche. Alla Commissione riesce probabilmente pi comodo trincerarsi dietro la Corte, cos come talora ha fatto, ma ad essa che spetta la responsabilit di agire contro gli Stati membri se vi notizia di un illecito commesso. Ripeto al riguardo che la procedura di cui all'art. 177, se impiegata per far venire a galla determinate inadempienze degli Stati, in ogni caso una via indiretta; essa stata utile in molti casi, ma non si pu spingere questa considerazione fino al punto di ritenere che ci si possa normalmente sel'Vire di quello strumento per tutelare interessi privati contro atti statali incompatibili col diritto comunitario. Torniamo ora al caso Foglia-Novello. Immaginiamo che a qualche osservatore imparziale della realt comunitaria -magari ad uno studente di diritto comunitario -si ponesse il quesito di indicare in qual modo il Trattato consente di accertare la legittimit del regime fiscale di un certo proqotto in un determinato .Stato. La risposta sarebbe, ne RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sorto sicuro: mediante un ricorso alla Corte di giustizia, ad iniziativa di un altro Stato membro o della Commissione, contro il governo del Paese dove quel regime fiscale vige. Nella specie, inutile fingere che ci fosse realmente interesse a stabilire se dovesse scattare o no una clausola contrattuale recante il diritto di un contraente a recuperare una somma di imposta straniera abusivamente pagata. Cos si presentava la questione escogitata per introdurre la causa davanti al giudice italiano, ma il problema reale consisteva nel cercare di metter fine al meccanismo impositivo dello Stato straniero (com' noto, la Francia). La Corte avrebbe potuto confermate quell'uso ampio dell'art. 177 che aveva precedentemente consentito, e dare perci la sua risposta anche in questo caso. Giustamente H prof. Tizzano ha notato che moltissimi precedenti sembravano condurre a questo risultato. Per quale ragione allora la Corte ha scelto una strada diversa? A mio avviso, errato valutare la sentenza di cui parliamo come se un solo motivo .l'avesse determinata. Le ragioni sono state invece parecchie. Anzitutto vi da dire che c'era da tempo una certa insofferenza nell'ambiente della Corte per i cosiddetti processi bidone. Quest'espressione aveva gi corso prima del caso Foglia-Novello, e serviva a indicare i processi instaurati al solo fine di rivolgere alla Corte, attraverso il giudice nazionale, una domanda pregiudiziale di interpretazione, provocando cos la sua risposta. Direi che l'aspettativa, (riecheggiata qui dal prof. Motzo), secondo cui la Corte avrebbe ben potuto dare la sua consulenza, ha suscitato in modo particolare la reazione contraria della Corte. Questa infatti non ritiene di dover dare consulenze, ma si sente invece chiamata a giudicare, in collaborazione con i giudici interni, riguardo a controversie effettive. A prescindere, dunque, dalla forma in cui la Corte ha reagito nelle sentenze Foglia-Novello, la verit che, prima e indipendentemente da esse, era maturato nei giudici uno stato d'animo ostile ai processi bidone, cui si voleva cercare di metter termine. Di fronte a questo fatto, ci si pu chiedere perch la Corte avesse per molto tempo considerato in modo positivo l'aumento delle possibilit di rinvii pregiudiziali, arrivando fino al punto di stabilire che essi fossero ammissibili pure per i decreti ingiuntivi italiani. A conti fatti, mi pare di dover dire che questo orientamento era troppo largo. Ed evidente che, se si troppo abusato di un determinato strumento, questa non una ragione per continuare nell'abuso. Forse il colpo di freno rappresentato dalle sentenze di cui si tratta stato dato male, se vero che nel risolvere un problema ne ha aperto altri. Non direi tuttavia che i colpi di freno siano di per s e costan temente episodi negativi. Rilevo infine che il dispositivo della seconda sentenza Foglia-Novello comprende .un brano particolarmente interessante, in cui si dice che la PARTE II, QUESTIONI Corte tenuta a vigilare affinch il procedimento previsto dall'art. 177 non venga utilizzato per scopi non voluti dal Trattato. Questo conferma che la Corte ha ritenuto di essere posta di fronte a un uso della procedura pregiudiziale rispondente ad obbiettivi impropri, rispetto a quelli voluti, e ha creduto allora necessario affermare che ci sono dei limiti da non superare nell'impiego dell'anzidetto procedimento. Sono comunque d'accordo con chi ha auspicato che le due sentenze Foglia-Novello restino casi isolati, ed anzi aggiungo che a mio parere probabile che esse non avranno seguito, giacch la Corte stessa si trovata in evidente difficolt nell'escogitare una soluzione ed ha prestato il fianco a numerose e qualificate critiche soprattutto per essersi dichiarata incompetente a rispondere ai quesiti del giudice nazionale. Ci detto, vorrei esortare i critici a riconoscere l'obbiettiva delicatezza e seriet del problema, e a regolarsi come si fa ogni volta che si affronta un problema serio e delicato, evitando di dare affrettatamente giudizi sommari. Grazie. Ivo BRAGUGLIA, avvocato dello Stato. Nella vastit di questo tema che stato proposto dall'Associazione giuristi europei e che stato, secondo me, magistralmente sintetizzato dal prof. Capotorti, io sceglierei un aspetto pi specifico, che attiene pur sempre all'art. 177 del Trattato CEE, ma in particolare ai limiti del1' obbligo di deferire la questione pregiudiziale di interpretazione o d'invalidit da parte dei giudici di ultima istanza. Ricordo a me stesso, perch tutti lo sappiano, che l'art. 177 del Trattato CEE prevede una facolt in questo senso per i giudici di grado inferiore e prevede invece un obbligo per i giudici avverso le cui decisioni non siano ammessi ulteriori rimedi. Questo tema torna di attualit, come vi ha anticipato il prof. Capo torti, perch c' stata una recentissima ordinanza di rimessione proprio di questo problema da parte della Corte di cassazione alla Corte di giu stizia. E dico torna di attualit perch un tema che fu gi affrontato esattamente venti anni fa da parte della Corte comunitaria, ma a mio parere non completamente risolto. Forse ci sono soltanto, su questo problema dei limiti dell'obbligo di deferimento, a mio avviso, due punti fermi: il primo quello della rilevanza, che comune al giudice non di ultimo grado e al giudice di ultimo grado e che, salvi i limiti che possono derivare dalla Foglia-Novello bis o dalla Foglia-Novello prima versione in favore della Corte di giustizia, costituisce oggetto di una delibazione che appartiene interamente al giudice nazionale. Il secondo punto che si pu ritenere per certo e che deriva dalla sentenza cui accen RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 130 navo, la sentenza Da Costa del 27 settembre 1963 della Corte di giustizia, che l'oggetto dell'obbligo imposto dal Trattato alle Corti supreme viene meno quando la stessa questione sia stata gi risolta in via pregiudiziale da parte della Corte di giustizia. In questo caso il giudice di ultima istanza o si adegua all'interpretazione che ha reso la Corte di giustizia sulla stessa questione, oppure tenuto a rimettere di nuovo la questione prospettando eventualmente i suoi motivi di dissenso. Questo stesso principio, cio che una previa pronuncia della Corte esenta le giurisdizioni superiori dell'obbligo del 177, oltre che in materia di interpretazione con la citata sentenza Da Costa, stato affermato anche in materia di invalidit nella sentenza 13 maggio 1981 International Chemical Co. e anche qui la Corte ha detto che se un regolamento comunitario, un atto comunitario stato gi dichiarato invalido, illegittimo nell'ambito di un procedimento ex art. 177, qualunque giudice nazionale deve non tenerne conto e se invece ha dei dubbi sulll'invalidit tenuto a rimettere di nuovo la questione alla Corte. Di questo principio, che appunto uno dei due che possiamo