GENNAIO -FEBBRAIO 1981 ANNO XXXIII N. l RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1981 ABBONAMENTI ANNO L. 20.000 UN NUMERO SEPARATO ................... 3.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltaly Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (2219181) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDIC.E Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIU.RISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Franco Favara) pag. Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA del/'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara} . 47 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo} 54 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catrical} 73 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA del/'avv. Raffaele Tamiozzo} . (a cura 92 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafle} . (a cura dell'av 99 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo VittoriCJ} . 133 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni} . 142 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE . . . . . . . . pag. La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GuICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI c. BAFILE, Nuove prospettive per il giudizio di terzo grado? I, 109 N. BRUNI, Correlazione tra sentenza ed accusa contestata I, 142 E. SERNICOLA, Il divieto di interposizione nei rapporti di lavoro con riguardo alle Amministrazioni dello Stato I, 54 R. TAMIOZZO, Effetti della costituzione in giudizio dell'Amministrazione in caso di irrituale notificazione del ricorso giurisdizionale amminis.trativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 94 sa V riferita all'intera prestazio ne e non ai singoli lavori, 134. -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Limite del decimo del prezzo fissato per la revisione prezzi -Inapplicabilit per la srpresa geologica, 133. -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Non tale qualsiasi aggravio o qualsiasi difficolt sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione - tale un aggravio qualificato dalla entit delle sue ripercussioni sulla prestazione dell'appaltatore, 133. -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Va riferita all'intera prestazione e non ai singoli lavori, 133. -So11presa geologica -Presupposto - ImprevedibiHt de1lie cause geologiche 1idriiche e simiLi'. 134. BORSA -Violazione delle norme valutarie - Esportazioni di assegni, senza data e senza luogo di emissione illecita -Esportazione di valuta -Sussiste, 90. COMPETENZA CIVILE -Divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro -Pretesa del lavoratore in ordine all'applicazione, nei diretta di servizi prima affidati in appalto ad imprenditore privato ed inquadramento nei ruoli dell'Azienda dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore -Controversia tra lavoratori ed imprenditori concernente le qualifiche da attribuire per il lavoro prestato prima dell'inquadramento -Intervento coatto dell'Azienda nel processo -Inammissibilit dell'intervento non potendo la sentenza del giudice ordinario spiegare effetti sugli atti di inquadramento la cui illegittimit potrebbe essere denunciata soltanto al giudice amministrativo, 57. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Impiego pubblico -Assunzione di lavoratore in violazione del divieto di intermediazione nel rapporto di lavoro -Azienda autonoma dello Stato -Giurisdizione del giudice amministrativo, 56. COMUNITA EUROPEA -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali interne discrimi natorie Regime fiscale dell'alcool denaturato Insussistenza, 47. CORTE COSTITUZIONALE -Impugnazione diretta di leggi statali Doglianza di ingiustificata disparit di trattamento Onere di indicare specificamente le ragioni di doglianza Omessa indicazione di tali ragioni Inammissibilit, 2. sa V riferita all'intera prestazio ne e non ai singoli lavori, 134. -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Limite del decimo del prezzo fissato per la revisione prezzi -Inapplicabilit per la srpresa geologica, 133. -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Non tale qualsiasi aggravio o qualsiasi difficolt sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione - tale un aggravio qualificato dalla entit delle sue ripercussioni sulla prestazione dell'appaltatore, 133. -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Va riferita all'intera prestazione e non ai singoli lavori, 133. -So11presa geologica -Presupposto - ImprevedibiHt de1lie cause geologiche 1idriiche e simiLi'. 134. BORSA -Violazione delle norme valutarie - Esportazioni di assegni, senza data e senza luogo di emissione illecita -Esportazione di valuta -Sussiste, 90. COMPETENZA CIVILE -Divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro -Pretesa del lavoratore in ordine all'applicazione, nei diretta di servizi prima affidati in appalto ad imprenditore privato ed inquadramento nei ruoli dell'Azienda dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore -Controversia tra lavoratori ed imprenditori concernente le qualifiche da attribuire per il lavoro prestato prima dell'inquadramento -Intervento coatto dell'Azienda nel processo -Inammissibilit dell'intervento non potendo la sentenza del giudice ordinario spiegare effetti sugli atti di inquadramento la cui illegittimit potrebbe essere denunciata soltanto al giudice amministrativo, 57. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Impiego pubblico -Assunzione di lavoratore in violazione del divieto di intermediazione nel rapporto di lavoro -Azienda autonoma dello Stato -Giurisdizione del giudice amministrativo, 56. COMUNITA EUROPEA -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali interne discrimi natorie Regime fiscale dell'alcool denaturato Insussistenza, 47. CORTE COSTITUZIONALE -Impugnazione diretta di leggi statali Doglianza di ingiustificata disparit di trattamento Onere di indicare specificamente le ragioni di doglianza Omessa indicazione di tali ragioni Inammissibilit, 2. PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Sorpresa geologica -Prestazione notevolmente pi onerosa - tale se supera il quinto dell'importo totale del contratto, 134. -Contratto di appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Pre stazione notevolmente pi onero confronti di Amministrazione dello Stato, delle disposizioni della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 -Improponibilit della domanda per difetto assoluto di giurisdizione, con nota di E. SERNICOLA, 54. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Azienda autonoma dello Stato -Assunzione della gestione INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Impugnazione diretta di leggi statali Sicilia -Deliberazione della Giunta regionale autorizzativa del ricorso Motivi del ricorso Non previsti dalla deliberazione della Giunta regionale Inammissibilit, 3. DEMANIO -Costruzione Nozione Terrapieno cintato da muri, 73. -Strade -Strade ordinarie e strade ferr~te Funzione Autonoma disciplina, 73. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Assegnatari di alloggi cooperativi Stipulazione di mutui individuali Nulla- osta Ministero Lavori Pubblici Natura, con nota di R. TAMIOZ ZO, 93. ELEZIONI -Elettorato attivo e passivo Qualificazione come di diritto soggettivo Presupposti, 66. ENTI PUBBLICI -Enti Ospedalieri Atti Controllo Controllo affidato alle Regioni ex legge n. 132/1968 -Effetti, con nota di R. TAMIOZZO, 92. ESPROPRIAZIONE PER P.U. -Area da espropriare Criteri di scelta -Destinazione diversa Possibilit -Sussiste, 97. -Competenza -Trasferimento alle Regioni Effetti Espropri di competenza dei Consorzi delle aree industriali Estensione della competenza regionale Sussiste Effetti, con nota di R. TAMIOZZO, 95. -Delegazione per p.u. Delegazione intersoggettiva Obbligo di espro prio a carico del delegato Occupazione ultrabiennale non seguita da espropriazione Atto illecito del delegato Rimborsabilit del risarcimento pagato al terzo Non sussiste, 88. -Determinazione della indennit Necessit Non sussiste Effetti, 97. FALLIMENTO -Decreto di chiusura del fallimento Termine per il reclamo Dies a quo Data di affissione del decreto Legittimit costituzionale, 30. -Liquidazione coatta amministrativa Stato passivo Opposizione del creditore in tutto o in parte escluso Termine Dies a quo Data del deposito in cancelleria Illegittimit costituzionale, 30. -Sentenza dichiarativa -Opposizione del fallito Termine Dies a quo Data di affissione della sentenza Illegittimit costituzionale, 29. -Sentenza sulle opposizioni a stato passivo Appello e ricorso per cas sazione Termine Dies a quo Data di affissione della sentenza Illegittimit costituzionale, 29. FONTI DEL DIRITTO -Legge Ambito riservato alla con trattazione collettiva Non sussiste, finch perdura la inattuazione dell'art. 39 Cost., 15. GIURISDIZIONE CIVILE -Poteri della Corte di Cassazione in ordine alla interpretazione della domanda giudiziale Azienda autonoma dello Stato -Violazione del divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro Pretesa del lavoratore di esser considerato quale dipendente dell'Azienda Giurisdizione del giudice amministrativo Mancanza di una specifica domanda in tal senso Giurisdizione del giu dice ordinario, 55. VIll RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Ricorso giurisdizionale -Appello Censure disattese in primo grado Forma di riproposizione -Semplice memoria Inammissibilit Sussiste, 97. -Ricorso giurisdizionale -Formalit -Deposito -Termine Effetti della scadenza in termine festivo Possibilit della proroga Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 92. -Ricorso giurisdizionale -Limiti della pronuncia -Poteri del Giudice Principio dell'assorbimento Natura -Effetti, con nota di R. TAMIOZzo, 93. -Ricorso giurisdizionale -Notificazione -Notificazione diretta all'Autorit emanante presso l'Awocatura dello Stato -Situazione ante legge numero 103/1979 Costituzione in giudizio -Effetti, con nota di R. TAMIOZZO, 93, IMPIEGO PUBBLICO -Persona!~ degli enti locali -Accordi sindacali nazionali a scadenza triennale -Decreti presidenziali di approvazione degli accordi ~ ,Non sono decreti legislativi, 1. INDUSTRIA -Invenzioni industriali Brevetti Requisirti -Vari tipi di invenzione (di combinazione, di perfezionamento, di traslazione), 90. J : ISTRUZIONE -Elezioni scolastiche -Elettorato Qualificazione come diritto '!;oggettivo -Giurisdizione ordinaria, 66. LAVORO -Retribuzione del lavoratore Remissione forzata del debito del datore di lavoro Legittimit costituzionale, 15. -Retribuzione Indennit di anzianit -Divieto di conglobamento dei miglioramenti dipendenti da varia zioni del costo della vita (cos detta scala mobile) Legittimit costituzionale, J6. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI -Datio in solutum Prestito forzoso Non misura ablatoria t1. prestazione imposta, 15. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Ausiliari del magistrato Tutela della indipendenza Non si estende, 44. ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA -Misure di prevenzione Fattispecie legali predeterminate Necessit, 34. PROCEDIMENTO PENALE -Riunione di giudizi Mancanza di eccezioni della difesa Acquiescenza Riunione di giudizi Provvedimento che la dispone Impugnabilit Esclusione, con nota di N. BRUNI, 142. PROPRIET -Immobili adibiti ad albergo, pensione o locanda Vinc@lo alberghiero Compatibilit con la Costituzfone Proroga ex art. 5 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460 Irragionevolezza, 44. REATO -Reato continuato Richiesta di riconoscimento della continuazione in sede di legittimit Inammissibilit se la continuazione era allegabile in sede di merito, con nota di N. BRUNI, 142. REGIONI A STATUTO ORDINARIO -Ordinamento degli uffici Stato giuridico e trattamento economico del personale 'addetto -Legge regio INDICE DELLA GIURISPRUDENZA nale anteriore -Legge statale successiva Illegittimit costituzionale, 2. -Passaggio alle regioni di uffici e personale di ente pubblico nazionale -Ripartizione del personale della sede centrale secondo quote proporzionali -Legittimit costituzionale, 2. STAMPA -Segreto giornalistico -Esonero dal dovere di testimonianza -Insussistenza, 39. TRENTINO ALTO-ADIGE -Ambito riservato ai decreti legislativi di attuazione degli statuti regionali -Include il passaggio alla regione di uffici e personale di enti pubblici nazionali, nonch delle relative funzioni e dei beni ad esse destinati -Legge ordinaria statale incidente in tale ambito -Illegittimit costituzionale 31. -Ordinamento del personale dei comuni -Competenza legislativa regionale -Decreto presidenziale di approvazione di accordo sindacale nazionale -!. illegittimo, 1. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Motivazione -Analiticit -Nozione -Fattispecie, 125. -Dichiarazione -Natura confessoria Esclusione -Effetti, 125. -Imposta di ricchezza mobile -Accertamento -Sinteticit -Dichiarazione apparentemente analitica -Legittimit, 123. -Imposta di ricchezza mobile -Imposta sulla societ Autonomia Principio di conseguenzialit -Limiti, 102. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Esenzione ed agevolazioni -Esclusione per le opere eseguite senza licenza edilizia -Presupposti, 130. -Imposte di fabbricazione -Spiriti Sottrazione di spiriti al pagamento dei prescritti diritti erariali -Contestazione dell'art. 107 legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 e non dell'art. 10 d.l. 30 ottobre 11952, n. 1322 -Sentenza di condanna per l'art. 107 legge doganale del 1940 Nullit per violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. -Insussistenza, con nota di N. Bruni, 142. -Prescrizione e decadenza -Privilegio speciale -Imposta di negoziazione -Termine quinquennale, 100. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributario -Condono Ultima pronuncia di merito -t!. quella della Commissione centrale resa in materia di estimazione complessa, 104. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Art. 26 d.P.R. 26 ottobre .1972, n. 636 -Questione di illegittimit costituzionale non manifestamente infondata, con nota di C. Bafile, lJO. -Contenzjoso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Determinazione del domicilio fiscale -Deducibilit, con nota di C. Bafile, 110. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Questione sulla natura agricola o edificatoria di suoli -Deducibilit, con nota di C. Bafile, 109. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Questione sulla natura dell'accertamento Deducibilit, 125. -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alla Commissione centrale -Rinvio della decisione Necessit di comunicazione alle parti -Esclusione, 125. -Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione Ricorso cumulativo contro pi decisioni -Inammissibilit, 99. - - INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 25 giugno 1980, n. 100 pag. 1 30 luglio 1980, n. 141 .. )) 15 30 luglio 1980, n. 142 .. 16 27 novembre .1980, n. 151 29 27 novembre 1980, n. 152 29 27 novembre 1980, n. 153 )) 30 2 dicembre 1980, n. 155 30 22 dicembre 1980, n. 177 34 22 dicembre 1980, n. 179 2 22 dicembre 1980, n. 180 3 28 gennaio 1981, n. ,1 )) 39 28 gennaio 1981, n. 2 .. 44 28 gennaio 1981, n. 4 .. 44 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA, EUROPEE 14 gennaio 1981, nella causa 140/79 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 47 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 27 gennaio 1980, n. 492 pag. 73 Sez. I, 14 febbraio 1980, n. 1061 99 Sez. I, 14 febbraio 1980, n. 1070 100 Sez. I, 19 febbraio 1980, n. 1211 102 Sez. I, 21 febbraio .1980, n. 1241 104 Sez. I, 25 febbraio 1980, n. 1307 109 Sez. I, 3 marzo 1980, n. 1403 . . 123 Sez. I, 6 marzo 1980, n. 1500 . . 125 Sez. I, 13 marzo 1980, n. 1684 . BO Sez. I, .14 maggio ,1980, n. 3176 . 110 Sez. Un., 14 giugno 1980, n. 3805 54 Sez. I, Ord. 19 giugno 1980, n. 337 110 Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3951 . . 88 Sez. Un., 22 luglio 1980, n. 4789 . . 55 Sez. Un., 16 settembre 1980, n. 5262 66 Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5570 . . )) 90 Sez. Un., 22 ottobre 1980, n. 5684 56 Sez. I, 25 novembre 1980, n. 6268 )) 90 CORTE DI APPELLO DI ROMA Sez. I civ., 6 ottobre 1980, n. 1932 . . . . pag. 134 INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Xl TRIBUNALE DI ROMA Sez. I, 30 settembre 1977, n. 10185 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133 PRETURA DI ROMA Sez. Lav., 19 dicembre 1979 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad Pl., 2 dicembre 1980, n. 51 pag. 92 Ad PI., 16 dicembre 1980, n. 52 )) 93 Sez. IV, 9 dicembre 1980, n. 1161 )) 95 Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1214 )) 97 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 1 ottobre 1980, n. 1194 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pt1;g. 142 PARTE SECONDA LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali II. -Questioni non fondate III. -Questioni proposte pag. )) )) 1 3 PARTE PRIMA G IURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1980, n. 100 -Pres. Amadei -Rel. Paladin -Regione Trentino-Alto Adige (avv. Guarino) e Presidente Consi1Ilio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Impiego pubblico -Personale degli enti locali -Accordi sindacali nazionali a scadenza triennale -. Decreti presidenziali di approvazione de.gli accordi -Non sono decreti legislativi. Trentino-Alto Adige -Ordinamento del personale dei comuni -Competenza legislativa regionale -Decreto presidenziale di approvazione di accordo sindacale nazionale -il: illegittimo. (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 5 e 65; legge reg. Trentino-Alto Adige 11 dicembre 1975, n. 11; d.P.R. t giugno 1979, n. 191). I decreti presidenziali (di approvazione di accordi sindacali nazionali con scadenza triennale) emanati ai sensi dell'art. 6 del d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito con modificazioni con la legge 27 febbraio 1978, n. 43, sono atti amministrativi e non decreti delegati aventi forza di legge (1). Un decreto presidenziale di approvazione di accordo sindacale nazionale, oltretutto non dotato della forza di legge, non pu abrogare o contraddire una legge emanata dalla Regione Trentino-Alto Adige ai sensi dell'art. 65 del relativo Statuto speciale (2). (1) Nello stesso senso, Corte cost., 27 febbraio 1980, n. 21. (2-4) Le tre sentenze in esame . dello stesso estensore manifestano un comune tendenza a porre limiti al legislatore ordinario statale mediante la . separazione, che francamente appare troppo netta, di materie riservate ad altra fonte normativa. Cos il dispositivo della sentenza n. 100 finisce per riconoscere carattere accentuatamente esclusivo alla competenza legislativa prevista dal singolare art. 65 dello Statuto Trentino-Alto Adige, malgrado la motivazione della stessa sentenza onestamente si faccia carico, senza per superarle appieno, delle molteplici considerazioni che avrebbero potuto condurre ad una pronuncia opposta, e, per di pi; valorizzi la circostanza che la competenza legislativa fosse stata 2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 179 -Pres. Amadei . Rel. Paladin -Regione Lazio (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzarit). Corte Costituzionale Impugnazione diretta di leggi statali . Doglianza di ingiustificata disparit di trattamento Onere di indicare specificamente le ragoni di doglianza -Omessa indicazione di tali ragioni . Inammissibilit del motivo. Regioni a statuto ordinario Passaggio alle regioni di uffici e personale di ente pubblico nazionale Ripartizione del personale della sede centrale secondo quote proporzionali Legittimit costituzionale. (Cost., art. 117 e disp. att. VIII; legge 18 novembre 1975, n. 764, art. 3). Regioni a statuto ordinario Ordinamento degli uffici . Stato giuridico e trattamento economico del personale addetto Legge regionale anteriore Legge statale successiva Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 117; legge 18 novembre 1975, n. 764, artt. 6 e 7). La Regione che, ricorrendo avverso una legge statale, lamenta una ingiustificata disparit di trattamento rispetto alle altre regioni, ha l'onere -a pena di inammissibilit della doglianza -di precisarne le ragioni concrete. costituzionalmente legittima la disposizione che ripartisce tra le regioni secondo un criterio proporzionale il personale della sede centrale di un ente pubblico nazionale soppresso. Nelle materie elencate dall'art. 117 Cost., il legislatore statale ordinario non pu salva la competenza ad emanare leggi contenenti i princpi fondamentali -modificare le leggi regionali vigenti, o anche solo novarle ripetendone le disposizioni (3). "gi esercitata da parte regionale (cfr., in diverso senso, Corte cost., 20 aprile 1978, n. 45, in questa Rassegna, 1978, 405, e BRONZE1TI, Le potest legislative ed amministrative della regione Trentino-Alto Adige e delle provincie di Trento e Bolzano, 1979, 51). Quest'ultimo criterio del limite derivante al legislatore statale ordinario dalla esistenza di disposizioni regionali anteriori ed incompatibili, utilizzato nella sentenza n. 179, in relazione a materia attribuita al legislatore regionale -nella specie, del Lazio -in via concorrente (sui rapporti tra legge statale e legge regionale in materia di pubblico impiego, cfr. Corte cost., 20 marzo 1978, n. 21; 20 aprile 1978, n. 45 e 30 gennaio 1980, n. 10, in questa Rassegna, 1978, I, 291 e 405, e 1980, I, 30; cfr. anche BELLINI, L'impiego pubblico nell'ordinamento regionale, 1977, 15). Quanto alla sentenza n. 180, essa d una interPretazione sostanzialmente estensiva all'art. 43 Statuto Sicilia e all'art. 56 Statuto Sardegna, senza dar rilievo al carattere eccezionale e " transitorio di tali disposizioni (cfr. peraltro, sull'argo~= ! ?:r:; ~~ @ f: ~= 3 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE III CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 180 -Pres. Amadei ~ Rel. Paladin -Regione Sicilia (avv. Vmaxi), Regione Sardegna (avv. Guarino) e Presidente, Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Corte Costituzionale -Impugnazione diretta di leggi statali -Sicilia -Deliberazione della Giunta regionale autorizzativa del ricorso -Motivi del ricorso -Non previsti dalla deliberazione della Giunta regionale -Inammissibilit. (legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 32). Trentino-Alto Adige -Ambito riservato ai decreti legislativi di attuazione degli statuti regionali Include il passaggio alla regione di uffici e personale di enti pubblici nazionali, nonch delle relative fun. zioni e dei beni ad esse destinati -Legge ordinaria statale incidente in tale ambito -Illegittimit costituzionale. (Cost., disp. trans. VIII; Statuto Sicilia, art. 43; Statuto Sardegna, art. 56; legge 18 no vembre 1975, n. 764, artt. 2 e 3). La disposizione secondo cui le impugnazioni regionali di leggi dello Stato sono promosse dal presidente della giunta regionale previa deliberazione della giunta stessa verrebbe elusa, qualora si ammettesse che il ricorso possa denunciare vizi diversi da quelli prefigurati nella relativa delibera della giunta. La competenza conferita ai decreti legislativi di attuazione statutaria (necessariamente preceduti dalle proposte o dai pareri di una commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della Regione interessata) separata e riservata, rispetto a quella esercitabile -in applicazione dell'ottava disp. trans. Cost. -dalle ordinarie leggi della Repubblica. L"espressione passaggio degli uffici e del personale dello Stato alfa Regione contenuta nell'art. 43 Statuto Sicilia e nell'art. 56 Statuto Sardegna include il passaggio alla Regione di uffici e personale di enti pubblici nazionali; essa include, inoltre, necessariamente, il passaggio delle relative funzioni e dei beni ad esse destinati. costituzionalmente illegittima 1a legge ordinaria statale che invade l'ambito riservato ai decreti legislativi di attuazione degli Statuti speciali (4). mento, Corte cost., 15 luglio 1975, n. 206, in Foro it., 1976, I, 23; cfr. anche P1zz0Russo, Delle fonti del diritto, in Comm. Scialoja Branca, sub art. 2 preleggi, 270). Invero, sembra debba affermarsi come fondamentale per la nostra Repubblica il principio del primato del Parlamento nazionale e del carattere tendenzialmente pieno della sua potest legislativa; le disposizioni anche di livello costituzionale, limitative di detta potest dovrebbero quindi essere interpretate in modo per quanto possibile restrittivo. Del resto, l'anzidetto principio riconosciuto nelle sentenze n. 100 e n. 179, laddove esse affermano che le autonomie 2 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente chiesto che il' ricorso venga dichiarato inammissibile, in quanto il conflitto di attribu-zione sollevato daHa Regione Trentino-Alto Adige concernerebbe un atto statale avente forza di legge. Tuttavia, anche al caso in esame sono riferibili le considerazioni svoltedalla Corte -nella sentenza n. 21 di questo anno -per escludere cheavesse forza di legge l'analogo decreto presidenziale !Il. 411 del 1976, di approvazione di un accordo riguardante la disciplina del rapporto di la-voro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975,.. n. 70 , In primo luogo, cio, nemmeno il d.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, si qualifica affatto come fogge delegata. In secondo Juogo, dall'art. 6 del decreto- legge 29 dicembre 1977, n. 946 (convertito e modificato dalla legge 27 febbraio 1978, n. 43), ai sensi del quale J'atto impugnato ha provvedutoad emanare la disciplina del rapporto di lavoro del persO!llale degli enti locali, non si desume l'intenzione di operare alcuna delega di potest legislativa dal ParJamento al Governo. In terzo luogo, qui pure si prospetta senza limiti di tempo, come gi neUa legge n. 70 del 1975, una reiterazione trie!llnale degli accordi e delle conseguenti deliberazioni del Consiglio dei ministri; per cui va comunque respinta la pretesa che i decreti presidenziali di approvazione degli accordi stessi costituiscano il frutto di una delegazione, giacch diversamente ne discenderebbe una sicura. legislative regionali non determinano, di regola, pregiudiziali limiti alla compe tenza del Parlamento nazionale, ma si traducono in limiti per il legislatore ordi nario statale solo quando e per quanto effettivamente e concretamente esercitate,. solo cio quando e per quanto le singole regioni abbiano emanato propri testi legislativi incompatibili con la legge statale (anteriore o successiva). E ci -pu ritenersi -senza distinzione tra normativa di princpi e normativa di dettaglio. Non chi non veda come la problematica qui sommariamente accennata me- riti di essere approfondita e sviluppata. Nei nove anni trascorsi dalla istituzione delle regioni a statuto ordinario si assistito ad un dispendio di attivit legislative (cui seguito e seguir un dispendio di attivit conoscitive ed ermeneutiche): i Consigli regionali si sono spesso trovati nella necessit di produrre leggi per ottemperare a leggi statali che non pare azzardato denominare di delega legi slativa alle regioni (ad esempio, in tema di contabilit regionale e di assistenza. sanitaria ed ospedaliera). Ne derivato che parte considerevole della produzione di leggi regionali stata di serie, si cio concretata in testi sostanzialmente identici sulle diverse regioni. Parrebbe quindi opportuno anche per salvaguardare la dignit della legge (e il termine usato senza distinguere tra legge statale e legge regionale), affian care in avvenire, alla legislazione statale di princpi , una produzione di testi legislativi statali per cos dire dispositivi , che valgano per quanto non derogati da specifiche leggi regionali. E non pare precluso che alla produzione di siffatti testi legislativi si proceda, ove del caso, anche mediante decreti legislativi ex art. 76 Cost., alla cui elaborazione potrebbero partecipare -con idonee modalit e collegialmente -le stesse regioni attribuite dell'autonomia legislativa. PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE violazione dell'art. 76 Cost., venendo a difettare -come la Corte ha dichiarato nella predetta sentenza -fa previsione del momento finale del termine per l'esercizio della potest delegata. Ci posto, il ricorso dev'essere accolto. Lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige non si limita ad attribuire alla Regione -ex art. 5 n. 1 -potest legislativa in tema di ordinamento dei comuni, come pure si riscontra nello Statuto per il FriuliVenezia Giulia e, pi largamente, ne11o Statuto siciliano; ma stabilisce al- tres, mediante il singolarissimo disposto dell'art. 65, che l'ordinamento del personale dei comuni regolato dai comuni stessi, salva l'osservanza dei princpi generali che potranno essere stabiliti da una legge regionale . Su questa base s' appunto fondata la legge regionale 11 dicembre 1975, n. 11, contenente disposizioni generali sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei dipendenti dei Comuni e dei segretari comunali della Regione . E i regolamenti comunali hanno quindi recepito, in forza dell'art. 28 apv. di tale legge, gli accordi stipulati dalle organizzazioni rappresentative dei Comuni appartenenti alle Province di Trento e di Bolzano con le organizzazioni sindacali provinciali del personale interessato, per la determinazione dei relativi trattamenti economici. Ora, estendendo -ne1l'art. 1, primo comma -il campo della propria applicazione a tutto il personale dipendente dai comuni, dalle province e dai loro consorzi sia delle regioni a statuto ordinario che di quelle a statuto speciale, Trentino-Alto Adige incluso, l'accordo approvato per mezzo dell'impugnato decreto presidenziale n. 191 del 1979 concreta indubbiamente un'invasione della sfera di competenza che l'art. 65 dello Statuto speciale assegna a1la Regione ricorrente. Nel secondo comma dell'art. 1 s precisa, infatti, che non consentito alcun accordo integrativo in sede locale, salvo che ci sia espressamente previsto dal presente accordo; e l'art. 30 specifica in proposito, che le disposizioni regolamentari vigenti negli enti locali valgono solo per quanto non previsto dal presente accordo e in quanto compatibili con l'accordo medesimo . Senonch la disciplina stabilita dall'acco:vdo nazionale cos dettagliata da non far residuare ambiti in .cui possa svolgersi, con esiti significativi, l'autonomia spettante ai Comuni del Trentino-Alto Ad!ige circa il complessivo ordinamento del loro personale; e non riserva comunque uno spazio -ci che pi conta in un conflitto di attribuzione vertente fra Regione e Stato -alla legislazione regionale cui l'art. 65 dello Statuto speciale affida il compito di fissare i princpi generali del settore. Il d.P.R. n. 191 del 1979 si pone anzi in diretto contrasto con Ja legge regionale n. 11 del 1975, anche al di l di quanto riguarda la definizione dei livelli retributivo-funzionali e dei correlativi trattamenti economici: basti citare ad esempio l'accesso alle singole qualifiche dei vari livelli, che in base all'art. 3 del!'accordo nazionale non pu avvenire se non per concorso, laddove l'art. 4 della ricordata legge regionale consente, sia pure in certi casi o a certe con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dizioni, la chiamata diretta nonch il contratto a tempo determinato'" Se dunque si considera che il d.P.R. n. 191 del .1979, non essendo neanche dotato della forza di legge, non ha di per se stesso nessun titolo per abrogare o per contraddire una fonte legislativa locale in materia statutariamente attribuita alla Regione, ne segue che tale atto va annullato, in quanto, nell'approvare la disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti Jocali contenuta nel menzionato accordo, non detta alcuna clausola di salvaguardia della competenza regionale in ordine al personale dipendente dai Comuni del Trentino-Alto Adige. Vanamente si obietta, da parte dell'Avvocatura dello Stato, che la legge 27 febbraio 1978, n. 43, persegue un intento perequativo che non potrebbe non ricevere attuazione su tutto il territorio nazionale; che trattasi, inoltre, di una grande riforma della finanza locale, come tale vincolante per tutte le Regioni, ordinarie e differenziate; che la legge stessa detta, in ogni caso, i princpi fondamentali delle materie dell'ordinamento del personale dei Comuni; e che, pertanto, nell'estendere alle Regioni a statuto speciale il campo della propria applicazione, il d.P.R. n. 191 del 1979 ha semplicemente espresso quanto era gi implicito nella norma legislativa che ne ha imposto l'adozione. Per prima cosa, non contestabile che la legge n. 43 del 1978 come gi risulta dai lavori preparatori ed confermato dall'ultimo comma dell'art. 6 -miri a superare Je precedenti disparit di trattamento economico del personale; ma ci non basta per considerare ~mmune da vizi l'atto impugnato. In effetti, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che alle stesse Regioni differenziate, nell'esercizio della Joro particolare autonomia, siano precluse le arbitrarie discriminazioni, lesive dell'art. 3 Cost. Ma il principio di eguaglianza non rappresenta in tal senso null'altro che un limite, non gi il presupposto giustificativo d'una quasi totale compressione delle autonomie locali, come quella che si produce nel caso in esame (e non per effetto della legge n. 43 del 1978, bens per espresso disposto del d.P.R. n. 191 del 1979). Secondariamente, nella specie non dato ipotizzare una grande riforma '" in presenza di una legge di conversione d'un decreto-legge intitolato e contenente provvedimenti urgenti per :la finanza locale. N va trascurato, d'altra parte, che anche in tema di finanza Jocale il TrentinoAlto Adige si trova in una condizione peculiare, dato il trasferimento delle relative funzioni a favore delle Province di Trento e di Bolzano, che il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 473, ha recentemente disposto prendendo spunto dall'art. 81 dello Statuto speciale. Infule, vero che la potest Jegislativa regionale previista dall'art. 65 dello Statuto speciale, non essendo dissociabile dalla pi ampia potest conferita nell'art. 5, n. 1 dello Statuto medesimo (quanto all'ordinamento dei Comuni), subisce anche essa il limite dei princpi stabiliti in materia PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dalle leggi dello Stato; e non va escluso a priori che principi siffatti siano ricavabili dalla stessa legge 27 .febbraio 1978, n. 43, malgrado essa non abbia la struttura di una legge-cornice. Ma giova ricordare che l'attuale controversia non ha per oggetto la violazione di un principio fondamentale stabilito da una legge dello Stato, ad opera del legislatore locale; bens riguarda J'invasione della competenza attribuita alla Regi01!-e, da parte di un dettagliatiss.imo accordo recepito mediiante un decreto presidenziale, che oltre tutto non pu porre prnc.pi suscettibili di vincolare la legislazione regionale, essendo carente della forza di legge. Le considerazioni ora esposte contribuiscono, dunque, a' far concludere che il diciassettesimo comma dell'art. 6 del decreto legge n. 946 del 1977, tintrodotto dalla legge n. 43 del 1978 (per cui il trattamento giuridico ed economico del personale dei comuni, delle province e dei loro consorzi viene determinato in conformit a principi, ai criteri ed ai livelli retributivi, risultanti da accordi nazionali a scadenza triennale), non riferibile ad una Regione speciale come i.I Trenttine-Alto Adige, dotata in tal campo di un'autonomia statutariamente garantita gi esercitata da parte regionale. In mancanza di un'apposita clausola applicativa, tale comma va invece tinterpretato -come si suol ritenere in tutti i casi del genere -nel senso che esso non sia destinato ad attuarsi anche nell'ambito della Regione ricorrente. E se ne ricava una recente specifica conferma dall'art. 41 cpv. del decreto legge 7 maggio 1980, n. 153 (contenente Norme per l'attivit gestionale e finanziari.a degli enti locali per l'anno 1980 ): in cui si ritenuto necessario precisare che le norme stesse (( sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti. P. Q. M. non spetta allo Stato il potere di dettare la disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali, senza far salve le attribuzioni spettanti alla Regione Trentino-Alto Adige, in base all'art. 65 dello Statuto speciale; e di conseguenza annulla, nella parte concernente la Regione stessa, l'art. 1, primo comma, dell'accordo approvato con il d.P.R. 1 giugno 1979, n. 19L II (omissis) La Regione Lazio ha promosso, impugnando Ja legge statale 18 novembre 1975, n. 764 (sulla soppressione dell'ente Giovent italiana), tre ordini di questioni. di legittimit costituzionale. In primo luogo, il ricorso .regionale censura le disposizioni che hanno trasferito alla Regione parte del personale gi posto alle dipendenze dell'ente soppresso. Stando alle premesse del ricorso, l'impugnazione par 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO vebbe coinvolgere tanto il primo quanto il secondo comma dell'art. 3, disciplinanti -rispettivamente -il trasferimento del personale in servizio presso le sedi periferiche e quello del personale pertinente alla sede centrale deHa Giovent italiana; ma le argomentazioni del ricorso insistono -in realt -sui soli dipendenti della sede centrale, considerando lesivo dell'art. 117 (nonch dell'ottava disp. trans. Cost.) il fatto che un tale personale sia stato trasferito, laddove lo Stato avrebbe trattenuto, con particolare riguardo alla Regione Lazio, i corrispondenti beni immobili elencati nella tabella A, allegata alla legge n. 764 del 1975. In see<;mdo luogo, iJ ricorso prospetta -in viia alternativa -l'illegittimit del capoverso dell'art. 2, nella parte in cui riserva allo Stato i beni individuati nella tabella A" Da un >lato, infatti, il mancato trasferimento dei ben.i stessi dalla Giovent ritaliana alla Regioni si dimostrerebbe contrastante con l'art. 117 Cost., se correlato al trasferimento del rispettrivo personale; d'altro lato, esso determinerebbe una specifica causa di incostituzionalit, per disparit di trattamento e viola2lione dell'art. 3 Cost., nei confronttl della Regione Lazio, che sarebbe stata in questo senso privata dei mezzi materiali per far fronte ai compiti gi svolti dall'ente soppresso. In terzo luogo, il ricorso considera autonomamente illegittimi -per invasione della competenza regionale in tema di stato giuridico ed economico del personale della Regione -le disposizioni degli artt. 6 e 7 della legge impugnata sul trattamento assistenziale e di quiescenza del personale trasferito. Ma la prima questione deve ritenersi non fondata, sotto entrambi i suoi aspetti. Circa il personale dripendente dalle sedi periferiche della Giovent italiana, lo stesso ricorso riconosce che il trasferimento pu giustificarsi , in vista del principio per cui il personale segue i beni. N la difesa regionale ha approfondito l'assunto, adombrato tipoteticamente nella parte iniziale del ricorso, che l'ottava disposizione transitoria costituzionale debba essere -letteralmente -riferita al solo passaggio di funzionari e dipendenttl dello Stato inteso in senso stretto, ad esclusione degli altri enti pubblici. Piuttosto, le argomentazioni della Regione ricorrente sottolineano l'esigenza che il passaggio sia sorretto da un idoneo fondamento: riscontrabile per il personale delle sedi periferiche ma invece carente per l'attribuzione del personale centrale, lin quanto non collegata al trasferimento dei beni cui tali dipendenti sarebbero stati specificamente addetti. Senonch, su questo punto, il ricorso cade in un equivoco interpretativo, dal momento che !il personale della sede centrale dell'ente -<< Giovent italiana -trasferito per effetto dell'art. 3, secondo comma -differiva nettamente dal personale addetto ai singoli beni, che era comunque al servizio delle sedi periferiche, sia che si trattasse del pa PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE trimonio passato alle Regioni, sia che venissero in questione i beni individuati nella tabella A. Di pi: disponendo che il personale della sede <:entrale viene trasferito alle regioni in misura proporzionale a quello delle sedi periferiche addetto ai beni ceduti, il secondo comma dell'art. 3 (letto in collegamento con il primo comma) non contraddice ma anzi viafferma il principio di eguaglianza nel trasferimento del personale statale, o di altri enti pubblici, alle amministrazioni regionali: quanto minore la quota dei beni ceduti, della quale ciascuna regione sia destinataria, di tanto si riduce -infatti -.la quota del personale della sede centrale, che va trasferita ~Ila Regione stessa. In altre parole, J'art. 3, secondo comma, della legge n. 764 del 1975 non ha nulla in comune con l'art. 18, quinto comma, del ,1.l.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036 (sullo scioglimento di enti operanti nel settore edilizio). Quest'ultima disposi2'lione stata annullata dalla Corte -con la sentenza n. 243 del 1974 -appunto peoch individuava nella Regione Lazio l'unica Amministrazione regionale destinata a vedersi trasferire il personale degli enti edilizi. Viceversa, alla base della disposizione attualmente impugnata sta l'intento -messo in evidenza nel corso dei lavora preparatori -di suddividere proporzionalmente fra tutte le Regioni interessate i vantaggi inerenti al trasferimento dei beni e gli oneri determinati dal trasferimento del personale addetto alla sede centrale della Giovent italiana. L'infondatezza della premessa sulla quale si regge l'dmpugnativa del l'art. 3, secondo comma, svuota la parallela impugnativa promossa alternativamente -quanto alla tabella A di cui al capoverso dell'art. 2. In questo stesso senso, infatti, non sostenibile la tesi che il mancato trasferimento di determinati beni sia stato accompagnato dal passaggio del relativo personale, e debba perci ritenersi illegittimo. Tuttavia, la Regione Lazio ha impugnato Ja tabella A (contenente l'elenco dei beni immobili di propriet della Giovent italiana trasferiti allo Stato ai sensi dell'art. 2 ), anche in vista della pretesa discri mmazione cui sarebbe stata ingiustamente sottoposta, al confronto con i trasferimenti del patrimonio immobiliare della Giovent italiana, ope rati a favore di altre Regioni. Ma tale motivo del ricorso, cos formulato, si rivela inammissibile. Vero che ben undici dei quattordici beni (o complessi di beni), individuati nella tabella A, sono localizzati nel Lazio, ed anzi situati nella citt di Roma. Ma si tratta di beni eterogenei, Je cui destinazioni erano molto diverse, gi prima che l'ente in questione fosse stato soppresso: basti pensare -da un lato -alle attivit musicali che si svolgevano e si svolgono mediante l'Auditorium presso il Foro italico e -d'altro lato -alle attivit sportive organizzate dal CONI, cui sono strumentali lo Stadio olimpico, le piscine del Foro italico, g1i attigui campi di tennis, e via discorrendo. Ora, la Regione ricorrente non precisa sotto quali pro 10 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO fili Ja riserva di simili beni a favore dello Stato verrebbe a porla in una situazione d'ingiustificata disparit di trattamento rispetto alle altre Regioni; e merto ancora chiarisce a quali titoli, e con quali conseguenze, il legislatore statale avrebbe invece dovuto trasferirle i beni stessi, in applicazione dell'art. 117 Cost. Perci va dichiarata J'inammissibilit della questione di legittimit costituzionale, specificamente proposta nei riguardi della tabella A, allegata alla legge n. 764 del 1975. Fondata si palesa, invece, l'impugnazione degli articoli 6 e 7 della legge che ha soppresso la Giovent italiana. Per meglio dire, alcune fra le disposizioni contenute in questi articoli non si prestano ad essere censurate, per invasione della competenza regionale sulJo stato giuridico ed economico del personale addetto alla Regione: sia perch si tratta di una disciplina che riguarda iJ trattamento assistenziale e di quiescenza dei dipendenti trasferitii. dalla Giovent italiana, quanto al periodo pcecedente il trasferimento (come si verifica per la seconda fase dell'art. 6, primo comma, ovvero per l'ultima parte del capoverso dell'art. 7); sia perch si tratta di norme concernenti l'avvenire, ma riferite al solo personale trasferito allo Stato (come si riscontra -per esempio -nel secondo comma dell'art. 6). Ma altre disposizioni concernono :invece -senza dubbio -il trattamento di pensione, l'assistenza malattie e l'indennit di buonuscita, relativi al periodo di servizio da prestare presso ciascuna Regione, successivamente al passaggio dei dipendenH interessati. questo, in particolar modo, il caso della prima frase deJ comma 'iniziale dell'art. 6 ( Il personale trasferito alla regioni iscJ:1itto, ai fini del trattamento di pen sione, alla C.P.D.E.L. ), come pure della prima frase del comma iniziale dell'art. 7 (Il personale trasferito alle Regioni iscritto, ai fini dell'assistenza malattie e della buonuscita, all'I.N.A.D.E.L. ): dove 11 legislatore non ha avuto cura di fare testualmente salva l'ipotesi che le singole Regioni disponessero diversamente, nell'esercizio de1la potest legislativa sull'ordinamento dei propri uffici e sul trattamento del proprio personale. Ci che pi conta, gli articoli 6 e 7 della legge n. 764 del 1975 non hanno eccettuato nemmeno l'ipotesi che Ie Regioni avessero gi legiferato in materia, dettando apposite norme relative al regime assistenziale e di quiescenza di tutto .U personale regionale, suscettibili dunque di applicarsi -anche in termini diversi da quelli previsti nelle disposizioni impugnate -allo stesso personale loro trasferito dalla Giovent italiana . Ma precisamente mquesta situazione si trovava la Regione Lazio, almeno per quanto riguarda l'art. 80, primo comma della legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, sostituito dall'art. 3 della legge regionale 20 febbraio 1974, n. 17: che nel testo originario prevedeva genericamente l'iscrizione del personale regionale, ai fini del trattamento di quiescenza, delle prestazioni assistenziali e previdenziali, ad idonei Enti, con i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE quali sarebbe stata stipulata apposita convenzione; mentre il testo inserito dalla legge n. 17 del 1974 dispone in modo specifico che il personale stesso venga iscritto alla C.P.D.E.L., ai fini del trattamento pensionistico all'E.N.P.D.E.P., ai fini dell'erogazione dell'assistenza malattie , all'I.N.A.D.E.L., ai fini del trattamento di fine servizio . Su tutti questi punti, allorch la legge n. 764 del 1975 entrata in vigore, la legislazione del Lazio dettava pertanto una compiuta disciplina, la fonte della quale non poteva e non pu essere legittimamente novata dal Jegislatore statale ordinario, non solo nena parte in cui le norme dettate daHa legge stessa si discostano dalle corrispondenti norme regionali gi vigenti, ma anche nella parte in cui -sostanzialmente esse ne ripetono Je disposizioni. Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimit costituzionale degli articoli 6 e 7 della legge che ha soppresso la Giovent italiana, iin quanto regolano il periodo di servizio che il personale trasferito dall'ente in questione destinato a prestare presso la Regione Lazio. (omissis) III (omissis) Peraltro, la Corte non pu non riscontrare che il ricorso si presenta per molteplici aspetti inammissibile. Nella premessa di tale atto si richiama espressamente la previa deliberazione della Giunta regionale siciliana, che stata in effetti adottata il 23 gennaio 1976. Senonch la Giunta, nell'autorizzare la proposizione del ricorso stesso, lamentava soltanto che la legge n. 7.64 del 1975, statuendo unilateralmente il trasferimento dei compiti del soppresso Ente Giovent Italiana alla Regione, senza dar modo a questa di farsi sentire in proposito, concretasse una lesione immediata dalle prerogative regionali costituzionalmente garantite, sotto il profilo della violazione dell'art. 43 dello Statuto Regionale . Ci comporta che il sindacato sulla pretesa lesione di tutti i parametri diversi dall'articolo 43 dello Statuto debba essere escluso dall'attuale giudizio. Ed effettivamente l'esigenza che le impugnazioni regionali di leggi dello Stato siano promosse dal Presidente della Giunta stessa in base al disposto dell'art. 32, secondo comma della Jegge 11 marzo 1953, n. 87, di cui questa Corte ha imposto Ja puntuale applicazione, fin dalla sentenza n. 15 del 1957 -verrebbe elusa qualora si ammettesse che il ,ricorso del Presidente possa denunciare vizi diversi da quelli prefigurati nella relativa delibera della Giunta. Ma la delimitazione del giudizio, in vista dell'unico parametro che la Regione ricorrente legittimata ad invocare, comporta una corrispondente riduzione dell'impugnativa, per quanto concerne la disposizioni della legge n. 764 del 1975, sindacabili in questa sede dalla Corte. Fra di ,esse rientrano, sicuramente, primo e secondo comma dell'art. 3, attinenti al trasferimento del personale gi in servizio presso le sedi peri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO feriche e la sede centrale dell'ente Giovent italiana. Inoltre, il complesso delle argomentazioni addotte dal ricorso, in co1legamento con la -citata delibera della Giunta regionale, impone di pervenire alla stessa conclusione, circa la disciplina dettata per trasferire alle Regioni il patrimonio gi proprio dell'ente soppresso. Infine, analoga questione di legittimit costituzionale, in riferimento alla mancata osservanza della procedura prescritta dallo Statuto per il passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione, dev'essere decisa dalla Corte nei riguardi del primo comma dell'art. 2, con cui la legge impugnata ha disposto il trasferimento dei compiti istituzionali e delle attivit in atto svolte dall'Ente giovent italiana. Anche in tal senso, difatti, nel ricorso si chiede -pur senza citare espressamente l'art. 43 dello Statuto -che la Corte precisi il valore da attribuire alle norme di attuazione previste dagli Statuti delle regioni ad autonomia differenziata. Entro questi Jimiti, il ricorso dev'essere accolto. I dati ricavabili dall'esame dei contributi dottrinali, delle norme statali sul passaggio delle funzioni e degli uffici alle Regioni, della stessa giurisprudenza di questa Corte, sono concordi nel senso di far riconoscere all'art. 43 dello Statuto siciliano (come pure ai consimili disposti degli Statuti speciali della Sardegna, del Trentino-Alto Adige e del FriuliVenezia Giulia) H significato attribuitogli dalla difesa regionale. In dottrina, dominante l'avviso che la competenza conferita agli appositi decreti legisJativi di attuazione statutaria (necessariamente preceduti dalle proposte o dai pareri di una commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della Regione interessata) sia separata e riservata, rispetto a quella esercitabile -in applicazione dell'ottava disp. trans. Cost. -dalle ordinarie leggi della Repubblica. Del pari, allo stesso criterio si dimostrano informate -nella loro generalit -le leggi statali di trasferimento, entrate in vigore nello scorso decennio. Ci vale, anzitutto, per il primo passaggio di funzioni, uffici e personale dallo Stato alle Regioni di diritto comune, disposto dagli undici decreti presidenziali del 14-15 gennaio 1972; tanto vero che si sono resi (o si renderanno) indispensabili -per conseguire i medesimi effetti in Sicilia, in Sardegna, nel Trentino-Alto Adige e nel FriuliVenezia Giulia -specifici atti statali con forza di Jegge, adottati nelle forme previste per le discipldne di attuazione dei relativi Statuti speciali. Ma non diverso il caso del d.P.R. n. 616 del 1977, il quale stabilisce anzi espressamente -nell'art. 119 -che le funzioni amministrative degli enti pubblici estinti, gi trasferiti alle Regioni ordinarie in virt del contestuale art. 113, continuino ad essere esercitate nelle regioni a statuto speciale mediante uffici stralcio, fino a quando non sar diversamente disposto con le norme di attuazione degli statuti speciali o di altre 1leggi dello Stato. Del resto. la previsione che il passaggio delle rispettive funzioni (nonch degli uffici, del personale e dei beni in - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE -questione) venga operato a favore delle stesse Regioni differenziate, ma con le procedure prescritte da ogni singolo Statuto, si rinviene in varie disposizioni dettate da leggi statali di settore: a partire dall'art. 2, primo comma, della legge n. 698 del 1975 (sul trasferimento delle fun2lioni dell'Opera nazionale per la protezione della maternit e dell'infanzia), ovvero dall'art. l, primo comma, della fogge n. 745 del 1975 (sul trasferimento delle funzioni concernenti gH istituti zooprofilattici sperimentali), .fino all'art. 80, secondo comma, della legge n. 833 del 1978 (istitutiva del servizio sanitario nazionale). Ci che. pi conta, nel risolvere una controversia analoga a quella in esame, la Corte ha gi dichiarato -con la sentenza n. 206 del 1975 che il trasferimento alla Regione siciliana del personale dei soppressi enti edilizi, previsto dall'art. 18 del d.P;R. n. 1036 del 1972, dovesse aver luogo secondo le norme all'uopo determinate dalla commissione paritetica di cui all'art. 43 dello Statuto. N giova rispondere, per evitare <.:he un tale precedente si applichi anche alla legge soppressiva dell'ente Giovent italiana, che le denunciate previsioni di trasferimento non opererebbero immediatamente, ma richiederebbero provvedimenti ulteriori, senza dunque escludere le cosiddette norme di attuazione statutaria. Sebbene la tesd cos sostenuta dall'Avvocatura dello Stato trovi un qualche riscontro nei lavori preparatori della legge stessa (nel corso dei quali fu sottolineata l'esigenza di sentire le competenti commissioni. paritetiche, senza di che la legge sarebbe risultata incostituzionale), sta di fatto che il testo degli articoli 2 e 3, primo e secondo comma, non distingue per nulla fra Regioni a statuto ordinario e speciale, ma le considera unitariamente allorch trasferisce -con effetto immediato compiti, beni e personale dell'ente. Non a caso, l'ultimo comma de1l'art. 3 stabilisce senz'altro che, sino all'inquadramento nei ruoli (destinato ad operare -in base al precedente comma -dalla data di entrata in vigore della legge in questione), al personale trasferito viene corri. sposto a carico della regione, il trattamento economico in godimento ; e che qui si tratti di qualunque Regione (Sidlia compresa) viene con fermato dalla serie d!i leggi regionali siciliane con cui si provveduto in via provvisoria (a cominciare dalla legge 5 marzo 1976, n. 17) ad atltidpare una parte di tali spettanze. S'impone, perci, l'annullamento dell'art. 2, secondo comma, e dell'art. 3, primo e secondo comma, della legge n. 764 del 1975, nella parte in cui trasferiscono alla Regione Sicilia beni e personale dell'ente Giovent italiana: al di l della lettera dell'art. 43 dello Statuto siciliano, la procedura di trasferimento che tale norma prescrive dev'essere osservata, .infatti, non solo ;per quanto riguavda il passaggio di strutture pertinenti allo Stato in senso stretto, ma anche nelle ipotesi di soppressione e regionalizzazione degli enti pubblici nazionali sul mpo della ~< Giovent italiana. 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corrispondentemente, va inoltre dichiarata l'illegittimit costituzionale del primo comma dell'art. 2, malgrado l'art. 43 dello Statuto siciliano -a differenza dell'ottava disp. trans. Cost. -si riferisca soltanto al passaggio degli uffici e del personale, non gi al trasferimento delle funzioni per s considerate. Nel caso dell'ente Giovent italiana non potrebbero valere le argomentazioni con cui questa Corte ha sostenuto (cfr. le sentt. n. 136 del 1969, n. 95 e n. 108 del 1971) che non sempre si richiedono apposite norme di attuazione statutaria, affinch le Regioni differenziate possano esercitare le proprie competenze, individate e garantite dai rispettivi Statuti. Non va dimenticato, infatti, che fa fogge n. 764 del 1975 ha per oggetto un'istituzione i oui compiti erano stati deferiti -sia pure sulla carta -ad altre amministrazioni pubbliche, gi in forza dell'art. 6 del r.d.l. 2 agosto 1943, n. 704; che nel successivo quarantennio l'ente Giovent italiana tuttavia sopravvissuto, solo perch non venne approvato e reso esecutivo il piano di ripartizione dei suoi compiti, previsto dal decreto 19 agosto 1944 del Presidente del Consiglio dei ministri; che il capoverso dell'art. 1 della stessa legge soppressiva presuppone -l dove richiama le modalit e le procedure stabilite dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1404 -che gli scopi dell'ente soppresso siano cessati: cosicch nel primo comma dell'art. 2 J'accento non cade sui compiti istituzionali, ma sulle attivit in atto svolte, da intendersi come attivit residue, la sorte delle quali non potrebbe essere scissa da quella del patrimonio gi proprio della Giovent italiana e del personale addetto ai beni medesimi. Al pari che in Sicilia, anche per quanto conceme la Sardegna le norme relative al passaggio degli uffici e del personale devono essere emanate -in base all'art. 56 dello Statuto speciale -con decreto legislativo , su proposta di un'apposita Commiss!i.one paritetica ,,: Il ricorso di tale Regione va pertanto accolto, nella parte in cui censura la violazione dell'art. 56, per effetto del primo e del secondo comma dell'art. 3 della legge 18 novembre 1975, n. 764, disciplinanti il trasferimento alle Regioni del personale dell'ente Giovent italiana. E ne risultano assorbite le ulteriori censure che il ricorso prospetta -con particolare riguardo agli articoli 6 e 7 della legge impugnata -asstimento che lo Stato avrebbe invaso una sfera di competenza riservata al legisJatore regionale, quale l' ordinamento degld uffici e degli enti amministrativi della Regione (ivi compreso lo stato giuridico ed economico del personale), di cui all'art. 3, lett. a, dello Statuto speciale. A questo punto, per, la Corte deve rilevare che .l'annullamento dell'art. 3, primo e secondo comma, della legge impugnata determina in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 -l'illegittimit conseguenziale dello stesso art. 2, primo e secondo comma. Sebbene l'impugnativa della Regione Sardegna, diversamente da quella della Regione Sicilia, non coinvolga le norme sul trasferimento dei compiti e. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 15 dei beni gi spettanti alla Giovent italiana, le norme st~sse sono state pur sempre approvate in vista di un'unica ed indivisibile serie di operazioni di liquidazione: che non si presta a venire suddivisa in pi segmenti, annullando i disposti relativi al trasferimento del personale, per mantenere in vigore -circa la sola Sardegna -quelli relativi al parallelo trasferimento delle funzioni e dei beni. Gi si notato, al contrario, come i compiti istituzionali e le attivit in atto svolte dall'Ente giovent italiana debbano subire la sorte delle corrispondenti strutture. Ma, anche nei rapporti fra il patrimonio e il personale, il nesso stabilito dalla legge n. 764 del 1975 si dimostra dnscindibile, tanto vero che l'art. 3 ha trasferito alle Regioni il personale delle sedi periferiche della Giovent italiana , in quanto destinatariedei beni ceduti; mentre il personale della sede centrale stato a sua volta trasferito in misura proporzionale a quello delle sedi periferiche addetto ai beni ceduti . E non pare accidentale, sotto quest'aspetto, che la Giunta regionale della Sardegna -nella seduta del 28 gennaio 1976 -avesse deliberato l'impugnazione dell'intera Jegge n. 764 del 1975, in riferimento alla violazione dell'art. 56 St., che tale legge avrebbe congiuntamente concretato nel trasferimento dei beni e del personale. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 141 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli -Berrino ed altri (avv. Romano e Zangari), Banco di Napoli (avv. Prosperetti), Banco di Roma (avv. Cassandra) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). Fonti del diritto -Legge -Ambito riservato alla contrattazione collettiva Non sussiste, finch perdura la inattuazione dell'art. 39 Cost. Obbligazioni e contratti - Datio in solutum -Prestito forzoso -Non misura ablatoria -ii: prestazione imposta. (Cost., artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39 e 53; d.l. 11 ottobre, 1976 n. 699, artt. 1 e segg., conv. nella legge 10 dicembre 1976, n. 797). Lavoro -Retribuzione del lavoratore -Remissione forzata del debito del datore di lavoro -Legittimit costituzionale. (Cost., artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39 e 53; d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 2, 4 e 6, conv. nella legge 31 marzo 1977, n. 91). Finch perdura la mancata attuazione dell'art. 39 Cost., non pu essere riconosciuta un'area riservata all'autonomia normativa delle associazioni sindacali, e non pu quindi aversi, tra la legge e il contratto collettivo, un conflitto sottoponibile alla giurisdizione della Corte costi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tuzionale. La legge pu modificare in pejus (per il lavoratore) la disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro. (1) La disposizione legislativa che stabilisce una datio in so1utum (consegna di buoni del tesoro pluriennali non trasferibili in luogo del pagamento di somme di danaro dovute a titoli di retribuzione e di pensione) non deve essere confrontata con l'art. 53 Cost., non producendo essa un effetto ablatorio, ma deve essere confrontata con l'art. 23 Cost., imponendo essa una prestazione coattiva. Gli artt. 1 e segg. del d.l. 11 ottobre 1976, n. 699, convertito con modificazioni nella legge 10 dicembre 1976, n. 797, nell.a parte in cui stabiliscono che aumenti derivanti da variazioni del costo della vita vengono corrisposti in buoni del tesoro poliennali' non trasferibili, non contrastano con gli articoli l, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 Cost. Gli articoli 2, 4 e 6 del d.l. 1 febbraio 1977, n. 12 (convertito con modificazioni nella legge 31 marza 1977, n. 91), ove si stabilisce che gli aumenti retributivi derivanti da variazioni del costo della vita non possono essere superiori a quanto stabilito dagli accordi interconfederali operanti nel settore dell'industria (del 25 gennaio 1975) e non possono essere corrisposti con periodicit diversa da quella prevista da detti accordi, non contrastano con gli articoli l, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 Cost. (2} II CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 142 -Pres. Amadei -ReL Andrioli -Gullino ed altri (n.p.), Credito Italiano S.p.A. (avv. Fazzolari) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). Lavoro -Retribuzione -Indennit di anzianit -Divieto di conglobament& dei miglioramenti dipendenti da variazioni del costo della vita (cos. detta scala mobile ) -Legittimit costituzionale. (Cost. artt. 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53; d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 1, 2 e 3; d.L 11 ottobre 1976, n. 699, artt. 1, 2, 3 e 4). (1-2) La sentenza n. 141 appare di grande interesse, sopratutto laddove essa esclude che -almeno al presente -si abbia un'area riservata alla contrattazione collettiva, ed un correlato limite costituzionale alla potest del legislatoreordinario; n una riserva di contratto collettivo pu ritenersi introdotta in modo indiretto, attraverso una sorta di rafforzamento delle disposizioni con tenute nel codice civile enunciative del principio -bisogna ora aggiungere dero gabile dallo stesso legislatore ordinario -di prevalenza delle condizioni pi favorevoli al lavoratore . Sull'argomento, cfr., tra gli scritti pi recenti, GRECO, Diritto del lavoro del l'emergenza e libert di azione sindacale, in Foro it., 1981, I, 9; MENGONI, Un nuovo modello di rapporti tra legge e sindacato, in jus, 1979, 120; GIUGNI, Parlamento e: sindacati, in Pol. diritto, 1978, 365, e DE LucA TAMAJO, Leggi sul costo del lavoro e: limite all'autonomia collettiva, in Il diritto del lavoro nell'emergenza, 1979, 153. I t :: k PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Non precluso al legislatore ordinario di ristrutturare l'indennit dt anzianit, la quale non pu essere ridotta ad unum ma si fraziona in numerose specie disegnate dalla contrattazione; pertanto, l'eliminazione o il ridimensionamento di particolari componenti dell'indennit stessa, se tengono conto della quantit e della qualit del .Zavoro, non contra-stano con gli articoli 3, 36 e 38 Cost. Gli articoli 1, 2 e 3 del d.l. 1 feb- braio 1977, n. 12, secondo il testo risultante dalla legge 31 marzo 1977~ n. 91 e gli articoli l, 2, 3 e 4 d.l. 11 ottobre 1976, n. 699, secondo il testodella legge 10 dicembre 1976, n. 797, non contrastano con gli articoli 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53 Cost. I (omissis) Per il d.l. 11 ottobre 1976, n. 699, entrato iin vigore il successivo 13, i maggiori "compensi dovuti per effetto di variazioni del costo della vita, determinatesi successivamente al 30 settembre 1976 efino al 30 settembre 1978, erano da corrispondersi ai lavoratori dipendenti con tmttamento mensile -comprensivo di tutti gli emolumenti a carattere continuativo (ratei di mensilit aggiuntive, premi di rendimento, !indennit e compensi della stessa natura) al netto delle ritenute previdenziali e assistenziali -corrispondente ad un importo superiore a lire otto milioni annui mediante obbligazioni nominative emesse dal-l'Istituto centrale per il credito a medio termine (Mediocredito centrale)~ Per i dipendenti, il cui trattamento annuo complessivo fosse superiore ai sei milioni ma inferiore agli otto milioni di lire, la corre- sponsione dei maggiori compensi doveva effettuarsi sempre mediante obbligazioni, ma limitatamente al cinquanta per cento sino al raggiungimento del limite di otto milioni. Per i dipendenti con trattamento annuo complessivo inferiore ai sei milioni di lir~ il descritto modo di soluzione era da praticarsi dal momento in cui il trattamento complessivo sup\!rasse il limite dei sei. milioni li lire e per la parte eccedente. Non solo i lavoratori dipendenti, ma anche i titolari di trattamenti. pensionistici _erano soggetti alla riassunta disciplina dettata nei primi cinque commi dell'art. l, J'ultimo comma del quale non mancava di pre-cisare che le somme, corrisposte in obbligazioni, erano comprese nel trattamento retributivo in godimento ai fini della commisurazione dei contributi previdenziali e assistenziali ai sensi dell'art. 3 della legge 31 .Juglio 1975, n. 364 e per la-determinazione del trattamento di quiescenza e di fine rapporto; il che -mette conto di chiosarlo -scaturiva. dalla natura di (parziale) prestazione in luogo di adempimento, propria. del meccanismo posto in essere dal Govevno del tempo. Per Ia contestualit della esposizione va anticipata la descrizione del contenuto dell'art. 6 d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, modificato nella legge 18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di conversione, a mente del quale i maggiori compensi dovuti ai lavoratori dipendenti per effetto di variazioni del costo della vita, corrisposti in buoni del tesoro a sensi dell'art. 1 d.l. 699/1976, cos come sostituito per l'art. 1 della legge di conversione 797/1976, non sono soggetti a ritenute fiscali e non costituiscono reddito imponibile agli effetti delle imposte sul reddito. Esenzione -sia rilevato per inciso -non desumibile dalla evidenziata natura di prestazione parziale in luogo di adempimento, ma non contrastante con la causa economico-giuridica di retribuzione propria dei maggiori compensi e trattamenti pensionistici. (omissis) (omissis) Se il d.l. fosse stato in tutto convertito, della sostanza economico- finanziaria del meccanismo, costretto nei limiti "di tempo: 30 settembre 1976 a 30 settembre 1978, sarebbe stata assai piana la comprensione: lavoratori dipendenti e titolari di trattamenti pensionistici, nella misura segnata dall'art. l, fornivano al Mediocredito i mezzi finanziari necessari per incentivare medie e piccole industrie senza posisibilit di restituzioni anticipate e sotto la garanzia dello Stato, ma, poich il mutuo assumeva la forma di prestito obbligazionario, .lo schema del mutuo pi non era, sul piano giuridico, utilizzabile, talch sarebbe apparso lecito por mente allo schema della (parziale) prestazione in luogo di adempimento, realizzata mediante titoli nominativi non rimborsabili e trasferibili se non alla scadenza del quinquennio dalle emissioni. (omissis) (omissis) In pi complessa visione, la manovra del Governo si articolava nel senso che non solo veniva ridotto in misura seppure minima il costo del lavoro, ma veniva compressa la liquidit del medio circolante e che il diverso e forse pi ampio sacrificio, sopportato nei precisati termini da la:voratori dipendenti e pensionati, ridondava a favore delle piccole e medie industrie, le quali finivano, quindi, con essere privilegiate rispetto agli altri imprenditori. Poich il d.l. 699/1976, nel modo in cui stato costruito, ha avuto in misura minima pratica attuazione in pregiudizio dei lavoratori e dei pensionati (non dei datori di lavoro e degli enti erogatori dei trattamenti pensionistici) non gi a favore del Mediocredito e delle piccole e medie industrie, nessuna questione di costituzionalit stata in effetti, con esclusivo riferimento al d.l. 699/1976, prospettata. Peraltro la considerazione che del d.l. stata svolta non superflua perch giova a cogliere le modificazioni delle linee di tendenza, apportate dal Parlamento, in sede di conversione con .la legge 10 dicempre 1976, n. 797, entrata in vigore il successivo 26. In primo luogo, ai lavoratori dipendenti e ai pensionati si aggiungono coloro che beneficiano di un meccanismo automatico di adeguamenti dei compensi alle variazioni degli 1indici del costo della vita e correlativamente avvantaggiati ne risultano anche coloro, che, pur non essendo datori di lavoro dipendente n gestori di trattamenti pensionistici, ab PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE biano ancorato !i debiti di compensi a indici di variazione del costo della vita. In secondo luogo, mentre i tempi finali delle operazioni sono anti cipati al 30 aprile 1978, il finanziamento alle piccole e medie industrie, realizzato tramite il Mediocredito, sfuma nell'incentivazione di attivit produttiva, a gestire la quale legittimato lo Stato; correlativamente la datio in solutum viene attuata non mediante titoli obbligazionari del Mediocredito, sibbene mediante buoni del tesoro poliennali al portatore, da emettersi alla pari e con il rispetto delle ulteriori modalit di emissione e di consegna, poi fissate dal Ministro per il tesoro con decreto 22 aprile 1977, ma, se identici rimangono tempi e modalit di versamento delle somme corrispondenti all'ammontare dei maggiori compensi e le sanzioni per l'omesso, tardivo o incompleto versamento di dette somme alla tesoreria dello Stato, tali somme sono numerate al netto dei contributi previdenzfali e assistenziali per le quote a carico del lavoratore, che continuano ad essere versate a enti e gestioni competenti; gli interessi prodotti dai buoni vengono pagati posticipatamente. Il decreto 22 aprile 1977, emanato dal Ministro per il tesoro di concerto con il Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, pone in chiaro che la normativa del 1976 continua ad applicarsi sino al 30 aprile 1978 malgrado il d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, entrato in vigore lo stesso giorno, che richiamato nelle premesse; il tasso d'interesse, fissato in lire quattordici per ogni cento lire di capitale nominale, pagabile in cinque annualit posticipate al 1 luglio di ciascuno degli anni dal 1978 al 1982 compresi per i soli buoni del tesoro iscritti nel Gran libro con decorrenza dal 1 luglio 1977, di scadenza 1 luglio 1982, iscritti nel Gran libro con decorrenza dal 1 luglio 1978, stato fissato nella misura del 13 % con il d.m. 20 dicembre 1977, e il tasso d'interesse per i buoni del tesoro, di scadenza 1 luglio 1983, iscritti nel Gran libro con decorrenza dal 1 luglio 1978, nel 13 % con il d.m. 10 giugno 1978; si precisa che buoni del tesoro e relativi interessi sono esenti da ogni imposta reale presente e futura e dall'imposta sulle cessioni, e, pur essendo anche al portatore (a differenza delle sero.pre nominative obbligazioni del Mediocredito), non sono trasferibili per un quinquennio dall'emissione. (omissis) (omissis) Poich non rientra nei compiti di questa Corte controllare in quale sorta di incentivazione di attivit produttive siano stati investiti i versamenti dei maggiori corrispettivi, n verificare in qual modo siano stati identificati -e, quindi, astretti al rispetto della legge -i debitori dei beneficiari di meccanismi automatici di adeguamento di compenso alle variazioni degli indici del costo della vita, da affermare che le norme del 1976, nella forma assunta nella legge di conversione, non prestino il fianco a censure, che siano contenute nel campo del giudizio di costituzionalit, e, per contro, non travalichino in valutazioni di ordine RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO politico-sociale e si convertano in dubbi sulla funzionalit economico-finanziaria della manovra disposta dal Parlamento. Manovra, della quale vanno sottolineate la temporaneit resa ancor pi evidente in sede di conversione, la incidenza su fasce di redditi di lavoro e no, rispetto alle quali il sacrificio imposto ai destinatari non incide sul minimo vitale (il che emerge anche da scritti difensivi redatti nell'interesse di taluni destinatari avanti la Corte), la sostanziale convenienza dell'investimento del prelievo la quale non deve essere saggiata sulla base di raffronti con investimenti in attivit produttive (spesso di non sicuro esito finale e sempre di difficile conduzione). Dati, che rientrano nella comune esperienza e, pertanto, non egent probatione. Il sacrificio dei destinatari delle norme del 1976, in tal guisa identificato, non costituisce materia di applicabilit dell'art. 53 Cost. perch carente l'effetto ablatorio che di detta norma rappresenta la fattispecie. L'insussistenza di tale effetto non giova al fine di neutralizzare i sospetti d'illegittimit delle norme impugnate alla stregua dell'art. 23, del quale ricorre la fattispecie dappoich innegabile il carattere di prestazione proprio del sacrificio, seppure non definitivo, imposto ai destinatari, ma del parametro rispettato. il precetto; si vuol dire l'esigenza della riserva di legge vuoi perch, in guisa seppure meno puntuale di quanto non fosse riuscito di statuire con il decreto-legge, si identificano il requisito della causa della prestazione (cio la finalit dell'incentivazione di attivit produttive) e la entit del corrispettivo, la cui definizione ha il potere legislativo affidato ai Ministri per il tesoro e per il lavoro e la previdenza sociale, dei settori cio dell'Amministrazione cui competono esperienze tecniche nella materia (esperienze, che hanno indotto a fissare il tasso per le tre emissioni nelle sopraricordate misure, secondo un criterio di giusta remunerazione dei prelievi in esame, che deve considerarsi implicito nel corpo di norme del 1976). L'art. 36, in s considerato, non sembra violato perch, se i criteri della qualit e della quantit del lavoro non vengono in considerazione, neppure acquisisce spessore al livello di giudizio di legittimit costituzionale delle norme il criterio della sufficienza della retribuzione ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa la cui verifica in concreto spetta al giudice di controversia individuale investito della conformit a detto criterio del salario del singolo lavoratore. Dell'art. 3 si lamentata la violazione sotto varii aspetti -interni ed esterni al mondo del lavoro, subordinato e no -dei quali colpisce in pi incisivo modo il rilievo che al finanziamento dell'incentivazione delle attivit produttive sono chiamate a contribuire le tre categorie di colpiti dalla normativa del 1976 e non anche gli imprenditori e i titolari di redditi reali, e neppure l'universalit dei dipendenti, pensionati ~~ I,, ~ !: i: ~~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e aventi diritto a compensi nel senso a quest'ultima categoria assegnato dalla legislazione tributaria, ma soltanto coloro che fruiscono di indici.7 zazioni coordinate alle variazioni del costo della vita. Si obiettato dalla Presidenza del Consiglio e dalle difese dei datori di lavoro che, non essendo identiche le situazioni dei colpiti e degli indenni, l'art. 3 sarebbe non a proposito invocato, e l'obiezione sembra colpire nel segno sia per quel che concerne la discriminazione tra le varie forme di indicizzazione per essere diverse le finalit pratiche, cui sono indirizzati i meccanismi in esame, ed altre clausole, che mirano in vario modo a salvaguardare il potere d'acquisto della moneta legale, sia perch sono diversi gli ambienti economico-finanziari, nei quali operano da un lato le tre categorie di destinatari e dall'altro lato le categorie non chiamate a far le sp~se dell'incentivazione di attivit produttive. Certo, la tendenza del Parlamento a battere le vie di sempre e per uscire di metafora -a non muovere alla ricerca di ricchezze novelle meno agevolmente identificabili pu non essere disconosciuta, ma trattasi di giudizio politico, riservato agli elettori e alle forze sociali, cui la Corte non pu sostituirsi. Il qual rilievo giova a dire non opportu namente invocato l'art. 1 Cost., cui i giudici, che della denuncia si sono resi portatori, hanno attribuito un significato di esclusivit, che smen tito dal complesso della Costituzione, dappoich alla Carta sono ben presenti anche valori diversi dal lavoro. Il senso dell'art. 4 Cost., poi, si presta, vuoi nella lettera vuoi nello spirito, ad essere, nei presenti incidenti, capovolto perch al fine di as sicurare il diritto al lavoro non tanto pu quanto deve essere perseguita l'incentivazione delle attivit produttive. Rimane la censura di violazione dell'art. 39 o (a voler essere pi puntuali) di attentato all'ul1lima sua parte, riflettente l'autonomia nor mativa dei sindacati, ma, a tacere che il testo costituzionale non stato ancora attuato nel momento strutturale della registrazione, quale presup posto della personalit giuridica dei sindacati, la normativa ordinaria del 1959, sulla quale si. pronunciata questa Corte con sentenze, da cui, nei presenti incidenti, si in utroque argomentato, aveva di mira l'assicu razione del minimo trattamento economico e normativo, che nella specie non viene in considerazione. Sino a quando l'art. 39 non sar attuato, non si pu n si deve ipotizzare -nei termini proposti -conflitto tra attivit normativa dei sindacati e attivit legislativa del Parlamento e chiamare questa Corte ad arbitrarlo. Dei due temi del corpo di norme del 1977 viene -lo si ripete verificata in questa sentenza la conformit ai dettami costituzionali della disciplina dell'esclusione dalle retribuzioni dei miglioramenti descritti nell'art. 1 d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, laddove ad altro documento decisorio riservato il giudizio sulla parziale novellazione degli articoli 2121, secondo comma, e.e. e degli articoli 361. e 923 codice navigazione. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ribadito che la normativa del 1976 continua ad applicarsi nell'area temporale che le propria malgrado l'entrata in vigore del dl. del 1977, da rilevare in primo luogo che il dJ. del 1977 colpisce i lavoratori dipendenti e i lavoratori del settore pubblico e non anche il personale statale e degli enti pubblici, .di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, n le due altre categorie dei destinatari della normativa del 1976; in secondo luogo che trattasi non di una prestazione (parziale) in luogo di adempimento, realizzata mediante titoli del debito pubblico (art. l, commi terzo e quarto), ma a) del divieto di conglobamento, nella retribuzione a partire dal 1 febbraio 1977, di tutti i migLioramenti retributivi, per effetto di variazioni del costo della vita o di altre forme di indicizzazione, corrisposti in misura non superiore e in applic~ione dei criteri di calcolo, nonch con la periodicit stabiliti dagli accordi interconfederali operanti nel settore dell'industria, b) della incomputabilit degli effetti delle variazioni del costo della vita o di forma di indicizzazione su qualsiasi elemento della retribuzione in difformit della normativa prevalente prevista dagli anzidetti accordi interconfederali e dai contratti del detto settore per i corrispondenti elementi retributivi e limitatamente a tali elementi (art. 2 comma primo); in terzo luogo che ai lavoratori occupati in settori non industriali continuano ad essere applicate le disposizioni dei rispettivi accordi e contratti collettivi che determinano il valore mensile del punto di contingenza in misura inferiore a quella stabilita dall'accordo interconfederale di cui al primo comma (art. 2, comma secondo); in quarto luogo che le somme non pi dovute ai lavoratori per effetto dell'art. 1 sarebbero devolute alla riduzione di costi aziendali o alla copertura di oneri pubblici (art. 3); in quihto luogo che veniva abrogata ogni disposizione in contrasto con le norme contenute nel decreto ed erano definite nulle di pieno diritto norme regolamentari e clausole contrattuali contrastanti con il decreto medesimo (art. 4); in sesto ed ultimo luogo che gli articoli 2 e segg. del decreto restavano in vigore fino al 31 gennaio 1979 (art. 5). Proprio il carattere temporaneo, che accomunava il d.I. del 1976 alla normativa del 1977, stato cancellato con la legge 31 marzo 1977, n. 91 di conversione (entrata in vigore il successivo 17 aprile), con la quale il Parlamento, in sostituzione del soppresso art. 3, che -si ripete destinava le somme non pi percepite dai lavoratori alla riduzione di costi aziendali o alla copertura di oneri pubblici, ha autorizzato con l'art. 2 il Governo della Repubblica a determinare, nel termine di due mesi dall'entrata in vigore della legge stessa, la utilizzazione delle somme derivanti nell'anno 1977 dalle differenze tra i trattamenti discendenti dalle regolamentazioni modificate con il d.I. 12/1977, e quelle dovute per effetto delle disposizioni di cui all'art. 2 decreto stesso, nonch a regolare le modalit di riscossione. PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Non si esauriscono nella soppressione degli artt. 5 e 3, sostituito con la tecnica della legge di delegazione e del decveto legislativo, le modificazioni apportate con la legge di conversione: in disparte il chiarimento del gi richiamato art. 6, al divieto di conglobamento dei miglioramenti contributivi si .aggiunge la irricalcolabilit nei tempi differiti, e degli accordi interconfederali operanti nel settore dell'industria sono puntualizzate le date di stipulazione del 15 gennaio 1957 e del 25 gennaio 1975. La normativa del 1977 va integrata con il d.P.R. 6 giugno 1977, n. 384, entrato in vigore il successivo 27 luglio, il quale, limitatamente all'anno 1977, indica i modi di utilizzazione delle somme non corri" sposte ai lavoratori dipendenti; soggiungendo che, se non utilizzate nello esercizio 1977, possono essere impegnate nell'esercizio successivo; precisa che dette somme vanno versate dai datori di lavoro, entro quindici giorni dalla fine di ciascun trimestre, in un apposito conto corrente infruttifero aperto presso la Tesoreria centrale, intestato al Ministero del tesoro e denominato Fondo speciale di cui all'articolo 2 della legge 31 marzo 1977, n. 91 , al quale affluiscono, alla fine del secondo mese successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto (e cio al 30 settembre 1977), anche le somme dovute dal 1 febbraio a:l 30 giugno 1977 (art. 1), e prevede, infine, le sanzioni a carico dei datori di lavoro in caso di omesso e incompleto versamento (art. 2). Nel procedere al raffronto tra la normativa del 1977 e la normativa che l'ha preceduta, non pu questa Corte lasciare in ombra la circostanza [...] che, mentre le somme non corrisposte ai lavoratori dipendenti dal 1 febbraio al 31 dicembre 1977, sono destinate al conseguimento delle finalit specificate nel d.P.R. 384/1977, le somme non corrisposte in tempo successivo al 1 gennaio 1978 rimangono nel patrimonio dei datori di lavoro, ai quali non imposto alcun obbligo, neppur generico, di destinazione delle stesse per aver la legge di conversione (art. 1) soppresso l'art. 3 d1. 12/1977, per il quale le somme, non pi dovute ai lavoratori, erano devolute alla riduzione di costi aziendali e alla copertura di oneri pubblici. Talch il vuoto di destinazionii diverse dalla permanenza del numerario nei patrimoni dei datori di lavoro, consecutiva alla limitazione del d.P.R. 384/1977 al 1977, rappresenta -almeno allo stato attuale della legislazione ordinaria -il traguardo della disciplina normativa in materia, della quale stato punto di partenza l'art. 5 d.l. 699/1976: si prendono le mosse dal prestito forzoso, il cui ricavo destinato all'incentivazione delle piccole e medie industrie, e, traverso l'ablazione definitiva di parte della retribuzione, dapprima destinata alla incentivazione delle attivit produttive e poi alla triplice finalit, espressa nel d.P.R. 384/1977, si perviene alla conservazione -senza vincolo di sorta -delle somme, non versate ai lavoratori dipendenti, nei patrimoni dei datori di lavoro. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 24 L'ultima tappa della metamorfosi non pu essere stimata irrilevante dalla Corte, perch dal vuoto, proyocato dalla limitazione temporale dell'art. 2 della legge di conversione del 1977 e del d.P.R. 384/1977, sono incise le pretese di Vito Corsello, dipendente della Cassa di risparmio di Torino, il cui ricorso porta la data del 10 febbraio 1978 ed ha dato luogo, traverso l'ordinanza 1 giugno 1978, all'incidente iscritto al n. 453 Reg. ord. 1978; incidente che -lo si ripete -offre il pi ricco mosaico di norme impugnate e di parametri di costituzionalit. Ci precisato, l'attenzione della Corte si indirizza alle questioni di costituzionalit del d.l. 12/1977, cosl come modificato nella legge di conversione, ma non inciso dal ripetuto vuoto , in riferimento agli artt. l, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 Cost. La destinazione delle somme non corrisposte ai lavoratori nel periodo di tempo 1 febbraio-31 dicembre 1977 non diverge dalla destinazione avvisata nella normativa del 1976 in guisa tale da comportare diverso scioglimento, da parte della Corte, della questione sorta dal sospetto di violazione dell'art. 53 sulla quale la destinazione pu in qualche misura incidere, seppur non consentito porre in rilievo la maggiore puntualit, di cui il pi volte menzionato d.P.R. 384 del 1977, d prova. A ben pi delicate indagini aprono il varco sia il carattere definitivo del sacrificio dei lavoratori dipendenti non esteso ai titolari di trattamenti pensionistici n ai creditori di compensi di altra natura, sia la maggiore ampiezza subiettiva del sacrificio, che coinvolge tutti i dipendenti e non i lavoratori titolari di compensi. elevati. La Corte ha piena coscienza della gravit delle conseguenze economiche della duplice scelta, cui sono pervenuti il Governo e il Parlamento, e fa sua la espressione ricorrente nel corso delle discussioni parlamentari -correre cio la legge di conversione del 1977 sul filo della incostituzionalit -, ma non ritiene che il giudizio reso a proposito della normativa del 1976 sia da modificare. Certo, alla ampliatio dei lavoratori dipendenti colpiti si aggiunge la liberazione, dall'obbligo del prelievo, dei creditori di compensi di altro genere ma, a parte il non agevole reperimento di costoro, va tenuto conto della esclusione dal prelievo dei titolari di trattamenti pensionistici; esclusione, di cui non possono non giovarsi i dipendenti, per i quali venga ad un tempo meno il rapporto di lavoro e sorga il presupposto del rapporto pensionistico. Vero che il prelievo non opera con identico peso sulle fasce dei redditi di lavoro, sibbene provoca in concreto sacrifici che crescono con la compressione dei redditi, ma la reazione a tali conseguenze, di cui non va dissimulata la estrema gravit, pu essere attuata nei giudizi, in cui il singolo lavoratore ben potr nei confronti del datore invocare il rispetto del minimo vitale in conformit di ben consolidati orientamenti giurisprudenziali. N va dimenticato che -almeno nei limiti di concor PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25 rente vigenza delle due normative -i compensi elevati sono colpiti non solo dal prelievo definitivo, ma anche dall'onere del prestito forzoso. (omissis) (omissis) Peraltro giova, per quel che concerne l'art. 3 (considerato in s e congiuntamente con gli artt. 1 e 4) porre in evidenza che l'assorbimento, nella normativa del 1977, della contrattazione del settore industriale rappresenta un passo verso l'attuazione del principio di uguaglianza nella materia disciplinata, contro il quale non giova opporre l'interdipendenza dei vari elementi obiettivi del rapporto di lavoro perch ben potranno, se lo credono, le categorie, lese dall'appiattimento, riva: lersi -traverso la contrattazione e, pi a monte, l'esercizio del diritto di sciopero nei modi consentiti dal mos interpretato da questa Corte e dal giudice, cui spetta la funzione di nomofilachia -, sui dati, estranei alla misura della retribuzione, attingendo le auspicate compensazioni >>, alle quali ben potranno i datori di lavoro opporsi con i mezzi delineati negli artt. 3 e 11 legge 604/1966. Che poi l'appiattimento operi in peius e non in melius ponendosi in contrasto con l'ordinamento della derogabilit a favore del solo lavoratore, recepito nell'art. 12 legge 604/ 1966, proposizione, che, non essendo detto principio generale (non assoluto n ancor meno fondamentale) assicurato dalla Costituzione, non coinvolge l'attivit della Corte, che non pu n deve farsi carico delle. offese a detto principio inferte dalle norme impugnate. Le riflessioni, che ne scaturiscono, sono di ordine politico, mentre i conflitti pratici, che possono derivarne, rientrano nella competenza dei giudici delle controversie individuali e, in ipotesi (art. 28 legge 300/1970), sindacali. In ordine agli artt. 23 e 53 da osservare in via preliminare che non l'art. 23, ma l'art. 53 assume ipotetico rilievo nei procedimenti, aventi per oggetto i maggiori corrispettivi relativi al periodo 1 febbraio31 dicembre 1977, poich destinatario delle somme non corrisposte ai lavoratori il Tesoro dello Stato, non gi il contraente datore; ma l'art. 53 non pu dirsi violato nel senso denunciato da alcune ordinanze di rimessione perch la delega a determinare l'utilizzazione delle somme, di cui all'art. 2, primo comma, legge 91/1977, costituisce la conseguenza, e non la premessa, delle disposizioni sulle somme non pi dovute ai lavoratori da parte dei datori di lavoro. Rimane l'art. 39, su cui hanno insistentemente discusso le parti con argomenti a proposito dei quali sufficiente sul piano costituzionale osservare, in aggiunta alla motivazione spesa in punto alla normativa del 1976, che, sino a quando non sar disciplinata la loro registrazione, l'individuazione dei sindacati legittimati alla contrattazione collettiva (collettiva nel senso che alla parola pu essere riconosciuto a seguito della 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO soppressione dell'ordinamento corporativo) non pu non essere affidata al gioco delle forze sociali, che, al di l dei non sempre sussistenti vincoli associativi, si trovano a rappresentare di fatto, e che di cotale esigenza sono stati consapevoli Governo e Parlamento nel dare vita alla normativa del 1977 la quale presta -e non pu non prestare -il fianco a valutazioni, critiche o favorevoli, di estrazione economica, finanziaria e sociale, e fornir motivi di contesa sul quomodo della realizzazione normativa e della concreta attuazione nelle controversie processuali individuali e sindacali, ma non apre utile adito a incidenti di costituzionalit fondati sull'asserito ostracismo decretato alle forze sociali. (omissis) (omissis) La peculiarit dell'incidente, iscritto al n. 453 Reg. ord. 1978, che si posta in rilievo, impone di verificarne l'incidenza sulla fondatezza delle prospettate questioni di costituzionalit in riferimento ai soli artt. 23 e 53 dei quali l'appropriazione senza vincolo di destinazione, da parte dei datori di lavoro, delle somme non corrisposte ai lavoratori dipendenti pone fuori gioco il secondo dappoich beneficiari della operazione sono e, se non interverranno norme di diverso segno, saranno i datori di lavoro, non gi lo Stato al quale le relative somme sono affluite per soli undici mesi (febbraio a dicembre) del 1977. A proposito dell'art. 23, limitatamente -si ripete -ai mesi del 1978 ai quali limitato il giudizio di merito, da osservare che il sacrificio dei lavoratori d luogo ad una sorta di (parziale) rimessione forzata del debito (tacitamente, ma sicuramente accettata dai datori di lavoro; art. 1236 e.e.) e non alla vicenda della datio in solutum, che costituisce la normale fattispecie del testo costituzionale in esame, ma la Corte -a parte la natura formalistica della qualificazione in merito alla quale potrebbesi obiettare che il bene rimesso rimane nel patrimonio del debitore e non va ad impinguare la cassa del creditore -non pu non farsi carico di ci che l'assenza di un qualsiasi vincolo di destinazione delle somme, di cui i datori di lavoro non si spogliano, fornisce materia a dubbi sulla razionalit della normativa, in ordine ai quali lo spartiacque tra il politico-sociale e il giuridico non di ,agevole individuazione. Dubbi, che questa Corte scioglie, allo stato, in senso negativo, anche in considerazione del fatto che l'intervallo di cinque mesi, nei quali costretto il suo giudizio, non permette d'identificare le misure normative. che in qualche guisa siansi in ipotesi sostituite alla carenza di vincoli di destinazione, e, ancor pi, di ponderarne eventuli effetti. Canone di prudenza che ha indotto il giudice delle leggi a non disporre verificazioni e altri mezzi istruttori (artt. 26 a 35 r.d. 27 agosto 1907, n. 642, richiamati, in quanto applicabili, nell'art. 22 legge 11 marzo 1953, n. 87), la cui opportunit si pur profilata nel corso della deliberazione della presente sentenza. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il (omissis) I tre giudici non solo sottopongono alla Corte questioni riflettenti le normative del 1977 e, per l'ordinanza iscritta al n. 444 R.O. 1977, del 1976, relative al divieto di conglobamento nella retribuzione e di ricalcolo in tempi differiti dei miglioramenti retributivi dei lavoratori dipendenti per effetto di variazioni del costo della vita e di altre forme di indicizzazione per la massima parte esaminate con sentenza n. 141/1980 e giudicate infondate, ma denunciano altres l'illegittimft dell'art. 1 del d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, convertito, con modificazioni che non interessano l'art. 2121 e.e., nella legge 91/1977 per aver aggiunto nel secondo comma dell'or menzionato testo la frase (a partire dal 1 febbraio 1977, di quanto dovuto come ulteriori aumenti di indennit di contingenza e di emolumenti di analoga natura scattati posteriormente al 31 gennaio 1977 '>); novellazione, la quale fa s che tali entit pi non faccian parte della indennit di anzianit, disciplinata dall'art. 2120 e.e. e da successive disposizioni normative. (omissis) (omissis) Prendendo l'avvio dalla prospettazione da ultimo riassunta, rileva la Corte che il pretore di Messina ha mosso accusa all'art. 1 d.l. 699/1976, cos come convertito nella legge 797/1976, di violazione degli artt. 4, primo comma, 38 e 45 Cost., per ci che lungi dal promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro, l'assistenza sodale e la mutualit, mortifica tali diritti perch snatura per i soli redditi di puro lavoro, in tutto quanto a quelli di importo lordo annuo superiore a lire 8.000.000, o in parte quanto a quelli di importo superiore a 6.000.000 ma non a 8.000.000, la natura retributiva degli aumenti collegati al costo della vita ai quali la recente legge 11 agosto 1973 n. 533, modificativa del procedimento del lavoro ha dato con l'art. 429 c.p.c. una particolare tutela, redditi per i quali le leggi restrittive denunciate di incostituzionalit impongono con un sistema di imposizione fiscale occulta a carico delle forze attive del lavoro subordinato una imposizione di trattenuta totale o parziale del 50% delle quote di indennit di contingenza e di indennit integrativa speciale a vantaggio congiunto della generalit dei cittadini ed a vantaggio particolare aggiunto e specifico della speculazione privata dei datori di lavoro, che in Telazione agli esborsi per liquidazione dell'indennit di buonuscita -che per giurisprudenza costante ha natura previdenziale ed assistenziale e che come tale non pu essere oggetto di limitazione o di esproprio -alla cessazione del rapporto di lavoro sono soggetti a minori aggravi . Queste argomentazioni, sebbene siano state precedute dalla denuncia di violazione degli artt. 38 e 45 Cost., pongono mente all'art. 1 d.l. 12/1977 assai pi che alla normativa del 1976, e comunque non traggono dagli artt. 38 e 45, che vorrebbero rappresentare il novum rispetto ai parametri, con la menzionata sentenza n. 141/1980 giudicati indenni da 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO violazione, ragioni, che si aggiungano alle altre, che questa Corte non ha reputato idonee a dire offesi gli artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39, 53 della Costituzione. (omissis) (omissis) IL pi ampio ventaglio di parametri stato prospettato nell'incidente iscritto al n. 444/1977, in cui sono posti a base della censura d'illegittimit dell'art. 1 dl. 12/1977 gli artt. 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53, sebbene -lo si or ora rilevato -gli artt. 38 e 45 siano invocati per giustificare il sospetto d'illegittimit dell'art. 1 dl. 699/1976 e sol nel dispositivo della ordinanza vengano collegati all'art. 1 d.l. 12/1977. Nelle difese. delle parti, che hanno affrontato il merito della questione di legittimit, molto si discusso sulla natura -se retributiva o indennitaria -della indennit di anzianit, e non si mancato di trarre da sentenze di questa Corte, nelle quali risuona la eco della pi che semisecolare disputa, argomenti agli opposti mulini, ma la Corte non pu n deve ancorare la decisione della questione, che pi di ogni altra stata fonte di preoccupazioni, all'accoglimento dell'una o dell'altra delle qualificazioni (qualificazioni, tra le quali si sono assai di recente avanzate proposte di contemperamento; il che assai significativo), senza dire che l'indagine qualificatoria si svolge su diverse direttrici a seconda che essa sia riferita alle retribuzioni di carattere continuativo ovvero ad attribuzioni di fine rapporto. N pu la Corte accontentarsi della ricorrente constatazione della progressiva sostituzione, anche al di l dei patrii confini, di altri istituti pi idonei ad adempiez:e alla funzione dell'indennt, ma deve prendere atto di ci che questa non pu essere ridotta ad unum, perch, per contro, si fraziona in numerose specie disegnate nella contrattazione in pi o meno vasta misura collettiva, la cui valutazione rappresenta il quotidiano ministero dei giudici delle controversie individuali di lavoro e, non sempre di rimbalzo, delle controversie previdenziali e assistenziali (esempio perspicuo offerto dalle indennit calcolate a scaglioni). In s varia fenomenologia la Corte, richiamato quanto motivato e deciso in riferimento alle retribuzioni nella sentenza n. 141/1980 con la quale sono stati presi in esame parametri di legittimit comuni alla presente vicenda (artt. 3, 36, 39, 53 Cost.) reputa che non sia precluso al legislatore di ristrutturare l'indennit di anzianit per cui l'eliminazione o il ridimensionamento di particolari componenti dell'indennit stessa non concretano di per s soli lesione dell'art. 36 Cost. Resta fermo per che innovazioni del genere debbono tener conto della quantit e della qualit del lavoro prestato dagli interessati, agli effetti del combinato disposto degli ;:irtt. 3 e 36 Cost. Ora la progressiva esclusione dal computo dell'indennit del punto di contingenza, ad un triennio dalla entrata in vigore della normativa del 1977 che l'ha sancita, non arreca offesa in misura censurabile da questa Corte al criterio della quantit dd lavoro, assunto come durata del rapporto a componente di calcolo PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del quantum dell'indennit, in tali sensi garantito dall'art. 36. Nel futuro l'esclusione stessa, in difetto di congrue compensazioni, rischierebbe di determinare squilibri pi gravi di quelli gi in atto. Ci persuader i reggitori della cosa pubblica a por mano in domani anche non mediato ad adeguati bilanciamenti al fine di evitare offesa non solo agli artt. 3 e 36, ma anche all'art. 38, opportunamente richiamato dal pretore di Messina (sent. n. 26/1980). , insomma, la progressivit del novellato art. 2121, comma secondo, e.e., che pu e deve suonare allarme per i conditores legum anche in relazione alle diverse conseguenze che potrebbero prodursi a carico dei lavoratori penalizzando coloro che percepiscono retribuzioni meno elevate. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 27 novembre 1980 n. 151 -Pres. Amadei - Rel. Andrioli -De Blasis (avv. Di Gravio), Soc. ASIS (avv. Pentimalli) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Fallimento -Sentenza dichiarativa -Opposizione del fallito Termine Dies a quo -Data di affissione della sentenza -Illegittimit costi tuzionale. (Cost., artt. 3 e 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18). L'art. 18, primo comma, del r.d. 16 marzn 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore dalla affissione della sentenza che ne dichiara il fallimento, contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. Il CORTE COSTITUZIONALE, 27 novembre 1980, n. 152 -Pres. Amadei Rel. Andrioli -Fall. Edilcentro Appia Nuova (avv. Marrapese). Fallimento -Sentenza sulle opposizioni a stato passivo -Appello e ricorso per cassazione Termine - Dies a quo -Data di affissione della sentenza -Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99). L'art. 99, quinto comma, del r.d. 16 marza 1942, n. 267, nella parte in cui fa decorrere i termini per appellare e per il ricorso in Cassazione dalla affissione della sentenza resa su opposizioni allo stato passivo, contrasta con l'art. 24 Cast. 30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III CORTE COSTITUZIONALE, 27 novembre 1980, n. 153 -Pres. Amadei - Rel. Andrioli -Soc. l.A.S.M. (avv. Di Gravio). Fallimento -Decreto di chiusura del fallimento -Termine per il reclamo Dies a quo -Data di affissione del decreto -Legittimit costituzionale. (Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 119). L'art. 119, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui fa decorrere il termine per la proposizione del reclamo dalla data di affissione del decreto di chiusura del fallimento, non contrasta con l'art. 24 Cost. IV CORTE COSTITUZIONALE, 2 dicembre 1980, n. 155 -Pres. Amadei - Rel. Andrioli -Bonfanti ~avv. Costa), Mediterranea di assicurazioni (avv. Scognamiglio) e Banca Privata Italiana (avv. Guarino). Fallimento -Liquidazione coatta amministrativa -Stato passivo -Opposizione del creditore in tutto o in parte escluso -Termine - Dies a quo -Data del deposito in cancelleria -Illegittimit costituzionale. (Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 167, art. 209). L'art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che il termine per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorra dalla data del deposito, nella cancelleria del tribunale del luogo dove l'impresa in liquidazione coatta amministrativa ha la sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi o respinti, formato dal commissario liquidatore, anzich dalle date di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento, con le quali il commissario liquidatore d notizia dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono state in tutto o in parte ammesse, contrasta con l'art. 24 Cost. I (omissis) La circostanza che tutte le ordinanze di rimessione pongono in forse la legittimit dell'art. 18, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 in quanto fissa il dies a quo del termine di quindici giorni per l'opposizione del fallito alla sentenza dichiarativa per un verso giustifica la riunione dei quattro procedimenti e per altro verso limita il compito della Corte alla verifica della conformit della norma impugnata ai para , . PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 31 metri ravvisati dal Tribunale di Roma negli artt. 3 e 24 Cost. (gli altri giudici han fatto capo al solo art. 24) per la opposizione del solo fallito. _:g per vero estraneo all'attuale dibattito lo scrutinio dell'art. 18 nella parte in cui fa decorrere dall'affissione il termine per l'opposizione di interessi diversi dal fallito, della vasta congerie, cio, di coloro a carico dei quali operano gli effetti della dichiarazione di fallimento (autori di atti pregiudizievoli ai creditori, parti di rapporti pendenti, creditori non istanti). La precisazione avvia l'indagine intesa a dire fondata 1a questione per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma Cost.: invero, la necessit di trattazione e decisione unitarie della pluralit di opposizioni, in ipotesi proposte da vari legittimati non identificabili a priori, spiega perch nel sistema della legge il termine iniziale sia uno ed unico e ne sia la messa in moto sottratta alla iniziativa degli interessati a rendere irretrattabili gli effetti del fallimento dichiarato. Senonch il diritto di dife sa del debitore, il quale destinatario degli effetti del fallimento in assai maggior misura degli altri interessati alla revoca della sentenza dichiarativa, se non riceve offesa dalla seconda delle ragioni giustificatrici della norma in esame (si vuol dire l'impulso d'ufficio), riesce colpito dalla difficolt della conoscenza effettiva della pronuncia somministrata al debitore dalla affissione, dalla quale pur prende a decorrere il termine di quindici giorni. Allargare, come da questa Corte si giudicato con precedenti pro nunce (sent. 93/1962; sent. 141/1970; ord. 59/1971), l'adagio: vigilantibus, non dormientibus iura suscurrunt non convince, perch tutto sta a ve dere se sia da reputarsi dormiens il debitore che non rispetta il termine decorrente dall'affissione, e la esperienza insegna che la risposta affer mativa quanto meno azzardata. La inidentificabilit, poi, degli altri interessati, se legittima la scelta del legislatore nei limiti in cui ricorre la ripetuta inconoscibilit, non sommnistra utile supporto al dettato normativo nell'ipotesi del debitore, talch ben pu concludersi che la individuazione del dies a quo nella affissione dell'estratto della sentenza , per quel che concerne l'oppo sizione del debitore, priva di razionale fondamento. Infine, la celerit della procedura fallimentare nel suo complesso intesa e la tutela degli interessi dei creditori sono a torto invocate, per poco si consideri che tutti gli effetti del fallimento si producono -a prescindere dalla affissione -a far tempo dalla pronuncia (e cio dalla pubblicazione mediante deposito in cancelleria) della sentenza dichia rativa, la quale esecutiva di diritto e insuscettibile di sospensione, e che la sua revoca non impinge sulla validit degli effetti degli atti legal mente compiuti dagli organi del fallimento. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II (omissis) La denunda, con l quale si pone in forse il dies a quo e non la durata dei termini, di cui all'art. 99, quinto comma, fondata perch la gi avvenuta identificazione delle parti soccombenti e _,_ si aggiunga -vincitrici priva di giustificazione la scelta dell'affissione, quale atto idoneo a far decorrere il termine per l'impugnazione; affissione, la quale spiega il prezzo, imposto al soccombente, della non agevole conoscenza del dies a quo che tale forma di propalazione idonea a somministrare, anche se sorretta da immediata comunicazione del dispositivo non incidente sul corso del termine, sol in processi in cui per un verso le parti -per dirla con l'art. 150 c.p.c. -sono difficilmente i.dentifioabili e per altro verso incalza la necessit di non frazionare la trattazione e la decisione su di una pluralit di pretese in vario modo connesse. Esigenze, che non si avvertono nei giudizi di opposizione allo stato passivo vuoi in secondo vuoi in terzo grado, anche perch la opportunit di riunire ix:i unico processo pi impugnazioni di sentenze di merito potr essere soddisfatta con l'applicazione di ben note norme del codice di procedura civile sino a quando non riterr il legislatore di dettare altra speciale disciplina. Pertanto, l'applicazione della disposizione impugnata si risolve in una menomazione del diritto di difesa priva di giustificazione. (omi$sis) III (omissis) La difficolt di identificare coloro che hanno interesse a proporre reclamo contro il decreto di chiusura, ragione sulla quale non incide la sentenza n. 255/1974, resa dalla Corte sul termine per proporre appello avverso sentenza di omologazione o di rigetto della proposta di concordato, pronunciata tra parti costituite, esclusivamente legittimate all'impugnazione), in una con la esigenza di riunire in unica trattazione camerale .pi reclami di per s sufficiente a non dire lesiva del diritto di difesa degli interessati alla continuazione della procedura fallimentare la scelta del legislatore. Ma non inopportuno soggiungere che nella ipotesi di chiusura, della quale si presenta come possibile alternativa la continuazione della procedura fallimentare (si vuol dire la ipotesi descritta nel n. 4 dell'art. 118), l'art. 121 somministra il rimedio della riapertura a chi si sente pregiudicato dal mancato reclamo avverso il decreto di chiusura. (omissis) IV (omissis) Cos giudicando, la Corte non si pone in contrasto con la sent. 157/1971, con la quale ebbe a dichiarare infondata la questione di costituzionalit dell'art. 98, primo comma, che fissa nella data del PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 33 deposito dello stato passivo fallimentare in cancelleria il dies a quo per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi. Non soccorre, per vero, tra l'art. 98, primo comma e l'art. 201, secondo comma, la identit di ratio, che valga a trasferire a questo le ragioni di conformit di quello al precetto costituzionale. Invero il difetto di natura giurisdizionale della fase riservata alla formazione dell'elenco affidata al liquidatore, non si risolve in diatriba definitoria vuoi perch per un verso l'atto d'insinuazione al passivo fallimentare produce, a sensi dell'art. 94 r.d. 267/1942, gli effetti della domanda giudiziale (a produrre i quali sono inidonee le domande dei creditori dell'impresa in I.e.a., cui l'art. 207, primo comma, riconosce soltanto il significato di mere denunce), vuoi perch il procedimento amministrativo di formazione dello stato passivo, descritto nel combinato disposto degli artt. 207 e 209, prim comma, privo delle garanzie del contraddittorio orale, che assistono l'accertamento del passivo, il quale si articola nella prima fase della formazione dello stato passivo provvisorio (art. 95) e dell'adunanza di sua verificazione (art. 96). Il fatto si che le opposizioni (e le impugnazioni) di cui all'art. 209, secondo comma -a differenza delle opposizioni e delle impugnazioni allo stato passivo fallimentare, la cui affinit con taluni processi a cognizione sommaria stata sottolineata -non rappresentano il secondo stadio di un procedimento uno ed unico, n possono essere inquadrate nello schema della giurisdizione condizionata per non essere l'inserzione' nell'elenco subordinata ad un atto del creditore, ma si definiscono come l'unica sollecitazione dell'esercizio della funzione giurisdizionale a garanzia dei creditori dell'impresa in I.e.a., che si caratterizza per il potere attribuito, in deroga all'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. E, al giudice ordinario di annullare atti dell'autorit amministrativa lesivi di diritti. La circostanza che il mancato esercizio giudiziale del diritto di credito finirebbe con l'attribuire all'atto dell'autorit amministrativa, che lo comprime, efficacia estintiva del diritto stesso, conferma l'esigenza che non all'affissione dell'elenco, ma alla notizia della esclusione totale o parziale del credito comunicata al singolo creditore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, sia riservata la capacit di porre in moto il termine, alla cui inosservanza alla fin fine collegata la perdita del diritto. D'altro canto, la sostituzione di una pluralit di dies a quibus allo unico dies a quo, indicato nell'art. 209, secondo comma, non soffoca la aspirazione del legislatore a riunire la pluralit di opposizioni in unico processo, perch, a differenza delle opposizioni di interessati diversi dal fallito alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, che si sperimentano mediante atti di citazione ad udienza fissa che pongono le opposizioni stesse a contatto prima dei legittimati passivi (curatore e, se vi siano, cTeditori istanti) e poi dell'autorit giudiziaria competente, ,.. _,.,::::: . ' ..,,._,_.,..._:t.,.,,.....,..,... ,.. -..:v~- - 34 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi dall'elenco hanno forma di ricorso al presidente del tribunale, al quale -ammonisce il terzo comma dell'art. 209 -compete la nomina di un giudice per l'istruzione e per i provvedimenti ulteriori, nel rispetto degli articoli 98 e 103 in quanto applicabili. Forma del ricorso, che consentir al presidente di tribunale di procedere alla nomina del giudice istruttore sol dopo la restituzione alla cancelleria del tribunale degli avvisi di ricevimento. Certo -non se lo dissimula la Corte -il dispositivo, che si va ad enunciare, potr dar luogo a non lievi difficolt nella ipotesi, nella specie non ricorrente, di opposizioni e di impugnazioni, per le quali ultime rimane ferma la data del deposito come dies a quo del termine di quindici giorni, ma il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il rispetto delle prerogative del potere legislativo inibiscono di escogitare i rimedi alla Corte, la quale, peraltro, non pu non segnalare i non tanto eventuali inconvenienti al legislatore perch ponga mano agli opportuni rimedi. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1980, n. 177 -Pres. Amadei - Rel. Malagugini -Miliucci (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Ordine e sicurezza pubblica Misure di prevenzione Fattispecie legali predeterminate Necessit. (Cost., artt. 13 e 25; legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1; legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 18). Anche per le misure di prevenzione la fattispecie legale deve permettere di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ci stesso rivolto all'avvenire. Inoltre, le condotte presupposte per l'applicazione delle misure di prevenzione, poich si tratta di prevenire reati, non possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta. Contrasta pertanto con l'art. 25 Cast. l'art. 1 n. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui elenca tra i soggetti passibili delle misure di prevenzione previste dalla legge medesima coloro che per le manifestazioni cui abbiano dato luogo diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere. Non contrasta invece con l'art. 25 Cost. l'art. 18, n. l, della legge 22 maggio 1975, n. 152, nella parte in cui prevede l'applicabilit delle disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575 anche a coloro che operanti in gruppo o isolatamente pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice . PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (omissis) La tematica delle misure di prevenzione ed i relativi problemi sono stati posti all'attenzione di questa Corte sin dall'inizio della sua attivit. Gi con la sentenza n. 2 del 1956, la Corte ebbe ad annunciare alc~i importanti principi, quali l'obbligo della garanzia giurisdizionale per ogni provvedimento limitativo della libert personale e il netto rifiuto del sospetto come presupposto per l'applicazione di siffatti provvedimenti, in tanto legittimi in quanto motivati da fatti specifici. Con la successiva sentenza n. 11 del medesimo anno 1956, la Corte afferm che Il grave problema di assi.curare il contemperamento tra le due fondamentali esigenze di non frapporre ostacoli all'attivit di prevenzione dei reati e di garantire il rispetto degli inviolabili diritti della personalit umana, appare... risoluto attraverso il riconoscimento dei tradizionali diritti di habeas corpus nell'ambito del principio di stretta legalit. Correlativamente, prosegue la Corte nella citata sentenza, in nessun caso l'uomo potr essere priVlato o limitato nella sua libert (personale) se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi sia provvedimento dell'autorit giudiziaria che ne dia le ragioni. La legittimit costituzionale di un sistema di misure di prevenzione dei fatti illeciti, a garanzia dell'ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti, fra i cittadini sempre stata ribadita dalle successive sentenze della Corte (sentenze: n. 27 del 1959; n. 45 del 1960; n. 126 del 1962; n. 23 e n. 68 del 1964; n. 32 del 1969 e n. 76 del 1970) con riferimento agli artt. 13, 16, 17 e 25, terzo comma, Cost.; ora sottolineando ora attenuando il parallelismo con le misure di sicurezza (di cui appunto allo art. 25, terzo comma, Cost.) e perci, ora richiamando l'identit del fine -di prevenzione di reati -perseguito da entrambe le misure che hanno per oggetto la pericolosit sociale del soggetto, ora marcando, invece, le differenze che si vogliono intercorrenti tra di esse. Soprattutto occorre qui ricordare, non tanto l'inciso contenuto nella sentenza n. 27 del 1959, che definisce ristrette e qualificate le categorie di individui cui fa sorveglianza speciale pu essere applicata (art. 1 della legge) (n. 1423 del 1956), quanto la sentenza n. 23 del 1964 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento agli artt. 13, 25 e 27 Cost. . Nella parte motiva di questa sentenza .si legge che nella descrizione delle fattispecie (di prevenzione) il legislatore debba normalmente procedere con diversi criteri da quelli con cui procede nella determinazione degli elementi costitutivi di una figura criminosa, e possa far riferimento anche a elementi presuntivi, corrispondenti, per, sempre, a comportamenti" obiettivamente identificabili. Il che non vuol dire minor rigore, ma diverso rigore nella previsione ASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e nella adozione delle misure di prevenzione rispetto alla prev1s1one dei reati ed alla irrogazione delle pene. Con riferimento specifico ai numeri 2, 3 e 4 dell'art. 1 della legge n. 1423 del 1956, la Corte ha escluso che le misure di prevenzione possano essere adottate sul fondamento di semplici sospetti , richiedendosi, invece, una oggettiva valutazione di fatti da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona o che siano manifestazione concreta della sua proclivit al delitto e che siano state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive e incontrollabili da parte di chi promuove o applica le misure di prevenzione . In coerenza con le precedenti decisioni di questa Corte, va ribadito che la legittimit costituzionale delle misure di prevenzione -in quanto limitative, a diversi gradi di intensit, della libert personale - necessariamente subordinata all'osservanza del principio di legalit e alla esistenza della garanzia giurisdizionale (sent. n. 11 del 1956). Si tratta di due requisiti ugualmente essenziali ed intimamente connessi, perch la mancanzanza dell'uno vanifica l'altro, rendendolo meramente illusorio. Il principio di legalit in materia di prevenzione, il riferimento, cio, ai casi previsti dalla legge, lo si ancori all'art. 13 ovvero all'art. 25, terzo comma, Cost., implica che la applicazione della misura, ancorch legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in fattispecie di pericolosit , previste -descritte -dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro dell'accertamento giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi di pericolosit, che solo su questa base pu dirsi legalmente fondata. Invero, se giurisdizione in materia penale significa applicazione della legge mediante l'accertamento dei presupposti di fatto per la sua applicazione attraverso un procedimento che abbia le necessarie garanzie, tra l'altro di seriet probatoria, non si pu dubitare che anche nel processo di prevenzione la prognosi di pericolosit (demandata al giudice e nella cui formulazione sono certamente presenti elementi di discrezionalit) non pu che poggiare su presupposti di fatto previsti dalla legge e, perci, passibili di accertamento giudiziale. L'intervento del giudice (e la presenza della difesa, la cui necessit stata affermata senza riserve) nel procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione non avrebbe significato sostanziale (o ne avrebbe uno pericolosamente distorcente la funzione giurisdizionale nel campo della libert personale) se non fosse preordinato a garantire, nel contraddittorio tra le parti, l'acertamento di fattispecie legali predeterminate. Si pu, infine, ricordare che l'applicazione delle misure di sicurezza personali, finalizzate anche esse a prevenire la commissione di (ulteriori) reati (e che non sempre presuppongono la commissione di un -precedente -reato: art. 49, secondo e quarto comma e art. 115, secondo PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e quarto comma del codice penale), talch possono considerarsi una delle due species di un unico genus, vincolata all'accertamento delle fattispecie legali dal quale dipende il giudizio di pericolosit, sia tale pericolosit presunta o da accertare in concreto. L'accento, anche per le misure di prevenzione, cade dunque sul sufficiente o insufficiente grado di determinatezza della descrizione legislativa dei presupposti di fatto dal cui accertamento dedurre il giudizio, prognostico, sulla pericolosit sociale del soggetto. Le questioni decidende esigono che questa Corte verifichi la sufficienza nel senso anzidetto degli indici di pericolosit sociale, per usare la terminologia corrente in letteratura, descritti nelle disposizioni di legge denunziate. Al proposito, bene accennare che, sotto il profilo della determinatezza, non affatto rilevante che la descrizione normativa abbia ad oggetto una condotta singola ovvero una pluralit di condotte, posto che apprezzabile pu essere sempre e soltanto il comportamento o contegno di un soggetto nei confronti del mondo esterno, come si esprime attraverso le sue azioni od omissioni. Decisivo che anche per le misure di prevenzione, la descrizione legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ci stesso rivolto all'avvenire. Si deve ancora osservare che le condotte presupposte per l'applicazione delle misure di prevenzione, poich si tratta di prevenire reati, non possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta, talch la descrizione della o delle condotte considerate acquista tanto maggiore determinatezza in quanto consenta di dedurre dal loro verificarsi nel caso concreto la ragionevole previsione (del pericolo) che quei reati potrebbero venire consumati ad opera di quei soggetti. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, deve dichiararsi fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. l, n. 3 ultima ipotesi, della legge n. 1423 del 1956. La .disposizione di legge in esame (a differenza ad esempio di quella di cui al n. 1 del medesimo art. 1), non descrive, infatti, n una o pi condotte, n alcuna manifestazione cui riferire, senza mediazioni, un accertamento giudiziale. Quali manifestazioni vengano in rilievo rimesso al giudice (e, prima di lui, al pubblico ministero ed alla autorit di polizia proponenti e segnalanti) gi sul piano della definizione della fattispecie, prima che su quello dell'accertamento. I presupposti del giudizio di proclivit a delinquere non hanno qui alcuna autonomia concettuale dal giudizio stesso. La formula legale non svolge, pertanto, la funzione di una autentica fattispecie, di individuazione, cio, dei casi 38 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (come vogliono sia l'art. 13, che l'art. 25, terzo comma, Cost.), ma offre agli operatori uno spazio di incontrollabile discrezionalit. N per la ricostruzione della fattispecie pu sovvenire il riferimento al o ai reati della cui prevenzione si tratterebbe. La espressione proclivi a delinquere usata dal legislatore del 1956 sembrerebbe richiamare l'istituto della tendenza a delinquere di cui all'art. 108 del codice penale, ma l'accostamento sul piano sostanziale non regge, posto che la dichiarazione prevista da quest'ultima norma presuppone l'avvenuto accertamento di un delitto non colposo contro la vita o l'incolumit individuale e dei motivi a delinquere, tali da far emergere una speciale inclinazione al delitto; e l'indole particolarmente malvagia del colpevole. Nel caso in esame la proclivit a delinquere deve, invece, essete intesa come sinonimo di pericolosit sociale, con la conseguenza che fintera disposizione normativa, consentendo-l'adozione di misure restrittive della libert personale senza l'individuazione n dei presupposti n dei fini specifici che le giustificano, si deve dichiarare costituizonalmente ilJegittima. Le stesse considerazioni di cui ai punti 4 e 5, conducono a dichiarare, invece, non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 18, n. 1, della legge 22 maggio 1975, n. 152. (omissis) (omissis) Se vero, infatti, che il legislatore del 1930, obbedendo a sollecitazioni .Politiche dell'epoca, aveva ritenuto di allargare l'area del tentativo punibile redigendo il testo dell'art. 56 del codice penale, non meno vero che gran parte della dottrina e della giurisprudenza hanno dimostrato l'illusoriet del proposito che, con quel mezzo, si intendeva attuare. Ci perch atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto se l'idoneit di un atto pu denotare al pi la potenzialit dell'atto a conseguire una pluralit di risultati, soltanto dall'inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa pu dedursi la direzione univoca dell'atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall'agente. Dottrina e giurisprudenza indicano nell'art. 115 del codice penale la disposizione che integra, ovvero conferma l'anzidetta interpretazione dell'art. 56 del codice penale, per quanto attiene alle condizioni e ai limiti di rilevanza del tentativo punibile. Dal medesimo art. 115 del codice penale, d'altra parte, si deduce anche la (possibile) rilevanza per l'ordinamento di atti che ancora non sono esecutivi di una fattispecie criminosa, ma che, a partire dalla prima manifestazione esterna del proposito delittuoso, predispongono i mezzi e creano le condizioni per il delitto. Si tratta, appunto, degli atti preparatori, che vengono presi in considerazione dal citato art. 115 cod. pen. in via normale per l'applicazione di misure di sicurezza, fatti salvi i casi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE in cui, in via di eccezione, la legge li preveda come figure autonome di reato. Si pu dunque dire che la distinzione tra tentativo punibile ed atto preparatorio certamente percepibile e che l'atto preparatorio consiste in una manifestazione esterna del proposito delittuoso che abbia un carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura di reato. Se cos , difficile negare che le fattispecie descritte dall'art. 18, n. l, della legge n. 152 del 1975 abbiano i necessari requisiti di determinatezza. Gli atti preparatori, infatti sono riferiti ad una pluralit di figure di reato tassativamente indicate, sottolineandosi in tal modo l'accennato carattere strumentale dell'atto preparatorio medesimo, sottolineatura ulteriormente ribadita con l'inciso obiettivamente rilevanti , che richiama non solo e non tanto il dato, ovvio, della rilevanza esterna dell'atto quanto la sua significativit rispetto al fine delittuoso perseguito dallo agente. Infine, gli atti preparatori devono essere finalizzati al sovvertimento dell'ordinamento dello Stato e della sussistenza di questo requisito dovr darsi la prova nel caso concreto. Deve, quindi, ritenersi sufficientemente determinata la fattispecie di pericolosit di cui all'art. 18, n. l, della legge n. 152 del 1975, la cui latitu dine rispecchia una scelta che compete solo al legislatore. Quanto alle difficolt che possono insorgere nell'applicazione di questa come di altre disposizioni normative, non spetta a questa Corte n proporne una sistemazione n indicarne la soluzione. ::, peraltro, evidente che gli atti preparatori di cui all'art. 18, n. l, della legge n. 152 del 1975 in tanto possono venire in considerazione per l'applicazione di misure di prevenzione in quanto non costituiscano figure autonome di reato (ci si riferisce, in particolare, ai reati associativi) e che il materiale probatorio ritenuto inidoneo o insufficiente per fondare una affermazione di responsabilit in ordine a taluna di siffatte figure di reato non pu essere diversamente valutato quando si tratti di accertare, per l'appli cazione di misure di prevenzione, la sussistenza del medesimo atto preparatorio. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 gennaio 1981, n. 1 -Pres. Amadei -Rel. Gionfrida -Massa ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Stampa -Segreto giornalistico -Esonero dal dovere di testimonianza -Insussistenza. (Cost., artt. 3 e 21; cod. proc. pen., artt. 348, 351 e 372; legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 2). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le situazioni di esonero dal dovere di testimonianza trovano giustificazione nell'esigenza di salvaguardare interessi di rango costituzionale ritenuti dal legislatore ordinario prevalenti, in esito a giudizio di bilanciamento, rispetto al contrapposto interesse della giustizia; l'interesse protetto dall'art. 21 Cast. non in astratto superiore a quello parimenti fondamentale della giustizia. D'altro canto, il segreto giornalistico si differenzia dai segreti elencati nell'art. 351 cod. proc. pen. in quanto protegge la sola fonte e non anche la notizia, ed in quanto tende solo al miglioramento delle possibilit info~mative, presenti e future, di chi la notizie raccoglie. (omissis) Il punto di iniziale riferimento rappresentato dal codice di procedura penale del 1913 (art. 248) che innov il sistema del precedente codice di procedura penale del 1865, il quale, escludendo dall'obbligo di testimoniare anche ogni altra persona a cui per ragioni del suo stato o della sua professione od ufficio fu fatta confidenza di qualche segreto (art. 288), attuava la coincidenza tra la disciplina processuale e quella sostanziale. Il citato art. 248 del codice del 1913 restrinse invece (ai soli ministri di culto; notai, avvocati, procuratori; medici, chirurghi; farmacisti, levatrici e ogni ,altro ufficiale sanitario) i soggetti esonerati dall'obbligo di testimoniare, rispetto ai soggetti passibili della violazione della norma di diritto sostantivo (art. 163 cod. pen. 1889) relativa .alla violazione del segreto professionale. Come si osserv in sede di lavori preparatori (v. Relazione Ministeriale al progetto del 1905) si volle, infatti, con tale sistema detto della specificazione , che fosse escluso che possano invocare il segreto testimoni venuti a notizia di fatti determinati nell'esercizio delle loro professioni od occupazioni, ma non gi nell'esercizio di funzioni o professioni per le quali il segreto sia caratteristico ed anzi necessario a vantaggio di chi, a tutela della sua coscienza e dell'onor suo e degli altri, costretto a confidarsi . Sottolineandosi che le confidenze determinate da ragioni diverse da queste (segreti di arte, d'industria, o dipendenti da qualsiasi :altra relazione) avranno protezione nei rapporti sociali, giusta disposizione di cavattere penale, ma non dinanzi alle esigenze della giustizia e al dovere di testimonianza, che, nel conflitto, deve ritenersi prevalente . I codici del 1930 hanno appunto conservato tale differenziazione. Cosicch, mentre nell'art. 622 cod. pen. ha 'ribadito la punibilit di chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato od ufficio o della propria profesisone o arte, di un segreto lo rivela senza giusta causa, l'art. 351, cod. proc. pen., ha sostanzialmente ripetuto J.'elencazione li fj~ mitativa (di cui gi al citato art. 248 del vecchio cod. proc. pen.) delle ili i:= I' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE categorie esonerate dal dovere di testimonianza sancito dall'art. 348 cod. proc. pen. I fondamentali criteri ispiratori della disciplina cos articolata non appaiono in contrasto con i precetti della sopravvenuta Costituzione repubblicana. Per un verso, il dovere di testimonianza in funzione dell'interesse generale alla realizzazione della giustizia, il cui rilievo costituzionale questa Corte ha pi volte riconosciuto (cfr. sentenze n. 18 del 1966; 114 del 1968; 175 del 1980), e per altro verso le situazioni di esonero ex art. 351 cit. si fondano, come appresso sar chiarito, su una comune esigenza di riservatezza attinente a sfere di interessi pure di rango costituzionale che, nelle fattispecie considerate, il legislatore ritiene prevalenti, nel giudizio di bilanciamento, rispetto al contrapposto interesse della giustizia. Emerge dunque con evidenza da tale ricostruzione il carattere tassativo delle ipotesi eccezionali di esonero dal dovere della testimonianza ora elencate nell'art. 351 cod. proc. pen. E si delinea ail.tres con analoga chiarezza la regola valevole per tutti gli altri tipi ,di segreto professionale non considerati dall'art. 351 cod. proc. pen. -non solo quindi per il segreto giornalistico -della non opponibilit in sede processuale. Configurandosi, quindi la testimonianza sui fatti confidati non gi come violazione, sibbene come giusta causa di rivelazione del segreto, che come tale esonera da qualsiasi responsabilit anche giuridica. In tale contesto normativo -quale, del resto, anche dai pretori remittenti correttamente interpretato -si pone il problema di legittimit della disciplina del segreto giornalistico, quanto alla sua mancata proiezione sul piano processuale. Dei profili di costituzionalit prospettati, e di cui innanzi fatto cenno, precede, in ordine logico, quello relativo alla ipotizzata violazione del precetto dell'eguaglianza. La questione cos posta, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, non pu dirsi, di per s considerata, avere fondamento, poich le situazioni comparate non sono eguali e neppure latamente omogenee, ma invece diverse sotto pi profili, strutturali e funzionali. Ed, invero, gi sul piano strutturale il segreto giornalistico si differenzia dai segreti elencati nell'iart. 351 cod. proc. pen., in quanto protegge la sola fonte e non anche la notizia: che anzi viene confidata al giornalista proprio perch egli la divulghi. Di modo c~e l'eventuale riconoscimento di un diritto del giornalista a non rivelare anche in sede processuale l'identit del confidente realizzerebbe una situazione ben diversa da quella prevista dall'art. 351 cit. Si avrebbe piuttosto un'assimilazione alla disciplina processuale del c.d. segreto di polizia di cui all'art. 349, ultimo comma, cod. proc. pen. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 42 Per altro, le due situazioni -degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, da un lato, e dei giornalisti professionisti e degli editori dall'altro resterebbero pur sempre differenti, sia per la diversit degli interessi che si vorrebbero tutelare, sia perch la disciplina del segreto di polizia caratterizzata dal divieto di acquisizione della notizia di cui non si intende rivelare la fonte, mentre, nel caso del giornalista, la notizia normalmente gi stata divulgata. Anche sotto il profilo funzionale non ha consistenza il paragone del segreto giornalistico con i casi previsti dall'art. 351 cod. proc. pen. In questi si riscontra, come si accennato, la considerazione della esigenza di riservatezza in correlazione a quella del soddisfacimento di interessi fondamentali di chi fornisce la notizia; ;nel senso che la conoscenza di questa strumentale per la prestazione in favore di colui che ne ha bisogno. Il quale non potrebbe non confidarsi senza sacrificare di regola interessi costituzionalmente garantiti. E la normativa in esame appunto dettata per assicurare in pari tempo il soddisfacimento di questi ultimi e la tutela della riservatezza. Il segreto giornalistico, invece, non coinvolge esigenze del genere. L'informazione del confidente non ha carattere strumentale nell'ambito di un rapporto avente per oggetto prestazioni che il giornalista debba fornirgli, ma tende al miglioramento delle possibilit informative, presenti e future, di chi la notizia raccoglie. Di fronte a tali plurimi elementi di diversificazione, non pu dirsi di per s irrazionale la diversit di tutela sul piano processuale tra il segreto giornalistico e gli altri segreti previsti nell'art. 351 cit. Quanto al rilievo dei pretori di Roma e Cagliari -che il diritto di informarsi, quale presupposto della libert di manifestazione del pensiero, alla cui pi completa attuazione il segreto giornalistico appare finalizzato, si pone, rispetto all'esigenza contrapposta di giustizia, con peso non minore di quello attribuibile agli interessi relativi ai segreti tutelati dall'art. 351 cod. proc. pen. - da osservare che il problema, cos posto, non pu essere visto se non in correlazione al ruolo del segreto giornalistico rispetto al diritto di informazione ed alla posizione di quest'ultimo nel giudizio di bilanciamento con l'interesse della giustizia. Vale a dire con riguardo all'ulteriore profilo di costituzionalit relativo all'asserita violazione dell'art. 21 della Costituzione. In quest'ottica viene appunto prospettato che il segreto giornalistico trovi Ja sua copertura nel diritto all'informazione, presupposto della libert di manifestazione del pensiero, in quanto destinato ad ampliare i canali informativi ed a garantire le condizioni migliori per la loro continuit e fluidit. In considerazione di tale copertura costituzionale, collegata per di pi ad un valore cardine del sistema democratico, il principio di segretezza si collocherebbe nella specie su un piano superiore rispetto alle esi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE genze di giustizia; ove alternativamente non si ritenga che la funzione di informazione assolta dall stampa -ed appunto agevolata dal meccanismo di tutela dell'anonimato delle fonti fiduciarie -si ponga rispetto alla detta funzione di giustizia in rapporto non di antagonismo ma di collaborazione. In ogni caso, prevalente o coordinato che sia con l'interesse di giustizia, il diritto all'informazione, aspetto della pi ampia libert garantita dall'art. 21 della Costituzione, resterebb vulnerato ove il segreto giornalistico non ricevesse riconoscimento e tutela in sede processuale, in deroga al dovere di cui all'art. 348 cod. proc. pen. Anche sotto tale profilo la questione non fondata. Non si vuole invero disconoscere l'esistenza di una vera e propria libert di cronaca dei giornalisti (comprensiva dell'acquisizione delle notizie) e di un comune interesse all'informazione, quale risvolto passivo della libert di manifestazione del pensiero (sul che v. gi implicitamente le decisioni di questa Corte n. 105 del 1972; 225 del 1974; 94 del 1977), n il ruolo (anch' esso gi posto in luce: nelle sentenze n. 172 del 1972 e 122 del 1970) svolto dalla stampa come strumento essenziale di quella libert; che , a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione. Sta di fatto, per, che J'interesse protetto dall'art. 21 della Costituzione non in astratto superiore a quello parimenti fondamentale della giustizia: nei cui confronti stato anzi ritenuto cedevole nelle concrete situazioni giuridiche esaminate dalla precedenti sentenze n. 25 del 1965 e n. 18 del 1966. Di talch, nel conflitto tra tali due istanze (conflitto non certo denegabile nel momento in cui l'accertamento della verit di dati fatti suscettibile di essere ostacolato se non impedito dal segreto che potesse essere mantenuto dal giornalista sulla fonte di notizie in suo possesso in ordine ai fatti stessi), deve essere appunto il legislatore nella sua discrezionalit a realizzare la ragionevole ed equilibrata composizione degli opposti interessi. Spetta, cio al legislatore valutare se il segreto giornalistico sia talmente essenziale o di effettiva utilit strumentale alle esigenze dell'informazione al punto da prevalere -e in quali limiti -sugli interessi della giustizia, tanto pi che tra questi va considerato, oltre J'interesse all'accertamento della verit, anche quello alla difesa da parte dei soggetti attinti dalle notizie divulgate, e che, per altro verso, le esigenze dell'informazione involgono anche un interesse alla controllabilit delle notizie giornalistiche sia da parte dei lettori che degli altri operatori della stampa, la cui possibilit di concorrente accesso alle notizie stesse condizione di un effettivo pluralismo dell'informazione. Pertanto le questioni sollevate non sono fondate, n con riguardo all'art. 3 n all'art. 21 della Costituzione. 44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO P. Q. M. dichiara non fondate le questioni (...) di legittimit costituzionale: -del combinato disposto degli articoli 2 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), 348, secondo comma, e 351 del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude il giornalista dall'esenzione di testimoniare , in riferimento all'art. 21 della Costituzione; -dell'art. 351 cod. proc. pen., nella parte in cui non enumera fra le persone che hanno il diritto di astenersi dal testimoniare i giornalisti e gli editori, in riferimento agli articoli 3 e 21 della Costituzione; -dell'art. 372 codice penale, nella parte in cui punisce chi, avendo diffuso notizie attraverso la stampa ed altri mezzi di comunicazione, si rifiuta di deporre sulla fonte di quelle notizie, in riferimento all'art. 21 della Costituzione. CORTE COSTITUZIONALE, 28 gennaio 1981, n. 2 -Pres. Amadei -Rei. Bucciarelli Ducci. Pacco (n.p.). Ordinamento giudiziario -Ausiliari del magistrato -Tutela della indipendenza -Non si estende. (Cost. art. 108; legge 1 dicembre 1956. n. 1426, artt. 2, 3 e 4). La tutela dell'indipendenza dei giudici sancita dall'art. 108 non si estende agli ausiliari del magistrato, applicandosi invece solo a quegli estranei che siano chiamati a partecipare alla funzione giurisdizionale (come ad esempio i componenti laici delle corti d'assise, dei tribunali dei minorenni, delle sezioni specializzate agrarie, ecc.) (1). CORTE COSTITUZIONALE, 28 gennaio 1981, n. 4 -Pres. Amadei -Rei. La Pergola-Torlonia (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Propriet -Immobili adibiti ad albergo, pensione o locanda -Vincolo alberghiero -Compatibilit con la Costituzione -Proroga ex art. 5 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460 -Irragionevolezza. (Cost., art. 3; d.1. 27 giugno 1967, n. 460, art. 5). (1) Il principio affermato dalla Corte (con riguardo ai consulenti tecnici, agli interpreti e ai traduttori) conduce a superare le perplessit da taluno manifestate in ordine alla legittimit costituzionale di quelle disposizioni che -specie nei processi amministrativi e tributari -consentono al giudice di avvalersi, ai fini istruttori, dell'operato di organi della amministrazione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Sconfina oltre il ragionevole esercizio della discrezionalit legislativa un'ulteriore proroga di vincolo alberghiero disposta in epoca nella quale erano venute meno le esigenze che avevano giustificato l'introduzione del vincolo stesso; l'art. 5 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628, contrasta con l'art. 3 Cast. (omissis) Quale esso configurato nella legislazione che lo ha originariamente previsto ed stata successivamente prorogata, il vincoJo in questione grava sugli immobili adibiti ad albergo per destinazione del proprietario o per concessione risultante dal contratto d'affitto; tale destinazione fissata dalla legge col prescrivere che l'immobile non possa essere n venduto n dato in locazione per uso diverso da quello alberghiero senza l'autorizzazione degli organi competenti, l'autorizzazione concessa solo se risulti accertato che la destinazione alberghiera non sia necessaria alle esigenze del movimento turistico (analoga disposizione dettata per il caso, contemplato nell'art. 2 del r.d.l. 16 giugno 1938, n. 1280, in cui l'albergo si trovi in un edificio che non abbia prevalente destinazione alberghiera); dove si accerta, invece, che la destinazione alberghiera necessaria per i fini considerati dalla legge, la pubblica autorit, alla quale compete la suddetta autorizzazione, viene investita di altri poteri, diretti ad assicurare che ogni eventuale trasferimento o locazione dell'immobile avvenga nel rispetto del regime vincolistico. Sempre in conformit degli intenti perseguiti dal legislatore, locatori e locatari degli immobili interamente o prevalentemente destinati ad aJbergo sono, dal canto loro, assoggettati ad oneri di vario contenuto. Ora, nell'ordinanza di rinvio non si nega -al contrario, si riconosce pienamente -che l'incidenza della disciplina test descritta nella sfera spettante all'iniziativa economica o alla propriet privata possa trovare qualche idoneo supporto nella Costituzione. La previsione del vincolo alberghiero -ritiene, precisamente, il giudice a quo -sarebbe, per un verso, riconducibile ai programmi e ai controlli che la Jegge determina, ai sensi dell'art. 41, terzo comma, Cost., per indirizzare l'attivit economica, non importa se pubblica o privata, e coordinarla ai fini sociali; per altro verso -se si guarda all'immobile adibito ad albergo non gi come elemento dell'azienda alberghiera, ma come <:= (omissis) I& ,.. ~---.'' . ' ' J 11a1r1111.11111r11111r11r1111r1tr11r~rr1111tr111r11r111111rw6.i SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE. DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 14 gennaio 1981, nella causa 140/79 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mayras Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Castell'Arquato nella causa Chemial Farmaceutici S.p.A. (avv. Ubertazzi e Capelli) c. Daf S.p.A. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti) e Commissione delle CC.BE. (ag. Abate). Comunit europea -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali interne discriminatorie -Regime fiscale dell'alcool denaturato -Insussistenza. (Trattato e.E.E., art. 95; d.l. 6 ottobre 1948, n. 1200; d.l. 16 settembre 1955, n. 836; legge 18 agosto 1978, n. 506, art. 3). Non contrasta con l'art. 95, primo comma, del trattato C.E.E. un sistema fiscale che consista nel tassare l'alcool sintetico denaturato in misura maggiore dell'alcool di fermentazione denaturato, in funzione della materia prima e dei procedimenti impiegati per la fabbricazione dell'uno o dell'altro prodotto, purch tali disposizioni siano applicate in maniera identica a queste due categorie di alcool originario degli altri Stati membri. L'applicazione di un siffatto sistema impositivo non pu essere considerata come una protezione indiretta della produzione nazionale di alcool di fermentazione, ai sensi dell'art. 95, secondo comma, per il solo fatto che essa ha come conseguenza che il prodotto tassato in misura maggiore , in pratica, un prodotto esclusivamente importato dagli altri Stati membri della Comunit qualora, a causa della tassazione dell'acool sintetico, non abbia potuto svilupparsi nel territorio nazionale una produzione redditizia di questo tipo di alcool (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 6 settembre 1979, pervenuta in cancelleria il 10 settembre successivo, il Pretore di Castell'Arquato ha sottoposto alla Corte di giustizia due questioni relative all'interpretazione (lJ Nello stesso senso la sentenza in pari data nella causa 46/80, S. A. VINAL c. s. A. 0RBAT. Nel commentare la sentenza della Corte di Giustizia del 27 febbraio 1980 nella causa 169/78 (in questa Rassegna, 1980, I, 272), si osserv che appariva necessario un ulteriore approfondimento della questione relativa alla determinazione dei criteri in base ai quali pu ritenersi conforme ai principi dell'art. 95 del 48 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'art. 95 del Trattato C.E.E., al fine di poter valutare la compatibilit con gli imperativi del Trattato del regime d'imposizione diferenziata applicato, in forza del decreto legge 6 ottobre 1948, n. 1200, modificato dal decreto legge 16 settembre 1955, n. 836, e dell'art. 3 della legge 18 agosto 1978, n. 506, all'acool etilico sintetico denaturato e all'acool etilico di fermentazione denaturato. 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di una causa civile vertente sull'esecuzione di un contratto stipulato il 18-27 luglio 1978 fra l'attrice, la S.p.A. Chemial Farmaceutici, ed un'impresa produttriceimportatrice di alcool, la S.p.A. DAF, e avente ad oggetto la fornitura di una partita di alcool sintetico denaturato importato. 3. -Risulta dal fascicolo che nel luglio 1978 la Chemial ordinava alla DAF un piccolo quantitativo di alcool sintetico denaturato. La DAF attirava l'attenzione della Chemial sul fatto che l'acool di sintesi era soggetto a un diritto erariale speciale di L. 6.000 l'ettanidro, mentre sull'alcool di fermentazione da essa prodotto, perfettamente fungibile con l'alcool sintetico richiesto, gravava un diritto erariale di sole 1.000 lire l'ettanidro. Poich, tuttavia, la Chemial insisteva nel chiedere, per ragioni tecniche, alcool di origine sintetica, la DAF le offriva, con lettera 18 luglio 1978, tale merce al prezzo (di) Lire 30.000 per ettanidro comprensivo del Diritto Erariale Speciale (Lire 6.000 per ettanidro) . La Chemial accettava l'offerta con lettra 27 luglio 1978, in cui si faceva riferimento al prezzo Lit. 30.000 per ettanidro comprensivo del Diritto Erariale Speciale. In base al contratto, la merce andava ritirata entro il 15 settembre 1978. trattato CEE un regime fiscale che, in luogo di stabilire, per un determinato prodotto, un'aliquota unica e indifferenziata, preveda aliquote discriminate in funzione, ad esempio, della materia prima impiegata o dei procedimenti di fabbricazione. La sentenza in rassegna offre un contributo di rilevante importanza al definitivo chiarimento del problema. Viene ribadito, anzitutto, in termini nettissimi, che il diritto comunitario non limita la libert di ciascuno Stato membro di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti in funzione di criteri obiettivi, come le condizioni di produzione e i componenti impiegati. Un sistema di questo genere pu, peraltro, risultare incompatibile, in singoli casi, con l'ordinamento della Comunit. Ma ci pu accadere soltanto se esso persegue scopi di politica economica in conflitto con specifici imperativi del trattato o del diritto derivato, ovvero se esso sia tale, per le sue concrete modalit di applicazione, da realizzare, in maniera diretta o indiretta, una forma di discriminazione nei confronti dei prodotti importati dagli altri Stati membri, ovvero una forma di protezione dei prodotti nazionali concorrenti. Applicando tali principi al caso di specie, stato riconosciuto, per quanto attiene al primo punto, che la scelta del legislatore italiano di incentivare la disti! PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 49 4. - assodato che, con la legge 18 agosto 1978, il diritto erariale sull'alcool sintetico denaturato veniva aumentato a 12.000 lire l'ettanidro. Con lettera 7 settembre 1978, la DAF ne informava la Chemial, pregandola di considerare annullata l'offerta del 18 luglio 1978, a meno che non intendesse sobbarcarsi l'onere della maggiore imposta. La Chemial insisteva per l'esecuzione del contratto secondo i termini convenuti, rilevando che l'aumerrto dell'imposta, trattandosi nella fattispecie di alcool sintetico importato, era illegittimo perch contrastante con le disposizioni della Comunit Europea. Successivamente, essa esperiva dinanzi al giudice civile competente un'azione intesa ad ottenere l'esecuzione del contratto. 5. -Dinanzi al giudice nazionale, la Chemial sviluppava gli argomenti relativi all'asserita incompatibilit dell'imposta controversa con il Trattato C.E.E., richiamandosi in particolare alla sentenza della Corte 10 ottobre 1978 (causa 148/77, Hansen & Balle; Racc. pag. 1787). La DAF si difendeva sostenendo che, siccome il contratto poneva espressamente l'onere tributario a carico del compratore, quest'ultimo doveva, secondo i termini convenuti, sopportare qualsiasi aumento intervenuto tra la conclusione e l'esecuzione del contratto. Quanto all'asserita illegittimit della riscossione dell'imposta di cui trattasi, la DAF sottolineava che toccava alla Chemial dedurre tale illegittimit dinanzi alle autorit competenti onde ottenere il rimborso del tributo. 6. -Il Pretore, dopo aver constatato la differenza di trattamento fiscale istituita dalla legge italiana tra l'acool sintetico, prodotto importato che non viene fabbricato in misura rilevante in Italia e, l'alcool !azione dei prodotti agricoli rispetto alla fabbricazione di alcool sintetico (a base di derivati del petrolio) non contrasta con alcuna norma del diritto comunitario, n con le esigenze di alcuna politica decisa nell'ambito della Comunit. Per quanto attiene, poi, al secondo punto, da sottolineare particlarmente l'affermazione della Corte secondo cui non pu dedursi il carattere discriminatorio o protezionistico di un sistema di tassazione ad aliquote differenziate dalla semplice circostanza che, all'interno, il prodotto tassato in maniera pi onerosa non venga di fatto fabbricato. Tale circostanza, infatti, pu ben costituire (come nella specie costituisce) il semplice effetto di legittime scelte di politica economica attuale per mezzo dello strumento fiscale. Ed , evidentemente, da escludere che la legittimit o la illegittimit di una misura fiscale possa dipendere dal successo odall'insuccesso della manovra di politica economica nella quale la misura stessa si inserisce. Sarebbe veramente paradossale, infatti, assumere che un certo regime di tassazione volto a disincentivare una determinata produzione sia legittimo soltanto se fallisca almeno in parte il suo scopo, ossia se lascia sussistere una notevole parte della produzione che s'intendeva ostacolare. La disposizione dell'art. 95 del trattato certamente esclude che uno Stato membro possa imporre un tributo pi elevato su gruppi di prodotti che, per ragioni oggettive (naturali, climatiche, tecniche o d'altro genere), siano di impos RASSEGNA DELL'AVVOCATURA J>ELLO STATO di fermentazione, ha considerato che la soluzione preliminare della questione relativa alla compatibilit di detta legge con il Trattato C.E.E. pu avere importanza determinante ai fini della decisione della causa dinanzi ad esso pendente. Esso ha pertanto deciso di sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali cos formulate: 1) A. Se l'art. 95, primo comma, del Trattato di Roma, debba essere interpertato in modo da far ritenere illecito, e quindi vietato, un sistema di tassazione nazionale che preveda l'applicazione, su un prodotto importato dalla C.E.E. (alcool etilico sintetico esclusivamente destinato, dopo la sua denaturazione, ad uso chimico-industriale e quindi non atto all'alimentazione umana) di una tassa speciale di gran lunga superiore a quella applicata su un prodotto nazionale avente uguali caratteristiche e la stessa posizione doganale (22.08/300) (alcool etilico di fermentazione, ugualmente destinato dopo la sua denaturazione ad uso chimicoindustriale e non atto all'alimentazione umana) per il solo fatto che la materia prima, da cui i due tipi di alcool sono rispettivamente estratti, diversa e quindi diverso il metodo di estrazione. B. Se l'eventuale illegittimit segnalata nel quesito di cui sopra, sussista anche se il sistema di tassazione nazionale non colpisca teoricamente in modo discriminatorio lo stesso prodotto con riferimento alla materia prima da cui estratto, per cui sia l'alcool etilico sintetico di importazione sia quello di produzione nazionale sono tassati nella stessa misura, e analogamente, tanto l'alcool etilico di fermetazione importato quanto quello di produzione nazionale dovrebbero scontare la medesima tassa. sibile o difficilissima fabbricazione nel proprio territorio. L'introduzione, nella classificazione fiscale, di una sottocategoria di questo genere potrebbe effettivamente giustificare un'accusa di discriminazione illecita. Ma ci riguarda, appunto, il solo caso di produzioni obiettivarrfonte impossibili, per ragioni tecniche o anche soltanto economiche. In ogni caso deve restar fermo, invece, che, poich l'art. 95 non limita l'autonomia fiscale degli Stati membri, questi ben possono riservare un diverso trattamento a prodotti (tutti di potenziale o effettiva produzione nazionale) che possano considerarsi fra loro identici o similari. Ci pu costituire, infatti, lo strumento di una legittima manovra di politica economica, intesa a distinguere, fra le varie possibili produzioni nazionali, quelle da aiutare e quelle, invece, da disincentivare. Naturalmente, poi, il concreto conseguimento dello scopo perseguito, e cio l'effettivo rarefarsi della produzione disincentivata nop pu tradursi in un motivo di critica per il sistema o di accusa di discriminazione. ben chiaro, infatti, che l'imposizione differenziata ostacola, in primo luogo, proprio la possibile produzione nazionale e, quindi, non crea alcun problema di parit di trattamento con la prodtZione di altri Paesi comunitari, che viene ad incontrare, nel suo tentativo di penetrare nel mercato interno, lo stesso identico ostacolo che incontra la corrispondente produzione nazionale, e non un ostacolo pi elevato o, comunque, pi oneroso. M. CONTI PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 2) In caso di risposta negativa aJ quesito n. 1 e in via subordinata, se l'art. 95, secondo comma, del Trattato di Roma, debba essere interpretato in modo da far ritenere i1lecito e quindi vietato -perch protettivo della produzione nazionale ai danni di quella comunitaria un sistema nazionaile di tassazione applicato secondo i criteri di cui al aJ quesito n. 1 e sui prodotti menzionati in detto quesito, tenuto conto che il prodotto pi gravemente tassato (alcool etilico sintetico) viene esclusivamente importato da~i altri Paesi della C.E.E., mentre quello meno tassato (alcool etilico di fermentazione) viene prodotto in Italia ed in concorrenza con il primo. (omissis) (omissis) 10. -L'attrice nella causa principale assume che l'applicazione di un'aliquota d'imposta differenziata all'alcool di fermentazione e, rispettivamente, all'alcool sintetico il quale, in assenza di qualsiasi produzione in Itailia, viene esclusivamente importato, costituisce una manifesta discriminazione fiscale, vietata dall'art. 95 del Trattato. In effetti, si tratterebbe di prodotti non solo similari ai sensi di detto articolo, ma addirittura identici e quindi fungibili, di guisa da poter essere usati l'uno al posto dell'altro senza alcuna difficolt. Secondo l'attrice, tale trattamento fiscaile differenziato stato istituito dalla legge italiana unicamente per servire una politica protezionistica incompatibile con il mercato comune. Essa ricorda a questo proposito il criterio stabilito dalla Corte nella sentenza 17 febbraio 1976 (causa 45/75, Rewe-Zentrale; Racc. pag. 181), nella quale dichiarato che il rapporto di similarit, ai sensi de11'art. 95, sussiste tra i prodotti che nella stessa fase produttiva o distributiva, [...] abbian,o agli occhi del consumatore propriet analoghe e rispondano alle medesime esigenze . 11. -Il punto di vista de11'attrice condiviso dalla Commissione, secondo cui i due tipi di cui trattasi, nonostante fa loro diversa origine -l'alcool sintetico deriva, in particolare, dal petrolio, mentre ~'alcool di fermentazione si ottiene mediante distillazione di prodotti del suolo (cereali, vino, frutta, patate, barbabietole e melasse) -sono chimicamente identici e perfettamente fungibili. Questi due prodotti sarebbero pertanto non solo similari, ma addirittura identici tra loro sotto il profilo dei bisogni ch'essi sono idonei a soddisfare. Entrambi i tipi d'alcool sarebbero peraltro compresi nella stessa sottovoce doganale, 22.08 A, con la designazione alcool etilico denaturato di qualsiasi gradazione. La differenza nell'aliquota d'imposta contemplata dalla Jegge italiana per l'alcool sintetico denaturato, da un lato, e l'alcool di fermentazione denaturato, dall'altro, avrebbe l'effetto, poich in Italia non si produce alcool sintetico, di impedire praticamente I'importazione di questo prodotto dagli altri Stati membri e di privilegiare direttamente la produzione nazionale di alcool di fermentazione. La Commissione ritiene pertanto che l'alcool sintetico denaturato importato dagli altri Stati membri dovrebbe, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 52 in quanto prodotto simhle all'alcool di fermentazione denaturato, fruire della stessa aliquota d'imposta applicata a quest'ultimo. 12. -Il Governo italiano ricorda che, in numerose sentenze, la Corte ha dichiarato che gli stati membri possono istituire sistemi impositivi differenziati, anche per prodotti identici, in funzione di criteri obiettivi, come Ie condizioni di produzione e le materie prime impiegate (sentenza 22 giugno 1976, causa 127/75, Bobie, Racc. pag. 1079; sentenza 10 ottobre 1978, causa 148/77, Hansen, Race, pag. 1787; sentenza 8 gennaio 1980, causa 21/79, Commissione e/ Italia, Racc. pag. 8). Secondo la giurisprudenza della Corte, siffatti regimi sarebbero compatibili col Trattato se stabiliti in funzione di elementi oggettivi e privi di carattere discriminatorio o protezionistico. 13. ::__ Orbene, il regime contestato dinanzi al giudice nazionale avrebbe tali requisiti. Infatti, l'imposizione differenziata dell'alcool sintetico e dell'ailcool di fermentazione in Italia sarebbe dovuta ad una scelta economica consistente nel favorire la produzione di alcool ottenuto da prodotti agricoli, e, correlativamente, nel frenare la trasformazione in alcool dell'etilene, derivato del petrolio, allo scopo. di riservare questa materia prima ad altri impieghi economici prioritari. Si tratterebbe pertanto di U111a legittima scelta di politica economica, realizzata mediante lo strumento fiscale. L'attuazione di questa politica non provocherebbe alcuna discriminazione, poich, se ha l'effetto di scoraggiare fimportazione in Italia di alcool sintetico, ha nel contempo come conseguenza d'impedire lo sviluppo nell'Italia stessa, della produzione di alcool a base di etilene la quale, dai! punto cli vista tecnico, sarebbe del tutto possibile. 14. -Come la Corte ha ripetutamente affermato, in particolare nelle sentenze citate dal Governo italiano, i,l diritto comunitario non limita, nello stadio attuale della sua evoluzione, fa libert di ciascuno Stato membro di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti in funzione di criteri obiettivi, quali la natura delle materie prime impiegate o i procedimenti di fabbricazione seguiti. Siffatte differenziazioni sono compatibili col 1diritto comunitario purch perseguano scopi di politica economica compatibili, anch'essi, con gli imperativi del Trattato e del diritto derivato e le loro modalit siano tali da evitare qualsiasi forma di discriminazione, diretta e indiretta, nei confronti dei prodotti importati dagli altri Stati membri, e di protezione a favore di prodotti nazionali concorrenti. 15. -Un'imposizione differenziata come quella applicata in Italia all'alcool denaturato, da un fato, e all'alcool di fermentazione denaturato, dall'altro, soddisfa tali condizioni. Risulta infatti che questo regime fi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE scale persegue un legittimo scopo di politica industriale, in quanto idoneo ad incentivare la distillazione di prodotti agricoli rispetto a1la fabbricazione di alcool a_base idi derivati del petrolio. Tale scelta non contrasta n con le norme del diritto comunitario n con le esigenze di una politica decisa nell'ambito della Comunit. 16. -Le modalit della normativa contestata dinanzi al giudice nazionale non possono essere considerate discriminatorie sia perch non contestato che l'alcool di fermentazione importato dagli altri Stati membri gode dello stesso trattamento fiscale riservato all'alcool di fermentazione italiano, sia perch l'aliquota d'imposta contemplata per l'alcool sintetico, se ha a'effetto di frenare l'importazione di questo prodotto dagli altri Stati membri, produce un effetto economico equivalente nel territorio nazionale in quanto frena del pari la creazione di una produzione redditizia del medesimo prodotto da parte dell'industria italiana. 17. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale Van!l.10 pertanto risolte nel senso che non contrasta con l'art. 95, 1 comma, dcl Trattato CEE, un sistema fiscale che consista nel tassare l'alcool sintetico denaturato in misura maggiore dell'alcool di fermentazione denaturato, in funzione della materia prima e dei procedimenti impiegati per fa fabbricazione dell'uno e dehl'altro prodotto, purch tali disposizioni siano applicate in maniera identica a queste due categorie di alcool originario degli altri Stati membri. 18. -L'applicazione di un siffatto sistema impositivo non pu essere considerata come una protezione indiretta della produzione nazionale di alcool di fermentazione, ai sensi dell'art. 95, secondo comma, per il solo fatto che essa ha come conseguenza che il prodotto tassato in misura maggiore , in pratica, un prodotto esclusivamente importato dagli altri Stati membri de1la Comunit qualora, a causa della tassazione dell'alcool sintetico, non abbia potuto svilupparsi nel territorio nazionale una produzione redditizia di questo tipo di alcool. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 giugno 1980, n. 3805 -Pres. Rossi - Rel. Buffoni -P. M. Silocchi (cono!. parz. diff.). Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (avv. Stato Ferri) De Monaco Abaldo (avv. Pasini) ed Ente italiano di servizio sociale. Competenza civile -Divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro Pretesa del lavoratore in ordine all'applicazione, nei confronti di Amministrazione dello Stato, delle disposizioni della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 -Improponibilit della domanda per difetto assoluto di giurisdizione. (Regolamento di giurisdizione). E' improponibile per difetto assoluto di giurisdizione la domanda del lavoratore tendente ad ottenere l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 1 ovvero dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, nei confronti di Amministrazione dello Stato . Il divieto di interposizione nei rapporti di lavoro nei riguardi delle Amministrazioni dello Stato. 1. -Confermando con una norma di pi ampia portata e con pi efficaci sanzioni il divieto della interposizione ed intermediazione nei rapporti di lavoro, gi posto dall'art. 2127 del cod. civ., l'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, considera varie ipotesi di affidamento in appalto, subappalto ed in qualsiasi altra forma dell'esecuzione di mere prestazioni di lavoro, ed indica quale elemento rivelatore della interposizione fittizia nel rapporto l'impiego di capitali, macchine ed attrezzature fornite dal committente. Come riconosce la Corte di Cassazione nella sentenza di cui sopra sub 1, rimangono estranee alle previsioni della legge le amministrazioni dello Stato, nei confronti delle quali improponibile, per difetto assoluto di giurisdizione, la domanda del lavoratore tendente ad ottenere l'applicazione delle sanzioni previste dall'ultimo comma dell'art. 3 della legge medesima. Invero, il terzo comma dell'art. 1 estende l'applicazione delle disposizioni dei precedenti commi soltanto alle aziende dello Stato ed agli altri Enti pubblici, anche se gestiti in forma autonoma. Appare discutibile se tale estensione alle disposizioni dei precedenti commi e facendo salvo quanto disposto dal successivo articolo 8 comprenda la sanzione prevista dall'ultimo comma dello stesso art. 1 che dispone che i lavoratori occupati in violazione della norma vengano considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro pre PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTION! DI GIURISDIZIONE 55 Il CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1980, n. 4789 -Pres. Novelli - Rel. Vela -P. M. Berri (concl. conf.) -Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato (avv. Stato Sernicola) c. Caleo ed altri (avv: Tiby) e nei confronti della Soc. Cooperativa Navigazione Garibaldi (avv. Romanelli). Giurisdizione civile -Poteri della Corte di Cassazione in ordine alla interpretazione della domanda giudiziale -Azienda autonoma dello Stato Violazione del divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro -Pretesa del lavoratore di esser considerato quale dipendente dell'Azienda Giurisdizione del giudice amministrativo -Mancanza di una specifica domanda in tal senso -Giurisdizione del giudice ordinario. (Regolamento di giurisdizione). In materia di giurisdizione la Corte di cassazione giudice anche del fatto ed ha potere di valutare direttamente il comportamento processuale delle parti e di interpretarne le domande. La pretesa del lavoratore che affermi di essere stato assunto in violazione del divieto previsto dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, di essere considerato quale tiipendente da Azienda autonoma dello Stato rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo. stazioni ; ma l'interpretazione accolta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione nel senso che tale sanzione sia applicabile anche nei confronti delle Aziende autonome e degli enti suindicati (vedasi Cass., Sez. Un., 5 agosto 1974, n. 2330, in Foro it., 1974, I, 3334 e segg. e giurisp. in nota). 2. -La cit. sentenza n. 2330 del 1974 aveva per attribuito al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti la violazione del divieto in considerazione da parte di ente pubblico e la conseguente pretesa dei lavoratori di esser considerati alle dirette dipendenze dell'ente. Tale orientamento stato poi abbandonato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e con la sentenza del 1 ottobre 1979, n. 5019 (Giust. civ., .1980, I, pagg. 122 e segg.) stata riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a domande del genere. Il nuovo indirizzo giurisprudenziale nella motivazione della cit. sentenza n. 5019 del 1979, viene giustificato con le seguenti considerazioni: -che, ai fini della distinzione fra rapporto d'impiego pubblico e rapporto di lavoro privato in funzione di riparto delle giurisdizioni ormai affermato il criterio secondo cui decisiva la natura dell'ente datore di lavoro, non rilevando n la forma dell'atto costitutivo del rapporto (provvedimento o atto negoziale), n la disciplina del rapporto, che ben pu essere privatistica senza che per questo il rapporto muti il carattere impressogli dall'essere parte di esso un ente (non economico) ... ; -che secondo le norme della legge sopra citata il rapporto si costituisce [...] ope legis, e tale costituzione, anche se accertata giudizialmente a distanza di 56 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda del lavoratore dipendente da appaltatore di ottenere dalla appaltante da Azienda autonoma dello Stato il pagamento del corrispettivo dovuto per l'opera prestata ai sensi dell'art. 1676 cod. civ. III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 ottobre 1980, n. 5684 -Pres. Rossi - Rel. Santosuosso P. M. Saja (concl. conf.) -Azienda autonoma delJe ferrovie dello Stato (avv. Stato De Francisci) c. Girandoli ed altri (avv. Paoli) e nei confronti de11a Soc. r.I. Cooperativa tra lavoratori G. Tortiolo (n.c.). Competenza civile Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Impiego pubblico Assunzione di lavoratore in violazione del divieto di !Intermediazione nel rapporto di lavoro Azienda autonoma dello Stato Giurisdizione del giudice amministrat!lvo. Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di lavoratori inquadrati nei ruoli di azienda autonoma dello Stato, in conseguenza dell'assunzione da parte della medesima della gestione diretta di servizi prima affidati in appalto ad imprese private, tendente ad ottenere il riconoscimento nei confronti dell'Azienda, per l'asserita violazione del divieto di intermediazione nei rapporti di lavoro, del diritto ad ulteriori compensi per l'attivit prestata prima dell'inquadramento alle dipendenze dell'impresa appaltatrice. tempo, deve ritenersi riferita al momento in cui stato posto in essere il congegno elusivo del divieto di interposizione: invero, ci che determina la costituzione del rapporto la effettiva utilizzazione, da parte dell'interponente o appaltante, delle prestazioni svolte dai lavoratori occupati in violazione dei divieti posti dalla legge: e tale fatto viene da quello stesso momento [...] dalla legge valutato come idoneo a trasformare soggettivamente il rapporto, mediante sostituzione del datore di lavoro effettivo a quello apparente ; -che si tratta di un atto di per s neutro, ma ci che conta l'effetto legale da esso dipendente, e questo , appunto, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato [...] alle dipendenze, nel caso, di un ente pubblico non economico ; -che a tale rapporto deve attribuirsi un carattere pubblicistico se attua una inserzione del prestatore d'opera... nella organizzazione propria dell'ente (e non nell'eventuale impresa da esso gestita per perseguire fini esclusivamente economici); e ci alla stregua della recente acquisizione, secondo cui elemento caratterizzante del rapJ?orto apJ?unto l'inserimento del diJ;>endente nell'organizzazione J?Ubblicistica dell'ente, cos abbandonandosi l'indirizzo che quell'elemento ravvisava nella correlazione tra la prestazione lavorativa e i fini istituzionali (Cass., 10 novembre 1977, n. 4838; 19 dicembre 1977, n. 5523) " " Punto di arrivo di tale evoluzione -aggiunge la motivazione della c1t. sentenza - l'abbandono, siccome incongruo e privo di una razionale giustificazione, PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 57 IV PRETURA DI ROMA, Sez. Lav., 19 dicembre 1979 -Est. Curcuruto -Boccaccini ed altri (avv. Antonucci e Andreozzi) c. Soc. Magneti Marelli (avv. Trifir, A.!lldreotti e Mancuso) ed Azienda Autonoma delle Fer:rovie dello Stato (avv. Sernicola). Competenza civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Azienda autonoma dello Stato -Assunzione della gestione diretta di servizi prima affidati in appalto ad imprenditore privato ed inquadramento nei ruoli dell'Azienda dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore Controversia tra lavoratori ed imprenditori concernenti le qualifiche da attribuire per il lavoro prestato prima dell'inquadramento -Intervento coatto dell'Azienda nel processo -Inammissibilit dell'intervento non potendo la sentenza del giudice ordinario spiegare effetti sugli atti di inquadramento la cui illegittimit potrebbe essere denunciata soltanto al giudice amministrativo. Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la pronunzia circa la legittimit degli atti di inquadramento nei ruoli di azienda autonoma dello Stato, disposto in seguito all'assunzione da parte della medesima della gestione diretta di servizi prima affidati in appalto ad imprese private. E' inammissibile per difetto del requisito della comunanza della lite l'intervento coatto della predetta azienda nel giudizio che venga promosso dai lavoratori contro l'appaltatore per il riconoscimento del diritto a determinate qualifiche e maggiori retribuzioni per il lavoro prestato p_rima dell'inquadramento. del criterio discretivo della giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego sulla base della forma dell'atto istitutivo del rapporto, per ritenere costituito il rapporto stesso quando questo abbia in concreto spiegato i suoi effetti attraverso le rispettive prestazioni, date e ricevute nell'ambito dell'organizzazione e per i fini pubblicistici dell'amministrazione (sent. 26 maggio 1979, n. 3070) . 3. -L'art. 8 della cit. legge n. 1369 del 1960 disponeva che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta dei Ministri per le finanze, per i trasporti, per le poste e le telecomunicazioni e per il lavoro e la previdenza sociale, sarebbero state emanate le norme per la disciplina dell'impiego di manodopera negli appalti concessi dalle Amministrazioni autonome delle Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato e delle Poste e Telecomunicazioni [...], tenendo conto delle esigenze tecniche delle Amministrazioni stesse [...]. Con d.P .R. 22 settembre 1961, n. 1192, stata confermata l'estensione (art. 1) alle predette Amministrazioni del divieto di cui all'art. 1 della cit. legge del 1960 ed in relazione alla disposizione dell'art. 3 della medesima stata prevista (art. 2 del d.P.R.) l'inserzione nei contratti di una particolare clausola che garantisca un equo trattamento ai lavoratori. Il legislatore ha poi proceduto ad una ricognizione della situazione concernente i vari servizi, prima affidati ad imprese appaltatrici, determinando quelli RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) La De Monaco sostiene che estranea alla decisione di questo incidente la questione sollevata dal ricorrente in mdine a1l'interpretazione della 1legge 25 ottobre 1960, n. 1369, artt. 1 e 3 e quindi alla costituzione o meno di un rapporto di lavoro con 11 Ministero. Questo Collegio, secondo l'assunto della resistente, dovrebbe limitarsi a stabilire se il rapporto abbia natura pubblica o pri.vata in base alla situazione di fatto e di diritto da lei indicata. La tesi si riporta alla teoria della prospettazione che queste S.U. hanno da tempo abbandonato per adottare l'indirizzo secondo iJ quale la decisione della questione di giurisdizione data dall'oggetto della domanda valutata con il criterio del c.d. petitum sostanziale, il quale esige la verifica della effettiva consistenza che la posizione soggettiva prospettata o il rapporto dedotto assumono nell'ordinamento giuri.dico. La prima fase della verifica riguarda la qualificabilit della situazione soggettiva vantata come diritto o interesse ovvero la esistenza di una norma da cui possa sorgere il rapporto sul quale la domanda fondata. Il risultato negativo di tale indagine si risolve nella constatazione della inesistenza di una qualsiasi astratta volont di Jegge, che esclude ogni possibilit per il giudice di estrarre una volont concreta dall'ordinamento sicch la domanda improponibile per assoluto diretto di giurisdizione. Pertanto la decisione da adottare in questa sede, passa, innanzi tutto, sul punto dell'applicabilit dalla legge n. 1369/1960 allo Stato, applicabi1it che il Ministero contesta con fondamento. che possono essere assunti in gestione diretta dall'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato (vedansi le leggi 29 ottobre 1971, n. 880, con l'allegata tabella contenente l'indicazione di 26 categorie di servizi; 7 gennaio 1974, n. 5, per il servizio di carica, manutenzione, ecc., di accumulatori; 6 giugno 1975, n. 197, per i lavori di manipolazione di traverse presso i cantieri delle ferrovie ed altri indicati dalla stessa legge; per la gestione di mense aziendali stata, invece, ammessa la concessione a ditte private ovvero la gestione diretta od, infine, l'affidamento del . servizio alle sezioni del Dopolavoro ferroviario: art. 5 della legge 5 giugno 1973, n. 348). In senso conforme al nuovo orientamento della giurisprudenza di cui sopra sub 2 la sentenza 22 ottobre 1980 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha cassato senza rinvio la impugnata sentenza del Tribunale di Firenze, dichiarando che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di lavoratori gi dipendenti di Societ cooperativa che eseguiva in appalto saldature di rotaie ed altri lavori (dei quali stata poi assunta la gestione diretta prevista dalla cit. legge n. 180 del 1971) tendente ad ottenere ai sensi della cit. legge n. 1369 del 1960 la condanna dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato al pagamento di varie somme per retribuzioni ed indennit dovute per il periodo anteriore all'inquadramento nei ruoli del personale dell'Azienda. Analogo criterio enunciato nella motivazione della sentenza n. 4789 del 22 luglio 19~0, emessa su ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, che PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 59 Le norme direttamente coinvolte sono quelle dehl'art. 1 (in relazione alla domanda principale) e dell'art. 3 (in relazione alla subo:ridinata). La prima al quarto comma stabi.lisce che il divieto di intermediazione e di interposizione di cui ai precedenti comma, si applica altres aLla azienda dello Stato ed agli enti pubblici, anche se gestiti in fo11ma autonoma , ed al quinto comma dispone che i prestatori d'opera, occupati in violazione di tale divieto, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze de]l'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni . L'art. 3,con riferimento ad appalti leciti di opere o servizi, da eseguirsi all'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, prevede per i lavoratori da esso dipendenti un trattamento retributivo e normativo non inferiore a quello spettante ai 'dipendenti dell'imprenditore; e di questo e dell'appaltatore stabilisce la solidariet per l'adempimento dei detti obblighi e di quelli derivanti dalle Jeggi di previdenza ed assistenza. Va premesso che, sebbene l'art. 3 non contenga una norma analoga a quella del quarto comma dell'art. 1, i destinatari della normativa in esame sono gli stessi. Va pure precisato che, diversamente da quanto sostiene hl ricorrente, il congegno di cui al quinto comma dello stesso art. 1, ha portata sanzionatoria del divieto posto in via generale (S.U., n. 2330/1974). Peraltro, l'applicazione indiscriminata del:le predette disposizioni a tutte le amministrazioni statali esclusa dal chiaro testo legislativo. tuttavia riconosce la giurisdizione del giudice ordinario nella particolare fattispecie, escludendo, in seguito ad una interpetazione della domanda giudiziale, che nel giudizio sia stata chiesta l'applicazione della sanzione prevista dall'ultimo comma dell'art. 1 della legge del 1960 sopra citata. In fine, nella sentenza del 19 dicembre 1979 emessa del Pretore di Roma stata riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ad ogni eventuale questione concernente la legittimit degli atti di assunzione dai sensi della cit. legge n. 5 del 1974 di lavoratori prima impiegati da Societ appaltatrice di servizi di manutenzione di accumulatori che avevano chiesto l'attribuzione di qualifiche superiori affermando di aver svolto le mansioni corrispondenti. In tale giudizio il contraddittorio era stato in un primo tempo esteso alla Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, ma, con la sentenza suindicata, il Pretore ha riconosciuto che i ricorrenti, divenuti parte di un rapporto di pubblico impiego a seguito degli atti normalmente costitutivi del medesimo, avrebbero dovuto denunciare tempestivamente al giudice amministrativo la eventuale illegittimit dell'inquadramento ove non fosse stata rispettata la corrispondenza delle mansioni ed ha aggiunto che in nessun caso la stessa sentenza potrebbe esplicare effetti sugli atti che costituiscono il rapporto di impiego pubblico dei ricorrenti >>, escludendo l'ipotesi di comi.inanza di causa e... di necessario litisconsorzio . EMILIO SERNICOLA 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IJ fatto che Je aziende dello stato e gli enti pubblici siano considerati separatamente ed in questo ordine, palesa che ,la seconda categoria non pu essere comprensiva anche dello Stato, come i,l primo degli enti pubblici, poich esso contemplato distintamente in precedenza e limi tatamente alle sue aziende. Il che impone di individuarle alla stregua della Joro precisa identit. Esse, anche quando sono istituite presso i Ministeri, sono svincolate dalla organizzazione di questi ed il complesso dei mezzi materiali e per sonali di cui dispongono, pur facendo parte dell'amministrazione statale lato sensu, assume sul piano organizzativo una configurazione aziendale di tipo privatistico in funzione di un'attivit imprenditoriale indirizzata a conseguire fini economici. L'ambito di applicazione della legge perci circoscritto ail.le aziende di Stato cos identificate. Tale 'risultato interpretativo si consoHda sul piano logico considerando che l'estensione della normativa trova giustifi cazione razionale solo rispetto ad entit che abbiano caratteristiche e fina lit omogenee alJa naturale categoria soggettiva destinataria della nor mativa medesima (imprenditori). Argomento di conferma della tesi che si espone si trae dall'art. 8 della legge che ha operato riduttivamente nel campo applicativo del set tore delle aziende di Stato includendovi le Aziende autonome deihle Fer rovie, dei Monopoli e delle Poste e telecomunicazioni nella sola ipotesi che entro sei mesi non fosse attuata la delega al Governo per l'emanazione di disposizioni particolari (in effetti emanati con il d. pres. n. 1152/1961). Pertanto, essendo insussistente nella Jegge 1360/1960 una previsione astratta che consenta di attuare in concreto le situazioni soggettive vantate dagli attori (rapporto di Iavoro diretto con Jo Stato o responsabilit solidale di esso per l'adempimento delle obbligazioni su precisate), le correlative domande debbono dichiararsi improponibili per difetto assoluto di giurisdizione. Le questioni di costituzionalit proposte dalla De Monaco, per le esposte considerazioni, difettano del rloro presupposto (sussistenza della giurisdizione ordinaria e amministrativa per la stessa controversia). La controversia, relativa al rapporto di impiego costituito tra la De Monaco e l'EISS, persona giuridica privata, appartiene al giudice ordinario. (omissis) II (omissis) L'Amministrazione propone due questioni. Essa sostiene, anzitutto, che le domande sono nei suoi confronti improponibiH per difetto assoluto di giurisdizione, in quanto non esiste alcu~a norma che dia tutela alla situazione donde esse traggono origine, essendo inapplicabili alle Amministrazioni dello Stato sia l'art. 1, quin PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE to comma, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, il quale, in caso di violazione del divieto di interposizione fittizia nei rapporti di lavoro, impone di considerare i lavoratori a tutti gli effetti dipendenti dell'imprenditore che ne abbia utilizzato la prestazione; sia il successivo art. 3, che obbliga in solido committente ed appaltatore di opere o servizi da eseguirsi con organizzazione e gestione dell'appaltatore stesso, a corrispondere ai lavoratori da costui assunti un trattamento minimo inferiore a quello spettante ai dipendenti del committente. Infatti, sostiene l'Azienda ferroviaria, non un caso che l'art. 8 dellla legge stessa prevedesse l'emanazione di apposite norme per Ja disciplina dell'impiego di manodopera negli appalti concessi dalle Amministrazioni delle Ferrovie, dei monopoli e delle poste e telecomunicazioni, poich la possibilit di una pronuncia costitutiva di rapporti di favoro con tali organismi implicherebbe un'inammissibhle ingerenza del giudice ordinario nell'attivit amministrativa: tanto ci vero che venne poi emanato il d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, cui fecero seguito la legge 3 novembre 1963, n. 1443, Ja quale consent l'inquadramento in ruolo soltanto a quei Javoratori che avessero presentato tempestiva domanda in tal senso, nonch le leggi 29 ottobre 1971, n. 880, 5 giugno 1973, n. 343, 6 giugno 1975, n. 197, le quali determinarono i servizi che essa Azienda pu assumere in gestione diretta. Aggiunge la ricorrente che comunque, poich la Societ Garibaldi gestisce un servizio pubblico in base ad una concessione e poich gli attori denunciano violazioni di norme giuridiche incidenti sulla legittimit di detta concessione, la causa avrebbe dovuto promuoversi innanzi al giudice amministrativo, giusta l'art. 3 Jegge 6 dicembre 1971, n. 1034. Entrambe ~e questioni sono infondate. In 011dine a quella appena menzionata, basta dire che nell'oggetto della causa non rientra il rapporto tra Ferrovie dello Stato e Societ, dal mo~ento che non solo nessuna di queste parti ha proposto domanda alcuna contro l'altra, ma la prima ha persino dichiarato di intervenire in giudizio per sostenere nel proprio interesse le ragioni della seconda. Quel rapporto solo il pacifico fatto storico dal quale gli attori derivano la tesi della solidariet fra Je convenute, sicch non neppure necessario darne, qui, la definizione giuridica. E se J'assetto economico in esso stabilito dovesse risultare alterato dall'accoglimento delle domande perch provocherebbe un aumento dei costi di gestione del servizio assunto dalla Societ, ci sarebbe conseguenza non gi del comportamento delle parti all'interno del rapporto, ma dell'azione esterna di terzi, quali sono gli attori. Quanto all'altra questione, appare evidente che se difetto assoluto di giurisdizione si ha quando l'irrilevanza giuridica dell'interesse sostanziale addotto dalla parte sia indiscutibile per la sicura mancanza di una norma, o di un principio che lo tuteli (SS.UU., 6 giugno 1960, n. 1434; 23 marzo 1964, n. 659 o, pi recentemente; 23 febbraio 1979, n. 1197; 1 dicem RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bre 1978, n. 5678; 22 febbraio 1978, n. 863), esso non ricorre nel caso di specie, sia perch gli attori hanno chiesto la condanna dell'Amministrazione ferrov1aria in solido con la Societ richiamar.JJdosi -a torto o a ragione quanto dovr stabilirsi in sede di merito -aJI'art. 1676 cod. civ., che consente ai dipendenti dell'appaltatore di agire, entro certi limiti, direttamente contro il committente per conseguire quanto loro dovuto in corrispettivo dell'opera prestata; sia perch , sotto vari profili, tutt'altro che incontrovertibile ed incontroversa, checch ne pensi la resistente societ Garibaldi, l'assoluta sottrazione del lavoro nautico alla disciplina risultante daJ:la legge n. 1369 del 1962 e del decreto presidenziale n. 1192 (la possibilit di applicare quella disciplina stata prospettata daJlo stesso giudice ed ha formato oggetto di vivo dibattito fra Je parti). Senonch codesti rilievi, se bastano a stroncare il tentativo di anticipare la trattazione innanzi a questa Corte di questioni che invece attendono ancora di essere affrontate dai giudici. del merito, non esauriscono tutti i problemi di giurisdizione che dato cogliere nella specie e che, essendo rilevabili d'ufficio (art. 37, primo comma, cod. proc. civ.), vanno affrontati in questa sede maJgrado non siano stati sollevati espressamente dalle parti. Se, inve.ro la ragione per cui le domande sono state rivoJte anche contro le Ferrovie dello Stato stesse unicamente nel fatto che queste sono committenti del servizio gestito dalla Societ, e se tutto si riducesse, dunque, nella verifica della relazione esistente fra J'art. 1676 cod. civ. l'art. 3 de1la legge del 1960 e J'iart. 2 del decreto previdenziale del 1961, e nel giudizio sull'applicabilit alla specie dei principi che conseguentemente ne sono deducibili, la giurisdizione del giudice ordinario sarebbe fuori discussione, noto essendo che, salvo specifiche eccezioni, a lui spetta la cognizione dei diritti di credito, indipendentemente dalla qualit pubblica o privata dell'asserito debitore. Invece nell'atto introduttivo del giudizio quel1a ragione delineata in modo ambiguo, poich sembra che gli attori attribuiscano all'Amministrazione anche il ruolo di loro effettiva datrice di ilavoro, per avere stipulato i contratti di arruolamento e per trarre utilit dalle prestazioni che essi rendono sulle navi. E di tale secondo profilo non potrebbe occuparsi il giudice ordinario, in quanto il rapporto dei dipendenti ,dell'Amministrazione ferroviaria da qualificare come impiego pubblico, e quindi assoggettato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a norma degli artt. 2, lett. a) e 7 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (sent. 19 ottobre 1976, n. 3594), sia che se ne alleghi la diretta costituzione ad opera della pubblica amministrazione (la quale, peraltro, ad onta di quel che reputano gli attori, pu provvedervi anche senza ricorrere a formali atti di nomina, ma inserendo con atti equipollenti il lavoratore nelJa propria organizzazione), sia che 1se ne chieda l'accertamento al giudice, in applicazione dell'art. 1 delJa citata legge n. 1369 del .PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1960 (come ha ritenuto un recente innovativo orientamento, segnato dalla sentenza 1 ottobre 1979, n. 5019, che qui va ribadito). Tuttavia, ai fini di una compiuta definizii.one del regolamento non appare indispensabile tradurre codesto rilievo in apposita statuizione che distingua i profiLi delle domande proponibili innanzi al giudice ordinario e quelli proponibili innanzi al giudice amministrativo, perch un attento esame degli atrti di causa dimostra come in realt gli attori abbiano inteso prospettare solo una situazione dalla quale emergesse la corresponsabilit dell'Amministrazione per un debito contratto dalla Societ. Essi, correggendo l'originaria impostazione nel corso del giiudizio, hanno tenuto a sottolineare che le foro pretese non traggono origine dai contratti di arruolamento, bens da quelli di lavoro stipulati con la Garibaldi , dalla quale vengono retribuiti (v. pagg. 10 e 11 deUa memoria redatta il 17 gennaio 1979, su invito del Pretore, ove viene richiamata anche la sentenza 15 foglio 19.64, n. 1900, con la quale questa Corte ha ritenuto possibile la coesistenza del contratto di arruolamento con quello di lavoro comune). E, dopo aver ammesso, nella stessa memoria, che l'Amministrazione non pu ritenersi responsabile di violazione dell'art. 2 del decveto presidenziale n. 1192 del 1961, perch non dato riscontrare che avesse mancato di inserire nel contratto di appalto clausole dirette ad assicurare loro il trattamento previsto dalla contrattazione collettiva, hanno sostenuto che in tanto la si deve riteneve parte effettiva dei rapporti di favoro, in quanto essa fornisce in gran parte, rimanendone anche proprietaria le attrezzature per l'espletamento del servizio (v. pag. 7 della citata memoria). Senonch non si sono anzitutto avveduti che logica conseguenza di codesta impostazione l'inconfigurabilit di una corresponsabildt della Garibaldi, per cui avrebbero dovuto integrare l'originaria domanda di condanna solidale di entrambe le convenute con quella, alternativa, di condanna della sola Amministrazione ferroviaria. In secondo luogo, non hanno contestato Ja veridicit dell'affermazione dell'Avvocatura dello Stato -corroborata con Ja produzione dei capitolati d'appalto -secondo cui la Societ fornisce Je provviste inerenti ai servizi di mensa e ristoro, riscuote il prezzo delle consumazioni e percepisce un contributo dall'Amministrazione. In base a tale comportamento processuale, che questa Corte pu direttamente valutare in quanto in materia di giurisdizione essa giudice anche del fatto, non pu dirsi che gli attori abbiano offerto sufficienti elementi per ritenere prospettabile, nella specie, l'ipotesi delineata nell'art. l, comma terzo, della legge n. 1369 del 1969, dell'appaltatore, cio, che impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante: il capitale occorrente per lo svolgimento del servizio sulle navi-traghetto risulta pur sempre investito dalla Societ, anche se non deve estendersi a procurare alcune attrezzature che si trovano gi a bovdo delle navi; ed ancora la Societ che organizza e RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 64 gestisce a proprio rischio il servizio stesso, assumendosene la responsabilit verso le Ferrovie. Resta dunque confermata, sotto ogni profilo, la giurisdizione del giudice ordinario. L'inammissibilit del controricorso degli attori, la delicatezza delle questioni trattate, nonch l'infondatezza delle radicali tesi sostenute dall'amministrazione ferroviaria e dalla Societ, impongono di dichiarare integralmente compensate fra tutte Ie parti le spese del regolamento. (omissis) III (omissis) L'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato censura anzitutto la sentenza non definitiva del Tribunale laddove non ha tenuto conto che, se dovesse applicarsi nella specie l'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, ci comporterebbe una modificazione del rapporto di lavoro, poich la legge considera i lavoratori che si trovano in quelle condizioni a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato Ie loro prestazioni . Con la conseguenza, che il rapporto assumerebbe carattere pubblicistico e farebbe rientrare la controversia nella competenza del giudice amministrativo ai sensi dello art. 29 n. 1 del testo unico sul Consiglio di Stato, che si estende alle pretese di carattere patrimoniaJe nascenti dal rapporto medesimo. Nel secondo motivo, la ricorrente espone una serie di considerazioni intese ad escludere l'applicabi.Iit, nella specie, dell'art. 1 della legge n. 1369/60; ed infine, nel terzo mezzo, censura la sentenza definiti.va che ha Hquidato i compensi a ciascuno dei lavoratori. Nonostante la natura radicale ed assorbente della questione di giurisdizione, appare necessario premettere l'esame di alcune delle argomentazioni :prospettate dalla ricorrente nel secondo motivo, volto ad escludere gli stessi presupposti della :predetta questione. Sostiene, cio, l'Azienda che pur se in tesi fosse configurabile un rapporto pubblicistico quale effetto dalla vietata intermediazione del c.d. appalto di manodopera -il Tribunale di Firenze non avrebbe compiuto alcuna indagine per accertare se nella Jipecie non si trattasse di un appalto di opere o servizi, cui si riferisce I'art. 3 della stessa legge n. 1369/60, per Ia quale ipotesi non si verifica alcuna sostituzione soggettiva del rapporto. La censura , per, infondata, avendo il Tribunale compiuto una approfondita indagine in proposito, pervenendo alla conclusione che i lavori consistevano nel carico e nello scarico delle rotaie con l'impiego di capitali, macchinari ed impianti, tutti forniti da1l'Amministrazione ferroviaria; con esclusione, quindi, di un vero e :proprio appalto di opere e servizi. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE La ricorrente Azienda soggiunge che, anche a configurare l'ipotesi vietata dall'art. 1 della legge 1369/60, questa norma non era applicabHe all'Amministrazione delle F.S., avendo la Jegge medesima previsto (art. 8) la emanazione idi norma per la disciplina dell'impiego di manodopera negli appalti concessi dalle Amm~nistrazioni delle Ferrovie dello Stato[...] tenendo conto delle esigenze tecniche delle stesse, ed il successivo d.P.R. 22 settembre 1961, n. 1192, stabiliva una completa disciplina speciale per le Amministrazioni autonome. Ma anche questa argomentazione non decisiva per escludere la giurisdizione amministrativa dal momento che il citato d.P.R. n. 1192/61 comincia proprio con il confermare per le predette Amministrazioni autonome il divieto di cui all'art. 1 della Iegge n. 1369, anche se contempla subito dopo due eccezionali deroghe al pvedetto divieto, ipotesi derogative che non ricorrono nella specie. Ci viene riconosciuto dall'Azienda ricorrente, la quale per sostiene che per essa il divieto dell'intermediazione di manodopera non comporta l'effetto di cui al quinto comma del citato art. l, e cio l'instaurazione del rapporto diretto con gli effettivi titolari. Tale questione riporta il discovso a quella fondamentale che pi direttamente ha incidenza sulla giurisdizione: a) se cio anche nei confronti di pubbliche amministrazioni l'ipotesi della vietata intermediazione di manodopera, determinando .Ja sostituzione degli effettivi titolari del rappor~ to, conferisce a questo natura pubblicistica; b) se gli interessati possano rinunziare a far valere questa natura del rapporto, scindendo l'aspetto soggettivo da quello degli effetti economici. Il Tribunale di Firenze ha risposto affermativamente all'uno e all'altro quesito, mentre questo Collegio ritiene che sul secondo punto debba concludersi diversamente. Modificando il precedente orientamento (sentenze nn. 2330/74; 355/76; 1883/76; 1864/), le Sezioni Unite di questa Corte hanno pi recentemente ritenuto (sentenza n. 5019/79) che il divieto di intermediazione nelle prestazioni lavorative, fissato dall'art. 1 cit. ed applicabile pure nei confronti degli enti pubblici, implica, in ipotesi di trasgressione, che il rapporto di lavoro viene a costituirsi ex lege con l'interponente, e ad assumere la natura .propria di tutti gli altri rapporti originariamente e direttamente da esse posti in essere nell'ambito di dette attivit. Da questo principio discende, non solo che, nei casi in cui il rapporto deve considerarsi di pubblico impiego, anche la cognizione sulle controversie di carattere patrimoniale ad esse connesse sono devolute a quella esclusiva del giudice amministrativo, ma che una diversa volont delle parti non pu avere rilevanza in una materia sottratta alla predetta volont sia in quanto attinente alla giurisdizione, sia perch le conseguenze economiche sono direttamente correlate aU'accertamento del titolo da cui discendono, e cio alla natura del rapporto. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IV (omissis) Quanto aHa Azienda autonoma delle FF.SS. chiamata in causa jussu judicis (in una fase nella quale era incaricato della trattazione altro giudice) essa va estromessa dal giudizio. Invero ai sensi dell'art. 3 legge 7 gennaio 1974, n. 5, i ricorrenti sarebbero stati inquadrati a seguito di concorsi speciali per titoli mediante nomina in prova nelle qualifiche di prima assunzione del gruppo del personale di ruolo corrispondente alle mansioni prevalentemente espletate nel periodo intercorrente rfra il 1 marzo ed il 31 agosto 1972. I ricorrenti sono dunque divenuti parte di un rapporto di pubblico impiego a segU!ito degl atti normalmente costitutivi del medesimo. Ove l'inquadramento non avesse rispettato la corrispondenza delle mansioni la sua eventuale illegittimit avrebbe dovuto essere tempestivamente denunziata di fronte al giU!dice investito della giurisdizione su tale rapporto. In nessun caso la sentenza di questo giudice potrebbe esplicare effetti sugli atti che costituirono il rapporto di impiego pubblico dai ricorrenti e tale considerazione basta ad avviso del Pretore ad escludere l'ipotesi di comunanza di causa e men che meno di necessario litis consorzio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 16 settembre 1980, n. 5262 -Pres. Novelli -Rel. Corasaniti -P. M. Raja -Ministero deLla P.I. (Avv. Stato Favara) c. Rovetta (avv. Anelli). Elezioni -Elettorato attivo e passivo -Qualificazione come di diritto soggettivo -Presupposti. Istruzione -Elezioni scolastiche -Elettorato -Qualificazione come diritto soggettivo -Giurisdizione ordinaria. Il diritto soggettivo di elettorato, sia attivo, sia passivo, correlato al principio di democraticit di sovranit popolare, e ricorre soltanto l dove l'elezione costituisce lo strumento mediante il quale viene tutelato l'interesse dei membri del corpo elettorale a partecipare da un lato alla formazione (elettorato attivo), dall'altro alla composizione (elettorato passivo) degli organi rappresentativi; ricorre, cio, tutte le volte che l'elezione funga da strumento di autogoverno di una ollettivit, e, in particolare, tutte le volte che i rapporti passivi di un potere pubblico vengano in considerazione come collttivit e che le loro assunzioni negli organi di governo, con la conseguente possibilit di orientare le scelte di fondo, costituisca attivazione non gi di meri criteri di buona PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 67 organizzazione o di efficienza amministrativa, bens dei princpi di partecipazione democratica del pluralismo (1). Rientra pertanto nella nozione di amministrazione partecipata la istituzione degli organi collegiali scolastici, senza che possa avere, a tal fine, rilevanza la loro inerenza ad una amministrazione statale, con la conseguente qualificazione di diritto soggettivo della pretesa di essere ammessi a tali collegi, e le eventuali controversie rientrano nella giurisdizione ordinaria (2). (omissis). Osserva l'Amministrazione ricorrente che le operazioni elettorali .relative agli organi collegiali scolastioi istituiti con la legge 31 maggio 1974, 1ri. 416, sono, ail pari di quelle Telative ai membri elettivi del consiglio di Amministrazione opera21ioni dirette alla provvista dei membri elettivi di uffici dell'amministrazione statale (quella scolastica) ed alla composizione degli uffici medesimi. Sicch, sempre secondo .fa ricorrente, da un lato esse sono prive di autonomia, in quanto costituiscono sub-;procedimenti, o momenti, di procedimenti (amministrativi) di nomina (a differenza delle elezioni comunali, provindaili o regionali, che hanno autonoma rilevanza), dall'altro, in .relazione alla natura di uffici od organi interni dell'Amministrazione degli organi coJJegiali scolastici che sono dirette a formare, esse hanno (a differenza delle elezioni dirette alla costituzione di assemblee po1itiche) natura di operazioni amministrative, sia pure in buona parte vincolate, in relazione alle quali non sono configurabili che interessi Jegittimi. La tesi, volta a sostenere l'ammissibmt in materia della sola tute1a giurisdizionale davanti al giudice amministrativo orientata contro il provvedimento Jinale di nomina degli organi collegiali di cui all'art. 23 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, non fondata. Anzitutto va precisato che la presente controversia non concerne la regolarit formale o no delle operazioni attinenti all'elezione agli organi collegiali scolastici, bens la ricorrenza o no di un requisito di attitudine in un candidato, anzi in un eletto quale rappresentante dei genitori, a partecipare a un organo collegiale elettivo scolastico (consiglio di istituto) vale a dire a coprire una carica politica elettiva: ricorrenza negata dall'Amministrazione sul.la base di un opposto divieto di cumulo rispetto alla contemporanea parteairpazione dell'eletto ad altro organo colle (1-2) Sentenza di particolare interesse che estende agli organi collegiali scolastici i principi, affermati, in termini generali, per qualsiasi elezione a cariche pubbliche (Cass., 28 aprile 1972, n. 1330, in Foro it., 2461) e in particolare, per l'elettorato passivo al Consiglio Nazionale del Notariato (Cass., 26 novembre 1966, n. 2802) ed al Consiglio Superiore della Magistratura (Cass., 7 novembre 1972, n. 2918, in Foro it., 1972, I, 2762). 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giale elettivo scolastico (consiglio di circolo), vale a dire di un divieto di cumulo fra cariche elettive pubbliche. L'oggetto della controversia, insomma Ja sussistenza della situazione soggettiva dii elettorato passivo alla carica di rappresentante dei genitori di un organo collegiale scolastico. E ci importa che, per pronunciare sulla giurisdizione, necessario indagare suUa qualificabilit della detta situa:llione come diritto soggettivo o invece come interesse legittimo (comunque poi debba essere decisa dal giudice provvisto di giudsdizone la questione del cumurlo, e quindi della fondatezza della pretesa). Cosicch Je considerazioni dell'Amministrazione ricorrente dirette a dimostrare ~a natura amministrativa e a negare J'autonoma rilevanza delle operazioni elettorali non sono pertinenti se non nella misura in cui offrano un indice per la quafilficazione in un senso o nell'altro dello elettorato passivo in argomento, e non sono conducenti se non nella misura in cui riescano a dimostrare che in questa materia Je norme che prevedono o escludono requisiti di eleggibilit o di compatibilit rilevino soltanto come regola da osservare da parte di essa Amministrazione nell'organizzazione dei propri uffici. Ci posto, va detto che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, oltre a qualificare costantemente come diritto soggettivo l'elettorato passivo ai consigli comunali, provinciali .e regionali, ha talora motivato tale qualifica:l'Jione con argomentazioni riferite all'art. 51 della Costituzione e svolte in termini cos generali da v,alere per qualsiasi elezione a cariche pubbliche (cfr. sent. n. 1330 del 1972). In particolare, poi, essa ha qualificato diritto soggettivo, con argomentazioni analoghe, J'eletto-.rato passivo al Consiglio nazionale del notariato (sent. n. 2802 del 1966) ~ l'elettomto-passivo al Consiglio superiore delJa Magistratura (sent. n. 2918 del 1972). ,Pi di recente sembra essere emersa, sempre nella giurisprudenza di queste Se2lioni Unite, una linea pi cauta, una esigenza di distinzione, essendo stata negata la configurabilit di un diritto soggettivo di elettomto a proposito dell'eleggibilit a componente del consiglio di amministrazione del Banco di Sioilia, in base alla considerazione che la strumentazione di un interesse quale diritto soggettivo non pura e semplice conseguenza dell'adozione -ai fini della composizione di un ufficio od organo pubhlico -del sistema di scelta mediante elezioni, ma correlata al principio di democraticit e di sovranit popolare, nel senso che il diritto soggettivo, sia come elettorato attivo sia come elettorato passivo, ricorre soltanto J dove l'elezione costituisce lo strumento mediante il quale viene tutelato l'interesse dei membri del corpo elettorale a partecipare da un lato alla forma:l'Jione (elettorato attivo) dall'altro ,, alla composizione (elettorato passivo) degli organi rappresentativi. ' f Tuttavfa, non v'i insanabile contmsto foa i rilevati indirizzi, giac I ch pu esserne individuato un punto di convergenza. E questo l'idea f 1 i r. .. ! PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE che la strutturazione a diritto soggettivo ricorre (almeno) tutte le volte che l'elezione funga da strumento di autogoverno. di una collettivit (tali sono anche gli ordini professionaii e la magistriatum come ardo personarum) e cio tutte le volte che i soggetti pasSlivi di un potere pubblico vengano in considerazione come collettivit e che la loro assunzione negli organi di governo, con la conseguente possibilit di orientarne la scelta di fondo, costituisca attuazione non gi di meri criteri di buona organizzazione o di efficienza amministrativa, bens dei principi della partecipazione democratica e del pluralismo. Non il caso quri. di indagare se tali principi trovino applicazione, con influenza sulla strutturazione giuridica delle posizioni commesse (pur se non suJla giurisdizione) su un piano pi generiale, cio in relazione al modo di essere e alla dinamica dii qualsiasi forma di organizzazione di collettivit (anche di diritto privato). Qui dnteressa piuttosto stabilire: a) se la nozione di autogovrerno di collettivit nel senso od ai fini suindicati possa essere assunta (oltre che, come ovvio in relazione alle assemblee politiche in senso stretto, cio agli organi .rappresentativi dell'intera comUilli.t nazionale) soltanto in relazione agli organi di governo delle comunit locali a fini generali (comuni, province, regioni), organi costituenti assemblee politiche in senso lato, e al pi in relazione all'organo di governo di un ordii.ne (magistratura) costituito in posizione di assoluta indipendenza, cio come potere, per l'esercizio della giurisdizione (1potesi di cui alla sent. n. 2918/72) e agli organi di governo di collettivit di settore (ordini professionali) provviste per tradizione risalente di particolare autonomia anche se organizzate ora, secondo ila pi diffusa opinione, come enti pubblici a base associativa attribuitari di funzioni statuali (ii.potesi di cui alla sent. n. 2802/66); b) se invece la nozione di auto-governo di collettivit, sempre nel senso e ai fini suindicati, possa essere assunta, nel nostro attuale ordinamento, in relazione anche ad organi i quali, oltre ad essere uffici di un apparato amministrativo istituito per l'esercizio di un'attivit pubblica, siano, in considerazione della attinenza di tale attivit a valori essenziali (costituzionalmente protetti), strutturati come centri decisionali aperti alla partecipazione dei destinatari diretti di essa. Il quesito sub b), emergente in tal modo come quello centrale del giudizio sulla giurisdizione, si pone ovviamente con riferimento alle cosiddette amministrazioni partecipate, delle quali quella realizzata con l'istituzione degli organi collegiali scolastici, ad opera del decreto n. 416 del 1974 in attuazione della delega data con legge n. 477 del 1973, costituisce uno deghl esempi pi importanti. Ed esso riveste una particolare attualit perch una parte della dottrina ha creduto di ravvisare in alcune delle cennate strutturazioni partecipative una realizzazione non piena del principio di partecipazione democratica sopraindicato, ovvero 70 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO l'attuazione, anzich di tale tipo di partecipazione, definito politico e rite nuto esemplarmente realizzato mediante strumenti e istituzioni di demo crazia rappresentativa o diretta e fra i primi in particolare dalle assem blee in senso lato politiche (cio rappresentative e di governo delle col lettivit ai fini generali anche locali come sopra indicate) -di un tipo di partecipazione diverso. Tale diverso tipo, definito amministrativo, specificantesi di volta in volta mediante La coopera:mone degli interessati ai procedimenti (partecipazione procedimentale), mediante l'inserzione di rappresentanze di categorie e di interessi nella composizione di organi collegiali dello Stato o di enti pubblici (partecipazione istituzionale), mediante la cogestione dei servim sociali su base territoriale (partecipa zione utenziale), sarebbe caratterizzato, secondo la detta dottrina, da ci: che la partecipazione sairebbe qui. preordinata soprattutto al soddisfaci mento di esigenze di efficienza, al migMoramento della qualit dei proce dimenti e dei prodotti decisionali mediante la cooperazione delle com ponenti professionalmente o funzionalmente interessate. Il che sarebbe dimostrato dalla lil111tatezza, dal carattere prevalente di mera consu lenza tecnica delle attribuzioni demandate a tali organi collegiali, rispet to all'ampiezza, rilevanza e incisivit di quelle svolte dalle assemblee politiche. Ma codesta costruzione, condivisa dall'Amministrazione ricorrente e impostata sull'accentuazione del carattere settoriale del modulo perseguito nella strutturazione degli organi collegiali scolastici, oltre ad essere re sistita da quella data al fenomeno da altra parte del1a dottrina, orien tata viceversa nel senso di ritenere il carattere comunitari.o e ordinamen tale della struttura degli organi in parola e la foro natura di istituti di democrazia rappresentativa, si presta a gravi obiezioni di fondo. Premesso che l'dnerenza degli organi collegiali scolastici ad una am ministrazione statuale non di ostacolo per s stessa alla considerazione come collettivit territorialmente localizzata dai destinatari dell'attivit che ne oggetto -del resto proprio con riferimento a tale ipotesi, fu elaborato, in altri ordinamenti, il modello originario di autogoverno e premesso altres che i princpi della partecipazione democratica e del pluralismo trovano espressione, oltre che nell'art. 1 -cui 1si collegano gli artt. 48 e segg. -negli artt. 2 e 3 cpv. e 5 Cost., va rilevato che l'introdumone nell'amministrazione scolastica del metodo democratico e la intrinseca connessione fra tale metodo e la considerazione anzidetta si desumono chiaramente dalle disposizioni di principio relative agli organi collegiali sia della legge delega n. 477 del 1973 che dal decreto n. 416 del 1974. De1la legge delega basti ricordare l'art. 5 che afferma essere J'istitu zione dei nuovi organi collegiali, definiti di governo, finalizzata a rea lizzare la partecipazione nella gestione della scuola, pur nel rispetto degli ordinamenti della scuola dello stato e delle competenze e della re PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sponsabilit del personale direttivo, ispettivo e docente, non senza avvertire che tale realizzazione avviene, dando alla scuola stessa i caratteri di una comunit che interagisce con Ia pi vasta comunit sociale e civica; e del decreto delegato n. 416 del 1974 basti ricordare l'art. l, che riproduce Ie dette enunciazioni. E a tali enunciazioni sarebbe un errore negare importanza sottolineandone il carattere progmmmatico e astratto, laddove esse vanno riguardate, come in ogni ooso nel quale la legge ordinaria diretta ad attuare il dettato costituzionale, come principi informatori e come criteri interpretativi idonei a conferire alla disciplina introdotta la maggiore portata attuativa possibile. Ma nella stessa chiave vanno letti e interpretati: l'art. 6 della legge delega n. 477 del 1973 l dove prescrive che i decreti delegati indichino le modalit per la pubblicit degld atti del consig1io di istituto o di circolo (comma secondo), e l dove assicura il diritto di assemblea (comma decimo); l'art. 7 della stessa legge, l dove, sottolineando la natura, nel consiglio distrettuale, di organo di partecipazione democratica alla gestione della scuola , prevede che esso sia composto da rappresentanti, oltre che del personale dell'amministrazione scolastica, dei genitori 'e degli alunni, nonch da rappresentanti dei comuni compresi nel territori.o del distretto, delle forze sociali rnppresentative di interessi generali e delle organizzazioni sindacali dei lavoratoni; gli articoli 5 e 6 da un lato e 9 e 11 dall'altro del decreto delegato n. 416 del 1974 ch danno attuazione alle dette direttive lI'ispettivamente per i consigli di circolo o di istituto e per il consiglio scolastico distrettuale. Risulta innegabilmente dalle richiamate disposizioni la considera2lione dei destinatari diretti dell'attivit scolastica come gruppo e la strutturazione degli organi scolastici come luoghi dove esso si realizza misurandosi con selettivit diverse in un confronto cui la settorialit e la prevalente qualit tecnica dell'oggetto non tolgono quel carattere di ricerca dialettica di scelte alternative, che il proprium della democraticit e che finisce necessaniamente per involgere valutazioni attinenti ai fini generali, quando l'oggetto stesso si identifichi in un'attivit pubblica che tocca i valori essenziali (nella specie un'attivit diretta all'istruzione e quindi alla formazione culturale dei giovani). E del resto l'acquisizione delle componenti ideologiche e non professionali alla gestione della scuola apparsa mezzo adeguato al fine di evitare in pari tempo l'autoritativit e la chiusura settoriale di questa. La possibilit di devia2lioni connesse a uno sterile assemblearismo d luogo a questioni, sul piano politico, ed eventualmente sul piano disciplinare, concernenti il costume democratico, il senso di responsabilit dei componenti gli organi, mentre la possibilit di strumentalizzazioni del metodo democratico alla prevalenza di interessi corporativi o subcorporativci con sacrificio delle esigenze tecniche o di giustizia d luogo a questioni sul piano del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 72 sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo (sempre promovibile quando non si versi in materia di esercizio della sovranit politica in senso stretto), concernenti fa correttezza dell'esercizio della funziione; ma tali possibilit non escludono la finalit listituz1onale ,di autogoverno insita negli organi stessi. Tutto ci assume particolare evlidenza per quel che concerne il consiglio scolastico distrettuale, in cui sono rappresentate collettivit per definiziione a fini generali, ma non meno vero, comune essendo l'impostazione, per i consigli di circolo e di istituto. N vale, in contrario, argomentare da un'asserita limitatezza o da un preteso carattere esclusivamente tecnico delle attribuzioni, ove si consideri che queste comprendono poteri organizzatori e programmatori (aventi per oggetto, fra l'altro, l'adozione del regolamento interno, l'adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali, la promozione di contatti con altre scuole o istituti al fine di realizzare scambi di informazioni e di esperienze e di intraprendere eventuali iniziative di collaborazione), nonch il potere di esprimere parere sull'andamento generale, didattico e amministrativo del circolo o dell'istituto (cfr. art. 6 decreto n. 416 del 1974). Senza dire, poi, che se potesse presoindersi dalle note comunitarie e ordinamentali dell'organizmliione della scuola secondo la disciplina ora in vigore e dalle connesse caratteristiche di strumenti di autogoverno dei collegi scolastici, sarebbe pur sempre difficile negare qualificazione di diritto soggettivo alla pretesa di essere ammessi a tali collegi della quale fossero contestati i titoli obbiettivamente verificabili, da parte di soggetti (come i genitori degli studenti) non capaci di apporto tecnico e la cui ammissdone pertanto, una volta che si prescindesse dalla prospettiva comunitaria o ordinamentale, non potrebbe comunque essere riguardata se non nel loro esclusivo interesse. Va dunque ritenuto che la controversia, siccome investe un diritto soggettivo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (omissis) SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1980, n. 492 -Pres. Sandu11i -Rel. Lipari -P. M. Gazzarra -Bruzzoni (avv. Conta1di) c. Fer rovie dello Stato (avv. Stato Sernicola). Demanio -Strade Strade ordinarie e strade ferrate Funzione Autonoma disciplina. Demanio Costruzione Nozione Terrapieno cintato da muri. L'art. 879, secondo comma, cod. civ., interpretato nel suo riferimento testuale, va applicato alle strade ordinarie (piazze e vie pubbliche) intese nella loro nozione tecnico-giuridica, non equiparabile, in tema di rispetto delle distanze delle costruzioni, alle strade ferrate in quanto fra le due categorie di beni demaniali stradali e ferroviari si venuta svolgendo una differenziazione normativa (anche se le due categorie sono accomunate dalla generale funzione di consentire lo spostamento di persona e cose da luogo a luogo) attraverso una disciplina che, a proposito delle distanze e zone di rispetto, tiene conto delle peculiarit del mezzo e quindi ha fonti normative e contenuti autonomi. Di conseguenza, rispetto alle opere ferroviarie coesistono in materia di distanze le norme dettate dal codice civile e quelle contenute in leggi e regolamenti speciali, rispondendo ciascun sistema normativo ad un diverso scopo: l'art. 873 cod. civ. tende ad evitare pregiudizio all'igiene ed alla sicurezza, ma pu essere integrato dalle norme dei regolamenti locali che, nello stabilire una distanza maggiore, tengano conto di esigenze urbanistiche e ambientali; le limitazioni legali alla propriet a confine con le strade ferrate sono imposte dalla sicurezza della normalit del servizio (1). Il terrapieno cintato da muri, sostenuto cio da opere murarie di contenimento, una vera e propria costruzione agli effetti deU'art. 873 cod. civ. e quindi deve ritenersi soggetta alla disciplina delle distanze stabilite dalle norme di edilizia (2). (omissis) L'amministrazione delle FF.SS. ha costruito un'opera ferroviaria (terrapieno su cui corrono i binari sostenuto da un muro) prima (1-2) Sulle prime massime cfr. Cass., 5 ottobre 1976, n. 3276; sulla seconda cfr. Cass., 24 giugno 1974, n. 1904, secondo la quale nel concetto di costruzione rientra ogni opera edilizia incorporata nel suolo, sia mediante muratura, sia con l'impiego di materiali diversi, la quale per la sua struttura e destinazione si presenti suscettibile di creare intercapedine ove non sia rispettato dalle opere finitime la distanza legale (Cass., 19 gennaio 1973, n. 188). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 74 ancora che si perfezionasse il procedimento espropriativo, definito con l'attribuzione di un indennizzo anche per la pevdita dell'edifioabilit della parte residua del fondo. E poich i proprietari di questo avevano ad opera pubblica gi realizzata (sia pure su suolo non ancora espropriato) provveduto ad erigere una ca:sa di civile abitazione che non rispettava la distanza dal manufatto rprescritta dal regolamento comunale, ha chiesto ed ottenuto in giudizio la demolrizione di parte dell'edificio onde ripristinare tale distanza. Di questa pronuncia si dolgono i ricorrenti. La materia del contndere attiene, dunque, al tema delle distanze con riguardo alle caratteristiche intrinseche del rilevato ferroviario, e dal muro che Jo sostiene, nonch a:lJ,a qualit demaniale dell'opera realizzata ed al correlativo regime giuridico. Con il primo mezzo del I'icorso si assume che per l'indiwduazione della disciplina applicabile alla fattispecie non si sarebbe dovuto far ricorso alle norme del codice civile, ma alla legis1azione speciale dettata ~n materia ferroviaria e specificamente all'art. 67 del r.d. 9 maggio 1912, n. 1447, secondo cui le costruzioni debbono discostarsi ,di almeno due metri dal piede dei rilevati ferroviari, distanza correttamente rispettata nel caso di specie. Il motivo -pur essendo in primo approccio ammissibile -risulta giuridicamente infondato. Nel giudizi di cassazione sono improponibili le questioni di fatto che non abbiano formato oggetto ci precedente deduzione nel corso del giudizio di merito, ma non anche Je questioni di diritto nuove, purch non implicanti accertamenti di fatto. Il giudice era chiamato ad applicare le norme in tema di distanze congrue rispetto alla situazione ad esso prospettata sicch resta sempre aperto il dibattito circa il criterio giuridico di individuazione della regola iuris da confrontare a quella situazione ormai irretrattabilmente accertata. Secondo i ricorrenti l'art. 879, comma secondo, cod. civ., escluderebbe l'applicazione dell'art. 873 stesso codice e dell'art. 37 del regolamento edilizio del comune di Spotorno in quanto la linea ferroviaria equiparabile ad una strada pubblica, sicch, accantonata la disciplina dettata dal codice, sli. dovrebbe fare riferimento ,all'art. 67 del r.d. n. 1447 del 1912 (ovvero in via subordinata all'art. 4 -della legge 12 novembre 1968, n. 1202, che l'ha sostituito senza innovare quantitativamente le prescrizioni sulle distanze). Lo scopo che attraverso questa prospettazione giuridica si persegue quello di ritenere osservata la prescritta distanza di -due metri dal piede del rilevato, imposta dalla norma speciale, attesa la concreta situazione di fatto di una intevcapedine di 1larghezza di poco superiore ai tre metri. Ma l'interpretazione suggerita dalla norma invocata (ammessa e non concessa, come si dica in appresso, la sua applicabilit alla specie con PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE esclusione delle norme civilistiche) non pu essere condivisa e la esatta lettura che deve darsene porta a riflessi fattuali che conducono a qua Hficare in defiillitiva Ja questione come nuova. Recita il cit. art. 67 (riproduttivo dell'art. 235 della legge 20 mar zo 1865, n. 2248, ali. F): proibito a chiunque costruire muri, case, capanne, tettoie ed altro qualsiasi edificio e di allevare piante a distanza minore di m 6 dalla linea della pi vicina rotaia di una strada ferrata, la quale misura deve occorrendo aumentarsi .in guisa che le suddette costruzioni non riescano mai a minore distanza di m 2 dal ciglio degli sterri o dal piede dei rilevati,,: La disposizione ha un duplice contenuto precettivo: in primo luogo, e senza possibilit di deroga, le costruzioni devono discostarSli di almeno 6 metri daUa pi vicina rotaia; ulteriormente questa distanza deve essere aumentata se rispettandola si verrebbe a realizzare uno spazio inferiore a due metri dal ciglio degli sterri, o dal piede del rilevato. In altre parole 1a constatazione che la costruzione sorga alla distanza di pi di due metri dal ciglio o piede non esaurisce il rispetto delle norme dettate a tutela dell'esercizio ferroviario, dovendo nel contempo accertarsi che sia stata osservata fa distanza di sei metri dalla pi vicina rotaia (cfr. Cass., 3 febbraio 1978, n. 506). E poich l'accertamento di fatto compiuto in causa riguardava la distanza intericorrente fra muro di sostegno del rilevato e fobbricato dei rkorrenti e non gi quella relativa alla pi vicina rotaia posta sul rilevato, .cos ridimensionato il problema interpretativo si incentra l'ostacolo preclusivo del necessario riesame della situazione dei luoghi. Peraltro, il richiamo all'ordine normativo invocato, non viene fatto a proposito. 2. -Pi radica}mente, invero, i ricorrenti non possono essere seguiti nell'assunto da cui muovono dell'interpretazione analogica dell'art. 879, secondo comma, cod. civ., comportante la riconduzione delle strade fer rate alla categoria delle vie (con conseguente applicabilit deila legi slazione speciale in materia ferroviaria). Mentre l'art. 572, cod. civ., del 1865 dichiarava inapplicabili agli edifici demaniali, nonch ai muri confinanti con vie e 'con .le piazze e strade pubbliche, le disposizioni degli articoli 570, 571, relative alle distanze nelle costruzioni, l'art. 879, secondo comma (gi art. 70 del libro III) del vigente codice non riproduce l'esenzione rispetto agli edifici demaniali. L'omissione fu rilevata dall'Avvocatura dello Stato nelle Osservazioni presentate sul progetto della Commissione Reale, ma ci nonostante la disposizione rest limitata alle costruzioni che si fanno in confine con vie e piazze sicch o si sostiene che sia sotto il vecchio come sotto il nuovo codice gli edifici demaniali si sottraggono alla disciplina delle distanze (sul punto si dovr ritornare pi oltre nella 76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO confutazione del quarto e quinto mezzo del ricorso), assunto che evidentemente non giova ai ricorrenti, ovvero bisogna leggere l'art. 879, secondo comma, per quello che dice nel suo riforimento testuale alle strade ordinarie, non equiparabili in linea generale alle strade ferrate alla stregua della legislazione speciale e comunque non equiparate specificamente in tema di rispetto delle distanze delle costruzioni. Ed, invero, la giurisprudenza di questo S.C. ha interpretato la norma in senso rigoroso,_ precisando che la menzione di piazze o vie pubbliche fatta con riguardo alla relativa nozione tecnico-giuridica (cfr. Cass, 14 dicembre 1973, .n. 3403; 5 settembre 1%9, n. 3057; 13 ottobre 1971, n. 2779; 30 ottobre 1973, n. 2827; 5 ottobre 1976, n. 3276, sentenze tutte pronunciate in fattispecie in cui si esclusa l'applicabilit dell'art. 879, secondo comma, cod. oiv., perch non si era ancora perfezionato ti1 procedimento di attribuzione ad un suolo della qualit di strada pubblica, o destinata ad uso pubblico). Ci posto il tentativo di inquadrare le strade ferrate nell'ambito delle strade in senso stretto, pur condotto con diligente viscontro di remoti testi legislativi, non pu essere condiviso, essendosi venuta svolgendo una differenziazione normativa fra Je due categorie di beni demaniali stradali e ferroviari accomunati solo dalla generale funzione di consentire gli spostamenti di persone e cose da luogo a ,luogo, attraverso una disciplina che, a proposito di distanze e zone di rispetto, tiene conto della peculiarit del mezzo, addirittura dettando una particolare normativa per ile autostrade. Ed infatti la disciplina specifica trova fonti normative e contenuti autonomi per le ferrovie e per le strade ordinarie (cfr. il r.d. 8 dicembre 1933, n. 1740 e le molteplici disposizioni dei regolamenti edilizi dei centri urbani, nonch per le autostrade la legge 6 agosto 1967, n. 765). In conclusione, rispetto alle opere ferroviarie coesistono in materia di distanze le norme dettate dal codice civile e quelle contenute in leggi o regolamenti spedali, rispondendo ciascun sistema nol'Illativo ad un diverso scopo; J'art. 873, cod. civ., tende ad evitare intercapedini cos strette da pregiudicare l'igiene e la sicurezza e Tappresenta un limite minimo inderogabile, prevedendosi che nei regolamenti locali venga stabilita una distanza maggiore, eventualmente tenendo conto anche di esigenze urbanistiche e della tutela dell'ambiente, onde realizzare spazi abitativi adeguati; le limitazioni Jegali alle propriet che si trovano al confine con le strade ferrate sono imposte al fine di tutelare -come ben rileva la difesa dell'amministrazione -la sicurezza e 1a normalit del servizio. quindi possibile che le sfere spaziali non corrispondano e che la costruzione compatibile con queste esigenze risulti invece vietata nell'ottica della sistemazione del territorio pevseguita dal regolamento edilizio e puntualizzata in tema di distanze fra costruzioni. - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Se quindi il manufatto ferroviario presenta le caratteristiche della costruzione, spiegano La loro efif.icacia anche le norme civnistiche integrate dalile richiamate disposizioni regolamentari che sono appunto quelle di cui la Corte genovese ha fatto applicazione, quantomeno per quanto attiene a1l'obbligo di rispettarle da parte dei privati (restando impregiudicata, perch irrilevante in questa prospettiva, la reciproca). Il vizio, pure dedotto, di omissione di motivazione su punto decisivo non sussiste, non potendo assurgere a fatto decisivo l'applicabilit di un sistema normativo, nemmeno invocato ex adverso, alla fattispecie, che d luogo solo a questioni di violazione o falsa appHcazione di diritto ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ. 