ANNO XXXIII N. 3 MAGGIO-GIUGNO 1981
RASSEGNA
DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
Pubblicazione bimestrale di servizio
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO
ROMA 1982
ABBONAMENTI ANNO 1981
ANNo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 22.000
UN NUMERO SEPARATO .... )) 4.000
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ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO
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e/e postale n. 387001
Stampato in Italia -Printed in Italy
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n 11089 del 13 luglio 1966
(2219323) Roma, 1982 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V.
INDICE
Parte prima: GIURISPRUDENZA
Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura
Sezione seconda:
Sezione terza:
Sezione quarta:
Sezione quinta:
Sezione sesta:
Sezione settima:
Sezione ottava:
del/'avv. Franco Favara) . . . . . . . . pag. 265
GIURISPRUDENZA
ZIONALE (a cura
COMUNITARIA E INTERNAdel/'
avv. Oscar Fiumara) . 290
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE
(a cura degli avvocati Carlo Carbone,
Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . .' . 317
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati
Adriano Rossi e Antonio Catrical) . . . . 327
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura
del/'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . 338
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato
Carlo Bafle) . . . . . . . . . 345
GIURISPRUDENZA IN MA'rERIA DI ACQUE ED
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio
La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) 410
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti
Paolo Di Tarsia Di Belmonte e Nicola Bruni) . . 428
Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO
QUESTIONI . pag. 27
LEGISLAZIONE 33
La pubblicazione diretta dall'avvocato:
UGO GARGIULO
CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE
Avvocati
Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari;
Gu1cc1ARDI, Genova; Marce!Jo DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila;
Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso,
Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE
FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancar.Jo MAND, Venezia.
DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVVOCATO GENERALE
DELLO STATO, ECC. GIUSEPPE MANZARI,
NEL CORSO DELLA CERIMONIA
PER IL VENTICINQUENNALE
DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Noi aspiriamo ad ottenere il rispetto e la fiducia di tutti gli italiani
: questa la frase coraggiosa, orgogliosa e profetica con cui Enrico
De Nicola, primo Presidente della Corte Costituzionale, sintetizz,
nell'udienza inaugurale del 23 aprile 1956, il programma e la
volont della nascente Corte Costituzionale.
Furono parole coraggiose, perch rivendicavano l'importanza delle
funzioni della Corte in polemica con resistenze ed ostilit che avevano
attardato, per ben otto anni dalla entrata in vigore della Costituzione,
l'insediamento del Tribunale delle leggi.
E furono orgogliose, perch lanciavano una sfida ad un'opinione
pubblica disattenta, disinformata e scettica: proprio in quei giorni
-come ha ricordato il Presidente Amadei -Curzio Malaparte, facendosi
interprete di un diffuso sentimento, scriveva: c' forse
da augurarsi, purtroppo, che la Corte Costituzionale, essendo pi
probabile che funzioni pi in male che in bene, non funzioni n
in bene n in male .
Ma furono soprattutto profetiche: a distanza di un quarto di
secolo, arco di tempo sufficiente anche nel lungo respiro della
storia per tirare le fila di un primo bilancio, riconosciamo nella
Corte Costituzionale una delle strutture portanti del nostro sistema
istituzionale e un'insostituibile garanzia dei nostri diritti fondamentali.
Nata sul modello kelseniano del legislatore negativo e custode
della Costituzione, la Corte Costituzionale italiana ha saputo
presto affrancarsi dai limiti della struttura di originaria ispirazione.
La sua creazione rispecchiava esemplarmente la teoria dello
Schmitt, il quale ha messo in luce come la ricerca di un garante
della Costituzione sia per lo pi indizio di condizioni costituzionali
critiche . Queste sussisvevano in grado eminente nel nostro Paese
VI
negli anni difficili di gestazione della nostra Costituzione: una guerra
perduta, un'invasione di eserciti stranieri, un duro Trattato di pace,
un radicale mutamento istituzionale.
E tuttavia il progressivo miglioramento della situazione economica
sociale e politica ed il consolidamento della democrazia non
determinarono, come sarebbe stato nella logica di una funzione
meramente negativa, l'appannamento dell'immagine della Corte.
Si verific il contrario, perch, lungi dal confinarsi nel ruolo riduttivo
di legislatore negativo, la Corte seppe, pur senza varcare il
confine del check and balance dei poteri, segnato dalla Costituzione,
esercitare un ruolo ben pi determinante ed incisivo.
In particolare, nell'esercizio della sua principale funzione di garante
della conformit a Costituzione delle leggi e degli atti aventi
forza di legge, la Corte ha saputo condurre il suo sindacato con
spirito costruttivo ed evolutivo. Con le sue sentenze manipolative
ed additive ha delineato in progressione la propria funzione, ben
al di l del momento negativo, riuscendo a conseguire un pi rapido
e completo adeguamento dell'ordinamento alla Costituzione repubblicana.
In cinque lustri di attivit ben si pu dire che non vi sia
settore dell'ordinamento giuridico in cui la Corte non abbia lasciato
una traccia profonda del suo intervento: dai diritti di libert, al
diritto di famiglia, alla propriet, ai rapporti di lavoro, ai rapporti
tributari, all'amministrazione della giustizia. Molte sue sentenze
segnano troppe tappe storiche dell'evoluzione di una civilt e di un
costume.
Non minore importanza ebbe lo sviluppo di altre funzioni. Accanto
ai giudizi di legittimit dobbiamo ricordare quelli di impugnazione
diretta delle leggi statali e regionali, quelli di conflitto tra
i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni. Ed inoltre i
giudizi penali e quelli sull'ammissibilit dei referendum. A parte
l'episodio storico del giudizio penale conseguente all'affare Lockheed,
va ricordata con ammirazione l'opera costruttiva ed equilibrata
svolta dalla Corte con l'attivit decisoria in materia referendaria.
Come ha detto Leopoldo Elia, quando si far un bilancio sereno,
al di l delle polemiche contingenti e partigiane, dei giudizi del 78
e dell'Bl, si dovr riconoscere come la disciplina costituzionale e
quella legislativa dei referendum sia assai meno semplice di quanto
da qualche parte si sbrigativamente ritenuto. E si dovr rilevare
che proprio due sentenze della Corte Costituzionale -in tema di
divorzio e di aborto -aprirono la strada ai due pi significativi
referendum della nostra storia dopo qullo del 1946.
La Corte si cos posta nell'attuale sistema istituzionale, nella
nostra Costituzione materiale, come un vero e proprio potere dello
VJI
Stato superiorem non :rncognoscens, la cui pronunzia prevale su ogni
altro potere: su quello legislativo per la forza che ha di rimozione
-e in certi casi di integrazione -delle leggi; su quello esecutivo
perch ne delimita i confini nei confronti degli altri poteri dello Stato
e delle sue articolazioni regionali; su quello giudiziario, che soggetto
alla sua pronunzia in caso di conflitto di potere.
A fronte di questa posizione della Corte si delinea la peculiare
natura dell'intervento del Presidente del Consiglio nei giudizi dt
legittimit costituzionale.
Molte sentenze della Corte hanno riconosciuto che il Presidente
del Consiglio partecipa a questi giudizi non come capo di un'amministrazione
-e tanto meno come rappresentante di un potere,
quello esecutivo, che non titotare, ovviamente, della funzione legislativa
-ma come rappresentante dello Stato, inteso come ordinamento
unitario.
Ci qualifica la funzione che l'Avvocatura dello Stato si onora di
esercitare davanti a questa Corte.
Come il Presidente del Consiglio interviene per la tutela di interessi
che sono immediatamente riferibili allo Stato.-comunit, cos
l'Avvocato dello Stato, che lo rappresenta e difende, non esprime
una posizione di parte, ma assume la veste dell'amicus curiae, dell'
interlocutore privilegiato, che esercita una funzione di collaborazione
dialettica tanto importante che se ne propugnata autorevolmente
la necessariet.
L'Avvocatura dello Stato stata cos investitadi un nuovo ruolo,
di ordine costituzionale, dalle leggi integrative della Costituzione
sul funzionamento della Corte. Questo ruolo si ulteriormente precisato,
nella costituzione materiale, con l'attribuzione del patrocinio
(necessario) davanti ai collegi internazionali e sovranazionali per la
tutela di interessi primari dello Stato inteso come personificazione
esterna dello Stato-comunit. Ed inoltre con l'estensione della possibilit
di assumere il patrocinio organico, gi previsto come obbligatorio
per le Regioni a statuto speciale, anche per quelle a statuto
ordinario. Ci sulla traccia di. u.n insegnamento della Corte che,
escludendo ogni dubbio di costituzionalit del patrocinio comune a
Stato e Regione, ha sottolineato come questo si raccomandi nel
quadro di coordinamento tra l'organizzazione amministrativa dello
Stato e quella delle Regioni, in vista dell' unit dell'ordinamento
amministrativo generale .
In questa ottica, anche nei giudizi di conflitto tra Stato e Regioni,
l'Avvocatura, pur intervenendo in rappresentanza dello Stato,
esercita una funzione che trascende quella del difensore di parte. Si
tratta di giudizi che rappresentano il momento di chiusura di una
VIII
complessa organizzazione costituzionale, che accentua l'autonomia
delle articolazioni regionali sulle strutture classiche dello Stato
unitario.
L'obiettivo essenziale quello di savaguardare l'osservanza dei
cOnfini, segnati dalla Carta costituzionale, delle rispettive sfere di
attribuzione. In questo senso si pu parlare di una novella actio
finium regundorum, che nel moderno diritto si trasposta, dai campi
del recessivo mondo dell'interesse privato, a quelli del mondo espansivo
dell'interesse pubblico.
Questa attivit di collaborazione dialettica, che ha in comune con
la Corte l'obbiettivo di assicurare il rispetto e l'attuazione della
Costituzione, non rende, tuttavia, necessario l'intervento dell'Avvocatura.
Ci non soltanto perch davanti alla Corte Costituzionale
l'Avvocatura non , come nelle sedi di giurisdizione, investita di un
mandato ex lege, essendo la determinazione di intervento riservata
al Presidente del Consiglio. Ma soprattutto perch il Presidente del
Consiglio, e per esso l'Avvocatura, non potrebbero intervenire per
sostenere la illegittimit costituzionale delle leggi: ci altererebbe la
funzione del giudizio di legittimit costituzionale, trasformandolo
in un anomalo e inammissibile giudizio di conflitto tra potere esecutivo
e Parlamento.
D'altra parte il Presidente del Consiglio non il garante della
Costituzione (tale la funzione del Presidente della Repubblica e,
nelle forme qui ricordate, della Corte Costituzionale).
Il Presidente del Consiglio interviene, invece, per la tutela del
valore immanente dell'ordinamento unitario dello Stato, di cui sono
parte integrante (ma non ugualmente importante) tutte le leggi conformi
alla Costituzione. Tale tutela non ha, dunque, ad oggetto il
singolo prodotto legislativo, in quanto tale, ma in quanto funzionalizzato
ed integrato nel sistema unitario, tenuto conto, come ho
rilevato, della graduatoria di interessi che deriva dal diverso grado
di importanza di ogni singola legge in rapporto al sistema in cui si
inserisce.
Questa graduazione di interessi esclude che al difetto di intervento
si debba attribuire senz'altro il significato di una valutazione
negativa di legittimit. Del resto, altri strumenti sono a disposizione
del Presidente del Consiglio (con l'ausilio della funzione di consulenza,
allo scopo esplicitamente attribuita dalla legge all'Avvocato
generale dello Stato) per promuovere -nel rispetto delle prerogative
del Parlamento -l'adeguamento delle leggi al dettato costituzionale:
funzione altissima, che l'Avvocatura dello Stato si onora di condividere
quale collaboratrice di giustizia di codesta Corte con quel
sentimento di rispetto per la Carta costituzionale che ci comune.
La nostra Costituzione ha compiuto ormai un terzo di secolo,
durante il quale ha ben svolto il suo compito di fondamento dello
Stato repubblicano. Essa certo perfettibile, ma vorrei ricordare
in proposito un arguto quanto calzante ammonimento di Enrico
De Nicola: una Costituzione perfetta non mai esistita e delle Costituzioni
pu dirsi ci che Orazio diceva degli uomini. Tutte hanno
i loro difetti, la migliore quella che ne ha meno. D'altra parte,
soggiungeva Enrico De Nicola, l'importante non tanto far bene le
leggi, quanto applicarle bene.
E poich nel nostro ordinamento la retta applicazione della
Costituzione affidata alla Corte Costituzionale, l'esperienza di questi
25 anni consente di esprimere l'auspicio e la certezza che la Corte
continuer ad essere un faro illuminante per gli operatori del diritto
ed un sicuro approdo per la tutela dei diritti fondamentali dei
cittadini e per la salvaguardia delle istituzioni democratiche.
DISCORSO DEL SENATORE GIANCARLO DE CAROLIS
Pubblichiamo il discorso che il senatore
Giancarlo De Carolis ha pronunciato nell'assumere
le altissime funzioni di Vice Presidente
del Consiglio Superiore della Magistratura
a testimonianza del saluto e dell'augurio
che l'Avvocato generale e gli avvocati dello
Stato tutti desiderano indirizzargli nella cir
costanza.
Signor Presidente,
rivolgo, innanzitutto, un deferente saluto a Lei, per quello che
Lei rappresenta in questo consesso, e La ringrazio per le espressioni
di augurio e di sprone ad un intenso lavoro con le preziose indicazioni
da Lei formulate per l'attivit del Consiglio nella seduta di
insediamento.
Signor Presidente, colleghi,
assumendo la funzione cui sono stato chiamato non posso non
ricordare, tra coloro che mi hanno preceduto in questo incarico, la
figura di Vittorio Bachelet, il cui sacrificio, insieme a quello di
tanti magistrati. che hanno testimoniato con la vita la dedizione al
proprio dovere, ci di insegnamento e di monito.
Le parole da lui pronunciate in quest'aula, all'atto dell'insediamento
quale Vice Presidente del Consiglio ora cessato, risuonano
ancora come una mirabile sintesi, dove gli accenti propri di un
uomo dalle alte qualit morali si legano, nella chiara visione del
ruolo che nel nostro sistema incombe al Consiglio superiore, all'attenta
sensibilit ai problemi posti da una situazione della giustizia,
da lui definita, quasi in un presagio premonitore, drammatica. In
tal senso Vittorio Bachelet indicava come nostro compito principale
la garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza di tutta la Magistratura
giudicante e requirente e dei singoli magistrati, da conseguire
attraverso "l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario ai
principi costituzionali e alle esigenze della societ .
Questa evidenziazione degli stretti legami tra il supremo organo
di autogoverno della Magistratura e il sistema vigente su cui si fonda
l'ordinamento della Repubblica consentiva a Bachelet di cogliere
nel pi prof on do suo significato la sostanza di una riforma come
quella contenuta nella nuova legge elettorale del Consiglio. Sostanza
che egli individuava nell'obiettivo di favorire una presenza pi variata
di posizioni e di intenti in maniera da garantire una larga rappresentanza
di tutti gli orientamenti presenti nella Magistratura e
quindi una larga partecipazione di tutti alla gestione del Consiglio
ed anche un correlato impegno di presenza nelle Commissioni in
cui esso si articola. Di qui anche l'esigenza di sperimentare -sono
parole testuali di Bachelet -quelle forme organiche di consultazione
che consentissero di portare avanti con speditezza i lavori del
Consiglio e quindi di ottenere la corresponsabilit di tutti.
E le forme di organico raccordo tra il comitato di Presidenza e
tutti gli orientamenti presenti nel Consiglio, effettivamente realiz-
zate, nel rispetto rigoroso dell'articolo 2 della legge 24 marzo 1958,
n. 195, dimostrano come quelle parole non fossero meri auspici ma
rivelassero piuttosto una precisa volont sulla cui direzione io ritengo
si debba continuare: tali forme di raccordo potranno essere
ulteriormente perfezionate, se il Consiglio lo vorr.
In questa visione, che da una parte sottolineava l'inserimento
della Magistratura nel corpo vivo dell'ordinamento e della societ e
dall'altra poneva in particolare rilievo l'esigenza dell'attuazione del
principio della partecipazione, come non cogliere il richiamo ad una
verit fondamentale e pure troppo spesso negletta: e cio al fatto
che le singole articolazioni del nostro sistema repubblicano, pur
nell'autonomia e nella specificit delle funzioni attribuite, sono tra
loro indissolubilmente collegate e non possono non essere tutte
pervase dai comuni valori di democraticit, di cui la partecipazione
momento essenziale?
Di questo stretto collegamento, d'altronde, i Costituenti vollero
dare il segno pi evidente attribuendo la presidenza del Consiglio
superiore al Presidente della Repubblica, individuato come espres
sione di quel momento unitario in cui si compongono tutte le arti
colazioni dell'ordinamento. E anzitutto per questo, Signor Presi
dente, a Lei -garante di una azione della Magistratura conforme ai
principi costituzionali - doverosa e sincera l'attestazione dell'im
pegno mio personale e di tutti i colleghi per una piena e leale col
laborazione.
Dalla scelta cos operata dalla Costituzione discendono importanti
conseguenze sui modi in cui il Consiglio superiore deve operare
per contribuire a che l'equilibrio complessivo del sistema non
xw
sia turbato, consentendo ad ogni potere di svolgere i compiti secondo
le linee tracciate dalla Carta costituzionale.
Cos se la questione della partecipazione si presenta come essenziale
perch, attraverso lo spazio dato alle istanze emergenti in ogni
settore della Magistratura, trovano concreta espressione nel governo
della Magistratura stessa tutte le realt di una societ in cui
i magistrati sono parte integrante, ne segue la necessit di rendere
evidenti i modi in cui la partecipazione si viene a realizzare, per
consentire appunto di individuare le linee sulle quali opera la Magistratura
e al Presidente di rappresentarle con chiarezza davanti
al Paese.
Di qui la questione della pubblicit, necessaria, in tale prospettiva,
per assicurare verso l'esterno la pi ampia informazione, secondo
schemi che possano contemperare in modo soddisfacente le
esigenze della informazione pubblica con quelle altrettanto essenziali
del doveroso riserbo in particolari materie.
Cos, ancora, dal rispetto degli equilibri costituzionali deriva l'esigenza
di uno scrupoloso adempimento dei doveri incombenti sui
singoli magistrati, che sono posti anche a garanzia della loro indipendenza,
oltre che quale sostanza della loro imparzialit. Ne consegue
in ispecie la necessit che i procedimenti disciplinari siano
condotti in modo corretto nella attuazione delle garanzie dell'incolpato
e sollecito nello svolgimento, al fine di sollevare il singolo magistrato
e la Magistratura, come ordine cui egli appartiene, da qualsiasi
ombra o dubbio, inaccettabili per coloro che tanta abnegazione
rivelano nello svolgimento delle proprie funzioni, e al fine
altres di soddisfare la legittima attesa della societ che l'esercizio
dell'attivit giurisdizionale sia affidato a uomini degni e capaci.
Sempre a tali esigenze di dignit e di capacit devono essere
ispirate le scelte dei magistrati agli uffici direttivi; nella consapevolezza
che la buona amministrazione della giustizia dipende dai
mezzi materiali e da pi moderni e idonei ordinamenti, che giustamente
la Magistratura chiede e sollecita agli altri poteri dello Stato,
ma dipende anche dalla gestione quotidiana della concreta attivit
giudiziaria, la quale deve rispondere a criteri di efficienza e di trasparente
correttezza.
La richiesta di pi moderni e idonei ordinamenti richiama, infine,
l'attivit di ricerca, di studio, di proposta, di parere che il Consiglio,
nel rispetto delle autonome prerogative del Parlamento e del
Governo, ha gi svolto con tanta efficacia e per il cui potenziamento
occorrer operare anche mediante l'intensificazione dei collegamenti
con gli altri poteri dello Stato, utilizzando correttamente i canali
istituzionali propri della funzione dell'esecutivo e quelli posti a disposizione
dai regolamenti parlamentari.
Signor Presidente, colleghi.
queste mie dichiarazioni sono soltanto considerazioni .offerte
alla riflessione del Consiglio, poich sono ben consapevole della mia
posizione di componente che deve svolgere funzioni di collaborazione
o vicarie rispetto alle attribuzioni del Presidente della Repubblica:
mi auguro che esse vengano accolte da Lei, Signor Presidente, e dai
colleghi, come testimonianza dello spirito con il quale mi accingo
ai compiti affidatimi in un momento cos difficile della vita del
Paese.
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ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI
CARAMAZZA l.F., Il Congresso di Messina del _3-8 novembre ;1981 . II, 27
DI TARSIA DI BELMONTE P., In tema di aggravanti . .... I, 428
DI TARSIA DI IBELMONTE P., Esistono ancora dei limiti alla responsabilit
diretta dell'Amministrazione per fatto del dipendente? .. I, 433
MARUOTTI L., Considerazioni in tema di impugnabilit dell'ordinanza
di rilascio emessa nei confronti dell'occupante abusivo di bene
demaniale ............................ . I, 338
PARTE PRIMA
INDICE ANALITICO -ALFABETICO
DELLA GIURISPRUDENZA
PARTE PRIMA
INDICE ANALITICO -ALFABETICO
DELLA GIURISPRUDENZA
-Autorizzazione -Abilitazione -Nozione
-Rilascio di carta di circolazione
-Natura -Controversie -Giur1schl:
cione dclll'a;g.o., 312.
-Vizi -Eccesso di potere -Contraddittoriet
-Fattispecie -Limiti, 343.
dell'appaltatore, 410.
-Appalto di opere pubbliche -Consegna
dell'opera -Appalto disciplinato
per legge o per convenzione dal
capitolato generale per le opere pubbliche
-Consegna frazionata dei lavori
-Esclusione -Avvenuta consegna
parziale -Conseguenze alternative,
410.
-Appalto di opere pubbliche -Sospensione
-Protrazione -Pretesa di danni
-Riserva -Iscrizione nel verbale
di ripresa dei lavori -E' tempestiva,
421.
-Onerosit e difficolt dell'esecuzione
-Disciplina prevista dall'articolo
1664 cod. civ. -Applicazione analogica
ed eventi sopravvenuti diversi
da quelli indicati dalla norma -Inammissibilit
-Equo compenso -Interpretazione
estensiva -Ammissibilit,
-410.
-Onerosit e difficolt dell'esecuzione
-Disciplina prevista dall'art. 1664
cod. civ. -Finalit, 410.
ARBITRATO
-Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare
che lo prevede -Illegittimit
-Effetti -Vizio di nullit
del Jodo per nuJlit de~ compromes
so, 421.
-Condizioni generali per l'appalto dei
lavori del Genio Militare -Inappellabilit
del lodo -Norma che lo prevede
-Illegittimit -Disapplicazione
-Effetti, 421.
ATTO AMMINISTRATIVO
-Atto discrezionale -Annullamento -
Limiti all'indagine sulla legittimit -
Effetti, 343.
COMUNIT EUROPEE
-Agricoltura -Aiuti per l'impiego di
prodotti proteici in main~rn:i -Condizioni
-Acquisto di latte magro in
polvere, 290.
-Agricoltura -Pcrodotti composti -iR.estituzioni
all'esportazione -Condizioni,
290.
-Agricoltura -Restituzioni all'esportazione
-Condizioni, 290.
-Agricoltura -Risorse proprie della
Comunit -Riscossione indebita -
Azione di ripetizione -Limiti, 290.
-Corte di Giustizia -Pronuncia pregiudiziale
ai sensi dell'art. 177 del
trattato CEE -Pronuncia di invali
dit di un regolamento comunitario Effetti,
290.
-Unione Doganale -Libera circolazione
delle merci -Disposizioni fiscali
interne discriminatorie -Abolizione Efficacia
diretta -Presa di posizione
favorevole della Commissione -
Legittimo affidamento dello Stato
membro -Insussistenza, 303.
-Unione Doganale -Libera circolazione
dehle merci -Ddisposdzioni fiscali
interne discriminatorie -Abolizione
non oltre ill'dnizio delJa seconda tappa
del periodo transitorio -Efficacia
diretta Inammissibilit
di deroghe,
303.
-Unione Doganale -Libera circolazione
delle merci -Disposizioni fiscali
interne discriminatorie -Regime fiscale
degli alcoli -Diritto erariale
sulle acquaviti di vino, 303.
-Unione Doganale -Tributi discrimi
natori indebitamente riscossi -Traslazione
sugli acquirenti -Restituzione
-Limiti, 303.
APPALTO
-Appalto di opere pubbliche -Consegna
dell'opera -Appalto disciplinato
dal capitolato generale delle
opere pubbliche -Consegna tardiva Diritti
INDICE DELLA
-Violazioni del trattato CEE -Contestazione
-Procedimento -Parere
motivato della Commissione -Efficacia
giuridica, 303.
CONCESSIONI AMMINISTRATIVE
-Morte del concessionario -Utilizzazione
di fatto -Effetti -Limiti, 338.
-Occupante abusivo di terreni dati
in concessione a terzi -Impugnazione
dell'ordinanza di rilascio -Titolarit
-Occupante abusivo, 338.
CONTABILITA PUBBLICA
-Crediti dei pubblici dipendenti -Rivalutazione
-Esclusione -Regolamento
di contabilit -:t!. fonte secondaria,
267.
CORTE COSTITUZIONALE
-Conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato -Invasione da parte di
organi ghtrisdizionali -Estremi, 272.
-Conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato -Pu essere parte in
un conflitto di attribuzione -Ordinanza
della Corte costituzionale non
preceduta da giudizio sulla ammissibilit
del ricorso ad essa proposto
-Insussistenza della materia di
un conflitto, 271.
-Conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato -Sfera di attribuzione
del potere esecutivo -Invasione per
atto emesso da organo giudiziario Ammissibilit,
272.
-Ordinanza di rimessione -Difetto di
motivi -Inammissibi!lit deLla questione,
277.
-Principio di eguaglianza -Omessa indicazione
di disposizioni di rango
costituzionale -Rilevabilit d'ufficio,
283.
-Questione incidentale di legittimit
costituzionale -Deduzioni defensionali
dell'ente produttore della disposizione
impugnata -Non determinano
irrilevanza de1La questione, 282.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA
-Libert di manifestazione del pensiero
-Contemperamento con altre
esigenze costituzionalmente garantite
-Necessit, 277.
GIURISPRUDENZA xvn
DEMANIO
-Beni di interesse paesaggistico -Vincoli
-Effetti -Decorrenza -Pubblicazione
elenchi nell'Albo Comunale Conseguenze,
343.
-Beni di interesse paesaggistico Vincoli
panoramici -Costruzioni edilizie
-Nulla osta della Soprintendenza
ai monumenti -Legge n. 14971939
e reg. 1357-11940 -Rapporti -Art.
16 del regolamento -Criterio di interpretazione,
343.
-Beni di interesse paesaggistico -Vincolo
panoramico -Costruzioni edilizie
-Nulla osta della Soprintendenza
ai monumenti -Motivazione del permesso
a costruire -Modulo-tipo senza
riferimenti al vincolo -Insufficienza,
343.
-Beni di interesse paesaggistico -Vincolo
panoramico -Costruzioni edilizie
-Nulla-osta della Soprintendenza
ai monumenti -Successivo annullamento
-Natura -Effetti, 343.
FAMIGLIA
-Patr~a potest -Interruzione delJl:a
gravidanza di donna. minorenne Mancata
consultazione dei genitori Legittimit
costituzionale, 287.
GIURISDIZIONE CIVILE
-Impiego pubblico -Presupposti
Atto di nomina Mancanza Irri
l:evoanza COI1Jtrrove11Sie Giurisdizione
del giudice amministrativo -Sussiste,
317.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
-Ricorso giurisdizionale amministra
tivo Legittimazione ad agire Presup;
posti -Utente dii terreno in concessione
a terzi Legittimazione
Carenza, 338.
-Ricorso giurisdizionale ammi.l.istra
tivo Natura Indagine del Giudice
amministrativo -Sopravvenuta carenza
di interesse Valutazione Limiti
Riferibilit alla posizione sostanziale
di interesse legittimo Effetti,
341.
-Ricorso giurisdizionale amministrativo
Provvedimento impugnabile Licenza
edilizia -Autorizzazione di
variante -Possibilit di impugnatiiva
autonoma -Preclusrone, 341.
XVUI
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO
IMPIEGO PUBBLICO
-Funzionari onorari -Componenti delle
Commissioni di controllo regionali
-Indennit -Misura -Controversia
-Giurisdizione di legittimit
del giudice amministrativo, 319.
ISTRUZIONE E SCUOLE
-Insegnante universitario -Nuovi incarichi
-Nozione ex art. 4 legge
n. 76-1973 -Individuazione -Rinnovazione
della copertura di cattedre
mediante attribuzione precaria
Esclusione, 342.
LAVORO
-Assistenza -Controversie -Decreto
ingiuntivo -Competenza Giudice del
lavoro, 327.
-Controversia -Intervento coatto di
un'amministrazione dello Stato -Sentenza
del pretore -Appello -Tribunale
-Competenza -Foro dello Stato
-Applicabilit, 328.
-Decreto ingiuntivo -Opposizione Effetti,
327.
-Decreto in~untivo -Opposizione
Notifica -Procedibilit -Condizioni,
327.
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
-Illecito disciplinare -Principio nulla
poena sine lege -Non opera, 277.
PENA
-Revoca della sospensione condizionale
-Limiti -Superamento per sentenza
della Corte Costituzionale Esclusione,
271.
PROCEDIMENTO CIVILE
-Foro dello Stato -Chiamata in garanzia
-Applicabilit, 327.
-Lavoro -Controversia -Intervento
coatto di una amministrazione dello
Stato -Foro dello Stato -Applicabilit,
327.
PROCEDIMENTO PENALE
-.
Parte civile, ricorso per cassazione Sentenza
di non doversi procedere
Amnistia -Esclusione di aggravanti Difetto
di interesse della parte civile
all'impugnazione, 428.
REGIONE
-Turismo e industria alberghiera
Classificazione alberghiera -Non
riservata allo Stato, 265.
RESPONSABILITA CIVILE
-Danno -Fatto illecito -Concause
dell'evento dannoso -Nozione -Applicazione
dell'art. 41 c.p., secondo
comma -Limiti, 331.
-Precettori -Maestri del Patronato
scolastico -Presunzione di responsabilit
-Casi di esclusione -Limiti,
332.
-Responsabilit diretta della pubblica
amministrazione per fatto del
dipendente -Occasionalit necessaria
-Rapporto organico -Sussiste
anche in ipotesi di fatto commesso
da sentinella che abbia abbandonato
il posto di guardia, 432.
SANITA
-Interruzione della gravidanza -Donna
minorenne -Assenso dei genitori
o del tutore o autorizzazione
del giudice tutelare -Necessit Legittimit
costituzionale, 287.
SUCCESSIONE
-Collazione di donazione -Somma
di danaro -Collazione secondo il
principio nominalistico -Legittimit
costituzionale, 284.
TRIBUTI ERARIALI DIRETTI
-Accertamento -Imposta sui redditi
di ricchezza mobile -Plusvalenza Rettifica
con metodo induttivo dell'ammontare
dei ricavi non rispondente
al presumibile valore -Legittimit,
357.
-Accertamento -Modificazione per
sopravvenuta conoscenza di elementi
nuovi -Analiticit dell'accertamento
da modificare -Non necessaria,
372.
INDICE DELLA GIURISPRUDENZA
-Accertamento -Motivazione sintetica
-Dichiarazione non corredata dei
documenti contabili -Legittimit Invito
a produrre la documentazione
-Non necessario, 374.
-Accertamento tributario -Incompetenza
dell'ufficio tributario -Nullit
assoluta -Rilevabilit d'ufficio,
378.
-Accertamento -Ufficio competente Incorporazione
di societ - quello
della sede della societ incorporante,
366.
-Imposta sui redditi di ricchezza
mobile -Plusvalenza -Assegnazione
di beni ai soci di societ di persone
-Si realizza, 397.
-Imposta sui redditi di ricchezza
mobile -Plusvalenza -Cessione dell'intero
pacchetto azionario -Costituzione
di organizzazione di persone
senza personalit giuridica Realizzo
di avviamento per cessione
di azienda -Esclusione, 391.
-Imposta sui redditi di ricchezza
mobile -Plusvalenza -Realizzazione
nel corso di procedura fallimentare Costituisce
reddito tassabile -Esistenza
di passivo fallimentare -Irrilevanza,
387.
-
Imposta sulle societ -Esenzione
dell'art. 151, lett. f) del t.u. delle
imposte dirette per nominati istituti
di edilizia popolare -Estensione
ad altri istituti non nominati
-Esclusione, 360.
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI
-Imposta di registro -Agevolazione
per le case di abitazione non di
lusso -Pertinenze -Non si estende
-Appalto per costruzione di
strada interna -Esclusione della
agevolazione, 363.
-Imposta di registro -Concessione Servizio
di illuminazione -Istituzione
dell'ENEL -Continuazione del
servizio da parte della societ -Obbligazione
per l'imposta di registro,
409.
-Imposta di registro -Vendita fra
parenti -Applicazione della norma
vigente al momento della stipulazione
dell'atto, 3711.
-
Imposta di successione -Passivit
deducibili -Avallo cambiario e pri
vilegio speciale su bene dell'asse
ereditario -Debiti neutralizzati da
un corrispondente credito -Indeducibilit,
401.
-Imposte ipotecarie -Sanzioni -Sistema
di applicazione del tributo Distinzioni,
381.
-Imposte sulla circolazione degli
autoveicoli -Imposta straordinaria
istituita con l'art. 4 del d.l. 6 luglio
1974, n. 251 -Furgone finestrato
-Vi soggetto -Art. 42 d.l.
18 luglio 1976, n. 648 -Valore interpretativo,
394.
-Imposta sull'entrata -Condono Termine
per il pagamento - perentorio,
380.
-Sanzioni non penali -Interessi Non
sono dovuti, 406.
TRIBUTI IN GENERE
-Accertamento tributario -Notificazione
-Destinatario irreperibile Deposito
ed affissione presso la
casa comunale - regolare, 369.
-Contenzioso tributario -Condono Ultima
pronunzia di merito -
quella della commissione centrale
in materia di estimazione complessa,
390.
-Contenzioso tributario -Giudizio di
terzo grado -Ricorso alla commissione
centrale -Rinuncia per ricorrere
alla Corte d'Appello -Inammissibilit,
375.
-Contenzioso tributario -Oggetto e
natura del processo innanzi alle
Commissioni, 345.
-Contenzioso tributario -Sospensione
della riscossione -Regolamento
di giurisdizione -Ammissibilit, 345.
-Riscossione -Imposte dirette -Sospensione
-Rimedi ammessi, 345.
-Riscossione -Sospensione dei titoli
esecutivi fiscali da parte del giudice
-Difetto assoluto di potere,
345.
URBANISTICA
-Licenza edilizia -Autorizzazione di
variante -Illegittimit della licenza
originaria -Effetti sul provvedimento
di autorizzzione di variante -
Caducazione dell'atto successivo, 341.
INDICE CRONOLOGICO
DELLA GIURISPRUDENZA
CORTE COSTITUZIONALE
26 maggio 1981, n. 70
26 maggio 1981, n. 711
26 maggio 1981, n. 73
28 maggio 1981, n. 77 (ord.)
1 giugno 1981, n. 81 ...
8 giugno 1981, n. 98 (ord.)
8 giugno 1981, n. 100
19 giugno 1981, n.105 .
25 giugno 1981, n. 109
25 giugno 1981, n. 197
10 luglio 1981, n. 132 (ord.)
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE
[3 maggio 1981, nella causa 66/80 . . . . . . .
27 maggio 1981, nelle cause riunite 142 e 143/80
GIURISDIZIONI CIVILI
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471 .
Sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 .
Sez. I, 27 marzo 1980, n. 1908 .
Sez. I, il0 aprile 1980, n. 2103 .
Sez. I, 17 aprile 1980, n. 2507 .
Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 .
Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3824 .
Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3956 .
Sez. I, 26 giugno 1980, n. 3998 .
Sez. I, 1 luglio 1980, n. 4140.
Sez. I, 2 luglio 1980, n. 4189 .
Sez. I, 5 luglio 1980, n. 4277 . .
Sez. I, 7 luglio 11980, n. 4322 . .
Sez. I, 17 luglio 1980, n. 4652 .
Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4746 .
Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4748 .
Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4784 .
pag. 265
)) 267
271
271
277
272
277
282
287
284
272
pag. 290
303
pag. 345
410
357
360
363
366
369
371
372
374
375
378
)) 380
381
387
390
391
INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA
Sez. I, 22 ~uglio 1980, n. 47t88
Sez. I, 24 luglio 1980, n. 4808 .
Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4867 .
Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4879.
Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4880 .
Sez. Lavoro, 9 gennaio 1981, n. 194.
Sez. Lavoro, 10 gennaio 1981, n. 236 .
Sez. III, 10 febbraio 1981, n. 826 .
Sez. Un., 2 marzo 1981, n. 1203 .
Sez. Un., 24 marzo 1981, n. 1687 .
Sez. Un., 11 aprile 1981, n. 2113 .
Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3167 .
GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE
CONSIGLIO DI STATO
Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1217.
Sez. V, 29 maggio 1981, n. 219 . .
Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 213 .
Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 221 .
GIURISDIZIONI PENALI
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI, e.e. 22 marzo 1977 .
Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 878 .
XXI
394
397
401
406
)) 409
327
327
331
317
319
322
421
pag. 338
341
342
343
pag. 428
432
;
~
PARTE SECONDA ~
i:
I
I
<:
QUESTIONI
~'.
Il congresso di Messina del 3-8 novembre 1981 . . . . . . . . . . . . . pag. 27
LEGISLAZIONE
I. -Norme dichiarate incostituzionali .
pag. 33
II. Questioni dichiarate non fondate . )) 34
III. Questioni proposte )) 36
1:
! 1:
PARTE PRIMA
GIURISPRUDENZA
SEZIONE PRIMA
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 70 -Pres. Amadei -Rel. Elia Regione
Piemonte (avv. Romano), Regione Puglia (n.p.), Regione Umbria
(avv. Duranti) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato
Azzariti).
Regione -Turismo e industria alberghiera -Classificazione alberghiera -Non
riservata allo Stato.
I principi stabiliti dalle leggi dello Stato delimitano il modo di esercizio
delle potest legislative regionali e non anche le materie di competenza
regionale; la classificazione di alberghi pensioni e locande nonch
dei. complessi ricettivi all'aperto non submateria sottratta alla materia
turismo e riservata allo Stato.
(omissis) In questo, come in altri casi gi sottoposti a questa Corte
(si veda per tutte la sent. n. 58 del 1958), la lesione dell'interesse nazionale
comporta che per un settore di materia sia preclusa ogni possibilit
di int~ento della Regione. Ma la sottrazione della submateria classificazione
alberghiera (rispetto alla pi ampia materia del turismo ed
industria alberghiera) dall'ambito dei poteri trasferiti alle Regioni non
trova sostegno nei testi normativi.
In primo luogo l'art. 1, lett. g) del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6, trasferisce
alle Regioni, tra gli altri settori della materia, le funzioni amministrative
concernenti la 'classificazione e la locazione di immobili adibiti
ad uso di albergo, pensione, locanda; i complessi ricettivi extraalberghieri
(campeggi, villaggi turistici, ostelli); e certo la formula pi ampia
usata neM'art. 56 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 per definire il turismo
e l'industria alberghiera non potrebbe interpretarsi in senso riduttivo
rispetto al trasferimento disposto dal d.P.R. n. 6 del 1972, e cio in contrasto
con quanto disposto in modo espresso dall'art. 136 del d.P.R.
n. 616 del 1977. N si rinvengono riserve a1lo Stato nell'ambito della
submateria classificazione alberghiera, nel d.P.R. n. 6 del 1972 (artt. 3-5)
e neppure nel d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 58)'.
D'altra parte non si pu -in mancanza di deroga legittimamente
disposta da!l legislatore -venir meno al para!llelismo tra funzioni aromi
266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
nistrative e legislative (pi volte riaffermato da questa Corte: tra l'altro
II
nella sent. n. 39 del 1971), anche se pu ammettersi che una disciplina
riguardante il passaggio delle funzioni amministrative statali alle Regioni
non in grado di risolvere compiutamente i problemi de11e corrispondenti w
H
funzioni legislative. ;.:
Infine non si pu trascurare un dato normativo sicuramente contrastante
con l'affermazione di un interesse nazionale alla uniformit della
disciplina legislativa in tema di classificazione alberghiera, uniformit che
1
dovrebbe ovviamente farsi valere in tutto il territorio nazionale. Infatti
l'art. 8, primo comma, del d.P.R. 27 marzo 1952, n. 354 (Norme di attua~
I
zione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), conteneva questa
regola: I criteri che le leggi dello Stato prescrivono per la determinazione
delle classifiche alberghiere e le disposizioni a carattere nazionale
in materia di tariffe alberghiere valgono anche per la Regione;
orbene, questa disposizione non figura pi :nel testo del d.P.R. 22 marzo
1974, n. 278 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione
Trentino-Alto Adige in materia di turismo e di industrie alberghiere),
che all'art. 10 abroga espressamente il citato d.P.R. 27 marzo 1952,
n. 354.
Ed significativo, anche se non decisivo, che senza oppos1z10ne del
Governo abbiano potuto essere adottate varie leggi regionali in tema
di classificazione dei complessi ricettivi all'aperto (legge reg. Puglia 20 giugno
1979, n. 35; legge reg. Veneto 10 agosto 1979, n. 56; legge reg. Piemonte
31 agosto 1979, n. 54). Si pu certo rilevare che di tali complessi
non fa parola il r.d.I. 18 gennaio 1937, n. 975 (convertito con modifiche in
legge 30 dicembre 1937, n. 2651 e modificato con ir.d.I. 5 settembre 1938,
n. 1729), e cio l'unico testo legislativo statale vigente in questo settore:
ma, ove si trattasse di vero interesse nazionale aH'uniformit di disciplina,
l'obiezione risulterebbe formalistica, data l'identit del1a ratio
a favore della unicit dei criteri classificatori a livello nazionale e data
anche la mancanza di serie giustificazioni per una sottovalutazione degli
esercizi ricettivi extraalberghieri (sottovalutazione gi rilevabile peraltro
nella legge n. 326 del 1958 ed ora nell'art. 60, lett. e) del d.P.R. n. 616 del
1977). Ci che si esposto dimostra anche come l'attuale pronunzia, dato
il diverso quadro normativo in cui si iscrive, non contraddice alla sen~
tenza di diverso segno a suo tempo adottata da ,questa Corte nelila stessa
materia (sent. n. 15 del 1956).
Quanto alla censura ci11ca la violazione del limite dei principi fondamentali
della legislazione statale, essa riferita innanzitutto alla esistenza
di un principio fondamentale della materia che escluderebbe ogni possibilit
di intervento normativo delle Regi0111i in una submateria (in questo
caso la classificazione alberghiera). Ma un principio fondamentale
siffatto non pu darsi nel quadro dell'art. 117, primo comma, della
Costituzione, dovendo i principi riguardare in ogni caso il modo di eser
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
cizio della potest legislativa regionale e non comportare l'inclusione o
l'esclusione di singoli settori della materia dall'ambito di essa. Altrimenti
non troverebbero rispondenza nella realt dell'ordinamento i criteri fis
sati da questa Corte in occasione del giudizio relativo all'art. 17 della
legge 16 maggio 1970, n. 281, (criteri che, nel trasferire Ja submateria
classificazione alberghiera>>, la normativa in vigore ha pienamente os
servato); infatti secondo la sentenza n. 39 del 1971, unitariamente inter
pretato, l'art. 17 vuole che alle Regioni siano assegnate per intero le
materie indicate nell'art. 117 della Costituzione; ma vuole, d'altro lato,
ohe, sia attraverso Ja esplkita enunciazione dei "principi fondamentali",
di oui allo stesso art. 117, sia in altre e diverse forme, che non :si rrisolvano
in una preventiva e generale riserva allo Stato di settori di materie,
lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armoni
camente conforme agli interessi unitari della collettivit statale.
Infine, per l'altra interpretazione della censura sulla violazione del
limite dei principi fondamentali, quali si desumono dalle leggi vigenti
per regolare l'esercizio del potere legislativo concorrente delle Regioni,
sufficiente rilevare che qui ed ora tali principi consistono in criteri
generalissimi (livello delle attrezzature, dell'arredamento e della presta
zione di servizi) che la disciplina contenuta nelle leggi rregionali non con
traddice da nessun punto di vista. N potrebbero assurgere a dignit
di principi fondamentali della legislazione taluni dei requisiti indicati
nella tabella del decreto-legge del 1937, non gi perch essi non sono
pi rilevanti ai fini di una aggiornata classificazione, ma piuttosto perch
non suscettibiili, in s o per s, di costituire limite e indirizzo per aa
legislazione regionale concorrente. Le esigenze di sostanziale corrispon
denza tra le classificazioni adottate nelle varie Regioni possono essere
soddisfatte mediante interventi de! potere statale pienamente compatibili
con l'integrit delle funzioni attribuite agli enti regionali e ci a pre
scindere dalla possibilit di un autocoordinamento in sede interregionale.
(omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 71 Pres. Amadei Rel. La
Pergola Salerno ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri
(avv. Stato Angelini Rota).
Contabilit pubblica Crediti dei pubblici dipendenti Rivalutazione Esclusione
Regolamento di contabilit 1'. fonte secondaria.
(Cost., artt. 3, 24, 35, 36, 97 e 113; cod. proc. civ., art. 429; r.d. 23 maggio 1924, n. 827,
art. 270).
La questione di legittimit costituzionale di una disposizione del regolamento
di contabilit generale dello Stato (r.d. 23 maggio 1924, n. 827)
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
268
inammissibile, posto che detto regolamento ha natura di fonte secondaria.
D'altro canto, l'art. 429 cod. proc. civ. disposizione applicabile ai
rapporti di lavoro subordinato jure privato, e non anche a quelli dei
dipendenti dello Stato e degli ent pubblici non economici (1).
(omissis) Giova alla corretta disamina del presente caso fermare
anzitutto l'attenzione sulla censura che concerne l'art. 429, terzo comma,
cod. proc. civ. Come risulta dal dispositivo dell'ordinanza di remissione
del pretore di Palmi, detta disposizione denunziata in quanto essa non
derogherebbe al principio sopra richiamato, che si assume sancito nell'art.
270 del regolamento di ,contabilit, con la conseguenza di impedire,
riguardo ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici,
la decorrenza degli interessi e la rivalutazione degli stessi crediti dal
giorno de1la maturazione deil diritto. Ora, se da un canto !l'art. 429, terzo
comma, cod. proc. civ. impugnato, nei termini test riferiti, in relazione
all'art. 270 del regolamento di contabilit, dall'altro si deduce
-dallo stesso pretore di Palmi, e con un'autonoma ed ulteriore censura
-anche l'illegittimit costituzionale di quest'ultima disposizione.
Il punto esige un cenno di chiarimento. L'art. 429 cod. proc. civ. potrebbe
derogare alla citata disposizione, e comunque al regime della
contabilit pubblica -sul presupposto, appena il caso di avvertire,
che si tratti di norme incidenti sulla disciplina dei rapporti di lavoro
dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici -solo
se tali rapporti ricadessero sotto la sua previsione: laddove si assume
dal pretore di Palmi (e, analogamente dalla Corte d'appello di Caltanissetta)
che essi ne rimangono necessariamente esclusi. La lesione del principio
di eguaglianza -asserita in base alla discriminazione che opererebbe
nel trattamento dei crediti di lavoro -viene cos a prospettarsi
sul semplice assunto che l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sia
inestensibile al caso di specie: indipendentemente, dunque, dalla dedotta
incostituzionalit dell'art. 270 del regolamento di contabilit. Ma va subito
osservato che, sotto il profilo ora in esame, la questioIJe non fondata.
In questo senso la Corte si gi pronunciata (sentenza n. 43 del
1977) in altro giudizio, in cui la stessa disposizione dell'art. 429, terzo
comma, veniva denunziata, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., sostan
(1) Le affermazioni contenute nell'ultima parte della sentenza non debbono
essere interpretate nel senso che mancherebhe un supporto legislativo all'art. 270
del regolamento di contabilit. Al contrario, la Corte costituzionale ha chiaramente
indicato che nel silenzio della legge (o per quanto la legge non disponga
esplicitamente) non pu aversi rivalutazione di crediti vantati nei confronti dello
Stato.
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 269
zialmente per i motivi qui in esame Le ragioni giustificatrici della
norma in questione - detto nella pronunzia test citata, e va ora
ripetuto - non ri!levano negli stessi termini modi e misura in cui ricorrono
per gli enti pubblici economici. Ci basta per constatare che le situazioni
poste a raffronto sono diverse e che quindi non sussiste l'assunta
ililegittimit costituzionale dellla norma nehla rparte in cui prevede la disciplina
sopradetta solo per i dipendenti di cui all'art. 409 del codice di
procedura civile . Ci detto si deve escludere anche la lamentata violazione
degli artt. 35 e 36 Cost., dedotta sull'assunto, di cui si appena
veduta l'infondatezza, che la mancata estensione al nostro caso dell'art. 429,
terzo comma, cod. proc. dv. abbia offeso :ilJ. priociJpio costituzionale di
eguaglianza.
Resta da considerare la denunzia dell'art. 270 del regolamento di
contabilit. Nell'ordinanza di rinvio emessa dal tribunale di Catania si
afferma -e nelle altre due evidentemente si presuppone -che tale
regolamento sia atto dotato della forza di :legge, quindi impugnabi.ile iin
questa sede.
La Corte di contrario avviso. Il regolamento posto con regio
decreto in conformit della norma di legge che ne costituisce il fondamento,
l'art. 88 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440. Quest'ultimo atto legislativo
, a sua volta, un decreto emesso in virt della delega concessa
al governo con legge 3 dicembre 1922, n. 1601 ( Delegazione di pieni poteri
al Governo del re per il riordinamento del sistema tributario e della
pubblica amministrazione). L'atto in cui contenuta la norma censurata
soddisfa, fuor di dubbio, i requisiti prescritti per la formazione dei
regolamenti dalla legge che governava la materia: precisamente, il decreto
emana, come doveva, dal re, in forza della menzionata delega, che.
esso espressamente richiama, e su proposta del Ministro delle finanze, sentiti
il Consiglio dei ministri, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato.
La compresenza nella specie di questi elementi formali consente quindi
di stabilire -in via di esclusione, e alla stregua dei criteri predeterminati
dalle norme vigenti -che l'atto in esame non poteva avere base
diversa dalla potest regolamentare, qui appositamente attribuita al governo.
Tale risultato s'impone, del resto, anche in considerazione di precedenti
pronunzie rese in analoghi casi dalla Corte, e specialmente di
quel che si affermato con sentenza n. 118 del 1968: In presenza di
una qualificazione data dalla legge, nel senso che il governo era legittimato
ad emanare un regolamento, necessario che concorrano elementi
obiettivi, certi ed inequivoci per dimostrare che, al contrario, si trattava
di una vera e propria delega legislativa: il che da affermarsi specialmente
in riferimento ad un ordinamento nel quale, a differenza di quello
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
attuale, la diversa forza degli atti normativi non dava luogo ad una semplice
ripartizione fra organi diversi della competenza a sindacarne i vizi
sostanziali, ma era rilevante al fine della configurabilit stessa di un controllo
giurisdizionale, notoriamente escluso per gli atti legislativi. Si
deve aggiungere che la qualificazione dell'atto come regolamento, privo
del valore della legge, nella specie pienamente suffragata anche dal preciso
tenore della norma (il citato art. 88 del r.d. n. 2440 del 1923), dallla
quale esso trae fondamento. Il governo veniva abilitato, nelle forme sopra
viste, soltanto a modificare le norme regolamentari vigenti per l'amministrazione
del patrimonio e per la contabilit generale dello Stato,
con facolt di emanare ogni altra disposizione di complemento, di coordinamento
e di attuazione . Si voleva dunque circoscrivere l'esercizio della
potest regolamentare rigorosamente nei limiti di una normazione secondaria
e complementare rispetto alla legge. Nel caso in esame, infatti,
il regolamento subordinato allo stesso atto legislativo abilitante, che
appresta, dal canto suo, un'organica disciplina della contabilit generale
dello Stato.
Non varrebbe, d'altra parte, nemmeno osservare che la norma impugnata
stata costantemente considerata, nel diritto vivente ad opera
della giurisprudenza, come un precetto idoneo a derogare, quando si
tratti di debiti pecuniari dello Stato e degli anzidetti altri enti pubblici,
il regime posto nel codice civile in tema di interessi moratori. A tacer
d'altro, qui soccorre il rilievo che la Corte di cassazione ha con varie
decisioni ultimamente negato il fondamento di una simile deroga: nel
prospettare la presente questione si sarebbe, quindi, in ogni caso denunziata
una norma, ormai spoglia del contenuto o dell'efficacia precettiva,
che si vorrebbero far scaturire dall'interpretazione giurisprudenziale. Siamo
invece, e sicuramente, di fronte ad una disposizione, la quale, comunque
interpretata, pur sempre prodotta mediante atto regolamentare: e con
questa fonte non possono crearsi norme provviste dello stesso valore
della legge. Nessun rilievo ha, infine, 1a circostanza che nelle ordinanze
di rinvio si fa riferimento non solo all'art. 270 del regolamento di contabilit,
ma al contesto, o al sistema, della disciplina in cui figura questa
singola disposizione, per dedurne -oltre, o piuttosto, che una norma un
qualche principio, sul quale possa esercitarsi il sindacato della Corte.
Con ci non si , invero, ancora dimostrato che il corpo normativo dai
quale un tale principio andrebbe enucleato trascende la sfera del rego~
amento; n, dunque, si dimostrato che la disposizione oggetto di puntuale
censura trova neH'or.dine delile fonti idonea e siura collocazione
sul piano della legge formale, o di altro atto a questa equiparato. Il che,
in conclusione, comprova l'inammissibilit della questione. (omissis).
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 73 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli
-Botteochia (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv.
gen. Stato Chiarotti).
Pena -Revoca della sospensione condizionale -Limiti -Superamento per
sentenza della Corte Costituzionale -Esclusione.
(Cost., art. 3; cod. pen., art. 168}.
Il principio di legalit dei reati e delle pene preclude alla Corte
costituzionale un intervento sull'ordinamento normativo dal quale discen~
dano effetti sfavorevoli al reo.
(omissis) Il dispositivo dell'ordinanza di rimessione impugna l'art. 168,
primo comma n. l, cod. pen., l dove non si prevede che la sospensione
condizionale della pena sia revocabile nei confronti del condannato il
quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto ovvero una contravvenzione
della stessa indole, per cui venga inflitta una pena pecuniaria.
Poich il primo comma dell'art. 168 configura tassativamente la ipotesi
in cui la sospensione va revocata di diritto, ne segue che il giudice
a quo chiede in sostanza che que~ta Corte introduca una nuova ipotesi
di revoca obbligatoria mediante una sentenza di accoglimento. Senonch
il fondamentale principio di legalit dei reati e delle pene preclude comunque
alla Corte la creazione di una norma penale siffatta, dalla quale
verrebbero a discendere effetti sfavorevoli al reo. (omissis).
I
CORTE COSTITUZIONALE, 28 maggio 1981, n. 77 (ord.) -Pres. Amadei -
Rel. Paladin -Tribunale di Siracusa e Corte costituzionale.
Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Corte costituzionale -Pu
essere parte in im conflitto di attribuzione -Ordinanza della Corte costituzionale
non preceduta da giudizio sulla ammissibilit del ricorso ad ,
essa proposto -Insussistenza della materia ,df un conflitto.
Tanto un tribunale quanto la Corte costituzionale rientrano tra gli
organi legittimati ad essere parti in conflitti di attribuzione fra poteri
dello Stato; non sussiste per materia di conflitto qualora il tribunale
contesti il modo in cui si concretamente esplicata la giurisdizione propria
della Corte costituzionale.
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
II
CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 98 (ord.) -Pres. Amadei -
Rel. Gionfrida -Presidente Consiglio dei Ministri e Pretore di Genova.
Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato Invasione da parte di organi
giurisdizionali Estremi.
La Corte costituzionale non pu essere chiamata, con ricorso per
conflitto di attribuzione, a sindacare nel merito il modo in cui la giurisdizione
stata in concreto esercitata.
III
CORTE COSTITUZIONALE, 10 luglio 1981, n. 132 (ord.) Pres. Amadei -
Rel. Ferrari -Presidente Consiglio dei Ministri e Pretore di Menaggio.
Corte Costituzionale Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato 'Sfera
di attribuzione del potere esecutivo Invasione per atto emesso da
organo giudiziario Ammissibilit.
E ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal
presidente del Consiglio dei ministri in relazione al provvedimento emesso
da un pretore, modificativo di atti di una pubblica amministrazione
(nella specie, l'A.N.A.S.) al di fuori dei casi espressamente e tassativamente
previsti dalla legge.
I
(omissis) Ritenuto che il tribunale di Siracusa, chiamato a provvedere
sull'istanza di revoca della provvisoria sospensione di Salvatore P.lacenti
dai pubblici uffici, ordinata dal pretore di Augusta con sentenza del 18 febbraio
1980, ha dichiarato di non potersi pronunciare sull'istanza medesima,
dal momento che questa Corte, con ordinanza n. 94 del 1980, aveva a sua
volta sospeso -nel corso di un giudizio per conflitto di attribuzione,
instaurato dalla regione Sicilia -l'esecuzione della citata sentenza, nella
parte concernente la provvisoria esclusione di Salvatore Piacenti dall'esercizio
del pubblico ufficio di deputato regionale; che secondo il tribunale
di Siracusa, per avere emesso la predetta ordinanza senza alcuna pregiudiziale
delibazione sull'ammissibilit del conflitto di attribuzione solle
vato da!lla regione , '1a Corte avrebbe invaso la sfera di :attribuzione
spettante al tribunale stesso, quale giudice naturale del Piacenti: e ci
in violazione degli artt. 25, 101, 102, 104 e 134 della Costituzione. (omissis).
Che per il ricorrente l'organo nei cui confronti sia stato elevato
conflitto non deve subire, nemmeno interinalmente, gli effetti di una ef.
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
fettiva invasione di attribuzioni prima che il denunziato conflitto, in
pendenza di giudizio, sia passato al vaglio di ammissibilit della Corte
costituzionale deputata a risolverlo: senza di che verrebbe meno la
sola garanzia volta a scongiurare che con inammissibili ricorsi al regolamento
delle competenze si paralizzi, anche se temporaneamente, l'attivit
istituzionale dell'organo apparentemente confliggente ; che gli artt. 40
della legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative per i giudizi davanti
a questa Corte dovrebbero interpretarsi nel senso che le ordinanze di
sospensione vengano adottate dalla Corte previo esame di ammissibilit
dei relativi conflitti; che, nel caso contrario, spetterebbe alla Corte,
verificata la non manifesta infondatezza della eccezione (che il ricorrente
prospetta in via subordinata) ,ed attesa ila rilevanza della questione
ai fini della risoluzione del conflitto, dichiarare incidentalmente l'illegittimit
degli articoli medesimi; e che, in entrambe le ipotesi, la Corte
dovrebbe statuire, annullando il provvedimento impugnato, che con
lo stesso sarebbe stata temporaneamente sottratta al ricorrente la funzione
giurisdizionale penale ", impedendogli di conoscere sulla istanza
di revoca del menzionato interdetto pretorile in relazione agli uffici di
deputato e assessore regionale;
considerato che 1a Corte stata convocata, a norma dell'art. 37 della
legge n. 87 del 1953, per decidere in camera di consigLio se il 'ricorso sia
ammissibile: vale a dire, se il conflitto sorga tra organi competenti a
dichiarare definitivamente la volont dei poteri cui appartengono e per
la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri
da norme costituzionali;
che tanto il tribunale di Siracusa quanto la Crte costituzionale rientrano
-potenziailmente -fra ,gli organi legittimati ad essere parti 'in
conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato; che nel caso in esame non
sussiste, per, la materia di un conflitto, che, infatti, nel ricorso non
si contesta alla Corte la spettanza del potere di sospendere, per gravi
ragioni, l'esecuzione di provvedimenti impugnati mediante conflitto di
attribuzione, insorto .fra una regione e lo Stato; che non si contesta
neppure il potere di disporre la sospensione di misure adottate da organi
giurisdizionali, nei confronti dei quali una regione abbia proposto conflitto
(come questa Corte ha ammesso fin dalla sentenza n. 66 del 1964);
che il ricorso si limita, invece, a negare la legittimit della sospensione
disposta con l'ordinanza n. 94 del 1980, in quanto non sorretta da un previo
specifico giudizio sull'ammissibilit del ricorso ,regionale in esame: desumendo,
da questo solo assunto, che la Corte avrebbe invaso una sfera di
competenza costituzionalmente riservata al ricorrente (e lasciando intendere
che, ove la Corte avesse valutato l'ammissibilit del ricorso predetto,
ne sarebbe risultata l'insussistenza di ogni materia di conflitto tra regione
e Stato);
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
che, di conseguenza, il presente conflitto si dimostra proposto allo
scopo di censurare il modo in cui si concretamente esplicata la giurisdizione
propria della Corte: donde l'inidoneit della predetta questione
a determinare un conflitto di attribuzione, sia tra Stato e regione (cfr. la
sent. n. 289 del 1974), sia tra poteri dello Stato (cfr. la sent. n. 30 del 1980);
e che il ricorso del tribunale di Siracusa si risolve dunque in un inammissibile
mezzo di gravame,, esp1icitamente escluso dal terzo comma dell'art.
137 Cast., tanto pi che l'attuale giudizio ben distinto da quello
nel corso del quale la Corte ha disposto l'impugnata sospensione;
che, d'altra parte, dall'esercizio del potere di sospensione -previsto
dagli artt. 40 della legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative per
i giudizi davanti a questa Corte -non pu derivare e non derivato,
nella specie, n un disconoscimento nP. una menomazione di attribuzioni
costituzionalmente spettanti al tribunale di Siracusa: anche ad 'ammettere,
infatti, che il combinato disposto degli artt. 23 e 41 della Jegge n. 87 del
1953 imponga al tribunale stesso di sospendere -in parte -il giudizio
sulla predetta istanza di 'revoca promossa da Salvatore Piacenti, non ne
discenderebbe altro che una nuova ipotesi di pregiudizialit costituzionale,
per s non lesiva delle attribuzioni di nessun potere dello Stato;
(omissis).
II
(omissis) Ritenuto che, con ricorso 15 maggio 1979 del presidente del
Consiglio dei ministri (autorizzato con delibera del Consiglio stesso del
27 novembre successivo) stato sollevato conflitto di attribuzione nei
confronti del pretore di Genova, in conseguenza dell'istruttoria penale
iniziata contro il comandante del porto di Genova (con comunicazione
giudiziaria del 30 marzo 1979, per il reato previsto dall'art. 347 cod. pen.
in relazione all'art. 56 d.P.R. n. 616 del 1977), e della successiva intimazione
in data 26 aprile, indirizzata alla Capitaneria, di adottare convenienti
provvedimenti ai sensi dell'art. 219 cod. proc. pen. in ordine alla
prosecuzione non consentita dell'attivit esplicata da~ stabilimenti balneari;
nonch del telegramma 9 maggio 1979, indirizzato al Comando Carabinieri,
alla Questura ed ai Vigili urbani dei comuni :rivieraschi, e in
genere in relazione al comportamento del suddetto pretore nella materia
presa in considerazione dagli atti sopra richiamati;
che nel ricorso si assume che le denunciate iniziative del pretore certamente
oltrepassavano l'ambito delle sue attribuzioni istiturionali per
invadere la sfera delle competenze costituzionalmente garantite al potere
esecutivo, poich il magistrato -muovendo dall'erroneo presupposto
che risultassero gi trasferite agli organi regionali (per operativit della
delega ex art. 56 d.P.R. n. 616 cit.) le funzioni amministrative (tra cui
quelle relative alle concessioni demaniali) sul litorale marittimo per scopi
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
turistici e ricreativi -ha contestato al funzionario statale il delitto di
usurpazione di cui all'art. 347 cod. pen., in Q"elazione alil'esercizio (che
questi aveva continuato a fare) delle funzioni predette, non tenendo conto
che il funzionario stesso attuava, con ci, conformi direttive, impartite
dal Governo, nella sua esclusiva competenza, di individua:llione del
contenuto dell'attivit amministrativa (artt. 92 e 97 della Costituzione);
considerato che, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 8 del 1953, la
Corte chiamata, in questa fase, a decidere in Camera di consiglio se
il ricorso sia ammissibile; vale a dire se il conflitto sorga tra organi competenti
a dichiarare definitivamente la volont dei poteri cui appartengono
e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per
i vari poteri da norme costituzionali ;
che, dal punto ~ vista subiettivo, sufficiente richiamare, per quanto
attiene alla legittimazione passiva del pretore di Genova, il principio pi
volte affermato (cfr. ordinanze Corte nn. 228, 229 del 1975; n. 49 del 1977;
n. 87 del 1978; n. 123 del 1979 e sentenza n. 231 del 1975) per cui i singoli
organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazione di piena
indipendenza costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati
... ad essere parti in conflitti di attribuzione"; mentre, quanto alla
legittimazione attiva, non v' dubbio che questa sussista nei confronti del
presidente del Consiglio dei ministri che agisce anche in conformit a
delibera del Consiglio stesso (cfr. ordinanza n. 123 del 1979 cit.);
che difetta, invece, sotto il profilo obiettivo, la materi.a di un confilitto;
che, infatti, perch si realizzino gli estremi di un conflitto (come nella
specie prospettato) per invasione da parte di organi giurisdizionali, occorre
in primo luogo che la menomazione lamentata sia riferibile ad un atto
o . comportamento che si assuma inficiato da un vizio che si concreti
nell'esplicazione della giurisdizione fuori dei presupposti che per legge
ne condizionano l'esercizio (il che, in precedenti fattispecie, stato ritenuto
in relazione al promovimento dell'azione penale con riguardo a comportamenti
coperti dalla guarantigia dell'immunit, e ad ipotesi di estensione
della giurisdizione contabile a categorie di atti o soggetti che si
assumeva esserne esenti: cfr., rispettivamente, sentenza n. 81 del 1975;
n.
110 del 1970; n. 211 del 1972);
che, invece, nella specie, nessuna ragione di illegittimit nei sensi
sopra indicati dell'esercizio della giurisdizione penale stata dedotta o
. prospettata, indirizzandosi ogni censura al merito dell'imputazione (quale
presupposta nella comunicazione giudiziaria ex art. 304 cod. proc. pen.
e negli altri connessi provvedimenti, adottati dal pretore di Genova);
dimodoch la Corte chiamata ad un non consentito sindacato (cfr. sentenza
n. 289 del 1974) sul modo in cui la giurisdizione stessa stata in
concreto esplicata;
che pertanto il ricorso inammissibile. (omissis).
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
III
(omissis) Ritenuto che con ricorso depositato i!l 18 igennaio 1980 il presidente
del Consiglio dei ministri, previa deiliberazione del Consigilio dei ministri,
ha solilevato conflitto di attmbuzione nei confronti del pretore di Menaggio
in conseguenza del provvedimento in data 30 ottobre 1979, con iJ quale
e:m stato ordiro.ato all'ANAS, compartimento di Milano, ... di eseguire
nel termine di giorni trenta dalla ricezione del (presente) decreto, tutte
le opere e i lavori necessari per l'adeguata manutenzione della SS. 340
e l'illuminazione delle gallerie lungo iJ tratto Menaggio-Dongo, pena non
soltanto l'incriminazione ai sensi degli a:rtt. 328 e 650 cod. pen., ma anche
l'eventuale ordine di chiusura al traffico di detta strada;
che nel ricorso si assume che il pretore ha non solo esercitato un
potere attribuito al ministro dei Lavori pubblici quaJ.e presidente dell'ANAS,
ma ha anche invaso la sfera di attribuzioni che, pi in generale,
garantita al potere esecutivo da norme costituzionali, travalicando i
limiti posti al potere giurisdizionale degli artt. 101 e 102, nonch dall'art.
113 della Costituzione, a garanzia della sfera di attribuzioni del
potere esecutivo;
considerato che, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, la
Corte chiamata, in questa fase, a decidere in camera di consiglio se il
ricorso sia ammissibile; (omissis).
che, sotto il profilo soggettivo, basta richiamare, per quanto concerne
la legittimazione passiva del pretore di Menaggio, il principio pi
volte affermato (cfr. ordinanze nn. 228 e 229 del 1975, n. 49 del 1977,
n. 87 del 1978, n. 123 del 1979, n. 98 del 1981; e sentenza n. 231 del 1975)
per cui i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in
situazione di piena indipendenza costituzionalmente garantita, sono da
considerarsi legittimati ... ad essere parti I1l conflitti di attribuzione; mentre,
quanto alla legittimazione attiva, non v' dubbio che questa sussista
nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri che agisce anche
in conformit a delibera del Consiglio stesso (cfr. ordinanze n. 123 del
1979 e n. 98 del 1981 citate);
che, dal punto di vista oggettivo, il conflitto sollevato attiene sicuriamente
alla delimitazione della sfera di attribuzioni determinata, per ciascun
potere, da norme costituzionali, assumendosi dal ricorrente presidente
del Consiglio dei ministri ohe non spetta al potere giudiziario, ma
a quello esecutivo, l'emanazione di provvedimenti amministrativi quale
quello emesso daJ. pretore di Menaggio, il quale, inoltre, impartendo disposizioni
contrarie a quelle dei competenti organi dell'ANAS, avrebbe inteso
evidentemente annullare i correlativi atti amministrativi, con conse
277
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
guente violazione di un limite posto al potere giurisdizionale dall'art. 113
della Costituzione, in forza del quale deve ritenersi che, al di fuori dei
casi espressamente previsti da1la legge, non spetta certo agli organi giurisdizionali
il potere di annullare gli atti amministrativi. (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 1 giugno 1981, n. 81 -Pres. Gionfrida -Rel.
Maocarone -Comis (n;p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice
avv. gen. Stato Carafa),
Corte Costituzionale -Ordinanza di rimessione -Difetto di motivi -Inammissibilit
della questione.
Nell'ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale devono essere chiaramente
enunciati, a pena di inammissibilit, i termini ed i motivi della
questione, e non sufficiente la semplice trascrizione dei dati formali
(disposizioni censurate e precetti costituzionali violati) della eccezione
prospettata da una delle parti.
CORTE COSTJTUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 100 -Pres. Ama:dei -Rel. Maccarone
-Governatori (avv. Pizzorusso), altri (n.p.) e Presidente Consiglio
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti).
Ordinamento giudiziario -Illecito disciplinare -Principio nulla poena sine
lege -Non opera.
(Cost., artt. 25, 101 e 108; r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18).
Costituzione della Repubblica -Libert di manifestazione del pensiero Contemperamento
con altre esigenze costituzionalmente garantite Necessit.
(Cost., artt. 21, 54, 101 e 104; r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18).
La repressione degli illeciti disciplinari , anche nei riguardi dei magistrati,
espressione di una potest amministrativa dello Stato, ed regolata
da principi diversi da quelli che reggono il magistero penale: cos, non
pertinente il richiamo all'art. 25, secondo comma, Cast. (nuhla poena
sine lege) per estendere all'ambito disciplinare il principio di tipicit
delle fattispecie sanzionate (1).
(1) I due commi dell'art. 101 Cost. non paiono scindibili: i giudici sono
soggetti soltanto alla legge quando ed in quanto amministrano la giustizia. Non
pu quindi desumersi, da una separata lettura del solo secondo comma di detto
278
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
La libert di manifestazione del pensiero deve, per i magistrati,
trovare equilibrato contemperamento con le esigenze, egualmente garantite
dall'ordinamento costituzionale, di tutela della dignit dell'ordine
giudiziario e di ogni singolo magistrato.
(omissis) La Corte 'chiamata a ,stabilire se sia ,conforme ai precetti
costituzionali l'art. 18 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, nella parte in
cui identifica un illecito disciplinare nel fatto che il magistrato tenga,
in ufficio o fuori, condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e
della considerazione di cui deve godere o che comprometta il prestigio
dell'ordine giudiziario.
Il dubbio di costituzionalit prospettato sotto un duplice profilo:
a) per violazione del principio di legalit posto dall'art. 25, secondo comma
Cost., in quanto la norma censurata non tipicizm l'illecito stesso
ma lo individua in rapporto a criteri di valutazione e a modelli di comportamento
a loro volta non tipicizzati e conseguente violazione degli
artt. 101, comma secondo e 108 comma primo, Cost., i quali non consentono,
salvo il disposto dell'art. 105 della Costituzione, la mediazione da
parte di altri organi nella disciplina dello status del magistrato in quanto
stabiliscono che i giudici sono soggetti soltanto alla legge e che Je norme
sull'ordinamento giudiziario sono stabilite per legge; b) per violazione
dell'art. 21, comma primo, Cst., il quale esclude limitazioni alla libert
di manifestazione del pensiero, sia pure in contemperamento con gli
artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma e 104, primo comma, della
Costituzione.
Le censure non sono fondate. Relativamente al primo degli espooti
dubbi di costituzionalit, concernente fa dedotta violazione del principio
di tipicit dei comportamenti sanzionabili in via disciplinare, deve anzitutto
osservarsi che non appare pertinente il richiamo all'art. 25, secondo
comma, Cost. Tale norma infatti, interpretata nel necessario collegamento
con il primo comma dello stesso articolo, si riferisce, come
generalm1mte ritenuto, solo alla materia penale e non di conseguenza
estensibile a situazioni, come gli iilleciti disciplinari, estranee
all'attivit del giudice penale, pur se con questa possono presentare,
per determinati aspetti, una qualche affinit.
articolo, l'assenza di un rapporto di supremazia speciale, oltretutto esplici
tamente confermato dagli artt. 105 e 107, secondo comma Cost.
La sentenza in rassegna appare alquanto indulgente nei riguardi delle tesi
di coloro che vorrebbero, dalla riconosciuta assenza di (( gerarchia nella orga
nizzazione giudiziaria e nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, far discendere
una totale assenza di potest amministrative nei confronti dei magistrati. Tra
l'altro, non pare sia stato consolidato che il modulo gerarchico assente anche
in altri ordinamenti particolari (ad esempio, nel settore dell'istruzione e della
cultura).
P~TE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 279
L'esercizio del potere disciplinare regolato, invero, da principi sostanzialmente
differenti e meno incisivi di quelli che reggono l'esercizio
del magistero penale, poich risponde alla potest amministrativa dello
Stato, e non aHa funzione di giustizia che quest'ultimo assolve attraverso
l'attivit giudiziaria.
E tale differenza si riflette natumJmente sulla operativit, nel
campo disciplinare, dei principi generali in materia di esplicazione del
potere punitivo, rendendola meno rigorosa ed estesa.
N vale invocare in contrario, come vien fatto nella memoria della
parte privata costituitasi in questa sede, la decisione di questa Corte
n. 78 del 31 luglio 1967; essa, nel punto in oui afferma che daWart. 25,
secondo comma, Cost., ricavabile anche per le sanzioni amministrative
il principio che deve essere rla legge a configurare i fatti da punire,
va, infatti, intesa non come trasposizione della disposizione richiamata
nella materia disciplinare, con conseguente applicazione di essa alle
sanzioni amministrative, ma come riaffermazione della esigenza che
anche per gli illeciti disciplinari sia la legge a stabilire i comportamenti
sanzionabili.
Neppure pu pervenirsi a diversa conclusione, come pure si sostiene
nella memoria citata, per il fatto che, per i magistrati, l'applicazione
delle sanzioni disciplinari non deriva da un potere discrezionale
dell'amministrazione, quale quello che normalmente si esercita
per effetto del rapporto gerarchico e che, inoltre,_ preordinato un
organo giurisdizionale per l'accertamento dell'illecito e l'applicazione
della relativa sanzione. Tali connotazioni non valgono infatti ad eliminare
la sostanziale diversit dell'illecito penale da quello disciplinare
ma possono tutt'al pi evidenziare soltanto qualche aspetto di affinit
tra i procedimenti volti all'accertamento dell'illecito.
D'altra parte, va considerato che, pur dovendosi ritenere che, per
quanto riguarda i magistrati, il fondamento del potere disciplinare non
pu ricercarsi, come per gli impiegati pubblici, nel rapporto di supremazia
speciale della pubblica amministrazione verso i propri dipendenti,
dovendo escludersi un rapporto del genere :nei riguardi dei magistrati
stessi, sottoposti soltanto alla legge ex art. 101 Cost., deve anche
riconoscersi che il potere disciplinare nei loro confronti volto a
garantire -ed rimedio insostituibile -il rispetto dell'esigenza
di assicurare il regolare svolgimento della funzione giudiziaria, che
uno degli aspetti fondamentali della vita dello Stato di diritto. Onde ben
pu configurarsi, su tale base, indipendentemente dal detto rapporto
di supremazia, un potere disciplinare fondato direttamente sulla legge
tendente alla tutela dei valori dell'ordinamento de11o Stato eventualmente
lesi dal comportamento del magistrato.
Ci premesso, va peraltro affermato che, per quanto concerne la
materia disciplinare riguardante i magistrati, il principio di legalit
280
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
trova egualmente piena applicazione, oltre che come fondamentale esigenza
dello Stato di diritto, come conseguenza necessaria del nuovo
assetto dato alla magistratura dal legislatore costituente, del quale sono
puntuali espressioni la garanzia di indipendenza (artt. 101 e 104 Cost.)
e di inamovibilit, se non a seguito di deliberazione del ConsigJio superiore
della Magistratura per motivi previsti (art. 107 Cost.) dall'ordinamento
giudiziario, .le cui norme sono stabilite con legge (art. 108 Cost.).
Posta, cos, l'esigenza che nella materia in disamina debba essere
la legge a determinare illeciti e sanzioni, occorre verificare se la norma
denunziata, che all'uopo provvede, offra le garanzie volute dall'ordinamento
costituzionale.
Il dubbio di legittimit viene fondato, come stato gi precisato,
sul difetto di tipicit dell'illecito, che verrebbe in concreto individuato
in base a criteri di valutazione ed a modelli di comportamento
non specificati, con possibile violazione delle garamiie di indipendenza
dei magistrati.
Nell'esaminare tali censure, non pu prescindersi dal riferimento
ai valori tutelati dalla norma proibitiva, al fine di stabilire, in relazione
ad essi, se ed in quale misura sia possibile la tipizzazione dei
comportamenti che possono violarli. Essi sono da un lato la fiducria
e la considerazione di cui deve godere ciascun magistrato e dall'altro
il prestigio dell'ordine giudiziario. sufficiente esaminare di conte
nuto di tali valori. per constatare la impossibilit di prevedere tutti i
comportamenti che possono lederli; si tratta, infatti, di principi deontologici
che non consentono di essere ricompresi in schemi preordinati,
non essendo identificabili e catalogabili tutti i possibili comportamentii.
con essi contrastanti e che potrebbero provocare una :negativa
reazione dell'ambiente sociale.
Ci spiega la ragione per la quale, nelle leggi che nel passato
hanno tentato di enunciare ipotesi tipiche di infrazioni disciplinari
-come il r.d.l. 6 dicembre 1865, n. 2626 e la legge 17 lugiliio 1908, numero
438 -sia stata posta una norma di chiusura generica ddretta
a sanzionare tutti i comportamenti capaci di ledere la reputazione
del singolo magistrato o la dignit dell'ordine al quale egli appartiene.
Per la stessa ragione i va11i progetti di riforma, pur con qualche
specificazione, indubbiamente utile a fini orientativi, fanno riferimento,
per identificare J'illlecito per violazione di rego1e deontologiche, a formule
generiche.
Lo stesso avviene negli oridinamenti di varie categorie professionali.
Le previsioni normative in materia non possono non avere portata
generale perch una indicazione tassativa renderebbe legittimi comportamenti
non previsti ma egualmente riprovati dalla coscienza sociale.
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281
Tali considerazioni giustificano la latitudine della previsione e lo
ampio margine della valutazione affidata ad un organo, che, operando
con le garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale, , per la sua
strutturazione, particolarmente qualificato per apprezzare se i comportamenti
di volta in volta considerati siano o meno lesivi dei valori
tutelati.
N pu ritenersi che tale sistema normativo violi il principio di
legalit perch, come questa Corte ha affermato (cfr. sent. 191 del 1970
e le altre ivi citate) esso si attua non soltanto con ila rigorosa e tassativa
descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l'uso di
espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per
giudicare se una determinata condotta J'abbia o meno violato .
stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che le fattispecie criminose,
cosiddette a forma libera, che richiamano, cio con locuzioni
generiche ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza o
valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete sono pienamente
compatibili con il principio di legalit.
Tali criteri interpretativi enunciati per fattispecie criminose, appaiono
maggiormente validi nella materia disciplinare sia per la minore
reazione sociale all'illecito disciplinare rispetto a quello penale e per
la minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell'interessato sia
perch pi ampia, rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilit
di comportamenti lesivi dei valori tutelati.
N appare censurabile il riferimento, nella norma, alla fiducia e
considerazione di cui il magistrato deve godere ed al prestigio dell'ordine
giudiziario, perch, come si dir in prosieguo, trattasi di concetti
determinabili secondo la comune opinione.
Deve pertanto escludersi la violazione delle norme costituzionali
invocate, non risultando lesi n il principio di lega1'it (art. 25, secondo
comma e 108, primo comma, Cost.) n quello di indipendenza del giudice
(art. 101, secondo comma, Cost.).
Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma,
Cost., 1I1e1le ordinanze e neHa memoria della parte costituita, si osserva
che ili diritto di libert di manifesta:ziione del pensiero non pu subire,
per i magistrati, limitazioni diverse da quelle previste per fa generalit
dei oonsociati e ohe la generica formula:ziione della norma censurata
consente una compressione del diritto stesso che non pu subire restrizioni
per .effetto dell'appairtenen:m ad un ordine o del rivestimento di
una qualifica professionale, pur se ~esercizio di esso va contemperato
.con Je disposizioni degli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma,
e 104, primo comma, dehla Costituzione.
Deve riconoscersi -e non sono possibilli dubbi in proposito -che
i magistrati debbono godere degli stessi diritti di Jii:bert garantiti ad
ogni 1altro cittadino ma deve del pari ammettersi che [e funziOIIli eser
-
282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
citate e la qualifica da essi rivestita non sono dndifferenti e prive di
effetto per l'ordinamento costituzionale.
Per quanto concerne la libert di manifestazione del pensiero non
dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette daHa nostra
Costituzione ma del ipartl .certo i0he essa, per la generalit dei cittadini
non senza limiti, purch questi siano posti dalla legge e trovino
fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati
o desumibili dalla Carta costituzionale (cfr. sent. 9 del 1965).
I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma,
e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti
e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento a.I concreto
esercizio delle funzioni giurisdizionali ml'I anche come regola
deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare
che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialit
nell'adempimento del loro compito.
I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione
di cui iJ magistrato deve godere presso la pubblica opinione;
assicurano, nel contempo, quella dignit dell'intero ordine giudiziario,
che la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fi.
ducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilit di
essa.
Nel bilanciamento di tali interessi con il fondmentale diritto alla
libera espressione del pensiero, sta, come del resto finiscono per riconoscere
le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, ail fine di contemperare
esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale.
Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa
Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce l'esigenza di una rigorosa tutela
del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra
i pi rilevanti beni costituzionalmente protetti.
Gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilit
tra ilibern manifestazione del pensiero e tutela deMa dignit del singolo
magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento
degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libert di manifestare
le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cio
l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra
menzionati.
In questa sede non pu precisarsi -e ci non rientra del l.'esto nei
compiti della Corte -quali possano essere i comportamenti di cui si
fatto cenno. Dovr l'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti
stabilire se essi possano o meno essere riprovati dalla coscienza
sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano
fare di essi gli stessi consociati in relazione alla natura e rilevanza
degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attivit
giudiziaria.
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Il controllo di legittimit, affidato al massimo organo della giurisdizione
ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore della esatta osservanza
dei principi costituzionali applicabili.
Deve, pertanto, escludersi anche la violazione dell'art. 21, primo
comma, della Costituzione (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1981, n. 105 -Pres. Amadei -Rel.
Paladin-Adila (avv. Vittorelli) e Regione Sicilia (avv. Aula).
Corte Costituzionale -Questione incidentale di legittimit costituzionale Deduzioni
defensionali dell'ente . produttore della disposizione impugnata
-Non determinano irrilevanza della questione.
Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni
di rango costituzionale -Rilevabilit d'ufficio.
(Cost., art. 3; Statuto Sicilia, art. 14; I. reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1).
Le deduzioni del difensore di regione intervenuta nel giudizio sulla
legittimit costituzionale di una propria legge, con le quali si sostenuta
la fondatezza dei ricorsi della parte privata e quindi l'insussistenza
della lite, non valgono a privare di rilevanza la questione sollevata
dal giudice a quo.
Le questioni di eguaglianza delle leggi vanno affrontate in relazione
ad ogni disposizione di rango costituzionale (anche diversa dall'art. 3
Cast. ed anche non indicata nell'ordinanza di rinvio) che nella specie concorra
a garantire l'eguaglianza.
(omissis) Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso
di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla
vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione
giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato
-in riferimento all'art. 3 Cost. -l'art. 1, primo comma, della
legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, nella parte in cui non prevede
in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto
al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza
e assistenza per il personale di tale Regione. (omissis)
La Corte chiamata a decidere se in base al combinato disposto
del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana
23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non
di ruolo della regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito
fondo istituito dall'art. 16 deMa legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se,
di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita
ai soli impiegati di ruolo deLl'amministraZJione della regione), contrasti
con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore con
284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
dizione attribuita agli impiegati non di iIUOlo, i qualli verrebbero in tal
modo posti a carico dell'I.N.P.S., godendo perci di un trattamento di
quiescenza inferiore a quello erogato dalla regione medesima.
La difesa della regione eccepisce preliminarmente -come gi si
ricordato in narrativa -che la questione sarebbe inammissibile per
difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame
non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi de1la parte privata,
tanto pi che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. l,
bens sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del
1962... (omissis).
Ma la tesi non pu esser 'condivisa. L'art. 36 della legge in questione
rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione,
in quanto compatibili con le corrispondenti norme regionali. E la
ordinanza di rimessione deduce appunto che tale applicabilit non pu
ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilit
del sistema normativo regionale con quello statale; sicch le obiezioni
avanzate dalla difesa della regione rilevano -se mai -sul piano del
merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne la
inammissibilit.
Vero , tuttavia, che il fulcro del problema -opportunamente messo
in evidenza dallo stesso giudice a quo -consiste nel rapporto fra norme
legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento
di quiescenza del personale non di ruolo della regione siciliana.
Di massima, per le regioni differenziate qual la Sicilia, dotate di
una potest legislativa primaria od esclusiva in materia di ordinamento
dei propri uffici e di trattamento del proprio presonale, il principio
costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa
essere diverso da quello spettante al personale statale. Ma, quanto alla
Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato
ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione
dell'art. 14 lett. q) dello statuto speciale, per cui lo stato giuridico
ed economico degli impiegati e funzionari della regione dev'essere
in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato. Nel
giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico
che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo della
amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'amministrazione
dello Stato, questa previsione non pu essere ignorata o
trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un
esplicito riferimento, 1imitandosi a denunciare la violazione deJI'art. 3
Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche
in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella
specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa. (omissis)
Conclusivamente, n dal testo della disposizione impugnata n dal-
l'insieme delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti
che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice
a quo, anzich alla predetta interpretai;ione adeguatrice. Ed in questi
termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa. (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 197 -Pres. Amadei -Rel.
BHa-Ba:rilotti ed altri (n.ip.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice aw.
gen. Stato Albisinni).
Successione -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione
secondo il principio nominalistico -Legittimit costituzionale.
(Cost., art. 3; cod. civ., artt. 747, 750 e 751).
Tra la collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e la
collazione di danaro (che collazione in natura e non per equivalente)
non sussistono n una identit n una affinit, che possano richiedere
un pari trattamento, ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit che
giustifica un trattamento differenziato; n pu configurarsi, a carico
del beneficiario di una attribuzione in danaro, l'obbligo o l'onere di
impiegarlo in acquisti.
(omissis) Va ricordato, in secondo luogo, che il princ1p10 che regge
l'istituto della collazione consiste nel computare nella determinazione
della porzione spettante al condividente il bene che egli ha precedentemente
ricevuto dal de cuius.
Il bene che va conferito quello che stato ricevuto. Se, invero,
stato ricevuto un immobile, questo che viene conferito (art. 747, cod.
civ.). Parimenti da conferi.re la somma di danaro, che non mutata
nella sua identit, per il principio .di cui si detto.
Il problema della valutazione del bene al tempo dell'apertura della
successione si pone nei casi in cui il bene non venga conferito in natura,
o per scelta del conferente (art. 746, primo comma, cod. civ.) o per
impossibiJlit, materiale o giuridica (art. 746, secondo comma), o per
disposizione di legge (art. 750). L'imputazione viene fatta con riferimento
non soltanto al valore, ma anche alla consistenza del bene al
tempo dell'apertura della successione, in quanto tale valore sostituisce
il bene, quale avrebbe dovuto essere conferito, appunto, in tale momento.
Per le somme di danaro non viene in considerazione un problema
di imputazione, in quanto, per il principio innanzi ricordato, non si ha
imputazione per equivalente, ma si ha collazione in natura della somma,
che viene detratta nel valore suo proprio, rimasto immutato.
Ed infatti, la circostanza che il danaro che viene conferito non
costituito dalla stessa species che stata ricevuta non modifica l'essenza
del conferimento, che resta conferimento in natura e non confe
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
rimento per equivalente, per il particolare carattere di fungibilit della
moneta, che rimane sempre il medesimo bene, quale che sia la specie
in cui viene corrisposta.
Tra \l'ipotesi, dunque, di collazione per imputazione di beni nel loro
equivalente e l'ipotesi di co11azione di danaro, che collazione in natura
e non per e9uivalente, non sussistono n una identit n una affinit, che
possano richiedere un pari trattamento ed anzi si ravvisa quella sostanziale
diversit che giustifica ognora un trattamento differenziato.
Poich, anzi, la collazione di somma di danaro collazione in natura,
questa si pone accanto al conferimento in natura di bene immobile,
che conferimento dello stesso bene e non di altro bene, di guisa
che, ove si imponesse il conferimento di un bene diverso, quale sarebbe
una somma di danaro di valore nominale pi elevato, si verrebbe ad
instaurare una diversit di disciplina tra pari situazioni.
In effetti le ordinanze di rimessione tendono a configurare una irrazionalit
nel sistema legislativo, in riferimento alle ipotesi di sopravvenuta
grave svalutazione monetaria, in quanto, considerando la situazione
dei condividenti nel momento dell'apertura della successione, si
viene a verificare una grave disparit di valori effettivi tra chi conferisce
per imputazione l'equivalente in moneta del bene ricevuto e chi
conferisce la somma di danaro, quale gli fu attribuita, giacch il primo
vede diminuita la sua porzione di un valore in moneta corrente notevolmente
superiore alla diminuzione patrimoniale che subisce il secondo.
La tesi della irrazionalit muove, per, da un presupposto che del
tutto estraneo all'istituto della collazione; dal presupposto, cio, che chi
abbia ricevuto una somma di danaro senza vincoli l'abbia investita
nell'acquisto di beni o, quanto meno, ohe costui debba essere comunque
trattato come se a tale acqmsto sia addivenuto.
Orbene, tale presupposto privo di fondamento, in quanto non pu
configurarsi a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro n
l'obbligo n l'onere di impiegarla in acquisti; ed invero fa giurisprudenza
della Corte di cassazione giustamente costante nell'affermare che si ha
attribuzione in danaro, come tale da considerare ai fini della colla
zione, anche quando dl danaro ricevuto sia stato impiegato nell'acquisto
di altri beni, in quanto stato il danaro, e non il bene acquistato, l'og-.
getto dell'attribuzione, ed il danaro, e non tale bene, l'oggetto del con
ferimento.
Il sospetto di irrazionalit potrebbe essere avanzato, peraltro, con
riferimento a diverse ipotesi, in relazione alle quali recenti pronunce
giurisprudenziali hanno dato rilevanza al fenomeno della svalutazione
monetaria, ipotesi che tuttavia concernono situazioni irriducibili a quella
qui considerata.
La svalutazione monetaria pu, in realt, venire in considerazione
quando, a seguito del ritardo neHa presta:cione di una somma di danaro,..
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287
il creditore riceva un pregiudizio, ottenendo un valore, stimato con riguardo
al potere di acquisto della moneta, inferiore a quello che egli
legittimamente attendeva; in relazione a queste ipotesi stato ritenuto,
infatti, che nella determinazione del danno da risarcire possa tenersi
conto dell'incidenza della sopravvenuta svalutazione nel patrimonio del
creditore.
Ma la medesima giurisprudenza ha pur sempre tenuto fermo il principio
dell'immutabilit del bene-moneta nel considerare la situazione
propria dei rapporti obbligatori che la pi vicina a quella qui considerata;
rimasto fermo, dunque, che chi ha ricevuto in mutuo una
somma di dan;:tro per un certo tempo tenuto a dare la stessa somma,
nel suo valore nominale, quale che ne sia stato il mutamento del valore
di scambio nel tempo intercorso tra la nascita dell'obbligazione e la
scadenza. (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 109 -Pres. Amadei -Rel. '
La Pergola -Gava ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri
(vice avv. gen. Stato Chiarotti).
Sanit -Interruzione della gravidanza Donna minorenne -Assenso dei
genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit
Legittimit costituzionale.
(Cost., art. 3, legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12).
Famiglia -Patria potest -Interruzione della gravidanza di donna mino
renne Mancata consultazione dei genitori Legittimit costituzionale.
(Cost., artt. 3 e 30; legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12).
L'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ove si dispone che la
volont della donna minorenne di interrompere la gravidanza debba essere
integrata, non contrasta (a prescindere dai criteri che possono soccorrere
il genitore, il tutore o il giudice tutelare) con il principio di
eguaglianza.
Il diritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori del matrimonio, pu essere sacrificato alla finalit di
prevenire l'aborto clandestino; non contrastano quindi con l'art. 30 Cast.
le parole o sconsiglino contenute nel predetto art. 12 (1).
(1) Mentre la parte della motivazione relativa alla prima massima appare
poco significativa (per il che se ne omette la pubblicazione), si segnala la parte
relativa alla seconda massima per la gravit del problema in essa trattato. Se
fosse consentito su un cos delicato argomento il ricorso al paradosso, potrebbe
dirsi che si consente -pur dopo un rituale omaggio all' insostituibile rapporto
affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori -una diversa clan
destinit dell'aborto, e cio la clandestinit nei riguardi dei genitori ancora esercenti
la patria potest.
288
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
(omissis) La disciplina test descritta impugnata per le seguenti
considerazioni:
a) dal pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost.,
prima di tutto in quanto il giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore
a deoidere l'interruzione della gravidanza senza che di ci siano
informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di
questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che il dettato della
citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio
motivo, ai fini considerati dalla legge, la dichiarata avversione dei
genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, a:Ue pratiche
abortive. Si afferma quindi, che, precluso per questa viia ,al genitore .di
manifestare il suo avviso, risulti vulnemta ila sfera che gli costituzio
nalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce
non soltanto il dovere, ma anche ii.I diritto del genitore di mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e cos
di offrire alla minore -di fronte alla grave e spesso traumatica scelta
richiesta dal nostro caso -un aiuto che secondo esperienza pu presumersi
come il pi qualificato ed efilcace. D'altra parte, l'art. 30 Cost.
prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto-
dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica
autorit: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice
a quo, non ricorrono nella specie, bens soltanto l, dove li genitori
risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore
troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale
(l'art. 29), che riconosce la famiglia come societ naturale fondata
sul matrimonio, e la tutela nei confronti ,di qualsiasi interferenza
esterna, specialmente di quella statale;
b) in conseguenza dei rilievii sopra esposti si assume violato anche
il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati
in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilit verso l'aborto,
e perci dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nello
esevcizio de11a potest sui figlli. Discrimina:llione, si osserva, tooto pi giustificata,
in quooto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori,
sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni
della gestante. (omissis).
Da millenni accade che genitori pur attenti non vengano ad immediata conoscenza
dello stato di gravidanza di una figlia minorenne; ed accade che la figlia
in difficolt cerchi di risolvere i propri problemi senza coinvolgere i genitori. Il
problema per, , a personale avviso di chi scrive, un altro: se la legge possa
in qualche misura istituzionalizzare accorgimenti siffatti, secondando una propensione
tutta italiana per le soluzioni indolori (e quel che pi si desidera -poco
impegnative), anche a scapito della crescita civile della societ e della effettiva
pienezza dei rapporti familiari.
PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione
all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti.
Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il
giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalit
del previsto intervento del giudice tutelare, che del resto
egli assume conforme al sistema del codice civile. n vizio della norma
impugnata starebbe, quindi, soltanto in ci: che, quando una mmorenne
richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato
i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento;
ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione
dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, !.oro
imptata per via di note o presumibili opiniom morali o religiose. N0111
si riflette, tuttavia, che se la consultazione del genitore non prescritta,
essa non nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del consultorio,
della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva,
ci che pi importa, al prudente apprezzamento del giudice.
Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione
di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema
dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe
pur sempre legittima: perch giustificata dall'intento, nettamente
perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere
penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto a
questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della
procedura; si prevede altres che il genitore della minore possa non
essere sentito: ma ci quando, valutate le circostanze della specie e la
seriet dei motivi richiesti al riguardo dail.1a legge, sia ragionevole presumere
che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso
all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare
le remore che .Ja minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il ri~
spetto delle prescritte procedure.
Il disposto della statuizione censurata non , dunque, quello che si
prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto-dovere sancito
nell'art. 30 non precluso, ma consentito, dove il giudice tutelare
abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto
affettivo che dovrebbe stabilmente Jegare i figli ai genitori, e di dedurne
che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel
frangente in cui essa versa. Sempre che ci.corra l'ipotesi ora considerata,
nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo
i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potest, anche nel
senso di scons,igliare l'aborto e di indurre la minore ad una responsabile
accettazione della maternit. Esclusa la prospettata violazione
dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, iin ordine alla consultazione dei
genitori, non si adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza.
(omissis).
SEZIONE SECONDA
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA
E INTERNAZIONALE
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 13 maggio 1981,
nella causa 66/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale civile
di Roma nella causa fra la s.p.a. International Chemical Corporation
(avv. Catalano) c. Amministrazione delle Finanze dello Stato -Interv.:
Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Commissione della C.E.
(avv. Olmi e Berardis) e Consiglio de1le C.E. (avv. Schloh).
Comunit europee -Corte di Giustizia Pronuncia pregiudiziale ai sensi
dell'art. 177 del trattato CEE -Pronuncia di invalidit di un regolamento
comunitario -Effetti.
(Trattato CEE, art. 177).
Comunit europee -Agricoltura Aiuti per l'impiego di prodotti proteici
in mangimi Condizioni Acquisto di latte magro in polvere .
(Regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563)1
Comunit europee Agricoltura Risorse proprie della Comunit Riscossione
indebita Azione di ripetizione Limiti.
(Decisione del Consiglio 21 aprile 1970, artt. 4 e 6; regolamento CEE del Consiglio
15 marzo 1976, n. 563).
Cmunit europee -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione Condizioni.
(Regolamenti CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8; del Consiglio
15 marzo 1976, n. 563; della Commissione 26 marzo 1976, n. 677, art. 10).
Comunit europee Agricoltura -Prodotti composti Restituzioni all'esportazione
Condizioni.
(Regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8).
La sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato,
l'invalidit di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento
del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario
solo il giudice che si rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi
altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido
ai fini di una decisione che esso debba emette'f'e; poich tale constatazione
non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza
loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici
stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione gi
risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza
l'invalidit di un atto di un'istituzione della Comunit. Tale interesse
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281
Tali considerazioni giustificano la latitudine della previsione e lo
ampio margine della valutazione affidata ad un organo, che, operando
con le garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale, , per la sua
strutturazione, particolarmente qualificato per apprezzare se i comportamenti
di volta in volta considerati siano o meno lesivi dei valori
tutelati.
N pu ritenersi che tale sistema normativo violi il principio di
legalit perch, come questa Corte ha affermato (cfr. sent. 191 del 1970
e le altre ivi citate) esso si attua non soltanto con ila rigorosa e tassativa
descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l'uso di
espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per
giudicare se una determinata condotta l'abbia o meno violato ,
stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che le fattispecie criminose,
cosiddette a forma libera, che richiamano, cio con .Jocuzioni
generiche ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza o
valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete sono pie
namente compatibili con il principio di legalit.
Tali criteri interpretativi enunciati per fattispecie criminose, appaiono
maggiormente validi nella materia disciplinare sia per la minore
reazione sociale all'illecito disciplinare rispetto a quello penale e per
la minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell'interessato sia
perch pi ampia, rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilit
di comportamenti lesivi dei valori tutelati.
N appare censurabile il riferimento, nella norma, alla fiducia e
considerazione di cui il magistrato deve godere ed al prestigio dell'ordine
giudiziario, perch, come si dir in prosieguo, trattasi di concetti
determinabili secondo la comune opinione.
Deve pertanto escludersi la violazione delle norme costituzionali
invocate, non risultando lesi n il principio di legalit (art. 25, secondo
comma e 108, primo comma, Cost.) n quello di indipendenza del giudice
(art. 101, secondo comma, Cost.).
Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma,
Cost., 1I1e1le ordinanze e nelila memoria della parte costituita, si osserva
che ~l diritto di libert di mainifesta:zrl.one del pensiero non pu subire,
per i magistrati, limitazioni diverse da quelle previste per Ja generalit
dei 'OOnsociati e ohe la generica formula:zrl.one della norma censurata
consente una compressione del diritto stesso che non pu subire restrizioni
per effetto dell'appartenenza ad un ordine o del rivestimento di
una qualifica professionale, pur se ~'esercizio di esso va contemperato
con Je disposizioni degli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma,
e 104, primo comma, dehla Costituzione.
Deve riconoscersi -e non sono possibili dubbi in proposito -che
i magistrati debbono godere degli stessi diritti di Jiibert garantiti ad
ogni 1a:ltro cittadino ma deve del pari ammettersi che [e funzioni eser
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
citate e la qualifica da essi rivestita non sono dndifferenti e prive di
effetto per l'ordinamento costituzionale.
Per quanto concerne la libert di manifestazione del pensiero non
dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette daHa nostra
Costituzione ma del pam certo ohe essa, per la generalit dei cittadini
non senza limiti, purch questi siano posti dalla legge e trovino
fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati
o desumibili dalla Carta costituzionale (cfr. sent. 9 del 1965).
I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma,
e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti
e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento aJ. concreto
esercizio delle funzioni giurisdizionali mi'! anche come regola
deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare
che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialit
nell'adempimento del loro compito.
I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione
di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione;
assicurano, nel contempo, quella dignit dell'intero ordine giudiziario,
che la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia
dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilit di
essa.
Nel bilanciamento di tali interessi con il fondamentale diritto alla
libera espressione del pensiero, sta, come del resto finiscono per riconoscere
le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, ail fine di contemperare
esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale.
Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa
Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce l'esigenza di una rigorosa tutela
del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra
i pi rilevanti beni costituzionalmente protetti.
Gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilit
tra iJibem manifestazione del pensiero e tutela del!la dignit del singolo
magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento
degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libert di manifestare
le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cio
l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra
menzionati.
In questa sede non pu precisarsi -e ci non rientra del resto nei
compiti della Corte -quali possano essere i comportamenti di cui si
fatto cenno. Dovr l'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti
stabilire se essi possano o meno essere riprovati dalla coscienza
sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano
fare di essi gli stessi consociati in relazione alla natura e rilevanza
degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attivit
giudiziaria.
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Il controllo di legittimit, affidato al massimo organo della giurisdizione
ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore della esatta osservanza
dei principi costituzionali applicabili.
Deve, pertanto, escludersi anche la violazione dell'art. 21, primo
comma, della Costituzione (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1981, n. 105 -Pres. Amadei -Rel.
Paladin-Adila (avv. Vittorelli) e Regione Sicilia (avv. Aula).
Corte Costituzionale -Questione incidentale di legittimit costituzionale Deduzioni
defensionali dell'ente produttore della disposizione impugnata
-Non determinano irrilevanza della questione.
Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni
di rango costituzionale -Rilevabilit d'ufficio.
(Cost., art. 3; Statuto Sicilia, art. 14; I. reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1).
Le deduzioni del difensore di regione intervenuta nel giudizio sulla
legittimit costituzionale di una propria legge, con le quali si sostenuta
la fondatezza dei ricorsi della parte privata e quindi l'insussistenza
della lite, non valgono a privare di rilevanza la questione sollevata
dal giudice a quo.
Le questioni di eguaglianza delle leggi vanno affrontate in relazione
ad ogni disposizione di rango costituzionale (anche diversa dall'art. 3
Cast. ed anche non indicata nell'ordinanza di rinvio) che nella specie concorra
a garantire l'eguaglianza.
(omissis) Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso
di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla
vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione
giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato
-in riferimento all'art. 3 Cost. -l'art. 1, primo comma, della
legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, nella parte in cui non prevede
in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto
al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza
e assistenza per il personale di tale Regione . (omissis)
La Corte chiamata a decidere se in base a1 combinato disposto
del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana
23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non
di ruolo della regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito
fondo istituito dall'art. 16 deMa legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se,
di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita
ai soli impiegati di ruolo deLI'amministrazione della regione), contrasti
con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore con
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
dizione attribuita agli impiegati non di rnolo, i qua/li verrebbero in tal
modo posti a carico dell'I.N.P.S., godendo perci di un trattamento di
quiescenza inferiore a quello erogato dalla regione medesima.
La difesa della regione eccepisce preliminarmente -come gi si
ricordato in narrativa -che la questione sarebbe inammissibile per
difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame
non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi della parte privata,
tanto pi che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. 1,
bens sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del
1962... (omissis).
Ma la tesi non pu esser condivisa. L'art. 36 della .legge in questione
rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione,
in quanto compatibili con le corrispondenti norme regionali. E la
ordinanza di rimessione deduce appunto che tale applicabilit non pu
ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilit
del sistema normativo regionale con quello statale; sicch le obiezioni
avanzate dalla difesa della regione rilevano -se mai -sul piano del
merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne la
inammissibilit.
Vero , tuttavia, che il fulcro del problema -opportunamente messo
in evidenza dallo stesso giudice a quo -consiste nel rapporto fra norme
legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento
di quiescenza del personale non di ruolo della regione siciliana.
Di massima, per le regioni differenziate qual la Sicilia, dotate di
una potest legislativa primaria od esclusiva in materia di ordinamento
dei propri uffici e di trattamento del proprio presonale, il principio
costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa
essere diverso da quello spettante al personale statale. Ma, quanto alla
Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato
ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione
dell'art. 14 lett. q) dello statuto speciale, per cui lo stato giuridico
ed economico degli impiegati e funzionari della regione dev'essere
in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato . Nel
giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico
che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo della
amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'amministrazione
dello Stato, questa previsione non pu essere ignorata o
trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un
esplicito riferimento, Limitandosi a denunciare la violazione deJl'art. 3
Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche
in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella
specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa. (omissis)
Conclusivamente, n dal testo della disposizione impugnata n dall'insieme
delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti
che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice
a quo, anzich alla predetta interpretaL'lione adeguatrice. Ed in questi
termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa. (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 197 -Pres. Amadei -Rel.
Blia-Barlotti ed altri (rnp.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv.
gen. Stato Albisinni).
Successione -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione
secondo il principio nominalistico -Legittimit costituzionale.
(Cost., art. 3; cod. civ., artt. 747, 750 e 751).
Tra la collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e la
collazione di danaro (che collazione in natura e non per equivalente)
non sussistono n una identit n una affinit, che possano richiedere
un pari trattamento, ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit che
giustifica un trattamento differenziato; n pu configurarsi, a carico
del beneficiario di una attribuzione in danaro, l'obbligo o l'onere di
impiegarlo in acquisti.
(omissis) Va ricordato, in secondo luogo, che il princ1p10 che regge
l'istituto della collazione consiste nel computare nella determinazione
della porzione spettante al condividente il bene che egli ha precedentemente
ricevuto dal de cuius.
Il bene che va conferito quello che stato ricevuto. Se, invero,
stato ricevuto un immobile, questo che viene conferito (art. 747, cod.
civ.). Parimenti da confeflire la somma di danaro, che non mutata
nella sua identit, per il principio .di cui si detto.
Il problema della valutazione del bene al tempo dell'apertura della
successione si pone nei casi in cui il bene non venga conferito in natura,
o per scelta del conferente (art. 746, primo comma, cod. civ.) o per
impossibillit, materiale o giuridica (art. 746, secondo comma), o per
disposizione di legge (art. 750). L'imputazione viene fatta con riferimento
non soltanto al valore, ma anche alla consistenza del bene al
tempo dell'apertura della successione, in quanto tale valore sostituisce
il bene, quale avrebbe dovuto essere conferito, appunto, in tale momento.
Per le somme di danaro non viene in considerazione un problema
di imputazione, in quanto, per il principio innanzi ricordato, non si ha
imputazione per equivalente, ma si ha collazione in natura della somma,
che viene detratta nel valore suo proprio, rimasto immutato.
Ed infatti, la circostanza che il danaro che viene conferito non
costituito dalla stessa species che stata ricevuta non modifica l'essenza
del conferimento, che resta conferimento in natura e non confe
286
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
rimento per equivalente, per il particolare carattere di fungibilit della
moneta, che rimane sempre il medesimo bene, quale che sia la specie
in cui viene corrisposta.
Tra ll'iipotesi, dunque, di collazione per imputazione di beni nel loro
equivalente e l'ipotesi di co1lazione di danaro, che collazione in natura
e non per equivalente, non sussistono n una identit n una affinit, che
possano richiedere un pari trattamento ed anzi si ravvisa quella sostanziale
diversit che giustifica ognora un trattamento differenziato.
Poich, anzi, la collazione di somma di danaro collazione in natura,
questa si pone accanto al conferimento in natura di bene immobile,
che conferimento dello stesso bene e non di altro bene, di guisa
che, ove si imponesse il conferimento di un bene diverso, quale sarebbe
una somma di danaro di valore nominale pi elevato, si verrebbe ad
instaurare una diversit di disciplina tra pari situazioni.
In effetti le ordinanze di rimessione tendono a configurare una irrazionalit
nel sistema legislativo, in riferimento alle ipotesi di sopravvenuta
grave svalutazione monetaria, in quanto, considerando la situazione
dei condividenti nel momento dell'apertura della successione, si
viene a verificare una grave disparit di valori effettivi trra chi conferisce
per imputazione l'equivalente in moneta del bene riceVUJto e chi
conferisce la somma di danaro, quale gli fu attri:ibuita, giacch il primo
vede diminuita la sua porzione di un valore in moneta corrente notevolmente
superiore alla diminuzione patrimoniale che subisce il secondo.
La tesi della irrazionalit muove, per, da un presupposto che del
tutto estraneo all'istituto della collazione; dal presupposto, cio, che chi
abbia ricevuto una somma di danaro senza vincoli l'abbia investita
nell'acquisto di beni o, quanto meno, che costui debba essere comunque
trattato come se a tale acqUli.sto sia addivenuto.
Orbene, tale presupposto privo di fondamento, in quanto non pu
configurarsi a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro n
l'obbligo n l'onere di impiegarla in acquisti; ed invero la giurisprudenza
della Corte di cassazione giustamente costante nell'affermare che si ha
attribuzione in danaro, come tale da considerare ai fini della colla
zione, anche quando il danaro ricevuto sia stato impiegato nell'acquisto
di altri beni, in quanto stato il danaro, e non il bene acquistato, l'og
getto dell'attribuzione, ed il danaro, e non tale bene, l'oggetto del con
ferimento.
Il sospetto di irrazionalit potrebbe essere avanzato, peraltro, con
riferimento a diverse ipotesa., in relazione alle quali recenti pronunce
giurisprudenziali hanno dato rilevanza al fenomeno della svalutazione
monetaria, ipotesi che tuttavia concernono situazioni irriducibili a quella
qui considerata.
La svalutazione monetaria pu, in realt, venire in considerazione
quando, a seguito del ritardo nella prestamone di una somma di danaro,.
-
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287
il creditore riceva un pregiudizio, ottenendo un valore, stimato con riguardo
al potere di acquisto della moneta, inferiore a quello che egli
legittimamente attendeva; in relazione a queste ipotesi stato ritenuto,
infatti, che nella determinazione del danno da risarcire possa tenersi
conto dell'incidenza della sopravvenuta svalutazione nel patrimonio del
creditore.
Ma la medesima giurisprudenza ha pur sempre tenuto fermo il principio
dell'immutabilit del bene-moneta nel considerare la situazione
propria dei rapporti obbligatori che la pi vicina a quella qui considerata;
rimasto fermo, dunque, che chi ha ricevuto in mutuo una
somma di dan;:i.ro per un certo tempo tenuto a dare la stessa somma,
nel suo valore nominale, quale che ne sia stato il mutamento del valore
di scambio nel tempo intercorso tra la nascita dell'obbligazione e la
scadenza. (omissis).
CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 109 -Pres. Amadei -Rel . .
La Pergola -Gava ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri
(vice avv. gen. Stato Chiarotti).
Sanit -Interruzione della gravidanza -Donna minorenne -Assenso dei
genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit Legittimit
costituzionale.
(Cost., art. 3, legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12).
Famiglia -Patria potest -Interruzione della gravidanza di donna minorenne
-Mancata consultazione dei genitori -Legittimit costituzionale.
(Cost., artt. 3 e 30; legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12).
L'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ove si dispone che la
volont della donna minorenne di interrompere la gravidanza debba essere
integrata, non contrasta (a prescindere dai criteri che possono soccorrere
il genitore, il tutore o il giudice tutelare) con il principio di
eguaglianza.
Il diritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori del matrimonio, pu essere sacrificato alla finalit di
prevenire l'aborto clandestino; non contrastano quindi con l'art. 30 Cost.
le parole o sconsiglino contenute nel predetto art. 12 (1).
(1) Mentre la parte della motivazione relativa alla prima massima appare
poco significativa (per il che se ne omette la pubblicazione), si segnala la parte
relativa alla seconda massima per la gravit del problema in essa trattato. Se
fosse consentito su un cos delicato argomento il ricorso al paradosso, potrebbe
dirsi che si consente -pur dopo un rituale omaggio all' insostituibile rapporto
affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori -una diversa clandestinit
dell'aborto, e cio la clandestinit nei riguardi dei genitori ancora esercenti
la patria potest.
288
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
(omissis) La disciplina test descritta impugnata per le seguenti
considerazioni:
a) dal pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost.,
prima di tutto in quanto il giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore
a decidere l'interruzione della gravidanza senza che di ci siamo
informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di
questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che iil dettato della
citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio
motivo, ai fini considerati dalla legge, la dichiarata avversione dei
genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, a1Me rprntiche
abortive. Si afferma quindi, che, precluso per questa via 1al genitore .di
manifestare il suo avviso, risulti vulnerata fa sfera che gli costituzio
nalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce
non soltanto il dovere, ma anche d.l di'l'."itto del genitore di mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e cos
di offrire alla minore -di fronte alla grave e spesso traumatica scelta
richiesta dal nostro caso -un aiuto che secondo esperienza pu presumersi
come il pi qualificato ed efificace. D'altra parte, l'art. 30 Cost.
prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto-
dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica
autorit: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice
a quo, non ricorrono nella specie, bens soltanto l, dove 1i genitori
risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore
troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale
(l'art. 29), che riconosce la famiglia come societ naturale fondata
sul matrimonio, e la tutela nei confronti di qualsiasi interferenza
esterna, specialmente di quella statale;
b) in conseguenza dei rilievi sopra esposti si assume violato anche
il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati
in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilit verso l'aborto,
e perci dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nello
esevcizio della potest sui figli. Discrimina2li.one, ,si osserva, tanto pi giustificata,
in quanto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori,
sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni
della gestante. (omissis).
Da millenni accade che genitori pur attenti non vengano ad immediata conoscenza
dello stato di gravidanza di una figlia minorenne; ed accade che la figlia
in difficolt cerchi di risolvere i propri problemi senza coinvolgere i genitori. Il
problema per, , a personale avviso di chi scrive, un altro: se la legge possa
in qualche misura istituzionalizzare accorgimenti siffatti, secondando una propensione
tutta italiana per le soluzioni indolori (e quel che pi si desidera -poco
impegnative), anche a scapito della crescita civile della societ e della effettiva
pienezza dei rapporti familiari.
PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione
all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti.
Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il
giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalit
del previsto intervento del giudice tutelare, che del resto
egli assume conforme al sistema del codice civile, Il vizio della norma
impugnata starebbe, quindi, soltanto in ci: che, quando una mmorenne
richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato
i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento;
ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione
dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, :loro
imputata per via di note o presumibili opinioni morali o religiose. NOID.
si riflette, tuttavia, che se la consultaziooe del genitore non prescritta,
essa non nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del coosultorio,
della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva,
ci che pi importa, al prudente apprezzamento del giudice.
Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione
di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema
dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe
pur sempre legittima: perch giustificata dall'intento, nettamente
perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere
penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto a
questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della
procedura; si prevede altres che il genitore della Ininore possa non
essere sentito: ma ci quando, valutate le circostanze della specie e la
seriet dei motivi richiesti al riguardo dailla legge, sia ragionevole presumere
che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso
all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare
le remore che fa minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il rispetto
delle prescritte procedure.
Il disposto della statuizione censurata non , dunque, quello che si
prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto-dovere sancito
nell'art. 30 non precluso, ma consentito, dove il giudice tutelare
abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto
affettivo che dovrebbe stabilmente Jegare i figli ai genitori, e di dedurne
che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel
frangente in cui essa versa. Sempre che ricorra l'ipotesi ora considerata,
nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo
i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potest, anche nel
senso di scons,igliare l'aborto e di indurre la minore ad una responsabile
accettazione della maternit. Esclusa la prospettata violazione
dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, d.n ordine alla consultazione dei
genitori, non si adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza.
(omissis).
SEZIONE SECONDA
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA
E INTERNAZIONALE
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 13 maggio 1981,
nella causa 66/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale civile
di Roma nella causa fra la s.p.a. lnternational Chemical Corporation
(avv. Catalano) c. Amministrazione delle Finanze dello Stato -lnterv.:
Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Commissione della C.E.
(avv. Olmi e Berardis) e Consiglio delle C.E. (avv. Schloh).
Comunit europee -Corte di Giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi
dell'art. 177 del trattato CEE -Pronuncia di invalidit di un regolamento
comunitario -Effetti.
(Trattato CEE, art. 177).
Comunit europee -Agricoltura -Aiuti per l'impiego di prodotti proteici
in mangimi -Condizioni -Acquisto di latte magro in polvere .
(Regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563)1
Comunit europee -Agricoltura -Risorse proprie della Comunit -Riscossione
indebita -Azione di ripetizione -Limiti.
(Decisione del Consiglio 21 aprile 1970, artt. 4 e 6; regolamento CEE del Consiglio
15 marzo 1976, n. 563).
Comunit europee -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione -Condizioni.
(Regolamenti CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8; del Consiglio
15. marzo 1976, n. 563; della Commissione 26 marzo 1976, n. 677, art. 10). .
Comunit europee -Agricoltura -Prodotti composti -Restituzioni all'esportazione
Condizioni.
(Regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8).
La sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato,
l'invalidit di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento
del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario
solo il giudice che si rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi
altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido
ai fini di una 'decisione che esso debba emetter:e; poich tale constatazione
non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza
loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici
stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione gi
risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza
l'invalidit di un atto di un'istituzione della Comunit. Tale interesse
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 291
potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero questioni relative
ai motivi, alla portata ed eventualmente alle conseguenze dell'invalidit
precedentemente accertata (1).
Il regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563, invalido
per i motivi gi esposti nelle sentenze pronunciate il 5 luglio 1977, nelle
cause 114, 116, 119 e 120/76 (perch il prezzo che si doveva corrispondere
(1) Sugli effetti della dichiarazione di invalidit degli atti comunitari nell'ambito
dell'art. 177 del Trattato, nelle osservazioni presentate alla Corte per
il Governo italiano l'Avvocatura, richiamando le precedenti pronunzie in materia
della Corte stessa e le opinioni espresse dagli Avvocati generali in altre occasiom,
aveva precisato quanto segue:
Non si ignora che la questione -dell'efficacia, erga omnes ovvero inter
partes, della pronuncia di invai1idiit - stata a Jiungo discussa e Jo tuttora in
dottrina, senza che ivi si sia giunti a conclusioni definitive.
La medesima questione . stata affrontata anche da parte degli Avvocati
generali Gand (causa 16/65, Racc. 1965, pag. 909), Warner (cause 112/76, 22/77 e
32/77 e 37/77, Racc., 1977, pag. 1647) e Capotorti (causa 64-76 ed altre).
Nella giurisprudenza della Corte, la sentenza per la citata causa 16/65, pur
non affrontando espressamente il prob:!Jema, non manc di .precisare che " se .ben
vero che l'art. ,IN non concede alfa Corte facolt di aa::l!nulJlialre tali atiti, non
men vero che questa norma attribuisce espressamente alla Corte il potere di
statuire sulla validit degli atti medesimi". In questa affermazione gi si rinviene,
ad avviso del Governo italiano, l'intendimento della Corte di considerare la sua
pronuncia d'invalidit non soltanto in rapporto al giudizio a quo; bens anche
in rapporto alla validit stessa dell'atto, nella sua oggettivit.
In altre parole, gi dall'affermazione contenuta nella sentenza per la causa
116/65 si pu trarre il fondato convincimento che la Corte sia propensa ad una
efficacia erga omnes, anzich inter partes, della pronuncia di invalidit resa in
un giudizio ex art. 177.
Questo convincimento risulta confermato dalla sentenza 13 febbraio 1979 in
causa 101/78 (Racc., 1979, pag. 623).
In questa sentenza, occupandosi delle conseguenze della dichiarazione di
invalidit del medesimo regolamento n. 563/76, la Corte ebbe .ad affermare per
diritto: "Qualsiasi regolamento posto in vigore conformemente al Trattato deve
presumersi valido finch il giudice competente non ne abbia dichiarato l'invali
dit"; ed ancora: "dal sistema legislativo e giurisdizionale istituito dal Trattato
risulta quindi che, se il rispetto del principio della legittimit comunitaria com
porta, per gli amministrati, il diritto di contestare in sede giurisdizionale la vali
dit dei regolamenti, lo stesso principio implica pure, per tutti i soggetti di
diritto comunitario, l'obbligo di riconoscere la piena efficacia dei regolamenti
finch il giudice competente non ne abbia dichiarato l'invalidit".
Ragionando a contrario, dovrebbe invero dedursi che, una volta che il
giudice competente abbia dichiarato l'invalidit del regolamento, di questo tutti
i soggetti di diritto comunitario non debbono pi tener conto.
Questa conclusione dovrebbe anche comportare !'irricevibilit di successive
domande pregiudiziali in ordine alla validit di un regolamento gi dichiarato
invalido dalla Corte.
!! quanto il Governo italiano ebbe a sostenere -in considerazione di fondamentali
esigenze di certezza del diritto comunitario -nella causa 22/77, MURA,
dopo la dichiarazione di invalidit dell'art. 46 n. 3 del regolamento del Consi
%.
%.'-'
%. . .
-
292
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
per il latte in polvere obbligatoriamente acquistato era fissato in un
importo talmente sproporzionato rispetto alle condizioni del mercato
-il prezzo era tre volte superiore al valore foraggero -da costituire
una ripartizione discriminatoria degli oneri fra i diversi settori agricoli
e perch, per di pi, tale obbligo non era necessario per il raggiungimento
dello scopo perseguito, cio lo smaltimento delle giacenze di latte
magro in polvere (2).
L'esistenza, nel periodo in cui il regolamento del Consiglio n. 563/76
stato applicato, di un sistema specificamente congegnato al fine di
ripartire gli effetti economici degli obblighi ch'esso imponeva priva
di fondamento l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni prestate
ed incamerate, anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente
esperita in base al solo diritto nazionale. A questo proposito indifferente
che l'operatore abbia effettivamente riversato tale onere o si sia
astenuto dal farlo per motivi inerenti alla strategia economica della sua
impresa. A maggior ragione, la restituzione all'operatore esclusa nel
caso in cui egli, non essendo tenuto personalmente ad assolvere l'onere
controverso, ne abbia volontariamente anticipato o rimborsato l'importo
ai suoi fornitori (3).
glio n. 1408/71, contenuta nella pronuncia della Corte 21 ottobre 1975 in causa
24/75 (Racc., 1975, pag. 1149; cfr. conclusioni dell'avvocato generale Warner per
la causa :112/76, Racc., 1977 pag. 1658, in particolare pag. 1661).
La Corte ha tuttavia ritenuto, in quella ed in altre occasioni (ad es., nella
sentenza per la citata causa t.12/76, Racc., 1977, pag. 1647), di riesaminare nel
merito la questione di validit dell'atto gi dichiarato invalido, confermando la
pronuncia d'invalidit e non tenendo quindi conto della tesi avanzata da parte
del Governo italiano. Mentre nelle gi citate conclusioni dell'avvocato generale
Warner per la causa 112/76, pur riconoscendosi la ricevibilit di successive domande
pregiudiziali sulla validit dell'atto gi giudicato invalido dalla Corte, si
conferm in sostanza l'efficacia erga omnes della pronuncia di invalidit resa
dalla Corte di giustizia.
Sul primo quesito sollevato dal tribunale di Roma pu dunque dirsi che a
partire dalla data della pronuncia di invalidit ad opera della Corte, il regolamento
dichiarato invalido non deve essere pi osservato n applicato dai soggetti
di ddiritto e dali ijudici nazionaili dehla ComU!l11t; e ci anche se si ritenga
che l'avvenuta dichiarazione di invalidit, da parte della Corte, non vieta ai giudici
nazionali di riproporre la questione alla Corte medesima.
Per la posizione assunta dal Governo italiano nelle cause 112/76 e 22/77, sopracitate,
cfr. la nota alle sentenze 13 ottobre 1977, in questa Rassegna, 1977, I, 788.
Sulla questione cfr., pi ampiamente, BRAGUGLIA, Effetti della dichiarazione di
invalidit degli atti comunitari nell'ambito dell'art. 177 del trattato CEE, in Dir.
comunitario e scambi internazionali, 1979, 667.
(2) Le sentenze della Corte 5 luglio 1977, nelle cause 114, U6, 119 e 120/76,
sono pubblicate in Racc., 1977, pag. 1247 e 1269.
(3) Applicazione rpairticol!are -in for2la defila ritenuta esisitenza, nelila specie, di
" un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli effetti di un prov
vedimento di politica economica -del principio della rilevanza, in tema di resti
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. CXIMUNITARIA E INTERNAZIONALE
293
La declaratoria di invalidit del regolamento CEE del Consiglio
15 marzo 1976, n. 563, non giustifica deroghe, individuali o generali, al
principio stabilito all'art. 8, n. 1, primo comma, del regolamento CEE
della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, a norma del quale la restituzione
attribuita solo per prodotti che prima di essere esportati si
trovano in libera pratica nella Comunit (nella specie l'operatore aveva
fatto ricorso al sistema dell'importazione sotto controllo doganale, anzich
soddisfare alle condizioni fissate nel regolamento della commissione,
per sottrarsi agli effetti del regolamento del Consiglio, poi dichiarato
invalido).
L'art. 81 n. 1, terza comma, del regolamento n. 192/75 concerne unicamente
il caso dei prodotti composti che, come tali, non possono fruire
di restituzioni all'esportazione mentre taluni loro componenti possono
fruirne. Esso non concerne il caso dei prodotti composti che, come tali,
fruiscono di una restituzione ed ai quali si applica la condizione stabilita
dall'art. 8, n. l, primo comma.
(omissis) 1. -Con ordinanza 21 gennaio 1980, pervenuta in cancelleria
il 3 marzo successivo, il Tribunale Civile di Roma ha sottoposto
a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Tmttato CEE, talune questioni
pregiudiziali relative all'interpretazione del suddetto art. 177 ed. aU'interpretazione
o alla validrt di vari regolamenti del Consiglio o della
Commissione, dei quali uno concerne l'acquisto obbligatorio di latte
magro in polvere detenuto dagli enti d'fotervento e gli altri le restituzioni
all'esportazione di mangimi composti.
2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia
tra l'Amministrazione italiana delle finanze ed un'impresa produttrice
di mangimi composti, attrice nella causa principale, la quale
esige dalla suddetta Amministrazione sia il rimborso dri cauzioni da essa
prestate o quanto meno finanziate per conto dei suoi fornitori ed incamerate
dalla stessa Amministrazione, sia il pagamento di restitiuzioni
all'esportazione che le sono state negate in occasione dell'esportazione
di taluni mangimi composti.
3. -Allo scopo di ridurre le scorte di latte magro in polvere mediante
un pi largo impiego di tale prodotto nella fabbrioazione di
alimenti zootecnici, il regolamento del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563
tuzione di diritti indebitamente riscossi, del trasferimento dell'onere sugli acquirenti
(cfr. le sentenze della Corte 27 marzo 1980, nella causa 61/79, DENKAVIT, e
nelle cause 66, ,127 e 129/79, MERIDIONALE INDUSTRIA SALUMI s.r.l., in questa Rassegna,
1980, I, 534, la sentenza 10 luglio 1980 nella causa 825/79, MIRECO s.p.a., ibidem, 743,
e la sentenza 27 maggio 1981, nelle cause 142 e 143/80, ESSEVI, in questo numero,
paig. 303).
294
RASSEGNA DELL'AWOCATJRA DELLO 'STATO
(G. U. ri. L 67, pag. 18) collegava l'attribuzione, ai Jabbricanti di man
gimi, di taluni aiuti comunitari per J'impiego di prodotti proteici,
nonch la messa in aibera pratica nella Comunit di determinati prodotti
usati nella fabbricazione di mangimi composti, all'obbligo di acquistare
determinate quantit di latte magro in polvere giacente presso
gli enti d'intervento. Onde garantire l'osservanza di quest'obbligo, l'attribuzione
degli aiuti e la messa in libera priatica erano subordinate
aMa prova dell'acquisto di latte magro 1in polvere oppure alla previa
costituzione di una cauzione da incamerarsi in caso di inadempimento
dell'obbligo di acquisto.
4. -L'attrice nella causa principale costituiva inizialmente cauzioni
e -secondo quanto essa dichiara -filnanziava inoltre le cauzioni
prestate da ta!luni suoi fornitori, ottenendo cos gli 'aiuti contemplati.
Tuttavia, poich essa non osservava l'obbligo di acquistare latte
magro in polvere, dette cauzioni non venivano svincolate dall'Amministrazione
italiana competente. Successivamente, per sottrarsi all'obbligo
di prestare cauzione, essa importava in regime d'importazione
temporanea, anzich in regime di messa in libera pratica, taluni dei
prodotti provenienti da paesi terzi da lei impiegati nella fabbricazione
dei mangimi composti. In conseguenza di ci, quando essa, nell'esportare
i mangimi composti in paesi terzi, chiedeva di fruire delle restitu2lioni
all'esportazione contemplate dall'art. 16 del regolamento del Consiglio
29 ottobre 1975, n. 2727, relativo all'organizzazione comune dei
mercati nel settore dei cereali (G. U. n. L. 281, pag. 1), tali restituzioni
le venivano negate per il motivo che detti mangimi contenevano prodotti
che non erano mai stati in 11ibera pratica IIlella Comunit, mentre
l'attribuzione delle restituzioni subordinata alla condizione che taH
materie prime siano originarie della Comunit o, quanto meno, si trovino
ivi in libera pratica.
5. -Nelle sentenze emesse il 5 luglio 1977 nelle cause 114/76, 116/76,
e 119-120/76 (Racc. 1977, pag. 1211), la Corte, pronunziandosi su talune
questioni pregiudiziali sottopostele da diversi giudici nazionali, dichiarava
che i!l regolamento del Consiglio n. 563/76 non era valido perch
il prezzo che si doveva corrispondere per il latte in polvere obbligatoriamente
acquistato era fissato in un importo talmente sproporzionato
rispetto alle condizioni del mercato da costituire una ripartizione
discriminatoria degli oneri tra i diversi settori agricoli e perch per
di pi tale obbligo non era necesswio per il raggiungimento dello
scopo perseguito, cio lo smaltimento delle giacenze di latte magro in
polvere.
6. -L'attrice nella causa principale -che non era parte nelle
controversie che avevano dato luogo all'adizione della Corte -ne ha
PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 295
dedotto che le cauzioni da lei prestate o finanziate non potevano essere
n richieste n, a maggior ragione, incamerate poich servivano soltanto
a garantire l'adempimento di un obbligo imposto illegittimamente;
Essa assume inoltre che, siccome ha importato da paesi terzi taluni
ingredienti dei mangimi composti da lei prodotti in regime di temporanea
importazione anzich in regime di libera pratica al solo scopo
di evitare il deposito dclrle suddette oauzioni, essa deve fruire delle
restituzioni all'esportazione dei mangimi composti come se detti in.
gredienti si fossero trovati in libera pratica nella Comunit. L'attrice
sostiene infine, in subordine, che le spettano comunque restituzioni per
i componenti cerealicoli -che sono di origine comunitaria -dei
prodotti che ha esportato. Essa esige dall'Amministrazione italiana la
restituzione e il versamento degli importi corrispondenti alle cauzioni
incamerate e, rispettivamente, alle restituzioni negate.
7. -Per risolvere tale controversia il giudice na:cionale ha sottoposto
a questa Corte le seguenti questioni:
1) se, ai sensi dell'art. 177 del Trattato, la dichiarazione di invalidit
di un regolamento comunitario abbia efficacia erga omnes ovvero
sia vincolante solo nei confronti del giudice a quo, con la precisazione
se possa o meno essere esteso in questo caso alla dichiarazione d:i Invalidit
il principio contenuto nella sentenza 27 marzo 1963 in cause 28,
29 e 30/62;
2) se, sempre nel secondo caso, sia invalido il regolamento 15 marzo
1976, n. 563, per gli stessi motivi di cui alla sentenza 5 luglio 1977
in cause 114, 116, 119 e 120/76;
3) ove sia esclusa la validit di detto regolamento, se discenda
dai principi ispiratori dell'ordinamento comunitario c)le debba intendersi
consentita o vietata o permessa entro determinati limiti o termini
la restituzione di quanto indebitamente versato dal privato e se,
in caso positivo, la pronuncia di invalidit comporti o meno per il
privato stesso la possibHit di ripetere, secondo il diritto interno dei
vari Stati, quanto in precedenza pagato sulla base della norma dichiarata
invalida e, in caso affermativo, se entro determinati limiti o
termini o a date condizioni, con particolare riferimento all'ipotesi iin
cui [a ripetizione riguardi rimborSli. effettuati a fornitori de1la parte che
agisce in giudizio;
4) se, con riferimento alle norme .comunitarie e, in particolare,
ai regolamenti 7 gennaio 1975, n. 192, della Commissione (G.U. n. L 25,
pag. 1), 29 ottobre 1975, n. 2727, del Consiglio (G.U. n. L 281, pag. 1),
29 ottobre 1975, n. 2743, del Consiglio (G.U. n. L 281, pag. 60), 26 marzo
1976, n. 677, della Commissione (G.U. n. L 81, pag. 23), 30 luglio 1976,
n. 1871, della Commissione (G.U. n. L 206, pag. 23), 31 agosto 1976,
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
n. 2141, della Commissione (G.U. n. L 240, pag. 17), e 30 settembre 1976,
n. 2372, della Commissione (G.U. n. L 268, pag. 17), sia da ritenersi
dovuta la restituzione per l'esportazione di mangimi composti Mmitatamente
ai soli componenti cerealicoli e se contrasti con i principi generali
desumibi
>, cio dall'obbligo di acquistare latte
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE
magro in polvere, i produttori di mangimi che importavano da paesi terzi
taluni ingredienti (quelli enumerati all'art. 3 del regolamento n. 563/76),
a condizione che i mangimi contenenti tali ingredienti venissero esportati
in paesi terzi.
29. -Tuttavia, in base all'art. 8, n. l, primo comma, del regolamento
della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, che stabilisce modalit di
applicazione delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli (G.U.
n. L 25, pag. 1), la restituzione all'esportaziione attribuita solo rper prodotti
che pr,ima di essere esportati si trovavano in libera pratica nella
Comunit.
30. -Il combinato disposto dell'art. 10, n. 2, del regolamento n. 677/76
e dell'art. 8, n. 1, del regolamento n. 192/75 permetteva ai produttori di
mangimi di scegliere tra due possibilit: fare mettere in libera pratica
gli ingredienti da essi importati, versando la cauzione o acquistando il
prescritto quantitativo di latte magro in polvere, ci che consentii.va loro
di fruire delle restituzioni all'esportazione in caso di successiva esportazione
dei mangimi di cui trattasi; oppure, importare gli stessi prodotti
in regime di controllo doganale -neHa fattispecie, in regime di
perfezionamento attivo -oi che consentiva loro di sottrarsi all'obbligo
di acouistare latte magro in polvere o di depositare la cauzione; in tal
caso, per, l'art. 8, n. l, del regolamento n. 192/75 ostava a che venissero
loro attribuite restituzioni all'esportazione.
31. -La quarta questione intesa in primo luogo a stabi>lire se,
tenuto conto del fatto che l'attrice nella causa p11incipale ha fatto ricorso
al sistema dell'importazione sotto controllo doganale, consentito dal
precitato art. 10, n. 2, al solo scopo di sottrarsi ad un obbligo di acquisto
dichiarato illegittimo, si debba concludere ch'essa ha ugualmente diritto
aHe restituzioni all'esportazione, come se avesse soddisfatto la condizione
stabilita dall'art. 8, n. 1.
32. -Questa parte della quarta questione va risolta in senso negativo.
Infatti, n l'invalidit del regolamento n. 563/76, n tampoco. l'invalidit
eventuale del regolamento n. 677/76, adottato per l'attuazione
del primo, possono avere l'effetto di pregiudicare in qualsiasi modo l'efficacia
vincolante dell'art. 8, n. l, del regolamento n. 192/75, a norma
del quale la restituzione attribuita solo per prodotti che pvima di essere
esporti:i.ti si trovavano in libera pratica nella Comunit.
33. -La quarta questione mira in secondo luogo a stabilire se,
prescindendo da qualunque consideraziione relativa alle conseguenze dell'invalidit
del regolamento n. 563/76, l'attrice nella causa principale non
avesse diritto a restituzioni all'esportazione in base all'art. 8, n.. l, terz
comma, del regolamento n. 192/75, a termini del quale, all'esportazione
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
di prodotti composti che beneficiano di una restituzione fissata per uno
o pi componenti, la restituzione relativa ai componenti concessa soltanto
se il componente o i componenti per i quali richiesta la restituzione
si trovano in una delle situazioni di cui all'articolo 9, paragrafo 2,
del Trattato (cio in libera pratica).
34. -L'attrice nella causa principale sostiene che, in base alla citata
disposizione, la restituzione all'esportazione 1e spetta almeno per quegli
ingredienti dei mangimi composti da essa esportati che non erano stati
importati da paesi terzi, ma erano originari della Comunit, e pi precisamente
per i componenti cerealicoli dei suddetti mangimi.
35. -Tale interpretazione dell'art. 8, n. 1, terzo comma, va respinta.
Questa disposizione contempla unicamente l'ipotesi dell'esportazione di
prodotti composti che, in quanto tali, non fruiscano di restituzioni alla
esportazione, ma che contengano determinati ingredienti che, dal canto
loro, fruiscono di una restituzione. Ci risuJta chiaramente dal testo
stesso della disposizione di cui trattasi, che si riferisce espressamente
alle restituzioni fissate per uno o pi componenti del prodotto composto.
36. -Detta disposizione non concerne quindi il caso del prodotto
composto che, in quanto tale, cio nel suo insieme, fruisce di una restituzione
all'esportazione. In questo caso, l'art. 8, n. l, primo comma,
che stabilisce le condizioni per l'attribuzione della restituzione, da cui
risulta che tutti i componenti del prodotto devono essere originari della
Comunit o esservi stati messi in libera pratica.
37. -I mangimi composti sono compresi nella sottovoce 23.07 B
~:!ella Tariffa Dogana,le Comune. La restituzione all'esportazione, sebbene
~alcolata in funzione del cm1tenuto di prodotti cerealicoli, , per quanto
li concerne, fissata per il prodotto nel suo insieme, di guisa che, per
fruirne, il prodotto deve soddisfare la condizione stablita dall'art. 8, n. 1,
primo comma.
38. -La quarta questione va pertanto risolta come segue:
a) la declaratoria dell'invalidit del :regolamento n. 563/76 non
giustifica deroghe, individuali o generali, al principio stabilito all'art. 8,
n. 1, primo comma, del regolamento n. 192/75;
b) l'art. 8, n. 1, terzo comma, di questo regolamento concerne unicamente
il caso dei prodotti composti che, come ta:li, non possono fruire
di :restituzioni all'esportazione mentre taluni loro componenti possono
fruirne. Esso non concerne il caso dei prodotti composti che, come
tali, fruiscooo di una restituzione ed ai quali si applica la condizione
stabilita daH'art. 8, n. 1, primo comma. (omissis). =
~~
~'.
11
i:
~~
(;
i:
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 303
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 27 maggio 1981,
nelle cause riunite 142 e 143/80. -Pres. Mertens de WHmars -Avv.
Gen. Capotorti -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla
Corte d'appello di Milano nelle cause Amministrazione delle finanze
c. Essevi s.p.a. e c. Impresa Carlo Salengo -Interv.: Governo italiano
(avv. Stato Conti) e Commissione delle C.E. (ag. Abate).
Comunit europee -Violazioni del trattato CEE -Contestazione -Procedimento
-Parere motivato della Commissione -Efficacia giuridica.
(Trattato CEE, artt. 155, 169).
Comunit europee Unione doganale -Libera circolazione delle merci
Disposizioni fiscali interne .discriminatorie Regime fiscale degli alcoli Diritto
erariale sulle acquaviti di vino.
(Trattato CEE, art. 95; r.d.l. 27 aprile 1936, n. 635; d.!. 6 ottobre 1948, n. 1200; legge10 maggio 1976, n. 249).
Comunit europee Unione doganale Libera circolazione delle merci Disposizioni
fiscali interne discriminatorie Abolizione non oltre l'inizio
della seconda tappa del periodo transitorio -Efficacia diretta -Inammissibilit
di deroghe.
(Trattato CEE, art. 95).
Comunit europee Unione doganale Libera circolazione delle merci
Disposizioni fiscali interne discriminatorie -Abolizione -Efficacia
dketta Presa di posizione favorevole della .Commissione -Legittimo
affidamento dello Stato membro -Insussistenza.
(Trattato CEE, art. 95).
Comunit europee Unione doganale -Tributi discriminatori indebitamente
riscossi Traslazi;>ne sugli acquirenti Restituzione -Limiti.
(Trattato CEE, art. 95).
I pareri emessi dalla Commissione delle C.E. ai sensi dell'art. 169
del trattato CEE hanno efficacia giuridica soltanto in relazione al ricorso
per inadempimento proposto alla Corte contro lo Stato interessato. La
Commissione non pu, mediante prese di posizione nell'ambito del relativo
procedimento, esonerare lo Stato membro dagli obblighi ad esso
incombenti o pregiudicare i diritti spettanti ai singoli in forza del trattato
(1).
Costituisce una discriminazione vietata dall'art. 95 del trattato CEE
un sistema di tassazione dell'alcool, che subordini la concessione di una
esenzione fiscale o l'applicazione di un'aliquota ridotta alla possibilit di
un controllo della produzione nell'ambito del territorio nazionale, in
(1-5) Ili regime fiscale a1 quale si riferisce la decisione in rassegna a:ttuailmerite
superato per effetto dell'art. 20 del d.l. 18 marzo 1976, n. 46 convertito nella
legge 10 maggio 1976, n. 249 (che sancisce la completa equiparazione, agli effetti
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
304
quanto esso pone una condizione che non pu essere soddisfatta dai
prodotti similari importati da altri Stati membri e ha l'effetto di escludere
a priori questi prodotti dal godimento dell'agevolazione fiscale in
questione e di riservare tale agevolazione ai prodotti nazionali (2).
A norma del terzo comma dell'art. 95 del trattato CEE, il divieto
di .discriminazione sancito dai primi due comma dello stesso articolo ha
dell'applicazione del diritto erariale sugli alcoli, dei prodotti interni e di quelli
importati dagli altri Paesi membri della Comunit).
Conservano, tuttavia, un notevole interesse i principi generali affermati dalla
Corte, e, in particolare, quelli attinenti ai rapporti fra l'art. 95 del Trattato CEE
(divieto di discriminazione fiscale) e gli artt. 92 e 93 (disciplina degli aiuti).
La tesi sostenuta dall'Amministrazione delle Finanze, in questa e in analoghe
cause, si fondava sulla qualificazione dell'esonero dal diritto erariale (concesso anteriormente
al d.l. n. 46/76 -alle sole acquaviti di vino di produzione nazionale)
come un aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato, costituente parte integrante
di un complesso sistema di interventi nel mercato dei prodotti agricoli. Da questa .
qualificazione si faceva discendere la conseguenza che l'eventuale incompatibilit
dell'esonero con mmercaito comune avrebbe potuto essere aippl'ezzata so1tant'O dail1a
Comoossione, nell'ambito delJ prooedimento disai)pJ:inato dal:l!art. 93, par. l e 2,
del Trattato. Orbene, la Commissione, non soltanto non aveva emesso alcuna
decisione di soppressione della misura di cui si tratta, ma ne aveva, anzi, esipressamente
riconosciuto, in pi occasioni, la compatibilit.
Taile tesi era staita pienamente accolta dalla Co!'te di cassaziione (sez. un.,
1~ marzo 1979, n. 1317 e n. 1321). La Corte di Giustizia l'ha, invece, respinta, affermando,
in termini generali e di principio, che, secondo il sistema del Trattato,
gli aiuti non potrebbero mai consistere in esoneri fiscali accordati ai soli prodotti
interni. Discriminazioni fiscali di tal genere rientrerebbero nell'ambito della disciplina
dell'art. 95, e non in quello degli artt. 92 e 93.
La decisione nella sua assolutezza non appare convincente.
L'art. 92 si riferisce a tutti gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante
risorse statali, sotto qualsiasi forma,. per favorire talune imprese o talune
produzioni. Non sembra contestabile, perci, che la sfera di applicazione della
disciplina degli aiuti abbracci tutte indistintamente le forme nelle quali pu
esprimersi l'intervento statale volto a sussidiare sia la produzione che la distribuzione
di determinati beni.
Pu trattarsi, cio, di sovvenzioni dirette, di agevolazioni creditizie, di concessioni
di garanzie, e anche di agevolazioni fiscali, costituendo anzi queste ultime
una delle forme pi frequenti in cui gli aiuti statali si presentano. Naturalmente
non ogni regime fiscale differenziato costituisce un aiuto, ma certamente rientrano
in tale nozione i provvedimenti specifici che derogano alla regolamentazione
generale dei carichi di imposta per favorire talune attivit o imprese.
Come ebbe ad osservare l'avvocato generale Capotorti nelle conclusioni
presentate nella causa 148/77 (HANSEN, in Racc., 1978, 1810) non vi dubbio che
un trattamento fiscale di favore, riservato a certe categorie di imprese rispetto
alla generalit dei produttori del settore, pu costituire un aiuto ai sensi dell'art.
92. La nozione di aiuto statale , in effetti, molto larga, e comprende non
solo i casi in cui lo Stato d a talune imprese denaro, beni o servizi a condizioni
particolarmente favorevoli, ma anche i casi in cui ,lo Stato rinuncia, in tutto ,
o in parte, a beneficio di certe imprese, ai propri introiti fiscali. Un sistema di
imposte di consumo a tasso ridotto come quello in esame, supposto che abbia,
per le caratteristiche sopra indicate, carattere discriminatorio, sembra atto a
........................... ------z~.r.-rc J:
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 305
prodotto pienamente i suoi effetti a partire dal 1 gennaio 1962. Uno
Stato membro non poteva pi essere autorizzato a mantenere, dopo tale
data, una discriminazione fiscale preesistente nel regime vigente per
l'importazione delle acquaviti originarie di altri Stati membri (3).
Il divieto di discriminazione sancito dall'art. 95 del trattato CEE
ha efficacia diretta e uno Stato membro non pu invocare, -per negare,
fino alla sentenza interpretativa della Corte di Giustizia, la restituzione
di tributi indebitamente riscossi in forza di un sistema di disposizioni
fiscali interne discriminatorio -, esigenze di certezza del diritto o l'esisistenza
di una situazione di legittimo affidamento, se -il mantenimento
falsare la concorrenza nel mercato comune e ad incidere sugli scambi fra gli
Stati membri. Esso rientra quindi nell'ambito dell'art. 92, par. 1.
Lo sgravio fiscale che era accordato in Italia alle imprese nazionali produttrici
di acquaviti di vino aveva, appunto, tutte le caratteristiche dell'aiuto rivolto ad
assicurare la permanenza e lo sViluppo di questo settore produttivo, considerato
sia in s che, soprattutto, come sbocco della produzione vinicola nazionale. Si
trattava, cio, di una tipica forma di sostegno di una determinata produzione
nazionale importante per assicurare l'equilibrio di un intero settore di mercato.
Non sembra, perci, che potessero sussistere ostacoli di principio ad ammettere
che essa rientrasse nell'ambito di applicazione degli art. 92 e 93 del Trattato.
Appare chiaro, poi, che l'applicabilit degli artt. 92 e 93 avrebbe dovuto
portare ad escludere l'applicazione dell'art. 95. Ha osservato, infatti, l'avvocato
generale Capotorti nelle gi richiamate conclusioni nella causa 148/77:
Quanto al criterio distintivo fra gli aiuti consistenti in riduzioni d'imposta
e le imposizioni discriminatorie di cui si occupa l'art. 95, la disciplina degli
aiuti degli Stati, compresa nel capo delle regole di concorrenza, presenta caratteri
peculiari cos rispetto alla disciplina della libera circolazione delle merci,
come rispetto alle disposizioni fiscali del Trattato. Tali aiuti, riservati di regola
alle imprese nazionali, sono per loro natura discriminatori; ma la loro eventuale
ammissibilit, sulla base degli artt. 92-94, dovrebbe escludere, a mio avviso, che
essi siano valutati al tempo stesso alla luce del divieto generale di discriminazione
in materia fiscale >>.
Anche la Commissione si sempre attenu1la a questo criterio. Pu ricordarsi,
in proposito, la risposta all'interrogazione scritta n. 78/69 presentata dall'on.
Vredeling (in G.U.C.E. 1%9, n. C. 102/2), nella quale chiaramente si afferma
che, ove un regime fiscale di favore costituisca un aiuto, esso non pu rientrare
nel campo di applicazione dell'art. 95, ma viene a cadere esclusivamente sotto il
disposto dell'art. 93, e in particolare del paragrafo 1. E anche di recente, nelle
osservazioni presentate nella causa 91/78 (HANSEN) la Commissione ha ribadito
che la reciproca e generale relazione tra gli artt. 95 e 92 si traduce nel fatto
che esclusivamente gli artt. 92 e seguentd. vanno appLicaiti a sgravi fisca!li che ;nientmno
nehl'art. 92 !in quanto hanno lo scopo di favo11iire talune fumprese o .ta1UDI
prodotti. Stando cos le cose, senz'altro possibile che differenziazioni nell'onere
tributario, attraverso le quali vengano favoriti determinati produttori nazionali,
vadano valutate alla luce degli artt. 92 e segg. .
Non sembra possibile contestare, in effetti, che, ove si tratti di aiuti consistenti
in sgravi d'imposta, ammettere l'applicabilit dell'art. 95 equivarrebbe a
svuotare completamente di contenuto gli artt. 92 e 93, che non potrebbero trovare,
almeno per questo frequentissimo tipo di aiuti, alcun margine residuo di operativit.
Fin dall'inizio della seconda tappa, l'art. 95 vieta in modo assoluto e incon
5
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO
306
del sistema stato avallato da una presa di posizione favorevole della
Commissione delle C.E., allorch, contemporaneamente, la compatibilit
stessa del sistema con il trattato ha formato oggetto di incertezze, tanto
sul piano comunitario che su quello nazionale (4).
La tutela dei diritti garantiti dall'ordinamento giuridico comunitario
non esige che si conceda la restituzione dei tributi, indebitamente riscossi,
in condizioni tali da causare l'indebito arricchimento degli aventi diritto:
nulla impedisce, quindi, dal punto di vista del diritto comunitario,
che i giudici nazionali tengano conto, conformemente al proprio diritto
interno, della possibilit che i tributi indebitamente percepiti siano stati
incorporati nei prezzi dell'impresa assoggettata al pagamento e trasferiti
sugli acquirenti (5).
dizionato qualunque imposizione interna di carattere discriminatorio. Esso non
conferisce, a differenza degli artt. 92 e 93, alcun potere discrezionale alla Commissione
e al Consiglio, n contempla, in favore degli Stati membri, alcuna facolt
paregonabiDe ail1a ipossibilit, PQevista dalll!'al't. 93, n. 2, di modificaire un ,aiuto
anzich abolirlo. La contemporanea applicazione di due discipline ad un medesimo
sgravio fiscale , perci, da escludere, non essendo logicamente possibile che lo
sgravio di cui si tratta sia, al tempo stesso, assolutamente vietato e suscettibile
di autorizzazione.
N, d'altra parte, sembra esatta l'affermazione secondo cui, mentre l'art. 92:
espressamente si riferisce agli aiuti concessi sotto qualsiasi forma >>, proprio le
riduzioni d'imposta, che costituiscono una delle modalit pi frequentemente
utilizzate per favorire determinate imprese o produzioni, sarebbero del tutto
escluse dal campo di applicazione della disciplina degli aiuti per rientrare
esclusivamente in quello dell'art. 95. Come ha osservato l'avvocato generale Warner
nelle conclusioni presentate nelle cause 74/76 e 78/76, (in Racc., 1977, '579) con
riferimento all'analogo problema dei rapporti fra l'art. 92 e l'art. 30, accogliere
tale punto di vista sarebbe come pretendere di adoperare uno strumento inservibile
al posto dello strumento di precisione che gli autori del Trattato hanno
elaborato per la materia di cui trattasi '"
Anche agli aiuti consistenti in sgravi fiscali sembra doversi, in realt,
applicare lo strumento di precisione degli artt. 92 e 93. E da ci inevitabilmente
discende l'inapplicabilit della disciplina, logicamente e praticamente
incompatib~le, dell'art. 95.
Sul divieto di disposizioni fiscali interne discriminatorie di cui all'art. 95 del
trattato, in relazione alla tassazione degli alcoli, cfr., da ultimo, le sentenze della
Corte di giustizia 27 febbraio 1980, in causa 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA, in questa
Rassegna, 1980, I, 272, e 14 gennaio 1981, nella causa 140/79 CHEMIAL FARMACEUTICI
s.p.a., ibidem, ante, 47, entrambe non note.
Sulla quinta massima cfr. le precedenti sentenze della Corte 27 marzo 1980,
nella causa 61/79, DENKAVIT, e nelle cause 66, 127 e 129/79, MERIDIONALE INDUSTRIA
SALUMI s.r.l., in questa Rassegna, 1980, I, 534, con nota di MARZANO, La restituzione
di somme indebitamente riscosse come forma di risarcimento rilevante nell'ambito
dell'ordinamento comunitario, la sentenza 10 luglio :1980, nella causa 825/79,
MIRECO s.a.s., ididem, 7430, e le sentenze ivi citate in nota, nonch la sentenza
13 maggio 1981, nella causa 66/80, !NTERNATIONAL CHEMICAL CORPORATION, in questo.
num'ero, pag. 290.
PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 307
(omissis) 1. -Con due ordinanze in data 19 febbriaio 1980, pervenute
in cancelleria il 12 giugno successivo, la Corte d'appello di Milano ha sottoposto
a questa Corte, in forza dell'art. 177 del T'rattato CEE, talune
questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 95 e 169
del Trattato CEE, al fine di st,abilire se il mantenimento in vigore,
da parte della legislazione italiana, di un regime d'imposizione differenziata
in materia di tassazione delle acquaviti di vino sia compatibile
col Trattato.
2. -Dal fascicolo risulta che le due societ appellate nelle cause
principali importavano, durante un periodo che va, per la prima, dal
1 marzo 1962 al 1 dicembre 1967 e, per la seconda, dal 18 aprile
1960 al 25 ottobre 1971, cognac di origine francese, sul quale esse
pagavano i tributi stabiliti dalla legge per l'alcool etilico di prima
categoria, e cio per gli alcolici privi di determinati requisiti di
provenienza e di fabbricazione ovvero, in quanto prodotti fuori del
territorio dello Stato, non suscettibili di controllo nella fase di lavorazione.
2. -Le appellate nelle cause principali, che avevano adito il Tribunale
di Milano per chiedere la restituzione delle somme versate,
allegando la violazione dell'art. 95 del Trattato CEE durante i periodi
sopra 'indicati, ottenevano, con sentenze rispettivamente datate 26 gennaio
e 1 giugno 1978, la condanna dell'Amministrazione italiana delle
finanze alla restituzione dei tributi indebitamente riscossi.
4. -Il 31 agosto 1978, la suddetta Amministrazione interponeva
appello contro tali sentenze e, nel corso del procedimento, si richiamava
alla giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione, che,
nelle sentenze 1 marzo 1979, nn. 1317, 1318 e 1321, aveva Ticonosoiuto
la legittimit, nei confronti del diritto comunitario, del sistema impositivo
contestato. In tal sede, l'Amministrazione faceva valere ohe la
Commissione delle Comunit Europee, con parere 28 febbraio 1969,
aveva riconosciuto alla Repubblica italiana la facolt di applicare il
tributo in questione come strumento della sua politica agricola nel
settore degli alcolici e di mantenere provvisoriamente in vigore il
contestato regime d'imposizione differenziata. Essa sosteneva che, in
tale parere, la Commissione aveva espressamente riconosciuto detto
regime come un aiuto compatibile con le norme comunitarie, di
guisa che doveva considerarsi legittima la riscossione del diritto erariale
sui prodotti aikolici importati dalla Francia.
5. -La Corte d'appello considera che i summenzionati elementi
non sono sufficienti per risolvere il problema dinanzi ad essa sollevato.
Essa osserva che, sebbene la Commissione avesse ammesso, nel
308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
parrere 28 febbraio 1969, fa possibilit, per l'Itallia, di mantenere in vigore
ed applicare il regime fiscale di cui trattasi come strumento della
sua politica agricola, dopo tale data sono intervenuti vari fatti nuovi.
In proposito essa ricorda la sentenza emessa da questa Corte il
15 ottobre 1969 (causa 16/69, Commissione c/ Italia, Racc. pag. 377),
nella quale si affermava che ,le acquaviti, i liquori e le alt:re bevande
alcoliche non sono prodotti agricoli ai sensi del Trattato; la sentenza
10 dicembre 1974 (causa 48/74, Cha:rmasson, Racc. pag. 1383), nella
quale questa Corte si pronunciava nel senso che sono incompatibili
col merca:to comune, dopo la scadenza del periodo transitorio, gli
ostacoli frapposti agli scambi fra Stati membl1i, anche quando tali
ostacoli fanno parte di un'organizzazione nazionale di mercato; infine,
il parere motivato rivolto dalla Commissione alla Repubblica italiana il
31 luglio 1978, in merito al trattamento fiscale differenziato per quanto
riguarda l'applicazione sia del diritto erariale sia dell'imposta di fabbricazione.
6. -Tenuto conto di questi elementi nuovi, nonch degli argomenti
dinanzi a!d essa svolti dalll'Amministrazione, ila Corte d'aippehlo
ha chiesto a questa Corte di stabilire in via pregiudiziak:
-previa la determinazione dell'efficacia da attribuirsi ai pareri
sopra espressi dalla Commissione ai sensi dell'art. 169 del Trattato
istitutivo della CEE; se l'Italia, applicando alle acquaviti di vino importate
da altri Stati membri un sistema di tassazione comprendente
il diritto erariale nella misura di lire 60.000 a ettanidro (dal marzo
1976, lire 90.000), non previsto e non applicato al prodotto nazionale
similare, ha violato l'art. 95 del Trattato;
-se, dopo l'inizio dell:a seconda tappa, prevista dal terzo comma
dell'art. 95 qua:le termine ultimo per l'abolizione delle norme interne
in contrasto con il principio della parit tributaria stabilito nei commi
primo e secondo dello stesso articolo, potesse essere ammesso, in
via ,di deroga, il mantenimento, per l'Italia, di una preesistente discriminazione
nell'importazione dell'acquavite di vino.
Su taluni antefatti delle presenti cause.
7. -Dai documenti prodotti in causa dal Governo italiano risulta
che, 1'8 maggio 1968, la Commissione aveva inviato al Ministro italiano
degli affari esteri una lettera del seguente tenore:
La prego di voler sotroporre all'1attenzione del Governo italiano
quanto segue in materia di imposte sull'alcool.
La legisfazione fiscale italiana in materia di imposte sull'alcool
prevede che gli alcooli paghino un diritto erariale di 60.000 Lire/hl di
alcool puro e un'imposta di fabbricazione di 60.000 Lire/hl di alcool
PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE
puro. Numerose riduzioni sono previste a favore di alcuni prodotti,
tra cui le acqueviti di vino e di vinaccia. Queste acqueviti sono esenti
dal diritto erariale e pagano l'imposta di fabbricazione nella misura
di 53.000 Lire/hl per le acqueviti di vino e di 50.000 Lire/hl per le
acqueviti di vinaccia.
Ora, le acqueviti di vino e di vinaccia importate assolvono H diritto
erariale nella misura di 60.000 Lire/hl di alcool puro e l'imposta
di fabbricazione nella misura di 60.000 Lire/hl di alcool puro.
Tale imposizione differenziata, a detrimento dei prodotti importati,
contraria all'articolo 95 del Trattato.
(omissis).
Con lettera del 4 novembre 1965 la Commissione ha gi inviato
al Governo italiano le sue osservazioni su questi problemi. Con lettera
della Rappresentanza permanente italiana presso le Comunit
Europee, in data 12 febbraio 1966, il Governo italiano ha fatto conoscere
alla Commissione il suo parere. Secondo il Governo italiano le
imposizioni differenziate, in materia di ailcool, avrebbero [O scopo di
permettere la coesistenza delle diverse sostanze per la fabbricazione
di alcool e per ci stesso di assicurare lo smercio di talune materi
prime alcooligene agricole. Di conseguenza l'abolizione di questo regime
differenziato potrebbe essere prevista solo quando gli interessi
agricoli italiani di questo settore fossero rpresi in carico, nel quadro
della politica agricola comune in materia di alcool. D'altra parte, le
autorit italiane fanno presente che discriminazioni, come minimo, altrettanto
rilevanti esistono negli altri Stati membri, quali quelle risultanti
dail.J.'esistenza dei monopoli in Fmncia e in Germania.
La Commissione non intende affatto negare l'esistenza dei problemi
agricoli posti dall'alcool in Italia. Ritiene, pertanto, che 1e imposizioni
differenziate, previste dalla legislazione italiana e dovute all'applicazione
del diritto erariale, pos,sono sussistere provvisoriamente,
dato che H diritto erariale costitruisce, in un certo senso, lo strumento
della politica agricola italiana in materia di alcool, permettendo agli
alcooli di qualsiasi origine di trovare smercio sul mercato quale che
sia il costo della materia prima.
Le esigenze agricole, tuttavia, non giustif.<:ano tutte le suddette
differenze di imposizione tra prodotti nazionali e prodotti importati;
le necessit agricole sono gi a carico del diritto erariale, pagato dai
soli prodotti importati. Ne risulta che considerazioni di carattere
agricolo non possono essere invocate anche per l'imposta di fabbricazione,
al fine di giustificare le imposizioni differenziate a detrimento
delle acqueviti di vino e di vinaccia importate e dei prodotti similari
al vermouth e al marsala importati.
Per questi motivi, la Commissione ritiene che la Repubblica italiana
ha mancato agli obblighi che le sono imposti dal Trattato per
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
quanto riguarda la riduzione dell'imposta di fabbricazione sulle acqueviti
di vino e di vinaccia e la riduzione dell'imposta di fabbricazione
sull'alcool utilizzato per la fabbricazione del vermouth e del
marsala. La Commissione, pertanto, invita .il Governo della Repubblica
italiana, a norma dell'art. 169 del Trattato, a voler farle conoscere le
proprie osservazioni sul punto di vista in merito a quanto ha l'onore
di sottoporgli, entro il termine di un mese dalla ricezione della presente
lettera. La Commissione si riserva di emettere, se necessario,
dopo aver preso conoscenza di dette osservazioni, il parere motivato
previsto dall'art. 169 .
8. -Poich il Governo italiano non dava seguito alle richieste
della Commissione, questa formulava nei seguenti termini, il 28 febbraio
1969, un parere motivato ai sensi dell'art. 169 del Trattato, in
merito alle imposte di consumo sull'alcool :
In Italia, gli alcoli nazionali sono soggetti al diritto erariale di
60.000 lire per ettolitro d'alcole puro e all'imposta di fabbricazione di
60.000 lire per ettolitro d'alcole puro. Sono previste numerose riduzioni,
in parrticolare per le aoquaviti di vino e di vinaocia, ohe sono
esentate dal diritto erariale e soggette all'imposta di fabbricazione di
53.000 lire per le acquaviti di vino e 50.000 lire per le aoquaviti di
vinaccia.
Le acquaviti di vino e di vinaccia importate in Italia sono invece
soggette al diritto erariaile di 60.000 Hre rper ettolitTO di alcOile puro
e all'imposta di fabbricazione di 60.000 lire per ettolitro di alcole
puro. (omissis).
Fin dal novembre 1965 la Commissione ha richiamato l'attenzione
del Governo italiano sul carattere discriminatorio di questo regime.
Successivamente, con >lettera... de11'8 maggio 1968, la Commissione
ha avviato la procedura di cui all'articolo 169 del Trattato CEE per
violazione dell'articolo 95 di detto Trattato. Nella sua risposta, mediante
lettera del 23 luglio 1968 della Rappresentanza permanente
dell'Italia, il Governo italiano ha informato la Commissione che non
intendeva sopprimere le tassazioni differenziali in questione fintan-i
toch non si fosse provveduto a modificare i monopoli nazionali esistenti
in Germania ed in Francia e non fosse stata istituita una politica
agraria comune per questo settore. (omissis).
La argomentazioni addotte non sono di natura tale, a parte un
unico punto, da mettere in discussione la fondatezza del punto di
vista espresso dalla Commissione nella sua lettera de11'8 maggio 1968.
Va anzitutto rilevato che in nessun caso gli Stati membri possono
addurre le infoazioni di uguale natura compiute da altri Stati membri
per sottrarsi agli obblighi che derivano loro dalle disposizioni del
Trattato.
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE
Quanto all'argomento secondo cui l'Italia attua fa sua politica
agraria in materia di alcole ricorrendo all'imposta e potr modificare
la sua posizione soltanto nel quadro dell'attuazione di una politica
comune in materia di alcoli, Ja Commissione ha gi ammesso, nella
succitata lettera dell'8 maggio 1968, che l'Italia poteva effettivamente
applicare l'imposta come strumento della sua politica agraria in tale
settore e mantenere provvisoriamente, in tale quadro, le tassazioni
differenziali sino a concorrenza dell'importo di 60.000 lire per ettolitro
d'alcole puro derivanti dall'applicazione del diritto erariale. Il ricorso
a siffatte differenziazioni consente idi smericiare gli alcoli ad un
prezzo pi o meno uniforme, qualunque s.ia il loro prezzo di costo .
9. -Nello stesso parere motivato, fa Commissione constatava
un inadempimento relativo a vari altri aspetti del regime fiscale in
questione, a prescindere dal diritto erariale. Da notare che questo
parere motivato non portava ad un ricovso dinanzi alla Corte.
10. -Il 31 luglio 1975 la Commissione inviava al Governo italiano,
in forza dell'art. 169, primo comma, una nuova comunicazione nella
quale venivano formulate, dal punto di vista del divieto di discriminazione
di cui all'art. 95, talune critiche nei confronti del regime fiscale
vigente in Italia per gli alcolici, relativamente all'imposta di
fabbricazione, al diritto erariale normale e al diritto erariale speciale,
e nella quale si chiedeva al Governo italiano di abolire le discriminazioni
che detto regime implicava nei confronti dei prodotti importati
da altri Stati membri.
11. -Poich le autorit italiane non davano seguito a questo
nuovo intervento con piena soddisfazione della Commissione, questa
formulava, il 31 luglio 1978, un parere motivato in merito al trattamento
fiscale differenziato per quanto riguarda l'applicazione della
imposta di fabbricazione e del diritto erariale sugli alcool. Neppure
a questo parere motivato faceva seguito un ricorso alla Corte.
12. -Nel presente procedimento, il Governo italiano ha sostenuto
la tesi secondo cui il regime impositivo in questione non
altro, in realt, che un aiuto a favore dell'agricoltura, concesso sotto
forma di agevolazione fiscale riservata alla produzione nazionale. A
suo avviso, questo regime di aiuto stato autorizzato col parere motivato
28 febbraio 1969 e, in mancanza di qualsiasi atto contrario, tale
autorizzazione sussiste tuttora e, in quanto legittima, non pu essere
disattesa dai giudici nazionali. Anche in mancanza di autovizzazione,
l'aiuto -preesistente all'entrata in vigore del Trattato -potrebbe
essere mantenuto ai sensi dell'art. 93.
312
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
Sulla portata delle prese di posizwne e dei pareri emessi dalla Commissione
nell'ambito del procedimento di cui all'art. 169.
13. -Le questioni formulate dalla ,corte d'appello mirano in
primo luogo a stabilire quali silano, sul piano giuridico, la portata e
il valore dei pareri emessi dalla Commissione nell'ambito del procedimento
disciplinato dall'art. 169 del Trattato per ! ricorsi relativi
a inadempimento da parte di uno Stato. Pi precisamente, si tratta
di determinare quale possa essere l'efficacia giuridica di un'assicurazione
del genere di quella fornita dalla Commissione nella lettera di
messa in mora in data 8 maggio 1968 e nel parere 28 febbraio 1969,
emesso in forza deWart. 169 del Trattato, parere che autorizzava l'Italia
a mantenere provvisoriamente un regime di imposizione differenziata
>>.
14. -L'art. 169 dispone che la Commissione, quando reputi che
uno Stato membro abbia mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti
in forza del Trattato, emette un parere motivato al riguardo,
dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue
osservazioni. Esso aggiunge che, qualora lo Stato in causa non s!.
conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa
pu adire la Corte di giustizia.
15. -Lo scopo di questo procedimento preliminare, che s1 mquadra
nell'ambito generale della mdssione di vigilanza affidata alla
Commissione dall'art. 155, primo trattino, anzitutto quello di dar
modo allo Stato membro di giustificare la propria posizione ed eventualmente
di consentire alla Commissione di indurre lo Stato membro
a conformarsi volontariamente alle esigenze del Trattato. Qualora tale
sforzo di accomodamento non sia coronato da successo, hl parere motivato
serve a definire l'oggetto della controversia.
16. -Per contro, la Commissione non ha il potere di stabilire in
modo definitivo, con i pareri formulati ai sensi dell'art. 169 o mediante
altre prese di posizione nell'ambito del relativo procedimento,
i diritti e gli obblighi dello Stato membro interessato, o di dare a
questo garanzie relative alla compatibilit col Trattato di un determinato
comportamento. Secondo il sistema istituito dagli artt. 169-171
del Trattato, la determinazione dei diritti e degli obblighi degld Stati
membri e il giudizio sul loro comportamento possono riisultare unicamente
da una sentenza della Corte.
17. -A maggior ragione, la Commissione non pu, nelle prese di
posizione e nei pareri che sia portata ad emettere ai sensi dell'art. 169,
dispensare uno Stato membro dal rispetto degli obblighi ad esso incombenti
in forza del Trattato. Assicuraziioni in tal senso non possono,
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE
in particolare, avere l'effetto di impedire agli amministrati di far
valere in sede giurisdizionale, contro atti legislativi o amministrativi
di uno Stato membro che siano incon1patibili col diritto comunitario,
diritti loro attribuiti dal Trattato.
18. -La prima delle questioni .formulate dal giudice a quo va
quindi risolta affermando che i pareri emessi daHa Commissione ai
sensi dell'art. 169 hanno efficacia giuri.dica soltanto in relazione al
ricorso per inadempimento proposto alla Corte contro lo Stato iinteressato,
e che la Commissione non pu, mediante prese di posizione
nell'ambito del relativo procedimento, esonerare lo Stato membro dagli
obblighi ad esso incombenti o pregiudicare i diritti spettanti ai
singoli in forza del Trattato.
Sulla compatibilit con l'art. 95 di un regime d'imposizione differenziata
dell'alcool.
19. -La seconda del1e questioni sottoposte alla Corte intesa a
stabilire se uno Stato membro possa applicare ai prodotti alcolici
originari di altri Stati membri un tributo dal quale i prodotti nazionali
similari sono, in tutto o in parte, esenti.
20. -Dalle ordinanze di rinvio risulta che iI rapporto di similarit,
ai sensi dell'art. 95, fra il prodotto importato (nella fattispecie,
cognac d'origine francese) e il prodotto nazionale concorrente (nella
fattispecie, acquavite di vino o di vinaccia) non contestato. Secondo
le indicazioni fornite dal Governo italiano, la differenza di trattamento
fiscale fra l'una e l'altra merce risulta dal fatto che l'alcool importato,
classificato come alcool di prima categoria, in quanto tale
integralmente gravato dall'onere del tnibuto, mentre i conrispondenti
alcool di produzione nazionale sono esenti dal diritto erariale, dal momento
che rientrano nella seconda categoria, nella quale possono
essere classificati soltanto prodotti suscettibili di controllo, nella fase
della lavorazione, nel territorio dello Stato italiano.
21. -Come questa Corte ha affermato in una giurisprudenza costante
(cfr., da ultimo, la sentenza 14 gennaio 1981, causa 140/79, S.A.
Chemial Farmaceutici), il diritto comunitario non limita, nello stadio
attuale della sua evoluzione, la libert di ciasclltilo Stato membro di
istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in fwnzione
di criteri obiettivi, quali la natura delle materie prime impiegate
o i procedimenti di fabbricazione seguiti. Siffatte differenziazioni
sono compatibili col diritto comunitario purch perseguano scopi di
politica economica compatibili, anch'essi, con gli imperativi del Trattato
e del diritto derivato, e le loro modalit siano tali da evitare qual
314 RASSEGNA DELeA:VVOCATURA DELLO STATO
siasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, nei confronti dei
prodotti importati dagli altri Stati membri, o di protezione a favore
di prodotti nazionali concorrenti.
22. -Ora, il fatto di subordinare la concessione di un'esenzione
fiscale o l'applicazione di un'aliquota ridotta alla possibilit di un
controllo della produzione nell'ambito del territorio nazionale costituisce
una condizione che, per ipotesi, non pu essere soddisfatta dai
prodotti similari importati da altri Stati membri. Una siffatta esigenza
ha l'effetto di escludere a priori questi prodotti dal godimento dehla
agevolazione fiscale in questione e di riservare tale agevolazione ai
prodotti nazionaili. quindi evidente che un siffatto sistema impositivo
discriminatorio e, come tale, ricade sotto il divieto di cui
aH'art. 95.
23. La seconda delle questioni formulate dal giudice a quo
va quindi risolta affermando che un sistema di tassazione dell'alcool
strutturato in modo da riservare alla sola produzione nazionale esenzionf
o riduzioni dell'aliquota fiscale costituisce una discriminazione
vietata da>U'art. 95 del Trattato.
Sull'efficacia nel tempo dell'art. 95 e sui rapporti di questa norma con
il regime degli aiuti.
24. -La terza delle questioni sottoposte alla Corte riguarda il
problema del se, alla scadenza del termine stabilito dal terzo comma
deH'art. 95, uno Stato membro _potesse essere 'autorizzato, in via
di deroga, a mantenere una preesistente discriminazione nel regime
fiscale vigente per l'importazione delle acquaviti di vino.
25. -Da1l fascicolo, nonch dagli a:11gomenti svolti dal Governo
italiano nel corso del presente procedimento, msulta che si tratta, per
il giudice nazionale, di sapere se l'opinione espressa dalla Commissione
nella lettera 8 maggio 1968 e nel parere motivato 28 fiebbraio
1969 in merito al provviisorio mantenimento del regime di imposizione
differenziata in materia di diritto erariale possa eventualmente
equivalere all'approvazione di un aiuto ai sensi degli artt. 92 e 93 del
Trattato, anche dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 95, terzo
comma.
26. -A norma dell'art. 95, terzo comma, g1i Stati membri aboliscono
o modificano, non oltre l'inizio della seconda tappa, le disposizioni
esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente Trattato
che siano contrarie alle norme che precedono .
PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 315
27. -Dalla suddetta norma risulta che la data del 31 dicembre
1961 costituiva il limite ultimo entro il quale gli Stati membri dovevano
aver eliminato dalle loro legislazioni e prassi fiscali qualsiasi
misura incompatibile col divieto di discruminazione enunciato nei primi
due commi dell'art. 95. quindi a partire da tale data che questi
hanno acquistato piena affi.cacia e possono esser fatti valere dai singoli
nei confronti di qualsiasi Stato membro.
28. -La tesi sostenuta dallo Stato italiano, sia dinanzi al giudice
nazionale sia dinanzi a questa Corte, nel senso che la deroga stabilita
dalla Commissione nella lettera 8 maggio 1968 e nel parere motivato
28 febbraio 1969 costituirebbe l'autorizziazione di un aiuto ai
sensi del Trattato, inammissibile in fatto e in didtto. Basta osser
vare in proposito che, secondo il sistema del Trattato, nessun aiuto
pu essere istituito n autorizzato sotto forma di discriminazione fi.
scale, da parte di uno Stato membro, nei confronti di prodotti ori
ginari di altri Stati membri.
29. -La terza delle questioni formulate dal giudice a quo va
quindi risolta affermando che, a norma del terzo comma dell'art. 95,
il divieto di discriminazione sancito dai primi due commi dello stesso
articolo ha prodotto pienamente i suoi effetti a partire dal t0 gennaio
1962 e che uno Stato membro non poteva essere autoni.zzato a
mantenere, dopo tale data, una discriminazione fiscale preesistente nel
regime vigente per l'importazione delle acquaviti originarie di altri
Stati membri.
Sull'efficacia nel tempo della presente sentenza.
30. -Nelle osservazioni presentate alla Corte, il Governo italiano
ha chiesto che quest'ultima, qualora dovesse dichiarare l'inefficacia
degli atti della Commissione per quanto riguarda l'applicazione,
nella fattispecie, del divieto di cui all'art. 95, Hmiti fa portata della
propria sentenza alle eventuali indebite percezioni di tributi che dovessero
verificarsi in futuro, sancendo invece, per il passato, la definitivit
degli effetti della deroga concessa dalla Commissione.
31. -A tale scopo esso fa valere, in primo luogo, il precedente
della sentenza 8 aprile 1976 (causa 43/75, Defrenne, Racc. pag. 455),
nella quale la Corte si sarebbe riconosciuto, in base al principio generale
della certezza del diritto, il potere di limitare, eocezionalmente,
la possibilit degli interessati di far valere le sue sentenze. A queste
considerazioni si aggiungerebbe, nella fattispecie, la necessit di tutelare
il legittimo affidamento che il Governo italiano poteva fare sulla
validit di una misura fiscale che era stata espressamente autorizzata
dall'esecutivo comunitario.
316
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
32. -In secondo luogo, il Governo italiano richiama l'attenzione
sul fatto che i tributi in questione sono stati trasferiti da~i importatori
sui commercianti, di guisa che una loro restituzione implicherebbe
un grave onere per le finanze pubbliche italiane, senza alcun
corrispondente vantaggio per i consumatori, i quali sono stati, in
definitiva, gli unici soggetti colpiti dalla misura fiscale di cui trattasi.
33. -Per quanto riguarda il primo argomento, si deve ricordare che
la norma del Trattato da applicare nella fattispecie, e cio, l'art. 95,
e la questione della sua efficacia diretta costituiscono oggetto di una
ormai consolidata, abbondante e dettagliata giurisprudenza, che non
lascia sussistere alcun dubbio circa la portata di tale disposizione. In
proposito, basta ricordare che, gi nella sentenza 14 dicembre 1962
(cause riunite 2 e 3/62, Commissione c/ Granducato del Lussemburgo
e Regno del Belgio, Racc. pag. 793), emessa nello stesso periodo in
cui venivano riscossi i tributi di cui causa, la Corte sottolineava le
rigorose esigenze inerenti a questa norma del Trattato.
34. -Quanto ai provvedimenti fiscali che costituiscono oggetto
della controversia, va rilevato che, anche se le prese di posizione della
Commissione in proposito, dal 4 novembre 1965, potevano creare, nei
riguardi delle autorit italiane, un'apparenza di legittimit, le incertezze
manifestatesi tanto ,sul piano comunitario quanto sul. piano nazionale,
dopo tale data, circa la compatibilit dei provvedimenti in
questione col diritto comunitario escludono ohe il Governo italiano
possa far valere, nella fattispecie, ile esigenze della certezza del diritto
o l'esistenza di una situazione di legittimo affidamento, in modo da
giustificare una limitazione nel tempo della portata della presente
sentenza.
35. -Quanto all'argomento basato sulla circostanza che i tributi
la cui restituzione costituisce oggetto delle cause principali sarebbero
stati trasferiti sui consumatori, si deve precisare che la tutela dei
diritti garantiti in materia dall'ordinamento giuridico comunitario non
esige che si conceda la restituzione di tributi, indebitamente riscossi,
in condizioni tali da causare l'indebito arricchimento degli aventi diritto.
Nulla impedisce quindi, dal punto di v.ista del diritto comunitario,
che i giudici nazionali tengano conto, conformemente ail proprio diritto
interno, della possibilit che i tributi indebitamente percepiti siano
stati incorporati nei prezzi dell'impresa assoggettata al pagamento e
trasferiti sug1i acquirenti ~sentenza 27 marzo 1980, causa 61/79, Amministrazione
delle finanze c/ Denkavit italiana, Racc. pag. 1205). (omissis).
SEZIONE TERZA
GIURISPRUDENZA
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 marzo 1981, n. 1203 -Pres. Rossi -Rel.
Buffoni -P. M. Berri (conf.). Riccioni (avv. Funari) c. Ministero del
Tesoro (avv. Stato Cerocchi).
Giurisdizione civile -Impiego pubblico -Presupposti -Atto di nomina Mancanza
-Irrilevanza -Controversie -Giurisdizione del giudice amministrativo
-Sussiste.
Sono requisiti necessari e sufficienti, al fine di identificare un rapporti::
di pubblico impiego, la natura pubblica dell'ente ed il concreto
inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'ente, in regime
di subordinazione gerarchica, mentre non necessario un atto
formale (o uno scritto equipollente) dal quale emerga la volont dell'ente
di inserire il lavoratore nella propria organizzazione, e le controversie
relative, anche se vertono sulla responsabilit del datore di lavoro
.per violazione delle norme sulle assicurazioni sociali, rientrano nella
giurisdizione del giudice amministrativo.
(Omissis). Nel giudizio di appello si peraltro discusso sulla natura
del rapporto intercorso tra l'ente ed il Riccioni.
Va subito detto che il riferimento che il ricorrente f alla normativa
sugli incarichi previsti dal t.u. sull'istruzione superiore (r.d. 31 agosto
1933, n. 1592, art. 12) affatto inconferente poich detta disciplina.
riguarda la universit e gli istituti superiori collateiiali espressamente
previsti dal citato decreto, fra i quali non e non poteva essere compresa
l'Accademia della GIL appartenente a tutt'altva organizzazione e
istituita per ben diversi fini.
Che l'attivit del Riccioni si sia svolta nell'ambito 'di un rapporto
d'impiego non difficile dimostrare avuto riguardo alla durata di essa
(ben ventinove anni) alla predeterminazione della retribuzione ed alfa
(1) Questa sentenza, gi preceduta da altra pronuncia (cfr. Cass., 27 febbraio
1980, n. 1352), rappresenta una evoluzione della giurisprudenza per la
identificazione di un rapporto di pubblico impiego, che viene ad esistenza anche
se non esiste un atto formale di nomina. In tal senso pu ritenersi superata la
giurisprudenza che riteneva nell'ipotesi ora considerata la sussistenza di un
rapporto di impiego privatistico.
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
commisurazione di essa ad anno, al vincolo di subordinazione insito nelle
prestazioni dell'insegnante nell'organizzazione predisposta daill'ente per
il funzionamento della scuola, alla corresponsione dei contributi assicurativi
nel periodo successivo al 1953, nel quale il rapporto si svolse
con le stesse modalit di quello precedente.
La Corte territoriale ha, peraltro, escluso la natura pubblica del-
l'impiego sul rilievo che era carente l'atto di nomina poich questo
non poteva essere presunto dal primo giudice dopo che il medesimo
aveva affermato che non era mai esistito.
I giudici dell'appello hanno, quindi, ritenuto ohe l'atto formale di
nomina requisito necessario per fa costituzione del rapporto di pubblico
impiego, adottando un principio che si riscontra in talune decisioni
di queste sezioni unite. Rispetto alle quali, rpe:rialtro, vi stato
un mutamento d'indirizzo che dall'esigenza di un atto formale di nomina
(da ultimo, sent. n. 3258/1977) passato alla sufficienza dell'atto
di nomina, bench privo di particolari formalit, o di equipollenti di
tale atto ravvisabili in documenti, 'anche successivi 'alla costituzione del
rapporto, che forniscano fa prova dell'avvenuto inserimento del dipendente
nell'apparato pubblicistico per l'esercizio di mansioni inerenti ai
fini istituzionali dell'ente, ancorch non contengano una tipica ed espressa
manifestaZJione di volont (in tale senso fra [e altre, sentt. nn. 2460-3658/
1978; 3070/3655/1979).
Da ultimo, si riaffermat 1l'irri!levanZJa dell'atto di nomina (sailvo che
esso non sia anche implicitamente richiesto da specifiche 1I1orme) sul rilievo
che requisiti necessari e sufficienti, al fine dell'identificazione di un
rapporto di pubblico impiego, sono la natura pubblicistica dell.'ente datore
di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell"arpparato
organizzativo dell'ente {sentt. nn. 6444/1979; 2070/3239/5498/5680/5681 del
1980); e si pure precisato che al predetto fine, non necessarfo che
la volont dell'ente di inserire il lavo:riatore nella propria orgianizzazione
emerga dall'atto formale di nomina o da uno scritto equipollente, rpoich
conta esclusivamente che '1e prestazioni del soggetto siano date e rioevute
in regime di subordinazione, nell'ambito di detta organizzazione e
per i fini pubblicistici del datore di lavoro, s da realizzare l'indicato inse
rimento (sent. n. 1352/1980).
Nel ribadire questo orientamento, giova precisare che esso non prescinde
dalla sussistenza della volont deM'ente diretta alla costituzione
del rapporto, ma postula che detta volont possa essere manifestata in
qualsiasi modo, purch risulti adeguata ed univoca; perci non necessariamente
con un atto scritto, ma anche con fatti e comportamenti, i
quali, per essere conaludenti ed univoci devono rivelare non soltanto
che l'ente ha fatto proprie le prestazioni del soggetto, ma anche che le
ha volute come attivit da utilizzare nell'ambito della sua organizzazione.
PARTE L SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 319
Tale volont, nella specie, emerge dagli elementi gi posti. in evidenza
per escludere la sussistenza di un contratto di prestazioni autonome
di opera professionale e per ritenere la costituzione di un rapporto
di impiego (continuit del rapporto, predisposizione e modalit di commisurazione
della retribuzione, assoggettamento dell'attivit d'insegnamento
alle esigenze organizzatorie della scuola, identit di modalit di
attuazione del rapporto per la durata quas,i trentennale del suo svolgimento,
versamento dei contributi assicurativi nel periodo 1953/1970).
Conclusivamente deve affermarsi che nella specie concorrono gli
estremi del rapporto di impiego pubblico e che la controversia insorta tra
fo parti, vertendo sulla responsabilit del datore di lavoro per violazione
delle norme sulle assicurazioni sociali, fa cui osservanza gli imposta
quale soggetto del rapporto stesso, trova in questo titolo immediato e
diretto. Pertanto, ai sensi degli artt. 29 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7
della il:egge 6 dicembre 1971, n. 1034 non modificato dalla legge 11 agosto
1973, n. 533, va dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
a conoscere della controversia come sopra individuata (da
ultimo, sez. un. sentt. nn. 6021/1979; 4173/1980). (omissis).
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 marzo 1981, n. 1687 -Pres. Rossi -
Rel. Buffoni -P. M. Silocchi (conf.). -Martuscelli (avv. Martuscelli) c.
Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni).
Impiego pubblico -Funzionari onorari -Componenti delle Commissioni di
controllo regionali -Indennit -Misura -Controversia Giurisdizione
di legittimit del giudice amministrativo.
Ai componenti delle commissioni di controllo regionali, nella qualit
di esperti di discipline amministrative, attribuita una indennit per
ogni giornata di seduta, nella misura e con le modalit da determinarsi
nel regolamento; una controversia sulla misura della indennit non rientra
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perch, tenendosi
conto del rapporto tra i membri e la p.a., essi sono funzionari
onorari; n rientra nella giurisdizione ordinaria, perch manca una norma
(1) Cfr. Corte cost., 25 marzo 1971, n. 70, la quale ha escluso che l'art. 136 Cost.
possa operare nei confronti di soggetti investiti di funzioni onorarie ed ha escluso
altres che per questi possa prospettarsi una qualsiasi valutazione comparativa in
relazione all'art. 3 Cost.
In definitiva, quindi, non essendo configurabile un diritto soggettivo tutelabile
al livello costituzionale del funzionario onorario ad un qualsiasi trattamento
economico, a maggior ragione non neppure configurabile una tutela a livello
costituzionale o con riferimento a norme costituzionali che quel diritto presupporrebbero,
in ordine alla misura del trattamento economico che sia eventualmente
previsto: principi, tutti questi, di cui ha gi avuto occasione di fare corretta
applicazione (a proposito delle indennit previste per i membri delle commissioni
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
(di relazione) che tuteli in modo diretto l'interesse individuale che possa
assurgere a diritto soggettivo; rientra invece nella giurisdizione generale
di legittimit del giudice amministrativo, in quanto l'attivit della p.a.,
nel commisurare la ndennit, in assenza di norme che la vincolino direttamente,
tipicamente discrezionale, e ci qualifica la posizione soggettiva
del privato come interesse legittimo (mentre di diritto soggettivo
pu parlarsi solo in seguito e in funzione della concreta determinazione
della misura dell'indennit, e nei limiti contenutistici risultanti da tale
determinazione) (1).
(Omissis). Come gi si accennato, l'art. 44 delila legge n. 62 del
1953, istitutiva delle commissioni di controfilo regionaLi, stabilisce che
ag:li esperti nelle disoipline amministrative nominati membri delle predette
commissioni attribuita un'indeillilit, per og:ni giomata di seduta,
nella misura e con le modalit da determinarsi nel regolamento.
Ora indubbio che i membri deLle commissioni non sono pubblici
impiegati ma funzionari onorari sicch sul rapporto che la legge istituisce
fra essi e :J'amministmziione non sussiste la giurisdizione esolusiva
del giudice amministrativo.
Perci in rela2lione alla natura che l'interesse sostanziale dedotto
assume nell'ordinamento che deve essere individuato il giudice che ha la
giurisdizione. Per attribuirla al giudice ordinario occorrerebbe che, come
assumono i ricorrenti, nella disposizione su citata possa ravvisarsi una
norma (di relazione) che tuteli in modo diretto l'interesse fatto valere
sicch esso assuma '1a figura del diritto soggettivo.
Senonch il testo legislativo, lungi dall'indicare criteri. obbiettivi,
come elementi della fattispecie legale, che vincolino l'Amministrazione
nella determinazione dell'indennit, si limita ad att11ibuire ai componenti
le commissioni il diritto ad un'indennit per ogni seduta; mentre,
in ordine alla misura e alle modalit di corresponsione di essa, 1a norma
demanda ali regolamento senza fissare a:lcuna presorizione tassativa e
neppure orientativa (salvo que11a secondo cui l'indennit dovuta per ciascuna
seduta).
tributarie) il tribunale di Trieste con la sentenza 4 giugno <1977, n. 438/77 in causa
Amodio c./ Min. Finanze, sentenza con la quale stato osservato: Conseguenza
dell'espletamento delle funzioni onorarie l'assenza di qualsiasi natura retributiva,
onde l'inapplicabilit degli schemi normativi indicati ed invocati dall'attore
(riguardando in particolare l'art. 36 della Costituzione la retribuzione professionale
dei lavoratori) e non essendovi dubbio che la propria opera a vantaggio di altri
possa essere prestata a titolo gratuito (cfr. Cass., sez. Il, 14 novembre 1972,
n. 3389). 111 "compenso" per 1':attivit prestata ha dunque chiaramente un
carattere del tutto accessorio rispetto alla dignit sociale riconosciuta nel conferimento
dell'incarico e che qualifica la funzione (la quale, comunque, libera
e rinunciabile) .
PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE
D'altra parte da esoludere che parametri o criteri orientativi possano
trarsi aliunde ed in particolare dalla disposizione secondo cui i componenti
della commissione che siano pubblici funzionari 1sono esonerati
da ogni altro lavoro. A prescindere dal.fa considerazione che Ja ratio
di questa norma va ricercata nell'esigenza dii ovviare a possiibili incompatibilit,
va notato che lo status degli esperti liberi professionisti
non comparabile, agli effetti di cui si discute, con quello dei detti
funzionari; i quali, in quanto legati alle amministmzioni di provenienza
da un rappotro di pubblico impiego, debbono tenemi. a disposizione della
commissione a tempo pieno, e quindi osservare un orario ed assolvere
presumibilmente anche incombenze burocmtiche preparatorie e conseguenti
rispetto alle funzioni collegiali propri.e dell'organo, ed in ogni
oaso -a differenza degli altri membri -non possono svolgere altre
attivit.
Pertanto, in assenza di disposizioni che la vincolino direttamente o
indirettamente, l'attivit demandata alla pubblica amministrazione in ordine
alla commisurazione dell'indennit, tipicamente discrezionale.
In quest'ambito, ai fini della qualificazione della posizione soggettiva
del privato sulla quale detta attivit interferisca, pertinente e decisivo
ill rilievo che essa ancorch destinata a riflettersi -in senso positivo o
negativo -su interessi privati, sempre essenziailmente e fondamentalmente
dominata dalla considerazione dell'interesse pubbLico, sia pur al
fine dell'equo contemperamento con interessi concorrenti dei cittadini.
Il che comporta che questi (salvo il oaso di atti, che in assoluta carenza
di potere, ledano diritti soggettivi precostituiti) sono configurabili, se
coinvolti, come interessi legittimi, giacch assumono riil.ievo giuridico in
funzione dell'interesse pubblico, e sono quindi tutelahiili, occasionalmente
ed :indirettamente, attraverso il sindacato di legittimit devoluto ail giudice
amministrativo in o:ridine al modo (eventualmente scorretto) di esercizio
del potere, qualora si alleghi che l'atto inficiato da incompetenza
ovvero da vizio di forma o di contenuto, ed in particolare -con riferimento
al contenuto -dai vizio di eccesso di potere nelle sue varie m~
nifestazioni.
Ora, nel caso in esame, in presenza del potere discrezionale come
sopra demandato a:lla p.a., ricorre appunto la fattispecie test esaminata;
e la situazione giuridica dei soggetti interessati, per ci che concerne il
provvedimento di commisurazione dell'indennit ed i criteri all'uopo adot
tati, esattamente tutelabile come interesse legittimo (mentre -come
ovvio -assurge a diritto soggettivo solo a seguito ed in funzione della
concreta determinazione della misura dell'indennit da patte dell'ammi
nistrazione, e quindi nei limiti contenutistici risultanti da taile determinazione).
322 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO
I
Ci posto risutlta!Ilo inconferenti sia l'allega:llione da parte dei ricorrenti
dei due pretesi vizi di violazione di legge e di eccesso di potere,
sia il richlamo al principio che anche al giudice 011dinario spetta, ai
sensi delil'art. 5, legge 20 marzo 11865, ai11. E, Jl sindacato :suhla conformit
alla legge dell'atto amministrativo, sia pure al solo fiine delJla disappli
I
cazione di esso.
Infatti, poich la posizione giuridica dedotta via qualificata come
interesse '1egittimo, non applicabile il detto principio; il quale opera
solo rispetto alle controve:raie relative a diritti soggettivi (in 011dine ahle
quali, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in ogni
caso, salvo in quelli iin cui prevista 1a giurisdizione esclusivia del giudice
amministrativo) ai fini deHa decisione di merito rispetto a11a quaile
l'accertamento incidenter tantum de]la legittimit o delfillegittimit dell'atto
amministrativo e la disapplicazione di esso nella seconda ipotesi,
si riflette sulla concreta esistenza del. dil'itto sUil quale la pretesa Si
fonda.
Infine, non puntualmente invocata la sentenza :n. 863 del 1978 di
queste sezioni unite.
In quella fattispecie la giurisdizione del giudice ordinario stata
ritenuta non in quanto la controversia avevia per oggetto la congruiti\
dailla indennit corrisposta ad un funzionario onorario (nel caso vicepretore
onorario) ma in quanto fa domanda si fondava sull'assunto che
il rapporto aveva perso l'originario carattere onorario e che le norme
dell'ordinamento giudiziario Vigenti anteriormente all'emanazione delle
leggi 18 maggio 1970, n. 217 e 4 agosto 1977, n. 516, :non potevano disciplinarlo,
perch inadeguate rispetto all'essenza ed ailile reali esigenze
dehla fattispecie concreta e, soprattutto, ai principi costituzionaili sicch
la lite introduceva un complesso di questioni che sul presupposto dell'inapplicabilit
della disciplina del rapporto onorario involgevano pretese
proprie del rapporto di lavoro (aumenti biennaili sulla retribuzione
corrisposta di fatto, compenso per ferie non godute, assicurazione presso
INPS) aventi per oggetto diritti (di credito) maturati nel corso di un
pflriodo ventennale che solo formalmente sarebbe stato riconducibile a
servizio onorario. (omissis).
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 aprile 1981, n. 2113 -Pres. Rossi -
Rel. Caturani -P.M. Fabi -Ministero dei Tra:sporti ~avv. Stato Stipo)
. c. Di Losa (avv. Rinaldi).
Atto amministrativo -Autorizzazione -Abilitazione -Nozione Rilascio di
carta di circolazione -Natura Controversie Giurisdizione dell'a.g.o.
Il rilascib della carta di circolazione, nel caso previsto dall'art. 58,
sesto comma, cod. strad., rientra nella categoria delle abilitazioni ammi-f,
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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 323
nistrative, che si caratterizza per la mancanza di qualsiasi potest discrezionale
della p.a. di consentire o meno l'attivit cui essa si riferisce,
poich il provvedimento si limita a procedere ad un accertamento di
carattere tecnico circa la sussistenza di certi requisiti, con la conseguenza
che, nel caso di rifiuto del provvedimento richiesto, le relative
controversie rientrano nella giurisdizione dell'a.g.o. (1).
(omissis) L'indirizzo generalmente seguito in dottrina che queste
sezioni unite ritengono di condividere, sostiene che la carta di circolazione,
per veicoli a motore, cui :la riferimento l'art. 58 del codice della
strada, pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, in quanto
attraverso il suo rilascio si legittima una attiv;it altrimenti vietata in
linea generale, non possa farsi rientrare ne1l'aimpia categoria dei provvedimenti
autorizzatori.
Questi ultimi sono caratterizzati dal fatto che la pubblica amiministrazione,
nel decidere se concedere o meno [a corrispondente autorizzazione,
gode di Ullla pi o meno ampia potest discrezionale circa fu.
rispondenza delle condizioni soggettive ed oggettive al!l'uopo previste
dailfa norma agli interessi pubblici, la cui tutela rimessa ail deddente
ne1la emanazione del provvedimento.
Da tali ipotesi, ben definite per dl principio di tipicit del provvedimento
amministrativo, sono state tenute distinte diverse fattispecie,
tutte caratterizzate dal fatto che in esse non si riscontrato nelila relativa
potest attribuita dalla legge all'autorit amministrativa alcun potere
discrezionale, onde si proposta da autorevole dottrina la distinzione tra
provvedimenti propriamente autorizzatori, licenze ed abilitazioni.
Qualunque possa essere la tesi che si intendeva accogliere circa la
distinzione tra le prime due categorie giuridiche, ormai non pi revo
cabile in dubbio che il connotato tipico delle abillitazioni la mancamia
di qualsiasi potest disorezionale della p.a. di consentire o meno l'at
tivit cui esse si riferiscono poich in sostanza il provvedimento si
limita a procedere ad un accertamento o valutazione di carattere pura
mente teanico circa la sussistenza di determinati requisiti e circa la
idoneit di persone o cose a svolgere Ja specifica attivit ohe in conOI'eto
viene in considerazione (abilitazione a11l'esercizio professionale: legge
8 dicembre 1956, n. 1378; certificato di ,sicurezza e di idoneirt del[e navi:
art. 138 e 146 ss. cod. nav. e 313 ss. regolamento nav. maritt.; patente di
guida per autoveicoli: art. 80 codice della strada; autorizzazione al
(1) La sentenza da condividere: nessun margine di discrezionalit lasciato
alla p.a. in tema di rilascio della carta di circolazione, essendo l'attivit disciplinata
da norme di relazione. Per qualche riferimento cfr. Cass., 7 ottobre 1961,
n. 2045, in Foro it., 1962, I, 318, con nota.
RASSEGNA DEI,L'AWOCATURA DELLO STATO
baliatico: art. 309 t.u. delle foggi sanitarie; oarta di circolazione degli
autoveicoli: art. 58 del codice della strada).
Rientra, a giudizio del Cdllegio, in tale categoria anche il rillascio
della oarta di circolazione, da parte dell'lispettorato della motorizzazione
civile, nel caso previsto dall'art. 58, sesto comma, del codice della strada
che cos dispone: Quando si tratti di autobus da destinare ad uso
privato la carta di drco1azione non pu essere rillasciaita se non ad
imprenditori, collettivit e simili, iper Je loro necesisit .
Dalla chiara formulazione della norma risulta che l'Ispettorato della
motorizzazione, sulla base della documentazione fornita dagli interessati,
'deve limitare iJ. suo esame 'aid una indagine puramente obiettiva, consistente
nell'accertare se ricorrono -Effetti Limiti.
Concessioni amministrative Occupante abusivo di terreni dati in concessione
a terzi Impugnazione dell'ordinanza di rilascio Titolarit Occupante
abusivo.
Non titolare di autonome posizioni soggettive tutelabili dinanzi
al giudice amministrativo, sotto il profilo della carenza della legittimazione
ad agire, colui il quale utilizzi un terreno oggetto di concessione
(*) Alla redazione delle massime e delle note di questa Sezione ha collaborato
l'avv. Luigi MARUOTTI.
Considerazioni in tema di impugnabilit dell'ordinanza di rilascio emessa
nei confronti dell'occupante abusivo di bene demaniale.
1. -La sentenza massimata riguarda una fattispecie nella quale un soggetto
ha impugnato l'atto di concessione di un terreno demaniale a suo tempo rilasciato
dalla p.a. ad un terzo (successivamente deceduto), terreno di cui il ricorrente
aveva la detenzione, venutasi a costituire con il solo consenso tacito del
precedente concessionario.
La decisione non sembra immune da critiche.
Infatti la prima massima presuppone l'accettazione della tesi, seguita dalla
concorde giurisprudenza e da gran parte della dottrina, secondo la quale ogni
problema di legittimazione ad agire nel processo amministrativo, cos come
in queHo oivihle, deve essere risolto in sede di merdto e non di verificazione dehla
giurisdizione.
Come comunemente si insegna, l'indagine sulla sussistenza o meno della
1egi!ttimazione ad agire deve 1essere nettamente distinna da ogni valutazione che
il giudice svolge allorquando, per radicare presso di s la giurisdizione, valuta
la differenziazione e la qualificazione della posizione di cui si chiede la
tutela.
Ultimamente il fondamento di tale impostazione stato autorevolmente
sostenuto, con qualche variante, da quella dottrina (cfr. CAIANIELLO, Lineamenti
del processo amministrativo, Torino, 1979, p. 263 e ss.) la quale intende riportare
nell'ambito del merito l'analisi della differenziazione dell'interesse proprio in
339
PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVN
a favore di un terzo, qualora sia intervenuto il consenso del concessionario
ma non quello della pubblica amministrazione (1).
L'utilizzazione agricola di un terreno in proprio dopo la morte del
concessionario, quale ne sia la durata, non nova soggettivamente il titolo
base alla considerazione che, in definitiva, la relativa problematica deve essere
inserita in quella afferente alla legittimazione ad agire, che, secondo l'opinione
in esame, riguarderebbe pur sempre il merito.
Questa posizione dottrinale vuole riaffermare la rilevanza dell'indagine sulle
condizioni dell'azione, e, in particolare, sulla legittimazione ad agire, anche nel
campo del processo amministrativo, traendo spunto dall'osservazione che anche
in questa sede il diritto di azione certamente autonomo dalla situazione
sostanziale dell'interesse legittimo, perch un diritto ad ottenere dal giudice un
provvedimento per l'attuazione della volont astratta della legge verso la controparte
del rapporto sostanziale (CAIANIELLO, op cit., p. 266).
Viene cos affermato che solo in termini di merito e non di giurisdizione
pu trovarsi lo spartiacque tra azione generalizzata (cio del quisque de populo)
e diritto di azione qualificata (CAIANIELLO, op. cit., p. 267).
Contrastando tale assunto, non si intende peraltro negare che anche nel
processo amministrativo possa avere una sua rilevanza il concetto di legittima
:z;ione ad .agiire; sembra tuttavia neoessaTio niidurne 11a portata, riaffermandone 1a
validit unicamente per i soggetti presenti nel processo diversi dal ricorrente.
In effetti la dottrina non sembra abbia chiarito finora che il giudice ammini
strativo, in sede di delibazione sull'esistenza o meno dell'interesse legittimo,
automaticamente e a fortiori risolve, quanto al ricorrente, ogni problema di
legittimazione ad agire, operando in modo che questa conservi una propria
rilevanza in sede di giudizio di merito solo per le parti non ricorrenti, per le
quali potrebbe ancora svolgersi 1'indagine circa la effettiva titolarit della
situazione dedotta in iudicio.
La individuazione dell'interesse legittimo, in altre parole, presuppone sempre
la presenza della legittimazione ad agire, con la conseguenza che nel processo
amministrativo di annullamento non ha senso parlare di un problema di legitti
mazione attiva in capo al ricorrente, in quanto le relative questioni sono risolte
in sede di venificazJ'one deihla g.iurlsdi:Zlione.
Pertanto, sembra possibile sostenere che nella sentenza che si annota il
giudice amministrativo avrebbe dovuto dichiarare il proprio difetto di giurisdi
zione, sulla considerazione che il ricorrente, in quanto non legittimato all'impu
gnazione che pure altri poteva proporre, non era titolare di alcuna posizione di
interesse legittimo.
2. -Anche la terza massima suscita perplessit, forse maggiori, dal momento
che identifica in capo all'occupante abusivo di un bene demaniale un interesse
legittimo, al fine della impugnazione della relativa ordinanza di rilascio.
Infatti, se pure si voglia riconoscere che in tale fattispecie la posizione
dell'occupante abusivo sia differenziata rispetto a quella degli altri consociati,.
non sembra che da questa sola considerazione possa desumersi una posizione
giuridica meritevole di tutela.
Se si concorda col principio, gi ricordato, per il quale pu parlarsi di
interesse legittimo soltanto quando nei confronti della autorit amministrativa
vi sia una situazione non solo differenziata, ma anche e soprattutto qualificata
(cfr. per tutti SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1978, p. 86e
s.), deve ammettersi che nel caso di specie presupposto della emanazione
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
formale di concessione a favore del subentrante di fatto, che portatore
di un mero interesse semplice, non essendovi possibilit di configurare
una specifica posizione soggettiva autonoma e differenziata (2).
dell'ordinanza di rilascio proprio una situazione contra legem, che rende il
destinatario dell'atto affatto immeritevole di considerazione.
pur vero che nell'interesse legittimo alla semplicit del diritto soggettivo
fa riscontro la complessit delle componenti strutturali (cfr. CoRREALE, Struttura
del processo amministrativo e situazione fatta valere, Caserta, s.d.), ma tale
complessit sembra facilmente superabile, al fine della negazione della sua
rilevanza, allorquando il soggetto chiede l'intervento del giudice amministrativo
per una situazione che incontrovertibilmente inquadrabile in un comportamento
illegittimo.
Per svolgere adeguatamente l'indagine sulla qualificazione, occorre naturalmente
analizzare l'incidenza dell'interesse pubblico e di quello privato nelle
V'ar,ie teoriche a :proposito delritl!teresse Jegittimo.
In breve pu ricordarsi che storicamente si assistito dapprima ad una
prevalenza della considerazione degli interessi pubblici, tanto che pu affermarsi
ancora ricorrente in giurispn1denza l'eco dell'insegnamento di quegli autori
secondo i quali l'interesse legittimo strettamente connesso all'interesse pubblico,
trovando solo una tutela indiretta ed occasionale (cfr. per una breve disamina
storica CAIANIELLO, op. cit., p. 89 e ss.).
Attualmente sempre pi seguita quella tesi (v. CAIANIELLO, op. cit., p. 95)
secondo la quale il pi delle volte il riferimento all'interesse pubblico inconferente,
dovendo vertere l'indagine sull'interesse del privato, che da varie disposizioni
visto in s e per s, essendo la norma dettata esclusivamente a tutela
del suo interesse.
Qualsiasi orientamento debba ritenersi preferibile, alla base di entrambe
le posizioni vii certamente Ja necessit di svolgere le indagiini su1lia qllalLificazione
della situazione del privato, ai fini del riconoscimento della sua tutelabilit
in sede giurisdizionale. Deve pertanto sempre farsi riferimento alla sua
posizione nei confronti del potere della pubblica amministrazione, mediante una
analisi che dovr considerare strettamente collegate le nozioni relative all'interesse
pubblico e a quello individuale.
Il giudice allora pu e deve accertare inizialmente se il privato instauri il
processo a scopo di giustizia, oppure per ottenere qualcosa che sia la negazione
di questa, svolgendo una indagine dalla quale deve, sia pur sommariamente,
risultare che la norma, conferendo il potere alla amministrazione, tutela in
qualche modo il privato oppure lo prende in considerazione proprio per negarne
la relativa situazione giuridica.
Nel caso in esame, il potere di emanare l'ordinanza di rilascio sottende,
quindi, la volont dell'ordinamento di non qualificare assolutamente la posizione
dell'occupante abusivo, il quale trova la sua tutela solo al di fuori dei casi di
intervento della amministrazione, in sede di tutela possessoria dinanzi al giudice
ordinario.
La posizione differenziata, proprio perch illegittima, preclude ogni possibilit
di qualificazione '"
In capo all'occupante abusivo, quindi, sussiste nei confronti dell'ordinanza
di rilascio un interesse contrario alla legge, perch tendente a perpetuare l'illegittima
occupazione abusi.va: proprio la previsione normativa dell'ordinanza
I
I
PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVN
341
L'impugnazione dell'ordinanza di rilascio di terreni detenuti senza
titolo pu essere proposta dall'occupante abusivo, in quanto questi
titolare dell'interesse a persistere nella detenzione o a mantenere un
comportamento contrario a quello intimato (3).
di sgombero che definisce la situazione contra legem, senza che possa individuarsi
un interesse legittimo.
Tenendo conto che la dottrina (v. CANNADA BARTOLI, voce Interesse, in E.d.D.,
Varese, 1972, p. 23 e ss.) ha creato la figura dell'interesse illegittimo, pu
riscontrarsi proprio nel caso in esame una ipotesi in cui questo si manifesta,
dal momento che la posizione soggettiva del privato tende per l'appunto a porsi
in contrasto ontologico con la normativa di legge.
L'occupante abusivo titolare pertanto di un interesse illegittimo, poich
in sostanza mira al differimento della reintegrazione del possesso da parte della
pubblica amministrazione, e quindi al ritardo nella attuazione della volont della
legge.
LUIGI MARUOTTI
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 29 maggio 1981, n. 219 -Pres. (ff.) Scarcella
-Est. Baccarini -De Luca (avv.ti U. e C. faccarino) c. Servillo
(avv. Salvia) e Comune di Napoli (avv. Gleijcses e Galassi).
Appello avverso decisione T.A.R. Campania, 23 marzo 1976, n. 252.
Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale amministrativo -Natura Indagine
del Gi.dice amministrativo Sopravvenuta carenza di interesse
Valutazione Limiti Riferibilit alla posizione sostanziale di
interesse legittimo -Effetti.
Giustizia amministrativa Ricorso giurisdizionale amministrativo -Provvedimento
impugnabile J-Licenza edilizia Autorizzazione di variante Possibilit
di impugnativa autonoma -Preclusione.
Urbanistica Licenza edilizia Autorizzazione di variante -Illegittimit
della licenza originarla -Effetti sul provvedimento di autorizzazione di
variante -Caducazione dell'atto successivo.
Il processo amministrativo, pur non essendo un giudizio sul rapporto,
ha per oggetto la situazione soggettiva dedotta, la quale trova
tutela con la prospettazione di vizi dell'atto nei motivi di impugnazione,
i quali, se fondati, conducono all'annullamento dell'atto e alla conseguente
determinazione dei limiti di efficacia del giudicato; pertanto ogni
indagine del giudice amministrativo circa la sopravvenuta carenza di
interesse ,del ricorrente deve tener conto non della sua posizione formale
nei confronti dell'atto amministrativo impugnato, ma della sua posizione
sostanziale di interesse legittimo di cui si chiede la tutela (1).
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
342
Qualora il ricorrente abbia impugnato un atto con il quale la pubblica
amministrazione aveva concesso una licenza edilizia, adducendo,
a sostegno del ricorso, la inedificabilit dell'area, ogni provvedimento
sopravvenuto che sia da considerarsi confermativo circa la determinazione
dello jus aedificandi non solo non comporta la cessazione della
materia del contendere, ma da ritenere non sottoposto ad alcun
onere di impugnazione autonoma (2).
Si verifica la caducazione automatica, senza che occorra ulteriore
attivit, del provvedimento con cui si autorizzata una variante
ad una licenza edilizia, allorquando venga riconosciuta l'illegittimit
dell'atto originario (3).
(1-3) Cfr. in termini, in tema di variante a licenza edilizia, Ad. PI., 27 ottobre
1970, n. 4, in Il Consiglio di Stato, 1970, I, 1543; Sez. V, 6 novembre 11973, ni 787,
ivi, 1973, I, 1640; Sez. IV, 5 luglio 1967, n. 276, ivi, 1967, I, 1098; Sez. V, 17 marzo
1978, n. 323, ivi, 1978, I, 414.
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 maggio 1981, 11. 213 -Pres. Laschena
-Est. Berruti -Quaglino (avv. Pulvirenti e Dal Piaz) c.
Ministero Pubblica Istruzione ed altro (avv. Stato Tamiozzo) Appello
avverso decisione TAR Piemonte, 13 maggio 1975, n. 151.
Istruzione e scuole -Insegnante universitario -Nuovi incarichi -Nozione
ex art. 4 legge :n. 766-1973 -Individuazione -Rinnovazione della copertura
di cattedre mediante attribuzione .precaria -Esclusione.
La semplice .rinnovazione della copertura di cattedre mediante
attribuzione precaria, anche se a diversi docenti, altra cosa rispetto
all'istituzione di un nuovo posto di insegnamento non di ruolo per
cattedra precedentemente non attivata o coperta da professore di
ruolo e pertanto non rientra nella nozione di nuovo incarico di insegnamento,
contemplata dalla legge 30 novembre 1973, n. 766 (recante
misure urgenti per l'Universit), con l'ulteriore conseguenza che ad
essa non si applica l'art. 4, quarto comma, della stessa legge, a norma
del quale vietata l'attribuzione di nuovi incarichi, se gratuiti (1).
(1) Cfr. in termini da ultimo Sez. VI, 28 aprile 19811, n. :169, in Il Consiglio
di Stato, 1981, I, 454.
PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA'
343
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 221 -Pres. Laschena
-Rel. Cifarelli -Soc. Santa Mal'gherita ~avv. SteHa Riohter) c.
Sopraintendenza ai Monumenti e Gallerie di Cagliari (avv. Stato
Ferri). Appello avverso decisione T.A.R. Sardegna, 30 novembre
1976, n. 348.
Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincoli -Effetti -Decorrenza Pubblicazione
elenchi nell'Albo Comunale -Conseguenze.
Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico -Costruzioni
edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti Successivo
annullamento Natura Effetti.
Demanio Beni di interesse paesaggistico Vincolo panoramico Costruzioni
edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti -Motivazione
del permesso a costruire Modulo-tipo senza riferimenti al
vincolo Insufficienza.
Atto amministrativo -Atto discrezionale -Annullamento -Limiti all'indagine
sulla legittimit Effetti.
Atto amministrativo Vizi -Eccesso di potere Contraddittoriet -Fattispecie
Limiti.
Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico Costruzioni
edilizie ,. Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti . Legge
n. 1497-1939 e reg. 1357-1940 Rapporti -Art. 16 del regolamento . Criterio
di inteiipretazione.
Poich l'imposizione del vincolo panoramico a tutela delle bellezze
naturali si perfeziona al momento della pubblicazione degli elenchi delle
rispettive localit nell'albo comunale, da tale data decorre l'obbligo di
richiedere il nulla-osta al soprintendente ai monumenti, previsto dal1'
art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (1).
(1-6) Decisione esatta e da condividere, in quanto riafferma, fra l'altro, in
forma esplicita, l'esigenza della motivazione, anche solo sintetica, nei provvedimenti
con i quali si concedono autorizzazioni a costruire in presenza di un
vincolo di interesse ambientale.
Per quanto concerne la prima massima, la decorrenza dell'obbligo ex art. 7
della legge 29 giugno 1939, n. 1497, a partire dalla data in cui la bellezza d'insieme
viene conosciuta con la pubblicazione dell'elenco relativo nell'albo comunale,
non gi dalla data del provvedimento ministeriale, atto terminale del
procedimento, stata ribadita nella decisione dell'Ad. PI., 6 maggio 1976, n. 3
~in Il Consiglio di Stato, 1976, I, 560).
Sulle altre massime ricordiamo le dee. Sez. IV, 9 aprile 1974, n. 305 (ivi, 1974,
I, 533); Sez. VI, 16 giugno 1978, n. 741 (ivi, 11978, I, 1192); 19 ottobre 1979, n. 708
(ivi, 11979, I, 1422); 14 dicembre 1979, n. 890 (ivi, 1979, I, 1852).
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
344
Qualora risulti emanato un atto di nulla-osta alla realizzazione di un
manufatto in una zana sottoposta a vincolo panoramico, ben pu il
Soprintendente ai monumenti adottare un provvedimento (che costituisce
ipotesi di annullamento d'ufficio e non revoca), con il quale si
ponga nel nulla il precedente nulla-osta (2).
Costituisce atto illegittimo il rilascio del nulla-osta a costruire edifici
in zona protetta da vincolo panoramico qualora dal provvedimento
non risulti una adeguata motivazione, sia pure sintetica, e ci in quanto
tutti i cittadini sono portatori dell'interesse a difendere il patrimonio
paesaggistico e, conseguentemente, l'Amministrazione deve dare conto
delle ragioni che, in presenza del vincolo, giustificano il rilascio del permesso
stesso (3).
L'autorit amministrativa, al fine di esercitare il potere di autotutela
in tema di provvedimenti discrezionali, pu spingere l'indagine, al pari
del giudice amministrativo, a tutte le figure sintomatiche dell'eccesso di
potere, anche a quelle in cui si sia ai confini tra la illegittimit e la inopportunit
della adozione del provvedimento (4).
L'atto amministrativo col quale la pubblica amministrazione rappresenti
un apprezzamento del pubblico interesse che sia rusolutamente'
inadeguato rispetto alla situazione oggettiva da disciplinare, presentando
evidenti contraddizioni e incongruenze, da ritenere affetto dal vizio di
eccesso di potere e pertanto annullabile, dal momento che in tal modo
sicuramente esso ha deviato dalla funzione che gli propria (5).
La norma contenuta nell'art. 16 del r.d. 3 giugno 1940, n. 1357, nel
prevedere in cinque anni la validit dell'approvazione della Soprintentendenza
in materia di tutela paesaggistica, non limita in alcun modo il
potere di autotutela della pubblica amministrazione nel caso in cui l'approvazione
sia viziata, ma tende solo ad assicurare una nuova possibilit
di intervento alla Soprintendenza, qualora la situazione obiettiva esistente
al momento della sua emanazione risulti cambiata (6).
SEZIONE SESTA
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471 -Pres. NovelliEst.
Sandulli -P. M. Saja (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato
D'Amato) c. Soc. ERG, Raffineria, E. Garrone (avv. Glendi).
Tributi (in generale) -Contenzioso tributarlo -Sospensione della riscossione
-Regolamento di giurisdizione -Ammissibilit.
(Cod. proc. civ., art. 41).
Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Oggetto e natura del processo
innanzi alle Commissioni.
(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16).
Tributi (in generale) -Riscossione -Sospensione dei titoli esecutivi fiscali
da parte del giudice -Difetto assoluto di 1potere.
Tributi (in generale) -Riscossione~ Imposte dirette -Sospensione -Rimedi
ammessi.
(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54).
ammissibile il regolamento di giurisdizione riferito al potere del
giudice di pronunciare la sospensione della riscossione dei tributi proposto
in pendenza del giudizio di merito anche se sia stato gi emesso it
provvedimento di sospensione (l).
(1-4) Identica l'altra sentenza in pari data n. 1472.
Decisione di grandissima rilevanza non soltanto sul punto centrale della
controversia, ma su vari altri problemi basilari del processo tributario.
La prima massima applica una regola di diritto comune ormai consolidata,
ma implicitamente riconosce la ammissibilit del regolamento di giurisdizione
rispetto al processo innanzi alle commissioni; di ci invero non vi era ragione
di dubbio (art. 362 cod. proc. civ.) una volta riconosciuto, come ormai paci-
fico, che le commissioni sono giudici speciali; ma essendo questa, a quanto
consta, la prima pronunzia che interviene sul punto, merita di essere segnalata
anche per questo.
Molto importante per la definizione della natura del processo tributario
la seconda massima. Bench il processo sia cronologicamente collegato ad un
atto (amministrativo) dell'ente impositore, essa ha per oggetto il completo
riesame del merito del rapporto; il giudice si pronunzia con pienezza di indagine
sulla sussistenza della obbligazione pubblica e quindi sulla verifica dei
presupposti e degli effetti del rnpporto quale ori19ina!10 dai1la norma iimpos,]
tiiva, con 11a conseguenza che la pronunzia del giudice ha natura dichiarativa
della obbligazione sorta ex lege ; in conclusione il processo tributario di
accertamento del rapporto e non di annullamento dell'atto di accertamento
346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
Le commissioni tributarie non sono organi della giustizia amministrativa
cui conferito il potere di annullamento degli atti della p.a., ma
organi di giurisdizione speciale chiamati a pronunciare, con pienezza di
indagine, sull'accertamento del rapporto e quindi ad emettere pronunzie
dichiarative sulla sussistenza della obbligazione tributaria sorta ex Iege
e non pronunzie costitutive di annullamento dell'atto di accertamento
(2).
Al giudice tributario (e ad ogni altro giudice), in mancanza di norme
espresse, non pu essere riconosciuto il potere di sospendere i titoli esecutivi
fiscali per la riscossione delle imposte (3).
La sospensione legale (parziale) della riscossione prevista automaticamente
come effetto deZla impugnazione dell'accertamento, la possibilit
di ricorrere all'intendente di finanza che deve emettere una decisione
amministrativa motivata suscettibile di impugnazione innanzi al
giudice amministrativo ed il rimedio sostitutivo della azione di risarci
ovvero, secondo una terminologia ormai largamente seguita, di impugnazionemerito
e non di impugnazione-annullamento. Corollario di ci che le
commissioni tributarie sono s giudici speciali, ma non orgni della giustizia
amministrativa, con la conseguenza che nel processo tributario il giudice, che
non ha il potere di rimuovere l'atto di esercizio della potest amministrativa,
perviene all'accertamento della obbligazione senza la necessit della formale eli
minazione dell'atto, spettando successivamente all'amministrazione annullare ed
eventualmente sostitui11e gli atti r;konosoiuti 1~legHtimi e rhliquidare l'imposta
disponendo in ipotesi il rimborso sulla base del giudicato.
In questa parte della sentenza sono condensate proposizioni che, in armonia
con le tesi da sempre sostenute dalla Avvocatura, fissano i caratteri fondamentali
del processo tributario.
Un breve, ma solidissimo cenno alla struttura del processo tributario era
gi contenuto in altra importantissima sentenza delle Sez. Un. che ritenne la
improponibilit delle azioni di mero accertamento (8 marzo 1977, n. 942, in
questa Rassegna, 1977, I, 302, con nota di C. BAFILE).
particolarmente da segnalare, oltre alla non nuova affermazione della
natura dichiarativa della decisione, il particolare rapporto tra la pronunzia
sulla sussistenza della obbligazione e i provvedimenti conseguenziali della Amministrazione
per la riliquidazione dell'imposta e gli eventuali rimborsi.
Sul punto specifico del'la controversia :La deci:sione, pur 1tarnto avversata,
perfettamente in linea con una lunga tradizione. sempre stato escluso che
il giudice ordinario avesse il potere di sospendere la riscossione (v. Relazione
Avv. Stato, 197'1, 75, II, 594) e non era pensabile che un tale potere potesse
essere conferito alle commissioni; che le norme del nuovo contenzioso escludono
una tale eventualit del tutto chiaro, s che questa parte della pronunzia
la meno problematica.
Molto importante invece la disamina sulla confutazione del sospetto di
illegittimit costituzionale, sia sul punto che il potere cautelare, specie innanzi
al giudice dei diritti, non un attributo necessario della giurisdizione, sia sul
punto che le guarantigie offerte dal sistema con la sospensione legale, il ricorso
all'intendente e la domanda di risarcimento contro l'esattore sono sufficienti
nell'ambito del necessario contemperamento di esigenze contrastanti. Bench la
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347
mento del danno contro l'esattore, assicurano al contribuente una esaustiva
tutela, compatibile con la necessit di contemperare l'esigenza di
assicurare la vita finanziaria dello Stato con l'esigenza della tutela del
cittadino (4).
(omissis) A carico della societ per azioni Raffineria Edoardo Gar
rone veniva iscritta a ruolo la somma di lire 362.495.040 per imposta di
ricchezza mobile, dovuta per gli anni dal 1967 al 1972, a seguito di
riliquidazione effettuata in applicazione del condono stabilito con d.I. 5
novembre 1973, n. 660.
La sooiet, con ricorso del 1 giugno 1977, impugnava il ruolo innanzi
alla commissione tributaria di primo grado di Genova, contestando l'ob
bligazione tributaria; ed otteneva, poi, dall'intendente di finanza, a norma
dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la sospensione della riscos
sione fino al 31 ottobre 1977.
Con ricorso del 5 settembre 1977, nell'imminenza della soadenza di
detto termine, la societ chiedeva al presidente della commissione di
disporre la sospensione della riscossione dell'imposta iscritta a ruolo.
Con decreto del 20 ottobre 1977, il presidente della commissione fissava
l'udienza per la decisione della domanda di sospensione, ordinando
la comunicazione del ricorso e del decreto all'ufficio delle imposte.
Con ordinanza del 2 novembre 1977, la commissione tributaria di
primo grado sospendeva la riscossione, fissando per la trattazione del
merito l'udienza del 21 dicembre 1977.
Considerava la commissione tributaria: -ohe l'Intendente di Fi
nanza aveva disposto la sospensione della ,riscossione a norma dell'arti
colo 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per un limitato periodo di
tempo, anzich sino alla decisione di primo grado; -che l'esclusione del
potere di sospensione della commissione tributaria contra$tava con l'esi
genza costituzionale di un'ampia tutela del cittadino contro gli atti della
pubblica amministrazione (art. 113, primo comma, Cost.); -che non
ostavano a tale potere la tradizione legisiativa riBalente a tempi in oui
era limitata la protezione del singolo, l'espressa previsione in altri ordini
giurisdizionali e la ritenuta legitt:imit della posticipazione della tutela
dei soggetti coinvolti neHa esecuzione esattoriale; -e che argomenti a
favore del cennato potere potevano trarsi dall'analogia con la giurisdi
pronunzia abbia specifico riferimento alle imposte dirette, essa dichiaratamente
applicabile anche alle imposte indirette ed anche per la giurisdizione ordinaria.
Ancora da notare l'implicita soluzione della questione della impugnabilit
innanzi al giudice amministrativo del provvedimento dell'intendente di finanza,
che era stata messa in dubbio proprio dal Consiglio di Stato (Sez. IV, ord.
12 febbraio 1974, n. 173, in questa Rassegna, 1974, I, 657 con nota di R. TAMIOZZO).
C. BAFILE
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
zione amministrativa e dall'essere ricompreso il potere di sospensione nel
potere di annullamento delle commissioni tributarie.
In pendenza del giudizio di merito, l'amministrazione finanziaria
dello Stato ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione
limitatamente alla domanda cautelare di sospensione, deducendo
un unico motivo, illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso,
anch'esso illustrato da memoria, la societ Raffineria Garrone, la quale
ha eccepito l'inammissibilit del regolamento, proposto dopo l'emissione
del provvedimento di sospensione e I'esaurimento del relativo procedimento
incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'amministrazione finanziaria -denunciata la violazione dell'art. 39
del d.P.R. 29 settembzre 1973, n. 602, degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo
1865, n. 2248, all. E, dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dei
pr1ncpi generali del contenzioso tributario -sostiene che, sebbene sussista
la giurisdizione della commissione tributaria nella causa principale
promossa con l'impugnazione del ruolo esattoriale, tale giurisdizione difetti
nel giudizio incidentale instaurato con l'istanza di sospensione, in
quanto -esulando dalle attribuzioni giurisdizionali del giudice tributario
e di ogni altro giudice il potere di sospensione della riscossione
dell'imposta iscritta a ruolo, attribuito, in via esolush'a all'intendente di
finanza ex art. 39 del d.P.R. n. 602 del 1973 -la domanda di sospensione
dell'esecuzione sarebbe (assolutamente) improponibile innanzi a qualsiasi
giudice.
Il ricorso per regolamento ammissibile e fondato.
In via pregiudiziale, la Societ resistente ha eccepito l'inammissibilit
del regolamento preventivo di giurisdizione proposto, in pendenza
deHa causa principale, non per contestare la giurisdizione del giudice adito
(pienamente riconosciuta), ma con riguardo al solo procedimento incidentale
ad essa inerente, successivamente all'emissione del provvedimento
di sospensione ed all'esaurimento del procedimento cautelare.
L'eccezione di inammissibilit va disattesa.
Invero, data la funzione dell'azione cautelare, tesa ad ottenere (quando
possibile) la sospensione deM'esecuzione, il vincolo di strumentalit
della cautela, :rispetto al fine cui tende il giudizio di merito, non consente
l'ipotesi di separazione del procedimento cautelare da quello di
merito n quella di una giurisdizione diversa per i due procedimenti.
Infatti -esigendo il rapporto strumen1laile tra la pretesa di merito
e queHa cautelare che entrambi i procedimenti siano volti alla tutela
della medesima situazione giuridica soggettiva, con la conseguente implicazione
della necessit della identit di giurisdizione -deve ritenersi
che i due procedimenti (cautelare e di merito), pur muilliti di una certa
autonomia, costituiscano fasi processuali di un unico giudizio, fra loro
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
in consecuzione finalistica, e che, conseguentemente, l'oricliinanza di so
spensione -non integrando, per la sua funzione, per la precariet del
provvedimento e per la sommaruet detla delibazione, una proouncia di
merito e non potendo, quindi, dar luogo ad un giudicato (1implicito) in
relazione alla giurisdizione sulla pretesa di merito -non possa preclu
dere l'esperimento del regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41
cod. proc. civ. (nel senso della esclusione della impugnabilit immediata
dell'ordinanza di sospensione ex art. 111 Cost.: cfr. Cass., sent. n. 2733 del
1973; sent. n. 3047 del 1962).
Per modo che il regolamento, proposto in pendenza della causa di
merito, deve considerarsi ammissibile, anche se, contestandosi il po
tere di sospensione, il provvedimento cautelare sia stato (in ipotesi)
irritualmente pronunciato.
Passando all'esame del-merito, il problema che si pone se, nel
.quadro della tutela accordata dall'ordinamento giuridico ai soggetti passivi
dell'attivit amministrativa di accertamento e riscossfone delle imposte,
le Commissioni tributarie siano investite del potere di sospensione
dei titoli esecutivi fiscali, e cio se esse possano sospendere in via caute.
fare l'efficacia esecutiva della iscrizione a ruolo e la riscossione esatto
riale del tributo.
II quesito proposto, attinente all'ammissibilit (o meno) della tu
tela giurisdizionale preventiva e cautelare nel processo tributario, stato
vivamente dibattuto e variamente risolto.
Gli argomenti a sostegno della soluzione negativa vengono indivi
duati nel rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione
.della disciplina del contenzioso tributario) alle sole norme del libro
primo del codice di procedura civile, nella espressa attribuzione della
potest di sospensione della riscossione aH'intendente di finanza ai sensi
.dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (disposizioni sulla riscos
.sione delle imposte sul reddito) e ne1la previsione della cosiddetta so
.spensione legale, relativa alla progressiva esazione del triibuto (art. 15
.del cit. d.P.R. n. 602 del 1973).
La soluzione positiva, invece, trae argomenti dalla considerazione
che il potere di sospensione dell'efficacia di un atto inscindibile da
quello di annullamento, costituendo di questo un quid minoris, dal ri
lievo che il giudice speciale tributario un giudice amministrativo esclu
sivo, in grado di fornire ogni forma di tutela, e dal riflesso che 1'esclusione
del potere di sospensione cautelare contrasta con l'esigenza costitu
zionale, espressa negli artt. 24 e 113, primo comma, Cost., della pi
.ampia tutela del cittadino.
Fra le due contrapposte opinioni, le sezioni unite della Corte Su
prema ritengono di dover aderire all'orientamento negativo e che, quindi
-a:tla stregua de1la normativa vigente e dei principi sanciti negli arti
,coli 24 e 113 della Costituzione -non spetti al giudice tributario H po
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
tere di sospensione cautelare nei confronti della riscossione esattoriale
delle imposte.
I sostenitori della tesi positiva tendono ad affermare la sussistenza
del potere cautelare delle commissioni tributarie, quale naturale completamento
delle 101:0 attribuzioni giurisdizionali, attraverso la seguente
costruzione giuridica: il potere cautelare (strumentale rispetto al merito),
inerente alle attribuzioni giurisdizionali ed avente, per la sua applicazione
generaile, la sua base normativa nei princpi costituzionaili fissati
negli artt. 24 e 113 Cost., va riconosciuto alle commissioni tributarie,
in quanto -costituendo questi organi (speciali) della giustizia amministrativa,
davanti a cui la tutela tributaria configurata come impugnativa
del provvedimento dell'ufficio finanziario -ad esse va esteso
in via anailogica H potere di sospensione il1iconosciuto al giudice amministrativo
investito del potere di annullamento degli atti del1la pubblica
amministrazione.
La concezione delineata non condivisibile.
Va, innanzi tutto, osservato come l'art. 24 della Costituzione -mirando
a disciplinare non la giurisdizione ma l'accesso alla stessa e non
predeterminando i contenuti dei poteri dei giudici e la tipologia ed il
vailore dei provvedimenti giurisdizionali -non possa costituire il fondamento
del potere cautelare del giudice tributario, s che -rientrando
nelle scelte del legislatore i modi di strutturazione dei vari sistemi giurisdizionali
-deve escludersi che possa farsi discendere automaticamente
dalla disposizione costituzionale dell'art. 24 il potere di sospensione degli
atti di riscossione delle imposte.
N pu ritenersi implicitamente devoluto alle commissioni tributarie
il potere di sospensione in base aH'art. 113 Cost., sul riflesso che la
tutela giurisdizionale da esso garantita, per avere in ogni momento
carattere di pienezza ed effettivit, debba ricomprendere anche la protezione
cautelare del cittadino nella fase iniziale del procedimento, in
quanto la potest di sospendere non pu considerarsi necessariamente
inclusa nella giurisdizione di merito, ma deve essere conferita al giudice
da norme espresse, non suscettive di interpretazione analogica ed
estensiva.
E ci stato espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale,
la quale, con la sentenza n. 284 del 1974, ha statuito che l'esclusione del
potere di sospensione nell'ambito di un sistema di tutela giurisdizionale
pu considerarsi costituzionalmente legittima se ragionevolmente giustificata,
e con le sentenze n. 195 del 1975, n. 67 del 1974, n. 138 del 1968 e n. 87
del 1962, ha affermato che un trattamento differenziato dei rimedi offerti
per l'esecuzione esattoriale (con esclusione del potere cautelare di sospensione)
giustificato dalla particolare qualificazione del preminente
interesse costituzionale (fondamentale e pTimario) di garantire il regolare
svolgimento della vita finanziaria dello Stato.
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351
Va, quindi, confermato come -essendo consentito al legislatore
ordinario, in materia processuale, di stabilire procedure differenziate, dn
vista della possibile diversificazione deHa tutela giurisdizionale a causa
delle differenti peculiarit deHe singole situazioni sostarnziali, regolando
in maniera diversa i modi e l'efficacia deMa tutela giurisdizionale, con
esclusione, quindi, di una identica tutela (dr., in tal senso, oltre le decisioni
della Corte costituzionale g citate, la sent. della stessa Corte n. 161
del 1971) -il potere di sospensione, non discendendo implicitamente ed
automaticamente da disposizioni normative della Costituzione, debba essere
conferito necessariamente da norme espresse.
Va, poi, considerato come debba escludersi che le commissioni tributarie
costituiscano organi della giustizia amministrativa, ricompresi
nel sistema della giurisdizione amministrativa, e che il sistema di tutela
giurisdizionale loro affidato si realizzi con l'annullamento degli atti della
pubblica amministrazione.
Invero, le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione speciale
del tutto diversificati dagli organi della giustizia amministrativa
tipicamente considerati dalla Costituzione, legittimati dalla disposizione
VI transitoria della Carta costituzionale e risultanti dalla revisione delle
commissioni tributarie preesistenti attuata alla stregua dei rprindpi stabiliiti
nella [egge 9 ottobre 1971, n. 825, concernente Ja delega legislativa
per la riforma tributaria (cfr. Corte cost., sent. n. 215 del 1976; sent. n. 287
del 1974; Cass., sez. un., n. 4507 del 1978).
Ed, innanzi' ad esse, il giudizio tributario -ancorch costruito for
malmente come ricorso contro un atto dell'ente impositore -ha per
oggetto il completo riesame del merito del rapporto (cfr. Cass., sez. un.,
sent. n. 4507 del 1978; sent. n. 942 del 1977), trattandosi -secondo fa pi
autorevole dottrina -di un giudizio di impugnazione-merito (e non di
impugnazione-.annullamento).
Il processo instaurato innanzi al giudice tributario , quindi, di accer
tamento del rapporto.
E -poich al giudice spetta di pronunziare, con pienezza di inda
gine, su1la sussistenza deU'obbligazione pubblica e non sulla corret
tezza dell'esercizio del potere amministrativo -l'oggetto del giudizio
viene a risolversi nella verifica dei presupposti e degli effetti del rap.
porto.
Il giudizio tributario , quindi, limitato all'accertamento del regime
legale del rapporto originato dalla norma impositiva e fa pronunzia resa
dal giudice tributario ha natura dichiarativa dell'obbligazione sorta ex
lege (e non costitutiva di annullamento).
Per modo che il processo tributario -in mancanza di un potere
autoritativo del giudice volto alla rimozione del concl'eto atto di eser
cizio della potest amministrativa -perviene a1l'accertamento dell'ob
bligazione tributaria senza necessit della formale eliminazione deU'atto,
352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
spettando successivamente all'amministrazione finanziaria annullare ed
352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
spettando successivamente all'amministrazione finanziaria annullare ed
eventualmente sostituire gli atti riconosciuti ,LUegittimi e riliquidare l'im
posta (disponendo, in ipotesi, il rimborso, slll1la base della pronunzia
:giurisdizionale).
La giurisdizione, quindi, dichiara legittima o illegittima {in tutto o
in parte) la pretesa tributaria sul piano sostanziale, senza necessit di
revoca de1l'atto proveniente dall'amministrazione.
Pertanto, in mancanza di un giudizio di arnlullamento, non appare
valorizzabile l'idea di un potere di sospensione {strumenta:le) del giu
dice tributario ricompreso in quello di anm.uillamento.
Conseguentemente al giudice tributario non pu essere riconosciuto
neppure in via analogica il potere di sospensione, assegnato (unitamente
al potere di annullamento) al Consiglio di Stato dall'art. 39 del r.d. 26
:giugno 1924, n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato) ed ai T1ribrunali
amministrativi regionali dall'art. 21, ultimo comma, della legge 6 di.
cembre 1971, n. 1034 (istituzione dei tribunali amministrativi regionali).
D'altro canto, -costituendo l'art. 6 della legge 20 marzo 1865,
n. 2248, all. E (sul contenzioso amministrativo) il cardine del sistema
giurisdizionale tributario e permanendo, dopo la riforma tributaria, la
regola generale che le controversie d'imposta, ove non sia diversamente
disposto, sono soggette alla giurisdizione ordinaria -non pu ricorrersi
.:ai priindpi di analogia per riconoscere alle commissioni tributarie il
potere cautelare di sospensione neppure in ordine alla giurisdizione ordinaria,
sprovvista in materia tributaria di silfatto potere.
E -poich l'impossibilit della sospensione ape judicis della riscos-
sione delle imposte indirette risulta dagli artt. 54, quarto comma, del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (disciplina dell'imposta di registro) e 45,
-primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (disdplina dell'imposta
sulle successioni e donazioni), i quali irichiamano espressamente l'art. 31
del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 (t.u. delle disposizioni di legge relative alla
riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), che ~nibisce la sospen-
sione degli effetti del titolo esecutivo fiscale (cfr., Cass., sez. un., sent.
n. 855 del 1975; sent. n. 2583 del 1974) -peir ragioni di carattere sistematico,
il potere di sospensione va escluso, nell'ambito della giurisdizione
delle commissioni tributarie, anche nel settore delle imposte dirette.
Sgombrato il campo, attraverso ila critica su delineata, dalla costru?:
ione giuridica di segno positivo, deve procedersi a1l'esame degli elementi
argomentativi addotti a sostegno della soluzione negativa.
In base al sistema tributario vigente prima della riforma attuata con
'i decreti presidenziali delegati emessi in base alla legge 9 ottobre 1971,
n. 825, concernente la delega legislativa per la riforma tributaria, non
spettava alle commissioni tributarie n al giudice ordinario, nel quadro
della tutela accordata daH'o11dinamento ai soggetti passivi dell'attivit
:amministrativa di accertamento e di riscossione delle imposte, alcun
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
potere di sospensione dei titoli esecutivi fiscaili (artt. 188, 208 e 209 del
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 t.u. delle leggi sulle imposte dirette). (Riguardo
al settore delle imposte dirette, J'U!Ilica possibilit di intervento
esterno sul coiiso dell'esecuzione em rappresentata da1la facolt di sospensione
aUribuita al pretore nel caso di opposizione di terzo, introducente
una controversia del tutto estranea alla materia tributaria: cfr.
Cass., sent. n. 564 del 1972; sent. n. 1771 del 1968; sent. n. 2032 del 1967).
Nell'articolato sistema giurisdizionale tributario, apprestato daJl'ordinamento
con la riforma, la tutela fondamentaJmente rivolta contro
l'atto di accertamento (art. 16, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 636), che, non costituendo titolo esecutivo, non propone un problema
di sospensione.
Al ricorso contro l'accertamento (riferentesi a periodi d'imposta gi
decorsi) ricondotto l'effetto di limitare l'obbligo della iscrizione a
ruolo -incombente ex lege all'amministrazione (cfr. Corte cost., sent.
n. 114 del 1963) -ad un terzo dell'imposta corrispoIJJdente aill'imponibile
accertato dall'.uffi.cio (art. 15, primo comma, del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul
reddito).
Alla pendenza del giudizio tri:butario , inoltre, dovuto, per la cosiddetta
sospensione legale, l'effetto de1la progressiva esazione del tributo.
Invero, dopo la decisione della commissione .tributaria di primo
grado, l'imposta iscritta a ruolo per la met dell'imponibile determinato
(art. 15, secondo comma, lett. a); successivamente alla pronuncia
di secondo grado per due terzi di questo (ar-t. 15, secondo comma, lett. b);
e dopo la decisione della Commissione centrale rper l'ammontare corrispondente
all'imponibile stabilito (art. 15, secondo comma, iett. e), (in
modo analogo dispone l'art. 6 della legge 23 febbraio 1978, n. 38). Al
contribuente accordata, poi, la possibilit di proporre ricorso contro
l'iscrizione a ruolo (costituente il titolo esecutivo) -ove questa non sia
stata preceduta dalla notifioa dehl'accertamento o del provvedimento di
irrogazione della sanzione pecuniaria ovvero per vizi propri del ruolo innanzi
alla commissione tributaria di primo gmdo (art. 16, secondo
comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636).
Tale ricorso, per, non sospende la riscossione (art. 39, primo comma,
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602).
Peraltro, contro gli atti esecutivi dell'esattore il contribuente pu
esperire il ricorso previsto dall'art. 53, primo comma, del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, all'intendente di finanza, 1il quale tenuto a decidere
sull'impugnativa nel termine di trenta giorni dalla sua presentazione,
dopo aver sentito l'ufficio delle imposte ed avere invitato !L'esattore
a presentare le sue deduzioni entro quindici giorni (art. 53, terzo
comma).
354
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
Esclusivamente alfintendente di finanza resta devoluto (come disposto
anche dall'art. 188, quarto comma, del t,u. 29 geru:iaio 1958, n. 645)
il .potere di sospensione (deHa 1riscossione e della esecuzione) sia nel
caso di ricorso avverso il ruolo sia nel caso di ricorso avverso gli atti ese-
cutivi dell'esattore.
Invero, l'art. 39, primo comma, del d.PiR. 29 settembre 1973, n. 602'
-dopo aver stabilito che il ricorso contro il ruolo non sospende la
riscossione -dispone che tuttavia l'intendente di finanza, sentito l'ufficio
delle imposte, ha facolt di disporla in tutto o in parte d.no aHa
decisione della commissione di primo grado, con provvedimento motivato
notificato aill'esattove ed ail contribuente che tale provvedimento pu
es,sere revocato dall'intendente di fillanza ove sopravvenga fondato pericolo
per la riscossione; e l'art. 53, terzo comma, del medesimo decreto
presidenziale n. 602 del 1973 prevede che, nel periodo di tempo assegnatogli
per decidere sul ricorso ad esso rivolto (trenta giorni}, l'intendente
di finanza pu sospendere gli atti esecutivi con provvedimento motivato
.
Inoltre, mentre con l'art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 si rinnovato
il divieto delle opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi, regolate
dagli artt. 615-618 cod. proc. dv., gi stabilito dall'art. 209, secondo comma,
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, con 1l'1art. 53, quarto comma, del
d.P.R. n. 602 del 1973 si disposto che i provvedimenti dell'intendente
di finanza sono definitivi.
In base al delineato quadro normativo va, quindi, stabilito se sia
concesso al giudice tributario (o ad altro giudice) il potere di sospensione
e se, mediante i mezzi d'impugnativa esperibili dal contribuente, sia
previsto dall'ordinamento giuridico un adeguato sistema di tutela delle
situazioni soggettive del soggetto passivo dell'obbligazione pubblica tributaria.
Come si visto, nel sistema della riscossione delle imposte dirette
-pur essendo consentita al contribuente l'impugnativa del ruolo innanzi
alla commissione di primo grado (e la proposizione del ricorso all'intendente
di .finanza contro gli atti esecutivi de1l'esattore) -non accordata
al soggetto passivo d'imposta iscritta a ruolo altria fovma di tutela in
via d'urgenza al di fuori di quella rappresentata dalla possibhlit di richie
dere la sospensione all'intendente di finanza.
Tale forma di tutela giustiziale non pu far considerare non sufficientemente
protetto il contribuente.
Invero, l'impossibilit d'intervento del giudice tributario sul regime
della riscossione fiscale e l'attribuzione al contribuente del recLamo all'intendente
di finanza come unico mezzo di tutela contro l'esecuzione
esattoriale non valgono a far ritenere labile la tutela (giurisdizionale e
giustiziale) del cittadino nei confronti dell'attivit esattoriale della pubblica
amministrazione, s da far considerare praticamente rivalutato
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
-come si sostenuto da taluni in dottrina -il principio del salve et
repete, gi espunto dall'ordinamento giuridico da decisioni del1a Corte
costituzionale.
Va, innanzi tutto, rilevato come, attravevso la cosiddetta 'sospensione
legale, concretantesi nella progressiva esazione del tributo, ila quale, in
pendenza del giudizio tributario, comporta la riduzione dehl'imponibile
(accertato ex officio) iscrivibile a :ruolo :a:d un terzo (con l'aumento di esso,
nel caso in cui il reddito imponibile sia stato determinato dalla commissione
di primo ~rado, fino alla met e, nel ca:so in cui ~'imponibile sia
stato deciso dalla commissione di secondo grado, fino a due terzi, giungendo
all'iscrizione dell'intero reddito imponibile soltanto dopo la pronuncia
della commissione centrale), si 1abbia gi una congrua ed efficace
tutela del contribuente, soprattutto, quando in presenza della incontrovertibilit
del fondamento de1l'obbligazione pubblioa, si discuta esclusivamente
dell'esattezza della liquidazione del debito tributario.
N pu ritenersi che le disposizioni normative, integranti H complesso
sistema di tutela apprestato in favore del contribuente dall'ordinamento
tributario -ispirato al criterio dell'indipendenza della reazione
all'accertamento dal procedimento di riscossione -le quali escludendo
il potere cautelare di sospensione del giudice tributario (non
potendo consentirsi ad esso, privo del potere di annullamento, di operare
sull'atto amministrativo teso aMa riscossione, limitandone fa incidenza
effettuale) attribuiscono lo stesso esclusivamente aH'intendente
di finanza, non garantiscano sufficientemente fa tutela costituzionalmente
assegnata al contribuente.
Invero, il reclamo all'intendente di finanza proposto ex art. 39 del
diP,R. n. 602 del 1973 promuove un provvedimento giustiziale contenzioso
che impegna l'intendente a pronunciare motivatamente il provvedimento
di sospensione o di diniego della sospensione in un tempo assolutamente
breve, previsto ex lege nel termine di trenta giorni, che,
soprattutto, nei casi in cui si appalesi evidente l'errore di calcolo o di
trascrizione ovvero l'i1legittimit della iscrizione a ruolo, vale ad evitare
(neLle intenzioni del legislatore) ohe il contribuente onerato, tenuto
alla corresponsione di un tributo, o di un ammontare d'imposta,
non dovuta, sia inciso nella sua sfera patrimoniale senza che ricorrano
(in tutto o in parte) i .presupposti della liquidazione del debito tributario.
E -poich tale procedimento giustiziale consente (essendo i provvedimenti
dell'Intendente di Finanza considerati definitivi ex art. 55,
quarto comma, del d.P.R. n. 602 del 1973) che avverso il provvedimento
di diniego della sospensione della riscossione dell'imposta ~scritta a
ruolo possa adirsi, mediante l'esperimento dei rimedi giurisdizionali,
il giudice amministrativo -non pu avallarsi la tesi volta a sostenere
che il contribuente -legittimato comunque ad agire in via risarcitoria
356 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
nei confronti dell'esattore -sia sprovvisto di una garantistica ed esaustiva
tutela, giacch -essendo l'esercizio del potere di sospensione
dell'intendente di finanza sindacabile, sotto il profilo della legittimit,
da giudici appartenenti all'ordine giurisdizionale amministrativo -non
pu ritenersi che il contribuente sia adeguatamente protetto di fronte
all'azione amministrativa degli uffici tributari.
H '1egistl.atore tributario -ispirandosi ai prindpi fondamentali della
Carta costituzionale -ha proceduto, nel fissare i rimedi assegnati
al contribuente per consentirgli di opporsi all'attivit amministrativa
esorbitante dai limiti posti a1l'esercizio del potere di riscossione dello
ufficio tributario, al bi!lanciamento degli interessi contrastanti del privato
e dello Stato ed ha ritenuto che -fra l'esigenza costituzionale di
assicurare la vita finanziaria dello Stato, essenziale per lo svolgimento
delle funzioni e dei servizi pubblici dello Stato -apparato, attraverso
il puntuale adempimento delle obbligazioni pubbliche e la non dilazionata
corresponsione dei carichi tributari, e l'esigenza ugualmente fondamentale
della tutela del cittadino, tenuto ex art. 53, primo comma,
della Costituzione a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
sua capacit contributiva -dovesse trovarsi una situazione di giusto
equilibrio che, contemperando i contrapposti interessi, nella visione
del superiore bene dello Stato, valesse a salvaguardare, mediante la
attribuzione delle guarentigie cautelative sopra profilate, la posizione
giuridica soggettiva del contribuente, senza, nel contempo, privare lo
Stato dei mezzi finanziari occorrenti per far fronte alle proprie funzioni
pubbliche, aventi come scopo primario ed essenziale il soddisfacimento
dei bisogni, materiali e morali, del co11po sociale.
Ed , quindi, alla luce di tale prospettiva che va considerata unitamente
alla disposizione dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 602, contenente la espressa attribuzione della potest di sospensione
delila riscossione dell'Intendente. di Finanza -ila statU!izione legislativa
contenuta ne1la norma dii rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 636, che, stabilendo l'applicabilit, nel procedimento dinanzi al:le commissioni
tributarie {in quanto compatibili) delle sole nol1IIle contenute nel
primo [ibro del codice di procedura ciwle (con ila implicita esclusione dell'applicabilit
di altre disposizioni dello stesso codice), ha negato che
dell'istituto de11a sospensione dell'esecuzione possa farsi applicazione nel
processo tributario.
Ed -essendo conseguentemente negata l'applicabilit dell'art. 373
-cod. proc. civ. da parte della commissione tributaria centrale (cfr., in
tal senso, comm. trib. centrale, III sez., ordinanza 2 dicembre 1978) e
non potendo l'iscrizione a ruolo, per quanto si innanzi cons1derato, essere
paralizzata da un provvedimento del giudice ordinario nel corso
del giudizio proseguente innanzi ad esso -non si vede come -in
mancanza di una norma attributiva espressa -il potere di sospensione
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357
dell'efficacia esecutiva del titolo fiscale e della riscossione dell'imposta
iscritta a ruolo (richiedente il concorso dei requisiti essenziali del fumus
boni juris e del danno o pregiudizio grave ed irreparabile) possa
considerarsi esercitabile dalla commissione tributaria di .primo grado.
In conclrusione, deve affermarsi che -competendo esclusivamente
a11'1ntendente di finanza ex art. 39, primo comma, deil d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, il potere di sospendere, su istanza di parte, la
riscossione dei tributi accertati ed iscritti a ruolo (salvo riscontro giurisdizionale
di legittimit dell'eventuale provvedimento di diniego) le
commissioni tributarie e qualsiasi altro giudice, privi di ogni potere
di incidenza sul regime legale degli effetti esecutivi dei titoli fiscali,
siano sforniti della potest giurisdizionale di sospendere la riscos~ione
esattoriale delle imposte.
In definitiva, la domanda di sospensione della riscossione esattoriale
del tributo iscritto a ruolo promossa dalla societ contribuente va
dichiarata improponibile; e conseguentemente va pronunciato il difetto
assoluto di giurisdizione. (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 27 marzo 1980, n. 1908 -Pres. Mirabelli
-Est. Sandulli -P. M. Minetti (conf.). Soc. ORMA (avv. ContaJ1di)
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pagano).
Tributi erariali diretti Accertamento -Imposta sui redditi di ricchezza
mobile Plusvalenza Rettifica con metodo induttivo dell'ammontare
dei ricavi non rispondente al presumibile valore -Legittimit.
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100, 106, 119, 120, 121).
legittimo l'accertamento con il quale in via induttiva viene corretta
l'indicazione nel bilancio del ricavo ottenuto con la vendita di un
bene quando questa non appaia rispondente al suo presumibile valore,
a tal fine utilizzando come mero elemento presuntivo di inattendibilit
del prezzo espresso in bilancio il valore determinato ai fini dell'imposta
di registro. A tale accertamento pu farsi ricorso anche per individuare
una plusvalenza e determinarne l'entit (1).
(omissis) Con il primo, la ricorrente, -denunciata la violazione e
la falsa applicazione degli artt. 145, 148, 150 del d.P.R. 29 gennaio 1958,
n. 645, nonch l'omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione si
duole che la commissione tributaria centrale aibbia accertato il reddito
di ricchezza mobile, categoria B, posto a base dell'imposta sulle
societ, senza tener conto delle risultanze del bilancio.
(1) La massima di molto interesse.
La possibilit di determinare la plusvalenza attraverso la verifica della con
gruit del prezzo di realizzo rispetto al valore (che poi un ineliminabile mezzo
per impedire il mascheramento delle plusvalenze) era stato in passato ritenuto
358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
Con il secondo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa
a:pplica21ione degli artt. 37, 39, 119, 120, 121 del d.P.R. 29 gennaio 1958,
n. 645, nonch l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione -
sostiene la illegittimit dell'accertamenrto del reddito di ricchezza mobile,
categoria B, eseguito in modo induttivo in contrasto con il principio
stabilito dall'art. 119 del cit. decreto presidenziale, secondo cui
il reddito dei soggetti tassabili in base al bilancio deve essere determinato
sulle risultanze del bilancio e del conto profitti e perdite, e con
quello, secondo cui il ricorso aJl'aocertamento sintetico possibile soltanto
quanto :le entrate siano state omesse o indicate in modo inesatto.
La censura, articolata con i riassunti motivi, priva di fondamento.
La commissione tributaria centrale -nell'accertare le plusvalenza,
assoggettabile all'imposta di ricchezza mob1le ai sensi .del coordinarto
disposto degli artt. 81, 100 e 106 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u.
dehle leggi sulle imposte dirette), realizzata daUa societ per azioni Immobiliare
Orma con la vendita di uno stabile -ha correttamente ritenuto
che l'ufficio tributario -di fronte alla inesattezza della impostazione
di bilancio relativa alla somma ricavata dalla vendita -abbia
proceduto legittimamente alla correzione della posta contabile inesatta,
facendo applicazione del metodo induttivo a norma dell'ultimo comma
dell'art. 119 del cita d.P.R. n. 645 del 1958.
In particolare, essa ha considerato che -essendo stata indicata
in bilancio dalla societ contribuente in modo inesatto l'entrata, relativa
al prezzo di vendita dello stabile -I'Ammirnistrazione Finanziaria
abbia proceduto legittimamente a correggere in via induttiva la inesatta
impostazione di bilancio, determinando il valore effettivo del ricavo
della vendita in base alla ubicazione ed alla consistenza dell'edificio ed
ai prezzi di mercato praticati per le vendite in blocco di fabbricati analoghi,
costituiti da appartamenti concessi iin locazione ed assoggettati
al regime vincolistico e gravati da :ipoteche accese a garianzia di mutui
fondiari -utilizzando il prezzo concordato ai fini della imposta di
registro soltanto come parametro di riferimento, e cio come mero elemento
presuntivo di inattendibilit del prezzo di Tealizzo espresso in
bilancio.
Inoltre, ha rilevato come la societ contribuente -a seguito della
contestazione dell'accertamento eseguito induttivamente dall'ufficio del-
ammissibile, ma con notevole timidezza; solo recentemente con le sentenze
7 gennaio 1980, n. 75 e 21 marzo 1980, n. 1904, in questa Rassegna, 1980, I, 618
e 958 si passati ad una presa di posizione pi sicura.
Di rilievo la precisazione che il valore accertato ai fini dell'imposta di
registro soltanto uno degli indizi sui quali l'accertamento pu essere basato;
non vi sarebbe quindi impedimento oggi a procedere allo stesso accertamento
nel caso che il negozio di cessione sia stato assoggettato all'i.v.a.
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
le imposte -non abbia fornito -crnne avrebbe dovuto, ai sensi dell'art.
121, secondo comma, del cit. d.P.R. n. 645 del 1958 -alcuna
prova al fine di dimostrare il'inesattezza della col'rezione apportata alla
posta di bilancio relativa alfa somma ricavata dalla vendita.
Cos decidendo, la Commissione tributari.a centrale ha posto a
supporto della sua statuizione giudi:lrlale un adeguato svolgimento motivazionale,
immune da vi:lrl logici e da errori giuridici.
Invero -come questa Corte Suprema ha gi avuto occasione di
affermare (cfr. sent. 7 novembre 1974, n. 3384) -quando i soggetti. tassabili
in base a bilancio abbiano presentato, ai fini dell'imposta di
ricchezza mobile, la dichiarazione ana:litica dei redditi con riferimento
alle risultanze del bilancio e dei documenti contabili ad esso annessi,
l'amminstrazione finanziaria per pervenire all'esatto aocertamento dei
redditi pu seguire due distinui procedmnenti: a) pu procedere alla
integrazione o correzione delle impostazioni di bilancio mancanti o inesatte
(art. 199 del t.u. n. 645 del 1958); b) pu disattendere nei suoi risultati
il bilancio ed accertare il reddito imponibile in base alla situazione
economica dell'azienda, desunta da elementi e dati comunque raccolti
(art. 120 del cit. t.u.).
Il ricorso al secondo procedimento, con cui viene negata validit
all'intero bilancio, presuppone che questo non sia fondato su scritture
contabili regolari o presenti. tali incompletezze, inesattezze o irregolarit
da dover essere considerato inattendibile nella sua interezza.
In tal caso, il'amministrazione pu procedere all'accertamento sintetico
del reddito, in base a concreti elementi di valutazione della situazione
economica dell'azienda.
Invece, quando dal controllo delle singole poste del bilancio ["isulti
che siano state omesse o indicate in modo inesatto le entrate o siano
state indicate spese o perdite inesistenti o superiori a quelle effettive
ovvero emerga che i fatti aziendali siano S'tati comunque riportati
inesattamente o irregolarmente in modo da concludere con un risultato
diverso da quello effettivo, pu seguirsi il pirimo procedimento accertativo;
ed, in tali ipotesi, l'amministrazione finanziaria procede anche
induttivamente alla integrazione o alla correzione delle impostazioni di
bilancio mancanti o inesatte.
Nel caso di specie, l'amministmzione ha seguito quest'mrimo procedimento,
avvalendosi del pi limitato potere di integrazione e correzione
prevista dall'art. 119 del testo unico del 1958.
Infatti, essa -rilevato che l'entrata relativa all'alienazione dello
stabile era stata indicata in bilancio in misura inesatta -ha provveduto
alla rettifica della stessa.
E -poich l'art. 119 del cit. t.u. consente aLl'ufficio delle imposte
di valutare i1l bene, di cui si indicato il prezzo di realizzo in bilancio,
anche induttivamente, quando questo non appaia rispondente al suo
360
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
presumibile valore di ricavo -deve ritenersi co11retta fa decisione impugnata,
la quale ha ritenuto legittimo l'accertamento del reddito effettivo
condotto induttivamente dall'ufficio fiscale in base ai dati ed agli
elementi di valutazione raccolti, utili per la determinazione accertativa
della base imponibile, anche in considerazione del fatto che contro l'accertamento
dell'ufficio la societ contribuente non abbia fornito, come
avrebbe dovuto in base all'art. 121 del t.u. n. 645 del 1958, la prova dell'effettivo
["ealizzo, conseguito con la vendita del bene.
Ed -avendo l'ufficio finanziario, nel procedere a1la dete["IDinazione
del reddito ai sensi dell'art. 119, terzo comma, compiutamente adempiuto
all'obbligo di. motivazione, impostogli daill'art. 121 successivo, indicando
nell'avviso di accertamento le ragioni giustificatrici deihla cmrezione
(ubicazione e consistenza dello stabile venduto a prezzi correnti
di mercato praticati per fabbricati in analoghe condizioni, e cio per
edifici costituiti da appartamenti locati con contratti assoggettati a regime
vincolistico e gravati di ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari)
che facevano apparire i.I prezzo di realizzo indicato lin bi!lancio
non rispondente al presumibile prezzo di vendita delil'immobile, ed essendosi
l'ufficio avvalso, nel procedere all'autonoma valutazione del
bene alienato, della presunzione di inattendibilit del prezzo di vendita
indicato in bilancio, ricavabile dal concordato intervenuto in ordine al
prezzo agli effetti dell'imposta di registro (c:lr. in tal senso, Cass., 9 giugno
1971, n. 1705) -deve considerarsi infondata la censura mossa con
i profilati motivi ail!la decisione impugnata, la quaJle ha ritenuto corretto
il procedimento accertativo della base imponibile seguito dall'ufficio
delle imposte.
Entrambi i motivi del ricorso sono, quindi, da disattendere. (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1 aprile 1980, n. 2103 -Pres. Marchetti Est.
Caccavale P. M. Dettori (diff.). Ministero delile Finanze (avv. Stato
Angelini Rota) c. I.A.C.P. Cagliari (avv. Mesiano).
Tributi erariali diretti Imposta sulle societ Esenzione dell'art. 151,
lett. f) del t.u. delle imposte dirette per nominati istituti di edilizia
popolare Estensione ad altri istituti non nominati Esclusione.
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. f).
L'esenzione dall'imposta sulle societ dell'art. 151, lett. f) per enti edilizi
specificamente e nominutivamente individuati (INCIS, IACP, ecc.) non
estensibile ad altro ente non nominato, se pure svolgente attivit similare,
quale l'Istituto per le case popolari della Societ mineraria carbonifera
sarda (1).
(1) Massima esatta sul pljllto specifico e sulla pi estesa argomentazione
volta alla delimitazione dell'agevolazione. Non constano precedenti specifici.
-
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
(omissis) L'Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, con l'unico
mezzo formulato, violazione e falsa applicazione dell'art. 151, lett. f)
del t.u. 28 gennaio 1958, n. 645, i!ll relazione all'art. 14 de1le disposizioni
del:la legge in generale, ai sensi dell'art. 111 deHa Costituzione e dell'articolo
360 n. 3 cod. proc. civ. L'art. 151 citato, alla lettera f), sostiene la
ricorrente, dichiara esenti dall'imposta suHe societ l'Istituto nazionale
per le case degli impiegati statali, la gestione I.N.A.-Casa, gli Istituti autonomi
per le case popolari e le aziende autonome di case popollari dipendenti
da regioni, province 1e comuni e relativi consorzi, con criterio tassativamente
soggettivo, il quale non consente che siano da considerare
beneficiari di quella stessa esenzione altri enti, solo perx:h svolgono attivit
analoga e cio costruzione di abitazioni economiche e. :popolari,
sulla base di un criterio oggettivo e con interpretazione chiaramente
analogica, non ccinsentita per disposizioni di carattere eccezionale come
quella in esame.
Il motivo fondato. La norma dell'art. 151, lett. f) del t.u. sulle imposte
dirette (d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645), riproducendo quella dalla
>legge 6 agosto 1954, n. 603), istitutiva deUa imposta surl:le societ, art. 3
n. 5, dispone che dalla imposta anzidetta sono esenti l'Istituto nazionale
per le case degli impiegati statali, la gestione I.N.A.Casa, gli istituti
autonomi per le case popolari e le aziende autonome di case popolari
dipendenti da rngioni, province, comuni e relativi consorzi, enti specificamente
e nominativamente individuati. L'esenzione dunque, anche se
si riconduce manifestamente all'oggetto della attivit di quegli enti ed
alla mancanza di_ scopi lucrativi nell'eserx:izio della attivit medesima,
di natura tipicamente soggettiva.
Trattandosi d'altro canto di una disposizione di carattere singolare
recante eccezione alla norma comune della generailit degli oneri tributari,
essa impone, nella sua applicazione, una interpretazione rigorosa,
la quale (art. 14 delle disposizioni della legge in generale premesse al
codice civile) esclude ogni considerazione analogica come quella che ha
giustificato fa decisione impugnata de1la commissione tributaria centrale
(l'Istituto per le case popolari della societ carbonifera sarda, eretto ad
ente morale con r.d. 17 febbraio 1938, n. 345, provvedeva a simiglianza
degli istituti per le case popolari considerati dal t.u. alle case dei lavoratori
dipendenti dalla societ stessa) ed anche una interpretazione
estensiva, intesa cio a ricondurre sotto 1a norma interpretata quei casi
che solo apparentemente ne sembrano esclusi (Cass, 3 guigno 1976,
n. 2004), vietandolo, nella specie, la tassativa indicazione, nella norma,
degli enti beneficiari della esenzione.
N pu offrire valido sostegno alla tesi dell'Istituto controricorrente
la norma dell'art. 23, ultimo comma, del rid. 28 aprile 1938, n. 1165, il
quale recita: il riconoscimento delle gestioni speciaH di cui all'ultimo
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
362
comma dell'art. 22 dato con decreto reale... ed importa l'estensione
.alle gestioni stesse, a tutti gli effetti, delle disposizioni riguardanti gli
istituti autonomi provinciali per le case popo1a:ri, in quanto applicabili .
vero infatti che le gestioni speciali cui la norma si richiama
sono quelle costituite, come nella fattispecie, da enti di diritto pubblico
che esplicano nel territorio del regJ110 attivit industriale estrattiva
-di interesse nazionale (art. 22 citato), quali appunto la societ mineraria
carbonifera sarda, ma le disposizioni cui fa norma stessa fa riferimendo
sono evidentemente quelle contenute nel medesimo testo di legge
e concem.enti soprattutto le norme 'J:"elative alla stipulazione di mutui
(art. 16 n. 4) a condizioni agevolate per Ia costJ:"UZione di case popolari
{aJ:"t. 4 e segg.), ail concorso dello Stato peJ:" fa costruzione delle case stesse,
all'intervento diretto dei comuni per la esecuzione delle opere di urbanizzazione
primaria (art. 44). Il titolo IX della legge prevede poi nume;rose
agevolazioni tributarie concesse agli istituti autonomi per le case
popolari (art. 147: riduzione al quarto delle tasse di iscrizione e trascri
zione ipotecarie in dipendenza di contratti prestito, di acquisto di loca
zione e di trasferimento di case popolari, della tassa di registro sui contratti
per i lavori di costruzione e manutenzione delle case medesime,
delle tasse di concessione governativa ecc.; aJ:"t. 153: esenzione dal bollo
tassa fissa minima di registro e ipotecaria e di voltura catastale per gli
:atti di mutuo, que1li relativi alle costruzioni ecc.; esenzione dei mutui
stipulati ai fini delle costruzioni .anzidette; art. 154: esenzione dalla tassa
di bollo e scambio per i materiali acquistati di!rettamente per la costru:
zione delle case che si devono ritenere estese in virt di quella norma
anche alle gestioni speciali degli enti, come la societ carbonifera sarda,
i quali esplicano attivit industriale estrattiva di interesse nazionale, in
quanto rivolta direttamente a beneficio della edilizia popolare che si
intendeva incentivare.
Deve ritenersi tuttavia altrettanto per certo che quella stessa norma
non legittima una estensione altiJ."ettanto aiutomatica ed immediata, al
di l della disciplina della legge medesima, a queste gestioni speciali, Qle
-quali pur affiancandosi agli Istituti autonomi per le oase popolari e ad
.altre istituzioni del genere, non perdono la loro sostanziale origine privatistica
ed il loro collegamento ad imprese industriali) di agevolazioni
ituti di istruzione che non hanno
scopo di lucro (n. 8) e gli enti con fini equiparati per Jegge a quelli di
istruzione (n. 9).
Il ricorso della amministrazione finanziaria dello Stato merita qu:indi
favorevole accoglimento e la decisione impugnata deve essere cassata,
rinviandosi il procedimento ad altra sezione 'della commissione tributaria
centrale per nuovo esame. (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 aprile 1980, n. 2507 -Pres. Vigorita Est.
Gualtieri -P. M. Del Grosso (conf.). Soc. Coppo~a Pinetamare c.
Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro).
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case
di abitazione non di lusso -Pertinenze -Non si estende -Appalto per
costruzione di strada interna -Esclusione della agevolazione.
(legge 2 luglio 1949, n. 408, art. 14).
L'agevolazione della legge 2 luglio 1949, n. 408, si applica alle parti
:integranti della casa di abitazione (intese come elementi necessari per
completare la casa affinch soddisfi i bisogni a cui destinata) ma non
si estende alle pertinenze (intese come elemento non essenziale a servizio
o ornamento di una cosa gi completa ed utile di per s); di con.
seguenza non pu beneficiare della agevolazione un contratto di appalto
per la sistemazione di una strada interna ad un complesso edilizio (1).
(1) Decisione da condividere che pone in termini precisi limiti di esten:
sione del beneficio.
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
364
(omissis) Con '.l'unico motivo, demmziando violazione e falsa appliicaziione
degli artt. 13 e 14 legge 3 luglio 1949, n. 408, 6 legge 7 febbiraio
1968, n. 26, che ha carattere interpretativo dell'art. 14 legge n. 408 del
1949; 47 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 12 e 14 delle preleggi e 817 cod. civ.,
in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 codice di rito, la ricorrente deduce:
a) l'art. 14 legge n. 408 del 1949 non pu essere interpretato restrittivamente,
ossia limitatamente ai soli lavori relativi alle strutture proprie
degli edifici, ma deve ritenersi comprensivo di tutte le opere complementari
necessarie -quali strade, servizi, ecc. per l'abitabilit e la funzionalit
dei fabbricati stessi;
b) la corte del merito ha errato nel ritenere applicabile l'art. 14
delle preleggi, secondo cui le leggi che fanno ecceziione a regole generali
o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in essi considerati,
poich tale articolo riguarda solo l'interpretazione analogica mentre,
nella specie, doveva trovare applicazione il precedente art. 12, che consente
l'interpretazione estensiva, dovendosi identificare iJ contenuto
della norma contrattuale o legale, oltre il signidcato letterale delle parole
usate, per cui tale norma non incontra i limiti stab:i!liti nell'art. 14;
e) la Corte del merito non ha considerato, violando cos l'art. 817
cod. civ., che la strada e i relativi tappetini nonch i cordoni stradali e
la pavimentazione di essa costituivano pertinenze de1la casa essendo
destinate in modo durevole al servizio di questa, per garantirne la funzionalit,
in quanto opere necessarie per le sue abitabilit~.
Il motivo infondato.
Non v' dubbio che il legislatore, usando all'art. 14, primo comma,
legge n. 408 del 1949, l'espressione costruzione delle case di cui al precedente
art. 13 abbia voluto riferirsi alle case considerandole nella
loro unit strutturale, con esclusione, quindi, delle pertinenze.
Pertanto, decisiva rilevanza, ai fini dehla interpretazione di detta
norma (che concede benefici fiscali in tema di imposte di registro e
ipotecaria per gli acquisti di aree edificabili e per i contratti d'appalto
aventi ad oggetto la costruzione di case non di lusso) e della conseguente
delimitazione dell'ambito di detti benefici la differenza fra i concetti
di parte integrante e di pertinenza, necessari per individuare, in
re1azione alla unit strutturale del fabbricato, quelle opere che, al di
l della separazione fisica, possono essere cons~derate comprese in tale
unit.
Come questa Corte ha gi avuto occasione di affermaTe proprio in
sede di interpretazione dell'art. 14, i concetti di parte e di pertinenza
sono anche economico-sociali e non soltianto materialistici e il diritto
li recepisce, cos come sono intesi nella coscienza economico-sociale, adattandoli
alle esigenze, proprie della regolamentazione giuridica. Ci com
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
porta che, sul piano giuridico la distinzione fra ta1i concetti va ravvisata,
conformemente ad una elaborazione dogmatica che, presupposta da
numerose norme del nostro diritto positivo (cfr. soprattutto gli artt. 812
ss. cod. civ.), riceve il conforto di una lunga tradizione legislativa e dottrinale,
in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della
parte al tutto e della pertinenza alla cosa principale.
Codesto collegamento si esprime per la parte come necessit di
questa per completare la cosa, cio, secondo La tradizione romanistica,
pr attuare la perfectio di essa; in questa prospettiva, fa parte segna
l'aspetto definitivo della cosa perch essa soddisfi i bisogni cui destinata,
come sentiti concretamente in un determinato momento storico e
in una determinata societ; onde, si rpu dire che fa parte ritenuta elemento
essenziale della cosa.
Nella pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un
servizio od ornamento (per usare le parole dell'art. 817 cod. civ.,
in cui l'istituto definito), che la pertinenza stessa realizza per una cosa
gi completa ed ut1le di per s; per trattasi di elemento che attiene
non all'essenza della cosa, bens alla sua gestione economica o alla sua
forma estetica (cfr. sent. 22 giugno 1974, n. 1899).
A:Ha stregua dei suesposti prindpi, devesi ritenere che, ai fini che qui
interessano, la strada ancorch interna in un complesso edilizio, non
possa qualificarsi come elemento ,essenziale della casa, essendo questa, di
per s, gi organicamente completa e perfetta ne11a sua unit stirutturaile;
al pi si tratterebbe di accertare se di essa sia una pertinenza (di immobile
ad immobile), ma l'esclusione della qualificazione come elemento
costitutivo ed integrante sufficiente per negare l'applicabilit del beneficio
fiscale, che concerne la casa e non le sue evientuaJi pertinenze, donde
l'irrilevanza della censura relativa alla pretesa violazione dell'art. 817
cod. civ.
Quanto al richiamo della ricorrente alla agevolazione, accordata dall'art.
14, secondo comma, alla parte di suolo, attigua al fabbricato, non
eccedente il doppio dell'area coperta, o comunque necessaria al rispetto
dei volumi imposti dalla normativa urbanistica (art. 6 legge 7 febbraio
1968, n. 26) esso del tutto inconferente poich, nella fattispecie in esame,
viene in gioco il beneficio accordato agli appalti e non quello relativo
aMe compravendite di aree edificabili.
Per ci che concerne poi ila pretesa violazione dell'art. 12 delle preleggi
sufficiente rilevare che la Corte del merito non ha affatto negato
che l'art. 14 pi volte citato, pur essendo norma eccezionale, sia suscettibile
di interpretazione estensiva, ma ha affermato ed esattamente che
di fronte ad una norma la quale agevoli gli elementi A e B, l'esten~
sione del beneficio a C pu essere frutto soltanto di integrazione analo1
gica, non gi di interpretazione estensiva. (omissis)
366 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 -Pres. Vigorita -
Est. Battimelli -P. M. Raja (conf.). -Ministero delle Finanze (avv.
Stato Camerini) c. Soc. Massey Fe!'guson (avv. Cogliati Dezza).
Tributi erariali diretti -Accertamento -Ufficio competente -IncoriporaZlione
di societ - quello della sede della societ incorporante.
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 124).
Poich spetta alla societ incorporante provvedere, come obbligo proprio,
a dichiarare in base a specifico bilancio il reddito dell'ultimo esercizio
dei soggetti estinti, competente all'accertamento l'ufficio delle im
poste ove ha sede la societ incorporante (1).
(omissis) Il ricorso non pu essere accolto.
Nel caso di specie, infatti, si verificata una particolare ipotesi di
successione di un soggetto di di:riitto ad altro soggetto, in conseguenza
della estinzione della societ inc011porata e del contestuale nascere di un
nuovo soggetto di diritto, diverso, quanto meno per patrimonio e capitale,
(oltre che, eventualmente, per strutturazione degJi organi sociali e
per numero dei soci) anche daHa societ incorporante quale essa era !'['ima
della incorporazione: fenomeno, questo, che assume una particolare
regolamentazione, diversa da quella rtipica della successione universale di
una persona fisica ad altra persona fisica estinta (per impossibilit di
separazione dei patrimoni e di limitazione di ['esponsabilit del successore,
per immediata confusione dei due patrimoni, per impossibilit di
rinuncia, ecc., come gi chiaramente evidenziato da questa Corte con
la sentenza n. 2872 del 1971, richiamata dalla stessa ricorrente). La com(
1) La decisione suscita qualche perplessit. Se fosse vero che con l'incorporazione
si verifica una automatica ed immediata confusione di rapporti, di
patrimoni, di debiti e di crediti, la societ incorporante, senza nessuna partico-
lare normativa, dovrebbe presentare soltanto la sua ordinaria dichiarazione alla
fine del periodo di imposta con un bilancio che, registrando l'evento della
incomparazione, raccoglie il tutto in capo alla societ. Ma quando la legge
impone (con l'art. 124 del t.u. del 1958) che sia compilato un bilancio distinto
per lo spezzone del periodo di imposta della (o delle) societ incorporate,
366 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 -Pres. Vigorita -
Est. Battimelli -P. M. Raja (conf.). -Ministero delle Finanze (avv.
Stato Camerini) c. Soc. Massey Fe!'guson (avv. Cogliati Dezza).
Tributi erariali diretti -Accertamento -Ufficio competente -IncoriporaZlione
di societ - quello della sede della societ incorporante.
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 124).
Poich spetta alla societ incorporante provvedere, come obbligo proprio,
a dichiarare in base a specifico bilancio il reddito dell'ultimo esercizio
dei soggetti estinti, competente all'accertamento l'ufficio delle im
poste ove ha sede la societ incorporante (1).
(omissis) Il ricorso non pu essere accolto.
Nel caso di specie, infatti, si verificata una particolare ipotesi di
successione di un soggetto di di:riitto ad altro soggetto, in conseguenza
della estinzione della societ inc011porata e del contestuale nascere di un
nuovo soggetto di diritto, diverso, quanto meno per patrimonio e capitale,
(oltre che, eventualmente, per strutturazione degJi organi sociali e
per numero dei soci) anche daHa societ incorporante quale essa era !'['ima
della incorporazione: fenomeno, questo, che assume una particolare
regolamentazione, diversa da quella rtipica della successione universale di
una persona fisica ad altra persona fisica estinta (per impossibilit di
separazione dei patrimoni e di limitazione di ['esponsabilit del successore,
per immediata confusione dei due patrimoni, per impossibilit di
rinuncia, ecc., come gi chiaramente evidenziato da questa Corte con
la sentenza n. 2872 del 1971, richiamata dalla stessa ricorrente). La com(
1) La decisione suscita qualche perplessit. Se fosse vero che con l'incorporazione
si verifica una automatica ed immediata confusione di rapporti, di
patrimoni, di debiti e di crediti, la societ incorporante, senza nessuna partico-
lare normativa, dovrebbe presentare soltanto la sua ordinaria dichiarazione alla
fine del periodo di imposta con un bilancio che, registrando l'evento della
incomparazione, raccoglie il tutto in capo alla societ. Ma quando la legge
impone (con l'art. 124 del t.u. del 1958) che sia compilato un bilancio distinto
per lo spezzone del periodo di imposta della (o delle) societ incorporate,
bilancio che serve alla determinazione definitiva dell'imposta dovuta per l'ultimo
esercizio dei soggetti estinti, vuol dire che si vuole per l'appunto evitare la.
confusione e mantenere separata la obbligazione del soggetto estinto, anche
se per esso risponde ormai il soggetto subentrato. Alla norma dell'art. 124 si
collega quella dell'art. 22 la quale dispone che nel caso di fusione la dichiarazione
dell'ultimo esercizio dei soggetti estinti deve essere presentata (dalla societ
inco:qio11ainte) entro tre mesti dalil'atito di fusfone o incorporazione (non sostanzi:
aiLmente dissimilffi se pure pi dettagliate sono le norme vigenti: airt. 73 d.P.R..
n. 597/197'3.; art. 16 d.P.R. n. 598/1973; art. 11 d.P.R. n. 600/1973~.
E naturalmente tutto questo ha anche un rilievo sostanziale: se una delle
societ incorporate ha prodotto un reddito ed altra una perdita non si fa con-
fusione di utili di perdite.
In conclusione la societ incorporante un successore a titolo universale
che diventato debitore di un'obbligazione che gi faceva capo ad un soggetto
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367
penetrazione immediata del preesistente soggetto nel nuovo che si viene
a fomnare per effetto della fusione o incorporazione, invero, porta ad una
automatica immediata confusione di rapporti, di patrimoni, di debiti e
crediti, e aUa conseguente automatica assunzione da parte del nuovo
soggetto dei diritti e degli obblighi del soggetto estinto (art. 2504, ultimo
comma, cod. civ.), senza alcuna so1uzione di continuit, s che, in particolare,
il rieddito del soggetto incorporato confluisce immediatamente iin
quello della incoriporante e le attivit e passivit delle due diverse preesistenti
gestioni si sommano e formano un tutto unico in testa al nuovo
soggetto.
Le conseguenze, anche in campo fiscale, sono, come indirettamente
confermato dal disposto del IV comma dell'art. 176 del t.u. n. 645 del 1958,.
per quanto attiene allo specifico problema che forma oggetto deHa controversia
in esame, che .l'obbligo della diohiamzione dei redditi (e quello
ad esso funzionale della compilazione del bUancio) diventa un obbligo
proprio e diretto della societ incoriporante, non gi la successione in
un obhligo preesistente, e che -l'espletamento di tali atti fa nascere in
testa alla societ incorporante la concreta sottomissione all'imposizione,
in precedenza esistente solo arllo stato potenzi!aile; ci in qUJanto, seppure
il presupposto dell'imposta la produzione di un reddito, in concreto,
per i soggetti tassabili in base a bilancio (alle cui risultanze l'imposizione
stessa indissolubilmente legata) la preesistente situazione di soggezione
alla potest tributaria in astmtto si trasforma in obbligazione
concreta solo nel momento in cui il bilancio viene redatto e la conse-
guente dichiarazione di reddito viene presentata; s che, nel caso della
incorporazione, la societ incorporante, nel redigere il bUancio dell'incorporata
e nel presentare la relativa dichiarazione, viene a soddisfare
estinto; continuano pertanto a valere le regole riferibili al soggetto originario,
come nel caso di successione fra persone fisiche.
Ma soprattutto non pu essere condivisa l'argomentazione fondamentale
della sentenza in esame: per i soggetti tassabili in base a bilancio (sembrerebbe
per questi esduslivamente) sowtanto con la redazione del bilancio e con ]a dichia-
razione diventerebbe concreta l'obbligazione che anteriormente, pur se il reddito
srtlaito prodotto, eslisterebbe solo ailllo stato potenziale, s che l'obbligazione
nascerebbe direttamente in capo ai1la societ :incor.i;iorante, 11a sola tenuta alla
dichiarazione. Una tale accettazione della teoria c.d. costitutivista, sempre rifiutata
dalla giurisprudenza della S.C. (cfr. da ultimo 5 marzo 1980, n. 1471, in
questo fascicol'o, pag. 345), peraltro limitata ai soli soggetti tassrab:hli in baJSe
a bilancio (senza considerare che le stesse norme degli artt. 22 e 124 valgono
anche quando una societ di persone sia incorporata da una societ di capitali)
non potrebbe mai essere sufficiente per determinare effetti tanto rilevanti, quali
la nullit dell'accertamento.
:. comunque evidente che l'obbligazione nasce in capo al soggetto che produce
il reddito anche se questo si estingue prima del momento in cui devono
essere compiuti gli adempimenti formali della dichiarazione e del bilancio.
C. BAFILE
.368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
un obbligo proprio e diretto, non gi un obbligo altrui iin cui essa sia
succeduta. E una indiretta conferma di ci deriva proprio dal testo delfart.
124 del t.u. del 1958, n. 645, laddove esso dispone che a cura della
societ incorporante deve essere compilato il bilancio cli chiusura che
serve di base per la determinazione definitiva dell'imposta dovuta per
l'ultimo esercizio dei soggetti estinti (e non gi dai soggetti estinti)
la norima, cio, nella sua chiara formulazione letteraile, indica che 11 debito
d'imposta a carneo diretto della societ incorporante, che vi soggetta
per aver fatto proprio l'ultimo esericizio deMa societ estinta, non gi
che esso un debito della societ estinta, ohe ila societ inc011porante
deve soddisfare.
E invero, la dichiarazione in questione non contemplata fra quelle
disciplinate nell'art. 28 del t.u., relativo alle dichiariazioni di redditi
altrui,
D'altronde, posto che il domicilio fiscale si determina in funzione
della sede del soggetto all'imposizione, e posto che in concreto l'imposizione
non pu aver luogo, per i soggetti tassabili in base a bhlancio,
se non in funzione delJa compHazione del bilancio e deMa successiva dichiarazione,
non vi dubbio che soggetto all'imposi:llione , in concreto, la
societ incorporante, nei cui confronti si attua ila potest impositiva, in
precedenza esistente solo come mera potenzialit, e che, conseguentemente,
l'ufficio competente a ricevere fa dichiarazione non pu essere che
queJ1lo nehla cui ciricoscrizione ha sede il soggetto di imposta, ossia Ja
societ incoriporainte, come esattamente stato posto in ri:lievo :nelJa decisione
impugnata. N pu ritenersi che, li!n casi del genere, il domicilio
fiscale debba essere determinato in funzione del luogo dove si prodotto
i>, laddove avrebbe dovuto affermare il principio che
un atto amministrativo di natura tributaria assolutamente nullo quando
sia compiuto da un organo la cui incompetenza sia evidente prima facie,
come avviene nell'ipotesi di incompetenza territoriale, per cui 1a relativa
eccezione, solleviata da esso ricorrente aH'udien:lla di discussione in primo
grado non avrebbe dovuto essere considerata tardiva dallla commisisione.
La censura sostanziailmente fondata.
Devesi rilevare che l'accertamento tributario riveste contemporaneamente
carattere sostanziale e processuale poioh, mentre, da un lato, costituisce
elemento essenziale del rapporto giw:Wdico di imposta, in quanto
indica che si sono verificati in concreto i presupposti per '1'appHcazione
del tributo secondo la valq.tazione degli elemen1li di fatto e ne determina
l'imponibile e, divettamente o no, la relativa imposta, daJ:l'altro, esso contiene
l'affermazione della pretesa tributaria ben determinata, susce1JtlibiJe,
dopo la notificazione dell'avviso quale provocatio ad agendum, di divenire
esecutiva (cfr. sent. sez. un. 21 settembre 1970, n. 1635).
Da questo contenuto bivalente dell'accertamento tributario consegue
che, secondo che siano dedotti vizi del suo aspetto sostailZ)iale o di quehlo
processuale, vanno diversamente regolati l'ammissibilit dei motivi ed
eccezioni ad esso riferentisi innanzi al giudice o:ridinanio e gli effetti delle
decisioni delle commissioni tributarie. Al riguardo, non pu dubitarsi ohe
ha carattere sostanziale ogni ques1lione concernente il potere di applica
re l'imposta, sia per il lato oggettivo dell'esistenza dei suoi presupposti
e dei limiti stabiliti dalla legge, sia per il lato soggettivo della competenza
dell'ufficio che vi procede.
E poich la competenza, nell'ambito generale delle attivdt della pubblica
amministrazione il complesso delle potest, ossia deJ!le funzioni,
che ciascun organo autorizzato ad esercitare, entro i limiti, non solo d1
tempo, ma anche di Spazio, nei quali l'agente possa essere considerato
autorit amministrativa, la competenza territoriale determinante per
la stessa esistenza del singolo atto amministrativo. Consegue che l'atto
posto in essere fuori di dettli limiti (si pensi al provvedimento di un pre
fetto destinato a operare in una provincia diversa da quella alla quaJ!e
perch l'altra parte possa esercitare la difesa (la menzionata sentenza ha ad
esempio ritenuto che non sussiste incompetenza dell'ufficio quando il contribuente
abbia presentato la dichiarazione allo stesso ufficio incompetente) s che
deve escludersi che la statuizione possa intervenire sorprendendo le parti (per
un caso di individuazione particolarmente laboriosa della competenza dell'ufficio
e tale da escludere sicuramente la rilevabilit d'ufficio v. la sentenza 2 giugno
1980, n. 3596, in questo fascico1o, pag. 366).
Se perfino l'incompetenza territoriale del giudice non pu essere pronunciata
senza eccezione della parte poco credibile che l'incompetenza dell'organo sia
rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado.
380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
egli sia preposto) deve ritenersi, secondo la dottrina, inesistente; quanto
meno esso affetto da nullit assoluta proprio per mancanza di potere
dell'organo che lo ha emesso e avendo la competenza per territorio, nella
materia amministrativa, carattere funzionale e inderogabile. Quindi, il
difetto di potere, quando riguardi l'accertamento tributario (che atto
amministrativo), costituisce un vizio sostanziale e radicale che ne importa
la nullit assoluta, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del
procedimento tributario, avente per oggetto l'atto medesimo (cfr. sent.
19 ottobre 1977, n. 4462).
fai virt di questo carattere sostanziale del dedotto vizio di incompetenza
territoriale de1l'ufficio II.DD. di Montepulciano (che notific al
Mastropietro tre avvisi di accertamento dei redditi di R.M. e complementare
per gli anni 1967, 1968 e 1969) e della sua rilevabilit in ogni stato
e grado del procedimento, va negata ogni possibilit di applicazione, nella
fattispecie, della norma dell'art. 19, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, secondo
cui il contribuente pu dedurre motiivi ed eccezioni, ancorch non indicati
nel ricorso, fino a dieci giorni precedenti la prima udienza avanti la commissione
di primo grado.
Ha errato, pertanto, la commissione tributru:iia centrale, nell'escludere
il carattere assoluto della nrutllit in parola e nel rutenere, per conseguenza,
intempestiva la relativa eccezione, sollevata dal Mastropiietro dopo il termine
suindicato. (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 1uglio 1980, n. 4322 Pres. Vigoriita Est.
Martinelli -P. M. Catelani (comf.) -Ministero deHe Finanze (avv.
Stato Viola) c. Soc. SEGES.
Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Condono -Termine per il
pagamento r 1!: perentorio.
(d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 8).
Ai fini dell'applicazione del condono concesso con il d.l. 5 novembre
1973, n. 660, in materia di imposta sull'entrata, necessario che il contribuente
rispetti il termine perentorio previsto dall'art. 8 per quanto attiene
sia alla presentazione della domanda sia al pagamento del tributo nella
misura stabilita dalla legge (1).
(1) Giurisprudenza costante opportunamente riconfermata (Cass., 19 febbraio
1980, n. 1218, in questa Rassegna, 1980, I, 823).
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1980, n. 4652 -Pres. Granata
Est. Corda -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato
Soprano) c. Barbato (avv. Miele).
Tributi erariali indiretti -Imposte ipotecarie -Sanzioni -Sistema di applicazione
del tributo -Distinzioni.
(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, artt. 7 e 17).
Il sistema di applicazione dei tributi ipotecari si articola in due diverse
categorie di prelievo: una prima che prevede il pagamento dell'imposta,
di facile liquidazione, nelle mani del conservatore dei registri immobiliari
in occasione della richiesta di formalit ipotecarie; una seconda che prevede
il pagamento di una imposta proporzionale sulla stessa base imponibile
della imposta di trasferimento presso l'ufficio del registro contemporaneamente
al pagamento dell'imposta di registro o di successione. Per
le imposte della seconda categoria, l'omesso pagamento, che si manifesia
con la omessa richiesta di trascrizione (art. 17, primo comma, d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 635) d luogo ad una pena pecuniaria la cui entit riferita
all'ammontare dell'imposta evasa. poi prevista una sanzione (art. 17,
secondo comma) per l'omessa richiesta della formalit, sia nel caso che
sia dovuta una imposta fissa o da prenotarsi a debito sia nel caso che
non sia dovuta alcuna ulteriore imposta per essere gi avvenuto il pagamento
dell'imposta proporzionale (1).
(omissis) Con l'unico motivo di esso, la 11icorrente amministrazione
finanziaria dello Stato -nel denunciare la vti.olazione dell'art. 17 del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 -sostiene che nel caso di specie (caratterizzato
dal fatto che l'omessa presentazione al conservatore dei registri immobiliari,
nel termine di trenta giorni della nota di trascrizione, concerneva
un atto soggetto all'imposta ipotecaria proporzionale) la sanzione applica(
1) La sentenza sicuramente molto istruttiva; forse non tutte le considerazioni
in essa contenute sono incontrovertibili, ma sembra da condividere il
criterio generale: in sostanza, quando stabilito il pagamento presso l'ufficio
del registro di una imposta, per l:o pi propor2lionaile, si p!'evede una duplice
sanzione: a) per l'omesso pagamento, enunciato (primo comma dell'art. :17) sotto
forma di omessa richiesta di trascrizione (che poi si concretizza in omessa
richiesta di registrazione o omessa dichiarazione di successione); b) per l'omessa
richiesta di formalit malgrado l'avvenuto pagamento della imposta. Negli altri
casi opera soltanto la sanzione del secondo comma per l'omessa richiesta di
formalit e non si d carico all'omesso pagamento dell'imposta, fissa o da pre!notarsi
a debito.
In modo autonomo disciplinata la sanzione per l'omessa trascrizione (da
parte del capo dell'ufficio del registro) del certificato di denunziata successione
(terzo comma). In alternativa alla pena pecuniaria del primo comma dovuta
una soprattassa quando l'imposta anzich omessa sia pagata con ritardo (ultimo
comma).
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
bile, per la ritardata presentazione deLla nota di trascrizione, era quella
prevista dal primo comma dell'art. 17. Avrebbe errato quindi la commissione
tributaria centrale nel ritenere che la sanzione applicabile era quella
prevista dal secondo comma.
La censura priva di fondamento.
Il sistema di applicazione dei tributi ipotecari, com' noto, si articola
in due diverse categorie di prelievo.
Da un lato, si configura una disciplina che pu dirni tipica, iin quanto
applicabile a tutte le ipotesi per le quali non sia, dalla legge, prevista
espressamente una particolare regolamentazione. Nel suo ambito, 1spioca
la caratteristica ohe il versamento delle somme stabilite dalla legge deve
essere effettuato, in occasione della richiesta della formalit ipotecaria,
nelle mani del converisatore dei registri immobiliari e costituisce condizione
necessaria per l'esecuzione della pubblicit (art. 7, terzo comma, del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635). In questo caso, l'attivit di accertamento del
conservatore si estrinseca esclusivamente in 1i1spezioni e controlli documentali,
poich la determinatlone quaintitativa del tributo effettuata direttamente
dalla legge, in misura fissa (artt. 3, 4, 7, 8, 9, 10, 12 e 15 della tariffa
allegata al decreto presidenziale), ovvero risUJlta dall'applicazione di aliquote
proporzionali alla somma per cui sono effettuate le formalit ipotecarie
(immediatamente risultanti dalle relative note o domande: art. 4 del citato
decreto presidenziale e 11, 13 e 14 della tariffo, ali. A).
Tale disciplina applicabile ai tributi proporzionali sulle iscrizioni
e sugli annotamenti (artt. 1, 2, 11 e 14 della predetta tariffa), nonch ai
tributi fissi su iscrizioni, annotamenti e trascriziOl!l. Nel suo ambito, il
tri!buto (riscosso dal Conservatore) assume a presupposto, com' intuitivo,
l'esecullione della formalit ipotecaria.
La seconda disciplina, invece, quella relativa ai tributi proporzionali
sulle trascrizioni (compresi quelli per la trascrizione del certificato di
denunciata succession, che disposta esdusivamente a .fini fiscali: art. 14,
terzo comma, del decreto presidenziale), nonch alle imposte fisse dovute
per gli atti soggetti aM'i.v.a. e quelle dovute per trascrizione obbligatoria
in forza del medesimo atto o sentenza assoggettati ad imposta proporzionale.
Di tale disciplina caratteristico il fatto che i tributi vengono
riscossi dagli uffici del registro e di successione e contemporaneamente
alle dette imposte proporzionali sui trasferimenti per atti tra vivi o mortis
causa (art. 7, primo e secondo comma).
Nell'ambito di questa seconda disciplina, i tributi riscossi (dall'ufficio
del registro) hanno presupposto identico a quelli delle imposte di registro
o di successione, ossia la (semplice) formazione dell'atto o l'apertura della
successione traslativi di diritti immobiliari (tanto che, se anche la trascrizione
non venga poi effettuata, l'imposta pagata all'ufficio del registro non
potr essere restituita).
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIJlUTARIA
Sempre nell'ambito di questa seconda disciplina, va ancora :Posta in
rilievo la caratteristica che, allo11ch al conservatore dei registri irrurnobiliari
viene demandata 1a trascrizione, non deve essere pagata, per quella
formalit, alcuna imposta ipotecaria, poich la stessa (in misura proporzionale)
gi stata versata aJ.l'ufiicio del registro. Al predetto conservatore,
cio, viene solo presentata la nota per la trascrizione e su questa
richiesta di formalit sono dovuti solo gli emolumenti e i diritt!i di
scritturato (legge 23 ottobre 1969, n. 789 e 25 luglio 1971, n. 545), i quali,
evidentemente, non sono imposta ipotecaria. La detta richiesta dri
formalit, rivolta al conservatore dei registri immobiliari, pertanto non
soggetta ad imposta.
Ora, dopo questa precisazione di carattere sistematico, riesce senz'altro
agevole spiegare l'ambito di applicazione de:ll'art. 17 del citato d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 635, disciplinante le sanz!ioni per le omissioni in esso
~ndicate.
Il primo comma stabilisce che per l'omissione della richiesta di trascrizione
degli atti e sentenze e di ogni altra trascrizione obbligatoria 1si
applica la pena pecuniaria .da una a tre volte l'imposta. Il successivo comma,
a sua volta, stabilisce che per l'omissione della richiesta di formalit
di trascrizione o di annotamento soggetta ad imposta fissa o non soggetta
ad imposta o da eseguirsi a debito si applica la pena pecuniaria da
lire diecimila a lire centomila,
Le due fattispecie, delineate dalle su riportate disposizioni, sono, quindi,
facilmente .individuabili.
La prima quella concernente l'omesso pagamento, all'ufficio del registro,
dell'imposta (proporzionale) dovuta per fa trascri:z;ione, quando quest'ultima
sia resa obbligatoria dalla natura dell'atto: omesso pagamento
che in tanto pu verificarsi, in quanto sia omessa la richiesta di trascrizione.
La disposizione, com' chiaro, riguarda il caso in cui la trascrizione
sia obbligatoria: non , infatti, concepibile la comminatoria cli una sanzione
se non in rapporto a una obbligatoriet disposta dalla legge (articoli
2643 e segg. cod. civ.).
Questa osservazione, per, non pu non valere anche in refazione alla
disposizione contenuta nel secondo comma. Detta disposizione, quindi, non
pu che riguardare l'omissione di una richiesta (rivolta, in questo oaso,
al conservatore dei registri immobiliari) resa obbligatoria della legge,
di una formalit che sia: a) soggetta a imposta fissa; b) o non soggt>,
ossia fa {tempestiva) presentazione delile note di trascrizione: attivit,
quest'ultima, non soggetta ad (ulteriore) imposta, ma solo a quegli emolumenti
e diritti di scritturato che, come si detto, non vengono neppure
in considerazione. Ci che non pertinente , quindi, solo il a:iferimento
alla natura dell'atto da trascrivere, ossia alla sua soggezione all'imposta
ipotecaria di trascrizione.
Sostiene, infine, la ricorrente che la commissione tributaria centrale
avrebbe errato allorch ha affermato -al fine di esoludeme la concreta
applicabilit -che il primo comma dell'art. 17 del citato d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 635, riguarda la omissione di richiesta di registra:ziione con
conseguente omissione del pagamento delle imposte ipotecarie. Assume
che una tale interpretazione della norma sarebbe errata, in quanto tale
specifico caso previsto proprio dall'ultimo comma del citato art. 17 .
Anche tale assunto , per, privo di fondamento -o, quantomeno,
non giova affatto alla tesi della ricorrente -perch non considera ohe il
primo e l'ultimo comma in questione riguardano, proprio, la medesima
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
386
fattispecie di omissione del contribuente: il primo, ai fini dell'applicazione
della pena pecuniaria; il secondo, ai fini della soprattassa (che qui
non vriene in considerazione). Si tratta, comunque e in ogni caso, di una
fattispecie legale diversa da quella concernente il caso concreto.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale, il resistente Notaio sostiene
che per la ritardata presentazione delle note di trascrizione si
sarebbe dovuta applicare la sanzione di cui al quairto comma dell'art. 17
in esame, non gi quella di cui al secondo comma. E ci perch il caso
concreto concerneva un'ipotesi non gi di omissione (contemplata,
appunto, dal secondo comma), bens di {(ritardata)) presentazione: e
poich una tale irregolarit non espressamente prevista dalla norma
sanzionatoria, la stessa non potrebbe 'ritenersi rientrante altro che riella
generica previsione di applicazione della pena pecuniaria (da lire diecimila
a fue cinquantamila) per ogni altra inosservanza delle norme del
presente decreto .
Anche tale censura , per, infondata.
Giova ricordare, per inquadrare compiutamente la questione, che li:\
legge precedente (art. 24 della legge 25 giugno 1943, n. 540) sanzionava
con pena pecuniaria la mancata richiesta, nel termine di trenta giorni,
della trascrizione degli atti e delle sentenze concernenti trasferimenti im.
mobiliari e dei certificati di denunciata successione e di ogni altra tmscrizione
non soggetta ad imposta o da eseguirsi a debito.
La nuova legge, come si gi riJevato esaminando il ricorso principale,
indica, invece, come punibile solo il fatto della omissione della
richiesta . Non riporta, cio, le parole nel termine di trenta giorni ;
ed proprio da questa mancata indicazione che H ricorrente incidentale
ritrae argomento per sostenere >l'inapplicabilit, al caso concreto, della
norma contenuta nel secondo comma dell'art. 17 del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 635.
Siffatto assunto, per, non tiene conto che anche nel sistema della
nuova legge il termine di trenta giomi, imposto aJ notaio che ha ricevuto
l'atto soggetto a trascrizione, per la richiesta delle formalit (termine
derivante, com' noto, dal disposto dell'art. 2671 cod. civ.), ha carattere
essenziale: di modo che, nella previsione sanzionatoria, allorch si parla
di omissione della richiesta, si intende, evidentemente, parlare di
omissione nel termine stabilito dalla legge. L'imposizione di tale termine,
infatti, stata dettata non solo e non tanto da esigenze di utilit particolare,
ma soprattutto da esigenze di natura pubblicistica, perch il servizio
ipotecario, al di sopra del beneficio che ne ritraggono coloro che vri
ricorrono, organizzato dallo Stato per esigenze di tutela della fede pubblica,
attuata mediante un conveniente e sicuro ovdinamento economicogiuridico
della propriet immobiliare (cfr. in tale sens,'" la sent. 24 aprile
1929, in Foro it., 1929, I, 910). Ed ovvio che se sussiste la preminenza
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
di un tale interesse di certezza dei rapporti giuridici immobiliari, la
stessa deve essere attuata mediante l'imposizione di un termine per La
trascrizione degli at1Ji di trasferimento dei diritti: di modo ohe il man
cato rispetto di quel termine equivale alla totale omissione della trascri
zione, essendo entrambi i due fatti parimen1Ji idonei a ledere l'interesse
pubblico de1la certezz;a dei rapporti giunidici relativi alla propriet im
mobiliare.
Deve, pertanto, ritenersi che il legislatore, nel dettare le nuove norme
(che, peraltro, ricalcano quasi integralmente le precedenti, le quali appaiono
solo rielaborate in forma pi concisa), ha considerato come superfluo
il ripetere nella norma sanzionatoria, che l'omissione in parola doveva
verificarsi nel termine di trenta giorni: iJ nuovo legislatore, cio,
ha ritenuto, semplicemente, che se la richies1Ja di trascrizione, o la richiesta
di formalit di trascrizione, non venivano effettuate nel termine
stabilito dalla legge, gi si verificava quella omissione a cui era ricollegabile
l'applicazione della sanzione.
Non sembra, peraltro, superfluo osservare che la pena pecuniaria
comminata per l'omissione in parola va, nella previsione Jegisilativa, da
un minimo ad un massimo: e poich si tratta, proprio, delle pene pecuniarie
disciplinate dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4, la concreta determinazione
della loro misura deve tener conto (art. 4, secondo comma)
della gravit della violazione della legge e della personaJit di chi la det1Ja
violazione ha commesso ( desunta dai precedenti penali e giudiziari e,
in genere, dalla sua condotta). Dal che agevole desumere che nella
fattispecie di omissione qui considerata, data l'ampia latitudine tra il
minimo ed il massimo della pena prevista, il legislatore abbia (implicitamente)
considerato che l'omissione potrebbe anche consistere in un
semplice ritardo, pur di breve durata, e che, quindi, l'amministrazione
attiva, in sede di irrogazione, pu anche tener conto che l'im.erzia del
contribuente non sia stata totale e che l'interesse pubblico di certezza
dei rapporti giuridici immobiliari possa anche, in relazione al tempo,
avere risentito solo di un danno scarsamente apprezzabile.
Anche il ricorso incidentale deve, perci, essere respinto. (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4746 -Pres. Sposato Est.
Battimelli -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv.
Stato Cevaro) c. Quorti.
Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza
-Realizi:azione nel corso di procedura fallimentare -Costituisce
reddito tassabile -Esistenza di passivo fallimentare -Irrilevanza.
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100 e 106).
Costituisce reddito tassabile la plusvalenza realizzata in sede di liquidazione
dell'attivo fallimentare di un'impresa, non deve essere data la
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388 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO
dimostrazione dell'intento di speculazione, che presunto nell'attivit dell'impresa,
ed irrilevante il fatto che le plusvalenze realizzate siano
state destinate a soddisfare i creditori (1).
(omissis) I tre motivi di riC0I1so, che affrontano, sotto diversi aspetti
la stessa unica questione della tassabilit di plusvalenze realizzate nel
corso della procedura fallimentare, vanno esaminati congiUIIltamente e
vanno riconosciuti fondati.
Ed invero va anzitutto premesso che la tassabilit delle plusvalenze,
in base alla normativa del t.u. n. 645 del 1958, non si fondava sempire
sugli stessi presupposti, ma era articolata diversamente in funzione del
soggetto che le realizzava e dell'attivit in occasione della quale si verificava
il realizzo, per cui altra cosa erano le plusvalenze realizzate in
dipendenza di operazioni speculative, di cui al secondo comma dell'art. 81
(componenti del reddito di qualsiasi persona: fisica), altre quelle, previste
dalla stessa norma, ma da questa espressamente distinte dalle precedenti,
realizzate nell'esercizio di una impresa commerciale (e tassabili
a sensi dell'art. 100 del t.u.), altra, infine, quelle realizzate da soggetti
tassabili in base a bilancio (sottoposte ad imposizione a sensi dell'art. 106).
Solo per 1a tassabilit delle prime, infatti, era richiesta la sussistenza
di una operazione speculativa, mentre per le altre, come esattamente
pone in rilievo l'amministramone ricorrente nel primo motivo di
ricorso, la tassabilit discendeva dal solo fotto obiettivo del reaJlizzo,
come .conseguenza diretta del tipo di attivit ese:ocitata, i:stitu2liona!l.mente,
dal soggetto passivo di imposta, alfa cui attivit erano collegati,
(1) Sul problema della realizzazione della plusvalenza attraverso la liquidazione
dell'attivo del fallimento non si rinvengono pronunce espresse. L'orientamento
della dottrina prevalentemente favorevole, se pure sono variamente
risolte le non semplici questioni conseguenziali sui modi di liquidazione e
riscossione dell'imposta (FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze
nelle imposte sui redditi, Padova, 1918, 264 ss., e, con riferimento alla normativa
vigente, Puon, Procedure concorsuali ed imposte sui redditi, 1n Riv. dir. finanz.,
1977, I, 583).
Il parallelismo con la liquidazione della societ indubbiamente corretto
se pure non risolutivo, in quanto la plusvalenza pu riguardare anche l'impresa
individuale.
. Importante l'ultimo profilo esaminato: la produzione di un reddito da
parte del fallimento tassabile indipendentemente dalla destinazione del suo
provento al soddisfacimento dei crediti insinuati.
Dal reddito vanno naturalmente dedotte le spese e passivit inerenti alla
relativa produzione; ma queste sono cosa ben diversa dai debiti, che possono
avere causa da rapporti di ogni genere, anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Con le norme della riforma (art. 73, d.P.R. 597 e art. 110, d.P.R. 600 del 1973)
il problema si arricchisce di nuovi profili, sui quali necessaria una attenta
riflessione.
I
II
I
I
I
rn
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
con presunzione iuris et de iure, a sensi dei suddetti artt. 100 e 106,
tutti i beni appartenenti al soggetto; s ohe iJ plusvalore conseguente
all'alienazione di uno qualsiasi di detti beni era, per ci solo, considerato
reddito imponibile.
Esattamente, pertanto, col terzo motivo di ricorso si pone in evidenza
l'errore in cui incorsa la decisione impugnata, allorch ha escluso
la tassabilit per carenza di intento speculativo, non ipotizzabii:le nel
corso di una amministrazione fallimentare; ed invero, a parte le considerazioni
relative alla possibilit della contllnuazione, sda pure provvisoria,
dell'attivit imprenditoriale in corso di tfa!Himento {girustamente
prospettate in astratto dall'amministrazione nicorrente, ma dehle quali,
nel caso di specie, manca il presupposto, non essendo stato provato che
si sia fatto ricoiiso alla procedura prevista dall'art. 90 della legge fallimentare),
la decisone impugnata non ha tenuito presente che nel caiso
di specie si trattava del fallimento di una societ di capitia!1i, per cui
la tassabilit della plusvalenza discendeva non dail disposto del secoodo
comma dell'art. 81 t.u., ma specificamente da quello dell'art. 106, che
non prevede affatto, ai fini della sottoposizione del plusvalore al tributo,
l'esistenza di una operazione speculativa.
Inoltre, la decisione impugnata non ha tenuto presente che, se in
caso di fallimento di una societ a responsabilit Limitata (quale era
appunto la Societ Immobhli Urbani) si verifica lo scioglimento de1Ja
societ stessa, ci non produce ipso iure La fine del so~etto, che avviene
solo dopo la cancellazione del registro dell'impresa, previa liquidazione;
e non ha rilievo il fatto che in altre ipotesi di scioglimento, conseguenti
ad altre cause, la liquidazione sia operata da organi nominati c1ahla societ
(i liquidatori), mentre in caso di fallimento 1a liquidazione sia conseguente
all'attivit degli organi fallimentari: nell'Wl caso come nell'altro,
infatti, La natura delle operazioni e il fine cui esse tendono restano
identici, ossia la realizzazione dell'attivo e il soddisfacimento dei creditori
sociali, per cui, se l'attivo, in ipotesi, tassabile in corso di una
liquidazione ordinaria, ugualmente deve esserlo nel corso di una liquidazione
fallimentare, posto che la condizione giuridica del soggetto e la
conseguente cessazione di vere e proprie attivit imprenditoriali (salvi
i casi di esercizio provvisorio che possono verificarsi in entrambe le
ipotesi) sono uguali in entrambi i oasi; per cui, come esattamente pone
in rilievo l'amministrazione ricorrente nel primo motivo di ricorso, se
prevista in astratto, e senza alcuna distinzione, dall'art. 125 del t.u.
del 1958, la tassazione della societ in liquidazione ai fui dehla imposta
di R. M., tale tassazione deve intendersi effettuabile in relazione a qualsiasi
tipo di liquidazione, anche a quella fallimentare (il che d'altronde,
se desumibile dal coordinamento delle varie norrm.e del t.u. del 1958 fin
qui esaminate, stato espressamente riconosciuto, con la recente riforma
390
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
tributaria, dagli artt. 73 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e 10 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598).
Ancora, va riconosciuta l'esattezza del rilievo sollevato dalla ricorrente
circa l'erroneit dell'affermazione, contenuta nella sentenza impu
gnata, della non tassabilit del realizzo in quanto trasformazione dei
beni patrimoniali in valuta, con assorbimento dell'intero valore patri.moniale
nella soddisfazione parziale dei credito11i; ed invero, a parte
che ci si verifica anche nel caso di liquidazione per cause diverse
dal fallimento (liquidazione che, come gi detto, non di ostacolo alla
tassazione a sensi dell'art. 125 del t.u.), va osservato che in ogni caso
la plusvalenza per vendita di immobili consiste in una trasformazione
di beni patrimondali in valuta e che >, non fossero dovuti gli interessi per
non essere questi dovuti sull'imposta.
Seppure, infatti, evidente la mancanza di motivazione specifica sulla
questione in esame, pur tuttavia, con una diversa motivazione, la decisione
qui impugnata va confermata, essendo esatta la conclusione cui
essa giunta, a sensi deN'art. 384 cod. proc. civ. E a tale soluzione questa
Corte ritiene di dover giungere in difformit di due precedenti decisioni
(sentenze n. 727, n. 1549 'e n. 2689 del 1978) con cui stata affermata
l> debenza degli interessi su soprattassa applicata in occasione di tardiva
registrazione con l'unica costante motivazione della comprensibilit
deUa sovratassa fra le somme dovute per tasse o imposte indirette sugli
affari>>, previste all'art. 1 della legge n. 29 del 1961.
Meglio approfondendo il problema, infatti, non sembra potersi confermare
tale indirizzo giurisprudenziale, a parte, infatti, ogni considerazione
circa la natura della soprattassa, che va distinta da .quella del
tributo cui essa afferisce per la sua funzione satisfattoria di risarcimento
del danno causato dall'inadempimento dell'obbligazione tributaria (come
si evince dalla stessa relazione allla legge fondamentale del 7 gennaio
1929, n. 4), come risulta, oltretutto, per quanto attiene all'imposta di registro,
dalla sua commisurazione, sia pure non proporzionale, alla durata
dell'inadempimento -art. 104 della legge di registro del 1923 -,
per cui pu ritenersi che essa trova la sua fonte in un fatto contrario
sia in generale sulla natura della soprattassa. Su questo secondo punto era stato
sempre affermato che la soprattassa, per la quale non sono dettate norme particolari,
segue la sorta dell'imposta a tutti gli effetti (prescrizione, privilegi, ecc.)
e non ha una sua autonomia (Relazione Avv. Stato, 1966, 70, II, 440 e segg.). Ora,
negandosi la assimilazione della soprattassa al tributo, si porrebbe il problema
della definizione stessa della obbligazione per soprattassa.
Seguendo la interpretazione della sentenza in esame, si deve ritenere che anche
l'amministrazione tenuta a rimborsare somme ritenute non dovute non deve
gli interessi sulle soprattasse.
Sotto questa visuale la distinzione appare assai poco logica; ma la premessa
della legge n. 929 del 1961 sta proprio nella parit di posizioni della
Amministrazione e del contribuente.
A seguito della riforma l'obbligazione di interessi disciplinata specificamente
per alcune imposte mentre per altre continua ad essere applicabile la
legge n. 29/1961.
Per l'i.v.a. gli interessi sono dovuti anche sulla soprattassa e perfino sulla
pena pecuniaria, per l'espressa norma dell'art. 61 del d.P.R. n. 633/1972; non
sembra che 1sffia giustificabiile una diversa soluzione per J>e altre dmposte per
le quali letteralmente le norme fanno riferimento soltanto ai tributi, ma non
escludono la ricomprensione degli accessori.
408 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
I
Iili
ad una norma di legge e si differenzia dal tributo in quanto costituisce
un mezzo particolare per il risarcimento del danno; a parte tali conside-m
razioni di natura generale, sta di fatto che il problema va risotto proprio 1>~
sulla base della normativa specifica contenuta nella legge n. 29 del 1961. :::
Ed invero va ricordato che, prima della legge suddetta, non esisteva fi
alcuna generaile disciplina normativa degli interessi sui tributi indiretti 1:,
(salve poche eccezioni, ad es. in materia doganale e, per quanto attiene
all'imposta di registro, ma con particolari giustificazioni, nell'ipotesi prevista
da[['art. 92 della legge di registro del 1923) e che la legge del 1961,
per la primail~ v~lbta, .intdr~us~e unah specifica dis~iplinffa degli interessi di @I
mora su t 'I tn ut1: 1sc1p1ma c e, pera1tro, s1 di erenzia nettamente
dalla disciplina generale della mora quale ricavabile dal codice civile, non
solo e non tanto per la natura deMe obb[igazioni cui afferisce, quanto
per le particolari regolamentazioni in esse contenute, che in pi punti ~
divergono da detta disciplina generale, non solo per le ipotesi, gi ricor-
I
date, regolamentate dall'art. 2, quanto soprattutto per due punti fonda-~
mentali: il tasso degli interessi, superiore a quello legale, e il 11oro com-m,.._
puto temporale (a semestre compiuto, e non a giorni). Trattasi, pertanto,
di una normativa di natura eccezionale, che soggetta, nella sua appli
cazione, ai limiti previsti daJl'art. 14 delle disposizioni sulla legge in ge-i
nera!le, premesse a[ codice civile. i
Ne consegue che la lettura dell'art. 1 della legge in questione va @
fatta in modo rigoroso e tale da escludere una possibilit di applicazione ~
analogica, e che pertanto, allorch si fa menzione di somme dovute 1::
per tasse o imposte indirette , si debba intendere che si parli esclusi-I;_,
vamente delle tasse e imposte propriamente dette e che la parola som-~
ma non stia ad indicare qualsiasi debito comunque connesso all'adem-!~
pimento di una obbligazione tributaria (e la soprattassa, per quanto in ~j
generale osservato in precedenza, non ha tale natura, ma ha natura e
I
funzione risarcitoria), bens indichi, pi semplicemente, l'ammontare del Fa
tributo, il quantum su cui vanno applicati e commisurati gli interessi: i
l'espressione, quindi, per tasse e imposte indirette sta ad indicare lo
I
specifico titolo in forza del quale determinate somme di danaro sono @
dovute, per cui l'applicazione degli interessi sulla soprattassa viene a di-
I
scendere non gi da una intenpretazione estensiva, bens da una app[i-r;
cazione analogica della norma.
I
E ci confermato dalla lettura non del solo art. 1 della legge, ma
I ~
altres da quella de.hl'art. 4, in cui sono espressamente contemrplate :le >=l
penailit e soprattasse specificamente previste dalle singole leggi tribu
tarie come obbligazioni diverse dall'obbligazione tributaPia vera e propria
1:=
e la cui applicazione, per espressa volont del legislatore (che ha cos f:l
('.
inteso risolvere una questione dibattuta in dottrina e nella pratica), non ~:
di ostacolo aHa percezione degli interessi sul tributo vero e proprio. 1:
L'espressa previsione deHe pene pecuniarie e delle soprattasse, contenuta )::
-
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 409
nell'art. 4, deve portare a concludere, in aggiunta all'interpretazione innanzi
data dell'art. 1, che per il legislatore del 1961 dette forme di sanzione
erano considerate come qualcosa di sostanzialmente diverso dal
tributo (quali in effetti esse sono, data la diversa loro causa, natura e
funzione) e come tali, quindi, non rientranti nella previsione de1l'art. 1.
In tali sensi, pertanto, va modificata la motivazione della decisione
impugnata, confermandosene peraltro il dispositivo, dovendosi riconoscere
che sulle somme dovute non per tasse o imposte indirette sugli affari,
bens per pene pecuniarie o per soprattasse conseguenti all'inadempimento
di obbligazioni tributarie non sono percepibili gli interessi di cui alla
legge in esame e che, rispetto ad esse, il problema dehla percezione degli
interessi va risolto non in base a:lla disciplina eccezionale in detta legge
contenuta, ma in base ai princpi generali, Jn forza dei quali, nel caso
di specie, deve riconoscersi l'inapplicabilit degli interessi sulla soprattassa
riscossa al momento della tardiva registrazione. (omissis)
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4880 -Pres. Granata Est.
Scanzano -P. M. Leo (conf.) -ENEL c. Ministero delle Finanze
(avv. Stato Viola).
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Concessione -Servizio di
illuminazione -Istituzione dell'ENEL -Continuazione del servizio da
parte della societ -Obbligazione per l'imposta di registro.
(legge 6 dicembre 1962, n. 1643, artt. 2 e 4).
L'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sulla nazionalizzazione
dell'energia elettrica, non ha prodotto automaticamente ed immediatamente
il trasferimento all'ENEL degli impianti, che sono rimasti in
possesso delle rispettive imprese fino al momento del successivo trasf erimento
operato con decreto; conseguentemente normalmente dovuta l'imposta
di registro sulla concessione in favare della societ conclusa in epoca
anteriore all'effettivo trasferimento, anche se dell'imposta deve rispondere
l'ENEL subentrato nel rapporto (1).
(1) Una puntuale riconferma della sentenza 25 ottobre 1979, n. 5594, in
questa Rassegna, 1979, I, 401).
SEZIONE SETTIJMA
GIURISPRUDENZA IN MATERIA
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 Pres. Mirabelli
-Rel. Cantillo -P. M. Del Grosso (conf.) IM.CO. Impresa
Centrale costruzioni S.p.A. (avv. Mascioli, Piga e Guarino) c. I.A.C.P.
di Firenze (avv. Vannutelli, Capaccioli e Cardoso).
Appalto -Appalto di opere pubbliche Consegna dell'opera Appalto disciplinato
per legge o per convenzione dal capitolato generale per le opere
pubbliche -Consegna frazionata dei lavori Esclusione Avvenuta con
. segna parziale Conseguenze alternative.
(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 10; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10).
Appalto Appalto di opere pubbliche Consegna dell'opera Appalto disciplinato
dal capitolato generale delle opere pubbliche Consegna tardiva
Diritti dell'appaltatore.
(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 10; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10).
Appalto . Onerosit e difficolt dell'esecuzione Disciplina prevista dal
l'art. 1664 cod. civ. -Finalit.
(cod. civ., artt. 1467, 1664).
Appalto. Onerosit e difficolt dell'esecuzione -Disciplina prevista dall'articolo
1664 cod. civ. Applicazione analogioa ad eventi sopravvenuti
diversi da quelli indicati dalla norma Inammissibilit Equo compenso
-Interpretazione estensiva Ammissibilit.
(cod. civ., artt. 1467, 1664; disp. prel. legge in generale artt. 12, 14),.
Negli appalti ai quali si applichi, per legge o per convenzione, il
capitolato generale per le opere pubbliche dello Stato (d.P.R. 16 luglio
1962, n. 1063) e nei quali non sia consentita la consegna frazionata
dei lavori, sono configurabili due ipotesi: se la consegna parziale, per
gli effetti che produce, tale da doversi equiparare a mancata consegna,
applicabile la disciplina dell'art. 10 del capitolato la quale,
per il caso che il contratto preveda il frazionamento della consegna dei
lavori, prevede lo spostamento del termine di consegna dell'opera, sicch
l'appaltatore pu avvalersi della facolt di scegliere tra la prosecuzione
del rapporto nonostante il ritardo, rinunziando cos a qualsiasi
pretesa risarcitoria, e la richiesta di recesso, la quale, se non accolta,
comporta un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo; se,
invece, il frazionamento nella consegna dei lavori scarsamente rile
PARTE I, SEZ. VII, Gl'.URIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 411
vante nell'economia del rapporto, l'appaltatore potr, al massimo, pretendere
un prolungamento del termine di completamento dell'opera e,
se del caso, il ristoro dei maggiori oneri relativi alla parte consegnata
in ritardo, previa formulazione delle opportune riserve (1).
In tema di appalto disciplinato dal capitolato generale delle opere
pubbliche dello Stato l'intempestiva consegna dei lavori conferisce
all'appaltatore il diritto di risarcimento dei danni solo nel caso che
abbia manifestato la volont di recedere dal contratto (dichiarazione
che ha valore di proposta di risoluzione del rapporto), mentre, in caso
contrario, nulla pu successivamente pretendere. Tale disciplina diretta
ad assicurare all'amministrazione la possibilit di conoscere immediatamente
le conseguenze del ritardo, e, quindi, di stabilire l'opportunit
di mantenere in vita il rapporto ovvero di adottare una diversa
determinazione in vista dell'eventuale superamento degli originari
limiti di spesa, sicch tale finalit sarebbe elusa ove fosse dato all'appaltatore
di richiedere il rimborso di maggiori oneri, a qualsiasi titolo
durante e dopo l'esecuzione dell'opera, pur avendo accettato senza riserve
la consegna tardiva dei lavori e il nuovo termine contrattuale (2).
L'alea connaturale al contratto di appalto non incide sulle prestazioni
delle parti in modo da renderle quantitativamente e qualitativamente
incerte, ma investe soltanto la sfera economica dei contraenti,
restando estranea al contenuto giuridico del rapporto, in nulla differendo,
se non per la maggior intensit e latitudine, dall'alea economica
presente in ogni contratto a prestazioni corrispettive, e, in particolare,
in quelli ad esecuzione differita, periodica o continuativa, nei quali le
vicende economiche sopravvenute possono alterare la situazione di
equilibrio fra le prestazioni considerate dalle parti al momento della
stipulazione. Rientrano, pertanto, nell'alea normale del contratto anche
le sopravvenienze imprevedibili, rispetto alle quali i rimedi previsti dall'art.
1664 cod. civ. sono finalizzati esclusivamente al contenimento del
rischio economico, consentendo di ripristinare l'equilibrio del sinallagma
(1-4) La decisione, resa su controversia cui erano estranee amministrazioni
dello Stato, si pubblica per il notevole interesse delle questioni affrontate,
risolte in base a princpi applicabili identicamente agli appalti di opere pub
bliche di competenza statale.
~1-2) SuLla consegna dei lavori come co11abo~azione del creditore aill'adempimento
da parte del debitore e sulla necessit della dichiarazione di voler
recedere come presupposto per far valere pretese di danni per il protrarsi del
ritardo nella consegna, cfr. Cass., 4 marzo 1978, n. 1083, in Arch. giur. op. pubbl.,
1978, Il, 206; Cass., 19 febbraio 1977, n. 773, in questa Rassegna, 1977, I, 332 con
nota di P. VITTORIA Ritardata consegna dei lavori e tutela degli interessi dell'appaltatore
negli appalti pubblici; Cass., 26 giugno 1976, n. 2395, in Giust. civ.,
1976, I, 1414; Cass., 19 giugno 1975, n. 2467, in questa Rassegna, 1975, I, 764; Cass.,
23 gennaio 1931, n. 222, in Giur. it., 1931, I, 1, 340.
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
quando la sproporzione superi i limiti emergenti dalla disposizione
predetta (3).
Gli istituti disciplinati dall'art. 1664 cod. civ., che correggono i rigori
dell'alea contrattuale nell'appalto, riversando (anche) sul committente
le conseguenze di determinate sopravvenienze, rivestono carattere eccezionale
rispetto alla disciplina generale della risoluzione del contratto per
eccessiva onerosit sopravvenuta, di cui all'art. 1467 cod. civ., e sono
perci insuscettibili di applicazione analogica ad eventi sopravvenuti
diversi da quelli considerati dalla norma. E, peraltro, ammissibile l'interpretazione
estensiva della norma che, nel secondo comma, prevede
il diritto dell'appaltatore ad un equo compenso per le difficolt di esecuzione
sopravvenute, derivanti da cause geologiche, idriche e simili,
che rendano pi onerosa la sua prestazione, nel senso che debbono ritenersi
comprese nella previsione normativa tutte le difficolt di esecuzione
dipendenti da cause naturali, e cio tutte quelle che presentino
le stesse qualit e caratteristiche intrinseche delle precedenti, esplicitamente
menzionate, ma non quelle provocate da sopravvenienze oggettive
di tipo diverso che provochino effetti identici o analoghi, come il
fatto del terzo e il factum prindpis, le quali possono rientrare nella
disciplina generale dell'art. 1467 cod. civ. (4).
(omissis) 1. -H ricorso priincipale della IM.CO. e quello incidentale
dell'Istituto autonomo per le case popolari debbono essere riuniti
perch proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
2. -I primi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati
insieme perch diretti a censurare, sotto altrettanti profili, la
sentenza impugnata nella parte in cui, in applicazione dell'art. 32 del
capitolato di appalto, ha ritenuto infondata la pretesa della IM.CO. per
fatti ricollegabili al ritardo nella consegna dei lavori da parte del
committente.
La Corte fiorentina ha interpretato detta clausola -la quale riproduce
l'art. 10 del capitolato generale per le opere pubbliche dello
Stato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, senza tuttavia avere
(3) Nello stesso senso, Cass., 6 giugno 1977, n. 2326, in questa Rassegna,
1977, I, 572, nonch Cass., 5 marzo 1979, n. 1364, in Arch. giur. op. pubbl.,
1979, Il, 67.
(4) La questione appare essere stata per la prima volta affrontata dalla
Cassazione che, come avverte la decisione, l'ha risolta in senso non condiviso
dalla prevalente dottrina.
Sul punto, in dottrina, cfr. RuBINO, L'appalto (con note di E. MOSCATI), in
Trattato di diritto civile, Torino, UTET, 1980, n. 300, pag. 727 e 729; CAGNASSO,
Appalto e sopravvenienza contrattuale, Milano, Giuffr, pag. 98 ss. e 106; e, nel
senso accolto dalla sentenza CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano,
Giuffr, 1976, n. 339, pag. 486 e 488.
io
!:
f:
PARTE.I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 413
il valore di norma di diritto positivo, in quanto, com' noto, il capitolato
della GESCAL, utilizzato dal I.A.C.P. quale ente incaricato dalla
stessa, ha natura contrattuale -pervenendo alla conclusione che essa,
nell'ipotesi di ritardata consegna dei lavori per fatto della stazione
appaltante, pone l'appaltatore nell'alternativa di scegliere fra la richiesta
di recesso dal contratto e l'esecuzione del rapporto: nel primo caso,
gli attribuisce il diritto al rimborso delle spese sostenute per il contratto
oppure, nel caso che la committente non aderisca al recesso,
quello di ottenere un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal
ritardo; nel secondo caso, invece, non attribuisce alcun diritto all'appaltatore,
il quale, quindi, a parere della Corte, non pu successivamente
avanzare pretese risarcitorie comunque relazionate al ritardato
inizio dei lavori.
In base a questa premessa ha affermato che:
a) la consegna dei lavori da parte dell'Istituto (che aveva incontrato
difficolt nell'acquisizione delle aree edificande) avvenne il 15 maggio
1968, cio sette mesi dopo il termine convenuto, ma la societ appaltatrice
non si avvalse della facolt di chiedere il recesso ed accett
espressamente, anzi, di mantenere in vita il rapporto, sottoscrivendo
senza riserve il verbale di consegna, con il quale i termini del programma
di esecuzione dei lavori e di completamento delle opere furono
ragguagliati alla nuova data di inizio;
b) era pertanto irrilevante la circostanza che alcune minori porzioni
del suolo fossero state consegnate in tempo successivo, non essendosi
di ci doluta l'appaltatrice neppure in occasione della consegna
di tali aree residue;
e) avendo scelto di dare esecuzione al rapporto nel nuovo termine,
la IM.CO. si era assunta il rischio degli eventuali maggiori oneri
costruttivi verificatisi nel termine medesimo, ancorch dipendenti da
fatti ignoti al tempo della consegna, salvo, ovviamente, il diritto alla
revisione dei prezzi nel concorso degli altri elementi che la legittimano;
d) sok> con la comparsa conclusionale di quel grado la societ
aveva riferito alcune pretese (rientranti fra quelle formulate con le
prime sette riserve) ad un asserito comportamento colposo dell'Istituto
successivo alla data di consegna, sicch per questo verso la domanda
non poteva essere esaminata, in quanto del tutto nuova.
La prima delle critiche della ricorrente investe i punti sub a) e b).
Essa si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di valuta11e,
sotto il profilo dell'individuazione del momento della consegna, la circostanza
che alcune aree furono consegnate in tempo successivo ed
abbia conseguenzialmente violato l'art. 10, ultimo comma, del r.d.
25 maggio 1895, n. 350, secondo il quale, nel caso di consegne frazionate,
la data legale della consegna, per tutti gli effetti di legge,
414 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
quella dell'ultima di esse; sostiene che in base a questa disposizione
la Corte di merito avrebbe dovuto escludere che la consegna fosse
avvenuta il 15 maggio 1968 e ritenere, quindi, inapplicabile l'art. 32
del capitolato.
La censura infondata.
L'art. 10 cit. consente che il capitolato speciale di un appailto pubblico
preveda il frazionamento in singole quote della consegna dei
lavori quando questa, per la natura e l'importanza dell'opera appaltata,
richieda molto tempo ; e con riferimento a siffatta previsione
qualifica come data legale della consegna quell.a dell'ultimo verbale
di consegna parziale (o provvisoria, secondo il Hnguaggio della
norma), tranne che diversamente risulti dal capitolato medesimo.
La disposizione, cio, riflette l'ipotesi in oui lo stesso contratto
preveda l'eventuale frazionamento della consegna in tempi successivi,
come modalit di attuazione del rapporto, la cui adozione non idonea,
quindi, a configurare un ritardo imputabile all'amministrazione committente
e non d .luogo a responsabilit della medesima, unica conseguenza
essendo lo spostamento del termine di completamento dell'opera,
che prende a decorrere, se non sia diversamente convenuto, dal
perfezionamento della consegna medesima (e prima di questo momento
non possibile, di regola, neppure dare inizio ai lavori per la parte
oggetto delle consegne parziali).
La norma estranea, invece, alle fattispecie -come quella in
esame -in cui il contratto non consenta la consegna frazionata dei
lavori, per essere l'inizio di questi e, quel che pi conta, il termine
di completamento dell'intera opera, stabiliti con riferimento all'unico
verbale di consegna. In tal caso, la mancata consegna completa dei
lavori nel termine fissato si qualifica, se imputabile alla stazione appal
tante, come inadempimento e legittima il ricorso dell'appaltatore ai
normali rimedi risolutori e/o risarcitori.
In particolare, per gli appalti nei quali sia operante, per legge o per
convenzione, il regolamento delineato dall'art. 10 del capitolato generale
dello Stato, sono configurabili due ipotesi, a seconda dell'importanza
che le parti non consegnate assumano sul regolare inizio dei lavori e
sullo svolgimento del programma contrattuale: se la consegna parziale,
per le conseguenze che produce, tale da doversi equiparare alla man
canza della consegna, torna applicabile la disciplina dell'art. 10 del capi
tolato, sicch l'appaltatore pu rifiutare la consegna incompleta ed
avvalersi, quando sar completata, della facolt di scegliere tra la richie
sta di recesso e la prosecuzione del rapporto nonostante il ritardo; se,
per contro, il frazionamento scarsamente rilevante sull'economia del
rapporto, l'appaltatore potr, al limite, pretendere il prolungamento dei
termini e, se del caso, il ristoro dei maggiori oneri riflettenti la parte
consegnata in ritardo, formulando le opportune riserve.
PARTE.I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI
La Corte fiorentina ha correttamente valutato nei termini suesposti,
cio sotto il profilo dell'inadempimento e in relazione all'alternativa
suddetta, ,ili fatto de11a consegna ritardata (rispetto a quella effettuata
con verbale del maggio 1968) alla IM.CO. delle due piccole porzioni in
oggetto e lo ha ritenuto irrilevante ai fini della decisione in quanto ha
accertato che la ditta appaltatrice, eia un lato, aveva accettato la consegna
incompleta ed il nuovo termine di ultimazione dell'intera opera
appaltata senza formulare akuna riserva in ordine alle superfici mancanti,
cos dimostrando di considerarle di nulla o scarsa importanza
per l'organizzazione generale del lavoro e lo sviluppo del programma
costruttivo; da!l.l'altro, non aveva provveduto ad iscrivere alcuna .riserva
neppure al momento della tardiva consegna delle stesse e, coerentemente,
non aveva formulato nel successivo giudizio alcuna pretesa
risarcitoria specificamente riflettente tale ritardo. E questi apprezzamenti
di merito, congruamente e logicamente motivati, non sono qui
censurabili.
3. -Le altre due censure investono i punti sub e) e d) sopra riassunti
ed attengono entrambe all'ambito di efficacia dell'art. 32 cit. del
capitdlato, rimproverandosi alla sentenza impugnata (in relazione ai numeri
3 e 5 dell'art. 360 cod. proc. civ.) di avere ricollegato al mancato
esercizio, da parte della IM.CO., de11a facolt di recesso, l'esonero del
committente da ogni responsabilit per la sua colpa, non solo quanto
ai maggiori oneri direttamente cagionati dalla tardiva consegna, ma
pure quanto alle conseguenze di eventi produttivi di danno successivi
alla consegna ed imprevedibili alla data di questa: in tal modo, la Corte
di appello avrebbe violato le regole fondamentali dell'illecito contrattuale,
omettendo di valutare tali eventi successivi con riguardo al comportamento
colpevole dell'Istituto, anche posteriore alla consegna (secondo
motivo di ricorso); avrebbe violato i princpi fondamentali dell'appalto,
giacch, assoggettando l'appaltatore al.!le conseguenze di fatti
imprevedibili, avrebbe attribuito al contratto carattere aleatorio, tale
da comprendere, oltre al rischio in senso economico, quello in senso
tecnico-giuridico (terzo motivo).
Anche queste critiche sono prive di fondamento.
Va anzitutto precisato, con riferimento alla prima censura, che la
Corte di appello non ha interpretato la disposizione dell'art. 32 del ca
pitolato nel senso che il mancato recesso potesse influenzare la respon
sabilit del committente per fatti colposi successivi all'inizio dei lavori.
All'opposto, ha espressamente distinto il ritardo nella consegna, e
gli effetti del medesimo manifestatisi successivamente, dagli eventuali
inadempimenti posteriori; e non affatto entrata nel merito di quest'ultimo
profilo della domanda, astenendosi dal prenderlo in considerazione
perch tale causa petendi era stata prospettata per la prima
volta con la comparsa conclusionale, in violazione dell'art. 345 cod. proc.
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
civ., essendosi in precedenza la IM.CO. doluta sempre e soltanto del
ritardo iniziaile.
E poich questa statuizione non stata impugnata, non avendo la
ricorrente denunziato, in proposito, un errar in procedendo della sentenza,
la censura deve essere esaminata solo nella parte che attiene
alle conseguenze della ritardata consegna dei lavori, riguardante, cio,
i maggiori oneri che sarebbero derivati all'appaltatrice per l'operare di
fatti oggettivi, vedficatisi dopo la consegna medesima e non riferibili
alla committente, dei quali questa dovrebbe tuttavia rispondere in
conseguen:m della colpa iniziale (siccome non avrebbero inciso sul rapporto
se questo si fosse svolto nel termine contrattuale).
Le ragioni di questo assunto non sono univocamente esposte negli
scritti difensivi della ricorrente: mentre in ricorso si sostiene che
l'art. 32 cit. fosse destinato ad operare solo quando il ritardo dipendesse
da colpa della committente, nella memoria, introducendosi una
apodittica distinzione fra il periodo precedente e quello successivo alla
tairdiva consegna, si sostiene che, in forza della disposizione, la scelta
dell'appaltatore di dare esecuzione al contratto nonostante il ritardo
valesse ad escludere la responsabilit della committente solo per i maggiori
oneri sopportati nel primo periodo, continuando ad essere rilevante,
per quello successivo, l'inadempimento iniziale.
Entrambe le proposte esegetiche sono state, per, esaminate e disattese
dailla Corte di appello, il cui apprezzamento in ordine al contenuto
ed all'ambito della disposizione -che, giova ricordarlo, nel contratto
in questione ha valore negoziale - incensurabile in questa sede, in
quanto sorretto da congrua e logica motivazione.
La sentenza impugnata, in base alla testuale formulazione della
clausola ed alla sua ratio, ha osservato, da un lato, che essa riguairdava
ogni ipotesi di tardiva consegna dei lavori da parte della committente,
senza distinguere fra ritardo dovuto a colpa della medesima
o ritardo dipendente da caso fortuito o forza maggiore, e, anzi, avendo
di mira proprio la prima ipotesi, solo in relazione alla quale si poteva
configurare nei confronti della committente, ove non avesse aderito alla
eventuale richiesta di recesso dell'appaltatore, l'obbligo di corrispondergli
i maggiori oneri dipendenti dal ritardo; dall'altro, che la scelta
dell'appaltatore di mantenere in vita il rapporto rendeva completamente
irrilevante, sotto il profilo della responsabilit della committente, il
fatto della ritardata consegna dei lavori, precludendo, quindi, quals~asi
successiva pretesa dell'appaltatore medesimo per maggiori oneri dipendenti
da sopravvenienze oggettive verificatesi nel nuovo termine contrattuale.
La ricorrente, pur insistendo in questa sede nelle ipotesi interpretative
anzidette, non ha denunziato vizi attinenti al procedimento ermeneutico
seguito dalla sentenza impugnata, essendosi limitata a dedurre,
PARTI! I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 417
come si riferito, oltre a non precisate carenze della motivazione, la
violazione dei princpi sulla responsabilit contrattuale. Il quale vizio,
a parte la genericit della denunzia, chiaramente non sussiste, appena
si consideri che il significato come sopra attribuito alla clausola coin
cide con l'interpretazione data all'identica disposizione dell'art. 10 del
capitolato generale del 1962 da questa Corte Suprema, la quale ha chiarito
che la intempestiva consegna dei lavori conferisce all'appaltatore
ill diritto al ristoro dei danni solo nel caso che abbia manifes,tato la
volont di recedere dal contratto (dichiarazione che ha valore di proposta
di risoluzione del rapporto), mentre, in caso contrario, nulla
pu successivamente pretendere, posto che la norma diretta ad assicurare
all'amministrazione la possibilit di conoscere immediatamente
le conseguenze cui potrebbe andare incontro in conseguenza del ritardo,
e, quindi, di stabilire se sia opportuno mantenere in vita il rapporto
ovvero adottare una diversa determinazione in vista dell'eventuale superamento
degli originari limiti di spesa; e tale finalit sarebbe eviden
temente elusa ove fosse dato all'appaltatore di richiedere il rimborso
di maggiori oneri, a qualsiasi titolo, durante o dopo l'esecuzione del
l'opera, pur avendo accettato senza riserve la consegna tardiva e ii
nuovo termine contrattua~e (cfr. Cass., sent. n. 1083 del 1978).
Del pari infondata la seconda censura.
L'alea connaturale al contratto di appalto non !incide sulle prestazioni
dovute in modo da renderle quantitativamente o qualitativamente
incerte e perci non si riscontra la nota caratteristica essenziale
dei contratti aleatori per legge o per volont de1le parti, nei quali
il sinallagma de1le prestazioni si pone .necessariamente come scambio
fra una prestazione certa ed una incerta; essa, invece, rimane estranea
al contenuto giuridico del rapporto, in quanto investe soltanto la sfera
economica dei contraenti (rendendo pi onerosa l'attuazione della pre
stazione o vanificando il risultato sperato), e in nulla differisce, quindi,
se non per la maggiore intensit e latitudine, dall'alea c.d. economica
presente in ogni contratto a prestazioni corrispettive, in particolare in
quelJi ad esecuzione differita, periodica e continuativa, nei quali le vicende
economiche sopravvenute possono a~terare la situazione di equilibrio
fra le prestazioni considerate dalle parti al momento della sti
pulazione.
Questo rilievo valido, manifestamente, anche per le sopravvenienze
imprevedibili, che ugualmente rientrano nell'alea del contratto e rispetto
aLle quali i peculiari rimedi previsti da!ll'art. 1664 cod. civ. sono
finalizzati esclusivamente al contenimento del rischio economico, siccome
consentono di ripristinare l'equilibrio del l'inailagma quand; la
sproporzione superi i limiti emergenti daUa medesima disposizione (che
corrispondentemente operano come elementi di definizione legale dell'alea
normale dell'appalto); e ci si conferma 'considerando che la ri
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
nunzia a tali rimedi, sicuramente ammissibile stante il carattere dispositivo
di detta norma, non trovia ostacolo nella natura commutativa
del contratto ed perci consentita anche quando il limite legale venga
del tutto eliminato (cfr., da wltimo, Cass. sent. n. 529 del 1974).
Nella specie, la Corte di appello ha osservato che, avendo accettato
la tardiva consegna dei lavori, la ricorrente si era assunta, in
forza della clausola de qua, ogni rischio inerente al nuovo termine contrattuale,
compTeso queMo delle sopravvenienze imprevedibili; ed ha
correttamente escluso -per quanto ora detto -che ci fosse in contrasto
con la causa commutativa del rapporto, tanto pi che restavano
operanti i rimedi di cui a11'art. 1664 cit.
4. -Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art.
1664 secondo comma cod. civ. e rimprovera alla sentenza impugnata
di avere respinto la sua domanda subordinata, volta ad ottenere
la liquidazione di un equo compenso per i maggiori oneri sopportati,
eNoneamente affermando che la disposizione si applica solo per la
sopravvenienza di cause naturaili; sostiene che, tenuto conto della ratio
legis, e del carattere esemplificativo delle cause espressamente indicate
dalla norma, questa debba essere interpretata nel senso che comprenda
tutti gli eventi imprevedibili, non imputabili alle parti, diversi dall'aumento
del costo deHa manodopera e dei materiali, menzionati nel
primo comma.
La censura non merita accoglimento, ritenendo questa Corte Suprema
che non abbia fondamento positivo la tesi, pur autorevolmente
sostenuta in dottrina (talvolta seguita dalla giurisprudenza di merito
ordinaria ed onoraria), che amplia la portata del secondo comma dell'art.
1664 al di l delle sopravvenienze naturali, alle quaili essa testualmente
si riferisce, disponendo che l'appaltatore ha diritto ad un equo
compenso se nel corso dell'opera si manifestano difficolt di esecuzione
derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle
parti, che rendano notevolmente pi onerosa la prestazione dell'appaltatore
medesimo.
n superamento del dato testmrle, finalizzato a concrete esigenze
equitative, viene proposto in base all'interpretazione analogica e, pi
spesso, estensiva della disposizione, essenzialmente suJ rilievo che le
cause perturbatrici non naturali operano, e vengono considerate daLla
coscienza sociale, allo stesso modo delle difficolt di esecuzione dipendenti
da cause naturali, presentando le medesime caratteristiche di
imprevedibilit ed inevitabilit.
La via dell'interpretazione analogica , per, chiaramente preclusa
dail carattere eccezionaile della norma, posto che nel vigente ordinamento
le sopravvenienze, le quali rendano pi onerosa la prestazione
dell'obbligato, non attribuiscono, di regola il diritto ad ottenere la reductio
ad aequitatem.
PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI
Nei contratti con prestazioni coI'rispettive, l'unico rimedio dato alla
parte che sarebbe tenuta alla prestazione diventata pi onerosa la
risoluzione del contratto, ex art. 1467 cod. civ., legata al presupposto
che entrambe le obbligazioni nascenti dal contratto, al momento in cui
se ne chieda la risoluzione, siano in tutto o in parte ineseguite. L'istituto
dell'offurta di riduzione ad equit previsto, invece, dal medesimo
art. 1467, terzo comma, come mera facolt rimessa all'iniziativa
del creditore, il quale intenda evitare la risoluzione domandata dal
contraente onerato.
E questa disciplina coerente con il sistema, giacch, come l'onerato
pu scegliere fra la risoluzione o la continuazione del rapporto,
analoga scelta deve essere assicurata dal creditore, il quale va posto
nella condizione di stabN.ire se accedere alla risoluzione ovvero mantenere
in vita il rapporto sobbarcandosi alla modificazione delle condizioni
contrattuali imposite dalile sopravvenienze. Se si ammettesse, infatti,
contro il disposto normativo, un'azione dell'obbligato dirntta ad
ottenere coattivamente la riduzione ad equit, si verrebbe a fiar ricadere
le conseguenze delle sopravvenienze sulla cont,roparte, la quale
-non potendo chiedere la risoluzione del contratto -dowebbe in
ogni caso sottostare ad esso, ancorch divenuto per lui molto oneroso.
In questo sistema, gli ist1tuti disciplinati dai1l'art. 1664 per il con
tratto di appalto, che correggono i rigori dell'alea contrattuale river
sando (anche) sui! committente le conseguenze di determinate soprav
venienze, rivestono carattere eccezionale e sono insuscettibili di appi!i
cazione analogica ad eventi sopravvenuti diversi da que11i indicati nella
norma.
Quanto all'interpretazione estensiva -che non trova ostacolo, ma
nifestamente, neJJ.'eccezionalit della norma ed imposta, anzi, dal
l'espressa previsione di cause innominate simili a quelle geologi
che o idriche, la cui individuazione perci rimessa all'interprete -il
nodo ermeneutico da sciogliere concerne appunto il significato dell'ag
gettivo simili, il quale, secondo l'opinione che qui si contrasta, fa
rebbe riferimento non solo e non tanto alla qualit delle cause nomi
nate, bens al loro modo di operare ed agli effetti che producono, con
la conseguenza che dovrebbero considerarsi simili tutte le cause che,
abbiano o non abbiano origine naturale, non sono imputabili alle parti
(consistendo, cio, nel fatto del terzo o nel factum principis) e pro
vocano l'identica conseguenza di rendere pi onerosa la prestazione
dell'appaltatore.
A respingere questa esegesi agevole obiettare, anzitutto, che in
tal modo si attribuisce, in sostanza, carattere residuale aJ disposto in
esame, tale da comprendere, cio, ogni sopravvenienza oggettiva di
versa dall'aumento dei costi della manodopera e dei materiali, di cui
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
al primo comma, purch produttiva deM'effetto di rendere pi gravosa
la prestazione dell'appa1tatore. E ci chiaramente in contrasto, gi
' !I
sul piano sistematico, con la portata dell'art. 1664, che non volto a
far partecipare il committente al rischio di tutte le sopravvenienze
oggettive, bens soltanto di taluni eventi tipicamente individuati: la Il
stessa distinzione -e la diversit di disciplina -fra le fattispecie
previste dai due commi riposa sui criteri qualitativi attinenti a:Ua
natura delle cause, a seconda che riguardino direttamente il costo di
determinati fattori produWvi, cio consistano nella variazione dei prezzi
di mercato degli stessi (primo comma) ovvero incidano sul programma
costruttivo, rendendo pi difficoltosa, e conseguenzialmente
pi onerosa, l'esecuzione dell'opera (secondo comma).
SuJ. piano testuale, poi, la specificit della fattispecie, indiscutibile
per quelle del primo tipo (posto che la revisione ammessa, come si
detto, soltanto per taluni fattori produttivi, con esclusione degli altri),
risulta altrettanto chiara per quelle del secondo comma, giacch nel
contesto dell'espressione cause geologiche, idriche e simili, quest'ultimo
aggettivo vale ad individuare soltanto le ailtre cause che presentino
le stesse qualit e caratteristiche intrinseche delle precedenti (cause)
esplicitamente menzionate.
L'enunciato normativo, cio, non lascia spazio a dubbi ermeneutici,
anche perch esso fa riferimento al tipo dell'evento, non agli effetti
che possano derivarne: il diritto all'equo compenso stabilito per il
prodursi di cause geologiche, idriche e simili, non per altre cause che
provochino effetti identici e anailoghi. Pertanto, l'interpretazione estensiva
consente di comprendere nella previsione tutte le difficolt di esecuzione
dipendenti da cause naturali, non quelle provocate da sopravvenienze
oggettive di tipo diverso, quali il fatto del terzo o il factum
principis.
Giova aggiungere, poi, che l'interpretazione lata non si giustifica
neppure con esigenze di completezza del regolamento delle sopravvenienze,
giacch, accanto alla disciplina speciale dell'art. 1664, rimane
valida quella generale dell'art. 1467, alla quale possono ricondursi le
ipotesi non previste dalla prima norma.
N si pu dubitare, con il ricorrente, della legittimit costituzionale
della disposizione, secondo l'interpretazione qui adottata, essendo evidente
che la diversit di disciplina delle cause naturali rispetto alle
altre non comporta affatto una disparit di trattamento tra gli imprenditori-
appaltatori, riJevainte agli effetti degli artt. 3 e 41 Cost.
Pertanto, una volta accertato, con incensurabile apprezzamento di
fatto, che nessuna delle cause sopravvenute era riconducibile fra quelle
naturali, correttamente la Corte di appello ha escluso che fosse applicabile
l'art. 1664, secondo comma, cit. (omissis)
PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 421
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3167 -Pres. D'Orsi -
Rel. Scanzano -P. M. Grossi (diff.) -Ministero della Difesa (avv. Stato
Carafa) c. Impr. Costr. Vincenzo Bologna (avv. Carusi).
Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che lo prevede Illegittimit
-Effetti -Vizio di nullit del lodo per nullit del compromesso.
(r.d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 51; legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5; cod.
proc. civ., art. 829 n. 1).
Arbitrato -Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare Inappellabilit
del lodo -Norma che fo prevede -Illegittimit -Disapplicazione
-Effetti.
(r.d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 59; cod. proc. civ., art. 829; Cost., art. 24; legge 20 marzo
1865, n. 2248, all. E, art. 5).
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Protrazione -Pretesa di
danni -Riserva -Iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori -E'
tempestiva.
L'illegittimit della disposizione di capitolato generale contenente la
previsione di un arbitrato obbligatorio, risolvendosi nella invalidit del titolo
di investitura degli arbitri, d luogo ad un'ipotesi riconducibile al vizio
di nullit del dolo per nullit del compromesso, che deve essere fatta
valere come motivo dell'impugnazione per nullit (1).
L'art. 59 del capitolato generale per le opere di competenza del Genio
militare approvato con r.d. 17 marzo 1932, n. 366, in quanto esclude la
appellabilit del lodo, configura un caso. di lodo non impugnabile, cio
non soggetto ad impugnazione per inosservanza di regole di diritto, ed
pertanto illegittima per contrasto con gli artt. 8?9 ult. parte cod. proc. civ.
e 24 Cost., in quanto la non oppugnabilit non trova il suo fondamento
nell'accordo delle parti, ma nella normativit della disposizione, destinata
a regolare il contratto di appalto indipendentemente dal richiamo che le
parti di questo ne facciano, con clausola che per s non ha che un valore
ricognitivo. La disposizione va pertanto disapplicata dal giudice dell'im
(1) Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, richiamata nella prima parte della sentenza,
pu leggersi in questa Rassegna, 1980, I, 209 con annotazione e richiami
a Corte Cost., 14 luglio 1977, n. 127.
Mentre Cass., 28 gennaio ,1980, n. 658, aveva esaminato un caso di giudizio
promosso davanti al giudice ordinario nel corso del quale era emersa una
questione di competenza (dello stesso giudice o degli arbitri), la sentenza in
rassegna ha esaminato un caso di giudizio promosso davanti agli arbitri. Riallacciandosi
a quanto si osservava in sede commento alla prima decisione, va
rilevato che l'equiparazione della norma regolamentare illegittima al compromesso
nullo conseguenziale all'utilizzazione dello strumento della disapplicazione.
422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
pugnazione del lodo con conseguente obbligo di esame dei motivi che prospettino
errores in iudicando (2).
Se l'appaltatore ricolleghi la pretesa di danno non alla sospensione in
s, ma alla sua eccessiva protrazione, la riserva tempestiva ove sia formulata
nel verbale di ripresa dei lavori (3).
(omissis) Col primo motivo l'amministrazione ricorrente, premesso
che il capitolato generale per le opere di competen:z;a del Genio militare
approvato con r.d. 17 marzo 1932, n. 366, ha valore normativo e non
contrattuale, sostiene che l'art. 59 del detto testo illegittimo -per
contrasto con l'art. 829 cod. proc. civ. e con gli artt. 24, 102 e 111 Cost.
-e va quindi disapplicato, sia pe:rich impone alle parti di rimettere
agili arbitri la decisione delle controversie relative all'appalto, sia perch,
escludendo l'appellabilit del lodo, impone la rinuncia alla impugnazione
fondata sulla violazione di norme di diritto. Soggiunge, con riferimento
alil.'a.rt. 111 Cost., che tale norma posta anche a tutela della
funzione regolatrice della Corte Suprema e, se non consente di impugnare
direttamente per cassazione la sentenza arbitrale, importa l'impugnabilit
di questa secondo l'ultimo comma dell'art. 829 cod. proc. civ.;
deduce 1nfine che, se si escludesse tale impugnabilit, la detta sentenza
si risolverebbe in una pronunzia secondo equit, in contrasto con il
principio secondo cui 1a p.a. pu agire solo nell'ambito deLle norme di
diritto e sottoporsi solo al controllo di giudici preposti all'applicazione
deMe norme stesse.
La censura fondata solo in parte.
Con sentenza del 14 luglio 1977, n. 127, la Corte costituzionale,
dichiarando l'illegittimit costituzionale dell'art. 25 r.d. 29 giugno 1939,
n. 1127, che prevedeva un arbitrato necessario e precludeva quindi
autoritativamente la facolt di adire il giudice per la tutela di un
diritto, ha espresso il principio che il fondamento costituzionale dell'arbitrato
da rinvenirsi nella libera scelta delle parti.
In applicazione di tale principio questo Supremo Collegio, con
sentenza n. 658 del 1980, e con riferimento proprio all'arbitrato previsto
dagli artt. 51 segg. r.d. n. 366 del 1932 recante approvazione delle condi(
2) Sulla natura regolamentare dei capitolati generali per gli appalti delle
opere di competenza del ministero dei lavori pubblici, cfr. l'annotazione a
Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209 ed i precedenti
richiamati sub (1-6).
(3) In tema di sospensione e riserve correlate al fatto che la sospensione
sia ordinata od a quello che si protragga senza giustificazione, cfr., da ultimo,
Cass., 16 ottobre 1980, n. 5564 e 1 aprile 1980, n. 2097, in questa Rassegna,
1980, I, 967.
PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 423
zioni generali per l'appalto dei lavori del Genio militare, ritenuto che le
relative disposizioni hanno valore normativo (e non negoziale), ha
affermato che esse vanno disapplicate in quanto contrastanti con gli
avtt. 24 e 102 Cost. e 806 cod. proc. civ.
L'odierna censura, nella parte in cui -attraverso la affermazione
dell'inapplicabilit di tali disposizioni, e del potere del giudice di disapplicarle
ex art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, trattandosi di
disposizioni regolamentari non soggette al giudizio della Corte costituzionale
- diretta a provocare 1a caducazione dell'intero procedimento
arbitrale e del lodo, inammissibile perch la relativa questione
preclusa. La dedotta illegittimit della noI1ma del capitolato che predispone
l'arbitrato, risolvendosi nell'inva[idit del titolo di investitura
degili arbitri, d luogo ad un'ipotesi riconducibile alla previsione dell'art.
829 n. 1 cod. proc. civ.: cio ad un motivo di nUJl.lit della sentenza
arbitrale, che avrebbe dovuto essere dedotto avanti alla Corte d'appello
come motivo d'impugnazione della sentenza stessa. Ci per non
avvenuto, essendosi in quella sede l'amministrazione limitata a contestare
la configurabilit di una valida rinuncia all'impugnazione per
violazione delle regole di diritto, ail fine di dare ingresso a motivi di
censura per errores in iudicando.
Il problema prospettato conserva per la sua rilevanza ai fini della
seconda parte della censura, che si ricollega ad un motivo ritualmente
dedotto -nel senso di cui test si detto -al giudice dell'impugnazione.
Non v' dubbio che l'inappe1labilit del lodo, disposta daill'art. 59
del citato r.d. n. 366 del 1932 fa s che quello emesso nella specie dagli
arbitri dovrebbe qualificarsi, ai sensi dell'art. 829, ult. parte, cod. proc.
civ., come lodo non impugnabile , con l'effetto, ivi previsto, della
improponibilit dell'impugnazione basata suM violazione delle regole
di diritto.
Un tale effetto pu derivare solo da una inequivoca conforme
volont delle parti, ci essendo espressamente richiesto dal citato
art. 829, e coerente con il principio enunciato dalla Corte costituzionaile
con la sentenza n. 127/77, con riferimento all'art. 24 Cost., che garantisce
a tutti la possibilit di invocare la tutela giurisdizionale in conformit
alle norme delll'ordinamento. Consentire che gli arbitri possano -senza
un accordo delle parti -insindacabilmente sottrarsi, nel giudicare,
all'osservanza delle regole dti diritto, significa, infatti, lasciare le posi
zioni soggettive che nel diritto trovano 11 loro fondamento, prive di
tutela avanti ai giudici presso i quali la Costituzione ha inteso concen
trare la funzione giu11isdiziona1le.
Si tratta dunque di vedere se la previsione dell'inappel1abilit del
lodo, contenuto nell'art. 59 del capitolato generale su indicato, sia ricon
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
424
ducibile ailla volont delle parti, o se invece operi in via '1Utoritaria
ed eteronoma.
La tesi che in quest'ultimo senso sostiene l'Amministrazione ricorrente
trova conforto, oltre che nella citata sentenza n. 658/80 (specificamente
reliativa al detto capitolato), nella consolidata giu:riisprudenza di
questa Corte, relativa alla natura delle disposizioni del capitolato generale
per le opere pubbliche approvate con d.m. 28 maggio 1895: disposizioni
che, -come quelJle del successivo capitolato del 1962 -per le
opere di competenza deHo Staito, hrunno natura normativa e non negoziale
(Cass., sentt. nn. 1478/62, 1589/64, 2928/67, 2571/73, 2856/73, 3018/75,
3675/77), e che non diventano clausole negoziali sol perch siano
richiamate dal contratto. Tanto ci vero, che la previsione della competenza
arbitrale contenuta, nei contratti per opere appaltate dallo Stato,
in conformit al disposto dell'art. 42 del capitolato del 1895, non ha
bisogno -a differenza deHa clausofa compromissoria contenuta nelle
condizioni generali dei comunj. contratti per adesione -della specifica
approvazione scritta richiesta daill'art. 1341 cod. civ. (Cass., 23 lugilio 1964,
n. 1989).
Deve qruindi ritenersi che l'innegabile esistenza di un atto di autonomia
negoziale, quaile la determinazione a stipulare il contratto di
appalto, non consente di ricollegare a tale autonomia anche queMe
clausole che sono destinate ad operare comunque in forza di disposizioni
normative: il cui richiamo, perci, non pu avere che valore puramente
ricognitivo.
N sono decisivi in contrario i riJlievi svolti daUa difesa del Bologna,
secondo cui: a) la fonte della pretesa eterointegrazione contrattuale
sarebbe -ex art. 99 e 88 r.d. 23 maggio 1924, n. 827 -non una norma
di legge, ma una disposizione di un regolamento (di esecmiione della
legge sulla contabilit dello Stato, costituita questa, a sua volta, da un
decreto governativo) che si limita a prevedere -art. 45 -l'approvazione
ministeriale dei capitolati d'oneri; b) l'obbligo, posto da taile regolamento
ai contraenti, di fare riferimento ai capitolati generali, importerebbe
che l'integrazione contrattuale sia frutto della volont delle
parti; e) comunque, non avrebbe senso parlare di eteronomia, nei con
fronti della p.a., rispetto a regolamenti predisposti da essa medesima;
d) inoltre la facolt riconosciuta alla p.a. (artt. 7 legge di contabilit,
108, 109 del relativo regolamento) di stipulare contratti non conformi ai
capitolati generali, sia pure previo parere del Consiglio di Stato, implicherebbe
che anche le clausole conformi ai detti capitolati siano ricollegabili
all'autonomia negoziaJ:e; e) sarebbe particolarmente vero per la
clausola compromissoriia, in quanto -secondo l'art. 349 legge 20 marzo
1865, n. 2248, a11. F, sui lavori pubblici -llinserimento di essa nei
capitolati, generali o speciali che siano, facoltativo; f) in tale quadro
normativo, affermare che l'obbligo e la disciplina dell'arbitrato, di cui
PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI
a11'art. 51 r.d. n. 366 del 1932, derivino dalla legge anzich da11a volont
delle parti, significherebbe obliterare l'art. 1372 cod. civ. e trascurare la
prospettiva del contratto per adesione; g) che se pu operare la disciplina
della decadenza -per mancanza di tempestiva riserva -prevista
dal capitolato, e se 'pacifico che questo non una legge, deve ad
esso necessariamente attribuirsi valore di contratto, affinch risu:lti
rispettato il disposto dell'art. 2966 cod. civ ..
Tali rilievi non giustificano iii mutamento dell'indirizzo espresso
da1la sentenza n. 658/80 e, in generale, daHa giurisprudenza dianzi citata.
L'art. 59 del regolamento di esecuzione della legge sulla contabiilit
dello Stato (regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 827, che
ha lo stesso valore di una fonte primaria, in quanto emanato in forza
dell'art. 88 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, avente, a sua volta, vigore
di legge in base alla delega contenuta nelila legge 3 dicembre 1922,
n. 1601), disponendo che nei capitolati (part
corre considerare che ogni attivit diretta al conseguimento di un determinato
scopo si articola normalmente in una serie di operazioni, concettualmente
isolabili in vista delle rispettive finalit di carattere intermedio
ma tuttavia riconducibili, per la loro funzione strumentale, alla finalit
terminale cui tende l'attivit nel suo complesso.
appunto a questa ultima finalit che occorre richiamarsi quando si
tratti di stabilire il nesso di occasionalit necessario tra l'attivit del dipendente
e le incombenze ad esso affidate, e la conseguente riferibilit dell'evento
dannoso alla pubblica amministrazione; n tale nesso rimane escluso per il
fatto che, nel corso delle operazioni intermedie, il dipendente commetta abuso
di poteri, allorch tale abuso (ancorch determinato, in ipotesi, da esigenze
puramente egoistiche) appaia strumentalmente connesso, anche in materia
anomala, con i fini istituzionali dell'ente (v. Cass., 21 febbraio 1966, n. 551,
in Foro it. Mass., 1966, 187).
In queM'occasione la Cassaz;ione, fornendo una implioi1Ja definizione del1'
occasionalit necessaria, aveva precisato che non valeva distinguere tra
la consegna del plico, come attivit svolta nell'interesse della pubblica amministrazione,
e l'uso della bicicletta, come attivit diretta al soddisfacimento di una
comodit personale dell'incaricato e che, anche ad ammettere che l'impiego della
bicicletta costituisse un abuso, come diretto alla soddisfazione di una esigenza
puramente egoistica, ci non escludeva che quella attivit fosse diretta, in via
strumentale, e sia pure come modalit anomala, alla consegna del plico, all'adem
PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 437
trasformarne la connotazione fino a renderla comunque non riferibile
ai compiti istituzionali propri della stessa.
Ora, nell'aipplicare tali principi alla fattispecie in esame, la Corte
rileva: a) che, pur essendosi il De Palo ed il Checchi allontanati, per
spontanea detemninazione, dai rispettivi posti di guardia loro assegnati,
i predetti non ebbero comunque a manifestare, n esplicitamente, n
implicitamente, l'intento di abbandonare, in vfa definitiva, il servizio al
quale erano preposti, tant' che, nel portarsi all'interno del focale ove
poi l'incide:nte si verific, i due continuarono a mantenere le armi in
loro dotazione, confermando con ci la non equivoca volont di considerarsi
attivamente impegnati in quel servizio; b) che la situazione ambientale
(tenuto conto, infatti, che, a causa delle ridotte dimensioni
della nave, sussisteva una certa contiguit dei posti di guardia all'esterno,
rispetto al locale in cui i due si dettero convegno) non appariva
tale da contraddire quell'intendimento o, in ogni caso, da vanificarlo
nella sostanza: il momentaneo allontanamento dai posti di guardia ebbe
cio di incidere non tanto sulla continuit del servizio di vigilanza,
da ritenere ancora sicuramente in atto, quanto piuttosto sulla sua orga
nizzazione e sulla conseguente efficacia operativa, specie ove le circostanze
avessero, in ipotesi, richiesto immediatezza e rapidit di interventi;
e) che l'interruzione del rapporto organico e del nesso causale
non neppure ravvisabile con riferimento al comportamento assunto
dall'imputato e dalla vittima, una volta aH'im.terno deil focale. Con sta-
pimento, cio, di quella incombenza, finalit terminale, che al militare era stata
affidata nell'ambito del servizio.
evidente, negli esempi fin' qui fatti, la logica coerenza delle affermaziorui:
giurisprudenziailii con Ja. voluta eSltensione del principio.
Nel caso in esame per non stata fatta applicazione estensiva del
principio stesso, essendo stato questo totalmente travolto e la necessaria
occasionalit, vista come inserimento di un atto personale del dipendente
che purtuttavia non antitetico con la realizzazione dei fini istituzionali
della p.a., diventa mera occasionalit naturale! Poich le armi di cui erano
dotate le sentinelle -erano state date loro dall'amministrazione, questa risponde
automaticamente all'omicidio, anche se il gravissimo reato da quelle
commesso (abbandono del posto di guardia punito dal codice penale militare di
pace) era di per s solo idoneo ad escludere l'inserimento della loro azione nella
scia dei fini istituzionali.
Il travolgimento del principio sarebbe stato ancor pi grave tuttavia
se la Suprema Corte non avesse dato credito alla ricostruzione della Corte
d'appello che ha ritenuto che fra i due imputati non si era dato avvio ad una
giara di velocit nel brandeggio delle armi: cos, negato il fatto pi allarmante,
minimizzato l'abbandono di posto per recarsi a sorbire il caff, affermata
la possibilit della guardia di una nave... anche da un locale sottocoperta,
stato possiibiie alla Sup:rema Corte dii Cassazione non stroncare ila riichiesta
di risarcimento rivolta alla p.a.
PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE
438 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
tuizione di fatto insindacabile nel corso del presente giudizio di legittimit,
perch correttamente motivata sulla base delle risuJ.tanze processuali,
la Corte d'appello ha invero escluso che il colpo mortale sia
partito dal mitra dell'imputato durante una finta gara di velocit nel
brandeggio delle armi; sicch non pu essere revocata in dubbio la
sussistenza di una diretta correlazione tra i seguenti elementi: la continuit
del servizio di guardia, sostanzialmente ancora in atto per le
ragioni anzidette; il possesso delle armi da parte dei due protagonisti,
in funzione esclusiva di quel servizio; l'insussistenza di alcuna iniziativa
arbitraria nell'uso e nel maneggio delle armi medesime.
Da tale stretta correlazione discende dunque che l'incidente di cui
trattasi, pur essendo ascrivibile, penalmente, alla colpevole condotta
del De Palo, nei termini accertati dai giudici di merito, trov tuttavia
la propria necessaria oocasione nel servizio al quale l'imputato era
stato preposto (unitamente alla vittima) da parte dell'amministrazione
militare alla quale egli in quel momento era legato da un rapporto
organico di dipendenza; onde la responsabilit civile dell'accaduto deve
I
direttamente essere riferita all'amministrazione medesima.
I ~
In ordine, poi, al secondo motivo di censura, la Corte rileva che
il preteso concorso di colpa viene ad essere configurato, in questa
sede, sotto un profilo sostanzialmente nuovo rispetto a quello delineato
in appello. In quell'occasione, invero, il responsabile civile ebbe a rile
I
vare la sussistenza del concorso in parola sul presupposto che l'incidente
si fosse verificato nel corso di una gara ingaggiata, per giuoco, I
tra i due protagonisti (gara consistente nel misurare la velocit nell'impugnare
le armi e nell'aprire il fuoco); ma tale ipotesi non ha tro
I
vato credito da parte del giudice d'appello che l'ha infatti disattesa,
come dinanzi precisato. Il motivo di ricorso in esame prospetta invece
la sussistenza del preteso concorso di colpa sotto il diverso profilo del
I
l'illecito comportamento del Checchi, per avere quest'ultimo abbandoij
nato, in violazione della consegna ricevuta, il posto di guardia. L'inammissibilit
della censura appare tuttavia trasparente, per la radicale
immutazione 9-el suo contenuto rispetto all'originaria, prospettazione
sottoposta all'esame della Corte di merito. (omissis)
PARTE SECONDA
QUESTIONI
IL CONGRESSO DI MESSINA DEL 3-8 NOVEMBRE 1981 (*)
1. -Intitolato a cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia
ed organizzato dalla Facolt di giurisprudenza dell'universit di Messina
con la collaborazione della casa editrice Giuffr, inaugurato con
J',intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e concluso dal
Ministro di grazia e giustizia, si svolto a Messina ed a Taormina
un congresso a cui hanno dato lustro moltissimi fra i pi prestigiosi
esponenti del Gotha giuridico italiano, che hanno analizzato, come relatori,
l'esperienza legislativa, scientifica, giurisprudenziale e professionale
dell'ultimo mezzo secolo.
Chi vi ha partecipato come uditore ha potuto cos godere del singolare
privilegio di ascoltare la narrazione di un periodo di storia per
bocca dei suoi protagonisti (1) e liberarsi, se mai ne fosse stato affetto,
dal cinico pregiudizio che l'esperienza sia soltanto il nome che
ciascuno d ai propri errori.
Non si vuole certo qui riferire del Congresso per anticipare in modo
parziale ed impreciso quella che sar la pubblicazione integrale dei
lavori. Sembra, invece, non ozioso tentare di cogliere alcune costanti
che, :per aver caratterizzato molti interventi (o anche solo alouni di
essi, ma fra i pi significativi) si propongono come interessante momento
di riflessione.
2. -Un primo dato che emerge, forse indotto anche dall'approssimarsi
delle soglie del millennio, nonostante le revisioni operate dalla
storiografia pi recente sulla tradizionale immagine dell' Anno Mille
(2) -ma, ahim, quanto consono con le realt contemporanee -
il taglio millenaristico di molte relazioni.
I termini ricorrenti con sintomatica frequenza sono stati quelli
di crisi (dello Stato, del diritto, della societ, dei valori di civilt)
e di catastrofe: il tutto rapportato, naturalmente, alla scala della
(*) T'ra ille relazioni presentaite a1 congresso vi era que1Jla dell'avvocato
generale dello Stato, avv. Giuseppe MANzARI, il cui testo integrale sar pubblicato
per i tipi di Giuffr con tutti i lavori del convegno. Su questa Ras
segna pubblicheremo, contemporaneamente, il pi breve testo della trascrizione
dell'intervento orale.
(1) F. SANTORO PASSARELLI, Considerazioni conclusive.
(2) G. DABY, L'An Mil, Julliard, 1967.
$. .,
. .
$. .,
. .
-
28
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
dimensione planetaria (3). Con riferimento specifico aJ nostro Paese,
si , poi, parlato delle acque melmose di un procedimento di involuzione
(4) dal cui stagnare sembra difficile trarre incoraggianti
auspici.
Il dato appare particolarmente allavmante, considerato anche che
chi, in chiusura di lavori, aveva cercato di reagire con una parola di
ottimismo e dl negazione della crisi, ha dovuto, poi, concludere la
sua relazione definendo quello italiano come un orilinamento che ha
perduto punti e centri di riferimento ed , si direbbe, al limite dell'anomia
e diagnosticando, in sede mondiale, il declino irreversibile
dello Stato nazioniale, giunto all'esaurimento del suo ciclo storico e
l'avvento prossimo venturo -attraverso un lungo travaglio di guerre
e rivoluzioni -di una Repubblica Universale (5).
La crisi attuale, analizzata in uno spaccato orizzontale, stata individuata,
con singolari consonanze interdisciplinari fra sociologia, filosofia
e diritto, in quella di un tempo interepocale (6), caratterizzato da una
d]varicazione fra l'evolversi de1la realt sociale e la risposta defila norma
giuridica (7), in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit
(non a caso alcuni orientamenti di filosofia del diritto puntano alla critica
non del contenuto delle norme, ma della loro forma espressiva) (8)
ed il rifiuto totale del formalismo giuridico all'irrazionalit (9). La societ
, dunque, minacciata nella sua stessa identit dai mostri generati
dal sonno della ragione, in una situazione inquietantemente simile,
nelle prospettive, a quehla degli anni '30 (10), anche se profondamente
diversa nei contenuti, individuabili in una degradazione della convivenza
a mera coesistenza, in una degenerazione del pluralismo in particolarismo
ed in un difetto di tutela apprestata dall'ordinamento ai gruppi intermedi
sprovvisti di capacit aggregante (11).
3..-Al di l del momento .contenutistico cos delineato con pessimismo
purtroppo quanto mai realistico, la consonanza sopra individuata
(3) Per tutti, cfr. A. FALZEA, Relazione introduttiva e, con diverse sfumature
ed angolazioni; A. BRANCACCIO, Esperienza giurisprudenziale -Diritto penale,
G. FLORE, Esperienza giurisprudenziale -Diritto privato; F. GRANDE STEVENS,
Esperienza professionale -Diritto privato; G. MANZARI, Esperienza professionale
-Avvocatura dello Stato; R. NICOL, Esperienza scientifica -Diritto civile;
F. PIGA, Esperienza giurisprudenziale -Diritto pubblico, A. SORRENTINO, Esperienza
professionale -Diritto pubblico.
(4) V. CRISAFULLI, Esperienza legislativa.
(5) M. S. GIANNINI, Esperienza scientifica -Diritto amministrativo.
(6) A. FALZEA, cit.
(7) R. TREVES, Esperienza scientifica -Sociologia del diritto.
(8) S. COTTA, Esperienza scientifica -Filosofia del diritto.
(9) A. FALZEA, cit.
(10) V. CRISAFULLI, cit.
(11) A. FALZEA, cit.
I ~
I
PARTE II, QUESTIONI 29
fra tante delle relazioni mette in luce anche una comunanza di metodo
storico-critico usato dai relatori e volto a cogliere, nel fluire degli eventi
nel tempo, i nessi fra momento socio-politico, momento culturale e momento
giuridico. Come per il termine finale, cos anche per il termine
iniziale del periodo in considerazione stato, quindi, naturalmente colto
lo svolgersi parallelo di una crisi del diritto correlata ad una crisi sociopolitica
e culturale. Ovvio, poi, che tale metodo abbia portato ad un
ampliamento dell'orizzonte oltre gli angusti confini nazionali, coinvolgendo
nell'esame la civilt europea nel suo insieme (12) o, addirittura
(e forse pi esattamente), tutto l'occidente industrializzato (13).
4. -Altro caratteristico dato di consonanza -relativo, questa volta,
pi specificamente all'Italia -si rinviene nella datazione del momento
che separa, effettivamente, in questo dopoguerra, l'esperienza autoritaria
da quella democratica, segnando anche l'inizio di una nuova crisi epocale
.
Con una coincidenza troppo precisa per essere casuale, tale momento
viene collocato da molti relatori, non gi nel 1948, ma nel cuore
degli anni '60, dovendosi ravvisare nel primo periodo repubblicano una
sostanziale continuit dell'ordinamento, soprattutto nella sua prassi (14)
e dovendosi attendere addirittura gli anni '70 per vedere realizzate le
riforme (15) volute dal Costituente. In altri termini cos il legislatore
ordinario (16) come il giurista e l'operatore del diritto, conservatori per
tradizione (17), come le pubbliche istituzioni e la coscienza sociale (18),
furono inizialmente indifferenti nei confronti della Costituzione repubblicana
(19), ed il ceto politico impieg venti anni per acquisirne coscienza
(20).
Inutile sottolineare l'importanza di questa constatazione al confine
fra l'esame collettivo di coscienza e la scoperta di un fenomeno di discrasia
fra ordinamento e societ, d'altronde non infrequente (21).
Nel respiro lungo defila storia appaiono, quindi, nettamente fuori bersaglio
le critiche, spesso assai dure, rivolte all'Avvocatura dello Stato
per aver difeso, nei primi giudizi di costituzionalit tesi antidemocrati
(12) V. CRISAFULLI, cit.,
(13) A. FALZEA, cit.; G. FERRI, Esperienza scientifica -Diritto commerciale;
F. GRANDE STEVENS, cit.; G. MANZARI, cit.
(14) F. PIGA, cit. In senso sostanzialmente conforme A. BRANCACCIO, cit.;
G. MANZARI, cit.
(15) V. CRISAFULLI, cit.
(16) A. FALzEA, cit.
(17) R. NICOL, cit.
(18) G. MANZARI, cit.; F. PIGA, cit.
(19) R. NICOL, cit.
(20) M. S. GIANNINI, cit.
(21) G. MANZARI, cit.
;o RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
che, prima fra tutte quella della inassoggettabilit delle norme precostituzionali
al giudizio di legittimit. A parte il rilievo, infatti, che fu
taciuto -o non fu tenuto in debita considerazione -il fatto che l'Avvocatura,
lungi dal sostenere la sopravvivenza globale dell'ordinamento
previgente alla Costituzione, propugn la tesi della forza abrogatrice della
norma fondamentale, lex superveniens alla stregua dell'art. 15 delle
preleggi (si mosse, cio, sul piano della dogmatica giuridica, sostenendo
una tesi tanto poco eterodossa da essere stata fatta propria dalla Corte
costituzionale della Repubblica federale tedesca), giova osservare che
la sensibilit costituzionale dell'istituto si dimostrata essere stata
quella comune all'epoca a molti altri soggetti ed istituzioni ed in definitiva
adeguata ai tempi.
5. -Altra linea di tendenza emersa con molta chiarezza quella
del superamento deUe anguste barriere nazionali: l'area delle economie
di scala abbl:'accia ormai gran parte del pianeta, travalicando le
frontiere nazionali con o senza la mediazione di ordinamenti sovrannazionaili
e, poich il diritto segue l'economia (anche per chi non condivide
il pensiero filosofico del Crooe), tutti i giuristi, senza eccezione,
devono oggi far fronte a problemi di comparazione di diritto straniero,
di applicazione di diritto internazionale, di applicazione di diritto sovrannazionale
(22), Je cui fonti di produzione spesso interferiscono con
quelle interne, 'creando situazioni di equilibrio o di attrito di singolare
delicatezza (23).
6. -Queste brevi note si sono aperte all'insegna di un pessimismo
distruttivo. Sia consentito chiuderle, costruttivamente, con un -pur
cauto -cenno di ottimismo. proprio del giurista - stato detto -
non cedere alle tentazioni di un cupio dissolvi universale ed interrogarsi,
invece, su cosa ha fatto, cosa sta facendo e cosa potr fare per
salvare la civilt cui appartiene (24).
Limitando la domanda ai problemi specifici dell'istituto resta da
chiedersi cosa pu fare ogni avvocato dello Stato e cosa pu fare l'Avvocatum
per fornire il proprio contributo al superamento di una crisi
indubbiamente gravissima.
La risposta non pu che venire dai due canali privilegiati attraverso
i quali l'istituto capta i fermenti del divenire sociale e quindi
intende i bisogni della societ in cui opera: l'attivit professionale,
da un lato; l'appartenenza all'organismo statuale, dall'altro (25).
(22) F. GRANDE STEVENS, cit.; G. GoRLA, Esperienza scientifica -Diritto comparato;
G. FERRI, cit.; M. GIULIANO, Esperienza scientifica -Diritto internazionale e
comunitario; G. MANzARI, cit.
(23) G. MANZARI, cit.
(24) A. FALzEA, cit.; G. MANZARI, cit.; G. VASSALLI, Esperienza scientifica -Diritto
penale.
(25) G. MANZARI, cit.
PARTE II, QUESTIONI J1
Orbene, l'indicazione che proviene dall'uno come dall'altro canale
univoca.
Dall'esperienza professionale privata viene, infatti, l'indicazione di
una emergente importanza dell'attivit consrultiva. La parte "patologica
, quella della lite -ha detto Grande Stevens (26) -ha ceduto
sempre pi il passo al lavoro fisiologico , quello cio, di consulenza
stragiudiziale talvolta diretta proprio a prevenire ed evitare una lite.
Non solo, ma una porziione del lavoro giudiziaile anch'essa di natura
fisiologica: si tratta delle c.d. liti-pilota che si svolgono con dovizia
di forza giuridiche perch dal loro esito dipendono, o sono orientati,
migliaia di altri casi simili .
La grande organizzazione economica come la grande impresa, o
l'associazione di entit o soggetti economici, vuole conoscere i rischi
di antigiurididt di un proprio comportamento con le relative conseguenze
per evitarli o, raramente, per decidere di affrontarli consapevolmente
considerandone e valutandone la portata nel proprio programma
di attivit.
Non solo: ma il responso rkhiesto all'avvocato deve essere anche
sollecito. Ogni suo ritardo si risolve in un intralcio allo svolgimento
dell'attivit economica e quindi in una perdita di competitivit. Soltanto
in una societ agricola o preindustriale poteva trovar luogo il
cras respondebo dell'antico giureconsulto, dovendosi, invece, oggi adeguare
tempi e modelli di risposta a tanto mutate esigenze.
Non diverso segnale giunge, poi, dal canale del1a appartenenza
istituzionale. Da sempre partecipe -sia pure in forma e modi diversi
nei tempi -da un lato dell'amministrazione della giustizia e, dall'altro,
della realizzazione della giustizia nell'amministrazione, l'Avvocatura ha
costantemente annoverato fra i suoi compiti queUo di contribuire ad
assicurare la legalit interna dell'azione amministrativa.
Orbene, si d il caso che, mentre nello Stato accentrato, quale era
quello italiano fino agli anni '60, tipico esempio di un paese a diritto
amministrativo classico, il potere esecutivo era il primo garante
della legalit e giudice... delle stesse controversie che al suo interno
sorgessero per la migliore realizzazione del pubblico inte.resse (27)
(naturalmente la legalit garantita era quella -alquanto formale -del
tempo, che privilegiava largamente il principio di autorit rispetto a quello
di libert) -s che la funzione dell'Avvocatura si poneva in posizione omogenea
fra i due poli (altrettanto omogenei) dell'amministrazione e della giurisdizione
-nell'attuale organizzazione de1la societ, in cui pluralismo ed
autonomismo danno vita ad uno stato comunitario e poliarchico, la
situazione muta profondamente. Infatti La societ po'Harchica si orga
(26) Relazione, cit.
(27) F. PIGA, cit.
J2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
nizza in modo da esercitare il potere senza altro controllo che non sia
quello dei veti reciproci ed incrociati. Inoltre la moltiplicazione dei
cenvri di potere, il prepotere dei gruppi e dei centri rappresentativi
di interessi organizzati... accentua il momento prevaricatore del potere
e spinge l'azione amministrativa verso J'arbitrio (28).
Ne consegue inevitabilmente il progressivo appannamento della funzione
di garanzia interna della 1egalit, anche se quest'ultima acquista,
per converso, pi pregnanti e sostanziali contenuti.
Se cos , l'ultima spiaggia per la difesa della legalit dell'azione
amministrativa, prima del di1agare del conflitto di interessi in quella
sede contenziosa in cui amministrazione e giurisdizione si troverebbero
ormai in posizione disomogenea, perch non pi accomunate dal fine
unico del rispetto della legalit, appare proprio l'Avvocatura dello Stato
che, trasponendo nel campo pubblico quelle esigenze dei tempi sopra
segnalate come emergenti nel privato, pu svolgere adeguata azione
di prevenzione della litigiosit, offrendo una prima garanzia di compimento
di giustizia nei rapporti tra amministrati ed amministrazione.
Rapporti che, come ancora di recente stato ricordato al congresso
di Madrid del 9-14 novembre 1981 sulla funzione consultiva (29), sono
sempre qualcosa di profondamente diverso dai rapporti degli amministrati
fra loro.
Un potenziamento della funzione consultiva nei tempi, nei contenuti
e nella flessibilit dei moduli sembm, dunque, il pi valido contributo
che l'Avvocatura e gli avvocati dello Stato possano dare per il
superamento della attuale emergenza.
IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA
(28) F. PIGA, cit.
(29) Relazione della Delegazione dell'Avvocatura dello Stato italiana.
LEGISLAZIONE
QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE
I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI
Codice penale, art. 603.
Sentenza 8 giugno ,1981, n. 96, G.U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 4 nella parte in cui limita alle categorie
di lavoratori ivi indicate l'iscrizione obbligatoria all'ente.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 103, G.U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, "quinto comma, nella parte in cui non
consente che, ai fini dell'esercizio di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto
reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento
penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia
ooncluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non
consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento
del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in
cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato
dall'INAIL.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 nella parte in cui preclude in sede
civile l'esercizio di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro qualora
il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto
dal quale l'infortunio derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione,
malgrado che l'Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto
procedimento penale.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 11 e 10, nella parte in cui dispone che,
nel giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro per un infortunio di
cui sia civilmente responsabile per fatto di un proprio dipendente, l'accertamento
dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante
anche nei confronti del datore di lavoro rimasto ad esso estraneo perch non
posto in condizione di intervenire.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G. U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 1, nella parte in cui prevedendo per le
pensioni supplementari l'aumento nella misura di lire 2.400 mensili, lo limita a
quelle aventi decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 e non lo estende a quelle
ugualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi decorrenza posteriore
al 30 aprile 1968.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 101, G. U. 24 giugno 1981, n. 172.
J4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 9, nella parte in cui, prevedendo per le
pensioni supplementari l'aumento in misura pari al 10 per cento del loro
ammontare, lo limita a quelle aventi decorrenza anteriore al 1 gennaio 1969, e
non lo estende a quelle, egualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi
decorrenza posteriore al 31 dicembre 1968.
Sentenza 29 aprile 1981, n. 101, G. U. 24 giugno 1981, n. 172.
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, nella parte in cui non indica con
quali mezzi i comuni, le aziende municipalizzate e relativi consorzi, faranno
fronte agli oneri finanziari posti a loro carico.
Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 31, per quanto concerne la regione Sardegna.
Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 31, per quanto concerne la regione Valle
d'Aosta.
Sentenza 8 giugno 11981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
II QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE
Codice civile, art. 314/4, primo e terzo comma (art. 3, primo comma, della
Costituzione).
Sentenza 1 giugno 1981, n. 80, G. U. 10 giugno 1981, n. 1158.
codice civile art. 1224 (art. 3 della Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
codice di procedura civile art. 282 (art. 3 della Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
codice di procedura civile art. 423 (artt. 3, 24 e 102 della Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 3, 35, primo comma,
e 36 della Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 71, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
codice di procedura civile, artt. 429 e 409 (artt. 3, 11, 4 e 35 della Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
:-:
'
PARTE II, LEGISLAZIONE JJ
r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo
corrima, 101, secondo comma e 108, primo comma, della Costituzione)..
Sentenza 8 giugno 1981, n. 100, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 19 [modificato dalla legge 28 aprile 1967,
n. 264 e dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 271] (artt. 3, 29, 36 e 38 della
Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 75, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
legge reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1, primo comma (art. 3 della
Costituzione).
Sentenza 19 giugno 1981, n. 105, G.U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10, primo comma e 131 (artt. 3, 4, 24,
32 e 41 della Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 74, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 75, 79 e 80 (artt. 3, 35, 38 e 76 della
Costituzione).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 93, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 79 e 80 (artt. 3 e 38, secondo comma
della Costituzione).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 93, G. U. :17 giugno 1981, n. 165.
legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (art. 3 della Costituzione).
Sentenza 19 giugno 1981, n. 104, G. U. 24 giugno 1981, n. 172.
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 4, 36, 38, 52, 53, 97, 117 e 118 della
Costituzione).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 9 ottobre 1971 n. 824, art. 6 (artt. 81, quarto comma, 114 e 128 della
Costituzione).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 30, 31 e 36 (artt. 130, secondo comma, della
Costituzione e 1, 4, n. 1, 29, secondo comma, 58 e 60 dello statuto della regione
Friuli -Venezia Giulia).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 31 e 36 (artt. 115, 119 e 123 della Costituzione).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 94, G. U; 17 giugno 1981, n. 165.
14
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 34, 35 e 36 (art. 127 della Costituzione
e 1, 19, 20, 25, 36 e 38 dello statuto della regione siciliana).
Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge reg. Piemonte riapp. il 10 ottobre 1979 (art. 117, primo comma, della
Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 70, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
legge reg. Umbria riapp. il 4 febbraio 1980 (art. 117, primo comma, della
Costituzione).
Sentenza 26 maggio 1981, n. 70, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
III -QUESTIONI PROPOSTE
Codice di procedura civile, art. 246 (artt. 3 e 24 della Costituzione).
Pretore di Torino, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 150/1981, G.U. 10 giugno
1981, n. 158.
codice di procedura civile, art. 636, secondo comma (artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione).
Pretore di Pinerolo, ordinanza 17 novembre 1980, n. 110/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
codice penale, artt. 519, 539 (artt. 2, 3, 27, primo comma, della Costituzione).
Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 16 settembre 1980;
n. 126/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione).
Corte d'assise di Cagliari, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 139/1981, G. U. 24 giugno
1981, n. 172.
codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione).
Pretore di Ferrara, ordinanza 19 gennaio 1981, n. 152, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
Pretore di Lecce, ordinanza 20 ottobre 1980, n. 180/1981, G. U. 17 giugno 1981,
n. 165.
codice penale, art. 707 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Pavia, ordinanza 7 gennaio 1981, n. 203, G. U. 3 giugno 1981,
n.
151.
Pretore di Pavia, ordinanza 14 gennaio 1981, n. 144, G. U. 3 giugno 1981,
n. 151.
!
-
PARTE II, LEGISLAZIONE
codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, prima ipotesi (art. 3
della Costituzione).
Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 111 dicembre 1980,
n. 140/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151.
codice penale militare di pace, artt. da 277 a 282 e da 415 a 431 (artt. 101,
secondo comma, 102, secondo comma, 104, 108, secondo comma, 52, terzo comma,
della Costituzione).
Giudice istn1ttore del Tribunale militare territoriale di Roma, sezione autonoma
di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 142/1981, G. U. 3 giugno 1981,
Il. 151.
legge 17 luglio 1890, n. 6972, art. 1 (art. 38, ultimo comma, della Costituzione).
Tribunale di Forl, ordinanze (due) 12 gennaio 1981, n.. 124 e 125, G. U.
3 giugno 1981, n. 151.
r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 40, quinto comma (art. 3 della Costituzione).
Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 12 gennaio 1979,
n. 104/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
r.d. 9 settembre 1941, n. 1024, artt. 28 e 35 (artt. 101, secondo comma,
102, secondo comma, 104, 108, secondo comma e 52, terzo comma, della Costituzione).
Giudice istruttore del Tribunale militare territoriale di Roma, sezione autonoma
di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 142/1981, G. U. 3 giugno 1981,
n. 151.
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, secondo e terzo comma (art. 24, secondo
comma, della Costituzione).
Tribunale di Catania, ordinanza 20 marzo 1980, n. 103/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
r.d.I. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 54, secondo comma
e 98, primo comma, della Costituzione).
Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza
21 novembre 1980, n. 129/1981, G.U. 3 giugno 1981, n. 151.
legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 71 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione).
Corte dei Conti, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 giugno 1980,
n. 145/1981, G.U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, secondo comma (artt. 134 e 24, primo
comma, della Costituzione).
Pretore di Bologna, ordinanza il1 settembre 1980, n. 102/1981, G. U. 20 maggio
1981, n. 137.
JB RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO
legge 17 luglio 1954, n. 823, artt. 2, allegato 2, e 3 (artt. 3 e 35 della
Costituzione).
Pretore di Avellino, ordinanza 20 gennaio 1980, n. 162/1981, G. U. 24 giugno
1981, n. 172.
legge 11 aprile 1955, n. 379, art. 8, ultimo comma (art. 3 della Costituzione).
Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 12 gennaio 1979,
n. 104/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 398 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Pisa, ordinanza 15 gennaio 1981, n. a.28, G. U. 17 giugno 1981,
n. 165.
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 36, art. 119 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Verbania, ordinanze (due) 24 novembre 1980, nn. 242 e 243/1981,
G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136 (artt. 3, 30, 31, 37 della Costituzione).
Commissione tributaria di secondo grado di Sassari, ordinanza 20 marzo
.1979, n. 154/1981, G. U. !10 giugno 1981, n. 158.
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 94, 80, tredicesimo, quindicesimo e sedicesimo
comma, 83, quinto comma (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Cairo Montenotte, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 99/1981, G. U.
13 maggio 1981, n. 130.
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 (artt. 3 e 27 della Costituzione).
Pretore di Ancona, ordinanza 12 dicembre 1980, n. 179/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
d.P.R. 15 giugrio 1959, n. 393, art. 121 [modificato dalla legge 5 maggio 1976,
n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27 della Costituzione).
Pretore di Riesi, ordinanze (due) 3 dicembre 1980 e 14 gennaio 1981, nn. 220
e 221, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Albenga, ordinanza 19 novembre 1980, n. 166/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
d.JP'.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma, quarta ipotesi (art. 3 della
Costituzione).
Pretore di Cosenza, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 241/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
PARTE II, LEGISLAZIONE
legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, quarto e quinto comma (artt. 3 e 24, cpv.,
della Costituzione).
Pretore di Perugia, ordinanza 17 gennaio 1981, n. 156, G. U. 17 giugno 1981,
n. 165.
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 della
Costituzione).
Pretore di Trieste, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 158, G. U. 20 maggio 1981,
n. 137.
Pretore di Avellino, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 165/1981, G. U. 3 giugno
1981, n. 151.
legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma (art. 3 del)a Costituzione).
Pretore di Bologna, ordinanza 2 gennaio 1981, n. 112, G. U. 6 maggio 1981,
n. 123.
legge 31 dicembre 1962, n. 1860, art. 29, secondo comma (artt. 76 e 77, primo
comma, della Costituzione).
Pretore di La Spezia, ordinanza 22 dicembre '1980, n. 113/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, art. unico, n. 51 (artt. 3 e 33 della Costituzione).
Tribunale di Avellino, ordinanza 30 dicembre 1980, n. 120/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione).
Tribunale di Lecce, ordinanza 6 novembre 1980, n. l&l/1981, G. U. 17 giugno
1981, n. 165.
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 11, 41 e 3 della Costituzione).
Tribunale di Ravenna, ordinanza 15 dicembre 1980, n. 115/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 6 (art. 3 della Costituzione).
Tribunale di Trapani, ordinanza 21 maggio :1980, n. 84/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38,
secondo comma, della Costituzione).
Tribunale di Bologna, ordinanza 28 maggio 1980, n. 94/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
Tribunale di Bologna, ordinanza 5 novembre 1980, n. 95/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 63 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Voltri, ordinanza 2 gennaio 1981, n. 101, G. U. 13 maggio 1981,
n. 130.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Salerno, ordinanza 27 gennaio 1981, n. 146, G. U. 3 giugno 1981,
n. 151.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lettera a) [modif. da legge 27 dicembre
1975, n. 780] (artt. 3 e 38 della Costituzione).
Tribunale di Pescara, ordinanze (due) 6 novembre e 4 dicembre 1980, nn. 86
e 87/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, primo comma, lettera a) (artt. 3,
primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione).
Pretore di Modena, ordinanza 26 febbraio 1981, n. 335, G. U. 27 maggio 1981,.
n. 144.
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38, secondo comma, della
Costituzione).
Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 19 dicembre 1980, n. 157;.1981, G. U.
24 giugno 1981, n. 172.
legge 4 febbraio 1968, n. 482, art. 6, secondo comma (artt. 3, primo comma,
4, primo comma, 35, primo comma, 38, quarto comma, della Costituzione).
Pretore di Bologna, ordinanza 11 settembre 1980, n. 102/1981, G. U. 20 maggio
1981, n. 137.
legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 2 e seguenti (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1980, n. 92/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 64 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione).
Corte dei conti, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 giugno 1980,
n. 145/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Trieste, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 158, G.U. 20 maggio .1981,
n. 137.
Pretore di Avellino, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 165/1981, G. U. 3 giugno
1981, n. 151.
d.p. giunta prov. Bolzano 23 giugno 1970, n. 20, art. 16, sesto e settimo
comma [modif. da legge prov. Bolzano 20 settembre 1973, n. 38, art. 7] (artt. 5
della Costituzione e 4, 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 25 febbraio 1980, n. 97I
1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130.
PARTE II, LEGISLAZIONE
legge 23 dicembre 1970, n. 1054, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione).
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 10 luglio
e 30 ottobre 1980, nn. 148 e 149/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 7 (artt. 76 e 10 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno
1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42, terzo comma,
della Costituzione).
Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 dicembre 1980, n. 122/1981, G. U.
3 giugno 1981, n. 151.
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma [modif. da d.P.R. 29 gennaio
1979, n. 24, artt. 1 e 3, quarto comma] (art. 3 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Rovigo, ordinanza 19 dicembre
1980, n. 239/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 47 e ali. A, art. 4 (artt. 76 e 10 della
Costitqzione).
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno
1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 2, 24 e 76 della Costituzione).
Commissione Tributaria di primo grado di Lodi, ordinanza 27 marzo 1980,
n. 123/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione).
Pretore di Pistoia, ordinanza 26 novembre 1980, n. 130/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
Pretore di Roma, ordinanze (due) 17 dicembre 1980, nn. 135 e '136/1981, G. U.
27 maggio 1981, n. 144.
Pretore di Pescia, ordinanza 24 novembre 1980, n. 191/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
Pretore di Varallo, ordinanza 18 dicembre ,1980, n. 182/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
Corte di Cassazione, ordinanza 1<> ottobre 1980, n. 237/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. ,144.
Corte di Cassazione, ordinanza 26 novembre 1981, n. 238, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
Pretore di Chiavenna, ordinanza 11 novembre 1980, n. 312/1981, G. U. 27 maggio
1981, n. 144.
Pretore di Castiglione del Lago, ordinanze (due) 10 ottobre 1980, nn. 192 e
193/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della Costituzione).
Commissione tributaria di secondo grado di Cremona, ordinanza 18 dicembre
1980, n. 147, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 97 e 3 della Costituzione).
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 22 gennaio 1979,
n. 137/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 76 e 10 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno
1980, n .. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Lecce, ordinanza 10 novembre 1980, n. 88/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
d.l. 6 luglio 1974, n. 159, art. 4 [convertito in legge 17 agosto 1974, n. 384]
(artt. 3, 29, 53 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 15 maggio
1979, n. 133/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1980, n. 92/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 47, secondo comma (artt. 3, primo comma,
e 42, terzo comma, della Costituzione).
Tribunale di Roma, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 219/19&1, G. U. 24 giugno
1981, n. 172.
legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 (art. 3 della Costituzione).
Tribunale di Livorno, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 85/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Tirano, ordinanza 29 settembre 1980, n. rlll/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 12 dicembre 1980, nn. 116 e 117/1981,
G. U. 13 maggio 1981, n. 130.
legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (ar. 27 della Costituzione).
Tribunale di Como, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 161/1981, G. U. 20 maggio
1981, n. 137.
legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 3 della Costituzione).
Tribunale di Livorno, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 85/1981, G. U. 6 mag..
!
gio .1981, n. 123.
PARTE II, LEGISLAZIONE 4J
legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1 quater (artt. 3 e 32 della Costituzione).
Tribunale di Mantova, ordinanza 26 novembre 1980, n. 121/1981, G. U. 20 maggio
1981, n. 137.
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53
della Costituzione).
Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 2 maggio
1980, n. 127/1981, G. U. 20 maggio 19811, n. 137.
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3 e 53 della
Costituzione).
Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 13 novembre
1979, n. 317/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanze (due) 24 maggio
1978, n. 131 e 132/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 29 e 53 della Costituzione).
Commissione tributaria di secondo grado di Sassari, ordinanza 20 marzo
1979, n. 154/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.
legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, decimo comma (art. 3 della Costituzione).
Tribunale di Bolzano, ordinanza lo dicembre 1980, n. 98/1981, G. U. 13 maggio
~1981, n. 130.
legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 13 maggio
1980, n. 160/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 25, quinto comma (artt. 76 e 77, primo
comma, 117, 118 e 38, ultimo comma, della Costituzione).
Tribunale di Forl, ordinanze (due) 12 gennaio :1981, nn. 124 e 125, G. U.
3 giugno 1981, n. 151.
legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo comma,
103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione).
Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 30 luglio 1980,
n. 210/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172.
d.P.R. 6 marzo 1978, n. 21 (artt. 76 e 10 della Costituzione).
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno
1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165.
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO
legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione).
Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 100/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo
comma, della Costituzione).
Pretore di Firenze, ordinanza 24 novembre 11980, n. 141/1981, G. U. 10 giugno
1981, n. 158.
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 24, primo comma, e 3 della Costituzione).
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 12 gennaio 1981, n. 119, G. U. 17 giugno
1981, n. 165.
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 21, quinto comma (art. 3 della Costituzione).
Giudice conciliatore di Torino, ordinanza 3 novembre 1980, n. 45/1981, G. U.
6 maggio 1981, n. 123.
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 26, secondo comma, 58, prima parte, 59,
n. 1, 64, primo comma (artt. 3, 16, primo comma, 24, primo comma, 29, primo
comma, 31, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione).
Giudice conciliatore di Forano, ordinanza 31 maggio 1980, n. 138/1981,
G. U. 24 giugno 1981, n. 172.
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, secondo comma (art. 3 della Costituzione).
Pretore di Voltri, ordinanza 15 gennaio 1981, n. 143, G. U. 3 giugno 1981,
n. 151.
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione).
Tribunale di Parma, ordinanza 18 dicembre 1980, n. 105/1981, G. U. 6 maggio
1981, n. 123.
legge reg. Lombardia 31 luglio 1978, n. 47, art. 44, n. 1, tab. A, lettera e)
(artt. 117 e 119 della Costituzione).
Pretore di Mantova, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 114/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
legge reg. Abruzzo 28 dicembre 1978, n. 87, art. 15 (artt. 36, 97 e 117 della
Costituzione).
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 7 dicembre
1979, n. 151/11981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
PARTE II, LEGISLAZIONE
4f
legge 23 novembre 1979, n. 595, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione).
Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 100/1981, G. U. 13 maggio
1981, n. 130.
legge reg. Abruzzo appr. il 23 aprile 1980 e riappr. il 15 aprile 1981 (artt. 117
e 118 della Costituzione).
Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 16 maggio 1981, n. 21, G. U.
27 maggio 1981, n. 144.
legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 42, terzo comma, e 24, primo comma,
della Costituzione).
Corte d'appello di Genova, ordinanza 3 novembre 1980, n. 200/1981, G. U.
24 giugno 1981, n. 172.
legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, primo comma, 42, terzo
comma, 43, primo comma, 84, quarto comma, e ,136, primo comma, della
Costituzione).
Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 12 dieembre 1980, n. 134/1981, G. V.
20 maggio 1981, n. 137.
legge reg. Valle d'Aosta appr. il 26 febbraio 1981, riappr. il 26 aprile 1981
(artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione).
Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricorso 28 maggio 1981, n. 25, G. U.
3 giugno 1981, n. 151.
legge 30 marzo 1981, n. 113 (artt. 5 e 106 della Costituzione e 14, lettere a)
g) m) o) e p) dello statuto speciale della regione siciliana).
Presidente della giunta regionale della regione siciliana, ricorso 4 maggio
1981, n. 9, G. U. 13 maggio 1981, n. 130.
legge 30 marzo 1981, n. 113 (artt. 8, n. 1, 17, 21 e 25 dello statuto speciale
della regione Trentino-Alto Adige).
Presidente della giunta provinciale di Bolzano, ricorso 13 maggio 1981,
n. 14, G. U. 25 maggio 1981, n. 137.
legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 35 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione).
Presidente della giunta regionale Liguria, ricorso 12 maggio 1981, n. 13,
G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo
e nono comma, e 40, primo, secondo, quinto e decimo comma (artt. 8, n. 1,
9, n. 110, 16 e da 70 a 86 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige).
Presidente della giunta provinciale di Bolzano, ricorso 15 maggio 1981,
n.
15, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
Presidente della giunta provinciale di Trento, ricorso 15 maggio 1981, n. 16,
G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO
46
legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (artt. 5, 117 e 119 della Costituzione).
Presidente della giunta regionale della regione Toscana, ricorso 21 mag-
gio 1981, n. 22, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
Presidente della giunta regionale dell'Emilia Romagna, ricorso 21 maggio
1981, n. 23, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
Presidente della giunta della regione Piemonte, ricorso 21 maggio 1981,
n. 24, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
Jegge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (art. 4 dello statuto speciale della
regione Trentino-Alto Adige).
Presidente della giunta regionale del Trentino-Alto Adige, ricorso 16 maggio
1981, n. 20, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (artt. 5, 115, 117, 118, 119 e 123
della Costituzione).
Presidente della giunta regionale del Veneto, ricorso 16 maggio 1981, n. 19,
G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40 (artt. 1, 19, 20 e 36 dello statuto specile
per la regione siciliana).
Presidente della giunta regionale della regione siciliana, ricorso 115 maggio
1981, n. 18, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40, primo, quarto, quinto e ottavo comma
(artt. 1, 3, 4, 6, 7 e seguenti dello statuto speciale per la Sardegna).
Presidente della giunta regionale della Sardegna, ricorso 15 maggio 1981,
n. 17, G. U. 27 maggio 1981, n. 144.
legge reg. siciliana appr. il lo aprile 1981 (artt. 97 della Costituzione e 43
e 2, secondo comma, dello statuto speciale della regione siciliana).
Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 116 aprile 1981,
n. 6, G. U. 6 maggio 1981, n. 123.
legge reg. siciliana 15 aprile 1981, art. 2, ultimo comma (artt. 14 e 17 dello
statuto speciale della regione siciliana).
Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 30 aprile 1981,
n. 7, G. U. 13 maggio 1981, n. 130.
legge reg. siciliana 15 aprile 1981, artt. 20, ultimo comma, e 21 (art. 81
della Costituzione).
Commissario dello Stato per la regione siciliana, ordinanza 30 aprile 1981,
n. 8, G. U. 13 maggio 1981, n. 130.
legge reg. siciliana appr. il 22 aprile 1981, artt. 1, ultimo comma, e 2 (artt. 3,
81 e 97 della Costituzione e 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana).
Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 8 maggio 1981,
n. 11, G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
PARTE II, LEGISLAZIONE 47
legge reg. siciliana 22 aprile 1981, artt. 1, 2, 3 e 5 (artt. 14 e 17 dello statuto
speciale della regione siciliana).
Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 8 maggio 1981,
n. 10, G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
legge reg. siciliana appr. il 22 aprile 1981, artt. 1, 2, 3, 4 e 5 (artt. 14 e 17
dello statuto speciale per la regione siciliana).
Commissario dello Stato per la regione siciliana, rieorso 8 maggio ([981,
n. 12, G. U. 20 maggio 1981, n. 137.
legge 23 aprile 1981, n. 154 (artt. 17, ultimo comma, e 55, secondo comma,
dello statuto sardo).
Presidente della giunta regionale della regione autonoma Sardegna, ricorso
5 giugno 1981, n. 26, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.