ritenere per certi in questa materia, ha fatto applicazione pi volte la nostra Corte di cassazione: in particolare in due recentissime sentenze delle Sezioni Unite a proposito di problemi connessi a restituzioni all'esportazione. Sono le sentenze nn. 3967 e 4107 del 1981 e forse c' soltanto da segnalare che in questi casi la Suprema Corte non doveva applicare la stessa identica norma gi interpretata da parte della Corte di giustizia in una sentenza del 1971 ma una norma diversa, cio compresa in un altro atto normativo, in un altro regolamento, seppure di identico contenuto. Ma la Corte Suprema non ha avuto nessuna esitazione a trasporre l'interpretazione di quella certa norma in quest'altra fattispecie e ad applicarla. Rimangono invece molto oscure ancora due altre questioni che si pongono nel cercare di individuare i ' e non pi l'art. 67: la sentenza della Corte potrebbe essere, allora, pi... liberale! Analbga preoccupazione della Corte di Giustizia di approfondire il merito della causa dato riscontrare nella recentissima causa Becker (n. 8/81) in cui un tribunale tedesco chiedeva l'interpretazione dell'art. 13 della sesta direttiva sull'IVA; anche in tale occasione, la Corte entra nel merito della causa e aggiunge alcune considerazioni estranee alle questioni sollevate dal giudice di rinvio. Allora, signor presidente, mi sia concesso di concludere il mio intervento esprimendo il voto, che la Corte limiti la giurisprudenza FogliaNovello alle due controversie Foglia-Novello e che abbia ragione Ovidio quando dice sera tacitis lentis pedibus paena tenit. Che sia veramente lenta, procrastinata nel tempo la sofferenza che pu derivare da una eventuale estensione della giurisprudenza Foglia- Novello. GIUSEPPE TAMBURRINO, procuratore generale presso la Corte di casssazione. Sono lieto di intervenire in questo interessante ed altissimo convegno, come dimostrato dalla materia che si dibatte e dal nome degli illustri relatori, cui mi legano rapporti di amicizia, da lunghissimo tempo. ' 149 PARTE II, QUESTIONI E sono lieto di intervenire non soltanto a titolo personale, ma sulla base di una dupliche qualifica, che in questo momento rivesto. In primo luogo quale presidente della I Sezione civile della Corte Suprema di cassazione che si occupa esclusivamente, rispetto alle altre Sezioni, e tra le altre materie, del diritto comunitario e quindi delle questioni che riguardano. l'applicazione nel diritto interno di tali norme e tratta dei rapporti tra il diritto interno ed il diritto comunitario e dei rapporti con la Corte di giustizia. In secondo luogo -e qui il titolo si rivolge all'Associazione che ci ospita -quale presidente dell'Associazione giuristi italiana per la difesa dell'uomo -associazione con scopi finitimi, la quale gi si occupata di simili questioni, trattate anche da uno degli illustri relatori che qui siede. Mi permettete -dopo avere ascoltato le interessanti e rilevanti relazioni -qualche breve osservazione, su qualche punto trattato dai relatori che maggiormente mi ha colpito: osservazioni sintetiche e slegate, dovute e ricavate da qualche brevissimo appunto preso qui durante le relazioni, che non conoscevo antecedentemente. Vorrei partire subito da quello che il fulcro della discussione odierna, cio dall'art. 177 del Trattato di Roma e cio dalla determinazione della competenza della Corte di giustizia di Lussemburgo. noto che tale competenza circoscritta alle questioni di interpretazione e di validit delle norme comunitarie: in presenza di tali questioni che sorgano in una controversia portata dinanzi alle giurisdizioni supreme degli Stati membri, le Corti Supreme di questi devono rinviare per la risoluzione delle dette questioni alla Corte di giustizia. Interpretazione e validit: ma -poich (e lo ha detto esattamente il prof. Pacar) la questione di validit conseguenziale rispetto alla questione di interpretazione, che in ogni caso viene prima -il punto centrale della competenta della Corte di giustizia dato dalla questione di interpretazione. Ed in primo luogo vanno fissati i limiti e l'esatto contenuto della dizione questione di interpretazione . Sul punto vi sono stati dubbi e (diciamolo pure) tentativi di allargamento del concetto. Il quale, a mio avviso, va fissato riandando ai princpi generali propri di tutti gli ordinamenti giuridici, riguardanti la funzione del giudice nazionale: funzione che quella di rendere giustizia nel caso pratico, di applicare la norma al caso pratico attraverso quel sillogismo giuridico che si compendia nell'eterna massima narra mihi factm, dabo tibi jus e che si attua attraverso i tre momenti famosi, dati dalla premessa maggiore concernente il fatto, cio la fattispecie concreta cui deve applicarsi la norma, la premessa minore riguardante la ricerca e l'interpretazione della norma da applicare, la definizione della fattispecie astratta in cui possa rien trare quella concreta, e dalla conclusione che appunto l'applicazione effettiva della norma alla specie e la risoluzione di questa. Se ci si 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tiene presente, facile vedere che la questione di interpretazione nulla ha a che vedere con quella di applicazione, onde la conclusione che va affermata nettamente (come bene ha detto il prof. Motzo) l'assoluta restrizione della competenza della Corte alla sola interpretazione della novma, mentre ogni questione di applicazione le preclusa, riguardando quest'ultima solo il giudice nazionale, che l'unico giudice del fatto e l'unico giudice che chiamato a risolvere la fattispecie concreta. Dal che derivano a mio avviso alcune conseguenze. Da un lato qualsiasi questione di interpretazione va rinviata alla Corte di giustizia e su essa non occorre nemmeno preliminarmente fermarsi. Si parlato della famosa massima in claris non fit interpretatio e si detto che in questo caso la remissione alla Corte di Giustizia inutile. Non credo -a parte che personalmente non credo a quella massima, in quanto ritengo (e con d mi richiamo all'insuperato ed insuperabile insegnamento di Betti) che anche l'interpretazione letterale una interpretazione -perch tutti gli aspetti dell'interpretazione sono demandati alla Corte di giustizia, dovendosi il giudice nazionale, una volta accertato che applicabile una norma comunitaria, fermarsi e demandarne l'applicazione alla norma comunitaria. D'altra parte -dicevo -la competenza della Corte deve fermarsi all'interpretazione e non pu non solo occuparsi di applicazione, ma nemmeno di questioni che concernono la compatibilit dell'ordinamento interno con quello comunitario. Questo un punto che ha dato origine a varie discussioni ed anche ad alcune affermazioni della Corte di giustizia, su cui occorre meditare a lungo. Lo stabilire se vi sia compatibilit tra l'ordinamento interno e quello comunitario compito esclusivo del giudice nazionale, in quanto rientrante nella ricerca della norma che possa applicarsi a quella determinata fattispecie concreta che sottoposta al suo giudizio, ricerca che fa parte del sillogismo giudiziario e che nulla ha a che vedere con l'interpretazione. Ed io credo che, normalmente, tale indagine vada fatta antecedentemente, al momento della ricerca della norma applicabile. E forse parlando di compatibilit tra i due ordinamenti si acuita la questione, la si ingigantita: in realt qui si tratta di ricerca della norma applicabile. Se si ritiene applicabile la norma cpmunitaria, l'interpretazione spetta in toto alla Corte di giustizia, la quale non pu, a mio parere, porsi la cosiddetta compatibilit, altrimenti entra nella ricevca della norma e nell'esame della fattispecie che le inibita. Altrimenti si dovrebbe ammettere una ingerenza nel diritto interno che non ammessa dal trattato di Roma. Ed proprio a questo ed alla sua mens che occorre andare, ritornando al principio del mio dire e cos concludendo: io ritengo che il Trattato di Roma e l'art. 177 in particolare abbia voluto proprio creare una giurisdizione esterna e comunitaria, esterna rispetto a quelle nazionali, limitata all'unico punto che pu interessare una giurisdizione comunitaria, cio l'esatta interpre PARTE II, QUESTIONI 151 tazione della norma che deve essere applicata dal giudice nazionale. Onde la limitazione della competenza della Corte alle sole (ed a tutte) le questioni di interpretazione. Prof. ANTONIO TIZZANO, ordinario nell'Universit di Napoli. (*) 1. -Preceduta da un iter tormentato e di insolita lunghezza, attesa con vivo interesse e via via con crescente curiosit, ecco finalmente la sentenza Foglia-Novello n. 2, destinata con tutta probabilit ad avere la stessa vasta risonanza e a stimolare le stesse vivaci e preoccupate critiche della prima ed ormai notissima puntata di questa singolare vicenda giudiziaria. Chi aveva sperato che quella sentenza fosse destinata a restare un precedente isolato; chi aveva tratto ulteriori pidicazioni in tal senso da qualche successiva sentenza, a prima vista meno rigorosa, o dalle conclusioni dell'avvocato generale Slynn, del tutto difformi dalle due sentenze Foglia-Novello, o anche dai dubbi e le esitazioni che l'inconsueto ritardo della decisione induceva a ritenere presenti e consistenti nel collegio, non ha pi, ora, alcuna possibilit di illudersi. La seconda pronuncia non solo conferma in pieno la prima, ma addirittura offre il supporto di una pi ampia e articolata argomentazione, di una sorta di teorizzazione a quel revirement giurisprudenziale che tanta preoccupazione ha suscitato in dottrina per le sue possibili implicazioni negative sulla generosa e fortemente apprezzata prassi di applicazione dell'art. 177 CEE finora seguita dalla corte. ben vero che la seconda ordinanza di rinvio del Pretore di Bra non lasciava molte alternative, dato che, salvo il ricorso ad un improbabile e comunque non facile escamotage, alla corte non restava che scegliere tra una clamorosa ritirata e la riaffermazione, pi ampiamente motivata, dell'indirizzo seguito nella prima pronuncia. Resta il fatto tuttavia che la sentenza in epigrafe consuma definitivamente quello che si pu definire, con un termine alla moda, un autentico strappo rispetto ai consolidati princpi interpretativi dalla stessa corte elaborati rispetto all'articolo 177 e rischia cos di creare non pochi problemi nell'applicazione, finora pacifica, di questa norma. 2. -Quali fossero quei princpi ho gi detto in sede di commento alla Foglia-Novello 1 e non il caso che qui mi dilunghi nuovamente su di essi (v. il mio commento in Foro lt., 1980, IV, col. 254 ss.). Baster (*) La presente comunicazione riproduce, con qualche modifica e senza l'apparato di note, i!l testo del commento alla seconda sentenza Foglia-Novello preparato dall'A. per il Foro Italiano (1982, IV, col. 308 ss.). 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sinteticamente ricordare che la corte ha teso in ogni occasione ad ampliare al massimo i presupposti per il funzionamento dell'art. 177: in particolare, tra l'altro, come si rilev in quella sede, astenendosi da ogni indagine sulla rilevanza della questione pregiudiziale ai fini del giudizio nazionale e sulla valutazione al riguardo effettuata dal giudice del rinvio; sottolineando la portata meramente e astrattamente interpretativa della pronuncia ex art. 177, anche quando in realt si finiva proprio con l'esprimere una valutazione del caso di specie sottoposto al giudice a quo; avallando quindi rinvii pregiudiziali volti a mettere in causa leggi o comportamenti dgli Stati membri di dubbia compatibilit con le norme comunitarie, anche se si trattava di rinvii operati nell'ambito di procedure non del tutto convincenti e anche se la normativa contestata proveniva da uno Stato membro diverso da quello del giudice a quo; e in genere respingendo per quanto possibile tutte le obiezioni che impedissero di dare risposta ai quesiti prospettati dai giudici nazionali. Grazie a questa decisa e univoca politica giurisprudenziale, sviluppatasi, si noti, con il pieno sostegno della dottrina e della stessa Commissione e con l'attivo concorso dei privati e dei giudici nazionali, la corte aveva finito col favorire la pi ampia applicazione dell'art. 177 e quindi col valorizzarne tutte le possibili implicazioni. In particolare, essa aveva potuto, per quella via, esaltare la propria stessa presenza e il proprio ruolo grazie ad un'attivit interpretativa di straordinaria importanza per la definizione e lo sviluppo del sistema giuridico comunitario; stimolare l'azione delle istituzioni di governo della Comunit e perfino ovviare alle loro carenze; moltiplicare le occasioni per sanzionare le inadempienze degli Stati membri, avvalendosi all'uopo delle segnalazioni provenienti dai privati per il tramite appunto dell'art. 177; ampliare cos in misura assai consistente l'ambito della tutela giurisdizionale dei privati stessi e rafforzare quindi complessivamente l'efficacia e l'effettiva applicazione del diritto comunitario. Avevo gi segnalato peraltro, nel commento alla prima Foglia-Novello, che negli ultimi anni si erano manifestate alcune, sia pur timide ed indirette, avvisaglie di un certo raffreddamento della corte nell'avallare la descritta utilizzazione dell'art. 177; e avevo espresso l'avviso che con ogni probabilit tale indirizzo si sarebbe col tempo ulteriormente rafforzato. In effetti, a parte i progressivi mutamenti nella composizione della corte e la necessit di ridurre un carico di lavoro crescente e quasi insostenibile, a motivare quella previsione concorrevano soprattutto alcune considerazioni di fondo. In particolare, rilevavo che apparivano ormai ridotte le ragioni e le occasioni per sviluppare ulteriormente la fondamentale azione interpretativa per anni svolta dalla corte, grazie all'art. 177, per la definizione del sistema giuridico comunitario; che in effetti i princpi essenziali di tale sistema erano gi stati in larga misura enucleati; che, PARTE II, QUESTIONI d'altro canto, l'evoluzione complessiva di quest'ultimo, con la netta accentuazione dei profili intergovernativi, limitava gli spazi per l'azione della corte e risultava poco propizia a rivoluzioni giurisprudenziali; che, anzi, pi frequenti apparivano i segnali di insofferenza degli Stati membri per la descritta prassi di applicazione dell'art. 177; e che quindi, in tale contesto, meno agevole sarebbe stata la copertura in passato offerta ad utilizzazioni troppo disinvolte della procedura pregiudiziale. Tutto ci induceva dunque a prevedere che la corte avrebbe via via proceduto ad una pi rigorosa verifica dei presupposti della propria competenza e, in particolare, di quelle condizioni di ricevibilit dei rinvii pregiudiziali che per anni essa aveva non solo evitato di approfondire, ma addirittura concorso incisivamente ad ammorbidire per favorire la pi ampia valorizzazione dell'art. 177. 