ANNO XXXV -N. 2 MARZO -APRILE 1983 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1983 -= ABBONAMENTI ANNO 1983 ANNO .. ...... . . L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO . ; ...... , . 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (4219208) Roma, 1983 -Istituto poligrafico e Zecca dello Stato P.V. - INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . pag. 231 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA de/l'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara) . . 285 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . 304 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA Antonio Catricol) CIVILE (a cura de/l'avvocato )) 331 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) de 359 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a vocato Carlo Bafi/e) . . . . . cura de/l'av 363 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . 403 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . 424 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI pag. 13 LEGISLAZIONE )) 34 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANn, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI CARAMAZZA I.F., Banche dei dati e privacy del cittadino: il sistema svedese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 13 CENERINI BovA A., Nozione di centro abitato e tutela della viabilit . I, 333 DE STEFANO A., Arbitrato di equit ed impugnazione del lodo per difetto di motivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 341 FAVARA F., Le plusvalenze realizzate mediante cessioni di partecipazioni societarie (capital gains) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 19 POLIZZI G. P., La sospensiva sul diniego di ammissione all'esame di maturit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 359 lrlirlllltllflllllll/ll:lllllllllllll/llll((lfllflllltllfll(lriil=lifllfll PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Revi. sione dei prezzi -Costo della manodopera -Oneri derivanti da contratti aziendali di lavoro -Computabilit Esclusione, 418. -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Situazfone soggettiva dell'appaltatore -Contratto 'anteriore alla legge 22 febbraio 1973, n. 37 -Clausola di rivedibilit del prezzo -Diritto alla revisione -Condizioni, 403. -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Situazione soggettiva dell'appaltatore -Interesse legittimo, 404. -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Situazione soggettiva dell'appaltatore -Trasformazione da interesse legittimo in diritto soggettivo -Liquidazione di acconti -Effetti, 403. ARBITRATO -Arbitrato secondo equit -Impugnazione di lodo arbitrale per vizi della motivazione Motivazione per relationem -Controllo del giudice ad quem -Contenuti e forme, con nota di A. DE STEFANO, 340. -Arbitrato secondo equit -Lodo arbitrale -Impugnazione per vizi della motivazione -Ammissibilit, con nota di A. DE STEFANO, 340. ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI -Associazioni sindacali -Tutela &nteressi individuali dei lavoratori -Assenza di potere dispositivo, 233. CITTADINANZA -Figlio di donna italiana coniugata con uno straniero -Acquista la cittadinanza italiana per nascita, 261. COMPETENZA CIVILE -Azione di indebito arricchimento nei confronti della p.a. -Riconoscimento implicito -Irrilevanza -Imputabilit giuridica alla p.a. delle situazioni dedotte in giudizio -Necessit -Determinazione economica della prestazione resa -Giurisdizione ordinaria, 304. -Foro dello Stato -Ufficio Liquidazione presso il Ministero del Tesoro -Controversie in corso -Applicabilit immediata, 328. - Perpetuatio jurisdictionis -Inapplicabilit nel corso di nuove leggi modificatrici della competenza funzionale (foro dello Stato), 329. COMUNIT EUROPEE -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti -Aiuti allo ammasso di formaggio, 292. -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti -Aiuti al magazzinaggio del vino, 292. -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti -Aiuti per il latte scremato in polvere, 291. -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti -Aiuto allo ammasso di carni essiccate, 292. INDICE DEl..LA GIURISPRUDENZA -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti -Vendita di cereali di intervento, 291. -Unione doganale -Dazi doganali e tasse di effetto equivalente -Importazione da paesi terzi -Carni fresche di volatili da cortile -Diritti di visita sanitaria -Regime provvi sorio, 300. -Unione doganale -Tributi interni differenziati -Legittimit -Limiti I.V.A. -Acqueviti, 285. CONTABILIT PUBBLICA -Bilancio di previsione -Capitali dell'entrata -Proventi di recuperi Non possono essere indicati come entrata, 233. -Contratti della pubblica amministra zione -Forniture -Revisione dei prezzi -Previsione in contratto Diritto soggettivo alla revisione Clausola compromissoria -Validit Onere di ricorso amministrativo Non sussiste, 414. C.ORTE COSTITUZIONALE -Questione proposta in via incidentale -Contraddittoriet delle deduzioni -Inammissibilit, 264. CORTE DEI CONTI . -Giurisdizione domestica -Deroga alla nonrtativa generale sulla competenza in materia di pubblico impiego Legittimit, 308. -Giurisdiione domestica Poteri e mancanza del doppio grado di giurisdizione Questione propo&ta in sede . di giurisdizione -Inammissibilit, 308. -Giurisdizione domestica Questione di legittimit costituzionale per violazione dell'art,: 3 Cost. Manifesta infondatezza, 308. -Legge retroattiva Soggezione del giudie alla legg Garanzia costituzfonal delle pretese risarcitorie dello Stato Insussistenza, 264. -Responsabilit degli amministratori di comuni e provincie -Responsabilit c.d. formale -Requisiti del danno .effettivo e della colpa -Necessit, 267. ENTI PUBBLICI -Enti mutualistici Fase di liquidazione disposta o Per legge o con atto amministrativo -Diversit ai fini del foro dello Stato, 328. -Enti mutualistici Soppressione Fase di liquidazione affidata al Ministero del Tesoro Posizione giuridica dell'Ufficio di liquidazione, 328. . ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT -Indennit Requisizione -Mora Rivalutazione del credito Ammissibilit, 331.. FARMACIE -Indennit di residenza -Posizione soggettiva del titolare . Diritto soggettivo o interesse legittimo Lesione -Criterio .distintivo della giurisdizione, 315. FONTI DEL DIRITTO -Ordine del giorno approvato da un ramo del Parlamento -Non pu abrogare la legge Attribuzioni delle provincie di Trento e Bolzano Omessa indicazione -Illegittimit costituzionale, 231. GIURISDIZIONE CIVILE -Natura vincolata della norma giuridica Diritto soggettivo Irrilevanza Finalit della norma -Ne . cessit, 315. -Rapporto di pubblico impiego -Caratteristiche Compatibilit con altra attivit .professionale prevalente Atto di nomina Irrilevanza Controversie Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 322. VIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Sospensione provvedimento impugnato -Giudizio di non ammissione ad esami di maturit, con nota di G.P. POLIZZI, 359. IMPIEGO PUBBLICO -Enti pubblici -Atto formale -Irrilevanza -Impiego pubblico -Amministrazione dello Stato -Atto formale -Necessit, 324. -Prescrizione -Sospensione in costanza del rapporto -Inammissibilit, 324. ISTRUZIONE -Consigli scolastici -Elettorato attivo e passivo -Diritto soggettivo Controversie -Competenza per materia e per territorio -Principi generali, 323. -Consigli scolastici -Elettorato attivo e passivo -Situazione soggettiva -Diritto soggettivo -Controversie -Giurisdizione ordinaria, 323. LAVORO -Controversie -Appello -Deposito del fascicolo e della sentenza impugnata -Irrilevanza, 340. LEGGE -Legge interpretativa -Individuazione -Criterio, 315. LOCAZIONE -Prelazione del conduttore -Immobili destinati a studio professionale -Insussistenza del diritto, 281. PROCEDIMENTO CIVILE ..:... Motivazione dei provvedimenti giurisdizionali -Esigenza, finalit e requisiti, con nota di A. DE STEFANO, 340. REATO -Aggiotaggio bancario -Oggetto della tutela penale, 269. -Occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo -Condanna dell'imputato al rilascio e alla riduzione in pristino -Inammissibilit, con nota di N. BRUNI, 424. -Reati contro la personalit dello Stato -Associazione sovversiva, banda armata, insurrezione armata contro i poteri dello Stato -Costituzio ne di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri -Ammissibilit, con nota di N. BRUNI, 428. -Reati di eversione -Erogazione da parte del Ministero dell'Interno della speciale elargizione prevista dalla legge 13 agosto 1980 ,n. 466, e successive modificazioni -Costituzione di parte civile del Ministero dell'Interno al fine del rimborso della somma erogata -Ammissibilit, con nota di N. BRUNI, 428. REGIONI -Agevolazioni di credito -Determinazione dei tassi minimi di interesse agevolato -Diversit della determinazione del limite massimo dell'intervento regionale, 231. -Bilancio di previsione -Capitoli dell'entrata -Assegnazioni statali -Non ancora determinate -Non possono essere indicate come entrate, 233. -Competenze della Giunta regionale - Delegabilit ad assessore -Limiti, 232. - Inerzia della Regione -Poteri statali di sostituzione -Sussistono in presenza di obblighi internazionali o comunitari -Rilevanza del carattere cautelare e temporaneo degli interventi statali, 232. -Istituto professionale -Scuole di ostetricia -Non sono equiparabili ad universit, 257. -Legislazione regionale -Decreti legislativi e decreti legge -Non pos sono essere emanati, 233. -Materia di trasporti d'interesse regionale -Comprende anche la submateria inquadramento del perso nale, 233. - Poteri statali di indirizzo e coordinamento -Esercizio mediante provvedimento amministrativo -Presupposti, 231. INDICE DEU.A -Regione a statuto ordinario -Legge regionale contrastante con statuto Illegittimit costituzionale, 232. SANIT -Prevenzione e cura delle tossicodipendenze -Non rientra nella materia assistenza pubblica -Presenza di obblighi internazionali -Attribuzioni statali -Legittimit costituzionale, 231. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento Circolari -Natura Difformit -Irrilevanza, 384. -Contenzioso tributario -Foro dello Stato -Controversia in sede di esecuzione sulla spettanza di privilegi, 364. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Catasto -Rilevanza della categoria catastale per l'equo canone -Tutela giurisdizionale del conduttore -Sussiste, 276. -Dichiarazione -Redditi non compresi nella dichiarazione presentata Omissione di dichiarazione, 386. -Imposta di ricchezza mobile e complementare -Rapporti tributari in corso al momento dell'entrata in vigore della riforma tributaria -Diritto al premio maturato anteriormente Applicabilit della normativa antiriforma Percezione successiva Irrilevanza, 393. -Imposta sulle societ Esenzione dell'art. 151, lett. C), del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 -Consorzio - limitata ai consorzi fra enti pubblici territoriali -Ente Autonomo Acquedotto Pugliese Non tale, 369. -Imposte fondiarie Fabbricato in compropriet -Destinazione ad attivit commerciale esercitata da alcuni soltanto dei comproprietari -Assoggettamento all'imposta fondia:rfa per l'intero Esclusione, 380. -IRPEF -Reddito d'impresa -Elargizioni liberali ad universit -Deducibilit, 278. -IRPEF -Separata determinazione dei redditi dei coniugi -Oneri deducibili 7 Interessi passivi per mu- GIURISPRUDENZA tui fondiari -Deducibilit solo dal reddito del coniuge mutuatario Legitti: rnit costituzionale, 211. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione -Canone di abbonamento alle radioaudizioni -Natura del tributo -Competenza del tribunale, 373. -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Appalto risoluto prima della esecuzione -Decadenza, 395. -Imposta di registro -Appalto -Variazioni in corso d'opera d'importo superiore al sesto quinto -Nuovo autonomo contratto, 397. -Imposta di registro Solidariet Parti contraenti -Soggetto che ha partecipato alla formazione dell'atto come rappresentante - tale, 368. - Imposte doganali -Accertamento Revisione -Termine di decadenza Erronea applicazione della tariffa Esclusione, 363. TRIBUTI LOCALI -Sovrimposte fondiarie -Competenza e giurisdizione -Diritto alla imposizione -Diritto soggettivo pubblico dell'ente locale -Giurisdizione ordinaria -Sussiste, 377. -ILOR -Tassazione del reddito dei fabbricati di societ dati in locazione -Natura di reddito fondiario Tassazione ILOR separata con il sistema dell'esazione catastale, 388. URBANISTICA -Piano regolatore -Centro abitato - Perimetrazione -Costruzioni in prossimit del ciglio stradale -Distanze previste dal D.M. 1 aprile 1968 Osservanza Necessit -Centro abitato -Perimetrazione ex art. 17, legge 765 del 1967 e perimetrazione ex art. 18, legge 865/1971 -Diversit di nozioni e di effetti -Mancanza di strumenti urbanistici -Abitato reale -Riferimento -Necessit, con nota di A. CENERINI Bov, 333. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 29 luglio 1982 n. 150 1 febbraio 1983 n. 14 9 febbraio 1983 n. 30 22 febbraio 1983 n. 31 10 marzo 1983 n. 48 16 marzo 1983 n. 54 16 m~rzo 1983 n. 65 (ordinanza) 23 marzo 1983 n. 69 . 23 marzo 1983 n. 70. 23 marzo 1983 n. 72. 23 marzo 1983 n: 73 . 24 marzo 1983 n. 76. 7 aprile 1983 n. 84 28 aprile 1983 n. 108 . 5 maggio 1983 n. 128 . . . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE. COMUNIT EUROPEE 15. marzo 1983, nella causa 319/81 . . . . . . . 15 marzo .1983, nelle due cause 61/82 e 62/82 22. marzo 1983, nella causa 88/82 . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4198 . Sez. Un.-, 22 lugli .1982, n. 4288 . Sez. I. 11 agosto 1982, n. 4521 Sez. I, 11 a,gosto 19,82, n. 4522 . . Sez. I, 11 agosto 1982, n. 4524 Sez. Un., 13 tJ:vembre 1982; n. 6035 . Se:z;. I,' 6 gen~aio 1983, n. 64 Sez. I, 1 febbraio. :1983, n. 864 . Sez. Un.,.17 febbraio.1983, n. 1205. Sez. I, ~11 febbraio 1983; n. 1223 . . . pag. pag. pag. )) . 231 257 261 231 232 . 233 264 231 264 267 269 27" 276 278 281 285 291 300 304 404 363 364 368 .369 331 373 377 333 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl Sez. Un., 23 febbraio 1983, n. 1366 . 403 Sez. Un., 23 febbraio 1983, n. 1370 . 414 Sez. Un., 1 marzo 1983, n. 1526 308 Sez. Lavoro, 3 marzo 1983, n. 1595 . 340 Sez. Un., 4 marzo 1983, n. 1622. 315 Sez. Un., 22 marzo 1983, n. 2008 . 322 Sez. Un., 23 marzo 1983, n. 2017 . 323 Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2091 . 380 Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2092 . 384 Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2130 . 386 Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2135 . 388 Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2138 . 393 Sez. I, 29 marzo 1983; n. 2226 . 395 Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2289. 397 Sez. Un., 6 aprile 1983, n. 2430 324 Sezione Lavoro, 13 maggio 1983, n. 3276 . 328 CORTE DI APPELLO DI BARI Sez. I, 20 gennaio 1983, n. 20 . . ........... pag. 340 GIURISDIZIONI AM.MINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. plen. ordinanza 8 ottobre 1982, n. 17 . ... pag. 359 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sez. III, 28 maggio 1983, n. 440 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 418 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 3 dicembre 1982 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 424 PRIMA CORTE DI ASSISE DI ROMA Ordinanza 7 marzo 1983 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 428 PARTE SECONDA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI Questioni ............................... pag. 13 LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I -Norme dichiarate incostituzionali . .......... . II -Questioni dichiarate non fondate . III -Questioni proposte . pag. 34 34 36 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I. CORTE COSTITUZIONALE, 29 luglio 1982 n. 150 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Regione Emilia Romagna (avv. Spagna Russo), Regione Veneto (avv. Viola), Regione Toscana (avv. Cheli), Regione Lazio (avv. Bellini), Regioni Campania Umbria e Piemonte (avv. D'Onofrio), Regione Liguria (avv. Guarino), Regione Lombardia (avv. Pototschni~, e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruno). Regioni -Poteri statali di indirizzo e coordinamento -Esercizio mediante provvedimento amministrativo Presupposti. Regioni -Agevolazioni di credito Determinazione dei tassi minimi di interesse agevolato -Diversit della determinazione del limite massimo dell'intervento regionale. La funzione statale di indirizzo e coordinamento delle attivit anche legislative delle regioni a statuto ordinario pu essere esercitata mediante atto amministrativo (nella specie, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) solo se tale atto trova supporto nella legislazione statale, in una disposizione che vincoli e diriga le scelte dell'Esecutivo. Una dtermin.azione del tasso praticabile dagli istituti erogatori del credito agevolato non pu essere identificata con la determinazione del tasso minimo di interessi a carico dei beneficiari ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. n. 6l6 del 1977. II. CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1983 n. 31 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Provincia di Bolzano e Provincia di Trento (avv. Biagini) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Fonti del diritto -Ordine del giorno approvato da un ramo del Parlamento -Non pu abrogare la legge -Attribuzioni dlle provincie di Trento e Bolzano -Omessa indicazione -Illegittimit costituzionale. (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, 9 e 16; 1. 22 dicembre 1975, n. 685). Sanit -Prevenzione e cura delle tossicodipendenze ~ Non rientra nella materia assistenza pubblica -Presenza di obblighi internazionali Attribuzioni statali Legittimit costituzionale. (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4, 8 e 9; 1. 22 dicembre 1975, n. 685). 232 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Regioni Inerzia della Regione Poteri statali di sostituzione Sussistono in presenza di obblighi internazionali o comunitari Rilevanza del carattere cautelare e temporaneo degli interventi statali. (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4 e 5; I. 22 dicembre 1975, n. 685). Un ordine del giorno approvato da un ramo del Parlamento atto interno cui non pu essere riconosciuta funzione surrogativa di disposizione legislativa; la legge 22 dicembre 1975 n. 685 (disciplina degli stupefacenti) costituzionalmente illegittima nelle parti, concernenti le attribuzioni delle regioni, in cui non statuisce che, nell'ambito della regione Trentino-Alto Adige, dette attribuzioni spettano alle province di Trento e Bolzano. La funzione di prevenzione cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza non rientra nella materia assistenza pubblica, ed caratterizzata dalla presenza di obblighi internazionali che legittimano, persino nelle regioni a statuto speciale, attribuzioni dello Stato. Lo Stato pu sostituirsi alla Regione (o Provincia autonoma) inerte o non sufficientemente attiva ogniqualvolta il suo intervento -anche per l'organizzazione di apparati amministrativi - dovuto in adempimento di obblighi internazionali. Ha inoltre rilevanza la circostanza che l'intervento statale abbia carattere temporaneo e perci cautelare. III. CORTE COSTITUZIONALE, 10 marzo 1983 n. 48 -Pres. Elia -Rel. Paladin -Gherardi (avv. Paolucci), Comune di Bologna (avv. Stella Richter), Azzaroli (avv. Stoppani), Regione Emilia Romagna (avv. Predieri) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Regioni Regione a statuto ordinario Legge regionale contrastante con statuto -Illegittimit costituzionale. (Cast., art. 123; I. reg. Emilia 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4). Regioni Competenze della Giunta regionale Delegabilit ad assessore Limiti. (Cast., artt. 118 e 121; Statuto Regione Emilia-Romagna, art. 25; I. reg. Emilia 11 otto bre 1972, n. 9, art. 4). La violazione di una disposizione dello Statuto di regione a statuto ordinario determina una violazione dell'art. 123 Cost. e quindi d luogo ad illegittimit costituzionale. N l'art. 118 Cast., il quale prescrive come normale ma non ne;::: t cessario che le funzioni amministrative regionali siano esercitate me ~)~ diante delega ad enti locali, n l'art. 121 Cast., il quale non contiene ~F:: ~== un elenco tassativo degli organi della regione, impediscono il conferi{: mento di deleghe a singoli componenti di Giunta regionale. L f !1 li M i:: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 IV. CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1983 n. 54 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Regione Umbria (avv. Dean), Regione Campania (avv. Abbamonte), Regione Valle d'Aosta {avv. Romanelli) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. generale Stato Azzariti e avv. Stato D'Amico). Contabilit pubblica -Bilancio di previsione -Capitali dell'entrata -Proventi di recuperi -Non possono esser.e indicati come entrata. Regioni -Bilancio di previsione Capitoli dell'entrata Assegnazioni statali Non ancora determinate Non possono essere indicate come entrate. L'imputazione ad un capitolo di entrata (nella specie, di bilancio regionale) dei proventi del recupero (nella specie, dalla C.E.E. o dallo Stato) di somme erogate per anticipazione temporanea non costituisce idonea copertura della spesa. Una regione non pu indicare nel proprio bilancio come entrata una somma proveniente dal bilancio dello Stato, se essa non stata anteriormente determinata nel quantum dai competenti organi centrali. V. CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983 n. 69 -Pres. Elia -Rel. Saya Picchi ed altri (avv. Zammit), STEFER e ACOTRAL (avv. Cavasola) e Regione Lazio (avv. Nigro). Regioni Materia di trasporti d'interesse regionale Comprende anche la sub-materia inquadramento del personale. (Cost., art. 117; 1. reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1). Associazioni e fondazioni Associazioni sindacali Tutela interessi indivi duali dei lavoratori Assenza di potere dispositivo. (Cost., art. 39; l. reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 70, art. 1). Regioni Legislazione regionale Decreti legislativi e decreti legge Non possono essere emanati. (Cost., art. 76; 1. reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1). Nella materia dei trasporti tramviari e automobilistici, attribuiti alla regione, non possibile distinguere nettamente il momento organizzativo da quello funzionale, essendo i due momenti collegati ad uno stesso nesso strumentale: sicch deve ritenersi che anche la sub-materia relativa al personale suddetto rientra nella previsione dell'art. 117 Cost., con il limite della esclusione dell'ambito del diritto privato. 2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 234 L'affidamento ex lege ad associazioni sindacali della tutela di interessi individuali dei lavoratori (affidamento della cui compatibilit con l'art. 39 Cast. il giudice a quo ha dubitato) non si ha allorquando nessun potere dispositivo sia riconosciuto a dette associazioni. Gli articoli 76 e 77 della Costituzione sono disposizioni eccezionali, non applicabili alla attivit legislativa delle regioni. I. (omissis) Il presente conflitto promosso dalle Regioni Campania, Emilia- Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia: Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto, Umbria, le quali tutte impugnano, deducendo la lesione delle rispettive sfere di attribuzioni, il decreto emesso dal Presidente del Consiglio in data 30 dicembre 1980. Il provvedimento impugnato reca disposizioni di indirizzo e coovdinamento con riguardo all'esercizio delle funzioni regionali in mater.ia di interventi creditizi a favore delle imprese artigiane. Di queste norme, alcune concernono l'intervento regionale nel settore del credito ivi definito rispettivamente come a medio e a breve termine, secondo che esso abbia durata superiore, o non, ai diciotto mesi; altre sono dettate per il coordinamento della disciplina afferente ai rapporti con gli istituti di credito; altre, ancora, dispongono intorno all'ammissibilit delle agevolazioni e ai controlli sull'effettiva destinazione delle agevolazioni concesse ai sensi dello stesso decreto. Pi precisamente, l'art. 2 prescrive che l'intervento della Regione nel settore del credito a medio trmine, finalizzato allo sviluppo delle imprese artigiane, sia coordinato attraverso la Cassa per il credito alle imprese anzidette; i limiti massimi di importo, durata e garanzia sussidiaria, nonch i limiti minimi di tasso, sono quelli stabiliti nelle leggi e negli altri atti statuali, che la norma citata richiama, per farne discendere altrettanti limiti all'esercizio delle funzioni regionali (cfr. art. 34, 5 e 7 comma, della legge 25 luglio 1952, n. 949, come modificato dall'art. 2 della legge 19 dicembre 1956, n. 1524 e dalla legge 31 ottobre 1966, n. 947, che fissano i limiti massimi di importo e durata per le operazioni della Cassa anzidetta; la legge 14 ottobre 1964, n. 1068, per quel che concerne i limiti di garanzia sussidiaria; il decreto ministeriale 7 aprile 1976, emesso in applicazione dell'art. 2 bis del decreto legge 13 agosto 1975, n. 377 e della relativa legge di conversione 16 ottobre 1975, n. 493, che fa riferimento ai limiti di cassa). Lo stesso art. 2 conferisce alle Regioni talune attribuzioni in merito, sia alla concessione di contri buti in conto interessi a valere sul fondo costituito ex art. 37 della legge 949 del 1952, presso la Cassa, sia alla determinazione delle modalit e dei criteri previsti nella legge n. 1068 del 1964 in ordine agli interventi del fondo di garanzia, anch'esso operante presso la Cassa. Quanto al settore del credito a breve termine, l'intervento della Regione, che qui connesso con le occorrenze di esercizio delle imprese artigiane, deve, a norma PARTB J, . SEz. I, GIURISJ>RUDENZA .COsTITUZI()NALE dell'art. 3, essere esclusivamente diretto al regolamento deHe cooper:;i.tive di garanzia costituite tra le imprese agevolate, e della partecipazione regionale al relativo fondo, nonch alla gestione di tali cooperative, restando esclusa ogni agevolazione sui tassi di interesse. Gli articoli 4 e 6 contengono norme di coordinamento -rispettivamente con riferimento ai rappcmLcon gli istituti di .credito e al controllo sull'effettiva destinazione clelle agevolazioni concesse dalla Regione -.nelle quali sono previsti compitf dfvario genere per i comitati tecnici regionali della Cassa. L'art. 5 assume come norma li indirizzo che il credito vada orientato -nei modi c~e ivi si delineano, e sempre nell'ambito fissato dalle leggi statali -verso q.i.teg(.)tie .e zone non. sufficienteme.nte sviluppa.te .. Infine, l'ultimo articolo . &~fdecreto.. (art. 7). stabilisce che, fino .. a quando ciascuna Regione non abbi:~ provV'eduto ad esercitare le funzioni amministrative ad essa trasfepi~ einvrtli dell'art.. 109, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, -quelle che appunto rlguardtl.llo gli interventi agevolativi del credito, a favore, nella specie, delle ijjlprese ar.gfauie ..;;_.continuano ad applicarsi le norme previste dalla legist\ iipl1e .stafale ... Le Regioni sono dal canto loro tenute ad adeguare le proppe leggj ~Ile disposizioD:i del decreto in esame, entro un anno dall'entrata in. vigore di esso. Sono fatte salve le agevolazioni concesse alla da# dfscadenza di tale termine, purch i relativi procedimenti ammi nisfrativi abbiano avuto inizio prlma che il decreto entrasse in vigore. Dopo che il decreto 30 dicembre 1980 era stato impugnato dalle ricor rriti intervenuto, a modificarne ed a integrarne sotto vario riguardo le previsioni, un nuovo decreto del Presidente del Consiglio, emesso il 2() marzo 1981. Quest'ultimo provvedimento contempla, tra l'altro, le mo difiche segp:enti: a) dall'art. 2 del decreto originario eliminata la disposizione che demandava alla Cassa per il credito alle imprese artigiane il coordinamento e l'indfrizzo degli interventi regionali nel credito a medio termine, il cui raggio temporale eccede, nel nuovo testo, non pi i diciotto, ma i venti quattro. mesi; b) con riguardo al credito a breve termine (quello di durata infra biennale) soppressa la clausola dell'art. 3, che vietava alle Regioni di concedere agevolazioni sui tassi di interesse, mentre si estende, rispetto al previgente decreto, la sfera degli interventi regionali, includendovi la concessione di contributi in conto interessi e l'accertamento dell'effettiva destinazione dei provvedimenti agevolativi alle esigenze delle imprese be neficiarie; e) da ultimo, sono rimosse le disposizioni contenute nell'art. 7 del decreto del 1980. I sopra citati decreti del Presidente del Consiglio risultano adottati in virt dell'art. 3, della legge 22 luglio 1975, n. 382 ( Norme sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della pubblica amministrazione). (omissis) 2"36 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel caso di specie, l'atto di indirizzo e coordinamento concerne il settore delle agevolazioni creditizie in favore dell'impresa artigiana, che le ricorrenti assumono loro espressamente attribuito all'art. 109 del decreto n. 616 del 1977, in quanto connesso con una materia, qual l'artigianato, spettante alle Regioni, ai sensi dell'art. 117 Cost. (omissis) In ordine logico, va anzitutto presa in esame la serie delle censure mosse sia al decreto del 1980, sia a quello successivo. Se si considera la prospettazione dei vizi che si riscontrerebbero nel decreto originario, anche dopo le modifiche ed integrazioni intervenute con il provvedimento del 1981, il problema .sollevato in questa sede , in sostanza, il seguente: la Corte chiamata a stabilire se lo Stato poteva nella specie esercitare la funzione di indirizzo e coordinamento in via amministrativa, senza che ne risultasse la lamentata lesione della sfera delle attribuzioni regionali. I provvedimenti impugnati, si deduce dalle ricorrenti, dispongono di materia trasferita alla Regione, e la re~olano in difformit delle norme di legge che ciascuna di esse assume di avere, nell'ambito delle proprie competenze, legittimamente prodotto. Senonch, si soggiunge, la legge regionale limitata solo dalla legislazione statale di principio. Cos, nella specie, l'atto amministrativo non sarebbe assistito da alcun tj..tolo costituzionale per condizionare la potenzialit della fonte legislativa regionale, n per contrastare le disposizioni da essa scaturenti. Ora, l'impugnato provvedimento del Presidente del Consiglio emana da una funzione, la quale, sebbene configurata dalla legge ordinaria, ha sicuro fondamento in Costituzione. Nelle previsioni della legge n. 382 del 1975, detta funzione abbraccia -si pu dire, in via istituzionale -l'intero ambito in cui l'Ente Regione esplica i propri poteri amministrativi, che ha poi la stessa estensione dell'autonomia legislativa ad esso spettante. Occorre aggiungere che l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento implica, certo, l'insorgenza di vincoli, ai quali gli organi della Regione devono adeguarsi. Ma sono vincoli giustificati, sul piano costituzional,e, in quanto indispensabili al perseguimento delle esigenze di carattere unitario, che l'intervento dello Stato garantisce. Gli organi centrali sono infatti -come la Corte ha in precedenti pronunzie precisato -investiti degli interessi che per natura o dimensione, concernono l'intera collettivit nazionale, e restano necessariamente affidati al loro apprezzamento (cfr. sentenze nn. 138/1972; 140/1972; 141/1972; 142/1972; 191/1976). Detto ci, non si pu, d'altra parte, trascurare che i vincoli in discorso, quali scaturiscono dai provvedimenti statuali, incidono pur sempre sull'esercizio di funzioni proprie della Regione, e ad essa costituzionalmente garantite: versiamo cos in un'ipotesi ben diversa da quella che, per esempio, configura, nell'ultima comma dell'art. 121 Cost., la statuizione secondo la quale il Presidente della Giunta dirige le funzioni delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del governo centrale . PARTE. I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE L'esame della specie esige quindi che si enunci un criterio, grazie al quale l'esercizio in via amministrativa del potere statale di indirizzo e coordinamento possa essere delimitato nei suoi legittimi confini. Il potere anzidetto, va ricordato, stato introdotto nel vigente sistema istituzionale nel momento in cui veniva attuato il primo organico trasferimento delle funzioni alle Regioni a Statuto ordinario. Si tratta di uno strumento affidato allo Stato, perch serva a comporre, in conformit del disegno costituzionale del decentramento, le istanze dell'autonomia con le esigenze unitarie (cfr. sentenza n. 39/1971). Vi dunque, in questo senso, un'imprescindibile garanzia di equilibrio, che va rispettata nel perseguire gli interessi della collettivit nazionale rispetto alla sfera riservata alle competenze regionali, e che non pu, ritiene la Corte, non riflettersi anche sulle modalit con le quali opera il congegno della legge istitutiva della funzione in esame. Qra, il ricorso all'atto amministrativo, come si atteggia nella specie, giustificato solo se trova un legittimo ed apposito supporto nella legislazione statale, e concreta il disposto offerto a questo fine dalla previsione normativa, in relazione alle attivit regionali che ne formano oggetto. L'inosservanza del principio di legalit, sotto il profilo test precisato, costituisce quindi un assorbente motivo di invalidit dell'atto statale: e di qui, precisamente, discende la violazione della sfera garantita alla Regione. Tale conseguenza resta per esclusa nell'opposto caso, in cui l'adozione dell'atto amministrativo, soddisfa, come si test avvertito, i requisiti per il corretto esercizio dell'indirizzo e del coordinamento. In quest'ultima evenienza, il vincolo nei confronti dell'attivit dell'ente autonomo risale per vero alla norma di legge, dalla quale trae specifico fondamento il provvedimento sub-legislativo che lo configura. Il sistema costituzionale, con ci, non leso; n, dunque, la Regione esonerata, come deducono le ricorrenti, dall'uniformarsi al provvedimento statuale, per il semplice fatto di aver dettato norme con esso incompatibili: altrimenti verrebbero frustrate le esigenze unitarie, che la funzione di indirizzo e coordinamento deve invece garantire, anche quando -fermo restando il rispetto del principio di legalit -essa si eserciti mediante atto amministrativo. :. appena il caso di precisare che a giustificare fa soluzione adottata nella specie non basta la sola previsione dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975. Tale norma, si visto, contempla, fra le modalit dell'esercizio dell'indirizzo e coordinamento, anche quelle che si estrinsecano in provvedimenti amministrativi: non riguarda, n delimita per alcun verso, il possibile contenuto sostanziale degli atti di questo tipo. Ma, come la Corte ha in altra occasione affermato (sentenza n. 13/1957), disposizioni normative in bianco non autorizzano il Governo a introdurre qualsiasi restrizione dell'autonomia amministrativa regionale . Perch il principio di legalit sia salvaguardato nella sede che qui interessa, occorre pertanto un'ulteriore disposizione legislativa: la quale, in apposita considerazione della materia, 238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che volta a volta esige l'intervento degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo, prima che questo possa, dal canto suo, indirizzare e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia. La fonte legislativa deve operare -si detto nella pronunzia test richiamata, e va ora ribadito -in guisa che si abbia preventiva certezza delle competenze amministrative dello Stato e della Regione . Spetta dunque al legislatore discernere le esigenze unitarie, che sollecitano l'esercizio della funzione qui considerata: e, come vuole la legge n. 382, emanare esso stesso le norme volte ad attuarle, o diversamente stabilire almeno i criteri, in base ai quali, sempre in conformit di dette esigenze, l'indirizzo ed il coordinamento -ed i connessi vincoli dell'attivit amministrativa regio nale -sono posti in essere mediante atti degli organi governativi. Simili estremi difettano per nel caso in esame, per le ragioni di seguito precisate. Il testo che rimane invariato nell'uno e nell'altro decreto del Presidente del Consiglio, richiama, vero, disposizioni della legge statale, cos nel configurare i limiti di importo e durata, e le altre restrizioni afferenti agli interventi regionali nel settore del credito, come nel produrre norme di coordinamento in ordine alla disciplina dei rapporti con gli istituti e le aziende di credito, ai fini della concessione o erogazione di contributi in conto interessi. Senonch, questa disciplina non stata predisposta in vista dell'indirizzo e del coordinamento delle funzioni trasferite alle Regioni: essa stata a tal proposito soltanto invocata, ed utilizzata, dall'organo esecutivo, .il quale ne ha per largamente e sostanzialmente innovato il contenuto, col prevedere, fra l'altro, la distinzione tra medio e breve termine nel settore del credito, la tassativa e vincolata destinazione degli , interventi regionali in quest'ultima fascia temporale, l'attribuzione dei compiti sopra accennati alla Cassa delle imprese artigiane e ai relativi comitati tecnici regionali. L'atto amministrativo ha insomma instaurato un sistema di vincoli, che investe tutto un settore delle competenze regionali, senza per che questo risultato fosse prescritto, e nemmeno con sentito, da alcuna disposizione legislativa dello Stato. Un'avvertenza si impone solo per quel che concerne il tasso minimo di interesse a carico dei beneficiari, la cui fissazione in sede di indirizzo e coordinamento testualmente prevista dall'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. Cos, in effetti, stata inserita, nel medesimo contesto normativo in cui si ripartiscono le competenze tra Stato e Regione con riguardo alle agevolazioni creditizie, una norma, la quale abilita anche il Governo ad adottare la misura in essa definita. Ma proprio di questa puntuale copertura della legge l'organo deliberante non si giovato. Quando, in fatti, con riferimento alle agevolazioni del credito a medio termine, l'art. 2 del decreto stabilisce che il limite minimo di tasso fissato dal decreto ministeriale 7 aprile 1976 in applicazione dell'art. 2 bis del decreto legge 16 agosto 1975, n. 377, e della relativa legge di conversione (16 ottobre 1975, m1:d>d.a1l Corte del resto avvalorato da qualche cui. conviene far cenno. Altri dati del vigente ordinasenso che i provvedimenti in esame andavano ema"'''"<::::.:<:: : ~e criteri prestabiliti dalla fonte legislativa. L'art. 45, Cost; demanda, appunto, alla legge la tutela e lo sviluppo statroe con specifico riferimento ai limiti massimi entro cui Je funzioni regionali nel settore che qui si indaga: anche ~vlM6i16; nell'ambito da essa coperto, preclude quindi il ricorso e l dove, infine, il regolamento della specie in- della programmazione economica -come accade in norma di indirizzo, contenuta nell'art. 5 del decreto 240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAT() p.q.m. a) dichiara che non spetta allo Stato esercitare i poteri di indirizzo e coordinamento degli interventi a favore del settore artigiano mediante atto amministrativo, senza che l'adozione di tale provvedimento sia consentita da un'apposita previsione legislativa statale; b) annulla di conseguenza i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 1980 e 20 marzo 1981, di cui in epigrafe. II. I due ricorsi, proposti rispettivamente dalle province autonome di Trento e Bolzano, vanno riuniti e decisi con unica sentenza, in quanto entrambi investono la medesima normativa -venti articoli della legge 22 dicembre 1975, n. 685 -e formulano le medesime censure, lamentando che la legge de qua: ha omesso di precisare che le competenze da essa conferite in materia alle regioni spettano, nel Trentino-Alto Adige, alle due province ricorrenti; ha facoltizzato il Governo della Repubblica a dettare in materia disposizioni di indirizzo e coordinamento oltre i limiti consen titi dallo Statuto speciale; ha devoluto ad organi dello Stato poteri amministrativi -di autorizzazione, di vigilanza, di controllo -spettanti statutariamente alle ricorrenti. La prima censura, con la quale vengono chiamati in causa ben tredici dei venti articoli impugnati, appare fondata. t!. un dato obiettivo, infatti, che la legge n. 685 del 1975 non indica mai nominatim le province di Trento e Bolzano quali attributarie delle competenze di che trattasi, bens sempre e soltanto le regioni, i consigli regionali, la giunta regionale, i comitati regionali, gli organi regionali, gli uffici regionali, i centri regionali medici, la autorit sanitaria regionale, le statistiche... regionali ecc. Ed un dato obiettivo altres che gli artt. 90 e 92 dispongono rispettivamente che la regione delega taluni servizi alle province e che il consiglio regionale deve sentire le amministrazioni provinciali . Rileva al riguardo la difesa dello Stato che non v' motivo di doglianza giacch in sede di approvazione della legge impugnata venne proposto -ed accolto dal Governo -l'ordine del giorno Boffardi ed altri, col quale esso Governo veniva impegnato, ai fini dell'esercizio di funzioni da parte delle regioni o di loro organi, a tener conto che le stesse s'intendono riferite, per quanto attiene al Trentino-Alto Adige, alle province autonome di Trento e Bolzano. Senonch, pur prescindendo da qualsiasi cenno alla problematica degli ordini del giorno in s e del loro effettivo e durevole valore vincolante nei confronti del potere governativo, deve negarsi validit, soprattutto in sede giurisdizionale, alla concezione secondo cui ad un ordine del giorno -atto monocamerale, interno, per di pi approvato Nel dare vita al sistema in discorso, il legislatore statale ha mirato ad eliminarele condizioni che favoriscono 11 diffondersi del fenomeno; ponendo in pericolo alcuni di quei valori che, per espresso. dettato della Costituzione, la Repubblica italiana tenuta a tutelare, e che risultano espressamente evocati nel dibattito parlamentare conclusosi con la legge de qua.. L'art. 31 cpv., Cost., prescrive di proteggere la giovent, oltre che la maternit e l'infanzia, e l'art. 32, primo comma,. Cost., dispone che 242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la salute va tutelata, in quanto non solo fondamentale diritto dell'individuo , ma anche interesse della collettivit. Ora, poich il fenomeno droga attenta ai suddetti valori, ne discende che le singole disposizioni contenute nella legge in vigore non sono correttamente valutate, se non in relazione all'ineludibile e preminente dovere costituzionale di salvaguardare quei valori. Ma l'impugnata legge anche l'attuazione nel nostro ordinamento della strategia globale, concordata in sede internazionale, contro il sempre pi diffuso ed allarmante uso non terapeutico della droga. Ne prova il fatto che essa stata emanata poco pi di un anno dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (30 settembre 1974) della legge (5 giugno 1974, n. 412) che contiene appunto la ratifica ed esecuzione della Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1971 ; ne offre conferma definitiva l'art. 4, lett. a), di tale Convenzione, il quale stabilisce testualmente che le Parti adotteranno le misure legislative e amministrative che si renderanno necessarie per dare attuazione alle disposizioni della presente Convenzione nei loro territori . Stante allora il rilevato legame, la legge n. 685 del 1975 non pu a sua volta essere intesa ed applicata rettamente, se non tenendo presenti la Convenzione, i motivi che l'hanno promossa ed i princpi cui si ispirata, la strategia e gli stn1menti da essa delineati e, soprattutto, i valori che intende salvare. (omissis) Nel testo articolato, poi, che una compiuta e minuziosa regolamentazione della materia, risulta, tra l'altro, fatto obbligo alle Parti: di inviare al Segretario generale, non solo un rapporto annuale relativo all'esecuzione della Convenzione in ogni suo territorio, ma anche i testi di tutte le leggi e di tutti i regolamenti promulgati al fine di dare applicazione alla (presente) Convenzione e persino i nomi ed indirizzi delle autorit amministrative autorizzate a rilasciare le autorizzazioni od i certificati di esportazione ed importazione (art. 18, paragrafo 1), nonch di fornire all'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti stime, statistiche annuali e trimestrali, informazioni, ecc. (artt. 12, 13, 14, 20); di esigere che le persone che occupano posti direttivi o di sorveglianza... abbiano le qualit necessarie per applicare concretamente e fedelmente le disposizioni delle leggi e regolamenti emanati in esecuzione della (presente) Convenzione (art. 34, lett. a); di assicurare sul piano nazionale un coordinamento dell'azione preventiva e repressiva contro il traffico illecito, creando all'uopo un servizio adeguato incaricato di tale coordinamento (art. 35, lett. a); di consentire che sul proprio territorio l'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti faccia intraprendere uno studio , quando abbia ragioni obiettive di credere che gH scopi della (presente) Convenzione siano seriamente compromessi dal fatto che le autorit del posto non attuino le disposizioni della Convenzione (art. 14, ---. . ,:.~.1. : _, ~~ :~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE paragrafo 1, come modificato con l'art. 6 del protocollo di emendamento); di punire con adeguata pena detentiva ogni infrazione dolosa e grave, anche se solo allo stato preparatorio (art. 36, paragrafi 1 e 2, come modificati dall'art. 14 del protocollo di emendamento) ecc. Con le ricordate disposizioni, lo Stato italiano risulta convenzionalmente vincolato, nei confronti della comunit internazionale e, per essa, nei confronti degli organi internazionali di controllo, indicati nominatim nell'art. 5 della Convenzione -nonch della Organizzazione mondiale della sanit, indicata nell'art. 3 -, ad assicurare sul piano nazionale il felice esito dell' azione universale intesa a prevenire e combattere il flagello rappresentato dal consumo di stupefacenti a scopo voluttuario. Tra gli impegni miranti a tal fine sono compresi quelli di coordinare ogni misura, non solo repressiva, ma anche preventiva, adottata per applicare fedelmente la Convenzione, e di esercitare un effettivo controllo, non solo sull'intera vicenda degli stupefacenti, dalla coltivazione al consumo, e sugli operatori in materia (art. 30), ma anche sull'affidabilit del personale statale con compiti di direzione e di sorveglianza (art. 34). Si tratta di reagire contro un fenomeno di dimensione ormai mondiale, qual diventato appunto il fenomeno-droga, che ha effetti devastanti, non solo su quei valori espressamente richiamati dalla Convenzione, come l' individuo e la salute fisica e morale dell'umanit, ma anche sugli altri valori che, come pi sopra gi rilevato, la nostra Costituzione non si limita a proclamare, ma impegna la Repubblica a tutelare, quali appunto la giovent e la collettivit. Contro questa minaccia l'umanit ha reagito, concordando un'azione universale , una costante cooperazione nazionale ed imponendo agli Stati, mediante la Convenzione unica sulla droga, adempimenti che, per la loro dovizia, intensit e specificit, non sono certo consueti, e che trovano giustificazione nella consapevolezza, anche da parte degli Stati pi gelosi della loro sovranit, che il flagello della droga, alleato su scala mondiale con organizzazioni antigiuridiche, non pu essere vittoriosamente combattuto con guerre locali. Da quanto precede congruente dedurre che questi obblighi rappresentano la guida pi sicura nell'opera di interpretazione ed applicazione della disciplina nazionale che ha attuato la Convenzione, segnando la fine della superata legge di oltre vent'anni prima (22 ottobre 1954, n. 1041). Ed al riguardo valgono altres le considerazioni svolte nella sentenza n. 30 del 1981, le quali indusseto questa Corte a dichiarare inammissibile la richiesta di referendum popolare per la parziale abrogazione della legge de qua. Alla stregua delle suesposte considerazioni, appare non fondata la censura formulata contro quelle disposizioni della legge n. 685 del 1975, le quali, per quanto riguarda la prevenzione, la cura, la riabilitazione degli stati di tossicodipendenza, hanno assoggettato le regioni -e, quindi, le ricorrenti province - alle direttive, all'indirizzo e al coordinamento del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 244 Ministero della sanit, cio dello Stato, (art. 1, secondo comma) ed attribuito a questo la potest di stabilire i criteri di indirizzo e di coordinamento (art. 2). Le due province di Trento e Bolzano -osserva la loro difesa -godono di autonomia speciale, hanno potest legislativa esclusiva in materia di assistenza e beneficenza pubblica, ai sensi dell'art. 8, n. 25, del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e, pur se in materia di igiene e sanit, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera , hanno, invece, competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 9, n. 10, stesso d.P.R. n. 670 del 1972, la loro competenza in tale settore pi ampia di quella delle regioni a statuto ordinario, perch comprende l'intero campo dell'igiene e sanit . Ne deriva che sarebbe precluso allo Stato qualsiasi intervento nelle suddette materie, sia pur soltanto sotto le forme di direttive, di indirizzo e di coordinamento. L'opinione non pu essere condivisa. A parte le ragioni pi sopra illustrate, l'attivit di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza non pu farsi rientrare nella materia assistenza (e beneficenza) pubblica; del resto, se pur vero che tale materia compres_a nella competenza legislativa esclusiva delle due province, altrettanto vero che questa non illimitata perch, attraverso il rinvio dell'art. 8 all'art. 4 del menzionato d.P.R. n. 670 del 1972, incontra precisi e invalicabili limiti, tra i quali si annovera anche quello del rispetto degli obblighi internazionali . Ci vale a maggior ragione in ordine alla materia igiene e sanit, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera , giacch la competenza legislativa concorrente, attraverso il rinvio dell'art. 9 all'art. 5 e di questo all'art. 4, si imbatte anch'essa nel principio del rispetto degli obblighi internazionali . Uno dei quali appunto quello di prevenzione ed intervento contro l'uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti o psicotrope, previsto dall'impugnato art. 2 della legge n. 685 del 1975, il quale, a ben guardare, la trascrizione dell'art. 38, paragrafo 1, della Convenzione (come modificato dall'art. 15 del protocollo di emendamento), secondo cui gli Stati (adotteranno tutte le misure possibili per prevenire l'abuso degli stupefacenti e per assicurare la pronta diagnosi, cura, correzione, pst-cura, riabilitazione e reinserimento sociale delle persone interessate . Non pu al riguardo non convenirsi che, in un ordinamento nel quale tale compito spetti, secondo Costituzione, a poteri locali dotati di autonomia legislativa, pur sempre il potere centrale responsabile, dinanzi agli organi internazionali, dello scrupoloso adempimento dell'obbligo su tutto il territorio nazionale e, per ci stesso, legittimato ad impartire le necessarie direttive, a stabilire i criteri di indirizzo e coordinamento. Oltre tutto, attraverso questi strumenti che, in uno Stato delle autonomie, il potere centrale pu assicurare la fedele ed uniforme osservanza, da parte dei poteri locali, delle raccomandazioni, delle decisioni e misure correttive, dei pareri tecnici, che gli organi internazionali PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE formulano, adottano, esprimono ai sensi rispettivamente, degli artt. 8, lett. c), 14 e 38 bis della Convenzione. Ne offre definitiva conferma l'art. 5, primo comma, della legge 23 dicembre 1978; n. 833, recante Istituzione del servizio sanitario nazionale , a sensi del quale la funzione di indirizzo e coordinamento delle attivit amministrative delle regioni in materia sanitaria, attinente ad esigenze di carattere unitario... nonch agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari, spetta allo Stato . Non vanno poi trascurati altri argomenti, che integrano quanto pi sopra gi esposto. La crescente diffusione del consumo di droga a scopo non terapeutico e l'opera di prevenzione e cura costituiscono un problema, che, secondo l'indirizzo ormai prevalente, interessa la scienza -non solo medica con i suoi continui aggiornamenti e perfezionamenti. ti. riconoscendo questo carattere peculiare del fenomeno, che gli Stati hanno convenuto di coordinare i loro sforzi, non solo nella repressione, ma anche nella prevenzione e terapia, mediante comuni programmi di ricerche scientifiche e (gli) scambi di informazioni di carattere scientifico e tecnico (art. 8, lett. e, della Convenzione), e di far capo in materia agli organi internazionali appositamente creati (art. 5 Convenzione) -oltre che a quelli preesistenti, come l'Organizzazione mondiale della sanit (art. 3 Convenzione) -o anche ad altre istituzioni specializzate (art. 38 bis della Convenzione), nonch di istituire nuovi organismi, quali appunto sono i centri regionali di ricerca scientifica e di correzione al fine di lottare contro i problemi derivanti dall'uso (e dal traffico illecito) degli stupefacenti (art. 38 bis Convenzione). Se cos , allora direttive, indirizzo e coordinamento dello Stato ai sensi della Convenzione sono per esso Stato attivit dovuta, e perci indeclinabile. Ancora: constatato che la tossicomania, la quale ha perduto la dimensione individuale dei tempi andati, si dappertutto rivelata, per la raggiunta dimensione sociale, uno dei pi preoccupanti problemi del tempo presente, se ne inferito che il fenomeno una malattia sociale e che, quindi, come tale va trattata. Sono nella logica di questa concezione quelle norme della Convenzione che prevedono, per le persone utilizzanti in modo abusivo stupefacenti , in luogo di una sanzione penale o in aggiunta ad essa, la sottoposizione a misura di cura, correzipne, postcura, riabilitazione e reinserimento sociale (art. 36, paragrafo 1 emendato) e la formazione di un personale capace di assolvere un cos arduo compito (art. 38, paragrafo 2 emendato). La legge n. 685 del 1975, disponendo interventi non solo informativi ed educativi (artt. 85-89), ma anche preventivi, curativi e riabilitativi (artt. 95-102), e creando appositi centri medici e di assistenza sociale (artt. 90-94), mostra di avere pienamente accolto quella concezione. Ma una malattia sociale, per di pi in paurosa crescita, che pone in gioco il presente e l'avvenire dell'intera comunit nazionale, non si contiene e, meno ancora, si debella, combattendola RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 246 in ordine sparso, bens mediante un'azione organica e coerente. In una siffatta contingenza, insomma, ricorrono quelle esigenze di carattere unitario , gi affermate da questa Corte (sentenza n. 39 del 1971) -anche con riferimento agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali -e quella necessit di tutela di interessi unitari (sentenza n. 142 del 1972), che concorrono a far ritenere del tutto legittimo in materia l'esercizio da parte dello Stato del potere di indirizzo e coordinamento, esplicitamente ribadito nel gi menzionato art. 6 della legge n. 833 del 1978. (omissis). Tale conclusione non viene inficiata, contrariamente a quanto ritiene la difesa delle province, per il fatto che, in pendenza del ricorso, la provincia di Bolzano ha istituito un servizio di prevenzione, cura e riabilitazione delle forme di devianza sociale, compresa la tossicodipendenza, e che il Governo nessun rilievo ha mosso alla relativa legge provinciale (7 dicembre 1978, n. 69). Nel presente giudizio, infatti, non in contestazione la competenza legislativa delle due province ricorrenti in materia bens la legittimit del potere statale di direzione e coordinamento, che non certo preclusivo dell'esercizio delle funzioni, anche legislative, spettanti alle ricorrenti. (omissis) Deve egualmente dichiararsi infondata anche la residua censura, quale precisata nelle memorie di cui sopra: le due province denunciano l'illegittimit costituzionale degli artt. 103 e 107 della legge de qua, in quanto facoltizzano il Ministro della sanit ad utilizzare direttamente, in caso di carenza degli organi regionali, i fondi assegnati alle regioni per l'attivit di prevenzione, cura e riabilitazione (art. 103, quinto comma) e ad istituire con proprio decreto, qualora i Consigli regionali non provvedano nel termine stabilito, i centri regionali medici e di assistenza sociale (art. 107, terzo comma). Cos disponendo, la legge avrebbe riservato allo Stato poteri sostitutivi in violazione degli artt. 4, n. 7, e 5, n. 2 del pi volte menzionato statuto (d.P.R. n. 670 del 1972), che riservano alla regione Trentino-Alto Adige la competenza a livello di strutture, vale a dire di ordinamento delle istituzioni di assistenza e beneficenza e degli enti sanitari ed ospedalieri . La creazione dei centri regionali medici e di assistenza sociale rientra indubbiamente nell'obbligo, che lo Stato ha assunto con la Convenzione unica sugli stupefacenti, di adottare in materia misure per la prevenzione, cura e riabilitazione, e pu pertanto considerarsi un'attivit dovuta, che legittima l'intervento dello Stato nel caso in cui gli enti titolari della relativa competenza tardino a provvedere, compromettendo cos l'esito della lotta che lo Stato ha l'impegno di combattere contro la droga per la salvezza dei valori costituzionalmente garantiti, di cui pi sopra si detto. Non sembra pertanto che si ravvisi la denunciata illegittimit costituzionale; tanto pi che l'art. 107, terzo comma, statuisce che qua PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE lora i consigli regionali non provvedano nel termine sopra indicato, il Ministro per la sanit istituisce con proprio decreto in via provvisoria, i centri regionali medici e di assistenza sociale. (omissis) III. (omissis) Pertanto, il problema che tutte le ordinanze propongono alla Corte si risolve nel verificare se la delega giuntale agli assessori, come prevista dall'art. 4 cpv. della legge regionale n. 9 del 1972 (al di l degli specifici casi in questione nei giudizi a quibus), sia direttamente o indirettamente incostituzionale: da un lato, per la pretesa lesione degli artt. 118, terzo comma, e 121 Cost.; d'altro lato, in riferimento al modo collegiale di esercizio delle attribuzioni della Giunta, prescritto dall'art. 25, secondo comma, dello Statuto regionale: la violazione del quale verrebbe in sostanza a sovvertire il sistema delle fonti normative regionali, configurato dagli artt. 117 e 123 della Costituzione. Ora, va precisato anzitutto che n la Costituzione n lo Statuto della Regione Emilia-Romagna escludono in termini assoluti qualunque tipo di delegazione delle attribuzioni giuntali agli assessori: come invece ipotizzano le ordinanze di rimessione e come, specialmente, assumono le difese delle parti ricorrenti nei giudizi a quibus. a) Sul piano costituzionale, non questo il significato degli artt. 118, terzo comma, e 121 Cost., cui fanno sommario richiamo alcune ordinanze del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna. La prima di tali diisposizioni prescrive bens che la Regione eserciti le proprie funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici . Ma questi criteri s'impongono solo normalmente , cio sulla base di una serie di valutazioni politiche e tecniche, aventi riguardo -in particolar modo alla natura delle varie !unzioni regionali ed all'efficienza delle varie specie di enti locali, fra cui la Regione pur sempre chiamata ad effettuare una scelta ai fini della delega (come pure nel caso alternativo d'una diretta utilizzazione delle loro strutture). Valutazioni e scelte del genere, evidentemente, mal si prestavano ad essere operate con effetto immediato, sin dal primo trasferimento delle funzioni amministrative statali, e senza aver potuto stabilire una nuova disciplina delle funzioni medesime. Del resto, gi nell'art. 1, secondo comma lett. a, della legge regio nale n. 9 del 1972 si prevedeva che le contestuali norme transitorie per l'esercizio delle funzioni trasferite o delegate alla Regione EmiliaRomagna avrebbero perduto efficacia con l'entrata in vigore delle leggi che, entro un anno dalla promulgazione di questa legge, conferiranno la delega delle funzioni agli enti locali di cui all'art. 57 dello Statuto " E RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 248 varie leggi regionali successive -in parte ricordate dalle pi recenti fra le ordinanze in esame -sono in effetti intervenute per attuare in tal senso lo Statuto e la Costituzione, sia pure con ritardo rispetto ai tempi dapprima indicati (e senza incidere sull'originaria rilevanza delle impugnative gi proposte dai giudici a quibus). N si pu dire che la delega delle funzioni giuntali agli assessori sia comunque lesiva dell'art. 121 Cost. Disponendo che sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente , il primo comma di quell'articolo non ha inteso dettare un elenco esaustivo degli uffici regionali competenti ad adottare atti provvisti di rilevanza esterna, ma pi semplicemente ha indicato gli organi necessari dell'ente in questione, risolvendo pertanto un problema attinente alla forma regionale di governo. Il che non esclude che i provvedimenti amministrativi I'.egionali possano venire adottati per mezzo di organi o soggetti diversi (quali sono, oltre agli assessori, gli enti amministrativi dipendenti dalla Regione, le strutture decentrate in applicazione dell'art. 129 Cost., gli uffici degli enti locali di cui alla parte finale dell'art. 118, terzo comma ...): alla sola condizione che ci non comprometta la stessa posizione di organo esecutivo delle Regioni espressamente attribuita alla Giunta dall'art. 121, terzo comma. b) Conclusioni analoghe vaJgono anche per quanto riguarda l'art. 25 dello Statuto della Regione Emilia-Romagna, malgrado esso affermi -nel suo secondo comma -che la giunta responsabile collegialmente di fronte al consiglio, determina la ripartizione dei compiti fra i propri componenti ed esercita le proprie attribuzioni in modo collegiale . Da questo disposto il Consiglio di Stato desume che una cosa la semplice ripartizione dei compiti, prevista dalla ricordata norma statutaria, ed altra l'attribuzione agli assessori, mediante la delega, di funzioni amministrative che comportano la emanazione di provvedimenti di sicura rilevanza esterna; laddove atti del genere dovrebbero sempre venire adottati -come precisa il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna -dalla Giunta nel suo complesso, nella sua competenza e responsabilit collegiale. Una cos rigida ricostruzione della disciplina statutaria in esame trascura, per, la circostanza che l'art. 25 non pu venire scisso dall'articolo che lo precede, concernente appunto le funzioni che spettano alla Giunta regionale. Dopo aver elencato una serie di specifiche attribuzioni giuntali, l'art. 24, terzo comma n. 11, termina infatti con la disposizione -giustamente messa in luce dalla difesa della Regione -per cui nella competenza della Giunta rientra altres l'adozione dei provvedimenti di ordinaria amministrazione , ma nei soli limiti stabiliti dalla legge regionale: il che non tanto consente di far rifluire siffatti provvedimenti nella generale competenza del Consiglio, al di l del ruolo proprio del legislativo regionale, quanto facoltizza le leggi locali a conferire l'esercizio di quelle PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE funzioni giuntali ad organi subordinati alla Giunta medesima, assessori regionali inclusi. Ed anche il Consiglio di Stato finisce per prendere atto di simili esigenze, rispondenti -oltre tutto -alla direttiva costituzionale di buon andamento dell'amministrazione, allorch distingue con nettezza fra le deleghe implicanti la realizzazione di una attivit meramente esecutiva e le deleghe attinenti all' esercizio di rilevanti poteri discrezionali : per avvertire che solo le seconde sarebbero sicuramente in . compatibili con il disegno statutario . Senonch tutto questo non vale a sanare il contrasto fra la norma impugnata e l'art. 25, secondo comma, dello Statuto della Regione EmiliaRomagna. Effettivamente, come nel primo comma dell'art. 4 della legge regionale n. 9 del 1972 si considerano tutte le funzioni amministrative fatte rientrare nella competenza della Giunta sulla base dei decreti presidenziali di trasferimento del 14-15 gennaio 1972, cos nel comma seguente -senza operare distinzioni, n introdurre eccezioni di sorta si prevede che ognuna di tali funzioni possa venir delegata dalla Giunta ai suoi singoli componenti. In altri termini, per chi la interpreti nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, la norma impugnata non riferibile alla sola adozione dei provvedimenti di ordinaria amministrazione, specificamente previsti dall'art. 24, terzo comma n. 11, dello Statuto regionale, ma include l'intero complesso delle attribuzioni giuntali, risultanti dai predetti decreti di trasferimento, ivi compresi gli atti di alta amministrazione, nell'adozione dei quali la Giunta sia dotata di larghi margini discrezionali. Il che concreta un'evidente lesione dello Statuto, l dove esso impone -di regola -l'osservanza del principio di collegialit. Non giova replicare che l'art. 4 cpv. distingue comunque fra la titolarit delle funzioni delegate, che resta in capo alla Giunta, e l'esercizio di esse, che spetta ad ogni singolo assessore interessato. Deleghe cos ampie come quelle in esame, non riguardando la sola firma di determinati atti o la mera esecuzione di previe deliberazioni o direttive giuntali, comportano pur sempre una sostanziale alterazione dell'ordine delle competenze statutariamente previsto, cui non si pu consentire qualora lo stesso Statuto lo escluda. D'altra parte, non revocabile in dubbio che il riscontrato contrasto con l'art. 25 cpv. dello Statuto speciale si risolva in una violazione -sia pure indiretta -dell'art. 123 Cost., determinando pertanto l'illegittimit costituzionale della norma impugnata. II primo comma dell'art. 123 include espressamente nella competenza statutaria le norme relative all'organizzazione interna della Regione, con particolare riguardo alla disciplina dei rapporti fra gli organi regionali di governo; e, sebbene 1' ordinamento degli uffici regionali rientri nella compe '250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tenza legislativa definita dal primo. comma dell'art. 117 Cost., la dottrina e la stessa giurisprudenza riconoscono che la legislazione locale deve in tal campo uniformarsi allo Statuto. Diversamente, infatti, non avrebbe senso l'apposito ed aggravato procedimento formativo dello Statuto stesso, prescritto dal capoverso dell'art. 123: in cui si richied.e che tale atto venga deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti e -specialmente -si esige che esso sia quindi approvato con legge della Repubblica . Ed anche la Corte si implicitamente pronunciata in questo senso, con la sentenza n. 10 del 1980, che ha dichiarato -fra l'altro -non fondata la questione di legittimit costituzionale d'una serie di norme della legge laziale n. 20 del 1973, sollevata per il preteso contrasto con l'art. 49, secondo comma, lett. b, dello Statuto della Regione Lazio. IV. (omissis) Le controversie di cui investita la Corte concernono, per asserita violazione dell'art. 81 Cost., disegni di legge approvati dagli organi legislativi di varie Regioni: Umbria, Campania, Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia. I relativi giudizi sono riuniti e definiti con unica sentenza, data l'identit del precetto costituzionale che con tutti i ricorsi in esame si assume leso. Le proposte questioni di legittimit vanno dichiarate fondate con riguardo ai disegni di legge approvati dai Consigli regionali dell'Umbria, della Campania e della Valle d'Aosta. Soccorrono in questo senso le considerazioni seguenti. Il disegno di legge umbro autorizza (all'art. 1) la Giunta regionale all'anticipazione di somme a favore di certe categorie di aziende agricole, in riferimento a provvedimenti formali delle competenti autorit, di provvidenze e contributi previsti in fonti statali e comunitarie..., nonch a favore dei beneficiari del regime di aiuti del FEOGA, sezione orientamenti, dove si tratti di realizzare progetti per i quali sia intervenuta decisione favorevole della Commissione delle Comunit Europee. Nell'apposita norma concernente le modalit e i criteri dell'erogazione (art. 2) stabilito che, ai fini della garanzia del recupero, le anticipazioni sono concesse previo rilascio, a favore della Regione, di delega a riscuotere le somme spettanti ai beneficiari in base al titolo suddetto; il beneficiario rimane direttamente responsabile della restituzione della somma ricevuta, dandosi obbligo di sottoscrivere apposita convenzione. Le norme finanziarie (cfr. l'art. 3) fissano in L. 1.500.0000 il massimo ammontare dell'anticipazione consentita, da imputare, per l'esercizio degli anni 1975 e seguenti, ad un capitolo di nuova istituzione, nella parte uscita del bilancio, mentre istituito, nella parte. entrata PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del bilancio stesso, il corrispondente capitolo, al quale sono destinate le somme rimborsate. Il Governo aveva eccepito, in sede di rinvio, che il provvedimento cos congegnato non rispondeva ai precetti dell'art. 81 Cost., nel senso, precisamente, che non veniva indicata, in relazione ai finanziamenti, alcuna fonte immediatamente disponibile, ma si faceva affidamento sul recupero delle somme anticipate, senza tener conto della aleatoriet del momento in cui la previsione dell'entrata avrebbe potuto concretamente operare. Di fronte alla riapprovazione della legge da parte degli organi regionali, l'Avvocatura dello Stato afferma, nel ribadire la lamentata infrazione dell'art. 81 Cost., che ogni finanziamento ed ogni anticipazione ha un suo costo, che non pu essere compensato con la mera restituzione della somma anticipata. (omissis) Resta, per, il decisivo rilievo che l'imputazione al capitolo di entrata dei proventi del recupero non costituisce idonea copertura della spesa. Si tratta, invece, di una soluzione imposta dallo stesso meccanismo dell'anticipazione, perch altrimenti sarebbe stata duplicata la sovvenzione erogata ai beneficiari. La via prescelta nella legge regionale -quella di un'erogazione temporanea, e del connesso riferimento ad altro e successivo provvedimenfo amministrativo -implica, d'altra parte, la necessaria scissione fra la fase dell'anticipazione e quella del recupero: ed proprio questo risultato ad offendere l'invocato precetto costituzionale, nonostante le molteplici cautele che la Regione deduce di avere introdotto nel disegno di legge per garantirsi del recupero delle somme anticipate. Infatti, l'anticipazione costituisce pur sempre un nuovo onere a carico del bilancio regionale, e la relativa copertura va reperita, ai sensi dell'art. 81, ultimo comma, Cost., attraverso i mezzi consueti: cio con quelle fonti di finanziamento della spesa, che consentono di non alterare nel corso dell'esercizio i dati impostati nel bilancio di previsione. Il disegno di legge approvato dal Consiglio regionale della Campania il 26 febbraio 1976, consta di un solo articolo, in cui si dispone che il capitolo, ivi individuato, dello stato di previsione dell'entrata, , per l'anno finanziario 1975, aumentato dell'importo di lire venticinque miliar di, e che in pri misura aumentato il corrispondente capitolo dello stato di previsione della spesa... Tale disegno era stato una prima volta approvato dal legislatore campano, ma rinviato dal Governo, con il rilievo che non vi erano indicate le ragioni della prevista variazione di bilancio. In sede di riesame, il Con siglio regionale, prima di riapprovarne il testo, ha richiamato una rela zione illustrativa ed una lettera del Presidente della Giunta, nella quale sarebbe motivata l'urgenza del provvedimento e indicata la fonte di copertura della conseguente spesa. Nel ricorso successivamente prodotto dal Presidente del Consiglio, la violazione del citato precetto costitu 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zionale poi dedotta sull'assunto che, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, il terzo comma forma sistema con il quarto comma dell'art. 81 Cost. Di qui si fa discendere che la legge di variazione del bilancio, non importa se della Regione o dello Stato, istituzionalmente vincolata ad operare nell'ambito dell'ordinamento precostituito dalla legislazione sostanziale: laddove, asserisce l'Avvocatura, l'onere finanziario conseguente all'approvazione dell'impugnato disegno non trae idoneo titolo di copertura dalla previgente normativa. La Regione oppone, dal canto suo, che alla spesa prevista si fa fronte, come risulterebbe dalla relazione e dalla lettera sopra ricordate, con le somme destinate dal Tesoro nazionale ad integrazione del fondo nazionale ospedaliero. Una legge di variazione del bilancio -e tale quella che qui viene in rilievo -non lede il sistema dell'art. 81 Cost. -si afferma, in sostanza, dalla ricorrente -quando le nuove spese siano coperte con fondi comunque derivanti da entrate gi previste dalla normazione in vigore; e si soggiunge che non rileva a tal riguardo se le somme siano, oppur no, gi introitate e materialmente d.::tenute dalla Regione. Con riferimento alla specie si assume, va precisato, che l'osservanza del precetto costituzionale sia assicurata grazie al disposto degli artt. 14 e 16 della legge statale n. 386 del 17 agosto 1974, che ha convertito il d.l. 8 luglio 1974, n. 264. Queste norme di legge prevedono, fra l'altro, l'istituzione nello stato di previsione della spesa del Ministero della Sanit, a decorrere dall'l gennaio 1975, di un capitolo denominato Fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera e destinato al finanziamento della spesa per gli scopi che la legge stessa contempla; dispongono come detto fondo alimentato, e dettano procedure, modalit e criteri con riguardo alla ripartizione del fondo stesso fra le Regioni. I relativi parametri vanno - ivi stabilito -determinati numericamente per ogni singola Regione, in base agli elementi di valutazione appositamente indicati; le quote da assegnare alle Regioni sono trasferite con decreto del Ministro per la Sanit, di concerto con il Ministro del Tesoro ed il Ministro per il Lavoro e la Previdenza Sociale. Proprio in forza, dunque, delle test riferite statuizioni, gli organi re gionali hanno, in sede di riapprovazione del disegno in esame, ritenuto di poter dedurre che alla Campania dovessero essere assegnati, per l'anno 1975, 40 miliardi di lire, corrispondenti a circa il 20-22 % del fondo nazionale ospedaliero. La difesa della resistente ne trae ora la conseguenza che la variazione approvata, di venticinque miliardi, risultava largamente coperta. L'assunto va per disatteso. La citata legge statale, ancor quando essa possa esser presupposta come mezzo di copertura dell'onere in questione, attribuisce alla Regione la relativa quota del fondo ospedaliero nazionale solo in seguito all'intervento degli organi centrali, chiamati, sia pure in conformit alle puntuali indicazioni del dettato normativo, al discrezionale esercizio delle rispettive competenze. Una volta esaurita la serie degli PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB adempimenti procedurali, il prescritto decreto ministeriale determina la quota da assegnare alla Regione. Non essendo, nella specie, stato soddisfatto quest'ultimo requisito, risulta ingiustificato il riferimento fatto dalla Regione all'assegnazione suddetta come fonte di finanziamento, precostituita e gi operante nell'ordinamento positivo,. in relazione all'impugnato provvedimento. In conseguenza, sussiste la dedotta violazione dell'art. 81 Costituzione. Analogo ordine di considerazioni condtce a ritenere la fondatezza della questione che ha per oggetto il disegno di legge approvato dal consiglio regionale della Valle d'Aosta in data 31 marzo 1977, concernente aperture di credito su mandato a favore dell'ente ospedaliero regionale ad integrazione delle leggi regionali 19 febbraio 1975, n. 4, e 29 dicem bre 1975, n. 52 . Il provvedimento autorizza la Giunta regionale a contrarre con proprie deliberazioni speciali, e fino alla concorrenza di due miliardi, aperture di credito, che potranno essere utilizzate dall'ente ospedaliero regionale; altres detto, nell'art. 2, ultimo comma, del disegno che la spesa per la copertura degli oneri derivanti dall'utilizzazione dell'apertura di credito assicurata dall'adeguamento delle quote da assegnare alla Regione per gli anni 1975 e 1976 sul fondo nazionale ospedaliero e da ogni altra fonte integrativa di finanziamento, ivi compreso il ricavato di eventuali mutui passivi, assistiti da garanzia regionale, da contrarre dall'ente regionale ospedaliero della Valle d'Aosta a copertura di tale apertura di credito. L'Avvocatura dello Stato deduce che simili indicazioni non osservano il precetto dell'art. 81 Cost. Il rilievo era gi stato mosso al disegno in esame dal Governo, in sede di rinvio; l'organo regionale aveva, nel riapprovare la legge, replicato che la copertura degli oneri assunti sussisteva, e veniva appunto offerta dalle proposte, sia pure non ufficiali, allora gi avanzate dal CIPE, in ordine alle assegnazioni dello Stato al fondo ospedaliero per gli anni 1975 e 1976. I rilievi della Regione, va tuttavia avvertito, nulla tolgono alla fondatezza della proposta questione. Infatti, come soggiunge la difesa dello Stato, l'ammontare del fondo suddetto, determinato annualmente nella legge di approvazione del bilancio di previsione, non pu essere in alcun caso modificato dal CIPE, che di anno in anno deve solo verificarne l'andamento, quindi la sufficienza. A disporre eventuali adeguamenti ed integrazioni del fondo, di cui il CIPE abbia rilevato l'esigenza, provvedono, nell'autonomo esercizio delle rispettive funzioni, Governo e Parlamento, compatibilmente con la possibilit di reperire i mezzi finanziari occorrenti (cfr. artt. 14 e 16 del citato d.l. n. 264/74 e della relativa legge di conversione legge n. 386 del 1974 ). Del resto, la legge impugnata stata deliberata prima dell'adozione del decreto ministeriale che secondo legge, come sopra si osservava, opera il trasferimento della quota da assegnare alla Regione (cfr. art. 16, ultimo comma, della citata legge n. 386 del 1974). La copertura della spesa, assunta dalla Regione nella "254 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO specie, viene dunque fatta dipendere da assegnazioni che, quando stato approvato il disegno di legge, risultavano, per l'ammissione della stessa resistente, soltanto da proposte ufficiose del CIPE. Cos configurata, la . previsione della spesa non allora conforme alle prescrizioni dell'art. 81 Cost. Ai fini cj.ella decisione che si adotta, deve aggiungersi, non rileva, d'.altronde, quanto la Regione espone, nella memoria aggiuntiva per l'udienza, circa le vicende del provvedimento del Presidente della Regione, istitutivo dell'ente ospedaliero regionale, che la legge in esame contempla. (omissis) V. (omissis) Neppure fondato il secondo profilo. Invero non sarebbe stato logicamente possibile, contrariamente a quanto deduce l'ordinanza di rimessione, che l'art. 117 Cost. facesse riferimento al rapporto di lavoro del. personale dipendente dalle imprese concessionarie dei servizi di trasporto, dato che tale rapporto ha natura privatistica e la Regione, come questa Corte ha cstantemente ritenuto, non ha poteri nell'ambito del diritto privato (cfr. le sent. 20 gennaio 1977 n. 38, 7 maggio 1975 n. 108, 27 luglio 1972 n. 154 e 22 maggio 1968 n. 60). Piuttosto da osservare come nella materia dei trasporti tramviari e automobilistici, attribuiti alla regione, non possibile distinguere nettamente il momento organizzativo da quello funzionale, essendo i due momnti collegati da uno stretto nesso strumentale: sicch deve ritenersi che anche la sub-materia relativa al personale suddetto rientra nella previsione dell'art. 117 Cost. con il limite, ben s'intende, sopra indicato, e quindi soltanto rispetto al profilo pubblicistico. Conseguentemente deve altresl ritenersi che anche le funzioni amministrative concernenti il personale erano comprese nell'ambito del d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 5 relativo al trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale; ci risulta dall'ampia formula dell'art. 1 cit. d.P.R. e non contraddetto dalla disposizione dell'art. 3, ove contenuta una elencazione delle funzioni trasferite, da considerare esemplificativa, come chiaramente risulta dall'espressione tra l'altro, ivi usata (si veda ora l'art. 84, ultimo comma, d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616)... Neppure pu condividersi il terzo profilo sotto cui viene dedotta ulteriormente la violazione dell'art. 117 della Costituzione. In proposito, per stabilire la natura giuridica della norma impugnata, e cio se essa attenga o no al diritto privato, non possibile considerarla isolatamente, vale a dire avulsa dall'intera normativa emanata dalla Regione in tema di trasporti pubb'lici, ma occorre definirne la portata nel quadro complessivo di detta normativa. Avvenuto nel 1972 il trasferimento alle regioni ordinarie delle funzioni amministrative relative alle trmvie e linee automobilistiche di interesse regionale (le quali comprendevano, come si detto, anche il personale) .. PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDBNZA COSTITUZIONALE e reso cos concretamente possibile l'esercizio della correlativa potest legislativa, la Regione Lazio, dopo un intervento puramente provvisorio, eman la 1. 2 aprile 1973 n. 12 intitolata Legge generale sui trasporti pubblici in concessione . Con essa fu prevista la redazione di un piano generale dei trasporti concernente lo sviluppo equilibrato dei pubblici collegamenti regionali in diretto coordinamento con le linee di sviluppo economico e d assetto territoriale della Regione; conseguentemente fu, tra l'altro, previsto il riordinamento dei servizi dati in concessione e stabilito che tale potere di riordinamento comportava la possibilit di risolvere le concessioni di autolinee in atto (art. 4). All'art. 6 fu disposto che il personale appartenente alle imprese di trasporto, le quali cessavano le loro attivit ai sensi del!a medesima legge, passava alle dipendenze del concessionario che assumeva la gestione dei servizi, fatte 1salve le posizioni giuridiche ed economiche leg1ttimamente acquisite. In attuazione di tale legge, la Regione Lazio eman altro provvedimento legislativo (1. reg. 22 aprile 1975 n. 33) con cui recov tutte le precedenti concessioni di autolinee in atto nei bacini del traffico della soc. Stefer e della soc. Romana Nord ed affid tali servizi, in attesa della concessione definitiva ad un'azienda regionale (l'Acotral), alle due predette ,_ societ, a capitale esclusivamente pubblico (art. 1). In conformit all'art. 6, sopra riportato, della legge generale n. 12 del 1973, l'art. 5 della 1. n. 33 del 1975 testualmente stabill: Il personale dipendente dalle imprese di trasporto private che cessino la loro attivit ai sensi della presente legge... avr diritto, a richiesta, ad essere utilizzato dalle soc. Stefer e Romana Ferrovie del Nord, fermo restando il trattamento giuridico ed economico goduto al momento del trasferimento della gestione dei servizi, Con l'art. 1 della 1. 2 dicembre 1975 n. 79, ossia con la disposizione impugnata dai giudici a quibus, si stabil che i provvedimenti relativi al trattamento giuridico ed economico e all'inquadramento del personale considerato dall'art. 5 della citata legge n. 33 dello stesso anno, sarebbero stati adottati dalla Giunta regionale, previe trattative da condurre dalle due predette societ con le organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali. . " Cos puntualizzato il quadro della normativa regionale, giova rilevare che al personale dipendente dalle imprese private che cessavano dall'eser"' cizio del servizio pubblico dei trasporti automobilistici non spettava, in base alla legislazione statale, il diritto alla stabilit del rapporto di lavoro. Al riguardo non gioverebbe invocare la disciplina speciale per il personale degli autoservizi extraurbani contenuta negli artt.. 26 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, 1 1. 24 maggio 1952 n. 628 nonch 5 1. 22 settembre 1960 n. 1054. Secondo un costante orientamento della Corte di cassazione, la stabilit del rapporto di lavoro prevista dalla normativa speciale subordinata 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla circostanza che permangano immutate le condizioni in cui si svolge il servizio gestito dalla impresa che ha cessato la sua attivit, sicch il . diritto del lavoratore non sussiste nel caso di mutamento di tali condizioni, come si verifica nel caso, pi volte ricordato dalla giurisprudenza ordinaria, di intervento della pubblica autorit che' provveda -e ci avvenuto appunto nella specie -al riordinamento del servizio. Il diritto alla stabilit del rapporto di lavoro, con il mantenimento delle posizioni giuridiche ed economiche gi acquisite, riconosciuto perci al personale in esame dalla legislazione regionale e precisamente dai ricordati artt. 6 I. n. 12 del 1973 e 5 della I. n. 33 del 1975. Da ci chiaramente discende come non possa accertarsi la prospettazione delle ordinanze di rimessione, le quali, da un lato, riconoscono, sia pure implicitamente, che rientrava nel potere della Regione disporre la stabilit del rapporto di lavoro, non risultante da alcuna legge statale e, dall'altro, negano invece tale potere rispetto alla norma puramente complementare e strumentale relativa alle modalit di concreta attribuzione della posizione giuridica ed economica dei lavoratori nell'ambito delle imprese alle cui dipendenze erano passati. In realt le due norme, pur se contenute in due testi legislativi formalmente distinti, costituiscono sostanzialmente un precetto di carattere unitario, il quale in un momento logicamente anteriore attribuisce un diritto, e, quindi, regola il procedimento per la sua attuazione concreta: sicch ad esse per evidenti esigenze logiche non pu non riconoscersi la medesima natura giuridica. Il conferimento ai lavoratori del diritto alla stabilit ineriva, come non contestato, al potere di riordinamento degli autoservizi di interesse regionale: e ci sia per intuitive ragioni di carattere squisitamente sociale (la Corte non in possesso di una documentazione ufficiale, ma dagli scritti difensivi si evince che trattavasi di circa quindicimila dipendenti). sia, sotto il profilo prettamente tecnico, per evitare che potessero andare disperse l'esperienza e la professionalit dei dipendenti delle imprese gi concessionarie, Se cos , allo stesso potere organizzativo era collegata anche la disposizione impugnata, concernente, come pi volte si detto, le modalit con cui concretamente tale stabilit doveva essere assicurata. (omissis) Con la seconda questione sollevata i giudici a quibus denunciano .la indicata disposizione con riferimento all'art. 39 della Costituzione, in quanto essa affiderebbe alle associazioni sindacali la tutela di interessi individuali sottraendola ai titolari. Anche tale questione priva di giuridico fondamento. L'intervento delle associazioni sindacali, come testualmente e inequivocabilmente dispone la legge impugnata, era diretto soltanto a compiere delle trattative con le due societ affidatarie. Tale intervento si inseriva perci in una fase procedimentale necessaria per disciplinare il nuovo : . inquadramento; con provvecfu:nenti. che erano di competenza della Giunta regionale . . Come si detto, questi provvedimenti dovevano essere emanati con criteri generali ed uniformi n()nch on un esame comparativo delle varie posizioniindividuali, . sicch la partecipazione delle associazioni sindacali alla fase> prelindnare delle trattative con le due societ trovava . la. sqf.l .rf.lgf.9n mt>eten~e costitu:d(.)nali esclude invece, come gi questa Corte ha deciso (~e:l'iJ~ 9 git;gn<:> 1961. n. 32) e come ritiene la migliore dottrina, la possibili. t
  • rre in essere gli atti di mera amministrazione per 1ip.quadraml;lnto ci~l prsonale nell'ambito delle due societ a cui, dopo I~ re'ifoca .4elle preedenti cqncessioni, erano stati affidati gli autoservizi d.i. interesse reg,ionale. CORTE COS'rl'tUZIONALBi.1~ febbraio 1983 n. 14 -Pres. Elia -Rel. Ferrari Presidente Consiglio dei Ministri (vice Avv. Gen. Stato Carafa) e Regione Campania. (avv. Abbamonte). Regioni Istituto professionale Scuole di ostetricia . Non sono equiparablli ad universit. Non possono considerarsi a livello universitario le scuole e gli istituti che svolgono solo attivit didattica, ancorch mediante corsi tenuti da 7_ -~ fil. - 258 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STA1'0 docenti universitari, e non anche attivit di ricerca, e che non hanno autonomia di determinazione per q.anto riguarda le materie di insegnamento, il loro ordine, e la durata degli studi. Le scuole di ostetricia non sono equiparabili alle istituzioni universitarie; le attribuzioni relative a dette scuole rientrano tra quelle assegnate alle regioni a statuto ordinario dall'art. 117 Cast. (omissis) Con ricorso in data 10 ottobre 1978 il Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha impugnato la legge riapprovata dalla Regione Campania il 25 settembre 1978, recante attivit formative per la professione di ostetrica, chiedendo che ne fosse dichiarata l'illegittimit costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione. (omissis). L'art. 33, ultimo comma, Cost. comprende le Universit tra le istituzioni di alta cultura e riconosce a queste il diritto di darsi ordinamenti autonomi. a) Appiono conformi alla configurazione delineata. dal legislatore costituente, non solo la legge 11 luglio 1980, n. 382, il cui art. 63, primo comma, recita testualmente che l'Universit sede primaria della ricerca scientifica>>, ed il cui Capo V, Titolo I, prevede il ruolo dei ricercatori, come il Titolo III dedicato alla ricerca scientifica >>, ma persino il testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 ed in larga parte ancora vigente. Anche questo, infatti, proclama solennemente all'art. 1, primo comma, che l'istruzione superiore ha per fine di promuovere il progresso della scienza e di fornire la cultura scientifica necessaria per l'esercizio degli uffici e delle professioni . Ne deriva che non basta, perch una scuola attinga livello universitario, che ivi siano impartiti, sia pure da professori universitari, insegnamenti a fini professionali, ma occorre che vi venga svolta anche la ricerca scientifica. Sono due, insomma, ed inscindibili i compiti istituzionali delle Universit: l'attivit didattica e quella scentifica, l dove venga esercitata soltanto questa, si pu avere un'istituzione di alta cultura -ed il caso del Consiglio nazionale delle ricerche -, e l dove venga esercitata esclusivamente attivit didattica, non si ha Universit. b) Ancora dalla Costituzione si ottiene un altro elemento caratterizzante l'Universit e, quindi, la istruzione superiore: la potest statutaria, sia pure nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, come testualmente enuncia il gi richiamato art. 33, ultimo comma, Cost. Si tratta di una potest non conculcata neppure nel periodo autoritario, come comprovano: l'art. 17 del T.U. n. 1592 del 1933, a sensi del quale ogni Universit... ha uno speciale statuto (primo comma), gli statuti sono proposti dal Senato accademico, uditi il Consiglio di amministrazione e le Facolt i lo lo I ?: ~~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE . (secondo comma), le modificazioni sono proposte ed approvate con le medesime modalit (terzo comma); l'art. 18, terzo comma, a sensi del quale lo statuto di ogni Universit determina, per ciascuna Facolt..., le materie d'insegnamento, il loro ordine ed il modo con cui debbono essere impartite; l'art. 20, ottavo ed ultimo comma, a sensi del quale la durata degli studi per le scuole ed i corsi... determinata dagli statuti>>, ecc. E proprio nell'autonomia dell'ordinamento universitario pu dirsi che trovi fondamento la regola, ancorch esplicitata mediante una norma regolamentare -art. 42, secondo e terzo comma, del regio decreto 4 giugno 1938, n. 1269 -, secondo cui le commissioni per gli esami, tanto di profitto, quanto di laurea o di diploma, possono costituirsi soltanto di professori ufficiali..., di liberi docenti o cultori delle discipline che fanno parte della Facolt , con esclusione di professionisti estranei. Da quanto precede discende che non possono considerarsi a livello universitario le scuole e gli istituti che siano assoggettati alla vigilanza del potere governativo, che non abbiano autonomia di determinazione per quanto riguarda le materie d'insegnamento, il loro ordine, la durata degli studi e che debbano comporre le commissioni per gli esami, o di profitto o di diploma, con membri non appartenenti alla stessa scuola od istituto. Compito esclusivo delle scuole di ostetricia, invece, l'insegnamento, un insegnamento di carattere prevalentemente pratico, e perci a fini esclusivamente professionali. Nel regio decreto 24 luglio 1940, n. 1630, infatti, col quale stato approvato il regolamento, che in parte ancora in vigore, per le scuole di ostetricia, come modificato con decreto ministeriale 12 novembre 1958, prima, e con d.P.R. 27 settembre 1980, n. 1029, poi, non rintracciabile una sola norma che contenga qualche cenno alla attivit di ricerca scientifica, la quale pertanto, almeno allo stato, preclusa alle predette scuole. E sul punto non si registra alcuna innovazione sostanziale nel gi menzionato d.P.R. n. 1029 del 1980, recante modificazioni all'ordinamento degli studi delle scuole di ostetricia, ma solo la conferma della riduzione del corso di studi da un triennio ad un biennio, gi disposta dall'art. 1 della legge n. 1252 del 1957. Tali scuole, inoltre, non godono di alcuna autonomia: non solo non hanno la potest statutaria che riconosciuta alle Universit per quanto attiene alla didattica, ma questa non risulta disciplinata neppure con legge, bensl con un regolamento, qual il decreto presidenziale n. 1029 del 1980 e qual era appunto il gi menzionato regio decreto n. 1630 del 1940, adottato di concerto tra il ministro per l'educazione nazionale e quelli per l'interno, per la grazia e giustizia, per la finanze e per le corpora zioni; per l'esame di diploma, la commissione composta, non solo del professore-direttore e di un professore o libero docente delle Facolt o cultore della materia, ma anche del medico provinciale e di un medico-chirurgo scelto dalla Facolt in una terna proposta dal sindacato 260 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO professionale medico (art. 32, terzo comma, regio decreto n. 1630 del 1940); il regio decreto legge 15 ottobre 1936, n. 2128, convertito nella legge 25 marzo 1937, n. 921, statuisce all'art. 3, primo comma, che spetta al Ministro per l'educazione nazionale la vigilanza sulle scuole di ostetricia autonome, anche se poi precisa nei due commi successivi che tale vigilanza esercitata tramite una UniveFsit. Le rilevazioni ed i raffronti di cui sopra inducono a disattendere l'opinione, su cui si basa il ricorso de quo, che l'attivit formativa per la professione di ostetrica e, quindi, l'ordinamento delle relative scuole siano da considerarsi equiparati al livello universitario. La conclusione cui si perviene nel presente giudizio trova, del resto, un precedente in termini nella pronuncia n. 128 del 1977, con la quale questa Corte ha testualmente sentenziato che le scuole, ove si svolgono i corsi per il conseguimento del diploma di ostetrica, non possono considerarsi a livello universitario . E basta la trascritta proposizione della surricordata sentenza a dimostrare quanto sia inesatta l'affermazione dell'avvocatura dello Stato, secondo cui, stante la diversit di quella fattispecie, il richiamo alla citata sentenza non appare pertinente . Certo, gli elementi pi sopra evidenti non sono i soli caratterizzanti l'istruzione universitaria; altrettanto certamente, tuttavia, si deve ritenere che, se non sono sufficienti, sono peraltro necessari, perch possa ravvisarsi in una scuola dignit di istituzione di alta cultura. Non varrebbe in contrario osservare che, per il conseguimento del diploma di ostetrica, la legge (art. 1 regio decreto legge n. 2128 del 1936) conosce, non solo le scuole di ostetricia autonoma , ma anche le scuole di ostetricia annesse alle cliniche ostetrico-ginecologiche delle Universit, giacch allo stato attuale della legislazione la conclusione conserva validit anche nei confronti di queste ultime, che non mutano natura, fermi rimanendo la loro funzione, i loro insegnamenti ed il tipo di questi, sol perch inserite nelle stn1tture universitarie. Se fosse altrimenti, si dovrebbe riconoscere grado universitario persino a tutte quelle scuole dichiaratamente prfessionali, che le Universit sono autorizzate ad istituire, quali le scuole-convitto professionali per infermiere (art. 2 regio decreto 21 novembre 1929, n. 2330; 130, primo comma, testo unico delle leggi sanitarie, approvate con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265; l, secondo comma, legge 25 febbraio 1971, n. 124); le scuole per infermiere generiche e per infermieri generici (art. 1 legge 20 ottobre 1954, n. 1046); le scuole per l'abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica (art. 4, primo comma, legge 4 agosto 1965, n. 1103), ecc. Ed i richiami test fatti mostrano che una cosa l'ambito universitario, altra cosa il livello universitario, e che pertanto non basta operare nell'uno per conseguire il riconoscimento dell'appartenenza all'altro. i (omissis). --- i ~ r PARTE I,. SEZ. l; GIURJSPRUl)BNZA COSTil'VZIONALB 261. CORTE COSTITUZIONALE, 9 febbraio 1983, .n. 30 Pres. e Rel. Elia -Pincella (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Cittadtnania -Figlio di donna italiana coniugata con uno straniero . Acq-qtsta la cittadinanza ftalianav pr nascita. (9'!~t;,. art,t; 2;i 3 e 29; t 13 giu~o 1912, n. 555, artt. 1 e 2). < Contrastano' c()n # principio di eguaglianza, e in particolare di eguaglianza tra i coniugi, gli artt. 1 e 2 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella ....... P4.rt~dn u( 1'1,ofl: pr'.V:d.llri~ 1/della legge n. 555 del 1912, va esaminata per prima la questfone stillevata dafTtibt.male di Milano in riferimento alla disposizione ora citata nella parte in cui non prevede che il figlio di cittadina italiana, che abbia conservato la cittadinanza anche dopo il matrimonio con i straniero, abbia fa cittadinanza italiana . In realt tale norma differenzia la sittiaz1one del marito straniero da quello della moglie italiana quanto all'acquisto della. cittadinanza italiana da parte dei discendenti diretti del cittadino. Questa discriminazione tra coniugi in ordine alla determinazio.e c;lello status civitatis dei figli legittimi comporta inoltre conseguenze molteplici e di non secondario rilievo, quando si consideri che alla cittadinanza si riconnettono situazioni soggettive di segno diverso e di disparato contenuto, ma tutte raggruppabili in una condizione complessivamente positiva nell'ambito dell'ordinamento italiano. L'art. l; n. 1, della legge n. 555 del 1912 in chiaro contrasto con l'art. 3, 1 com:ma, (eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso) e on l'art. 29, 2 comma, (eguaglianza morale e giuridica dei coniugi). N giustifica la differenziata disciplina in tema di acquisto della cittadinanza per nascita il richiamo ad un limite all'eguaglianza tra i coniugi, stabilito dalla legge a garanzia della unit familiare. Tra l'altro non si vede come la. diversit di cittadinanza tra i coniugi, ammessa dalla sentenza n; 87/1975 e dall'art. 143 ter codice civile (introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia), sia stata ritenuta compatibile con l'unit familiare, mentre non potrebbe esserlo l'attribuzione congiunta al figlio minore della cittadinanza paterna e di quella materna. Nemmeno varrebbe poi, a giustificare il mancato ossequio ai princpi degli artt. 3, primo comma, e 29, secondo comma, l'esigenza di evitare i fenomeni di doppia cittadinanza, per gli impegni assunti anche in sede 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO internazionale (cfr. Convenzione di Strasburgo del 1963, la cui ratifica fu autorizzata con 1. 4 ottobre 1966, n. 876, e depositata dall'Italia con alcune riserve). Deve infatti riconoscersi come prevalente, rispetto ad inconvenienti pur seri, la necessit di realizzare il principio costituzionale di eguaglianza anche a proposito di acquisto dello status civitatis per nascita. N fanno difetto al legislatore i mezzi per ridurre in limiti tollerabili le difficolt nascenti dalla pluralit di cittadinanze in capo al figlio. Del resto anche la sentenza n. 87 del 1975 e l'art. 143 ter del codice civile danno luogo a casi di doppia cittadinanza senza che ci sia valso a porre in dubbio il fondamento costituzionale delle soluzioni adottate. In questo senso la odierna pronuncia costituisce la logica proiezione, in tema di acquisto della cittadinanza per nascita, della ratio decidendi accolta nella sentenza n. 87 del 1975. Tale ratio, pi che porre in rilievo la volont del soggetto, consiste proprio nel riconoscimento delle conseguenze che derivano dai principi affermati nell'art. 3, primo comma, e Ifil nell'art. 29, secondo comma, della Costituzione. Invero, anche nella fattispecie ora esaminata, ci che si valorizza l'esigenza di una assimilazione giuridica nella comunit statale di coloro che vengono considerati, effettiva] filmente o potenzialmente, integrati nella realt socio-politica che Fordina @ mento deve regolare. Tale rilievo, accolto dalla dottrina italiana che pi t: si occupata delle tendenze evolutive del diritto della cittadinanza in i i:= ambito europeo, corrisponde anche alla evoluzione del nostro diritto <:i ~!. quale emerge dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 e ?:~ dalla giurisprudenza di questa Corte. I 1:: Certo non si pu parlare, in senso tecnicamente proprio, di un diritto dei genitori di trasmettere ai figli i rispettivi status civitatis: sempre l'ordinamento statale a prevedere le fattispecie nelle quali si realizza i:: l'acquisto della cittadinanza jure sanguinis, acquisto che, dal punto di ~== ~== vista giuridico, esclude ogni trasferimento o trasmissione. Ci non toglie r:: che la disciplina attuale, con il prevedere l'acquisto originario soltanto ~:: I m della cittadinanza del padre, lede da pi punti di vista la posizione giu:-: ridica della madre nei suoi rapporti con lo Stato e con la famiglia. In particolare non pu contestarsi l'interesse, giuridicamente rilevante, di entrambi i genitori a che i loro figli siano cittadini e cio membri di quella stessa comunit statale di cui essi fanno parte e che possano godere della tutela collegata a tale appartenenza. Del pari la disciplina @ vigente lede la posizione della madre nella famiglia, se si considera la ~ I f:j parit nei doveri e nella responsabilit verso i figli ormai affermata negli ordinamenti giuridici del nostro tempo (per l'Italia valgono soprattutto i novellati artt. 143 e 147 del codice civile). In definitiva, l'art. 1, della legge n. 555 del 1912 rappresenta una tipica 1:: ! espressione della diversit di posizione giuridica e morale dei coniugi, f:: ritenuta necessaria dal legislatore di quel tempo per realizzare l'unit l familiare, mediante l'assoggettamento della moglie e dei figli alla condizione, t I lii i:: fi """'-"'"-"'."."" -...,.'.'.'.'.'.'.'.'.'.".'.'.'.'.-.'.'.'.".'.' '...'.-.'.,.',".'.'.".".".'"' ccc"<' I PARTE I, SEz. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rispettivamente, del marito e del padre. N va dimenticato che la disci plina impugnata contrasta con il principio di eguaglianza, giacch tratta in modo diverso i figli legittimi di padre italiano e di madre straniera rispetto ai figli legittimi di padre straniero e madre italiana. Pertanto deve essere dichiarata la illegittimit costituzionale dell'art. l, n. 1, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina. In applicazione, poi, dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va pure dichiarata l'illegittimit costituzionale dell'art. 1, n. 2, della legge sulla cittadinanza, che collega l'acquisto della cittadinanza materna da parte del figlio soltanto ad ipotesi di carattere residuale. L'ordinanza del Tribunale per i minorenni di Milano solleva questione di legittimit costituzionale dell'art. 2, 2 comma, della legge n. 555 del 1912, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. Lasciando da parte l'art. 29, che riguarda la famiglia fondata sul matrimonio, da chiedersi se la citata disposizione, prevedendo che il riconoscimento del padre, nella fattispecie straniero, abbia l'effetto automatico e necessario di fare acquisire al figlio minore la cittadinanza straniera e di fargli perdere quella italiana acquisita per il previo riconoscimento materno, risulti in armonia con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. Quanto si detto sopra vale a fortiori per escludere la legittimit costituzionale del precetto impugnato. In effetti, cade in questa fattispecie anche il richiamo alla ratio dell'unit familiare,. posta a fondamento della disciplina dell'art. 1, n. 1. Viene qui in evidenza la disparit di trattamento in ragione di sesso e la discriminazione conseguenziale in ordine allo status dei figli minori, senza che sia necessario indugiare sui gravi inconvenienti pratici sottolineati nell'ordinanza. Deve quindi dichiararsi l'illegittimit costituzionale del 2 comma dell'art. 2 della legge n. 555 del 1912. La Corte consapevole del travagliato iter che in sede parlamentare, nel corso di pi legislature si svolto e si svolge tuttora in tema di riforma delle leggi sulla cittadinanza e sul suo adeguamento alla Costituzione, agli accordi internazionali ed alle mutate condizioni di vita nella famiglia e fuori di essa. Pur tenuto conto della complessit della materia, essa ritiene tuttavia che sia quanto mai necessaria ed urgente una revisione organica dell'interna normativa sulla cittadinanza, revisione che tenga conto di tutti i collegamenti tra una nuova disciplina e le regole del diritto internazionale privato. p.q.m. 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimit costituzionale dell'art. l, n. 2, della legge 13 giugno 1912, n. 555, e dell'art. 20 delle disposizioni preliminari al codice civile, sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione dal Tribunale per i minorenni di Firenze; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DF.l.LO STATO 264 2) dichiara l'illegittimit costituzionale: a) dell'art. l, n. l, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte in cui non 'prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina; b) dell'art. 2, comma 2, della legge predetta; 3) dichiara -in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 -l'illegittimit costituzionale dell'art. 1, n. 2, della 'legge 13 giugno 1912, n. 555. CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1983, n. 65 (ordinanza) -Pres. e rel. Elia -Cefis ed altri, e Presidente Consiglio dei Ministri. Corte Costituzionale -Questione proposta in via incidentale -Contraddittoriet delle deduzioni -Inammissibilit. inammissibile per contraddittoriet la questione di legittimit proposta dal giudice a quo, ipotizzando al tempo stesso la caducazione di una disposizione legislativa e l'estensione del suo ambito d'applicazione. (omissis) ... l'ordinanza, relativa al reato di rifiuto di vendita di merci il cui prezzo massimo stato fissato con provvedimento dell'autorit, censura in primo luogo la norma nella parte in cui non si estende alla cessazione della produzione e nel contempo lamenta l'illegittimit costituzionale della norma stessa perch prevederebbe una prestazione imposta senza il rispetto della riserva di legge, presentando cos un thema decidendi contraddittorio, giacch si richiede da un lato l'estensione della normativa e dall'altro la sua caducazione; simile contraddittoriet rende la questione inammissibile, come questa Corte ha ritenuto da ultimo con sentenza n. 30/1983; (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983, n. 70 -Pres. Elia -Rel. Reale - Masucci ed altri (avv. Cattaneo), Castellino ed altri (avv. Sorrentino) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Corte dei Conti -Legge retroattiva -Soggezione del giudice alla legge Garanzia costituzionale delle pretese risarcitorie dello Stato -Insussistenza. (Cost., artt. 28, 101 e 113; I. 25 novembre 1971, n. 1042, art. 2). La norma di diritto sostanziale che regola una situazione pregressa non sottrae al giudice una controversia, ma gli fornisce il diritto che egli PARTE I, SEZ. I, .GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE deve applicare. L'art. 28 Cast. non d garanzia costituzionale alle pretese risarcitorie dello Stato o dell'Ente pubblico nei confronti dei propri funzionari. (omissis) I consigli di amministrazione delle Universit e degli Istituti universitari, come si desume dai lavori preparatori della legge 25 novembre 1971, n. 1042, si erano trovati da vari anni, per evitare l'arresto totale del funzionamento della vita universitaria conseguente all'enorme aumento dell'onere di lavoro senza che gli organici del personale non insegnante fossero adeguati per numero e per remunerazione alla nuova situazione, nell'assoluta necessit di accordare al personale non insegnante speciali compensi incentivanti con riferimento all'eccezionale stato di necessit; facendoli gravare sui fondi di bilancio non destinati per legge a fini specifici " Organi consultivi e di controllo avevano negato la legittimit delle erogazioni, creando una situazione di estremo disagio in tutte le universit. Per regolarizzare questa grave situazione, la citata legge n. 1042 cos disponeva all'art. 2, primo comma: I compensi attribuiti, anche per il titolo di cui all'art. 13 della legge 18 dicembre 1951, n. 1551 (relativo ai diritti di segreteria e alla loro destinazione) pur in mancanza del decreto del Presidente della Repubblica in esso previsto al personale non insegnante delle Universit e degli Istituti di istruzione universitaria, continuano ad essere corrisposti come in precedenza secondo le deliberazioni dei rispettivi consigli di amministrazione nei limiti dei fondi stanziati nei rispettivi bilanci e delle disposizioni che seguono . La Corte dei conti... dubita della legittimit costituzionale della norma citata. Con l'ordinanza 27 novembre 1975, la seconda sezione giurisdizionale identifica la ratio legis nella volont del legislatore di legittimare la situazione di fatto determinata dalla corresponsione dei compensi attribuiti contra legem al personale non insegnante, sanando non soltanto gli effetti di tale comportamento, cio la percezione dei compensi da parte del personale non insegnante (il che non darebbe luogo a rilievi di carattere costituzionale), ma anche il comportamento stesso degli amministratori che ne avevano disposto l'erogazione, il che la legge non avrebbe potuto fare retroattivamente e incidendo in processi di responsabilit in corso... (omissis). Vengono innanzitutto indicate come parametri della affermata illegittimit costituzionale, la disposizioni del titolo quarto del libro secondo della Costituzione (la Magistratura), cio gli artt. da 101 a 113... Poich queste disposizioni sono intese a garantire l'indipendenza della funzione giudiziaria da ogni potere, afferma la Corte dei conti, non lecito modificare con legge il contenuto di tma sentenza, sindacare l'operato di un giudice o sottrarre al giudizio una qualsiasi contro 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO versia : ci che nella specie si sarebbe appunto verificato con l'art. 2, comma primo, della legge n. 1042. La censura priva di ogni fondamento. La norma di diritto sostanziale che regola una situazione anche pregressa senza violare un giudicato non modifica il contenuto di una sentenza (nella specie inesistente); non sindaca l'operato di un giudice, ma costituisce la legge alla quale il giudice soggetto; non sottrae al giudice alcuna controversia, ma gli fornisce appunto il diritto che egli deve applicare. A seguire il ragionamento del giudice a quo bisognerebbe negare la legittimit costituzionale delle leggi di depenalizzazione e di amnistia, o ipotizzare un generale divieto di retroattivit delle leggi civili e amministrative. N vale opporre a questa elementare considerazione, come fa l'ordinanza, che l'amnistia non esclude gli effetti patrimoniali dell'illecito, perch il problema altro: cio quello di stabilire se al legislatore sia sempre vietato di modificare una legge (depenalizzazione) o di eliderne gli effetti (amnistia) in pendenza di una procedura giudiziaria. Non c' quindi violazione del principio della divisione dei poteri, come il giudice a quo finisce con l'ammettere. passando agli altri numerosi parametri costituzionali invocati. (omissis). Segue, nella lista delle illegittimit costituzionali nelle quali sarebbe incorsa la legge n. 1042 del 1971, la violazione dell'art. 28 della Costituzione, peraltro non affermata, ma solo ipotizzata nell'ordinanza di rimessione, nella quale si legge: ove tale precetto (l'art. 28) si configuri come disposizione di principio, applicabile quindi non solo a tutela dei diritti degli amministrati ma anche di quelli dell'amministrazione di fronte ai comportamenti illeciti dei propri dipendenti. Ma appunto questa ipotesi ermeneutica che non regge, sia perch l'art. 28 non generalizza, ma espressamente riconduce il concetto di responsabilit a quanto dispongono le leggi penali, civili e amministrative (sentenza n. 123 del 1972), sia perch esso si riferisce chiaramente ed esclusivamente alla responsabilit verso i soggetti privati danneggiati e non anche alle diverse responsabilit di carattere interno del funzionario o impiegato verso lo Stato o l'ente pubblico (sentenza n. 184 del 1982). (omissis) Quanto all'art. 103 (che pure era compreso nel richiamo globale al titolo quarto del libro secondo della Costituzione fatto nell'ordinanza precedente) l'ordinanza ora in esame specifica che con la norma impugnata si viene ad incidere, limitandola, nella sfera di giurisdizione attribuita dalla Costituzione alla Corte dei conti con la sottrazione ad essa di fattispecie in cui possono ravvedersi ipotesi di responsabilit, senza peraltro indicazione chiara ed espressa dei casi in cui detta limitazione dovrebbe operare. Anche questa formulazione del richiamo all'art. 103 tuttavia priva di fondamento giuridico. Come gi pi innanzi si osservato, una norma PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE di diritto sostanziale non sottrae al giudice la fattispecie, non ancora decisa, sulla quale egli deve provvedere. Solo che il giudice deve applicare la legge. Affermare poi che la legge non contiene indicazione chiara ed espressa dei casi in cui deve applicarsi, significa proporre non .un problema costituzionale ex art. 103, ma un problema di interpretazione, o se si vuole di difficolt di interpretazione. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983, n. 72 -Pres. Elia -Rei. Saja - Pirito ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni). Corte dei Conti Responsabilit degli amministratori di comuni e pro vincie Responsabilit c.d. formale Requisiti del danno effettivo e della colpa Necessit. (Cost., art. 3; r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 252). La responsabilit prevista dall'art. 252 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1934 una comune responsabilit patrimoniale fondata sugli elementi della colpa e del danno; essa determina un unico ed integrale giudizio avanti la Corte dei conti. (omissis) Con esse la Corte dei conti dubita della legittimit costi tuzionale dell'art. 252 t.u. legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383, che prevede alcuni casi di responsabilit degli amministratori dei comuni e delle province (nella specie: per spese non autorizzate in bilancio). Il dubbio trae motivo dalla considerazione che detta norma (ed analogamente da dire per quella sancita dal successivo art. 253) darebbe luogo alla c.d. responsabilit formale, la cui previsione normativa, determinando un'irrazionale disparit di trattamento, contrasterebbe non solo con l'art. 3, ma indirettamente anche con gli artt. 5, 24, 28, 97 e 128 della Costituzione. Si osserva infatti, nei provvedimenti di rimessione, come la norma denunciata, senza giustificato motivo, stabilisce relativamente agli amministratori comunali e provinciali un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per gli amministratori degli altri enti pubblici: e ci in quanto sancisce nei loro confronti oltre la normale responsabilit patrimoniale civile e quella contabile, comuni a tutti i dipendenti pubblici, anche quella c.d. formale, consistente, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti prevalente all'epoca in cui le ordinanze furono emesse, nell'obbligo di rispondere delle somme illegalmente erogate, prescindendo sia dalla produzione di un danno patrimoniale effettivo sia dall'elemento psicologico. Proprio sul contenuto della responsabilit formale, intesa come ora si precisato, le ordinanze di rimessione appuntano Ia loro critica, accostandosi cos ad un autorevole orientamento dottrinale, il quale ha espresso 268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO il pi netto dissenso dalla ricordata interpretazione della norma da parte della giurisprudenza della Corte dei conti. In proposito stato osservato da detta dottrina come non sussista alcuna ragione idonea a giustificare l'indicato indirizzo giurisprudenziale, decisamente contrastante con il sistema vigente; e ci perch non si pu considerare che ogni spesa effettuata senza il rispetto delle norme prestabilite cagioni ipso iure all'ente pubblico un nocumento patrimoniale pari all'importo delle stesse spese: nocumento che, nella multiforme variet di casi concreti, non sempre sussiste in quanto la spesa -anche se illegalmente erogata -pu in realt riuscire sostanzialmente giustificata. Situazioni di emergenza -si aggiunge -possono invero essere idonee ad escludere l'iHiceit di interventi diretti sostanzialmente alla soddisfazione di un interesse pubblico e quindi non contrastanti con i princpi a cui deve ispirarsi l'azione amministrativa. Da ci la stessa dottrina ha tratto l'illazione di una grave frattura di criterio logico, in quanto, da una parte, si richiede da quella giurisprudenza la sussistenza del danno, caratteristico dell'illecito civile, e, dall'altra, si prescinde dal danno stesso inteso in senso civilistico, ritenendo sufficiente la mera condotta illegittima. Conclude la dottrina che in situazioni del genere dovrebbe essere tutt'al pi prevista una sanzione amministrativa pecuniaria. Anche la possibilit dell'amministratore di esperire l'actio de in rem verso non si sottratta a critiche dottrinali. Invero stato osservato come risulti particolarmente oneroso e artificioso un sistema che impone rispetto ad un unico rapporto due distinti giudizi: l'uno innanzi alla giurisdizione contabile per il rimborso delle spese illegalmente effettuate e l'altro avanti al giudice ordinario per il recupero della somma corrispondente all'utilit di cui l'ente pubblico si sia arricchito; con l'ovvia conseguenza che, in caso di coincidenza dei relativi importi (circostanza questa ricorrente in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione ha riconosciuto l'integrale utilit della spesa) vi sarebbe un vuoto e assurdo dispendio di attivit processuale, in quanto il secondo giudizio verrebbe ad annullare gli effetti della prima pronuncia. Per contro, una diversa concezion~ della c.d. responsabilit formale importerebbe un'unicit dei giudizi, senza gli inconvenienti ora accennati. Ai quali un altro, molto grave, potrebbe aggiungersi nell'ipotesi in cui l'ente pubblico per ragioni non obiettive (arbitrio, ritorsione, ecc.) abbia negato l'utilit della spesa illegittimamente effettuata, impedendo cos in radice l'accoglimento dell'azione prevista dall'art. 2041 cod. civile. Le incongruenze denunziate dalla dottrina sono state gradualmente avvertite anche dalla Corte dei conti, la quale ha abbandonato il precedente indirizzo, orientandosi verso la tesi dottrinale superiormente accennata. Cosicch ormai si formata una giurisprudenza ripetutamente espressa dalle sezioni semplici e ribadita anche dalle Sezioni Riunite, in - 269. com;Prese nella . c':d. pi recente orientam~11to il giudice a quo .per sollevar~. dirsi pi sussistente, dovendpsi vivente la responsabilit in esa.me patrimoniale fondata sui requisiti N<>n .$us;s.$t~ .q1i1I!lW q1i~11a diversit di trattamento per cui la norma le prospettate questioni sotto i vari profili tutte. a tale diversit, risultano prive di CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983, n. 73 -Pres. Elia -Rel. Saya Capitnio (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen . ....stato carfa); Reati> . Aggiotaggio bancario Oggetto della tutela penale. (Cost., artt. 3 e 21; I. 7 marzo 1938, n. 141, art. 98). L'oggetto della tutela penale nel reato di aggiotaggio bancario non consiste nella mera reputazione delle singole aziende, considerata come un bene individuale ed esclusivo di esse, ma si sostanzia nelli'nteresse pubblico al normale e regolare esercizio del credito e quindi concerne quell'interesse espressamente indicato e tutelato dall'art. 47 della Costituzione. Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Macerata dubita della legittimit costituzionale dell'art. 98, legge 7 marzo 1938, n; 1:41, con la quale - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fu convertito in legge il r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, contenente disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia. Tale norma, che prevede il c.d. aggiotaggio bancario, testualmente dispone: Chiunque divulghi, in qualunque forma, notizie false, esagerate o tendenziose circa aziende esercenti il credito, atte a turbare il mercato dei titoli e dei valori, o a indurre il panico nei depositanti, o comunque a menomare la fiducia del pubblico, punito con le pene stabilite dall'art. 501 del codice penale. Il giudice a quo impugna la disposizione suddetta sotto duplice profilo, ritenendo che essa contrasti: a) con l'art. 21 Cost. perch limita la libert di manifestazione del pensiero senza alcuna finalit di interessi costituzionalmente protetti; b) con l'art. 3 Cost. in quanto richiede per la sussistenza del reato soltanto il dolo generico, a differenza dell'art. 501 cod. pen.. (che prevede il c.d. aggiotaggio comune), il quale esige il dolo specifico, cos diversificando senza razionale giustificazione le due fattispecie ... Sotto il primo profilo, il giudice a quo correttamente muove dal presupposto, pi volte affermato da questa Corte, secondo cui la libert di manifestazione del pensiero, prevista nell'art. 21 della Costituzione, trova un limite insuperabile nell'esigenza che attraverso il suo esercizio non vengano sacrificati altri beni che la Costituzione ha voluto pure garantire (cfr. sent. nn. 18 del 1981; n. 199 del 1972; n. 18 del 1966; n. 19 del 1962); senonch, dopo tale enunciazione, il detto giudice ritiene che il cit. art. 98 legge bancaria sarebbe diretto a tutelare il buon nome delle singole aziende di credito, che non pu essere considerato un bene giuridico costituzionalmente garantito; e pertanto esso confliggerebbe con il ricordato precetto costituzionale. Ma tale opinione sull'oggetto della tutela penale del cit. art. 98 non pu essere condivisa. Giova ricordare come questa Corte (sent. 20 mag gio 1976, n. 123) ha ritenuto la legittimit costituzionale della norma di cui all'art. 501 cod. penale -che, come si detto, prevede l'aggiotaggio comune -sulla considerazione che tale norma diretta alla tutela non gi dei singoli operatori economici bens dell'economia pubblica, la quale rientra nella previsione dell'art. 41 Cost. (cfr. su questo punto anche le sentenze nn. 5 e 54 del 1962 e 30 del 1965); in proposito aggiunse la Corte che il cit. art. 501 cod. penale, in quanto concerne la pubblica economia, trova il suo razionale fondamento anche nell'art. 47 Costituzione, il quale dispone, tra l'altro, che la Repubblica disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Ora, non pu essere dubbio che il cit. art. 98 l.b. abbia per oggetto proprio la tutela dell'attivit delle aziende di credito, come inequivocabilmente si evince dalla previsione normativa che esige, per la sussistenza del reato, la divulgazione di notizie circa le stesse aziende, tali da incidere negativamente su detta attivit, in quanto idonee a turbare il mer 271 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE cato dei titoli e dei . valori, ovvero a diffondere il panico nei depositanti oppure, infine, a incrinare quel rapporto di fiducia che indispensabile nei rapporti tra istituti bancari e clienti. L'oggetto della tutela penale non consiste nella mera reputazione delle singole aziende, considerata come un bene individuale ed esclusivo di esse, ma si sostanzia nell'interesse pubblico al normale e. regolare esercizio del credito e quindi concerne quell'interesse esprei;samente indicato e tutelato dall'art. 47 della Costituzfon. foteresse che, .come sfato precitato nella cit. sent. n. 123 del 1976, ti$ulta strettamente collegato all'economia pubblica, in quanto nel moderno sistema economico l'attivit bancaria costituisce una notevole forza ci'ippplso dell'~conomia.stessa ed perci che la legge la disciplina com . piutamente, affidando a organi statali poteri non soltanto di vigilanza, ':llia anche di drezone in relazione alle esigenze della contingente e sempre mutevole. situazione finanziaria nazionale. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 24 marzo 1983, n. 76 -Pres. Elia -Rel. De Stefano -Zammuto (avv. Moscarini) e Presidente Consiglio dei Ministri (Vice avv. gen. Stato Albisinni). Tributi erariali diretti -IRPEF -Separata determinazione dei redditi dei coniugi Oneri deducibili -Interessi passivi per mutui fondiari Deducibilit solo dal reddito del coniuge mutuatario -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 3, 29, 30, 31 e 53; l. 12 novembre 1976, n. 751, artt. 1, 3 e 6; I. 13 apri le 1977, n. 114, artt. 19 e 20). Il sistema della separata tassazione dei coniugi coerente con i princpi costituzionali; il legislatore ordinario peraltro autorizzato ad apprestare rimedi alle sperequazioni che, da tale sistema, se rigidamente applicato, potrebbero derivare. In questo quadro, non sono, costituzionalmente illegittime le disposizioni che consentono solo al coniuge mutuatario di dedurre dal proprio reddito complessivo, nei limiti stabiliti dalla legge, gli interessi passivi pagati per mutui ipotecari gravanti sulla casa di abitazione della famiglia. (omissis) Ai fini dell'esame del merito residuano, pertanto, le questioni che possono cos puntualizzarsi: A) se contrastino con gli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione gli artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976, in quanto prescrivono d'obbligo l'accertamento separato dei redditi dei coniugi; B) se contrastino con gli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione gli artt. l, comma terzo, della legge n. 751 del 1976 e 19 e 20 della legge ri. 114 del 1977, in relazione al testo originario dell'art. 10 del d.P.R. n. 597 --~ :.? . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del 1973, nella parte in cui escludono la deducibilit dal reddito complessivo del coniuge che lo ha effettivamente sostenuto, dell'onere per gl'interessi passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione della famiglia, intestata all'altro coniuge, sfornito di redditi propri all'infuori del reddito catastale derivante dalla propriet della casa suddetta e di ammontare inferiore a quello degl'interessi medesimi. Nei termini sopra esposti, infatti, la Corte, in armonia con la propria giurisprudenza (da ultimo sentenze nn. 137 e 151 del 1980, n. 42 del 1981), precisa l'oggetto delle questioni sulle quali chiamata a pronunciarsi. La questione puntualizzata sub A non fondata. Giova ricordare che questa Corte, con sentenza n. 179 del 1976, ebbe a dichiarare la illegittimit costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 29 e 53 della Costituzione ... della normativa allora denunciata, proprio nella parte in cui essa prevedeva l'imputazione al marito dei redditi della moglie ed il cumulo dei redditi di entrambi i coniugi ai fini dell'applicazione dell'imposta complementare e dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. La pronuncia della Corte spiegava i suoi effetti immediati e diretti unicamente nei confronti di norme legislative che ormai non potevano trovare applicazione oltre l'mbito dei rapporti giuridici gi sorti e non ancora interamente esauriti, mentre non venivano colpite le norme della successiva legge 2 dicembre 1975, n. 576, che avevano disciplinato, con effetto dal 1 gennaio 1975, l'imposizione sui redditi dei coniugi secondo criteri parzialmente diversi. La legge n. 751 del 1976, i cili artt. 3 e 6 sono ora sottoposti, sotto l'indicato profilo, a verifica della loro legittimit costituzionale, stata appunto emanata -come risulta non soltanto dal suo argomento, ma esplicitamente dai relativi atti parlamentari -per far fronte ad una situazione di emergenza, e cio per soddisfare l'esigenza di un sollecito intervento legislativo diretto a regolare gli effetti di tale pronuncia su quei rapporti giuridici, riguardanti i predetti tributi, che ne risultano immediatamente influenzati; ci allo scopo di consentire la definizione di tali rapporti tributari e la riscossione delle imposte dovute dai coniugi, alla stregua delle statuizioni della Corte. (omissis) Ben vero che nella stessa sentenza n. 179 del 1976, la Corte, conclusa la sua argomentazione, ha espresso l'auspicio che sulla base delle dichiarazioni dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, possa essere data ai coniugi la facolt di optare per un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in pi modi) che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice . Ma non pu certo sostenersi che il legislatore abbia violato gl'invocati parametri costituzionali sol perch in una normativa, come quella denunciata, emanata a pochi mesi dalla sentenza con l'espresso intento di adeguarsi alle sue statuizioni e in un mbito cir PARTE I, SEZ. I, GiuRISPRUDENZA COSTITUZIONALE coscritto alla determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, non ha trovato eco la raccomandazione rivoltagli dalla Corte. Raccomandazione che, peraltro, non ha avuto seguito nemmeno nella successiva legge n. 114 del 1977, con la quale stata operata la revisione della nuova normativa dettata dalla citata legge n. 576 del 1975 e non direttamente investita dalla decisione della Corte, adeguando ai princpi da questa affermati la struttura dell'imposta personale, con totale abbandono del sistema di cumulo dei redditi dei coniugi. Dai relativi atti parlamentari si evince, infatti, che non si ritenuto possibile ed opportuno realizzare in quell'occasione l'auspicio espresso dalla Corte, con l'offrire ai coniugi sistemi alternativi di tassazione personale, quali quello del quoziente familiare, dello splitting, del cumulo facoltativo, accolti in alcune legislazioni straniere. Pur non disconoscendo a tali sistemi il pregio di apprestare, in determinate situazioni, strumenti pi adeguati alla tassazione dei redditi familiari, si allora osservato che la intrinseca complessit di tali sistemi postula valutazioni e scelte non sempre facili, nonch una modulistica assai differenziata. L'introduzione di essi -si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge di iniziativa governativa nell'attuale delicato momento di ancora iniziale avvio della riforma tributaria, caratterizzato da una non completa informazione tributaria dei cittadini e da condizioni di operativit dell'Amministrazione finanziaria non del tutto adeguate, finirebbe con il creare una intollerabile situazione di incertezza e di ingovernabilit del tributo, con gravi e negative ripercussioni nell'ormai consolidato sistema di ritenuta alla fonte sui redditi di lavoro subordinato, che esonera larga parte dei contribuenti da adempimenti ed oneri connessi con l'obbligo della dichiarazione dei redditi. Il legislatore, dunque, nell'approvare la legge n. 114 del 1977, ha, in buona sostanza, sulla base delle considerazioni test ricordate, che fanno soprattutto leva su circostanze di carattere temporale, connesse all'attuazione della riforma tributaria, rinviato ad una fase successiva l'introduzione, nel sistema della tassazione separata dei redditi dei coniugi, di opportuni temperamenti. Ne fa fede l'ordine del giorno allora accolto, con il quale il Governo assumeva appunto l'impegno di riconsiderare il problema, e di proporre al Parlamento una nuova e definitiva disciplina , pienamente aderente al criterio della tassazione separata, ma con la facolt per i coniugi di optare per un differente sistema di tassazione che agevoli la formazione della famiglia in conformit all'art. 31 della Costituzione; elimini totalmente ogni possibile disparit di trattamento rispetto ad altri istituti tributari riguardanti la famiglia; tenga concretamente conto della posizione dei coniugi, e della donna casalinga in particolare, nell'mbito del nuovo diritto di famigHa . In proposito la Corte deve ribadire che il sistema del cumulo, imposto senza possibilit di alternative, risulta lesivo dei princpi costituzionali 274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che sono a base della sua precedente pronuncia; princpi ai quali appare, invece, aderente il sistema della separata tassazione, dal quale il legislatore non pu prescindere, dovendo riconoscere ai coniugi, in ogni caso, il diritto di chiederne l'applicazione. Spetta, peraltro, allo stesso legislatore di apprestare rimedio alle sperequazioni, che da tale sistema, rigidamente applicato, potrebbero derivare in danno della famiglia nella quale uno solo dei coniugi possegga reddito tassabile, rispetto a quella in cui ambedue i coniugi posseggano reddito, pari nel complessivo ammontare a quello della famiglia monoreddito, ma soggetto a tassazione separata, con aliquote pi lievi, per le due componenti. La innegabile esigenza di correggere tali effetti distorsivi, nella prospettiva di quel favor familiae cui s'informa l'art. 31 della Costituzione, pu, invero, venire appagata sia con oculata scelta di un sistema alternativo, suscettibile di essere affiancato in via opzionale al sistema della tassazione separata, sia anche all'interno di quest'ultimo, ristrutturando gli oneri deducibili e le detra2Jioni soggettive dall'imposta per meglio adeguarli all'esigenza medesima. Ampi, infatti, sotto ambedue gli aspetti, sono gli spazi entro i quali, nel rispetto dei princpi richiamati dalla Corte, pu esercitarsi la discrezionalit del legislatore, cui incombe di assolvere l'impegno a tal riguardo assunto or sono sei anni. Alla luce delle suesposte considerazioni, anche l'altra questione, puntualizzata sub B, va dichiarata non fondata. Occorre in proposito ricordare che, anteriormente alla richiamata pronuncia di questa Corte (n. 179 del 1976), entro l'mbito del sistema del c.d. cumulo dei redditi dei coniugi, l'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973, nel suo testo originario, prevedeva, alla lett. e) del comma primo, che gl'interessi passivi fossero dedotti dal reddito complessivo del contribuente, anche se il relativo onere non fosse stato sostenuto dal medesimo, ma dalla moglie, il cui reddito, peraltro, per il disposto dell'art. 4, lett. a), dello stesso decreto, veniva a lui imputato, ai fini della determinazione del reddito complessivo soggetto a tassazione. Tale sistema, in vigore per i redditi posseduti sino a tutto il 1974, era stato temperato dalla citata legge n. 576 del 1975, la quale, con effetto dal 1 gennaio 1975 e relativamente ai redditi posseduti da tale data, aveva disposto, all'art. 2, che se il reddito complessivo lordo dei coniugi non superasse i sette milioni di lire annui, l'imposta venisse commisurata separatamente sul reddito proprio di ciascuno dei coniugi, al netto degli oneri di cui al citato art. 10 del decreto n. 597 del 1973, riferibili ad ognuno di essi ; mentre aveva mantenuto, all'art. l, il cumulo ove il reddito complessivo lordo dei coniugi fosse d'importo superiore ai sette milioni. Dichiarata da questa Corte, con la sentenza n. 179 del 1976, la illegittimit costituzionale del sistema del cumulo, nei limiti innanzi richiamati, il legislatore, in aderenza ai princpi ivi affermati, ha disposto, con la .P!Rl'Ec I; SEZ;. I; GltlRlSl'RUDENZA COSTITUZIONALE 275 citata legge n. 7St del 1976, relativamente ai redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, che l'imposta venga commi.surata separatamente sul reddito complessivo proprio del marito e su quello della moglie. Circa gli oneri previsti dall'art. 10 del decreto. n. 597 del 1973 -venuta meno, per. effetto della pronuncia di q:uesta Corte, la imputazione al marito C(e reC(ditl della mqglie.> . itdenunciato conuna terzo dell'art. 1 della stessa ...... If!gg~ '..' ~ta~m:to phe essi> s.oM . deducibili .dal. reddito . complessivo del . . . ct>,trlug~ che li ha sost(lori.utii< M il successivo am. 3 ha ribadito che i redditi cornplessM propJi. del marito e della moglie vengono determinati al nette) degR oneri riferibili a ciascuno di essi . . Analoga~~~~.PerJ .tf!.4diti possf!dt1ti.4ai .coniugi .. nell'anno 1975 (e qichiara,tfl1el1976){la s?ccessiva legge n. 114 del 1977, abrogando le norme detfate'dalllegge n; 576d:l1975, lfa disposto, con fdenunciati artt. 19 e 20, cheJ'il1).postsf applica separatamente sul reddito complessivo netto di cil;i.ScuJi o:t}itt~e; .eh~ gli oneri pi;'(Wisti dall'art. 10 del decreto n. 597 c1ert973j SOJ:1tj (;{edm~l)ilidalreddito .complessivo del coniuge che li ha sostenuti" Pur con questa t:np'.inca, che .consegue all'adozione del sistema di tas.$ llZic>ne separata del reddito dei coniugi, le denunciate norme fanno ancora dferi:tllent, pe:i:' q\tanto riguarda i tipi di oneri riconosciuti deducibili, altesto originario del citato art. 10 (le innovazioni apportate in proposito cl~'ai:t. 5 della legge n. 114 del 1977, hanno invero effetto, ai sensi degli arlt~ 20, ultimo comma, e 23 della legge medesima, dal 1 gennaio 1976, relativ~. n1el1~e ai redditj posseduti da tale data: e si gi rilevato che le controversie all'esame dei giudici a quibus concernono, invece, redditi posseduti dai coniugi nel 1974 e nel 1975). Per il combinato disposto di tali norme, qualora si tratti di interessi passivi relativi ad un mutuo, trova puntuale e razionale applicazione il principio che l'onere viene dedotto dal reddito del contribuente che lo sostiene; e cio, nel caso, dal reddito del mutuatario, giuridicamente tenuto (artt. 1815 e 1820 cod. civ.) al pagamento dei relativi interessi. Una volta che il reddito della moglie non viene pi imputato al marito, ma sottoposto ad autonoma tassazione, e che gli oneri sostenuti dalla prima vengono dedotti dal reddito medesimo, e non pi dal coacervo dei redditi dei coniugi, il principio non pu non valere anche per gl'interessi passivi di un mutuo, del quale mutuataria sia la moglie, tenuta perci, essa sola, al pagamento degl'interessi medesimi. Nei giudizi a quibus si controverte sulla deducibilit di interessi passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione della famiglia: casa, peraltro, intestata unicamente alla moglie, sola mutuataria, sfornita di redditi propri all'infuori del reddito catastale derivante dalla propriet della casa medesima. Le ordinanze di rimessione lamentano che in tale fattispecie le denunciate norme non consentano la deduzione dal reddito del marito di quella parte dell'onere per interessi -<--)'I""' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 276 pass1v1, che eccede l'ammontare del reddito catastale imputato alla moglie e non pu pertanto essere dedotto da quest'ultimo: e in ci ravvisano violazione degli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione. La Corte ritiene che nessuno degl'invocati parametri possa avvalo rare la mossa censura di illegittimit costituzionale. Le denunciate norme, infatti, operano nell'ambito di un sistema che, escludendo ai fini della tassazione il cumulo dei redditi dei coniugi e la conseguente indifferenziata deduzione dal cumulo medesimo degli oneri sostenuti dal marito o dalla moglie, trae ispirazione proprio dagli stessi precetti costituzionali, che ora vengono invece posti a base della sollevata questione. Non si nega che dall'applicazione delle contestate norme alla descritta fattispecie possa derivare uno di quegli eventuali effetti distorsivi del sistema di tassazione separata del reddito dei coniugi, ai quali si gi fatto riferimento. Soprattutto se si consideri che la propriet dell'abitazione un obiettivo il cui perseguimento va incoraggiato, non soltanto favorendo -come prevede il secondo comma dell'art. 47 della Costituzione -l'accesso ad essa del risparmio popolare, ma improntando anche ad eguale favore il regime fiscale che la concerne, tanto al momento dell'acquisizione dell'immobile, quanto in costanza della sua destinazione ad alloggio del nucleo familiare del contribuente che lo possiede. Ma, come si affermato nella sentenza n. 179 del 1976, e si ribadisce in questa, il legislatore che deve apprestare adeguati rimedi ai possibili effetti distorsivi del sistema, operando le pi convenienti scelte normative nell'ambito di quel potere discrezionale, il cui esercizio si sottrae al sindacato di questa Corte tutte le volte che non sconfini nella irrazionalit e nell'arbitrio. CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1983, n. 84 -Pres. Elia -Rel. Saja - Falconi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Tributi erariali diretti -Catasto -Rilevanza della categoria catastale per l'equo canone Tutela giurisdizionale del conduttore -Sussiste. (Cost., artt. 3, 24 e 113; I. 27 luglio 1978, n. 392, art. 16). Avverso l'accertamento ad opera dell'amministrazione finanziaria della categoria catastale di fabbricato dato in locazione, il conduttore ha tutela giurisdizionale secondo modalit la cui individuazione rimessa dall'ordinamer.to al giudice ordinario adito per la determinazione del canone. (omissis) Con le predette dieci ordinanze i giudici a quibus contestano la legittimit costituzionale dell'art. 16 primo comma I. 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), il quale, considerando il tipo ~: .~j 277 delll'J1:rin101:1ile quale .elemento correttivo per la detet'minazione del canone, in proposito riferimento alla .categoria catastale secondo i coefficienti risultanti dalla tabella ivi prevista (coeffiCientj Lquali decrescono gradualmente da 2,00 p~.le abitazioni.di tipo. signorile sirto a o,so per ql.lelle>di tipo ultrapopolare). I giudici. suddetti, muoVlicl9i gl'ajJ:eP:azjone/ apodittiaxnente .formulata, che la norma de . n~at' non o:nste ~Jci,tna. tutela gi.~sdizi91lale al c9.Xl<;li,tttore; ... in ᥥ 4tllnt<)neistttji!cnfrontlla..C:ategoria.catastale stabilita. dall'ufficio. pubblico satie'bl;i yinQlfulte';/tfeduo.n.o chela norma contraste:reh'l~evcon glittt; 24 ilidella C-Ostituzione. . 'Blilit'llt!f!:tt!i~E1~~~E i:ssfr~lidvfebb~osuhireino@liᥥ<:asog1ieffetti .aell'~ccertamento fi$$1!tle~ t~ili se le$lt1:$n9 qu~tg s;e vi~~ato d illeg!ttmit1 .. sicch la .41$~9$tzi6ne. 4~ qu:asMbhe~nche in coritl'asto.conl'art. 3 Costituzione. . I>eve anzitutto 1a'ۘrte riaf:fert,lare ilpmeipfo -"-gi pi volte enun . . < c:1l;lt() >. ~e<::C>nte sentenze n. 225 del 1976 e n. 56 del 1980). M, a diffe:fnza delle ipotesi considerate dalle decisioni ora dette, va osservato che nella specie il presupposto delle ordinanze di rimessione non trova alcun riscontro nella norma denunziata, la quale nel primo comma rinvia, come si detto, all'accertamento effettuato dall'ufficio del catasto e, nel capoverso, per gli immobili non censiti dispone che pu essere richiesto l'ufficio tecnico erariale perch stabilisca, aJ soli /filli della determinazione del canone, la categoria catastale. La norma noti Critin.e . alcuna previsione relativa alla tutela giurisdizionale e dal silenzio di essa non pu senz'altro dedursi che tale tutela sia stata $cl.sa, in violazione del dettato costituzionale. Occorre, invece, fare capo ~la discipllna prevista dal n,ostro ordinamento relativamente al controllo .. . ....... S{ giudiziario sugli atti della pubblica amministrazione, il che stato larga mente avvertito nella giurisprudenza dei giudici di merito (non risulta c;he la Corte di cassazione si sia pronunciata al riguardo), nella quale sono emersi due distinti orientamenti, entrambi diretti ad assicurare al locatario la necessaria ed insopprimibile tutela giurisdizionale. Il primo di tali orientamenti valorizza il contenuto specifico dell'atto, per cui ritiene possibile, anche da parte del conduttore, il ricorso alle commissioni tributarie sulla base dell'art. 1, Ultimo comma, d.P.R. ---~'r.' - 278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 26 ottobre 1972, n. 636 relativo al contenzioso tributario, il quale devolve alla cognizione di dette commissioni le controversie concernenti la consi stenza, il classamento delle singole unit immobiliari e l'attribuzione della rendita catastale. In tali sensi si anche espressa l'Avvocatura dello Stato negli atti con cui intervenuta nei singoli giudizi. Il secondo orientamento, invece, si richiama al potere-dovere, che comunque spetta al giudice ordinario ex art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E nelle controversie tra privati, di accertare incidentalmente la legittimit dell'atto amministrativo da cui deriva il diritto dedotto in giudizio, legittimit nella cui nozione rientrano pure le condizioni di fatto richieste dalla legge per l'emanazione dell'atto nonch i meri accertamenti tecnici: con la conseguenza che, in caso di accertata illegittimit (sia originaria che sopravvenuta), l'accertamento catastale nessun effetto pu esplicare sul rapporto di locazione. Peraltro, dovendo comunque il giudice adto determinare l'equo canone, perch questo costituisce l'oggetto del giudizio, la classificazione dell'immobile dovr necessariamente essere effettuata nel processo civile sulla base di un accertamento probatorio, rispetto al quale il giudice ha i normali e ampi poteri di indagine e di apprezzamento. Quando ci accade, la pronuncia varr indubbiamente nei limiti oggettivi e soggettivi del caso deciso, ai soli fini della determinazione del canone. Dai superiori rilievi discende, in conclusione, che si tratta di un problema di interpretazione, relativo all'individuazione del mezzo di tutela spettante al conduttore, problema la cui soluzione rientra nei compiti esclusivi del giudice ordinario adito per la determinazione del canone. Le proposte questioni sono dunque inammissibili. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 28 aprile 1983, n. 108 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Bruni (n.p.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -IRPEF -Reddito d'impresa -Elargizioni liberali ad universit -Deducibilit. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 60). Il reddito d'impresa non pu essere posto sullo stesso piano dei redditi di diversa parte; non contrasta con gli articoli 3 e 53 Cast. la disposizione che prevede soltanto per i redditi d'impresa la deducibilit delle erogazioni liberali per fini di ricerca scientifica e istruzione universitaria (1). (1) La questione esaminata presenta risvolti politici e tecnici di notevole rilievo, che -superata ormai la pretesa di generalizzazione dell'art. 60, comma secondo -potrebbero condurre ad una riconsiderazione, di segno opposto (os PARTB :I .Si!Z. t1 ~lt;11USPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 PARTB :I .Si!Z. t1 ~lt;11USPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 La Corte chfa:illata. a decidere se sia costituzionalmente legittima, cori riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la disposizione contenuta nell'articolo 60, secondo comma, lettera a), del d.P;R. 29 settembre 1973, n. 597 ( lstituzione e disciplina delrbnposta sul reddito delle persone fisiche ), iii 'base alla quale sono deducibili dal reddito di impresa, nei limiti del .. d,11~ per 5ento (I.ella. somrta i:illponibile, fo erogazioni liberali fatte. dalle ..... . . imPtes~ a fa\rore di .pivetsit e .di istit~ti. di istruzione .universitaria. j $i#ttite 4 'iU' connnel:'ciaJe; . Tale. intentQ. del legislatore si desume chiaramente dalla esclusione diqp,elle .a~i:ivit p~~le quali :tton, pu parlarsi di avv~amento in senso . t~mW~ / .. fogislato~e l'iQ.,11tincazione 4~ quelle sit1Iazi()nteconomiche o di mercato ... . ch.e,)a suo gj4dizi(); ol(lSigliano age~olazioni anche nell'interesse della 9U~ttivt: (V.. sent 29175h N' p. ijrsi. il'l;'ll\ID()nevoler la scelta legislativa in questione, sia in tjferixn~to alla . Ihnitazione ciel beneficio a determinati conduttori, sia in x~l:azione all'litt4'ib~zione ad essi del duplice beneficio dell'indennit di avviamento e del diritto d prelazione. \ll. pri.tn() ~unio $Qffic\ente considerare che il legislatore, per gli jllln'lQbili destinati ad abitazione, ha ritenuto _; e non importa indagare ~on 'lU:al~ ffi~cia ..-. di risolvere le difficolt esistenti mediante il meccanismo dell'eq:uo canone: per gli immobili destinati ad uso diverso ha rlt:enttto meritevle di partic()larei tutela quelle aziende,' generalmente di picola o media dimensiorie, che nel contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori trovano la fonte e la ragione prevalenti del loro avviamento; La conservazione di esso costituisce l'oggetto specifico della tutela legislativa. . N . p~' rlteheJ:si valieato il li.lite della ragionevolezza per l'attribuzione . di un duplice beneficio a tutela di uno stesso interesse. Invero l'indennit per la perdita dell'avviarilnto ed il diritto di prelazione, pur se coUegati dal fine comune, mirando entrambi alla tutela dell'avviamentQ* adelllJ?i~no t1Ittavia a fQnzi<>ni diverse. Va anzltutt<.i ricor~at? <;lie t eh.te b~efici non si sommano in quanto, in caso di vendita dell'immobile, opera la prelazione ma non l'indennit di avviamento, dovuta, per l'art. 34 della legge, in caso di cessazione del rapporto locativo per cause diverse dalla vendita dell'immobile e non imputabili al conduttore. Inoltre, l'indennit di avviamento ha contenuto riparatorio del danno subto dal locatario per la perdita dell'avviamento stesso, del quale potrebbe beneficiare il locatore subentrando al conduttore nella medesima attivit o lucrando sulla locazione dell'immobile a terzi, che trar RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rebbero vantaggio dall'avviamento dovuto all'attivit del precedente conduttore. Il diritto di prelazione, invece, solo mediamente tutela il personale interesse del conduttore, essendo volto a soddisfare esigenze sociali, quale la conservazione delle aziende . Pur se discutibile sul piano legislativo, non dunque arbitraria l'attribuzione del diritto di prelazione agli operatori economici considerati. L'eventuale estensione del beneficio ad altre categorie di conduttori di immobili urbani compito esclusivo del legislatore, al quale spetta la valutazione delle esigenze della collettivit e l'identificazione dei settori meritevoli del suo particolare intervento. Recentemente, del resto, con la legge 22 aprile 1982, n. 168, il diritto di prelazione stato attribuito anche ai conduttod di immobili destinati ad abitazione di propriet di enti pubblici previdenziali, di imprese di assicurazione o che abbiano per oggetto l'acquisto, la gestione o l'alienazione di immobili. Ci dimostra la tendenza del legislatore ad estendere il beneficio ad altre categorie di conduttori, ma in base a valutazioni e scelte discrezionali. Le considerazioni innanzi esposte dimostrano altres la non fondatezza del dubbio di legittimit costituzionale, anche sotto il profilo considerato nelle ordinanze di rinvio dei giudici di merito. Non invero rilevabile, nelle ipotesi di esclu,sione del beneficio, quell'elemento che, come si detto, il legislatore ha invece voluto tutelare, cio, l'inerenza diretta all'ubicazione dell'immpbile dell'avviamento creato dal conduttore, giacch trattasi di attivit in cui ordinariamente prevale l'elemento .soggettivo indipendentemente dalla sede in cui viene ~sercitata (v. sent. 36/80). Non pu quindi riscontrarsi nella fattispecie considerata omogeneit di situazioni tra operatori economici ed esercentj. attivit professionali. pertanto infondata. la censura sollevata sotto il profilo della pretesa violazione dell'art. 3 Cost. (omissis). ,. :: fi SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 15 marzo 1983, nella causa 319/81 -Pres. Mertens de Wilmar~ -Avv. Gen. Slynn Commissione delle C.E. (ag. Abate) c. Repubblica Italiana (avv. Stato Conti), con intervento del Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (ag. Howes). Comunit Europee -Unione doganale -Tributi interni differenziati -Le gittimit -Limiti -I.V.A. Acqueviti. (Trattato e.E.E., art. 95; d.l..4 marzo 1977, n. 58, conv. in legge 9 maggio 1977, n. 183; d.l. 10 ottobre 1982, n. 697). Gli Stati membri hanno la facolt di stabilire, nell'osservanza delle direttive in materia, un'aliquota IVA pi alta per i prodotti di lusso rispetto ai prodotti nazionali o importati che non abbiano tale carattere, purch tuttavia i criteri scelti per determinare la categoria pi colpita non siano discriminatori nei confronti dei prodotti similari analoghi o che siano nel rapporto di concorrenza di cui all'art. 95, secondo comma, del trattato e.E.E., coi prodotti nazionali. Applicando alle acqueviti ur.a tassazione differenziata in funzione del criterio della denominazione di origine o di provenienza, la Repubblica Italiana ha trasgredito, per quanto riguarda i prodotti importati dagli altri Stati membri, gli obblighi derivantile dall'art. 95 del trattato e.E.E., in quanto fra tutte le acqueviti vi un determinato numero che vanno qualificate prodotti similari e comunque fra tutte le acqueviti esistono propriet comuni sufficienti per costituire un rapporto di concorrenza almeno parziale o potenziale, e con il criterio suddetto vengono in pratica ad essere tassati maggiormente solo i prodotti importati, sebbene la denominazione d'origine o di provenienza non conferiscano in linea generale ed automatica alle acqueviti cui si riferiscono il carattere di beni di consumo di lusso o di prestigio (1). (1) La sentenza nella scia dell'indirizzo seguito dalla Corte riguardo alla tassazione delle bevande alcoliche in Italia. Pur riaffermando il principio che il diritto comunitario non limita la libert di ciascuno Stato membro di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in funzione di criteri obiettivi come le condizioni di produzione e le materie prime impiegate (sentenze, citate in motivazione, 14 gennaio 1981, nella causa 46/80, VINAL, e nella causa 140/70 CHEMio\L FARMACEUTICI, in questa Rassegna, 1981, I, 47, e 27 maggio 1981, nelle cause riunite 142-143/80, EssEVI-SALENGO, ibidem, 303, oon note dl r11111111r1a111rt1rm1tr1.1111111t,111111111111~1r11111111111111111111111 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte iJ 23 dicembre 1981, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far dichiarare che la Repubblica italiana, applicando in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) una tassazione differenziata alle acqueviti in funzione del criterio della denominazione d'origine o di provenienza, ha trasgredito agli obblighi derivantile dall'art. 95 del Trattato CEE. 2. -Il regime italiano dell'IVA prevede accanto all'aliquota ordinaria, un'aliquota ridotta e due aliquote maggiorate. La prima aliquota maggiorata, pari al momento dell'introduzione del ricorso al 18%, veniva portata al 20% dal decreto legge 1 ottobre 1982, n. 697 (G. U. Repubblica Italiana 4 ottobre 1982, n. 273). Essa si applica ad una serie di prodotti destinati, secondo il legislatore italiano, al consumo non necessario o voluttuario. La seconda aliquota maggiorata che colpisce prodotti il cui consumo, secondo il legislatore italiano, ha carattere di lusso o di prestigio, era del 35% al momento dell'introduzione del ricorso e veniva portata al 38% dal decreto legge 1 ottobre 1982, n. 697. 3. -Ai sensi del decreto legge 4 marzo 1977, n. 58 (G. U. Repubblica Italiana 14 marzo 1977, n. 70), convertito nella legge 9 maggio 1977, n. 183 (G. U. Repubblica Italiana 13 maggio 1977, n. 129) e modificato con decreto legge 1 ottobre 1982, n. 697 (G.U. Repubblica Italiana 4 ottobre 1982, n. 273), tutte le acqueviti sono tassate con aliquota maggiorata. Nell'ambito delle stesse viene, tuttavia, fatta una distinzione poich il gin e le acqueviti a denominazione di origine o di provenienza regolamentata o tutelata con norme specifiche sul territorio di produzione vengono tassate al 35%, ora al 38%, mentre le altre sono gravate del 18%, ora del 20%. CONTI), la Corte, proprio in applicazione di tale principio, ha rdtenuto discriminatorio, e come tale contrario all'art. 95 del Trattato, il regime IVA italiano che colpisce con aliquote diverse le acqueviti a seconda che esse abbiano una denominazione di origine o di provenienza (come quasi tutti i prodotti importati) o non l'abbiano (come quasi tutti i prodotti nazionali): siffatto criterio non sarebbe obiettivo, secondo la Corte, perch non tale da caratterizzare una singola acquavite e distinguerla da altre che pur si trovano in condizioni di similarit o in rapporto di concorrenza almeno parziale o potenziale. In questa angolazione la sentenza si riallaccia alle precedenti sentenze 27 febbraio 1980, nella causa 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA, in questa Rassegna, 1980, I, 272, con nota di CONTI, relativa ai contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquavite destinata alla vendita al minuto, e 15 luglio 1982, nella causa 216/81, CoGis, ibidem, 1982, 913, relativa alla sovrimposta di confine e al diritto erariale che colpivano !'whisky importato. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 287 4. -In considerazione del fatto che non esiste in Italia alcuna regolamentazione di tutela della denominazione d'origine o di provenienza per le acqueviti di produzione nazionale -essenzialmente quelle chiamate grappa -la Commissione sosteneva che detto regime aveva creato, col criterio sopra descritto, una sotto-categoria fiscale che portava a gravare maggiormente la quasi totalit delle acqueviti importate dagli altri Stati membri rispetto ai prodotti nazionali analoghi o concorrenti. 5. -Ritenendo pertanto questo regime incompatibile con l'art. 95 del Trattato, essa apriva la procedura di cui all'art. 169 del Trattato ed emetteva, il 2 febbraio 1979, un parere motivato concernente sia la tassazione maggiorata del gin, sia quella delle acqueviti a denominazione di origine o di provenienza prodotte negli altri Stati membri. Con tale parere essa affermava che mantenendo ~l suddetto regime di tassazione, la Repubblica Italiana aveva trasgredito gli obblghi derivantile dall'articolo 95 del Trattato e l'invitava ad adottare i provvedimenti necessari ad ovviare alla suddetta trasgressione. 6. -Non avendo la Repubblica Italiana ottemperato all'invito, la Commissione ha proposto il presente ricorso. 7. -La Commissione, le cui conclusioni sono sostenute dal Governo del Regno Unito, assume, essenzialmente, che il regime di tassazione differenziata di cui causa ha l'effetto di gravare la quasi totalit delle acqueviti importate dagli altri Stati membri pi onerosamente della quasi totalit delle acqueviti italiane e di proteggere in tal modo la produzione nazionale. Pur riconoscendo che consentito agli Stati membri prevedere aliquote di tassazione differenziata anche per prodotti similari o concorrenti nell'osservanza delle condizioni stabilite dalla Corte nella sentenza 14 febbraio 1981 (Vinai, 46/80, Racc. 1981, pag. 77), la Commissione sostiene che i criteri scelti dal Governo italiano non soddisfano tali requisiti. Il criterio tratto dalla denominazione d'origine o di provenienza controllata ha l'effetto di escludere, a priori, dall'ambito di applicazione dell'aliquota meno elevata la quasi totalit delle cqueviti importate, riservandone il beneficio alla quasi totalit della produzione italiana, sebbene il fatto che altri Stati membri regolamentino la tutela della denominazione d'origine o di provenienza delle acqueviti non differenzi queste acqueviti da quelle italiane in misura suffiiente a poter giustificare il diverso trattamento. A sostegno della sua tesi, la Commissione sottolinea che il prezzo base -tasse escluse -di talune acqueviti importate analogo a quello di taluni prodotti italiani; tale confronto contraddice l'affermazione del Governo italiano secondo cui i prodotti rJ1111111111111111~11J11111r11111:11111111JJ1l1111111111111.-1.a 288 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO soggetti ad aliquota pi alta vengono consumati da clienti che si servono di preferenza di prodotti di lusso o di prestigio e che hanno maggiori capacit contributive. 8. -Il Governo della Repubblica Italiana, sia durante il procedimento amministrativo, sia nel corso della fase giurisdizionale della presente causa, non ha smesso di contestare l'asserita trasgressione. Esso osserva, anzitutto, che secondo la costante giurisprudenza della Corte gli Stati membri possono istituire sistemi impositivi diferenziati, anche per prodotti identici, in funzione di criteri obiettivi, come le condizioni di produzione e le materie prime impiegate (22 giugno 1976, Bobie, 127/75, Racc. 1976, pag. 1079; 10 ottobre 1978, Hansen, 148/77, Racc. 1978, pag. 1787; 8 gennaio 1980, Schneider, 26/80, Racc. 1980, pag. 3469; 14 gennaio 1981, Chemial, 140/79, e Vinal, 46/80, Racc. 1981, pagg. 1 e 77; 27 maggio 1981, Essevi e Salengo, 142 e 143/80, Racc. 1981, pag. 1413). Esso sottolinea in particolare che, nelle due sentenze 14 gennaio 1981, Chemial e Vinai, la Corte ha riconosciuto che l'applicazione di un sistema di tassazione differenziata non pu essere considerata come una protezione indiretta della produzione nazionale ai sensi dell'art. 95, 2 comma, per il solo fatto che il prodotto tassato in misura maggiore , in pratica, un prodotto esclusivamente importato dagli altri Stati membri. 9. -Secondo il Governo italiano, la maggiore tassazione del gin e delle acqueviti a denominazione d'argine o di provenienza disciplinate o tutelate da disposizioni specifiche sul territorio di produzione risponde a criteri obiettivi. La maggiore aliquota IVA che grava su queste acqueviti corrisponderebbe alla legittima preoccupazione, peculiare ad ogni regime IVA, di applicare aliquote diverse ai prodotti di consumo che rispondono ad esigenze essenziali o, comunque, necessarie, a quelli non necessari e, infine, a quelli di prestigio o di lusso. 10. -Le acqueviti protette da una denominazione d'origine o di provenienza rientrerebbero, proprio per tale caratteristica, nell'ultima categoria, e sarebbero pertanto particolarmente ricercate dalle classi sociali pi agiate, cosicch la loro maggiore tassazione intende soltanto colpire pi pesantemente, per ragioni di giustizia distributiva, un consumo di lusso che costituisce, come tale, indice di una pi elevata canacit contributiva . Il regime di tassazione di cui causa risponderebbe pertanto alle esigenze di obiettivit e di neutralit necessarie a giustificare, nell'osservanza dell'art. 95, le tassazioni differenziate di prodotti analoghi o concorrenti. 11. -In linea di fatto, il Governo italiano osserva inoltre che il gin di produzione nazionale -il cui volume supera quello dei prodotti importati - gravato, per le medesime considerazioni, dell'aliquota pi ~j !! ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 289 alta. Esso aggiunge che la maggiore tassazione delle acqueviti a denominazione d'origine o di provenienza controllata non ha avuto l'effetto, vietato dall'art. 95, 2 comma, di proteggere altre produzioni. I dati statistici dedotti dalle due parti dimostrerebbero infatti che l'importazione in Italia da altri Stati membri -specialmente dal Regno Unito e dalla Francia -sia di gin che di acqueviti a denominazione d'origine o di provenienza era complessivamente aumentata in forte misura dal 1971 al 1981. 12. -Prima d'esamnare le varie tesi sostenute nella presente causa, va constatato che -come si desume dal tenore letterale del ricorso ed stato confermato dalla Commissione all'udienza -la causa non riguarda la tassazione del gin, ma solo quella delle acqueviti a denominazione d'origine o di provenienza controllata o disciplinata da norme specifiche sul territorio di produzione. 13. -In merito a dette acqueviti, il Governo della Repubblica Italiana ha ragione di ricordare che, secondo la giurisprudenza costante della Corte il diritto comunitario non limita, nello stadio attuale della sua evoluzione, la libert di ciascuno Stato membro di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in funzione di criteri obiettivi. Siffatte differenziazioni sono compatibili col diritto comunitario purch perseguano scopi di politica economica compatibili, anch'essi, con gli imperativi del Trattato e del diritto derivato, e le loro modalit siano tali da evitare qualsiasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, nei confronti dei prodotti importati dagli altri Stati membri, o di protezione a favore di prodotti nazionali concorrenti (sentenza 27 maggio 1981, Essevi e Salengo, 142 e 143/80, Racc. 1981, pag. 1413). 14. -Non si pu, del resto, contestare che, nell'ambito dei regimi armonizzati di imposta sul valore aggiunto, gli Stati membri hanno la facolt di gravare maggiormente, in particolare, certi beni di consumo considerati prodotti di lusso. Tuttavia, la libert d'imposizione in materia di tributi nazionali, che deve pertanto essere lasciata agli Stati membri, non pu legittimare deroghe al principio fondamentale di non discriminazione fiscale di cui all'art. 95, ma deve rientrare nell'ambito di detta norma e rispettarne i divieti. 15. -L'esame del regime di cui causa porta a concludere che esso non soddisfa tali condizioni. 16. -Come ha ripetutamente ammesso la Corte, fra l'altro, nelle sentenze 27 febbraio 1980 (Commissione e/ Francia, 168/79; Commissione e/ Italia, 169/78 e Commissione e/ Danimarca, 171/78, Racc. 1980, pagine 347, 385 e 447), fra tutte le acqueviti vi un indeterminato numero 290 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Idi bevande che vann qualificate prodotti similari ai sensi dell'art. 95, 1 comma, ed anche nei casi in cui non possibile riscontrare un suffi li ciente grado d'analogia fra i prodotti considerati, esistono tuttavia fra I lli tutte le acqueviti propriet comuni sufficienti per costituire un rapporto di concorrenza almeno parziale o potenziale. Basta questa constatazione per desumere che la loro rispettiva tassazione non deve avere effetto protezionistico della produzione nazionale. Onde valutare quest'effetto, necessario, lasciando da parte il raffronto di dati relativi al consumo e all'importazione, considerare quale sarebbe il mercato potenziale dei prodotti di cui trattasi in assenza di misure protezionistiche. 17. -Trattandosi di prodotti sia similari, sia in rapporto di concorrenza, che rientrano quindi nell'ambito d'applicazione dell'art. 95, 2 comma, non si pu pertanto ritenere compatibile col divieto di discriminazione posto da detta norma un criterio di tassazione maggiorata, quale quello di denominazione d'origine o di provenienza, che, per definizione, non possa comunque venir applicato ai prodotti nazionali analoghi o che si trovino nel suddetto rapporto di concorrenza coi prodotti importati da altri Stati membri. Un regime del genere ha l'effetto d'escludere a priori i prodotti nazionali dal regime di tassazione pi oneroso, in quanto essi non soddisferanno mai le condizioni della tassazione maggiorata e dipende solo dalla volont del legislatore nazionale -non instaurando un regime generale da applicare a tutte le acqueviti -prolungare indefinitamente tale situazione indipendentemente, peraltro, dalle similitudini o dalle discordanze nelle condizioni di produzione, di qualit, di prezzo e di concorrenza fra prodotti nazionali e prodotti importati dagli altri Stati membri; 18. -Siffatto carattere discriminatorio e, comunque, protezionistico della produzione nazionale posto in piena luce dalla constatazione, che risulta dai dati statistici forniti dalla convenuta, che, per il periodo 1975-1981, almeno il 98,5 O/o delle acqueviti importate stato tassato coll'aliquota maggiorata del 35 O/o (secondo la valutazione del Governo italiano, l'Italia importava solo hl. 2.000-3.000 di acqueviti tassate al 18 % , su un'importazione annua complessiva oscillante fra hl. 194.099 ed hl. 284.087), mentre, per lo stesso periodo, pi del 98,5 % delle acqueviti italiane ha fruito dell'aliquota del 18 % (il consumo annuo di gin italiano soggetto ad imposta del 35 % stato stimato a hl. 4.000 circa, mentre il consumo complessivo di acqueviti nazionali variava da hl. 266.978 ad hl. 368.644 annui). 19. -Non si pu inoltre trascurare il fatto che se fra le denominazioni d'origine o provenienza talune possono essere tali da conferire ai prodotti che ne beneficiano una reputazione di qualit, esse non conferiscono, per questo, in linea generale ed automatica alle acqueviti a cui n I fil . J. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE si riferiscono il carattere di beni di consumo di lusso o di prestigio. Cosa che avviene, in particolare, quando queste non hanno tale carat tere nello Stato membro d'origine. 20. -Se del resto -e non ha potuto essere dimostrato -la presunzione di prodotto di lusso o di prestigio che la normativa italiana desume dalla denominazione d'origine o di provenienza dovesse, momentaneamente, corrispondere, nell'uno o nell'altro Stato membro, a precedenti abitudini di consumo, si deve tener conto del fatto che la creazione di un mercato comune nel quale, in conformit agli artt. 2 e 3 del Trattato, le merci circolano liberamente in condizioni di concorrenza non falsata, ha lo scopo d'eliminare simili cristallizzazioni delle abitudini di consumo garantendo, quanto pi possibile, a tutti i consumatori le medesime possibilit d'accedere all'insieme dei prodotti comunitari. 21. -Va infine sottolineato che le suddette considerazioni non limitano affatto la facolt degli Stati membri di stabilire, nell'osservanza delle direttive in materia, un'aliquota IVA pi alta per i prodotti di lusso rispetto ai prodotti nazionali o importati che non abbiano tale carattere, purch tuttavia i criteri scelti per determinare la categoria pi colpita non siano discriminatori nei confronti dei prodotti importati analoghi o che siano nel rapporto di concorrenza di cui all'art. 95, 2 comma, coi prodotti nazionali. 22. -Dalle suddette considerazioni risulta che, applicando alle acqueviti una tassazione differenziata in funzione del criterio della denominazione d'origine o di provenienza -come risulta dal decreto legge 4. marzo 1977, n. 58, relativo all'IVA -la Repubblica italiana ha trasgredito, per quanto riguarda i prodotti importati dagli altri Stati membri, gli obblighi derivantile dall'art. 95 del Trattato CEE. (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 15 marzo 1983, nelle due cause 61/82 e 62/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Rozs -Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle C.E. (ag. Campogrande). Comunit Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) -Liqlddazione dei conti Vendita di cereali di intervento. (Regolamento e.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; reg. e.E.E. della Commissione 27 febbraio 1970, n. 376, artt. 1 e 3). Comunit Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti Aiuti per il latte scremato in polvere. (Regolamento C.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; reg. C.E.E. della Commissione 15 maggio 1972, n. 990, art. 1). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 292 Comunit Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garan zia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Aiuti al magazzinaggio del vino. (Regolamenti e.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 28 aprile 1970, n. 816, artt. 5, 6 e 7; reg. e.E.E. della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437). Comunit Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Aiuti all'ammasso di formaggio. (Regolamenti C.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 15 luglio 1968, n. 971, artt. 10 e 11; reg. e.E.E. della Commissione 27 luglio 1968, n. 1107, art. 17). Comunit Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garan zia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti Aiuto all'ammasso di carni essiccate. (Regolamento C.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; reg. e.E.E. della Commissione 11 ottobre 1974, n. 2600). Nel 1974 l'organismo di intevento italiano non poteva vendere i cereali detenuti ad un prezzo inferiore a quello di mercato, secondo quanto stabilito nel regolamento CEE della Commissione 27 febbraio 1970, n. 376, in quanto preoccupazioni di carattere sociale, quali l'intento di frenaire fenomeni speculativi, avrebbero potuto legittimare opportune iniziative dirette ad ottenere, nell'ambito comunitario, l'adeguamento della normativa da applicare, ma non avrebbero dovuto condurre ad una interpretazione dei regolamenti comunitari in contrasto con la loro lettera e con le loro finalit: pertanto legittimo l'accredito al F.E.O.G.A. di una somma corrispondente al minore introito della vendita (1). Gli aiuti al latte scremato trasformato in alimenti composti per animali possono essere corrisposti solo per il quantitativo di prodotto effettivamente utilizzato nella fabbricazione dei mangimi, senza tener conto dei cali di lavorazione: le somme erroneamente corrisposte dall'organismo di intervento italiano per il prodotto disperso in cali di lavorazione effettivi non sono imputabili al F.E.O.G.A. (2). Gli aiuti al magazzinaggio privato de? vino, previsti e disciplinati dai regolamenti CEE del Consiglio n. 816/70 del 18 aprile 1970 e della Com missione n. 1437/70 del 20 luglio 1970, sono legittimamente corrisposti, e come tali imputabili al F.E.O.G.A., solo se i relativi contratti di ma (1-5) La Commissione prosegue in una linea di interpretazione rigidissima, e non sempre molto convincente, anche per Ia sinteticit delle motivmoni adottate, dei regolamenti comunitari. che contemplano spese che fanno carico al F.E.0.G.A. (cfr. la precedente sentenza 27 gennaio 1981, nella causa n. 1251/79, ITALIA c. COMMISSIONE, in questa Rassegna, 1981, I, 172, e le. altre sentenze, ivi citate, che hanno respinto analoghi ricorsi di altri Stati, ctii adde, ora, la sentenza 15 marzo 1983, nella causa 45/82, PAESI BASSI c. COMMISSIONE, che ha visto anch'essa soccombente lo Stato ricorrente). La constatazione della rigidit con la quale la Corte e prima di essa la Commissione controllano la impu Pi\R.Tll I, SllZ. II, GlURIS. COMUNITi\RIA E INTERNAZIONALE 293 gazzinaggio siano stati stipulati nei termini prescritti dalla normativa comunitaria con la stesura di atto scritto, previa verifica di tutti gli elementi pertinenti da parte dell'ente di intervento (3). Gli aiti al magazzinaggio privato del formaggio, previsti e disciplinati dai regolamenti CEE del Consiglio n. 971/68 del 15 luglio 1968 e della Commissione n. 1107/68 del 27 luglio 1968, sono legittimamente corrisposti, e come tali imputabili al F.E.O.G.A., solo se i relativi contratti di magazzinaggio siano stati stipulati nei termini prescritti dalla normativa comunitaria con la stesura di uno specifico atto scritto (4). Gli aiuti _all'ammasso privato di carni essiccate, di cui al regolamento eE Stato, del verbale di costituzione in ammasso, che precisa la data di inizio dell operazioni di introduzione in magazzino, va equiparata alla conclusione di un contratto. 23. -A parere della Commissione, un contratto di ammasso si mtende conluso, ai sensi dell'art. 10 del regolamento n. 971/68, solo al momento della sottoscrizione, da parte dell'ammassatore e del rappresentante dell'ente di intervento, dell'atto scritto contenente le condizioni del contratto. Essa ricorda, al riguardo, che a norma dell'art. 11 del regolamento n. 971/68, il contratto di ammasso deve almeno comprendere disposizioni riguardanti la quantit di formaggio immagazzinata, l'importo dell'aiuto, le date relative all'esecuzione del contratto, le condizioni concernenti la quantit minima di formaggi per partita e le misure di controllo. 24. -Il Governo italiano si fonda essenzialmente sull'argomento secondo cui la conclusione di un contratto di ammasso di formaggi disciplinata dal diritto nazionale. A differenza delle norme comunitarie in materia di magazzinaggio di vino, oggetto della sentenza 27 gennaio 1981, quelle relative all'ammasso di formaggio non richiederebbero alcuna forma particolare per il contratto. Orbbene, le norme generali del diritto civile italiano dispongono che il contratto concluso nel momento dell'incontro di volont fra le parti. Inviando all'A.I.M.A. una domanda per la concltisione di un contratto d'ammasso, l'ammassatore farebbe una proposta all'A.l.M.A. che verrebbe accettata da quest'ultima al momento della stesura del verbale di constatazione dei quantitativi di formaggio costituiti in ammasso. L'atto scritto, in forma di disciplinare, che l'interessato successivamente invitato a sottoscrivere, si limiterebbe a riassumere, a fini contabili, le operazioni gi eseguite. 25. -La Commissione muove, come il Governo italiano, dal presupposto che la conclusione del contratto d'ammasso sia disciplinata, nella specie, dalla legge italiana. A suo parere, le norme nazionali inerenti alle attivit dell'A.I.M.A. dispongono tuttavia che il contratto fra tale ente e l'ammassatore concluso nel momento in cui questo ultimo appone la propria firma all'atto di sottomissione col quale si impegna ad osservare le condizioni elencate nel disciplinare. 26. -Va fatto rilevare che le norme comunitarie, pur non fissando espressamente la forma del contratto d'ammasso di formaggio, si basano sul presupposto che ogni operazione di ammasso, onde beneficiare dell'aiuto comunitario di cui all'art. 10, n. 2, del regolamento n. 971/68, dev'essere .preceduta dalla stipulazione di un contratto scritto. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 298 27. -Tale requisito discende innanzitutto dal preambolo del regolamento n. 971/68 ove, dopo la considerazione che l'ammasso privato deve contribuire a realizzare l'equilibrio del mercato, si fa osservare che varino adottate norme comunitarie che assicurino il regolare funzionamento di tale forma di ammasso e che a tal fine necessario, in particolare, prevedere un contratto d'ammasso stipulato secondo norme comunitarie . 28. -Si rica-va poi dalle norme comunitarie pertinenti ed in particolare dall'art. 11 del regolamento n. 971/68, che elenca talune disposizfoni da inserire obbligatoriamente nel contratto di ammasso, che quest'ultimo pu avere soltanto forma scritta. La stessa conclusione di~ cende dall'art. 17, n. 2, del regolamento della Commissione 27 luglio 1968, n. 1107, relativo alle modalit di applicazione degli interventi, sul mercato dei formaggi Grana padano e Parmigiano Reggiano (G. U. n. L 184, pag. 29), a norma del quale l'assuntore perde il beneficio dell'aiuto se quantitativi di formaggio compresi nel contratto escono dall'ammasso prima della scadenza contrattuale. 29. -La stessa interpretazione si impone, infine, alla luce degli scopi perseguiti dal regime di intervento di cui trattasi. Detto regime, che rientra nell'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, mira a contribuire alla stabilizzazione di questi mercati, fra l'altro, tramite un aiuto comunitario all'ammasso privato di taluni formaggi, stabilizzazione che pu essere raggiunta solo se l'effettiva sottrazione dal mercato dei quantitativi di formaggio oggetto dei contratti di ammasso viene garantita da norme comunitarie. 30. -Ne consegue che, ai sensi del regolamento n. 971/68, il contratto di ammasso viene concluso soltanto al momento della firma dell'atto scritto. D'altro canto, le disposizioni nazionali che disciplinano le attivit dell'A.I.M.A. precisano le modalit di sottoscrizione dei contratti di ammasso proprio per soddisfare tale requisito posto dal diritto comunitario. 31. -La doglianza del Governo italiano in ordine all'esclusione dall'imputabilit al F.E.A.0.G. di talune spese relative agli aiuti all'ammasso di formaggio non pu pertanto essere accolta. (omissis) II (omissis) 1. -Con atto registrato in cancelleria 1'11 febbraio 1982, la Repubblica italiana ha presentato a questa Corte, ai sensi dell'art. 173, 1 comma, del Trattato CEE, un ricorso diretto all'annullamento della decisione della Commissione 16 novembbre 1981, n. 81/1044, relativa alla liquidazione dei conti presentati dalla Repubblica italiana per le spese ~ ~ PARTE I,., SEZ. lI, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 299 dell'esercizio 1975 finanziate dal Fondo europeo agriclo di orieptamento e di gaFanzia, sezione garanzia (G. U. n. L 375, pag. 27), in quanto la Commissione non ha imputato al F.E.A.Q.G. un importo di L. 8.395.731.522 relativo ai versamento di aiuti inerenti al latte scremato in polvere utilizzato per l'alimentazione degli animali, all'ammsso di carni essiccate, al magazzinaggio di vino e all'ammasso. di formaggio. (o11Ji~sis) (1) b) Aiuti all'ammasso di carni essiccate 10. -Il regolamento della Commissione 11 ottobre 1974, n . .2600, che tl1odifica il regolamento :n. 289/71 per quanto riguarda le modalit di applicazione della concessione di aiuti all'ammass privato di alcuni prodotti. stagionati o stagionati e affumicati del settore delle carni suine (G. U, n. L 277, pag. 34) dispone, all'art. 2, che l'ammasso effettivo (le;L :t?t9sciutti stai?;ionati o stagionati e affumicati inizia il primo giorno ciel)sesto mese successivo all'inizio delle operazioni di stagionatura o di .stagionatura .e affumicatura. H. -La Chtroversia fra le parti riguarda l'espressione inizio delle perazioni di stagionatura o di stagionatura e affumicatura. Il Governo italiano considera come inizio delle operazioni la data della pesatura della pt.ima partita di prodotto fresco oggetto di ciascun contratto di ammasso. Per la Commissione, l'operazione ha avuto inizio soltanto quando essa ha interessato tutti i prodotti costituenti la partita da immagazzinare. 12. -La Commissione ricorda, al riguardo, che la nozione di prosciutto stagionato o stagionato e affumicato viene precisata all'art. 1 del regolamento n. 2600/74, nel senso che si richiede che il prodotto abbia subito un periodo minimo di maturazione di 5 mesi. Di conseguenza, solo un prodotto gi sottoposto a tale maturazione potrebbe essere ammesso a beneficiare dell'aiuto comunitario all'ammasso dci prosciutti stagionati o stagionati e affumicati. 13. -La tesi propugnata dalla Commissione va accolta. L'interpre tazione data dal Governo italiano porterebbe infatti a far sovvenzionare, almeno parzialmente, i prodotti di cui causa anche durante il periodo della maturazione, mentire il regime degli aiuti si propone di consentire la sottrazione dal mercato di prodotti in possesso di tutti i requisiti per esservi immessi. 14. -Questo capo della domanda quindi infondato. (omissis) (1) Cl) Si omettono le parti della motivazione relative agli aiuti inerenti al latte scremato in polvere, al magazziinaggio del vino e all'ammasso del formaggio, in quanto identiche a quella della sentenza che precede. 300 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 22 marzo 1983, nella causa 88/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana nella causa Amministrazione delle Finanze c. Leonelli - Interv.: Governo italiano (avv. Stato Laporta) c. Commissione delle C.E. (ag. Campogrande). Comunit Europee -Unione doganale -Dazi doganali e tasse di effetto equivalente -Importazione da paesi terzi -Carni fresche di volatili da cortile -Diritti di visita sanitaria -Regime provvisorio. (Regolamento e.E.E. del Consiglio 13 giugno 1967, n. 123, art. 11; direttiva e.E.E. del Consiglio 15 febbraio 1971, n. 71/118, art. 15). Per le importazioni di carni fresche di volatili da cortile da paesi terzi, la deroga introdotta dall'art. 15 della direttiva del Consiglio 15 febbraio 1971, n. 71/118, al divieto di esigere dazi doganali o tasse d'effetto equivalente, sancito dall'art. 11 n. 2, del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 123, si applica a far data dalla notifica della suddetta direttiva allo Stato membro interessato, indipendentemente dal fatto che questo ultimo abbia o meno adottato i provvedimenti necessari per conformarsi alle disposizioni della direttiva stessa (1). (Omissis) 1. -Con ordinanza 15 maggio 1981, pervenuta il 12 marzo 1982, la Corte Suprema di cassazione ha proposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa < all'interpretazione dell'art. 15 della direttiva del Consiglio 15 febbraio 1971, n. 71/118, relativa a problemi sanitari in materia di scambi di carni fresche di volatili da cortile (G. U. n. L 55, pag. 23). 2. -Detta questione stata sollevata nell'ambito di una causa intentata dai sigg. Armando e Ottavio Leonelli contro l'amministrazione italiana delle finanze onde vederla condannare alla restituzione delle somme versate quali diritti di controllo sanitario a fronte d'importazioni, fra (1) Pronuncia conforme alla soluzione proposta dal Governo italiano, il quale aveva osservato che l'operativit della deroga introdotta dall'art. 15 della direttiva non era subordinata a condizione alcuna, e in particolare all'adozione da parte dello Stato membro delle norme di attuazione della dirett.iva stessa (contenute in Italia nel d.P.R. 12 novembre 1976, n. 1000). Per la nozione di tassa di effetto equivalente a un dazio doganale, nella giurisprudenza della Corte, cui la sentenza si richiama nel punto 7, cfr. le sentenze citate in FIUMARA, Corte di Giustizia delle Comunit Europee e libera circolazione delle merci, in questa Rassegna, 1978, II, pag. 3, e Le pi recenti sentenze della Corte di Giustizia sulla libera circolazione delle merci, ibidem, 1980, II, pag. 78, e, in particolare, riguardo a diritti per controlli sanitari di carni importate da paesi terzi, oltre la sentenza, citata in motivazione, 22 gennaio 1980, nella causa 30/79, WIGEI, in Racc. 1980, 151, le sentenze 28 giugno 1978, nella causa 70/77, SIMMENTHAL, in Racc., 1978. PARTE I, SEZ. 11, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 301 l'altro di pollame vivo e di carni fresche di volatili da cortile dall'Ungheria, effettuate fra H 1968 e il 1975. I sigg. Leonelli hanno sostenuto che tali diritti erano stati riscossi in violazione dell'art. 11, n. 2, del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 123 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del pollame. (G. U. pag. 2301). Tale norma vieta, fra l'altro, salvo disposizioni contrarie dello stesso regofamento o deroga decisa dal Consiglio, la riscossione di qualsiasi dazio doganale o tassa d'effetto equivalente sulle importazioni di pollame da paesi terzi. 3. -Tuttavia, l'art. 15 della precitata direttiva del Consiglio n. 71/118 dispone che fino all'entrata in vigore delle disposizioni comunitarie relative alle importazioni di carni fresche di volatili da cortile in provenienza da paesi terzi, gli Stati membri applicano a tali importazioni disposizioni almeno equivalenti a quelle risultanti dalla presente direttiva . 4. -A norma dell'art. 16 della stessa direttiva, gli Stati membri erano tenuti ad adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni della direttiva, per quanto concerne gli scambi intracomunitari, entro due anni dailla notifica stessa. 5. -Ritenendo subordinata la sentenza da pronunciare all'interpretazione delle suddette norme di diritto comunitario e, pi in particolare, del combinato disposto di tali norme, la Corte Suprema di cassazione ha sospeso il procedimento sottoponendo a questa Corte la questione di ... interpretazione dell'art. 15 della direttiva del Consiglio 71/118 relativa a problemi sanitari in materia di scambi di carni fresche di volatili da cortile, affinch accerti se la deroga da detta norma introdotta al divieto di esigere dazi doganali diversi da quelli indicati nella tariffa doganale comune e tasse nazionali d'effetto equivalente (divieto sancito nel regolamento CEE n. 123 del 13 giugno 1967 relativo all'orga1453, e 5 luglio 1978, nelle cause 137/77, NEUMANN, dn Racc. 1978, 1623 e 138/77, LUDWIG, in Racc., 1978, 1645, ove la Corte rileva come gli obiettivi e le basi giuridiche non siano identici per gli scambi con i paesi terzi e per l'interscambio comunitario: per quest'ultimo il divieto delle tasse di effetto equivalente inteso a realizzare il principio fondamentale della libera circolazione delle merci, mentre nei confronti dei paesi terzi la questione della riscossione di tali tasse dipende dai principi della politica commerciale comune e dall'esigenza di parificazione delle condizioni di importazione, derivante dall'istituzione della tariffa doganale comune; H divieto quindi incondizionato e assoluto negli scambi dntercomunitari, mentre la regolamentazione comunitaria pu ammettere eccezioni e deroghe negli scambi esterni, purch si tratti unicamente di oneri aventi, iD. quanto tali, incidenza uniforme in tutti gli Stati membri sugli scambf considerati. 302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nizzazione comune dei mercati nel settore del pollame) e, conseguen4 temente, il potere per ogni Stato membro di continuare ad esigere detti tributi siano subordinati anche alla condizione ch'esso abbia gi ~l adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla citata direttiva . I 6. -Tale questione mira sostanzialmente a stabilire se, per le importazioni di carni fresche di volatili da cortile in provenienza dai paesi terzi, la deroga stabilita dall'art. 15 della direttiva n. 71/118 al divieto I di riscuotere dazi doganali o tasse d'effetto equivalente, enunciata all'art. 11, n. 2, del regolamento n. 123/67, si applichi a decorrere dalla notifica della suddetta direttiva allo Stato membro interessato ovvero se la sua applicazione dipenda dalla ulteriore condizione che tale Stato membro abbia gi adottato i provvedimenti necessari a conformarsi alle disposizioni della direttiva stessa. 7. -Come la Corte ha constatato nella sentenza 22 gennaio 1980 (causa 30/79, Wigei, Racc. pag. 151), l'art. 11, n. 2, del regolamento n. 123/67 vieta effettivamente, salvo deroga decisa dal Consiglio, la riscossione, negli scambi con i paesi terzi di carni fresche di volatili, di diritti doganali diversi da quelli indicati nlla tariffa doganale comune o di tasse nazionali d'effetto equivalente. In forza di una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale riguarda gli oneri pecuniari, di qualsiasi entit, imposti per ragioni di controllo sanitario degli animali e delle carni bovine importati dai paesi terzi, a meno che tali oneri facciano parte di un sistema generale di tri?uti interni gravanti sistematicamente, secondo gli stessi criteri e nella stessa fase di distribuzione, sia sulle merci nazionali, sia su quelle importate. 8. -La deroga apportata a tale divieto dall'art. 15 della direttiva n. 71/118 ha ilo scopo, come la Corte ha altres gi constatato nella precitata sentenza 22 gennaio 1980, di sancire, in via provvisoria, in attesa dell'attuazione del sistema comunitario di controlli sanitari relativo alle importazioni di carni fresche dai paesi terzi, un principio da applicare ai regimi nazionali rimasti in vigore. Scondo tale principio, i controlli relativi alle importazioni dai paesi terzi e i diritti riscossi in ragione di essi non debbono essere pi favorevoli di quelli che, ai sensi della direttiva, disciplinano gli scambi comunitari al fine di impedire cos che gli operatori economici i quali immettono sul mercato carni fresche di origine comunitaria siano sfavoriti rispetto ai loro concorrenti i quali importano carne da paesi terzi. 9. -Dalla stessa formulazione dell'art. 15 della direttiva n. 71/118 e dalla sua collocazione nel contesto della direttiva stessa si ricava che da esso imposto agli Stati mmbri, di sottoporre le impor paesi terzi a disposizioni nazionali almeno altrettanto severe e onerose di quelle risultanti dalla direttiva, non subordinato alla conc; lizi()ne cije ~$i ~bbi<1:nC> gi, adpttatoi provvedimenti necess~i per conformarsi alle disp()sizioni della direttiva e dipende dalla sola condizione della notifica della direttiva allo Stato.. membro. ... < : '. ..: .: . . >10, ., Tlifo; punto J.U. .'Yb~ta ,cpnforme allo scopo della norma di cui ~.ca\l~il c.i effett9 utile dsUlteJ:"ebbe compromesso ove la deroga ivi cohtenuta si ap];>licasse soltant<>< dopo l'attuazione, da parte dello Stato j_lleml:>ro igt~rei;i;i;ito.delle disposizioni della direttiva. Se si ammettesse 1 .. .ll.l;l! sijfatt,a JnteJl>re~iQ:ne> i prodotti provenienti dai paesi terzi po. trebberQ entrarec nella. Comunit . attraverso uno Stato membro non ~~ora ~<)nformat9si.aua direttiva e circolare liberamente senza essere a:~i;og~ettli\t~ agli pneri relativi al loro controllo sanitario mentre altri Sta.ti metnl:>ri, iJ:l;yece, avrebbero gi dato attuazione alla direttiva stessa . . Qrb~ne{ ci avrebbe . la conseguenza di sfavorire le importazioni da ta.U llltirrd .Stati membri, in contrasto col principio della preferenza coml.il!litai:ia; non:soltanto nei confronti dei prodotti deMo Stato membro ~i euf s. tratta, ma anche nei confronti dei prodotti, provenienti dai paesi te.i'zi} importati nella Comunit attraverso tale Stato membro. 11 " \Tl;l! aggito che la deroga di cui all'art. 15 della direttiva n;, 7U118 rigul:lrcl:a solo le importazioni di carni fresche di volatili da c9rtAe .e 11n, '\fV~4imet1.H !J.ec~sari a . conformarsi alle disposizioni della direttiva stessa (omissis) .. SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4198 -Pres. Berri - Rel. Vela -P. M. Grimaldi -Pistacchi (avv. Raffaelli) c. Presidenza Consiglio dei Ministri (avv. Stato Cerocchi). Competenza civile -Azione di indebito arricchimento nei confronti della p.a. -Riconoscimento implicito -Irrilevanza -Imputabilit giuridica alla p.a. delle situazioni dedotte in giudizio Necessit Determinazione economica della prestazione resa Giurisdizione ordinaria. Le prestazioni (nella specie di stenodattilografo) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, effettuate senza la emanazione di un provvedimento o comunque di atto scritto, ma in virt di una assunzione solo verbale, non sono riconducibili n ad un rapporto di impiego pubblico, n~ ad un rapporto di impiego privato di lavoro subordinato secondo la .disciplina della legge 23 luglio 1961 n. 520 (che richiede l'atto scritto), ma hanno rilevanza solo come fatto produttivo di un indebito arricchimento, la cui azione proponibile dinanzi l'A.G.O., anche per la determinazione economica della prestazione resa, se la p. a., di ci consapevole, nulla abbia fatto per respingerla, sicch nell'avvenuta utilizzazione della prestazione da ravvisare, invece di un atto di riconoscimento, un mero fatto dimostrativo dell'imputabilit giuridica alla p. a. della situazione dedotta in giudizio (1). (omissis) La Pistacchi sosil:iene che la Corte d'appello ha violato, con motivazione per di pi contraddittoria ed insufficiente, tutte le norme ed i princpi posti a tutela del rapporto di lavoro subordinato, in (1) Nella motivazione della sentenza possono ravvisarsi, su questioni marginali rispetto all'oggetto del giudizio, alcune precisazioni sulla irrilevanza, per la configurazione del rapporto di impiego pubblico, della esistenza di un atto formale di nomina (cfr. Sez. Un. 19 marzo 1982 n. 1788), tranne se si tratta di rapporto costituito con la Amm.ne dello Stato e sulla inapplicabilit del principio della libert di forma nei confronti della p.a. Ma la sentenza desta particolare interesse laddove, ai fini della proponibilit dell'azione di indebito arricchimento, afferma che sufficiente non il riconoscimento dell'avvenuta utilizzazione della prestazione, bens la imputabilit giuridica alla p.a. della situazione dedotta in giudizio: sulla proponibilit dell'azione qui in esame cfr. Cass. 28 gennaio 1970, in questa Rassegna 1970, I, 67 e Sez. Un. 22 marzo 1983 n. 2008, ivi, ultra, 322; v. anche il Contenzioso dello Stato 1976-80, II, 153. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE quanto di quest'ultimo ha negato l'esistenza, nella specie, per difetto non gi degli elementi strutturali accertati dal Tribunale (continuit, subordinazione, vincolo di presenza e di orario, retribuzione mensile, diritto al riposo settimana[e ed alle ferie), ma di. un requisito formale, qual' quello della forma scritta dell'atto cli costituzione, che non essenziale e condiziona unicamente la configurabilit del rapporto di impiego pubblico. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, invece, oltre ad eccepire che la prospettazione dell'attrice induce proprio a ravvisare un rapporto di impiego pubblico, posto che neppure per esso la giurisprudenza richiede pi ['atto di nomina, denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., violazione dell'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. E, in quanto ritiene che alla Corte di merito fosse inibito l'esame della congruit del compenso a suo tempo gi versato all'attrice, atteso che il discrezionale riconoscimento, da parte della pubblica amministrazione, deN'utilit delle prestazioni... ricevute -riconosciment' che condizione di ammissibilit dell'azione di arricchimento contro la stessa pubblica amministrazione proposta -investe anche la misura dell'utilit conseguita, nella specie gi reputata congrua all'atto del pagamento del compenso suddetto. Entrambe le censure sono infondate. La prima stata contenuta in limiti tanto ristretti da impedire di ravvisare, nella specie, non solo gli estremi dell'impiego pubblico, ma anche quelli del rapporto di lavoro privato. La ricorrente, invero, forse preoccupata di tener lontano da s il rischio di una dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario da lei adito, adduce unicamente di aver reso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri prestazioni lavorative che, pur non essendole state richieste con un qualunque atto scritto, meritano la tutela apprestata dalle leggi civili al rapporto di lavoro subordinato privato, perch questo -ella sostiene -pu instaurarsi tacitamente anche con lo Stato. Tale impostazione preclude anzitutto l'applicazione della pi recente giurisprudenza della Corte, che considera irrilevante, ai fini della configurabilit di un rapporto di impiego pubblico, la indagine sull'emanazione di un formaile atto di nomina del dipendente quando consti l'inserimento di costui nell'organizzazione dell'ente, non tanto perch non contiene neppure l'allegazione che tale inserimento nella specie vi sia stato, quanto perch quella giurisprudenza per un verso esige che almeno esista una documentazione idonea a dimostrare che il rapporto stato instaurato per volont dell'ente (v., per tutte, S.U. 26 maggio 1979, n. 3070), per un altro verso si formata con riguardo agli enti pubblici diversi daMe Amministrazioni centrali dello Stato; basti rammentare che in tutti i casi sino ad ora esaminati di azioni promosse, come quella in esame, contro la Presidenza del Consiglio, risultava che i rapporti erano stati 306 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costituiti con atti scritti: SS.UU. 17 novembre 1978, n. 5337; 11 giugno 1977, ;n. 2439; 25 gennaio 1975, n. 293, ed altre. Del resto, l'esigenza della forma emerge dalla stessa disciplina volta a regolarizzare le situazioni che, come sembra quella denunciata daHa Pistacchi, si verificarono in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero del turismo e dello spettacolo a seguito dell'utilizzazione di personale effettuata senza l'emanazione di appositi provvedimenti. Infatti, la legge 23 giugno 1961, n. 520 previde la stipulazione del contratto per l'assunzione in servizio di tale personale (la previsione testuale per quello, detto appunto a contratto: primi commi degli artt. 2, 5, 6 e 8; ma deve ritenersi formulata, sia pure implicitamente, per quello a prestazione saltuaria, atteso l'accennato scopo di riorganizzazione del settore, proprio dell'intervento legislativo). N potrebbe replicarsi che l'art. 12 assoggett quei rapporti alle norme dell'impiego privato, fra le quali da annoverare la regola della libert della forma dell'atto costitutivo, perch l'argomentazione sarebbe resistita sia, testualmente, dal fatto che dette norme furono rese operanti a condizione che fossero non incompatibili con la presente legge sia, logicamente, dalla contraddizione che altrimenti sul punto che interessa si verificherebbe tra i due tipi di disciplina. Ci vuol dire, poi, per un altro verso, che la convertibilit dell'impiego pubblico in impiego privato pu escludersi, nel caso in esame, anche senza affrontare gli aspetti generali del problema, in virt della stessa legge n. 520 del 1961, dal momento che far luogo alla disciplina del secondo tipo di rapporto per difetto del contratto significherebbe eludere, in pratica, quella legge. Solo per completezza deve aggiungersi, riguardo ancora alla configurabilit del rapporto di lavoro privato, che il principio di libert di forma degli atti di autonomia ha efficacia generale nei confronti dei privati (arg. ex artt. 1325 n. 4 e 1350-1352 cod. civ.), ma non anche degli enti pubblici non economici, i quali, appunto perch non sono organizzati ad imprese, debbono sottostare a determinate procedure allorch intendano concludere contratti di diritto civile, Comunque, esso non vale per le Amministrazioni statali, vincolate all'obbligo di seguire le disposizioni poste dalla legge di contabilit, la quale solo per i servizi che per la loro natura debbono farsi in economia consente deroghe, affidandole, peraltro, ad apposite norme regolamentari (art. 8 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440). N deroghe di tal genere si ravvisano per quanto attiene alla provvista di personale in regime di diritto privato, ch anzi le disposizioni reperibili in materia impongono l'adozione dell'atto scritto: v. ad esempio, gli artt. 3, ultimo comma, e 5 legge 26 febbraio 1952, n. 67, sulla attribuzione, ad ogni amministrazione, della. facolt di assumere operai giornalieri per esigenze impreviste ed indilazionabili; l'art. 3, secondo comma, d. lgs. legt. 17 novembre 1944, l. 335, suM'ammissione di estranei illiiiiliii~~~~c~o~n~s;id:e:r:a~:c:h:e, appunto perch Gittdic:~ d'appello doveva trarne tutte le del Consiglio contestasse l'esorbial compenso versato all'attrice. definitivo chiarimento la tormentata sistemazione in dottrina e in giurisprudenza, ~s~~J~ez.j6ttf1.fuit tile,V'aronio, con la sent. 28 maggio 1975, n. 2157, che il'.:rinbtif nrinr'.iniin scondo cui l'azione esperibile contro un ente pubquest'ultimo abbia riconosciuto l'esistenza della loclu era stato notevolmente incrinato da quando si era ritenuto che tale ammissione potesse ricavarsi anche per implicito, dal fatto che l'ente si fosse servito della cosa o della prestazione resagli indebitamente. Spiegarono allora che il nuovo orientamento risultava pi aderente non solo alla sopravvenuta inclusione della disciplina dell'azione nel codice ivile del 1942, ma anche, e soprattutto, alla garanzia del diritto di agire in giudizio anche contro l'amministrazione pubblica, assicurata a chiunque dagli artt. 24 e 113 Cost. Ed aggiunsero che in sostanza quel che occorre evitare all'ente pubblico il pericolo di subire le conseguenze di iniziative che i terzi, pur presentandosi come ingiustamente depauperati, possano aver preso contro il volere o comunque all'oscuro dei suoi organi rappresentativi: pericolo che quindi pone solo un problema di attribuibilit del vantaggio indebito all'ente e che pu risolversi indagando non tanto se quest'ultimo abbia riconosciuto l'arricchimento, quanto se sia stato a!lmeno consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla, sicch nell'avvenuta utilizzazione della prestazione da ravvisare, invece che un atto di riconoscimento -difficilmente definibile nei suoi caratteri e soprattutto giuridicamente inammissibile, non potendo mai condizionarsi la proponibilit di un'azione ad una preventiva manifestazione di volont del soggetto contro cui essa diretta -un mero fatto, dimostrativo dell'imputabilit giuridica a tale soggetto della situazione dedotta in giudizio. In questa prospettiva, non trova assolutamente spazio la tesi che all'ente pubblico sia riservato il potere di riconoscere non solo il vantaggio in s, ma anche la relativa entit economica: tesi che ad ogni modo inaccettabile, sia perch pone ancora una volta N giudice nella 308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO condizione di dover unicamente prendere atto delle determinazioni del convenuto, sia perch contraddice alla stessa funzione dell'azione, consistente nell'apprestare un rimedio generale per i casi in cui sia possibile risolvere sul piano economico il contrasto fra legalit e giustizia. Pertanto ben poteva la Corte d'app~llo valutare in qual misura la Presidenza del Consiglio si era giovata del lavoro dell'attrice. I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 1 marzo 1983 n. 1526 -Pres. Tam burrino, Est. Sandulli, P. M. Sgroi -Sciarretta (avv. Biagini) c. Corte Conti e Presidenza Consiglio Ministri (v. Avv. Gen. Carafa). I Corte dei Conti Giurisdizione domestica -Questione di legittimit costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza. Corte dei Conti Giurisdizione domestica -Poteri e mancanza del doppio grado di giurisdizioni;) -Questione proposta in sede di giurisdizione Inammissibilit. Corte dei Conti Giurisdizione domestica -Deroga alla normativa generale sulla competenza in materia di pubblico impiego -Legittimit. Sono manifestamente infondate le questioni di legittimit costituzionale degli artt. 3 e 65 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, concernenti la c.d. giurisdizione domestica della Corte dei Conti, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97, 101, 108, 113 della Cost., sotto il profilo della ingiustificata disparit di trattamento riservato ai magistrati della Corte rispetto agli altri dipendenti pubblici (a); sotto il profilo della mancanza di indipendenza dell'organo giudicante cui partecipano alcuni componenti degli organi di governo della Corte (b); per mancanza del doppio grado di giurisdizione (c); in quanto: (sub a) la giurisdizione domestica, non essendo in contrasto con la Costituzione, non pu conseguentemente confliggere con il principio di eguaglianza; sub (b) gli organi della Corte cui sono attribuite funzioni amministrative del personale risultano, istituzionalmente, distinti dalle Sezioni Riunite chiamate a giudicare sulla legittimit degli atti emanati da quegli organi e disciplinate, comunque, dagli istituti dell'astensl.one e della ricusazione; sub (c) l'istituto del doppio grado di giurisdizione ha rilevanza costituzionale solo rispetto alla giurisdizione ordinaria e non riguardo alle giurisdizioni amministrative speciali ed attiene alla concreta struttura del procedimento, e nor. alla esistenza della giurisdizione, non dipendendo dalla norma impugnata la attribuzione della controversia ad altro ordine giurisdizionale (1). (1-3) La sentenza affronta, come chiarito nella motivazione, per la prima volta la questione della legittimit costituzionale della giurisdizione c.d. dome !: PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 309 Non sono ammissibili in sede di gurisdizione le questioni che atten; gono ai poteri della Corte dei Conti, che si assume priva del potere di annullare gli atti impugnati, di dare esecuzione al giudicato e non disciplinata dal doppio grado di giurisdizione (2). E infondata la tesi che, in seguito all'entrata in vigore della Costituzione, la compete!tza a conoscere delle controvers?e d'impiego dei magistrati della Corte spetti al giudice amministrativo, perch la sopravvivenza della c.d. giurisdizione domestica della Corte, derogativa della normativa generale che regola la competenza in materia di pubblico impiego, va giustificata nell'esigenza dell'indipendenza organica e funzionale della Corte, alla quale va assicurata altres una autonomia giustiziale (3). (omissis). Passando, quindi, all'esame dell'unico ricorso ritualmente proposto, vanno presi in considerazione per prima i profili d'incostitu. zionalit delineati in ordine alle norme che prevedono e disciplinano la cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei Conti. Il ricorrente sostiene -ai fini dell'affermazione del difetto {ii giurisdizione delle Sezioni Riunite di detta Corte -l'illegittimit costituzionale: a) degli artt. 3 e 65 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 (t.u. delle leggi sulla Corte dei Conti), per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 104, 113 Cost., in quanto non sarebbero assicurate al magistrato della Corte dei Conti l'imparzialit e la pienezza del giudizio in materia d'impiego pubblico, non essendo l'organ,o giudicante diverso da quello di governo della Corte dei Conti ed essendo lo stesso sprovvisto del potere di annullamento dcl provvedimento impugnato; b) delle disposizioni legislative del cit. r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con gli artt. 3 e 113 Cost., in quanto non prevederebbero, in ordine al procedimento davanti alle Sezioni Riunite, un secondo grado di girisdizione; c) dell'art. 72 del cit. r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto prevederebbe la presenza del pubblico ministero in detto procedimento. Con la memoria difensiva, il ricorrente ha delineato nuovi profili di incostituzionalit, riguardo aH'art. 1 del cit. r.d. n. 1214 del 1934 ed all'art. 5 del r.d.I. 20 giugno 1941, n. 856, per contrasto con gli artt. 3, 25, 97, 101, 108 Cost., in quanto il Presidente della Corte dei Conti, oltre stica rispetto all'art. 3 della Cost. e la risolve precisando che essa non pu confliggere con principi di eguaglianza poich la sopravvivenza di tale giurisdizione stata riconosciuta non in contrasto con la Costituzione . Sulle altre questioni cfr. Cass. 22 giugno 1978 n. 2067 e Cass. 9 ottobre 1982 n. 5166; sul principio del doppio grado cfr. Corte Conti Sez. Riunite, 17 novem bre 1982 n. 73, in Foro it. 1983, Ili, 8, con nota. .. 310 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO a presiedere il Consiglio di Presidenza (organo di governo della Corte), presiederebbe le Sezioni Riunite, di cui farebbero parte anche il Segre" tario Generale della Corte e Presidenti di sezioni membri del cennato Consiglio, ed in quanto una ingiustificata disparit di trattamento sarebbe riservata ai magistrati soggetti alla giurisdizione domestica della Corte dei Conti. Le questioni di illegittimit costituzionale delle norme sulla cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei Conti in relazione alla esigenza di indipendenza dell'organo che la esercita sono state gi portate (con sei ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 25 ottobre 1973 e con ordinanza della seconda sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del 6 maggio 1977) all'esame della Corte Costitu2; ionale, per contrasto con norme fondamentali in parte diverse da quelle indicate nell'ipotesi di specie considerata. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 135 dell'll giugno 1975 -dopo aver ricordato come dal generale sfavore della Costituzione nei riguardi delle giurisdizioni speciali siano esenti quelle del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali militari (stante che la VI disp. trans. della Costituzione le sottrae all'obbligo della revisione ivi sancito) e come, specificatamente per la Corte dei Conti, la questione appaia superata dal comma secondo dell'art. 103 Cost. che, oltre a ribadire la giurisdizione sulla cont~bilit pubblica (assicurandole per questa parte la garanzia costituzionale), ne richiama la giurisdizione nelle altre materie specificate dalla legge -ha ritenuto la legittimit della giurisdizione domestica della Corte dei Conti, considerando che gli organi di detta Corte con funzioni amministrative sul personale sarebbero nettamente distinti dalle Sezioni Riunite, chiamate a giudicarne gli atti; e che l'esigenza dell'imparzialit del giudice non potrebbe essere intesa in modo cos fato e generico da farvi rientrare anche l'interesse che il giudice, come privato cittadino, potrebbe avere alla soluzione specifica dei problemi di diritto inerenti alla controversia portata davanti alla Corte dei Conti. Con la sentenza n. 19 del 7 marzo 1978, la Corte Costituzionale -dopo avere premesso come la rilevanza delle questioni di illegittimit debba escludersi quando manchi il carattere di pregiudizialit della questione di legittimit rispetto a quella di merito -ha ritenuto irrilevanti le questioni di legittimit attinenti alla mancanza d'indipendenza delle Se I zioni Riunite della Corte dei Conti, conseguente a norme regolatrici della I organizzazione degli uffici e dello status dei magistrati della Corte, incidenti sulla serenit ed obiettivit di giudizio, e quindi, sulla indipendenza ~ i. del giudice, nonch sulla effettivit del diritto di difesa e sull'osservanza [ della garanzia di eguaglianza, quando si tratti di violazioni potenziali r= ! (e non attuali) delle garanzie costituzionali e di ipotetiche interferenze I ~ sull'indipendenza di giudizio del giudice a quo. f f i i f: 1 p f .. ............. .. ...................... .. ... ......... ..... .... ........... ... ............... PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Alle nuove questioni d'incostituzionalit prospettate in questa sede non possono, per, opporsi, in via preclusiva, le riportate statuizioni della Corte Costituzionale, giacch la medesima questione di illegittimit pu essere riproposta in qualsiasi momento quando sia raffrontata a norme o principi costituzionali diversi o sia raffrontala alle stesse norme o principi sotto profili ed aspetti nuovi. E .;.;.... poieh lft Corte Costituzionale, nel ritenere irrilevanti (con la sentenza n. 19 del 1978) le questioni di illegittimit innanzi d essa dedotte e nel dichiarare non fondate (con la sentenza n. 135 del 1975) le questioni di .incostituzionalit degli artt. 3 e 65 del T.U. n. 1214 del 1934, in riferimento agli artt. 3 e 108 Cost., ha fatto essenzialmente leva sul sistema normativo risultante dagli artt. 102 e 103, comma secondo, e della VI disposizione finle e transitoria della Costituzione per negare il contrasto della giurisdizione domestic con la Costituzione, lasciando impregiudicato il problema se tutte le singole norme disciplinanti i modi di esercizio di detta giuristlizione e lo stesso organo che la esplica siano, per ci solo, esenti dal, sindacato di legittimit costituzionale -non possono ritenersi preclusi i profili di illegittimit dedotti, attinenti al modo di esercizio della giurisdizione domestica, alla composizione dell'organo che l'esercita ed all'ingiustificata disparit di trattamento riservata ai magistrati che vi sono soggetti, in quanto gli stessi vanno raffrontati, in base alla loro delineazione, con norme fondamentali diverse da quelle in precedenza invocate come parametro di costituzionalit e valutate dal giudice della legittimit delle leggi. Di tali questioni di incostituzionalit va, per, dichiarata la manifesta infondatezza. Riguardo alla questione sollevata con la memoria. difensiva sotto il profilo dell'ingiustificata disparit di trattamento che verrebbe riservata ai magistrati della Corte dei Conti rispetto agli altri dipendenti pubblici, basta rilevare, per affermarne fa manifesta infondatezza, come -essendo stato escluso dalla Corte Costituzionale (sent. n. 135 del 1975) che la sopravvivenza della giurisdizione domestica sia in contrasto con la Costituzione repubblicana -la previsione di detta giurisdizione non possa conseguentemente considerarsi confliggente con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. D'altro canto, l'esigenza dell'uguaglianza (che vorrebbe assegnata la giurisdizione al giudice dell'impiego pubblico) trova il proprio bilanciamento con l'esigenza fondamentale dell'indipendenza e dell'autonomia esterna della Corte dei Conti. Relativamente alla questione profilata sub a) sotto il riflesso della mancanza di garanzia per l'interessato, contro eventua[i abusi a causa del modo di esercizio della funzione giurisdizionale e della composizione dell'organo giudicante, che formato prevalentemente da soggetti investiti del governo della Corte, non sarebbe dotato della necessaria indipen RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO denza, va osservato come tale profilo di illegittimit debba considerarsi manifestamente infondato, giacch gli organi delfa Corte cui sono attribuite funzioni di amministrazione del personale risultano, dal punto di vista istituzionale, nettamente distinti dalle Sezioni Riunite, chiamate a giudicare degli atti da quelli promananti, cui non affidato alcun compito di carattere amministrativo in materia residua, e giacch l'eventuale mera coincidenza nelle stesse persone (Presidente, Segretario Generale, Presidenti di Sezioni, componenti del Consiglio di Presidenza) di I funzioni amministrative e di funzioni giurisdizionali, aventi ad oggetto il modo di esercizio delle prime, conseguenza non del sistema (non essendo connaturata ad esso), ma di mere csualit connesse all'impianto organizzatorio delle funzioni istituzionali, comportanti inconvenienti accidentali cui soccorrerebbero adeguatamente, nel giudizio innanzi al giudice a quo, gli istituti dell'astensione e della ricusazione. Per modo che il problema della mancanza di indipendenza del giudice, confliggente con i principi della Costituzione, sia che lo si imposti sotto il profilo oggettivo sia che lo si consideri sotto l'aspetto soggettivo, non pu portare che al medesimo risultato della manifesta infondatezza. Manifestamente infondate o irrilevanti appaiono, poi, anche le altre questioni di legittimit sollevate dal ricorrente. In particolare, questo sostiene, l'illegittimit costituzionale: a) degli artt. 3 e 65 del r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con gli artt. 3 e 113 Cost., non prevedendo, in ordine alla giustizia domestica, il doppio grado di giurisdizione; b) dell'art. 72 del r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con l'art. 3 Cost., prevedendo nel giudizio domestico la presenza del pubblico ministero. In ordine al primo profilo, sufficiente osservare che la Corte Costituzionale (con la sentenza n. 62 del 1981 e n. 8 del 1982) ha gi chiarito come l'istituto del doppio grado di giurisdizione abbia rilevanza costituzionale ex art. 125, comma secondo, Cost. soltanto rispetto alla giurisdizione amministrativa ordinaria, e non riguardo alle giurisdizioni amministrative speciali (quale quella delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti in tema di giurisdizione domestica) e come siffatto principio sia stato altre volte affermato dalle Sezioni Unite della Corte Suprema (cfr. sent. 22 giugno 1978 n. 3067 e, di recente, sent. n. 5166 del 1982) proprio con riferimento alla giurisdizione domestica. Circa il secondo profilo, basta rilevare come questa Corte Suprema abbia gi escluso, con la sentenza 22 giugno 1978 n. 3067, la rilevanza della questione di illegittimit con esso dedotta, sul riflesso che la stessa, attenendo non all'esistenza della giurisdizione ma alla concreta strutturazione del procedimento, rileverebbe non ai fini del regolamento di giurisdizione, ma del regolare svolgimento del giudizio dinnanzi alla ~: Corte dei Conti, non dipendendo dalla permanenza o eliminazione della j t: !li 313 contro- quesito, occorre muovere dai ---;..>:che in mancanza di un atto di nomina, la possibilit di attribuire na2 tura di pubblico impiego al rapporto di fatto instauratosi, bens, come r si esattamente ritenuto nella sentenza impugnata, per collocarne gli effetti nell'ambito del diritto privato, precisandosi che la illiceit della causa o dell'oggetto, preclusiva dell'applicazione della norma in esame, I non pu essere ravvisata. nella mera contrariet a norme imperative, ma occorre in ogni caso l'incompatibilit di tali elementi con i principi di ordine pubblico, strettamente intesi, o con norme imperative che di per s stesse attengano all'ordine pubblico; ed escludendosi la possibilit di configurare tale illiceit nella ipotesi considerata, in conformit con i principi costituzionali di tutela del lavoro in tutte le sue forme e IIapplicazioni (art. 35 Cast.) e del diritto del lavoratore a un retribuzione proporzionata (art. 36 Cast.). I Con il secondo motivo, l'Amministrazione denunzia la violazione degli artt. 2946 e 2948 e.e. e il vizio di omessa, insufficiente e contrad I dittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in ! j cui ha respinto l'eccezione di prescrizione, sul presupposto che il rap i porto avesse acquistato il carattere della stabilit solo nel 1967, con l'amf missione nei ruoli del Vari. Sostiene, per contro, la ricorrente che, se I pure la prima fase (fino al 1962) avesse natura autonoma in quanto prif vatistica, non sarebbe possibile unificarla alla seconda (fino al 1967) al f ~ I 1 solo scopo di trarne la conclusione del mancato decorso del termine di prescrizione; che la ragione logica della sospensione della prescrizione durante il rapporto non assistito dalla stabilit non configurabile I quando il datore di lavoro sia una pubblica Amministrazione; che, in fine, poich in relazione alle prestazioni svolte dal 1 gennaio 1963 sus I I i siste il difetto di giurisdizione dell'a.g.o., il giudice d'appello non avreb be potuto interloquire sulle caratteristiche di un rapporto la cui cogni zione gli era sottratta. Tali censure sono fondate nei termini che saranno di seguito pre Ii cisati. La Corte d'appello ha fatto decorrere il termine della eccepita pre Ii scrizione quinquennale di cui all'art. 2948 e.e. dal febbbraio 1967, epoca in cui il Vari, quale vincitore di concorso, fu assunto in ruolo, sul presupposto che solo da tale momento il rapporto avesse assunto il carattere della stabilit. I La decisione si riannoda alla sentenza della Corte costituzionale del ! 10 giugno 1966, n. 63, con la quale fu dichiarata la illegittimit costitu! I zionale degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 e.e., limitatamente i j alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retri i buzione decorra durante il rapporto di lavoro. I I Ii I, I I PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE La giustificazione della decisione d'incostituzionalit fu indicata nel fatto che, in un rapporto non dotato di quella resistenza che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, cio del licenziamento, spinge o pu spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei diritti, di modo che la rinunzia, quando fatta durante quel rapporto, non pu essere considerata una libera espressione di volont negoziale e la sua invalidit sancita dall'art. 36 Cost.; e nella considerazione della situazione psicologica del lavoratore, che pu essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso mo tivo per cui molte volte portato a rinunciarvi, cio per timore del li cenziamento, cos che la prescrizzione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio quell'effetto che l'art. 36 Cost. ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinunzia: anche quella che, in particolari situazioni, pu essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e nel fatto che si lasci trascorrere il termine di prescrizione. Chiamata successivamente a pronunciarsi sulla fondatezza o meno della questione di costituzionalit dell'art. 2 del R.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, sulla prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed altri emolumenti dovuti agli impiegati dello Stato, la Corte costituzionale, con sentenzza n. 143 del 20 novembre 1969, ha osservato che la risposta negativa era implicita nella stessa sentenza n. 63 del 1966, che aveva gi rilevato la particolare forza di resistenza che caratterizza il rapporto d'impiego pubblico, ed ha precisato che questa forza di resistenza data da una disciplina che normalmente assicura la stabilit del rapporto e dalla garanzia di rimedi giurisdizionali contro l'illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento poss~ indurre l'impiegato a rinunziare ai propri diritti. N a diversa conclusione potrebbe giungersi, come ha ulteriormente precisato la Corte costituzionale, per i rapporti di pubblico impiego di carattere temporaneo. Anche in essi l'impiegato assistito dalla garanzia di rimedi giurisdizionali contro l'arbitraria risoluzione anticipata di po tere, com' confermato dalla giurisprudenza del Consiglio ,di Stato; e d'altra parte, secondo l'ordinamento del pubblico impiego, le assunzioni temporanee hanno carattere precario e la rinnovazione del relativo rapporto non presenta carattere di normalit, s che la rinnovazione costituisce un evento inerente alla natura del rapporto stesso e la previsione di esso non pone, pertanto, il lavoratore in una situazione di timore di un evento incerto, al quale egli sia esposto durante il rapporto, qual il licenziamento nel rapporto di lavoro di diritto privato. La Corte costituzionale ha, quindi, espressamente concluso che la dichiarazione di parziale illegittimit costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 e.e., contenuta nella sentenza n. 63/66, riguarda i rapporti di lavoro 328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO regolati dal diritto privato e non si estende ai rapporti di pubblico impiego. Una ulteriore evoluzione la giurisprudenza costituzionale ha poi avuto a seguito dei rimedi offerti dalle leggi 15 luglio 1966 n. 604 e 20 mag gio 1970 n. 300 contro i licenziamenti senza giusta causa, con la sentenza del 12 dicembre 1972 n. 174, con la quale si istituita un'analogia tra rapporti di diritto privato e rapporti di pubblico impiego, quando i pr.imi abbiano il carattere della stabilit e per esisi SU!Ssistano garanzie equivalenti a quelle disposte per i rapporti medesimi. D~ quanto precede si trae il principio di diritto (che risulta violato nella sentenza impugnata ed al quale dovr, invece, uniformarsi il giudice di rinvio) che, mentre in relazione a un rapporto di lavoro di diritto privato, la declaratoria d'incostituzionalit degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 e.e. non riguarda il caso in cui il rapporto sia caratterizzato da stabilit (v., al r.iguardo, le sentenze della Sez. lavoro n. 5111 e 6300 del 1981), con la conseguente necessit di accertare che tale requisito ricorra nel tipo di rapporto oggetto della controversia, per contro nei rapporti d'impiego pubblico, .anche di durata temporanea, il termine di prescrizione pu sempre iniziare a decorrere nel corso dei rapporti medesimi, non solo perch questi sono soggetti a una disciplina che normalmente assicura la stabilit, ma soprattutto perch per essi vigono in ogni caso le garanzie giurisdizionali cui la Corte costituzionale ha fatto riferimento nella sentenza n. 143 del 1969. Orbene, poich l'accertamento della natura di rapporto d'impiego pubblico tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Vari, a partire dal 1 gennaio 1963, costituisce punto fermo della decisione della Corte d'appello, evidente che il pr.incipio della sospensione del decorso del termine prescrizionale durante il rapporto di lavoro non torna applicabile in relazione al periodo successivo alla data del 1 gennaio 1963, dalla quale pertanto il termine stesso doveva farsi decorrere. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, 13 maggio 1983, n. 3276 . Pres. Greco -Rel. Nocella P. M. Nicita Ministero del Tesoro (Ufficio Liquidazione enti mutualistici) (avv. Stato Mataloni) c. Bertelli ed altri. Competenza civile Foro dello Stato Ufficio Liquidazione presso il Mini stero del Tesoro Controversie in corso Applicabilit immediata. Enti pubblici Enti mutualistici Soppressione Fase di liquidazione affidata al Ministero del Tesoro Posizione giuridica dell'Ufficio di liquidazione. Enti pubblici Enti mutualistici Fase di liquidazione disposta o per legge o con atto amministrativo Diversit ai fini c;Iel foro dello Stato. ',. '~ f: !: 1: .......... PARTB I, SEZ. m, GIURIS; SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 329 Competenza civile Perpetuatio jurlsdictionis Inapplicabilit nel corso di nuove leggi modificatrici della competenza funzionale (foro dello Stato). Nelle cohtroversie relative alle operazioni di liquidazone destinate ad essere assunte dallo speciale Ufficio liquidazioni presso il Ministero del Tesoro (di cui alla legge 4 dicembre 1956 n. 1404), poich tale ufficio fa parte dell'Amministrazior.e dello Stato, trovano integrale ed immediata applicazione sia le norme sul patrocinio (ai sensi dell'art; 1 della legge 27 giugno 1981 n. 331 l'Avvocatura dello Stato autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa degli enti di cui all'art. 12 bis del d.l. 8 luglio 1974 conv. nella legge 17 agosto 1974 n. 386), sia le norme sul foro dello Stato, senza necessit che si siano verificati i presupposti previsti dall'art. 11 della citata legge n. 1404 (domanda di riconoscimento dei crediti, comunicazione della mancata ammissione nell'elenco dei crediti, ecc.) i(l). Anche se l'ente soppresso sopravvive al provvedimento di soppressione e messa in liquidazione fino alla chiusura della liquidazione stessa, l'assunzione ex lege delle operazioni di liquidazione da parte dell'ufficio liquidazioni presso il Ministero del Tesoro determina la sostituzione all'ente mutualistico dell'apposito organo statale, il quale agisce come branca dell'Amministrazione dello Stato con propria soggettivit istituzionale e non come organo dell'ente soppresso (2). La liquidazione disposta con provvedimenti amministrativi a norma degli artt. 1 e 2 della legge n. 1404 del 1956 diversa da quella disposta con atti legislativi, richiedendo la prima uno spec.ifico provvedimento che per sua natura non incide sulla competenza al di fuori della espressa previsione prevista dall'art. 11 della stessa legge, escludendo la seconda un ulteriore provvedimento diverso dalla legge e divenendo cos operanti sin dalla data di entrata in vigore della legge stessa -le norme sul patrocinio e sul foro dello Stato (3). Non invocabile, al fine di escludere la sopravvenienza del foro erariale per il giudizio di appello, l'art. 5 c.p.c. nella parte in cui dispone che ai fini della competenza non hanno rilevanza le modifiche della situazione di fatto intervenute dopo la proposizione della domanda, essendo il principio della perpetuatio jurisdictionis stabilito da tale norma inapplicabile non soltanto rispetto al sopravvenire di nuove leggi modifica (1-4) Le prime due massime, anche se cli specie, sono conformi ai principi; sulla terza cfr. Cass. 5 maggio 1980 n. 2967; sulla quarta la giurisprudenza pacifica: Cass. 28 giugno 1976, n. 2479. Sull'argomento, tin generale, cfr. Il Contenzioso dello Stato 1976-1980, II, 153. Su tutte le massime cfr. le sentenze di pari data n. 3280 e n. 3676. 8 330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trici della competenza, ma anche rispetto al sopravvenire di nuove leggi, che, se anche non direttamente modificatrici di essa, incidano sul criterio determinante di essa (nella specie: norme sul patrocinio indirettamente ma essenzialmente incidenti sulla determinazione del foro erariale). Le modifiche di diritto, che riguardano la sfera del potere giurisdizionale attribuita a ciascun giudice, sono immediatamente applicabili alle controversie gi pendenti ed anche se per queste sia intervenuta sentenza in ordine a questioni di competenza. La sostituzione ope legis di un'amministrazione dello Stato ad una delle parti originarie del giudizio, in quanto comporta il patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura erariale -con conseguente applicazione degli artt. 25 c.p.c. e 6 T.U. n. 1611 del 1933 ....., si traduce, dunque, in una modifica della competenza territoriale per quanto riguarda le controversie vertenti con i disciolti enti mutualistici (4). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 gennaio 1983, n. 64 -Pres. Miele - Rel. Cantillo -P. M. Morozzo della Rocca (concl. diff.). -Ministero del Tesoro (avv. Stato Cavalli) -Cammino (Can. Sandrelli) -altri. Espropriazione per pubblica utilit Indennit Requisizione Mora Rivalutazione del credito Ammissibilit. Pur essendo l'indennit di esproprio (o l'indennit di requisizione) non suscettibile di rivalutazione automatica perch ha natura di debito di valuta tanto per la parte originariamente fissata nel decreto quanto per quella successivamente liquidata in seguito all'opposizione alla stima, la p.a.. deve ritenersi in mora secondo la regola ordir.aria nel pagamento di tale ulteriore somma e perci il proprietario del bene espropriato (o requisito) ha diritto di ottenere oltre gli interessi, il risarcimento del maggior danno dipendente dal ritardo, ai sensi dell'art.1224, secondo comma, cod. civ., compreso quello dovuto alla svalutazione verificatasi durante il giudizio sempre che siffatto pregiudizio venga allegato o dimostrato ovvero, in difetto di prova contraria, sia desumibile da fatti notori o da presunzioni (1). 1. -Con il primo motivo, denunziando la violazione dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ. e vizi della motivazione, l'Amministrazione ricorrente critica sotto due profili la sentenza impugnata nella parte in cui ha. liquidato i danni da svalutazione monetaria: sostiene, anzitutto, (1) Il principio era gi stato affermato in relazione all'indennit di esproprio dalla stessa Corte di Cassazione con sentenze n .. 2395/1981, n. 410/1981. In tali sentenze, in senso conforme a quella che qui si pubblica, si era ritenuto che il risarcimento del maggior danno dipendente dal ritardo, ai snsi dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ., .comprendesse quello dovuto agli effetti negativi della svalutazione monetaria verificata& durante il giudizio; si era anche ammesso che in difetto di prove sul maggior danno subto, la circostanza fosse desumibile dal fatto notorio o dalla presunzione che le somme accreditate sarebbero state investite nell'attivit commerciale esercitata dal creditore. Per la ininfluenza della svalutazione monetaria sulla indennit ,di esproprio, anche se determinata in misura maggiore per effetto del giudizio di opposizione alla stima, cfr. Trib. sup. acque pubbliche, 3 aprile 1978, n. iS, in questa Rassegna 1978, I, 763, con nota. 332 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO che non possa ravvisarsi mora colpevole della pubblica amministrazione nel fatto che essa percorra tutti i gradi del giudizio per l'esatta determinazione dell'obbligazione dovuta, ci che nella specie si era reso necessario perch, una volta impugnata la liquidazione amministrativa, occorreva necessariamente attendere la pronuncia giudiziale; in secondo luogo, che il danno da svalutazione sia stato ritenuto provato non in base a concreti elementi riflettenti la posizione dei danneggiati, ma in relazione a generiche considerazioni in ordine all'utilizzabilit del notorio e delle presunzioni. Entrambe le censure sono infondate. Alla prima agevole obiettare che la sentenza si attenuta al consolidato principio affermato da questa Corte in tema di espropriazione per pubblica utilit, secondo il quale, sebbene la relativa fri.dennit non sia suscettibile di rivalutazione automatica perch ha natura di debito di valuta tanto per la parte originariamente fissata con il decreto di esproprio quanto per quella che venga successivamente liquidata dal giudice all'esito dell'opposizione alla stima, nondimeno la pubblica amministrazione deve ritenersi in mora, secondo le regole ordinarie, nel pagamento di tale somma ulteriore e perci in relazione ad essa l'espropriato ha diritto di ottenere, oltre agli interessi, il dsarcimento del maggior danno dipendente dal ritardo, ai sensi dell'art. 1224, secondo comma cod. civ., compreso, dunque, quello dovuto alla svalutazione verificatasi durante il giudizio, sempre che siffatto pregiudizio venga allegato e dimostrato ovvero, in difetto di prove dirette, sia desumibile da fatti notori o da presunzioni (v. fra altre, sent. n. 2395, n. 2007 e n. 410 del 1981; n. 1852 del 1980; n. 1255 del 1979). La Corte di appello ha accolto la domanda di rivalutazione in sostanziale adesione a tale principio, sicuramente applicabile anche al debito della pubblica amministrazione per indennit di requisizione, osserv~ do che questa nella fase amministrativa era stata legittimamente rifiutata dal pdvato perch macroscopicamente inferiore a quella accertata dovuta in giudizio e che perci l'Amministrazione doveva rispondere del danno dipeso dal massiccio deprezzamento della moneta avutosi nel corso dell'annoso processo. N esatto -e con ci si passa alla seconda censura -che l'esistenza dl un tale pregiudizio non sia stata concretamente verificata dalla Corte, la quale, invece, dopo di avere ricordato i noti criteri elaborati in ordine alla prova del danno da svalutazione, lo ha ritenuto provato con riferimento ad un complesso di elementi, fra i qua1i assume decisivo rilievo la presunzione che il destinatario del provvedimento ablatorio avrebbe impiegato la somma nell'attivit commerciale esercitata. E questo accertamento di fatto, cosl sorretto da congrua e logica motivazione, non qui sindacabile. ~ I ! 1 i PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 333 COTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbrio 1983, n. 1223 -Pres. Mazzacane -Est. Corda -P. M. Dettori (conf.). Prefetto della Provincia di Sondrio (Avv. Stato Ferri) e Maxenti Fermo (n. c.). Urbanistica -Piano regolatore -Centro abitato -Perimetrazione -Costru zioni in prossimit .del ciglio stradale Distanze previste dal D.M. 1 aprile 1968 -Osservanza Necessit Centro abitato -Perlmetrazione ex art. 17, legge 765 del 1967 e perlmetrazione ex art. 18, legge 865/1971 -Diversit di nozioni e di effetti -Mancanza di strumenti urbanistici -Abitato reale -Riferimento -Necessit. Le distanze dal ciglio stradale, previste dall'art. 19 della legge 765/ 1967 e specificate col D.M. 1 aprile 1968, devono essere osservate fuori del centro abitato quale definito dai piani regolatori generali, dai programmi di fabbricazione e dalla perimetrazione effettuata ai sensi dell'art. 17 Legge 765 entro il termine (di decadenza) di 90 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima; e, in mancanza di tali strumenti urbanistici, occorre far riferimento al c.d. abitato reale senza che possano essere utilizzate perimetrazioni effettuate ad altri fini (nella specie irrilevante, ai fini della nozione di centro abitato, la perimetrazione fatta ai sensi dell'art. 18 legge 22 ottobre 1971 n. 865). Col primo motivo (denunciando violazione dell'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e del Decreto Ministeriale 1 aprile 1968, nonch dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e dell'art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), il ricorrente Prefetto di Sondrio critica la sentenza impugnata nel punto in cui, per escludere la concreta applicabilit della norma che impone il rispetto delle distanze delle costruzioni dalle strade statali fuori dei centri abitati, ha fatto leva sulla considera- Nozione di centro abitato e tutela della viabilit Per valutare la importanza di questa sentenza appare opportuno riportare la normativa alla quale essa fa riferimento. Come noto, la legge 765 del 1967, ha sostituito ed in parte integrato le norme vigenti in materia di distanze delle costruzioni dalle strade, e c1oe l'art. 66 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, l'art. 1 R.D. 8 dicembre 1933 n. 1740, l'art. 9 legge 24 luglio 1961 n. 728 per le autostrade. La predetta legge n. 765, al fine di evitare una edificazione indiscriminata e senz;i alcuna regola programmatica, ha previsto che, in mancanza di piano regolatore e di programma di fabbricazione, l'edilizia fosse vincolata a coefficienti di edificabilit variabili a seconda del tipo di costruzioni-(edilizia residenziale, agricola, produttiva, etc.) e a seconda che le nuove costruzioni venissero edificate nelle aree ricadenti nel centro abitato o nelle restanti zone del territorio comunale. E perci imponeva ai comuni che non avessero ancora adottato strumenti urbanistici l'obbligo di procedere alla perimetrazione del centro abitato con deliberazione da adottare entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore. Al successivo art. 19 la stessa legge dettava norme a difesa del patrimonio viario, integrando come si detto la normativa gi esistente e prevedendo che ............................. 334 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione che l'edificio dell'odierno intimato si trovava nell'interno del perimetro del centro edificato, come delimitato dal Comune ai sensi dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Deduce che tale impostazione sarebbe erronea, posto che la nozione di centro abitato , come recepita dall'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e, quindi, dal Decreto Ministeriale del 1968, quella fornita dal precedente art. 17; di modo che l'esclusione dall'obbligo di rispetto delle distanze va stabilito con riferimento ad una situazione di fatto sussistente alla data di emanazione della legge predetta, ovvero alla situazione di diritto conseguente all'attivit di perimetrazione demandata ai Comuni, purch svolta entro i novanta giorI\i dalla data di entraita in vigore della legge stessa. Sarebbe, perci, erronea l'impostazione della sentenza, la quale ha, invece, ritenuto (posto che il Comune di Cosio Valtellino non aveva tempestivamente proceduto a quella perimetrazione) che per l'edificio in questione non dovessero essere rispettate le distanze stabilite dal Decreto Ministeriale, essendo lo stesso (edificio) ricompreso in quel centro edificato che l'art. 18 della successiva legge 22 ottobre 1971, n. 865, ha previsto per fini completamente diversi (cio ai fini dell'applicazione del precedente art. 16 e, quindi, ai fini della determinazione dell'indennit di espropriazione relativa all'acquisizione delle aree occorrenti fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale misurate a partire dal ciglio della strada . E' evidente cos il richiamo all'art. 17, in quanto il riferimento alle aree comprese nel perimetro del centro abitato e ai diversi vincoli imposti alle costruzioni insistenti nel centro abitato, rispetto a quelle effettuate nelle restanti aree del territorio comunale rinvia alla deliberazione di perimetrazione che il Comune tenuto ad adottare. In tal senso si espresso anche il Consiglio di Stato, Sez. V 9 febbraio 1979 n. 60, Il Consiglio di Stato, II, 184. E' evidente altres che, poich l'art. 17 richiede la definizione dei centri abitati da parte dei comuni sprovvisti di piano regolatore generale e di programma di fabbricazione, nel caso contrario in cui i comuni abbiano gi adottato i piani regolatori generali ed i programmi di fabbricazione, per l'individuazione del centro abitato occorrer far riferimento a quanto previsto da tali strumenti urbanistici. (Cons. Stato Sez. V, 20 febbraio 1973 n. 167, Foro it. 1973, I, 2, 135, Cons. Stato 1973, I, 214, Foro it., 1973, III, 168). E' meno evidente, ma non per questo meno vero, che, mentre le limitazioni di edificabilit previste nell'art. 17 hanno durata temporanea essendo circoscritte nel tempo e destinate a cessare per Io pi con la adozione degli strumenti urbanisti.ci definitivi, l'obbligo della costruzione di rispettare determinate distanze dal ciglio stradale, non ha durata temporanea, bens definitiva. Si aggiunga che i coefficienti di abitabilit previsti dal 1 comma dell'art. 17 si applicano ai comuni sprovvisti di piani regolatori e di programmi di fabbricazione, mentre le distanze di cui all'art. 19 dovrebbero ritenersi applicabili fuori del centro abitato in tutti i comuni provvisti anche di piano regolatore generale o di piano di fabbricazione, sprovvisti o non della perimetrazione del centro abitato (cos cfr. Cons. Stato Sez. V, 3 novembre 1970 n. 848, dn Riv. 1 giur. ed. 1970 I, pag. 1273). Contra Pret. Omegna 9 ottobre 1969, Giur. 38 1972, I I I t= I ~ ! ! ~ f: I~ 1: I ~ ..... ; ., . .. --,---,--. 335 PA!tTB I; Sl!Z. IV, Gi:URISPRUDBNZA.. CMLB per.l'attuazione dei programmi dell'edili.zia resiqenziale pubblica}. Sostiene che ili tale errore la sentenza. impUgnata $ai;ebbe incorsa per non avere considerato;. che l'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e il consegtente . j)eretQJ MiJ).isterialehanno -con .nonne intese a proteggerei r.iteresse pubblico statal~ ..alla sicurezza. della circolazione sulle ... strade e~traig~i:tJle 4 jnteso ~d~tll~are.una situazione. di fatto cos !Ei!it~E~.::~: ᥥ .. .. Cot secon,i() .~otivo {denunciailio la violazione e falsa applicazione ᥥᥥ (lell(rt. l~ 4ell~ legge 6 ~gqsto J?67, ~fJ65,..l'omessa o, quantomeno, > f~l~~~V~G~vr:wie~f~~o.P=d~~~~~n.d;;~,~~;;~;:r:~e 1:U~:, i!Ir&t~~~~~~~ ... stf4zjo~e Per ecui ..~. c~l1Sa, pur mancandone il presupposto di fatto e di 4lnH< . . 11634, ~91l llofa. p()nti;a:i:fa di Barotto che subordina la obbligatoriet delle dist;: inze lilia; :peritnet~l.\Zicme del centro abitato effettuata dal Comune. pr;rettam.e;p.te t;)ett~to il D.M. 1 aprile 1968, previsto dal secondo comma c:f~ll'axt. 19, nela: s:pecifl.cate le distanze minime a protezione del nastro stradale .q~ Qs$eJ:Yarsi ne~ erotezfone del n~sirc{stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perirne. tra 1tti centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori e dai programmi di fabbriazione . Con tale disposizione si rende esplicito quanto gi; coJiltentJ.to neWart'19 con la generica dizione fuori del perimetro del centro abitato s~a ..J,teJ;i.?re c1eterminazione degli strumenti idonei alla perimetra. zl,9ne e si 1:m)'.e~ qW!:P.19 '.!?rima affermato che contrariamente ai coefficienti .. cif abitabi.~ pl;'e\risti 411ll'arl: . 17, .le distanze minime dalle strade si applicano se#iP.re fi;ti>ri del centro abitato' indipendentemente dall'adozione da parte del comune di p.r.g., di p.f. e di perimetrazione del centro abitato. < JlW preis~'tQ; Jle. <:<>.tl~egu.e.. che la applicazione delle norme poste a tutela . 4ella ~bil~ta e 4~JJa aj.ctll'e~a delle ~t,rade collegata in maniera determinante aIJ~ ;p.(zi.oD.~ <:li ~1lt~9 l:lbi~atoi $el1nc;~ li;t legge urbanistica non precisa il nettc>. di centro abi~ato ~ detta nimne l)el' la determinazione del perimetro in cui il centro abitato deve essere Contenuto. Non solo, ma come si visto vL una nozione di perimetro di centro abitato che fa riferimento alla pedmetrazione adottata dal comune ed una nozione di centro abitato che deve invece ricavarsi dagli strumenti normativi del comune: nel ptjmo caso la perimetrazione un atto ricognitivo, quasi una fotografia della realt; nel secondo caso un atto normativo di composizione di interessi diversi teso a disporre per le future edificazioni. N~ pu tacersi che il richiamo generico dell'art. 19 al perimetro del centro abitato, senza rifedmento a .-.strumenti urbanistici adottati dal comune, non 336 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEllO STATO Il primo degli esposti motivi fondato. L'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, dispone che fuori dei centri abitati debbono osserval'Si, nella edificazione, distanze mmi.me a prote zione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Il precedente art. 17, nel dettare le limitazioni dell'edificazione a scopo residenziale, individua le costruzioni ricadenti nei centri abitati e chiarisce che la perimetrazione di questi ultimi -nei Comuni sprovvi sti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione deve essere definita (con delibera consiliare) entro novanta giorni dalla entrata in vigore della legge. Il Decreto Ministeriale 1 aprile 1968 (in Gazz. Uff. n. 96, del 13 aprile 1968), dopo avere richiamato il citato art. 19 e avere enunciato che necessariio stabilire distanze minime a protezione del nastro stradale, mi surate dal ciglio della strada, da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati; e dopo avere stabilito (art. 1) che le dispo sizioni che seguono, relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dei piani di fabbricazone , dispone (art. 4) che la distanza minima da osser varsi, rispetto alle strade statali di media importanza (classificate nella lettera e dell'art. 3) di trenta metri. esclude la rilevanza del centro abitato come realt oggettivamente esistente indipendentemente da una sua determinazione da parte del Comune. Di qui una serie di problemi diversi: da un lato la scelta dei criteri per la individuazione del c.d. centro abitato che sono stati precisati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione oltre che nel codice della strada, nel relativo regolamento di esecuzione, nella circolare esplicativa della legge 765 del Ministero dei Lavori Pubblici); e attraverso tali criteri sono stati risolti i problemi interpretativi riguardanti il numero degli edifici costituenti centro abitato, la definizione delle aree contigue destinate all'espansione, ma non ancora edificate, e di quelle inedificate ricomprese tra i nuclei abitati. Dall'altro lato la legge, rinviando alla individuazione del centro abitato contenuta o nella perimetrazione di cui all'art..17 legge ponte o individuabile attraverso gli strumenti urbanistici usuali, fa dipendere l'obbligatoriet delle prescrizioni a tutela del traffico stradale da strumenti normativi del comune. Sorgono cos altri aspetti e dubbi che sono riscontrabili anche nella giurispru denza: dalla necessit di individuare gli strumenti urbanistici idonei a definire il centro abitato, dai criteri sostituivi in difetto di tali strumenti, dai poteri delle autorit locali in relazione alla normativa statale, nonch dalla necessit di rapportare la individuazione del centro abitato operata dal comune con gli agglomerati urbani obbiettivamente esistenti su determinate aree, e cio con il c.d. abitato reale. Su tale problematica, di particolare interesse per l'A.N.A.S., la sentenza della Cassazione sembra aver posto alcuni punti fermi: esplicitamente essa ha affermato che l'individuazione del centro abitato va fatta con riferimento ai p.r.g. e ai p.f. o alla perimetrazione deliberata entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 765; ha escluso pertanto la rilevanza di delimitazioni delle zone urbane deliberate ad altri fini (in particolare della deliberazione fatta ai PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 337 Ora, nel caso concreto, era pacifico tra le parti, nel giudizio di merito: 1) che la strada statale in questione (n. 38, o dello Stelvio) fra quelle comprese nella lett. C dell'art. 3 del citato Decreto ministeriale; 2) che la costruzione di propriet dell'odierno intimato dista quattordici metri dalla strada predetta; 3) che all'epoca della contestazione dell'infrazione non esisteva, nel Comune di Cosio Valtellino, n un piano regolatore generale, n un programma di fabbricazione; 4) che il Comune predetto non aveva provveduto a definire il perimetro del centro abitato, ai sensi e nei termini dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765; 5) che lo stesso Comune aveva, invece, provveduto, ai sensi dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, a delimitare il centro edificato (delibera consiliare del 16 giugno 1973, n. 47); 6) che, infine, l'edificio in questione rientrava, bens, in tale ultima delimitazione , ma non nel periinetro del centro edificato, come inteso dalla legge n. 765 del 1967, poich una tale perimetrazione non era stata mai operata. Nel giudizio di merito, quindi, le parti avevano posto il quesito se finclusione dell'edifioio nel centro edificato, delimitato ai sensi della legge n. 865 del 1971, producesse gli stessi effetti (di insussistenza dello obbligo di osservare le distanze) che avrebbe prodotto la (in realt in- fini della determinazione dell'indennit di espropriazione ai sensi dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971 n. 865). In mancanza di tali strumenti urbanistici, l'individuazione del perimetro del centro abitato va fatta con riferimento alla realt obbiettivamente considerata da individuare di volta in volta dall'operatore giuridico, cio al c.d. abitato reale (per usare una terminologia accolta nella sentenza). In motivazione la sentenza contiene altres una affermazione di particolare rilievo: poich la legge 765/1967 ha inteso cristallizzare la situazione di fatto e di diritto quale risulta dopo i 90 giorni dalla sua entrata in vigore, la perimetrazione effettuata successivamente deve ritenersi tardiva e come tale priva di qualsiasi effetto, in contrasto con la dottrina che aveva ritenuto tale termine ordinatorio. Senonch la sentenza medesima non ha risolto e non ha eliminato altri dubbi conseguenti alla applicazione del D.M. 1 aprile 1968, ed in particolare quelli afferenti i rapporti tra normativa statale e normativa comunale, e tra nozione di centro abitato individuata attraverso gli strumenti urbanistici comu nali e c.d. abitato reale. Per quanto riguarda il primo problema dovrebbe ritenersi che le prescri zioni contenute nel D.M. 1968 devono ritenersi cogenti anche nei confronti delle autorit locali che vi si devono uniformare. Ha rilevato infatti la sentenza che l'obbligo di rispettare le distanze posto a salvaguardia di interessi pubblici statali, i quali non possono venir meno per effetto di una semplice deliberazione del consiglio comunale adottata oltre i termini previsti dalla legge. Tale principio dovrebbe ritenersi applicabile anche ai piani regolatori e ai programmi di fabbricazione adottati successiva mente alla entrata in vigore della legge ponte; nel senso che sia i p.r.g. sia i p.f. successivi alla legge ponte (non quelli precedenti), nel prevedere lo sviluppo di zone urbane, dovrebbero riservare sempre una zona di rispetto lungo 338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sussistente) inclusione di esso neI centro abitato, perimetrato ari sensi della legge n. 765 del 1967. Tale quesito -com' riferito nella parte espositiva di questa sentenza - stato dal giudice di merito risolto (con la pronuBcia in questa sede impugnata) nel senso della totale parit di effetti, in base a tre considerazioni: 1) la nozione di centro abitato pi ampia di quella di centro edificato; 2) il centro abitato reale, ossia quello considerato come dato di una realt effettuale (cio come dato di fatto emergente dal mancato compimento di quell'attivit di perimetrazione che competeva ai Comuni, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967), non elemento da prendersi in considerazione, perch troppo elastico, impreciso e incerto; 3) allorquando una zona di territorio rientra in una perimetrazione del centro abitato, o edificato, anche se effettuata ai sensi dell'art. 18 della legge n. 865 del 1971 (legge sulla casa), non possibile considerarla, ai fini della legge sulle distanze dalle strade statali, come assoggettata alla disciplina che riguarda le zone estranee all'abitato. Siffatta d.mpostazione non pu essere condivisa. La legge del 1967 e la disciplina regolamentare dettata col Decreto Ministeriale hanno, chiaramente, inteso cristallizzare la situazione di fatto e di diritto quale risultava dopo i novanta giorni dalla entrata in vigore della legge stessa: l'obbligo di osservare le distanze, nell'ipotesi in le strade di comunicazione (v. in argomento Cass., 22 novembre 1980, n. 6215). AI riguardo il Consiglio di Stato ha riconosciuto l'obbligo per l'amministrazione comunale di rilasciare le licenze per la costruzione di fabbricati prospicienti la strada solo se siano state rispettate le norme statali che stabiliscono il rispetto delle distanze dal ciglio stradale (Sez. V, 3.5.76 n. 733) e ha ritenuto altres che il comune nell'adozione del p.r.g. e del p.f. dovr tener conto di tali prescrizioni considerando inedificabili le aree esistenti lungo la rete viaria nazionale (Cons. Stato, Sez. IV 7 novembre 1978 n. 966, Il Consiglio di Stato, 1978, 1062: contra T.A.R. Valle d'Aosta 11 dicembre 1975, n. 37, in Trib. Amm. reg. 1976, I, 480). Proprio perch la normativa prevista dall'art. 19 legge ponte e dal D.M. 1 aprile 1968 posta a salvaguardia di interessi dell'intera collettivit i comuni non possono non tenerne conto nell'adozione di strumenti urbanistici normativi locali, sicch il mancato rispetto di queste prescrizioni dovrebbe comportare l'illegittimit della deliberazione comunale e la sua disapplicazione, o, in ogni caso, la loro non opponibilit dall'ANAS che a tali interessi preposta. Per quanto riguarda invece i rapporti tra il centro abitato individuato attraverso deliberazioni comunali ed il c.d. abitato reale, il problema si pone per quanto concerne gli interessi della pubblica viabilit allorch gli strumenti urbanistici, adottati dal comune dilatano il centro abitato reale, sicch non potrebbero applicarsi le distanze minime delle costruzioni dal ciglio stradale pur trovandosi in presenza di.. aree non abitate. Anche in tal caso il richiamo agli interessi pubblici, alla funzionalit e sicurezza delle strade dovrebbe comportare il prevalere del c.d. abitato reale con conseguente illegittimit degli strumenti urbanistici adottati in difformit dalla realt; in particolare I'ANAS potr sempre adottare misure repressive delle costruzioni poste in essere in violazione del D.M. 1968. 339 snrm.rv1i;tn di piano regolatore genrale e di. piano come operante per>tUtte le costruzioni poste fu.<>r.i. dellaperimetrazione come effettuata entro il tennin.e di no) . yantt'l gi()raj d~ll'entrt'lta jn vigore. dellvv<;:ro,. in . map.canza di < i / l), 85, (:),eve intendersi fatta -per espressa disposizione -ai fini della .. .. . determinazione .dell'indennit da corrispondere per la espropriazione delle aree destinate all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale e pubblica) non dispensa dall'obbligo di rispettare le distanze, tenuto anche conto, come osserva il ricorrente, che l'obbligo predetto posto a salvaguardia di interessi pubblici statali, i quali non possono venir meno per effetto di una sempliice deliberazione del consiglio comunale adottata oltre i tennini previsti dalla legge. L'art. 1 del citato d.m. rinvia infatti ad una nozione di centro abitato quale individuata dagli strumenti urbanistici consueti o in difetto, dalla deliberazione di perimetrazione del centro abitato adottata dal comune. Ma come affermato dalla Cassazione, tale deliberazione ha un mero carattere ricognitivo della situazio11e reale esistente, cos il riferimento agli insediamenti previsti dai p.r.g. e dal p.f. va inteso in relazione a quelli gi esistenti al momento dell'entrata in Vigore del D.M. 1968, sempre ed in quanto rappresentativi di insediamenti reali. Tale interpretazione, sulla quale la Suprema Corte dovr pronunciarsi, essendone stata investita con ricorso 3156 del 1983 -causa Prefettura di Avellino" Cappuccio -, in armonia con lo spirito stesso della legge 765 che ha Voluto bloccare il disordine edilizio dettando misure urbanistiche transitorie <;id stata gi accolta dal TAR di Milano con sentenza 4 giugno 1980 n. 607, ili Trib. Amm. Reg. .1980, 3062, la quale ha esplicitamente affermato, ai fini della tutela delle fasce di rispetto stradale, in caso di divergenza tra la perinietrazione fittizia e quella reale al ricordato fine del T.U. n. 1740 del 1933 e dell'art. 19 della legge 765 del 1967, vale il perimetro reale accertato di volta in Volta attraverso una indagine di fatto diretta ad individuare il confine dell'aggregato urbano edificato . Discorso estensibile anche alle statuizioni contenute nel p.r.g. e nel p.f., anche se in tal caso pi che di conformit al c.d. abitato reale dovr parlarsi di rispetto della normativa statale in quanto si tratta di strumenti urbanistici rivolti soprattutto alla composizione di interessi, e non a definire la realt dell'agglomerato urbano. ANNA CENERINI BovA 340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 3 marzo 1983 n. 1595 -Pres. Buffoni -Est. Laudato -P.M. Cantagalli -Ministero Tesoro (avv. Stato Nucaro) c. Palminteri (n.c.). I t=: Lavoro -Controversie -Appello -Deposito del fascicolo e della sentenza impugnata -Irrilevanza. Nel nuovo rito delle controversie di lavoro ed in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, introdotto dalla legge n. 533 del 1973, la costituzione dell'appellante richiede il solo deposito del ricorso presso la cancelleria del tribur.ale e, non anche il deposito del fascicolo di parte e della sentenza impugnata: ne consegue che il mancato deposito , di questi ultimi, ancorch necessari in relazione ai motivi del gravame, non comporta l'improcedibilit dell'appello, come invece sancito dall'art. 348 c.p.c. per il rito ordinario, ma pu solo determinare il rigetto nel merito dell'impugnazione, per difetto di prova, semprech i documenti occorrer.ti al suo accoglimento non siano gi acquisiti attraverso il fascicolo d'ufficio o quello dell'appellato. (1) In senso conforme v. Cass. 22 ottobre 1976 n. 3791 e 6 luglio 1978 n. 3337. CORTE DI APPELLO DI BARI, Sez. I, 20 gennaio 1983, n. 20 -Pres. Mezzina; Est. Carucci -Ente Regionale per lo Sviluppo Agricolo della Puglia (Avv. Stato De Stefano) c. Rosciano Concetta ed altri (Avv. Giovanni Loiacono). Procedimento civile -Motivazione dei provvedimenti giurisdizionali -Esi genza, finalit e requisiti. Arbitrato -Arbitrato secondo equit -Lodo arbitrale -Impugnazione per vizi della motivazione -Ammissibilit. Arbitrato -Arbitrato secondo equit -Impugnazione cli lodo arbitrale per vizi della motivazione -Motivazione per relationem Controllo del giudice ad quem -Contenuti e forme. La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, richiesta ora da una norma costituzionale (art. 111 Cast.), tende ad assicurare il controllo sulla giustizia e razior.alit delle statuizioni adottate. Costituisce vizio della motivazione e determina nullit della decisione la esposizione di motivi inconf erenti o contraddittori, tali cio da non lasciare comprendere le ragioni del decidere, per mancanza di un collegamento logico tra l'iter intellettivo seguito e la determinazione volitiva da esso scat.rita, ovvero per difetto di riferimento a presupposti di fatto, dal PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 341 cui previo accertamer.to non si pu prescindere perch possa giungersi ad un congruo ed apprezzabile risultato (1) . . Anche il lodo pronunciato secondo equit deve essere congruamente motivato, al fine di assicurare che esso risponda ad esigenze di logica e razionalit e sia a riparo da distorsioni della attivit giurisdizionale verso fini ad essa estranei, se non addirittura contrari. Il difetto di motivazione, che costituisce vitium in procedendo, quindi deducibile quale motivo di nullit del lodo pronunciato secondo equit, ai sensi dell'art. 829, primo comma, n. 5), c.p.c. (2). Il controllo sulla motivazione di un provvedimento giurisdizionale non ha carattere meramente formale, ma implica che il giudice investito della impugnazione verifichi la effetti va sussistenza del fatto costitutivo del diritto azionato, attraverso la ricerca degli elemer.ti di prova richiamati nella decisione o negli atti processuali cui essa abbia fatto riferimento (3). (1-3) Arbitrato di equit ed impugnazione del lodo per difetto di motivazione (*). 1. La motivazione de{ provvedimenti giurisdizionali: contenuti e finalit. In via preliminare, sembra necessario giustificare l'ammissibilit della presente azione, che pure riteniamo fondata su concetti chiari e distinti e su princpi elementari del nostro ordinamento giuridico. Dobbiamo infatti farci carico delle eccezioni sollevate in proposito dalla controparte, la quale ha contestato la possibilit di sindacare in qualsivoglia maniera -ed in specie attraverso l'esame della motivazione del lodo -l'operato degli arbitri che abbiano giudicato secondo equit. In altri termini, il giudizio emesso dagli arbitri di equit sarebbe sottratto a qualsiasi forma di controllo o di censura, cos che la loro discrezionalit sarebbe protet4t da barriere insormontabili , che a nessuno consentito superare. L'arbitrato secondo equit riposerebbe pertanto sopra un'illimitata delega di poteri decisionali attribuita agli arbitri dall'ordinamento giuridico, che conferirebbe il crisma della giurisdizionalit alla loro pronuncia sulla base di un controllo meramente estrinseco e formale del loro operato. Ogni diversa forma di sindacato si tradurrebbe in una indebita interferenza sul loro libero convincimento e in una impossibile rinnovazione delle loro autonome determinazini. Gli avversi argomenti -dei quali sono ben evidenti le implicazioni e le conseguenze -si fondano per su una nozione assai approssimativa di libert del giudizio. Infatti, altro riconoscere -come noi non abbiamo alcuna difficolt a fare -la discrezionalit delle valutazioni e delle scelte degli arbitri, e quindi la insindacabilit nel merito delle loro opzioni, e tutt'altro pretendere che il potere di giudicare sia per ci stesso illimitato ed incontrollabile. L'assolutezza dello jus judicandi -che sarebbe sinonimo non di libert di giudizio , ma di arbitrariet della pronuncia -costituisce un concetto inammissibile ed arcaico, che stato totalmente iiuperato dalla moderna evo (*) Si riportano, con qualche marginale adattamento, alcune parti della comparsa conclusionale redatta in favore dell'E.R.S.A.P. con lo scopo di puntualizzare i princlpi dogmatici fondamentali vigenti in materia. Per-i profili inerenti ai poteri giurisdizionali degli arbitri ed alla validit della clausola compromissoria nelle innumerevoli altre controversie di analogo oggetto, si veda, da ultimo, Cass., sez. un., 10 dicembre 1981, n. 6517, in Foro it., 1982, I, p. 684 ss., e Cass., sez. un., 18 gennilio 1982, n. 293, ivi, 1982, I, p. 683 ss. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 342 t:. fondato il secondo mezzo, coi quale si denunzia la nullit del lodo per omissione, insufficienza ed illogicit di motivazione (art. 829 n. 5 cod. proc. civ.), per non avere gli arbitri giustificato il proprio convincimento sul piano logico e razionale, esaurendo la pretesa esposizione dei motivi con il semplice e acritico riferimento alla consulenza tecnica d'ufficio, ritenuta per sua natura sorretta da elementi di obiettivit ed equilibrio, che ovviamente tendono a sfuggire ai periti di parte, in tal modo incorrendo -i primi giudici -in una evidente petizione di principio e sottraendosi alla dovuta dimostrazione della correttezza delle luzione del pensiero giuridico. Il giudizio bens libero, ma non per questo privo di regole. La libert di giudizio deve espletarsi nell'ambito delle regole che ne limitano e condizionano l'esercizio, prime tra tutte le regole della logica, che costituiscono la base ed il fondamento dell'ordinamento. Il diritto -ars boni et aequi, secondo l'antica definizione romana -non pu rinunciare alla sua insopprimibile esigenza di razionalit, cos che soltanto i provvedimenti (ed, in spede, i provvedimenti giudiziari) che rispondano a tale esigenza possono possedere e conservare i caratteri della giuridicit. E' pertanto impossibile -perch contrario all'intrinseca natura del fenomeno giuridico che l'ordinamento possa conferire forza e valore ad un qualsivoglia provvedimento giudiziario (ed, in particolare, ad una pronuncia arbitrale) non solo prescindendo da un controllo sulla sua logicit ma addirittura impedendo che un simile controllo possa essere esercitato. Il controllo sulla logicit dei provvedimenti, dunque, deve potersi esercitare, ed in effetti si esercita attraverso il controllo sulla loro motivazione; la quale motivazione, d'altro canto, ha proprio la funzione di consentire la verifica della correttezza dell'iter logico seguito dall'autorit che ha emesso il provvedimento stesso, e quindi della legittimit della pronuncia, in guisa che possa stabilirsi la sua conformit o meno ai principi dell'ordinamento e che sia possibile attribuirvi o negarne la giuridica validit ed efficacia. L'introduzione dell'istituto della motivazione -si afferma a proposito iin dottrina - rappresenta uno degli ultimi prodotti della tendenza alla razionalizzazione del sistema... (che), prima ancora che per gli altri poteri dello Stato, ebbe inizio per il potere giudiziario... Il principio costituzionale dell'obbligatoriet di questa in stretta correlazione con l'altro fondamentale della legalit della decisione che, a prescindere dall'art. 111 Cost., sancito dall'art. 113 c.p.c.: il giudice deve pronunciare... secondo coscienza e lasciandosi guidare dal suo prudente apprezzamento nel caso in esame, ma libert e pienezza di valutazione non lo esimono dall'obbligo di esporre gli elementi di fatto e di diritto che costituiscono il fondamento logico della decisione (S. EVANGELISTA, Motivazione della sentenza civile, in Encicl. Dir., Vol. XX.VII, Milano, 1977, pp. 154-159). Attraverso il generale obbligo di motivare i provvedimenti adottati, il diritto intende perci tutelare il rispetto della logica, inteso quale corretto processo mentale di associazione delle idee o quale insieme dei princpi della ragione, mediante i quali si giudica del giusto e dell'ingiusto. N la violazione di tale esigenza di razionalit priva di rimedio: noto infatti che, correlativamente alla generalizzazione dell'obbligo di motivare, si generalizzata la possibilit di impugnare i provvedimenti viziati nella motivazione -e quindi nel fondamento logico da essa manifestato -perch evidente che la valutazione dell'operato del giudice non fine a se stessa, ma tende a rimuovere il provvedimento che non sia conforme a giustizia: la compiuta realizzazione PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 343 prove raccolte, neppure riscontrabile attraverso il rinvio recettizio alla consulenza tecnica, a sua volta caratterizzata dalle stesse deficienze. Giover ricordare in proposito l'ess.enzialit della motivazione quale elemento dei provvedimenti giurisdizionali, la cui esigenza, ora conclamata anche da una norma costituzionale (art. 111), assurge a vero e proprio principio, profondamente radicato, di civilt giuridica. Ed intuitiva la sua ratio e funzione di presidio contro ogni tentazione all'arbitrio nell'esercizio della funzione giurisdizionale, di modo che sia possibile un controllo sulla giustizia e razionalit delle statuizioni adottate, del momento conoscitivo, tramite la motivazione, consentita quindi anche all'autorit preposta al controllo, che viene posta in grado di eseguire la valutazione della conformit dell'atto ai valori ed alle regole che al medesimo presiedono. Rileva, in altre parole, quello che pu definirsi il collegamento tra motivazione ed impugnazione (S. EVANGELISTA, op. loc. cit.). A seguito della impugnazione, soltanto la decisione che sar ritenuta razionalmente motivata potr essere tenuta ferma, mentre quella che non apparir nel suo fondamento logico dovr essere annullata. Non si dica d'altronde che queste conclusioni contraddicono il principio della libert e della discrezionalit delle determinazioni del giudice (o dell'arbitro) a quo. E' vero infatti che si incide sulle decisioni assunte in prime cure, perch il controllo sulla motivazione dato non per finalit meramente estrinseche o formali, ma per ragioni di ordine sostanziale, in quanto il vizio della motivazione -espressione manifesta del procedimento psichico del giudice - assunta come elemento sintomatico della viziosit dello stesso giudizio. E' per altrettanto chiaro che tale controllo non implica un riesame del merito o una nuova scelta rispetto a quella operata dal primo giudice, n si traduce in una inammissibile rinnovazione del giudizio gi da lui espresso, ma consiste piuttosto nel sindacato della legittimit della pronuncia attraverso l'esame della sua giustificazione logica. Come osserva la migliore dottrina, non si ripete in tal modo il giudizio di fatto , che il giudizio in cui il giudice si vale di una effettiva discrezionalit, nel senso che ci sono due possibili rispetto ai quali egli esercita un'opzione. La verit che il giudizio di fatto non arbitrario, ma ha una logica interna che riduce fortemente la discrezionalit, senza eliminarla del tutto... Di qui l' "apparente" incontrollabilit del giudizio di fatto, perch il controllo si esercita, sub specie juris, sulla sua logica, e solo in quanto sia rispettata in ogni caso la logica l'opzione pu ritenersi legittima... Il giudizio di fatto risulta da un'opzione che come tale incensurabile: la censurabilit sta nell'iter, e cio nel controllo se l'opzione ci sia effettivamente stata, se il giudice ha tenuto conto, dandone adeguata ragione, dell'altra possibilit... Questa non intrusione nel giudizio di fatto, almeno nel senso empirico della distinzione, perch la logica del giudizio va al di l del fatto e del diritto, semplicemente logica, e cio fedelt al processo (S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1967, pp. 399-400). Tutti questi principi trovano puntuale ed incontroversa applicazione da parte della nostra giurisprudenza in riferimento a tutti i giudizi di legittimit, e cio ai giudizi di impugnazione che non abbiano effetto devolutivo. Addirittura innumerevoli sono le pronunce giurisprudenziali relative al pi frequente e diffuso tra i giudizi in esame -e cio al ricorso per Cassazione avverso le determinazioni del giudice di secondo grado, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Da tali pronunce si desume chiaramente il costante ed incontroverso 344 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attraverso, il riscontro della sua effettiva sussistenza e della logicit delle proposizioni in cui essa si manifesta. noto poi che si traduce in difetto di motivlWone la esposizione di motivi inconferenti o contraddittori (Cass. 3191/56, 1661/62), tali cio da non lasciare comprendere le ragioni del decidere, per mancanza di un collegamento logico fra l'iter intellettivo seguito e la determinazione volitiva da esso scaturita, ovvero per difetto di riferimento a presupposti di fatto dal cui previo accertamento (coi vari mezzi , di prova dalla legge consentiti) non pu prescindersi perch si possa giungere insegnamento della impugnabilit delle sentenze per vizi della motivazione, e si derivano la natura, i contenuti e le finalit di tale forma di impugnazione. Premesso che tale azione intimamente collegata con la funzione stessa della motivazione (Cass., 3 settembre 1957, n. 3428, in Foro it., Rep. 1957, vo,e Cassazione in materia civile, c. 325, n. 54), si affermato che essa tende ad assicurare che l'indicazione dei motivi e delle fonti di convincimento sia fatta in modo da rendl'!re possibile , di seguire il p'l:ocesso di formazione del convincimento stesso (Cass., 22 maggio 1954, n. 1644, in Foro it., Rep. 1954, voce Cassazione in materia civile, c. 325, n. 101). Si mira cio al controllo di legalit sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice nella motivazione, in guisa' da rendere possibile seguirne il processo logico (Cass., 24 gennaio 1966, n. 273, in Foro it., Rep. 1966, voce Cassazione in materia civile, c. 304, n. 122; Cass., 15 settembre 1970, n. 1451, ivi, Rep. 1970, voce Cassazione civile, c. 312, n. 95; Cass., 29 maggio 1971, n. 1616, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 334, n. 132). Il vizio della motivazione diventa pertanto espressione manifesta del vizio della pronuncia, consentendone l'annullamento allorquando si concreta in una mancanza totale o in una incompletezza di esame, che si ripercuota sulla ratio decidendi, ovvero riveli, nel processo logico seguito dal giudice di merito, tali lacune e contraddizioni che non riesca possibile cogliere, con sufficiente chiarezza, lo sviluppo logico seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione impugnata (Cass., 14 giugno 1965, n. 1209, in Foro it., Rep. 1965, voce Cassazione in materia civile, c. 350, n. .134; Cass., 16 luglio '1965, n. 1574, ivi, Rep. 1965, v. cit., c. 352, n. 165; Cass., 8 maggio 1971, n. 1501, ivi, Rep. 1971, voce Sentenza civile, c. 2711, n. 110; Cass., 22 luglio 1971, n. 2399, ivi, Rep. 1971, voce Cassazione civile, c. 336, n. 151). Tutto ci pienamente confermato anche dalle decisioni con le quali si specifica che l'esame della motivazione non consente un riesame del merito della controversia (cfr., tra le tante, Cass., 26 luglio 1954, n. 2675, in Foro it., Rep. 1954, voce Cassazione in materia civile, c. 325, n. 97; Cass., 16 dicembre 1954, n. 4511, ivi, v. cit., c. 325, n. 98 s.; Cass., 22 giugno 1955, n. 1936, ivi, Rep. 1955, v. cit., c. 300, n. 59; Cass. 27 giugno 1956, n. 2352, ivi, Rep. 1956, v. cit., c. 363, n. 54; Cass., 22 marzo 1968, n. 912, voce Cassazione civile, c. 313, n. 118; Cass., 30 ottobre 1969 n 3617, ivi, Rep. 1970, v. cit., c. 311, n. 90; Cass., 21 aprile 1971, .n. 1154, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 335, n. 139; Cass., 20 giugno 1973, n. 1827, ivi, Rep. 1973, v. cit., c. 321, n. 151; Cass., lQ febbraio 1974, n. 284, ivi, Rep. 1974, v. cit., c. 260, n. 125; Cass., 20 marzo 1974, n. 765, ivi, Rep. 1974, v. cit., c. 260, n. 127; Cass., 10 dicembre 1976, n. 4596, ivi, Rep. 1976, v. cit., c. 322, n. 69; Cass., 15 dicembre 1976, n. 4641, ivi, Rep. 1976, v. cit., c. 322, n. 71). Tutte queste decisioni, infatti, se puntualizzano l'insindacabilit nel merito della pronuncia del giudice a quo, ribadiscono che la sindacabilit non comunque esclusa, ma risiede. nella motivazione, e cio nel controllo del processo logico seguito dal I I i I PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 345 ad un congruo ed apprezzabile risultato. Perch la motivazione sia veramente tale, e non cli mera apparenza, essa dev'essere fornita del carat tere di pertinenza, intendendosi con ci la considerazione -da parte del giudice -della realt concreta del contesto della lite, senza di che l'eventuale enunciazione cli principi astratti non sarebbe che inutile divagazione. Al requisito della motivazione non si sottrae l'arbitrato rituale, per il quale l'art. 823 n. 3 prevede appunto l'esposizione sommaria dei moti~i , la cui mancanza costituisce specifico motivo di nullit per l'ar giudice in ordine all'esercizio del potere-dovere di esaminare i fatti costitutivi, estintivi o modificativi del rapporto in contestazione ed all'obbligo di munire la decisione di una adeguata e logica motivazione. 2. Gli elementi ed i requisiti della motivazione. Nell'intento di precisare la natura e i caratteri di tale forma di impugnazione, giover richiamare brevemente quali sono in astratto gli elementi ed i requisiti che la motivazione deve possedere per dirsi sussistente ed adeguata, e quali sono per converso i vizi che possono inficiare la sua validit; invalidando insieme la pronuncia cui essa accede. Si tratta cio di definire e di precisare in cosa consista l'iter logico della decisione, di cui il giudice del merito deve dare dimostrazione attraverso la motivazione e che il giudice della impugnazione deve essere in grado di controllare, anche mediante l'esame -compiuto a tale esclusivo fine -dei fatti del processo. In proposito, occorre osservare che i contenuti della motivazione devono rispecchiare e manifestare ovviamente l'intima natura della decisione, che pu essere definita come un processo psichico di valutazione, di carattere sia volitivo che intellettivo, che si svolge nella mente del giudice sulla base di determinati stati di fatto e di determinati princpi di diritto (o di equit, nel caso di pronuncia secondo equit). Questi elementi (di fatto e di diritto) costituiscono le premesse della pronuncia, ovvero -pi tecnicamente -i motivi della stessa. Da essi si ricava e ad essi consegue il momento pi propriamente valutativo. La corretta motivazione -quale esternazione di tale iter logico -deve ovviamente giustificare entrambe le fasi del giudizio: quella della posizione delle premesse e quella della loro valutazione. In relazione a questi due distinti momenti, la dottrina ha anzi operato una sottile distinzione tra la giustificazione , che consiste nella esposizione dei motivi della decisione, e la motivazione in senso stretto , con la quale si fornisce la spiegazione delle scelte operate in base ad esse; la quale distinzione corrisponde d'altra parte a quella gi operata dal Codice tra l'esposizione dei fatti rilevanti della causa e le ragioni giuridiche della decisione (art. 118 disp. att. c.p.c.), quali due momenti inscindibili dell'unico, complesso procedimento in cui consiste il giudizio. Per quanto riguarda il primo punto (l'esposizione dei fatti rilevanti), la nozione di giustificazione pu allargarsi fino a ricomprendere anche la narrazione dello svolgimento del processo, nella misura in cui il verificarsi di determinate evenienze processuali determina una particolare decisione. In tal modo, la correttezza dell'iter logico seguito per pervenire alla decisione pu essere controllata anche sotto il profilo procedurale (ad esempio; ammissione o non ammissione di una prova), la cui regolarit pu condizionare l'efficacia o la giustizia della pronuncia. 9 346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ticolo 829 n. 5. Del tutto vana sarebbe poi la ricerca di un'eventuale minore intensit cogente dell'obbligo legale nell'attributo sommaria aggiunto alla esposizione dei motivi , dato che non sussiste alcuna sostanziale differenza fra tale formula e quella della concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto adottata dall'art. 132 n. 4 per le sentenze dei giudici dello Stato, all'infuori dell'omessa precisazione in fatto e in diritto, spiegabile con la frequente (se non normale) previsione -esplicita od implicita -del giudizio di equit nelle clausole compromissorie. In senso stretto, poi, l'esposizione dovr riguardare tutti quei fatti, atti o comportamenti, il cui accertamento necessario per la dichiarazione del diritto nel caso concreto. Nulla quaestio -a tal proposito -ove l'interpretazione di tali fatti non sia controversa. Se viceversa vi fosse contestazione, la parte espositiva della motivazione non potr avere un contenuto meramente narrativo, essendo richiesta una valutazione critica delle prove, solo a prezzo della quale si pu dare sicuro conto delle ragioni che hanno convinto a porre un determinato fatto a fondamento della decisione. In ci si stempera e si confonde la distinzione sopra accennata tra giustificazione e motivazione in senso stretto , tra fase espositiva e fase valutativa . Come tutti i giudizi valutativi, l'opzione tra le due possibilit in discussione costituir un accertamento incensurabile nel merito, salvo il dovere cti giustificare le ragioni della scelta operata. Esaurita la fase della posizione delle premesse, la motivazione dovr com prendere la manifestazione delle ragioni giuridiche della decisione , e cio dei princpi normativi (o di equit) che si intendono applicare alla fattispecie, al fine di trarre le finali determinazioni giuridiche. Anche questa operazione, nella quale consiste l'essenza del giudizio, libera e discrezionale, e -come tale -'- incensurabile nel merito; ma anche in riferimento ad essa sussister sempre il dovere del giudicante di darne giustificazione attraverso la motivazione. E' evidente che solo allorquando abbia percorso tutte le fasi sopra indicate, sia d'ordine processuale che d'ordine sostanziale, il giudice avr utilmente com piuto l'iter necessario per pervenire alla pronuncia, e solo allorquando abbia dato ragione dello svolgimento di tali momenti del giudizio, egli avr reso una motivazione idonea ad assolvere alla propria funzione. Ma il discorso non pu in tal modo ritenersi esaurito, poich accanto agli aspetti contenutistici si pongono i profili qualitativi, che consentono di valutare la motivazione in termini di congruit e di adeguatezza, in riferimento a ciascuna delle parti in cui essa si articola. Non una qualunque esposizione dei fatti ed una qualunque deduzione giuridica fondata su di essi pu ritenersi appagante, ma solo quella che abbia un effettivo e concreto supporto razionale, alla luce delle risultanze processuali, nel tutto ed in ogni sua singola parte. II primo requisito essenziale -che non presenta rilievo particolare in relazione al caso di specie -pu essere dunque individuato nel corretto ordine nell'esame e nella risoluzione delle varie questioni, funzionalizzato alla rea lizzazione di una rigorosa concatenazione logica delle proposizioni in cui (essa) si articola, in guisa tale che sia agevolata l'opera dell'interprete nella ricostru zione del pensiero del giudice (S. EVANGELISTA, op. cit., p. 169). Il secondo requisito costituito dalla sufficienza, intesa come l'indicazione di tutte le ragioni che siano obiettivamente adeguate, sul piano logico e su quello delle massime di esperienza, a suffragare il convincimento espresso dal PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 347 Con pm specifico riferimento ai mezzi di difesa adottati dai convenuti, non pu -poi -non rilevarsi l'inconsistenza dell'assunto secondo cui il vizio in questione non sarebbe configurabile nell'arbitrato di equit. A parte la considerazione dell'elemento letterale, che non autorizza la discriminazione nel senso voluto, lo stesso sistema ad imporre invece il requisito della motivazione all'arbitrato di equit (cos come del resto dispone l'art. 118 d. att. per la giurisdizione equitativa dello Stato) e si direbbe a maggior ragione, considerando proprio le maggiori opportunit di arbitrio connesse ad un tipo di giudizio che, proprio per giudice, su ciascuna delle questioni decisive della controversia... La nozione di sufficienza si muove (dunque) nell'orbita dell'esigenza di una motivazione intesa come necessit di una concreta esposizione della ratio decidendi, sicch ogni vizio che inficia il ragionamento giustificativo, sia per incompletezza dei dati sia per difetto di coerenza logica, si profila come carenza di una motivazione idonea a fornire un'attendibile giustificazione della decisione, e cio come una vera mancanza di base legale della medesima (S. EVANGELISTA, op. cit., pp. 164-165). Con ci, non intendiamo affermare che la compiutezza vada intesa secondo un'ottica di fiscalismo processuale >>, nel senso che sia richiesto un diffuso richiamo di tutte le questioni sollevate e di tutto il materiale istruttorio acquisito. In omaggio al principio della concisione, (che nel lodo arbitrale diviene sommariet ), possiamo ben condividere l'indirizzo giurisprudenziale che ammette la motivazione per relationem. Possiamo perci tranquillamente ritenere che sia sufficiente una valutazione globale e sintetica delle risultanze di causa e degli elementi di giudizio che, senza necessit di un esame particolareggiato, consenta di ricostruire compiutamente quel procedimento (cfr., tra le tante, Cass., 12 marzo 1973, n. 701, in Foro it., Rep. 1973, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2363, n. 34; Cass., 20 marzo 1975, n. 1059, ivi, Rep. 1975, v. cit., c. 2566, n. 65; Cass., 3 maggio 1975, n. 1707, ivi, Rep. 1975, v. cit., c. 2566, n. 68; Cass., 20 ottobre 1976, n. 3651, ivi, Rep. 1976, v. cit., c. 2744, n. 31). Quel che occorre specificare, comunque, che l'adozione di un simile metodo, dovuta ad evidenti scopi di praticit, non pu mai tradursi nella sostanziale svalutazione dei fini della motivazione. Occorrer dunque verificare che negli atti ai quali fa decisione rinvia, sia possibile ritrovare effettivamente gli elementi che giustifichino il convincimento assunto dal giudice e gli argomenti che consentano di superare, in maniera convincente e logica, le avverse deduzioni svolte dalla parte soccombente. Ne consegue che la sufficienza della motivazione dovr essere valutata alla stregua della sufficienza di quel materiale istruttorio e di quegli elementi di giudizio sui quali la decisione, sia pure per esplicito o implicito richiamo, si rivela fondata. Cos, ad esempio, ove la decisione si limiti a recepire le conclusioni rese dal consulente tecnico, ritenendole corrette ed obiettive, occorrer accertare che la c.t.u. sia effettivamente sorretta da elementi di prova e di giudizio che, sul piano logico e razionale, ne giustifichino le conclusioni. Il terzo ed ultimo requisito della motivazione deve essere ricercato nella coereriza e nella non contraddizione nell'opera di individuazione, raccolta e valutazione complessiva degli elementi di giudizio. Ci significa in primo luogo che tutti questi elementi devono essere ricompresi in un quadro organico ed omogeneo, in guisa che il discorso motivo si sviluppi attraverso momenti e proposizioni tra loro conciliabili, o comunque non contrastanti. Ma occorre 348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essere svincolato dall'osservanza delle norme di diritto, deve rispondere di quelle esigenze di logica e razionalit a riparo da distorsioni della attivit giurisdizionale verso fini ad essa estranei, se non addirittura contrari. Nel caso in esame, in cui trattasi effettivamente di un arbitrato di equit, come risulta evidente dal capoverso dell'art. 19 del contratto di assegnazione 10 luglio 1954 (Detto collegio decider quale arbitro amichevole compositore, senza formalit di rito, e le sue decisioni non saranno suscettibili di alcun gravame), il problema si pone piuttosto altres che non si registri contraddizione tra la realt effettiva emergente dagli atti di causa e dal materiale istruttorio raccolto, e quanto assunto in punto di fatto dalla decisione (o dagli elementi di valutazione e di giudizio che la decisione abbia recepito ed ai quali abbia fatto rinvio). La esposizione dei fatti, in cui cnsiste la posizione delle premesse del giudizio, deve essere quindi fedele e conforme all'effettiva realt, sotto pena di incorrere in Vizi di falsit e di travisamento, che possono essere assunti come ipotesi specifiche di contraddizione, e che costituiscono comunque un momento sintomatico della scorrettezza della motivazione e della nullit della pronuncia. Il controllo del giudice della impugnazione dovr dunque estendersi alla verifica della compatibilit tra le concrete risultanze processuali e le. circostanze di fatto assunte dalla pronuncia. Con ci non si rinnover peraltro il giudizio di fatto, ma si conoscer del fatto al fine di assicurare che la motivazione resa ne sia espressione verace, e non meramente fittizia. In sintesi, dai rilievi che precedono si evidenzia in misura sufficiente su quali basi sar possibile cogliere la congruit e la adeguatezza della motivazione fornita, e su quale piano occorrer collocarsi per decidere se sia identificabile la ratio decidendi della pronunzia. E' evidente infatti che i requisiti in esame potranno essere opportunamente valutati non gi sul piano della forma, ma solo sul piano della logica del processo, in base ai canoni che presiedono alla razionalit del giudizio. Per l'effetto, non pu certamente credersi che la motivazione sia idonea a sorreggere il giudizio sulla semplice base della correttezza lessicale e sintattica del discorso, perch il vizio della motivazione non (o non soltanto) l'uso di una fraseologia sgrammaticata o sconnessa. Certo, se la decisione impugnata avesse adottato un linguaggio del genere, il discorso non sarebbe stato intellegibile, e la pronuncia avrebbe dovuto essere cassata; ma questa ipotesi irreale non coglie certamente il senso e l'essenza della previsione normativa, secondo la quale la non intellegibilit deve essere considerata sul piano logico, e non soltanto su quello linguistico. Ma la logicit di cui si discute non neppure logica astratta. La motivazione non solo esteriorit ed apparenza, che sarebbero idonee a fornire soltanto l'illusione del diritto. Di conseguenza, la adeguatezza della motivazione non pu essere colta esclusivamente sul piano del pensiero, dando per scontato e per ammesso qualsivoglia indimostrato presupposto su cui lo sviluppo del pensiero si dichiari fondato. Diversi sono d significati -si afferma ancora in dottrina - in cui comprensibile la logicit. Pu innanzi tutto ritenersi logica la motivazione che risponde agli astratti schemi del metodo sillogistico, ma si tratterebbe di una logic~t tutta estrinseca e formale che, anche se sussistente, potrebbe non essere idonea ad evidenziare attraverso l'esposizione delle ragioni del decidere l'intima e reale congruenza che deve essere propria del giudizio. E' stato acutamente PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 349 con riguardo alla qualificazione del difetto di motivazione come vizio in procedendo oppure in iudicando, ai fini dell'ammissibilit dell'impugnativa di nullit, posto che il secondo comma dell'art. 829 cod. proc. civ., esclude tale impugnativa per inosservanza - nel giudicare delle regole di diritto, nel caso del lodo di equit o dichiarato non impugnabile. Ma il problema non presenta difficolt di risoluzione, quando si consideri che, come del resto pu dirsi per tutti i casi elencati dal primo comma del citato articolo, fra i quali il difetto di motivazione annoverato, trattasi di vizio attinente alla irregolare attivit del giudice notato che in nome della logica formale si rischia di mandare per buone le pi incredibili storture del ragionamento, il cui rigore, invece, deve essere valutato alla stregua della plausibilit e del senso comune (S. EVANGELISTA, op. cit., p. 168). Simile anche l'insegnamento della Corte Suprema di Cassazione, secondo la quale la contraddizione non pu essere soltanto esteriore e formale. Il giudice, chiamato, nelle funzioni che l'ordinamento gli attribuisce, non alla tutela di norme astratte, ma al controllo del rispetto e dell'osservanza della legge, deve annullare la sentenza di merito, quando la contraddizione ne infici la sostanza (Cass., 12 ottobre 1953, n. 3312, in Foro it., Rep. 1953, voce Cassazione in materia civile, c. 335, n. 81). La motivazione va dunque letta ed interpretata in senso sostanziale, sulla base di una logica concreta che esprima un senso di giustizia vivo ed operante, allo scopo di togliere alla malignit e alla frode qualunque pretesto ed assicurare nell'opinione del pubblico la esattezza e la religiosit dei magistrati >>, secondo quanto dichiarava la prammatica del 27 settembre 1774 del Regno di Napo1i che, sull'esempio e sull'uso dei Tribunali pi rinomati , introduceva per la prima volta nel nostro Paese l'obbligo della motivazione per qualunque decisione... fatta da qualunque Tribunale di Napoli,. o collegio, o giunta, o altro giudice della stessa Capitale che abbia la facolt di decidere. Anche nel controllo della momvazione della sentenza hnpugnata, l'opera del giudice si dovr fondare dunque non su schemi formali, ma sulla profonda attitudine, propria di ogni provvedimento giurisdizionale, a penetrare e ricostruire le cose umane ed a provvedervi con saggezza. Anche la sentenza che !in questa sede si dnvoca non operazione aritmetica; un atto molto pi complicato e misterioso, che ha Je sue radici nella coscienza morale. e non si spiega colle astratte leggi dei numeri (P. CALAMANDREI, Processo e democrazia, in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965, p. 668). 3. La motivazione del lodo arbitrale in particolare. Caratteri e funzioni. Prima di applicare al caso concreto i princpi sopra enunciati e di valutare se la motivazione della pronuncia impugnata -integrata dalle ragioni poste a base della richiamata consulenza tecnica -sia caratterizzata dalla necessaria compiutezza e congruit, doveroso verificare se l'excursus che precede possa essere effettivamente riferito a tutte le decisioni giurisdizionali, ed essere quindi esteso anche al lodo arbitrale pronunciato secondo equit. Si obietta infatti che le considerazioni innanzi svolte in ordine agli aspetti contenutistici ed ai requisiti della motivazione, se possono riguardare la pronuncia del giudice ordinario, non trovano riscontro normativo a proposito del lodo, in quanto l'art. 829, primo comma, n. 5, c.p.c. sancisce la nullit della pronuncia arbitrale per la sola ipotesi di totale omissione della motivazione, e non pure per le ipotesi di 350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO piuttosto che ad un erroneo giudizio (Cass. n. 2262/52, a proposito dello analogo vizio oggetto di ricorso per Cassazione). E per essi l'impugnazione per nullit ammessa nonostante qualunque rinuncia (v. in proposito Cass. n. 1595/81). Ad un esame specifico sotto i profili sopra delineati, la decisione in oggetto risulta -appunto -carente di motivazione in ordine al merito, all'oggetto che gli arbitri erano chiamati ad affrontare per stabilire se effettivamente ricorressero le condizioni per il riconoscimento e la quantificazione (nella misura di L. 51.931.113) dell'indennit per l'au omessa valutazione di punti decisivi o di inadeguatezza logica, previste invece dall'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. come ipotesi di nullit della decisione del giudice ordinario. L'argomento letterale per del tutto inadeguato, perch sopraffatto e travolto dall'argomento logico. Che senso avrebbe infatti la motivazione, che -sia pur concisa e sommaria - sempre richiesta per qualsivoglia provvedimento giurisdizionale, se poi ne fossero impediti l'esame ed il controllo? Ovvero, che senso avrebbe la motivazione, se il suo esame dovesse essere meramente estrinseco e formale, e se il controllo dovesse consistere nella semplice constatazione che una qualunque motivazione ci sia o non ci sia? E che senso avrebbe la motivazione, se fosse sufficiente motivare su alcuni punti soltanto, anzich su tutti i punti decisivi della controversia, o se la motivazione sui singoli punti potesse essere anche incoerente, illogica, falsa o contraddittoria? Per la verit, se la motivazione perdesse la sua rilevanza e la sua funzione di carattere sostanziale, o se potesse essere anche parziale o priva dei suoi requisiti di ordine, di sufficienza e di coerenza, essa si tradurrebbe in un orpello inutile, capace solo di irridere al senso comune della giustizia! Sussiste dunque in primo luogo un postulato di ragione che impone di ritenere che anche la motivazione del lodo arbitrale -pur nella sua sommariet -deve possedere i contenuti ed i requisiti sopra enunciati, cos da esporsi agli stessi vizi ed alle stesse censure di cui si innanzi discusso in relazione alla motivazione di qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale. E di questo postulato sar facile rendere ragione anche sul piano ermeneutico, ove la disposizione di cui al combinato disposto degli artt. 829, primo comma, n. 5, e 823, secondo comma, n. 3, c.p.c. sia interpretata alla luce dell'evoluzione normativa, ed in particolare in considerazione del sopravvenuto principio costituzionale di cui all'art. 111 Cost., che non pu non significare il definitivo compimento della tendenza storica del sistema giudiziario verso un'imprescindibile esigenza di logicit delle decisioni assunte. La giurisprudenza e la dottrina dominanti sono perfettamente conformi a questa tesi, insegnando che la impugnazione del lodo senz'altro ammessa, qualora si registrino vizi della motivazione che impediscano di cogliere la ratio decidendi; n -si ripete -potrebbe ritenersi altrimenti, perch anche per il lodo arbitrale, che ha la forza ed il valore dell'atto giurisdizionale, sussiste l'obbligo della motivazione, e perch anche la motivaziione del lodo arbitrale, bench sommaria, deve avere per sua stessa natura la finalit di consentire il controllo sull'iter logico seguito dagli arbitri per giungere al loro convincimento. Pu pertanto ritenersi pacifico, nella giurisprudenza della Corte Suprema, che l'espressione... che il giudizio di impugnazione del lodo diretto soltanto ad accertare se per ciascuna statuizione stato soddisfatto l'obbligo della motivazione imposto dalla legge di per s incompleta ed inesatta, perch non PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 351 mento di valore del fondo, che l'art. 14 del contratto di assegnazione prevede come effetto dei miglioramenti recati dall'assegnatario, indipendentemente da quelli compiuti dall'Ente . Costituisce dunque presupposto di fatto del diritto azionato che dei miglioramenti siano stati recati dall'assegnatario, e ci doveva essere accertato prima di ogni altra cosa, perch si potesse procedere alla liquidazione del credito, che poi non altro che quello riconosciuto al possessore di buona fede dal terzo comma dell'art. 1150 codice civile. una qualsiasi motivazione risulta idonea a sorreggere una pronuncia arbitrale sui singoli punti controversi, ma soltanto quella immune dai vizi, che rendho censurabile ogni decisione del giudice. L'esposizione dei motivi pu bens essere sommaria, ma non incompleta, illogica, contraddittoria ed erronea (Cass., 24 dicembre 1%8, n. 407'5, in Foro it., 1969, I, p. 1206 ss., ed in Giur. it., 1969, I, l, p. 1721 ss.). Di conseguenza, tra i vizi in procedendo che rendono animissibile la impugnazione per nullit del lodo, ai sensi dell'art. 829, primo comma, c.p.c., indubbiamente compreso anche il difetto di uno degli elementi essenziali della decisione arbitrale, ossia della motivazione, quando questa, o per la sua mancanza su punti decisivi della controversia, o per contraddittoriet, o per insufficienza, non consenta di cogliere la ratio decidendi a sostegno del dispositivo (Cass., 28 marzo 1966, n. 815, in Giust. civ., 1966, I, p. 1049 ss., che si richiama a Cass., 27 giugno tl.%2, n. 1661). Parimenti, secondo la giurisprudenza di merito, la sentenza arbitrale nulla se contenga una motivazione manchevole, imprecisa e inadeguata, che... non indichi gli elementi tenuti presenti per giungere alla decisione, tale cio da offrire non un ragionamento logico, ma una incontrollabile affermazione di verit (App. Roma, 22 gennaio 1952, in Foro it., Rep. 1962, voce Arbitramento, c. 165, n. 117). Per l'effetto, ai sensi dell'art. 829, primo comma, n. 5, e dell'art. 823, secondo comma, n. 3, c.p.c., al di l dell'ipotesi di radicale omissione della motivazione, si ha difetto di motivazione del lodo arbitrale quando questa sia meno che sommaria , tale da non consentire la individuazione dell'iter logico-giuridico seguito dagli arbitri per giungere alla decisione e da risolversi quindi in una apodittica ed incontrollabile affermazione di verit (App. Roma, 28 gennaio 1980, in Ord. giur. oo.pp., 1980, II, p. 145 ss.). Nello stesso senso -con l'ulteriore specificazione che la valutazione della congruit e della adeguatezza della motivazione costituisce accertamento di fatto riservato al giudice dell'impugnazione del lodo -cfr. Cass., 18 agosto 1949, n. 2351, in Foro it., Rep. 1949, voce Arbitramento, c. 127, n. 106; Cass., 18 aprile 1951, n. 956, ivi, Rep. 1951, v. cit., c. 148, n. 92; Cass., 24 marzo 1952 n. 805, ivi, Rep. 1952, v. cit., c. 165, n. 112 ss.; Cass., 7 maggio 1952, n. 1275, ivi, Rep. 1952, v. cit., c. 165, n. 115; Cass., 11 novembre 1952, n. 3153, ivi, Rep. 1952, v. cit., c. 164 s., n. 110 s.; Cass., 20 dicembre 1952, n. 3251, ivi Rep. 1952, v. cit., c. 164, n. 108; App. Napoli, 25 novembre 1952, ivi, Rep. 1953, v. cit., c. 173, n. 105 s., che si riporta erroneamente all'art. 829, n. 4, invece che al n. 5, c.p.c.; Cass., 12 gennaio 1956, n. 27, in Giust. civ., 1956, I, p. 210 ss., ed ivi ampi richiami; Cass., 10 giugno 1958, n. 1923, ivi, 1959, I, p. 1973 ss.; Cass. 12 gennaio 1959, n. 57, in Giur. it., 1959, I, 1, p. 410 ss., e in Giust. civ., 1959, I, p. 1793 ss.; App. Napoli, 19 maggio 1958, in Dir. e giur., 1959, p. 75 ss.; App. Torino, 23 giugno 1958, in Giust. civ., 1959, I, p. 364 ss.; Cass., 23 gennaio 1960, n. 54, ivi, 1960, I, p. 1235 ss., con note di richiami; Cass., 25 maggio 1960, n. 1353, in Foro it., 1961, I, p. 99 ss.; App. Firenze, 20 gennaio 1968, in Giur. tosc., 1968, p. 454 ss.; Cass., 12 febbraio 1968, n. 470, in Giust. civ., 352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Nessuna indagine, sia pure per presunzioni, risulta effettuata a riI ~ guardo, n dal giudice n dal suo ausiliare. Le due pagine del lodo r:f: dedicate al relativo punto si diffondono nel riportare i risultati cui sono pervenuti il consulente di ufficio e quello di parte dell'Ente e nel manifestare la opzione per i primi, giustificandola esclusivamente con una supposta maggiore affidabilit, connaturata al ruolo di collabora zione del giudice del consulente di ufficio; al che seguono poi la rivalutazione del risultato secondo i valori monetari corirenti alla data del lodo e la detrazione dei controcrediti dell'Ente e di una somma (li 1968, I, p. 1016 ss., con nota favorevole di G. GUALTIERI, Vecchi e nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di clausola compromissoria e di procedimento di impugnazione per nullit del lodo arbitrale; Cass., 13 febbraio 1969, n. 493, ivi, Rep. '1969, v. cit. c. 159, n. 87; Cass. 21 novembre 1970, n. 2466, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 172, n. 67; App. Salerno, 3 giugno 1972, in Dir. e giur., 1974, p. 619 ss.; App. Roma, 10 lugLio 1972, in Arbitrato e appalti, 1974, p. 27 ss.; Cass. 3 otto bre 1972, n. 2838, in Foro it., Rep. 1972, v. cit., c. 176, n. 55; Cass., 23 novembre 1973, n. 3171, tin Giust. civ., 1974, I, p. 437 ss.; Cass. 29 aprile 1976, n. 1537, in I Foro it., Rep. 1976, v. cit., c. 149, n. 48; Cass. 14 marzo 1977, n. 1006, ivi, Rep. 1977, v. cit., c. 143, n. 41). Simili sono gli orientamenti dominanti della dottrina nel cui ambito si svil.uppata una notevole corrente la quale -considerando il difetto o fa contraddittoriet della motivazione come un vizio di attivit del giudice che, attraverso la illogicit o difettosit dei motivi che giustificano il dispositivo, concreta l'errar in procedendo -considera come motivo di nullit della sentenza arbi trale non solo la mancanza dei motivi, ma anche l'insufficienza o la contrad dittoriet tra di essi, o tra i motivi e il dispositivo. Il quale ultimo indirizzo quanto mai accettabile, in quanto rispondente all'effettivo pensiero del legislatore, specie ove si tenga presente il principio che gli arbitri, se pure con procedimento speciale, esercitano la funzione giurisdizionale al pari dei giudici ord nari, sicch la questione della motivazione del lodo non pu essere altrimenti trattata che con quegli stessi criteri che presiedono alla valutazione della sentenza del giudice ordinario. Posto che, infatti, la Jegge richiede che il lodo sia motivato, non pu soste nersi che basti una qualunque motivazione per dirsi assolto l'obbligo. Se moti vazione deve esserci, essa deve necessariamente -il che sembra insito nel concetto stesso del termine -contenere il processo logico, sia pure sommaria mente esposto, attraverso il quale l'arbitro giunto alla sua decisione... In defi nitiva, tanto vale la mancanza che la insufficiente e contraddittoria motivazione (G. SCHIZZEROTTO, L'arbitrato, Milano, 1982, p. 535 s. Conformi: F. CARNELUT TI, Istituzioni del processo civile italiano, II, Roma, 1956, n. 602; R. VECCHIO NE, Motivazione del lodo arbitrale, in Foro pad., 1954, I, p. 275 ss.; ID., L'arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, p. 660; V. ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, voi. IV, Napoli, 1964, p. 879 s.; S. SATTA, Commentario del Codice di Procedura Civile, voi. IV, Milano, 1971, p. 335 s.; T. CARNACINI, Arbitrato rituale, in Noviss. dig. it., voi. I, Torino, 1958, p. 918). Non deroga a questi principi fondamentali la disciplina dell'arbitrato secondo equit. Anche l'arbitrato d'equit deve costituire infatti un giudizio secondo ragione, ed anche nell'arbitrato d'equit occorre dare giustificazione logica e coerente delle determinazioni assunte. Ci provato in primo luogo dalla circostanza che anche il lodo pronunciato secondo equit deve essere motivato, e che anche in questo caso la motivazione PARl"B I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 353 re 6.500.000) gi lucrata dal Rosciano tramite il nuovo occupatore del fondo. Ora pur ammessa, dn materia che coinvolga questioni tecniche, una motivazione che si richiami recettiziamente alle ragioni esposte dal consulente tecnico, quando esse siano condivise dal giudice, che resta anche in tal caso peritus peritorum; e ci affermato dalla costante giurisprudenza nella considerazione dell'evidente superfluit di una riproduzione -in sentenza -del testo di una relazione che, proprio per essere tecnica, difficilmente (e comunque inutilmente) riassumibile non pu avere altra funzione che quella universale di consentire l'esame ed il controllo dell'iter logico seguito dal collegio giudicante. E' d'altronde evidente, sul piano ermeneutico, che anche il lodo secondo equit pu essere impugnato per i vizi in procedendo previsti dall'art. 829, primo comma, c.p.c., e quindi ai sensi del n. 5 del predetto comma, in riferimento all'art. 823, n. 3, c.p.c., nel senso indicato dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti. L'eccezione alla impugnabilit del lodo secondo equit riguarda soltanto gli errori di diritto -e quindi gli errores in judicando di cui al secondo comma dell'art. 829 c.p.c. -in considerazione della circostanza che gli arbitri secondo equit sono dispensati dal pronunciare secondo le regole di esperienza codificate nelle norme di legge; ma gli arbitri non sono, n potrebbero essere, dispensati dall'obbligo di pronunciare secondo ragione, in guisa che i vizi dell'iter logico da essi seguito potranno ben essere censurati e potranno ben portare all'annullamento della loro pronuncia. D'altra parte, non questo l'unico caso di impugnazione di una decisione d'equit per vizi di motivazione. La pronuncia d'equit, infatti, stata introdotta anche nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, ai sensi dell'art. 114 c.p.c.; e se vero che in tal caso la decisione inappellabile, per il disposto dell'art. 339, secondo comma, c.p.c., in quanto non sarebbe ammissibile un judicium novum che si sovrapponga alle libere e discrezionali determinazioni del giudice d'equit, altrettanto vero che nessuno dubita della proponibilit del ricorso per Cassazione, quanto meno ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e cio per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione . Queste considerazioni trovano puntuale conferma sia in dottrina che in giurisprudenza. La dottrina afferma infatti che l'obbligo della motivazione incombe agli arbitri, sia che decidano secondo diritto, sia che abbiano l'autorizzazione a decidere secondo equit. La legge vuole, infatti, che gli arbitri dicano sempre, oltre i motivi di fatto che determinato la materia del giudizio, anche i motivi per i quali riconoscono il diritto dell'una piuttosto che dell'altra parte, motivazione da attingere, a seconda dei casi, dal diritto o dall'equit ... Il difetto di motivazione invocabile cos per la sentenza pronunciata dagli arbitri di diritto che per quella pronunciata dagli arbitri d'equit, quand'anche le parti avessero convenuto la non impugnabilit della sentenza. Il motivo di nullit in discorso ricorre tutte le volte che la sentenza manchi totalmente di motivazione o quando quest'ultima sia cos imprecisa e manchevole che non consenta di comprendere l'iter del pensiero degli arbitri e non indichi gli elementi tenuti presenti per giungere alla decisione (G. SCHIZZEROTTO, op. cit., p. 535 ss. p. 630 s.). Similmente, anche nella giurisprudenza dei giudici di merito si affermato che gli arbitri autorizzati a decidere secondo equit sono tenuti a replicare agli argomenti giuridici delle parti e ad esporre sommariamente le ragioni di fatto e le considerazioni equitative poste a base della pronuncia (App. Genova, . 354 RASSEGNA', DELL'AVVOCATURA DELLO STATO \ .. in termini diversi da quelli con cui il consulente si gi espresso. Ma un simile richiamo presuppone necessariamente che l'elaborato peri I tale contenga a sua volta gli elementi razionali che giustifichino le conclusioni recepite dal giudice. I Del tutto vana e senza speranza invece la ricerca, nella relazione e nell'unico verbale di sopraluog allegato del ' consulente di ufficio Prof. Dr. Pantaleo Bombini del 10 ottobre 1979, di dati oggettivi -e conseguentemente della loro elaborazione -relativi al fondo in questione, dai quali si possa desumere concretamente quali fossero le 27 agosto 1948, in Foro it., Rep. 1949, voce Arbitramento, c. 126, n. 87 s.), e che il lodo di equit, dovendo contenere gli elementi richiesti dall'art. 823 c.p.c. e non essere inficiato dalle nullit previste dall'art. 829 c.p.c., annullabile per errores in procedendo quando la motivazione manchi del tutto, o quando sia illogica, imprecisa, inadeguata o contraddittoria (App. Venezia 14 novembre 1956, in Giust. civ., Rp. 1957, voce Compromesso, p. 575, n. 105). Ed anche la Cassazione, infine, pur ribadendo l'ovvio principio che il giudice investito dell'azione di nullit non pu sindacare gli apprezzamenti di merito e le statuizioni degli arbitri amichevoli compositori, ha specificato che egli deve comunque accertare se il lodo sia (correttamente) motivato (cfr. Cass., 18 agosto 1949, n. 2351, in Foro it., Rep. 1949, voce Arbitramento, c. 127, n. 104; Cass., 5 dicembre 1960, n. 3181, ivi, Rep. 1960, voce Arbitrato, c. 172 s., n. 116 ss., nonch Cass., 8 ottobre 1958, n. 3154, in Foro pad., 1959, I p. 558 ss. secondo cui nel caso di annullamento del lodo pronunciato secondo equit, il giudice dell'impugnazione sar investito del judicium rescissorium, nel quale pronuncer secondo diritto, salvo che le parti non lo autorizzino a pronunciare secondo equit, ex art. 114 c.p.c.). Qualora queste ragioni dovessero essere disattese, dovremmo allora prendere atto della circostanza che nel nostro ordinamento giuridico, nonostante tutto, esiste ancora una zona grigia dove il potere decisionale si pu legittimamente esercitare in modo assoluto ed incontrollato, nel segno del sic volo, sic iubeo, e dove la motivazione costituisce niente altro che che un insidacabile rivestimento delle pi discrezionali ed, eventualmente, delle pi illogiche determinazioni. Saremmo cio in presenza di una zona oscura , all'interno della quale l' equit costituisce un concetto arcano, che copre tutto e tutti. Dovremmo constatare in sintesi che tuttora persistono i residui di un sistema giuridico ancora primitivo, non ancora raggiunto dalla gi richiamata tendenza alla razionalizzazione del potere e caratterizzato dalla soggezione del giudicabile alla giurisdizione non in base alla persuasivit logica dal comando, ma in forza dell'dntrinseco collegamento tra religione e giustizia e del diffuso convincimento della diretta provenienza della decisione dalla divinit per il tramite del giudice, che mutuava dunque la sua autorit da virt soprannaturali, come tali non suscettibili dell'umano sindacato (S. EVANGELISTA, op. loc. cit.); con la differenza per che al giorno d'oggi -se alla nostra ragione non fosse con sentito sindacare -neppure al nostro sentimento riuscirebbe di confidare in un senso di Superiore giustizia. 4. I vizi della motivazione nella casistica giurisprudenziale. Nell'auspicio che il Collegio condivida le considerazioni svolte circa l'ammissibilit ed i limiti di estensione della presente azione, non resta che applicare al caso di specie i principi gi enunciati in tema di motivazione, e verificare se nel lodo impugnato risulti fornita congrua ed adeguata ragione delle scelte adot tate dagli arbitri. Per fare ci, sar utile riferirsi alla ricca casistica giurispru PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 355 condizioni di fatto del podere prima dell'assegnazione e quali siano le opere di miglioramento recate dall'assegnatario, per effetto delle quali il fondo stesso avrebbe coI].seguito l'aumento di valore, dati la cui indicazione era ovviamente necessaria per verificare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto azionato. Senza di che resta completamente aperta all'operatore della giustizia arbitrale, senza alcuna possibilit di controllo, la strada per le conclusioni pi infondate. A tale esigenza non sopperiscono certo le considerazioni -di cui la relazione in esame peraltro abbonda -sullo stato generale (non necessariamente particolare del fondo in questione) dell'antico latifondo del Tavoliere e dell'at denziale derivata dai principi anzidetti, poich essa costituisce una fonte inesauribile di indicazioni e di insegnamenti, che consentiranno di risolvere con facilit ed immediatezza tutte le questioni attualmente in contestazione. N avr senso obiettare, una volta di pi, che tale casistica si originata in prevalenza in occasione di ricorsi per Cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., anzich in sede di impugnazione di lodi arbitrali. E' evidente infatti, anche alla luce della giurisprudenza innanzi citata, che i principi che regolano l'obbligo di motivare sono i medesimi, sia nell'uno che nell'altro caso, e che i vizi della decisione possono ricorrere allo stesso modo in entrambe le ipotesi. In ogni caso, occorre ispirarsi alla stessa logica universale ed agli stessi postulati di ragione, che non differiscono qualora sia pronunciato un lodo arbitrale, anzicch una sentenza del giudice ordinario! Sulla base degli insegnamenti giurisprudenziali maggiormente significativi e pi emblematici, possiamo dunque affermare, in via generale, che l'obbligo di motivare risulta inadempiuto se la motivazione sia tale solo in apparenza, mancando del minimo indispensabile a dare ragione della decisione emessa (Cass., 17 gennaio 1957, n. 109, in Foro it., Rep. 1957, voce Sentenza in materia civile, c. 2270, n. 39); se l'omessa esposi:zfone dei motivi di diritto determini l'assoluta impossibilit di accertare le premesse logico-giuridice della decisione, riducendo questa ad espressione di puro arbitrio (Cass., 19 luglio 1965, n. 1637, in Foro it., Rep. 1965, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2681, n. 78); se la sentenza (o il lodo) si riduca ad enunciare le semplici conclusioni dell'indagine, omettendo ogni riferimento ad argomentazioni e giungendo ad affermazioni apodittiche (Cass., 22 gennaio 1958, n. 134, in Gist. civ., 1958, I, p. 662 ss.; Cass., 27 gennaio 1958, n. 202, in Foro it., Rep. 1958, voce Sentenza in materia civile c. 2363, n. 50; Cass., 7 agosto 1958, n. 2886, ivi, Rep. 1958, v. cit., c. 2363, n. 53; Cass., 25 giugno 1963, n. 1712, ivi Rep. 1963, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2503, n. 66); se il giudice, completamente trascurando le risultanze degli atti e le prove, abbia ritenuto di poterne superare l'esame e la valutazione, procedendo, unicamente in base ad argomentazioni ipotetiche e congetturali, ad una ricostruzione dei fatti secondo uno schema preconcetto (Cass., 12 luglio 1965, n. 1440, in Foro it., Rep. 1965, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2680, n. 63). Al di l di queste ipotesi di maggiore gravit, che investono il complesso della decisione, si deve poi. considerare che la motivazione, per poter assolvere alla propria funzione, deve sussistere in riferimento a tutti i punti decisivi della controversia, intendendo per tali tutte Ie questioni essenziali ai fini della pronuncia (Cass., 13 agosto 1964, n. 2319, in Foro it., Rep. 1964, voce Cassazione in materia civile, c. 322, n. 116; Cass., 21 maggio 1965, n. 989, ivi, Rep. 1965, v. cit., c. 350, n. 140), nonch tutti gli elementi di un fatto o di una situazione giuridica che RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 356 tuale sua possibilit di sfruttamento anche pollicolturale e comunque di maggiore produttivit, risultato questo ben attribuibile in ipotesi anche ad opere generali di bonifica, di trasformazione, di irrigazione da parte dell'Ente prima o dopo l'assegnazione (che avveniva quando gi il fondo era stato reso produttivo, come risulta anche dai cosi detti modelli RST/1/0TFA ). Solo in un punto della relazione (prime righe della pagina 5) l'estensore pare accingersi ad una osservazione pi ravvicinata del fondo in questione, quando accenna -di passaggio alla continua e diuturna opera di valorizzazione dei terreni, eseguita in primo luogo con l'esecuzione di arature profonde e bilanciate conci- hanno l'efficacia immediata o mediata di portare, se esaminati, ad una diversa soluzione della lite (cfr., da ultimo, Cass., 26 luglio 1971, n. 2527, in Foro it., Rep. 1971, voce Cassazione civile, c. 337 s., n. 169; Cass., 8 novembre 1974, n. 3429, ivi, Rep. 1974, v. cit., c .. 261, n. 146; Cass., 2 agosto 1975, n. 2964, ivi, Rep. 1975, v. cit. c. 307, n. 126), in quanto legati da un rapporto di causalit logica con la soluzione data dal giudice alla controversia (Cass. 7 maggio 1973, n. 1217, in Foro it., Rep. 1973, voce Cassazione civile c. 321, n. 144; Cass., 14 marzo 1974, n. 714, ivi, Rep. 1974, v. cit., c. 261, n. 135; Cass., 19 aprile 1975, n. 1505, ivi, Rep. 1975, v. cit., c. 307, n. 118; Cass. 5 maggio 1975, n. 1719, ivi Rep. 1975, v. cit., c. 307, n. 120). Pertanto la decisione non sar valida se il giudice avr omesso di prendere in esame taluno di tali punti, ovvero taluna richiesta istruttoria che mirasse a provarlo, in quanto la motivazione, venendo meno in riferimento al punto medesimo, mancher dei contenuti minimi per adempiere alla funzione cui destinata. In particolare, la decisione sar nulla quando sia omessa la giustificazione della mancata ammissione di mezzi di prova ritenuti decisivi (Cass., 16 luglio 1973, n. 2074, in Foro it., Rep. 1973, voce Prova civile in genere, c. 2042, n. 33 s.; Cass., 19 luglio 1975, n. 2867, ivi, Rep. 1975, voce Cassazione civile, c. 307, n. 125); quando abbia omesso di prendere in specifico conto una testimonianza che, se tenuta in conto, avrebbe potuto determinare una diVersa pronuncia (Cass., 7 febbraio 1958, n. 370, inGiur. it., 1958, I, l, p. 303 ss., con osservazioni adesive di G. DE BIASE; Cass. 27 ottobre 1965, n. 2273, in Foro it., Rep. 1965, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2677 s., n. 33), o quando abbia omesso di esaminare documenti idonei a fornire la prova di un fatto che, se tenuto presente, avrebbe potuto determinare una diversa decisione (Cass., 12 maggio 1973, n.. 1298, in Foro it., Rep. 1973, voce Cassazione civile, c. 323, n. 164; Cass., 11 settembre 1974, n. 2480, ivi Rep. 1974, v. cit., c. 262, n. 153; Cass., 28 gennaio 1975, n. 350, ivi Rep. 1975 v. cit., c. 306, n. 111). Per quanto si gi detto, neppure basta tuttavia che il giudice abbia preso in esame tutti i punti decisivi della controversia. Occorre che la motivazione, in riferimento a ciascuno dei suoi elementi essenziali, sia ordinata, sufficiente e non contraddittoria. Occorre cio che essa, in riferimento a ciascuno dei punti considerati, possieda i requisiti di logicit che sono prescritti a pena di nullit della decisione, ed in particolare il requisito della sufficienza, inteso sia come sufficienza dei dati che possano suffragare il convincimento espresso, sia oome sufficienza del processo di associazione delle idee che ha condotto al convincimento stesso. In giurisprudenza, pertanto, anche quando non sia stata ravvisata la completa omissione della motivazione in relazione a taluno dei punti decisivi della controversia, ne stata tuttavia ritenuta l'insufficienza allorquando il giudice si sia limitato ad esprimere un'affermazione apodittica, senza alcuna convincente valutazione degli elementi probatori, in ordine ad un punto considerato deci PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 357 maziom minerali ed organiche, ma l'aspettativa di una pi concreta ricerca e disamina resta subito delusa dall'immediato sbocco del discorso nelle considerazioni scientifiche sui meccanismi chimico-biologici connessi ad operazioni di tal genere (praticamente l'aratura e le concimazioni), i cui effetti, peraltro, sono notoriamente destinati ad esaurirsi in breve arco di tempo, con beneficio per il solo percettore dei frutti e non assumibili perci sotto la nozione di miglioramenti. N sembra che, con le suesposte osservazioni, la Corte voglia sconfinare nel rilievo di un vitium in iudicando, perch quel che si detto sivo (Cass., 15 febbraio 1955, n. 431, in Foro it., Rep. 1955, voce Sentenza in materia civile, c. 2056, n. 73; Cass., 15 marzo 1957, n. 878, ivi Rep. 1957 voe Cassazione in materia civile, c. 326, n. 68; Cass., 7 giugno 1958, n. 1879, ivi, Rep. 1958, voce Sentenza in materia civile, c. 2362, n. 34; Cass., 18 gennaio 1961, n. 71, ivi, Rep. 1961, v. cit., c. 2303, n. 40; Cass., 26 novembre 1964 n. 2806, ivi, Rep. 1964, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2518 n. 70; Cass. 4 marzo 1970, n. 512, ivi, Rep. 1970, voce Sentenza civile, c. 2192, n. 51; Cass., 18 ottobre 1971, n. 2953, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 2710, n. 107). Parimenti, si parlato cli motivazione insufficiente in riferimento alla sentenza che, dando credito alla tesi di una parte in base ad elementi del tutto indiziari, trascuri di prendere in esame ogni altra risultanza processuale e, in particolare,"' le prove fornite dalla parte soccombente a sostegno della tesi contraria, rendendo cos impossibile il controllo sul processo logico che ha determinato questa decisione (Cass., 7 maggio 1957, n. 1553, in Foro it., Rep. 1957, voce Cassazione in materia civile, c. 326, n. 64). Ed ancora, la Suprema Corte ha ritenuto che il vizio di insufficiente motivazione sussiste nell'ipotesi cli insufficienza sotto il profilo sostanziale, in quanto si riveli un'obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice del merito alfa formazione del proprio convincimento (Cass., 9 ottobre 1974, n. 2741, in Foro it., Rep. 1974, voce Cassazione civile, c. 261, n. 140), o in quanto il giudice del merito non offra l'indicazione delle ragioni che siano obiettivamente sufficienti, sul piano logico e su quello delle massime di esperienza, a suffragare il convincimento dello stesso giudice espresso sul punto (Cass., 17 maggio 1974, n. 1470, in Foro it., Rep. 1974, voce Cassazione civile, c. 261, n. 137). Con specifico riferimento alla valutazione della consulenza tecnica d'ufficio, con decisioni particolarmente significative per la soluzione del caso di specie, la Cassazione ha infine insegnato che in linea cli massima ammissibile che il giudice cli merito si uniformi alle conclusioni rese dal c.t.u., riconoscendole convincenti, senza necessit cli esprimere particolari ragioni a riguardo; ma quando le critiche mosse dalle parti alle risultanze della consulenza siano precise, circostanziate, e tali che -se ritenute fondate -porterebbero a soluzioni opposte o diverse da quelle prospettate, non possibile esimersi dal vagliare ex professo tali critiche (Cass., 3 marzo 1962, n. 396, in Giust. civ., 1962, I, p. 1496 ss., e in Giur. it., 1963, I, 1, p. 356 ss.; Cass., 28 febbraio 1963, n. 507, in Temi nap., 1963, I, p. 242 ss.; Cass., 24 marzo 1965, n. 482, in Foro it., Rep. 1965, voce Con sulente tecnico, c. 664, n. 38; Cass. 16 luglio 1965, n. 1567, ivi, Rep. 1965, v. cit., c. 664, n. 35 s.). In tali casi, il giudice viene dunque meno al dovere cli motivare se, anzicch dare una specifica risposta a tali critiche, si limita a generiche affermazioni cli adesione al parere del consulente (Cass., 22 giugno '1961, n. 1495, in Giust. civ., 1961, I, p. 1811 ss. e in Foro pad., 1962, I, p. 22 ss.; Cass., 2 febbraio 1962, n. 213, in Foro it., Rep. 1962 voce Consulente tecnico c. 661 s., n. 39 s.; Cass., 16 marzo 1964, n. 586, ivi, Rep. 1964, v. cit., c. 635, n. 41; Cass., 23 aprile 1966, n. 1046, ivi Rep. 1966, v. cit., c. 611, n. 56). 358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trova la sua giustificazione esclusiva nella ricerca di una effettiva motivazione , la quale nen pu prescindere dal riferimento ai fatti corrispondenti alla previsione tipica, cui la legge annette le conseguenze del caso che il giudice poi attua concretamente con la sua pronuncia. ovvio pertanto che il controllo sulla esistenza (non meramente formale) della motivazione implica necessariamente la ricerca sulla compiuta indagine di fatto. Come si dunque viisto, n il collegio arbitrale n il consulente d'ufficio (tanto meno quello di parte ERSAP) si son fatti carico di accertare i concreti elementi di fatto che il contratto e la legge (art. 7, u.c., legge 379/67, art. 1150 e.e.) presuppongono per il diritto all'indennit in questione, ed il risultato della valutazione attuale del fondo, cui si perviene (L. 51.166.500, aumentate dal collegio arbitrale di un ulteriore 40 per cento per sopravvenuta svalutazione), non che un puro giudizio di stima (a sua volta neppure motivato, nella sua apodittica enunciazione), svincolato completamente dai detti presupposti. In ci consiste il difetto di motivazione della decisione impugnata, vizio che non pu certo ritenersi escluso - infine appena il caso di notarlo -per il rilievo contenuto nel lodo della minore stima (lire 25.924.360) cui sarebbe pervenuto il consulente di parte ERSAP. Tale rilievo infatti -come si evince dalla lettura del passo in cui contenuto - servito al giudice arbitrale solo per trarne argomento di maggiore affidabilit della stim del consulente di ufficio, ma non colma certo la riscontrata mancanza di indagine e motivazione sul punto specifico di cui s' detto. Dev'essere pertanto dichiarata la nullit della sentenza arbitrale.. 5. Considerazioni conclusive. Se dunque si ritiene -come noi, per amore di verit e di giustizia, fermamente riteniamo -che i principi in tema di motivazione innanzi esposti trovano integrale applicazione anche a proposito del giudizio arbitrale di equit; se cio si ritiene -per elementari esigenze di logica giuridica -che il combinato disposto degli artt. 829, primo comma, n. 5, e 823, secondo comma, n. 3, c.p.c., interpretato alla luce dei principi costituzionali, di criteri storico-evolutivi e della dottrina e della giurisprudenza dominanti, consente l'impugnazione del lodo di equit non solo nell'ipotesi di totale mancanza della motivazione, ma anche nella ipotesi di omissione, insufficienza e contraddizione della motivazione stessa su punti decisivi della controversia, si sar allora individuata la strada per assicurare che il fenomeno arbitrale sia contenuto entro principi di legalit, razionalit e correttezza, contro possibili prassi che -dietro motivazioni apparenti, surrettizie, manchevoli, insufficienti o illogiche -nascondano, sotto ingannevoli forme giurisdizionali, scelte e comportamenti non conformi a diritto. Il caso di specie potr essere tranquillamente risolto alla luce dei principi anzidetti, la cui applicazione condurr all'annullamento del lodo impugnato ed alla rinnovazione del giudizio in sede rescissoria. ALESSANDRO DE STEFANO ..........._._.,____________________ ---,. ---..--------------.... --.,.... . ;:. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO -Ad. plen. ordinanza 8 ottobre 1982 n. 17 -Pres. Pescatore -Rel. Adobbadi -Pilosa (avv. Simio, Valentini) c. Ministero Pubblica Istruzione (v. Avv. Gen. Stato Gargiulo). Giustizia amministrativa -Sospensione provvedimento impugnato -Giudizio di non ammissione ad esami di maturit. La tutela cautelare '[JU esercitarsi in materia di ricorso contro il diniego di ammissione all'esame di maturit, mediante l'ordinanza di sospensione del provvedimento, affinch l'Amministrazione disponga l'ammissione dello studer.te all'esame con riserva. La sospensiva sul diniego di ammissione all'esame di maturit Con la sentenza sopra massimata (che si pu leggere per esteso in Foro it. 1983, parte III, p. 41, con nota di Saporito) l'Aqunanza Plenaria ha autorevolmente confermato un orientamento gi molto diffuso tra i giudici amministrativi, ritenendo possibile, a seguito di richiesta di sospensione del diniego di ammissione agli esami di maturit, la pronuncia di un'ordinanza che disponga l'ammissione con riserva dello studente all'esame stesso. La decisione viene salutata con manifestazioni di consenso da parte di tutti gli operatori giuridici, i quali vi ravvisano l'apertura di nuove prospettive per il giudizio cautelare amministrativo. E' forse propria la generale condiscendenza per la soluzione gi largamente praticata che ha impedito al Consiglio di Stato di valutare a fondo le implicazioni della decisione adottata: il Collegio infatti muove dalla considerazione che l'esclusione di ogni cautela in tema di non ammissione all'esame porterebbe ad un risultato non apprezzabile sul piano della giustizia sostanziale, e si richiama alla sentenza 8/82 della Corte Costituzionale nella quale si manifesta la necessit di un istituto, quale appunto il procedimento cautelare, che consenta di anticipare sia pure a titolo provvisorfo l'effetto tipico del provvedimento finale del giudice ; si riallaccia al proprio insegnamento circa l'inclusione nell'interesse del ricorrente dell'affidamento sulle attivit che l'Amm.ne tenuta o facultata a svolgere a seguito dell'annullamento dell'atto impugnato (Ad. Plen. 6/82), per dedurne poi automaticamente l'ammissibilit (quasi doverosa) della sospensiva che si traduca nell'ammissione con riserva del candidato all'esame. Le considerazioni esposte sono tutte validissime in s valutate, ma non sembrano sufficienti a giustificare la conclusione raggiunta. In particolare l'af fermazione della Corte Costituzionale limitata -correttamente -alla segna lazione della nceessit di un provvedimento cautelare, che costituisca un'antici pazione degli effetti della decisione ma non giunge certo a pretendere che iI provvedimento d'urgenza realizzi una situazione addirittura potiore rispetto a quella prodotta dalla sentenza definitiva. 360 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ed questo proprio il punto delicato della decisione; l'Adunanza Plenaria sembra non aver considerato che con l'ammissione con riserva all'esame decretata in via d'urgenza lo studente ricorrente ottiene una tutela superiore a quella che avrebbe se il G.A. decidesse subito nel merito accogliendo il suo ricorso, o a quella che avr eventualmente in seguito, sempre m caso di sentenza favorevole. Non che questa problematica sia sfuggita al Supremo Collegio Amministrativo, il quale anzi d prova di rammentarla, quando afferma che a seguito dell'eventuale sentenza favorevole, l'eventuale giudizio di maturit resterebbe sospeso finch il Consiglio di classe si prommci, ora per allora, in senso favorevole per l'ammissione dell'alunno all'esame ; solo che non ne tiene conto nel corso del ragionamento che porta a concludere per l'ammissibilit della sospensiva. Non si tratta cti un'omissione irrilevante, perch idonea a falsare tuto l'iter logico della decisione; se infatti si riconosce che pure in caso di sentenza di accoglimento del ricorso l'unico effetto sar quello di imporre al Consiglio di classe di deliberare nuovamente sull'ammissione all'esame, e di deliberare senza altro vincolo se non quello di non reiterare il viz;io che ha determmato l'annullamento della precedente decisione, come si pu imporre un'ammissione con riserva in via cautelare, che prescinde persino da un rinnovato esame da parte del Consiglio cli classe? E' evidente che la esigenza di realizzare uno strumento che sia operativo nei tempi brevissimi che intercorrono tra ii diniego di ammissione e l'esame, ha sollecitato il G.A. a dare in via preventiva pi di quanto abilitato a concedere in via definitiva. Logica avrebbe invece voluto che tutt'al pi la sospensione fosse intesa come rimozione temporanea della prima delibera di non ammissione, con l'effetto di rendere immediatamente necessaria una seconda, che colmasse il vuoto provvisoriamente prodottosi; ma anche questa soluzione stata scartata verosimilmente per la sua difficile praticabilit. Questo dato di fatto per nulla toglie alla grave violazione di principio intrinseca alla impostazione prescelta, la quale risulta maggiormente ancora se la si colloca nell'ambito della pi generale tematica della sospensione dei provvedimenti negativi, gi da lungo tempo all'esame della dottrina. Con riguardo infatti alla distinzione operata tra procedimenti discrezionali e non, si pu osservare che se il provvedimento negativo del Consiglio di Classe non fosse discrezionale, ad esempio se in ipotesi i professori fossero tenuti solo a verificare, poniamo l'et o il numero dei giorni di presen2:a dell'alunno, allora l'annullamento giurisdizionale del diniego, essendo fondato su una violazione di legge porterebbe l'Amm.ne ad adottare quasi necessariamente un provvedimento positivo. Ma quando si tratti di un provvedimento discrezionale come quello di non ammissione agli esami di maturit, o per essere pi precisi quando l'impu gnazione si fondi sull'eccesso di potere per difetto o contraddittoriet della motivazione l'effetto dell'eventuale annullamento sar solo quello di imporre all'Amm.ne di pronunciare altro provvedimento che sia correttamente motivato, ma che non per questo dovr essere di diverso contenuto dispositivo. In altre parole un collegio di docenti pu avere mal motivato un diniego di ammissione, ma non per questo, annullato il primo, n far un secondo di ammissione (con ogni probabilit anzi si limiter a riformulare il giudizio negativo evitando i vizi evidenziati dal G.A.). In questa prospettiva l'ammissione con riserva decretata dal G.A. diviene ancora pi grave, perch non solo pone nel nulla provvisoriamente n prow r dimento gi adottato, il che legittimo, ma si sostituisce a quello che dovr ili ~ lt ~~ 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO solo, diremmo, dal combinato disposto delle due poteva risultare un ponderato giudizio. Orbene la questione si ripropone nel caso in esame: come potrebbe la Commissione d'esame valutare la prova del candidato senza tenere conto del suo curriculum e del suo giudizio di ammissione? Su questo specifico punto, al di l dei dubbi ulteriori che esso getta sulla soluzione accolta dall'Adunanza plenaria, pu essere utile ricordare un'interessante ordinanza pronunciata dal TAR della Lombardia (28-6-78 n. 196 Pres. De Roberto, Rel. Buonvino) che, nell'ammettere con riserva il ricorrente all'esame df maturit, cos motivava: considerato che il giudizio di non ammissione consta sostanzialmente di due momenti, uno valutativo, l'altro precettivo, che provvede circa l'ulteriore sviluppo della procedura (statuizione di non ammissione). Considerato che l'istanza di sospensione va favorevolmente definita solo su quanto attiene al momento precettivo, considerandosi operante la valutazione racchiusa in detto atto, P.Q.M. omissis. L'ordinanza contiene una felicissima intuizione: si sospende la non ammissione ma si lascia operante la valutazione formulata a seguito dello scrutinio, in modo 'che la Commissione d'esame non si trovi ad essere privata di un elemento fondamentale di giudizio. Ma in fondo non si fa che ribadire l'intima contraddizione di questa giurisprudenza, poich l'eventuale annullamento del giudizio del Consiglio di classe non potr non riflettersi sulla legittimit del giudizio della Commissione d'esame. Comunque la soluzione prospettata consente almeno di dare un'utile indicazione alle Commissioni d'esame, fermo restando che la loro valutazione dovr essere globale, ed ancora pi attenta del consueto nell'esaminare il curriculum dello studente, con spirito di assoluta autonomia e persino con un'accentuazione critica rispetto al giudizio del Consiglio che rimane come coloro che stan sospesi in una posizione di estrema precariet. Gian Paolo Polizzi SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 11 agosto 1982, n. 4521 -Pres. Tamburino -Est. Battimelli -P. M. Sgroi (conf.). Ranocchini c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti . Imposte doganali Accertamento Revisione Termine di decadenza Erronea applicauone della tariffa Esclusione. (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74 e 84). La correzione dell'accertamento per eliminare ur.a erronea applicazione della tariffa non soggetta al termine semestrale di decadenza, il quale operante soltanto per revisioni dell'accertamento che interessano la qualificazione, l'identificazione, la quantit e il valore delle merci (1). (Omissis) Quanto al secondo motivo, col quale si solleva unicamente una questione di decadenza per decorso di termini, va anzitutto osser.vato che non rilevano le osservazioni fatte dal ricorrente circa la legge applicabile ratione temporis al caso di specie, riguardante un'importazione avvenuta nel 1972, dal momento che il testo dell'art. 74 del D.P.R. n. 43 del 23 gennaio 1973 pressocch identico, tranne che per particolari che non attengono alle questioni qui dibattute, a quello dell'art. 6 del D.P.R. n. 62 del 2 febbraio 1970, e cos pure l'art. 84 del D.P.R. n. 43 del 1973 in nulla differisce dall'art. 27 della legge doganale del 1940 (prevedendo entrambe le norme la prescrizione quinquennale delle pretese dell'Amministrazione relative a diritti dovuti in conseguenza di errori di calcolo o di erronea applicazione delle tariffe), per cui assolutamente inutile affrontare il problema se, nel caso di specie, dovesse applicarsi la normativa vigente al momento dell'importazione o quella vigente al momento dell'emissione dell'ingiunzione. Il problema, in sostanza, si riduce unicamente nell'accertare se sia fondata la tesi radicale del ricorrente, secondo cui ogni volta che si faccia questione di erronea applica?ione di tariffe debba ricorrersi alla procedura di revisione dell'accertamento, e, subordinatamente, la tesi subordinata, e quindi nell'accertare quale delle due ipotesi ricorre .nel (1) Giurisprudenza ormai pacifica: Cass. 26 febbraio 1980 n. 1333 in questa Rassegna, 1980, I, 83; 16 f~bbraio 1982, n. 957 ivi, 1082, I, 581. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 364 caso di specie; e la risposta non pu essere che contraria alle tesi sostenute nel ricorso. Come infatti giurisprudenza consolidata; l'errore nell'applicazione delle tariffe qualcosa di assolutamente diverso dalla revisione dell'accertamento, comportando la prima ipotesi unicamente l'applicazione di una diversa specifica voce di tariffa a merci di cui sia pacifica la qualificazione, l'identificazione, la quantit e il valore e che pertanto, senza nessuna necessit di nuovi accertamenti o senza alcuna contestazione oirca le loro caratteristiche, siano ritenute assoggettabili ad una voce di tariffa diversa da quella applicata al momento dell'importazione; e comportando invece la seconda ipotesi la necessit di un nuovo esame delle merci al fine di qualificarle, oggettivamente, in modo diverso da come furono a suo tempo qualificate. Ne consegue che solo nella seconda ipo tesi applicabile la normativa sulla decadenza dell'amministrazione dalla facolt di rettifica, mentre nella prima l'azione della finanza non soggetta a decadenza, ma unicamente a prescrizione quinquennale (ved., in questi sensi, le sentenze di questa Corte n. 1330 del 26 febbraio 1980, n. 2836 del 29 aprile 1980 e n. 4825 del 25 luglio 1981). Resta pertanto da esaminare solo se nel caso di specie ricorra la prima ovvero la seconda ipotesi, e non vi dubbio che la pretesa della finanza era diretta unicamente all'applicazione di una diversa voce di tariffa a merci perfettamente identificate nelle loro caratteristiche merceologiche; sul punto la Corte di Appello ha gi chiarito che non vi fu alcuna procedura di revisione delle merci, e la difesa dell'Amministrazione, a sua volta, ha chiarito che l'ingiunzione era fondata sull'applicabilit alla merce importata di una voce di tariffa specifica, al posto di quella generica erroneamente applicata al momento dell'importazione; n il ricorrente ha contestato tale precisazione, cos come non ha formulato alcuna censura in merito a quanto ritenuto, sul punto, nella sentenza impugnata. Si era in presenza, pertanto, di un tipico caso di errore di applicazione di voci di tariffa, per cui esattamente la sentenza impugnata ha ritenuto tempestiva la pretesa dell'Amministrazione. CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 11 agosto 1982, n. 4522 -Pres. Miele Est. Batti;rnelli -P. M. Nicita {conf.). -Regolamento di competenza d'ufficio. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Foro dello Stato -Controversia in sede di esecuzione sulla spettanza di privilegi. (r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 78). Appartengono alla competenza del foro dello Stato le controversie di imposta attinenti alla spettanza di privilegi anche se insorte in sede PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 365 di esecuzione ed anche se vertenti tra l'Amministrazione ed un terzo che intende paralizzare la realizzazione del credito di imposta (1). (Omissis). L'Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia Meridionale (ISVEIMER), creditore ipotecario di Achille Frasca e Donato Deluca, pignor, in danno di costoro, una casa di abitazione in Silla Sassano; l'immobile fU venduto all'asta e il decreto di trasferimento fu registrato il 17 agosto 1977 in Sala Consilina. Successivamente, l'Ufficio del registro di Sala Consilina chiese al giudice dell'esecuzione del focale tribunale la sospensione della distribuzione della somma ricavata, essendo ancora creditore di imposta di consolidazione dell'usufrutto e dell'INVIM sul suddetto immobile, e successivamente intervenne formalmente nell'esecuzione con due distinti ricorsi, chiedendo, per la somma relativa all'INVIM, la prededuzione quale spesa del processo esecutivo. Avendo il giudice dell'esecuzione collocato il credito dell'INVIM in via chirografaria, e avendo l'Ufficio proposto opposizione al progetto di distribuzione, il giudice sospese la distribuzione del. ricavato limitatamente all'ammontare del credito per l'INVIM, assegnando il resto all'ISVEIMER e fissando l'udienza per la trattazione dell'opposizione. Iniziatosi innanzi al Tribunale di Sala Consilina il relativo giudizio, detto Tribunale, con sentenza del 5 aprile 1979, si dichiar incompe tente a decidere la controversia fra l'Amministrazione delle Finanze e l'ISVEIMER, affermando trattarsi di lite tributaria, in relazione alla quale ritenne competente il Tribunale di Napoli, quale giudice del luogo ove aveva sede l'Avvocatura dello Stato competente, a sensi degli artt. 8 e 9 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e degli artt. 9 e 25 c.p.c. Riassunto il giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, quest'ultimo, con ordinanza del 16 giugno 1981, rilev che la controversia aveva unicamente ad oggetto la spettanza, al credito per INVIM, del privilegio di cui all'art. 1770 e.e. (e non gi quello previsto dall'art. 28 del D.P.R. n. 643 del 1972), sostenendosi dall'amministrazione che il credito doveva essere qualificato come attinente a spese di giustizia, e negandosi tale natura privilegiata dall'ISVEIMER; che pertanto, in sede di distribuzione della somma ricavata, si faceva questione unicamente della sussistenza di un diritto di prelazione di carattere generale in relazione a spese che si sostenevano fatte per l'espropriazione dei beni immobili nell'interesse dei creditori; che la competenza a decidere spettava, per( 1) Principio pacifico (v. Relazione Avv. Stato 1971-75, Il, 610) del quale fatta applicazione ad una fattispecie di attualit. .366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tanto, al giudice dell'esecuzione, ossia al Tribunale di Sala Consilina, sia per il disposto dell'art. 7 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, modificato dalla L. 25 marzo 1958, n. 260 (secondo cui le norme ordinarie sulla competenza rimangono ferme anche quando sia in causa un'amministrazione dello Stato per i giudizi relativi a procedimenti esecutivi), sia perch la controversia, comunque, non aveva natura tributaria, dovendosi tale natura riconoscere solo alle controversie fra l'ente impositore e il debitore del tributo, aventi ad oggetto l'esistenza o la misura del tributo, l'eventuale esenzione, le forme, i termini e i privilegi per la sua riscossione, le modalit di pagamento e in genere tutti i problemi che direttamente investono l'obbligazione fiscale dedotta in giudizio. Conseguentemente, il Tribunale, ritenendo la propria incompetenza e la competenza del Tribunale di Sala Consilina, sollev di ufficio regolamento di competenza innanzi questa Corte. Il P.M. ha concluso per la dichiarazione di competenza del Tribunale di Napoli; l'Amministrazione delle Finanze ha presentato memoria, con le medesime conclusioni. Le conclusioni del P.M. vanno accolte. Nel caso di specie, invero, pur essendo la controversia insorta .in sede di esecuzione, trattandosi di esecuzione immobiliare e tenuto conto dell'ammontare della somma in contestazione, il conflitto negativo di competenza insorto fra due tribunali, entrambi, in astratto, competenti per materia, a sensi dell'art. 9 c.p.c., per cui il conflitto vert. unicamente sulla competenza per territorio, affermandosi, dal Tribunale di Sala Consilina, e negandosi dal Tribunale di Napoli la competenza di quest'ultimo quale giudice del foro erariale, in forza di una diversa interpretazione e applicazione dell'art. 25 c.p.c. e della normativa sulla difesa in giudizio dell'Amministrazione dello Stato. Ne consegue che, posto che la prima delle norme innanzi citate rinvia, quanto all'individuazione del foro erariale, alla normativa delle leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato, il conflitto va risolto in base alla disposizione del T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611, dispo sizioni che non sono state bene interpretate dal Tribunale di Napoli che ha sollevato il conflitto di competenza. Secondo quanto affermato nella relativa ordinanza, invero il sud detto Tribunale ha ritenuto sussistere la competenza del Tribunale di Sala Consilina, fra l'altro, in forza dell'affermazione secondo cui, in ogni caso, la natura finanziaria o meno della lite non avrebbe rilevanza, posto che tratterebbesi di una controversia di competenza del giudice dell'esecuzione, non solo a sensi dell'art. 512 c.p.c., ma altres a sensi dell'art. 7 del suddetto T.U. In proposito va rilevato che, se vero che quest'ultima norma sta bilisce che le norme ordinarie di competenza rimangono ferme per i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari, altrettanto vero che tale disposizione attiene alla specifica competenza dei giudici dell'esecuzione e del fallimento per gli atti tipici della loro attivit; ma il Tribunale di Napoli non ha considerato che il successivo art. 8 del T.U. stabilisce che, in materia di imposte e tasse, resta ferma la competenza del foro erariale, anche in relazione a controversie insorte in sede di esecuzione, come appunto nel caso di specie. Il problema, pertanto, si riduce unicamente nell'accertare se la controversia fra l'ISVEIMER e l'Amministrazione delle Finanze possa o meno ritenersi compresa fra quelle contemplate dal suddettq art. 8, e la risposta non pu essere che positiva. A tale conclusione deve giungersi sia considerando l'ampiezza letterale della norma in esame, che attiene, senza distinzioni, a tutte le controversie giudiziali riguardanti le tasse e le sovrattasse (e non vi dubbio che quella di specie riguardi un'imposta, sia pure ai fini dell'accertamento della natura privilegiata o meno del. relativo credito), sia in conformit al costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte in materia. Da un lato, invero, questa Corte ha pi volte affermato che la natura di controversia in materia tributaria ravvisabile anche quando sia in discussione non gi il rapporto di imposta come tale, ma si faccia que stione soltanto dell'esistenza di un privilegio ai fini della realizzazione in concreto di un credito di imposta non contestato in s e per s (ved. sent. n. 274 del 5 febbraio 1971 e da ultimo sent. n. 660 del 28 gennaio 1981); ed ha altres ravvisato l'applicabilit dell'art. 8 del T.U. anche nei casi in cui la controversia non verteva fra Fisco e contribuente, ma fra Fisco e un terzo che intendesse paralizzare, per ragioni proprie, la realizzazione, in sede di esecuzione, del credito di imposta (ved. sentt. n. 560/1981 e n. 5512 del 21 ottobre 1981). La giurisprudenza sul punto di questa Corte costante, in definitiva, nel riconoscere l'applicabilit dell'art. 8, ossia la natura finanziaria della lite, in ogni caso in cui si controverta sulla realizzazione, in concreto, di un credito di imposta, in funzione unicamente della natura oggettiva del credito in s e per s, indipendentemente dalle ragioni addotte per contrastare la pretesa del Fisco (ved., sul punto, la sentenza n. 2556/1954, citata dal P.M.). Nessun rilievo, pertanto, possono avere le osservazioni dell'ordinanza del Tribunale di Napoli in merito alla natura del privilegio vantato, il che attiene al merito della causa, alla possibilit in concreto di realizzare, nel caso di specie, la pretesa tributaria con prelazione, ma non toglie che comunque la questione sia insorta in una controversia rigufirdante un'imposta. (Omissis). 368 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 agosto 1982 n. 4524 -Pres. Miele t ( Est. Virgilio -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Mazzella) c. Piperno (avv. Pontecorvo). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Solidariet -Parti contraenti -Soggetto che ha partecipato alla formazione dell'atto come I rappresentante tale. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93). I Sono solidalmente obbligate per il pagamento dell'imposta di registro, quali parti contraenti, quelle che hanno partecipato alla formazione dell'atto quali rappresentanti, e fra queste anche gli amministratori delle societ, con Q senza personalit giuridica (1). (Omissis) Con unico motivo la ricorrente censura la sentenza impu i gnata per violazione dell'art. 93 del R.D; 30 dicembre 1923 n. 3269, e ! sostiene che la Corte di appello erroneamente ha escluso che la persona I intervenuta nell'atto quale amministratore e rappresentante di una sociei! t dotata di personlit giuridica sia solidalmente responsabile insieme 1 % con gli altri soggetti per il pagamento del tributo. ! La censura fondata. I Secondo i princpi pi volte affermati da questa Corte (v. sent. 6 ot I tobre 1972 n. 2856, 23 gennaio 1956 n. 202; 9 agosto 1973 n. 2278 e, da 'i > ultimo, 24 gennaio 1981 n. 544) l'obbligo della denunzia e del pagamento ~ dell'imposta, ai sensi dell'art. 93 del citato RD. n. 3269 del 1923, grava i r. anche sui rappresentanti o mandatari delle parti contraenti, in quanto ~ ~ l'obbligo stesso riguarda non soltanto le persone tra le quali intercorso 1 i il rapporto giuridico che qualifica l'atto, ma anche tutti coloro che, 1 essendo intervenuti con qualsiasi veste nella confezione, non siano rima! f sti ad essa estranei. f Con Ja pi recente delle indicate pronunce stato posto in evidenza, ! in considerazione della natura di imposta d'atto che l'imposta di regii stro sicuramente ha, che la legittimazione al pagamento deriva non gi ! I dalla legittimazione al rapporto giuridico regolamentato con l'atto, ma unicamente dalla partecipazione alla formazione dell'atto stesso. Intesa in tale accezione l'espressione parti contraenti (contenuta ! nell'art. 93 citato), evidente che non possibile distinguere dagli altri ! il caso del rappresentante di societ dotata di personalit giuridica, in quanto anche in tale situazione il soggetto compreso tra quelli inter I venuti nella formazione dell'atto e, quindi, obbligato al pagamento deli l'imposta di registro. (Omissis). ! i (1) Giurisprudenza costante sotto la abrogata legge di registro, di cui si fa specifica applicazione anche all'amministratore di societ dotata di personalit giuridica (Cass. 6 ottobre 1972, n. 2856, in questa Rassegna, 1973, I, 217; 9 agosto 1973 n. 2278, ivi, 966; 24 gennaio 1981, n. 544, in Riv. leg. fisc. 1981, 1329). L'art. 55 I della vigente legge di registro non sembra avere apportato variazioni. l I ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 novembre 1982 n. 6035 -Pres. Marchetti -Est. Virgilio -P. M. Sgroi (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Ente Autonomo Acquedotto Pugliese (avv. Guarino). Tributi erariali diretti Imposta sulle societ Esenzione dell'art. 151, lett. C), del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 Consorzio limitata ai consorzi fra enti pubblici territoriali Ente Autonomo Acquedotto Pugliese Non tale. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. C). L'esenzione dall'imposta sulle societ prevista nell'art. 151 lett. c) del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 per regioni, province, comuni e relativi consorzi deve intendersi limitata ai consorzi fra enti pubblici territoriali e non estensibile a consorzi di diversa natura, quali l'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese (1). (Omissis) La ricorrente deduce che erroneamente l'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese stato ritenuto riconducibile alla categoria dei soggetti indicati nell'art. 151, lett. c), del T.U. n. 645 del 1958, ai fini della esenzione dall'imposta sulle societ, in quanto la norma -menzionando le regioni, le province, i comuni. e relativi consorzi -ha inteso riferirsi a questi ultimi ( consorzi ) non in senso ampio e generico, ma con esclusivo riguardo a quelli costituiti tra gli enti pubblici territoriali o con la partecipazione di tali enti, modellati secondo gli schemi e la disciplina risultanti dalla legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383. Aggiunge che l'E.A.A.P., a causa della sua originaria configurazione, gi di carattere anomalo rispetto alle connotazioni tipiche dei consorzi, ma soprattutto in conseguenza della profonda trasformazione apportata alla struttura dell'ente con il R.D.L. 19 ottobre 1919 n. 2060, sicuramente privo dei requisiti essenziali per essere annoverato nella categoria dei consorzi menzionati nella norma agevolativa. Va premesso che la question,e della natura dell'ente, agli effetti della sua esenzione dall'imposta sulle societ, stata decisa in senso difforme con due sentenze della prima sezione civile di questa Corte (n. 4295 del 12 luglio 1979 e n. 5224 del 9 ottobre 1979) e perci le Sezioni Unite sono ora chiamate a comporre il contrasto. Le indicate sentenze, dopo ampia disamina delle vicende legislative sull'istituzione, modificazione e sviluppo operativo dell'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, in correlazione alla normativa tributaria contenuta (1) Decisione da condividere che ha risolto un netto contrasto fra anteriori pronunzie della prima Sezione. !denti.che sono le altre sentenze in pari data nn. da 6036 a 6041. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 370 nel T.U. n. 645 del 1958, hanno suffragato le rispettive opposte statuizioni con dovizia di argomentazioni, le quali -muovendo da prospettive divergenti -sembrano condurre a conclusioni egualmente coerenti rispetto alla diversa ottica in cui l'analisi dei due collegi giudicanti stata condotta. Queste Sezioni Unite ritengono che il contrasto vada risolto in conformit della sentenza n. 4295 del 12 luglio 1979, in base a una valutazione interpretativa pi strettamente correlata alla natura dell'indagine che la controversia richiede, la quale s'incentra sulla definizione della sfera di applicabilit di una norma di esenzione fiscale, suscettibile di interpretazione estensiva, ma non anche di quella analogica. Se si muove da questa premessa, la soluzione del problema non presenta difficolt. Nell'indagine volta a stabilire il preciso significato, nel testo unico del 1958, della espressione le regioni, le province, i comuni e relativi consorzi , l'interprete non pu prescindere dalla considerazione che nella terminologia giuridica, tanto in sede legislativa e dottrinaria quanto nel settore dell'attivit giurisprudenziale, il fenomeno consortile stato sempre caratterizzato da connotazioni tipiche che lo hanno nettamente differenziato da altre forme associative analoghe e, sotto il profilo dinamico, da una numerosa serie di attivit pi o meno affini. Nella complessa gamma di tale ben definita categoria, un rilievo particolare assumono i consorzi amministrativi, mentre, nell'ambito di essi, si evidenzia la peculiare figura dei consorzi tra enti pubblici territoriali. Di fronte a un panorama articolato e variegato dell'istituto consortile (risultante non solo dal contesto della legislazione, ma anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza) l'interprete deve perci ragionevolmente ritenere che il testo unico n. 645 del 1958, con l'espressione regioni, province, comuni e relativi consorzi , abbia inteso riferirsi specificamente alla categoria dei consorzi costituiti tra gli enti pubblici territoriali menzionati o, a tutto concedere, a quelli caratterizzati prevalentemente dalla partecipazione di tali enti. L'uso dell'aggettivo relativi immediatamente dopo l'indicazione dei tre enti pubblici territoriali esistenti nel nostro ordinamento chiaramente indicativo della volont del legislatore di porre una stretta correlazione, agli effetti della prevista agevolazione fiscale, tra gli enti ammessi al beneficio e i consorzi ai quali si intendeva estendere, ma anche circoscrivere, la concessione dello stesso beneficio. Appare dunque evidente che il significato proprio delle parole usate dal legislatore (che costituisce sempre il primo presidio di orientamento nell'attivit ermeneutica) non consente di ritenere che la disposizione dell'art. 151 lett. e) possa comprendere anche categorie di consorzi non strettamente rientranti nella ben definita figura di cui si detto. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Va inoltre considerato e sottolineato che all'epoca della emanazione del testo unico del 1958 sulle imposte dirette si era gi vistosamente verificato, nel settore del perseguimento degli interessi pubblici, il fenomeno dell'intervento dello Stato attraverso molteplici nuove forme operative, soprattutto con la costituzione di enti pubblici svolgenti specifiche attivit di ausilio o integrative di quella statale e della pubblica amministrazione in genere; sicch all'interprete non pu sfuggire il peculiare significato che, nell'indicato contesto, assunse nell'intenzione del legislatore il termine consorzio, il quale nel linguaggio tecnicogiuridico aveva e ha un preciso contenuto concettuale. Si vuole cio evidenziare che, nonostante le sopravvenute forme di realizzazione dell'interesse pubblico mediante creazione di nuovi enti, con attribuzione anche di compiti tradizionalmente affidati ai consorzi, il legislatore del 1958 ha mantenuto, agli effetti di cui si discute, la distinzione tra i nuovi organismi e i consorzi, conservando per questi ultimi una separata regolamentazione. Allo stesso criterio si uniformato anche il D.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 (istitutivo dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche) perch l'art. 2, nella elencazione dei soggetti passivi del tributo, sotto la lettera b) menziona espressamente i consorzi accanto agli altri enti pubblici e privati. Esiste dunque nella legislazione, anche recente, una costante differenziazione tra la categoria dei consorzi, in tutte le sue configurazioni, e quella degli enti pubblici in genere e di altre forme associative. Da questa constatazione agevole dedurre che il legislatore ha sempre usato consapevolmente il termine consorzio nel suo significato tecnico-giuridico, e che la regolamentazione di tale istituto, anche sotto il profilo fiscale, presenta nella normazione un'autonoma rilevanza, la quale definisce e circoscrive la' detta categoria rispetto ad altre aventi connotati analoghi o simili. La conferma del criterio di precisione terminologica cui si ispirato il legislatore nell'uso del sostantivo consorzio si ricava anche dall'art. 151 del T.U. del 1958, della cui interpretazione si discute, perch nella norma si fece riferimento (lett. a) ai consorzi delle societ agricole e di consumo, e inoltre (lett. e) ai consorzi di bonifica, miglioramento, irrigazione e per opere idrauliche, nonch (lett. e e d ) ai consorzi relativi agli enti pubblici territoriali, alle aziende dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, a condizione -per questi ultimi -che gestissero di fatto in regime di monopolio servizi di interesse pubblico. Furono perci previsti ed elencati particolari tipi di consorzi, mentre la menzione specifica e puntuale di essi sarebbe stata in gran parte superflua se il legislatore avesse inteso concedere l'agevolazione non gi a ben individuate specie di consorzi, ma genericamente a tutti quelli 372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rientranti nella categoria dei consorzi amministrativi, essendo evidente che in tal caso sarebbe stato sufficiente l'uso di una espressione letterale sintetica che avesse fatto riferimento alla detta categoria e all'attivit di pubblico interesse esplicata dagli enti. Tutte le considerazioni che precedono hanno carattere decisivo per la soluzione del caso in esame. Ai fini che qui interessano non occorre tanto stabilire se l'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese presentasse originariamente le caratteristiche proprie del consorzio costituito tra enti pubblici territoriali (su questo punto pu condividersi l'argomentazione della sentenza n. 5224 del 1979, che ha efficacemente sottolineato la natura di consorzio del- l'ente all'atto della sua costituzione, sia nell'essenza oggettiva, sia perch il legislatore lo qualific appunto come consorzio), quanto di accertare se dopo la riforma attuata con il R.D.L. 19 ottobre 1919 n. 2060 l'ente abbia mantenuto sufficientemente inalterate le stesse caratteristiche, o se invece abbia assunto una diversa configurazione giuridica, atta a renderlo estraneo al fenomeno consortile. La risposta al quesito certamente in quest'ultimo senso. Va innanzitutto considerato che non possibile sminuire l'importanza delle espressioni usate dal legislatore nel R.D.L. 19 ottobre 1919 n, 2060, contenente una completa nuova regolamentazione dell'ente di cui si discute. Gi nella premessa del detto decreto significativamente si afferma la necessit di trasformare il consorzio in un ente autonomo per la gestione tecnica e amministrativa di molteplici opere, anche al di l di quelle di competenza dell'originario consorzio costituito con la legge 26 giugno 1902 n. 245. Il provvedimento legislativo del 1919 mut anche la denominazione dell'ente e dispose testualmente: il consorzio assumer il nome e 1a funzione di Ente autonomo per l'acquedotto pugliese. E che non si tratt di una semplice modificazione d'ordine formale dimostrato dal notevole ampliamento della sfera di attivit del nuovo organismo, nel quale -sul piano della struttura partecipativa -divenne preponderante l'ingerenza dello Stato; sicch alla figura del consorzio in senso tecnico-giuridico (caratterizzata da pluralit di soggetti, interesse comune, volont di associarsi) subentr e si sostitu un pi vasto organo di attivit e di gestione. In sostanza tale organo, pur includendo e assorbendo in s i compiti gi di spettanza del consorzio, nei confronti di quest'ultimo assunse caratteristiche differenziali di non lieve importanza. Queste considerazioni sono gi sufficienti per far escludere che l'ente possa essere annoverato, dopo le menzionate modificazioni strutturali e operative, nella categoria dei consorzi indicati nella disposizione di agevolazione fiscale. PARttl I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 PARttl I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 Anche se tale categoria si ritenesse comprensiva non soltanto dei consorzi tra enti pubblici territoriali in senso stretto, ma altres di quelli costituiti con la partecipazione prevalente dei detti enti, egualmente gli elementi di differenziazione avanti richiamati resterebbero di tale rilevanza, sotto il profilo della configurazione particolare attribuita all'ente con il provvedimento del 1919, da non consentire l'assimilazione tr l'E.A.A.P. e la di;:lineata figura di consorzi. La convalida della esattezza di questa conclusione risulta peraltro Q.a un. argomento legislativo-testuale, valido di per s a dimostrare la infondatezza della tesi accolta nella decisione impugnata. La legge 20 marzo 1975 n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici) ha infatti previsto nel secondo comma dell'art. 1 l'esclusione dall'ambito di applicazione delle nuove norme degli enti locali e territoriali e loro consorzi, e nel terzo comma, agli stessi fini, ha fatto .riferimento alla tabella allegata alla legge (contenente l'elenco di alcuni enti), nella quale, sotto il n. IV -Enti preposti a servizi di pubblico interesse - menzionato anche l'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese. La deduzione di evidente linearit: se il legislatore, in un provvedimento di natura ricognitiva sul riordinamento degli enti pubblici, ha incluso l'E.A.A.P. in una categoria classificatoria con una propria connotazione, significa chiaramente che non Io ha qualificato e considerato come rientrante concettualmente nella canegoria dei consorzi tra enti locali e territoriali gi prevista separatamente nel secondo comma dell'art. 1. In conclusione, per tutte le argomentazioni esposte il ricorso deve essere accolto. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1 febbraio 1983 n. 864 -Pres. Miele Est. Battinelli -P. M. Nicita -Regolamento di competenza. Tributi erariali indiretti -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione Canone di abbonamento alle radioaudizioni -Natura del tributo Competenza del tribunale. (d.l. 21 febbraio 1938, n. 246, art. 1; d.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180}. Poich il canone di abbonamento ha natura di tributo, le relative controversie sono di competenza del tribunale (1). {1) Giurisprudenza costante, opportunamente rinverdita ~Cass. 16 gennaio 1975, n . .164, in questa Rassegna, 19.75, I, 416). 374 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis) Salvatore Giuffrida, con atto di opposizione proposto a sensi dell'art. 3 del T.U. n. 639 del 1910, convenne innanzi al Pretore di Torino l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, chiedendo dichiararsi l'illegittimit di una ingiunzione di pagamento emessa nei suoi confronti dall'Ufficio del Registro di Torino per omesso pagamento di canone di abbonamento alle radioaudizioni, sostenendo di non aver mai posseduto un apparecchio televisivo e di avere la residenza fuori del territorio dello Stato. L'Amministrazione resistette alla domanda, eccependo preliminarmente l'incompetenza per materia del Pretore, avendo la causa ad oggetto il pagamento del canone, di natura tributaria, per cui competente a conoscere dell'opposizione avrebbe dovuto essere il Tribunale di Torino, a sensi dell'art. 9, 2 comma, c.p.c. Il Pretore, con sentenza non definitiva del 6 marzo 1982, dichiar la propria competenza, condannando l'Amministrazione alle spese e disponendo la prosecuzione del giudizio nel merito. Osserv il Pretore che la parola canone sta ad indicare una prestazione periodica fissa, che nel caso di specie ha una causa non contrattuale, bens di diritto pubblico da qualificarsi come un prezzo amministrativo, inteso e destinato, nella quasi totalit, a sopperire ai costi dell'ente radiotelevisivo, e solo in piccola parte qualificabile come tassa riscossa dallo Stato (nella misura del 10%); che di conseguenza, per il principio dell'attrazione e dell'assorbimento, data la prevalenza, nella prestazione dell'utente, del prezzo rispetto alla tassa, nella fattispecie la competenza andava determinata secondo le norme generali della competenza per valore, con affermazione, quindi, della competenza del giudice adito. Contro questa sentenza l'Amministraizone delle Finanze dello Stato ha preposto ricorso per regolamento di competenza fondato sui seguenti motivi: 1 motivo: violazione dell'art. 9; 2 comma, c.p.c., nonch degli artt. 1 e segg. del D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, convertito in legge 4 giugno 1938, n. 880: Si sostiene, sulla base della sentenza della Corte Costituzionale 8 giugno 1963, n. 81, che seppure l'obbligazione a carico dell'utente nacque con caratteri di natura convenzionale privatistica, allorch l'art. 3 del R.D. 1 maggio 1924, n. 665, pose a carico dell'utente, oltre alla tassa di licenza, un diritto a favore del concessionario, si ebbe una modificazione successiva dell'orientamento legislativo, allorch con l'art. 7 del R.D.L. 23 ottobre 1925, n. 1917, ifu prevista una licenza di abbonamento da rilasciarsi dall'ufficio postale, legittimato a ricevere tanto la tassa di licenza che il diritto del concessionario; che ulteriore evoluzione si PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 ebbe allorch con l'art. 2 del R.D.L 20 luglio 1934, n. 1203, si attribu alla r.iscossione del canone di abbonamento la procedura (con gli annessi privilegi) prevista per la riscossione dei tributi statali, affidandosi la riscossione agli uffici del registro e prevedendosi che le quote rispettivamente spettanti allo Stato e all'Ente trasmettitore andavano determinate con decreti del ministro delle comunicazioni e del ministro delle finanze, s che scomparve la distinzione fra tassa di licenza e canone di abbonamento, posto che entrambi venivano riscossi ed incamerati dallo Stato, e solo successdvamente il loro importo veniva ripartito fra Stato e concessionario per il finanziamento dell'attivit di quest'ultimo; che la natura tributaria del canone dovuto dagli utenti accentuata dal fatto che esso dovuto per il solo fatto della detenzione di un apparecchio ricevente, giusta quanto disposto dall'art. 1 del D.L. 21 febbratio 1938, n. 246, s che il rapporto fra utente e produttore del servizio sfugge ad ogni natura negoziale, essendo svincolato dalla volont negoziale dell'utente. Inoltre, si richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo. cui alla definizione come tributaria dell'obbligazione dell'utente si perviene considerando che la prestazdone del servizio radio-televisivo avviene per soddisfare non gi gli intressi dei singoli utenti, ma un interesse prevalente della collettivit; inoltre, da tener presente che la qualificazione di tassa di abbonamento espressamente attribuita al canone iin questione dall'art. 7 del D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180, ed confermata dal fatto che il pagamento avviene all'Amministrazione delle Finanze, che lo gira a favore del concessionario, peraltro tenuto a corrispondere una quota dei proventi effettivi lordi; dal fatto che l'accertamento delle violazioni alla disciplina degli abbonamenti e l'applicazione delle penalit sono regolamentati dalle norme della legge 7 gennaio 1929 n. 9, sulla repressione delle violazioni alle leggii finanziarie; dal fatto che il relativo credito assistito dal privilegio speciale mobiliare previsto per i tributi indiretti, nonch dal privilegio generale a favore dello Stato per i contributi indiretti; ed infine dalla prevista comminatoria di una sopratassa, chiaramente di natura fiscale, per il ritardato pagamento del canone. 2 Motivo: violazione, sotto diverso aspetto, dell'art. 9 e dell'art. 31 c.p.c. Subordinatamente, si sostiene che, qualora non tutte le prestazioni pecuniarie dovute dall'utente avessero natura tributaria, ugualmente la controversia, avente comunque per oggetto, in parte, una controve:risia .tributaria, avrebbe dovuto essere portata alla cognizione del Tribunale, la cut comvetenza.tunzonale doveva assorbire quella per valore del Pretore. Il Giuffrida non si costituito. Il P.M. ha concluso per l'accoglimento del ricorso. : ,,..,,,.,.,,,,.,,.,,.,,.,,,._,,,,,l,111fll 376 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il ricorso appare fondato, in relazione ad entrambi i motiv.i su cui si articola. Quanto al primo, infatti, pacifico che quello delle radio-teletrasmissioni un pubblico servizio, volto principalmente e prevalentemente alla soddisfazione di interessi della collettivit, e non a quelli specifici dei singoli utenti, la cui volont di contrarre l'abbonamento alle trasmissioni non libera, essendo sufficiente presupposto dell'obbligo del pagamento del canone il semplice possesso di un apparecchio idoneo a ricevere le trasmissioni, indipendentemente dal suo effettivo godimento (ved. in questi sensi la sentenza di questa Corte. n. 164 del 1975). Dal che deriva che il canone in questione espressamente definito tassa di abbonamento dall'art. 7 del D.P.R. n. 180 del 1952, e tale qualit confermata da tutta la serie di disposizioni che ne regolano il pagamento e la riscossione nonch la successiva destinazione: cos per l'obbligo di pagamento del canone all'Amministrazione delle Finanze, che la gira al concessionario con l'obbligo, per quest'ultimo, di corri ~ spondere una quota dei proventi effettivi lordi (ved. artt. 3 e 25 R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, l'art. 21 del D.P.R. n. 180 del 1952 e il D.P.R. n. 1234 del 1969); per il rinvio alle norme della legge 7 gennaio 1929, I n. 4 -norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finan~~ ziarie -; per tutto ci che attiene all'accertamento delle evasioni; per l'attribuzione della competenza per tale accertamento agli ispettori e Ji procuratori delle tasse e imposte indirette sugli affari; per l'attribuzione I r~ ai Ministri delle Comunicazioni e delle Finanze della competenza a deter minare le quote degli introiti spettanti rispettivamente allo Stato e alla ~ societ concessionaria; per la concessione al credito per il canone di ~~-. < abbonamento del privilegio speciale mobiliare previsto in genere a favore < dei crediti dello Stato per i tributi indiretti, nonch del privilegio gene- ~~ raie sui mobili previsto, per i suddetti crediti, a favore dello Stato; ID ~j~ infine per la comminatoria, in caso di mancato o ritardato pagamento, I ~ di una sovrattassa, di evidente natura fiscale e non civilistica. ~ Non pu dubitarsi, pertanto, che una controversia avente ad oggetto il pagamento del canone di abbonamento rientri in pieno nell'ampia nozione di controversia finanziaria delineata da questa Corte, ai fini della individuazione del Tribunale, quale giudice competente per materia a sensi dell'art. 9 c.p.c., cos come specificamente, in relazione proprio a casi analoghi, gi questa Corte ha avuto occasione di pronunziarsi. La sentenza impugnata, inoltre, appare erronea anche per quanto I denunciato nel secondo motivo di ricorso, dal momento che, avendo Io 1i stesso Pretore riconosciuto natura tributaria ad una quota almeno del lli canone di abbonamento in discussione, la competenza funzionale del Tribunale avrebbe dovuto attrarre a detto giudice anche la parte di 1: controversia rientrante nella competenza per valore del Pretore, a sensi f dell'art. 31 c.p.c. (Omissis). i:' ('. ~: ~=: i:: !'i i,: 1:: --. -- . 377 CORTltDl CASSAZIONE, Sez. Un., 17 febbraio 19$3, n. 1205 .Pres. Greco Est~ Virgilio P. M. G. Sgroi (conf.). Collegio di San Clemente degli Spagnoli (avv. La Pergola e Guarino) c. Comune di Baricella (avv.. Gualan.di) e Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). ᥥ!~~w~~9'ffuiTifl:~~~~iiiJie~~tig~~1eti~u:gi~~01&c~1~1: dit&isctMo:tle ol'dfuarla" Sussiste.. (t;~. iii ~b~~ i~3~. 71. !175, ~. l, n. S; t.u. 3 marzo 1934, n. 383, lirt. 93, n. 7). .. .... ... .. .. . ,.~frj~r~1:i~~i'J!,2:~~-~'fr;#iir.&11&~;~; net.. ponfrof1ti.. delta .st~to...ch~ᥥdelc9ntrib4eiite;.afJ!tUe1Je... di. cOtt!;eguenza j1l~MffJ~etf~l~i~f0a/iJ;;~~JbJ~i~~jJj~!1u~~=hJ~s~!t~~1~0rnundiretta ..:<:-::.:::.:\:::/ .::::::>:-::::::\::/::::>::::::<::::<: :..-: .(0mi$$is):-,;:-: >>-:>>::::::-:-:ruasstlllte nei termitli indieati . . . le . censure . contenute . ..... . nelle :- <. '-:://-::: ... .. ..... . . . . . . ~.e .p.l).s11azjqtli, oQrre esaxrull,:te in V':ia pregiudiziale il primo motiY9 gel tcors() llcide11ta1e, . con dlquale si deduce il difetto assoluto di gi..t'isc:lizi()ne .. 4el~fu:(f.:iceprc1inario a pronunciarsi sulla domanda del Comune. di. Baricella . .Jt .m,ot~v9. ll9l:l ~ ~()ndato. . J,.'el.lte ter::r~t9riaje ha chiesto l'affermazione del suo diritto, nei confron# del i()llegi.() San Clemente degli Spagnoli (Albornoz), all'applicazi9ne: accei:tamento. ed esazione delle sovraimposte comunali su terreni, fabbricati e ricchezza mobile, richiamando le fonti normative (artt. 10, n. 8, e 254 e seg.enti del T.U.F.L. 14 dicembre 1931 n. 1175; 93 n. 7 del 1';(1. 3 ):narzo. 1934 n. 383) attributive della relativa potest impositiva, s()stll~:tldo,inoltre, l'inesistenza nell'ordinamento giuridico italiano di un. vali# titolo di esenzione fiscale in favore del detto Collegio. ~a nche chiesto, come mezzo al fine, la disapplicazione -all'occorreM4 '."':".'.. s()tto il profilo della loro illegittimit, degli atti con i quali stafo dlscnosciuto il suo diritto d'imposizione. (1) Questione nuova. Se vero che il potere di imposizione riconosciuto agli enti locali qualificabile come diritto soggettivo pubblico, anche vero che nel caso 'specifico il potere conferito quello di sovrimporre non sui redditi dei fabbricati ma sulle contribuzioni dirette erariali; non pu cio esistere sovrimposta senza imposta ed dubbio che l'ente locale abbia il potere di far affermare il dir~tto dello Stato all'imposta. 11 - --~ .!.""''" RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'oggetto del giudizio riguarda dunque la tutela della posizione di diritto soggettivo (pubblico) dell'ente territoriale, riconosciuta e garantita da leggi dello Stato. Il potere impositivo, quale espressione della capacit di diritto pubblico dell'ente, trova infatti fondamento nelle suindicate disposizioni legislative (ora abrogate), le quali attribuivano ai Comuni la facolt di istituire sovrimposte alle contribuzioni dirette su terreni e fabbricati. Il meccanismo di collegamento esistente tra il rapporto tributario Comune-contribuente (per le sovrimposte) e l'altro rapporto Stato-contribuente (riguardante i tributi diretti), e il dedotto carattere di accessoriet delle sovrimposte rispetto ai tributi erariali, non valgono a far ritenere che la tutela invocata dal Comune di Baricella non abbia la consistenza del diritto soggettivo. L'istanza di accertamento dell'inesistenza di una valida esenzione tributaria in favore del Collegio San Clemente, e la conseguente affermazione della piena operativit del potere impositivo riconosciuto dall'ordinamento all'ente territoriale, conferiscono alla domanda la chiara connotazione di richiesta di tutela di un diritto soggettivo pubblico, senza che possano avere influenza sulla natura della posizione giuridica dedotta a sostegno dell'istanza stessa l'opinione e il comportamento degli organi dell'amministrazione finanziaria statale in ordine all'esistenza di norme di esenzione in favore del Collegio. Va aggiunto che l'esito dell'accertamento -positivo o negativo promosso dal Comune (nei confronti sia dell'amministrazione finanziaria statale, sia del Collegio di San Clemente degli Spagnoli) sulla esistenza delle disposizioni tributarie di favore invocate dal Collegio, non pu non produrre effetti, a causa dei comuni presupposti di fatto e giuridici delle due potest impositive e della foro inscindibilit, anche nel diverso rapporto riguardante le imposte erariali; mentre non pu ritenersi, come si gi detto, che il mero comportamento degli organi finanziari dello Stato, fondato sulla opinione dell'esistenza di una valida norma di esenzione fiscale, possa di per s costituire ostacolo per la configurabilit della posizione di diritto soggettivo del Comune, il quale pretende in sostanza di esercitare il potere impositivo attribuitogli dalla legge. Ritenuto pertanto che la controversia rientra nella sfera della giurisdizione ordinaria, pu passarsi all'esame del ricorso principale. Il primo motivo volto a far dichiarare che il Collegio di San Clemente degli Spagnoli ha diritto alla esenzione tributaria. Con la memoria del 18 novembre 1982 il Collegio ha invocato, a sostegno di tale diritto, lo ius superveniens costituito dalla legge 29 set PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tembre 1980 n. 663, intervenuta in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, e sostiene che sulla base della identica situazione di fatto gi considerata dalla Corte di appello il riconoscimento del suo diritto alla esenzione dal pagamento dei tributi pretesi dal Comune di Baricella ora pienamente consacrato nella indicata legge . .La deduzione fondata. Con la legge n. 663 del 1980 -intitolata Ratifica ed esecuzione della convenzione tra l'Italia e la Spagna per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fi. scali, con protocollo aggiuntivo, firmato a Roma 1'8 settembre 1977 stato ratificato, come risulta dalla riportata intestazione, anche il Protocollo aggiuntivo, il quale, tra l'altro, cos dispone: lett. a) per quanto concerne l'art. 6 della presente Convenzione, J.e disposizioni previste nel processo verbale della seconda sessione (Roma dal 29 maggio al 3 giugno 1957) della Commissione Mista italo-spagnola, che hanno formato oggetto dello scambio di note tra l'Italia e la Spagna del 28 marzo 1958 e che costituiscono allegati all'accordo culturale italo-spagnolo dell'll agosto 1955, sono confermate ad ogni effetto. In particolare le esenzioni fiscali contenute nei predetti accordi, ivi comprese quelle che sono previste a favore del patrimonio del Collegio S. Clemente (Albomoz) in Bologna, producono tutti i lori effetti dalle date ivi indicate . La chiara portata della trascritta norma del Protocollo aggiuntivo (egualmente ratificato e dichiarato esecutivo con la menzionata legge n. 663 del 1980) toglie ormai consistenza a tutte le argomentazioni addotte dalla sentenza impugnata per dimostrare la inoperativit, nell'ordinamento italiano, delle norme agevolative in favore del Collegio San C.lemente, in quanto conferma espressamente tali norme e ne fissa la decorrenza dalle date 29 maggio-3 giugno 1957 (indicative del periodo di riunione della Commissione mista che stabil la esenzione tributaria) e del 28 marzo 1958, quando avvenne lo scambio di note tra l'Italia e la Spagna, costituenti allegati all'accordo culturale dell'll agosto 1955. L'arco di tempo in ordine al quale il Comune di Baricella ha chiesto l'accertamento della fondatezza della pretesa tributaria (il periodo controverso riguarda l'anno 1960) interamente coperto daJ.la normativa di esenzione, per cui ogni ulteriore discussione diventa superflua e restano, conseguentemente, assorbiti sia il secondo motivo (subordinato) del ricorso principale, sia gli altri motivi (2 e 3) del ricorso incidentale. In conclusione, in applicazione dello ius superveniens, la controversia va nuovamente rimessa in fase di appello perch sia esaminata alla stregua della indicata legge n. 663 del 1980. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 380 CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 25 marzo 1983 n. 2091 -Pres. Granata Est. Ruggiero -P. M. Pandolfelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Mari) c. Iaccarino (avv. Manfredonia). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Fabbricato in compropriet Destinazione ad attivit commerciale esercitata da alcuni soltanto dei comproprietari -Assoggettamento all'imposta fondiaria p.er l'intero Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 70 e 72). Poich l'imposta colpisce il reddito e non la costruzione ben possibile, nel caso che il fabbricato in compropriet sia destinato ad attivit commerciali esercitate da alcuni soltanto dei condomini, che le quote di pertinenza dei condomini che esercitano attivit commerciale entrino a comporre il reddito di impresa e solo le altre siano assoggettate all'imposta sui fabbricati (1). (Omissis) La ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 72 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645 in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., sostiene che nel sistema dell'imposta sui redditi dei fabbricati il presupposto oggettivo dell'imposta costituito dal possesso di una costruzione o di una porzione di costruzione capace di produrre un reddito autonomo, con chiaro riferimento, cio, ad entit materialmente e strutturalmente individuate e circoscritte, ed in tale sistema sarebbe del tutto incompatibile la possibilit, ritenuta dalla corte di appello, di sottoporre a tributo Solo una quota ideale dell'i~mobile, di per s insuscettibile di produrre un reddito oggettivamente autonomo, per cui ogni costruzione o porzione materiale di costruzione sarebbe necessariamente per l'intero soggetta al tributo, immobiliare, ovvero per intero esclusa da tale tributo nel caso, previsto dall'art. 72 del T.U. n. 645/1958, di immobile destinato a servizio di impresa commerciale, gestita dallo stesso proprietario; da ci la necessit, ai fini dell'esenzione, della piena identit tra titolarit del possesso e titolarit dell'impresa e, nel caso che (1) Questione nuova .. Sulla soluzione adottata lecita qualche riserva giacch la compropriet nei riguardi dell'imposta reale d luogo piuttosto ad una indivisibilit che ad una ordinaria solidariet; lo rivelano in particolare le modalit del procedimento (dichiarazione da parte di detto collettivo non tassabile in base a bilancio, accertamento nei confronti di questa, iscrizione a ruolo unitaria in base alle risultanze catastali). Ed anche a seguito della riforma, e particolarmente prima della emanazione del d.P R. 24 dicembre 1976 n. 920, la solidariet stabilita per l'ILOR dall'art. 33 del d.P,R. 29 settembre 1973, n. 602 sembra impedire che lo stesso immobile possa dar luogo a quote con diverso regime tributario. PARTE. r, snz, VI,. GitlRISPRUDJ;!NZA TRlBUTAIUA tale coincidenza non ricorra, l'assoggettamento del fabbricato al tributo immobiliare anche per le quote di pertinenza dei comproprietari gestori dell'impresa. Il ricorso non fondato. I.a .tesi ed il ragionamento della difesa dell'Amministrazione sono viziati' au'ongiri.e da tti1 eh:'re fondamentale d'h@ostazione, che cio ()ggett<:f lf~U'@@#a ~<:>biliare sia l costruzione o la porzione di cci$ttt1Zfoiie suscettibile di reddito autonomo, mentre fuori discussione eh.e; it:tvece, >oggetto del tributo non gi l'nmobile, bens il reddito che c,{~U'immobile s ritrae. :e vero che la stessa legge potrebbe indurre . . . m eqp.i\rocc:>allorch, PWPrio all'art. 72;.del testo unico,.per gli immobili d~stmati.aU'esetcwo ~i attivit commerciali (come al precedente art. 71, per gli immobili destinati all'esercizio di impresa agricola), parla di <1 costru. zioni o ~ 11orzi0m di .costruzioni non soggette all'im,posta; ma cw.ax-o <;he,; poich l'nposta in. questione . strutturata non .. come una nposta .s.L patrbnomo ma coll.1e un'nl,)sta suJ. reddito, le suddette espressioni costituiscono delle espressioni ellittiche, o sono il frutto cli una mera npreeisione tennlnolgica; ed , comunque, fuor di dubbio che esse vanno itltese nel . senso che, ricorrendo} le condizioni indicate nei citati articoli, sono i redditi delle costruzioni, e non certamente le cQstruzoni in ae. stesse, ad eS'sere esclusi dall'nposizione. l?atta questa essenziale ed indispensabile precisazione, viene a cadere la principale e pi s.ggestiva argomentazione svolta dalla ricorrente per confl.tt;ilre il prjnpi() a<::cy>lto dalla corte d'appello, vale a dire quella secondo la quale, l'Ofoh presupposto dell'imposta il possesso a titolo .di propriet, usufrutto o altro diritto reale di una costruzione o porzione
  • ! l (1) Decisione esattissima e conforme a costante giurisprudenza (v. Relazione Avv. Stato, 1971-75, Il, 518), ma che opportunamente rammenta l'irrilevanza delle circolari alle quali sempre pi si tenta di dare valore vincolante di rilevanza esterna. I ~ I f I ~ i ................................................................ ................... "' ...............,.....................................,J PARTll I, SEZ. VI, GIURISPRUQnNZA TRIBUTARIA (Omissis) Con il primo motivo del ricorso, l'amministrazione finan ziatia, denunciando la violazione degli artt. 1 delle preleggi, 2, 8, 17, 31, 81 .del testo unko 29 gennaio 1958 n. 645, deduce che erroneamente la commissiqtje tJ'ibutaria centrale. avrebbe ritenuto illegittimo l'accertamento Perch effettuato in cntrasto con le disposizioni contenute in \Ula cfrclare, .sef!za considerare che la circolare . un atto interno alla . . p\i,l)l;,li;:i i.;t).mlMstr~ione, priva di qualunque efficacia .giuridica nei con ... ffoiti d'efsdj~ttl strahf~tla stessa p.a. ... ta: ~ensf.ira l fonda.fa.. 1.a df!cislne della commissione centrale fondata sull'esclusivo rilieyg cheJ'~cc.~rtam,e11t9 ill;ip~~ii,to n?~Poteva... rite~rsi tegol;;\re, face);ldosi in ss9 ~spli.citc> riferimento alle riSultam:e dei registri tenuti agli effetti delrixnposfi:i... s\ll valore aggiunto, in contrasto con la circolare richiamata 4'.at c9nt#\'.>l.lente, che espressamente disponeva la temporanea inappli eablllta. dell.'futetscl:ll::llbio di dati o notizie relativi all'attivit dei contri... ~l.l;a tief varl seftorf iJ:llpositivi, tenut conto della difformit dei crit; d di aceitatneI1to e di determinazione della base imponibile dei nuovi tributi dspetto a quelli delle vecchie imposte tuttora vigenti . Ma la circostanza che un atto o un procedimento amministrativo sili\ cqnforme Q difforme rispetto alle disposizioni di una circolare , di p~rs s<:>la, priva di ogni rilevanza come indice di valutazione della sua legltthnit o illegittimit, questa potendo verificarsi solo mediante il confronto e.on le norme di legge o di r.egolamento che disciplinano quell'atto () q.,et prQedimento. Le circolari amministrative, infatti, come questa Suere:tJla Corte ha pi volte avuto modo di chiarire, sono atti conteri~ riti istruzioni, ordini di servizio, direttive, impartite dalle autorit amministrative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati, aventi la funzione di indirizzare in modo uniforme l'ttivit di tali enti o organi inferiori; esse, cio, sono atti meramente interni della pubblica amministrazione, che esauriscono la loro portata ecl. effic~cia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi cd i loro funzionari, e non possono, quindi, spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei all'amministrazione n acquistare efficacia vmcolante per questa ultima, neppure come mezzo d'interpreta# n,e di norme giuridiche, non costituendo perci fonte di diritti a favore clf tmi, n di obblighi a carico dell'amministrazione, specialmente in una J:llateria, come quella tributaria, regolata esclusivamente dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facolt discrezionale da parte dell'amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n. 3699 del 1974, n. 54 e 1457 del 1973, e altre). t:!. evidente, pertanto, l'erroneit della decisione della comm1ss1one, che ha ritenuto illegittimo l'accertamento dell'ufficio perch effettuato clilformemente dalle disposizioni della circolare, tale controllo potendo eseguirsi soltanto in base alle norme di legge che regolano i poteri di ~86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO "s-otto tale aspetto-' '":::-::_ rettifica e di accertamento degli uffici impositori. N, . pu ritenersi giuridicamente esatto nemmeno il richiamo della decisione ,_, all'argomentazione contenuta nella circolare circa la difformit dei cri- I 1-1 teri di accertamento o di determinazione della base imponibile di tri-~:: buti diversi, poich, se vero che l'accertamento relativo ad un tributo non pu direttamente ed automaticamente valere per un altro tributo, non vi alcuna ragione per ritenere che elementi e dati di fatto registrati e rilevati ai fini di un'imposta non possano esser.e utilizzati per la determinazione della base imponibile di un'imposta diversa, trattandosi solo di verificare in concreto se tale utilizzazione sia stata razionalmente e logicamente corretta e producente. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1983 n. 2130 -Pres. Miele Est. Zappulli -P. M. Ferraiolo (diff.). -Salvo (avv. Giuffrida) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -Dichiarazione Redditi non compresi nella di chiarazione presentata Omissione di dichiarazione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 32). Sono da considerare nor. dichiarati i redditi non compresi nella dichiarazione presentata per altri distinti redditi (ipotesi di plusvalenza non dichiarata sebbene nel bilancio vi fosse menzione della vendita) (1). (Omissis) Il ricorrente denuncia violazione dell'art. 32 T.U. 1958 n. 645 e difetto di motivazione. Dopo aver contestato che il reddito di R.M. da plusvalenza fosse il suo reddito principale, e dopo aver precisato che (1) Decisione di .evidente esattezza. La presentazione di una dichiarazione quale che sia non assolve al dovere di dichiarare tutti i distinti redditi; i cespiti totalmente omessi nella dichiarazione creano omissione non dissimile dal totale difetto di dichiarazione. Nella legge vigente non si parla pi di redditi non dichiarati ma di omessa presentazione della dichiarazione (art. 411 e 43 d.PJR. 29 settembre 1973, n. 600), mentre solo ai firui delle sanziOll1i (art. 46) si d rilevanza alla dichiarazione in cui non siano compresi tutti i singoli redditi. Tuttavia l'omissione di dichiarazione non pu, anche secondo la vigente normativa, essere riguardata in modo generico e complessivo, bens sempre con riferimento a singoli cespiti di reddito; lo si ricava dall'art. 1 del citato d.P.R. che considera non dichiarati, ai fini dell'accertamento e delle sanzioni, i redditi per i quali manca l'indicazione degli elementi necessari. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA questo era inesistente e comunque non era stato ancora definito nella sua eventuale quantit, deduce che, con riferimento all'anno di cui si discute, era stata presentata una analitica dichiarazione, in presenza della quale l'asserita omissione del reddito mobiliare dava luogo ad un'ipotesi di incompletezza e non di mancanza di denuncia. Sostiene pertanto che l'ufficio era decaduto dal potere di effettuare l'accertamento di valore, essendo decorso il termine di cui al primo comma del citato art. 32. Il ricorso non fondato. L'art. 32 del T.U. 1958 n. 645 fissava i termini entro i quali l'Amministrazione finanziaria doveva procedere all'accertamento, disponendo che essa dovesse procedere entro il terzo anno (successivo a quello in cui cadeva la presentazione della denuncia o l'obbligo di presentazione) alla rettifica dei redditi dichiarati o dr quelli precedentemente accertati, od entro il quarto anno all'accertamento dei redditi non dichiarati, che non avessero formato oggetto di dichiarazione o accertamento per il precedente periodo di imposta. Nell'interpretazione di tale norma questa Corte ha gi affermato che il pi ampio termine previsto dal secondo comma trova applicazione sulla base della sola circostanza della mancata enunciazione dei redditi in quanto tali; e pertanto, nel caso in cui i redditi derivino da plusvalenze realizzate con vendite immobiliari, opera anche quando il contribuente, pur menzionando le vendite nel prospetto varia.Zioni di capitali fissi, abbia omesso di indicare il conseguimento di un reddito (v. Cass. 14 ottobre 1980 n. 5509). Tale orientamento va ribadito, essendo presidiato da valide ragioni, di ordine letterale e logico. Con riferimento alle distinte ipotesi previste rispettivamente nel primo e nel secondo comma dell'art. 32, il legislatore parla di rettifica dei redditi compresi nelle dichiarazioni presentate tempestivamente (primo comma), e di accertamento d'ufficio dei redditi non dichiarati (secondo comma). Gli stessi termini letterali della contrapposizione rendono chiaro che il secondo comma trova applicazione, pur quando la dichiarazione sia stata presentata, alla sola condizione che si tratti di redditi non dichiarati: trova cio applicazione ai redditi di cui il contribuente non abbia fatto menzione. Ci del resto coerente con la ratio legis: se l'esigenza di un termine pi ampio si giustifica col fatto che l'ufficio deve accertare non solo l'entit di un reddito che gli sia gi noto (come nell'ipotesi prevista dal primo comma), ma la stessa esistenza del reddito, taciuto dal contribuente, evidente che questa esigenza ricorr.e sia nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, sia nel caso in cui la dichiarazione presentata non contenga menzione del reddito cui l'accertamento si riferisce (come appunto avvenuto nella specie). (Omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 388 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2135 -Pres. Miele Est. Gualtieri -P. M. Morozzo della Rocca (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Onufrio) c. Soc. Esso Italiana (avv. Uckmar). Trbuti locali -ILOR -Tassazione del reddito dei fabbricati di societ dati in locazione -Natura di reddito fondiario -Tassazione ILOR separata con il sistema dell'esazione catastale. (art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; artt. 2 e 5 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; artt. 4 e 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599). Il sistema tributario vigente non prevede una generale esenzione dall'ILOR per i redditi prodotti da cespiti per ci solo che siano appartenenti ad una societ commerciale n, al contrario, dispone che quei redditi, in quanto societari, siano sempre e comunque assoggettati all'ILOR (1). Il reddito prodotto dai fabbricati colpito in ILOR separata, e cio con autonomia rispetto al reddito di impresa, quando autonomo; non autonomo il reddito del fabbricato strumentale, che quello utilizzato di fatto ed in concreto dall'imprenditore per l'esercizio dell'attivit, s da costituire strumento di questa (2). L'immobile societario dato in locazione a terzi non mai strumentale, perch, attraverso la locazione, si realizza un reddito autonomo e cio un reddito prodotto senza bisogno di una particolare attivit nell'immobile o sull'immobile esplicata {3). (Omissis) Con unico motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 6 d.P .R. 27 settembre 1973, n. 599, in relazione agli artt. 2, 3 e 4 legge 9 ottobre 1971, n. 825, agli artt. 6, 40 e 52 d.P.R. 27 settembre 1973, n. 597, agli artt. 2, 3 e 5 d.P.R. 27 settembre 1973, n. 598, nonch all'art. 360 n. 3 c.p.c., l'Amministrazione ricorrente censura la decisione impugnata per avere la Commissione Tributaria Centrale ritenuto che l'art. 40 d.P.R. n. 597 del 1973 conterrebbe una prescrizione assoluta, comportante che i redditi degli immobili posseduti dalle 1societ di persone non sono considerati fondiari e non sono quindi assoggettati ad imposta ILOR separata diversamente da quanto si verifica per gli immobili posseduti dalle persone fisiche titolari di imprese commerciali, cui redditi sono considerati fondiari e come tali soggetti ad ILOR (1-3) La sentenza conforme all'orientamento pi recente. Si veda, per r.ife rimento anche all'orientamento primitivo, Cass. 17 febbraio 1982, n. 993, in questa Rassegna 1982, I, 367, con nota di PALATIELLO, Immobile societario e fabbricato strumentale ai fini della tassazione in ILOR. Va segnalato che la questione pende attualmente davanti alle Sezioni Unite. La tesi della nozione di strumentalit, da costruire con riguardo alla nozione di reddito del fabbricato e non con riguardo al fine ultimo del procacciamento dell'enti;ata , sembra senz'altro pi corretta, perch confortata dal dato positivo, e in particolare dagli artt. 32 e 52 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA -salvo che gli immobili costituiscano beni strumentali per l'esercizio dell'impresa commerciale -in quanto concorrono a formare il reddito di impresa delle societ di persone. E poich, ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 598/1973 le disposizioni dell'art. 40 d.P.R. 697/1973 relative alle societ di persone si applicano anche ai fini dell'imposizione IRPEG delle societ di capitale, dovrebbe ritenersi che i redditi degli immobili delle societ commerciali, in quanto concorrono alla formazione del reddito d'impresa soggetto ad IRPEG, non sono redditi fondiari, .e non sono, pertanto, soggetti ad imposizione separata IL9R. Al riguardo, non sarebbe determinante la previsione dell'art. 6, comma 5, d.P.R. 599/1973, a norma della quale non si procede all'iscrizione a ruolo dei redditi nel caso in cui ricorrono le condizioni, di cui all'art. 40 pi volte citato. Secondo la ricorrente, dovrebbe ritenersi, al contrario, che i redditi degli immobili posseduti dalle societ -personali o di capitale -sono sempre soggetti ad imposizione separata ILOR quali redditi fondiari, bench ai fini dell'imposizione IRPEF (qualora si tratti di societ di persone, disciplinate dall'art. 40 d.P.R. 597/1973) ovvero ai fini dell'imposizione IRPEG (qualora si tratti di societ di capitale, cui la norma del citato art. 40 torna applicabile per effetto dell'art. 5 d.P.R. 598/1973) siano sempre considerati redditi di impresa. La ricorrente deduce, al riguardo, che l'art. 4, n. 2 della legge delega 9 ottobre 1971, n. 825, dispone che relativamente a tutte le persone giuridiche ed ai soggetti a queste assimilate dall'art. 3, n. 8 della stessa legge, l'ILOR va bens applicata sul reddito netto complessivo determinato ai fini dell'IRPEG, ma che, comunque, dal reddito complessivo sono esclusi i redditi dei terreni, dei fabbricati ed agrari, per i quali l'imposta applicata separatamente secondo i criteri previsti dal n. 15 dell'art. 2 (cio secondo gli estremi catastali) sicch la norma di delega evidenzia chiaramente che in ogni caso i redditi derivanti da terreni e fabbricati vanno tassati separatamente, quale che sia la loro concreta utilizzazione, per consentire che ogni ente locale consegua l'imposta afferente al reddito degli immobili siti nel proprio ambito territoriale. Peraltro, la ricorrente sostiene, in via subordinata, la tesi secondo cui, in base al combinato disposto delle norme dei d.P.R. 597/1973 e 598/1973 in materia di imposizione personale dei redditi fondiari e della norma dell'art. 4 d.P.R. 599/1973 non sono soggetti ad imposizione ILOR separata solo i redditi di quegli immobili che, in quanto costituiscono beni strumentali per l'esercizio di imprese commerciali non danno luogo ad alcun reddito autonomo, e, quindi, neppure ad imposizione autonoma secondo i criteri previsti per i redditi fondiari ai fini dell'imposizione IRPEF ed IRPEG, mentre sono soggetti ad imposizione ILOR separata i redditi di quegli immobili che, pur non essendo considerati RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fondiari, e concorrendo a formare il reddito complessivo come componenti del reddito d'impresa ai fini dell'imposizione IRPEF ed IRPEG non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa e vengono, quindi, tassati ai fini del calcolo del reddito di impresa, secondo le di~posizioni relative alla determinazione dei redditi fondiari. Quanto sopra premesso, questa Corte ritiene di non poter aderire alla tesi sostenuta dalla Commissione Tributaria Centrale nonch dalla controricorrente, e neppure alla tesi formulata in via principale dall'Amministrazione finanziaria, tesi, entrambe, estreme in quanto diametralmente opposte, le quali non trovano un sicuro fondamento nella legislazione vigente in tema di ILOR. Merita, invece, adesione la tesi subordinata della Finanza. Quanto alla prima tesi, con cui si sostiene la non tassabilit autonoma del reddito in questione in funzione della natura soggettiva della ricorrente (societ di capitali), devesi osservare che la tesi stessa fondata sull'affermazione dell'applicabilit al caso di specie, della normativa del secondo inciso dell'art. 40 d.P.R. 597/1973, secondo cui non sono soggetti a tassazione autonoma i redditi prodotti da immobili appartenenti a societ in nome collettivo e in accomandita semplice, in quanto la normativa dell'art. 40 dichiarata applicabile ai fini della tassazione IRPEG, ai sensi dell'art. 5, comma secondo, d.P.R. 598/1973, anche alle societ di tipo diverso da quelle suddette, soggette alle imposte delle persone giuridiche, ossia a quelle indicate alla lett. a) dell'art. 2 del medesimo decreto, fra le quali rientrano le societ per azioni, qual la controricorrente societ Esso. Inoltre, in forza di un nuovo rinvio, detta normativa sarebbe applicabile ai fini della tassazione ILOR in virt del disposto dell'art. 4, quinto comma, d.P.R. n. 598/1973, secondo cui, nei confronti dei soggetti indicati alla lettera a), b), e) del d.P.R. n. 598/1973, l'imposta si applica sull'ammontare del reddito complessivo determinato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, il che comporterebbe un rinvio completo al sistema di tassazione dell'IRPEG. Orbene, l'insussistenza di un rinvio cos omnicomprensivo balza evidente ove si consideri che lo stesso art. 4 d.P.R. n. 599, contiene, al quinto comma, una disposizione ( Per i redditi fondiari l'imposta applicata separatamente per anno solare anche nei confronti dei soggetti indicati nel secondo e terzo comma), la quale, collegata ad altra contenuta nel quinto comma dell'art. 6 dello stesso d.P.R., indica chiaramente che solo il primo inciso, e non anche il secondo, dell'art. 40 d.P.R. n. 597/1973, applicabile ai fini della tassazione ILOR. Infatti, ai sensi dell'art. 4, quinto comma, d.P.R. 599/1973, per i redditi fondiari l'imposta applicabile separatamente per anno solare anche nei confronti dei soggetti indicati nel secondo e terzo comma, cio anche nei confronti delle societ di capitali. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA A sua volta, il quinto comma dell'art. 6 dispone che soltanto nel caso, in cui ricorrano le condizioni previste dal citato aJ0:. 40 d.P.R. n. 597/1973, non si procede ad iscrizione a ruolo dei redditi catastali degli immobili contemplati in detto articolo. Pertanto, se il richiamo all'art. 40, pi volte citato, fosse stato completo e avesse di conseguenza compreso tutta la normativa ivi contenuta, in particolare quello che prevede una esenzione soggettiva dall'autonoma imposizione fondiaria per gli immobili appartenenti a determinati soggetti, gli immobili appartenenti alle societ di capitale sarebbero stati, in ogni caso, esenti, I.li fini dell'ILOR, dall'imposizione in questione, con la conseguenza che le due richiamate disposizioni del quinto comma dell'art. 4 e del quinto comma dell'art. 6 del decreto istitutivo dell'ILOR resterebbero inspiegabili e prive di qualsiasi pratica possibilit di applicazione, per cui dovrebbero considerarsi inutiliter datae. N accettabile la tesi della soc. Esso, secondo cui le due disposizioni in esame sarebbero applicabili solo nei confronti della societ non esplicante attivit commerciale o industriale, sia perch una simile distinzione non contenuta nella legge, sia perch per le societ di capitali l'attivit commerciale legislativamente presunta, atteso che per esse, senza distinzione, l'art. 220 e.e. sancisce l'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese. L'interpretazione qui data dell'art. 4 del d.P.R. 599/1973 non pu ritenersi affetta da vizio di incostituzionalit (come ha accennato la difesa della controricorrente nel corso della discussione orale) n sotto il profilo dell'art. 76, n sotto quello dell'art. 53 della Costituzione. Infatti, non possibile alcun eccesso di delega, posto che l'art. 3, primo comma, nn. 5 e 6 della legge di delega n. 825 del 1971 espressamente prevede per l'IRPEG (e, quindi, anche per l'ILOR) l'accertamento catastale per i redditi immobiliari. Inoltre, non pu dirsi violato il principio della tassazione in relazione alla capacit contributiva, laddove, nella discrezionalit del legislatore ed in armonia con tutto il sistema di tassazione in precedenza vigente, venga utilizzato un particolare parametro come indice di capacit contributiva, specie in funzione della particolare natura dell'imposta in questione, istituita per sopperire alle esigenze degli enti locali, e, come tale, non successivamente destinata a colpire l'intera capacit contributiva. In conclusione, devesi ritenere che il rinvio alla normativa IRPEG, ai fini della tassazione per l'ILOR, stato limitato dal legislatore, per quanto attiene alla tassazione dei redditi fondiari, ai soli casi di esenzione oggettiva da detta autonoma tassazione previsti dall'art. 40 del decreto 597/1973 e non anche a quelli di esenzione soggettiva. Tale esenzione oggettiva, stabilita in detto articolo, introduce il discorso sulla strumentalit degli immobili quale elemento necessa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rio per l'esclusione della tassazione separata dei redditi di fabbricati, in relazione all'esercizio di imprese commerciali da parte del loro possessore o da parte di soggetti i cui redditi sono imputabili al possessore a norma dell'art. 4 del citato d.P.R., nonch dei redditi sugli immobili da societ di persone o di capitali. Tenuto conto che l'art. 40 va interpretato in armonia col complesso di norme in cui esso si inserisce, va anzitutto ricordato che, per l'articolo 32 del d.P.R. n. 597/1973, il reddito dei fabbricati autonomamente determinabile secondo i criteri stabiliti dagli artt. 34 e segg., quello derivante dalla disponibilit di costruzioni suscettibili di reddito autonomo ossia tali da produrre di per s, senza bisogno di una particolare attivit in essi o sui di essi applicata, un reddito per effetto della loro concessione in godimento a terzi, dietro corrispettivo. Per l'art. 52, poi, nella determinazione del reddito di impresa, tassabile come tale con criteri suoi propri, non si tiene conto dei proventi e dei costi relativi ad immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa. Pertanto, in entrambe le disposizioni si evidenzia il carattere di autonomia del reddito e quello della strumentalit degli immobili, caratteri entrambi di cui si deve tener conto nell'interpretazione dell'art. 40, dovendosi ritenere che non possono costituire oggetto della normativa di detto articolo quei beni che, anche se appartenenti all'imprenditore, continuino a produrre reddito autonomo di locazione per l'utilizzazione economica che loro connaturale. Orbene, con l'espressione beni strumentali per l'esercizio di imprese commerciali il legislatore ha inteso riferirsi a quegli immobili occorrenti, per la loro particolare diretta utilizzazione in conseguenza del loro inserimento nel complesso aziendale e nell'apparato produttivo, alla produzione del reddito d'impresa in quanto strumenti per l'esercizio della attivit lavorativa dell'imprenditore e dei suoi dipendenti. Quanto all'espressione (riferita ai beni strumentali per l'esercizio dell'impresa) da parte del loro possessore o da parte del soggetto cui sono imputabili i redditi del possessore, essa sta a significare, non gi che gli immobili debbano far parte di un'impresa esercitata dal loro possessore, ma volta a precisare che l'esercizio dell'impresa deve essere compiuto mediante utilizzazione degli immobili in modo diretto ed immediato da parte dell'imprenditore, che ne abbia, comunque, la disponibilit in base ad uno dei titoli ipotizzati dall'art. 32 d.P.R. n. 597/73 (ove l'espressione possesso va intesa in senso non tecnico) per esercitarvi l'attivit imprenditoriale. In base alle suesposte considerazioni si rivelano prive di fondamento non solo la tesi sostenuta dalla C.T.C. e dalla controricorrente Esso, ma anche quella esposta in via principale dalla Finanza, mentre devesi rite PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 393 nere fondata la tesi formulata dalla stessa in via subordinata (cfr. sent. di questa Corte 6 maggio 1982 n. 2836; 6 maggio 1982 n. 2839). Consegue che il ricorso dev'essere accolto per quanto di ragione. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1983 n. 2138 Pres. Miele Est. Borruso -P. M. Gazzara (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Paolucci. Tributi erariali diretti Imposta di ricchezza mobile e complementare Rapporti. tributari in corso al momento dell'entrata in vigore della riforma tributaria Diritto al premio maturato anteriormente Appli cabilit della normativa antiriforma Percezione successiva Irrilevanza. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 83) . . Poich nel. vigore del t.u. delle imposte dirette ai fini dell'imputazione dei redditi per l'imposta di ricchezza mobile e complementare valeva il principio della competenza, sono soggetti al regime antiriforma, secondo quanto dispone l'art. 83 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, i redditi dovuti per premi (nella specie su reperti archeologici) il cui diritto sia maturato anteriormente alla riforma, anche se percepiti successivamente (1). (Omissis) Con l'unico motivo di ricorso la Finanza sostiene che la Cominissione Centrale, con l'impugnata decisione avrebbe violato gli artt. 41 lett. g) 42 e 83 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, 30 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, 2, 3, 81, 126 e 130 del T.U. sulle imposte dirette 29 gennaio 1958 n. 645, non avendo considerato che, anche secondo le vecchie norme tributarie in vigore prima della riforma, i premi dei quali qui trattasi avrebbero dovuto essere imputati non al 1973, bens al 1974, in quanto solo in tale anno erano stati percepiti. Conseguentemente la Cominissione Centrale avrebbe errato nel ritenere applicabile nella specie la disposizione transitoria di cui all'art. 83 della legge istitutiva dell'IRPEF, in quanto, in base ad essa, i vecchi tributi possono s essere applicati anche a redditi percepiti dopo il 31 dicembre 1973, ma semprech -come la norma espressamente stabilisce - secondo le disposizioni in vigore a tale data, siano imputabili al periodo d'imposta in cui sorto il diritto alla percezione, cio ad una data anteriore al 1 gennaio 1974: condizione ques.ta estranea alla fattispecie, avendo i contribuenti percepito il premio de quo solo nel corso del '74. Il ricorso infondato. (1) Decisione esatta, basata sulla premessa pacifica che il principio di competenza avesse portata generale per le imposte di ricchezza mobile e complementare. 12 394 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Giova, innanzitutto, riportare il testo del citato art. 83 che cos recita: I tributi .indicati nell'art. 82 (-cio i tributi aboliti con la riforma tributaria, tra i quali anche la R.M. e l'imposta complementare sul reddito complessivo -) continuano ad applicarsi in relazione ai presuppof : sti di imposizioni verificatisi anteriormente al 1 gennaio 1974. La disposizione del comma precedente si applica anche per i redditi percepiti dopo il 31 dicembre 1973, che secondo le disposizioni in vigore a tale data, sono imputabili al periodo di imposta in cui sorto il diritto alla percezione, ancorch secondo le disposizioni del presente decreto siano imputabili al periodo di imposta in cui sono effettivamente percepiti . In virt di tale disposizione transitoria, che prevede l'ultrattivit della previgente normativa per i redditi percepiti dopo il 31 dicembre 1973 ma maturati precedentemente quanto al diritto di percepirli, nella specie risulta decisivo accertare se, in base alla disciplina dei tributi aboliti con la riforma tributaria, il premio de quo fosse imputabile ai redditi concernenti il 1973 ovvero a quelli concernenti il 1974. E non v' dubbio che sia da considerarsi vera la prima ipotesi in quanto, come pi volte affermato da questa Corte (cfr. sentenze nn. 2140 dell'82, 6164 dell'80, 2874 del '74), in materia di imposta di R.M. e di quella complementare ad essa conseguente il presupposto dell'imposizione si realizzava nel momento in cui sorgeva il diritto a percepire il reddito (secondo il criterio c.d. della competenza) e non gi nel momento in cui esso veniva materialmente percepito (non gi quindi, secondo l'opposto criterio c.d. di cassa) come, invece, stabilito ai diversi fini dell'IRPEF introdotta successivamente. Ci comportava che, per i crediti, fosse decisivo il momento in cui essi divenivano certi e liquidi, essendo irrilevanti, invece quello in cui avveniva la loro materiale riscossione. ben vero che, in base all'art. 126 del T.U. delle imposte dirette approvato col d.P.R. n. 645 del 1958, sui premi pagati dallo Stato la imposta si applicava mediante ritenuta diretta, operata dallo Stato stesso all'atto del pagamento ma tale disposizione chiaramente riguarda solo modalit e tempi di riscossione dell'imposta, non gi l'anno in cui si prodotto il suo presupposto e al quale, pertanto, va giuridicamente imputato. Pertanto, poich nella specie pacifico che il credito de quo -anche se materialmente riscosso nel '74 -sia divenuto certo attraverso il compimento di tutte le operazioni amministrative richieste per la sua liquidazione, entro il 1973, non resta che concludere che, a norma della disposizione transitoria di cui all'art. 83 il credito di cui trattasi non poteva essere assoggettato ai nuovi tributi -tra i quali l'IRPEF istituiti con la riforma. (Omissis). PARTE I, SEZ. VI, Git!RISPRUi>ENZA TRIBUTARIA 395 CORte DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983 n. 2i26 -Pres. Brancaccio -Est. Corda -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Mihistero delle Finanze (avv. Stato Dipace) c. Soc. Coop. Augustus (avv. Procaccini). Tributi erariali indiretti Imposta di registro Agevolazione per le case di abitazione non di lusso Appalto risoluto prima dell'esecuzione Decadenza. (l. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). L'agevolazione dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 per il ontratto di appalto presuppone che la costruzione sia stata realizzata, nei modi e nei tempi prescritti, con il concorso di quel cotttratto; conseguentemente si verifica deadent.a dall'agevolazione qualora il' contratto venga risoluto prima che abbia avuto esecuzione almeno parziale, anche se l'opera sia stata successivamente compiuta con altre iniziative (1). (Omissis) Con l'unico motivo di censura (deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 13, 14 e 20 della legge 2 luglio 1949, n. 408; in correlazione agli articoli 1 e 8 del R..D. 30 dicembre 1923 n. 3269 ), l'Amministrazione Finanziaria sostiene che fa agevolazione tributaria di cui alla citata legge del 1949 non compete -secondo il pi recente indirizzo giurisprudenziale -ai contratti di appalto (pur aventi ad oggetto la costruzione di case di abitazione non di lusso) se gli stessi vengono risolti, come nel caso concreto, prima dell'inizio della costruzione. Asserisce che dalla sentenza si ricaverebbe che il contratto sarebbe stato risolto prima che fosse dato inizio alla costruzione. Replica il resistente che dalla sentenza si ricaverebbe esattamente il contrario, e cio che il contratto in questione sarebbe stato risolto dopo che l'opera era stata gi iniziata; di modo che, anche aderendo all'impostazione giurisprudenziale invocata dalla ricorrente, gi dovrebbe ritenersi sussistente il presupposto di fatto necessario, per tenere fermo il beneficio provvisoriamente applicato. Il ricorso fondato. Dopo alcune oscillazioni, la giurisprudenza di questa Corte sembra essersi ormai definitivamente orientata a ritenere che un contratto di (1) Dopo il contrasto manifestatosi con le sent. 26 luglio 1978, n. 3747, e 6 novembre 1978 n. 5020 (in questa Rassegna, 1979, I, 173) ormai affermata la soluzione seguita dalla sentenza ora intervenuta (18 giugno 1979, n. 3417, ivi, 1980, I, 170; 3 maggio 1982, n. 2727, ivi, 1982, 959). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO appalto, perch possa fruire dei benefici previsti dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, deve non solo avere ad oggetto la costruzione rientrante nella previsione della legge, ma deve avere contribuito alla realizzazione della costruzione predetta, nei modi e nei tempi prescritti. Di modo che, nel caso di risoluzione del contratto stesso, e di attuazione dell'opera nel termine di legge a mezzo di altri rapporti giuridici, gli indicati benefici sono applicabili esclusivamente nell'ipotesi in cui la risoluzione sia avvenuta dopo l'inizio della costruzione, e non anche in epoca anteriore, atteso che, solo nel primo caso, il contratto pu ritenersi occorrente alla realizzazione dell'opera e, quindi, all'attuazione del fine giustificativo della norma agevolatrice. Questo principio stato affermato con due gruppi di sentenze: le prime, in data 6 novembre 1978 (numeri da 5024 a 5036); le successive in data 3 marzo 1982 (numeri 2727 e 2728). A tale principio intende conformarsi il Collegio, nella precipua considerazione che la sentenza impugnata, informata al principio opposto, non ha svolto argomenti idonei a inficiarne la validit. Neppure la resistente, del resto, ha saputo contrastare la validit degli argomenti predetti, tanto che ha incentrato il proprio sforzo nel rilievo di una circostanza di fatto che renderebbe inutile la cassazione della sentenza impugnata. Ha, infatti, sostenuto che il giudice di appello aveva gi accertato come la risoluzione del contratto in parola sarebbe successiva all'inizio della costruzione (di modo che il contratto stesso fruirebbe legittimamente dei benefici tributari, per avere concorso alla realizzazione dell'opera). In contrario, per, fa notare la ricorrente che la sentenza avrebbe, invece, dato atto che il contratto era rimasto del tutto ineseguito . La verit , come pare incontestabile, che i giudici di appello non si sono affatto posti il problema del parziale concorso del contratto alla realizzazione dell'opera, di modo che non hanno, affatto, svolto alcuna indagine di fatto al riguardo. Essi, invero, si sono solo preoccupati di accertare che il contratto era stato risolto prima dell'ultimazione dell'opera e che quest'ultima era stata, tuttavia, eseguita anche se con il concorso di un altro contratto di appalto, prima dello scadere dei termini di legge. Nella parte espositiva della sentenza pronunciata in grado di appello, infatti, si rinviene l'affermazione che il contratto era rimasto del tutto ineseguito; in quella motiva, invece, si rinviene l'affermazione che il contratto predetto non pu essere considerato ineseguito: e ci conferma -se ancora occorresse -che una precisa indagine di fatto non stata svolta, come invece sarebbe stato necessario. Cassandosi quindi l'impugnata sentenza, al giudice di rinvio (che si designa in un'altra sezione della stessa Corte di appello di Napoli) in primo luogo .affidato H compito di accertare in fatto, sulla base degli atti, se il contratto di appalto in questione era stato risolto prima o dopo l'inizio della costruzione: all'esito di tale accertamento, poi, applicher l i I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 397 il principio del diritto che stato pi sopra enunciato, il quale tiene conto del reale contributo che il contratto stesso possa avere dato alla realizzazione dell'opera agevolata. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2289 -Pres. Brancaccio -Est. Falcone -P. M. Morozzo della Rocca (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Marigo. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Appalto -Variazioni in corso d'opera d'importo superiore al sesto quinto -Nuovo autonomo contratto. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 344; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 13 e 14) Nel caso di variazioni, non puramente quantitative, che fanno aumentare l'importo dell'appalto oltre il sesto quinto, non opera pi il vincolo contrattuale originario e si crea un nuovo autonomo contratto, soggetto alla r.ormativa vigente al momento (1). (Omissis) L'Amministrazione ricorrente sostiene che la Corte del merito pervenuta alla decisione che l'atto di sottomissione sottoscritto dall'appaltatore per l'esecuzione di lavori di variante di importo eccedente il sesto quinto di quello dell'appalto, dia luogo a contratto distinto da quello originario, come tale tassabile con l'imposta di registro secondo l'aliquota vigente al momento della sua sottoposizione al tributo, muovendo da una premessa inesatta: che, cio, nel contratto di appalto di opere pubbliche, quando si presenti la necessit di variazioni dei lavori, il cui importo superi il quinto di quello complessivo dell'opera, si ricade (1) La sentenza molto istruttiva anche ai fini non tributari. In verit si fa una erta confusione tra variazioni ai lavori (che possono non importare aumento) e aumento dei lavori (che pu essere anche soltanto quantitativo). Il problema si pone soltanto per l'aumento (la variazione senza aumento pu sempre essere ordinata, a meno che per la eterogeneit non si presenti come un ,lavoro extra contrattuale); ed in tal caso quel che rilevante la sola misura dell'aumento perch se superato il quinto d'obbligo (tranne che per i lavori di fondazioni), lo appaltante non ha il diritto di imporre l'esecuzione di maggiori lavori e l'appaltatore non ha il dovere di accettarli; non sembra rilevante il distinguere se i maggiori lavori siano o meno omogenei rispetto ai principali (l'eventuale necessit di concordare nuovi.prezzi riguarda un elemento soltanto di un contratto esistente). Ridotta la questione in questi termini elementari certamente rilevante l'argomenta:Mone ricavata dal quinto comma dell'art. 14 del Cap. Gen., che riguarda indubbiamente l'aumento, o l'aumento con variazioni, dei lavori e non le sole variazioni senza aumento che possono essere unilateralmente ordinate e per le quali non si pone minimamente il problema di un nuovo consenso. E' cio ammissibile che un nuovo autonomo contratto sorga per effetto ' r11r111r111r11111ir1~1r~r11rr4:t11111;1;1111rtlfr11111111r@::1111;11i1rJ1::,_1r111111t RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 398 nel campo dei veri e propri lavori extra contrattuali, riguardo ai quali non sussiste, da parte dell'appaltatore, n il diritto n l'obbligo c;l.i eseguirli e, correlativamente, non vi , per l'amministrazione, altra alternativa se non quella di affidarli ad altra impresa, ovvero di addivenire con lo stesso appaltatore ad un nuovo accordo . Questa conclusione -secondo la critica svolta nel motivo -si presenta come risultato di due errori: di avere, con motivazione insufficiente e con violazione di legge (art. 344 legge 20 marzo 1865 all. F ed art. 14 d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063), qualificato le opere comprese nell'atto assoggettato all'imposizione di cui si discute come extra-contrattuali, senza considerare che tale qualificazione consegue non gi dalla eccedenza del prezzo convenuto per le nuove opere rispetto a quello originariamente previsto in contratto, oltre la percentuale gi ricordata, bens dalla diversa natura di tali opere, in quanto ricadenti -tecnicamente -in campo diverso da quello cui appartengono le opere appaltate; di non avere, poi, considerato che, in ogni caso, quando si tratti di variazioni delle opere appaltate, l'appaltatore richiesto dell'esecuzione di esse per un importo superiore al limite del sesto quinto di quello dell'appalto, ove non receda nel termine di dieci giorni, tenuto ad eseguirle in forza dell'originario contratto secondo la norma dettata dall'art. 14 del d.P.R. 1063 del 1962 cit., e che, d'altra parte, se per mancato recesso a seguito di comunicazione dell'avvenuto raggiungimento dei sei quinti la prosecuzione del rapporto fosse l'effetto di un nuovo contratto tacitamente stipulato, si verrebbe ad ammettere che il capitolato generale (norma regolamentare) abbia configurato un mezzo di ricerca del contraente privato e di stipulazione dei contratti della pubblica amministrazione del tutto estraneo ai normali sistemi . consentiti dalle leggi di contabilit generale dello Stato. di un mero comportamento dell'appaltatore e che la P.A. possa in questo :rpodo, evidentemente contrario alle regole, concludere un contratto vincolante? O non si deve ritenere che questo effetto pu verificarsi solo a causa dell'unicit del rapporto negoziale che ricomprende sia il contratto base sia i suoi aumenti? Ma in questa ultima ipotesi sarebbe legittima una pattuizione tanto aperta da essere moltiplicabile nella quantit? Forse per cercare una soluzione accettabile occorre dare la giusta rilevanza al quinto comma dell'art. 14. Questa norma riguarda soltanto l'appaltatore che abbia consapevolmente proseguito i lavori eccedenti il sesto quinto e che per le quantit eseguite ha diritto soltanto ai corrispettivi stabiliti nel contratto principale. La norma non stabilisce, nemmeno per l'appaltatore, che dal suo comportamento nasce un vincolo contrattuale futuro per un oggetto determinato (i lavori di un progetto aggiuntivo o di una perizia), limitandosi ad affermare che l'appaltatore solo per i lavori gi eseguiti non pu pretendere nuove condizioni, ma sempre libero di arrestare la sua attivit in qualunque momento dopo il superamento del quinto. Ma soprattutto la norma non riguarda affatto l'Amministrazione e meno che mai prevede che questa assuma impegni negoziali in cotal modo. E' evidente che al raggiungimento dell'importo PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 399 ll rico:rso non me:rita, accoglimento, anche se deve essere condiviso U riHevo mosso alla sentemEa impugnata, di non avere esattamente individuato il discrimine -non individuabile nel superamento del limite del rapporto tra i rispettivi costi pi volte ricordato -tra varianti e lavori extracontrattuali in materia di ipubblici appalti. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di precisare l'ambito denot&tivo della locuzione lavori extracontrattuali, predsando che possono esservi ricomprese, oltre che, co@' adirittura ovvio, l'opera del tutto diversa da quella appaltata per configurazione materiale o per funzione e scopo nonch l'opera avente caratteristiche di autonomia tale da renderla estranea al piano organico considerato tanto obiettivamente quanto in relazione al contratto intercorso tra le parti (Cass. 28 ottobre 1965 n. 2290), soltanto quelle opere ulteriori che, pur avendo qualche connessione o relazione con l'opera originaria, non risultino necessarie n per eseguirla n per conseguire un completamento o miglioramento o un pi conveniente sviluppo di essa, e che, pertanto, si configurano come opere a s stanti (Cass. 19 maggio 1972 n. 1531; 26 ottobre 1970 n. 2162). Ma la sentenza impugnata, pur con espressioni che possono dar luogo a qualche perplessit circa la loro portata, non pervenuta alla decisione adottata, come emerge dal complesso delle considerazioni svolte, desumendole quale conseguenza della premessa che i lavori oggetto del contratto di cui trattasi debbano qualificarsi come lavori extra contrattuali, con una sostanziale preterizione dei criteri d'individuazione sopra ricordati e, quindi, anche con l'affermata mancanza di adeguata motivazione in proposito. Essa, pur facendo capo ad una distinzione non esattamente delineata e che in questa sede sufficiente correggere nel senso anzidetto, ha inve contrattuale l'Amministrazione deve nelle debite forme deliberare l'aumento dei bwori impegnando la relativa spesa e solo su questa base potr interpellare l'appaltatore per la prosecuzione e, a maggior ragione, stabilire nuove condizioni (nuove condizioni che possano essere pretese a cagione della libera volont dell'appaltatore, indipendentemente dalla variazione delle opere). Ed in effetti, almeno nei casi di aumento con variazioni, si instaura un nuovo procedimento del tutto simile a quello del contratto principale: approvazione di perizia suppletiva (= progetto) e stipulazione dell'atto aggiuntivo (= contratto) che poi l'atto della cui registrazione si discute. In sostanza il quinto comma dell'art. 14 sembra piuttosto dettare una disciplina extracontrattuale per l'ipotesi che le opere siano state eseguite senza una esplicita pattuizione aggiuntiva o prima della risoluzione, come del resto gi previsto nell'art. 344 della Legge sui LL.Pl:'. Ci chiarito, l'autonomia del negozio con il quale le due parti stabiliscono di eseguire opere non previste, nella quantit, nel contratto principale con libera determinazione e perfino con possibilit di stabilire nuove condizioni, sembra evidente. Il principio dovrebbe per trovare applicazione a tutti gli effetti ed anche nei rapporti sostanziali fra le parti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 400 ro inteso affermare soltanto che quando i lavori di variante richiesti dalla stazione appaltante superino, per il loro importo, il sesto-quinto di quello stabilito in contratto, e quindi siano tali che non ne possa essere pretesa l'esecuzione, debbono essere parificati ai lavori extracontrattuali, nel senso che, al pari di questi (ai quali peraltro, appena il caso di ricordarlo, il principio si applica qualunque sia la loro importanza ed anche se restino contenuti nei limiti del quinto) non possono non formare oggetto di un nuovo e distinto contratto. Affidata a questa ragione del decidere, la sentenza impugnata risulta immune da errori di diritto. L'obbligo nascente dal contratto a carico dell'appaltatore, secondo la norma dettata dall'art. 13 del d.P.R. n. 1063 del 1962, quello di eseguire entro i limiti stabiliti dal successivo art. 14 -e cio fino alla concorrenza di un quinto in pi o in meno dell'importo del contratto stesso tutte le variazioni ritenute opportune dall'amministrazione appaltante e che questa gli abbia ordinato (purch non mutino essenzialmente la natura delle opere comprese nell'appalto). Quando nell'esercizio del potere spettante all'amministrazione di introdurre tutte le variazioni dell'opera originaria che essa, a suo insindacabile giudizio, ritenga di apportare durante l'esecuzione dell'appalto -e, pertanto, non solo quando siano imposte da una vera e propria necessit tecnica, sopravvenuta nel corso dell'esecuzione dei lavori oppure preesistente, ma sempre che esse risultino opportune per la realizzazione di un'opera il pi possibile rispondente alla soddisfazione delle esigenze cui finalizzata (v. Cass. 31 luglio 1978 n. 3623) -il limite consentito viene superato, come l'appaltatore non ha l'obbligo di eseguire le variazioni richieste, cos, correlativamente, l'Amministrazione non ha il diritto di pretenderne l'esecuzione. In questa situazione l'assetto dei nuovi, rispettivi interessi che ne scaturiscono (nuove categorie di lavori, in sostituzione o in aggiunta a quelli previsti nel progetto gi appaltato che viene modificato, eventuale impiego di materiali per i quali non sia stato fissato il prezzo contrattuale, determinazione dei nuovi prezzi e dei termini per il compimento dell'opera etc....) non pu che formare oggetto di un nuovo e diverso autoregolamento negoziale attraverso una nuova e diversa manifestazione di autonomia delle parti. Queste conclusioni, con riferimento alle norme degli artt. 17 e 19 del Capitolato generale approvato con D.M. 28 maggio 1895, che dettavano sulla questione che ne occupa una disciplina sostanzialmente conforme a quella posta dagli artt. 13 e 14 del vigente capitolato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, risultano gi accolte dalla giurisprudenza di questa Corte, con l'affermazione che la disciplina delle variazioni che l'amministrazione ha la facolt di ordinare durante l'esecuzione in appalto di opere pubbliche non applicabile quando le variazioni superino il quinto dell'importo complessivo dell'opera appaltata, ovvero, pur non i~ f, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA eccedendo il quinto, siano, in realt, estranee alla categoria di lavori contrattuali previsti e tali da mutare esssenzialmente Ia natura delle opere comprese nell'appalto (Cass. 28 ottobre 1965 n. 2290). Giova ricordare che le variazioni che rimangono nei limiti del quinto dell'importo dell'appalto sono oggetto di un ordine scritto del direttore dei lavori, il quale pu imporne l'esecuzione anche immediata all'appaltatore, obbligato ad eseguirle (art. 13, d.P.R. n. 1063, primo e secondo comma, cit.) e, quando non possono essere valutate ai prezzi di contratto, perch esigono categorie di lavori non prevedute o l'impiego di materiali per i quali non risulti fissato il prezzo contrattuale, non sono subordinate all'accettazione da parte dell'appaltatore dei relativi prezzi, perch questi sono formati a norma dell'art. 21 del regolamento a>, disciplinata nel precedente articolo 13 del capitolato, il quale, richiamando espressamente la disposizione del sl,lccessivo art. 14 solo quanto ai limiti entro cui l'appaltatore ha l'obbligo di eseg1.1ire i lavori di variante, rende estranea a tale l'area di comune disciplina delle due fattispecie (variazioni ai lavori, aumento e diminuzione dei lavori), e perci inapplicabile, ogni altra norma non richiamata. L'estraneit alla disciplina applicabile nella specie delle norme non richiamate dell'art. 14 del capitolato generale, rende superfluo l'esame dell'ultima parte della censura svolta con riferimento ad esse, ed appena il caso di rilevare, per completezzza, che il problema della necessit o meno dell'adozione del procedimento di formazione dei contratti ad evidenza pubblica quando sia stipulata l'esecuzione di lavori di varianti dell'opera appaltata per un importo superiore al sesto quinto dell'importo dell'appalto e delle conseguenze dell'inosservanza di esso ove riconosciuto necessario, che potrebbe ritenersi implicitamente sollevato, non viene in rilievo in questa sede in cui si discute della (legge determinativa dell'aliquota applicabile alla) registrazione del contratto stipulato, per i ben noti principi vigenti in materia di registrazione di contratti nulli ed annullabili (artt. 11 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269; 36 del vigente d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634). In conclusione, muovendo dall'esatto principio che quando risulti superato il limite del quinto in aumento per nuovi e diversi lavori dipendenti da varianti dell'opera pubblica appaltata pretesi dalla p.a. la nuova contrattazione non possa essere ricondotta, secondo la disciplina della materia, nell'ambito del vincolo negoziale costituito con il contratto principale, i giudici del merito, con un accertamento non sindacabile in questa sede (ed in realt non censurato, poich la critica svolta dall'amministrazione ricorrente diretta a negare in via di principio la configurabilit di un secondo autonomo contratto con lo stesso appaltatore avente ad oggetto i lavori dipendenti da variazioni, ancorch per un importo superiore al quinto del prezzo dell'appalto), sono pervenuti alla conclusione che, con il c.d. atto di sottomissione, si addivenne tra le parti ad un secondo autonomo contratto modificativo del precedente appalto, che prevedeva l'esecuzione di lavori di variante ed aggiuntivi per un corrispettivo d'importo superiore a quello dell'originario appalto, ed hanno, quindi, correttamente affermato la tassabilit dell'atto con l'aliquota stabilita dalla legge vigente al tempo della sua registrazione. (Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 febbraio 1983 n. 1366 -Pres. Mirabelli -Est. Sensale -P.M. Corasaniti (diff.) -Comune di S. Giovanni in Persiceto (avv. Paolucci e Musso) c. Soc. Impr. Donati (avv. Albanese e Faldella). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi Situazione soggettiva de)l'appaltatore . Contratto anteriore alla legge 22 feb braio 1973, n. 37 Clausola di rivedibilit del prezzo -Diritto alla revisione Condizioni. (d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1). Appalto Appalto di opere pubbliche Revisione dei prezzi Situazione soggettiva dell'appaltatore -Trasformazione da interesse legittimo in diritto soggettivo -Liquidazione di acconti -Effetti. (d.1.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, artt. 1, 3 e 4; I. 21 giugno 1964, n 463, art. 2). La pretesa del privato, diretta ad ottenere dalla p.a. il procedimento di revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche, ha natura di interesse legittimo se resta correlata alla facolt di disporla attribuita all'amministrazione in previsione della cura di interessi ed esigenze pubbliche secondo una valutazione discrezionale. Assume ir.vece consistenza di diritto soggettivo quando, in sede contrattuale, sia espressamente convenuto che, verificandosi date condizioni, si dovr procedere alla revisione dei prezzi. A tal fine per necessaria una clausola contrattuale esplicita, di cor.tenuto univoco, che consenta all'appaltatore di pretendere la revisione dei prezzi in presenza di condizioni predeterminate e che esamini, quindi, le condizioni stesse quali presupposti della pretesa relativa. Non invece sufficiente una clausola che abbia semplice portata ricognitiva del regime legale (1). La pretesa del privato alla revisione del prezzo acquista consistenza di diritto soggettivo una volta che l'amministraziorie abbia deliberato di (1-3) La Cassazione riconferma che la facolt di procedere alla revisione dei prezzi da considerare attribuita ed esercitata dall'amministrazione in funzione della cura di un interesse pubblico, sicch la pretesa dell'appaltatore pu solo qualificarsi come interesse legittimo e trovare realizzazione nel procedimento: la meno recente delle due sentenze in rassegna riprende e sviluppa 404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO accordarla e percw appartengono alla giurisdizione ordinaria le controversie relative all'individuazione dei parametri in base ai quali il compenso revisionale va liquidato. Il pagamento di acconti, se non ne sia dimostrata l'esclusiva riferibilit a determinate partite di lavori, deve ritenersi eseguito con riguardo all'intera opera appaltata e costituire parziale liquidazione dell'intero importo revisionale, in adempimento di un presupposto atto di liquidazione implicante il riconoscimento dell'an debeatur. Spetta perci al giudice ordinario conoscere della domanda rivolta all'integrale pagamento della revisione (2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1982 n. 4288 -Pres. Perri Est. Maiella -P. M. Sgroi V. {diff.) -Impresa ing. Di Maggio Franco (avv. Pallottino) c. Comune di S. Marzano (avv. Franco). Appalto Appalto di opere pubbliche Revisione dei prezzi -Situazione soggettiva dell'appaltatore Interess,e legittimo. (d.1.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1; 1. 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2; 1. 21 dicembre 1974, n. 700; 1. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17). In presenza delle condizioni e dei presupposti oggettivamente previsti dalla legge, la p.a. tenuta a procedere alla revisione dei prezzi di appalto perch ci corrisponde all'interesse pubblico di assicurare una adeguata remunerativit all'appaltatore. L'iniziativa e il potere della p.a. vengono nondimeno esercitati in veste autoritativa, senza che il privato, in mancanza di una norma che tuteli in via diretta e immediata la sua posizior.e sostanziale, possa vantare un diritto soggettivo. Ne deriva che, qualora la p.a. ometta illegittimamente di procedere alla revisione dei prezzi ovvero respinga illegittimamente la richiesta di revisione avanzata dal privato, quest'ultimo pu rivolgersi soltanto al giudice amministrativo (3). le considerazioni della precedente giurisprudenza, tenendo anche conto dello spunto che nella stessa direzione proviene dall'art. 17 della I. 10 dicembre 1981 n. 741. Quanto invece agli effetti del provvedimento dell'amministrazione che accordi la revisione, ma determini l'importo in somma minore di quella pretesa dall'appaltatore, le Sezioni Unite riprendono nella sostanza l'impostazione gi accolta nella sentenza 8 febbraio 1979 n. 857 (in Foro it. 1979, I, 1489) e che era stata invece criticata nella successiva decisione 1 ottobre 1980, n. 5333 (in Foro it. 1980, I, 3013). Nel caso deciso da Cass. 8 febbraio 1979 n. 857, il consiglio di amministrazione di un i.a.c.p. aveva deciso di approvare in complessive lire 14.605.277 il compenso revisionale spettante all'appaltatore stesso, autorizzando la liquidazione relativa, dopo aver accertato che sussisteva il diritto della ditta ad ottenere la revisione dei prezzi. In quell'occasione la Corte osservava che l'esservi controversia tra le parti circa l'ammontare del compenso dovuto non significava che si fosse in presenza di un provvedimento che accordava solo f: f.: I~ I. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 405 I Motivi della decisione. -(Omissis). Secondo la costante giurisprudenza di queste sezioni unite, se non pu contestarsi la natura di interesse legittimo, tutelabile davanti al giudice amministrativo, della pretesa del privato diretta ad ottenere dalla p.a. il procedimento di revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche (in quanto la revisione si configura come facolt attribuita all'amministrazione pubblica, il cui esercizio in funzione della cura di interessi ed esigenze pubbliche, secondo una valutazione discrezionale ad essa affidata), tale pretesa assume la consistenza di diritto soggettivo, azionabile davanti al giudice ordinario, quando, in sede contrattuale, sia stato espressamente convenuto -con patto contrario (tale intendendosi non solo quello che esclude la possibilit della revisione, ma anche quello che obbliga l'amministrazione ad operarla) stipulato secondo l'espressa previsione contenuta nell'art. 1 d.l. 6 dicembre 1947 n. 1501 -che, verificandosi determinate condizioni, si dovr procedere alla revisione dei prezzi (cons., in arg., le sentenze 933/68; 2817/74; 631/76; 888/78; 857/79; 3662/80; 5333/80; 4288/82 e 5122/82). Tale principio va precisato nel senso che, per potersi ritenere pattuito il diritto alla revisione, necessaria una clausola contrattuale esplicita. di contenuto univoco, che consenta all'appaltatore di pretendere la revisione dei prezzi in presenza di condizioni predeterminate e che enunci, quindi, le condizioni stesse quali presupposti della pretesa relativa. Peraltro, alla stregua della diretta interpretazione della volont negoziale (cui queste sezioni unite hanno il potere-dovere di procedere, quali giudici anche del fatto, al fine della soluzione della questione di giurisdizione), da escludere -come esattamente rileva il ricorrente -che parzialmente la revISione, cio di provvedimento implicante mancata realizzazione dell'interesse alla revisione e tale da dover essere impugnato a norma dell'art. 4 comma 1 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501. La concessione parziale prevista dall'art. 4 -osservava la Corte - riguarda il caso di un riconoscimento (dei presupposti della revisione) limitato a talune delle componenti del costo globale dell'opera, e non il caso di un riconoscimento che investa inscindibilmente tutte le componenti stesse e che pervenga ad una determinazione del compenso revisionale difforme da quella pretesa dall'appaltatore, in conseguenza di differenti valutazioni compiute nella posizione di contraente ed attinenti al computo di fattori incidenti o alla rilevanza di circostanze particolari relative allo svolgimento dei lavori: ci che materia controvertibile sul piano privatistico . La sentenza in rassegna, se argomenta dal pagamento di un acconto la trasformazione della pretesa al procedimento in diritto alla corresponsione del l'0intero compenso revisionale, lo fa dn base alla constatata esistenza di wi. prov vedimento di liquidazione non limitato all'acconto, ma implicante il riconosci RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 406 nel contratto stipulato il 18 aprile 1972 fra l'I.s.e.s. e la societ Donati possa rinvenirsi una clausola avente il contenuto sopra precisato. Invero, l'art. 5 del contratto stabiliva che i prezzi sarebbero rimasti fissi ed invariabili, salvo quanto previsto in materia di revisione dei prezzi dall'art. 37 del capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche e dalle vigenti disposizioni di legge sulla materia. E per l'art. 37 del capitolato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, i prezzi s'intendono fissi e invariabili, ma ne ammessa la revisione a norma delle disposizioni vigenti. L'art. 5 congegnato in modo che la seconda disposizione (cio quella che fa salvo quanto previsto in materia di revisione dei prezzi dall'art. 37 del capitolato generale e dalle vigenti disposizioni di legge sulla materia) non ha altra portata se non quella di limitare l'efficacia del principio della invariabilit dei prezzi, enunciato nella prima parte. Essa quindi, lungi dal contenere una deroga convenzionale al regime legale (secondo il quale l'amministrazione ha il potere discrezionale di concedere la revisione e il privato ha un corrispondente interesse legittimo), costituisce semplice ricognizione di tale regime, indicato come il solo strumento utilizzabile per derogare alla invariabilit dei prezzi. E con tale clausola contrattuale -che per il suo chiaro tenore non consente altra interpretazione -va coordinato l'art. 6 del progetto generale, che, dopo avere ribadito che i prezzi s'intendono fissi e invariabili in modo assoluto e indipendenti da qualsiasi eventualit o sfavorevole circostanza , fa salva la revisione che verr eseguita ai sensi della legge 21 giugno 1964 n. 463 , e, che, in coerenza con l'art. 5 del contratto, deve intendersi nel senso di un integrale richiamo della disciplina legale, sia quanto alla determinazione delle condizioni che devono ricorrere perch possa farsi luogo alla revisione, sia quanto alla valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione dell'interesse pubblico al fine di stabilire se accordare, oppur no, la revisione. L'impossibilit di rinvenire nel contratto d'appalto in esame un patto contrario, configurabile come atto di esercizio preventivo del mento dell'an debeatur e perci l'attribuzione del diritto alla revisione con riguardo all'intera opera appaltata. Se si considera che, con l'entrata in vigore della I. 21 dicembre 1974 n. 700, gli acconti per revisione prezzi vanno corrisposti unitamente ai pagamenti in conto per lavori eseguiti e sono dunque riferiti alle opere, la cui contabilizzazione ha dato luogo alla emissione del relativo certificato di pagamento del prezzo, la pi recente decisione delle Sezioni Unite non sembra condurre al risultato che il pagamento dell'acconto sposti nell'atea del diritto soggettivo la pretesa alla revisione del prezzo anche per tutti i lavori ancora da eseguire; sembra invece implicare la conseguenza che le controversie relative alla misura dell'acconto siano da considerare vertenti su diritti soggettivi. Per altri precedenti sul punto cfr., in questa Rassegna 1978, I, 505 l'anno tazione a Cass. 23 febbraio 1978 n. 888 e ivi 1980, I, 999 la sentenza 29 giugno 1979 n. 552 del Trib. Potenza. PARTE I, SEZ. VII, GIURI&. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 407 potere pubblico di accordare la revisione, non esaurisce la questione di giurisdizione nel senso preteso dell'amministrazione ricorrente, ove si ritenga che nel corso del rapporto sia sopravvenuto un successivo atto di esercizio del potere. Si , infatti, ritenuto che l'appaltatore acquista una posizione di diritto soggettivo, azionabile davanti al giudice ordinario, una volta che l'amministrazione abbia positivamente esercitato il potere discrezionale di accordare la revisione, ad esempio, attraverso un riconoscimento unilaterale o un accertamento bilaterale ovvero attraverso l'offerta e il deposito della somma dovuta a tale titolo, atti che presuppongono la esistenza dell'obbligazione e, quindi, il perfezionamento della sua fattispecie costitutiva. E si ulteriormente precisato che non pu attribuirsi rilevanza riduttiva dell'effetto costitutivo, ricollegantesi all'atto autoritativo presupposto dall'offerta e dal deposito, alla limitazione della somma offerta e depositata, questa trovando titolo non sul piano pubblicistico (dell'esercizio) del potere e cio nella sua esplicazione limitatamente alla minor somma riconosciuta, ma sul piano affatto privatistico del modo di essere del rapporto obbligatorio venuto ad esistenza per effetto di quell'esercizio (v. sent. n. 631/76). Si tratta, quindi, di stabilire se, nel caso in esame, il potere sia stato esercitato in corso di rapporto e, in particolare, se tale esercizio possa essere avvenuto attraverso il pagamento di un acconto di lire 10.000.000, indicato come primo acconto revisione prezzi ... nell'avviso del 21 marzo 1977 e nell'ordinativo di pagamento del 1 aprile 1977. Le sezioni unite, nella individuazione del momento in cui il potere discrezionale dell'amministrazione debba ritenersi esaurito e il rapporto debba considerarsi trasmigrato dall'area del diritto pubblico (contraddistinta dalla preminenza del suddetto potere) in quella del diritto privato, nella quale la posizione reciproca delle parti si configura in termini di diritto ed obbligo, hanno precisato che quel momento si realizza quando non solo l'an, ma anche il quantum del corrispettivo dovuto a titolo di revisione dei prezzi abbia fortnato oggetto del riconoscimento dell'amministrazione. Ci implica che gli atti d liquidazione costituiscano provvedimenti mministrativi, che la p.a., nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela, pu successivamente revocre o annullare, con la conseguenza che, se l'appaltatore abbia gi agito davanti al giudice ordinario per ottenere il pagamento delle somme liquidate, ma non corrisposte in tutto o in parte dalla p.a., potrebbe vedere indefinitamente arrestata la sua azione dalla revoca dell'atto di liquidazione e non avrebbe altra via che rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere la rimozione del provvedimento di revoca. Quello che si descritto, pi che un inconveniente del sistema, ne costituisce una distorsione, non necessaria rispetto ai principi cui il sistema stesso risulta improntato; e per ci queste sezioni unite sono RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 408 indotte a rimeditare sul principio gi accolto e a chiedersi se non sia da correggere l'opinione, secondo la quale la fase autoritativa nei rapporti tra amministrazione committente e appaltatore non si esaurisce con il provvedimento che accorda la revisione. Nell'attribuire la revisione al potere discrezionale della p.a., la legge ha ritenuto di dare preminenza agli interessi di cui portatrice la p.a. alla cui unilaterale valutazione la richiesta del privato rimessa, nel quadro degli interessi pubblici che vengono coinvolti, e pu essere respinta quando risulti contraria a tali interessi. Se questa la sostanza del fenomeno, appare conforme alla sua struttura dedurne che la p.a., una volta operata la scelta nel senso di provvedere alla revisione dei prezzi (fase dell'an), abbia con ci esaurito il potere conferitole, avendo valutato la situazione e adottato le deter minazioni ritenute corrispondenti al pubblico interesse e, secondo la legge, considerate sufficienti alla sua salvaguardia. La successiva valutazione, consistente nella individuazione dei para metri per la monetizzazione delle differenze di prezzo dovute in ciascun caso concreto e nei relativi calcoli, , invece, un'operazione che, non comportando una scelta fra interessi pubblici concorrenti (cfr. la sent. n. 4288 del 1982, per la configurazione come interesse pubblico della esigenza che il corrispettivo spettante all'appaltatore venga adeguato alle mutate condizioni del mercato), non lascia spazio, per sua natura, alla discrezionalit ed , quindi, al di fuori dell'esercizio del potere, concernendo il modo d'essere del rapporto obbligatorio venuto ad esistenza per effetto di quell'esercizio. In conseguenza, una volta che l'amministrazione, con l'accordare la revisione, abbia consumato il suo potere discrezionale, la posizione soggettiva del privato, compressa nella fase autoritativa del rapporto, s~ riespande acquistando la consistenza di diritto soggettivo; e le controversie relative al quantum ricadono sotto la giurisdizione del giudice ordinario, il quale il pi idoneo alla soluzione delle controversie di liquidazione, disponendo di pi efficaci strumenti processuali per provvedervi, l dove il giudice amministrativo dovrebbe limitarsi a dichiarare, eventualmente, l'illegittimit della liquidazione predisposta dalla amministrazione. E questa conclusione appare in armonia con il 2 comma dell'art. 30 r.d. 24 giugno 1924 n. 1054, che, anche per le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riserva all'a.g.o. le questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali. La parte resistente, al fine di dimostrare che il comune aveva positivamente esercitato il potere di accordare la revisione dei prezzi, richiama un progetto di revisione definitiva dei prezzi contrattuali contenuto in una relazione redatta secondo le osservazioni contenute in un voto del comitato tecnico amministrativo del provveditorato delle opere pubbliche, che nella copia, priva di autenticit, prodotta dalla stessa parte .PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI CQUB ED APPALTI PUBBLICI non riferita ad alcun organo del comune e che, anche ammessone la conformit ad un atto originale, potrebbe avere in mancanza di altri elementi, il valore di un atto interno meramente preparatorio finalizzato ad un (futuro) riconoscimento che si ignora se sia poi sopravvenuto e se sia stato formalizzato. Neppure forniscono utili elementi in proposito il carteggio intercorso tra l'appaltatore e l'I.s.e.s. e tra questo e il comune e H provvedimento del provveditorato alle opere pubbliche del 16 settembre 1974 prot. n. 9648/1, che maggiore significato potranno, eventualmente, avere al fine della individuazione del titolare passivo del rapporto. Decisivo rilievo assume, invece, il pagamento di un acconto da parte del comune, espressamente indicato come primo acconto ed esclusivamente riferito alla revisione dei prezzi. La conclusione, secondo la quale il potere dell'amministrazione deve ritenersi esaurito quando essa abbia operato la scelta nel senso di provvedere alla revisione (fase dell'an), spiana la via alla soluzione del problema se, quando sia mancata una determinazione dell'intero importo revisionale, la corresponsione di acconti sia sufficiente a far ritenere consumato il potere dell'amministrazione di accordare, oppur no, la revisione. E' evidente, infatti, che nel quadro dell'impostazione accolta la liquidazione degli acconti, quando denoti l'avvenuto esercizio del potere in ordine all'an della revisione, senza limitarla ad una determinata partita di lavori, non ricade nella previsione dell'art. 4 d.l. n. 1501 del 1947, che prescrive il ricorso amministrativo sia contro il diniego sia contro la concessione parziale della revisione. Invero -se pu convenirsi che il riconoscimento pu essere parziale anche solo quanto al tempo rispetto al quale stabilire le variazioni cui va raccordata la liquidazione del corrispettivo per revisione dei prezzi, poich anche l'apprezzamento del profilo cronologico rientra nella area del potere pubblico di accordare o negare la revisione, questa essendo concessa, in principio, per determinati lavori compiuti in determinati periodi di tempo, proprio in base a certe variazioni di costo intervenute per quel tipo di lavori durante quel periodo di tempo (v., in arg., le sent. n. 5249/79, e 5333/80, cit.) -deve ritenersi che quando manchi il riferimento all'elemento temporale, che costituisce un dato tecnico-giuridico il cui rilievo rimane nella fase dell' an e non trasmigra in quella, successiva, della liquidazione, il riconoscimento non pu definirsi parziale se non quando si riferisca ad una individuata partita di lavori, nel cui ambito lo stabilire se l'importo della revisione debba comprendere tutte o alcune soltanto delle componenti del costo dell'opera trasferisce la controversia sul piano della quantificazione dell'importo .revisionale, quando l'amministrazione abbia gi esercitato positivamente il potere di accordare la revisione. Il riferimento, al fine considerato, a parti dell'opera appaltata o a partite di lavori eseguiti , del resto, coerente con :la materia RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 410 degli appalti pubblici, nella quale, quando non sia convenuto a corpo, il prezzo delle opere appaltate a misura riferito alla quantit effettiva delle opere eseguite (art. 326, terzo comma, 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. F) e viene contabilizzato in base a ciascuno stato di avanzamento. Nel caso concreto, poich il comune di S. Giovanni in Persiceto non ha dedotto e non ha provato, com'era suo onere, che l'acconto si r;iferisce a determinate partite di lavori, deve escludersi che la revisione sia stata accordata parzialmente e deve ritenersi che l'acconto sia stato liquidato con riferimento all'intero importo revisionale, riferito all'intera opera'. appaltata, in adempimento di un presupposto atto di liquidazione implicante il riconoscimento dell'an debeatur e l'attribuzi~ne all'appaltatore di un diritto soggettivo alla revisione, la cui controversa quantificazione ricade sotto la giurisdizione del giudice ordinario. E della esistenza di un atto, presupposto, di concessione della revisione si ha indiretta conferma nella deliberazione della giunta comunale del 17 luglio 1978 di autorizzazione a resistere alla causa promossa dalla impresa contro il comune, nella quale si fa riferimento alla illegittimit della pretesa di imputazione ad interessi dell'importo dell'acconto, ma non vi un'espressa contestazione della pretesa dell'appaltatore alla revisione dei prezzi per ulteriori somme. Pertanto, sulla causa proposta dalla s.p.a. impresa Donati contro il comune di S. Giovanni in Persiceto dinanzi al Tribunale di Bologna, deve affermarsi la giuri~dizione del giudice ordinario. (omissis) II (omissis). Con i primi due mezzi del ricorso -che devono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione -il Di Maggio sostiene che, pur essendo il contratto de quo sottoposto alla disciplina del Capitolato Generale di Appalto per le Opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, nulla impediva alle parti di configurare, mediante apposita clausola, il diritto . soggettivo dell'appaltatore di ottenere la revisione dei prezzi. Il ricorrente osserva che l'art. 37 del Capitolato Generale fa rife rimento alle norme vigenti, tra le quali da annoverarsi l'art. 1 del d.l. del C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501 -ratificato con la legge n. 329 del 9 maggio 1950 e mantenuto in vigore dalle successive leggi n. 1481 del 1963, n. 163 del 1964 e n. 93 del 1968 -il quale ammett~va la possibilit di patti in deroga al regime revisionale legale, a differenza di quanto stabilito dalla legge n. 37 del 22 febbraio 1973, non applicabile al caso di specie perch posteriore alla stipulazione del contratto. Il Di Maggio deduce, quindi, che con l'art. 79 del Capitolato Speciale, richiamato nel contratto, le parti avevano esplicitamente previsto la revisione dei prezzi, per cui sussistono le condizioni per affermare la giurisdizione del giudice ordinario. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Osserva la Corte che l'impostazione difensiva del ricorrente, pur muovendo da una premessa giuridica esatta, cretamente erronea nella conclusione a cui perviene, giacch essa contrasta con la valutazione degli elementi probatori compiuta dai giudici del merito. Se vero, infatti, che prima dell'entrata in vigore della legge n. 37 del 22 febbraio 1973 -che ha introdotto il divieto di qualsiasi pattuizione preventiva, che renda obbligatoria per la p.a. la rev1s1one ben poteva verificarsi che, in base ad una clausola esplicita, di contenuto univoco, fosse previsto in favore dell'appaltatore, fin dal momento della stipulazione del contratto, il diritto alla revisione, non pu contestarsi che, nel caso di specie, la Corte di appello di Lecce, con una indagine minuziosa ed attenta, ha escluso che il Comune di S. Marzano si sia avvalso, in concreto, della facolt di derogare, mediante apposito patto, alla disciplina legale della revisione dei prezzi. In particolare, la Corte di appello, facendosi carico della interpretazione della clausola n. 6 del contratto di appalto -in virt della quale le parti avevano attuato un rinvio recettizio sia al Capitolato Generale che al Capitolato Speciale -ha correttamente affermato che l'art. 79 del Capitolato Speciale si riferiva soltanto ai criteri per la determina-" zione degli importi revisionali, per cui, non sussistendo un obbligo contrattuale del Comune di S. Marzano di procedere alla revisione, risultavano applicabili le norme e i principi del D.L. del C.P.S. n. 1501 del 1947, non modificati dalle leggi successive e che, di conseguenza, di fronte alla facolt discrezionale della p.a., il Di Maggio non poteva vantare la titolarit di un diritto soggettivo. Con il terzo mezzo del ricorso, il Di Maggio assume che, anche nel caso di applicabilit del regime legale della revisione dei prezzi, alla posizione dell'appaltatore deve essere riconosciuta la consistenza del diritto soggettivo perch si tratta di :i;apporti contrattuali di diritto privato, in cui non trovano collocazione in favore del contraente pub blico poteri di supremazia amministrativa; perch la facolt della p.a. di procedere alla revisione non equivale ad insindacabile giudizio, co stituendo invece un atto dovuto; perch con l'abolizione dei patti in deroga al regime legale, operata dalla legge n. 37 del 1973, la revisione divenuta un elemento insopprimibile del rapporto di appalto di opera pubblica; perch la legge n. 700 del 21 dicembre 1974 ha introdotto la pretesa del contraente di percepire gli acconti revisionali, nonch il diritto agli interessi di mora, i quali costituiscono aspetti tipici ed esclusivi del rapporto di natura contrattuale. Ad avviso della Corte il motivo non ha fondamento. Come stato recentemente ribadito da queste Sezioni Unite (cfr. sentenza n. 5333 del 1980) in tema di appalto di opere pubbliche, il principio secondo cui la revisione del prezzo, per variazioni complessive del costo dei lavori, deriva dall'esercizio di un potere discrezionale della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 412 Amministrazione appaltante, a fronte del quale l'appaltatore titolare di meri interessi legittimi tutelabili davanti al giudice amministrativo, opera anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 700 del 1974 e non derogabile, nel senso dell'attribuzione all'appaltatore medesimo di una posizione di diritto soggettivo azionabile dinanzi al giudice ordinario, n in forza di pattuizione preventiva inserita nel contratto, atteso il divieto di cui all'art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37, n in forza di. riconoscimento da parte dell'Amministrazione del corrispettivo a titolo di revisione, quando il riconoscimento stesso, anzicch essere totale e riferito sia all'ar. che al quantum, abbia carattere parziale, sia pure solo con riferimento ai tempi rispetto ai quali stabilire le variazioni. L'indicata deroga, pertanto, non ravvisabile per effetto della liquidazione da parte dell'appaltante di acconti per revisione del prezzo, negli stati di avanzamento, riguardo a partite di lavoro successive a quelle computate nel singolo stato di avanzamento. Tale indirizzo giurisprudenziale merita di essere nuovamente confermato. Devesi notare che il contratto di appalto di opera pubblica, pur non discostandosi dalla corrispondente figura del codice civile, soggiace alle regole generali dettate per i contratti della p.a. per quanto riguarda il processo formativo della volont della parte committente e la scelta dell'altro contraente. E non pu dubitarsi che tutta la fase che precede il momento perfezionativo del contratto chiaramente dominata dal potere di supremazia della p.a., di fronte al quale le posizioni soggettive dell'appaltatore non possono mai assurgere al rango di diritti soggettivi. Questo aspetto pubblicistico del rapporto, dopo la conclusione del negozio, cede il passo alla disciplina sostanzialmente privatistica, a condizione per che non si verifichi alcun fatto straordinario, capace di turbare l'originario equilibrio contrattuale. Ora, allorquando il notevole aumento del costo delle materie prime e della manodopera e degli altri oneri dell'appaltatore espone questo ultimo al rischio di perdite che superano l'alea normale del contratto, ecco che si verifica un evento che la p.a. non pu certamente ignorare perch l'interesse pubblico esige che il corrispettivo spettante all'appaltatore venga adeguato alle mutate condizioni di mercato, nel caso in cui siano travalicati determinati limiti di tollerabilit. Ma, nel momento stesso in cui sorge il dovere giuridico della p.a. di prendere in esame la qu~stione della revisione dei prezzi, ritorna in gioco l'aspetto pubblicistico del rapporto, contrassegnato dal potere autoritativo della parte committente. E' questa la ragione fondamentale della configurabilit del problema della revisione dei prezzi secondo il binomio potere-interesse legittimo. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI La p.a. deve tendere, come stato autorevolmente affermato, alla massimizzazione dell'interesse pubblico nel perseguimento dei suoi fini, per cui non pu sottrarsi al suo compito istituzionale di esaminare se sussistono le condizioni e i presupposti previsti dalla legge per far luogo alla revisione dei prezzi. Anzi, questo compito pu essere assolto anche indipendentemente dalla istanza del privato. Sarebbe, per, del tutto arbitrario ritenere che la p.a. ha l'obbligo giuridico di procedere alla revisione e che, correlativamente, il privato ha il diritto soggettivo di chiedere e di ottenere la revisione. Allo 'stato attuale della legislazione, non dato rinvenire una norma che disciplini il rapporto inerente alla revisione in termini di contrapposizione obbligo giuridico-diritto soggettivo. La posizione sostanziale del privato non tutelata in via diretta ed immediata; essa potr essere appagata soltanto quando si accerti che la p.a. si sia illegittimamente astenuta dal pronunciarsi sulla richiesta di revisione o abbia illegittimamente respinto la domanda di revisione. E tale illegittimit dell'operato del soggetto pubblico deve essere necessariamente dedotta davanti al giudice amministrativo. Diversa invece l'ipotesi in cui la p.a. abbia gi proceduto all'accertamento positivo delle condizioni e dei presupposti della revisione. In tal caso, infatti, essendosi ormai esaurito il momento autoritativo con l'avvenuto esercizio del potere discrezionale, il rapporto presenta connotazioni esclusivamente privatistiche, per cui la eventuale controversia tra la p.a. e l'appaltatore rientra nella cognitione del giudice ordinario, in quanto ha per oggetto la mera determinazione dello ammontare del compenso revisionale (cfr. sentenza S.U. n. 857 del 1979 e la gi citata sentenza S.U. n. 5333 del 1980). Non esatto, poi, che il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 37 del 22 febbraio 1973 abbia conferito alla revisione la natura di elemento essenziale, o quanto meno naturale, del rapporto di appalto di opera pubblica. Invero, detta norma, nel sancire la inefficacia di qualsiasi patto in contrario e in deroga, ha addirittura inibito alle parti di attuare, nel momento perfezionativo del contratto, un regolamento diverso da quello previsto dalla normativa vigente. La qual cosa, lungi dal rendere azionabile la pretesa del privato davanti al giudice ordinario, ha ulteriormente accentuato la posizione autoritativa della p.a. per quanto riguarda il potere di procedere alla revisione. N pu trarsi argomento a favore della ipotizzabHit di un diritto soggettivo del privato dalla legge 21 giugno 1964 n. 463. Infatti, tale normativa, introducendo una regolamentazione pi precisa di quella precedente, ha individuato il sistema di calcolo del compenso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO revisionale, ma non ha minimamente intaccato, a monte, il potere discrezionale della p.a. di procedere alla revisione nel quadro di una puntuale realizzazione dell'interesse pubblico. D'altra parte, la posizione soggettiva del privato rimane quella di interesse legittimo anche alla stregua della disciplina contenuta nella legge 21 dicembre 1974 n. 700, perch le norme relative agli acconti revisionali e agli interessi moratori sono pienamente compatibili con il riconoscimento, alla p.a. di un potere, il cui esercizio pu dirsi vincolato soltanto sotto l'aspetto pubblicistico, non anche nei confronti del pri vato (cfr. sentenza S.U. n. 888 del 23 febbraio 1978). Infine, non pu sottacersi che la recentissima legge n. 741 del 10 di cembre 1981 contiene una norma -quella dell'ultimo inciso dell'art. 17 -la quale conferma esplicitamente la giurisdizione del giudice ammi~ nistrativo in materia di revisione dei prezzi di appalto delle opere pubbliche. In conclusione, anche se vero che, in presenza delle condizioni e dei presupposti oggettivamente previsti dalla legge, la p.a. tenuta a procedere alla revisione dei prezzi di appalto perch ci corrisponde all'interesse pubblico di assicurare una adeguata remunerativit all'appaltatore -onde evitare che le gare vadano deserte o che si rendano aggiudicatarie dei lavori imprese di poco scrupolo e di scarso affidamento nondimeno l'iniziativa e il potere della p.a. vengono esercitati in veste autoritativa, senza che il privato, in mancanza di una norma che tuteli in via diretta ed immediata la sua posizione sostanziale, possa vantare un diritto soggettivo. Consegue che, qualora la p.a. ometta illegittimamente di procedere alla revisione di prezzi ovvero respinga illegittimamente la richiesta di revisione avanzata dal privato, quest'ultimo pu rivolgersi soltanto al giudice amministrativo. In aderenza alle considerazioni di cui sopra, il ricorso del Di Maggio deve essere rigettato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 febbraio 1983 n. 1370 -Pres. Mirabelli Est. Carotenuto -P. M. Corasaniti (conf.). Amministrazione della Difesa .(avv. Stato Corti) c. Boatti Petroli S.p.A. (avv. Guarino). Contabilit pubblica -Contratti della pubblica amministrazione Forni ture -Revisione dei prezzi Previsione in contratto Diritto sogget tivo alla revisione -Clausola compromissoria -Validit Onere di ricorso amministrativo Non sussiste. (r.d.J. 13 giugno 1940, n. 901, artt. 1, 2, 3 e 4). La revisione dei prezzi nei ontratti di pubbliche forniture trova completa ed autonoma disciplina nel r.d.l. 13 gi_ugno 1940, n. 901. La clausola contrattuale, che preveda la revisione in connessione con dt;!ter l I ' I I PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 415, minate variazioni delle condizioni di mercato, d luogo ad un rapporto sinallagmatico, con correlative posizioni di diritto di credito e di obbligazione, ed esclude che la revisione sia oggetto di facolt dell'amministrazione rispetto alla quale sia configurabile una posizione di interesse legittimo.. Conseguentemente, la controversia che sorga a seguito del provvedimento di rigetto dell'istanza di revisione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e pu essere devoluta alla cognizione di arbitri, non d luogo a decadenza la mancata tempestiva impugnazione del provvedimento di rigetto con il ricorso al ministro preveduto dagli artt. 2 e 3 del r.d.l. 901 del 1940, giacch esso riguarda solo il caso in cui la revisione oggetto di facolt della P.A. (1). (Omissis). Con i primi due motivi del ricorso principale (nei quali si denuncia violazione degli art. 103, primo comma, Cost.; 2 legge 20 marbo 1865 n. 2248 all. E; 2 e 4, r.dl. 13 giugno 1940 n. 901) vengono sottoposte all'esame di questa Corte quattro eccezioni, tra loro connesse, gi sollevate e disattese in sede di merito. Con la prima viene dedotto il difetto di giurisdizione del collegio arbitrale in quanto il r.d.l. n. 901 del 1940, che disciplina la revisione dei prezzi nei contratti di pubbliche forniture, configura la posizione soggettiva del fornitore come interesse legittimo, da far valere -rispetto ai provvedimenti dell'Amministrazione di rigetto o di accoglimento parziale dell'istanza di revisione -davanti al giudice amministrativo. La diversa configurazione di diritto soggettivo non pu essere desunta dall'esistenza, nel caso di specie, di una espressa clausola contrattuale che prevede la revisione, dal momento che per i contratti di pubbliche forniture l'art. 4 del predetto d.l. n. 901 subordina la revisione all'esistenza di una apposita previsione, e la corte di merito non ha spiegato perch la clau (1) Cass. 14 dicembre 1981 n. 6593, in Giust. civ. Mass. 1981, 2349 -richiamata nella motivazione della decisione in rassegna -era gi pervenuta ad identiche conclusioni su tutti gli aspetti cui ha riguardo la massima. Com' noto, l'art. 4 del r.d.I. 901 del 1940 dispone che nei contratti di fornitura stipulati dopo l'entrata in vigore dlla presente legge e nei quali sia prevista la revisione dei prezzi, le controversie relative alla revisione stessa saranno definite ai sensi dei precedenti articoli 2 e 3 salvo che non sia diversamente stabilito dal contratto . Se ne desume che il contratto deve prevedere la rivedibilit del prezzo perch a questa possa farsi luogo. Di qui il problema della qualificazione della situazione soggettiva del contraente privato in presenza di tali clausole, apparendo che esse, costituendo necessario presupposto per l'esercizio della facolt di revisione da parte dell'Amministrazione, non possano valere a costituire un diritto del privato alla revisione. Secondo quanto si desume dalla sentenza in rassegna e dalle decisioni 14 dicembre 1981 n. 6593 cit. e 8 gennaio 1968 n. 35, in Giust. civ. Mass. 1968, 18 la giUrisprudenza ttribuisce alla clausola natura ed effetti contrattuali, tutte le volte che le condizioni di rivedibilit del prezzo sono stabilite in modo diverso da quello legale, quale previsto dall'art. 1 del r.d.l. 901. 416 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sola contrattuale in esame, anzich essere diretta soltanto a rendere possibile la revisione secondo la disciplina legale, sarebbe attributiva di un diritto soggettivo. La seconda, la terza e la quarta eccezione, proposte in via gradata, hanno rispettivamente ad oggetto: a) il difetto temporaneo di giurisdizione del collegio arbitrale, in quanto la soc. Boatti non ha preventivamente proposto ricorso in sede amministrativa, secondo la previsione degli artt. 2 e 3 del citato r.d.l. n. 901; b) l'incompetenza del collegio arbitrale, in quanto la clausola compromissoria in esame -con la quale vengono devolute alla cognizione degli arbitri le controversie concernenti l'esecuzione dei contratti -per la sua genericit non pu essere interpretata nel senso di includere anche le controversie relative alla revisione dei prezzi; e) la decadenza dall'azione per non essere stato tempestivamente impugnato il provvedimento dell'Amministrazione che ha rigettato l'istanza di revisione. I motivi sono infondati. 1. da premettere che la rev1s10ne dei prezzi nei contratti di pubbliche forniture disciplinata dal R.D.L. 13 giugno 1940 n. 901, tuttora in vigore, in modo completamente autonomo dalla revisione prevista per i contratti di appalto di opere pubbliche. Di conseguenza escluso che per la soluzione del problema di giurisdizione in esame possa farsi riferimento alla copiosa normativa dettata per l'appalto di opere pubbliche, culminata nell'art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37 che, con riguardo alla generale configurazione della posizione soggettiva dell'appaltatore come di interesse legittimo rispetto alla facolt della P.A. di revisione dei prezzi, vieta patti contrari che possano attribuire all'appaltatore un vero diritto soggettivo alla revisione (cfr. Sez. un., 1 ottobre 1980 n. 5333). Fin dalle prime decisioni di questa Corte nelle quali stato affrontato il problema dell'interpretazione del citato D.L. n. 901 (cfr. Sez. Un. 16 maggio 1945 n. 345) stato osservato che l'espressa pattuizione circa la revisione dei prezzi delle pubbliche forniture, in connessione con determinate variazioni delle condizioni di mercato, d luogo a un rapporto sinallagmatico, con correlative posizioni di diritto di credito e di obbligazione, tali da escludere che la revisione sia oggetto di una semplice facolt dell'Amministrazione, rispetto alla quale sia configurabile una posizione di interesse legittimo. Questa conclusione, riaffermata da varie decisioni successive (cfr. sent. 28 febbraio 1948 n. 326, 12 ottobre 1960 n. 2685, 8 gennaio 1968 n. 35), stata ribadita con una recente pronuncia (Sez. Un. 14 dicembre 1981 n. 6593), la quale, in relazione ad argomenti simili a quelli prospettati con i motivi di ricorso in esame, ha posto in rilievo che l'art. 4 del D.L. n. 901 del 1940, in quanto prevede espressamente la possibilit, non solo, che la revisione, anzich formare oggetto di una facolt discrezionale della P.A., sia contrattualmente dovuta, ma altres --'-''"'""'"'"ᥥ .........................,. rr..r..,.-,-. ., .................. ' PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI che la definizione delle controversie ad essa relative venga contrattualmente regolata in modo. diverso da quello previsto dalla legge in via generale (ricorso al Ministro contro il provvedimento che rigetta o accoglie parzialmente l'istanza di revisione), fa riferimento alla possibilit di deferire ad arbitri la cognizione delle controversie medesime, proprio in connessione con il carattere di diritto soggettivo della pretesa del fornitore. Ci posto sufficiente osservare, quanto al caso di specie, che nei contratti di fornitura: a) la revisione dei prezzi fu specificamente prevista dalle parti con riguardo al dato obiettivo della variazione dei prezzi stabiliti dal CIP; b) furono devolute alla cognizione arbitrale tutte le controversie nascenti dall'esecuzione del contratto, con la conseguenza che la tesi sostenuta dalla ricorrente -secondo cui, nel caso in esame, la revisione dei prezzi formava oggetto di una semplice facolt discrezionale dell'Amministrazione - del tutto infondata. 2. Ritenuta la configurazione della posizione del fornitore come diritto soggettivo, con conseguente esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo, altres infondata anche la tesi (subordinata) del difetto temporaneo di giurisdizione per effetto del mancato esperimento dei rimedi in sede amministrativa (ricorso al Ministro contro il provvedimento di rigetto dell'istanza di revisione). Tali rimedi, per espressa disposizione dell'art. 4 del D.L. n. 901, sono previsti come alternativi rispetto alla diversa regolamentazione contrattuale e si riferiscono, in via generale, all'ipotesi in cui la revisione, non disciplinata dal contratto, sia rimessa alla discrezionalit della P~A. (cfr. la citata sentenza n. 6593 del 1981). 3. La questione di competenza del collegio arbitrale, sollevata in relazione al riconoscimento che si controverta in materia di diritti soggettivi, connessa all'interpretazione della clausola compromissoria; interpretazione che, in materia di competenza (come di giurisdizione), deve essere compiuta direttamente da questa Corte (cfr. sent. 12 gennaio 1979 n. 225). Considerando che la cognizione arbitrale riguarda (art. 12 dei singoli contratti) le controversie concernenti l'esecuzione del presente contratto , ritiene la Corte che in essa rientrino anche le controversie circa la revisione del prezzo, la quale istituto collegato al momento esecutivo del contratto, e non certo a quello genetico, riguardando la determinazione del corrispettivo delle prestazioni eseguite in base al contratto. 4. Esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo incongruo dedurre la decadenza dell'azione in conseguenza della mancata, tempestiva impugnazione, in sede amministrativa, del provvedimento di rigetto dell'istanza di revisione. Il ricorso al Ministro, ai sensi degli artt. 2 e 3 ili 418 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del DL. n. 901 del 1940, ha come presupposto che la revisione sia oggetto di una mera facolt della P.A. (cfr. la citata sentenza n. 6593 del 1981). (Omissis). f; f' Il TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, Sez. III, 28 maggio 1983 n. 440 -Pres. Felici -Est. Ravalli -I.A.C.P. di Roma (avv. Bertuccelli) c. Ministero dei lavori pubblici (n.c.) e Impresa S.I.I. Societ Imprese Industriali (avv. Caporale). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Costo della manodopera -Oneri derivanti da contratti aziendali di lavoro -Computabilit -Esclusione. (d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1; 1. 21 giugno 1964, n. 463, art. 1; I. 17 feb braio 1968, n. 93, art. 1). Costituiscono prezzi correnti per la manodopera ai fini della revisione dei prezzi solo quelli che incidono in eguale misura su tutte le imprese agenti in un determinato territorio, cio quei prezzi che pongono le imprese concorrenti in una stessa posizione di eguaglianza sia al momento dell'offerta che a quello in cui dovessero verificarsi variazioni in aumento in corso d'opera. Vanno pertanto esclusi dalla revisione dei prezzi i maggiori oneri di manodopera derivanti da accordi aziendali (1). (Omissis) 1. -Il ricorso pone la questione se, in sede di revisione dei prezzi d'appalto di opere pubbliche, nella valutazione del maggior costo della manodopera debbano o meno computarsi gli oneri derivanti dall'applicazione dei contratti aziendali di lavoro. Per l'esclusione degli accordi aziendali la tesi del ricorrente IACP della provincia di Roma; sostengono, invece, l'inclusione la convenuta Im (1) La decisione in rassegna, la prima che per quanto consti ha affrontato l'argomento, ha correttamente risolto il problema se, per determinare le variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla presentazione dell'offerta (art. 1 comma 1 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501) ed in particolare le variazioni di costo della manodopera (art. 1 comma 6 1. 21 giugno 1964 n. 463 sub art. 1 I. 17 febbraio 1968 n. 93), tra gli elementi della retribuzione posti a carico dell'imprenditore dagli accordi e contratti collettivi di lavoro (art. 1 comma 6 I. 463/1964) vadano ricompresi anche quelli risultanti dai contratti collettivi aziendali. Con riferimento al periodo successivo alla stipulazione del contratto collettivo nazionale di lavoro per l'edilizia definito con l'accordo del 6 ottobre 1976, il Ministero dei lavori pubblici, con la circolare 15 novembre 1978 n. 7595 (in Arch. giur. op. pubbl. 1978, 2, IV, 246) ha affermato che alla contrattazione aziendale sia da negare rilevanza. Il caso esaminato dal Tribunale aveva riguardo a lavori eseguiti in un periodo anteriore al 6 ottobre 1976. Che il contratto aziendale costituisse prima :PARl'B I, SBZ. VII; GlURIS. IN MA'l'BIUA DI ACQUB BD APPALTI PUBBLICI 419 presa S.I.I. ed il Ministero dei lavori pubblici, il cui decreto n. 2991 del 13 maggio 1977, risolutivo del ricorso amministrativo ex art. 4 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, stato impugnato. 2. i! appena il caso di accennare alla questione -non posta dalle p(lrti ipa sollevabile d'Ufficio -se rientrino o meno nella giurisdizione del giU.dfoe . amministrativo le controversie in materia di revisione prezzi. ~I) ptop<)Sito, per l!lffertnare la giurisdizione amministrativa, non resta che richiamare, le arg9mentazioni svolte dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, condivisa in prevalenza dal giudice amministrativo, secndQ. le quali, anche a seguito delle pi recenti innovazioni legislative inJl)ateria di reviS()JJ,e dei Prezzi d'~ppalto di opere pubbliche (L. 22 febbraio 1973 n. 37 e t. 21 dicembre i974 n, 700), la posizione del privato appaltatore nei. confronti . deliente appaltante per la corresponsione. del C()DJ.:Pe11so r~visionale, si atteggia alla stregua di interesse legittimo, ancol'c}) particolarme:tlte qualjficato dalla previsione di attivit . prevalentem. ente vincolate e dovute .dell'Amministrazione (cfr. Cass. SS.UU. 23 febbraio 1978 n. 888 e 10 ottobre 1919 n. 5249; T.A.R. Calabria, Catanzaro 22 maegio 1981 n. 231; T.A.R. Lombardia, Brescia 16 dicembre 1980 n. 386 e Milano 4 dicembre 1981 n. 1517; T.A.R. Piemonte 29 ottobre 1980 n. 929, nonch T.A.:R. Toscana 22 dicembre 1980 n. 1064). N, nel caso, pu condur.re a diversa soluzione la circostanza che lo specifico contratto d'appalto reca una clausola (art. 12) in materia di revisione prezzi; infatti, alla stessa -anche in forza di un principio d conservazione -non . pu riconoscersi che carattere meramente riproduttivo delle disposizioni di legge ovvero, a tutto concedere, meramente interpretative delle stesse. Per cui, nella fattispecie, non sono applicabli gli orientamenti. espressi dalla Cassazione (Cass. SS.UU. 8 febbraio 1979 n. 857 e 17 maggio 1979 n. 2807) allorch le parti abbiano regolato la materia mediante clausole contrattuali. l. -Non ha fondamento l'eccezione di inammissibilit del riorso proposto dall'Impresa ai sensi dell'art. 4 D.L.C.P.S. n. 1501/1947 avverso la comunicazione dell'Istituto di diniego della computabilit ai fini della di questa data strumento di rilevazione delle variazioni dei costi correnti della m~odopera .era stato ritenuto sia dallo stesso Ministero dei lavori pubblici con la circolare 1 agosto 1977 n. 5242 in Arch, giur. op. pubbl, 1977, 2, IV, 186 sia dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. II, 23 aprile 1980 n. 281/80 in Cons. Stato 1981, I, 973). Per completare l'informazione sul tema possono ancora consultarsi la circolare 11 marzo 1978 n. 1952 del Ministero dei lavori pubblici (in Arch. giur. op. pubbl. 1977, 2, IV, 188) e il parere 24 luglio 1980 n. 585/80 della Sezione II del Consiglio di Stato (Cons. Stato 1981, I, 975), che hanno preso in considerazione il caso di compensi revisionali licillidati calcolando il maggior onere per manodopera derivnte da contratti aziendali, per lavori eseguiti dopo il 6 ottobre 1976 e sino all'emanazione della circolare 1 agosto 1977 n. 5242.. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO revisione prezzi del maggior onere per manodopera derivante dall'applicazione di un contratto aziendale, nella considerazione che la comunicazione stessa, non sottoscritta dal Presidente, non poteva considerarsi un atto definitivo ovvero un provvedimento in senso proprio. . Va, infatti, osservato che, a prescindere dalle modalit con le quali l'Ente abbia esternato le proprie determinazioni, deve considerarsi provvedimento lesivo, e come tale direttamente impugnabile, ogni atto diretto a manifestare la volont dell'Amministrazione ogni qual volta fa stessa abbia tenuto, anche successivamente, un comportamento non contrastante, ma anzi di avallo di quanto comunicato, atteso anche che ogni eventuale asserita irregolarit dell'esternaziorie non si riflette sull'efficacia dell'atto fin tanto che esso non venga eliminato mediante revoca o ritiro o con un provvedimento che disponga diversamente. 4. -Il contratto collettivo d'impresa, o contratto collettivo aziendale, costituisce il livello minimo di contrattazione collettiva, inteso com' a regolare i contrapposti interessi esistenti nell'ambito dell'unit produttiva aziendale. Il contratto aziendale indubbiamente fa parte del sistema della contrattazione collettiva, che ha il suo massimo schema normativo nel contratto nazionale e si articola in contratti integrativi provinciali o comunali. Il contratto aziendale, che intende conseguire la maggior aderenza normativa ed economica alle condizioni ed alle possibilit particolari delle singole imprese, fenomeno diffuso in ogni societ industriale e comune o consuetudinario in quelle pi avanzate (cfr. gli shop bargains nord-americani). Esso, tuttavia, suscettibile all'interno di ulteriori distinzioni, a seconda, cio, che :trattasi di contrattazione cui esplicitamente fa rinvio quella ad ambito pi esteso per la disciplina di punti particolari, ovvero, in mancanza di rinvio, di contrattazione aziendale autonoma, che pone in diretto rapporto la direzione dell'impresa ed il personale, sia che esistano o meno forme di intervento di rappresentanze sindacali ultra-aziendali o di uffici pubblici in funzione conciliativa. Certo che nei contratti aziendali il datore di lavoro che stipula in proprio, connotazione che non sfuggita alla Corte di Cassazione, la quale ha definito il contratto de quo quale atto generale di autonomia negoziale (cfr. Cass. 8 maggio 1968 n. 1410). 5. -Accennato in tale modo al fenomeno della contrattazione aziendale, giova richiamare la normativa in materia di revisione prezzi in base alla quale dovr essere definita la controversia. t:. noto come l'art. 1 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, innovando sul sistema precedente secondo il quale l'esercizio della revisione prezzi dipendeva dall'esistenza di apposita clausola contrattuale, ha stabilito, PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 421 salvo patti in contrario, per l'Amministrazione la facolt di procedere alla revisione dei prezzi pattuiti, quando essa riconosca che il costo com plessivo dell'opera sia aumentato o diminuito in misura superiore al 10 % (poi ridotta al 6% dalla L. 23 ottobre 1963 n. 1481) per effetto di varia zione dei prezzi correnti intervenute successivamente alla presentazione dell'offerta. La L. 21 giugno 1964 n. 463, modificata dalla L. 17 febbraio 1968 n. 93, rilevante -quanto all'aspetto che interessa ai fini del decidere -per l'aver dettato criteri per la determinazione delle quote percen tuali d'incidenza sul costo complessivo dell'opera degli elementi sogget ti a variazione ed individuati nel costo di manodopera, materiali, trasporti o noli. Da ultimo, la L. 22 febbraio 1973 n. 37, che ha escluso ogni patto contrario od in deroga alla revisione prezzi, e la L. 21 dicembre 1974 n. 700, che ha fissato la spettanza di acconti sui compensi revisionali, sono rilevanti per le argomentazioni che si sono tratte in tema di giu risdizione, la prima dal venir mneo di ogni discrezionalt, la seconda dal collegamento di tali acconti con quelli sui prezzi da corrispondere all'appaltatore. Alla concreta rilevazione dei prezzi di mercato provvedono, poi, appo. site Commissioni, che elaborano i dati su scala provinciale, costituite con circolari del Ministero dei lavori pubblici, che ne ha fissato anche la composizione, salvo per talune Regioni, ove si provvede secondo leggi regionali alla compilazione di appositi elenchi prezzi o prezziari. 6. -Il problema dell'inclusione o meno dei maggior costi di mano. dopera derivanti dalla contrattazione aziendale stato regolato dal Ministero dei lavori pubblici con varie circolari, fra le quali quelle del 1 agosto 1977 n. 5242 e 11 marzo 1978 n. 1952, che ammettevano la rilevanza dei contratti aziendali e del 29 novembre 1978 n. 7595, che la negavano. In proposito si anche pronunciato, in sede consultiva, il Consiglio di Stato -Sez. II con pareri 23 ,aprile 1980 n. 281/80 e 24 luglio 1980 n. 585/80. Tali precedenti traggono argomenti dalla considerazione unitaria del sistema della contrattazione collettiva e distinguono fra appalti stipulati prima o dopo l'entrata in vigore del contratto collettivo nazionale 6 ottobre 1976, .che non consentiva pi integrazioni degli accordi a livello aziendale; da ci le conclusioni che davano rilevanza alla contrattazione aziendale intervenuta prima del citato contratto nazionale, e la negavano per la successiva. Peraltro, non pare che possa meditatamente condividersi l'orientamento richiamato per la preminente ragione che, pur in mancanza di ogni norma di rinvio dell'ordinamento statale alla contrattazione collettiva na2lionale, si viene in buona sostanza a far risolvere un problema RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO generale che resta d'interpretazione della normativa statale da una fonte che non si pone come vincolante se non per i contraenti. D'altra parte, appare contraddittorio rilevare l'inerenza degli accordi aziendali al sistema dei contratti collettivi e poi dare o negare rilevanza non gi sulla scorta della loro effettiva stipulazione, bens sulla scorta della legittimazione che ad essi proviene da altre fonti contrattuali. 7. -La Sezione ritiene che la rilevanza o meno ai fini della fissazione dei prezzi revisionali degli oneri di manodopera derivante dalla contrattazione. aziendale sia questione che va correttamente posta come problema interpretativo della normativa statale di settore. A tal fine -come si rilevato -soccorre unicamente l'art. 1 D.L.C.P.S. n. 1501 del 1947 laddove collega il problema della revisione prezzi negli appalti di opere pubbliche al fenomeno della variazione dei prezzi correnti . La questione, quindi, si definisce in relazione al significato da dare all'espressione prezzi correnti . A tal fine, appaiono senz'altro ininfluenti talune tesi che fanno risalire l'obbligo diretto della revisione prezzi a quei fenomeni di maggior costo che non siano riferibili alle capacit imprenditoriali dell'appaltatore, per negare ingresso a quegli aumenti che sono riconducibili ad imprevidenza, imperizia, negligenza o colpa dell'appaltatore. A negare validit a tale tesi 1sembra sufficiente richiamare il fatto che consolidati e certi andamenti inflattivi non sono di ostacolo alla valutazione dei maggiori costi. D'altra parte, proprio il riferimento alle finalit d'interesse pubblico sottolineate ai fini di stabilire che si verte in materia di interessi legittimi (es., interesse alla tempestiva realizzazione dei programmi di opere pubbliche, ad un adeguato concorso nelle gare d'appalto), danno ragione che non possono trasporsi nell'appalto pubblico i principi che regolano i rapporti fra privati di cui all'art. 1664 e.e. Negli appalti pubblici alla revisione prezzi si provvede senz'altro in relazione all'obiettivo andamento dei prezzi di mercato, per cui il concetto di prezzi correnti va individuato in relazione a tale connotato di obiettivit, do deve trattarsi di prezzi riconoscibili come tali per ambedue i contraenti, in una situazione di indifferenza rispetto ai costi aziendali. Sembra, pertanto, ragionevole ritenere prezzi correnti solo quelli che incidono in uguale misurasu tutte le imprese agenti in un determinato territorio, cio quei prezzi che pongono le imprese concorrenti in una stessa posizione di eguaglianza sia al momento dell'offerta che a quello in cui dovessero verificarsi variazioni in aumento in corso d'opera. Diversamente opinando verrebbe a determinarsi per l'ente appaltante un maggior onere per revisione prezzi connesso con le condizioni dell'azienda e non pi indifferenziato rispetto al momento . dell'aggiudicazione. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 423 Vanno, pertanto, esclusi dalla revisione prezzi i maggiori oneri di manodopera derivanti da accordi aziendali, sia perch sono variazioni individualmente sopportate da ciascuna impresa, sia perch sono aggravi connessi alle situazioni interne di ciascuna impresa e, comunque ed in varia misura, dovuti alle decisioni, pi o meno necessitate, dall'appaltatore. N pu portare ad escludere la qualificazione di costi propri aziendali degli oneri de quibus, la considerazione che i contratti aziendali abbiano finito per costituire una realt obiettiva e generale per la provincia in cui operano le aziende, in quanto la loro generalizzazione non costituisce comunque una realt comune quanto ai contenuti ed ai livelli dei maggiori oneri retributivi diretti od indiretti, cosa che, invece, si verifica solo per i contratti collettivi nazionali e provinciali. 8. -N, inoltre, ha valore sottolineare -come fa la societ appellata -che anche nella stipulazione degli accordi aziendali, alla stessa stregua di quelli nazionali o provinciali, possono intervenire rappresentanze sindacali non aziendali ovvero anche organismi governativi in funzione di conciliazione, in quanto procedure consimili non sono estranee neppure .in sede di conclusione di contratti di lavoro riguardanti singoli lavoratori. Quanto poi all'avvertenza contenuta nella rilevazione prezzi da parte dell'apposita Commissione per il periodo ottobre-dicembre 1974 (depositata agli atti dalla societ appellata), circa l'esistenza di trattamenti extracontrattuali, deve osservarsi che ci non sembra tanto rivolto a riconoscere ex se nella revisione tali trattamenti, quanto piuttosto ad indicare una eventuale necessit di verifica caso per caso; il che, a tutto concedere, non potrebbe condurre ad altro che all'obbligo di una specifica motivazione, ove l'Autorit ministeriale intendesse fare rientrare tali trattamenti extracontrattuali nel concetto di prezzi correnti, determinandone necessariamente in tal caso l'entit e la decorrenza in base a ragioni obiettivamente e singolarmente verificabili. 8. -In quanto precede risiedono le ragioni della fondatezza del secondo motivo di ricorso, mentre il terzo ed il quarto restano assorbiti dalla considerazione che l'art. 12 del capitolato speciale -come accennato -costituisce mera clausola ripetitiva od interpretativa della legge Il ricorso va, quindi, accolto e ci comporta l'irrilevanza della questione di incostituzionalit, dedotta in via subordinata nell'ultimo motivo di censura. (Omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 3 dicembre 1982 -Pres. De Martino - Rel. Fraioli -P.G. Amoroso -Rie. Bambara Salvatore e altri -parte civile: Amministrazione della Marina Mercantile (avv. dello Stato Nicola Bruni). Reato -Occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo -Condanna dell'imputato al rilascio e alla riduzione in pristino Inammissibilit. Nel procedimento penale per occupazione di suolo demaniale marittimo il giudice non pu emettere a carico dell'imputato condanna al rilascio e alla riduzione in pristino del suolo abusivamente occupato, essendo l'adozione di siffatte misure devoluta all'autorit amministrativa (1). Il Tribunale di Messina, con sentenza del 18 gennaio 1980, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 25 gennaio 1980 dal Pretore di Taormipa ed appellata da Bambara Salvatore, Bambara Vincenzo nonch dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato costituita parte civile, condannava i predetti Bambara al risarcimento del danno in forma specifica, confermando la sentenza nel resto. Il Pretore aveva tratto a giudizio i Bambara per il reato di occupazione abusiva di un arenile in quel di Taormina mediante installazione di sedie a sdraio ed ombrelloni e per la costruzione di un manufatto su una superficie pi ampia di quella avuta in concessione ed aveva affermato la responsabilit di entrambi condannandoli alla pena di L. 150 mila di amm,enda nonch al risarcimento del danno da liquidarsi davanti al giudice competente. (1) La decisione non pu essere condivisa. La Suprema Corte, invero, ha erroneamente applicato, in tema di occupa zione abusiva di suolo demaniale marittimo, principi affermati dalle Sezioni Unite, risolvendo contrasti giurisprudenziali, in tema di legittimazione del Comune a costituirsi parte civile nei procedimenti per reati urbanistici, con le pronunzie 21 aiprile 1979 rie. Pelosi e Armenini, e 21 aprile 1979 rie. Guglielmdni (in Giust. Pen. 1979, III, 530 e seg.) richiamate dal ricorrente nei motivi depositati a sostegno del ricorso avverso la sentenza emessa in grado di appello dal Tribunale di Messina il 18 novembre 1980. Le Sezioni Unite hanno s affermato che nel processo penale avente ad oggetto reati urbanistici il Comune legittimato a costituirsi parte civile solo per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ad esso derivato anche nella veste di ente rappresentativo degli interessi collettivi della comunit locale, e che il giudice non pu disporre come misura risarcitoria in forma specifica la demolizione del manufatto abusivo essendo l'adozione di I ! ~ ~ f PAR'l'B I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 425 Avverso la sentenza del Tribunale di Messina propongono ricorso i Bambara deducendo violazioni di legge specie in relazione alle statuizioni in favore della parte civile . .:t! giurisprudenza costante anche di questa Sezione del Supremo Collegio .che la sentenza di primo grado, anche non definitiva, interrom- pe il reato permanente onde il dovere del .giudice di delibare sulle eventuali cause estintive del reato qualora siano efficienti alla data della pronunzia. Nel caso di specie la sentenza del Pretore di Taormina del 25 aprile 1980 ed evidente, allora, l'estinzione del reato contestato agli imputati in virt dell'amnistia ex d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, amnistia che copre i reati contemplati purch commessi fino al 31 agosto 1981. Tanto premesso non pu il Collegio esimersi dal decidere sulla questione relativa alle statuizioni in favore della Amministrazione Finanziaria dello Stato nella sua veste di parte civile, statuizioni che, come si avuto occasione di precisare nella breve narrativa, riflettono la condanna dei Bambara al risarcimento del danno in forma specifica mediante la demolizione delle opere sul terreno demaniale non consentite. Siffatta decisione di dovere giusta l'art. 12 della legge 3 agosto 1978 n. 405 per il quale, quando nei confronti dell'imputato stata pronunziata condanna, anche generica, alle restituzioni ed al risarcimento di danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia, decidono egualmente sulla impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Affrontando i temi che affiorano nella questione oggetto della disamina, il Tribunale di Messina, premesso che la condanna degli imputati al risarcimento del danno una logica conseguenza dell'accertamento operato con la sentenza , e che il Pretore aveva omesso di accogliere la specifica istanza della parte lesa che richied_eva l'ordine di riduzione in pristino , precisava che non poteva essere contestato il diritto della siffatta misura devoluta esclusivamente al Sindaco, ma hanno chiaramente evi denziato, come emerge da un'attenta e completa lettura delle pronunzie indicate, che il discorso non estensibile ai beni demaniali per i quali vige la doppia tutela prevista dall'art. 823 e.e. Si legge infatti, tra l'altro, nella decisione 21 aprile 1979 rie. Guglielmini. .. ., sembra evidente che prima che mal risolta, mal posta la questione, profilata in dottrina e giurisprudenza, circa la compatibilit della cosiddetta autotutela amministrativa dell'integrit dell'assetto urbanistico del territorio comunale -e del correlativo interesse pubblico -con la tutela giudiziaria del medesimo e la opzione tra l'una e l'altra forma di tutela che sarebbe riser vata al Comune in analogia a quanto dalla legge espressamente previsto per la tutela di beni che fanno parte del demanio pubblico (art. 823 e.e.). Ed invero, come si posto sopra in rilievo, la tutela amministrativa della conformazione del territorio comunale agli strumenti urbanistici che la rego lano si svolge, anche quando la sanzione abbia effetti reali, sul piano della 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 426 Amministrazione cui spettava la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico a chiedere, come ogni altro soggetto, il risarcimento del danno in forma specifica, non costituendo un limite a tale facolt la possibilit per la stessa amministrazione di poter agire in via amministrativa . Tali deduzioni sono state criticate sia dalla difesa che dal Brocuratore Generale nel corso dei loro interventi e non pu il Collegio non condividere le loro conclusioni. La pubblica amministrazione, infatti, un soggetto del tutto particolare ed i suoi diritti e la loro azionabilit assumono colorazioni ed aspetti che sovente sono sottratti alle procedure previste per la tutela dei diritti spettanti agli altri soggetti dell'ordinamento giuridico. La pubblica amministrazione, oltre che soggetto di diritti, potest di imperio in relazione agli interessi pubblici che deve tutelare e le relative esplicazioni in tale particolare angolazione non possono giammai ricondursi nei profili e negli ambiti dei diritti soggettivi -di cui la stessa pubblica amministrazione ben pu essere titolare -ed ai quali accordata la tutela giurisdizionale mediante l'azione civile, azione trasferibile nel processo penale con la relativa istanza di costituzione. Dal momento, poi, che ogni richiesta di giurisdizionale tutela dei diritti presuppone una lesione da parte di un soggetto, dei diritti altrui, non chi non veda, stando negli schemi del sistema che regola l'attivit della pubblica amministrazione ed il suo esplicarsi nei settori degli interessi pubblici, che, allorch la lesione del privato aUinge la sovranit dell'Amministrazione stessa e J'atteggiarsi della medesima nella cura e nella disponibilit del proprio patrimonio e delle proprie attivit sempre riferite ad interessi pubblicl e collettivi, travalica essa lesione gli aspetti ed i confini degli illeciti civili e penali ed assurge ad illecito amministrativo con le inevitabili implicazioni di natura sostanziale e processuale. Discende da quanto sopra l'impossibilit di poter condividere le affermazioni del rappresentante della pubblica amministrazione volte a sostenere il diritto della stessa ad una duplice tutela giudiziaria ed amministrativa. Poich, infatti, repressione dei comportamenti difformi, che oggetto immediato di una specifica funzione attribuita al sindaco, sicch il rapporto tra funzione e giurisdizione non pu essere di fungibilit o di alternativit o di supplenza ma di controllo successivo del giudice rispetto all'atto di esercizio della funzione. Tale atto non pu essere surrogato dall'atto giurisdizionale, anche se ugualmente o maggiormente garantito sul piano della legittimit, data la diversit di natura e di titolo della misura rispettivamente disposta amministrativamente e giudizialmente, pur quando in ipotesi il risultato pratico sia uguale, la prima conseguendo alla responsabilit amministrativa del soggetto autore dell'illecito, la seconda conseguendo (se ipotizzabile), alla responsabilit civile del medesimo, posto che l'abuso sia rilevante anche come illecito di tale natura. La tutela del bene demaniale non incide sul piano del potere e della fun zione pubbl!ica, ma inerisce ad un diritto reale ed al bene concreto (res) che ne costituisce l'oggetto ancorch si tratti di un diritto presidiato da una disciplina privilegiata. Ed questa la ratio che presiede alla norma la quale am PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 427 l'illecito amministrativo investe la sovranit dell'amministrazione nella tutela degli interessi pubblici e collettivi -e nel caso di specie non possono sorgere dubbi nel collocare l'azione addebitata ai Bambara nell'ambito di reati, con riflessi di natura eminentemente amministrativa, non potendosi negare nella tutela del demanio marittimo il preminente interesse dlla collettivit -avviene che il suo evolversi, mentre sul piano delle relazioni dirette tra l'autore dell'illecito e la pubbica amministrazione, si inquadra negli schemi delle valutazioni discrezionali di cui quest'ultima esclusiva titolare, immesso nell'alveo della contestazione giurisdizionale non pu anche alle prsone fsic:he (imprendit<::>ri e n<::>n) e agli altri soi~gettl~ Ed in effetti varie considerazioni induc<::>no a ritenere che ce possa essere qualsiv<::>glia sc::>ggetto. Il richiamo all'art. 2359 cod. civ. non sembra c<::>ntraddire tale assunto: appare infatti consentlto (ed anche ra:l!!i<::>nale) che la norma fiscale recepisca ed util:i.i uno stru. ;concetJtuale <(la :n<::>zi<::>ne di controllo emersa nell'ambito della civilistica . deUe societ) anche in ambito diverso da quello (conforme CARBQ:NETTi, P:lusvalenze re.alizzate da non residenti, in Dr, prat .. trib. 1981,; I, 400); del resto, la formula usata dalla norma ~sc:a1ein esame non coincide. con .quella usata .dal legislatore .civile, se non ~tiro per l'i:nci~o o P<::>teva esercitare . La nozione di controllo ~ in effetti, necessariamente collegata. con l'istituto societ solamente i. q:i:tanto sono le s0ciet ad >essere protagonisti passivi del controllo, mentre nulla esclude che questo possa essere esercitato da soggetti liversi da .quelli . societari. Inoltre, sul . piano testuale, un argomento potrebbe. essere tratt<::>< dalla mancata menzione del cosiddetto controllo indir.etto (art. 2359, I comma, n. 3, cod,. civ.). Non pare il caso di soffermarsi sul punto che la nuova disposizione richiama il n. 2 (cosiddetto controllo di fatto) e non anche il n. 1 (cosid detto controllo di diritto) del primo comma dell'art. 2359 cod. civ. t:. stato osservato che in pratica il soggetto il quale disponga della maggioranza nelle assemblee ordinarie esercita o pu esercitare influenza dominante. 5. Sgomberato il campo dalle questioni non influenti o marginali, pu affrontarsi il punto se la nuova disposizione vada a collocarsi collle da taluno sostenuto .._ per cosl dire all'interno della fattispecie prevista dall'art. 76, priino e secondo comma, del. d.P.R. n. 597 del 1973. Considerazioni d'ordine testuale e di ordine sistematico inducono a propender per una risposta negativa. L'art. 76 citato parla di << lJlUsvalenze conseguite mediante operazwni poste in e.ssere con finl speculativi; la nuova disposizione de qua parfa invt:Jce di plusvitl1z realizzate mediante cessioni di q~te... o di azi~i, .senza aggiungere cP,e tali cessioni devono anche essere poste in . essere . con fini speculativi . Il che chiaramente sta a specificare che. il carattere speculativo delle cessioni (e degli acquisti che le hanno precedute) presunto juris et de jure, o -pi esattamente -che il fine ~peculativo o meno delle cessioni (e delle anteriori acquisizioni) non costituisce elemento della fattispecie prevista dalla nuova disposi 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO zione, fattispecie che .dunque diversa da quella prevista dall'art. 76 menzionato e non pu in alcun modo essere in essa ricompresa. D'altro canto, la opposta interpretazione (riducente la fattispecie prevista dalla nuova disposizione a species del genus descritto dall'art. 76) finirebbe per modificare riduttivamente l'art. 41 lett. c del d.P.R. n. 597 del 1973, escludendo essa dai redditi derivanti dalla partecipazione in societ quelli fluenti ai soci da soggetti diversi dalle societ cui partecipano. Un ulteriore elemento testuale in tale s.enso offerto dalla stessa collocazione (in un apposito nuovo punto 10) della disposizione del 1980; si dunque non gi integrato il preesistente punto 6 dell'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973, ma creata una fattispecie separata e distinta delle plusvalenze speculative e in genere dei redditi diversi . Del resto, la nuova disposizione si rileverebbe persino parzialmente controproducente -se si considerano le quote di s.r.l. (che non possono circolare all'estero) e le azioni le quali si trovino in Italia -rispetto al dichiarato fine di realizzare la riduzione delle aree di evasione e di erosione fiscale , se fosse interpretata come livellante al basso -al livello cio delle condizioni richieste per l'imposizione sulle plusvalenze_ conseguite m.-:idiante operazioni poste in essere con fini speculativi il trattamento in precedenza differenziato dei ricavi e delle plusvalenze realizzate da non residenti mediante cessioni di azioni o quote (in proposito, cfr. CORSARO, Le plusvalenze realizzate da non residente, in Boll. trib. 1981, 597, e ris. min. n. 9/360 del 2 maggio 1979, in Boli. trib., 1979, 1408). Senza dubbio, rimane aperto un problema di coordinamento tra l'art. 19 e l'art. 6 comma primo di detto d.P.R. In proposito, una volta escluso che le plusvalenze de quibus siano classificate tra i redditi diversi di cui al citato art. 76, appare razionale -tenuto conto di quanto dianzi osservato -una loro classificazione tra i redditi di capitale ex art. 41 lett. c del d.P.R. n. 597 del 1973, salvo confluenza tra i ricavi di impresa nelle ipotesi previste dal successivo art. 44 (e dall'art. 5 del d.P.R. n. 598 del 1973). Potrebbe, per vero, ipotizzarsi anche una classificazione delle plusvalenze de quibus tra i redditi diversi di cui all'art. 77 del d.P.R. n. 597 del 1973: una siffatta classificazione per appare rispecchiare meno fedelmente la loro effettiva natura economica, posto che i capitai gains -come si detto -normalmente sono non il frutto di una particolare attivit del socio ma il risulitato (non di rado meccanico) cli processi di accumulazione e di processi di concentrazione dei valori all'interno del soggetto societ. Sicch appare pi corretto ritenere che siano proprio i capitali conferiti a provocare la formazione dei capital gains . Va aggiunto che, ove questi fossero portati nella categoria (o pseudo-categoria) dei redditi diversi , pi difficile po PARTE II, QUESTIONI trebbe risultare mettere fuori giuoco il disposto dell'art. 76 pi volte citato (e cio in pratica evitare l'onere di fornire la prova diabolica,, dell'intento speculativo). Sicch, ad una classificazione dei capitai gains tra i redditi diversi di cui all'art. 77 citato si potrebbe accedere solo in via logicamente subordinata, solo cio dopo aver escluso :-ed esclusione in linea di principio grave (anche per possibili riflessi in termini di trattamento fiscale) -che tra i redditi derivanti dalla partecipazione in societ siano da comprendersi pure quelli provenienti da soggetti diversi dalla societ. Comunque, ove si arretrasse sulla linea della fattispecie descritta dall'art. 77 del d.P.R. n. 597 del 1973, potrebbe sostenersi che la presunzione assoluta di imprenditorialit delle attivit delle societ di capitali (art. 5 comma primo d.P.R. n. 598 del 1973, e art. 4 comma secondo lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972) comporta ed implica, di riflesso, che anche l'attivit di acquisire e cedere partecipazioni in dette societ debba essere qualificata -pur senza pervenirsi a tramutare sempre le plusvalenze in ricavi -alla stregua di una attivit oggettivamente commerciale, con la sola esclusione -opportunamente rammentata dalla nuova disposizione in esame -delle partecipazioni minoritarie e comunque non dominanti (e, a fortiori, di quelle di risparmio ) nelle societ quotate in Borsa. La collocazione delle plusvalenze previste dalla novella del 1980 non gi tra le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi ma tra i redditi di capitale conferma -sul piano di una interpretazione sistematica -l'insussistenza del vuoto di imposizione cui si in precedenza accennato ( vuoto che oltretutto contrasterebbe con la previsione di cui all'art. 12 lett. a del d.P.R. n. 597 del 1973), e quindi restituisce organicit all'ordinamento tributario. Per i redditi in questione pare infatti possibile applicare i criteribase della imposizione sui redditi di capitale (che, a ben vedere, essa pure categoria per certi versi residuale): tassazione al lordo e per cassa (non per competenza), e confluenza -verificandosene le condizioni -nel reddito di impresa. Va precisato. che la plusvalenza gi, per sua natura, il risultato di una sottrazione, e quindi consente essa pure una imposizione formalmente al lordo . D'altro canto, v' una continuit economica tra dividendi e plusvalenze che r.on pare il caso di spezzare in sede di classificazione dei redditi (anche se diversificato pu rimanere il regime delle ritenute e del credito d'imposta). Una disciplina per l'imposizione sui capitai gains,, collocata nell'ambito dei redditi diversi, ridurrebbe nell'art. 41 (redditi di capitale) la parola redditi ai soli utili distribuiti , ed aprirebbe un problema di classificazione e -quel che pi grave -di effettiva sottoposizione ad imposizione per i redditi che sono, per cos 30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dire, a met strada (si pensi alla assegnazione di quote gratuite da parte di fondi di investimento esteri). A ben vedere, la nuova disposizione del 1980, distinguendo tra plusvalenze realizzate mediante cessione di quote o di azioni e plusvalenze speculative, illumina -con forza di interpretazione autentica -il significato profondo dell'art. 53 comma secondo del d.P.R. n. 597 del 1973, e -per quanto lo richiama -dell'art. 5 del d.P.R. n. 598 del 1973: tali disposizioni altro non sono se non applicazioni del principio posto dall'art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973, ed assolvono un compito di esplicitazione di conseguenze che, anche in loro assenza, avrebbero potuto essere tratte direttamente da detto art. 44. Letta nel modo prospettato, la novella del 1980 non M limita a dare una risposta a problemi interpretativi sorti in ordine alla sottoposizione (o meno) ad imposizione in Italia dei ricavi e delle plusvalenze conseguite da non residenti mediante cessioni di azioni o quote sociali, ma fornisce dati normativi utili ad una organica ricostruzione del sistema. Non pu tacersi che in tal modo la nuova disposizione si trova ad essere caricata di compiti e di significati senz'altro eccessivi rispetto alla sua oggettiva natura e portata (ed alla molto limitata ampiezza del dibattito tecnico e politico che ha preceduto la sua formu, lazione); tuttavia, neppure pu tacersi che il problema della imposizione diretta sui redditi da operazioni finanziarie e in genere .su pacchetti di azioni o quote sociali richiede una soluzione. Le considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere risolta anche la questione -che forma oggetto del terzo dei quesiti prospettati all'inizio di questa nota -se la eliminazione del descritto vuoto non tanto d'imposizione quanto di specifica previsione normativa si abbia . solo nei confronti dei non residenti o .invece anche nei confronti . dei residenti . In proposito, sembra corretto ritenere -mutuando le . parole usate da CORSARO (op. cit.) -che il legislatore della riforma... . con l'art. 19 del d.P.R. n. 597 ai fini Irpef, richiamato dall'art. 22 del d.P.R. n. 598 ai fini Irpeg, ha fornito una elencazione delle varie cateII gorie di reddito, con lo scopo precipuo non di dettare criteri di determinazione della materia imponibile diversi da quelli adottati nei riguardi dei soggetti residenti, bens di fissare vari presupposti della imposizione, che per ciascuna categoria di reddito trovano un manifesto comune elemento: quello del collocamento con il territorio dello Stato. In altre parole, le norme di diritto internazionale tributario -spe Icie quando sono chiamate ad operare anche nell'ambito territoriale della .CEE (cfr. l'art. 21 della sopra menzionata proposta di direttiva) - ~: ~ non pare possono essere lette e interpretate in modo da produrre discriminazioni sostanziali ai danni dei non residenti (diversit di ~ trattamento sono invece razionali e persino normali per quanto attiene i= alla riscossione, e cos, ad esempio, in tema di ritenute): sottostante alla !: 1 ~ i: ~: i: ?: PARTE II, QUESTIONI norma di diritto tributario sostanziale da applicarsi ai non residenti sembra doveroso ritenere sussistente una norma di portata almeno pari, operante nei confronti dei residenti . Del resto, numerose sono le norme pattizie di diritto internazionale tributario che enunciano il principio di cui i nazionali di uno Stato contraente, siano essi residenti o non di uno degli Stati contraenti, non sono assoggettati nell'altro Stato contraente ad alcuna imposizione o obbligo ad essa relativo, diversi o pi onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione (cos, tra le molte;. :l'art. 25 della menzionata convenzione italo-svizzera). 6. -Rimangono da risolvere alcune questioni tutt'altro che trascurabili, ma di contorno . La prima concerne il particolare trattamento riservato -in via derogatoria -alle cessioni di azioni di societ quotate in borsa non facente parte dei pacchetti di controllo. La ratio della deroga palese ed ovviamente vale anche nei riguardi dei residenti . La platea dei piccoli azionisti e in genere degli azionisti non in grado di esercitare influenza dominante, pu conseguire plusvalenze (se le consegue) ridotte rispetto a quelle realizzabili dai soci dominanti,, (cfr. in tal senso CARBONETTI, op. cit., 403). E comunque per i piccoli azionisti il semplice possesso delle azioni quotate non pu essere ritenuto attivit oggettivamente commerciale; sicch le relative eventuali plusvalenze rimangono imponibili solo in presenza di comprovato intento speculativo di cessioni (e anteriori acquisti). Una seconda questione detenninata dalla presenza dell'ultimo comma dell'art. 76 del d.P.R. 597 del 1973. Detto articolo dedica molta attenzione alle plusvalenze immobiliari (ed a quelle formatesi sugli oggetti d'arte e di antiquariato), ma trascura il fenomeno delle plusvalenze su azioni o quote di societ; fenomeno -questo -che considera all'ultimo comma solo in quanto veicolo del realizzo di plusvalenze immobiliari. Non pare comunque che la presenza della citata disposizione -oltretutto anteriore alla novella del 1980 -valga ad inibire l'interpretazione dianzi prospettata: nel dettar.e l'ultimo comma dell'art. 76 -che, si noti, strettamente collegato con la presunzione assoluta di cui al precedente terzo comma e quindi opera solo al servizio di essa -il legislatore delegato ha inteso non gi regolare in via generale la materia della imposizione sulle plusvalenze realizzate mediante vendita di quote o di azini , ma solo porre in essere uno strumento aritielusione aggiuntivo rispetto al sistema. Un terza questione concerne la compatibilit della interpretazione sopra prospettata con il principio sottostante al sistema della imputazione 1 (sistema che peraltro nel nostro ordinamento solo parzialmente operante~ per i soci persone fisiche): una imposizione IRPEF sui redditi da prtecipazione in societ diversi dagli utili distribuiti non pu bene RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fidare de jure condito del meccanismo del credito di imposta e quindi finisce per risultare pi onerosa e per duplicare l'imposizione IR.f.EG sugli utili non distribuiti (s'intende, se e per quanto questa si sia effetr tivamente avuta); d'altro canto, neppure si avrebbe una applicazione dell'IRPEF con tassazione separata (come in caso di cessione d'azienda). Indubbiamente, questo un argomento da non sottovalutare: potrebbe sostenersi (ed stato da taluno sostenuto) essere non sperequato ed illogico che U mancato (totale o parziale) recupero -attraverso il credito d'imposta -della IRPEG sugli Ull:ili non distribuiti operi. alla stregua di una imposizione nella sostanza sostitutiva dell'imposta personale progressiva. Pu per osservarsi che una ancor pi irrazionale sperequazione emerge proprio dalla assenza di progressivit nel carico fiscale sulle plusvalenze in questione, sovente di cospicuo jmporto; che l'incqnveniente in questione, rimane per cos dire a valle rispetto alla classifiazione delle plusvalenze stesse come redditi di capitale; che comunque la societ esprime una capacit contributiva propria, autonoma rispetto a quella dei soci; e che non pare tecnicamente impossibile una normativa che operi qualche correttivo in considerazione dell'onere IRPEG eventalmente sopportato in relazione alla parte di ricchezza pervenuta ai soci con modalit diverse dalla distribuzione di utili. Del pari, non parrebbe sussistano ostacoli a che, per le azioni e quote di che trattasi possedute da normali persone fisiche, venga disposta una estensione di criteri di rivalutazione dei cespiti di impresa per quanto le variazioni del metro monetario non abbiano inciso anche sui debiti delle societ cui azioni o quote si riferiscono. Del resto, il problema cui si accenna condiziona anche l'effettivo operare del pi volte citato art. 76. 7. -Un'ultima questione concerne la procedura di accertamento delle plusvalenze realizzate mediante cessioni di azioni o di quote sociali. Non pare che le difficolt tecnico-fiscali di accertamento di tali plu8valenze siano maggiori delle difficolt di accertamento di altri redditi; anzi, la analisi sui movimenti finanziari -per la presenza di numerosi atti giuridici formalizzati ed anche senza tener conto del disposto degli artt. 35 e segg. del R.D. 29 marzo 1942 n. 239 -notevolmente pi agevole del controllo sulle entit di ricavi e costi o sulle quantit di beni e servizi prodotti o commerciati, ceduti o immagazzinati. Ovviamente sarebbe opportuno dotare l'amministrazione finanziaria di ulteriori strumenti (e normativi e organizzativi) atti a consentire istruttorie sui flussi di ricchezza di cui si detto. Un ausilio potrebbe venire dai documenti societari ufficiali, quali ad esempio la stima ex art. 2441 cod. c;iv., da rendere sempre doverosa (la prassi la ritiene non indispensabile quando vi sia accordo unanime dei soci). Comunque, il modus procedendi po PARTE II, QUESTIONI H trebbe r.imanere quello normale, della dichiarazione del reddito ad opra del contribuente e del successivo controllo (anche sulla base dell'art. 64 del d.P.R. n. 597 del 1973) da parte dell'ufficio; modus del resto gi seguito ad esempio per l'applicazione dell'art. 76 ultimo comma citato. Si dianzi accennato al R.D. 29 marzo 1942 n. 239. Tale decreto prescrive, tra l'altro, all'art. 37 comma secondo, che entro il 31 gennaio ed il 31 luglio di ciascun anno debbono essere fatte le comunicazioni (allo Schedario nazionale dei titoli azionari) relative alla einissione di azioni da parte di societ di nuova costituzione nonch quelle relative al movimento delle azioni dipendente da variazioni di capitale . notorio che, in accoglimento di richieste avanzate dalla Assonime, il Ministero delle finanze nel 1964 ritenne consentito leggere nell'art. l, comma terzo, della legge 29 dicembre 1962 n. 1745 (malgrado il contenuto dell'art. 20 della stessa legge) una disposizione di implicita parziale abrogazione del citato art. 37: le comunicazioni allo Schedario furono liinitate alla sola emissione di azioni da parte della societ di nuova costituzione, con esclusione cio dei movimenti dipendenti da aumenti di capitale. In realt, la legge n. 1745 del 1962 non contiene affatto la disposizione abrogante che in essa si voluto leggere: essa ha aggiunto nuovi obblighi di comunicazione allo Schedario, non ha sostituito le nuove comunicazioni a quelle in precedenza prescritte. Significativo il quarto cmma dell'art. 7 ove si impone alle societ che nell'anno solare precedente non abbiano deliberato la distribuzione di utili l'obbligo di comunicare allo Schedario nome cognome paternit e domicilio dei titolari dei titoli azionari depositati ai fini dell'intervento dell'assemblea ordinaria; un obbligo -questo -che, saldandosi con l'obbligo di comunicare i nominativi dei percettori di utili distribuiti, nella sostanza conferma gli artt. 32, 36 e 37 del R.D. 29 marzo 1942 n. 239 e d concreto seguito alla nominativit obbligatoria ,dei titoli azionari (R.D.L. 25 ottobre 1941 n. 1148, e R.D. 24 luglio 1942 n. 861). Nei fatti, comunque, lo Schedario stato in gran parte disattivato; si impone ora la necessit di riattivarlo, per quanto occorrente all'accertamento dei capitai gains (e alla determinazione sintetica del reddito complessivo di persone fisiche). FRANCO FAVARA rr11111111111111a1111111111;r111;r1111111111111r1,1 LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI legge 11 aprile 1950, n. 130, art. 4, quinto comma, Miglioramenti economici ai dipendenti statali come modificato dall'art. 8 della legge 8 aprile 1952, n. 212 Revisione del trattamento economico dei dipendenti statali . Sentenza 7 aprile 1983, n. 83, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. legge reg. Emilia-Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, secondo comma, limitatamente alle parole o a singoli componenti la giunta stessa . Sentenza 10 marzo 1983, n. 48, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. legge reg. Umbria 10 aprile 1975, riapprovata il 23 gennaio 1976. Sentenza 16 marzo 1983, n. 54, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. legge reg. <;ampania 17 dicembre 1975, riapprovata il 26 febbraio 1976. Sentenza 16 marzo 1983, n. 54, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. legge 22 dicembre 1975, n. 685, nelle parti concernenti le attribuzioni delle regioni, in cui, relativamente all'ambito territoriale del Trentino-Alto Adige, non statuisce che dette attribuzioni spettano alle province di Trento e Bolzano. Sentenza 22 febbraio 1983, n. 31, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. legge reg. Valle d'Aosta 28 gennaio 1977, riapprovata il 31 marzo 1977. Sentenza 16 marzo 1983, n. 54, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE codice civile, art. 154 [come modificato dall'art. 35 della legge 19 maggio 1975, n. 151] (artt. 3 e 29 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1983, n. 104, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. codice di procedura civile, art. 246 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1983, n. 85, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 62, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1983, n. 106, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. i l ' PARTE II, LEGISLAZIONE r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 252 (artt. 3, 5, 24, 28, 97 e 128 della Costituzione). Sentenza 23 marzo 1983, n. 72, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. legge 8 marzo 1938, n. 141, art. 98 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 23 marzo 1983, n. 73, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 87, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 febbraio 1983, n. 39, G.U. 9 marzo 1983, Il. 67. Sentenza 28 febbraio 1983, Il. 40, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma, lettera c) (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 4 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. legge 18 marzo 1968, n. 249, art. 11, quarto comma [cos come modificato dall'art. 9 della legge 28 ottobre 1970, n. 775] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1983, n. $1, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 marzo 1983, n. 77, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, artt. 16, primo, secondo e nono comma, e 150 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1983, n. 81, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 35 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1983, n. 82, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. legge 25 novembre 1971, n. 1042, art. 2, primo comma (artt. 3, 24, 25, 28, 42, 54, 97, 101, 103 e 113 della Costituzione). Sentenza 23 marzo 1983, n. 70, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 13, terzo e quarto comma (art. 53 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1983, n. 103, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 maggio 1974, n. 217 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1983, n. 105, G.U. Zl aprile 1983, n. 114. legge reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1 (artt. 39, 76 e 117 della Costituzione). Sentenza 23 marzo 1983, n. 69, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 1, 2, 3, 4, 8, 10, 13, 15, 27, 29, 32, 36, 39, 84, 90, 91, 92, 94, 103 e 107 (artt. 8, n. 25, 9, n. 10, e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 22 febbraio 1983, n. 31, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. legge 24 dicembre 1975, n. 706, art. 16 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1983, n. 55, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 7 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 3 e 6 (artt. 3, 29, 31 e 53 della della Costituzione). Sentenza 24 m,arzo 1983, n. 76, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. legge 17 novembre 1976, n. 751, artt. 3 e 6 (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Sentenza 24 marzo .1983, n. 76, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. legge 13 aprile 1977, n. 114, artt. 19 e 20 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1983, n. 76, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 marzo 1983, n. 68, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 162, terzo comma [nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della legge 10 aprile 1981, n. 142] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 29 maggio 1981, n. 758/82, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. codice civile, art. 564, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 1982, n. 652, G.U. 2 marzo 1983, , n.~ I I li Ii .-...-......-.-....-.-......,......,...........-.............-...-.....-...w.-.-....z::Z'.'.'.:Cc .......z:z .............. .....-..-....,,..... PARTE II, LEGISLAZIONE J7 codice civile, art. 2752, secondo comma [come modificato dalla legge 29 lu glio 1975, n. 4261 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza lO giugno 1982, n. 808, G.U. 20 aprile 1983, n. 108. . . c.odice . civile, art. 2758, secondo comma [nella modif. derivante dalla legge 29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). Tribtmale di Milano, ordinanza 20 maggio 1982, n. 672, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. ce>dice di procedura civile, art. 409, n. 3 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Racconigi, ordinanza 29 luglio 1982, n. 737, G.U. 23 marzo 1983, n. Sl. codice di procedura civile, art. 538, secondo comma Costituzine). Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, zo 19831 . n. 81. Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, zo 19831 n.-81. Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, zo 1983, n: 81. Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, zo 1983, n. 88. c.odce penale, art. 57 (art. 3 della Tribunale di Monza, ordinanza 24 n. 60. Tribunale di Monza, ordinanza 29 n. 81. Costituzione). marzo 1982, n. 667, aprile 1982, n. 738, codice penale, art. 200, primo comma (artt. 3 e 25 Pretore di Biella, ordinanza 25 giugno 1982, n. 649, n. 60. (artt. 3 e 42 della n. 749, G.U. n. 750, G.U. n. 751, G.U. n. 757, G.U. 23 mar23 mar 23 mar 30 mar G.U. 2 marzo 1983, G.U. 23 marzo 1983, della Costituzione). G.U. 2 marzo 1983, codice ,penale, artt. 204 cpv. e 219, primo .comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise d'appello di Cagliari, ordinanza 15 ottobre 1982, n. 859, G.U. 20 aprile 1983, n. 108. co