3. -Inquadrata fa controversia nell'ambito delle disposizioni sulle distanze da osservarsi nelle costruzioni, con i vestanti quattro motivi del ricorso si addebita alla sentenza di non avere corretta'mente applicato la legge in relazione a1la situazione di fatto che si sarebbe dovuta accertare. Si dolgono, anzitutto, i rkorrenti con il secondo motivo che sia stata esclusa la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 878, cod. civ. La censura infondata. Gi davanti ai giudici di merito i Bruzzoni avevano sostenuto che il rilevato ferroviario non poteva essere considerato una costruzione, dovendosi aver riguardo al muro di sostegno come tale, che, non superando l'altezza di 3 metri, non comportava l'obbligo del rispetto della distanza legale. La Corte d'appelo ha disatteso l'assunto con duplice ordine di argomenti .ciascuno dotato di forza decisoria; ha ritenuto anzitutto che si trattava di una vera e propria costruzione ed ha soggiunto che comunque non era esatto che il muro fosse di altezza inferiore ai 3 metri, essendosi proceduto ad un interro del piano di distacco con l'edificio dei Bruzzoni. Sottoponendo a critica tale motivazione costoro osservano che il muro di cinta con funzione di sostegno e di contenimento, anche se per rispondere a tale scopo venga edificato in modo da supevare l'altezza di tre metri, eccettuato dal computo delle distanze legali, mentre contestano solo genericamente il giudizio espresso dai giudici di merito nel senso che il manufatto ferroviario si presentava quale massiccia opera di non trascurabile portata strutturale e funzionale da includere, in conformit all'avviso espresso dal consulente d'ufficio, nel novero delle costruzioni in senso tecnico . Il relativo apprezzamento di fatto, contro il quale, come si accennato, non vengono mosse puntuali contestazioni, risulta del tutto coerente con la nozione di costruzione e come tate appare incensurabile in questa sede di legittimit (Cass., nn. 271/1957; 1479/1971; 2681/1979). 78 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Anche di recente questo S.C. ha ribadito C, sia mediante muratura, sia con l'impiego di materiali diversi, la quale per la sua struttura e destinazione si presenti suscettibile di determinare la crea zione di intevcapedini ove non sia rispettata dalle opere finitime la di. stanza legale (Cass, n. 188/1973). Resta cos esclusa l'assimilazione della costruzione considerata al muro come tale (a prescindere dalla funzione e dimensione del mede simo) e rettamente sono state applicate al riguruido le prescriziooi sulle distanze del regolamento edilizio riguardanti i fabbricati. 4. -Non vale obiettare in contrario che tale costruzione non potrebbe comunque farsi rientrare fra quelle contemplate nell'art. 37 del regolamento edilizio di Spotorno il quale, quando parla di fabbricati , si riferirebbe esclusivamente agli edifici di civiile abitazione (terzo motivo). Non si nega che, in linea di principio, i regolamenti edilizi comunali possano differenziare le varie costruzioni ed imporre l'osservanza di determinate distanze in considerazione del tipo e delle caratteristiche delle costruzioni medesime e che per quelle residuali non prese in con siderazione dalle disposizioni regolamentari, e non riconducibili in via intrpretativa a taluna di esse, riprenda vigore la regola generale dell'arti colo 873, primo comma, cod. civ., sul distacco di tre metri. Ed questa appunto la tesi dei ricorrenti, gi prospettata nelle difese di merito, ma che non avrebbe integrato comunque una questione nuova perch si correla all'accertamento di fatto che l'edificio sorgeva a poco pi di tre metri dal rilevato :ferroviario, laddove la distanza prescritta dal regolamento per i (soli) fabbicati di otto metri. Al riguardo non utilmente prospettabile il vizio di motivazione poich una motivazione implicita nel senso di equ1parare la costruzione al fabbricato vi stata, e si tratta di vagliare se la disciplina giuridica si attagli alla fattispecie, e cio specificamente di stabilire se sia corretta l'assimilazione dell'opera ferroviaria al fabbricato di cui menzione nella norma regola mentare. La conclusione positiva si impone, anche ad accedere alla interpretazione dell'espressione nel suo normale rife11imento, nel contesto del regolamento, non genericamente ad ogni costruzione, ma alle opere con una particolare caratteristica strutturale che presentino pareti e tetto, e circoscrivano lo spazio per ricavarne ambienti di specifica destinazione nell'interesse dell'uomo (sembra troppo restrittiva la destinazione abi PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE tativa di cui e cenno nel ricorso). A prescindere, infatti, da un'esatta puntualizzazione della nozione di fabbricato nelle varie disposizioni del regolamento, e specificamente nell'art. 37 qui considerato, appare evidente la ratio di assiourare mediante cospicui distaochi un pi ampio rispetto delle indeclinabili esigenze di igiene e di sicurezza per le costruzioni di una certa consistenza, indipendentemente dalla destinazione dell'opera che normalmente si evidenzia nella qualificazione aggiuntiva al sostantivo fabbricato e di cui non invece cenno nel regolamento di Spotorno che assume tale espressione in senso del tutto generko. Non qutndi esatto nemmeno sul piano della esegesi letterale che il fabbiicato di cui menzione nel regolamento sia una casa in senso tecnico, un edificio con una certa destinazione ad esclusione di altre. L'espressione fabbricato di per s neutra e le si pu attribuire solo una dimensione quantitativa cui oorrisponde correlativamente l'allargamento della misura di distanza imposta. Ma quand'anche si volesse riconoscere che nel regolamento qui considerato con il termine fabbricati si intendono di regola ma non esclusivamente, gli edifici, la conclusione resterebbe ferma. T,ale regolamento, invero, contemplando separatamente la costruzione di muri di notevole importanza; prescrivendo l'obbligo della licenza (oggi: concessione) per qualsiasi intervento su beni immobili, ha voluto disciplinare, secondo l'id quod plurumque accidit, ogni opera suscettibile di incidere in una qualche misura sul tessuto urbaino, rapportando l'imposizione di maggiori distanze all'importanza dell'opera edilizia considerata pretermettendo l'esplicita menzione del terrapieno ferroviario attesa Ia sua peculiarit. Spetta pertanto all'inteprete ricondurre l'opera considerata al tipo nominato pi vidno rispetto al quale stata postulata e l'esigenza di assicurare spazi di rispetto pi ampi di quelli minimi prescritti dal codice, esigenza che si impone dal punto di vista sistematico e razionale per tutte le costruzioni , siano esse o meno case in senso stretto (delimitanti cio uno spazio interno utilizzabile secondo le pi diverse destinazioni), che presentino caratteristiche volumetriche e strutturali analoghe a quelle dei fabbricati intesi come costruzioni di non minima entit. Sol che si consideri che il rilevato ferroviario taglia la zona, su un terrapieno rialzato di oltre tre metri sul suolo, idoneo a sostenere la massicciata per il passaggio di una linea ferroviaria a doppio binario, non pu dubitarsi della necessit di estendere anche a questa costruzione, cos cospicua ed ingombrante, quella misura di distacco che era stata assunta a parametro irriducibile dell'utilizzazione edilizia della zona per la pi idonea disciplina delle norme di vicinato. poi del tutto peregrino l'assunto, affacciato nell'ultima parte del motivo, riecheggiando l'assimilazione alla strada pubblica, che anche applicando il regolamento (anzich la legislazione speciale in materia fer 80 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO roviaria), si sarebbe dovuta consentire la costruzione addirittura in confine, con la Jinea ferroviaria posto che l'arretramento rispetto alle vie pubbliche previsto dall'art. 36 del medesimo 1regolamento edilizio comune soltanto con riguardo a talune specificate strade. Gi si visto che l'assimilazione non giuridicamente sostenibile, e comunque proprio a tenore dell',art. 879, secondo comma, cod. civ., dovrebbero applicarsi non gi i regolamenti edilizi, ma quelli ferroviari ~dei quali si fatto cenno in sede di contestazione del primo mezzo). 5. -Le considerazioni sin qui svolte muovono dal presupposto, incontroverso in punto di fatto, che la costruzione ferroviaria fu eseguita e completata prima che i Bruzzoni procedessero a foro volta ad edificare, correlandosi ad un procedimento espropriativo preceduto da occupazione temporanea il cui scopo, come noto, quello di anticipare i tempi dell'esecuzione dell'opera di pubblica utilit senza attendere il compimento dell'iter procedimentale. :. pure del tutto pacifico che l'indennit di espropriazione fu calcolata :in concreto riconoscendo alla parte non espropriata un deprezzamento del 75 % in considerazione della perouta qualit edificatoria; si discusso, invece, se il decreto di espropriazione sia intervenuto anteriormente all'inizio dei lavori da parte dei Bruzzoni. La Corte d'Appello ha ritenuto di potersi dispensare dal relativo aocertamento (gli elementi probatori all'uopo acquisiti non erano univoci) ponendosi in un'ottica pubblicistica e valorizzando la connessione dell'opera ferroviaria con il procedimento esprorpriativo nonch l'irreversibilit dell'opera stessa che col suo venir in essere determinava una mutazione della situazione dei luoghi che andava apprezzata esclusivamente con gli strumenti del diritto pubblico, stante gli effetti anticipatori dell'occupazione rispetto all'espropriazione, e la consapevolezza dei Bruzzoni di subire, per effetto della costruzione del rilevato ferroviario, delle limitazioni alla facolt di costruire. In questo senso molto lucidamente gi il tribunale aveva osservato che l'espropriazione, pur essendo stata pronunciata formalmente dal 1969, di fatto risultava gi compiuta nel 1966 allorch l'opera pubblica venne ultimata, sicch non rilevava che i Bruzzoni avessero in ipotesi cominciato la costruzione prima del decreto, dovendosi ugualmente tener conto dello stato di fatto rappresentato dall'esistenza dell'opera pubblica, osservando la distanza imposta dal regolamento edilizio di Spotorno di otto metri dal piede del 1rilevato ferroviario, da considerare quale fabbricato. Nella prospettiva degli effetti anticipatori dell'occupazione rispetto al:la espropriazione sembra al Collegio che il problema giuridico dibattuto con il quarto ed il quinto motivo trovi agevole soluzione da un lato nel principio della prevenzione e dall'altro in quello della irrever PARTE I, SBZ. r.v, GIURISPRUDENZA CIVILE sibilit dell'opera che non appena ne sia stata iniziata la costruzione svuota il diritto dominicale (quantomeno nei limiti della costituzione di una propriet superficiaria sottratta alla operativit dei principi dell'accessione) e quindi crea contrapposizione con la parte residua del fondo, realizzando il presupposto per l'applicazione delle norme sulle distanze. L'adozione di questa linea argomentativa consente di escludere H detemiinante rilievo delle tesi difensive avanzate dalla dHigente difesa dell'Avvocatura la quale da un lato nega con l'avallo della giurisprudenza di questo SiC. che i beni demaniali siano soggetti alJ.a disciplina delle distanze e delle altezze stabiliti dai regolamenti edilizi e dall'ialtro, discostandosene, afferma che le norme regolamentari, ispirate come sono ad esigenze di pubb:lico interesse, non potrebbero essere derogate dai proprietari dei fondi finitimi e quindi a maggior ragione dall'unico proprietario, trovando applicazione anche per le costruzioni effettuate all'interno di una propriet fondiaria. Il Collegio non condivide la tesi dell'inapplicabilit delle norme sulle distanze aMe costruzioni demaniali, ed perplesso su quella della derogabilit delle disposizioni dei regolamenti urbanistici; e poich questo convincimento si risolve in una scelta argomentativa ulteriore rispetto alle radicali deduzioni difensive dell'amministrazione genovese, non pu sottrarsi all'onere di motivare al riguardo; diffusamente rispetto al primo problema perch si deve dar conto del dissenso da un orientamento riecheggiato in numerose decisioni; .~olo di scorcio sul secondo poich questa volta la tesi erariale per essere accolta comporterebbe l'innovazione delle posizioni giurisprudenziali alla quale non si ritiene di giungere potendosi ugualmente respingere i1 motivo. 6. -I Bruzzoni, in sede di merito, per l'eventualit che il rilevato ferroviario venisse equiparato ad una costruzione rientrante nella previsione dell'art. 37 del regolamento edilizio di Spotorno, avevano sostenuto che, in base a tale norma, il muro della ferrovia risultava costruito in violazione della distanza di m quattro dal confine, ed avevano chiesto, pertanto, fa condanna dell'amministrazione ferroviaria all'arretramento di detto muro, ovvero in subordine al risarcimento del danno. La tesi stata respinta nel merito sia dai giudici di primo che di secondo grado, e di tale pronuncia si dolgono i ricorrenti col quarto mezzo. L'Avvocatura obietta, sotto il profilo processuale, che la riconvenzionale non avrebbe potuto essere presa in considerazione perch improponibile (in quanto tardivamente dedotta anzich in sede di denuncia di nuova opera, solo davanti al tribunale) e perch inammissibile (chiedendosi la condanna della p.a. ad un facere). Ma poich, come si appena precisato, sia il tribunale che la Corte d'Appello hanno respinto le domande nel merito, disattendendo implicitamente dette RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO eccezioni, l'amministrazione ferroviaria, Timasta virtualmente soccombente sul punto pregiudiziale, av['ebbe dovuto proporre al riguardo ricorso incidentale condizionato. Non quindi sufficiente la semplice deduzione difensiva per investire dell'eccezione 'questo S.C. il quale deve limitarsi a stabilire se la fondatezza della riconvenzionale, della cui ritualit non pi possibile discutere, resti radicalmente esclusa dall'indiscusso ed indiscutibile carattere demaniale dell'opera ferroviaria ove dovesse tuttoria ritenersi che l'obbligo delle distanze legali e di quelle ulteriormente fissate dai regolamenti comunali, non operi nei conftronti dei beni appartenenti al demanio, come sostiene l'avvocatura, richiamandosi all'9rientamento della giurisprudenza secondo cui i beni demaniali, per la loro giuridica destinazione a11a soddisfazione immediata dei bisogni della comunit e ad usi di pubblico interesse, attesa la prevalenza di tale interesse su quello dei singoli privati, sono assoggettabili ad un particolare regime pubblicistico, e sottratti a gran parte dei principi che regolano 1a propriet privata, e in pairticolare alle norme che disciplinano i limiti legali del diritto di propriet sui beni immobili. A suffragio di tale soluzione si argomenta nelle decisioni di questo S.C. che, pur non avendo il legislatore riprodotto la disposizione defil'art. 572, cod. civ. 1865 relativa ag;li edifici destinati all'uso pubblico, la mancanza di una espressa previsione non pu essere interpretata come volont di abolire J'esenzione gi prevista, che costituiva applicazione di principi generali inerenti al regime dei beni, e non gi deroga esJ>["essa ed un inesistente contrario principio, e si valorizza il primo comma dell'art. 879 cod. civ. come espressione della posizione di privilegio fatta al demanio. A suffragio del richiamato indirizzo non invocabile Cass., 3 luglio 1947, n. 1048, che, nonostante la generica enunciazione della massima, si riferisce ad una fattispecie di applicazione dell'art. 572 del vecchio codice (di cui dilata la portata applicativa, con ragionamento a fortiori, dalle distanze legali previste dail codice a quelle ulteriori fissate dai regolamenti comunali): ma l'affermazione dell'inapplicabilit delle disposizioni sulle distanze, si rinviene nelle decisioni n. 2350 del 1951; 1991 e 3670 del 1957; 2749 del 1960; 1778 del 1961; 1368 del 1964; 841 del 1965; 2208 del 1971. Anzitutto pu convenirsi che se si riconosce in principio l'esenzione dei beni demaniali dalle norme sulle distanze stabilite dal codice in ragione della loro natura e funzione, si devono ritenere esenti anche dalle disposizioni dettate dai regolamenti edilizi; quindi fuori di dubbio che nel vigore dell'art. 572 cod. civ. del 1865 la po['tata della disposizione fosse stata ,estesa dalle distanze legali ex codice a quelle ex regolamenti comunali. L'enunciazione generale contenuta nell'art. 572 non stata peraltro riprodotta nel nuovo codice. Di questa omissione (il cui pericolo, come si accennato, era stato avvertito dall'Avvocatura dello Stato) della PARTE I, SEZ. IV, GIUltISPRUDENZA CIVILE quale non d conto la relazione al codice, sono possibili as1Jrattamente due interpretazioni: potrebbe ritenersi cio, con Ja giurisprudenza ricordata, -che i!l legislatore abbia ritenuta superflua l'enunciazione di un principio gi immanente nel.l'ood1namento, quale corolJario dello statuto della propriet pubblica, ovvero opinare che si sia inteso puntualmente sopprimere per gli edifici demaniali l'esenzione gi. contenuta nel citato art. 572 cod. 1865. La tesi che il regime della propriet pubblica comporti di per s tale esenzione non regge. Dail complesso delle norme di legislazione speciale pu ricavarsi il principio delta potenziale soggezione degli immobili che si trovano in prossimit dei beni demaniali ad un regime di limitazioni, in ragione della funzione di questi; ma non possibile enucleare a priori per generalia il contenuto di dette -limitazioni in misura determinata o predeterminab1le, dovendosi aver rigual'do, caso per caso, alle specifiche previsioni di ,legge in ragione del tipo di beni demaniali. Proprio in tema di distanze la ricognizione della legislazione speciale (e se ne fatto cenno a proposito del primo mezzo) consente di verificare che in ragione della specifica demanialit considerata si manifestano esigenze diverse in ordine alle stesse distanze delle costruzioni viciniori ai beni medesimi. Il regime della propriet pubblica quello che ,risulta dal diritto positivo che ha ritenuto, proprio nella materia qui considerata, di dovere espressamente statuire la loro esenzione dalla comunione del muro (art. 879, primo comma); la statuizione relativa, all'opposto li quel che sembra ritenere l'orientamento giurisprudenziale da ctii si dissente, non argomento rilevante per affermare che l'esenzione dal rispetto delle distanze sia una sorta di imprescindibile corollario della demanialit; se cos fosse H fogislatore non avrebbe ritenuto necessario dettare una norma ad hoc per escludere la comunione forzosa del muro che appare pi direttamente incompatibile con l'essenza della demanialit, di quel che non sia il rispetto delle distanze. Del resto una correlazione di incompatibi:lit fra demanialit e disciplina delle distanze ove effettivamente sussistente avrebbe reso superflua, o meramente ricognitiva, la stessa statuizione del codice del 1865 contro ogni norma di 'legislazione codicistica che rifugge dalle ridondanze e dalle iterazioni. Proprio il raffronto fra conferma espressa dall'esenzione della comunione forzosa e sHenzio sul'l'esenzione dall'osservanza delle distanze legali vale a sottolineare la avvenuta soppressione di questa ultima. E la conclusione esegetica in tal senso trova conferma nella ratio della prescrizione relativa che nasce dall'esigenza di evitare intercapedini dannose per tutela dell'igiene degli abitati {dilatandosi attraverso le prescrizioni urbanistiche a tutela di un habitat adeguato alle esigenze di vita ottimali dei componenti della collettivit, da garantire nell'interesse di tutti e non dei soli frontisti, da far valere in maniera cogente RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ed inderogabile man mano che la concezione della propriet nelle convinzioni sociali, e nelle fondamentali espressioni normative ratificate dalla Costituzione, si colora di impronta pubblicistica). Ma anche nel loro nucleo fondamentale fo norme sulle distanze legali contenute nel codice e quelle dei regolamenti locali che le integrano, pur se ricondotte (solamente) alle esigenze igieniche, postulano il rispetto di tale esigenze in maniera vincolante per soggetti direttamente interessati indipendentemente dalla loro qualit pubblica o privata, trattandosi di assicurare l'areazione a qualsiasi fabbricato, a prescindere dalla sua contiguit con altro fabbricato demaniale. quindi da ritenere che il legislatore del 1942 abbia giudicato, oltre che opportuno, necessario realizzare sul piano di eguaglianza di tutte le costruzioni, le scansioni spaziali ritenute imprescindibili per la tutela dell'interesse primario perseguito, sopprimendo l'esenzione che lo avrebbe compromesso e riservando ad altri strumenti la possibilit di ubicare l'opera pubblica senza restrizioni di sorta. Sembra infatti al Collegio che la costruzione di opere demaniali nel l'interesse pubblico al di qua dei limiti imposti in via generale dal legislatore, sia realizzabile ricovrendo all'espropriazione, che pu signi ficare in quailche caso demolizione degli edifici eretti sull'area espro priata ed in altri, come quello di specie, limitazione conseguenziale della edificabilit direttamente risarcibile (e concretamente risarcita) nel cal colo dell'indennit. 7. - questo il tratto saliente della situazione all'esame del Collegio, in cui il richiamo all'art. 46 della legge suHe espropriazioni pare fuori luogo perch la riduzione di edificabilit (correlativa all'onere del rispetto delle distanze daM'opera pubblica) gi venuta in considerazione come connotato essenziale della espropriazione in itinere. Il punto focale per la risoluzione del problema dunque quello della piena equiparazione -sotto l'angolo visuale qui considerato delle distanze fra fabbricati da applicare con riguardo alla parte residua del fondo espropriato -della espropriazione in itinere, i cui effetti sono anticipati in forza della occupazione, alla espropriazione perfezionata con la emanazione del decreto. Il risarcimento del danno (e giammai la pretesa alla rimozione del l'opera) ipotizzabile rispetto ad un'opera pubblica costruita senza ri spettare la legge, lasciando decorrere il tempo massimo di durata del l'occupazione legittima (e salvi sempre gli effetti sananti ex nunc del sopravvenuto decreto espropriativo). NeMa commisurazione del danno si dovr in queste ipotesi tener conto anche della riduzione di attitudine edificatoria della parte residua PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE del fondo per arretramento della eventuale costruzione che ivi si volesse erigere. Ma se l'opera pubblica sorta in costanza di un regolare procedimento espropriativo, indipendentemente dal riferimento temporale al decreto di espropriazione, il problema delle distanze va risolto alla stregua del principio della prevenzione operante come se la costruzione medesima fosse stata edificata su suolo gi divenuto a tutti gli effetti di propriet della P.A. avendo riguardo al confine segnato d~lla estensione dell'area in cui la pubblica amministrazione si immessa in virt del decreto di occupazione temporanea e che verr a coincidere 'con quella che former oggetto del provvedimento espropriativo. Opinando diversamente si verrebbero a frustrare gli interessi ch si sono voluti perseguire autorizzando l'occupazione temporanea. E d'altra parte non pu sottacersi che chi subisce l'occupazione .preordinata a11'espropriazione perfettamente in grdo di conoscere le finalit del procedimento e di apprezzare i riflessi a carico del fondo residuo. Il principio della prevenzione gioca nel senso che l'inizio della costruzione dell'opera pubblica fa scattare la normativa che riguarda le distanze tra le costruzioni, con effetto anticipatorio de11'occupazione rispetto al trasferimento coattivo in itinere, paralizzando, rpur nelle more del procedimento ablatorio, la facolt di costruire senza il rispetto delle distanze calcolate con riferimento alla costruzione medesima ed al confine della zona temporaneamente occupata. La pretesa della pubblica amministrazione di fare arretrare l'ed1ficio latistante e di escludere per tale arretramento ogni risarcimento non si ricollega quindi alla costruzione dell'opera pubblica come tale, all'impossibilit di rimuoverla in forza di pr()vvedimento giurisdizionale, ma discende dall'inserirsi di tale costruzione nel procedimento espropriativo, sicch il suo venir in essere legittimamente, perch a tanto fa pubblica amministrazione era facoltizzata, realizza l'effetto della prevenzione e traduce il pregiudizio che eventualmente il privato potrebbe risentire in pretesa indennitaria di cui potr tenersi conto nella liquidazione della indennit di espropriazione. 8. -Ricondotta la costruzione iniziata in pendenza di procedimento espropriativo giunto ritualmente al suo esito, al principio della prevenzione, equiparandola alla costruzione effettuata su terreno gi diventato di propriet dell'amministrazione e valorizzata la linea di tendenza finalistica del procedimento medesimo nella consecuzione fra occupazione temporanea ed espropriazione, deve coerentemente ritenersi che solo la pubblica amministrazione ha diritto di pretendere H rispetto delle di: stanze alla stregua della priorit ubicativa di cui si avvalsa. Pertanto le censure del ricorso risultano prive di fondamento anche se la solu 86 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione cui la Corte pervenuta resta confermata per un ordine di ragioni diverse da quelle esposte in motivazione, senza che ci comporti il lamentato vizio di motivazione poich la incongruit eventuale degli argomenti addotti in sentenza per giungere ad una soluzione giuridicamente appagante non pu mai tradursi nella cassazione della sentenza, implicando eventualmente il ricorso allo strumento integrativo-sostitutivo dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. Correlativamente anche il quinto ed ultimo mezzo risulta privo di fondamento giuridico. Si lamenta al rigua!'do che la Corte d'Appello di Genova abbia omesso di esaminare e risolvere Ia questione di fatto relativa alla anteriorit dell'inizio dei lavori di costruzione dell'edificio dei ricorrenti rispetto alla data del decreto di espropriazione, e si sostiene che poich la costruzione venne iniziata quando ancora l'espropriazione non era stata pronunciata, appartenendo tutto il suolo ai Bruzzoni, male era stato applicato l'art. 873 cod. civ. Il Collegio osserva, anzitutto, che il vizio di motivazione non sussiste perch nell'economia della decisione il relativo accertamento era stato giudicato superfluo: invero dal contesto della impugnata sentenza risultano le cir:costanze che preme ai ricorrenti mettere in evidenza: se non la anteriorit dell'inizio dei lavori relativi al loro edificio rispetto alla emanazione del decreto di espropriazione, quantomeno rispetto al rilascio della licenza edilizia. Si da atto, infatti, che l'opera pubblica venne ultimata nel 1966, che la licenza del 1968 e la espropriazione del 1969, ma non si ritiene necessario stabilire quando ebbero effettivamente inizio i lavori attribuendo decisivo rilievo all'ultimazione in tale epoca dell'opera pubblica di cui si deve necessariamente tener conto ai fini delle distanze previste dal piano regolatore. In verit se fosse stato provato in causa che i lavori di costruzione dell'edificio dei Bruzzoni avevano avuto inizio posteriormente all'emanazione del decreto di espropriazione, l'operativit del principio di prevenzione si sarebbe avuta senz'altro rispetto ad opera pubblica eretta sul terreno delle pubbliche amministrazioni e non su terreno ancora formalmente intestato ai ricorrenti, sicch il richiamo alle norme sulle distanze in linea di principio sarebbe stato fuor di discussione con riferimento al requisito della contiguit di fondi appartenenti a diversi proprietari (nel presupposto che non vi restassero invece soggette le costruzioni interne ad uno stesso immobile). Sotto questo aspetto, quindi, potrebbe revocarsi in dubbio l'esattezza del giudizio espresso dalla Corte che ha ritenuto superflua l'indagine. Ma, a ben vedere, si trattato di una scelta fra l'apprezzamento di una prova non lineare, e l'applicazione di un principio giuridico che >. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE al giudice sembrato indiscutibile: doversi considerare l'opera iniziata a seguito di occupazione temporanea come opera insistente su suolo ormai definitivamente sottratto alla sfera di disponibilit del proprietario, e quindi equiparabile ad finitima altrui in senso proprio, nell'ottica dei rapporti di vicinato. In definitiva si tratta, anche a questi fini, di dare rilievo anticipatorio alla costruzione, effettuata in fase di occupazione preordinata all'espropriazione, rispetto al trasferimento coattivo della propriet del suolo, non ancora perfezionato. Attraverso il medesimo procedimento logico-giuridico, messo pi sopra in luce, si ritenuto che bastasse l'inizio della costruzione dell'opera, nella pendenza di una 6ocupazione legittima, preordinata all'espropriazione, tempestivamente realizzatasi, a rendere operanti le norme sulle distanze come se si trattasse di costruzioni effettuate su suoli finitimi appartenenti a proprietari diversi, prescindendosi dalla risoluzione del problema se tali norme si applichino rispetto a costruzioni erette all'interno del medesimo fondo. Il .ragionamento svolto daHa Corte del merito che recepisce l'impostazione del tribunale, con le puntualizzazioni cui si fatto cenno, sembra coIIdividibile al Collegio. L'avvenuta costruzione dell'opera pubblica crea effettivamente un hiatus fra propriet residua e propriet esproprianda, consentendo la valutazione giuridica autonoma della porzione oc cupata, e su .cui si .realizzata tale opera, quale area di incidenza della espropriazione in corso, contrapponibile come tale alla propriet residua, sicch si rendono operanti le norme sulle distanze e scatta lo strumento della prevenzione. Pu quindi essere accantonato come si premesso il problema della derogabilit o inderogabilit della disciplina legale (ed integrativa regolamentare) sulle costruzioni che consentirebbe un approccio ancor pi diretto per giustificare la soluzione cui questa Corte pervenuta. Non sembra opportuno infatti affrontare e risolvere un problema sul quale la giurisprudenza si espressa negativamente (cfr. nn. 2955/68; 634/72; 503/75). ._ Mentre in tema di esenzione degli edifici demaniali stato necessario dar conto della disapplicazione di un orientamento giurisprudenziale espressamente invocato dalla parte, perch la inderogabilit delle norme sulle distanze cui Ia difesa dell'Avvocatura si richiama (verso la quale il Collegio manifesta la sua propensione, stante la dimensione pubblicistica di tutti gli interessi sottesi dalle norme sulle distanze legali) dovrebbe essere affermata provocando un mutamento di giurisprudenza non essenziale per il rigetto del ricorso, sembra sufficiente rilevare che Ia tesi difensiva avanzata si scontra con il richiesto accertamento ma che, nonostante le circostanze, per altra via il motivo di ricorso deve essere ugualmente respinto. (omissis) 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3951 -Pres. Marchetti Est. Sandulli -P. M. Cantagalli (conf.). -Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Messina (avv. Brancati) c. Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Viola). Espropriazione per p.u. -Delegazione per p.u. -Delegazione intersoggettiva Obbligo di esproprio a carico del delegato -Occupazione ultrabiennale non seguita da espropriazione Atto illecito del delegato -Rimborsabilit del risarcimento pagato al terzo -Non sussiste. L'ente delegato a provvedere all'occupazione d'urgenza ed all'espropriazione non ha diritto di richiedere all'ente delegante il rimborso delle somme erogate a titolo di risarcimento del danno per fatto illecito causato senza il concorso del delegante (1). (omissis) Con il primo, il ricorrente -denunciata la violazione o la falsa applicazione dell'art. 4 della legge 9 agosto 1954, n. 640 e degli artt. 1387, 1388, 1704, 1719, 1720 e 2043 cod. civ., e dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ. -sostiene che la delega conferitagli dal Ministero dei lavori pubblici per la costruzione dei due fabbricati non ricomprendesse la espropriazione dei suoli e che, quindi, dovessero porsi a carico del Ministero i danni conseguenti alla occupazione ultrabiennale. Con il secondo, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 2041 cod. civ. e 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ. -assume che il Ministero avrebbe dovuto rimborsargli, a titolo di indebito arricchimento, quanto da esso corrisposto al terzo espropriato per l'occupazione illegittima del terreno. Con il terzo, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 2043 cod. civ. e 132 Il. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ. -lamenta che la Corte del merito abbia escluso la concorrente responsabilit del Ministero per la protrazione dell'occupazione oltre il biennio. Le censure, in cui si articolano i riassunti motivi, sono prive di fondamento. La Corte del merito -dopo aver premesso che la ,legge 9 agosto 1954, n. 640 (provvedimenti per la eliminazione delle abitazioni malsane) (1) Si conferma esattamente il principio enunciato dalla Cassazione in altri precedenti e, da ultimo, nel giudizio tra le stesse parti deciso con sent. 10 gennaio 1979, n. 156, in Mass. Foro it., 1979. considerata ipotesi di concorso nella causazione del danno per illegittima occupazione la circostanza che l'Amministrazione delegante non abbia con tempestivit fornito i mezzi finanziari occorrenti all'espropriazione, sempre che tale impegno, che non nasce automaticamente dalla delegazione intersoggettiva, sia stato espressamente assunto nell'atto di delega. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE attribuisce al Ministero dei lavori pubblici il potere di delegare, per la progettazione e l'esecuzione dei lavori di costruzione di alloggi destinati ad accogliere le famiglie allocate in abitazioni malsane ed insalubri, le proprie attribuzioni agli Istituti per le Case popolari (art. 4) e dopo aver rammentato, con richiamo ai princpi affermati da questa Corte in tema di delegazione amministrativa intersoggettiva, che di regola e salvo che l'atto di conferimento non disponga altrimenti, l'ente delegato investito del potere di provvedere, rispetto all'oggetto della delega, in nome proprio e non in veste di rappresentante del soggetto delegante, anche se agisce per conto e nell'interesse di quest'ultimo -ha proceduto ad una approfondita indagine circa il contenuto e l'estensione della delega conferita dal Ministero all'Istituto per le Case popolari, al fine di accertare se l'attivit dell'ente avesse o meno esorbitato dai limiti ad essa imposti. Da tale indagine, la Corte d'appello -avendo accertato (con giudizio di fatto, incensurabile in questa sede per avere a supporto una motivazione adeguata e corretta, immune da vizi logici ed errori giuridici) che la delega amministrativa si estendeva al procedimento di occupazione e di espropriazione e che l'Istituto, nel procedere aH'occupazione del terreno aveva agito ne1la veste di delegato del Ministero -ha correttamente tratto la conclusione che l'Istituto dovesse essere tenuto a rispondere, in via esclusiva (non ricorrendo alcuna responsabilit del Ministero a titolo di concorso nell'illecito), direttamente nei confronti del terzo, (oltre che dell'indennit di espropriazione e di occupazione legittima) dei danni dovuti per l'occupazione illegittima, ultrabiennale. E -se, in base al criterio direttivo desumibile dall'art. 4 della cit. legge n. 640 del 1954 e dai princpi generali in materia di delegazione amministrativa. obbligo del delegante rimborsare al delegato le spese occorse per l'esecuzione della delega -tale obbligo non pu ritenersi esteso a quelli esborsi che trovino la loro causa in un illecito, a meno che non vi sia stato concorso del primo nell'illecito commesso dal secondo (nei rapporti esterni) o che l'illecito commesso da quest'ultimo sia dipeso da un comportamento illecito del primo (nei rapporti interni). Per modo che, nel caso di specie -escluso, in punto di fatto, con accertamento insindacabile in questa sede, che il Ministero abbia concorso nell'illecito o abbia determinato l'tillecito di cui l'Istituto si reso responsabile di fronte al terzo -deve ritenersi che il rimborso dei danni a quest'ultimo dovuti per il periodo di occupazione illegittima potrebbe trovare giustificazione soltanto in presenza di un comportamento di inadempienza del Ministero rispetto ad un obbligo (interno) (la cui esistenza, nel caso di specie, non risulta) di anticipazione delle spese al delegato, sul riflesso che tale inadempienza potesse aver'Ile determinato il comportamento illecito (cfr., in tal senso, Cass., sent. 10 gennaio 1979, n. 156; sent. 2 febbraio 1977, n. 469; sent. 6 agosto 1975, n. 2988). 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N pu ritenersi che il Ministero abbia tratto vantaggio dalla condotta antigiuridica dell'Istituto, in quanto l'utilit derivata al delegante attiene al rapporto interno (dii delegazione) e non a quello esterno (fra delegato e terzo), in ordine al quale il delegato avrebbe dovuto operare nel rispetto della legge senza incorrere (nel procedere all'espropriazione del suolo) nell'illecito causativo del danno. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1980, n. 5570 -Pres. Sposato Est. Gualtieri -P. M. Morozzo della Rocca -Balfour Beattj Limited (avv. Ferri) c. Ministero per l'Industria (avv. Stato Favara). Industria Invenzioni industriali Brevetti Requisiti . Vari tipi di invenzione (di combinazione, di perfezionamento, di traslazione). Il requisito della novit intrinseca, al fine della brevettabilit, come invenzioni industriali, anche delle realizzazioni derivanti da altre cognizioni od invenzioni, non richiede un grado di creativit ed originalit assoluta rispetto a qualsiasi precedente nozione, ma si concretizza pure in un progresso di idee, in un miglioramento della tecnica preesistente, in modo idoneo a risolvere problemi e a soddisfare interessi industriali prima non risolti e non soddisfatti, come si verifica nel caso di coordinamento originale ed ingegnoso di elementi e mezzi gi conosciuti, da cui derivi un risultato tecnicamente nuovo ed economicamente utile ( cosiddetta invenzione di cQmbinazione), ovvero nel caso della risoluzione in forme diverse e pi convenienti di problemi tecnici gi risolti in altro modo (cosidetta invenzione di perfezionamento) ovvero nel caso di trasposizione di un principio opposto o di una precedente invenzione in un diverso settore e con un diverso risultato finale (cosiddetta invenzione di traslazione). (1) Cfr., in termini, Cass., 4 agosto 1979, n. 4528. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 novembre 1980, n. 6268 -Pres. Granata -Est. Sensale -P. M. Morozzo della Rocca -Giambartolomei (avv. Criscuoli) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Cavalli). Borsa Violazione delle norme valutarie Esportazioni di assegni, senza data e senza luogo di emissione illecita -Esportazione di valuta Sussiste. La esportazfone ed il tentativo di esportazione di titoli di credito (assegni bancari di conto corrente) senza la prescritta autorizzazione 91 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE ministeriale configurano l'infrazione dell'art. 6 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, costituendo strumento idoneo all'illecita esportazione di valuta, anche se gli assegni bancari, che portino la sottoscrizione dell'emittente, possano per legge circolare soltanto in Italia e siano privi del luogo e della data di emissione in quanto essi possono essere riscossi, una volta pervenuti all'estero, senza necessit di intervento dell'emittente (1). (1) Giurisprudenza pacifica: cfr. Cass., 20 gennaio 1979, n. 433; Cass., 3 luglio 1979, n. 3734; Cass., 3 dicembre 1979, n. 6291. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad PI., 2 dicembre 1980, n:. 51 -Pres. Levi Sandri -Est. Petriocione -Regione Sardegna (avv. Stato Azzariti) c. Bazzoni ed altri (n.c.) -Appello T.A.R. Sardegna 19 aprile 1978, n. 168. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Formalit -Deposito Termine -Effetti della scadenza in termine festivo -Possibilit della proroga -Sussiste. Enti Pubblici -Enti Ospedalieri -Atti -Controllo -Controllo affidato alle Regioni ex legge n. 132/1968 -Effetti. Qualora il termine per il deposito del ricorso giurisdizionale amministrativo (trenta giorni) scada in un giorno festivo, esso si considera prorogato al primo giorno successivo non festivo, dovendosi ritenere abrogata la norma regolamentare interpretativa, contenuta nell'art. 18 del d.P.R. 17 agosto 1907, n. 642, ci in relazione a quanto disposto dagli artt. 2963, terzo comma, cod. civ. e 155, terzo comma, cod. proc. civ. (1). (1) Giover rico:rdare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato si era sempre espressa nel senso di ritenere senz'altro operante la proroga in questione (cfr. ad es. Sez. V, 30 ottobre 1956, n. 906, in Il Consiglio di Stato, 1956, I, 1919; Sez. VI, 28 dicembre 1951, n. 732, ivi, 1951, I, 1494; Sez. VI, 8 giugno 1960, n. 414, ivi, 1960, I, 1350; Sez. IV, 26 febbraio 1964, n. 99, ivi, 1964, I, 266). La questione stata rimessa all'Adunanza Plenaria dalla Sez. IV con ordinanza 18 dicembre 1979, n. 1189 (ivi, 1979, I, 1803) e si ricollega sostanzialmente alla indagine sui limiti di attuale vigenza della norma contenuta nel secondo comma dell'art. 18 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642, secondo cui il deposito del ricorso al Consiglio di Stato va effettuato entro il trentesimo giorno, pur se festivo. Con motivazione chiara e pienamente accettabile l'Ad. Pl. precisa che l'art. 28 del t.u. 17 agosto 1907, n. 638 (poi trasfuso nell'art. 36 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054) a contenere il precetto primario, che peraltro prescrive solo il deposito dell'originale del ricorso entro trenta giorni successivi alle notificazioni, a pena di decadenza. L'art. 18 del Regolamento per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato (approvato con il citato r.d. 642/1907) cos recitava: Il termine stabilito dall'art. 28, terzo capoverso, della legge per fare il deposito, si intende scaduto nel momento in cui si chiude la segreteria della Sezione, nell'ultimo giorno del termine ancorch festivo . Orbene, in forza degli innegabili, radicali mutamenti della struttura sociale e della disciplina del lavoro in ispecie dei pubblici dipendenti che, come esattamente rileva la decisione all'esame, hanno attuato un completo disimpegno 93 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA: La competenza al sindacato, da parte dei Comitati regionali di controllo, sugli atti degli Enti ospedalieri risale alla data di entrata in vigore della legge 12 febbraio 1968, n. 132 e non alla successiva data di entrata in vigore del d.P.R. 12 gennaio 1972, n. 4, con il quale si attuato il trasferimento aUe Regioni a statuto ordinario delle funzioni in materia di assistenza sanitaria. da ogni attivit lavorativa... nelle giornate festive, il precetto contenuto nel l'art. 28 sopra richiamato va raccordato con il principio generale che trova la sua sanzione nell'art. 2963 cod. civ. (relativo al computo dei termini della prescrizione) laddove recita: se il termine scade in giorno festivo, prorogato di diritto al giorno seguente non festivo, principio confermato anche dall'art. 155, ultimo comma, cod. proc. civ., dall'art. 180 cod. proc. pen., dall'art. 39 della nuova disciplina sul processo tributario (d.P.R. n. 636/1972), dalla sentenza 15 giugno 1960, n. 39, della Corte costituzionale per il processo innanzi alla medesima (cfr. anche le leggi 24 gennaio 1962, n. 13 e 24 febbraio 1965, n. 92, sulla proroga di termini scadenti in giorni feriali di chiusura delle aziende ed istituti di credito). RAFFAELE TAMIOZZO CONSIGLIO DI STATO, Ad Pl., 16 dicembre 1980, n. 52 -Pres. Levi Sandri -Est. Berruti -Soc. coop. edil. Medaglia d'oro L. Masi ed altro (avv. Gaeta) c. Ministero lavori pubblici (avv. Stato Freni) e Bizzarri (avv. Lubrano) -Appello T.A.R. Lazio, III Sez., 5 giugno 1978, n. 456. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Limiti della pronuncia -Poteri del Giudice -Principio dell'assorbimento Natura -Effetti. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale Notificazione -Notificazione diretta all'Autorit emanante presso l'Avvocatura dello Stato -Situazione ante legge n. 103/1979 -Costituzione in giudizio Effetti. Edilizia economica e popolare -Assegnatari di alloggi cooperativi -Stipulazione di mutui individuali -Nulla-osta Ministero Lavori Pubblici Natura. Fermo il principio dell'assorbimento, secondo cui il Giudice Ammi nistrativo pu evidenziare l'esistenza di nessi logici per ragioni di pre giudizialit o di dipendenza nelle questioni sottoposte al suo esame, devr ritenersi peraltro preclusa la possibilit di prescindere dalla pronuncia su una questione autonoma (pregiudiziale o preliminare), non incidendo sulla stessa le valutazioni inerenti alla sua irrilevanza in relazione alla pronuncia di merito. Il vizio della irrituale notificazione del ricorso giurisdizionale am ministrativo all'autorit emanante presso l'Avvocatura dello Stato, an zich presso la sede della stessa Amministrazione ai sensi degli artt. 45 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e 52 t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611 (beninteso 94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per i ricorsi anteriori alla entrata in vigore della legge 3 aprile 1979, n. 103) sanato, con effetti ex tunc, dall'avvenuta costituzione in giudizio della Amministrazione statale convenuta, anche qualora detta costituzione sia intervenuta dopo la scadenza del termine per la tempestiva proposizione del ricorso stesso (1). Il nulla-osta rilasciato dal Ministero dei lavori pubblici ai sensi degli articoli 125 e 139 del t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, per la stipulazione dei Effetti della costituzione in giudizio dell'Amministrazione in caso di irrituale notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo. (1) La fattispecie esaminata dalla Adunanza Plenaria si riferisce ad un ricorso giurisdizionale amministrativo irritualmente notificato -in vigenza della disciplina precedente all'entrata in vigore della legge 103/1979 -all'autorit emanante presso l'Avvocatura dello Stato anzich presso la sede della stessa amministrazione: appare, peraltro, di tutta evidenza che il principio pu e deve trovare piena applicazione nel nuovo sistema vigente ogni qualvolta si versi in ipotesi di notificazione irrituale in quanto effettuata direttamente presso la sede dell'Amministrazione, anzich presso gli Uffici dell'Avvocatura dello Stato ex lege domiciliataria ad ogni effetto. Non priva di interesse risulta una, sia pur rapida, disamina del criterio seguito dalla Adunanza Plenaria nella motivazione della decisione de qua per arrivare alla affermazione del principio sopra enucleato quanto agli effetti (ripetesi: ex tunc) della spontanea costituzione in giudizio dell'Amministrazione, indipendentemente da ogni considerazione del momento (anteriore o successivo alla scadenza del termine per la tempestiva proposizione del ricorso) in cui la stessa spontanea costituzione risulti effettuata. Il punto risolto dalla Adunanza Plenaria concerne l'esistenza o meno di un diritto quesito della parte resistente per effetto della eventuale decadenza dalla proposizione tempestiva del ricorso giurisdizionale amministrativo (che risulti affetto da nullit di notificazione), in relazione al momento della comparizione in giudizio dell'Amministrazione e, pi precisamente, a seconda che tale momento sia avvenuto in pendenza del termine a ricorrere, (e cio entro il periodo di tempo in cui doveva essere eseguita la notificazione del ricorso), ovvero dopo la scadenza del termine a ricorrere. In passato la giurisprudenza amministrativa era oscillante, ritenendosi in talune decisioni (cfr. ad es. Sez. IV, 26 gennaio 1971, n. 49, in Il Consiglio di Stato, 1971, I, 31; 23 novembre 1973, n. 947, ivi; 1973, I, 1704; Sez. V, 22 ottobre 1968, n. 1258, ivi, 1968, I, 1539) che l'effetto sanante della costituzione in giudizio del soggetto destinatario di una notificazione affetta da nullit avesse decorrenza ex nunc, laddove in altre decisioni (cfr. ad es. Sez. IV, 11 giugno 1974, n. 439, ivi, 1974, I, 868; 6 dicembre 1977, n. 1145, ivi, 1977, I, 1081; Sez. VI, 1 dicembre 1977, n. 936, ivi, 1977, I, 1851; Cons. Giust. Reg. Sic., 17 giugno 1977, n. 120, ivi, 1977, I, 1985) l'effetto sanante era stato riconosciuto con decorrenza ex tunc in considera2: ione del pieno raggiungimento dello scopo dell'atto per effetto della avvenuta costituzione in giudizio. Sulla premessa che alla questione in esame estranea l'ipotesi della nullit del ricorso per difetto di elementi essenziali (ipotesi alla quale applicabile il principio della sanatoria dei vizi di nullit con effetto ex nunc ai sensi dell'art. 17 del Regolamento di procedura, che trova il suo parallelo nell'art. 164 cod. proc. civ. relativo alle ipotesi di nullit della citazione e cio dell'atto introduttivo del giudizio civile), l'Adunanza Plenaria riconduce esattamente la PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 95 mutui individuali da parte degli assegnatari di alloggi cooperativi si inserisce nell'attivit di controllo e vigilanza sulle cooperative edilizie a contributo statale, quali enti operanti per la realizzazione di fini espressamente dichiarati pubblici, ed manifestazione del potere di intervento al fine di accertare l'esistenza di situazioni idonee a turbare le essenziali finalit dell'intervento statale nel settore dell'edilizia abitativa popolare. soluzione del problema nell'ambito di applicazione delle norme generali in materia di notificazione, contemplate nel codice di procedura civile agli artt. 156 e 160 e ispirate al noto principio della irrilevanza delle nullit qualora lo scopo della notificazione risulti raggiunto con l'effettiva comparizione in giudizio della parte intimata. E se pur vero che la notificazione un procedimento avente lo scop~ della ricezione dell'atto che ne forma oggetto, al fine di garantire il rispetto del contradditorio e della tutela . giurisdizionale, esigenza costituzionalmente sancita (cfr. art. 24 Cost.}, non va d'altro canto trascurato che nessuna nullit per inosservanza di forme nel processo pu essere pronunciata se l'atto ha raggiunto Io scopo a cui destinato (cfr. citato art. 156 cod. proc. civ.) scopo che -secondo l'esatta motivazione della decisione all'esame -deve per l'appunto ritenersi compiutamente realizzato ogniqualvolta la parte destinataria dell'atto .dimostri con l'adempimento dell'onere della costituzione in giudizio, aver avuto dell'atto notificato ricezione, in misura idonea all'esercizio della difesa . In relazione alla ontologica diversit che caratterizza le due fattispecie considerate: da un lato nullit afferente all'atto introduttivo del giudizio (citazione o ricorso), dall'altro nullit afferente alla notificazione; nonch in relazione alla espressa, diversa disciplina normativa delle due ipotesi esaminate, la prima sottoposta al trattamento previsto dagli artt. 17 del regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato e 164 cod. proc. civ., la seconda al trattamento di cui all'art. 160 cod. proc. civ., si giustifica cos, e ampiamente, la diversa disciplina della decorrenza degli effetti della costituzione in giudizio, ex tunc nella seconda ipotesi ed ex nunc (cio con salvezza dei diritti quesiti) nella prima ipotesi, quella cio relativa alla nullit, per difetto di elementi essenziali, della citazione o del ricorso. RAFFAELE T AMIOZZO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1980, n. 1161 -Pres. Santaniello -Est. Giovannini -Ricciuti ed altri (avv. Giuliani) c. Prefetto di Potenza (avv. Stato Laporta) e Consorzio area industriale di Potenza ed altri (n.c.) -Appello avverso dee. T.A.R. Basilicata 21 dicembre 1978, nn. 297 e 298. Espropriazione per p.u. -Competenza -Trasferimento alle Regioni -Effetti -Espropri di competenza dei Consorzi delle aree industriali -Estensione della competenza regionale -Sussiste -Effetti. Anche le espropriazioni di competenza degli Enti facenti capo alle Regioni, come i Consorzi delle aree industriali, sono disciplinate dall'art. 3 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, con il quale stato disposto il tra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 sferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in tema di espropriazione per pubblica utilit; va conseguentemente pronunciata l'illegittimit di un decreto prefettizio di espropriazione di suoli per realiz , (1) Gi con d~cisione 19 ~ei:naio 1979, n. 1 (in Il Cons~glio d~ Stato, 1979, I, 1) 1 Adunanza Plenaria aveva chiarito che la competenza reg10nale m tema di espropriazione di aree per la realizzazione di opere pubbliche di edilizia scolastica poteva considerarsi derogata ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, nelle sole ipotesi in cui risultasse confermato che i relativi impegni di spesa erano stati assunti dallo Stato e che l'inizio del procedimento espropriativo era avvenuto in epoca anteriore al 1 aprile 1972, epoca in cui avvenuto il trasferimento alle Regioni delle relative materie: solo in tali casi, dunque, permaneva la competenza prefettizia alla emanazione di provvedimenti in materia di occupazione temporanea e d'urgenza, concernenti le suddette opere pubbliche in materia di edilizia scolastica. La stessa Sezione IV, con decisione 1 aprile 1980, n. 322 (ivi, 1980, I, 419) ha avuto modo di chiarire il contenuto e la portata dell'art. 8 lett. m) del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, nel senso cio che non pu ritenersi comunque riservato alla competenza statale lo svolgimento delle funzioni pubbliche relative alle opere da costruire con lavori pubblici direttamente connessi all'attuazione di piani e programmi statali diretti al soddisfacimento di interessi nazionali o di pi Regioni, ma che necessario volta per volta indagare, ai fini di stabilire l'esatta competenza (statale o regionale) in tema di provvedimenti espropriativi, se l'opera, pur rientrando in un piano statale, non debba considerarsi soprattutto opera la cui realizzazione sia diretta principalmente al soddisfacimento di un interesse regionale (cfr. al riguardo anche Sez. IV 26 ottobre 1976, n. 967, ivi, 1976, I, 1034; 20 dicembre 1977, n. 1281, ivi, 1977, I, 1926; 11 aprile 1978, n. 307, ivi, 1978, I, 596; 4 luglio 1978, n. 694, ivi, 1978, I, 1040; .12 dicembre 1978, n. 1220, ivi, 1978, I, 1838; 9 maggio 1978, n. 397, ivi, 1978, I, 770). Nella decisione in rassegna viene in particolare precisato che non basta che in una data materia ineriscano interessi propri della intera collettivit statale a radicare automaticamente la competenza dello Stato, essendo invece necessario verificare sempre se non sussista anche una concorrenza o preminenza di interessi locali; e, con espresso riferimento alla attivit dei Consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale costituiti ai sensi della legislazione sul Mezzogiorno, viene evidenziato che, proprio in relazione all'espresso affidamento alle Regioni dei compiti attinenti ai Consorzi stessi, gi di pertinenza degli organi ministeriali statali, detta attivit deve ritenersi inerire direttamente ad interessi locali e, come tale, deve comportare l'attribuzione della relativa competenza alle Regioni, irrilevante essendo, sotto il profilo in considerazione, la circostanz che i Consorzi agiscano per il perseguimento di una finalit -quale l'industrializzazione del Mezzogiorno -che, ai sensi dell'art. 1, primo comma, della legge 6 ottobre 1971, n. 853, costituisce obiettivo fondamentale del programma economico nazionale: , infatti, non tanto il fine, quanto la materia su cui incidono i provvedimenti volti a realizzare il fine, decisiva allo scopo di determinare la relativa competenza. Del resto anche la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui l'art. 3 del citato d.P.R. n. 8/1972 va interpretato, anche in relazione alla successiva legislazione, nel senso che il potere ablatorio riconosciuto alle Regioni in materia di urbanistica e viabilit non riferibile solo alle opere al cui compimento le stesse Regioni debbono provvedere direttamente, ma inerisce a tutto il PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 97 zazione di infrastrutture o di attrezzature industriali nel Mezzogiorno che sia stato pronunciato a favore di un Consorzio di aree industriali e cio di un Ente relativamente al quale le Regioni hanno assorbito la competenza in materia, gi spettante agli organi dello Stato (1). complesso delle espropriazioni per opere inerenti alle materie indicate e devolute alla competenza -propria o delegata -delle Regioni, ivi comprese le opere che riguardano altri Enti pubblici, escluse solo quelle a carattere statale o ultraregionale (cfr. Cass., 17 novembre 1978. n. 5343, ivi, 1979, Il, 180; Cass., 6 agosto 1977, n. 3581, ivi, 1978, Il, 159). RAFFAELE TAMIOZZO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1214 -Pres. Pescatore -Est. Noccelli -Soc. Diodoro (avv.ti Sorrentino e Mamnucci) c. Prefetto di Teramo (avv. Stato Vittoria) e Pistocchi ed altro (avv. Liguori) -Appello avverso dee. T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 28 novembre 1979, n. 461. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale . Appello . Censure disattese in rprimo grado -Forma di riproposizione . Semplice memoria Inammissibilit -Sussiste. Espropriazione per p.u. Area da espropriare Criteri di scelta -Destinazione diversa Possibilit Sussiste. Espropriazione per p.u. Determinazione della indennit . Necessit . Non sussiste Effetti. Qualora il Tribunale amministrativo regionale abbia esaminato ex professo tutti e ciascuno dei motivi di impugnazione, i'eventuale incompletezza di motivazione relativamente a specifici profili difensivi si risolve inevitabilmente in un vizio logico della sentenza sul punto e pertanto la riproposizione, in sede di appello, degli identici profili difensivi non pu ammettersi se non nella forma di impugnazione del relativo capo della sentenza, e cio come critica rivolta a contestare la ratio decidendi che giustifica e sorregge la sentenza; tale forma deve identificarsi nella proposizione di appello incidentale (1). Il decreto relativo all'esproprio di aree per l'industrializzazione del Mezzogiorno pienamente legittimo anche se investe aree collocate in zone non industriali dagli strumenti urbanistici generali, e ci in quanto, (1) Principio esatto e da condividere; cfr. in termini Sez. IV, 18 dicembre 1979, n. 1196, in Il Consiglio di Stato, 1979, I, 1811; Sez. V, 16 novembre 1979, n. 688, ivi, 1979, I, 1649; 12 gennaio 1979, n. 1, ivi, 1979, I, 33. 98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO se pur vero che l'opera di pubblico interesse cui preordinata l'espropriazione deve comunque inserirsi in una attivit programmata di gestione e uso del territorio, non va peraltro trascurata l'autonomia delle due sfere di incidenza degli interessi pubblici sottesi rispettivamente dall'esercizio del potere espropriativo e dalla potest di disciplina urbanistica. La mancata determinazione della indennit provvisoria in tema di espropriazione per pubblica utilit non destinata ad incidere sulla regolarit degli atti espropriativi. .. ... jf. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1980, n. 1061 -Pres. Sandulli Est. Gualtieri -P. M. Commarota (conf.) -Barillari c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso per Cassazione -Ricorso cumulativo contro pi decisioni -Inammissibilit. inammissibile il ricorso per Cassazion~ cumulativo contro pi decisioni autonome anche se pronunciate fra le stesse parti e nella stessa data (1). (omissis) Devesi preliminarmente rilevare l'inammissibilit del presente ricorso, avendo la soc. I.L.E.S. impugnato con un unico ricorso ben 16 decisioni della Commissione tributaria centrale emesse s fra le stesse parti e nella stessa data, ma in distinte controversie d'imposta, relative a periodi contributivi diversi, e in distinti procedimenti. Ed invero, a parte la considerazione che la ricorrente ha impugnato cumulativamente tutte le decisioni suindicate, per cui non vi alcuna possibilit di individuarne neppure una alla quale il ricorso sia direttamente riferibile (cfr. Cass., 25 maggio 1971, n. 1537), devesi osservare che la legge prevede espressamente e tassativamente i casi in cui pu essere iniziato un unico giudizio rispetto a domande separte -casi di litisconsorzio (artt. 102 e 103 cod. proc. civ.) oppure casi in cui due giudizi separati possono essere riuniti con provvedimento del giudice (artt. 273, 274, 350 cod. proc. civ.) o casi di intervento. Pertanto, mentre possibile ricorrere per cassazione contro pi sentenze di un unico procedimento, non ammissibile un ricorso unico rispetto a pi procedimenti, ciascuno deciso separatamente (cfr. Cass., Sez. Un., 28 aprile 1975, n. 1616). (omissis) (1) Giurisprudenza non del tutto costante (v. Cass., 9 febbraio 1979, n. 901, in Riv. leg. fisc., 1979, 1543). 8 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO CORTE DI CASSAZIONE, 14 febbraio 1980, n. 1070 -Pres. Mirabelli Est. Cantillo -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Cavalli) c. Biaggi. Tributi erariali indiretti -Prescrizione e decadenza -Privilegio speciale Imposta di negoziazione -Termine quinquennale. (d.!. 5 settembre 1947, n. 1173, art. 21; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 97). Il termine di validit del privilegio speciale verso il terzo possessore non quello, pi frequente, di tre anni, ma quello stesso eventualmente pi lungo, stabilito per la prescrizione del diritto al pagamento del tributo. Di conseguenza per l'abolita imposta di negoziazione il termine quinquennale di prescrizione del diritto al tributo era applicabile, in mancanza di espresse norme di diverso contenuto, alla validit del privilegio I speciale (1). ~ (omissis) Con l'unico motivo di ricorso, denunziando la violazione I degli artt. 97 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 21 e 22 d.l. 5 settembre 1947, n. 1173, l'Amministrazione finanziaria sostiene che l'azione esecutiva per la riscossione del credito privilegiato per imposta di negoziazione, nei conI fronti del terzo acquirente del bene oggetto del privilegio, dovesse essere "' proposta nel termine di cinque anni specificamente previsto per tale tributo, e non in quello di tre anni stabilito per l'imposta di registro, II come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che, nella specie, l'azione medesima era stata esercitata tempestivamente. La censura fondata. L'art. 21 del d.l. n. 1173 del 1947, disciplinante l'imposta di negoziazione sui titoli azionari (abolita dagli artt. 26 e 27 della legge 5 agosto 1954, I n. 603, istitutiva dell'imposta sulle societ), stabiliva che l'azione della ~~ Finanza per richiedere al debitore il pagamento del tributo (e delle refil lative soprattasse) si prescriveva nel termine di cinque anni dal giorno in cui fu eseguito o avrebbe dovuto essere eseguito il pagamento {a seconda che la pretesa riguardasse, rispettivamente, il tributo complementare ovvero quello principale). I Il decreto non si occupava, invece, dell'azione esecutiva nei confronti del terzo acquirente di un bene oggetto del privilegio posto a garanzia dell'adempimento dell'obbligazione tributaria (com' noto, l'imposta era assistita, ai sensi degli artt. 2758 e 2778 cod. civ., da privilegio speciale mobiliare e immobiliare comprendente, oltre alle azioni, tutti i beni co- I @ 1 (1) Decisione da condividere pienamente. :_ (;,,l,:.__ Anche per l'ipotesi di prescrizione trentennale della imposta (di registro) . stato ritenuto applicabile questo termine al privilegio (Cass., 3 aprile 1979, n. 1878, in questa Rassegna, 1979, I, 554). {' .. . I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 101 stituenti il patrimonio della societ), ma l'ultimo comma del successivo art. 22, ai fini dell'esazione coattiva dell'imposta ed accessori, dichiarava applicabili le disposizioni della legge di registro allora vigente (r.d. n. 3269 del 1923), alla quale rinviava, quindi, sia quanto al modulo procedimentale dell'esecuzione coattiva contro il debitore e sia quanto alla disciplina dell'azione esecutiva sui beni del terzo. In proposito, l'art. 97 dell'abrogata legge di registro stabiliva che l'azione del fisco si estingueva nei termini previsti da quella stessa legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento, cio per l'azione nei confronti del debitore (principale); e poich il termine era -di regola -di tre anni {variamente decorrente, a seconda delle modalit della registrazione: art. 136 e 137), si poneva il problema riproposto con il presente ricorso -se lo stesso termine fosse operante anche per l'imposta di negoziazione oppure dovesse farsi capo a quello quinquennale di cui all'art. 21 cit. Questa Corte Suprema, inizialmente orientata nel primo senso (cfr., fra l'altro, sent. n. 2921 del 1973) ha poi adottato la seconda soluzione (sent. n. 3388 del 1973 e n. 3331 del 1974), la quale scaturisce con maggior fondamento dall'esegesi letterale e sistematica dell'art. 97, risultante dal coordinamento con la disciplina propria dell'imposta in questione. La disposizione, infatti, nell'ambito del sistema della legge di registro, non prevedeva -come si detto -un autonomo termine per l'azione verso il terzo proprietario, ma si limitava a rinviare a quello stabilito per agire contro il debitore principale; e tale formulazione consentiva di individuare l'essenza del precetto normativo nella previsione di un costante parallelismo fra l'azione privilegiata e quella personale contro gli autori dell'atto, di modo che, quando per quest'ultima fosse previsto un termine diverso da quello triennale, tale maggior termine doveva intendersi riferito anche alla corrispondente azione privilegiata (cfr., Cass., n. 2573 del 1973). Questo principio, vigente all'interno dello stesso tributo di registro, a maggior ragione doveva essere ritenuto valido quando l'art. 97, per effetto del richiamo di cui all'art. 22 cit., andava inquadrato nel sistema di un tributo diverso, qual'era l'imposta di negoziazione. Anzitutto, la rilevata correlazione posta dalla norma fra i due termini -quello per agire contro il debitore e quello per agire contro il terzo -di per s imponeva di intendere il significato del riferimento al primo termine nel senso che andava applicato quello specificamente stabilito dall'artfl 21 del d.l. n. 1173 del 1954 per la riscossione dell'imposta di negoziazione nei confronti del debitore. In secondo luogo, l'art. 22 dello stesso decreto prevedeva un rinvio generico alla disciplina della legge di registro, la quale era utilizzabile, quindi, in quanto compatibile con la speciale normativa dettata per l'imposta di negoziazione. E ci escludeva la possibilit di recepire per 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tale tributo, sia pure ai fini dell'azione contro il terzo proprietario, il termine triennale stabilito dalla legge di registro per agire contro il debitore, posto che la durata di quest'ultimo termine era autonomamente prevista in modo diverso dalla specifica disciplina dell'imposta in questione. appena il caso di sottolineare, infine, la grave anomalia che avrebbe comportato la previsione di termini diversi per le due azioni, posto che la finanza sarebbe stata costretta ad agire nei confronti del terzo in tempo pi breve di quello per agire contro il contribuente. In definitiva, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di appello di Milano, la quale proceder a nuovo esame della controversia attenendosi al seguente principio di diritto: Ai sensi del combinato disposto degli artt. 97 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 21 e 22 d.I. 5 settembre 1947, n. 1173, l'azione esecutiva della Finanza diretta a far valere, nei confronti del terzo acquirente del bene, il privilegio speciale mobiliare o immobiliare per la riscossione della soppressa imposta di negoziazione, si estingueva per decadenza nel termine di cinque anni previsto dall'art. 21 cit., computabile dal giorno in cui il pagamento fu eseguito o avrebbe dovuto essere eseguito .. (omissis) CORTE, DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1980, n. 1211; Pres. Mirabelli Est. Corda -P. M. Leo (conf.) -Ente Fiera di Trieste .(avv. Asquini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Imposta sulla societ -Autonomia -Principio di conseguenzialit -Limiti. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 150). Il principio di conseguenzialit stabilito nell'art. 150 del t.u. de.ZZe imposte dirette, in forza del quale l'accertamento del reddito soggetto all'imposta di ricchezza mobile spiega autonoma efficacia ai fini dell'imposta sulle societ, limitato alla determinazione della base imponibile e non tocca tutti gli altri elementi dell'imposizione, tale conseguenzialit non esclude comunque l'autonomia dei due tributi (1). (1) Decisione di evidente esattezza sul punto che l'omogeneit della base imponibile dei due tributi non si riflette su tutti gli altri elementi e particolarmente sulle agevolazioni che possono riguardare uno soltanto di essi. Ben pi difficile in rapporto alla autonomia, il problema dell'impugnazione degli accertamenti, della possibile difformit di giudicati e quindi dell'effetto che produce l'impugnazione di un solo accertamento. PARTE I, SEZ. VI, GIURJSPRUDENZA TRIBUTARIA'. (omissis) Con la prima di tali censure, il ricorrente sostiene che il giudicato formatosi sulle decisioni della Commissione di secondo grado in ordine alla imposta di ricchezza mobile (e giova, a tal proposito, ricordare che l'Ufficio, nel proporre l'impugnazione contro la decisione della Commissione predetta, aveva dichiarato solo di impugnare il capo relativo all'imposta sulle societ) spiegherebbe effetto anche nei rapporti relativi a quest'ultima imposta. Secondo il ricorrente, cio, non potrebbe pi essere ritenuta l'assoggettabilit all'imposta sulle societ, una volta che sia formato il giudicato sulla dichiarata non assoggettabilit all'imposta di ricchezza mobile. Tale censura priva di fondamento giuridico. Come esattamente osservato dalla Commissione tributaria centrale, infatti, il giudicato formatosi in ordine alla non assoggettabilit all'imposta di ricchezza mobile dispiega efficacia unicamente per quest'ultimo tributo, non gi per quello sulle societ che autonomo rispetto al primo ed fondato su presupposti diversi. Gi nella precedente fase processuale, il contribuente aveva sostenuto che l'annullamento degli avvisi di accertamento relativi all'imposta di ricchezza mobile avrebbero determinato l'impossibilit di assumere il relativo reddito fra le componenti dell'imposta sulle societ; e tale conclusione aveva fatto discendere da una non puntuale interpretazione del principio di conseguenzialit desumibile dal disposto dell'art. 150, secondo comma, del t.u. sulle imposte dirette del 1958. Com' noto, tale norma dispone che l'accertamento dei redditi soggetti all'imposta di ricchezza mobile spiega atomatica efficacia ai fini dell'impsta sle -,~oci; ma chiaro che il ricorrente, prop~nendo quell'impos~ipil/ interp;et~zione, omette di considerare che il collegamento tra le >, restandole precluso soltanto l'esame delle questioni di fatto relative alla estimazione quantitativa del presupposto del tributo, cio delle questioni di estimazione semplice. Questo rilievo, soprattutto perch nascente da un problema concreto, si rivela assai utile per riaffermare la continuit dal vecchio al nuovo contenzioso del giudizio di terzo grado e per escludere che le (supposte) innovazioni della riforma vadano oltre i limiti della delega. Degna di nota anche la precisazione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 105 (omissis) Devesi preliminarmente disporre la riunione del ricorso principale e di quello incidentale perch proposti contro la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. Con l'unico motivo del ricorso principale, l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2 lett. e) d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, in relazione all'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, con riferimento all'art. 360 n. 3) codice di rito, critica la sentenza impugnata per avere la Commissione tributaria centrale errato nel ritenere che, ai fini dell'applicazione del condono, a norma del citato art. 2 lett. e), secondo cui l'imposta determinata assumendo come imponibile quello risultante dall'ultima pronuncia di merito", non si potesse considerare come ultima pronuncia di merito la decisione della Commissione centrale, la quale giudice di legittimit, bens la decisione della Commissione provinciale, annullata dalla stessa Commissione centrale, con la conseguenza che l'ufficio I.I.D.D. non avrebbe potuto iscrivere a ruolo l'imposta calcolata sull'imponibile che avrebbe dovuto essere stabilito dalla Commissione provinciale in sede di rinvio, una volta che il giudizio di rinvio non avesse avuto luogo per la sopravvenienza della legge sul condono. Ed invero, deduce la ricorrente, la formula ultima pronuncia di merito non deve essere intesa come ultima decisione della Commissione di merito (distrettuale o provinciale), ma come ultima decisione intervenuta in merito alla determinazione dell'imponibile, per cui, nel caso di estimazione complessa, ricorrente nella fattispecie in esame, anche la decisione della Commissione Centrale andava considerata, in quanto pronuncia in materia di estimazione, come pronuncia di merito, con la conseguenza che la determinazione dell'imponibile agevolato doveva, nella specie, essere effettuata dall'ufficio l.I.D.D. in conformit dei criteri stabiliti dalla commissione centrale; e l'attivit dell'ufficio non poteva considerarsi discrezionale ed era comunque soggetta al normale sindacato giurisdizionaile. che la decisione della Commissione centrale, come quella del giudice ordinario, non perde il suo carattere di decisione di merito per il fatto che non determina la base imponibile lasciando che questa sia ricostruita nelle singole componenti, sulla base dei principi di diritto affermati, dall'ufficio che compie una funzione simile a quella del giudice di rinvio. Tutto questo, all'infuori della estimazione semplice, era ed normale e riconferma che la pronunzia del giudice (ordinario o speciale che sia) non costituisce il titolo n per la liquidazione dell'imposta, n per la condanna al pagamento o al rimborso (sui vari problemi connessi cfr. C. BAFILE, Nuove riflessioni sul giudizio di terzo grado nel nuovo processo tributario, in questa Rassegna, 1980, I, 429, nonch Nuove prospettive per il giudizio di terzo grado?, in questo fascicolo, pag. 109). " 106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D:ilLLo STATO A sostegno della sua tesi la ricorrente deduce che, avendo la formula usata dal legislatore se siano state notificate altre decisioni o sentenze anche la sentenza dell'autorit giudiziaria ordinaria, dovrebbe tenersi conto, ai fini della determinazione dell'imponibile agevolato, pure delle sentenze del tribunale e della corte d'appello, che sono giudici di merito; ma poich tali sentenze non possono mai riguardare la semplice estimazione, bens solo quella complessa, le stesse non possono contenere la concreta quanti ficazione del reddito imponibile, ma ci non impedisce che anche per esse la f9rmula ultima pronuncia di merito debba essere necessariamente intesa come ultima pronuncia intervenuta in meriito alla determinazione dell'imponibile. Quale ulteriore argomento per dimostrare l'erroneit della decisione impugnata, la ricorrente deduce che, qualora la disposizione della lett. e) non fosse riferita all'imponibile risultante dalla decisione della commis sione centrale, ma alla decisione della Commissione provinciale di Pesaro, essendo questa totalmente favorevole al contribuente, si determinerebbe la definizione della controversia senza la realizzazione di alcuna entrata da parte della Finanza, il che in contrasto con ;le finalit della legge sul condono, intesa ad eliminare le controversie pf!ndenti, ma anche a con sent>, il che certamente non corrisponde alla intenzione del legislatore. Aggiungasi che, nella specie, qualora si considerasse come ultima pronuncia di merito la decisione della Commissione provinciale di Pesaro, essendo essa interamente favorevole alla contribuente, questa .finirebbe per ottenere l'applicazione del condono senza dover pagare la bench minima somma a titolo di imposte, in quanto detta Commissione determin un imponibile agevolato pari a zero; ma ci contrasterebbe con il principio, affermato in premessa, secondo cui la ratio della legge sul condono ispirata alla duplice esigenza di eliminare, da un lato, le numerose controversie pendenti prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria, e di realizzare, dall'altro, una, sia pur ridotta, entrata tributaria. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 febbraio 1980, n. 1307 -Pres. Falcone Est. Cantillo -P. M. Minetti (conf.) -Fautrero (avv. Micheili) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Questione sulla natura agricola o edificatoria di suoli -Deducibilit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. artt. 26 e 40). L'impugnazione di terza grado un mezzo di gravame illimitato in fatto e in diritto con la sola eccezione della valutazione estimativa; non avendo pi ragione di esistere la distinzione fra estimazione semplice ed estimazione complessa, conoscibile dal giudice di terza grado la que.~ stione sulla natura agricola e edificatoria dei suoli ai fini della c.d. valutazione automatica (1). (1-3) Nuove prospettive per il giudizio di terzo grado? Dopo che la Corte Suprema con varie fondamentali pronunzie aveva fissato i cardini per la caratterizzazione del giudizio di terzo grado, fugando i sospetti di illegittimit costituzionale della riforma, sta affiorando nel tempo pi recente un diverso orientamento la cui pericolosit si subito manifestata con una ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale. Giova ricordare che con la sentenza 22 novembre 1977, n. 5086 (in questa Rassegna, 1977, I, 874 con nota di C. BAFILE) furono approfonditi tutti i problemi del giudizio di terzo grado e mentre venne riconosciuta la manifesta infondatezza di ogni questione di illegittimit costituzionale, si afferm che questa particolare impugnazione, identica per i due organi giurisdizionali alternativa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 110 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 maggio 1980, n. 3176 -Pres. Marchetti Est. Battimelli -P. M. Grimaildi (diff.). -Lattanzi (avv. Frappicini) c. Ministero delle Finanze (.avv. Onufrio). Tributi in genere . Contenzioso tributario Giudizio di terzo grado Estensione Determinazione del domicilio fiscale Deducibilit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). A seguito della riforma tributaria i poteri della Commissione centrale, che non sono rimasti identici a quelli ad essa attribuiti in precedenza, sono estesi ad ogni questione di fatto diversa dalla valutazione estimativa. pertanto deducibile innanzi al giudice di terzo grado, anche in fatto, la questione dell'individuazione del domicilio fiscale dalla quale discende la regolarit delta dichiarazione (2). III CORTE DI CASSAZI~ONE, Sez. I, Ord. 19 giugno 1980, n. 337. Pres. Mirabelli Est. Battimelli P. M. Caristo (conf.) Micangeli (avv. Serio) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere . Contenzioso tributario '" Giudizio di terzo grado Estensione Art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Questione di illegittimit costituzionale non manifestamente infondata. (Legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 14; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26)> Non manifestamente infondata Ja questione di illegittimit costituzionale per eccesso di d.elega d.ell'art. 26 del d.P . .R. 26 ottobre 1972, n, 636 che attribuisce alla Commi~sione centrale la potest di decidere; allo stesso modo della corte di appello, questioni di fatto, ben oUre limiti del giudizio di legittimit definito nella norma delegante (3). mente preposti, doveva essere definita coerentemente con la tradizione, intendendo la valutazione estimativa, che segna il limite alla giurisdizione di merito, in senso sostanzialmente coincidente con la estimazione semplice. Tale proposizione aveva gi trovato numerose conferme (Cass., 19 settembre 1978, n. 4195, ivi, 1978, I, 189; 12 maggio 1979, n. 2739, ivi, 1979, I, 763 ed anche 19 febbraio 1979, n. 2046, ivi, 1979, I, 719). Qualche altra pronunzia sul tema, pur evftando di prendere una troppo netta posizione, non aveva smentito i precedenti (10 aprile 1979, n. 2046, ivi, 1979, I, 719; 19 novembre 1979 n. 6022; ivi, 1980, I, 429, con nota di C. BAFILE). La dottrina si era invece mostrata prevalentemente critica su questo orien tamento da alcuni definito conservatore (GLENDI, Ancora sui limiti di cogni - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 111 I (omissis) Ai fini dei tributi successori relativi all'eredit di Ettore Fautrero, deceduto il 29 marzo 1966, insorse controversia in ordine alla valutazione di due terreni siti in Carmagnola, i quali erano stati indicati nella denuncia di successione come suoli agricoli e secondo il valore risultante in base ai criteri tabellari di cui alla legge 20 ottobre 1954, n. 1054. La finanza ritenne trattarsi di terreni edificatori e notific avviso di accertamento con il quale elev il valore del primo suolo da 10.950.000 (circa undicimilioni) a lire 80.000.000 e quello del secondo da lire 250.000 a lire 15.000.000. Il ricorso dell'erede Giorgio Fautrero fu accolto dalla commissione distrettuale. La commissione provinciale, invece, ritenne legittimo l'operato dell'ufficio, escludendo l'applicabilit dei coefficienti automatici e confermando il valore venale degli immobili come sopra accertato. Essendo entrato in vigore il nuovo contenzioso tributario, il Fautrero impugn la decisione innanzi alla corte di appello deducendo il vizio di insufficiente motivazione e il travisamento dei fatti; nel merito, chiese che fosse accertata la natura agricola dei due suoli. La corte di appello di Torino, con la sentenza oggi in esame, dichiarava inammissibile il gravame. Premesso che, ai sensi dell'art. 40 del zione della corte di appello e della Commissione centrale dopo la riforma, in Dir. e prat. trib., 1978, II, 351; TESAURO, Osservazioni sulla nozione di valutazione estimativa, in Riv. dir. finanz., 1978, II, 11; MORELLI, L'inerenza della valutazione estimativa come discrimen tra questioni di fatto sottratte e non alla cognizione del giudice ordinario e della Commissione centrale tributaria, in Giust. civ., 1978, I, 493; FLORIO Con, Ancora sulle questioni di fatto nel giudizio tributario, ivi, 1979, IV, 187; DI SALVO, Questioni sulla competenza della Commissione tributaria centrale e della Corte di appello, ivi, 1980, I, 215). Improwisamente in qualche pronunzia pi recente emersa la tendenza ad allargare i confini dell'impugnazione di terzo grado, a vedere in essa qualcosa di completamente diverso dalla tradizione, intendendo la valutazione estimativa come assai pi limitata della estimazione semplice. Ed singolare che con motivazioni piuttosto brevi ed a volte assertive la Suprema Corte si posta in contrasto con pronunzie ben pi meditate e robustamente motivate. La prima delle sentenze ora intervenute ha riesaminato la questione, un tempo molto consueta, della natura agricola o edificatoria di un suolo ai fini della c.d. valutazione automatica, nella quale non si presentavano particolari questioni. Come si ricorcler, una consolidata giurisprudenza anteriforma riteneva che una tale questione, se di mero fatto, era di estimazione semplice e come tale riservata al giudizio della commissione distrettuale di valutazione ed a quello definitivo della commissione provinciale contro la quale era proponibile soltanto il ricorso per cassazione (v. Relazione Avv. Stato, 1970-75, II, 570). Valorizzando gli stessi criteri si dovrebbe ritenere che nel nuovo sistema una tale questione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 112 d.P.R. n. 636 del 1972, le decisioni della Commissione di secondo grado sono impugnabili davanti alla Corte di appello per violazione di legge e per questioni di fatto non relative a valutazione estimativa, la corte ha ritenuto che l'ambito concettuale dell'espressione violazione di legge debba trarsi dal n. 3 dell'art. 360 del codice processuale e che perci la norma debba essere intesa nel senso che consente l'impugnativa per il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto e non anche per vizi della motivazione, che formano oggetto di apposita previsione al n. 5 dello stesso art. 360. E poich il Fautrero non aveva denunziato errori del giudizio, ma appunto soltanto vizi della motivazione, 'ha ritenuto inammissibile il primo motivo di appello. Quanto al secondo motivo, ha osservato che il nuovo contenzioso tributario ha tenuto ferma la distinzione, elaborata nel precedente ordinamento, fra estimazione semplice ed estimazione complessa, sottraendo alla cognizione della corte di appello, con l'espressione questioni di fatto relative a valutazione estimativa tutte le questioni rientranti nell'area dell'estimazione semplice, nelle quali l'accertamento sia limitato alla valutazione discrezionale di dati o elementi di puro fatto, prescindendo da ogni indagine di diritto. Muovendo da questa premessa, ha rilevato che nella specie non vi era contestazione in ordine agli atti giuridici rilevanti per la qualificazione agricola o edificatoria dei suoli e perci l'indagine non involgeva questioni di diritto, idonee ad attribuire la controversia all'area dell'estimazione non pu essere decisa nel merito dal giudice di terzo grado innanzi al quale la decisione di secondo grado pu essere impugnata soltanto per vizi del procedimento. Ma di fronte ad una decisione della corte di appello che, con evidente eccesso, aveva dichiarato integralmente inammissibile il ricorso, la suprema corte non solo ha affermato che contro la decisione della commissione di secondo grado di valutazione estimativa sono deducibili tutti i vizi di motivazione (e del procedimento in genere), ma anche che, essendo stata superata la distinzione tra estimazione semplice ed estimazione complessa, anche le questioni di mero fatto, purch non estimative, rientrano nella giurisdizione del giudice di terzo grado, si che anche l'accertamento della natura agricola od edificatoria di un terreno non sarebbe sottratta al giudizio della Commissione centrale o della corte di appello. In verit la suprema corte ha annullato la sentenza impugnata per difetto di motivazione sul punto se la controversia importasse o meno una questione di valutazione estimativa; ma sembrerebbe di poter intendere che la questione sia stata ritenuta senz'altro deducibile in terzo grado. La sentenza invero contraddittoria, perch ritiene che il giudice di terzo grado avesse allo stesso tempo il potere di annullare (giudizio di mera legitti mit) la decisione impugnata per vizi del procedimento, ed il potere (giudizio di merito) di decidere in fatto e in via definitiva la questione controversa. L'una e l'altra cosa non sembra possano verificarsi perch se la questione di valuta zione estimativa il ricorso in terzo grado sar ammissibile solo per vizi del procedimento e potr dar luogo soltanto ad annullamento con rinvio, se invece la questione esorbita dalla valutazione estimativa sar ammissibile il ricorso di PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 113 complessa, sicch anche sotto questo profilo la domanda era inammissibile. Avverso questa sentenza il Fautrero ha proposto ricorso affidato a due mezzi di annullamento. Resiste l'Amministrazione con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con i due motivi di ricorso, che possono essere esaminati insieme perch strettamente connessi, il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nonch vizi della motivazione, e critica la sentenza impugnata per avere erroneamente escluso che con il rimedio dell'appello possano essere dedotti vizi di motivazione della decisione della commissione tributaria di secondo grado e, altres, per avere qualificato come di semplice estimazione la questione sulla natura agricola o edificatoria dei suoli oggetto dell'accertamento fiscale in contestazione. Entrambe le censure sono fondate. Questa Corte Suprema ha pi volte chiarito che, ai sensi degli artt. 26 e 40 del d.P.R. cit., la commissione centrale e la corte di appello hanno competenza piena, in fatto e in diritto, su tutte le questioni, ad eccezione di quelle di mero fatto relative alla valutazione estimativa (e alla misura delle pene pecuniarie), sicch i due rimedi si configurano come mezzi di gravame illimitato della sentenza impugnata, proponibili per merito che si potr concludere con una decisione che, sostituendosi a quella impugnata, statuisca sul rapporto, mentre non avrebbe ragione d'essere una decisione di mero annullamento. Ma quel che pi importa sottolineare che questa pronunzia, pur riallacciandosi esplicitamente a quella n. 5086 del 1977, dichiara superata la distinzione tra estimazione semplice ed estimazione complessa, immagina la odierna valutazione estim,ativa come qualcosa di diverso (e pi ristretto) della estimazione semplice e quindi riconosce come deducibile oggi in terzo grado una questione che nel previgente sistema si riteneva pacificamente sottratta alla Commissione centrale e al giudice ordinario. pericoloso trarre troppo indirette illazioni da questa ancora isolata pronunzia che del resto circoscritta ad una questione ormai in esaurimento, dopo l'abolizione del sistema di valutazione automatica; ma non si pu nascondere il valore di novit della pronunzia. La seconda sentenza della S.C. risolve un problema assai semplice: non poteva seriamente mettersi in dubbio che sia nel vecchio che nel nuovo ordinamento fosse deducibile in terzo grado la questione sulla individuazione del domicilio fiscale connessa a quella della regolarit della dichiarazione e dell'accertamento in ragione della competenza dell'ufficio tributario; senza dubbio questa questione di applicazione della legge pu essere decisa anche in fatto in terzo grado. )\fa la esatta pronunzia della S.C. si preoccupata di premettere nella motivazione che dopo la riforma del contenzioso i poteri della Commissione centrale non sono rimasti identici a quelli ad essa in precedenza attribuiti, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 114 violazione di legge ed errata risoluzione di questioni di fatto, eccettuate. le statuizioni attinenti a valutazione estimativa, che possono essere impugnate solo per violazione di leggi processuali o sostanziali (cfr., sent. n. 5086 del 1977; n. 4168 e 4154 del 1978; n. 1636 del 1979). Pertanto, con l'impugnazione innanzi alla Corte di appello (e con il ricorso alla commissione centrale) sono deducibili tutti i vizi di motivazione della decisione; e il principio valido anche per le statuizioni di valutazione estimativa, sol che in tal caso, ove si riscontri un vizio di motivazione che comporti la necessit di procedere a nuova stima, fa corte di appello non pu pronunziare nel merito, ma deve limitarsi ad annullare la decisione e rinviare la controversia ad altra sezione della commissione di secondo grado, ex art. 29 (cfr. sent. n. 1636 del 1979). Inoltre, come pure ha avuto modo di precisare questa Corte Suprema (sent. n. 5086 del 1977), nel nuovo. contenzioso tributario non ha pi ragione di essere la distinzione fra estimazione semplice ed estimazione complessa, elaborata nel vigore della precedente disciplina, dal momento che sono indistintamente attribuite alla competenza piena della commissione centrale e della corte di appello sia le questioni di diritto e sia quelle di fatto estranee alla valutazione estimativa. La competenza in fatto dei due organi non pu essere individuata, quindi, con riferimento alla nozione di estimazione complessa, ricercando, cio se la questione implichi o non implichi la soluzione di problemi di si che oggi la questione, manifestamente non di valutazione estimativa, pu essere decisa senza limitazioni. :. questa una ulteriore e quasi inconsapevole espressione di una persuasione che sta acquistando terreno, secondo la quale il giudizio di terzo grado si sarebbe notevolmente ampliato rispetto al passato e che la valutazione estimativa intesa in senso, assai restrittivo, di mero apprezzamento di stima, sottragga concretamente al terzo grado un settore assai limitato. Soprattutto, abbandonando la tradizionale contrapposizione tra estimazione semplice ed estimazione complessa, sembrerebbe che ci si voglia liberare da quella sorta di condanna, che ha afflitto pi generazioni nella ricerca di una distinzione sempre sfuggente, per cercare un criterio del tutto nuovo per una facile definizione del giudizio di terzo grado che comprenderebbe tutto, ad eccezione delle sole questioni sul quantum della base imponibile. Ne risulterebbe cos un giudizio assai diverso da quello tradizionale, veramente di merito, salvo una ristretta limitazione, poco o nulla differenziato da quello di secondo grado. Ma ecco che a questo punto proprio la S.C. ad accorgersi che la conce zione di un tale giudizio sarebbe scappata di mano al legislatore delegato mentre l'idea della legge delegante era piuttosto per la conservazione del giudizio tradizionale. Senza affrontare in questa sede in tutta la sua ampiezza il problema del giudizio di terzo grado e della questione di legittimit costituzionale, riteniamo utile esporre alcune considerazioni. La questione di legittimit costituzionale era stata diffusamente trattata nella menzionata sentenza n. 5086 del 1977 le cui argomentazioni erano pi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 115 carattere giuridico: anche le questioni di mero fatto non estimativo rientrano nella giurisdizione dei medesimi organi e, per converso, la necessit di risolvere problemi di diritto non vale ad attrarre in essa, oltre a questi, anche la valutazione estimativa, riservata alle commissioni tributarie di primo e di secondo grado. In effetti, solo le questioni di quest'ultimo tipo sono sottratte alla competenza in esame e perci, per stabilire in concreto se una questione esuli dalla cognizione di fatto della commissione centrale o della corte di appello, occorre avere riguardo esclusivamente alla sua inerenza, o meno, all'area della valutazione estimativa (il cui ambito concettuale stato precisato con la cit. sent. n. 5086 del 1977). Nella specie, la corte di appello ha anzitutto negato, con palese errore di diritto, il suo potere di controllare la congruit logico-giuridica della motivazione della decisione della commissione di secondo grado, potere ad essa spettante, invece, in ogni caso, cio anche in presenza di una statuizione limitata alla mera determinazione del valore venale dei beni. In secondo luogo, fuorviata dalla erronea premessa che la competenza della corte di appello sia limitata, in sostanza, alle questioni di estimazione complessa, non ha motivato correttamente la pronunzia di improponibilit della questione circa la natura agricola o edificatoria dei suoli. Essa si limitata ad affermare, infatti, che l'indagine richiesta in proposito non comportava la soluzione di questioni giuridiche, il quale rilievo, come si detto, non sufficiente ad escludere la competenza della corte persuasive di quelle della ordinanza sia sul punto (che sembrerebbe il pm debole) della necessaria diversit dei due giudizi alternativi della Commissione centrale e della corte di appello, sia sul punto della nozione di giudizio di legittimit contenuta nella legge delegante. Sul primo profilo si pu aggiungere che la diversit fra i due giudizi alternativamente dati porterebbe a ritenere al ci l della delega anche il giudizio della corte di appello qualora si intendesse per valutazione estimativa qualcosa di diverso e pi ristretto della estimazione semplice. Se infatti nel pensiero del delegante l'estimazione semplice doveva rimanere in ogni caso esclusa dalla competenza della corte di appello, se ne deve dedurre o che la valutazione estimativa sinonimo dell'estimazione semplice o che il decreto delegato ha escluso di meno (ed ha attribuito di pi) di quanto la legge delegante prevedeva. allora ragionevole pensare che i due giudizi di terzo grado siano stati concepiti uguali per l'oggetto, come lo erano sempre stati quello della Commissione centrale e quello dell'A.G.O. e soprattutto che la legge delegante che certamente, mantenendo la stessa espressione ha lasciato tal quale il giudizio della corte di appello, non ha inteso, usando espressione diversa, restringere l'ambito tradizionale del giudizio della Commissione centrale. Ora, allontanandosi dai binari tracciati dalla S.C. con le meno recenti pronunzie, si va incontro a strane contraddizioni: da un lato la dottrina prevalente tende a concepire il giudizio di terzo grado come un ordinario gravame di merito dal quale sottratta solo la modestissima fetta dell' attribuzione di uno pi che altro valore monetario di un determinato fatto o oggetto (GLENDI, op. cit); 9 -,., -,., 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli appello, occorrendo ulteriormente accert~re che non si debbano risolvere questioni di fatto estranee alla valutazione estimativa. Il ricorso va perci accolto e, in conseguenza, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte di appello di Torino, la quale proceder a nuovo esame della controversia attenendosi ai principi cli diritto e ai rilievi sopra svolti. (omissis) II (omissis) Virgilio Lattanzi esercente attivit edilizia in Macerata present la denunzia unitaria dei redditi per l'anno 1961 all'ufficio di Castelnuovo di Porto, nel cui distretto compreso il comune di Rignano Flaminio, dove egli assumeva di essersi trasferito. L'ufficio, assunte informazioni e ritenuto che il contribuente continuava a svolgere la propria attivit in Macerata, trasmise la denunzia all'ufficio di detta citt, dove la denunzia pervenne dopo la scadenza dei termini di legge. Conseguentemente, l'ufficio di Macerata accert il reddito nei confronti del Lattanzi, oltre le penalit per tardiva dichiarazione. Il Lattanzi ricorse alla commissione distrettuale cli Macerata, sostenendo che egli aveva presentato denuncia di mutamento di residenza prima del termine di scadenza per la presentazione della denuncia dei redditi, per cui contest la competenza territoriale dell'ufficio di Macerata; nel merito, denunci l'eccessivit dell'accertamento e l'illegittimit della applicazione di penalit per omessa denuncia. contemporaneamente la S.C., mentre asseconda questa tendenza, si accorge che proprio in conseguenza della proposta estensione nasce un sospetto di eccesso di delega; ma intanto propone una netta differenziazione tra il giudizio della corte di appello e quello della commissione centrale, il primo allargato e il secondo ristretto rispetto alla tradizione. Si toccano con mano i pericoli che possono comportare interpretazioni troppo unilaterali che non tengano sotto controllo il problema complessivo: si rischia di paralizzare il contenzioso facendo venire a mancare il riferimento fondamentale per l'attivit del giudice. Diventa allora necessario ritrovare un punto fermo. Il problema forse deve incentrarsi, pi che sui molti elementi interpretativi sui quali si molto discusso, sulla individuazione di un intento innovativo o conservatore del legislatore della riforma. Ripetutamente la S.C. nelle pronunzie citate all'inizio ha affermato, senza arrossire, che per una corretta interpretazione delle norme della riforma deve farsi ricorso al contenuto concettuale che le locuzioni impiegate avevano acquistato nel sistema del precedente contenzioso e che in base alla pregressa esperienza giuridica si poteva ritenere che il legislatore della riforma aveva recepito i capisaldi dell'interpretazione giurisprudenziale della precedente normativa in ordine alla competenza della Commissione centrale ; in definitiva si stabilisce una linea di continuit dal vecchio al nuovo ordinamento nelle attribuzioni della Commissione centrale e parallelamente del giudice ordinario rispetto PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 117 La commissione adita, ritenuto che il domicilio fiscale del Lattanzi fosse quello di Rignano Flaminio, annull l'accertamento, ma la decisione fu riformata dalla commissione di secondo grado, la quale accert, sulla base di documentazione proveniente dai due comuni (di Macerata e di Rignano Flaminio), che il Lattanzi aveva conservato la propria residenza nel primo di detti comuni fino all'anno 1963; riconosciuta quindi la competenza dell'ufficio di Macerata, la Commissione determin la misura dei redditi assoggettati all'imposta di R.M., cat. B, e all'imposta sui fabbricati, nonch la conseguente imposta complementare. Su ricorso cos dell'ufficio che del contribuente la commissione tributaria centrale, con decisione n. 10289/76 depositata il 30 settembre 1976, dato atto che la commissione di secondo grado aveva omesso di determinare i redditi di R.M. cat. A), accolse l'impugnazione dell'ufficio, rinviando alla detta commissione perch completasse la propria pronuncia; rigett invece il ricorso del contribuente. La commissione afferm che, per quanto atteneva alla competenza dell'ufficio accertatore, il giudizio espresso dalla commissione di secondo grado era basato su valutazioni di prove incontrovertibili e costituiva un giudizio di merito insindacabile in sede di legittimit; ritenne inoltre priva di fondamento la tesi del ricorrente circa la decadenza dell'ufficio dal diritto di effettuare l'accertamento, notificato oltre il termine di tre anni, in quanto nel caso di specie si doveva applicare il pi lungo termine quadriennale previsto dall'art. 32 del t.u. n. 645 del 1958, come modificato alla Corte di appello, cosicch la valutazione estimativa viene intesa in modo sostanzialmente coincidente con l'estimazione semplice. Gran parte della dottrina giudica questo orientamento conservatore in senso dispregiativo e vuole ad ogni costo trovare nella riforma un processo nuovo, svincolato dalla tradizione, con un giudizio di terzo grado _qg~_s_i_t_ot_alme_n:t.e identico a quello di appello. evidente che l'interpretazione deve essere condotta senza pregiudizi n di assoluta conservazione n di necessaria innovazione e senza la convinzione che ci che tradizionale sempre negativo e ci che innovativo sempre lodevole. Occorre solo sforzarsi di individuare, quale che sia, la mens legis. Ora sembra incontestabile che sulle norme della riforma la tradizione abbia un peso determinante, quasi ineluttabile. La stessa Commissione centrale, che giudica in alternativa alla corte di appello alla quale sono in ogni caso sottratte le questioni di estimazione semplice, non potr non riapparire con una fisionomia non troppo dissimile dal passato. Ma soprattutto non sarebbe spiegabile, se non con il peso della tradizione, la costruzione di un singolare processo tributario in quattro gradi, unico esempio dell'esperienza di tutti i tempi; ed proprio il giudizio di terzo grado quello che maggiormente caratterizzato da una lunga esperienza. Come sarebbe possibile costruire con spirito innovativo un giudizio di terzo grado che o una duplicazione dell'appello o una duplicazione del ricorso per cassazione o addirittura alternativamente l'una o l'altra cosa? Non potrebbe mai giustificarsi l'idea di una impugnazione duplicata, introdotta oggi con una riforma pensata per razionalizzare una giurisdizione 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dall'art. 1 della legge 31 ottobre 1966, n. 958, essendo la dichiarazione pervenuta all'ufficio competente dopo la scedenza dei termini di legge. Il Lattanzi ricorse per cassazione contro questa decisione deducendo i seguenti motivi: l motivo: Omessa motivazione su punto decisivo. La commissione centrale ha ritenuto che il giudizio effettuato dalla Commissione di secondo grado si basasse su elementi di fatto non sindacabili in sede di legittimit, mentre invece la questione sollevata dal contribuente riguardava eccezioni di diritto e violazione di norme di legge, su cui la commissione centrale avrebbe dovuto motivare, il che non ha fatto. 2 motivo: Violazione ed errata applicazione di norme di legge. La commissione centrale ha errato nel ritenere che la questione del domicilio fiscale costituisse questione di merito non sollevabile innanzi ad essa. Il ricorrente, infatti, lamentava, come lamenta, la violazione degli artt. 9 e 10 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, ed in particolare la carenza, nel caso di specie, di ogni provvedimento dell'Intendente di Finanza o del Ministro circa la determinazione del suo domicilio fiscale. Si trattava di una questione di diritto, che la Commissione avrebbe dovuto affrontare e decidere. 3 motivo: Omessa motivazione su di un punto della controversia. Il Lattanzi aveva denunziato, fra l'altro, alla commissione centrale la violazione dell'art. 7 del t.u. n. 645 del 1958 per duplicazione di imposta nei suoi confronti; su tale punto, la Commissione centrale ha omesso completamente di decidere e di motivare. L'Amministrazione delle Finanze dello Stato resiste con controricorso. speciale. E se il giudizio di terzo grado fosse veramente un gravame di merito non dissimile dall'appello, con il solo limite della determinazione monetaria, come si potrebbe spiegare la sua devoluzione alla Commissione centrale che composta da elementi di elevatissima qualificazione soltanto giuridica e che non pu esercitare poteri istruttori? All'inverso l'ipotesi di due impugnazioni successive di stretta legittimit ancor meno credibile. L'esistenza del terzo grado spiegabile solo con quel carattere particolarissimo ed irriducibile che si costruito faticosamente nel tempo e che una tradizione ritenuta irripudiabile ha consegnato al legislatore della riforma: il giudizio che si basa sull'ostico ma ineliminabile concetto di estimazione complessa. i?. questo un giudizio di fatto ma non soltanto di fatto e che comporta questioni di applicazione della legge pur non essendo di stretta legittimit; in ci si differenzia sia dall'appello che dal ricorso per cassazione, e solo in quanto tale se ne giustifica la sopravvivenza. La tradizionale contrapposizione tra estimazione semplice e complessa, la sola spiegazione possibile dell'esistenza del giudizio di terzo grado; il problema non allora di conservazione o innovazione, ma di abolizione o sopravvivenza del terzo grado. Ma una volta che la legge PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 119 l\fOTIVI DELLA DECISIONE I primi due motivi di ricorso, che trattano, sia pure sotto una diversa visuale (in quanto il secondo sviluppa anche la questione di merito della fissazione del domicilio fiscale), la stessa questione, vanno esaminati congiuntamente e vanno accolti. A parte infatti ogni questione di merito, in entrambi i motivi il ricorrente lamenta che illegittimamente la commissione centrale abbia omesso di decidere la questione di merito relativa all'accertamento del domicilio fiscale e alla validit e opponibilit all'Amministrazione dell'asserito cambiamento di residenza, e la doglianza fondata. La decisione impugnata, infatti, si limitata sul punto, come in precedenza esposto, ad affermare che la decisione di secondo grado si basava su accertamenti e valutazioni di prove incontrovertibili e costituiva un giudizio di merito non sindacabile innanzi ad essa commssione. Il che, mentre non costituisce, per assoluta genericit di motivazione, alcuna valutazione, positiva sulla soluzione adottata nella decisione impugnata, comporta una ingiustificata declinazione di competenza da parte della commissione centrale, che erroneamente ha ritenuto che, dopo la riforma del contenzioso tributario, i suoi poteri fossero rimasti identici a quelli che le erano attribuiti in precedenza. Il che errato, in quanto per l'art. 26 del d.P.R~ 26 ottobre 1972, n. 636, alla commissione centrale pu devolversi, con l'impugnazione, non solo qualsiasi questione di legittimit, delega ha voluto il terzo grado ancorandolo alla estimazione complessa, diventa impossibile pensare ad un giudizio disancorato dalla tradizione. Forse in favore di una pi ampia delimitazione del giudizio di terzo grado milita l'illusione di stabilire un criterio pi semplice e sicuro di separazione delle competenze; tutto ci che non puro e semplice apprezzamento di quantit devoluto al giudice di terzo grado il quale emette una pronunzia di merito pieno (o di gravame illimitato). Ma questa una illusione, perch la determinazione di ci che pura valutazione estimativa sfugge, allo stesso modo dell'estimazione semplice, ad una lineare demarcazione. L'esistenza del presupposto e l'apprezzamento della relativa prova non rientrerebbe nella valutazione ( questo per l'appunto il settore ove si manifesterebbe maggiormente la differenza di ampiezza tra estimazione semplice e valutazione estimativa) e, su questa stessa linea, lo stabilire se un suolo agricolo o edificatorio non rientrerebbe nella valutazione. Ma, come bene mise in luce la sentenza n. 5086 del 1977, l'identico procedimento logico condotto con gli stessi poteri e gli stessi mezzi probatori che porta a stabilire sia il se sia il quanto di un fenomeno tributariamente rilevante. E se si considera che a seguito della riforma si esteso e rafforzato il principio dell'accertamento analitico, ben si vede che l'unico inscindibile giudizio che porta a concludere (specie nelle imposte dirette) se un reddito netto stato prodotto e nell'affermativa a determinarne la quantit; non si vede come nell'esame analitico di una dichiarazione o di un bilancio si possa fare una distinzione fra l'operazione che porta a concludere che l'attivit del periodo di imposta ha prodotto un reddito netto di una quantit determinata e quella che porta a 120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO Ima altres qualsiasi questione di fatto, escluse solo quelle attinenti a i',j valutazioni estimative ed alla misura delle pene pecuniarie. Nel caso di specie, pertanto, in cui non si discuteva della misura delle pene pecuniari per omessa denunzia, ma della legittimit della loro applicazione, ed in cui il problema del domicilio fiscale comportava indagini di fatto non I attinenti a valutazione estimativa, nonch indagini di diritto sulla normativa della residenza e sui suoi effetti sul domicilio fiscale, la commissione centrale bene era competente ad esaminare il merito del ricorso, per cui la decisione, su tale punto, va cassata, con rinvio alla stessa commissione perch si pronunzi: il che esclude che possano essere prese in esame, allo stato, in questa sede le questioni sollevate nel merito dal contribunte. (omissis) III (omissis) Nel corso di Ul giudizio innanzi alle commissioni tributarie, promosso da Lamberto Micangeli per contestare la pretesa tributaria azionata dall'ufficio distrettuale imposte dirette di Roma, che aveva tassato con imposta di R.M., cat. B, ai sensi dell'art. 81, ultimo comma, del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, il plusvalore ricavato dalla vendita di un suolo edificatorio, la commissione di secondo grado respinse l'appello dell'ufficio, negando l'esistenza di un'operazione speculativa. concludere che nell'attivit del periodo di imposta gli elementi positivi sono pareggiati dagli elementi negativi; stabilire la quantit del reddito in una cifra o costatare che il reddito uguale a zero o che vi stata perdita non sono giudizi diversificabili in modo da determinare distinte competenze. E, per tornare al caso della prima delle sentenze in esame, Io stabilire se un suolo agricolo o edificatorio un apprezzamento che fa parte del giudizio di stima e non da esso separabile. Non sembra cio sostenibile che una decisione di secondo grado, che sicuramente non pu essere impugnata per far determinare un minor reddito o un minor valore, possa esserlo per far affermare che il reddito zero o che il terreno non edificatorio. In base ad analoghe considerazioni si dovr dire che l'elemento di fatto che qualifica il fenomeno tributario (quale l'intento di speculazione che fa diventare un reddito da plusvalenza un evento altrimenti irrilevante o pi in generale le questioni di valutazione della prova sul fatto che determina il presupposto dell'imposizione) da ricomprendere nella valutai:ione estimativa come era ricompreso nella estimazione semplice. Quando poi si procede all'accertamento con metodo induttivo ancor pi evidente la inseparabilit dell'apprezzamento sul se da quello sul quanto. In definitiva la valutazione estimativa non elimina le difficolt che presentava l'estimazione semplice, cosicch non sarebbe saggio abbandonare una tradizione che offre molti punti di riferimento, anche se non riesce ad offrire un criterio assolutamente sicuro. Un'ultima considerazione. Se l'art. 40, come presuppone l'ordinanza, legittimo, vuol dire che la valutazione estimativa ivi contemplata non nulla PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 121 Su ricorso principale dell'ufficio e su ricorso incidentale del contribuente, la commissione tributaria centrale, esaminando prima il ricorso incidentale, dichiar valido e legittimo l'accertamento e, quanto al merito, in riforma della decisione impugnata, riconobbe l'esistenza di una plusvalenza tassabile, ravvisando l'esistenza di un'operazione speculativa nella rivendita di un terreno di rilevante estensione, non potendosi ipotizzare che fosse stata immobilizzata nell'acquisto di detto terreno, del tutto improduttivo, una rilevante somma di denaro senza intento speculativo, dovendosi ritenere che l'acquisto era stato preordinato alla rivendita in un momento favorevole di mercato, e dovendosi altres ritenere che la vendita fosse stata effettuata a solo scopo di lucrn, e non, come sostenuto dal contribuente, che essa fosse stata necessitata per far fronte al pagamento di ingenti somme dovute per imposte. Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il Micangeli, deducendo i seguenti motivi: 1) illegittimit costituzionale dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972; 2) subordinatamente, violazione, da parte della commissione centrale, delle norme sulla propria competenza; 3) difetto di motivazione in ordine alla riconosciuta illegittimit dell'accertamento; 4) violazione dell'art. 81 del t.u. n. 645 del 1958 per l'avvenuto riconoscimento, nel caso di specie, di una plusvalenza tassabile; di detti motivi pregiudiziale il terzo, in quanto, una volta riconosciuta l'illegittimit dell'accertamento, verrebbe meno ogni possibilit di discutere, in sede di diverso dalla estimazione semplice della legge di delega (l'ipotesi che la nozione di estimazione semplice assunta nella legge delega sia diversa da quella a quel tempo di uso corrente secondo l'interpretazione tradizionale non pu essere presa in seria considerazione). Se questa coincidenza esiste per la corte di appello, sarebbe veramente difficile non ritrovarla anche per la Commissione centrale, a meno che non si voglia ammettere, ma sembra assai arduo, che la legge delega abbia voluto espressamente ristringere il potere della Commissione centrale per farne un giudice di stretta legittimit, duplicato alla Corte di Cassazione. Potrebbe allora pensarsi che tanto l'art. 26 quanto 1art. 40, fra loro identici, siano illegittimi per eccesso di delega; ed per l'app4nto quello che si rischia costruendo la valutazione estimativa come un assai ristretto campo di determi nazione monetaria che lascia al giudice di terzo grado una parte di ci che apparteneva un tempo alla estimazione semplice. Ma cos facendo si va a fare uno sforzo interpretativo prnprio con il risul tato di creare un eccesso di delega; il che doppiamente irragionevole perch nel dubbio deve essere preferita l'interpretazione conforme alla delega che non da occasione a sospetti di illegittimit costituzionale e perch la diversa interpre tazione importerebbe un eccesso di delega cos frontale e palese da sembrare poco verosimilmente commesso dal legislatore delegato. CARLO BAFILE 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giurisdizionale, sulla fondatezza, nel merito, della pretesa tributaria; detto motivo, pertanto, stato esaminato per primo da questa Corte, che l'ha riconosciuto infondato con sentenza non definitiva in data odierna. Ci comporta che necessario esaminare la questione di illegittimit costituzionale, pregiudiziale rispetto all'altra di incompetenza (derivando la competenza della commissione centrale proprio dalla norma di cui si denuncia l'illegittimit), nonch alla questione di merito, avendo la commissione centrale deciso il merito della causa risolvendo (come risulta dall'esposizione fatta in precedenza) questioni di fatto, il che si contesta dal ricorrente che essa potesse fare. Pertanto occorre esaminare se debba, o meno, essere rimessa alla decisione della corte costituzionale la questione di illegittimit costituzionale sollevata dal ricorrente, che denunzia l'esistenza di un eccesso di delega, e quindi la violazione dell'art. 76 della Costituzione, da parte del Governo nella formulazione dell'art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, norma che, attribuendo alla commissione tributaria centrale una competenza, oltrech di legittimit, anche di merito, avrebbe superato i limiti imposti dal legislatore con la legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825. In proposito si osserva che all'art. 10, secondo comma, n. 14), di detta legge si previde che avrebbe dovuto essere stabilita dal Governo, nell'esercizio dei poteri delegatigli dall'art. 1 per la riforma del sistema tributario, la revisione della composizione, del funzionamento e delle competenze funzionali e territoriali delle commissioni tributarie [...] prevedendosi che l'azione giudiziaria possa essere esperita avanti la corte di appello, con esclusione in ogni caso delle questioni di semplice estimazione, dopo che sia decorso il termine per il ricorso alla commissione centrale, proponibile quest'ultimo in via alternativa e per soli motivi di legittimit. Nell'esercizio dei poteri delegatigli il Governo, all'art. 26 del citato d.P.R. n. 636 del 1972, sanc che il ricorso alla commissione centrale proponibile soltanto per violazione di legge e 'per questioni di fatto, escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie, e all'art. 40 previde che decorso inutilmente per tutte le parti il termine per ricorrere alla commissione centrale, la decisione della commissione di secondo grado pu essere impugnata entro novanta giorni avanti la corte di appello per violazione di legge o per questioni di fatto, -~ escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. Le due norme, quanto all'attribuzione di competenza, sono perfettamente identiche, s che in base ad esse non si diversificano affatto le due impugnazioni proponibili innanzi alla commissione centrale e alla corte di appello, in evidente contrasto con quanto previsto dalla legge di delega, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA che aveva ipotizzato una alternativit dei rimedi (e quindi implicitamente una loro diversit sostanziale), alternativit che non trova pi alcuna ragione di essere per l'assoluta identit di contenuto delle due impugnazioni che, invece, secondo la dizione della norma delegante, erano previste come aventi diverso contenuto. Inoltre, mentre per quanto attiene alla competenza della corte di appello appaiono formalmente rispettati i limiti della legge delega, per cui nessuna illegittimit .costituzionale ipotizzabile quanto al suddetto art. 40, al contrario, con l'art. 26, il Governo ha attribuito alla commissione centrale non solo la competenza a decidere su motivi di legittimit (in ci conformandosi alla legge di delega), ma altres quella a decidere su questioni di fatto, per nulla ipotizzata nella norma delegante, la quale, al contrario, aveva chiaramente indicato i limiti della delega, ipotizzando che alla commissione centrale, a differenza che alla corte d'appello, fosse attribuita competenza per soli motivi di legittimit, il che induce a ritenere che fosse inibita l'attribuzione di competenza su qualsiasi altra questione. Avvalendosi dei poteri cos attribuitile, la commissione centrale, nel caso di specie, ha risolto, riformando la decisione di secondo grado, questioni sull'esistenza di una operazione speculativa che, per quanto innanzi chiarito, non erano di legittimit, bens di fatto, per cui la questione di illegittimit costituzionale appare rilevante ai fini della decisione della causa. Oltre che rilevante, la questione si appalesa anche non manifestamente infondata, in quanto, per decidere sul rispetto o meno da parte del Governo dei limiti impostigli dal legislatore delegante, necessaria una lunga ed approfondita indagine sul concetto di legittimit, laddove ictu oculi dalla lettura delle due norme e dal loro confronto appare, per quanto rilevato, un evidente contrasto. La questione va pertanto rimessa alla decisione della corte costituzionale, sospendendosi, conseguentemente, di decidere sul primo, secondo e quarto motivo del ricorso pendente innanzi a questa Corte. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 marzo 1980, n. 1403; Pres. Granata Est. Martinelli -P. M. Commarota (conf.). Camerani (avv. Modafferi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Avanzo). Tributi erariali diretti Imposta di ricchezza mobile Accertamento Sin teticit Dichiarazione apparentemente analitica Legittimit. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art.. 24 e 37). 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legittimo l'accertamento sintetico dei redditi quando la dichiarazione sia solo apparentemente analitica (1). (omissis) Con i tre motivi del ricorso, che stante la loro interdipendenza logica vanno congiuntamente esaminati, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 32, 37, 38, 39, 42, 110, 117, 119 t.u. n. 645 del 1958 in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione: a) per aver, erroneamente, ritenuto legittimo il ricorso all'accertamento sintetico da parte dell'ufficio distrettuale delle imposte, bench la denuncia .dei redditi, presentata tempestivamente dalla ricorrente, fosse stata analiticamente formulata ed avesse trovato puntuale riscontro nelle indagini espletate dalla Guardia di finanza, delle quali l'ufficio era venuto a conoscenza; b) per essere incorsa in difetto di motivazione in ordine alla determinazione dei redditi. Le censure sono destituite di fondamento. Invero, la commissione centrale con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, in quanto congruamente motivato ed immune da vizi logici e di diritto, ha ritenuto la denuncia dei redditi, presentata dalla contribuente, soltanto apparentemente analitica, in quanto riferentisi ad elementi contabili privi di ogni giustificazione, e, quindi, in maniera non sufficientemente analitica (ex art. 24 t.u. cit.). Questa corte con giurispntdenza, ormai, costante, ha affermato la legittimit del ricorso all'accertamento induttivo -sintetico del reddito non soltanto nel caso in cui difetti o sia incompleta la denuncia dei red l I diti o la medesima non abbia carattere analitico, ma ogni qualvolta tale carattere analitico -come nella specie -sia esclusivamente apparente, in quanto riferentesi ad elementi contabili sprovvisti di ogni giustificazione. ~ inoltre, del tutto pacifico che nel caso di denuncia dei redditi, presentata da un contribuente non soggetto a tassazione in base a bilancio (come nella fattispecie), l'Amministrazione finanziaria possa procedere ad accertamento induttivo e sintetico, anche se la denuncia formulata in modo analitico, qualora difettino i documenti giustificativi o quanto meno i riferimenti ai medesimi, cosicch l'ufficio non possa essere in grado di effettuare i necessari controlli (arg. ex art. 37, 117, 118 t.u. n. 645 del 1958). Va, inoltre, tenuto presente che il ricorso al metodo induttivo e sintetico legittimo qualora ne ricorrono i presupposti all'atto dell'accertamento d'ufficio, non rilevando la circostanza della successiva acquisizione da parte dell'ufficio dagli elementi di riscontro in ordine al reddito denun (1) 1: ormai consolidata la giurisprudenza che riconosce un rapporto di corrispondenza tra analiticit della dichiarazione e analiticit dell'accertamento (cfr. da ultimo Cass., 10 aprile 1979, n. 2046, in questa Rassegna, 1979, I, 719, con richiami). Degna di nota l'affermazione che l'analiticit della dichiarazione va verificata in modo non semplicemente formale. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 125 ciato attraverso le indagini espletate dalla polizia tributaria. Peraltro, va rilevato che nel caso concreto la Commissione centrale ha escluso l'esistenza e l'acquisizione di una adeguata documentazione giustificativa della denuncia dei redditi con motivazione congrua ed immune da vizi logici e di diritto, e come tale insindacabile in questa sede. D'altra parte, neppure possono essere prese in considerazione in questa sede le censure di travisamento dei fatti, che non concretizzandosi in un difetto di motivazione o di omesso esame di punti decisivi, possono essere fatte valere, esclusivamente, con ricorso al giudizio di revocazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1980, n. 1500 -Pres. Vigorita Est. Cantillo -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Sideritalia (avv. Romanelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alla Commissione centrale -Rinvio della decisione -Necessit di comunicazione alle parti -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 28). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Questione sulla natura dell'accertamento -Deducibilit. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione -Analiticit -Nozione Fattispecie. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 24 e 118; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 39). Tributi diretti -Dichiarazione -Natura confessoria -Esclusione -Effetti. Non deve essere data comunicazione alle parti del giorno al quale la commissione centrale ha rinviato la decisione a norma dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (1). Il giudice di terzo grado del nuovo contenzioso tributario pu conoscere nel merito sulla legittimit di un accertamento di cui sia controversa la natura sintetica o analitica (2). (1-4) La prima massima da condividere pienamente. Alle parti deve essere data la comunicazione della data della seduta della commissione, affinch pos sano, oltre che presentare le memorie, verificare la composizione del collegio ai fini di possibili ricusazioni. In quella data il ricorso viene assunto in deci sione. Pu essere stabilito altro giorno (non necessariamente una ordinaria seduta) per continuare o rinviare l'esame (che deve comunque cominciare per accertare i motivi che suggeriscono di non decidere immediatamente); ma ci riguarda le modalit della camera di consiglio ed ovvio che non ne va dato avviso alle parti. La seconda massima da condividere sul punto che spetta al giudice di terzo grado decidere nel merito sulla questione della legittimit dell'accerta 126 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STAID L'ufficio tributario pu avvalersi nell'accertamento di due rimedi di intensit crescente: se le carenze della dichiarazione sono circoscritte a determinati elementi, possono essere corretti, anche in via indiretta, gli elementi inattendibili mediante un accertamento che nel suo complesso f: resta analitico,quando invece le deficienze della dichiarazione (o la f totale omissione) investano l'intera rappresentazione dei fatti aziendali ~ deve necessariamente procedersi all'accertamento sintetico,-di conseguenza deve ritenersi analitico un accertamento con il quale si sia modificata la voce riguardante gli acquisti e, lasciando ferme tutte le altre poste attive e passive, sia stato determinato il maggior reddito calcolando l'utile netto in base alla percentuale risultante dalla dichiarazione (3). Bench la dichiarazione del contribuente non abbia valore confessorio, consentito all'ufficio utilizzare i dati risultanti dalla dichiarazione come indizi validi, in mancanza di prove contrarie, per sostenere l'accertamento (4). (omissis) La S.n.c. Sideritalia di Cesare e Carlo Magnaschi, esercente il commercio all'ingrosso di prodotti siderurgici, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1965 denunzi un reddito netto, assoggettabile all'imposta di ricchezza mobile, di circa quattordici milioni, che fu elevato dall'ufficio a quarantacinquemilioni sulla base di ulteriori acquisti per lire 311.030.935, non evidenziati dalla dichiarante e accertati dalla polizia tributaria. Alla determinazione di tale maggior reddito la finanza pervenne tenendo ferme le altre poste della dichiarazione ed applicando la stessa percentuale di utile lordo, pari al 10 %, risultante dall'analisi della dichiarazione medesima. Sul ricorso della societ, la commissione distrettuale delle imposte ridusse il reddito netto a lire 24.500.000, individuando l'utile netto nella percentuale dell'l,83 %; e la commissione provinciale, respingendo il gramento che si discute se sia analitico o sintetico, questione che sempre stata considerata di estimazione complessa (Cass., 9 gennaio 1978, n. 48, in Riv. Leg. fisc., 1978, 807; 10 aprile 1979, n. 2-046, in questa Rassegna, 1979, I, 719). Desta peraltro perplessit la formula della decisione della Commissione centrale di annullamento senza rinvio, nell'ipotesi che si riconosca legittimo l'accertamento; sembrerebbe che il giudice di terzo grado, che pronunzia in queste ipotesi sul merito, debba emettere una decisione sul rapporto che si sostituisce a quella impugnata. Sulla terza massima la giurisprudenza pu dirsi pacifica (Cass., 10 aprile 1979, n. 2046, gi citata). L'ultima massima, toccando il tormentato problema degli effetti della dichiarazione, ne nega il carattere confessorio pur ammettendo che l'ufficio possa basarvi l'accertamento; in senso contrario, da ultimo, Cass., 24 gennaio 1980, n. 579 e 19 febbraio 1980, n. 1219, in questa Rassegna, 1980, I, 815 e 823; sull'argomento v. C. BAFILE, Osservazioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, ivi, 1980, I, 361. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vame dell'Amministrazione e accogliendo quello della contribuente, ridusse ancora il reddito a lire 20.000.000, in base ad una percentuale di utile dell'l,60 %. La commissione tributaria centrale, con decisione del 9 luglio 1975, ha condiviso l'operato dell'ufficio, annullando senza rinvio la pronunzia della commissione provinciale. Essa ha osservato che l'accertamento in questione doveva ritenersi analitico, in quanto circoscritto alla rettifica di un'unica posta della denunzia, cio dell'ammontare degli acquisti, sicch erano incorse in errore le commissioni di merito per avere accertato il reddito con metodo sintetico, ipotizzando una percentuale di utile lordo inferiore a quello dichiarato dalla contribuente, che noh poteva essere modificato, stante l'irretrattabilit della denunzia. E poich la societ non aveva contestato l'ammontare degli acquisti occultati, l'accertamento risultava legittimo sia quanto agli elementi di fatto considerati che ai criteri seguiti per il calcolo del reddito, e andava, quindi, interamente confermato, senza necessit di rinviare gli atti alla commissione tributaria di secondo grado, perch non occorreva procedere ad una nuova valutazione estimativa. Avverso questa decisione la Soc. Sideritalia ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso l'Amministrazione finanziaria dello Stato. l\llOTIVI DELLA DECISIONE 1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato per primo il quinto mezzo di annullamento, con il quale la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 26 e 28 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e deduce la nullit della decisione impugnata sul rilievo che essa stata deliberata dalla commissione tributaria centrale in udienza diversa da quella inizialmente stabilita, rinviata ad altra data senza dare notizia del rinvio alle parti. La censura infondata. Anche nel nuovo contenzioso tributario, nel giudizio innanzi alla commissione centrale non prevista la discussione orale e la data del l'udienza di trattazione deve essere comunicata alle parti allo scopo di consentire ad esse di presentare le difese scritte ed altres di rendere possi bile il controllo sulla conformit del collegio che ha reso la decisione con quello designato ex art. 27 per la trattazione del ricorso (posto che in questo giudizio, proprio perch non vi comparizione delle parti, la com posizione del collegio deve eessere stabilita e resa nota con notevole anticipo rispetto alla data fissata per la decisione, onde consentire alle parti medesime l'esercizio del potere di ricusazione). Pertanto, il rinvio della decisione del ricorso ad altra udienza, ancorch non comunicato alle parti, non produce alcuna conseguenza sulla validit 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO I della pronuncia, tranne che, per effetto del medesimo rinvio, si sia verifi~:: cata difformit fra il collegio che ha deciso il ricorso e quello pr_edisposto ex art. 27; ipotesi, questa, non ricorrente nella specie. II 2. -Con il primo e il quarto motivo, che vanno esaminati insieme e. . perch strettamente connessi, la ricorrente critica sotto tre profili la decil sione impugnata nella parte in cui si pronunziata sulla natura giuridica dell'accertamento in questione, qualificandolo analitico invece che sinte I tico, come avevano affermato le commissioni di merito. Sostiene che: a) la Commissione centrale ha travalicato i limiti del proprio potere giuri~ sdizionale, compiendo in tal modo, in violazione degli artt. 26 e 29 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, un'indagine di fatto riservata alle commissioni di merito; b) la questione non era stata riproposta dall'Amministrazione, la quale si era limitata a denunziare l'insufficiente motivazione della decisione della commissione provinciale; e) l'esame della questione era precluso dal giudicato formatosi sulla statuizione resa sul punto dalla commissione distrettuale, non impugnata dalla finanza. Le censure non sono fondate. Sub a), questa corte suprema ha altre volte chiarito che, ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972, la commissione centrale ha competenza piena, in fatto e in diritto, su tutte le questioni, ad eccezione di quelle di mero fatto attinenti alla valutazione estimativa (cfr., sent. n. 5086 del 1977). E fra queste ultime non rientra, manifestamente, la questione in ordine alla natura giuridica di un accertamento tributario, in particolare se debba qualificarsi induttivo o analitico, in quanto essa attiene al metodo seguito dall'amministrazione per il rilevamento della materia imponibile e implica un'indagine ermeneutica sul contenuto dell'avviso di accertamento, cio dell'atto amministrativo terminale del procedimento, nonch sulle attivit e le operazioni in cui questo consiste (nello stesso senso, con riguardo ai criteri per l'accertamento del reddito, cfr. Cass., n. 1835 del 1979). Sub b), poi, va detto che l'Amministrazione, con il ricorso alla commissione centrale, lament l'arbitraria sostituzione, operata nei precedenti gradi del giudizio, del metodo analitico, seguito nell'accertamento, con quello induttivo, e dedusse il difetto di motivazione proprio in funzione di questo assunto. Infine, all'argomento sub c) agevole obiettare -alla stregua degli atti (il cui diretto esame consentito a questa corte suprema, trattandosi di accertare l'esistenza di un giudicato interno) -che la decisione della commissione distrettuale di Genova fu impugnata nel suo complesso dalla finanza, perci su tutti i punti che avevano determinato la sua soccombenza; n essa aveva l'onere di riproporre espressamente, con l'atto di impugnazione, la questione suddetta, giacch l'art. 346 cod. proc. civ., nel PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 129 vigore della disciplina del contenzioso tributario precedente alla riforma, non era applicabile al processo di appello innanzi alle commissioni (non richiamato, per altro, neppure dalla normativa di cui al d.P.R. n. 636 del 1972) e, comunque, l'onere dell'espressa riproposizione imposto dalla norma per le domande ed eccezioni vere e proprie, non anche per le singole argomentazioni e prospettazioni giuridiche addotte a sostegno delle stesse (cfr., Cass., n. 5578 del 1978). 3. -Con il secondo e il terzo motivo, denunziando la violazione degli artt. 24, 117 e 118 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch vizi della motivazione, la ricorrente muove due censure alla decisione impugnata per avere rite nuto legittimo l'operato dell'ufficio, sostenendo che essa abbia erronea mente qualificato analitico l'accertamento, senza considerare che il maggior reddito era stato determinato in via induttiva, ed altres che, anche per effetto di questo errore, abbia ritenuto vincolante il dato relativo alla percentuale di utile emergente dalla dichiarazione, attribuendo cos a quest'ultima efficacia confessoria, in contrasto con la legge. Anche queste critiche sono destituite di fondamento. Quanto alla prima, va anzitutto previsato che, nel sistema dell'abrogato t.u. n. 645 del 1958, per le imprese commerciali individuali e collettive non rientranti, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, fra i soggetti tassabili in base a bilancio, l'amministrazione era abilitata a procedere al controllo di merito della dichiarazione del contribuente sulla base delle scritture contabili tenute dal medesimo e di elementi raccolti aliunde, nell'esercizio dei poteri di indagine ad essa conferiti (art. 118); e, in caso di incompletezza, inesattezza e infedelt dei dati e degli elementi esposti nella denunzia e nelle scritture contabili, erano previsti due rimedi di intensit crescente: quando tali carenze nell'esposizione degli elementi attivi e passivi, e, in genere, dei fatti aziendali (art. 24), pur conducendo ad un risul tata diverso da quello emergente dalla dichiarazione, erano circoscritte a determinati elementi, l'Ufficio era tenuto ad operare una rettifica di carat tere analitico, incentrata sulla contabilit esposta dal contribuente, deter minando voce per voce il maggior reddito conseguito o le indebite detra zioni effettuate; quando, invece, per l'irregolare tenuta delle scritture contabili (art. 118, secondo comma) e per la gravit delle infedelt e delle inesattezze riscontrate, la contabilit risultava inattendibile, l'ufficio era abilitato a procedere a rettifica extracontabile, prescindendo dalla dichia razione e utilizzando, in tutto o in parte, notizie e dati comunque in suo possesso. Anche nella prima ipotesi, per, era consentito all'ufficio di avvalersi di presunzioni ai fini della rettifica, accertando l'esistenza di attivit non dichiarate o l'inesistenza di passivit in base ad elementi indiziari, nel qual caso si aveva, quindi, l'inserimento del metodo induttivo in un 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO accertamento in rettifica eseguito con criterio analitico (inserimento espressamente previsto dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973). Nella specie, la decisione impugnata ha osservato che la finanza si era limitata a modificare la voce riguardante gli acquisti effettuati dall'impresa, da questa occultati per un importo di oltre trecento milioni; e lasciando ferme tutte le altre poste attive e passive -aveva determinato il conseguenziale maggior reddito applicando la percentuale di utile risultante dalla dichiarazione, supponendo che la societ avesse ricavato proporzionalmente lo stesso utile sui quantitativi non dichiarati. In base a queste caratteristiche, la commissione ha correttamente argomentato la natura analitica dell'accertamento, essendo stato determinato mediante presunzione solo il maggior ricavo riferibile all'elemento suddetto; e questo apprezzamento di fatto, cos sorretto da congrua e logica motivazione, risulta incensurabile in sede di legittimit. L'altra censura, prima che infondata, inammissibile, in quanto presuppone una ratio decidendi diversa da quella risultante dalla motivazione in esame. ~ esatto che la dichiarazione dei redditi (e, in linea generale, la dichiarazione tributaria) non ha natura confessoria, configurando, invece, una dichiarazione di scienza, la quale adempie alla funzione di rendere noto all'amministrazione il presupposto di fatto dell'obbligazione tributaria, nonch i dati e gli elementi dai quali esso scaturito (cfr., da ultimo, Cass., 24 aprile 1979, n. 2318, in tema di denunzia di successione). La decisione impugnata, per, non ha affatto attribuito valore confessorio alla dichiarazione di cui si discute, essendosi limitata ad affermare, come si visto, che correttamente l'Amministrazione aveva fatto riferimento alla percentuale di utile, dichiarata (implicitamente) dalla contribuente, per determinare l'ammontare dei maggiori ricavi, utilizzando, cio, il dato in questione non gi quale fatto oggetto di confessione, perci avente diretta efficacia probatoria in relazione al maggior volume di affari non denunziato, bens quale elemento idoneo a presumere, in difetto di prova contraria, ricavi costanti per l'intero volume di affari. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 marzo 1980, n. 1684 -Pres. Vigorita Est. Virgilio -P. M. Antoci (conf.) Soc. Boscoquattro (avv. Biondolillo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi erariali indiretti -Esenzione ed agevolazioni -Esclusione per le opere eseguite senza licenza edilizia -Presupposti. (legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 15). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 131 L'esclusione delle agevolazioni per le opere edilizie eseguite senza licenza o in contrasto con essa, secondo quanto dispone l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, presuppone che l'opera sia iniziata dopo l'entrata in vigore della legge e che essa abbia carattere di autonomia rispetto a strutture preesistenti, tale da richiedere la licenza edilizia. Pertanto, mentre incorrono nella esclusione opere di ampliamento o di trasformazione di edifici preesistenti, non vi sono soggette le opere di completamento o di rifinitura di edifici la cui costruzione era gi iniziata al momento dell'entrata in vigore della legge (1). (omissis) La ricorrente deduce che i contratti della cui tassazione si discute riguardavano lavori di rifinitura di fabbricati gi completi nelle loro strutture essenziali, e che per tali lavori non era quindi necessaria la licenza edilizia; che la legge 6 agosto 1967, n. 765, si applica alle costruzioni iniziate do_P,o la data della sua entrata in vigore, ma non con riferimento a lavori successivi a tale data, che siano eUettuati in fabbricati la cui costruzione risulti iniziata prima della data medesima; che ai fini della decadenza dai benefici fiscali ai sensi dell'art. 15 della legge n. 765 del 1967 occorre quindi far riferimento alla data di inizio della costruzione per la quale sono stati stipulati i contratti di appalto relativi alle rifiniture o al completamento di parti o impianti accessori, non avendo tali opere carattere di autonomia. Le censure sono fondate. L'art. 41-ter della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (aggiunto con l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765), con disposizione di carattere dichiaratamente innovativo, ha stabilito che le opere iniziate dopo l'entrata in vigore della presente legge (cio della legge del 1967) senza la licenza o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di licenza successivamente annullata, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti . L'art. 31 della stessa legge n. 1150 del 1942, come sostituito dall'art. 10 della legge n. 765 del 1967, dispone a sua volta che la licenza del sindaco necessaria per eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno . Dal coordinamento delle disposizioni della nuova normativa in tema di godimento di agevolazioni tributarie risulta chiaramente, per la questione che interessa nella fattispecie concreta, che l'operativit della sanzione di esclusione dai benefici fiscali limitata alle opere, iniziate dopo l'entrata in vigore della legge del 1967, aventi carattere di autonomia (ri (1) Identica l'altra sentenza in pari data n. 1685. Non constano precedenti specifici. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spetto a precedenti fabbricati) per le quali sia richiesta, a norma del citato art. 31, licenza edilizia. La sanzione , invece, inapplicabile alle opere che, pur se iniziate dopo l'entrata in vigore della legge del 1967, costituiscano completamento o rifiniture di edifici o fabbricati in corso di costruzione al momento dell'entrata in vigore della disciplina innovativa. In quest'ultimo caso le opere di completamento o di rifinitura delle dette costruzioni non hanno, come si accennato, carattere di autonomia, in quanto costituiscono il naturale sviluppo delle costruzioni stesse, le quali -essendo state iniziate nel vigore del precedente regime -non possono essere assoggettate alla sanzione del non godimento dei benefici fiscali, o della decadenza da essi, n per quanto riguarda l'intera costruzione, n per la parte dei benefici stessi che attiene a singoli contratti relativi ad opere di completamento o rifiniture. Nell'ambito di applicabilit della norma sanzionatoria rientrano invece quelle opere che non siano funzionalmente preordinate al completamento di una costruzione in corso di esecuzione al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, e se le dette opere siano state iniziate dopo tale momento saranno soggette alla sanzione nell'ipotesi contemplata dall'art. 41-ter citato. Queste ultime opere possono ovviamente consistere anche in ampliamenti, modificazioni o demolizioni di fabbricati gi esistenti (anche per esse previsto l'obbligo della licenza), ma in tali casi le opere stesse assumono carattere di autonomia completa rispetto ai fabbricati cui si riferiscono, in quanto questi ultimi si configurano come entit costruttive gi compiute in tutte le componenti, sicch gli ampliamenti, le modificazioni e le demolizioni, costituenti oggetto della nuova attivit da compiere, non svolgono la funzione di loro completamento, sotto qualsiasi aspetto, ma si qualificano come un quid novi che, prescindendo da programmi gi realizzati, viene ad incidere sul preesistente assetto costruttivourbanistico, e come tale conseguentemente assoggettato alla nuova normativa. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I TRIBUNALE DI ROMA, Sez. I, 30 settembre 1977, n. 10185 -Pres. Amatucci -Est. Izzo -Societ italiana nuove costruzioni idrauliche edili stradali Chiementin e C. (avv. Vacchelli) c. Azienda Nazionale Autonoma delle Strade (avv. Stato Albisinni). Appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Limite del decimo del prezzo fissato per la revisione prezzi -Inapplicabilit per la sorpresa geologica. (Cod. civ., art. 1664, primo e secondo comma). Appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Non tale qualsiasi aggravio o qualsiasi diffi. colt sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione -:I! tale un aggravio qualificato dalla entit delle sue ripercussioni sulla prestazione dell'appaltatore. (Cod. civ., art. 1664, secondo comma). Appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Va riferita all'intera prestazione e non ai singoli lavori. (Cod. civ., art. 1664, secondo comma). Il limite del decimo del prezza, fissato nel primo comma dell'art. 1664 cod. civ. non applicabile alla sorpresa geologica, di cui al second comma dello stesso articolo. L'espressione notevolmente pi onerosa, contenuta nel secondo comma dell'art. 1664 cod. civ., fa riferimento non ad un qualsiasi aggravio o ad una qualsiasi difficolt sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione, ma ad un aggravio qualificato dalla entit delle sue rpercussioni sulla prestazione dell'appaltatore. ( stato ritenuto che i maggiori oneri, incontrati dall'impresa, valutati in lire 154.317.560, non abbiano reso notevolmente pi onerosa una prestazione dell'importo di lire 7.102.913.633). La maggiore onerosit derivante da causa geologiche gi esistenti al tempo del contratto, ma non previste, deve essere riferita all'intera prestazione e non ai singoli lavori. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 134 II CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sez. I, 6 ottobre 1980, n. 1932 -Pres. Pittiruti -Est. Rocchi -Societ italiana nuove costruzioni idrauliche edili stradali Chiementin e C. (avv. Vacchelli) c. Azienda Nazionale Autonoma delle Strade (avv. Stato Albisinni). Appalto -Sor:presa geologica -Presupposto -Imprevedibilit delle cause geologiche idriche e simili. (Cod. civ., artt. 1467 e 1664). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sorpresa geologica -Prestazione notevolmente pi onerosa - tale se sup.era il quinto dell'importo . totale del contratto. (Cod. civ., art. 1664, secondo comma; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 13 e 14). Appalto -Contratto di appalto -Sorpresa geologica -Equo compenso -Prestazione notevolmente pi onerosa -Va riferita all'intera prestazione e non ai singoli lavori. Per l'applicabilit dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ. occorre la imprevedibilit della circostanza, causa o fatto sopravvenuti a rendere notevolmente pi onerosa la prestazione. La norma ha il medesimo fondamento dell'art. 1467 cod. civ., relativo alla eccessiva onerosit e imperniato sulla imprevedibilit dell'onere, e ne costituisce la specifica applicazione in tema di appalto. In tema di appalto di opere pubbliche l'onerosit diventa notevole quando superi il quinto dell'importo totale del contratto di appalto, come dato inferire dalla normativa di cui agli artt. 13 (variazioni qualitative ai lavori) e 14 (variazione quantitativa) del capitolato generale del 1962 (1). La onerosit deve essere riferita all'intera prestazione dell'appaltatore, all'intero importo del contratto, come rivelano univocamente la (1) La corte di appello ha, per la prima volta, stabilito un criterio per determinare in quale caso l'onerosit diventa notevole, per gli effetti di cui all'art. 1664, secondo comma, cod. civ. Sulla questione sussiste un solo precedente, di carattere generico, richiamato nella sentenza del tribunale, la sent. Cass. Sez. I, n. 3398 del 23 novembre 1971, la quale ha affermato che il diritto all'equo compenso previsto dall'art. 1664, secondo comma, cod. civ., non soggetto al limite del decimo del PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 135 lettera e la ratio dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ. e la norma in tema di variazioni quantitative, contenuta nell'art. 14 del capitolato generale 1962. prezzo stabilito dal primo comma della stessa disposizione ai fini della revisione del prezzo. Il tribunale aveva risolto la questione in termini di fatto e, quindi, di specie. Non vi , peraltro dubbio, che la valutazione della onerosit eccessiva o notevole sia rimessa ad apprezzamenti di fatto. Il criterio, seguito dalla corte di appello, pur involgendo, nella sostanza, apprezzamenti di fatto, perch gli artt. 13 e 14 del capitolato generale per le 00.PP., approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, hanno riferimento a diverse situazioni che si verifichino nel corso di esecuzione di un contratto di appalto, potrebbe indicare una utile traccia al fine di stabilire in quali casi la onerosit debba considerarsi notevole. Avverso la sentenza della corte di appello !>tato proposto ricorso in Cassazione, che non investe, per, il punto esaminato. I (omissis) pacifico tra le parti che nel corso della costruzione del viadotto Rago si manifestarono difficolt di esecuzione derivanti dalla natura del terreno e non previste al momento della stipula del contratto di appalto. rimasto invero accertato, anche attraverso la disposta consulenza tecnica, che la zona particolarmente impervia interessata dai lavori, con le conseguenti difficolt di accesso, consent l'effettuazione di indagini preliminari necessariamente superficiali, per cui soltanto la diretta osservazione degli scavi, resa possibile con l'accesso alle fondazioni mediante la costruzione di lunghe strade di servizio e con la effettuazione di ulteriori sondaggi, consent di accertare che le formazioni rocciose interessate, costituite da calcari dolomitici, presentavano una fratturazione, la quale proseguiva intensa anche oltre gli strati superficiali e le previste quote di imposta delle fondazioni. Tale natura del terreno impose, per la sicurezza del costruendo viadotto, una variazione sia nel tipo delle fondazioni, realizzate con tecnica particolare e con strutture a pozzo ed ancoraggi, sia nella luce della campata centrale. Non pu quindi negarsi che si sia trattato di difficolt di esecuzione derivanti da cause geologiche non previste dalle parti, e che la fatti specie rientri nella previsione di cui all'art. 1664, secondo comma, cod. civ. (c.d. sorpresa geologica). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 136 Circa gli effetti di tale sorpresa geologica, ritiene il Collegio ch'essi vadano ristretti e limitati ai soli maggiori lavori di fondazione, con esclusione degli scavi di sbancamento. Se invero pacifico che a causa della natura del terreno e della notevole profondit della fratturazione riscontrata nella roccia, si avuta una difficolt di esecuzione nei lavori, che ha comportato diverse e maggiori opere di fondazione -la cui esecuzione, al momento del progetto, non era assolutamente prevedibile -, diverso discorso a farsi per i maggiori lavori di sbancamento che vengono, com' noto, eseguiti, per l'impianto delle fondazioni vere e proprie, i cui scavi sono invece di maggiore profondit. Detti scavi di sbancamento, effettuati dalla impresa per la realizzazione del viadotto, hanno assommato in totale a mc. 173.898.09, mentre il quantitativo previsto nella stima allegata all'offerta per l'appaltoconcorso era di appena mc. 12.768. La insufficienza di tale previsione da ricollegare al modo del tutto sommario con il quale l'impresa ha valutato il quantitativo di scavi occorrente, ed ascrivibile quindi a negligenza dell'impresa stessa, mentre non assolutamente provato che tale maggior quantitativo sia dipeso dalla sorpresa geologica. La conferma di tale assunto si ha proprio dalla lettura della riserva iscritta nel registro di contabilit (vedi doc. n. 10, pag. 4-5), laddove l'impresa fa presente che con l'apertura degli scavi di sbancamento ha potuto rendersi conto che i terreni interessanti la zona di fondazione del viadotto Rago risultavano geologicamente differenti dalle previsioni, ribadendo, pi avanti, che lo stato di detti terreni si potuto riscontrare nella completa realt solo e soltanto a totale apertura degli scavi . Tali asserzioni risultano particolarmente significative, proprio per la loro provenienza ex parte actoris, e confermano non solo che la sopresa geologica si manifestata soltanto dopo la effettuazione degli scavi di sbancamento, ma che il maggior quantitativo di detti scavi non affatto derivato dalle indicate cause geologiche. Queste, ripetesi, hanno imposto maggiori oneri per i successivi lavori di fondazione, ma non potevano logicamente esplicare alcuna influenza :sugli scavi di sbancamento, gi effettuati al momento della loro insorgenza. Ne consegue che i maggiori oneri sopportati dall'impresa relativamente ai lavori di sbancamento, siccome del tutto indipendenti da cause geologiche, sono fuori della previsione di cui all'art. 1664, secondo comma, cod. civ., e, trattandosi di evento del tutto prevedibile all'epoca della PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 137 stipulazione del contratto, rientrano nella normale alea contrattuale e devono restare a carico dell'impresa appaltatrice. Limitati gli effetti della sorpresa geologica soltanto ai maggiori lavori di fondazione, occorre ora stabilire se tale sorpresa possa dar luogo all'equo compenso previsto dal citato art. 1664, secondo comma, cod. civ. Com' noto l'effetto delle cause naturali di cui cenno in tale disposizione, ai fini del diritto all'equo compenso, dev'essere tale da rendere notevolmente pi onerosa la prestazione dell'appaltatore. Anche se si escluso che il limite del decimo del prezzo, fissato nel primo comma dell'art. 1664, sia applicabile alla sorpresa geologica (vedi Cass., 23 novembre 1971, n. 3398), non v' dubbio che con l'espressione notevolmente pi onerosa " si sia voluto fare riferimento non ad un qualsiasi aggravio o ad una qualsiasi difficolt sopraggiunta o riscontrata nell'esecuzione, ma ad un aggravio qualificato dalla entit delle sue ripercussioni sulle prestazioni dell'appaltatore. Ora non pu certo dirsi che i maggiori oneri incontrati dall'impresa per i lavori di fondazione e valutati dal consulente tecnico in lire 160.058.870, ridotte, con il ribasso contrattuale, a lire 154.317.560 abbiano reso notevolmente pi onerosa per l'appaltatore la prestazione relativa ad un contratto di appalto dell'importo netto complessivo di lire 7.102.913.633 (inizialmente di lire 4 miliardi 339.838.900, di cui lire 1.392.984.300 per i lavori a forfait relativi ai due viadotti e lire 2.946.855.600 per i lavori a misura; passato, poi, per la stipula con l'impresa di sei atti aggiuntivi al contratto principale, alla maggiore cifra sopra indicata). Il maggior onere, valutato in percentuale rispetto all'intera prestazione, di entit tutt'altro che gravosa, rientra nella normale alea contrattuale. N pu accedersi alla tsi dell'impresa di riferire tali maggiori oneri ai soli lavori di costruzione dei due viadotti, perch la maggiore onerosit derivante da cause geologiche gi esistenti al tempo del contratto, ma non previste, dev'essere riferita all'intera prestazione e non ai singoli lavori (vedi Cass., 18 febbraio 1972, n. 434). (omissis) II (omissis) Il primo punto, che viene all'esame della corte, concerne la pronunzia resa dal Tribunale in ordine ai lavori (scavi) di sbancamento che hanno preceduto le opere di fondazione vere e proprie e che si assumono anch'essi influenzati dalla natura e dall'entit della sorpresa geologica, nel corso delle opere di costruzione del viadotto Raga. 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ha ritenuto, sul punto, il tribunale che la maggiore onerosit connessa all'esecuzione degli scavi suddetti non doveva considerarsi imprevedibile ai sensi dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ., specie in relazione alla insufficienza dei meccanismi previsionali adottati dall'hnpresa in sede di offerta, con riferimento alla valutazione del quantitativo degli scavi occorrenti, nonoh in base alla considerazione che, in ogni caso, non (ra) assolutamente provato che tale maggior quantitativo sia dipeso dalla sorpresa geologica . Assume, in contrario, l'appaltatore l'imprevedibilit del fenomeno geologico e la non ipotizzabilit della sua esclusione causale nei confronti dello sbancamento in oggetto. Ci posto, vale premettere alcune considerazioni di ordine generale. La gestione a proprio rischio, che l'appaltatore assume nel compimento delf'opus o del servizi?, sottopone l'assuntore al c.d. rischio economico, derivante dalla impossibilit di stabilire, al momento della conclusione del contratto e della determinazione del prezzo, il preciso costo dell'opera o del servizio promesso dall'appaltatore, il quale, quindi, potr guadagnare o perdere nell'affare a seconda che detto costo sia inferiore o superiore al corrispettivo pattuito, salve le modificazioni consentite in presenza di particolari circostanze (tra le tante: Cass., 3 luglio 1979, n. 3754). Queste circostanze, queste modificazioni, sostanzialmente si esauriscono nella duplice previsione dell'art. 1664 cod. civ.: 1) revisione dei prezzi (che qui non interessa); 2) difficolt di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono notevolmente pi onerosa la prestazione dell'appaltatore... , Ma per l'applicabilit dell'art. 1664, secondo comma, occorre anche un ulteriore presupposto, cio l'imprevedibilit della circostanza, causa o fatto sopravvenuti, a rendere notevolmente pi onerosa la prestazione.. Infatti, la norma ha il medesimo fondamento dell'art. 1467 cod. civ., relativo alla eccessiva onerosit e imperniato sulla imprevedibilit dell'onere, e ne costituisce la specifica applicazione in tema di appalto {Relazione al codice civile, par. 702, primo e secondo comma), differendone soltanto per il contenuto meno grave del rimedio apprestato. Ne consegue che il dfritto all'equo compenso non pu sorgere se non in presenza di circostanze, cause naturali o fatti umani, che siano imprevedibili al momento della conclusione del contratto, rimanendo invece escluse quelle prevedibili con l'ordinaria diligenza e la normale perizia, anche se concretamente non previste (Cass., 12 luglio 1974, n. 2082, in motivazione; Corte appello Roma, 8 novembre 1972, Ministero dei LL.PP. c. Ditta Sgaravatti, in Arb. app., 1972, 353). In conclusione, il diritto all'equo compenso subordinato al concorso dei requisiti della sopravvenienza di una causa non prevista, della impre PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI vedibilit di detta causa, della notevole onerosit dell'aggravio conseguente rispetto all'intera prestazione prevista dall'appalto. Orbene, tornando specificamente al primo punto controverso, nota la corte che il C.T. d'ufficio ha testualmente ritenuto che se i progettisti avessero disposto, fin dall'ini.zio, delle informazioni tecniche reali circa la natura del terreno nel sottosuolo, molto verosimilmente avrebbero stimato e progettato per lo attraversamento sul vallone Rago le stesse strutture in seguito realizzate. La qual cosa avrebbe significato un'offerta iniziale comprensiva del prezzo di quei lavori successivamente considerati in pi . Lo stesso consulente ha, poi, concluso la sua analisi {la cui elaborazione, frutto di un'indagine tecnica particolarmente approfondita e di una articolata motivazione, risulta pienamente attendibile) nel senso che data la natura dei terreni, riscontrabile solo a totale apertura degli scavi di sbancamento, stato necessario operare una variante nel tipo delle fondazioni e nella luce della campata centrale: per tali diversi lavori, che comportano maggiori quantit e qualit di scavi (omissis), si ritengono provate le quantit contabilizzate in contraddittorio delle parti, che, a termine di capitolato speciale e applicando i prezzi unitari contrattuali dell'epoca, ammontano a lire 279.256.350 . In tale prospetto, la corte ritiene che -anche a voler concedere all'impresa il preteso errore del tribunale nel considerare la previsione del quantitativo degli scavi di sbancamento, operata nella stima allegata all'offerta, di mc. 12.768, anzich di mc. 25.068; il divario tra lo sbancamento previsto e quello necessario rimane notevole: circostanza, questa, che, in coerenza con la riportata conclusione sul punto del consulente d'ufficio, circa la verosimile prevedibilit della natura del terreno nel sottosuolo , nonch del tipo di strutture in seguito realizzate, appare indicativa di una palese negligenza dell'impresa nella predisposizione di opportuni meccanismi previsionali, la cui adeguata utilizzazione avrebbe significato un'offerta iniziale comprensiva del prezzo di quei lavori successivamente considerati in pi . D'altronde, per ammissione della stessa impresa (cfr. la riserva iscritta nel registro di contabilit, doc. n. 10, pagg. 4, 5, laddove l'impresa fa presente che con l'apertura degli scavi di sbancamento ha potuto rendersi conto che i terreni interessanti la zona di fondazione del viadotto Rago risultavano geologicamente differenti dalle previsioni, ribadendo, pi avanti, che lo stato di detti terreni si potuto riscontrare nella completa realt solo e soltanto a totale apertura degli scavi) risulta non solo che la sorpresa geologica si manifestata soltanto dopo l'intera effettuazione degli scavi di sbancamento, ma che il maggior quantitativo di detti scavi non conseguentemente affatto derivato dalle indicate cause geologiche; le quali -come esattamente osservato dal Tribunale hanno imposto soltanto maggiori oneri per i successivi lavori di fonda RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, e non potevano logicamente esplicare alcuna influenza sugli scavi di sbancamento, gi effettuati al momento della loro insorgenza. Il primo motivo non merita, dunque, accoglimento. Il secondo aspetto della decisione del Tribunale coinvolto dalla impugnazione riguarda il problema del se il riconosciuto maggior onere subito dall'impresa, in relazione alle (sole) opere di fondazione, doveva essere commisurato -al fine di valutarne la incidenza -all'importo complessivo dell'appalto, oppure al prezzo a corpo pattuito per il viadotto in questione, in presenza del contratto a sistema misto concluso dalle .parti. Anche per la soluzione di tale seconda questione, devoluta alla corte, operano i criteri di massima dianzi ripetuti. In particolare, deve ritenersi che, in tema di appalto di opere pubbliche, l'onerosit diventa notevole quando superi il quinto dell'importo totale del contratto di appalto, come dato inferire dalla normativa di cui all'art. 13 (variazioni qualitative ai lavori) del capitolato generale del 1962, il quale prevede che le modifiche non si considerano influenti [ ...] se non superino il quinto in pi o in meno delle corrispondenti quantit originarie, nonch dalla normativa di cui all'art. 14 (variazione quantitativa) dello stesso capitolo generale del 1962, il quale prevede che l'Amministrazione pu ordinare, durante l'esecuzione dei lavori, un aumento o una diminuzione delle opere fino alla concorrenza di un quinto in pi o in meno dell'importo del contratto, senza che perci spetti indennit alcuna all'appaltatore , da ritenere, inoltre, che la onerosit -ai fine che ci occupa -deve essere rapportata all'intera prestazione dell'appaltatore, all'intero importo del contratto, come rivelano univocamente la lettera e la ratio dell'art. 1664 cod. civ., secondo comma ( che rendono notevolmente pi onerosa la prestazione dell'appaltatore ) e la gi citata analoga norma in tema di variazioni quantitative (art. 14 cap. gen.), la quale ultima testualmente dispone: Ai fini del presente articolo, l'importo dell'appalto formato dalla somma risultante dall'aggiudicazione o dal contratto, aumentata dall'importo degli atti di sottomissione per varianti o lavori suppletivi quando non sia pattuito diversamente, nonch dell'ammontare dei compensi eventualmente assegnati all'appaltatore in aggiunta al corrispettivo contrattuale, escluse le variazioni dipendenti da revisione dei prezzi . In tale quadro, anche a voler assumere a dato di base le conclusioni del C.T. d'ufficio, circa i maggiori oneri complessivamente derivati dalla sorpresa geologica, devesi pur sempre pervenire alla conclusione che tali maggiori oneri, tenuto conto dell'importo complessivo dell'appalto (lire 7.102.913.633) e della relativa alea contrattuale, non potrebbero in alcun caso aver determinato una prestazione, da parte dell'appaltatore, pi onerosa. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Non potrebbe, cio, in alcun caso, ritenersi applicabile lo strumento previsto e regolato dall'art. 1664, secondo comma, cod. civ., invocato dall'impresa, in quanto il maggior onere, valutato in percentuale rispetto all'intera prestazione, risulta di entit tutt'altro che gravosa e rientra nella normale alea contrattuale. Anche il secondo motivo di appello si appalesa, quindi, privo di pregio, e va disatteso. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 1 ottobre 1980, n. 1194 -Pres. Clemente di S. Luca -Rel. Mele -P. G. Guasco (conf.) -Rie. Pievani Beniamino e altri -Parte civile Amministrazione .finanziaria dello Stato (avv. dello Stato Bruni). Procedimento penale -Riunione di giudizi -Mancanza di eccezioni della difesa Acquiescenza. Procedimento penale Riunione di giudizi -Provvedimento che la dispone -Impugnabilit -Esclusione. Imposte di fabbricazione -Spiriti -Sottrazione di spiriti al pagamento dei prescritti diritti erariali -Contestazione dell'art. 107 legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 e non dell'art. 10 d.l. 30 ottobre 1952, n. 1322 Sentenza di condanna per l'art. 107 legge doganale del 1940 -Nullit per violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. -Insussistenza. Reato -Reato continuato -Richiesta di riconoseimento della continuazione in sede di legittimit -Inammissibilit se la continuazione era allegabile in sede di merito. Qualora in dibattimento venga dal giudice disposta la riunione di altro procedimento e la difesa non sollevi eccezioni, svolgendo poi la sua attivit e le sue conclusioni anche in ordine al processo riunito, da ritenersi che la difesa abbia di fatto accettato la riunione e fatto alla stessa acquiescenza. Il provvedimento che dispone la riunione dei giudizi non impugnabile sia per il principio della tassativit delle impugnazioni sia per il contenuto ordinatorio che esso assume. Qualora, per la sottrazione di spiriti al pagamento dei prescritti diritti erariali, venga contestata la violazione dell'art. 107 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 e non dell'art. 10-del d.l. 30 ottobre 1952, n. 1322, e, immutato restando il fatto contestato, venga pronunziata sentenza di condanna con riferimento all'art. 107, non sussiste violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. attesa la identit delle pene previste dall'art. 107 e dall'art. 10 (1). (1) Correlazione tra sentenza ed accusa contestata. Nella fattispecie sottoposta al suo esame il Supremo Collegio ha ritenuto non sussistere la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. dedotta dalla difesa degli imputati nei motivi di ricorso, sia per la piena identit tra fatto oggettivamente contestato e fatto per il quale stata emessa la pronunzia di condanna, sia per PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 143 Il riconoscimento del vincolo della continuazione pu essere richiesto per la prima volta in Cassazione solo quando non sia stato possibile fare la relativa richiesta nel corso dei giudizi di merito. (omissis) La sera dell'8 marzo 1973 una pattuglia della Guardia di finanza di Bergamo scopriva in Grumello del Monte un deposito di alcool etilico a 96 di illecita provenienza, contenuto in 158 recipienti metallici, per l'ammontare complessivo di lt. 31.600, rinvenuti parte in un capannone di propriet di certo Bezzi Giovanni e parte in un camion l davanti parcheggiato, intestato a Girelli Giuseppe. Le persone presenti all'arrivo della Guardia di Finanza si davano alla fuga. Trovandosi poco discosto il liquorificio Libern gestito da Patelli Ida, i militari vi accedevano e fermavano il marito della Patelli, Pievani Beniamino, i fratelli di costui, Romano e Giuseppe ed un nipote, certo Pedemonti Federico. Il liquodficio era stato gi oggetto di precedenti accertamenti di illiceit in contrabbando, per cui la Guardia di finanza identificava in costoro, che non avevano dato spiegazioni della loro presenza ivi a quell'ora, gli autori del contrabbando e, come tali, li denunciavano, insieme con le persone innanzi menzionate alla Procura della Repubblica di Bergamo. Dopo alcuni giorni altro accertamento della Guardia di finanza consentiva di stabilire che, nello stesso liquorificio, i germani predetti, per essere stata regolarmente contestata la norma incriminatrice violata: l'art. 107 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424. La decisione della S.C. offre l'occasione per soffermarsi sul delicato problema della correlazione fra sentenza e accusa contestata. In proposito, la disciplina prevista dal nostro codice di procedura penale la seguente: al giudice consentito definire in modo diverso il fatto contestato nella ordinanza di rinvio a giudizio, nella richiesta o nel decreto di citazione, purch il fatto ritenuto non sia diverso da quello contestato, e purch non appartenga alla competenza di un giudice superiore o speciale: ricorrendo tali condizioni, autorizzato a rettificare il titolo del reato. Se tuttavia risulta dal dibattimento che il fatto diverso da quello contestato, il giudice, fuori dei casi contemplati nell'art. 445 cod. proc. pen. (concernente le ipotesi in cui nel dibattimento risulti un reato concorrente o la continuazione di reato ovvero una circostanza aggravante), tenuto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Sembra opportuno, quindi, richiamare in primo luogo l'esegesi che la giurisprudenza offre dei concetti di fatto contestato e di fatto diverso . Con orientamento ormai pacifico e consolidato il Supremo Collegio ritiene che per fatto contestato deve intendersi non solo quello indicato specificamente ma sinteticamente nel capo di imputazione, bens tutto il complesso degli elementi portati a conoscenza dell'imputato e sui quali, quindi, egli stato posto in condizione di difendersi. Il fatto, in relazione all'oggetto dell'accusa, non va individuato soltanto con riferimento alle contestazioni compiute con gli atti (ordinanza di rinvio a giu RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 144 applicare etichette sulle bottiglie di liquore prodotto, adoperavano un collante non autorizzato, il Kartex, mentre l'UTI di Bergamo aveva disposto l'uso del collante Pecacol. E ci per un totale di lt. 9482. Venivano quindi tutti tratti a giudizio dello stesso Tribunale. Il processo veniva rinviato due volte e nell'udienza successiva del 21 marzo 1977, il tribunale, verificata l'esistenza sul ruolo di altro processo. contro i Pievani e la Patelli, li trattava congiuntamente, pervenendo con sentenza del 21 marzo 1977 alla affermazione di responsabilit dei fratelli Pievani per contrabbando continuato e, ritenuta la recidiva per il Beniamino ed H Romano, infliggeva a costoro pene detentive e pecuniarie e al Giuseppe la sola pena pecuniaria. Su impugnazione degli stessi, la corte di appello di Brescia, con sentenza del 25 maggio 1978, concesse le attenuanti generiche ritenute dizio, richiesta o decreto di citazione) indicati nell'art. 477 del codice di rito, ma anche a quelle effettuate negli atti di polizia giudiziaria o negli interrogatori, con riferimento cio alla cosiddetta contestazione sostanziale '" sempre che sia stata garantita quella esigenza del diritto di difesa, il quale impone che all'imputato, siano rese note tutte le circostanze del fatto storico che gli viene attribuito e dal quale deve difendersi (Cass., sez. Il, 3 maggio 1980, n. 5537, in Riv. pen., 1980, 892; Cass., sez. I, 28 maggio 1979, rie. Colurcio, in Giust. pen., 1981, III, 23, 43; Cass. sez. V, 15 ottobre 1979, rie. Bonaffini, ibidem; Cass., sez. I, 29 ottobre .1979, rie. Bellizzi, ibidem; Cass., sez. Il, 19 aprile 1979, rie. Pernechele, in Giust. pen., III, 307, 250; Cass., sez. IV, 19 marzo 1979, rie. Baroni, ivi, ,1980, III, 307, 251; Cass., sez. I, 19 aprile 1978, rie. Berini; Cass., sez. I, 28 aprile 1978, rie. Maiorino, ivi, 1979, III, 476, 450; Cass., sez. V, 24 maggio 1977, rie. Pardini, ivi, 1978, III, 321, 251). Quando pu parlarsi di fatto diverso da quello contestato con conseguente obbligo del giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero? Sul punto il Supremo Collegio ha fissato principi ben precisi: non pu parlarsi di diversit del fatto allorch in dibattimento siano effettuate mere precisazioni o rettifiche di modalit di esecuzione o emergano elementi secondari o. marginali che lascino integro il nucleo essenziale della imputazione e non menomino il diritto di difesa dell'imputato (Cass., sez. Il, 6 novembre 1979, rie. Costantini; Cass., sez. IV, 26 ottobre 1979, rie. Schonsberg, in Giust. pen., 1981, III,. 