3. -In questa prospettiva, allora, la giurisprudenza della prima Foglia- Novello, pur sempre inattesa e sorprendente alla luce della prassi della corte e degli stessi sviluppi della causa, acquistava tuttavia il senso di un precedente meno estemporaneo ed occasionale di quanto potesse apparire ed in effetti apparve agli osservatori. Del resto, di l a poco, altre pronunce della corte avrebbero ulteriormente confermato non solo la menzionata tendenza ad un pi rigoroso filtro dei rinvii pregiudiziali, ma anche, pi in generale, i segni di un'attitudine meno audace della giurisprudenza comunitaria e di una sua pi spiccata attenzione alle esigenze degli Stati membri, a riprova del fatto che i due aspetti sono tra loro strettamente collegati. Sotto questo profilo, anzi, mi pare assai significativo che la seconda Foglia-Novello non solo ribadisca la giurisprudenza della prima in termini ancor pi decisi e argomentati, ma che ci essa faccia insistendo sulla necessit di evitare deviazioni nell'applicazione dell'art. 177. E ci soprattutto in relazione al profilo che maggiormente preoccupa gli Stati membri, in relazione cio a quello che nel commento alla prima FogliaNovello ho definito l'uso alternativo di tale norma, vale a dire l'utilizzazione della procedura pregiudiziale al fine di provocare indirttamente una pronuncia della cort sulla compatibilit con il diritto comunitario di normative nazionali, anche se di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio. Ben si spiegano allora le reazioni critiche e le preoccupazioni suscitate dal nuovo indirizzo della corte tra i cultori e gli operatori del diritto comunitario, anche tra quelli che pure avevano avvertito il senso delle prime avvisaglie di quell'indirizzo e valutato responsabilmente le sue motivazioni di fondo. In effetti, a parte i rilievi specifici che tra breve svolger sulle singole argomentazioni della corte, ci che nelle due pronunce colpisce pi negativamente e perfino, direi, emotfvamente appunto il drastico e radicale rovesciamento di una linea interpretativa molto 154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO generosa e l'adesione ad esigenze esattamente opposte a quelle che avevano a lungo indotto la corte ,a coltivare ed incoraggiare il precedente indirizzo. Non vi dubbio, infatti, che talune affermazioni di carattere generale che, nella seconda Foglia-Novello, riflettono il nuovo indirizzo non si prestano di per s ad alcun rilievo critico. Che la corte non operi, in sede di procedura pregiudiziale, come un mero organo consultivo, destinato ad essere interrogato ad libitum dai giudici nazionali su qualsiasi questione (cpv. 18), indubbiamente vero, perch l'art. 177, anche alla luce dell'art. 164 del trattato CEE e del sistema giurisdizionale comunitario .nel suo complesso, non confina il ruolo della corte in quei modesti limiti. Ed altres vero che essa non pu tollerare, n tanto meno avallare l'uso abusivo dell'art. 177 (v. soprattutto cpv. 29-31) e che deve controllare le condizioni di ricevibilit dei rinvii pregiudiziali al fine di verificare, come vi tenuto qualsiasi giudice, la propria competenza (cpv. 19). E si pu anche comprendere l'opportunit di una particolare vigilanza rispetto ai casi di uso alternativo dell'art. 177, specie quando siano messe in causa leggi di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio (cpv. 30). Quando per per anni non ci si preoccupati di verificare -per quanto qui interessa -le condizioni di ricevibilit dei rinvii pregiudiziali e si anzi rinunciato a definirle per non limitare l'applicazione dell'art. 177; quando si insegnato, fin dal 1963, che grazie a tale norma La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce... un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli artt. 169 e 170 affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri e che, in caso diverso, i diritti individuali degli amministrati rimarrebbero privi di tutela giurisdizionale diretta (sentenza 5 febbraio 1963, in causa 26/62, Van Gend en Loos, in Foro it., 1963, I, 449); quando si confermato e vieppi rafforzato questo insegnamento per ben venti anni; quando perci si apertamente avallato l'uso alternativo dell'art. 177 e su di esso si fondata una giurisprudenza storica (preminenza del diritto comunitario, sua c. d. applicabilit diretta, ampliamento delle competenze comunitarie, ecc.), ebbene allora non ci si pu sorprendere... per l'altrui sorpresa e sconcerto nel leggere ora che la corte non pu... restare indifferente di fronte a rinvii che potrebbero influire sul corretto funzionamento dell'art. 177 (cpv. 19), e che essa deve vigilare in maniera del tutto particolare perch ci non avvenga (cpv. 31). chiaro, infatti, che non sono queste affermazioni a suscitare di per s riserve, ma il fatto che esse si .calino nel contesto appena descritto e, specificamente, che si prestino a limitare i margini di verifica della compatibilit delle normative nazionali con il diritto comunitario. l: _,,_,~.. PARTE II, QUESTIONI UJ i Si comprendono allora le perplessit sulle motivazioni e sulle conseguenze di un revirement che rischia di restringete l'area della tutela giurisdizionale dei privati e di ampliare invece i margini di impunit degli Stati membri inadempienti. E si comprende altres come un siffatto ondeggiamento introduca non j:>ochi elementi di incertezza nel sistema, disorienti i destinatari dell'attivit della corte rischi di nuocere perfino all'autorit di quest'ultima, come provano dl resto recenti segnali di insofferenza da parte dei giudici nazionali, il cui significato non merita di essere sottovalutto. ' j. 4 . .;,. Chiarito quanto precede, nell'esegesi della seconda Foglia-Novello c' poco da aggiungere a quanto gi dissi in sede di.commento alla prima. Cos, per quanto concerne la costruzione che la sentenza delinea dei rapporti di competenza tra la corte e i giudici nazionali nelle procedure pregiudiziali, ricordo come la stessa corte avesse sempre escluso con nettezia ogni sua interferenza nelle valutazini operate da quei giudici circa la rilevanza delle questioni pregiudiziali ai fini della decisione del processo a quo e circa la necessit di ottenere al riguardo una pronuncia della .corte. Con la prima Foglia-Novello, invece, quelle valutazioni vengono di fatto sottoposte al controllo .dell corte e, con la .seconda, l'esercizio di ,tale controllo viene addirittura teorizzato (v. cpv. 14-21). In nome, infatti, del principio della collaborazione giudiziale nella applicazione dell'art. 177, la corte, mentre lascia impregiudicata la propria sfera di competenza esclusiva in materia (definizione della nozione di giurisdizione; attinenza della questione al diritto ' comunitario; sussistenza di una questione, ecc.), rivendica in pi, sia pure nei casi eccezionali di cui si dir, un'area di competenza comune a quella del giudice nazionale proprio su profili tradizionalmente di spettanza di quest'ultimo o almeno, a voler tutto concedere, anche di spettanza di quest'ultimo. Non solo, ma in tale area comune si riserva un ruolo decisivo e definitivo, perch ad essa spetter sindacare, e all'occorrenza modificare, le valutazioni operate dal giudice nazionale: e ci. in nome della tutela delle finalit dell'art. 177, che evidentemente quel giudice non ritenuto idoneo a garantire in proprio. Gi osservai, a questo proposito, che il principio della collaborazione giudiziale, espresso dall'art. 177, non esclude ma anzi presuppqne, come la corte stessa riconosce, la definizione di una ripartizione di competenze tra i due livelli giudiziari e indicai altres i criteri di massima secondo cui si era venuta definendo tale ripartizione. Nell'ambito della procedura pregudiziale, comunque, il giudice nazionale non svolge affatto un ruolo di mero tramite di carte processuali, ma esprime, di ufficio o su richiesta delle parti, un'autonoma valutazione sui profili di propria competenza, e. quindi; .per quanto qtii interessa, sulla necessit del rinvio. Riservandosi pertanto, sia pure in casi eccezionali , di sottoporre a re 1J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO visione tale valutazione, la corte denuncia in modo ancor pi netto, nella seconda Foglia-Novello, la tendenza a limitare il potere di apprezzamento dei giudici nazionali, a sindacarne l'esercizio e quindi a costruire il rapporto di collaborazione in termini verticali e gerarchici, anzich con quel carattere paritario che emerge dall'art. 177 e su cui la corte stessa aveva sempre insistito per incoraggiare i giudici nazionali e rassicurarli circa il rispetto della loro sfera di competenza. 5. -Ma non questa l'unica r~serva da esprimere. Si detto, infatti, che la pretesa della corte, forse anche per tranquillizzare i giudici nazionali, non appare generale e assoluta, ma espressamente limitata ai casi eccezionali in cui la valutazione del giudice potrebbe influire sul corretto funzionamento dell'art. 177. Orbene, quando ricorrono tali casi eccezionali ? E quando, dunque, la corte potr mettere in causa le scelte dei giudici nazionali? Sul punto la sentenza lascia ampi margini di incertezza che non giovano certo alla chiarezza del meccanismo delle procedure pregiudiziali. In termini generali, le affermazioni della corte nella risposta alla prima questione sono formulate come se la riserva di supervisione sia destinata ad operare in tutte le ipotesi di rinvii ex art. 177. Ciononostante, pu ritenersi che la corte abbia in realt in mente soprattutto quei giudizi (i c. d. procs-bidon) instaurati artificiosamente per mettere in causa la normativa degli Stati membri, e in particolare degli Stati diversi da quello del giudice del rinvio. Ci risulta da tutto il contesto della sentenza, ma soprattutto dai brani dedicati all'esame della quarta questione (cpv. 28-31), l dove la corte sottolinea la particolare vigilanza che le si impone nei giudizi che coinvolgano la normativa di un altro Stato membro. In tali casi infatti, secondo la corte, possono verificarsi deviazioni nell'applicazione dell'art. 177 ai danni di detto Stato, specie perch questo verrebbe a trovarsi nell'impossibilit di provvedere in modo adeguato alla propria difesa. Si potrebbe osservare che a questo proposito si di solito ritenuto che la principale sede di discussione del problema interpretativo non la giurisdizione nazionale ma la corte, dinanzi alla quale le parti diligenti hanno sufficienti possibilit di motivare e difendere le proprie posizioni. E si potrebbe altres osservare che la corte non aveva mai manifestato particolare apprensione per il pericolo cui fa ora riferimento e che anzi ha continuato a trascurarlo in successive occasioni. Cos come si potrebbe osservare che essa non aveva mai mostrato di considerare un rischio procedure che favorissero, anche indirettamente, il controllo su normative nazionali sospette di incompatibilit con il diritto comunitario. Ma tutto ci non farebbe che confermare il pi volte rilevato mutamento di indirizzo espresso dalle due sentenze Foglia-Novello. Preme invece qui sottolineare come, anche per il profilo ora in esame, torni an PARTE Il, QUESTIONI cora una volta alla ribalta, quale motivo dominante nelle due pronunce, la spiccata considerazione delle esigenze degli Stati membri e si riaffaccino le perplessit, gi evocate al precedente paragrafo, sulle motivazioni del nuovo indirizzo della corte. Anzi, sotto questo profilo, l'esplicito accenno, di cui al cpv. 19, agli interessi (della Comunit e degli Stati membri) che la corte tenuta a prendere in considerazione, accenno del tutto insolito e anche discutibile alla luce dell'art. 164 del trattato, non pu esser letto che come un ulteriore indizio nel senso indicato. 6. -Ma c' ancora un profilo da tener presente al riguardo. Per quanto precisati nel senso ora detto, infatti, i casi eccezionali in cui la valutazione del giudice nazionale pu prestarsi alle implicazioni negative che la corte teme, restano pur sempre difficili da definire secondo criteri obiettivi e sicuri, in grado cio di orientare le parti e i giudici nazionali circa le sorti dell'eventuale rinvio pregiudiziale. Come si gi detto e come emerge da varie sue affermazioni (v. particolarmente cpv. 18 e 29), la corte assume qui a criterio decisivo di valutazione il carattere artificioso e fittizio del giudizio a quo, il fatto cio che esso nasca da schemi processuali precostituiti dalle parti per provocare l'intervento della corte, senza alcun collegamento con una controversia effettiva tra le prti stesse. Ora, un siffatto criterio di valutazione risulta molto labile ed evanescente ed introduce elementi di grave incertezza nel sistema: la stessa prassi della corte, ha rivelato, del resto, con evidenza la difficolt di pervenire a soluzioni unitarie attraverso quel criterio. E gli sviluppi successivi hanno ulteriormente confermato il carattere empirico del criterio stesso e la totale difformit di valutazioni cui esso conduce, com' provato del resto dalle opposte conclusioni cui pervengono, proprio nella seconda Foglia-Novello, la corte e il suo avvocato generale Slynn. Non solo, ma nell'ordinanza di rinvio che ha occasionato tale seconda pronuncia, il Pretore di Bra segnalava un altro motivo di perplessit insito nel criterio prescelto dalla corte: e cio il fatto che, nel sistema processuale italiano (ma ovviamente non solo in questo), vi sono vari casi in cui l'instaurazione del giudizio non presuppone necessariamente una sottostante controversia tra le parti. Anzi, proprio in risposta alla prima sentenza Foglia-Novello, il pretore sottolineava come nel caso di specie si chiedesse appunto una sentenza dichiarativa, principalmente diretta, com' noto, a risolvere una questione il cui presupposto un dubbio su una situazione giuridica . A tali precisazioni, tuttavia, la corte ha replicato che la natura e lo scopo dei giudizi nazionali sono irrilevanti al fine di accertare la competenza della corte stessa, mostrando dunque di credere che il pretore, in vena forse di esercitazioni teoriche, si fosse premurato unicamente di procedere alla qualificazione giuridica del suo futuro tf8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO provvedimento e non gi, come invece si desume dall'ordinanza di rinvio, di fornire alla corte tllterior.i chiarimenti utili a rimuovere i dubbi da essa espressi sulr<< autenticit della vicenda giudiziaria. E difatti l'avvocato generale Slynn, che ha cos inteso il senso di quelle precisazioni, se ne avvale per ammettere l'utenticit della controversia, mentre la corte, non attribuendo alle stesse carattere di fatto nuovo, perviene alla conclusione opposta, anche se poi conferma al giudice, forse per mero dovere di cortesia, la propria disponibilit a vagliare eventuali nuovi elementi (cpv. 33 s.). 7. ~ Il . sindacato che la corte .si riservato sulle valutazioni dei giudici nazionali risulta, dunque, tanto decisamente affermato . quanto discutibile nelle motivazioni, incerto e vago nei contorni, denso di incognite nei risultati: in breve, si rivela con ogni probabilit suscettibile di creare pi problemi di quanti ne dovrebbe risolvere. Ci va detto, evidentemente, soprattutto dal punto di vista dei rap porti con i giudici nazionali, i quali, dall'attuale indirizzo della corte, non vengono certo incoraggiati ad effettuare rinvii nelle ipotesi in cui siano in causa norinative nazionli degli Stati membri: non solo per il chiaro sfavore manifestato dalla corte al riguardo, ma anche per l'incer tezza dei criteri di ricevibilit da questa elaborati. Tale incertezza infatti rende pi difficili, come si visto, le scelte dei giudici nazionali e limita le oro possibilit di previsione sulla sorte dei rinvii pregiudiziali anche perch, stanti le motivazioni ultime del nuovo indirizzo giurispru denziale, non pu ritenersi s:ongiurato il rischio che il giudizio sulla (( eccezionalit del caso venga commisurato al grado di (( scomodit dei quesiti prospettati dal giudice nazionale. In queste condjzioni, il giudice, specie se non di ultima istanza, potr sentirsi indotto a sciogliere direttamente i propri problemi inter pretativi, nel timore che un eventuale rinvio alla corte possa costituire una fatica inutile e soprattutto, forse, per non. correre il rischio di pas sare per uno sprovveduto o per un complice dell'artificio montato dalle parti. Ma ancora maggiori sono le difficolt che il nuovo indirizzo pu creare dopo l'eventuale declaratoria di incompetenza da parte della corte. Richiesta espressamente di precisare i margini di manovra del giudice nazionale in tal caso, e in particolare di chiarire se quel giudice possa ugualmente procedere ad interpretare il diritto comunitado o se debba invece decidere esclusivamente alla stregua del diritto nazio nale (secondo quesito del Pretore di Bra), la corte ha ritenuto non necessario pronunciarsi sul punto, date le risposte fomite agli altri quesiti (cpv. 32). Se si considera che poco prima essa aveva riaf fermato la propria incompetenza, la risposta appare poco perspicua, perch la questione manteneva la propria utilit. Ma in realt sembra I" i: !1 i i i: Ej ~- PARTE II, QUESTIONI 1J9 di capire che nell'ottica della corte il problema prospettato non si pone affatto quando si in presenza di un procs-bidon. Ma se questa l'ottica della corte, non pu dirsi necessariamente altrettanto per il giudice nazionale che sollevato il quesito. Il Pretore di Bra, anzi, aveva esplicitamente prospettato (e poi temporaneamente accantonato) l'eventualit di eccepire una q.estione di costituzionalit della legge di ratifica del trattato CEE, relativamente all'art. 177 di quest'ultimo, per la parte in cui, nell'interpretazione della corte, esso non solo comporta un sindacato implicito sull'esercizio dei poteri discrezionali che il giudice del rinvio trae autonomamente dal proprio ordinamento nazionale, poteri che gli sono costituzionalmente attribuiti , ma determina altresi sia pure di riflesse>, se non un netto ostacolo, almeno gravi difficolt per far valere la pretesa processuale della convenuta diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa; difficolt queste che limitando i diritti della difesa ugualmente realizzano violazione di diritti costituzionalmente garantiti . Quali che saranno comunque le decisioni del Pretore di Bra, resta il fatto che il nuovo indirizzo della corte comporter, nella migliore delle ipotesi, che i giudici nazionali, quando non potranno addirittura prescindere dal diritto comunitario, saranno tentati di risolvere in proprio i dubbi prospettati alla corte e che questa non ha ritenuto di dover sciogliere. Essi saranno cio indotti a riappropriarsi di quel potere inter pretativo del diritto comunitario che l'art. 177 ha invece inteso riser vare alla corte. E ci, ovviamente, come da ogni parte si sottolinea, non pu che andare a discapito dell'uniformit nell'interpretazione e nell'applicazione di quel diritto e delle stesse prospettive di sviluppo ad esso per lungo tempo assicurate dall'ampio ricorso ,all'art. 177. Anche per questo profilo, dunque, le due sentenze Foglia-Novello non segnano certo una tappa positiva nel cammino della giurisprudenza comunitaria..Quel che per pi preoccupant come gi accennato, che esse hanno tutta l'aria di rappresentare non gi un occasionale incidente di percorso, ma il segnale pi vistoso del tramonto di una stagione straordinariamente ricca di risultati, nel corso della quale, proprio grazie alla corte e alla generosa applicazione dell'art. 177, ha via via acquistato senso e concretezza la pi significativa e produttiva delle libert di circolazione nella CEE: quella rappresentata appunto dalla piena ed effettiva applicazione del diritto comunitario al di l delle frontiere giuridiche nazionali. LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice civile, art. 2751 bis n. 1 (sub art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426), nella parte in cui non munisce del privilegio generale istituito dall'art. 2 della legge n. 426/1975 il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro, se e nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto dalla percezione delle indennit previdenziali e assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso infortunio. Sentenza 28 novembre 1983, n. 326, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42, nella parte in cui non dispone che anche per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e seguenti del codice di procedura civile, la base imponibile costituita dal prezzo di aggiudicazione . . Sent.enza. 28 novembre 1983, n. 328, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. legge 27 dicembre 1977, n. 984 (Coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione, dell'irrigazione, e delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e dell'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani) per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la regione Friuli-Venezia Giulia e le provincie autonome di Trento e Bolzano. Sentenza 15 dicembre 1983, n. 340, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. II -QUESTIONI NON FONDATE Legge 15 febbraio 1963, n. 151, art. 3 (artt. 5 e 81 della Costituzione). Sentenza 21 dicembre 1983, n. 341, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, primo comma (artt. 3, 13, 27 e 113 della Costituzione). Sentenza 21 dicembre 1983, n. 342, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 29 luglio 1975, n. 426, art. 15 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 28 novembre 1983, n. 325, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 162 PARTE II, LEGISLAZIONE III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, artt. 2947, 2948, nn. 4 e 5, 2949, 2955, n. 2, e 2956, nn. 1 e 2 (artt. 2, 3, 4 e 36 della Costituzione).. Pretore di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 569, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. codice penale, artt. 56 e 341 (artt. 3, 15 e 16 della Costituzione). Pretore di Velletri, ordinanza 16 aprile 1983, n. 508, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. codice penale, art. 114, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 26 aprile 1983, n. 651, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. codice penale, artt. 314 e 476 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Torino, ordinanza 15 aprile 1983, n. 538, G. U. 23 novembre 1983, n:. 322. codice penale, artt. 636 e 672 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Pretore ai Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre .1983, n. 336. r.d. 14 lugllo 1898, n. 404, artt. 17 e 24 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. ' , Pretore di Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. r.d.. 17 novembre 1924, n. 2367, art. 130 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 20 aprile 1983, n. 499, G. U. 23 novembre 1983, n.' 322. r.d. 14 aprile 1939, n. 636, tabella A allegata (arti. 3, 36, 38 e 53 della Costi tuzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983; n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. V [ I I I!'! .......,.,,.,.,~ - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 163 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26 (art. 24 della Costituzione)~ Tribunale di Milano, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 568, G. U. 21 dicembre 1983, n..349. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 439, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24,. 25 e 112 della Costituzione). Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 554/83, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art. 7 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge.27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 7 aprile 1983, n. 517, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 27 gennaio 1983, n. 526, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89 e 140, ultimo comma (artt. 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Imperia, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 503, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 30 aprile 1983, n. 560, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanze (due) 10 maggio 1983, nn. 637 e 638, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge reg. Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, artt. 2 e 3 (art. 18 della Costituzione e artt. 4, 8 e 18 dello statuto del Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (due) 11 luglio 1983, nn. 706 e 707, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 164 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 22 luglio 1966, n. 614, art. 8 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mondov, ordinanze (due) 8 febbraio 1983, nn. 551 e 552, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sostituiti dagli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 25 ottobre 1982, n. 446/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 12 gennaio 1983, n. 509, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 24 novembre 1981, n. 534/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 5 gennaio 1982, n. 688/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 [modificato dall'art. 1 della legge 23 dicembre 1970, n. 1054] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 766/83, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 15 marzo 1983, n. 525, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 10 marzo 1983, n. 504, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 8 agosto 1972, n. 459, articolo unico (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Latina, ordinanza 8 aprile 1983, n. 482, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 16f legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo periodo (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 438/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 5 dicembre 1980, n. 553/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 23 settembre 1981, n. 595/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 26 'ottobre 1972, n. 643, art. 22 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 5 dicembre 1980, n. 553/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e secondo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 3 maggio 1983, n. 556, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 7 marzo 1983, n. 453, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Tribunale di Napoli, ordinanza 22 marzo 1983, n. 501, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (artt. 3, 21 e 27 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 2 maggio 1983, n. 528, G. U. 23 novembre 1983, Il. 322. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 5 maggio 1983, n. 496, G. U. 9 novembre 1983. Il. 308. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Imperia, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 503, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e) e 46, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 30 aprile 1983, n. 560 G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, .art. ,12, primo comma, lett. e) (artt. 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 marzo 1982, n. 434/83, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Commissione tributaria di primo grado di Modena, ordinanza 2 marzo 1982, n. 434/83, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, terzo comma (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 aprile 1981, n. 602/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 23 settembre 1981, n. 595/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, primo comma, e 39 (artt. 3, 24, 53 e 113 della Costituzione). Pretore di Empoli, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 521, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Empoli, ordinanze (due) 21 dicembre 1982, nn. 522 e 523/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. regolamento interno del consiglio provinciale di Trento, approvato con delibera 25 ottobre 1973, n. 7, art. 12, primo comma, secondo periodo (art. 8 statuto speciale reg. Trentino-Alto Adige e artt. 24, 113, 102 e 108 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 537/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 92, settimo comma (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge .reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18 [come sostituito dall'art. 3 legge reg. 13 gennaio 1978, n. 5] (artt. 97 e 125 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 14 aprile 1983, n. 597, G. U. 30 novembre 1983, n. 329). legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lucca, ordinanza 25 marzo 1983, n. 436, G.U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. I I ~: J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO $67 legge .22 luglio 1975, n. 382, art. 4, primo comma (artt. 97 e 125 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 14 aprile 1983, n. 597, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 26 luglio 1975, n, 354, artt. 47 cpv. e 54, ultimo comma (artt. 3, 25. e 27 della Costituzione). Sezione di sorveglianza distretto corte d'appello di Messina, .ordinanze (due) 17 novembre 1976, nn. 506 e 507/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2-bis [introdotto con l'art; 3 legge 8 ottobre 1976, n. 689] (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 420/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 9, primo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Cremona, ordinanze (sei) 9 febbraio 1983, nn. 581-586, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 27 ottobre 1982, nn. 587-588/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 17 novembre 1982, nn. 589-590/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge reg. Liguria 31 maggio 1976, n. 16, art. 2 (art. 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge reg. Liguria 31 maggio 1976, n. 16, art. 3 (artt. 117 e 118 della Costi tuzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.I. 23 dicembre 1976, n. 850, art. 1 [come sostituito con legge di conversione 23 febbraio 1977, n. 29] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 30 aprile 1983, n. 567, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 marzo 1983, n. 519, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 marzo 1983, n. 520, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 106, ultimo comma (art. 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 168 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 1 febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 5 luglio 1983, n. 749, G. V. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ruvo di Puglia; ordinanza 17 marzo 1983, n. 451, G. V. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 494 e 495, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge,,27 11,1,glio .19{8, n..392, artt.3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanze (due) 11 febbraio 1983, nn. 484 e 485, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Carrara, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 486, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanze (quattro) 11 aprile 1983, nn. 530-533, G. V. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Carrara, ordinanze (due) 5 marzo 1983, nn. 487 e 488, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Carrara, ordinanza 18 aprile 1983, n. 599, G. V. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Carrara, ordinanze (cinque) 31 maggio 1983, nn. 628-632, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. Pretore di Carrara, ordinanze (tre) 15 giugno 1983, nn. 652-654, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 41, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte di appello di Milano, ordinanza 4 febbraio 1983, n. 452, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 29 gennaio 1982, n. 445/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Genova, ordinanza 8 marzo 1983, n. 633, G. V. 30 novembre 1983, n. 329. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come modificato dall'art. 1-bis legge 31 marze1979r n;-93i, (art.3 -della'Costituzione). Pretore di Vicenza, ordinanza 15 aprile 1983, n. 529, G. V. 16 novembre 1983, Il. 315. legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2 (artt. 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 497/83, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO legge prov. di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, artt. 1, 2 e 3 (art. 105 dello statuto del Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (due) 11 luglio 1983, nn. 706 e 707, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 3 aprile 1979, n. 101, artt. 17 e 41 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 426/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 24 dicembre 1979, n. 650, art. 22, sesto comma (art. 24 della Costi tuzione). Pretore di Cremona, ordinanze (sei) 9 febbraio 1983, nn. 581-586, G. U. 16 novembre 1983. n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 27 ottobre 1982, nn. 587-588/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 17 novembre 1982, nn. 589-590/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.l. 30 dicembre 1919, n. 663, art. 14-septies [aggiunto dalla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 30 aprile 1983, n. 567, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 21 febbraio 1980, n. 284, art. 4, primo comma, lett. b) (artt. 3, 33, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ordinanza 14 luglio 1982, n. 516/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 11, quarto comma, lett. a) (artt. 3, 33, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ordinanza 14 luglio 1982, n. 516/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 29 luglio 1980, n..385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 42, 53, 84 e 136 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 15 marzo 1983, n. 525, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Perugia, ordinanza 28 marzo 1983, n. 447, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 33, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Pretore di Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. :J.70 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione), Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1983, n. 514, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 559, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Ginosa, ordinanza 11 marzo 1983, n. 493, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, 54 e 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Gubbio, ordinanza 4 marzo 1983, n. 527, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Riva del Garda, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 450, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Oristano, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 489 e 490, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Gavirate, ordinanza 18 aprile 1983, n. 491, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Livorno, ordinanza 5 maggio 1983, n. 500, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Adria, ordinanza 12 aprile 1983, n. 498, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 24 marzo 1983, n. 492, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. d.l. 26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12] (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Pesaro, ordinanza 4 marzo 1983, n. 515, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.l. 9 dicembre 1981, n. 721, art. 4, quarto comma [convertito in legge 5 febbraio 1982, n. 25] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 750, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito nella legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 28 febbraio 1983, n. 502, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis, primo comma [convertito nella legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 marzo 1983, n. SOS, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1983, n. S3S, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. dJ. 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [convertito in legge 29 aprile 1982 n. 187, art. l] (artt. 3, 24, 42 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 1 giugno 1982, n. S39/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 14, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 18 aprile 1983, n. Sl8, G. U. 16 novembre 1983, n. 31S. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 24 e 23 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 22 febbraio 1983, n. S24, G. U. 30 novem bre 1983, n. 329. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanze (tre) 9 maggio 1983, nn. 730.732, G. U. 21 dicem bre 1983, n. 349. Pretore di Orvieto, ordinanza 30 maggio 1983, n. 728, G. U. 21 dicembre 1983, a~ . legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanze (due) 26 marzo 1983, nn. S72 e S73, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Tribunale di Modena, ordinanze (due) 6 aprile 1983, nn. S74-S7S, G. U. 7 dicem bre 1983, n. 336. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41. 42, 43 e 44 della Costituzione). ' Corte d'appello di Bologna, ordinanza 3 maggio 1983, n. 72S, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. Corte d'appello di Bologna, ordinanza S lugli 1983, n. 726, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. Corte d'appello d1 Bologna, ordinanza S luglio 1983, n. 767, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4,. 41, 42, 43, 44 e 46 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 16 febbraio 1983, n. SlO, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. PARTE II, LEGISLAZIONE Tribunale di Parma, ordinanze (tre) 16 febbraio 1983, nn. 511-53, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Tribunale di Arezzo, ordinanza 27 maggio 1983, n. 774, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. lei; ge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 44 e 46 della Costituzione). Tribunale di Montepulciano, ordinanze (quattro) 2 giugno 1983, nn. 661-664, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. Tribunale di Montepulciano, ordinanze (quattro) 21 aprile 1983, nn. 576-579, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Tribunale di Montepulciano, ordinanze (due) 19 maggio 1983, nn. 604-605, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Tribunale di Montepulciano, ordinanze (cinque) 19 maggio 1983, nn. 606-610, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. Tribunale di Montepulciano, ordinanza 3 maggio 1983, n. 611, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30, 32 e 33 (artt. 3, 4; 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Voghera, ordinanza 21 giugno 1983, n. 771, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanze (sette) 9 giugno 1983, nn. 665-671, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Cosenza, ordinanza 2 giugno 1983, n. 643, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 3 settembre 1982, n. 627, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 15 aprile 1983, n. 536, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (art. 11 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 18 marzo 1983, n. 591, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 11, 23 e 24 della Costituzione). Tribunale di Ancona, ordinanze (tre) 21 marzo 1983, n. 678-680, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 171 d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, ll, 23 e 24 4eJia Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 29 aprile 1983, n. 592, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 593, G. U. 14 dicembre 1983, Il. 342. dJ. 12 settembre 1983, n. 463, artt. 21, secondo comma, e 26 (artt. 117 e 119 della Costituzione). Regione Emilia-Romagna, ricorso 18 ottobre 1983, n. 37, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. dJ. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1 (art. 5 n. 1 statuto Trentino-Alto Adige). Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 30 novembre 1983, n. 38, G. U. 14 dicem bre 1983, n. 342. legge approvata dal Consiglio regionale reg. Sicilia il 16 novembre 1983 (arti coli 14 e 17 dello statuto regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 3 dicembre 1983, n. 39, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. d" fil ..~ I ~ I ' (.: ;:: .:-: f: ~: .~:= I -=: f:~ ~: I ~ fil I" J. fil &.; ~= I I r,: ~ I ~-: I I w r~ \:: f:: {:: { r