22, 40; Cass., sez. V, 21 marzo 1979, rie. Gilli, ibidem; Cass., sez. Il, 8 giugno 1978, ivi, 1980, Ili, 272, rie. Romano). In tanto quindi pu parlarsi di fatto diverso in quanto nel corso del dibattimento si verifichi un mutamento sostanziale del fatto in relazione all'oggetto dell'accusa (da individuarsi, come rilevato, con riferimento alla contestazione sostanziale) e al triplice elemento della condotta, dell'evento e dell'elemento psicologico, per cui sul piano contenutistico venga a risultare una diversit tra il fatto quale emerso nel dibattimento e il fatto -da intendersi quale episodio della vita umana -come enunciato nell'ordinanza di rinvio a giudizio, nella richiesta o nel decreto di citazione, con la conseguenza che, qualora, emersa tale diversit, non si rimettessero gli atti al pubblico ministero ne deriverebbe per la difesa una oggettiva menomazione (Cass., sez. I, 11 giugno 1980, n. 7364, in Riv. pen., 1980, 990; Cass., sez. IV, 24 maggio 1980, n. 6615, ibidem; Cass., sez. Il, 3 maggio 1980, n. 5537, ivi, 892; Cass., sez. I, 22 aprile 1980, n. 5291, ibidem; GALLO, Identit e diversit del fatto in tema di correlazione tra accusa e sentenza, in Giur. it., 1952,.. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 145 equivalenti alla recidiva contestata, rideterminava le pene in lire 150.000.000 di multa per i primi due e in lire 100.000.000 per il terzo, ferma restando la condanna al risarcimento dei danni verso l'amministrazione delle finanze, costituitasi parte civile, in lire 49.753.125, importo dei tributi evasi. Hanno proposto ricorso per cassazione tutti e tre gl'imputati. Mentre per tutti e tre si deduce una generica insussistenza della responsabilit, il Beniamino propone cinque specifici motivi di ricorso. Con il primo lamenta carenza di motivazione in ordine alla loro responsabilit. Secondo il ricorrente il tribunale avrebbe disinvoltamente ritenuto calunniosa la dichiarazione del Balini Franco, che si era presentato alla Guardia di finanza, assumendo su di s, anche se con ovvi temperamenti, la responsabilit dei fatti. II, 303; BRIGHETTI, Nuove considerazioni critiche sulle modificazioni e sull'ampliamento dell'accusa nel giudizio penale, in Riv. pen. 1959, I, 715; De LucA, Considerazioni intorno all'art. 477 cod. proc. pen., in Scuola positiva, 1964, 238; P. DI TARSIA in nota a sent. Cass., sez. VI, 8 luglio 1969, n. 1637 e Cass., sez. II, 9 dicembre 1969, n. 1143, in Rass. Avv. Stato, 1970, I, 493 e segg.; G. DoNADIO in nota a sent. Cass., sez. VI, 8 luglio 1969, n. 1637, in Rass. Avv. Stato, 1969, I, 1211) trovando il principio della relazione fra sentenza e accusa contestata il suo fondamento nell'esigenza del diritto di difesa, in quanto tende ad evitare che l'imputato possa essere condannato per un fatto rispetto al quale non abbia potuto difendersi. Ha precisato ancora il Supremo Collegio che ai fini della applicabilit della disposizione che impone al giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero quando risulti che il fatto diverso da quello contestato, non necessario che gli elementi determinanti la diversit dall'episodio criminoso emergano per la prima volta in sede dibattimentale, ma sufficiente che egli valorizzi, sub specie iuris, anche circostanze gi note, in virt del compito che chiamato ad assolvere. La norma, in sostanza, non pone una cos rigorosa limitazione temporale per l'acquisizione del fatto diverso, potendo questo risultare tale non in base ad elementi nuovi, ma in base a nuova e pi approfondita valutazione (Cass., sez. I, 11 giugno 1980, n. 7364). Volendo esemplificare con riferimento ad alcune delle pronunzie pi recenti e significative del Supremo Collegio pu dirsi che, coerentemente a quanto sopra evidenziato, stato ritenuto che: -qualora un elemento normalmente secondario come il tempo o il luogo del fatto assurga a dato sostanziale di contestazione, se sia stato del tutto omesso nella imputazione o erroneamente indicato negli atti compiuti in presenza dello imputato o a lui comunicati, si verificher la mancata correlazione fra accusa e sentenza con conseguente relativa nullit (Cass., sez. III, 21 gennaio 1980, rie. Labalestra, in Giust. pen., ,1981, III, 171, 149; Cass., sez. IV, 18 aprile 1980, rie. Di Stefano, in Riv. pen., 1980, 632; Cass., sez. III, 20 aprile 1979, rie. Zampi, in Giust. pen., 1980, III, 306, 249; Cass., sez. I, 11 aprile 1979, rie. Pernechele; Cass., sez. VI, 14 aprile 1978, rie. Melli); -nei procedimenti per reati colposi l'affermazione di responsabilit per un'ipotesi di colpa non indicata espressamente nel capo di imputazione rientra pur sempre nella generica contestazione di colpa, e pertanto lasciando inalterato RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 146 Con un secondo motivo si deduce che il collante era stato adoperato dai fratelli Pievani dopo averne dato notizia alla Amministrazione finanziaria, la quale non aveva sollevato alcun rilievo, in situazione di evidente incertezza perch non era stato prescritto alcun collante dagli uffici finanziari competenti, per cui avrebbe dovuto in ogni caso ritenersi la buona fede degl'imputati. Con un terzo motivo la nullit della riunione dei procedimenti, effettuata in concreto senza un formale provvedimento e senza l'audizione delle parti come esplicitamente prescrive l'art. 413 cod. proc. pen. Con un quarto motivo deduce travisamento del fatto e contraddittoriet della motivazione per avere la sentenza affermato che tra il luogo di rinvenimento dell'alcool di contrabbando e il liquorificio vi erano solo 100 metri di distanza, laddove si tratta di distanza di circa 200 metri e nell'avere prosciolto l'imputato Pedemonti ritenendo giustificata la sua presenza e non quella di esso ricorrente che era il gestore di fatto del il fatto storico, non viola il principio dell'immutabilit dell'accusa (Cass., sez. V, 21 febbraio 1979, rie. Miccoli, in Giust. pen., 1980, III, 439, 351; Cass., sez. IV, 15 febbraio 1979, rie. Bati, in Giust. pen., 1980, III, 307, 252); -non si verifica mutamento del fatto nel caso in cui sia ritenuta in sentenza, anzich la formazione materiale di una scrittura falsa, contestata con il mandato di comparizione, l'istigazione a formarla (Cass., sez. V, 1 marzo 1979, rie. Scarcinella); -non sussiste violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. nel passaggio dall'accusa contestata di falsit materiale in atto pubblico (art. 476, primo comma, cod. pen.) alla condanna per l'ipotesi pi grave di falso materiale in atto pubblico facente fede fino a querela di falso (art. 476, secondo comma, cod. pen.) (Cass., sez VI, 25 novembre 1974, rie. Biagini); -non esiste immutazione del fatto nel caso in cui il giudice ritenga sussi stente l'ipotesi del reato di corruzione invece di quello di concussione (Cass., sez. VI, 13 giugno 1979, rie. Carriero, in Giust. pen., III, 440, 352); -l'art. 589, terzo comma, cod. pen., disciplina una ipotesi di plurime viola zioni di legge (morte di pi persone ovvero morte di una o pi persone e lesioni di una o pi persone) unificate soltanto quoad poenam. Pertanto, qualora in caso di morte di una persona e lesioni riportate da altri sia stata richiamata nel capo di imputazione la sola disposizione sopra citata, non si ha difetto di contestazione per l'omessa indicazione della violazione dell'art. 590 cod. pen. (Cass., sez. VI, 25 maggio 1979, rie. Nanni, in Giust. pen., 1981, III, 23, 42); -in tema di sequestro di persona si giudicata irrilevante ai fini della corre lazione fra accusa e sentenza l'omessa specificazione nella imputazione della circostanza della consegna da parte del prevenuto della sua autovettura ai rapitori, rilevandosi che in relazione a tale circostanza vi era stata piena espli cazione del diritto di difesa in seCie di interrogatorio ed affermandosi che, in ogni caso, la contestazione formale dell'accusa era stata integrata dal suddetto interrogatorio compiuto nel rispetto di tutte le norme relative alle garanzie difensive (Cass., sez. I, 22 aprile 1980, n. 5291, in Riv. pen., 1980, 892); -non pu ritenersi violato il principio della correlazione fra la sentenza e l'accusa contestata quando il reato non sia stato modificato nei suoi elementi essenziali, come nel caso in cui l'imputato di un reato quale autore diretto PARTE I, SBZ. VIIl, GIURISPRUDENZA PENALB 147 liquorificio intestato alla moglie. Inoltre il rintraccio di un'etichetta della ditta Libero nel capannone poteva essere dovuta all'uso in loco di una bottiglia legittimamente confezionta. Con un quinto motivo deduce che non potevano essere essi condannati anche al pagamento dei diritti erariali, non essendo stata contestata nel decreto di citazione la norma di cui all'art. 10 del d.l. 30 ottobre 1952 convertito nella legge 20 dicembre 1952, n. 2384, che norma perfetta, indicante sia I precetto che la sanzione. Con motivi aggiunti, presentati il 2 maggio 1980, si chiede nullarsi la sentenza per violazione dell'art. 81 cod. pen. Si fa rilevare che, con decisione di questa corte suprema del 16 marzo 1979 era passato in giudicato altro procedimento per ontrabbando di alcool contro i fratelli Pievani e la Patelli conclusosi con la condanna degli imputati ad un miliardo di multa. Il relativo motivo non aveva potuto essere proposto n in sede di appello, n con la presentazione dei motivi di ricorso non essendosi ancra verificato il giudicato della precedente sentenza. Essa relativa a fatti commessi nell'agostO 1971. del fatto sia stato condannato per essersi servito di altri per la realizzazione del fatto medesimo (Cass., sez. III, 4 aprile 1980, n. 4610, in Riv. pen., 1980, 782); -l'ordinanza con la quale il giudice di primo grado dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero ex art. 477 cod. proc. pen. inoppugnabile a meno che non si risolva in un provvedimento abnorme (Cass., sez. II, 13 ottobre 1979, rie. Bella), cos come inoppugnabile il capo della sentenza che disponga la trasmissione degli atti al P.M. per l'esercizio dell'azione penale relativamente ad una determinata ipotesi criminosa, potendo l'imputato esperire ogni suo diritto di difesa nel tempo e nella sede opportuna (Cass., sez. III, 24 ottobre 1979, in Riv. pen., 1980, 229); -non viola il principio della relazione tra la sentenza e l'accusa l'immuta zione della qualificazione giuridica del fatto dall'art. 71 all'art. 72 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Cass., sez. I, 6 agosto 1979, n. 7231, in Riv. pen., 1980, 189); -non viola il principio della correlazione fra la sentenza e l'accusa conte stata il giudice che condanna per colpa comune l'imputato al quale era stata contestata l'accusa per inosservanza di una norma regolamentare (Cass., sez. V, 5 ottobre 1979, n. 7844, in Riv. pen., 1980, 189); -non ravvisabile la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. quando, essendo stata contestata la cooperazione colposa nella produzione di un evento, sia poi ritenuta la sussistenza di un concorso di cause autonome (Cass., sez. IV, 24 mag gio 1980, n. 6615, in Riv. pen., 1980, 990); -quando in dibattimento il fatto risulta diverso da quello contestato, il giudice di appello deve annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli atti al P.M. affinch l'azione penale sia iniziata ex novo per il reato configurabile nel fatto diverso. N, in tal caso, pu venire in considerazione il divieto della reformatio in peius, quando appellante sia il solo imputato, perch, mutando il fatto, il giudice di appello deve astenersi dal giudizio e trasmettere gli atti al P.M., e l'eventuale peggioramento della posizione dell'imputato, unico appel lante, conseguenza diretta del nuovo giudizio che verr instaurato. Nella li 148 .. RASSEG.'l!A DELL'AVVOCATURA l>EU:.O STATO' i ~OTIVI DELLA DECISIONE Occorre esaminare preliminarmente i motivi di ordine processuale, il secondo dei quali stato gi illustrato nei motivi di appello. La riunione dei procedimenti atto ordinatorio che pu ess.ere disposto discrezionalmente dal giudice del dibattimento ogni volta .che se ne ravvisi l'opportunit per ragioni di connessione nori solo oggettiva, ma anche soggettiva. Sicch nel merito non vi pu essere alcun rilievQ .. sulla opportunit di un siffatto provvedimento. Si sostiene per dal ricorrente la irregolarit del procedimento per non essere state sentite le parti prima della concreta riunione degli !ltessi non disposta con fonnale ordinanza. ~ vero che l'art. 413 prescrive che le parti debbano essere sentite. previamente e non vi dubbio che sarebbe colpito da nullit il provve specie vi era stata condanna in primo grado per il delitto di lesioni persomili e. la sentenza era stata impugnata dal solo hriputatp; senonch nelle more del giudizio di appello il ferito era deceduto in conseguenza del fatto inizialmente contestato (Cass., sez. I, 28 luglio 1980, rie. Pagano, in Riv. pen., 1980, 799); -non si ha mutamento del fatto, ai sensi dell'art. 477, comma secondo, od. p,i:oc. pen. allorquando,. contestato il delitto di peculato o concussione, il giudiCe .1-:itenga msentenza, in difetto di appropriazione o distrazione di pub- blico denaro o di costrizione o induzione del privato a dare o promettere qualche utiljt,,. il. reato di interesse privato in. atti di ufficiq. Infatti, ques.to ultimo un r~to siissidario che ricorre quai:\(\~ la violazione dei doveri di. ufficio non costi: tisce iina spcifica ipotesi crmtlnosa (Cass., sez. VI, 16 aprile 1980, n. 4907, in: Riv. peri., 1980, 892); -ove all'imputato sia stato wntestato il reato di truffa commesso ai danni di un ente pbblico rivestendo la, qt;\alit di pubblico ufficiale, non viola il' principio della correlazione tra accusa e sentenza il giudice che pronunci condanna per il delitto di peculato, trattandosi di una tipica ipotesi di mutamento del titolo del reato che resta invaril.\tO negli estremi essenziali del fatto, , giach il peculato non altro che una appropriazione indebita qualificata, che ben pu essere ritent;tta, senza violare il predetto principio, rispetto alla contestazione della truffa i. quanto fattispecie in rapporto di minus. ad maius: identica ratio sussiste in quello tra peculato e truffa aggravata dalle indicate circostanze (Cass., sez. I, 27 giugno 1978, imp. Picciotti; in .Giust. pen., 1979, 11, 681). Nel progetto di codice di procedura penale elaborato dalla com:inissione ministeriale nominata con d.m. 18 settembre 1974 e presieduta dal prof. Gian Domenico Pisapia (ed. Istituto Poligrafico. dello Stato, 1978), la disciplina dell'istituto della correlazione fra sentenza e .accusa: contestata presenta alcune innovazioni. Ferma restando la distinzione tra fatto [...] diverso da come [ ...]descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio . e fatto nuovo non enunciato nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio '" le novit degne di rilievo appaiono le seguenti: . ' 1) qualora nel corso del dibattimento il fatto venga a risultare diverso da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 149 di:tnento che fosse preso di iniziativa del giudice senza il contraddittorio dovuto, ma evidente del pari che nel processo dinanzi al tribunale le parti accettarono di fatto la riunione, senza sollevare alcuna eccezione. Non solo, ma la difesa e l'accusa espressero le loro conclusioni e la difesa svolse tutta quanta l sua attivit anche in or:dine al processo informalmente riunito; cme agevole riscontrare in ogni parte degli atti del dibattimento a 'partire dlla contestazione delle imputazioni e dall'interrogatorio degl'imputati. Ci tanto pi che la riunione si risolse, c.ome era ovvio sin dall'inizio, a favore degli imputati, ai quali fu ricono sciuta la continuazione tra i fatti predetti, con una sensibile diminu_ zione della pena che avrebbero potuto riportare se i procedimenti non fossero stati riuniti. Sicch quel consenso inizile che non vi era stato si tradotto in una formle e sostanziale acquiescenza da parte-della difesa, preserite al processo senza eccepire lcunch. Va infine ricordato che trattasi; contra- il presidente (o il pretore nell'ipotesi di giudizio pretorile), purch-1a-cognizio-ne non appartenga a un giudice di competenza superiore o speciale, procede, a richiesta del pubblico ministero, alla relativa contestazione; 2) qualora nel corso del dibattimento emerga a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, per il 'q.ale si debba procedre di ufficio e non si tratti di reato 'concorrente a norma del primo comma dell'art. 81 del todice penale, il sec~ndo ~onixna dell;art. 491' del progetto cori.sente al ptesdnte (o al pretore), qualora il pubblico ministerone facci.a richiesta e vi sia :consenso dell'imputato presente, alla mn:i.ediata contestazion, salvo il diritto dell'imputato di richiedere un terrline a difesa; ' ' . 3) quando il pubblico ministero chiede che siano contestati all'imputato contumace o assente un reato concorrente a norma dei primo comna dell'art. 81 del codice penale ovvero una circostanza aggravante o il fatto risultato diverso da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, il presidente (o il pretore) provvede alla contestazione disponendo che all'imputato sia notificato l'estratto del verbale del dibattimento da 'cui risultano la richiesta del pubblico ministero ed il provvedimento emesso in udienza. Nel progetto la normativa dell'istituto in esame contenuta negli articoli dal 489 al 494 del capo IV (Nuove contestazioni), -titolo II, del libro VIU. Essi dispongono: art. 489 (diversit del fatto risultante dal dibattimento). Se -nel corso del dibattimento il fatto risulta diverso da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, il presidente, purch la cognizione non appartenga a un giudice di competenza superiore o speciale., procede, a richiesta del pubblico ministero, alla refativa contestazione. art. 490 (reato concorrente e circostanze. aggravanti risultanti dal dibattimento). Qualora nel corso del dibattimento emerga un reato concorrente a norma del primo comma dell'art. 81 del codice penale ovvero una circostanza aggra" vante e non ve ne sia menzione nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio, il presidente, a richiesta del pubblico ministero, contesta. il rea-to 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO riamente a quanto assume la difesa, di provvedimento non ricorribile, sia per il principio della tassativit delle impugnazioni, sia per il contenuto ordinatorio che esso assume, diretto alla sollecita definizione dei processi ed alla economia dei giudizi. Infondato anche il secondo motivo di ricorso con il quale si eccepisce la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen. L'art. 10 della legge n. 1322 del 1952 (che peraltro non risulta richiamato) si colloca come norma di applicazione di tipo sanzionatorio, rispetto a fattispecie gi esistenti, tanto che, a leggerla attentamente, si comprende come essa sia stata posta per fissare le conseguenze ulteriori ed imprescindibili della affermazione di responsabilit, sia dal punto di vista pi strettamente penalistico, quali la sanzione e la confisca, sia dal punto di vista patrimoniale, come recupero maggiorato dei diritti erariali evasi. E non possibile parlare di violazione dell'art. 477 cod. proc. pen., sia perch risulta contestata regolarmente la norma incriminatrice violata, l'art. 107 della legge doganale, sia perch l'art. 10 della legge n. 1322, o la circostanza all'imputato, purch la cognizione non appartenga a un giudice di competenza superiore o speciale. art. 491 (fatto nuovo risultante dal dibattimento). Fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie se nel corso del dibattimento risulta.. a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio e per il quale si debba procedere di ufficio. Tuttavia, qulora il pubblico ministero ne faccia richiesta, il presidente, se v consenso dell'imputato presente e non ne deriva pregiudizio per la speditezza dei procedimenti, provvede a norma degli artt. 490 e 492. art. 492 (diritti delle parti). Fuori del caso in cui la contestazione prevista dagli articoli precedenti abbia per oggetto la recidiva, il presidente informa l'imputato che pu chiedere un termine a difesa. Se l'imputato ne fa richiesta, il presidente sospende il dibattimento per un tempo inferiore a cinque giorni. Nei casi previsti negli articoli precedenti, il presidente dispone la citazione della persona offesa osservando un termine non inferiore a cinque giorni. art. 493 (nuove contestazioni all'imputato contumace o assente). Quando il pubblico ministero chiede che siano contestati all'imputato contumace o assente fatti o circostanze indicati negli artt. 489 e 490, il presidente provvede alla contestazione disponendo che all'imputato sia notificato l'estratto del verbale del dibattimento da cui risultano la richiesta del pubblico ministero ed il provvedimento in udienza. In tal caso il presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione, osservando i termini indicati nell'articolo precedente. art. 494 (nullit della sentenza per difetto di contestazione). L'inosservanza delle disposizioni previste in questo capo causa di nullit della sentenza. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 151 tra l'altro, ripete pedissequamente la sanzione contenuta gi nell'art. 107 della legge doganale. L'espressione dal doppio al decuplo dei diritti evasi equivalente a quella non minore di due e non maggiore di dieci volte della legge doganale. Sicch, anche senza far riferimento alla nuova legge del 1952, le sanzioni sarebbero state le medesime. Va aggiunto inoltre che, anche senza la contestazione della norma sanzionatoria, non vi sarebbe violazione dell'art. 477, essendo necessaria e sufficiente la contestazione dell'addebito, del fatto costituente reato, per porre in grado la difesa di esercitare compiutamente il suo mandato. Ci che interessa ai fini della contestazione la descrizione concreta del fatto ipotizzato come reato dal legislatore, non delle conseguenze penali, che sono ricavabili dalla stessa legge una volta che sia stata verificata la corrispondenza del fatto incriminato alla ipotesi legale contestata regolarmente all'imputato. Ci si difende invero dall'accusa di avere commesso un determinato fatto e dalla sua descrizione giuridica, La sentenza di condanna pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate le disposizioni degli articoli precedenti nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente e alla circostanza aggravante. Sull'argomento nella relazione della commissione al progetto si legge: Da un lato, si tenuto conto della esigenza di accentuare il divieto di retrocessione del processo a fasi o stati antecedenti, secondo una linea di tendenza gi affermatasi sotto il codice vigente e resa ancor pi attuale dal nuovo valore attribuito dalla legge delega al passaggio dalle fasi precedenti del processo a quella del dibattimento. g stata cos -entro i limiti che saranno chiariti pi avanti -inserita, tra le ipotesi di contestazione dibattimentale, anche quella del fatto diverso, che nel codice vigente disciplinata nel capoverso dell'art. 477 . Dall'altro lato, si 'tenuto conto della esigenza, ugualmente avvertita, di non appesantire l'indagine dibattimentale con l'introduzione. di nuovi temi di decisione accanto a quelli pervenuti attraverso le vie ordinarie. se non quando ci risultasse indispensabile per la inscindibilit delle questioni o comunque -senza pregiudizio per la difesa -vantaggioso per l'economia processuale. In questa prospettiva vanno lette le norme che disciplinano la contestazione del reato concorrente nel cui ambito una collocazione nuova stata anche assegnata al reato continuato, per la diversa configurazione data a tale istituto con la legge n. 220 del 7 giugno 1974 " Si tenuto conto, infine, della necessit di assicurare spazio adeguato all'intervento della difesa, seguendo le direttive indicate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 11 del 29 gennaio 1971 e della opportunit di dare una .esplicita regolamentazione all'ipotesi della contestazione all'imputato contumace o assente, in ordine alla quale, come noto, sono state prospettate in dottrina e in giurisprudenza soluzioni contrastanti. Nell'art. 489 si prevede l'ipotesi in cui nel corso del dibattimento il fatto risulti diverso da come descritto nell'ordinanza di giudizio immediato o di rinvio a giudizio e se ne disciplina la contestazione da parte del presidente su richiesta del pubblico ministero . 152 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO non dalle sue conseguenze, che non costituiscono materia imprescindibile della contestazione, sicch non vi sarebbe in ogni caso 'nullit. La nullit desumibile dall'rt. 412 segnala l'ipotesi dell'incertezza del titolo di reato contestato, non delle conseguenze sanzionatorie di esso, tant' che anche ai sensi dell'art. 477 consentito perfino dare una definizione giuridica pi grave di quella ipotizzata, immutabile dovendo essere esclusivamente la descrizione del fatto oggettivamente contestato. Superate quindi le eccezioni di carttere processuale proposte con il-terzo ed il quinto motivo di ricorso, pu passarsi all'esame dei motivi che attengono alla motivazione della sentenza. Al riguardo non si riscontrano le lamentate carenze di motivazione della sentenza impugnata. I giudici di merito hanno infatti, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, indicato le ragioni per le quali non era credibile in alcun modo l'assunto del Bellini e comunque chiarito come in' ogni caso non potesse essere esclusa la disponibilit del capannone da parte dei fratelli Pievani. La nrma riflette una scelta raggiunta non senza dissensi in seno alla Commissione, parte della quale si espressa per il mantenimento della disciplina vigente, cos come suggerito anche dalla Coi:nmissione consultiva, . secondo cui in caso di diversit del fatto gli atti vanno restituiti al pubblico ministero perch proceda con le forme ordinarie (art. 477, secondo comma, del codice vigente). A fondamento di questa tesi stato soprattutto posto in rilievo il particolare valore che assume nella struttura del nuovo processo, tutto imperniato sul dibattimento; la preventiva precisazione della imputazione e la sua stabilit. sembrata, tuttavia, prevalente la considerazione che un ritorno del processo alle fasi anteriori nessun vantaggio avrebbe apportato n ai fini dell'accertamento n .ai fini della garanzia difensiva, attese le possibilit limitatissime di acquisire materiale probatorio prima del dibattimento e la possibilit di assicurare in questa fase un concreto intervento della difesa " La nuova disciplina non si riferisce, ovviamente, a quelle ipotsi di diversit assoluta del fatto, nelle quali si in presenza di un " altro fatto " e non di uh " fatto diverso" in alcuno dei suoi elementi. Comunque, per eliminare incertezze al riguardo stata adottata una formla meno lata di quella contenuta nell'art. 477: con la locuzione "fatto diverso da come descritto" si inteso appunto porre l'accento sulla necessit, per l'applicazine della norma, che il fatto originariamente contestato all'imputato, in seguito al dibattimento, resti inalterato. nel suo nucleo essenziale. Tale formulazione stata, sia pure a maggioranza dei componenti della Coi:nmissione, ritenuta idonea a suprare le difficolt logiche di una precisa distinzione tra le varie ipotesi di diversit del fatto, sottolineate dalla Commissione consultiva" Con l'art. 490, corrispondente al vigente art. 445, si inteso risolvere in senso restrittivo il contrasto affiorato in dottrina ed in giurisprudenza sulla interpretazione della formula vigente che si riferisce genericamente al reato concorrente. Si esplicitamente limitata, infatti, la contestazione dibattimentale al solo caso del concorso formale. La disciplina rimasta nella restante parte inalterata, con la sola esclusione della continuazione di reato, assimilata al concorso materiale, in considerazione della diversa fisionomia assunta dall'istituto con la legge n. 220 del 1974, richiamata in premessa '" I I PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 15'3 Per quanto attiene all'uso di un collante non autorizzato, la critica mossa alla sentenza impugnata non ha fondamento perch si muove dal presupposto che l'amministrazione finanziaria non avesse prescritto l'uso di alcun collante, circostanza che la sentenza dimostra come non vera, facendo riferimento a precise istruzioni degli uffici finanziari e alla prescrizione di un collante, il Pecacol, al quale si gi~ accennto in narrativa. Ngn costitaj$e poi; travisamento del fatto l'avere i giudici in sentenza detto che il apannone distava dallo stabilimento 100 metri, mentre si assume trattarsi di . duecento metri. Ci perch, a prescindere da ogrii accertamento sulla reale misura, nella sentenza si parla di distanza in linea d'aria;. che cosa . ovviamente non solo. ben diversa, ma. anche collhn.ante con le affep:nazioni contenute in sentenza.. N smontabile l'affermazione che .nessuno. poteva sfuggire dalla zona con il rilievo che a,~c.ne persone fuggirono all'a.tt9 dell'intervento della Guardia di finanza, perch, la tesi dell'accusa .. p.oprio che le persone fuggite trovarono ricetto nello stabilimento per liquori, di fatto condotto dal Pievani :Qeniamino. ;'l'art. 491 ~nsta di due distinti commi; nel primo, sta~a, ripro,dotta la formula dell'art. 444 codice vigente, secondo cui quando risulta nel dibattimento un nuovo fatto preveduto dalla legge come reato il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie. A questa, che costituisce la regola generare; sono sfate introdotte due eccezioni: una riguarda il caso in cui il nuovo fatto configuri una. it)otesi di concorso formale, al quale riservata apposita disciplina con l'articolo. precedente; l'altra eccezione, disciplinata nel secondo comma, concerne la possibilit della contestazione dibattimentale anche in aso di concorso materiale di reati, purch, oltre alla richiesta del pubblico ministero, vi sia il consen5o dell'imputato e l'assenza di un pregiudizio alla speditezza del procedimento " Tprnando alla sentenza che si annota, il Supremo Collegio afferma essere' stata, nella fattispecie, esattamente contestata la norma incriminatrice. Siffatta affermazione, se, come appresso si dir, . in considerazione del risultato pratico, non pu che essere condivisa, suscita qualche perplessit se considerata su un piano di assoluta ortodossia di riferimento normativo. Vero infatti che, come accennato, secondo il principio informatore della contestazione dell'accusa si .deve avere riguardo alla specificazione del" fatto co.n:tenuta nel capo di imputazione e a tutto il complesso degli elementi portati a C()I).Oscenza dall'imputato pi che alla enunciazione deUe norme legislative che si assumono violate, per cui l'omessa o erronea indicazione di tali norme non produce nullit del decreto di citazione quando il fatto sia stato contestato nel suo esatto contenuto materiale in modo che su di esso e. sulle sue caratteristiche non possa essere insorto equivoco (Cass., sez. V, 12 giugno 1979, rie. Garau in Giust. pen., 1980, III, 431, 318; Cass., sez. IV, 24 maggio '1978, rie. Gualezzi ivi, 1979, III, 459, 394; Cass., sez. III, 26 ottobre 1976, rie. Tombacco; Cass., sez. VI, 1 dicembre 1975, n. 2117). Per~ su un piano di rigore formale e .di stretta aderenza ad una ricerca normaliva specifica. per la fattispecie, deve osservarsi che la contestazione, quale norma incriminatrice, dell'art. 107 della legge doganale -del 1940 non ap pare . del tutto esatta sia perch tale norma contempla una figura di delitta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 154 Che poi tra costoro vi fosse anche il Pedemonti, assolto per insufficienza di prove dal tribunale, cosa che non rileva n sotto il profilo processuale, n sotto quella della contraddizione. La sentenza di appello (non va dimenticato che la sentenza non era stata impugnata dal P.M.) d atto dell'impossibilit di pervenire alla assoluzione con formula ampia di costui, sottolineando gli elementi di accusa assai rilevanti, per effetto dei quali il giudizio della Corte di appello appare assai severo.-Da tale discorso non si pu desumere alcun serio elemento che possa portare al proscioglimento del Pievani, sicch sul piano logico il relativo discorso non pu essere opposto in questa sede. Tutto ci senza considerare che le censure mosse alla sentenza impugnata rimangono per buona parte allo stadio di apprezzamento della prova (cos dicasi per il rintraccio dell'etichetta, ben diversamente e sagacemente valutato in sentenza) e non sono ammissibili in questa sede di legittimit, per cui discutibile addirittura la proponibilit delle stesse. Per questo e per altre ragioni innanzi esposte, il ricorso deve ritenersi infondato e va rigettato. Rimane da ultimo la questione della continuazione proposta con i motivi aggiunti. di contrabbando doganale a condotta libera avente per elemento materiale la sottrazione della merce estera al sistema di controllo istituito per l'accerta mento dei diritti di confine, sia perch all'epoca del fatto contestato (8 marzo 1973) non era pi vigente essendo entrato in vigore il testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, sia perch in materia di sottrazione di spiriti al pagamento dei diritti erariali previsti, andava tenuta presente la disposizione contenuta nell'art. 10 del dl. 30 ottobre 1952, n. 1322 (vigilanza sulla produzione e sul commercio delle materie prime alcooligene e modifica di alcune disposizioni sulla produ zione dei liquori) convertito con modifiche nella legge 20 dicembre 1952, n. 2384. Comunque, in considerazione del risultato pratico sotto il profilo delle conseguenze del fatto criminoso contestato, cui conducono le norme indicate per la identit delle previsioni sanzionatorie, pu convenirsi con la S.C. circa l'insussistenza di violazione dell'art. 477 cod. proc. pen., atteso che, come osserva la stessa Corte ci si difende dall'accusa di avere commesso un determinato fatto e dalla sua descrizione giuridica, non dalle sue conseguenze, che non costituiscono materia imprescindibile della contestazione . Circa le conseguenze sanzionatorie sussiste effettivamente identit delle pene e delle misure di sicurezza patrimoniali previste .negli artt.-107 e segg. legge doganale del 1940, negli artt. 292 e segg. del t.u. delle disposizioni doganali del 1973 e nell'art. 10 del d.I. 30 ottobre 1952, n. 1322 (l'espressione dal doppio al decuplo dei diritti evasi equivale a quella non minore di due e non maggiore di dieci volte, e sia la violazione dell'art. 107 (ora 292) che quella dell'art. 10 comportano sia la confisca della merce sequestrata e dei mezzi adoperati per porre in essere o tentare di porre in essere la sottrazione delle stesse al pagamento dei prescritti diritti erariali, salvo il caso della loro appar PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 155 Al riguardo deve essere osservato che, come hanno ritenuto le sezioni unite di questa suprema corte, non possibile addurre in sede di legittimit la continuazione quando essa era allegabile in sede di merito. Ferma questa premessa, deve rilevarsi che le sentenze dei due gradi di giudizio relativi al presente procedimento e a quello in ordine al quale si vorrebbe applicata la continuazione sono in sostanza pressoch coeve. Quella del tribunale di Bergamo sono rispettivamente del 21 marzo e del 22 aprile 1977, quelle della corte di appello di Brescia rispettivamente del 31 marzo e del 25 maggio 1978, sicch i processi sono stati svolti nella stessa fase e per congrui periodi di tempo. Ci non senza considerare che lo stesso ricorrente a far presente che, dinanzi al Tribunale e prima della riunione contestata il presente procedimento era di fatto riunito ad altro processo. Ultimo e definitivo argomento la distanza di tempo notevole tra i due fatti che, almeno in via preliminare, rende assai problematica l'esistenza dei presupposti della continuazione. I ricorsi vanno pertanto rigettati con le conseguenze di legge anche civilistiche. (omissis) tenenza a persone estranee al reato, che l'obbligo del pagamento dei tributi evasi). Inoltre, sia il t.u. del 1973 (come la legge doganale del 1940) sia l'art. 10 del d.l. 30 ottobre 1952, n. 1322, 'stabiliscono l'equiparazione del contrabbando tentato a quello consumato. Non si pu infine condividere l'affermazione della S.C. secondo cui l'art. 10 citato si pone come norma di tipo esclusivamente sanzionatorio. L'art. 10 del seguente tenore: Chiunque sottrae o tenta di sottrarre con qualunque mezzo lo spirito al pagamento dei prescritti diritti erariali punito con la multa dal doppio al decuplo dell'importo dei diritti dovuti. Lo spirito sottratto o che si tenti di sottrarre e i mezzi adoperati per commettere la frode sono soggetti a confisca, a termini della legge doganale e in deroga alle disposizioni dell'art. 240 del codice penale. 1'. di tutta evidenza quindi che non ci troviamo di fronte ad una norma imperfetta, ma ad una vera e propria norma incriminatrice, ad una norma cio che col vietare un'azione, con la minaccia della pena, incrimina tale azione, conferendole il carattere di reato, con le relative conseguenze giuridiche. Si tratta altres di una norma che si innesta in un contesto di natura specializzante, da ritenersi rimasto in vigore dopo l'approvazione del t.u. n. 43 del 1973. (2) Il S.C., a Sezioni Unite, con la decisione 18 giugno 1979, n. 5519, oltre al principio enunciato nella massima, ha anche affermato che la richiesta di applicazione in sede di legittimit della continuazione implica l'onere dell'imputato di allegare gli elementi soggettivi ed oggettivi che consentano di stabilire la sussistenza o meno della unicit del disegno criminoso. NICOLA BRUNI 12 PARTE SECONDA ~--' ,.~ ' \ . . . ~ !> ; ,.., ;\ ';'. LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice civile, art. 314/17, primo comma, nella parte in cui anche quando l'adozione ordinria prommdata da giudice diverso da quello competente per l'adozione speciale, dispone che lo stato di adottabilit cessa per adozione ordinaria. . . .. ., Sentenza lQ.febbraio 1981, n. )l; G. U. 13 febbraio -1981, I).. 44. .. d.l. 27 giugno 1967, n. 4~0, art. 5 [co11y. ~ legge: 2~ luglio 1967,,.n; ~28]. Sentenza n. 4 dl 28 gennaio 1981; G. U: 4 febbraio 1981, n~ 34. legge reg. toscana 4 luglio 1974, n. 35, art. 51, quarto comma, nella parte i. cui demanda alle amministrazioni .comunali l'esercizio. del .potere di ritiro dila licenza di cacda. . . . .. Sentenza 10 febbraio 1981,, .n. 14. ' legge reg. toscana 5 settemqrel978, n. 60, nella parte in .cui, sostituendo il quarto comma dell;art. 51 della lgge regionale ri. 35 del 1974, dmanda alle -amministrazioni comunali l'eserciziCJ del potere di ritiro della licenza di caccia; Sentenza 10 febbraio 1981, n. 14, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. ~-~-~--~-'' ~-. II -QUESTIONI NON FONDATE Codice civile, art. 2948, n. 4 (art. 136 della Costituzione). Sentenza 10 febbraio 1981,-n: 1'3'; : U. i3 febbraio 1981, n. 13. codice penale, art. 372 (ar.t. 21 della: .Costituzione). ". Sentenz~ 28 gennaio 198:1, re 1 G. U .4 febbraio.. 1981, .n.. 34. codice penale art. 684 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 10 febbraio 1981, m 16, G. U.' 1J febbrio 1981, n. 44. codice penale art. 684 (artt. 3 e 21 della ostittizione). Sentenza 10 febbraio 1981, n. 18, G. U. 13 febbraio 19~'1. n. 44. codice di prcedura penale art. 164 (ttt. 3 e 21 della Costituzione): Sentenza 10 febbraio 1981, ri. 18, G. U. 13 febbtaio '1981, n. 44. codice di procedura penale, art. 164, n. 3 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 10 febbraio 1981, n. 16, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. codice di procedura penale, artt. 348, comma secondo, e 351 (art. 21 della Costituzione). Sentenza 28 gennaio 1981, n. 1, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, art. 351 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 28 gennaio 1981, n. l, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. codice di procedura penale, art. 425, comma primo (artt. 1, comma secondo, 2, comma primo, 3, comma primo, e 31, comma secondo, dlla Costituzione). Sentenza 10 febbraio 1981, n. 17, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. r.dJ. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 16 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 10 febbraio 1981, n. 16, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. r.d.I. 20 luglio 934, n. 1404, art. 16 (artt. 1, comma secondo, 2, comma primo, 3, comma primo, e 31, comma secondo, della Costituzione). Sentenza 10 febbraio 1981, n. 17, G. U. 13 febbraio 1981, n. 44. legge 1 dicembre 1956, n. 1426, artt. 2, 3 e 4 (artt. 53, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). (Sentenza 28 gennaio 1981, n. 2, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 2 (art. 21 della Costituzione). Sentenza 28 gennaio 1981, n. 1, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, tabella unica degli stipendi, quadro II, sezione D (art. 76 della Costituzione). (Sentenza 10 febbraio 1981, n. 12. III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 244 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza 30 luglio 1980, n. 794, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. codice civile, art. 301, commi primo e terzo (artt. 2, 29, primo comma, e 30, primo e terzo comma della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Firenze, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 835, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. codice di procedura civile, art. 429, comma terzo (art. 36 della Costituzione). Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 855, G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. Corte di cassazione, sezione unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 856, G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. codice penale, art. 163 [modif. da d.I. 11 aprile 1974, 11. 99, art. 11, conv. in legge 7 giugno 1974, n. 220] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 14 novembre 1980, n. 916, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. PARTE II, LEGISLAZIONE ; codice penale, art. 164 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Pistoia ordinanza 25 luglio 1980, n. 793, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. codice di procedura penale, art. 108, prima parte (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 802, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 7 luglio 1980, n. 864, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 12 [conv. in legge 17 aprile 1925, n. 473] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 3 novembre 1980, n. 918, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. legge 16 giu.gno 1927, n. 1766, artt. 27 e 28 (artt. 102, 103, 104 e 105 della Costituzione e VI disposizione di attuazione della Costituzione). Pretore di Montefiascone, ordinanza 7 maggio 1980, n. 805, G U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 16 giugno 1927, n. 1766, artt. 29 e 31 (artt. 3, 24, 41, 42, 43, 44, 101, 102, 104, 105 e 108 della Costituzione e VI disposizione di attuazione della Costi tuzione). Pretore di Montefiascone, ordinanza 7 maggio 1980, n. 805, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 10 luglio 1930, n. 1078, art. 1 (artt. 102, 103, 104 e 105 della Costituzione e VI disposizione di attuazione della Costituzione). Pretore di Montefiascone, ordinanza 7 maggio 1980, n. 805, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 807, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 156 (artt. 3, primo comma, 19, 20 e 21 della Costituzione). Pretore di Portoferraio, ordinanza 15 aprile 1980, n. 837 G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. r.d. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 (artt. 3, comma primo e secondo, 24, comma secondo, e 31 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 16 settembre 1980, n. 858, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59 (art. 36 della Costituzione),. Corte cli cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 855, G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 20 maggio 1980, n. 856, G. U. 7 genn~io 1981, n. 6. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, comma quinto (art. 24 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 9 aprile 1980, n. 811, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 31. gennaio 1949, n. 21; attt.: 1 e 2 (art. 3 della C~tituzione). Pretore di 'Reggio milia, ordinanza 28 ottobre 11980, Ii. 851, G. U. 13. febbraio 1981, n. 44, .. legge:4 marzi>: 1952, li; 131, artt. 1 e2 (art." 3 della Costitzione). Pretore di Milano, . ordinanza 18 luglio 1980, n. 816, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. d.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4160 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Nuoro, ordinanz 18 aprile -i979, n. 711/1980, G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. d.l. pres. reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6, artt. 121 e 122 [conv. con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16] (artt. 3, 103, comma secondo, e ,J08, comma primo, della Co_stituzione). . ' ,Co~te. dei conti, S;ezione. gi.m:i!ldizionale per: la .regione . siciliana, orfinanza 5 dicembre .1979, n. 804/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. .'I . . d.P.R. 18 luglio 1957, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 851, G. U. 13 febbraip t981, n. 44. . :~ d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 29, ultimo comma, :e.-~~' (artt. 3 e 2;J .della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 852, G. U. 25 febbraio ,1981, n. 56. d.PJt. 29 gennaio i958, 11. M5, ari:. 184 bis (artt 3 e 53 de~ Costituzione). Commissione tributaria di 2 grado di Teramo, ordinanza 4 aprile 1980, n. 776, G. U. _14 gennaio 1981, n. 13. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da legge 5 maggio 1976, n. 3, art. 5] (art. 3 della Costituzione).' Tribunale di Sassari, ordinanze (quattro) 5 marzo, 12 febbraio, 19 marzo e 4 aprile :1980, nn. 795, 796, 797 e 798, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. .Pretore di Arona, ordinanza 13 settembre 1980, n. 806, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. Pretore di Campobasso, ordinanza 17 settembre 1980, n. 873, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (artt. 3 'e 27 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 18 ottobre 1980, n. 875, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 3931 art. 121 -[modif. da legge' 5 maggio 1976, rl; 313, art. 5] (artt. 3 e 1101 della Costituzione). Pretore di Casteltermini, ordinanza. 28 giugno -1980, n. 893, G. U. 17 fobbraio 1981, n. 48. d.P.R. 12 febbraio 1962, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzi~ne).' Corte d'appello di Brescia, .ordinanza' 19 giugno 1980, n. 778, G. U. 7 ge.naio 1981, n. 6. r.,. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Larino, ordinanza 26 settembre 1980, n. 841, G. U. 25 febbraio'1:981, n. 56. Pretore di Larino, ordinania 26 settembre 1980, n. 842,. G. U. 2!i ..febbraio 1981, n, 56. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera a) (art. 3 della Costituzio!l-e}, :' l ; Pretore di Torino, ordinanza 24 ottbi:e i980, n. 843, G. . 25 febbr~i6. 198'1. n;c56. ., ... . _ l~gg~ 12 _agos.to }962'. n. 1~8,.."art. , 13,, co~~.~uinto. ~arJ;t.. 3, corpmi. primo eseconlo, 2~; comnn pnmo e secondo, 38, commi secondo e quarto, e 36; comma primo;'aella Costituziohe). . ...:... . : -:. . '::~:_.= Tribunale di Torino, orqinanza 22_ ottobre 1980, .. 827, _G._ U~ 25 febbra~q ,1981, n: 56. . . . . , . ; ,d.P.R. 12. f"1bbr3l0: 1965, nd62, .~i:t. 16 {arti. 3,' 11 ~ 41 della .Costittftzire 1980 n. 810 G u 28 na10 1981, n. 27. ' ' . gen n. i_retore di Piacenza, ordinanz_a 13 ottobre 1980, n. 833, G. U. 11 febbraio 1981, 4 Pretore di Pistoia, ordinanza 5 novembre 1980, n. 886, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. legge reg. lombarda 12 agosto 1974, n. 45, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale ordinanza 18 maggio 1979, n. 773/1980, G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. ' PARTE II, LEGISLAZIONE 9 legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4 comma secondo (art. 25 dlla Costituiitme). Tribunale di Milano, ordinanza 5 novembre 1979, n. 786/19SO, G. U. 21 g~~naio 1981, n. 20. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, commi 9-uarto e sesto (art. 3 della Costituzione).. Pretore di Poggibonsi, ordinanza 17 luglio 1980, n. 826, G. U. H febbraio ..1981, n, 41. . ~. legge 19 maggio 1975, n. 151, art. 95 (artt. 3 e 24 della Costituzivne). Tribiill:le di Bolzano, oraina~i~ 30 foglio 980'. n~ 794, 'G. V. 21 gnn~ici' J9~1, n. 20. legge 18 luglio 1975, n. 356, art. 1 (art. 3 della "Costituzione). )'retore di Milano, ?rdinan~a 18 luglio ,_19&0, 1~, &16, 4-!l: 4 f~bprai~: '1981, n: 34 legge 2 dicembre i975, n. '516;' ~rt: 8 (artt. 3, 29 5.3 ci.ella Cos~ituzione). :~ I. ,. ' " . . ' .. . '. . . . Corte d'appello di Roma, ordinan:i:a 4 ,giugno 1980, 11. 812, G. u, 21 gennaio 1981, n. 20. legge reg. Emilia:Romagri.a '26 geri.naio t976, n: s; ai-~~. 4; f'1, 9 e 10j\D~di(, da legge reg. 26 gennaio 1977, n. 4] (art. 117 della Costituzione). Triburiale df Blog~a. ordinanza 30 s~tt~rrilire 19so; xL ll63, G.'U. .25 febbraio 1981, n. 56. : legge' .s-:maggio 1976, n. 313, art. 5" (art. 3 derfa Cpstitziorie) . . . Pretore di Treviglio, ordinanza 2 aprile 1980, 11. 769, G. U. ,7 gennaio 1981, n. 6 . . Pretore di Asti, ordinanza 19 settembre 1980, ri. 189, G.' U. 21 gennaio 1981, n. 20. Pretore di Piana degli Albanesi, ordinanza 25 marzo 1980, 11.790, G. U. 21 gennaio 1981, n; 20. Pretore di Montepulciano, ordinanza 13 ottobre 1980, n. 836, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. Pretore di Civitavecchia, ordinanza 14 novembre 1980, n. 892, G. U. 17 febb~ aio 1981, n. 48. legge _ 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (art. 27 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 31 marzo 1980, n. 803, G. U. 21 gennaio 1981. n. 20. legge 19 maggio 1976, n. 326, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 18 luglio 1980, n. 816, G.U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, commi primo e secondo (artt. 3 e 25 della Costituzione). Commissione tributaria di 1 grado di Pistoia; ordinanza 13 marzo 1979, n. 839, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, comma terzo (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 26 aprile 1980, n. 898, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, n.c. (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Massa Carrara, ordinanza 29 giugno 1979, n. 865/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, n. c. (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 20 maggio 1980, n. 772, G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, n. c. (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (due) 16 e 15 novembre ,1979, nn. 860 e 861/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 15 novembre 1979, n. 862/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 1, n. c., e 3, n. c. (artt. 2, 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Novara, ordinanza 20 aprile 1979, n. 834/1980, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. cl.I. 10 dicembre 1976, n. 798, art. 1, comma terzo [conv. In legge 8 febbraio 1977, n. 16] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cagliari, ordinanza 19 luglio 1980, n. 869, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1 e 4 (art. 42 della Costituzione). Tribunale di Livorno, ordinanza 14 novembre 1980, n. 894, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 13 aprile 1977, n. 114, artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 26 aprile 1980, n. 898, G. U. 11 febbraio 1981, n. 41. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 113, 114, tabella B n. 2 (artt. 76, 117 e 118 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 3 luglio 1980, n. 857), G. U. 28 gennaio 1981, n. 27. legge 8 agosto 1977, n. 513, artt. 27, comma secondo, e 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Piacenza, ordinanza 18 settembre 1980, n. 768, G. U. 7 gennaio 1981, n. 6. 11 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo comma, '103, primo comma, .113 e 125, secondo comma, della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 luglio 1980, n. 866, G. U. 23 febbraio 1981, n. 56. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, commi primo, secondo e terzo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 8 ottobre 1980, n. 809, G. U. 4 febbraio 1981, n. 34. legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 22, comma terzo, 4, 5, commi terzo e quarto, 8, ultimo comma (artt. 2, 30 primo comma, 31 secondo comma e 32 primo comma della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, sezione istruttoria, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 868, G. U. 17 febbraio 1981, n. 48. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 13, penultimo comma (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Grugliasco, ordinanza 31 luglio 1980, n. 792, G. U. 21 gennaio .1931, n. 20. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Pescasseroli, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 801, G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 1 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). Giudice conciliatore di Diano Marina, ordinanza 18 giugno 1980, n. 779, G. U. 14 gennaio 1981, n. 13. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modif. da d.l. 30 gennaio 1979, n. 21, art. lbis] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castrovillari, ordinanze (due) 21 ottobre 1980, nn. 830 e 831, G. U. 28 gennaio 1981, n. 27. legge 3 agosto 1978, n. 405 (artt. 55 e segg., 70 e segg., 79 e segg., 83 e segg., 101 e segg., e 3 della Costituzione). Pretore di Nard, ordinanza 30 agosto 1980, n. 800, G. U. 11 febbraio 1981, n. 4). d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 2, lettera c) (artt. 55 e segg., 7G e segg., 79 e segg., 83 e segg., 101 e segg., e 3 della Costituzione). Pretore di Nard, ordinanza 30 agosto 1980, n. 800, G. U. 11 febbraio .1981, n. 41. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 3, lettera d) (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 3 luglio 1980, n. 788, G. U. 21 gennaio 1981, n. 20. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Abruzzo 28 diemre 1978; n. 87, art. f B (art. 117" del.lit. Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzio, o~dinanza 7 dicembre 1979, n. 872/1980, G. U. 25 febbraio 1981, n. 56. legge reg. Sicilia.14 settembre 1979, n; 212,..art. "24, conUna pt.imo (ttt: :fil"e 3 della Costituzione). . : . . .. :Tribunale di Catania;' ordinanza..;10 ottobre 1980, n; 832, G. U ..:. 25 febbraio 1981, n. 56. , . 1t;gie ?Or ;lllarz? 1~80, n .. 77,, ar.t. 6, ~9mm~ secondo i(-artt... ~24, 1Q2, :iepmma pnmo, .104, com;ma .prime, fle1la Co.stituzione). ,. ~ ..1:.::. ~ ' ,. Pretore di La Spezia, ordinanza 20 maggio 1980; n: 177; G.'r.;.: 14 g'enn: jl;~ _19.81, .n: 13. . ; . ': ' . ,r,. legge reg. Veneto appr. 2 aprile 1980, riappr. il 18 dicembre 1980 (artt. 3, 36, 9~,,.e.11~: