ANNO XXX N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 1978 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ''.~.' , ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO. 1978 ABBONAMENTI ANNO L. 12.750 UN NUMERO SEPARATO .. .. .. .. .. .. .. .. 2.250 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/2640 :Stampato in Italia Printetl in ltaly Autorl1zaslone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu11llo 1960 (8219416) Roma, 1978 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA. Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Giuseppe Angelini-Rota e dell'avv. Franco Fav.ara) pag. 525 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (o cura del/'avv. Oscar Fiumara) . 535 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (o cura del/'avv. Carlo Carbone) . 542 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (o cura dell'avvocato Adriano Rossi) 564 Sezione quinta: GIURISPRUpENZA AMMINISTRATIVA (o cura de/J'avv. Raffaele Tamiozzo) . 583 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafle) 593 1 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura dell'avv. Paolo Vittoria) 642 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo Di Tarsia Di Be/monte) . Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE. -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE pag. 179 CONSULTAZIONI 191 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari, Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CoNTU, Cagliari Americo RALLO, Caltanissetta; RAFFAELE TAMIOZZO, Firenze; Francesco GUICCIARDI, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe 'Orazio Russo, LECCE; Aldo ALABISO, Napoli; Nicasio MANCUSO, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI MARZANO, A., Periodo _transitorio e misure di salvaguardia statali I, 535 TAM;i:ozzo, R., Limiti alla pianificazione urbanistica regionale e comunale I, 589 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUiBBLliCHE ED ELETTRICIT -Acqua pubbLica Configurazione Scorni.mento in acquedotti comunali -Rilevanza ostativa -Esclusione, 649. -Acqua pubbldca .PossibWle oggetto di propriet pr.ivata -Esclusione, 649. -Antica utenza e uso di Jatto -Diritto al riconoscimento o alla concessione -Mancanza & . tempestiva domanda Decadenza, 649. -Diritti parziari preesistenti alla demanfaldt -Subutenze -Trasformazione -Cndi21ione, 649. -Giudizio e procedimento Tribunali regionali deHe acque Condanna al pagamento di provvisionale e provvisoria esecuzione de~la sentenza Ammdssibilliit, 642. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Atto di annullamento da parte della .(;ommdssione di controHo di delibera regionale Impugnativa dinan al Giudice amministrativo: ammissibi 1it -Conflitto di attrbuZ!ione: interferenze con il ricorso giurisdizionale, 545. -Difetto assoluto di giurisdizione Nozione -Vice-pretore onorario -Rapporto di servizio -Controversie ' Competenza giudsdizionale dello A.G.O., 542. -Gdudizio amministrativo -Principi generali T.A.R. Regolamento di competenza -Determiriazione -Criteni -Limiti, 587. -Giuoco e scommessa -Divieto penale: necessit di deroga ligo, 195. -Dipendenti dalle gestioni governative dei pubblici servh.i di trasporto Obbligo di denunz:ia di fatti dannosi al procu:ratore generale deHa Corte dei conti -Sussistenza, 195. '-Dipendenti delle gestioni governative di pubblici servizi di trasporto -Sottoposizione alla giurisdizione della Corte dei conti. -Dipendenti di concessionaria di ferrovia -Dichiarata decaduta con passaggio alla gestione diretta -Applicabilit dei benefici previsti per gLi ex combattenti dalla legge 24 maggio 1970, n. 336 -Limiti temporali 196. ' - Insegnante -Interdizione temporanea dai pubblici uffici -Applkall~One provvisoria -Conseguenze sul trattamento economico -Sospensione cautelare -Analogia, 196. FMPOR'l1AZIONE ED ESPORTAZIONE -Comunit europee -Importazione Cauzione -Incameramento in misura superiore al dovuto -Diritto aHa res,tituzione -Prescrizione, 196. -Comunit europee -Importru.ione Cauzione -Incameramento -!Misura, 196. IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Esenzioni -Agevolazioni -Nuovi investimenti -Locazione finanziaria natura e concetto, 197. IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Eredit accettata con beneficio di inventario -Liquidazione dell'imposta di trascrizione relativamente agli immobHi ceduti in successione -Moda1it -Esanzione delil'.hnposta -Limiti di responsabilit deJil'erede, 197. FMPOSTA :SUL VALORE AGGIUNTO -Appalto stipulato sotto iii regime deH'I.G.E. -Pagamento di compensi revisionali dopo fa data del 31 dicembre 1972 e l'istituzione dell'.IV.A. -Regime, 197. IMPOSTE DIRETTE -Esenzioni -Agevolazioni -Nuovi investimenti -Locazione finanmaria natura e concetto, 197. IMPOSTE E TASSE -Agevolazioni tributarie per i fabbricati di propriet delia Santa Sede considerati nel trattato lateranense Estensione al santuario di San Francesco di Assisi -Esclusione, 198. INDICE DELLE CONSULTA~IONI Xlii IMPOSTE IPOTECARIE -Eredit accettata con beneficio d'inventario -Liquidazione dell'imposta di trascrizione relativamente agli immobiiil ceduti in successione -Modalit -Esazione dell'imposta -Limiti di responsabil:it dell'erede, 198. IMPOSTE V ARIE -Crediti del comune per INVIM Crediti deHo Stato verso il comune per altri -tito1i -Possibilit di compensazione, 198. ISTRUZIONE -Insegnante -Interdizione temporanea dai pubblici uffici -Applicazione provvisoria -Conseguenze sul trattato economico -Sospensione caute1are -Analogia, 198. MEZZOGIORNO -Industrializzazione del Mezzogiorno -Opid:\ici industriali gi strutturati -Possibilit di esproprio -Esclusione, 199. NAVI E NAVIGAZIONE -Contributi per costruzioni navali Divergenza tra progetto ed opera eseguita -Addebito .alla societ costruttrice -Natura, 199. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI -Contratti della p.a. -Fornitura -Eccessiva onerosit. sopraggiunta -Revisione prezzi -Clausola di esclusione Effetti -Applicabilit dclla risoluzione -Limiti, 199. OPERE PUBBLICHE -Appalto di opere pubbliche -Revisione prezzi contrattual:i -Clausola di esclusione de11a revisione -Jus superveniens, 199. -Appalto stipulato sotto il regime del- 1'1.G.E. -Pagamento di compensi revisionali dopo la data del 31 dicembre 1972 e fistituzione dell'l.V.A. Regime, 200. PENA -Infrazioni valutarie -Sanzioni amministrative -Applicazione da parte del giudice penale -Natura giuridica -Trasformazione, 200. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Case economiche -Asst. -Costruzione diretta con fondi propri -Concessione in locazione ai dipendenti Edilizia residenziaie pubblka -Normativa -Applicabilit, 200. PROCEDIMENTO PENALE -Frodi valutarie -Repressione -Sanzioni penali -Accertamento -Funzionaci dell'U.l.C. -Qualit di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, 200. -Insegnante -Interdizione temporanea dai pubbLici uffici -ApplicaL.ione provvisoria -Cons,eguertze sul trattamento economico -Sospensione cautelare -Analogia, 201. RESPONSABILIT CIVILE -Conservatoria dei registri immobiliari -Richiesta di cancellazione di ' sequestro conservativo -Rifiuto -ResponsabiLit dello Stato -Esclusione, .201. SOCIET -Aeromobili -Immatricolazione -Sodet estere -Normativa disciplinante l'importazione d1 capi.tali esteri Compatibilit, 201. TRASCRIZIONE -Conservatoria dei registri immobiliari -Richiesta di cancellazione di sequestro conservativo Rifiuto -Responsabilit dello Stato -Esclusione, 201. TRATTATI E CONVENZIONI -Ag,evo1azioni tributarie per i fabbr.icati di propriet della Santa Sede considerati nel trattato lateranense Estensione al santuario di San Francesco di Assisi -Esclusione, 202. TRIBUTI LOCALI ....:.. Crediti del comune per INVIM -Crediti dello Stato verso d,l comune per altri titoli -Possibilit di compensazione, 202. XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE Ili) Que.stioni proposte pag. 179 PARTE PRIMA I I II I I ~i I I ~ GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA cosTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 17 maggio 1978, n. 68 -Pres. Amadei -Rel. Paladini -. Pietroletti (avv. Casamassima). Legge - Referendum abrogativo -Intervento abrogativo del legislatore Effetti sul procedimento referendario. (Cost., art. 75; legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 39). , Il Parlamento conserva la propria permanente potes't legislativa, sia nella fase dell'iniziativa e della raccolta delle sottoscrizioni, sia nel corso degli accertamenti sulla legittimit e sull'ammissibilit delle richieste, sia successivamente alla stessa indizione del referendum abrogativo. Perltro, l'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, contrasta con l'art. 75 Cast. limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizini cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare n i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente n i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effe~tui sulle nuove disposizioni legislative. L'Ufficio centrale per il referendum competente a valutare -sentiti i promotori della corrispondente richiesta se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso del procedimento, abbia >, in vista della quale dev'essere accertata l'omogep. eit dei corrispondenti quesiti. Con analoghi criteri va ora risolto il problema dei limiti in cui pu verificarsi -legittimamente -il blocco delle operazioni per il referendum, a causa degli effetti abrogativi previsti dall'art. 39 della legge n. 352 del 1970. Se I' intenzione del legi ' slatore -obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte si dimostra fondamentalmente diversa. e peculiare, nel senso. che i relativi principi ispiratori sono mutati rispetto alla previa disciplina della materia, la nuova legislazione non pi ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria: in quanto non si pu presumere che i sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all'abrogazione della normativa gi in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel referendum quella stessa ulteriore disciplina. Se invece I' intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle Camere, la corrispondente richiesta non pu essere blocata, perch diversamente la sovranit de1 popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera al?parenza. In quest'ultima ipotesi, la nuova disciplina della materia realizza per intero i suoi normali effetti abrogativi, impedendo che il referendum assuma t.ttora ad oggetto le disposizioni gi abrogate. Ma la consultazione popolare deve svolgersi pur sempre, a pena di violare l'art. 75 Cost. E, di conseguenza, l'unica soluzione possibile consiste nel riconoscere che il referendum si trasferisce dalla legislazione precedente alla legislazione cos sopravvenuta (oppure che la richiesta referendaria si estende alle successive modificazioni di legge, qualora si risco_ntri che esse s'inseriscono nella previa regolamentazione, senza sostituirla integralmente). Per meglio chiarire a quali condizioni il referendum debba essere effettuato sulla nuova disciplina legislativa, al di fuori delle attuali prescrizioni dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970, conviene per mantenere distinta l'ipotesi in cui la richiesta riguardasse nella loro interezza una legge od un atto equiparato (od anche un organico insieme di disposizioni, altrim&nti individuate dal legislatore) da quella in cui fosse stata proposta soltanto l'abrogazione di disposizioni specifiche. Nel primo' caso, questa Corte ritiene che l'indagine non possa limitarsi alle affinit od alle divergenze riscontrabili fra le singole previsioni della precedente e della nuova legislazione, ma si debba estendere ai raf 530 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fronti fra i principi cui s'informino nel loro complesso l'una o l'altra disciplina; scch il mutamento dei principi stessi pu dare adito al blocco delle relative operazioni referendarie, quand'anche sopravvivano -entro il nuovo ordinamento dell'ntera materia -contenuti normativi gi presenti nell'ordinamento precedente; mentre la modificazione di singole previsioni legislative giustifica l'interruzione del procedimento nella parte concernente le previsioni medesime, solo quando si possa riscontrare che i loro principi informatori non sono pi riconducibili a quelli della complessiva disciplina originaria. Nel secondo caso, invece, decisivo il confronto fra i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, senza che occorra aver riguardo ai principi dell'intero ordinamento in cui questi si ritrovino inseriti: appunto perch i promotori ed i sottoscrittori delle richieste di referendum non avevano di mira l'abrogazione di quell'ordinamento considerato nella sua interezza. Con tali criteri, comunque, non si pu certo sostenere che gli elettori vengano chiamati a votare su un quesito affatto diverso da quello per cui erano state operate la presentazione e la sottoscrizione dell~ richiesta di referendum abrogativo. La sottoposizione della nuova legge al voto popolare, qualora essa introduca modificazioni formali o di dettaglio, corrisponde alla sostanza dell'iniziativa assunta dai promotori e dai sottoscrittori; e rappresenta la strada costituzionalmente obbligata per conciliare -nell'ambito del procedimento referendario -la permanente potest legislativa delle Camere con la garanzia dell'istituto del . ' referendum abrogativo. . In questi termini, l'Ufficio centrale per il referendum, dunque chiamato a valutare -sentiti i promotori della corrispondente richiesta se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel torso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare, gi promossa sulla disciplina preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una conclusione negativa dell'indagine, alla legislazione successiva. Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di verificare se non sussistano eventuali ragioni d'inammissibilit, quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, cos assoggettati al voto popolare abrogativo. All'atto di dichiarare l'illegittimit dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui lascia insoddisfatta l'esigenza di non frustrare il ricorso al referendum, la Corte pienamente consapevole che da questa deciSione potranno derivare inconvenienti e difficolt applicative. Ma i poteri. dei quali essa dispone non le consentono altro che di accertare e sanzionare le violazioni delle norme cos.tituzionali, adottando le soluzioni a ci conseguenti nei soli limiti in cui queste risultino univoche ed indispensabili per assieurare l'osservanza della Costituzione PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE stessa. Le ulteriori modificazioni del procedimento per il referendum abrogativo, di cui le recenti esperienze stanno dimostrando l'opportunit -come la Corte ha gi rilevto nella sentenza n. 16 di quest'anno competono invece al Parlamento (anche mediante il ricorso -qualora necessario -alla legislazione prevista dall'art. 138 Cost.). In particolar modo, al legislatore spetter di precisare o di riconsiderare i ruoli e le funzioni degli organi competenti ad intervenire nel corso lelle procedure referendarie. Inoltre, attraverso una riforma della legge n. 352 del 1970 potranno essere altrimenti regolati i tempi delle reative operazioni: specialmente allo scopo di permettere l'effettuazione del referendum abrogativo oltre il termine finale del 15 giugno, allorch le leggi o le disposizioni sottoposte al voto popolare vengano abrogate all'ultima ora, imponendo nuove formulazioni degli originari quesiti ed intralciando gli adempimenti che precedono la data di convocazione degli elettori. -(Omissis). II (Omissis). -Con ordinanza 3 marzo 1977, n. 17, la Corte ha ritenuto, in via di prima deliberazione, l'ammissibilit del conflitto ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87; e nel corso del susseguente giudizio, con ordinanza 12 aprile 1977, n. 44, ha sollevato di ufficio, in riferimento all'art. 75 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dall'art. 39 della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui prevede che il blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la sopravvenuta abrogazione sia accompagnata dalla emanazione di altra normativa che regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare n i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, n i principi ispiratori della complessa disciplina sottoposta a referendum. La Corte ha deciso tale giudizio di costituzionalit con sentenza 17 maggio 1978, n.. 68, dichiarando la megittimit costituzionale dell'art. 39 dela legge 25 maggio 1970, n. 352, limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare n i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente n i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative . Definitivamente pronunciando circa l'ammissibilit del ricorso, questa Corte conferma le considerazioni gi svolte nell'ordinanza n. 17 circa la sussistenza, nella fattispecie, dei requisiti di ot'dine soggettivo ed oggettivo contemplati dal primo comma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953. 532 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO , Per quanto concerne, in particolare, la legittimazione dei r;icorrenti, pu osservarsi che se poteri dello Stato , legittimati a proporre conflitto di attribuzione ai sensi dell'art. 134 Cost., sono anzitutto' e principalmente i poteri dello Stato-apparato, ci non esclude che possano riconoscersi a tale effetto come poteri dello Stato anche figure soggettive esterne rispetto allo Stato-apparato, quanto meno allorch ad esse l'ordinamento conferisca la titolarit e l'esercizio di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statuali in senso proprio. Tale appunto il caso del gruppo degli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari d'una richiesta d referendum abrogativo -istituzionalmente rappresentati dai promotori -a cui l'art. 75 Cost. riconosce la potest di proporre tale richiesta, con l'effetto di rendere costituzionalmente dovuta la convocazione del corpo elettorale, quando ricorrano i requisiti previsti dagli artt. 27 e seguenti della legge n. 352 del 1970. Nel procedimento referendario i promotori e. i sottoscrittori, l'ufficio centrale presso la Corte di cassazione, il Governo, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale concorrono all'effettuazione della consultazione popolare, e sarebbe incongruo escludere dalla legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione , solo il gruppo dei sottoscrittori, in quanto estraneo alla organizzazione dello Stato-persona, quando ad esso propriamente compete di attivare la sovranit popolare nell'esercizio di una potest normativa diretta, anche se limitata all'abrogazione. A conferma di quanto ora osservato si pu rilevare che nell'analgo caso del referendum previsto dall'art. 138, secondo comma, Cost., nell'ambito del procedimento formativo delle leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi costi'tuzionali, per cui l'iniziativa refeferendaria pu essere assunta da un quinto dei membri di una Camera, o da 500.000 elettori, o da cinque Consigli regionali, sarebbe assurdo ritenere legittimati a, proporre ricorso per conflitto di attribuzione il gruppo dei parlamentari o dei Consigli regionali proponenti, e non quello di 500.000 elettori. Non pu, del pari, dubitarsi della capacit del comitato dei promotori, in numero non inferiore a dieci (cfr. artt. 7 e 40 della legge n. 352 del 1970), a rappresentare gli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari della richiesta di referendum~ e della facolt conferita dalla legge ad almeno tre dei promotori ad agire in nome e per conto del comitato promotore. Ed invero la legge stbilisce che almeno tre dei promotori possano provvedere al deposito dei fogli con le firme dei sottoscrittori e dei relativi certificati elettorali (articolo 28); alla sanatoria di eventuali irregolarit della richiesta e alla presentazione lii memorie intese a contestarne l'esistenza (art. 32, terzo comma); alla ricezione da parte dell'Ufficio centrale e di 'questa Corte, delle notificazioni 1 PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 533 e cmtinicazioni dei provvedimenti relativi alla legittimit ed ammissibilit delle richieste di referendum (art. 32, terzo e quinto comma, art. 33, secondo e quinto comma). Nel presente caso, 11 ricorso stato proposto da tre componenti del comitato promotore, i quali, come si desume dail'ordip.anza 6 dicembre 1977, sono tra i presentatori della richiesta. -(Omissis). La gi ricordata decisione di questa Corte, che ha dichiarato la parziale illegittimit costituzionale dell'art. 39 della egge n. 352 del 1970, nei sensi e nei termini sopra riferiti, impone di riconoscere che l'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione ora chiamato a valutare se la nuova normativa contenuta nell'art. 2 della legge n. 533 del 1977 abbia introdotto modificazioni tali da precludere la cmsultazione popolare sulla preesistente discipina offerta dall'art. 5 della legge n. 152 del 1975, o se invece il referendum debba_effettuarsi sulla nuova disciplina legislativa. Di conseguenza, il ribrso per conflittd di attribuzione deve essere accolto, annullando in parte qua l'ordinanza 6 dicembre 1977 dell'Ufficio centrale. p.q.m. dichiara che l'art. 39 della egge 25 maggio 1970, n. 352, non attribuisce all'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione il potere di . disporre la cessazione delle operazioni del ref erendum relative alla disposizione dell'art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, abrogata e sostituita dalla disposizione dell'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533, senza avere previamente valutato se il referendum non debba effet~uarsi sulla nuova disciplina legislativa; e in conseguenza annulla l'ordinanza dell'Ufficio stesso in data 6 dicembre 1977, nella parte in cui modifica il quesito referendario relativo alla-legge n. 152 del 1975 eccettuandone l'art. 5. CORTE COSTITUZIONALE, 5 giugno 1978, n. 72 -Pres. Oggioni -Rei. Paladin -Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Cevaro) e Regione Sardegna (n.p.). Prezzi Controllo dei prezzi Competenze di indirizzo e coordinamento Spettano allo Stato. Entro il vigente ordinamento dei prezzi controllati non vt e posto per organismi regionali intermedi fra il Comitato interministeriale dei prezzi ed i corrispondenti Comitati provinciali; peraltro, anche la Re 534 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gione Sardegna, come le regioni a statuto ordinario, potr essere. chiamata a cooperare al coordinamento ed alla diciplina dei prezzi, sottostando alle direttive dell'apposito Comitato interministeriale. (Omissis). -Nel merito, le competenze di indirizzo e di co"ordinamento in materia di prezzi, con particolare riguardo all'azione dei relativi Comitati provinciali, non spettano alla Regione Sardegna. Valgono in tal senso, infatti, le medesime ragioni addotte dalla Corte, nella sentenza n. 246 del 1976, per motivare la dichiarazione d'illegittimit costituzionale del decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana 15 ottobre 1947, n. 86 (-ratificato dalla legge regionale 6 dicembre 1948, n. 47), sulla istituzione del 'Comitato regionale dei prezzi. Anche nel caso in esame si deve cio ribadire che entro il vigente ordinamento dei prezzi controllati non vi posto per organismi regionali intermedi fra H Comitato interministeriale dei prezzi ed i corrispondenti Comitati provinciali; tanto pi che gli scopi cos perseguiti hanno un preminente carattere nazionale , con 'riflessi che eccedono il territorio della Repubblica, specialmente in considerazione dell'appartenenza dell'Italia alla Comunit economica europea. S'intende che la spettanza allo Stato delle attribuzioni in tema di prezzi controllati non esclude che le Regioni collaborino con lo Stato stesso, nelle forme previste da specifiche norme statali. Precisamente in tal senso l'art. 52, primo comma, lett. c) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha delegato alle Regioni ordinarie l'esercizio delle funzioni amministrative pertinenti all'attivit dei comitati provinciali per i prezzi sulla base delle norme di riforma del sistema dei prezzi controllati e comunque dal 1 gennaio 1979 . E previsioni del genere potranno a pi forte ragione venire applicate nei confronti di Regioni differenziate come la Sardegna: sia perch questa dotata di competenze che riguardano lo sviluppo economico dell'Isola nella generalit dd suoi aspetti; sia anche perch un rappresentante dell'Alto Commissario per la Sardegna stato inserito nella Commissione centrale dei prezzi, per effetto dell'art. 5, primo comma, del decreto legislativo 15 settembre 1947, n. 896, prima ancora che fosse costituita l'Amministrazione regionale sarda. Ma altro ritenere che la Regione possa essere chiamata a cooperare al coordinamento ed alla disciplina dei prezzi sottostando alle direttive dell'apposito Comitato i~terministeriale; alfro che la Regione pretenda, prevedendo la preannunciata emanazione delle norme statali di riforma del sistema dei prezzi controllati e prescindendo da ogni altra norma attributiva di tali funzioni (nonch da una qualsiasi disciplina, sia pure regionale, dell'esercizio di_ esse), di indirizzare e di utilizzare ai propri fini l'azione di organL e di funzionari quali i Prefetti, tuttora inseriti -ad ogni effetto -nell'apparato amministrativo dello Stato. (Omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, 3 ottobre 1978, nella causa 27/78 -Pres. Kutscher -Avv. gen. Warner -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione nella causa Amministrazione delle finanze c. ditta Rasham -Interv.: Commissione delle Comunit europee (ag. Prozzillo) e Governo italiano (ag. Maresca e avv. Stato Marzano). Comunit europee Periodo transitorio -Decisione di acceleramento 26 luglio 1966, n. 532 -Effetti sulla durata del periodo transitorio -Anticipazione della scadenza -Esclusione. (Trattato CEE, art. 8; decisione del Consiglio 26 luglio 1966, 'Il, 532). Comunit europee -Politica commerciale -Periodo transitorio -Misure di salvaguardia -Obbligo di notifica -Inderogabilit -Condizione di efficacia della misura di salvaguardia Esclusione. (Trattato CEE, art. 115, secondo coIlrna). La decisione del Consiglio CEE 26 luglio 1966, n. 532, relativa alla soppressione dei dazi doganali ed al divieto delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri nonch all'applicazione dei dazi della tariffa doganale comune per i prodotti non compresi nell'allegato II del trattato CEE, non ha anticipato la scadenza del periodo transitorio indicata all'art. 8 del trattato stesso (1). L'obbligo di notifica contemplato dall'art. 115, secondo comma, del trattato CEE inderogabile, ma l'entrata in vigore dei provvedimenti di salvaguardia adottati non subordinata al suo previo adempimento (2). (Omissis). -1. -Con ordinanza 2 dicembre 1977, pervenuta in cancelleria il 3 marzo 1978, la Corte Suprema ,di Cassazione ha sottoposto alla Corte di giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, tre questioni (1-2) A commento delle questioni esaminate nella sentenza in rassegna, con la quale la Corte di giustizia ha condiviso le soluzioni proposte dal Governo italiano, si trascrive la memoria presentata, relativamente alle tre questioni proposte dalla Corte di cassazione nell'interesse del Governo italiano. Periodo transitorio e misure di salvaguardia statali 1. -Nelle 1cause di merito si discute dell'applicabilit, dopo il 30 giugno 1968, di provvedimento del 17 giugno 1968 con il quale le autorit italiane avevano escluso dal trattamento comunitario, in applicazione dell'art. 115, secondo com RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO. STATO 536 'pregiudiziali . concementi l'interpretazione dell'art. 115 del Trattato e della decisione del Consiglio n. 66/532 del 26 luglio 1966, relativa alla soppressione dei dazi doganali ed al divieto delle restrizioni qu~ntitative tra gli Stati membri nonch all'applicazione della tariffa doganale comune per i prodotti non compresi nell'allegato II del Trattato (G. U. 2971-66). 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'.am,bito d'una controversia sorta fra l'Amministrazione delle finanze dello Stato italiano .ed una impresa che, il 9 luglio 1968, aveva importato in Italia 5.000 magnetofoni di provenienza belga e d'origine giapponese; ma, del trattato CEE, i magnetofoni di provenienza comunitaria che fossero risultati di origine giapponese. I giudici del .primo e del secondo grado del giudizio, in accoglimento della tesi sostenuta dalla parte privata, hanno affermato che per effetto della decisione del consiglio 26 luglio 1966, n. 532 (GUCE 21 settembre 1966, n. 1165, pag. 2971) il periodo transitorio previste dal trattato CEE sarebbe terminato il 30 giugno 1968, e che dopo tale data gli Stati membri non avrebbero potuto quindi adottare le misure consentite, durante il periodo transitorio, dall'art. 115, secondo com ma, del trattato CEE. La Corte di c~ssazione, adita su ricorso dell'amministrazione delle finanze, ha investito della questione fa Cort di g-iustizia delle Comunit europee, trat tandosi di valutare la portata dell'art. 115, secondo comma, del trattato CEE e della decisione di acceleramento 26 luglio 1966, n. 532, ed essendo quindi il rinvio pregiudiziale imposto dall'art. 177, terzo comma, del trattato CEE. 2. -I precedenti di fatto della Cl;tUSa di merito ed i termini della questione discussa tra le parti del giudizio sono gi riassunti nel provvedimento di rinvio; e va soltanto precisato, in proposito, che un'eventuale idoneit della' decisione di acceleramento ad attribuire ai singoli diritti suscettibili di tutela in sede giurisdizionale (indipendentemente, cio, dai regolamenti omunitari istitutivi delta tariffa doganale comune e relativi all'attuazione del mercato comune) stata ipotizzata dall'Amministrazione interessata, come risulta dal ricorso pro. posto avverso la decisione di appello (pagg. 16-17), e contrariamente a quanto potrebbe desumersi dal provvedimento di rinvio (pag. 6), soltanto in via dialettica e per la irrilevanza della questione nella specie, e sottolineandosi anzi la superfluit di ribadire che la diretta ed imn;iediata efficacia, nei confronti dei singoli, delle decisioni di cui all'art. 189, quarto comma, del trattato CEE (la loro eventuale idoneit, cio, ad attribuire ai singoli diritti suscettibili di tutela in sede giurisdizionale) non pu essere affermata in via di principio, ma deve essere verificata caso per caso (Corte di giustizia, 16 giugno 1970,. nella causa 69/69, Alcan, Racc., 1970, 385 e Foro it., 1970, IV, 161; 6 ottobre 1970, nell.a causa 9/70, Grad, Racc., 1970, 825, e Foro it., 1971, IV, 1; 21 ottobre 1970 nella causa 23/70, Haselhorst, Racc., 1970, 881, e Dir. scambi intern., 1970, 492) . 3. -Con il primo quesito del provvedimento di rinvio il giudice nazionale ha chiesto di conoscere se la decisione del Consiglio 26 1uglio 1966, n. 532 abbia determinato l'anticipazione del termine finale del periodo transitorio, in relazione all'art. 8 del Trattato CEE . Gi il solo esame della decisione di acceleramento, adottata ai sensi dell'art. 235 del Trattato CEE, e senza alcun riferimento all'art. 8 del Trattato, consente di escludere, peraltro, che il quesito proposto dal giudice nazionale possa essere risolto in senso positivo. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 537 3. -la dogana ingiungeva alla ditta importatrice di pagare la somma di L. 6l.215, oltre alle spese, per dazi e tasse connesse non riscossi al momento dello sdogana:mento, precisando che, con circolare n. 292 del 17 giugno 1968, il Ministero delle finanze aveva escluso i prodotti del tipo in esame dalla libera pratica, in applicazione della clausola di salvaguardia di cui all'art. 115, secondo comma, del Trattato; 4. -la ditta importatrice, ritenendo che il periodo transitorio d.rante il quale l'art. 115 del Trattato autorizza provvedimenti di salvaguardia fosse terminato a decorrere dal 1 luglio 1968 in forza della decisione La decisione di acceleramento invero, come risulta evidente dalla sua stessa motivazione, si riferisce soltanto alla realizzazione dell'unione doganale ed alla integrale e simultanea appli'cazione della tariffa doganale comune (art. 9 e se. guenti del trattato CEE), ma non ha avuto alcuna incidenza sulla durata del periodo transitorio quale risulta stabilita dall'art. 8 del Trattato. L'anticipazione disposta con la decisione del 26 luglio 1966 rimasta quindi limitata ai determinati obbiettivi per i quali un'anticipazione, rispetto al termine finale del periodo transitorio, stata ritenuta possibile, senza' compromettere la possibilit degli Stati membri di esercitare fino alla effettiva 'Scadenza del periodo transitorio i poteri in loro favore preVisti da altre disposizioni del Trat tato e per finalit diverse da quelle relative all'unione doganale ed all'applica zione di una tariffa doganale comune. L'art. HS, secondo comma, del Trattato, in particolare, attiene al diyerso tema della politica commerciale comune, e quindi ad obiettivo che non era stato invece realizzato, in effetti, nemmeno alla data del 311 dicembre 1969 (ed il cui reale conseguimento, oltretutto, ed a differenza di quanto potrebbe dirsi per altri obiettivi comunitari, non poteva ovviamente farsi derivare dalla sola scadenza del termine stabilito per il periodo transitorio); e non vi quindi alcuna ragione di dubitare della operativit, anche nel periodo dal 1 luglio 1968 al 31 dicem bre 1969, dell'art. 115, secondo comma, del Trattato CEE. 4. -La validit deHa indicata soluzione confermata, del resto, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nella quale risulta come pacifico ed indiscusso presupposto che il periodo transitorio scaduto il 31 dicembre 1969 (e non il 30 giugno 1968). Utili '.rgomenti in tal senso agevole desumere, infatti, gi dalla sentenza 18 febbraio 11970, resa nella causa 38/69, Commissione CEE c. Repubblica Italiana (Rcc., 1970, 47), e nella quale risulta precisato, oltretutto, che la decisione del 26 luglio 1966 subordina o prepara l'entrata in v1gore di disposizioni immediatamente applicabili negli Stati membri : affermazione di principio nella quale appare gi implicito, quantomeno, un giudizio sulla inidoneit della decisione ad attribuil;e direttamente diritti ai singoli. Da tale decisione risulta invero che l'anticipata realizzazione dell'unione 1 doganale e l'anticipata applicazione della tariffa doganale comune non aveva comunque impedito di far ricorso, fino alla scadenza del periodo transitorio, all'art. 226 del Trattato; e risultano significative, ai fini in esame, le osserva: Zioni svolte in argomento dall'avv. gen. Gand, sia quando rileva che la decisione di acceleramento era stata adottata per essersi ritenuto che lo sviluppo economico in seno alla Comunit consente di giungere prima del previsto alla totale abolizione dei dazi doganali all'importazione fra Stati membri ed alla integrale applicazione della tariffa doganale comune (e ci non sarebbe stato 538 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO emanata dal Consiglio il 26 luglio 1966, chiedeva in seguito il rimborso della predetta' somma; 5. -con la prima questione si domanda se la decisione del Consiglio del 26 luglio 1966 debba essere interpretata nel senso ch'essa ha anticipato in scadenza del periodo transitorio indicata all'art. 8 del Trattato; 6. -qualora la prima questione sia risolta affermativamente, si domanda, in secondo luogo, se la scadenza anticipata del periodo transitorio implichi una corrispondente abbreviazione del termine contemplato dall'art. 115, secondo comma, del Trattato; possibile affermare per la politica commerciale comune), sia quando sottolinea l'accordo delle parti in causa sulla possibilit di applicare l'art. 226 del trattato CEE anche dopo la scadenza del termin stabilito nella decisione del 26 luglio 1966 (pag. 63), sia quando specifica che tale applicazione era rimasta consentita fino al 31 dicembre 1969 (pag. 64). sintomatico, inoltre, ai fini in esame, che la persistente applicabilit, fino al 31 dicembre 1%9, dell'art. 226 del trattato CEE stata affermata anche nell'ambito delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli, e nonostante la previsione di specifiche misure di salvaguardia contemplate nei vari regolamenti Iistitutivi di tali organizzazioni comuni (Corte di giustizia, 11 febbraio 1971, nella t:! causa 37/70, Rewe-Zentral des Lebensmittel, Racc., 1971, 23); e nella trattazione t della causa in cui intervenuta tale affermazione di principio, anzi, risulta espressamente sottolineato, sia dalla Commissione CEE sia dall'avv. gen. Du I theiUet de Lamothe, che giuridicamente, il periodo transitorio soltanto quello stabilito dall'art. 8 (pagg. 28 e 41) e che Ǐ quindi ovvio che un'eventuale I abbreviazione di questo periodo poteva essere decretata soltanto con un'espli~: cita disposil.ione del trattato (pagg. 40-41). Alla data del 3:1 dicembre 1969, come data di scadenza del periodo transitorio, risulta fatto specifico riferimento, del resto, anche in altre ocasioni, e pro I prio in tema di misure disposte a norma dell'art. 115 del trattato CEE (Corte di giustizia, 15 dicembre 1976, nella causa 41/76, Donckerwolcke, Racc., 1976, 1921), dandosi oltretutto espressamente atto delle lacune esistenti in materia di politica commerciale comune alla scadenza del periodo transitorio (pag. 1937; I v. pure conclusioni dell'avv. gen. Capotorti, n. 6). ~ A parte la sottolineata distinzione, in tema di restrizioni quantitative, tra scambi con i Paesi terzi e relazioni intracomunitarie (Corte di giustizia, 15 dicembre 1971, nelle cause riunite 51-54/71, International Fruit, Racc., 1971, 1107), ulteriori determinanti elementi possibile desumere, infine, dalle numerose sentenze nelle quali si discusso, con riferimento alla data del lo gennaio 1970, degli obblighi imposti agli Stati membri dalla scadenza del periodo transitorio (v. ad esempio, per utili riferimenti: Corte di giusth.ia, 17 dicembre 1970, nella causa 33/70, Sace, Racc., 1970, 1213; 19 giugno 1973, nella causa 77/72, Capolongo, Racc., 197,3, 611; 13 dicembre 1973 nelle cause 37-38/73, Social Fonds voor de iDiamantarbeiders, Rac., 1973, 1609; 18 giugno 1975, nella causa 94/74, IGAV; ;5 febbraio 1976, nella cattsa 87/76, Bresciani; v. pure le numerose sentenze sulle rvarie norme del trattato CEE alle quali stata riconosciuta una diretta ed immediata efficacia con la scadenza del periodo transitorio). La :portata e ,1e finalit della decisione 26 Luglio 1966, n. 532 ed i principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia escludono, in definitiva, che la decisione di acceleramento abbia determinato l'anticipazione al 30 giugno 1968 del termine finale del periodo transitorio previsto dall'art. 8 del trat- ,r.11mv11111111t1zI PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 539 7. la decisione del Consiglio del 26 luglio 1966, emanata in forza degli artt. 14 e 235 del Trattato,' intende accelerare il ritmo d'attuazione degli obiettivi del Trattato, specialmente per quanto concerne l'unione doganale e l'abolizione delle retrizioni quantitative ; 8. -a tale scopo essa dispone, all'art. 1: Gli Stati membri aboliscono i dazi doganali ancora esistenti tra loro per i prodotti non compresi nell'allegato II del Trattato, applicando, a decorrere dal 1 luglio 1967, i dazi su ciascun prodotto nella misura del 15% dei dazi di base e sopprimendo totalmente i dazi stessi a decorrere dal 1 luglio 1968 tato CEE, ed impongono quindi di dare soluzione negativa al primo quesito proposto nel provvedimento di rinvio 5. -Tale conclusione rende privo di oggetto, evidentemente, il econdo quesito, proposto dal giudice .nazionale condizionatamente alla soluzione positiva della prima questione. 6. -Con il terzo quesito il giudice nazionale ha chiesto di conoscere, infine, se la notificazione agli altri Stati membri ed alla Commissione prescritta dall'art. 115, secondo comma, del trattato CEE costituisca condizione di validit o di efficacia del provvedimento impositivo delle misure adottate in applicazione dell'art. 115, secondo comma, del Trattato. Tale questione stata proposta per aver la parte privata della causa di merito contestato, in sede di ricorso incidentale condizionato, la validit e la efficacia della misura di salvaguardia in discussione, che a suo avviso non sarebbe stata notificata agli altri Stati membri ed alla Commissione CEE. Anche tale questione, peraltro, in effetti priva di oggetto, in quanto la misura di salvaguardia in discussione, adottata proprio a seguito di intese intercorse con i competenti Servizi della Commissione CEE, stata invece (e la difesa della Commissione non mancher certo di darne atto nelle sue osservazioni) ritualmente notificata. N sembra che la rilevanza di principio della questione possa farne ritenere ugualmente utile la trattazione in questa sede, considerando che il periodo transitorio oramai scaduto da oltre otto anni, e che la opportunit di una pronuncia in argomento da .parte della Corte di giustizia non pu essere quindi ravvisata nemmeno in relazione alla eventualit che la questione possa venire in rilievo in altre occasioni e con riferimento ad altre misure di salvaguardia: ipotesi che non potrebbe nemmeno verificarsi, oltrettutto, per quanto concerne le misure adottate ai sensi dell'art. 1115; secondo comma, del trattato CEE dalle autorit italiane, che hanno invero sempre provveduto alla notificazione prescritta dalla norma. 7. -Soitanto per completezza di esame, quindi, va rilevato che la notificazione nella misura di salvaguardi~ agli altri Stati membri ed alla Commissione CEE non costituisce e non poteva costituire, specialmente in difetto di norme che tale qualificazione giustificas,sero, requisito di validit o di effi. cacia del provvedimento nazionale adottato, risohrendosi invero in un semplice mezzo di informazione degli altri Stati membri ed in una formalit che consentisse alla Commissione CEE l'esercizio dei poteri !ii controllo ad essa riservati; ed evidente che una differente soluzione , sarebbe ipotizzabile soltanto se il preventivo controllo della Commissione avesse condizionato l'opera RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO-. 540 ed all'art. 2: A decorrere dal 1 luglio 1968, gli Stati membri applicano la tariffa doganale comune all'importazione dai paesi terzi dei prodotti non com- presi nell'allegato II del Trattato; 9. -la decisione si fonda quindi sul concetto di un'accelerazione selettiva di alcune, ben determinate, iniziative che dovevano nel loro complesso essere portate a termine entro il periodo transitorio e quindi non si applica se non ai provvedimenti da essa espressamente richiamati; 10. -la prima questione va dunque risolta nel senso che la decisione del Consiglio del 26 luglio 1966 non ha anticipato la scadenza del periodo transitorio risultante dall'art. 8 de! Trattato; 11. -la seconda questione diventa cos priva d'oggetto. 12. -Con la terza questione si domanda se debba essere accolta l'interpretazione secondo cui l'art. 115, secondo comma, del Trattato, nel / tivit del provvedimento nazionale o se la notificazione fosse stata necessario e condizionante presupposto del potere di controllo e di decisione riservato alla Commissione CEE (che avrebbe potuto invece disporre la modifica o la soppressione della misura di salvaguardia, ovviamente, anche in difetto della ' prescritta notificazione). Nel sistema della norma deve quindi ritenersi, e secondo valutazione convalidata anche dal criterio disposto dalla Commissione CEE, con la decisione 12 maggio 1971, n..202 (GUCE 3 giugno 1971, n. L 121), per l'applicazione del primo comma deHa norma, che una eventuale omessa notificazione della misura adottata avrebbe assunto rilevanza soltanto nei rapporti tra gli Stati membri e la Commissione CEE (e avrebbe giustificato, ad esempio, anche un ricorso ai sensi dell'art. '169 del trattato CEE), senza essere invece oPPonibile da singoli (ai quali non si sarebbe potuto certo riconoscere il diritto di farsi documentare di volta in volta l'avvenuta notificazione). . Nelle conclusioni presentate per la causa 62/70, Bock (Racc., 1971, 916) risulta gi espressamente rilevato, -del resto, che le norme di procedura istituite dall'art. 115 del trattato disciplinano i rapporti tra la Commissione e gli Stati membri , che la norma non ha effetto diretto e non conferisce ai singoli diritti soggettivi , e che i singoli quindi non possono invocare tale norma in giudizio ;. ed anche tale autorevole valutazione concorre a confermare, invero, che la validit e la efficacia del provvedimento nazionale non dipendevano dalla sua notificazione, e che una. eventuale mancanza di tale notificazione non avrebbe quindi autori:1.zato i singoli ad impedire .l'applicazione della misura di salvaguardia. 8. -Sulla base delle sopra riassunte considerazioni, si propone quindi di affermare in diritto che la decisione del Consiglio CEE 26 luglio 1966, n. 532 non ha determinato l'anticipazione del termine finale del periodo transitorio previsto dall'art. 8 del trattato CEE, e inoltre, e per il caso in cui si ritenga di dover risolvere anche la questione proposta nel terzo quesito del giudice nazionale, che la notificazione prescritta dall'art. 115, secondo comma, del trattato CEE non costituiva condizione di validit o di efficacia delle misure di salvaguardia adottate dalle autorit nazionali durante il periodo transtorio. ARTURO l\1ARZANO PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE disporre che gli Stati membri notifichino alla Commissione ed agli altri Stati membri le misure unilaterali di ~alvaguardia da essi adottate, impone il rispetto di tale obbligo come condizione di validit o di efficacia dell'atto che istituisce le suddette misure. 13, La disposizi01w di cui trattasi implica che l'adozione unilaterale di provvedimenti di salvaguardia e la notifica alla Commissione ed agli altri Stati membri siano contemporanee oppure immediatamente successive l'una ali'altra; 14. -il testo della norma non permette tuttavia di desumere che la entrata in vigore dei provvedimenti emanati dipenda dalla loro precedente notifica; 15. -di conseguenza, bench l'obbligo di notifica contemplato dallo art. 115, secondo comma, sia inderogabile, il suo previo adempimento non pu costituire una condizione 1Jer l'entrata in vigore dei provvedimenti di salvaguardia emanati; 16. -la qestion va perci in questo senso: (Omissis). \ SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 febbraio 1978, n. 863 -Pres. Novelli T. -Est. Vela -P. M. Gambogi (conci. conf.). -Ministero li Grazia e Giustizia (avv. Stato Carafa) c. Carta (avv. Lubrano) e I.N.P.S. (avv.ti Traverso, Risoncurti). Competenza e giurisdizione -Difetto assoluto di giurisdizione -Nozione Vice-pretore onorario -Rapporto di .servizio -Controversie -Compe tenza giurisdizionale dell'A.G.O. (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 32). Si ha difetto assoluto di giurisdizione quando la situazione dedotta in giudizio si riveli, oggettivamente e con estrema evidenza, estranea al campo giuridico per difetto di una norma che la tuteli; in tale nozione non rientra la domanda proposta da un vice-pretore onorario diretta a far valere diritti relativi al rapporto di servizio, perch in tale azione risulta l'introduzione di un complesso di questioni sulle quali deve pronunciarsi il giudice di merito (a.g.o.) (1). (Omissis). -Il Ministero, premesso che si ha difetto assoluto di giurisdizione allorch la situazione dedotta da chi promuove il giudizio si (1) Non risultano precedenti in termini sulla specifica questione. in~ressante nella sentenza soprattutto la ricerca al di l della necessa ria approssimazione delle formule" dei criteri in base ai quali pu ritenersi verificata l'ipotesi del difetto assoluto di giurisdizione per mancanza di rilievo giuridico della posiI.ione dedotta in giudizio. Poich il giudice della giurisdizione non pu, ovviamente, pregiudicare il merito della controversia, l'unica soluzione di tale complesso problema sta nel porre la relativa indagine in un ambito astratto che, sostanzialmente, d pre minente rilievo alla indiscutibilit intesa, appunto, come incontrovertibilit di fatto e norne. peraltro difficile stabilire dove incominci tale indiscutibilit oggettivamente intesa, e dove finisca, invece, la c.d. prospettazione di parte. Sebbene sul piano teorico quest'ultima sia sempre irrilevante, sul trreno pratico essa spesso idonea ad interferire sulla decisione della stessa questione di giurisdizione , PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 543 riveli, al di l della sua prospettazione, estranea al campo giuridico per mancanza di una norma che la tuteli, cosicch non possa neppure astrattamente configurarsi n come diritto soggettivo, n come interesse, deduce che alla stregua dell'ordinamento giuridico non astrattamente ipotizzabile nella specie un diritto prvvisto di azione nella direzione e deila consistenza pretesi dall'istante, non potendo questi aspirare ai benefici di un rapporto di impiego -pubblico o privato che sia -sulla base dello svolgimento del suo servizio onorario, strutturalmente tanto diverso dall'impiego, da essere con esso incompatibile. Replica l'attore che invece il problema sollevato dall'Amministrazione non riguarda la giurisdizione, ma il fondamento, e quindi il merito, della sua azione. Questa, infatti, proprio perch si basa su un rapporto di servizio onorario, che ha indubbiamente una propria disciplina giuridica, non pu essere riferita ad una situazione di mero fatto. Inoltre, quel rapporto ha assunto nella realt i connotati dell'impiego, poich per oltre un. ventennio gli ha imposto di dedicarsi esclusivamente -e quindi professionalmente -all'attivit giudiziaria. Infine, proprio per tale evidente difformit tra apparenza e scadenza, a seguire la tesi del Ministero si incorrerebbe inevitabilmente in problemi di legittimit costituzionale, posto che il prolungato affidamento della reggenza di preture a funzionari onorari ai quali impedito di dedicarsi alla professione forense (art. 32, secondo comma, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) crea una posizione lavorativa cui vengono negati, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, tutti i diritti e le facolt che alla stessa sono normalmente inerenti e che, anzi, costituiscono la logica e necessitata applicazione dei principi costituzionali sulla tutela del lavoro . La Corte ritiene che delle domande -da considerare, in questa sede, con riferimento alla situazione esistenti all'epoca in cui furono proposte, anteriore all'emanazione delle leggi 18 maggio 1970, n. 217 e 4 agosto 1977, n. 516 -debba conoscere il giudice ordinario. , in primo luogo, da escludere che nella specie possa dichiflrarsi il difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit della domanda innanzi a qualunque giudice. Tale caso, come risulta dalla giurisprudenza che ne ha delineato i contorni, ricorre solo se l'irrilevanza giuridica dell'interesse sostanziale addotto dalla parte risulti indiscutibile, incontroversi essendo fatti e norme (sent. 6 ottobre 1975 n. 3165), per cui non occorra risolvere questioni di interpretazione o di applicabilit, alla detta posizione soggettiva, delle norme e dei principi giuridici invocati dall'attore (sentt. 23 maggio 1975 n. 2050; 6 novembre 1975 n. 3719; 9 maggio 1973 n. 1247). Il che, al di l della necessaria approsimazione delle formule, sta a significare che 544 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'inutilit del giudizio in sede di mrito deve emergere con evidenza dalla stessa proposizione della domanda pel fatto che questa: a) abbia ad oggetto ci che o non bene in senso giuridico, oppure sia del tutto estraneo o incompatibile rispetto al contenuto del rapporto in base al quale si agisce; b) alleghi un rapporto di mero fatto (come stato ritenuto, di recente, con le sentenze 14 febbraio 1977 n. 664 e 7 dicembre 1976 n. 4541, relative, rispettivamente, ad un'istanza di risarcimento di danni proposta da un testimone contro il presidente di un collegio giudicante e ad una pretesa di rettifica di un ruolo di anzianit di pubblici funzionari, divenuto definitivo; infine e) ne adduca uno cui non si attagli la particolare tutela che si chiede (per es., difesa della libert sindacale, secondo l'art. 28 I. 20 maggio 1970, n. 300, nell'ambito dell'im piego statale: SS.UU. 27 novembre 1974 n. 3872). Ora, ben vero che l'eccezione sollevata dal Minis.tero si inquadra nell'ipotesi indicata con la lettera e) ed infatti all'impossibilit del cumulo fra le posizioni di funzionario onorario. e di impiegato accenna anche la citata sentenza n. 3165 del 1975), onde ne risulta superata la replica del resistente, imperniata sulla giuridicit del rapporto di servizio onorario. Tuttavia, anche vero che le domande del dott. Carta muovono da radicali contestazioni -in fatto e in diritto -proprio della premessa di quell'eccezione, poich si basano sul dplice asserto che il rapporto, data la sua ventennale ed ininterrotta durata, non ha conservato l'originario carattere onorario ed inoltre non pu venir disciplinato dal vigente ordinamento giudiziario, il qual!'! non sarebbe adeguato n alle reali esigenze della fattispecie concreta, n e sovrattutto, ai principi costituzionali. Ne risulta l'introduzione, nella lite, di un complesso di questioni delle quali, in questa se.de dato solo prendere atto per concludere che, qualunque ne sia il grado di fondatezza, su di esse deve pronunciarsi il guidice del merito (come del resto queste Sezioni Unite hanno ritenuto anche in altri casi in cui si ponevano problemi di discriminazione fra servizio onorario ed impiego: sentt. 8 gennaio 1975 n. 27; 18 dicembre 1975 n. 4159; h. 3165 del 1975, cit.) al quale spetter anche di valutare se ed in qual misura abbiano rilevanza le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 70 e 71 del" 1971. Tale giudice, poi da individuare in quello ordinario. Infatti indubbio che il dott. Carta agisce a tutela non gi di interessi legittimi, ma di diritti (di credito), maturati, a suo dire, nel corso di un rapport che, allo stato, si presenta formalmente come servizio onorario. E sui rapporti di tal genere mentre non sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul pubblico impiego, quella generale di legittimit del predetto giudice e quella del giudice ordinario vanno ripartite in funzione della natura dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio (cit. sent. n. 4159 del 1975). -(Omissis). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 545 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 maggio 1978, n. 2492 -Pres. Trimarchi -Est. Corasaniti -P. M. Berri (concl. conf.) -Commissione di controllo sugli atti della Regione Puglia (avv. Stato Palatiello) c. Regione Puglia (n. c.). Competenza e giurisdizione -Atto di annullamento da parte della Commissione di controllo di delibera regionale Impugnativa Clinanzi al Giudice amministrativo: ammissibilit Conflitto di attribuzione: in terferenze con il ricorso giurisdizionale. (Cost., art. 125; I. 10 febbraio 1953, n. 62, art. 45; r.d. 26 giugno 1924, n. 10.54, art. 26). Il conflitto di attribuzione fra Stp.to e Regione. ed il sindacato giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo sono rimedi infungibili aventi struttura e finalit diverse: il primo, infatti, tende soprattutto al riasse, tto complessivo dei rispettivi ambiti di competenza mentre, viceversa, il secondo mira essenz.ialmente all'annullamento del provvedimento intrinsecamente illegittimo in quanto difforme da regole dell'azione amministrativa poste anche a tutela del soggetto passivo del pubblico potere (1). (Omissis). -Le ricorrenti Commissioni di controllo e Presidenza del Consiglio dei Ministri sostengono che le controversie sollevate dalla Regione in ordine a un atto di essa Commission, soprattutto quando la Regione lamenti che l'atto realizza un'indebita ingerenza nella sfera di attribuzioni che sono costituzionalmente garantite alle Regione medesima, costituiscono materia di conflitto di attribuzione devolut alla Corte costituzionale, e perci di stesso sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e di qualsiasi giudice. Viene ancora prospettata in tal modo la questione se l'astratta pro ponibilit del conflitto di attribuzione rispetto a un atto che, obbiettiva mente considerato, appaia o possa apparire almeno per uno degli aspetti denunziati come invasivo /della competenza assegnata da norme della (1) Vanno tenute presenti in questa materia due decisioni fondamentali. La prima (Cass., SS.UU., 23 novembre 1974, n. 3806, in Giust. civ., 1975, I, 784, note di MASCIA e GIAMPAOLINO) risolve il problema dei controlli sugli atti del'le Regioni a statuto speciale spettante alla Corte dei conti. La seconda ~Cass., :SS.UU., 28 maggio 1977, n. 2184, in Giust. civ., 1977, I, 1529, nota di MORELLI) riguarda, invece, glf atti di controllo spettanti alle apposite Commissioni previste dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulle Regioni a statuto ordinario. ' Nella prima ipotesi si ammette il solo rimedio del conflitto di attribuzione essendo la Corte dei Conti estranea all'apparato amministrativo; nella seconda ipotesi si ammette l'impugnativa dell'atto di controllo dinanzi al giudice am ministrativo analogamente a quanto accade per gli atti della Regione sugli enti minori a carattere territoriale. Con l'attuale decisione le Sezioni unite pongono l'importante concetto di non fungibilit del conflitto di attribuzione rispetto al ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice ammJ1nistrativo espel'ito per la tutela di interessi legdttimi 546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Costituzione (o attuative di esse) alla Regione, sia di ostacolo all'esperimento della tutela giurisdizionale contro l'atto stesso davanti al giudice amministrativo da parte di qualsiasi interessato, o almeno da parte della Regione, la quale dispone del rimedio costituzion'ale in argomento. La questione stata risolta da queste Sezioni Unite, con le sentenze nn. 2966 e 3379 del 1973, nel senso di negare l'ostacolo paventato per quanto concerne il sindacato giurisdizionale promosso da interessati diversi dall'Ente abilitato a sollevare il conflitto, ed analogamente stata risolta da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 2184 del 1977 ed altre conformi per quanto ~oncerne il sindacato giurisdizionale promosso dalla Regione. La prima ipotesi -sindacato giurisdizionale promosso da soggetto non abilitato a sollevare il conflitto -non viene qui in discussione e d'altro canto non sembra che possano nascere dubbi sull'esattezza della soluzione adottata: quella opposta sarebbe in contrasto stridente con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, considerato che la sperimentazione del conflitto rientra neJl'assoluta discrezionalit degli Enti abilitati a sollevarlo, alla cui garanzia costituzionale il rimedio preordinato, mentre il rimedio stesso non diretto a vantaggio di soggetti diversi, i quali non sono legittimati neppure a partetipare al relativo giudizio (cfr. sentenze della Corte costituzionale nn. 18/57, 21/66, 110/70). Ma anche in relazione alla seconda ipotesi, la quale qui viene speci ficamente in esame -.sindacato giurisdizionale promosso dalla Region la soluzione prescelta da queste Sezioni Unite con le sentenze dianzi indi cate, e cio quella di ritenere che il sindacato non sia precluso dalla pro ponibilit del conflitto, va ribadita. ed enunciano il principio che il primo rimedio tende a ristabilire l'ambito delle rispettive attribuzioni mentre il secondo mira all'annullamento clell'atto lesivo. Peraltro dall'esattezza della premessa astratta non affatto ag.evole delimi tare in concreto i criteri diretti a stabilire quando si versi nell'una o nell'altra ipotesi. : comunque chiaro che la not distinzione tra negazione del potere e scorretto esercizio dell'azione amministrativa se appare ele:rnento-base di discriminazione fra competenze giurisdizionali in tema di diritti soggettivi ed interessi legittimi, non sembra essere applicabile con la stessa intensit e moda lit all'ambito del conflitto di attribuzione (cfr. la giurisprudenza della Corte Costituzionale che comprende ipotesi pi ampie rispetto a quella del Consi glio di Stato e, in particolare, Cons. Stato, V, 29 agosto 1975, n. 1101, in Cons. Stato, 1975, I, 1014). Su tale ultimo punto -che appare determinante per la verificazione delle ipotesi concrete -vedi, in dottrina, VANDELLI, I difficili rapporti tra conflitto di attribuzione e giurisdizione amministrativa (A proposito di atti di controllo sull'amministrazione regionale), in Giur. cast., 1977, I, 1793; e, pi di recente, M. R. MORELLI, Sindacato giurisdizionale e tutela costituzional.e della Regione avverso provvedimenti di controllo negativo di proprie delibere, in Giust. civ., 1978, I, 1816. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 547 noto che conflitto di attribuzione fra Stato e Regione e sindacato giurisdizionale davanti al giudice amministrativo hanno struttura e finalit essenzialmente diverse sicch deve escludersi ogni fungibilit tra i due rimedi. Il primo, pur muovendo necessariamente da un atto di uno degli enti invasivo della sfera: di competenza costituzionalmente garantita all'altro (la Corte Costituzionale nega di poter procedere ad una fissazione preventiva ed astratta lella competenza), tende soprattutto all'assetto (o al riassetto) complessivo dei rispettivi ambiti di competenza: assorbe cio, pur mediante l'eliminazione dei fatti di turbativa (atti invasivi), una funzione costante di regolamento delle condizioni di coesistenza e di libero svolgimento di due potest pariordinate. Il sindacato giurisdizionale, invece, ha di mira soltanto la repressione puntuale dell'atto i1legittimo in ragione della sua intrinseca illegittimit, considerata questa ,come difformit deU'atto da norme dall'azione amministrativa poste anche a tutela del soggetto passivo del pubblico potere. La verit che la diversa rilevanza dell'atto invasivo riflette la diversa natura dei due rimedi in relazione alla molteplice efficacia delle norme sui poteri pubblici. Il c.d. regolamento di competenza davanti alla Corte Costituzionale presuppone un vero e proprio conflitto, cio un contrasto fra le due autorit in posizione paritetica per la delimitazione reciproca della rispettiva area (costituzionalmente garantita) di potere pubblico erga omnes, e questo conflitto mira a comporre: in tal caso sono la rilevata compressione e la disposta reintegrazione dell'area di potere dell'autorit che solleva il conflitto, non l'atto invasivo in s, ad essere oggetto di pronuncia. Il sindacato giurisdizionale, invece, promosso per la tutela della posizione subordinata di interesse legittimo propria di chi soggetto passivo dell'altrui potere, posizione alla cui protezione sul piano sostanziale (oltre che alla migliore cura dell'interesse pubblico) pure tesa la stessa legittimit dell'azione amministrativa, ivi compresa l'osservanza delle regole 'sulla competenza: sicch l'illegittimit dell'atto viene in tal caso dedotta e repressa in s, come mancata realizzazione dell'interesse dell'amministrato. Ci posto, in relazione all'esercizio da parte dello Stato dei controlli sulla Regione, certo non pu negarsi la sperimentabilit del conflitto anche al di l della specifica ipotesi della ven4icatio potestatis (esercizio del controllo verso altre amministrazioni in luogo della Regione) e persino al di l dell'ipotesi dello sconfinamento in senso stretto (esercizio del controllo ai di fuori dei casi e dei modi previsti), non potendosi escludere a priori che la mera scorrettezza nell'esercizio del controllo statuale costituisca intralcio al pieno e libero svolgimento di una potest (normalmente di amministrazione attiva) della Regione. Ma, per converso, ove si consideri che la Regione, se da un lato provvista di autonomia costituzionalmente garantita e pertanto pu difendere le proprie attribuzioni 548 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mediante il conflitto, dall'altro soggetta al controllo statuale e pertanto portatrice rispetto all'eserc:izio del medesimo di un interesse, non pu negarsi l'esperimento del sindacato giurisdizionale a tutela del detto interesse in quanto interesse legittimo. Negare la configurabilit in capo alla Regione, siccome soggetta a controllo da parte dello Stato, di un interesse legittin:io defendibile davanti al giudice amministrativo -e ci sia pure in relazione alla sperimentabilit da parte della Regione stessa del rimedio del conflitto -sarebbe del resto suscettivo di apparire in contrasto con gli artt. 24 e 113 ed ancora con l'art. 3 della Costituzione. Al riguardo infatti, si dovrebbe tener conto: a) della irragionevolezza di una simile limitazione per la Regione rispetto agli altri interessati, non abilitati a sollevare il onflitto, e pertanto sicuramente provvisti di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, relativamente agli stessi atti di controllo; b) della irragionevolezza di una simile limitazione per la Regione rispetto ad altri Enti soggetti a controllo. L'esclusione della tutela giurisdizionale, inoltre, finirebbe per incidere negativamente, sia pure in via indiretta, sulla stessa discrezionalit politica della Regione in riferimento all'elevazione del conflitto di attribzione -che della detta discrezionalit una delle pi significative espressioni -in quanto, se il conflitto fosse da ritenere l'unico mezzo di difesa contro gli atti statuali di controllo illegittimi, la libera scelta della Regione circa l'opportunit di sollevarlo verrebbe ad essere compromessa. La soluzione qui adottata non condizionata, poi, da quella del pro blem dell'incidenza che l'esito di uno dei due rimedi potrebbe avere sull'esito delJ'altro, non potendo ;il sindacato giurisdizionale ritenersi precluso dall'eventualit di proposizione del conflitto neppure se, in ipo-. tesi, la soluzione di questo dovesse spiegare efficacia di giudicato in sede di sindacato giur.isdizionale. Senza dire, in generale, che non facile am mettere un simile tipo di efficacia neppure fra lo Stato e la Regione (la sentenza di questo SS.UU. n. 3163 del 1975 si riferisce al caso, in cui l'atto invasivo lamentato consiste nell'esercizio di una funzione giurisdizionale poi contestato con regolamento di giurisdizione, e fa salva il caso dei giudizi concernenti gli atti amministrativi viziati da incompetenza) e, in particolare, che l'annullamento dell'atto in una delle due sedi sembra operare nell'altra come qualsiasi analoga causa -ad esempio l'annulla mento d'ufficio -di cessazione de1la materia del contendere, mentre l'esclusione dell'illegittimit dell'atto assume, nelle due sedi, una rile vanza dversa. Va pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. (Omissis). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 549 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1978, n. 3649 Pres. Trimar chi -Rel. Ruperto -P. M. Saja (conf.) -Consiglio Nazionale per l'Ener gia Nucleare (avv. Stato Favara) c. Casale Vittoria (n.c.). Competenza e giurisdizione Impiego pubblico -Controversie di contenuto patrimoniale -Infermit contratta dal dipendente a causa delle incongrue condizioni ambientali di lavoro. Giurisdizione dell'A.G.O. Rientra nella giurisdizione dell'A.G.0. la cognizione della domanda di risarcimento dei danni proposta dall'impiegato per un fatto illecito com- messo dalla p.a. in occasione dello svolgimento del rapporto di pubblico impiego (1). (Omissis): -Sostiene il ricorrente C.N.E.N.che il Pretore difetta di giurisdizione nella specie e che invano la Casale ha cercato di eludere tale ostacolo, da una parte, affermando che il suo rapporto di lavoro -del Comitato fosse privatistico per mancanza di atto di nomina, e dall'altra sostenendo che la sua domanda attiene alla violazione del diritto assoluto all'integrit personale. La tesi del ricorrente non accettabile. Indubbiamente la Casale era legata al C.N.E.N. da un rapporto di pubblico impiego, del quale risultano -evidenti tutti gli elmenti sostanziali, compreso 11atto di nomina. A quest'ultimo riguardo basta rilevare che con la lettera di incarico e col comportamento successivo il Comitato ebbe a manifestare in modo non equivoco la effettiva volont diretta a costituire in concreto il rapporto d'impiego, cio ad utilizzare in modo continuo le prestazioni di lavoro della Casale, inserendo questa nell'organizzazione dell'ente. La sussistenza del rapporto di impiego pubblico, a torto negata dal l'attrice nell'atto introduttivo del giudizio davanti al Pretore, non basta tuttavia ad escludere la giurisdizione dell'autorit giu~iziaria ordinaria a conoscere della domanda proposta con l'atto stesso. Al di l, infatti, dalle espressioni usata dalla Casale, tale domanda risulta _in effetti volta ad ottenere il risarcimento del danno derivato da una malattia contratta du rante il servizio a causa d'un asserito comportamento colposo dell'ente (1) Giurisprudenza costante che distingue i casi simili e quello di specie dalle ipotesi in cui si discuta di pretese che abbiano ad oggetto diritti patrimonia~ i disconosciuti o lesi dalla p.a. nell'ambito di un rapporto di pubblico mpiego considerato quaile momento genetii,i;:o o causrue -divetto ed immediato -dei diritti stessi: per tali ultime pretese, come noto, viene costantemente riconosciuta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, peraltro con esdusiione del~e fattispeciie di indebito arricchimento a carattere sussiidiiario e res.iduale (cfr. Cass., SS.UU., 13 marzo 1976, n. 888, :i-n Giur. it., 1977, I, l, 490) per le quali sussiste la giurisdizione dell'A.G.O. 1B1r11r1111:111111r111r111r11&1111111:111111111111111111111111111r11111ri RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO pubblico. E queste Sezioni Unite hanno costantemente ritenuto che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della domanda di risarcimento di danni proposta dall'impiegato per un fatto illecito commesso dalla P.A. in occasione dello svolgimento del rapporto di pubblico impiego, proprio perch il rapporto stesso costituisce semplice occasione dei danni, scaturenti in modo diretto dalla condotta colposa della P.A., la cui responsabilit va dunque accertata soltanto sulla base del principio del neminem laedere. In altri termini, per conoscere della domanda proposta dalla Casale, il giudice non ha bisogno di sindacare gli atti amministrativi del C.N.E.N., come si sostiene nel ricorso per regolamento della giurisdizione, ma deve solo limitarsi ad accertare se durante lo svolgimento del servizio, l'ente abbia violato il detto principio generale, alla cui osservanza tenuta anche la Pubblica Amministrazione, e se in conseguenza di una tale violazione abbia arrecato i danni lamentati dall'attrice. Donde l'indubbia appartenenza della giurisdizione all'autorit giudiziaria ordinaria per provvedere sulla domanda. A nulla poi importa, ovviamente, che la Casale si sia rivolta al Pretore quale giudice del lavoro, trattandosi di questione che attiene alla sola competenza e che pertanto non viene in considerazione in questa sede. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1978, n. 3664 -Pres. Vinci Orlando -Est. Pieri -P. M. Saja (concl. conf.) -Prefetto di Messina (avv. Stato Zagari) c. Guarnaschelli. Competenza e giurisdizione -Giuoco e scommessa -Divieto penale: necessit di deroga legislativa Negata autorizzazione al privato da parte dell'autorit amministrativa di P.S.: insussistenza di posizione giuridica soggettiva Difetto assoluto di giurisdizione. (Cod.-pen., art. 718; d.P.R. 26 novembre 1972, n. 640, artt. 1, 2, 19). L'autorizzazione all'apertura ed esercizio di case da gioco d'azzardo non pu essere concessa con atto amministrativo perch la deroga al relativo divieto sanzionato con norma penale pu essere apportata solo da un atto legislativo: pertanto il privato interessato non titolare di alcuna posizione giuridica protetta in relazione ad un provvedimento amministrativo che respinga la sua istanza diretta ad ottenere l'autorizzazione al suddetto gioco d'azzardo (1). (1) Decisione indubbiamente esatta in cui contenuta l'intera panoramica della legislazione relativa ai quattro Casin oggi funzionanti in Italia. Particolarmente importante l'esame della portata della sentenza emessa in data 7 dicembre 1963 delle :Sezioni Unite della Cassazione penale. ~= 1= 1, i: ~ E PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 551 (Omissis). -1. -Nel corso della fase amministrativa il Guarnaschelli ha sostenuto -a conforto dell'avanzata richiesta di rilascio di licenza di aver diritto di esercitare legittimamente il gioco d'azzardo, a norma del d.P.R. 6 ottobre 1972, n. 640, che sottopone all'imposta sugli spettacoli anche il gioco d'azzardo praticato nelle case a ci destinate, nonch del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, che alla voce n. 61 dell'annessa tabella contenente le tariffe d'imposta nello specificare l'ammontare della tassa di concessione governativa sulle autorizzazioni all'esercizio del gioco d'azzardo, chiarisce che la tassa in questione si riferisce anche alle autorizzazioni rilasciate con atto amministrativo . Da ci emergerebbe che l'autorizzazione governativa all'esercizio di case da gioco pu esser rilasciata non solo a mezzo di provvedimento legislativo che deroghi all'articolo 718 del cod. pen., ma anche mediante un semplice atto amministrativo. In riferimento a questa impostazione del problema, il Prefetto di Messina, nel ricorso per regolamento di giurisdizione, rileva l'improponibilit della domanda rivolta al giudice amministrativo, per carenza assoluta di una norma di legge che possa costituire il fondamento giuridico di una posizione soggettiva sostanziale sfornita di tutela giurisdizionale. Infatti, l'esercizio del gioco d'az2lardo vietato in assoluto, e la norma che pone il divieto penalmente sanzionata (art. 718 c.p.), nel nostro ordinamento non configurabile neppure in astratto un potere del Questore (oltre al resto, del tutto discrezionale) di autorizzare un singolo od una societ all'esercizio di una attivit costituente addirittura reato; non esiste quindi alcuna possibilit per il privato di reagire contro il diniego della suddetta licenza di P.S. ben vero che, ad onta del disposto del codice penale, in Italia funzionano 4 case da gioco (S. Remo, Sant Vincent, Campione, Venezia), ma ci si verifica sulla base di deroghe stabilite non con semplici per- Con tale statuizione, come noto, (v. Giur. pen., 1964, 226, e Foro it,. 1964, II, 226) era stata affermata la non punibilit, per difetto dell'elemento psicolo gico, dei gestori della casa da gioco di Saint Vincent. Come espressamente enunciato nella presente decisione, tale ultimo Ca sin presenta una posh'.ione giuridica assai simile a quella dibattuta nell'at tuale vertenza in quanto risulta istituito con decreto emesso dal Presidente della Giunta Regionale avente carattere amministrativo e considerato, poi, per varie finalit, da successivi numerosi provvedimenti legislativi. appena il caso di osservare che nel caso di Saint Vincent il giudicato penale formatosi riguardava, solo, il problema di un'autorizzazione illegittima che, in quanto contemplata indirettamente da successive leggi, pu ritenersi inidonea alla configurazione del dolo considerato dall'art. 718 c.p. In tal senso, dunque, tale precedente del tutto estraneo al principio del l'inderogabilit del relativo divieto penale se non ad opera di un provvedimento legislativo anche extrapenale. 552 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO messi di polizia, ma con provvedimenti legislativi ad hoc. Una legge pu infatti esser derogata o modificata solo da un provvedimento avente uguale o superiore efficacia formale. N vale il richiamo alle norme. del d.P.R. nn. 640 e 641 del 1972; le disposizioni invocate dal Guarnaschelli, infatti facenti parte dei decreti delegati emanati per l'attuazione della riforma tributaria, hanno esclusiva finalit fiscali, n con esse il legislatore ha mai avuto di mira la realizzazione di una modificazione della normativa penale in tema di gioco d'azzardo. L'ipotesi particolare prevista dal n. 61 della tariffa allegata al d.P.R. n. 641 del 1972 -prosegue poi il Prefetto -si riferisce chiaramente a case in cui si praticano giochi non vietati; ovvero (nelI'ipotesi di case per gk>co d'azzardo autorizzate per legge) agli atti amministrativi con cui la gestione della bisca, dal Comune, sia affidata in conessione ad un privato. Se poi ,invece si dovesse accogliere l'opinione -rileva ancora il ricorrente -da ci discenderebbe necessariamente l'incostituzionalit delle norme in questione: esse sono infatti contenute in decreti delegati, e la le.gge delega non contiene il minimo accenno ad una modifica della normativa sul gioco d'azzardo, e conferisce al Governo poteri legislativi solo in funzione di' una fiforma di carattere tributarie, evidente sarebbe quindi la violazione dell'art. 76 Cost. Tutt'al pi -conclude il ricorrente -si potrebbe attribuire alle .norme suddette un valore ipotetico e programmatico, per il caso che in futuro il legislatore decidesse di render possibile !'.apertura di case per il gioco d'azzardo sulla base di semplici autorizzazioni amministraive. Ipotesi che per altro verso appare assai poco probabile, essendo contraria ad ogni principio del nostro ordinamento l'attribuzione ad una. autorit amministrativa di un potere discrezionale di autorizzare singoli soggetti a violare impunemente la legge penale. In ogni caso, poi, manca nelle norme invocate ogni indicazione dei criteri oggettivi e soggettivi in relazione ai quali la P.S. potrebbe ipoteticamente addivenire al rilascio dell'autorizzazione derogativa. 2. -A queste osservazioni, si potrebbe obbiettare, osservando il con tenuto del ricorso al giudice amministrativo, che il prefetto ricorrente ha travisato il senso ed il contenuto delle domande rivolte dalle societ al giudice stesso. Infatti, almeno in apparenza la-domanda proposta al giudice amministrativo stata tutt'altra. La societ, infatti, ha fatto presente di esser gi fornita di una autorizzazione amministrativa (rilasciata dall'assessore regionale competente) per l'apertura e la gestione della casa da gioco in Taormina, autorizzazione in forza della qua1e il Casin ha gi funzionato per circa 3 anni. La validit od invalidit di tale licenza, questione di merito, non dedotta nel presente giudizio, e che comunque non interesserebbe in sede di regolamento di giuiisdizione. Ha poi rilevato che, in forza dell'invocata norma tributaria, il questore non ha il compito di rilasciar PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 553 licenze per attivit di questo genere (che infatti non gli sono state richieste, cos come nessuna licenza di P.S. stata mai chiesta ai questori dai gestori delle altre case da gioco esistenti in Italia), bens solo quello di apporre il visto sui bordereaux, agli effetti della sola contabilit tributaria, e. di approntare il servizio di vigilanza e polizia relativo al funzionamento della casa da gioco. Ci posto, non avrebbe rilievo il fatto che il Guarnaschelli, nell'istanza al Questore, abbia fatto in erroneo accenno ad una licenza ; in realt ci che era stato sostanzialmente richiesto era H,suddetto visto sui bordereaux; e la concessione di esso attivit dovuta, non discrezionale, ex art. 19 del d.P.R. n. 640 del 1972, condizionata unica~ mente all'esibizione di una duplo .del documento (il che regolarmente avvenuto). In questo senso, si sarebbe chiesta al Questore una attivit perfettamente rientrante..nei poteri a lui attribuiti dalla legge, e su tutto ci non potrebbe influire in alcun modo l'opinione che possa aversi circa la validit e regolarit di una licenza rilasciata da un assessore regionale (problema che dovrebbe essc:;r risolto in tutt'altra sede). 3. -Si pu subito affermare che la tesi sopra prospettata non fondata n in fatto, n in diritto. Premesso, invero, che queste Sezioni Unite, nel regolare la giurisdizione, sono anche giudici del fatto (nel senso che possono prendere in considerazione e valutare tutte le risultanze degli atti) si pu innanzi tutto rilevare che dai fscicoli esibiti non risulta affatto provato che la societ A. Zagara sia effettivamente mun~ta di una qualche licenza .per l'esercizio del gioco d'azzardo; in proposito esiste in atti una mera affermazione della difesa del Guarnaschelli, che fa riferimento ad una licenza che sarebbe stata rilasciata da un Assessore regionale. Nell'istanza al Questore e nel ricorso gerarchico al Prefetto non risulta si f~ccia la minima menzione di tale preesistente licenza. Per contro, all'Autorit di P.S. -come risulta dalle testuali espressioni che sopra si_ sono trascritte - stato espressamente richiesto il rilascio di una licenza di pubblica sicurezza, onde la societ fosse autorizzata a proseguire l'attivit di gestione della casa da gioco (attivit gi iniziata, ma presto ritenuta abusiva, tanto vero che il Casin fu chiuso d'autorit). Non stato invece chiesto alcun visto su borderaux n l'istituzione di una vigilanza di Polizia. Ci tanto vero, che la societ, nell'istanza al Questore e nel ricorso gerarchico al Prefetto, ha ritenuto suo dovere dilungarsi ad illustrare i motivi in base ai quali l'esercizio da parte sua del gioco d'azzardo doveva ritenersi legittimo, e legittimo do.veva ritenersi il rilascio di una licenza di polizia ad hoc. Vano appare, quindi, di fronte a questo risultanze, il tentativo operato dal Guarnaschelli, dinnanzi al giudice amministrativo, di spostare tutto i termini della questione originariamente proposta. Ma non basta. 554 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Anche in diritto la summenzionata tesi appare sicuramente inattendibile. Esaminando, infatti, le norme invocate dal d.P.R. n. 640 del 1972, si pu rilevare quanto segue: a) l'art. 1 si limita ad affermare che soggetto all'imposta sugli spettacoli anche l'esercizio del gioco d'azzardo nelle case a ci destinate (disposi:z;ione che nulla dice su come, e ad opera di quale autortt, possa avvenire tale destinazione); b) l'art. 2 precisa che sono soggetti d'imposta, tenuti quindi al relativo pagamento, coloro che esercitano case da gioco, ed anche l'ente pubblico titolare della relativa autorizzazione che ~volga tale autorit mediante delega della gestione a privati concessionari (ed anche questa disposizione nulla dice circa i modi del rilascio della autorizzazione, e sull'autorit a ci competente); e) resta l'art. 19 che testualmente stabilisce: Gli esercenti. e gli organizzatori degli spettacoli e delle altre attivit soggetti ad imposta devono farne preventiva dichiarazione, sottoscritta dal contribuente o da un suo rappresentante, ...all'ufficio accertatore, e su richiesta di esso, prestare idonea garanzia diretta ad assicurare il regoJare pagamento dell'imposta presumibilmente dovuta (secondo comma); la consegna della licenza di pubblica sic~rezza subordinata alla esibizione, da parte dell'intestatario della licenza medesima, del duplo della dichiarazione di cui al comma precedente, vistato dall'ufficio accertatore . Analizzando questa disposizione, si pu subito rilevare come la dichiarazione (che nella rubrica dell'art. 19 qualificata come dichiarazione di inizio di attivit) non vada presentata al Questore o ad altra autorit di P.S., ma all'ufficio accertatore dell'imposta (quindi, ad un ufficio tributario). Il visto sul duplo della detta dichiarazione (che il Guarnaschelli qualifica come bordereau) non deve affatto esser. apposto dal Questore, ma dal sopra menzionato ufficio tributario cui spetta l'accertamento dell'imposta. La dichiarazione di inizio di attivit, debitamente vistata dall'ufficio tributario, va poi esibita all'autorit di P.S. ai fini del rilascio della licenza di polizia (ovviamente, laddove la licenza medesima sia richiesta). Va tenuto presente, al riguardo, che la norma dell'art. 19 generica, e non si riferisce affatto alla sola attivit relativa al gioco d'azzardo, bens in genere a tutte le attivit comportanti il pagamento dell'imposta sugli spettacoli, attivit in relazione alle quali -giusta le disposizioni del t.u.l.p.s. -di solito richiesta proprio una licenza di polizia. Rinviamo al prosieguo l'analisi del problema se per il gioco d'azzardo sia richiesta una licenza, e se questa debba esser concessa con atto amministrativo dall'autorit di P.S. ovvero da altre autorit, oppure se occorra uno specifico provvedimento legislativo. Ci che rileva in questa sede il fatto, indiscutibile anche sotto il profilo giuridico, che deve escludersi che il Guarnaschelli abbia potuto richiedere, pur esprimendosi con terminologia inesatta, al Questore un RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO semplice atto dovuto, e cio J'apposizione del visto sui c.d. bordereaux e non il rilascio di una vera e propria licenza. Al Questore il visto suddetto non poteva e non pu essere chiesto, spettando tale attivit unicamente al competente ufficio tributario accertatore dell'imposta. Se realmente al Questore fosse stata rivolta un'istanza del genere di quella indicata dal Guarnaschelli nel ricorso al Giudice Amministrativo, indubbiamente il Questore stesso avrebbe dovuto respingerla, trattandosi di una richiesta di un'attivit del tutto esulante dai poteri e 'delle competenze dell'organo di P.S. Per altro verso, le considerazioni fin qui esposte confermano in modo del tutto evidente che al Questore stato proprio richiesto il rilascio di una vera e propria licenza di pubblica sicurezza. 4. -Occorre quindi passare all'esame del merito, ed esaminare se la portata delle norme invocate dei dd.P.R. nn. 640 e 641 del 1972 trascenda la materia strettamente tributaria, e contenga anche una dispos.izione decisamente innovativa della disciplina fin qui vigente in materia di gioco d'azzardo, che consenta il rilascio, mediante semplice atto amministrativo, dell'autorizzazione a gestire case da gioco, in deroga al divieto di cui all'art. 718 c.p. Deve rilevarsi innanzi tutto che la norma del n. 61 della tabella allegata al d.P.R. n. 641 del 1972 prevede il pagamento di una tassa di ben 60 milioni per il rilascio delle autorizzazioni relative all'esercizio di case da gioco, emanate tanto con legge che con atto amministrativo, Orbene, assurdo ritenere che una norma simile si riferisca all'esercizio di giochi non proibiti. Una tassa di cos rilevante importo sarebbe semplicemente impensabile se riferita, ad es. ad una sala da biliardo annessa ad un bar; e del resto la tariffa prevede apposite voci specifiche per i giuochi normalmente consentiti (non inclusi, cio nell'elenco dei giuochi proibiti di cui al t.u.l.p.s.) cfr. la voce n. 53 della stessa tabella. del resto pacifico che, i giuochi leciti sono suscettibili di rilascio di autor\zzazioni di P.S. (cfr. artt. 194 e 195 del regolamento d'esecuzione del t.u.Lp.s.) mentre assai dubbio che tale possibilit sussista per i giuochi normalmente vietati. quindi evidente che la voce n. 61 (che del resto parla di autorizzazione amministrativa; e non necessariamente di P.S.) si riferisce proprio ed esclusivamente all'esercizio del gioco d'azzardo nelle case a ci destinate. N pu ritene,rsi che norme di carattere extrapenale non possono mai introdurre una deroga al divieto di cui all'art. 718 c.p. Il funzionamento delle case da gioco di S. Remo, Campione e Venezia fu autorizzato proprio cn nome di 1carattere extrapenale (r.d.l. 22 dicembre 1927, n. 2448; I. 8 novmbre 1954, n. 1042; I. 18 febbraio 1963, n. 27) e. addirittura il Casin di Saint V.incent ha iniziato e proseguito la sua attivit sulla base di una autorizzazione amministrativa regionale, successivamente convalidata implicitamente da leggi extrapenali. Non va poi dimenticato che 556 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO i:I Consiglio di Stato, nella dedsione n. 698 del 1968, ha ritenuto che il r.d.i. n. 2448 dl 1927 sia viziato per incostiti.tzionalit, sia per contrasto con l'art. 76 Cost. (eccesso del legislatore delegato dalla delega), sia sopratutto per contrasto con l'art. 3 Cost. (in qanto porrebbe in essere una disparit di trattamento non ragionevolmente giustificata dalle invocate esigenze di carattere finanziario). Di fronte a tutto ci, gli argomenti del ricorrente Prefetto potrebbero provare troppo, nel senso che sulla base di essi dovrebbe ritenersi certamente illegittimo anche l'esercizio del gioco d'azzardo . nei 4 csin oggi esistenti in Italia; i relativi provvedimenti legislativi di autorizzazione avevano infatti natura finanziaria, e quindi extrapenale, n quindi avrebbero potuto derogare ad una norma dei codice penale. Ancora, potrebb.e invocarsi la sentenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte del 7 dicembre 1963, relativa ad un procedimento ex art. 718, c.p. instaurato nei confronti dei gestori della casa da gioco di Saint Vincent. In tale sentenza si afferma che deve escludersi la sussistenza del reato di cui all'art. 718 c.p.c., laddove nell'ordinamento giuridico sia ravvisabile ad una norma che riconosca anche implicitamente la liceit del gioco di azzardo, quale che sia l'ubicazione ed il contesto della suddetta norma. Da i potrebbe dedursi il principio che la fattispecie che d luogo alla deroga alla norma penale, pu in determinati casi, comporsi di due elementi: una norma tributaria (o comunque extrapenale) ed un atto amministrativo (regionale). Tale sarebbe esattamente la situazione del .Casin di Saint Vincent, in relazione al quale sono stati emessi un provvedimento amministrativo regionale di autorizzazione, ed alcune Jeggi di natura extrapentali che hanno convalidato, appunto, l'autorizzazione rilasciata mediante atto amministrativo. A nessuno pu infatti sfuggire la notevole anak>gia di tale situazione con quella dedotta in causa in relazione al contestato Casin di Taormina. In relazione a quest'ultimo i dd.P.R. nn. 640 e ~41 del 1972 potrebbero aver svolto la stessa funzione che per altri casin hanno assunto le leggi di convalida dell'autorizzazione amministrativa. Del resto se i decreti del 1972 sono, in caso di accoglimento di questa tesi, viziati per violazione degli artt. 3 e 76 Cost. -come eccepito in via subordinata dall'Avvocatura dello Stato -non si comprende perch lo stesso vizio non dovrebbe esser rilevato anche in relazione alle altre disposizioni di legge sopra menzionate. 5. -Tutte queste possibili eccezioni -concretamente sollevate dal Guarnaschelli nell'altro regolamento di giurisdizione nel quale si costituito -sono superabili. Indubbiamento, come gi s rilevato, non si pu seriamente sostenere che la voce n. 61 della tabella pi volte citata si riferisca alle case ove si praticano giochi nn vietati. Ma l'osservazione non affatto riso RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO lutiva, essa ha solo il significato di rendere impossibile un taglio alla base della questione, e di render indispensabile la risoluzione del problema (che resta aperto, e semplicemente si sposta). Non poi, sufficiente dimostrare che non vero che una norma del codice penale non possa mai, in assoluto, esser modificata da una norma extrapenale. Una simile tesi sarebbe facilmente demolita, ma l'Avvocatura dello Stato non ne ha mai sostenuta. La difesa erariale ha invece affermto -esattamente -che nel caso concreto le norme extrapenali invocate non hanno avuto l'effetto di modificare o deregare le disposizioni di carattere penale. Il che comporta tutt'altro discorso. Al riguardo, necessario ritornare all'analisi delle norme di legge invocate dal Guarnaschelli, riprendendo un discorso gi accennato in precedenza. Gi si . detto degli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 640 del 1972: le norme in questione si limitano ad indicare quale sia l'attivit colpita dall'imposta sugli spettacoli (includendo in essa l'esercizio del gioco d'azzardo nelle case e ci destinato), e quale sia il soggetto che deve pagare l'imposta stessa (sempre nell'ipotesi che il gioco d'azzardo venga esercitato in case a ci destinate). Ma nulla si dice su come e da chi la detta destinazione debba esser stabilita od autorizzata. Non certo quindi da questi due articoli che si pu enucleare;-il principio secondo cui la suddetta attivit possa esser autorizzata con un provvedimento amministrativo. Passando all'art. 19, di cui sopra si riportato integralmente il testo, gi si notato come si tratti di una norma generica, che non prende affatto in considerazione in modo..Particolare il gioco d'azzardo e le case da gioco, ma, genericamente, tutte le attivit soggette all'imposta sugli spettacoli. Le attivit stesse, di norma, sono condizionate al rilascio di un'autorizzazione di polizia; e la norma specifica che l'autorizzazione stessa non pu esser rilasciata senza che sia avvenuta la previa regolarizzazione della pratica sul piano fiscale. Ma ci non significa affatto che tutte le attivit colpite dall'imposta debbono essere autorizzate dall'autorit di P.S. , infatti, del tutto pacifico che non concepibile una semplice autorizzazione di polizia, rilasciata con atto largamente discrezionale, per consentire a sin goli privati di derogare alla legge penale, cio di commettere impunemente degli atti costituenti, di norma, reati; del pari pacifico che nessuno dei Casin funzionanti in Italia munito di una autorizzazione di P.S. E, lo stesso Guarnaschelli sostiene di esser munito di una autorizzazione amministrativa, ma rilasciata da tutt'altra autorit (l'Assessore regionale). Uart. 19 deve quindi esser inteso nel senso che laddove sia richiesto per l'esercizio di una cfeterminata attivit, il rilascio di una licenza di P.S. tale rilascio non pu aver luogo senza il pr:evio rispetto delle disposizioni di carattere tributario. Non per nulla, infatti, l'art. 19 f riferimento 558 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO unicamente alle licenze di P.S. e non ad altre eventuali licenze che potrebbero esser in ipotesi concedibili da altre autorit. A titolo puramente teorico, pu ipotizzarsi il caso in cui all'eventuale licenza da rilasciarsi da altra autorit, per l'esercizio del gioco d'azzardo in apposite case, debba aggiungersi anche una licenza di P.S. (in relazione alle esigenze di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, particolarmente rilevanti in luoghi ove circola gran quantit di denaro; alla sicurezza ed idoneit dei locali, anche in funzione della prevepzione di infortuni, incendi, crolli ecc.; alla sussistenza, dei requisiti igienici richiesti per un locale di pubblico 'ritrovo, e cos via). Ci no'u comporterebbe mai, peraltro, la sostituzione della semplice licenza di polizia alla vera e propria autorizzazione all'esercizio del gioco d.i azzardo; autorizzazione che, come si detto, la P.S. non pu concedere, essendo contrario ad ogni pi elementare principio del nostro ordinamento l'attribuzione alla Polizia del potere di autorizzare discrezionalmente singoli cittadini a violare la legge penale. quindi del tutto evidente che non pu ravvisarsi in alcuna norma del d.P.R. n. 640 del 1972 la disposizione legislativa che modifica o deroga la legge penale. 6. -Neppure si pu sostenere che la disposizione legislativa in parola sia contenuta nella voce n. 61 della .tabella allegata al d.P.R. n. 641 del 1972 (o meglio, nella nota esplicativa della suddetta voce, che precisa che l'imposta dovuta sia che l'autorizzazione all'esercizio del gioco di azzardo sia rilasciata con legge, sia che ci sia avvenuto mediante atto amministrativo ). Invero, sarebbe veramente abnorme rispetto aHa prassi, che una disposizione avente addirittura l'efficacia di modificare il .codice penale fosse introdotta di straforo , attraverso una semplice nota esplicativa di una voce della tariffa relativa ad. un'imposta. E non c' dubbio che se ci fosse avvenuto -attesa la natura di decreto delegato del d.P.R. in questione si verterebbe nell'ipotesi di un clamoroso vizio di incostituzionalit per violazione dell'art. 76 Cost., dato ch la legge delega (I. 9 ottobre 1971, n. 825) non ha conferito al governo alcun potere finalizzato ad una riforma di tal genere. Ma non necessario giungere tanto oltre. Invero il carattere della norma, la sua collocazione, il suo contenuto, non lasciano il minimo dubbio sul suo carattere meramente fiscale. Se dalla nota alla voce n. 61 si dovesse evincere il principio generale che il gioco di azzardo, in deroga al divieto penale, pu esser autorizzato mediante atti amministrativi, ci si troverebbe di fronte ad un gravissimo problema di identijicazione dell'autorit competente a rilasciare la detta autorizzazione; di idf;ntificazione dei limiti di tale potere amministrativo (se cib l'autorizzazione potrebbe esser concessa discrezionalmente, o RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO solo in circostanze particolari, e quali); di identificazione delle modalit procedimentali .con cui l'autorizzazione dovrebbe esser richiesta ed eventualmente rilasciata, ecc. La'nota alla voce n. 61 non dice nulla su tutto ci, e da questo semplice rilievo emerge facilmente la conclusione che il legislatore delegato non ha voluto modificare alcunch, su questo punto, ma solo chiarire che, comunque e dovunque tale attivit venga esercitata concretamente (in modo non clandestino) debbono essere pagate le relative imposte. In altri termini, il legislatore tributario non si preoccupato di come e da chi possa esser autorizzato l'esercizio del gioco d'azzard, ma unicamente df assiurare il pagamento delle imposte in relazione ai cospicui movimenti di ricchezza che in occasione dell'esercizio del gioco d'azzardo sempre si verificano. Il fine meramente tributario quindi assolutamente evidente anche a prescindere dalla collocazione della norma. In concreto, poi, di certo il legislatore delegato ha avuto presente, nel momento della formulazione della nota della voce 61, il caso del Casin di Saint Vincent, autorizzato, appunto, con atto amministrativo regionale (il quale peraltro avrebbe trovato la sua convalidazione in una serie di disposizioni legislative successive, a differenza di quanto avvenuto per Taormina). La norma della voce n. 61 fa quindi riferimento all'ipotesi in cui una norma di legge (anche extrapenale) consenta il rilascio di autorizzazioni amministrl,ltive in deroga al divieto dell'art. 7Jt8 c.p.; od al caso in cui un'autorizzazione amministrativa sia stata comunque rilasciata, e se ne attenda l'eventuale convalida, non .ha invece essa stessa, d per s, il valore di legge che autorizzi la concessjone di autorizzazioni all'esercizio del gioco di zzardo con atti amministrativi, o che convalidi una situazione di fatto creatasi con l'emissione di atti amministrativi autorizzativi, ini~almente invalidi. . 7. - opportuno, a questo punto, prendere in considerazione la situazione delle altre case da gioco funzionanti in Italia, in relazione ai testi di legge ch le riguardano, ed ai precedenti giurisprudenziali in materia. Il Casin di S. Remo funziona in forza di un'autorizzazione espressamente concessa con un provvedimento legislativo avente un'efficacia formale sufficiente per modificare un'altra norma di legge (quale un articolo del codice penale). od apportarvi una deroga (cfr. d.I. 22 dicembre 1927, n. 2448, conv. in I. 27 dieembre 1928, n. 3125). Non ci si trova quindi di fronte ad autorizzazione concessa con atto amministrativo, e quindi la situazione del tutto diversa da quella dedotta nella presente' causa. La validit e legittimit costituzionale della norma in questione non in discussione in questa causa: sicuramente il d.I. del 1927 e la legge del 1928 non sono n direttamente n indirettamente applicabili al probiema del Casin di Taormina; talch appare del tutto irrilevante, ai fini del problema da decidere, il fatto che il Consiglio di Stato abbia ritenuto che 560 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO le norme in questione contrastino con gli artt. 76 e 3 della Costituzione (perch poi con l'art. 76? Non si trattava certo di una legge delegata!). Analoga la situazione dei Casin di Campione e di Venezia, autorizzati anche essi con appositi provvedimenti legislativi (rispettivamente d.l. 3 marzo 1933, n. 201, conv. in I. 8 marzo 1933, n. 305 e d.l. 16 luglio 1936, n. 1404, conv. in I. 14 gennaio 1937, n. 62). Il problema di una autorizzazione concessa o concedibile mediante atto amministrativo non mai stato posto in riferimento_ a queste Case da gioco; e neppure avvenuto che una qualche autorit giudiziaria abbia posto in dubbio la costituzio,nalit delle leggi autorizzative, come avvenuto per il Casin di S. Remo (anche se i summenzionati dubbi non si sono mai tradotti in pronunzie della Corte Costituzionale). In ogni caso, anche questi testi legislativi sono del tutto estranei al thema decidendum di questa causa, ed anche una eventuale affermazione o denunzia della loro incostituzionalit (che queste Sezioni Unite non potrebbero fare, trattandosi di questione non,..,.decisiva ai fini della pre. sente controversia) sarebbe del tutto controproducente rispetto ai fini che la soc. A. Zagara persegue. Essa potrebbe al pi far perdere ad altri l'autorizzazione, ma giammai giungere essa ad ottenerla. Resta da considerare il Casin di Saint Vincent, la cui posizione la pi delicata e sotto vari aspetti la pi vicina a quella prospettata dalla ~3 sulla legittimazionf' implicita delle case da gioco molto discussa e discutibile, ed in particolar non condivisa da queste Sezioni civili. Il fatto, poi che alla societ sia stato intimato il pagamento di tasse ed imposto in relazione al funzionamento della Casa da gioco, si inquadra perfettamente nello spirito e negli intenti delle norme tributarie che si sono in precedenza esaminate: una volta intervenuta in forza di un'autorizzazione (legittima o no) .J'apertura di una casa da giuoco, e l'esercizio di un'attivit notevolmente lucrosa, il legislatore ha avuto di mira che tale manifestazione di ricchezza e tale attivit lucrosa non restassero immuni da pesi fiscali, sarebbe stato certamente iniquo, infatti, che il Casin di Taormina, oltre a funzionare in violazione della legge, fosse anche esentato da ogni carico fiscale proprio per effetto ell'illegittimit del suo funzionamento. La specifica iscrizione dei relativi introiti nel bilancio statale, rimasta allo stato di mera affermazione di parte: non .risulta infatti,. nelle leggi di approvazione dei bilanci, l'iscrizione di alcuna posta attiva particolare relativa al Casin di Taormina; talch non pu parlarsi neppure sotto questo profilo di un riconoscimento implicito paragonabile a quello che si assume avvenuto per Saint Vincent. Che poi la Polizia abbia istituito e mantenuto, nel Casin un servizio di sicurezza, ben si spiega con normali esigenze di ordine pubblico, particolarmente. rilevanti in relazione ad un locale ove circolavano masse ingenti di denaro liquido, e nel quale era partiicolarmente prevedibile l'effettuazione PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (od il tentativo) di rapine o consimili reati contro il patrimonio, ovvero il verificarsi di disordini ad opera di giuocatori perdenti. Ci che trova, del resto, un indiretto riscontro nella norma del testo unico legge pubblica sicurezza (art. 11) che sancisce che le autorizzazioni di polizia son~ concesse esclusivamente ai fini di polizia, e non possono esser invocate per escludere o diminuire responsabilit civm o penali in cui i concessionari incorrano nell'esercizio concreto della loro attivit. 9. -In definitiva, appare chiaro come alle domande giudiziali spiegate dal Guardasigilli dinnanzi al Consiglio. di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, non faccia riscontro l'es~stenza di alcuna posizione soggettiva (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) tutelabile in via giudiziale. Al Questore si richiesto il compimento di un atto che lo stesso Questore non poteva in alcun caso porre in essere, sia perch non rientrante nei suoi poteri o nelle sue competenze, sia perch addirittura vietato da norme penali imperative. Il ricorso deve quindi essere accolto, e per l'effetto deve dichiararsi la carenza assoluta di giurisdizione in ordine alle domande giudizialmente proposte in nome e per conto della societ A. Zagara. -(Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 agosto 1977, n. 5278. Pres. Mirabelli Est. Caturani -P. M. Serio (diff.) -Ministero LL.PP. -Comitato per la liquidazione l.N.CJ.S. (avv. Stato Mataloni) c. Penna (avv. Pergola). Ricorso per Cassazione -Soppressione dell'ente ricorrente dopo il deposito del ricorso -Interruzione del giudizio -Non .si applica. Procedimento civile -Soppressione di ente pubblico nel corso del giudizio di merito -Mancata denunzia da parte del Procuratore -Interruzione del processo Non si verifica. Edilizia popolare ed economica -Riscatto alloggi -Contratto preliminare di vendita -Non sussiste. La soppressione di un ente pubblico intervenuta dopo il deposito del ricorso per cassazione non determina la interruzione del giudizio (1). La soppressione di un ente pubblico, se non viene denunziata dal procuratore costituito, nel giudizio di merito non importa interruzione del giudizio (2). Non configurabile un contratto preliminare di vendita nel procedimento dettato dalla legge per la regolamentazione del riscatto di alloggi popolari da parte degli assegnatari (3). (Omissis). -Nell'ordine logico preliminare l'esame della questione proposta dalla amministrazione ricorrente, in sede di memoria, secondo cui, in seguito alla soppressione dell'l.N.C.l.S. (art. 13 d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036) ed all'avvenuta devoluzione all'Istituto Autonomo delle ~1-3) I principi contenuti neile due prime massime hanno come punto di partenza l'assunto, non esplicitato e neppure dimostrato, secondo il quale l'intervento del lgislatore che opera la soppressione di un ente pubblico, trasferendo i rapporti relativi ad altro ente o ad uno speciale ufficio dello Stato, sia del tutto equiparabile, ai fini dell'applicazione della disciplina contenuta negli artt. 299 segg. cod. proc. civ., ad un caso di morte, perdita della capacit di stare in giudizio della parte o del suo rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza. Ora sembra per lo meno discutibile che, quando una legge dello Stato dichiara la soppressione di un autonomo centro di imputazione, occorra, affinch detta legge trovi applicazione in un giudizio in corso, che la norma venga invocata da1l procuratore. Se vero il principio iura novit curia, sembra doversi ritenere che anche in difetto di un richiamo della norma da parte del procuratore, la norma stessa debba essere applicata dal giudice e tale principio sembra dovere trovare applicazione anche nel giudizio di Cassazione. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 565 Case Popolari di Avellino del patrimonio immobiliare dell'ente {art. 1 lett. b, della legge 19 gennaio 1974, n. 9), l'I.A.C.P. avrebbe acquistato una esclusiva legittimazione sostanziale e processuale in ordine a quanto forma oggetto del giudizio, giacch ai sensi dell'art. 14, secondo comma, del citato d.P.R., dal momento della devoluzione gli Istituti Autonomi per le Case Popolari subentrano nella titolarit di tutte le situazioni attive e passive e nei rapporti processuali inerenti agli immobili di cui hanno acquistato la propriet. L'eccezione non fondata. noto che nel giudizio di cassazione dominato, dopo il deposito del ricorso, dall'impulso d'ufficio, non trova applicazione l'istituto dell'interruzione del processo per il verificarsi di alcuno degli eventi previsti dagii artt. 299 ss. c.p.c. (Cass., 30 gennaio 1968, n. 297; 28 aprile 1962, n. 831; 9 giugno 1956, n. 2018). Consegue che, anche a voler ritenere che l'evento sopra menzionato potesse incidere sul processo nel senso di determinazione la interruzione, se fatto valere in sede di merito, esso non pu essere dedotto in questa sede, onde pu prescindersi dall'esame della relativa questione. Iniziando l'esame dei motivi di ricorso, dando la precedenza al quinto, con esso l'Amministrazione lamenta violazione dell'art. 301 c.p.c. in relazione all'art. 1 della legge 19 gennaio 1974, n. 9, ed all'art. 1 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modifiche (art. 360 n. 4 c.p.c.). Se vero, infatti, che anche in tale giudizio il jus superveniens va applicato, malgrado l'impulso d'ufficio da cui retto (v. fra tante Cons. 29 novembre 1977, n. 5189), non si vede perch la S:C. non debba dichiarare l'interruzione del giudizio quando una norma disponga che il soggetto nei cui confronti si svolge non esiste pi. In sostanza non sembra che la soppressione di ui:I ente da parte del legislatore sia equiparabile ad uno dei casi previsti dall'art. 299, e seguenti cod. proc. civ. e che, 'per la sua specialit, vada disciplinato in modo del tutto autonomo. Esatto , invece, il principio affermato nella terza massima. Con particolare acutezza la sentenza ha puntuali:1.zato che. la scelta da parte della p.a. che lo strumento negoziale non rimessa ad una valutazione libera, ma soggetta a particolari limiti. Il ricorso all'autonomia privata da parte della p.a. consentito soltanto quan do esso non si ponga in contrasto con la procedura che la legge prevede per la tutela e fa realizzazione dell'interesse pubblico. Sul problema, oltre al fonda mentale stud!io di A. AMORTH, Osservazioni sui limiti dell'attivit amminitrativa di diritto privato, in Archivio dir. pubbl., 1938, 455, v. R. ALESSI, Principi di diritto amministrativo, Milano, 1%6, voi. I, ;p. 239 segg.; G. PERICU, Note in tema di attivit di diritto privato della pubblica amministrazione, in Annali della facolt di giurisprudenza dell'Universit di Genova, 1966, 168 e segg. e spec. 180 ss. Per ulteriori richiami, v. A. Rossi, Questioni in tema di partecipazione di un comune ad una societ per azioni, in Giur. comm., 1978, II, 220 e seg. 566 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sostiene la ricorrente che .l'impugnata sentenza nulla perch la Corte del merito nella udienza collegiale del 27 marzo 1974 anzich trattenere la causa in decisiione avrebbe dovuto dichiarare interrotto il processo, in seguito alla successione dell'Amministrazione dei LL.PP. nel rapporto relativo al patrimonio immobiliare della soppressa I.N.C.I.S. In seguito a tale evento, infatti, il patrocinio legale si sarebbe automaticamente trasferito all'avvocatura dello Stato ed il difensore, gi nominato dall'I.N.C.I.S., non avrebbe potuto continuare a rappresentare e difendere l'ente in giudizio. La censura infondata. Prescindendo, anche su questo punto, dall'esame della questione che riflette la efficacia che il subentro dell'Amministrazione dei LL.PP. alla soppressa I.N.C.I.S. abbia potuto spiegare sul processo in corso (vale a dire se esso potesse o meno produrre la interruzione del processo), assorbente di ogni altra considerazione il rilievo che trattasi nel caso in esame di un evento che ha direttamente interessato la. parte costituita in giudizio e non gi il suo pro.curatore. Ora la legge prevede separatamente e . disciplina in modo diverso gli effetti processuali degli eventi previsti come causa di interruzione del processo a secondo che essa riguardi la parte costituita (art. 300 c.p.c.) o il suo procuratore (art. 301 .c.p.c.), in quanto la interruzione nel primo caso si verifica dal momento in cui il proc~ratore ne faccia dichiarazione onotificazione alle al tre parti. Ai fini della interruzione del processo, gli eventi che colpiscono la pa,rte sono dunque privi di rilevanza se non denunziati nelle forme pre viste (Cass., 26 ottobre 1962, n. 3067). Essendo, pertanto, estranea alla fattispecie la. ipotesi di morte, ra diazione o sospensione del procuratore, il problema proposto va con siderato dal punto di vista della (eventuale) perdita della , capacit di stare in giudizio da parte dell'I.N.C.I.S. in seguito all'evento di. cui sopra, ma essendo pacifico tra le parti che non vi fu in sede di merit1 del 1962 in relazione all'art. 360 .n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 112 . c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 4 e.p.c. e critica l'impugnata sentenza per avere erroneamente ritenuto che la scadenza del termine fissato dalla legge pur senza carattere di perentoriet, per la stipulazione del contratto fosse di per s causativo di danno, indipendentemente dalla costit~zione in mora: invece, secondo l'amministrazione, la presenza di un termine esclude la necessit della costituzione in mora solo quanlice corollario. . Anzitutto che il procedimento sanzionatorio disciplinato dal r.d.l. 5 diembre 1938, n. 1928, ha natura dichiarativa e non costituiva, avendo esclusivamente la funzione di accertare l'infrazione valutaria, di individuare il soggetto che l'ha commessa e di determinare in concreto la misura della sanzione da infliggere. In secondo luogo, che :__ a differenza di quanto accade in materia penale, in cui sono distintamente disciplinate la prescrizione del reato e quella della pena, decorrenti, rispettivamente dal giorno in cui il reato commesso o da quello del verificarsi della condizione di punibilit (art. 158 cod. pen.) e dal giorno in cui la condanna divenuta irrevocabile o il condannato si sottratto all'esecuzione gi iniziata della pena o scaduto il termine o si verificata la condizione alla cui scadenza o al cui avverarsi l'esecuzione della pena subordinata (art. 172, terzo comma, cod. pen.) -in tema di illecito valutario la prescrizione incide esclusivamente sul diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria e decorre non dalla data del provvedimento sanzionatorio, ma dal giorno in cui l'infrazione commessa. La disciplina positiva della prescrizione in materia di illecito ammi nistrativo valutario (o finanziario) non consente quindi di distinguere, come stato sostenuto da una parte del1a dottrina, tra prescrizione del l'illecito o del diritto dello Stato all'irrogazione della sanzione, decor rente dal giorno in cui l'infrazione stata commessa e suscettibile di essere interrotta da atti analoghi a quelli che interrompono la prescri zione del reato, e prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena irrogata, decorrente dalla data del provvedimento con cui la san zione applicata e suscettibile di essere interrotta dagli atti che inter rompono la prescrizione dei diritti. La detta disciplina positiva , d'altra parte, coerente con la natura civile dell'obbligazione di pagare la pena pecuniaria nascente a carico del trasgressore dalla commissione dell'illecito amministrativo valutario (o finanziario). noto, infatti, che in materia civile la prescrizione incide sul diritto, e non sul fatto che ne ha determinato la nascita; e decorre dal giorno in cui il diritto stesso pu essere fatto valere, e non da quello in cui esso sia stato accertato nella sua esistenza e nel suo contenuto; come emerge, senza possibilit di equivoci, dall'art. 2947 cod. civ., il quale, 602 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO disponendo. che la prescrizione del '.diritto del risarcimento del danno derivante da fatto illecito decorre dal giorno in cui il fatto si verificato, conferma elle la decorrenza della prescrizione non postula l'accertamento del diritto, ma presuppone soltanto che esso si~ sorto, anche se, trattand.osi di diritto di credito, il mancato accertamento di esso nelI'an e nel quantum impedisce al suo titolare di esigere dal debitore l'immediato adempimento della prestazione che ne costitisce il contenuto. Ci comporta che, contrariamente a quanto sostengono le Amministrazioni ricorrenti, l'impossibilit in cui si trova lo Stato di riscuotere coattivamente dal trasgressore la somma dovutagli a titolo di pena pecuniaria, prima che il procedimento sanzionatorio sia concluso, non impedisce che la prescrizione del diritto alla riscossione cominci a decorrere dal giorno in cui, essendo stata con;i.messa l'infrazione, il diritto stesso sorto. Come la prescrizione del diritto del danneggiato decorre dal giorno in cui si verificato il fatto illecito produttivo del danno e l'impossibilit in cui si trova il titolare del diritto di pretenderne coattivamente la realizzazione, in difetto di una liquidazione del danno risultante da un atto avente efficacia di titolo esecutivo non di ostacolo a che la prescrizione del diritto al risarcimento cominci a decorrere, cos la prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria decorre dal giorno in cui l'illecito amministrativo stato commesso e il fatto che' lo Stato, avvalendosi del potere di autotutela riconosciutogli dall'ordinamento, debba avviare e portare a termine il procedimento sanzionatorio prima di poter esigere coattivamente la riscossione della pena pecuniaria non pu influire in akun ;modo sulla decorrenza della prescrizione. Non sembra inopportuno aggiungere in proposito che il principio, sancito dall'art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione C?mincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu essere fatto valere, non ha una portata assoluta e generale, in quanto l'impossibilit dell'esercizio del diritto, cui la legge attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, solo quella che derivi da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto (come, ad esempio, la mancata scadenza di un termine inizile o il mancato avverarsi di una condizione sospensiva), e non con.iprende anche gli impedimenti soggeftivi e gli ostacoli di mero fatto (salvo che essi non integrino una delle cause di sospensione della prescrizione tassativamente previste dalla legge), come quelli che trovino la loro causa nell'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto (purch essa non sia determinata da un fatto doloso imputabile al soggetto interessato a far valere la prescrizione) e nel ritardo con cui egli proceda ad accertarlo o a farlo accertare. i ! I ! ! I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 603 Una volta stabilto che U procedimento sanzionatorio non impedisce la decorrenza della prescrizione, pu esaminarsi il diverso problema se la pendenza del procedirriento comporti l'interruzione, per tutta la durata di esso, della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria ovvero se l'interruzione della prescrizione, con effetto meramente istantaneo, possa ricollegarsi esclusivamente agli atti (o ad alcuni di essi) del procedimento. La prima soluzione sostenuta dalle Amministrazioni ricorrenti sotfo ur duplice profilo: con riferimento al principio secondo cui, in conformit al criterio della corrispondenza tra causa ed effetto, l'effetto interruttivo della prescrizione dura per tutto il tempo in cui opera la causa di interruzione; e in base all'applicabilit, am:he al procedimento sanzionatorio, del principio, fissato dall'art. 2945, secondo comma, cod. civ., secondo cui l'interruzione della prescrizione prodotta dalla domanda giudiziale opera fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Riguardo al primo profilo opportuno osservare -anzitutto -che il principio richiamato dalle Amministrazioni. ricorrenti, contrariamente a quanto. sostngono le stesse Amministrazioni, non ha il suo riflesso normativo nella citata disposizione dell'art. 2945, secondo comma, cod. civ. -la quale, come sar meglio precisato in seguito, riposa su una diversa ratio -, ma poggia sul criterio razionale della corrispondenza tra causa ed effetto, in base al quale l'interruzione della prescrizione continuativa, se tale anche la causa che l'ha determinata, mentre istantanea, se la sua causa consiste in un atto o in un fatto che si esaurisce in un determinato momento del tempo. Esso trova appliciizione principalmente rispetto alle cause di interruzione della prescrizione concretantisi in atti di esercizio del diritto da parte del suo titolare, cio a quegli atti di esercizio che, come avviene specialmente per i diritti reali in re aliena consistono in un'attivit materiale che non richiede la cooperazione del soggetto a vantaggio del quale si matura la prescrizione e che -secondo una classificazione accolta dal codice civle 'def 1865 (art. 2123), non riprodotta nel codice civile vigente e ripudiata da una parte della dottrina pi moderna (la quale nega addirittura. che gli atti di esercizio, in quanto presuppongono una situazione di normale vitalit del diritto, possan0 classificarsi, anche se producono effetti analoghi, tra le cause interruttive della prescrizione, aventi come logico presupposto una situazione di logoramento del diritto, di cui esse impediscono il verificarsi degli sviluppi distruttivi) -vanno annoverate tra le cause naturali, in contrapposizione alle cause c.d. civili di interruzione della prescrizione, consistenti -come gli atti interruttivi indicati negli artt. 2943 e 2944 cod. civ. 1942 -in mezzi istitutivi dell'esercizio del diritto posti in essere (come la domanda giudiziale e la 604 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costituzione in mora) dal titolare del diritto stesso o (come il riconosci mento) dal soggetto in favore del quale la prescrizione si compie. La distmz1one di effetti postulate dal detto principio applicabile anche agli atti interruttivi della prescrizione diversi dalla notificazione di un atto con il quale si inizia un giudizio o dalla preposizione di una domanda nel corso del giudizio ma limitatamente a quello di essi -cio al riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso pu essere fatto valere -che, sia pure in alcune parti colari situazioni, pu consistere in un atto avente una durata che non si esaurisce nel momento stesso in cui esso posto in essere. Questa Corte Suprema ha gi avut_?, infatti, occasione di precisare in proposito (sent. 20 luglio 1957 n. 3080) che -mentre gli atti ricogni tivi del diritto, che, come, ad esempio, la richiesta di dilazione del paga mento o il pagamento parziale, si esauriscono in una sola operazione e in n solo momento di tempo, hanno un'efficacia interruttiva istantanea il riconoscimento attuato mediante un negozio giuridico che si protrae nel tempo (come, nel caso preso in .esame nella sentenza citata, un'apertura di credito a favore del creditore su conto corrente bancario) produce un'interruzione continuativa della prescrizione in corrispondenza con la durata nel tempo degli effetti del negozio. La distinzione tra mezzi interruttivi della prescrizione ad efficacia continuativa non trova spazio, invece, all'interno dell'altra categoria di atti interruttivi previsti dalla legge, e cio di quella degli atti che valgano a costituire in mora il debitore. L'efficacia interruttiva della prescrizione propria di tale categoria di atti non pu, infatti, che essere istantanea, in quanto quesfultmi -consi stendo in atti che, pur senza contenere una formale intimazione di adem piere, esprimono, in modo chiaro ed univoco, la volont del creditore di esigere dal debitore il soddisfacimento del suo credito, anche se questo non sia precisato nella misura o non sia ancora liquidato -si esauri scono sempre nel momento stesso in cui la richiesta di adempimento del creditore portata a conoscenza del debitore. Il procedimento sanzionatorio -pur essendo lo strumento necessario mediante il quale lo Stato, esercitando il suo potere di autotutela, fa valere il suo diritto alla riscossione della pena pecuniaria -non pu essere inquadrato tra gli atti di esercizio del dritto qualificabili come cause naturali di interruzione della prescrizione, cio tra quegli atti che ne realizzano, sia pure in parte, il contenuto. Tali atti comportano, infatti, che l'interesse del titolare sia, anche se parzialmente, soddisfatto: ci che, riguardo ai diritti di credito, pu avvenire soltanto mediante l'adem pimento del debitore o l'esecuzione forzata e non anche in forza dei mezzi sostitutivi dell'esercizio del diritto, i quali, anche se rivelano PARTE I, S.EZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA l'intenzione dei titolari di mantenere in vita il diritto, non sono, appunto perch sostitutivi, atti di esercizio del diritto. Il medesimo procedimento non pu essere sussunto neppure nella categoria degli atti di riconoscimento del diritto, in quanto, mentre il procedimento avviato e condotto alla sua conclusione dal titolare del diritto, gli atti ricognitivi debbono provenire dal soggetto a vantaggio del quale la prescrizione si matura. Il procedimento sanzionatorio -anche se gli atti in esso compiuti dal titolare del diritto alla riscossione della pena pecuniaria costituiscono indubbiamente manifestazioni dell'intenzione dello stesso titolare di otte nere il soddisfacimento del suo eredit in contrasto con la presunzione d rinuncia implicita nel decorso del tempo -non pu, quindi, essere compreso tra gli atti interruttivi della prescrizione ad efficacia conti nuativa. Deve esaminarsi a questo punto -e con ci si passa all'esame del secondo profilo della tesi sostenuta dalle Amministrazioni ricorrenti la quest~one se l'atto di iniziativa del procedimento sanzionatorio possa essere assimilato, agli effetti dell'interruzione della prescriiione del dirit to ,alla riscossione della pena pecuniaria, all'atto con il quale si inizia un giudizio o al ricorso-amministrativo in materia tributara, cui l'ordina mento ricollega l'effetto di interrompere la prescrizione per tutta la, durata del procedimento (e, per quanto riguarda il ricors.o amministra tivo, la prescrizione non solo del diritto del ricorrente, ma anche di quella del diritto dell'ufficio). In proposito opportuno un primo rilievo preliminare: e cio che l'effetto interruttivo continuativo (o permanente) ricollegato dall'ordi namento direttamente ed e'sclusivamente all'atto introduttivo del proce dimento giurisdizionale o del procedimento contenzioso tributario e non gi al procedimento (o pi esattamente alla sua pendenza) in s consi derato, in quanto quest'ultimo viene assunto non come causa (continua tiva) dell'effetto interruttivo, ma soltanto come parametro di riferi mento per determinare, in rapporto alla sua durata, la durata dell'effetto interruttivo prodotto dal suo atto introduttivo. Il rilievo trova una significativa conferma nella discipina dell'inter ruzione della prescrizione del reato: l'effetto interruttivo, a carattere sem pre istantaneo, ricollegato, infatti, anche in 'materia penale, a singoli atti del processo e non a quest'ultimo in s considerato, salvo il limite , che, in cas,o di pluralit di atti interruttivi, il termine d prescrizione 'del reato non pti essere prolungato oltre la met. opportuno, sempre in via preliminare, anche un secondo rilievo. A differenza di quanto si riteneva sotto il vigore del codice civile del 1865, il quale non conteneva una disposizione analoga a quella del secondo comma dell'art. 2945 del codice vigente, l'atto introduttivo del 606 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO giudizio determina l'interruzione della prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce ii giudizio medesimo. In pendenza di quest'ultimo, non si verificano, quindi, come sostiene una parte della dottrina anche con riferimento al codice civile vigente, n la trasformazione dell'interruzione della prescrizione in sospensione, n l'aggiunta di un periodo di sospensione della prescrizione (rapportato alla durata del processo) all'interruzione della prescrizione determinata dall'atto introduttivo, ma si ha soltanto l'interruzione della prescrizione con effetti permanenti, comportando la pendenza del processo il perpetuarsi degli effetti dell'interruzione propri della domanda-fino al passaggio in giudicato della sentenza (per la dimgstrazione del principio, v. Sez. Un. 10 novembre 1973, n. 2970). Lo, stesso principio vale anche in relazione all'interruzione della prescrizione determinata dalla proposizione del reclamo del contribuente (espressamente prevista dagli artt. 141 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, sull'imposta di registro, e 90 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, sull'imposta di successione, ritenuti tuttavia da questa Corte Suprema come espressione di un principio di portata generale applicabile a tutta la materia tribufaria), pur se le norme che la disciplinano sono formulate in termini diversi dalla norma contenuta nel secondo comma dell'art. 2945 I cod. civ. (per la dimostrazione, v. Sez. Un. 10 novembre 1973, n. 2970, cit.). In terzo luogo, va rilevato che l'effetto interruttivo permanente ricollegato alla proposizione non di una domanda che, in quanto ritenuta Ifondata, sia stata accolta, ma di una domanda introdotta in un giudizio I t: che si sia concluso con una sentenza passata in giudicato, mentre l'efficacia interruttiva permanente esclusa, residuando soltanto-quella istantanea, quando il processo si estingue. L'effetto interruttivo permanente della prescrizione si presenta quindi I f come uno degli effetti sostanziali della domanda e come espressione di ! quell'esigenza fondamentale del processo che impone di impedire che la I l durata di questo possa risolversi in un pregiudizio per l'attore. Il titolare del diritto che si rivolge al giudice (o, nel caso del ricorso amministrativo tributario, a un'autorit diversa e sopraordinata rispetto I all'ufficio che ha compiuto l'accertamento impugnato) non pu, nfatti, influire, se non marginalmente mepiante il compimento degli atti di impulso previsti dalla legge processuale, sulla durata del procedimento. Qualora l'interruzione della prescrizione ricollegata alla proposizione della domanda giudiziale (o del ricorso amministrativo tributario) fosse. soltanto istantanea o comportasse quindi solamente l'inizio, dalla sua data, di un nuovo termine di prescrizione, il diritto fatto valere nel processo dal suo titolare potrebbe estinguersi per prescrizione prima del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio; e il tito lare del diritto sarebbe costretto, per evitarne l'estinzione, a porre in PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA essere, prima del maturarsi del termine prescrizionale decorrente dalla data della domanda (o del ricorso) o dei successivi atti interruttivi, un nuovo atto interruttivo, che, mentre per i diritti di credito potrebbe concretarsi anche in un atto idoneo a costituire ln mora il creditore, per i diritti reali, non essendo configurabile rispetto ad essi un atto di costituzione in mora, dovrebbe consistere nella proposizione di una nuova domanda. A\ruto riguardo alla ratio che giustifica l'efficacia permanente dell'interruzione della prescrizione determinata dalla notificazione dell'atto introduttivo di un giudizio dalla proposizione del ricorso amministrativo tributario, deve escludersi che analoga efficacia possa riconoscersi all'atto con cui la P.A., titolare del diritto alla riscossione della pena pecuniaria, promuove il procedimento per l'accertamento del suo diritto. Le considerazioni gi svolte sulla natura di tale procedimento e sulla posizione in esso assunta dalla P.A. titolare del diritto che vi si fa valere sono, infatti, sufficienti a dimostrare l'infondatezza della proposta assimilazione tra atto di iniziativa del procedimento e domanda giudiziale (o ricorso amministrativo tributario). Quesli due ultim atti danno luogo a procedimenti -giurisdizionale, il primo, e amministrativo contenzioso, il secondo -diretti alla decisione di una lite, cio alla risoluzione di un conflitto di interessi facenti capo a parti contrapposte, ad opera di un'autorit che si trova in una posizione di terziet rispetto agli interessi in contrasto e tende all'attuazione dell'interesse generale ed obiettivo dell'ordinamento (o, quanto meno, come nel caso del procedimento contenzioso tributario, realizza una funzione giustiziale, ponendosi super partes e non perseguendo in modo diretto la realizzazione di uno specifico interesse amministrativo). L'atto di iniziativa del procedimento sanzionatorio, -anche se posto in essere da un organo diverso da quello competente ad adottare il provvedimento conclusivo, ma appartenente pur sempre allo stesso complesso organizzatorio della P.A. -d luogo invece a un procedimento tipicamente amministrativo, diretto -anc.he se svolgentesi in contraddittorio e nell'osservanza dei principi di legalit e di .imparzialit che regolano l'attivit della P.A. -alla realizzazione di uno specifico. e puntuale interesse amministrativo ad opera dello stesso complesso ~rganizzativo della P.A. nella cui area funzionale compresa la cura dell'interesse pubblico leso dall'illecito commesso dal trasgressore. La durata di tale procedimento dipende esclusivamente dall'iniziativa dalla P.A. titolare dl diritto e non pu essere in alcun modo influenzata n dall'attivit del trasgressore n dalla eventuale pendenza di procedimenti giurisdizionali riguardanti il medesimo fatto che, in quanto qualificato come illecito amministrativo, forma oggetto di accertamento e di valutazione nel procedimento sanzionatorio. 608 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Manca, quindi, la possibilit di ravvisare rispetto a questo ultimo quelle esigenze che costituiscono la ratio delle norme che attribuiscono ""efficacia permanente all'interruzione della prescrizione determinata dalla notificazione dell'atto intmduttivo di un giudizio o dalla proposizione di un ricorso amministrativo in materia tributaria; e, conseguentemente, di applicare il principio sancito dalle stesse norme all'atto di iniziativa del procdimento sanzionatorio. Gli atti compiuti, nell'ambito di tale procedimento, dalla P.A. titolare del diritto arra riscossione della pna pecuniaria -pur rivelando l'intenzione del titolare di mantenere in vita il diritto e ponendosi, quindi, in contrasto con la presunzione di rinuncia al diritto che sta a base della prescrizione -non sono, tuttavia, tutti idonei ad interromperla. Il carattere tassativo delle cause interruttive della prescrizione, giustificatb dalle finait 'di ordine pubblico dell'istituto, impedisce, infatti, di ricollegare l'effetto interruttivo a quelli tra essi che, non essendo stati portati a conoscenza del trasgressore -debitore, non possano valere come atti di costituzione in mora. Il medesimo effetto interruttivo, a carattere istantaneo, deve essere riconosciuto invece a qualunque atto del procedimento portato dafla P.A. a conoscenza del trasgressore e, quindi, non soltanto al verbale di accert~mento de)l'infrazione valutaria notificato al trasgressore o da lui sottoscritto, sia esso formato dall'ufficio italiano cambi avente una propria personalit distinta da quella. dello Stato (v. sent. 29 gennaio 196i!, n. 241) o dagli organi della polizia tributaria Ev. sentt. 7 aprile 1976, n. 1223; 17 maggio 1969, n. 1692; 14 aprile 1969, n. 1186; 8 gennaio 1968, n. 34), ma anche ad ogni altro atto dello stesso procedimento che sia comunque portato a conoscenza de trasgressore e qulunque sia il contenuto, essendo esso in ogni caso diretto per la funzione che svolge nell'ambito del procedimento sanzionatorio, a far valere il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria e non essendo necessario, perch un atto proveniente dal creditore possa consider_arsi idoneo a costituire in mora il debitore, che esso contenga I'indicazione della precisa misura del credito. In caso di pluralit di atti interruttivi della prescrizione ciascuno di essi produce l'effetto che gli proprio; e, quindi, determina l'inizio, dalla sua data, di un nuovo termine di prescrizione, non operando in tema di prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria stabilita dalle norme sulle infrazioni valitarie -avuto riguardo al carattere civile della relativa obbligazione ed alla conseguente applicabilit della disciplina dell'interruzkme della prescrizione dettata dal codice civile -il limite massimo del termine prescrizionale stabilito dall'art. 160, terzo comma, cod. pen. con riferimento alla prescrizione del reato. P~TE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 609 Il procedimento sanzionatorio pu, quindi, legittimamente esaurirsi, in conseguenza del compimento di atti interruttivi della prescrizione, ben oltre il termine di cinque anni dal giorno in cui l'infrazione valutaria sia stata commessa. Ma quando -come, secondo l'ipcensurato accertamento dei giudici del merito, accaduto nel caso in esame -il provvedimento sanzionatorio sia stato adottato dopo oltre cinque anni dal compimento dell'ultimo atto interruttivo, il trasgressore pu dedurre -nel giudizio di accertamento negativo del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria, da lui promosso davanti al giudice ordinario -che la pena pecuniaria inflittagli con il dettQ provvedimento non dovuta, essendo prescritto il diritto dello Stato a riscuoterlo. Il ricorso delle Amministrazioni dve, conseguentemente, essere rigettato. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1978 n. 1549 -Pres. La Torre Est. Martinelli -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Soc. I.B.I. Imposte e tasse in genere -Interessi -Credito per soprattassa -Sono dovuti. (I. 22 gennaio 1961, n. 29, artt. 1 e 2). Poich la soprattassa soggetta alla, stessa disciplina del tributo cui afferisce, a questo equiparata anche agli effetti degli interessi moratori, che sono pertanto dovuti sulla soprattassa anche per il periotf.Q antecedente alla liquidaizane (1). (1) Sulfa questione generale cfr. la recente sentenza 16 febbraio 1978, n. 727, in questa Rassegna, 1978, I, 385. Notevole la precisazione che la decorrenza dell'obbligazione di interessi va stabilita, come per il tributo, dal momento della commessa violazione, anche se la liquidazione avviene successivamente. Ci , particolarmente rilevante per la legislazione attuale che prevede che il paigamento della soprattassa, come della pena pecuniaria, debba essere eseguito dopo la definitivit dell'accertamento o dopo la pronuncia di decisione definitiva o di terzo grado (art. 61 d.P.R. n. 633/1972; art. 73 d.P.R. 634/1972; art. 54 d.P.R. 637/1972); ma questo non esclude che gli interessi decorrano, mentre si procede all'accertamento o si controverte sulla debenza della soprattassa, dal momento dell'evento che d h~ogo alla sanzione. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 maggio 1978 n. 2115 -Pres. Caporaso Est. D'Orsi -P. M. Del Grosso (conf.) Soc. Ceramica Richard Gnori c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Bafile). Imposte dirette -Imposte dirette varie -Imposta cedolare -Legge 29 dicembre 1962, n. 1745 -Imputazione degli utili a riserva e contestuale distribuzione ai soci del fondo sovrapprezzo azioni - soggetta alla ritenuta. (I. 29 dicembre 1962, n. 1745). L'imputazione degli utili a riserva e la contestuale distribuzione per lo stesso importo del fondo sovrapprezzo azioni concreta una partita di giro soggetta all'imposta cedolare dell'art. 1 della Legge 29 ~icembre 1962 n. 1745 (1). (Omissis). -Il Consiglio di amministrazione della S.p.A. Ceramica italiana Richard Ginori di Milano nella relazione al bilancio 31 dicembre 1962 prponeva una ripartizione dell'utile conseguito in L. 577.831.0~7, nella quale era previsto un dividendo di L. 35 per azione, per complessive L. 525.000.000. L'assemblea dei soci tenutasi il 3 maggio 1963 nell'approvare il bilancio, stabiliva una diversa ripartizione dell'utile, del quale oltre al 5% alla riserva ordinaria (per L. 28.891.551) ed oltre al 3,50% al Consiglio di Amministrazione (per L. 19.212.881) passava a riserva -da utilizzare per la costruzione di uno stabilimento a Gaeta -L. 420.000.000 con il residuo utile a nuovo di L. 22.228.510. L'assemblea decideva anche di assegnare a ciascuna azione un dividendo unitario di L. 25, pari a complessive L. 500.000.000, utilizzando !.'.importo del fondo sovrapprezzo azioni. L'ufficio delle imposte di Mnano, ritenendo che con tale operazione fosse stata eseg1;1ita indirettamente una distribuzione degli utili di eser (1) .Questione di molto interesse. La manovra, eh.e potrebbe articolarsi anche in forme diverse, consistente nel non distribuire gli utili (per passarli a riserva o ad aumento di capitale) e distribuire invece, per rpari importo, la riserva o il capitale ridotto, non pu essere impiegata per eludere la tassazione degli utili che vengono in concreto distribuiti mediante una partita di giro. In sostanza qualunque distribuzione anche differita di somme provenienti da utili soggetta all'imposta, quali che siano state le imputazioni date agli utili stessi. Non valsa allo scopo la manovra attraverso la distribuzione del fondo sovrapprezzo azioni che (particolarmente oggi in forza dell'art. 45 d.P.R. 29 settembre 'i973, n. 597) non costituisce reddito; il fondo sovrapprezzo azioni non pi tal quando viene distribuito in conseguertza dell'imputazione a riserva di utili (solo formalmente) non distribuiti. Lo stesso art. 45 precisa, nella rubrica, che non costituiscono reddito le riserve non costituite con utili e, per esclusione, sono reddito le riserve, anche mediatamente, costituite con utili. I * 1i I I I ! i I PARTll I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA cizio, determinava in L. 75.000.000 la ritenuta d'acconto dovuta per l'imposta cedolare slla somma distribuita ai soci, oltre a L. 37.000.000 per l'omissione della ritenuta e la pena pecuniaria. Avverso questo accertamento proponeva ricorso la societ, sostenendo che nella specie non vi era stata una distribuzione di utili, bens la restituzione ai soci del sovrapprezzo da loro in precedenza versato. La Commissione distrettuale accoglieva il ricorso, annullando l'accertamento e la Commissione Provinciale confermava tale decisione. Su ricorso dell'ufficio la Commissione Centrale con decisione 16 febbraio '76, depositata il 23 febbraio successivo, annullava la decisione della Commissione Provinciale confermando l'accertamento. Con atto 17 marzo 1977 la S.p.A. Ceramica Italiana Richard Ginori ha proposto ricorso per cassazione. Resiste l'Amministrazione delle Finanze con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE La Commissione Centrale partita dalla premessa che l'art. l, primo comma, della legge n. 1745 del 1962 assoggetta alla ritenuta d'acconto gli utili in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione distribuiti e che. quindi non aveva rilievo la diversa forma dell'operazione, intesa a mascherare l'effettiva distribuzione di profitti. Ha cos ritenuto che l'operazione di accantonamento degli utili a capitale e la ripartizione tra i soci del fondo sovrapprezzo azioni non era consistita in realt nella distribuzione di somme facenti parte del capitale, bens in quella di utili. E la considerazione che le due operazioni erano state deliberate contestualmente stata decisiva per la Commissione centrale la quale in linea di fatto, ha anche negato validit, ritenendola errata, alla considerazione della Commissione Provinciale secondo cui era eccessiva la ritenuta d'acconto operata su L. 500 milioni. La Commissione Centrale ha infatti chiarito che l'importo degli utili al 31 dicembre 1962 era stato in realt di L. 577.831.017. L'unico motivo di ricorso avverso tale decisione denuncia la violazione di legge per errata interpretazione ed applicazione dell'art. 1 della legge 29 dicembre 1962 n. 1745: La ricorrente nega che possano trarsi a suo sfavore elementi presuntivi dalla contestualit delle deliberazioni adottate e pone in rilievo il dato normativo che per l'assoggettamento a ritenuta d'acconto pur sempre necessario .che ai soci siano distribuiti utili, laddove nella specie si era trttato di restituzione del soprapprezzo precedentemente versato dai soci medesimi. A conferma di tale interpretazione invoca l'art. 45 della_ legge n. 597 del 1973, il quale espressamente esclude che costituiscano reddito le 612 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO somme percepite dai soci a titolo di ripartizione di riserve costituite, tra l'altro con soprapprezzo di emissione delle azioni o quote. N~lla successiva memoria, illustrando questi concetti, la ricorrente pone anche in rilievo la circostanza che nel 1966 gli utili accantonati, essendo stato nel frattempo costruito lo stabilimento di Gaeta, furono distribuiti ai soci e sul loro ammontare fu corrisposta la ritenuta d'ac conto, con la conseguenza che la tesi adottata dalla Commissione centrale veniva ad avere come conseguenza una duplicazione di. imposizione tribu taria allo stesso titolo. Il mezzo deve essere rigettato. Va premesso che in questa sede non possibile un riesame della portata della leliberazione della societ cos come effettuato dalla Com mission_e Centrale, talch l'indagine resta circoscritta all'esatt~zza o meno dell'applicaizone della legge al caso concreto. Orbene la dizione dell'art. 1 della legge 29 dicembre 1962, n. 1745, secondo cui sono sogetti alla ritenuta d'acconto (( gii utili in. qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione distribuiti anche a titolo di accon to tale da comprendere ogni forma con cui vengono fatti pervenire . ai soci i profitti realizzati dalla societ. Sono pertanto necessari due requisiti costituiti l'uno dall'apporto di poste attive realizzata con l'attivit, sociale, l'altro dalla distribuzim;ie di corrispondenti somme ai soci in proporzione delle azioni e delle quote. L'eventuale imputazione delle nuove somme a riserva al fine di di stribuire ai soci le precedenti riserve si risolve in realt in una prtita di giro, la quale, qualunque sia u suo valore sul piano contabile, non pu valere su quello fiscale, che, sulla base di un principio generale, codificato anche nell'art. 8 L.R. del 1923 (ora art. 19 del d.P.R. n. 634 del 1972) bada alla realt dei fenomeni economici costituenti la fatti specie impositiva e non alla forma apparente. Gli che la riserva, una volta costituita, esplica una sua precisa funzione e potr essere distribuita ai soci (in tutto o in parte) solo quando sar cessata la necessit della sua esistenza o quando potr essete legittimamente ridotta. Ma finch essa deve esistere un'opera zione, quale quella di cui causa, , come si detto solo una partita di giro, che non pu far eludere l'imposizione fiscale (ritenuta d'ac conto) prevista ogni qualvolta alla societ affluiscono profitti, i quali poi sotto qualsiasi forma pervengono ai soci. Il -richiamo all'art. 2430 cod. civ., secondo cui una volta ricostituita la riserva legale possibile distribuire ai soci le somme risosse a titolo di soprapprezzo delle azioni, non ha rilievo nel caso in esame, perch riguarda la disciplina giuridica della consistenza economica della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA societ prescritta per legge e non il fenomeno tributario, alla cui base' c' una ratio completamente diversa. A ribadire 11esattezza della decisione della Commissione Centrale circa l'inammissibilit ai fini fisca,li della suddetta partita di giro va fatta l'ulteriore considerazione che se in ipotesi la riserva dovesse successivamente essere consumata per uno sfavorvole andamento della societ, i soci avrebbero in realt percepito utli in esenzione dalla ritenuta d'acconto. Lo s,tn1mento escogitato dalla ricorrente finisce, quindi, con il riversare sul Fisco due conseguenze: l'una di un ritardo nella percezione della ritenuta d'acconto, la quale verr corrisposta al momento non dell'introito dei profitti e della loro distribuzione, ma a quello in cui sar possibile distribuire la riserva, l'altra pi grave, di riversare sull'Erario il rischio della polverizzazione della riserva. N pu sussistere il pericolo della doppia imposizione. Una volta, infatti, ristabilita la realt della situazione e risolto il problema nel senso del pagamento della ritenuta d'acconto sulle somme distribuite ai soci sotto forma mascherata, la ricorrente potr richiedere la restituzione di quanto corrisposto successivamente coi:ne ritenuta d'acconto sulle riserve all'atto della loro distribuzione. Infine al richiamo all'art. 45 della legge n. 597 del 1973 non sposta i termini della questione perch si risolve in una petizione di principio, dando per certo che nel 1963 ai soci fossero state distribuite riserve e non utili. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 maggio 1978, n. 2116 -Pres. Falletti Est. Lipari -P. M. Pedac.e (conf.). -Soc. Coop. Latteria di Cameri (avv. Lucerenza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Sacchetto). Imposte e tasse in genere Notificazioni Persone giuridiche Servizio postale Firma illeggibile dell'avviso di ricevimneto senza indicazione della qualifica Irregolarit Sanatoria. (cod. proc. civ., artt. 145 e 149). Imposte e tasse in genere Contenzioso tributario Ricorso per Cassa zione contro decisione della Commissione Centrale Termine di sessanta giorni Applicabilit del termine di sei mesi Esclusione. (cod. proc. civ., art. 325). La notificazione alla persona giuridica presso a sede sociale a mezza del servizio postale recante nell'avviso di ricevimento un firma illeggibile non inaicante la qualifica non i inesistente, ma d luogo ad una 614 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO irregolarit irrilevante. e comunque sanata dalla successiva impugnazione proposta, se pure fuori termine, dal destinatario che non abbia eccepito il difetto di una delle qualit dell'art. 145 c.p.c. Il termine per impugnare con il ricorso per Cassazione la decisione della Commissione CentraZ.e in-ogni caso quello di 60 giorni dell'articolo 325 c.p.c. sia per le decisioni del precedente ordinamento sia per quelle dell'attuale; in nessun caso pu essere riferito al ricorso per Cassazione il termine di sei mesi un tempo previsto per la proposizione dell'autonoma azione ordinaria innanzi al tribunale dopo la pronuncia delle Commissioni, ormai soppressa e non sostituita dal gi esistente rimedio del ricorso per cassazione (2). (1-~) La iprima massima, che si allinea sul pi recente indirizzo meno rigoristico; riconosce validit alla notificazione alla persona giuridica eseguita a mezzo del servizio postale quando l'avviso di ricevimento sia sottoscritto con firma illeggibile non indicante la qualifica, purch la consegna del plico sia avvenuta presso la sede sociale. La massima non precisa se questa sia una mera irregolarit che non vizia la validit della notificazione ovvero una nullit sanata dalla proposizione dell'atto di reazione del destinatario (nella specie ricorso per cassazione contro la decisione della Commissione centrale) e neppure, ove s contesti il rapporto tra la persona che ha ricevuto l'atto e l'ente cui diretto, a chi spetti l'onere della prova. Sul primo punto sembrerebbe pi corretto ritenere che la notifica sia valida di iper s, senza bisQgno di sanatoria; e nella specie la proposizione fuori termine del ricorso per cassazione ha rilevanza pi come mezzo di prova e di riconferma della regolarit originaria che come atto che. produce la sanatatoria, apparendo dubbio il raggiungimento dello scopo. La sentenza 7 aprile 1976, n. 1223 (in questa Rassegna, 1976, I, 608) pi esplicitamente afferma che la firma se pure illeggibile pur sempre dotata di una certa impronta personalistica che fa presumere (ove non sia disconosciuta) la regolare ricezione; non spetta quindi al notificante dare la iprova del rapporto di servizio ex art. 145 (come era stato affermato con la meno recente sentenza ormai non pi condivisa 29 maggio 1972, n. 1683, in questa Rassegna, 1972, I, 816), ma ,se mai al soggetto che ha ricevuto la notifica dimostrare (non semplicemente dichiarare) l'estraneit all'ente della persona che presso la sede sociale ha rievuto l'atto. La seconda massima, di evidente esattezza, respinge un tentativo, per vero alquanto fantasioso, di allungare il termine per proporre il ricorso per cassazione, che regolato esclusivamente dalle norme del rito ordinario. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 maggio 1978 n. 2689 -Pres. Mirabelli Est. Virgilio -P. M. Grimaldi (conf.) -Della Ch c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). Imposta di successione Presunzione per mobili denaro e gioielli Prova contraria Inventario di eredit beneficiata eseguito a richiesta del legatario - valido. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 31; cod. civ., artt. 484, 490, 510, 540; cod. proc. civ., artt. 769 e segg.). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 615 Imposte e tasse in genere Interessi Sopratasse Sono dovuti. (I. 26 gennaio 1961, n. 29, artt. 1 e 3). Bench il coniuge (nella legislazione anteriore alla riforma del diritto di famiglia), non essendo erede, non fosse legittimato all'accettazione con benficio di inventario e quindi alla formazione dell'inventario, tuttavia efficace per vincere la presunzione dell'art. 31 dell'abrogata legge tributaria sulle successioni, l'inventario che sia stato comunque fatto nei modi .previsti per l'eredit beneficiata e nel rispetto delle forme di 1 rito (1). Gli interessi moratori sono dovuti anche sulla soprattassa soggetta alla stessa disciplina dell'imposta (2). (Omissis). -Con il primo (violazione degli articoli 490, 510, 1010 e.e., 769 e seguenti c.p.c., 31 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.) le ricorrenti censurano la sentenza impugnata sotto due profili: a) perch la Corte di appello ha escluso che il semplice usufruttuario dell'eredit possa procedere ad accettazione con il beneficio dell'inventario, omettendo cos di consideqtre che il ricorso a tale strumento giuridico deve ritenersi consentito all'usufruttuario al fine di sottrarsi all'eventualit del pagamento ultra vires hereditatis delle annualit e degli interessi dei debiti o dei legati gravanti sull'eredit, cui tenuto a norma dell'art. 1010 cod. civ.; b) perch la Corte ha, comunque, ritenuto che l'inventario richiesto da soggetto non abilitato ad avvalersi della facolt dell'accettazi~ne beneficiata sempre inidoneo, pur se redatto con l'osservanza di tutte le formalit prescritte, a vincere la presunzione stabilita dal primo comma dell'art. 31 del r.d. n. 3270 del 1923. La prima delle suddette censure non fondata. Va premesso che il coniuge superstite, succeduto ad una quota di usufrutto, ai sensi delle disposizioni del odice civile vigenti anterior mente all'entrata in vigore della legge 19 maggio 1975 n. 151 sulla riforma (1-2) Sulla prima massima non constano precedenti (le decisioni richiamate nel testo sono nel senso che un inventario completo necessario a vincere la presunzione, ma non si pongono il problema se esso sia sempre sufficiente); lecita qualche perplessit specie sul punto che un inventario eseguito dal lega tario possa essere utile non ad esso, ma all'erede che ha accettato l'eredit in modo puro e semplice e quindi sulla possibilit che l'erede, in possesso dei beni abbia disposto di essi non essendo soggetto alle limitazioni dell'accettante con beneficio di inventario. Certo che l'accettazione con beneficio di inven tario fatta dal legatario perch giovi all'erede un mezzo tortuoso da guardare con sospetto. La secondamassima riconferma la statuizione delle recenti sentenze 16 feb brai':d978, n. 727 e 5 aprile 1978, n. 1549 in questa Rassegna, 1978, I, 385 e 609). 616 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del diritto di famiglia, non era erede, ma semplice legatario ex lege (da utimo, Cass. 23 aprile 1976 n. 1465). In tale veste il coniuge del de cuius non era legittimato all'accettazione beneficiata, come ?On lo sono -pur dopo la riforma del 1975 il legatario o il semplice usufruttuario, in quanto possono avvalersi dell'istituto del beneficio di inventario soltanto i soggetti che, indicati con il termine inciso di chiamati nell'art. 510 cod. civ. abbiano la qualit di chiamati all'eredit e cio di eredi. Ci si desume senza possibilit di dubbi dal cordinamento della citata dispostzione con le altre che, riferendosi alla stessa materia (art. 484 e seguenti e.e.) chiariscono e completano il concetto di chiamato, con l'uso di inequivocabili esptessioni (chiamati all'eredit, erede). Oltre a questo elemento letterale, di per s. decisivo, anche la ratio delle suddette disposizioni concorre ad escludere che la tesi prospettata dalle ricorrenti abbia fondamento, giacch il beneficio dell'inventario, secondo il chiaro disposto dell'art. 490 e.e., mira a tener distinto il patrimon~o. del defunto da quello dell'erede, e cio ad evitare il fenomeno della confusione dei patrimoni stessi (che per l'erede deriverebbe dall'accettazione pura e semplice), onde egli possa scongiurare il pericolo di dover rispondere dei debiti e pesi ereditari ultra vires hereditatis. Per l'usufruttuario e per il legatario una tale eventualit non configurabile, perch essi non sono eredi e non sono tenuti a rispondere delle passivit ereditarie, per cui una loro accettazione con beneficio di inventario sareb~e priva del presupposto giuridico in relazione al quale l'istituto esclusivamente preordinato. N le obbligazioni previste a carico dell'usufruttuario per le passivit gr:avanti sull'eredit (art, 1010) possono indurre a diversa conclusione, in quanto anche in tale ipotesi l'usufruttuario -eventualmente tenuto a sopportare gli oneri connessi con la conservazione dell'usufrutto o, nel caso previsto dall norma, anche a sopportare la vendita del bene oggetto del suo .diritto per il pagamento di debiti ereditari -non giammai esposto al pericofo (che l'accettazione beneficiata ha appunto la finalit di prevenire) di dover rispondere con il suo patrimO'nio personale. Fondato , invece, l'altro profilo di censura prospettato con il primo motivo. Questa Corte Suprema ha avuto ripetutamente occasione di preci" sare che, ai fini del terzo comrp.a dell'art. 31 dell'abrogato r.d. 30 dicem bre 1923 n. 3270 (e cio per vincere la presunzione di esistenza, nell'ere dit, di gioielli, denaro e mobilia in una percentuale predeterminata rispetto al valore dell'asse), la norma tributaria ha fatto riferimento alle risultanze di inventari di tutela o di eredit beneficiata o fallimentare, o fatti in seguito ad apposizone di suggelli; in quanto ha ritenuto che f. --. I ~ f PARTE I, SEZ. VI, GltJRISPRUDENZA TRIBUTARIA -per le fina1it di ordine fiscale -l'inventario-documento, a causa della sua tipica funzione certificante e 'della provenienza da pubblico ufficiale, costituisse atto idoneo di rilevazione della consistenza concreta dell'asse, e fosse quindi sufficiente per escludere la presunzione legale di esistenza di giielli, denaro o mobilia in misura astrattamente determinata, dovendosi in tal caso aver riguardo, come stabilisce il quarto comma dello stesso art. 31, al val9r<;! di gioielli, del denaro e della mobilia quale risulta da detti documenti (e cio dagli inventari). Proprio con riferimento all'efficacia attribuita al documnto -inventario, in s stesso considerato, questa Corte Suprema ha anche avuto occasione di ritenere (Cass. 15 febbraio 19~3 n. 474, 22 ottobre 1975 n. 3487, ed altre) che soltanto l'inventario completo, ossfa contenente tutte le tassative indicazioni di cui all'art. 775 c.p.c. pu considerarsi idoneo a far venir meno la presunzione stabilita dall'art. 31, primo comma, della legge tributaria sulle successioni (r.d. n. 3270 del 1923) menfre l'omissione delle formalit prescritte;per la completezza del documento, anche se non a,scrivibile a colpa dell'erede, lo rende inidoneo a costituire la prova contraria alia detta presunzione. Dai richiamati principi si desume chiaramente che quel che interessa, ai fini d'ordine tributario, soltanto l'assoluta completezza, in senso sostanziale e formale, dell'inventario, il quale deve essere redatto con scrupolosa osservanza delle disposizioni che ne regolano il contenuto e le modalit di formazione. Questi requisiti sono necessari, ma nello stesso tempo sufficienti, perch il dbcumento assuma quell'efficacia certificatoria cui la norma tributaria ha. evidentemente avuto riguardo; considerandolo valido strumento per vincere la presunzione stabilita nel primo comma dell'art. 31 del r.d. n. 3270 del 1923. ' La Corte del merito ha ritenuto, seguendo la tesi dell'Amministrazione finanziaria, che neppure un inventario che fosse risultato tempestivo, ossia redatto nel termine prescritto, e completo (contenente tutte le indicazioni e i dati richiesti dall'art. 775 c.p.c.) poteva valere agli effetti di cui si discuteva, in quanto non era stato formato su iniziativa di soggetto avente qualit di erede e,. quindi legittimato all'acettazione beneficiata, e conseguentemente ha considerato assorOita e superflua l'indagine sui requisiti concreti dell'inventario prodotto. L'elemento della provenienza dell'inventario da accettazione beneficiata necessariamente effettuata da chi abbia qualit di erede non richiesto dall'art. 31 in esame. Questo rihiede bens che debba trattarsi di inventari di tutela o di eredit beneficiata o fallimentare o fatti in seguito ad apposizione di suggelli, ma ci significa soltanto che il documento -inventario deve essere stato predisp~sto a causa degli eventi giuridici indicati, e non anche RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO che si d~ba --al solo ,fin,e di vincere la pres1JI1Zione di carattere tributario -allargare di volta in volta l'indagine fino al punto di accertare se il soggetto che ha promosso l'inventario avesse affettivamente la qualit di erede come presupposto dell'interesse (sostanziale) alla separazione del patrimonio del defunto dal suo, e forse quindi legittimato all'accettazione beneficiata, ovvero (deve aggiungersi, per logica coerenza, in riferimento alle altre ipqtesi menzionate dalla norma) che si possa e si debba, sempre ai fini tributari che qui interessano, accertare se il fallimento, la tutela o !"apposizione dei suggelli, quali eventi che abbiano dato origine all'inventario, siano da, considerare validamente richiesti ed ottenuti, e per di pi se le relative istanze siano state proposte da soggetti forniti di sicura legittimazione. Va considerato che l'inventario giudiziale (eseguito cio secondo le disposizioni degli articoli 769 e seguenti del codice di proedura civile) si configura come necessario adempimento per il raggiungimento degli effetti che le procedure menzionate tendono a conseguire, ma nell'ambito di queste esso assume anche, quale atto certificatorio redatto da, pubblico ufficiale, ~n'autonoma efficacia probatoria, che resta valida -ai particolari fini che qui interessano -anche nel caso in cui, per altri motivl, le attuazioni giuridiche correlate alla redazione dell'inventario non hanno possibilit di realizzarsi. La norma tributaria (art. 31) si evidentemente riferita alla suindicata autonoma funzione dell'inventario, e non anche alla validit delle procedure nelle quali esso si inserisce, e tanto meno al raggiungimento degli effetti concreti delle procedure stesse, essendo tutto ci estraneo alle esigenze d'ordine fiscale tutelate dalla disposizione contenuta nell'art. 31. Una cos penetrante e complessa indagine non affatto richiesta dal terzo comma del citato art. 31, il quale configura una fattispecie legale che si realizza compiutamente, e diventa quindi idonea a superare la presunzione stabilita dal primo comma, ogni qualvolta vi sia un inventario formalmi;:nte e sostanzialmente completo, redatto a causa degli eventi giuridici richiamati dalla norma (tutela, eredit beneficiata, fallimento, apposizione di suggelli). Di fronte all'esistenza di un tale documento, ogni ulteriore indagine per quanto concerne il problema in discussione -esulerebbe dalle , esigenze della fattispecie concreta (che ha una finalit" meramente probatoria sia pure operante nel settore tributario) e non pu ritenersi consentita. A titolo di convalida dell'impossibilit di sconfinare in indagini del tipo anzidetto sufficiente rilevare che in alcune ipotesi, nel concorso cio di pi istituzioni testamentarie, ovvero di pi testamenti da coordi nare perch non incpmpatibili tra loro, pu essere di estrema delicatezza PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA stabilire chi degli istituti sia ~ceessor In unversum ius, e quindi erede, e chi, invece, sia soltanto legatario o fruttuario. Una tale penetra~te indagine non pu essere ammessa (eventualmente in contrasto con l'interpretazione attribuita dagli interessati alla volont del de cuius) al solo fine di stabilire se l'inventario per l'accettazione beneficiata provenga da soggetto avente effettivamente la qualit di erede e quindi, abilitato a tale accettazione. Per dare una spiegazione alla ritenuta necessit che l'inventario deve essere stato formato in base a procedura instaurata dall'erede la Corte del merito ha ritenuto maggiormente attendibile l'inventario promosso da soggetto legittimato all'accettazione beneficiata perch -in caso di omesse o infedeli dichiarazioni -l'erede decade dal beneficio (art. 494 e.e.) donde un suo pi marcato interesse a far risultare la verit. . Non ha considerato la Corte di appello clie questa astratta maggiore attendibilit dell'inventario eseguito su istanza dell'erede non costituisce argomentazione valida, e tanto meno decisiva, in favore della tesi accolta dalla Corte stessa, in quanto una siffatta evenienza, se ~i prospetta ipotizzabile per il chiamato in possesso dei beni ereditari (il quale , pi degli altri, in condizione di rendere dichiarazioni esatte o infedeli) non invece. configurabile per l'erede che non abbia il possesso dei beni, il quale pu essere, in tutto o in parte, ignaro della reale consistenza dell'asse e dei beni che lo compongono, e tuttavia ammesso all'accettazione beneficiata, con tutte le conseguenze che ne derivano. Questo rilievo toglie di per s consistenza al motivo addotto dai giudici di appello a sostegno della decisione adottata. Deve, comunque aggiungersi -in linea di principio -che l'eventuale, astratto pericolo di omissioni o di infedelt nelle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale incaricato di redigere !;inventario non in alcun caso eliminabile in via assoluta, mentre il pericolo stesso in parte scongiurato dalle cautele in cui improntato tutto lo svolgimento della procedura d'inventariazione, e in parte trova remora nell'assistenza alle .relative operazioni di soggetti che, avendo interessi anche contrapposti, rappresentano un punto di equilibrio destinato ad incidere positivamente sulla verit delle dichiarazioni rese in quella sde dagli intervenuti. In conclusione, pu affermarsi che l'ipotetico inco.nveniente indicato dalla corte di appello non costituisce valido argomento per autorizzare l'interprete ad includere, tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale di cui al terzo comma dell'art. 31 del r.d. n. 3270 del 1923, componenti non menzionate dalla norma e non rientranti, n dal punto di vista letterale, n in base alla ratio della disposizione, negli estremi richiesti dalla fattispecie medesima. In accoglimento della seconda censura proposta con il primo motivo, la causa dev'essere rimessa in fase di appello affinch i giudici di rinvio, RASSGNA OBLI/AVVOCATURA DELLO STATO 620 uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati, procedano a nuovo esame della controversia. I detti giudici dovranno, ovviamente stabilire se in concerto l'inventario in discussione possa titenersi tempestivo e completo, perch solo in tal caso il documento potr essere considerato idoneo a vincere la presunzione stabilita dall'art. 31. Va aggiunto, che l'inventario, ove presenti i detti requisiti, potr valere allo scopo indicato (superamento della presunzione agli effetti tributari), ma non potr naturalmente giovare all'erede per le conseguenze d'ordine successorio (accettazione beneficiata) mancando al riguardo come ha accertato la Corte del merito -una valida istanza proveniente da soggetto legittimato. Neppure potr l'erede giovarsi dell'inventario ai fini del ritardo nella presentazione della denuncia: di successione, avvenuta peraltro il 1 luglio 1953, come risulta dalla sentenza impugi:iata. Con il, secondo motivo (violazione e falsa applcazione degli articoli 183, 184, 189, c.p.c. 1 e 3 legge 30 luglio 1959 n. 559 e 360 n. 3 e 5 c.p.c.) le ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la domanda di illegittimit della pretesa tributaria relativa alla sopratassa per tardiva denuncia e tardivo pagamento, che era stata formulata con riferimento al condono fiscale previsto dalla citata legge n. 559 del 1959. La censura non fondata perch giustamente la Corte del merito ha osservato che la detta domanda (proposta soltanto nell'udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado), pur lasciando invariato il petitum introduceva nuovi temi di indagine -come quello della tempestivit del pagamento dell'imposta principal~. cui era subordinata l'applicabilit del condono, per cui una tale istanza non costituiva una semplice emendatio, ma assurgeva a vera e propria mutatio libelli, in ordine alla quale non era stato accettato il contraddittorio. L'esame della suddetta censura si reso necessario perch non risulta con chiarezza dagli atti quale parte delle somme richieste con le ingiunzioni a titolo di sopratassa si riferisce al ritardato pagamento dell'imposta liquidata in aggiunta a quella principale, per la ritenuta inoperativit dell'inventario ai fini del superamento della presunzione I1 di cui all'art. 31, primo comma, del r.d. n. 3270 del 1923 e quale parte ! si riferisce, invece, ai ritardi di presentazione della denuncia di successione e del pagamento del tributo principale. I La quota-parte della sopratassa riferentesi alla maggiore imposta ! i liquidata per effetto dell'applicazione della presunzione suindicata dovr ( seguire la stessa sorte di tale maggiore imposta, cui correlata, nel senso ; i che sar dovuta solo se, in esito al giudizio di rinvio, l'inventario risul-'! ! !I I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ter non completo e, quindi no_n idoneo a vincere la presunzione di cui avanti. Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 4 della legge 26 gennaio 1961 n. 29, 1 e 3 della legge 20 luglio 1959 n. 559, e 360 n. 3 c.p.c.) le ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto applicabili anche alla sopratassa gli interessi moratori previsti dalla legge n. 29 del 1961. La censura infondata. ,Questa Corte Suprema ha avuto gi occasione di esaminare la specifica questione ora sollevata, ed ha ritenuto (da ultimo, cass. 16 febbraio 1978 n. 727) che il testo dell'art. 1 della legge n. 29 del 1961 ha una formulazione ampia, in ordine alla materia considerata (somme dovute per tasse e imposte indirette sugli affari) per cui l'interprete non autorizzato a limitarne la portata in riferimento alla denominazione formale del tributo. stato perci ritenuto che la sopratassa, essendo una prestazione integrativa del tributo al quale afferisce, costituisce una maggioraziOne di questo, e configura come un'obbligazione della stessa natura, soggetta alla medesima disciplina sia per l'accertamento che per la riscossione (v. Cass. Sez. Un. 16 dicembre 1968 n. 3983) alla quale sono pertanto applicabili gli interessi di mora previsti dalla legge n. 29 del 1961. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1978, n. 2294; Pres. Mirabelli -Est. Granata -P. M. Ferraiuolo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Bafile) c. Istituto di Credito Agrario per la Toscana (avv. Ciantelli). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette Privilegio speeiale . Concorso con ipoteca anteriormente iscritta Prevalenza dell'ipoteca. (cod. civ., artt. 2741, 2748, 2772, 2808, 2836, cod. proc. civ., art. 619). Imposta di registro Decadenza da agevolazioni Nascita dell'obbligazione tributaria con effetto ex tunc , Imposta di registro Momento della nascita dell'obbligazione tributaria Data della stipulazione -Concorso di privilegio speciale e ipoteca Ipoteca iscritta dopo la stipulazione e prima della registrazione - anteriore il privilegio. L'ipoteca che va definita come diritto reale, ricompresa nella previsione del primo comma seconda parte dell'art. 2772 che pone una deroga alla regola generale dell'art. 2748; di conseguenza il privilegio speciale dello Stato per crediti su tributi indiretti non pu essere eser 622 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO citato in pregiudizio dell'ipoteca acquistata anteriormente sull'immobile trasferito al quale il privilegio si riferisce (1). Nell'ipotesi di decadenza da agevolazioni l'obbligazione tributaria deve intendersi sorta, anche ai fini della poziorit dei privilegi, con . effetto ex tunc al momento in cui sarebbe stata dovuta l'imposta ordinaria (2). Il credito dello Stato per imposta di registro (a1_1che quando si tratti di imposta dovuta in misura ordinaria a seguito della decadenza da agevolazioni) nasce, in una al connesso privilegio speciale immobiliare di cui all'art. 2772 e.e., al momento e per effetto della confezione dell'atto e non al momento della successiva registrazione, s che l'ipoteca iscritta dopo lq stipulai.ione, se pure prima della registrazione, cede al privilegio sorto anteriormente (3). (Omissis). -1. -Il conflitto tra il privilegio speciale, correlato al credito per l'imposta di registro pretesa dalla Finanza nella misura ordinaria a seguito della sopravvenuta decadenza del Drago dalle agevolazioni in favore della piccola propriet contadina ex legge 6 agosto 1954, n. 604, accordategli all'atto della registrazione del suo acquisto per rogito Tavassi in data 17 luglio 1959, e l'ipoteca, con questo regito concessa dal Drago sull'immobile da lui acquistato, a garanzia del mutuo ergatogli dall'Istituto federale di credito, oggi resistente, stato dalla sentenza impugnata risolto in favore della seconda, affermando -in tesi -che fra i diritti dei terzi, in pregiudizio dei quali, se acquistati anteriormente, non pu essere esercitato (ex art. 2772, comma 1 e.e., nel testo anteriore alla legge 29 luglio 1975, n. 426) il privilegio speciale immobiliare per i tributi indire,tti dello Stato, .rientrano anche i diritti reali di garanzia, quale appunto l'ipoteca, e riconoscendo -in ipotesi -che la garanzia ipotecaria delflstituto mutuante sarebbe sorta prima del credito tributario fatto valere dalla Finanza, e del relativo privilegio. Contro l'argomentazione motiva di tesi si appuntano le censure svolte dal'l'Amministrazione finanziaria con il primo motivo di ricorso, (1-3) La sentenza ha affrontato per la prima volta con pienezza di indgine il complessd problema del conflitto tra privilegio speciale che assiste il credito per imposte indirette e l'ipoteca. La prima questione che si presenta se l'art. 2772 e.e. (si fa riferimento al vecchio testo, ma la novella non rilevante sul punto) introduca una deroga alla reigola generale dell'art. 2748; questa presuppone la soluzione dell'altro prob_ lema di diritto privato comune, se l'ipoteca sia un diritto reale. I due soli precedenti di giurisprudenza, non molto approfonditi, erano in netto contrasto (Cass. 14 dicembre 1971, n. 3637 e 27 luglio 1972, n. 2567, in questa Rassegna, 1972, I, 134 e 1170). La sentenza ora intervenuta con ampia motivazione ha affermato PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 623 mentre l'argomentazione di ipotesi forma oggetto del secondo e del terzo motivo. 2. -II primo motivo -. denunziando, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2741, 2748, 2772, 2808, 2836 e.e., r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, erronea e contraddittoria motivazione --:-svolge, in sostanza, l'assunto che l'art. 2772 non conterebbe, quanto all'imposta di registro, alcuna deroga all'-art. 2748, che in linea generale, e cio indipendentmente dalla loro concreta sequenza cronologica, sancisce la prevalenza, salva diversa disposizione di legge, dei privilegi speciali immobiliari sulle ipoteche. Sulla .premessa che i diritti, di cui l'art. 2772 comma 1 (vecchio testo) sancisce la prevalenza sul privilegio immobiliare se acquistati anteriormente a questi, sono quelli di natura reale, l'Amministrazione trae argomento a favore della sua tesi in primo luogo dalla peculiare natura a suo dire certamente diversa da quella di vero e proprio diritto reale su cosa altrui, riconosciuta all'ipoteca dalla nuova codificazione sia attraverso la collocazione (nel titolo III del libro IV, sotto il titolo della responsabilit patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale) e la definizione (appunto come causa legittima di prelazione, ex art, 2741 e.e.), sia attraverso il particolare regime del diritto di .seguito attribuitole, tale che essa non sottrae il bene cui si riferisce all'azione esecutiva e si estingue se non esercitata nel corso d!:!ll'esecuzione (rt. 2878 n. 7). A conferma la ricorrente cita ancora l'art. 619 c.p.c., che nella locuzione altro diritto reale , oltre alla propriet, alla cui titolarit riconnette la legittimazione a proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione, certamente non ricomprende il diritto che .,fra i diritti che i terzi hanno anteriormente acquistato sugli immobili, secondo l'espressione dell'art. 2772, compresa l'ipoteca che pertanto, se ante riormente iscritta, prevale sul privilegio speciale in deroga alla regola generale dell'art. 2748; a questa conclusione la S.C. perviene sia in base alla definizione 1 dell'ipoteca come diritto reale secondo la tradizione non novata dal codice del 1942, sia iin base a considrazioni pi specifiche di carattere tributario. La soluzione di cos sottile questione pu autorizzare riserve o dissensi; ma le ulteriori statuizioni contengono la portata della deroga alla regola generale entro ristretti limiti, apportando ad un tempo chiarimenti importantissimi alla natura stessa dell'obbligazione di imposta di registro. La seconda massima esaurisce in poche battute la questione del momento della nascita dell'obbligazione per l'imposta ordinaria dovuta a seguito di decadenza da agevolazioni. Rifacendosi alle recenti decisioni che hanno ritenuto che la decorrenza degli interessi moratori va fissata al momento in cui doveva corrispondersi l'imposta normale se l'agevolazione non fosse stata domandata (Cass. 14 febbraio 1975, n. 565 e 28 giugno 1976, n. 2444, in questa Rassegna, 1975, I, 563; 1976, I, 1033), la S.C. enuncia con assoluta chiarezza il principio che l'evento che p_roduce la decadenza condiziona l'agevolazione non gi gli effetti del negozio e della relativa tassazione, s che presupposto dell'obbligazione il negozio, non pi fruente del beneficio, non l'evento che .provoca la decadenza. 624 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di ipoteca, e sottolinea la diversit testuale della espressione diritti senza ulteriore specificazione usata dall'art. 2772 rispetto a quella diritti reali di ogni genere scritta invece nel corrispondente art. 1962 del e.e. 1865, qualificandola particolarmente significativa se considerata alla luce della contestuale scomparsa nel codice vigente, della espressa definizione dell'ipoteca come diritto reale, data, invece, dall'art. 1964 del previgente codice: ed invero, essa osserva, il citato art. 2772, se effettivamente avesse un contenuto derogativo alla regola generale dell'art. 2748, sarebbe d stretta interpretazione, si che dopo la soppressione delle parole di ogni genere sarebbe arduo intenderlo riferito anche all'ipoteca. E che in realt questa ne sia esclusa, si ricava -ad avviso della ricorrente -anche dal sistema della disciplina positiva dettata per i privilegi. Letteralmente, infatti, il raffronto con gli articoli 2747 e 2748 dimostrerebbe che, ai fini della efficacia dei privilegi, ben netta la separazione fra i diritti reali veri e propri, qui denominati semplicemente diritti ed il pegno e l'ipoteca, sicch anche l'art. 2772, quando usa la stessa espressione, non potrebbe intendersi riferito all'ipoteca. Ci, del resto., risponderebbe ad una ratio evidente. Il diritto reale limitato, una volta costituito, comporta una diminuzione del diritto inciso, che sol nella parte residua pu formare oggetto di disposizione: solo al valore di questa parte pu riferirsi il tributo ed quindi logico che solo su di essa gravi il relativo privilegio, mentre il titolare del diritto distaccato ha il potere di sottrarre il bene, per la parte di sua spettanza, all'azione esecutiva del creditore privilegiato. L'ipoteca, Assai pi importante, e pi riccamente illustrato in motivazione, il problema enunciato nella terza massima. Posto che l'ipoteca, se anteriore, prevale sul privilegio, occorre stabilire quale sia il momento della nascita dell'obbligazione tributaria e del relativo privilegio specie in riferimento al'ipotesi che l'ipoteca sia stata iscritta nel tempo intercorrente tra la stipulazione (confezione) dell'atto e la sua registrazione ovvero alla situazione non infrequente che lo stesso atto abbia dato causa all'iscrizione di ipoteca e all'obbligazione di imposta di registro e l'ipoteca sia stata iscritta, come bene possibile ex articolo 2836 e.e., prima della registrazione, che pure sia stata eseguita nel termine' normale di venti giorni. Se si affermasse che l'obbligazione d'imposta di registro nasce al momento della registrazione, il privil~io speciale cederebbe irrepa rabilmente all'ipoteca anche quando. essa, come nel caso discusso, presuppone il negozio soggetto all'imposta. Ma la S.C. ha escluso tale evenienza affermando (con statuizione di grande rilievo anche ad altri effetti, che mette chiarezza nel contrasto tra diverse pronunzie scarsamente meditate) che l'obbligazione sorge al momento della confezione dell'atto, sebbene il concreto adempimento a seguito della registrazione possa essere, anche lungamente, differito. Dopo aver accantonato l'argomentazione traibile dall'ultima parte del primo comma dell'art. 2772 (vecchio testo) che concerne esclusivamente l'imposta suppletiva, la sentenza in nota basa la sua conclusione su tre fondamentali considerazioni: 1) la base imponibile commisurata al valore venale in comune commercio alla data del trasferimento (art. 15, 16 e 19 r,d. 7 agosto, 1936, n. 1639); PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 625 invece, argomenta l'Amministrazione, non distacca alcun contenuto del diritto inciso: il bene, quindi, bench ipotecato, viene trasferito, nella pienezza di tal diritto, sicch, ove ci avvenga, l'imposta naturalmente commisurata al val9re dell'intero bene, e cos pure il privilegio, mentre parimenti ovvio che il titolare dell'ipoteca non possa sottrarre l'intero bene all'azione esecutiva. Considerazione analoghe giustificherebbero anche il diverso trattamento previsto per l'imposta di successione dal successivo 2 comma dello stesso articolo 2772 (oggi comma 6 nel testo novellato), che non si spiegherebbe n in termini di applicazione specifica di una. pi generale funzione derogatoria dell'intero articolo alla regola sancita dal precedente art. 2748, n, all'inverso, in chiave di eccezione, per ci specificamente prevista, all'opposto (asserito) canone espresso nel primo comma (nel testo non novellato), ma si fonderebbe, invece, su una ratio affatto diversa: sul fatto, cio, che i creditori del defunto possono iscrivere ipoteca successivamente alla morte di lui soltanto in base a titlo che abbia acquistato data certa anteriormente all'apertura della successione, ossia sulla base di titoli, in forza dei quali gli stessi debiti garantiti da ipoteca sono ammessi in deduzione dall'attivo dell'asse ereditario ex art. 45 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, sicch non si giustificherebbe subordinare il diritto del creditore ipotecario al privilegio tributario quando l'imposta non dovuta, come nel caso del diritto di godimento non trasferito. A conferma della tesi, la ricorrente adduce, infine, un ulteriore rilievo tratto dall'art. 2836 e.e., argomentando che questo, prevedendo la possibilit di procedere ad iscrizione dell'ipoteca in base ad atto pubblico ed a sentenza prima della registrazione con la sola incombenza della trasmissione all'ufficio tri 2) la decorrenza degli interessi in caso di omissione di formalit (registrazione) fissata al giorno in cui l'imposta sarebbe stata dovuta se la formalit fosse stata eseguita (art. 3 legge 26 gennaio 1961, n. 29); 3) essendo la registrazione un obbligo giuridicamente sanzionato, non concepibile che la nascita dell'obbligazione rpossa essere arbitrariamente ritardata sulla base della violazione di tale obbligo. In definitiva il termine di venti giorni un termine per adempiere una obbligazione .gi sorta non un termine che condiziona la nascita dell'obbligazione. Cos concepita l'obbligazione tributaria, la prevalenza dell'ipoteca sul privilegio speciale pu aversi solo quando l'ipoteca, in base ad un titolo diverso, sia stata iscritta prima della stipulazione dell'atto; in tal caso il trasferimento di un immobile gi gravato di ipoteca non assistito da privilegio, il che desta qualche perplessit se non altro perch la stessa regola non vale per il privilegio speciale che assiste i crediti per tributi diretti (art. 2771 cpv. in relazione all'art. 2748); ma resta acclarato che nell'ipotesi pi frequente di concorso di privilegio e ipoteca fondati sullo stesso titolo non sia lasciato al privato il potere di manovrare sull'ordine delle cause di prelazione anticipando l'iscrizione dell'ipoteca e ritardando la registrazione e, pi in generale, che l'esistenza dell'obbligazione per imposta di registro non dipende dalla iniziativa della parte che richiede la registrazione. 626 RASSEGNA .DELL'AVVOCATURA DELW STATO butario di un esemplare della nota, presuppone che l'anticipata iscrizione non possa pregiudicare i privilegi da cui l'imposta stessa sia assistita. 3. -I,.a censura infondata. Il problema con essa posto se, tra i diritti dei terzi -di cui l'art. 2772, nell'eventuale conflitto con il privilegio immobiliare attribuito ai crediti dello Stato per tributi indiretti, proclama la salvezza se acquistati anteriormente (comma 1, secondo periodo, nel testo del 1942; comma 4, nel testo novellato dalla legge 29 luglio 1975, n. 426), ed anche successivamente quando il credito fiscale consista in una imposta suppletiva (comma citato, terza proposizione, nel testo. originario, con riferimento al solo tributo di registro; comma S9 , nel testo come sopra novellato, riferito genericamente a tutti i tributi suppletivi) -rientri, oppur no, anche la ipoteca, e se, conseguentemente, tale disposizione si ponga come deroga, o al contrario come un~ applicazione, rispetto alla regola sancita dal precedente art. 2748, comma 2, sulla prevalenza dei -privilegi immobiliari di fronte alle ipoteche sia anteriori che successive. Nella vigenza del e.e. del 1865 il problema non risulta essersi neppure posto all'interprete (cfr. Cass. 5 giugno 1941 n. 1670; Cass. 21 luglio 1937, n. 2616). E bene a ragione, che, in quel sistema normativo, la espressa definizione della ipoteca come diritto reale (art. 1964, comma 1) e la designazione con la locuzione diritti reali di ogni genere delle situazioni soggettive dei terzi fatte salve rispetto al privilegio immobiliare per tributi indiretti (art. 1962, comma 2) non consentivano di dubitare essersi in tal guisa introdotta una deroga alla prevalenza indiscriminata del privilegio sulla ipoteca, sancita in via generale dall'art. 1953, comma 1. Di fronte a tale certezza, tratta dalla lettera e dal sistema, il riferimento ai soli terzi possessori, contenuto nel prosieguo del discorso normativo scritto nello stesso art. 1962 (comma 2, secondo periodo, ultima parte), era argomento ermeneutico troppo scarso e troppo equivoco per giustificare le opposte illazioni trattene, a conforto di una conforme lettura del corrispondente art. 2772, comma 1, e.e. vigente, da una precedente sentenza di questa Corte Suprema (sent. 14 dicembre 1971, n. 3627). Per un verso, invero la delimitazione del novero dei terzi preferiti, nelle diverse fattispecie legali rispettivamente regolate dalle d~e proposizioni in cui' l'intero discorso svolto nel secondo periodo del secondo comma dell'art. 1962 si articolava, appare in ciascuna tracciata su piani e con criteri eterogenei (situazione di diritto, nella prima proposizione; mera situazione possessoria, nella seconda), sicch non sembrerebbe corretto volere argomentare dal- l'una disposizione per meglio comprendere il significato dell'altra. Per altro verso, e pure a volere intendere il riferimento al possesso non PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 627 in senso proprio, ma quale mero indice fattuale delle situazioni di diritto apparentem~nte ad esso sottese, non si ravvisa la ragione per la . quale la limitazione della prevalenza -nel caso di privilegio fiscale anteriore, correlato alla sola imposta suppletiva -ai diritti reali diversi dall'ipoteca sarebbe stato inconciliabile con la (statuizione di) prevalenza dei diritti reali di ogni genere, compresa fipoteca, nella div_ersa ipotesi di privilegio fiscale posteriore correlato ai tributi indiretti in genere. Senza dire, poi, che pure nel caso (denegato) di incompatibilit, questa si sarebbe dovuta dall'interprete eliminare, attesa la certezza dell'inclusione anche della ipoteca fra i diritti dei terzi non pregiudicati, se anteriori, dal privilegio, mediante una lettura estensiva della disposizione successiva, concernente l'ipotesi del privilegio immobiliare posteriore correlato ad imposta suppletiva.. Meno netta, invece, la situazione normativa configurata dal e.e. del 1942. (e non toccata, per i punti che qui interessano, dalla novella di cui alla citata legge n. 426 del 1975). Quanto alla natura dell'ipoteca, infatti -a parte la collocazione, giustificata da ragioni sistematicl).e affrenti a profilo tutt'affatto diverso della funzione dell'istituto . (Relaz. al Re n. 1065), di per s non incompatibile con una struttura di natura reale (anzi riconosciuta ben spesso non aliena al complesso degli istituti, aventi analoga funzione, raccolti sotto la stessa collocazione: Relaz. cit. loco cit.) -la volont agnostica del legislatore chiaramente traspare sia dalla mancata riproduzione (cfr. art. 2808, comma 1) della precednte formula definitoria, sia dalla intenzionalit della omissione, attuata proprio al dichiarato proposito (ben comprensibile alla luce delle montanti polemiche dogmatiche sulla natura dell'ipoteca, della quale proprio negli anni della codificazione si era pervenuti anche a negare, autorev9hnente, l'appartenenza al diritto sostanziale) di lasciare all'interprete il compito definitorio sulla base degli elementi testuali e tenendo presenti nella loro interdipendenza tutti gli effetti della garanzia accordata con l'istituto (relazione cit. n. 1135). E se vero che, ci malgrado, talvolta il testo normativo all'evidenza utilizza anche per la ipoteca la formula diritti reali , come l'art. 813, che sotto siffatta rubrica menziona anche (comma 3) l'ipoteca, vero anche che, altra volta, malgrado una apparenza definitoria analoga, traspare una intenzione opposta, come nell'art. 2862 . che, mentre nella rubrica (ipoteca ed altri diritti reali) sembra guardare anch'esso alla ipoteca come ad uno dei pi diritti reali configurati dall'ordinamento, invece nel testo adotta un ordine di enumerazione (ipoteca, servit ed altri diritti reali) che, raffrontato con quello (servit, ipoteca, altri diritti reali) seguito dal corrispondente art. 2017 del e.e. 1865, lascia trasparire il preciso intento di evitare quanto pi possibile, attraverso l'attenuazione anche del legame sintattico fra le llllllllllllttllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO corrispondenti denominazioni, una intima assimilazione tra l'ipoteca e altri diritti reali. Inoltre indubbio, come sottolinea l'Amministrazione ricorrente, che nel coevo codice di rito la locuzione diritto reali dell'art. 619 non ricomprende l'ipoteca'. Da tutto ci discende la indubbia necessit p~r l'interprete di usare molta cautela nella lettura di disposizioni espresse con formule riferite alla categoria dei diritti reali, o con formule comunque equivalenti. Ora, nell'art. 2772 -ed anche, sul suo modello, nei successivi articoli 2773, oggi abrogato per effetto della legge n. 426 del 1975 citata, e 2774 -si parla, come si ripetutamente accennato, di diritti , e non pi di diritti reali di ogni genere . Anche soltanto cl.i diritti , in conflitto con i privilegi, si parla nei precedenti articoli 2747 e 2748, compresi fra le disposizioni generali della sezione I. Ed vero, come in dottrina non si dubita sulla scorta, del resto, delle univoche precisazioni offerte dai lavori preparatori (Relaz. Comm. Reale dir. reali, pp. 167 e 168; Relaz. al Re, n. 1129), che tali diritti sono i diritti reali, donde la pertinenza e ragionevolezza, in principio, del richiamo alla regola che impone di adottare, almeno come linea di tendenza, la medesima lettura per la identica formula usata dal legislatore. in disposizioni topograficamente e concettualmente contermini. Ma in concreto, ai fini che qui interessano, il risultato ermenutico per tal via attingibile equivoco, perch se vero che per il privilegio speciale sui mobili la locuzione diritti di cui all'art. 2747, comma 2, non ricomprende quelli reali di garanzia, essendo per il pegno specificamente dettata, la successiva disposizione del 1 comma dell'art 2748, per anche vero che per il privilegio generale (ancora) sui mobili lo stesso art. 2727, nel 1 comma, intende i diritti pure in esso menzionati in senso assolutamente onnicomprensivo, con riferimento tanto a quelli di godimento che a quelli di garanzia. Ed allora, in mancanza d una diversa -indicazione testuale precisa, la caduta dal testo normativo vigente (art. 2772 e.e. 1942) della specificazione reali di ogni genere non pu valere a conferire alla locuzione residua diritti >>, proprio per la ontologica universalit semantica del termine, un significato pi ristretto di quella usata dal testo previgente (art. 1962 e.e. 1865, ricomprendente, come si visto, anche l'ipoteca); e ci, del resto, in perfetta consonanza con l'intento per nulla innovatore perseguito dal legislatore, secondo l'indicazione a chiare lettere datane dalla Relazione al Re (n. 1132), la dove si legge che l'articolo 2772 riproduce, in sostanza, ma con formula pi generica e comprensiva la disposizione dell'art. 1962, 2 comma, del codice del 1865 relativamente alla prevalenza che sul privilegio :hanno f diritti acquistati dai terzi sull'immobile prima del sorgere del credito dello Stato, cos autenticamente chiarendosi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA citata sentenza n. 3637 del 1974, il precedente brano della stessa Relazione (n. 1129) sulla riproduzione, nell'art. 2748 secondo comma, del principio tradizionale che vuole il privilegio immobiliare prevalente sull'ipoteca sia anterior che posteriore, non intende certo escludere la possibilit di deroghe, secondo quanto del resto espressamente prevede lo stesso testo normativo cos commentato. Anzi, la eliminazione dal dettato legislativo del riferimento alla realit dei diritti del terzo, fatti salvi rispetto al privilegio fiscale, palesa, a ben guardare, un significato di segno esattamente opposto a quello propugnato dalla ricorrente, in quanto ben si comprende -nella logica di un legislatore che intendeva mantenere l'ipoteca tra tali diritti come sia stata da lui avvertita la necessit di adottare una formula verbale che, spogliandosi di ogni riferimento alla realit delle situazioni soggettive considerate, non aprisse spiragli a dubbi nel momento stesso in cui la definizione dell'ipoteca come diritto reale non veniva riprodotta nella nuova codificazione. E che la norma di cui all'art. 2772, comma 1, secondo periodo (nel testo originario) costituisca una delle deroghe che l'art. 2748, comma 2, nel dettare la regola della .subvalenza delle ipoteche prevede possano essere introdotte da speciali disposizioni, trova conferma, sul piano razionale, nella considerazione che, tra tutti i privilegi immobiliari tipizzati dal legislatore, quelli previsti in favore dello Stato per i tributi indiretti si correlan,o a vicende giuridiche, quali i trasferimenti. inter vivos e le successioni mortis causa, predicati nella realt storica dalla ineluttabilit, per alcune, e dalla normalit e frequenza, per altre, del loro verificarsi, onde soltanto il ripristino dell'elemento cronologico come criterio risolutivo del conflitto tra siffatti privilegi immobiliari e la garanzia ipotecaria si appalesa idoneo a conservare a quest'ultima effettiva capacjt operativa. Per contro, non sembra trovare corrispondenza nel diritto positivo -per quanto riguarda l'allegazione fattane con riferimento alla disposizione dell'art. 2772, comma 2; in tema d imposta di successione la diversa ratio prospettata dall'Amministrazione ricorrente in relazione al differenziato modo in cui ipoteca, da un lato, e diritti reali di godimento; dall'altro, reagirebbero sull'imponibile tributario correlato alla vicenda traslativa del bene oggetto dell'una e degli altri. Il semplice raffronto tra l'enumerazione dei titoli che consentano l'iscrizion~ ipotecaria (scrittura privata autenticata, giudizialmente riconosciuta, alto pubblico, sentenza: artt. 2835 e 2836 e.e.) e quella dei titoli che consentono la deduzione delle passivit dall'asse ereditario (al quale fine occorre, quanto alla scrittura privata, che le passivit da dedurre siano da essa nascenti -e ci pu non sussistere nel caso di scrittura puramente concessiva della garanzia ipotecaria -e non soltanto risultanti , come 630 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sufficiente, invece, per fafto pubblico e la sentenza sempre che, per, quest'ultima sia anteriore alla apertura della successione, che invece circostanza indifferente per l'iscrizione dell'ipoteca sui beni del defunto (art. 45, commi 1 e 2, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, vigente al momento della codificazione) dimostra, invero, come non vi sia, fra le due serie di titoli, quella piena coincidenza, sulla quale si basa l'argomentazione della ricorrente. Ma quand'anche la ricostruzione della ratio legis da costei proposta fosse esatta, le implicazioni ermene1,1tiche derivabili sa rebbero opposte a quelle che la stessa ricorrente vorrebbe trarne, giac-. ch. -una volta postulata come indefettibile la coincidenza fra l'oggetto dell'imponibile, e del correlato privilegio fiscale, ed il contenuto effettivo del diritto trasferito con l'atto tassato (depauperato di quanto ne _stato distaccato, nel caso di previa costituzione di un diritto reale di godimento; pieno ed integro, invece, nel caso di mera iscrizione ipotecaria) -ne segue che la espressa posiziop.e di una specifica norma, volta a statuire la non opponibilit del privilegio _al titolare di un diritto anteriormente acquistato, in tanto non si rivela inutile, in quanto la si intenda dettata (quanto meno anche) per dare prevalenza a quel diritto -l'ipoteca.-che a differenza degli altri -i diritti reali limi tati di godimento -non l'avrebbero di per s. Indicazioni contrarie alle conclusioni cui si ritiene di dover perve nire neppure possono trarsi dall'art. 2772, comma 2 (nel testo non no vellato; comma 6 nel testo novellato) o dall'art. 2836. Quanto al primo, perch il tentativo di argomentare che il legis1atore, in tanto ha avver tito I.a necessit di dettare tale specifica regola del conflitto tra privi legio ed ipoteca, in quanto non ha contemplato Ia ipoteca stessa nel comma precedente, non pu avere fortuna, posto che l'esistenza della particolare disposizione considerata troverebbe in ogni caso giustifica zione autonoma nelle altre sue peculiarit (fiferimento alla sola impo sta di successione e, soprattutto, statuizione di subv~lenza anche per il privilegio anteriore, entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione). Quanto al secondo, perch l'esigenza logica rappresentata dall'Amministrazione (di non ipotizzare un sistema normativo che, nello stesso momento in cui, da un -Iato, condiziona la garanzia approntata per i crediti tributari dello Stato iri ragione della-loro causa al dato cronologico della precedenza dei medesimi alle ipoteche costituite sui medesimi beni a favore di terzi, consentirebbe, dall'altro, l'utilizzazione di un meccanismo, in forza del quale il terzo interessato messo in grado di rendere normalmente e sistematicamente il proprio titolo di prelazione anteriore a quello dello Stato) trova pieno soddisfacimento, come fr~ breve si dir procedendosi all'esame del terzo motivo di ri corso, nella constatazione che il privilegio, nascendo, in una al credito tributarfo assistito, con la stipulazione dell'atto tassato, non pu mai PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA trovarsi cronologicamente anticipato dalla garanzia ipotecaria con l'atto stesso eventualmente accordata ad un terzo. Sicch, concludendo sul punto dei rapporti fra l'art. 2772 e l'art. 2748 cod. civ., afferma il Collegio -cos uniformandosi al precedente arre~ sto n. 2567 del 27 luglio 19.72, con cui questa Corte Suprema ha gi adottato, peraltro senza darsi e_Spressamente carico della complessa problematica connessa e senza comunque mostrare di avvertire il contrasto giurisprudenziale cos provocato, l'orientamento opposto a quello seguito dalla citata sentenza n. 3637 del 1971 -che, in deroga alla generale prevalenza accordata al privilegio speciale immobiliare sull'ipteca qualunque sia la sequenza cronologica dell'uno rispetto all'altra, il privilegio accordato ai crediti dello Stato per tributi indiretti non pu esercitarsi in pregiudizio della ipoteca da terzi acquistata anteriormente sull'immobile oggetto del trasferimento tassato. 4. -Alla stregua di tale conclusione, diviene allora rilevante accertare se, nella specie, il prtvilegio -spettante allo Stato a garanzia del credito avente ad oggetto l'imposta ordinaria dovuta, a seguito della sopravvenuta decadenza dai benefici originariamente accordati, sul trasferimento immobiliare realizzato con il rogito Tavassi -sia anteriore o successivo alla (iscrizione della) ipoteca con lo stesso atto notarile accordata all'Istituto federale di credito. Questo aspetto della controversia forma oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, con i quali l'Amministrazione critica la ragione dai giudici di appello addotta a fondamento della decisione ad essa sfavorevole, svolgendo un compless.o discorso articolato in due proposizioni: l'una, volta ad affermare che, pur nel caso di decadenza dai benefici fiscali originariamente concessi, il credito relativo all'imposta in misura ordinaria ed il connesso privilegio nascono ex tunc, e non a far tempo dal verificarsi della decadenza (secondo motivo, che denunzia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2772 e.e., 2, 7, 97 del r.d. 30 novembre 1923 n. 3269, 7 della legge 6 agosto 1954 n. 604 e dei principi generali in materia di imposta di registro, erronea e contraddittoria motivazione); l'altra, tesa a dimostrare che il momento, in cui credito tributario per imposta di registro e connesso privilegio in via ordinarfa nascono, quello della confezione dell'atto tassato e non quello della sua registrazione (terzo motivo, che denunzia, ancora in relazione ai nn. 3 e 5 dll'art. 360 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2748 e 2772 e.e., 1, 2, 7 e 97.rr.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, e dei principi generali in materia di imposta di registro, erronea e contraddittoria motivazione). Entrambi i profili di censura sono fondati. Quanto al primo, sufficiente richiamare la pi recente gurisprudenza di questa Corte Suprema, consolidatasi a far tempo dalla sen RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 632 tenz,a n. 565 del 14 febbraio 1975 (conformi, successivamente, sent. 27 novembre 1975, n. 3966, e sent. 28 giugn 1976, n. 2444), con la quale, al diverso effetto di determinare il momento iniziale di decorrenza degli interessi moratori di cui alla legge 26 gennaio 1961, n. 29 e 28 marzo 1962, n. 147, sulle somme dovute a titolo di imposta di registro a seguito della decadenza dalle agevolazioni concesse all'atto della registra zione, si stabilito che gli stessi debbono essere corrisposti dal momento in cui, ove non fosse stata domandata dal contribuente l'agevolazione dalla quale per fatto proprio poi decaduto, l'imposta sarebbe dovuta essere pagata nel suo normale ammontare (o dal momento dell'entrata in vigore della legge imponente l'obbligo degli interessi, se successivo alla registrazione). Ci proprio-sul rilievo, tra gli altri, che il debito di imposta preesiste nella sua interezza alla decadnza dal beneficio, per la ragione che quando un atto, invocante le agevolazioni, viene presentato alla registrazione si configura -s -una situazione condizionante, la quale, per, sospende (non gli effetti del negozio e, con essi, la tassazione, con conseguente differimento del sorgere della obbligazione tributaria), bens la concessione stessa del beneficio, talch, caduta la condizione, la situazione deve riportarsi all'origine. Pi articolato discorso deve essere invece svolto a suffragio dell'analogo giudizio di fondatezza, anticipato anche in ordine all'altro profilo di censura. Va innanzi tutto negato che, il privilegio relativo all'imposta di registro in particolare; l'aggancio della sua nascita alla registrazione dell'atto debba ritenersi statuito espressamente dal legislatore del 1942, l dove -omettendo il testuale riferimento al momento del trasferimento soggetto alla tassa, utilizzato dall'art. 1962, comma 2, prima parte del secondo periodo, e.e.' 1865, per discriminare, riguardo ai tributi indiretti in genere, l'ordine di sequenza' delle situazioni soggettive (privilegio dello stato; diritti reali dei terzi) in conflitto -ha nell'articolo 2772, comma 1", terzo periodo, utilizzato come termine di riferimento -con la stessa funzione di criterio determinativo della relazione cronologica fra le medesime situazioni soggettive, rispetto alla diversa ipotesi particolare dell'imposta suppletiva -il momento, invece, della registrazione dell'atto. A parte, .invero, la labilit storica defl'argomento, evidenziata dalla scomparsa, dal testo novellato dell'art. 2772 (attuale comma 5) del .~ suddetto riferimento alla registrazione in conseguenza della espansione anche letterale della norma alle imposte suppletive di tutti i tributi indiretti, conta sottolineare -a confutazione delia opposta tesi recepita dalla corte di appello -che la scelta, in tema di imposta suppletiva, della registrazione dell'atto tassato come momento rispetto al quale va apprezzata la sequenza cronologica fra la nascita del privilegio fi. i : PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA scale e l'acquisto di diritti da parte dei terzi, al fine di fissare il punto di passaggio dalla prevalenza del primo alla prevalenza dei secondi, ri sponde, come anche la dottrina ha avvertito, ad una ragione tutt'affatto propria al~a particolare logica dell'imposta suppletiva: Nei confronti della quale, la registrazione dell'atto interessante il trasferimento precedente all'acquisto del terzo costituisce per costui motivo di ragionevole affidamento per ritenere che la liquidazione dell'imposta effettuata in occasione di quella registrazione non sia inficiata da errori dell'ufficio e che quindi sotto tale profilo non sopravviva possibilit che il proprio diritto, pur se acquistato successivamente, corra il pericolo di essere pregiudicato in forza del privilegio gi spettante all'Amministrazione finanziaria. Onde non sembra possibile, data la specialit della ragione che ispira la scelta effettuata nei riguardi dell'imposta suppletiva, postularne la riferibilit anche alle imposte diverse da questa. Occorre pertanto affrontare il problema di fondo -accantonato dalla Corte di merito perch ritenuto assorbito dalla peculiare ragione del decidere da essa ravvisata con specifico riferimento al privilegio immobiliare per tributi indiretti, or ora, per contro, disattesa dal Collegio concernente l'individuaizone del momento in cui sorge l'obbligazione per imposta di registro e, con essa, il privilegio immobiliare speciale dell'art. 2772 e.e.: il problema, cio, se tale momento coincida con la confezione dell'atto tassato o se, invece, questa comporti unicamente l'obbligazione di sottoporre l'atto alla registrazione, dalla quale soltanto nasca, poi, l'obbligazione di pagare il tributo. Le accennate ricostruzioni della vicenda costitutiva del credito per imposta di registro, autorevolmente proposte e dibattute in dottrina, hanno avuto entrambi un'eco nella giurisprudenza, anche di questa Corte Suprema, che in talune sentenze ha mostrato di recepire la prima (Cass._ 9 agosto 1973 n. 2293; Cass. 6 ottobre 1972 n. 2856; Cass. 5 maggio 1969 n. 1508; Cass. 19 ottobre 1968 n. 3371; Cass. 17 marzo 1964 n. 510), in altre, invece, la seconda (Ca~s. 21 giugno 1969 n. 2204; Cass. 21 ottobre 1967 n. 2565) o -in verit contraddittoriamente -entrambe (Cass. 29 ottobre 1966 n. 2711). Peraltro la prima, che, ad avviso del Collegio, merita di essere preferit~. Di ci convincono -come fondatamente osservava l'Amministrazione ricorrente -tre fondamentali indicazioni fornite dal diritto positivo, gi alla stegua della previgente disciplina dell'imposta di registro: a) la commisurazione della base imponibile al valore venale in comune commercio al giorno del trasferimento (art. 15, 16 e 19 r.d. 7 agosto 1936 n. 1636), la quale non avrebbe senso, se l'obbligazione tributaria effettivamente sorgesse solo nel successivo momento della registrazione; b) la decorrenza degli interessi, dovuti sull'imposta in caso di omissione di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO formalit (nel caso: di registrazione) dal giorno in cui l'imposta sarebbe stata dovuta se la formalit fosse stata eseguita (art. 3, legge 26 gennaio 1961 n. 29); disposizione, anche questa, che presuppone l'obbligazione t__ributaria sorta prima della registrazione, in concreto sopravvenibile anche a distanza di molti anni; c) l'inaccettabilit di una ricostruzione ermeneutica che fondi la (pretesa) potest del contribuente di ritardare la nascita dell'obbligazione tributaria sulla violazione di un obbligo, giuridicamente sanzionato, quale sicuramente la registrazione in 'termine fisso: n sembra possibile argomentare in contrario dalla pretesa natura di onere, che la registrazione avrebbe quando prescritta solo in caso di uso, posto che -come la'. stessa dottrina qui contraddetta mostra di non ignorare -trattasi di un onere ben particolare, se apprezzato ill' rapporto alla registrazione, posto che, a ben guardare, la scelta del contribuente, preteso onerato, cade direttamente sull'uso dell'atto, ma non gi sulla registrazione in s, che -in funzione dell'esercizio positivo di quella diversa scelta su altro oggetto -si qalifica anch'essa come comportamento giuridicamente dovuto. Ed ulteriori consonanti indicazioni emergono pure da altri aspetti particolari della disciplina, ancor pi accentuamente dopo ,che la recente riforma (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633) ha rispetto ad essi eliminato talune delle ambiguit, che nel sistema previgente ne offuscavano la nettezza del significato, rendendone attendibile anche una valorizz~zione in senso opposto. Ci vale, ad esempio, per l'obbligo di far precedere il pagamento dell'imposta alla registrazione (donde la difficolt di ravvisare in questa il momento g~netico di quello): univoci in tal senso sono gli artt. 15 e 16 del d.P.R. citato n. 633 del 1972, mentre dal successivo art. 52 (a differenza di quanto taluno riteneva di poter argomentare sulla base della corrispondente normativa previgente: art. 88, 91 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, in relazione al r.d. 26 settembre 1935 n. 1749, e art. 33 d. 18 agosto 1866) risulta testualmente come nel caso di registrazione da, eseguirsi di ufficio la pretesa della Finanza, correlata alla registrazione (cfr. anche art. 15, comma 1, proposizione introduttiva), abbia ad oggetto, in via previa (art. 15 cit.), il pagamento (art. 52, comma 4) cio la riscossione (art. 15 cit.) proprio dell' imposta (artt. 15 e 52 citati), oltre che della pena pecuniaria per omessa registrazione, e non il mero deposito di una somma sulla quale poi soddisfare il credito di impo, sta successivamente alla registrazione. Altrettanto a dirsi quanto alla disciplina dettata con le disposizioni transitorie dell'art. 77, che disciplinano la ~uccessione temporale dalla vecchia alla nuova legge di registro facendo riferimento, in via di regola, proprio al momento in cui gli atti vengono formati, laddove la corrispondente disposizione dell'art. 150 r.d. del 1923 n. 3269, avendo riguardo, nella enunciazione della regola, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA al momento della registrazione dell'atto, rendeva possibili illazioni di opposto significato. Ancora fondatamente, inoltre, l'Amministrazione ricorrente, ad ulteriore conforto della tesi da essa propugnata e qui accolta, argomenta in via sistematica dall'art. 2836 e.e., che, consentendo l'iscrizione dell'ipoteca anteriormente alla registrazione dell'atto che la costituisce, ed eventualmente insieme con altro negozio connesso soggetto pur esso ad imposta, si risolverebbe -ove fosse vera la premessa che l'obbligaziont> tributaria ed il relativo_ privilegio immobiliare nascono soleicon la registrazione -nell'approntamento, -da parte dello stesso legislatore, di un meccanismo conducente, nella fisiologia del sistema, a rend~re nel -concreto quasi sempre inoperante -perch soccombente_ per ragioni di cronologia -il privilegio somministrato al credito tributario dello Stato. Onde solo rifiutando quella premessa ed accettando la contraria, ossia riconoscendo che credito di imposta e privilegio connesso nascono con la confezione dell'atto tassato, possibile ricondurre a razionalit il sistema. _Sicch deve sul punto concludersi con l'enunciazione del principio di -diritto, alla stregua del quale il credito dello Stato per imposta di registro "'--anche quando si tratti1 di imposta dowta in misura ordinaria a seguit della decadenza da agevolazioni co'ncesse all'atto della registra~ ione -nasce, in una al connesso privilegio immobiliare di cui all'articolo 2772 c;c., al momento e per effetto della confezione dell'atto soggetto al tributo. Con il risultato -gi del resto attinto, pur se in via quasi meramente enunziativa, dalla giurisprudenza di -questa Corte Suprema: cfr. Cass. 24 aprile 1963 n. 1086, nonch le gi citate sentenze n. 1670 del 1941 e n. 1016 _del 1937 -che quel privilegio prevale, indipendentemente dalla data di rgistrazione dell'atto dall!l cui tassazione nasce il credito di imposta con esso garantito, sulle ipoteche di terzi iscritte sullo stesso immobile successivamente alla eonfezione del'atto soggetto a registrazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1978 n. 2297 -Pres. Caporaso Est. Gualtieri -P. M. La Valva (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Bafile) c. Soc. SMEC. Imposte e tasse in genere Competenza delle Commissioni . Pronuncia della Commissione di valutazione su questione di diritto Incompetenza Rilevabilit d'ufficio. (d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 29). Quando la Commissione provinciale di valutazione abbia pronun-ziato su una questione di diritto, l'incompeten7:a pu essere rilevata di 636 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ufficio dalla Corte di Cassazione adita soltanto per il merito sulla questione di diritto decisa (1). (1) Decisione esattissima. La ripartizione di competenza fra le commissioni dell'abrogato ordinamento era sicuramente inderogabile e quindi rilevabile d'ufficio fino a quando sul punto non sia passata in giudicato una pronunzia che presupponga la competenza del .giudice che l'ha emessa. Se q.indi la commissione di valutazione, senza averne il potere, decide una questione di diritto e viene impugnata sul merito della questione di diritto decisa, la Corte di Cassazione deve rilevare d'ufficio l'incompetenza. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I; 22 giugno 1978 n. 3082 -Pres. Caporaso Est. Granata -P. M. Marozzo della Rocca (conf.) -Giorgieri c. Ministero Finanze (avv. Stato Abignente). Imposta di ricchezza mobile -Redditi da lavoro autonomo -Rinuncia al compenso maturato Irrilevanza sulla tassabilit del reddito. (Lu. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). I Mentre l'originaria pattuizione di prestazione gratuita di opera professionale esclude l'esistenza obiettiva di reddito, la successiva rinunzia I al compenso maturato (presumibile ove l'originaria gratuit non sia dimostrata) attiene alla disposizione del reddito prodotto e quindi non ne esclude la tassabilit (1). I =~ (1) Identica la decisione in pari data n. 3077 di cui si omette la pubblicazione. Decisione da condividere pienamente che fa applicazione della regola dell'irrilevanza degli atti di disposizione e destinazione del reddito .gi prodotto (v; Cass. 28 giugno 1978, n. 3196 in questo fascicolo, pag....). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 giugno 1978 n. 3196 -Pres. Rossi I Est. La Torre -P. M. Raja (conf.) -U.M.A. (avv. Sorrentino) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Bafile). Imposta di ricchezza mobile e sulle societ Presupposto -Ente pubblico . Utili di gestione -Costituiscono reddito tassabile. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 148 e 150). Imposta di ricchezza mobile e sulle societ -Ente pubblico Avanzi di gestione Destinazione vincolata da norme statutarie Irrilevanza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 148 e 150). Gli incrementi patrimoniali 11,etti, non soggetti ad altri tributi diretti, I sono sempre soggetti all'imposta di ricchezza mobile e all'imposta sulle ! societ, anche se prodotti da un ente pubblico non avente scopo di lucro I I . I . . . I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 637 che tendenzialmente imposta il bilancio in modo da non realizzare attivo (1). La destinazione vincolata degli avanzi di gestione a copertura di precisi oneri o per diminuire il costo del servizio esclude la tassabilt solo quando il vincolo di destinazione impo~to inderogabilmente da espresse norme di legge, ma irrilevante quando sia imposta da disposiz_ ioni statutarie (2). (Omissis). -A sostegno della decisione qui impugnata la Commissione Tributaria centrale ha tra l'altro considerato: che il reddito, quale presupposto dell'imposta di ricchezza mobile (art. 81 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, alla specie applicabile), sussiste ogni qual volta il contribuente -non importa se soggetto privato o ente pubblico -consegue una ricchezza nuova, non identificabile in un semplice introito destinato a pareggiare le spese e a reintegrare una perdita; che, in presenza del conseguito reddito, non rileva n il tipo dell'attivit produttiva, che pu avere o meno fini di lucro, n il momento della erogazione, che successivo ed estraneo a quello in cui fa ricchezza viene prodotta ed acquisi~a al patrimonio del 'percepiente; che anche i c.d. avanzi di gestione, i~ quanto proventi netti, rientrano riella nozione di reddito tassabile, a meno che -e questa la sola eccezione -non sussista per essi un vincolo di destinazione imposto per legge e tale quindi, da sottrarli alla disponibilit dell'ente, che in tal caso, si limita a gestirli in via puramente contabile; che tale eccezione, per, non pu essere utilmente invocata dall'UMA (Utenti Motori Agricoli), poich manca del predetto ente una norma di legge/ che vincoli o almeno disciplini l'utilizzazione delle eccedenze attive di gestione, n sussiste alcun valido elemento che permetta di ritenerle sottratte alla sua disponibilit all'incremento del suo patrimonio. Contro questa decisione, e in particolare contro l'argomento conclusivo test riassunto, si appuntano le critiche dedotte nell'unico motivo (1-2) La decisione con esemplare chiarezza riassume tutti i problemi recentemente dibattuti sulla tassabilit dei redditi conseguiti da enti pubblici. La regola generale della soggezione all'imposta dei redditi degli enti pubblici, quale che sia il fine istituzionale, stata sempr riaffermata dalla giurisprudenza della S.C. anche in decisioni che, in casi particolari (come per gli ospedali) hanno escluso la tassabilit (Sez. Un. 4 marzo 1974, n. 594, in questa Rassegna, 1974, I, 986), a meno che l'entrata non abbia natura tributaria. Ma importante la precisazione che l'incremento patrimoniale costituisce reddito tassabile anche quando sia conseguito contro la stessa volont dell'ente che, senza conseguire finalit di lucro, tenta senza riuscirvi di impostare il bilancio in modo da chiudere in pareggio; la realt oggettiva dell'incremento conseguito il solo dato rilevante. Importante ancora la precisazione che sulla tassabilit del reddito prodotto irrilevante la successiva destinazione quale che sia il lodevole scopo 9 638 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di ricorso, fondato sulla violazione del citato art. 81 t.u. e dei principi sul presupposto dell'imposta di ricchezza mobile. Il contenuto del ricorso si articola nei seguenti punti: a) l'UMA un ente pubblico, il cui scopo di contribuire all'in cremento ed al miglioramento della produzione agricola e alla riduzione dei costi di produzione, attraverso il razionale e pi diffuso impiego dei mezzi meccanici in agricoltura; b) tra i suoi compiti statutari vi anche quello di provvedere all'espletamento dei servizi e controlli riguardanti il prelevamento e l'uso dei carbt."anti agricoli: al quale fine gli utenti assistiti dall'UMA corrispondono all'ente un contributo in cambio del quale ottngono i buoni che li autorizzano a prelevare il carburante a prezzo agevoato; e) la misura di questo contributo vine fissato annualmente in sede di bilancio preventivo (sottoposto all'approvazione del Ministero vigilante), e poich un canone elementare di buona amministrazione impone di 'determinare gli introiti in modo che la somma di essi non sia inferiore alle spese d'affrontare, del tutto normale che a fine esercizio si formino avanzi di gestione; d) ora quanto alla destinazione di tali avanzi, non vale a renderli tassabili il semplice rilievo che essi non siano in modo ~spressi vinco lati per legge, occorrendo invece considerare quale sia in concreto la loro _destinazione secondo le regole di buona amministrazione a cui gli enti pubblici sono tenuti a ispirarsi; e) ebbene, l'UMA ha ammfnistrato gli avanzi di gestione conside randosi non gi titolare di un potere di disposizione, ma mero intestata- con essa perseguito con buona amministrazione che non esclude e pu anche suggerire proficui o sicuri investimenti :patrimoniali. A11gomntando sul testo dell'art. 19 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 che per la prima volta sancisce la 'tassabilit dei redditi indipendentemente dalla loro destinazione, si sostenuto che tale regola non fosse contenuta nell'abrogato sistema delle im poste dirette; ma questa tesi viene ora accantonata. Costituiscono eccezione a questi principi i c:d. avanzi di gestione, intesi come residui di cassa sottratti alla disponibilit dell'ente e legislativamente vin colati ad una destinazione prevalentemente volta alla ridill.ione, negli esercizi futuri, del costo del servizio. Ci _ stato ritenu~o per gli enti di consumo e i mercati ittici comunali (Cass. 28 maggio 1966, n. 1397 e 26 aprile 1969, n. 1346, in questa Rassegna 1966; I, 1082 e 1969, I, 520) per il servizio per i contributi1 agricoli unificati (3 febbraio 1969, n. 312, ivi 1969, I, 109) e infine per gli ospedali (sentenza delle Sez. unite gi citata seguita da numerose altre dopo che sul l'argomento aveva preso una posizione di dissenso la Commissione centrale); per vero in tutte queste ipotesi la individuazione dell'eccezione non stata molto coerente con la regola, s che queste pronuncie, bench ormai consolidate, non sono. state del tutto persuasive. Ci ha incoraggiato una ondata di controversie nelle quali si sostenuta l'intassabilit di avanzi di gestione, pretendendo per tali ogni attivo del bilancio di enti, anche privati, non aventi fini di lucro. Cade quindi opportuna la sentenza in rassegna che restringe il concetto di PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRl,JDENZA TRIBUTARIA 639 rio contabile, tant che li ha sempre riportati nel bilancio preventivo dell'anno seg4ente in modo che essi hanno concorso a tenere pi bassa (o elevare di meno) la misura del contributo; f) tale destinazione, pertanto, insita nella prassi costantemente seguita, onde pu parlarsi di predeterminazione legale dell'impiego delle somme eccedenti a copertura di oneri della gestione successiva, escludendosi con ci-stesso l'idea di una ricchezza che entra nel patrimonio dell'ente. Il ricorso infondato. Sub a) Che l'UMA abbia personalit di diritto pubblico circostanza 9e1 tutto irrilevante ai fini tributari: sia nel senso che un provento oggettivamente configurabile come reddito non muta natura se a produrlo un ente pubblico; sia nel senso che questo rimane assoggettato alla relativa imposta se la legge non dispone una espressa esenzione. Del pari irrilevante, lo scopo istituzionale dell'ente. Se questo, pur perseguendo finalit non lucrative, riesce ci malgrado a conseguire, come risultato concreto della sua attivit, incrementi patrimoniali netti che, se non hanno natura di entrate tributarie e non sono colpite da altre imposte reali o sostitutive, ricadono sotto il dominio dell'imposta di ricchezza mobile, il cui presupposto, attesa la funzione residuale del tributo, la produzione di un reddito netto, in danaro o in natura, continuativo od occasionale, derivante... da qualsiasi altra fonte e non assoggettabile ad alcuna delle imposte previste nei titoli secondo terzo e quarto (cio sui terreni e sui fabbricati; art. 81 t.u.). Il fatto quind che lo scopo dell'UMA si!. quello di favorire la meccanizzazione in agricoltura non esclude di per s che i mezzi all'uopo impiegati involgano un'attivit produttiva di reddito, in. quanto fonte di entrate pecuniarie. Sub b) Tali, infatti, sono le somme di danaro che gli utenti, pagano all'ente in cambio dei buoni; rilasciati da quest'ultimo, per l'acquisto di carburante a prezzo agevolato. E non c' dubJio che queste somme di danaro, tanto per chi le versa quanto per chi le riscuote, rappresentano avanzo di gestione a quell'attivo che l'ente amministra in via puramente contabile quando per espressa. ed univoca norma di legge debba esservi necessaria coincidenza tra gli introiti di una determinata attivit e le spese occorrenti al suo esercizio e l'avanzo (che costituisce un'anomalia giustificabile con la impossibilit contabile di far coincidere proventi e costi) abbia una destinazione vincolata (sempre per legge) tale da sottrarlo alla disponibilit dell'ente, anche per leciti (o encomiabili) fini istituzionali. Ma ci non pu dirsi quando il vincolo di destinazione emerge solo da .disposizioni statutarie o da regole di condotta amministrativa o dalla impostazione del bilancio, se pure soggetto alla approvazione dello Stato, ovvero dall'avere in concreto destinato gli utili prodotti al riassorbimento nell'esercizio successivo per ridurre i costi del servizio, quando cio nullo iure cogente sia stata data agli Utili per libera scelta una destinazione, quale che sia, che un fatto successivo alla produzione del reddito, irrilevante sull'imponibilit (Cass. 17 maggio 1974, n. 1445, ivi, 1974, I, 1004). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il corrispettivo di una prestazione, e per la parte eccedente il costo del servizio reso dall'ente che le percepisce, arrecano al patrimonio di qusto ultimo una utilit pecuniaria netta. Sub e) Che poi questa utilit sia un risultato non intenzionale, in quanto esorbita il programma di una gestione in pareggio, non sposta di nulla la realt oggettiva delle cose; la sola che conti agli effetti tributari. N vale a mutare questa realt, valendo semmai a spiegarla e a rappresentarla come fenomeno meno occasionale di quanto potrebbe supporsi, il fatto che la misura degli introiti venga preventivamente calco lata in_ modo da coprire con larghezza,' e quindi superare, l'ammontare delle spese previste. Si pu dire allora che le risultanze attive del bilanco di esercizio sono previste e, almeno come eventualit, sono anche volute, certo che, come fatto oggettivo, esistono ed entrano nel patrimonio dell'ente. Sub d) L'utilizzazione da parte, di quest'ultimo, della ricchezza cos conseguita, riguarda un momento successivo ed estraneo al presupposto dell'imposta che la produzione di un reddito netto (art. 81 t.u. cit.); ai fini della sua tassabilit non interessa il modo in cui esso verr erogato da chi, intanto, lo ha prodotto e pu disporre per uno scopo o per un altro. La scelta potr ispirarsi quando si voglia a regole di buona amministrazione, ma, a parte che questa non esclude e pu anzi suggerire proficui o sicuri investimenti patrimoniali, resta il fatto che la destinazione di una ricchezza gi acquisita non toglie il presupposto imponibile realizzatosi al momento della sua produzione. Sub e) Una eccezione alla regola della tassabilit data solo da quei casi per i quali la stessa legge prevede una gestione che, nell'interesse del servizio affidato all'ente, deve essere condotta in modo da escludere per esso la possibilit cli realizzare e incamerare utili, onde le eventuali ecce denze attive che ci malgrado vengano a formarsi non possono essere destinate, per legge, se non a copertura di precisi oneri di gestione o per diminuire il costo del servizio: nel qual caso il vincolo legale di destina zione impress? agli avanzi di gestione, che l'ente quindi amministra in via puramente contabile, impedisce a quest'ultimo di farli propri come ric chezza nuova, effettiva e liberamente disponibile, venendo cos a man- care il presupposto dell'imposta di tcchezza mobile. Ma tutto ci - bene ribadirlo -si verifica quando, in forza di una espressa e comun que univoca determinazione legislativa, vi sia e debba essere mantenuta una coincidenza necessaria tra gli introiti di una data attivit e le spese occorrenti al suo esercizio; come a dirsi, ad esempio, per gli avanzi di gestione dei mercati ittici, degli enti comunali di consumo, dei ser vizi per i contributi agricoli unificati, degli enti ospelalieri (cfr. Cass. n. 2272 del 1965; n. 1397 del 1966; n. 136, n. 1345 e n. 1346 del 1969; n. 2696 del 1971 n. 1294 del 1973; n. 3352 del 1976). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Se invece quel vincolo di dstinazione non esiste per., legge, ma deriva eventualmente da una disposizione statutaria dell'ente -che d'altronde, come po~e il vincolo cos pu toglierlo -si in presenza di una comune ipotesi di erogazione df reddito gi prodotto ed acquisito al patrimonio dell'ente medesimo; dalla cui libera determinazione dipende in tal caso impiegare le eccedenze attive in un modo piuttosto che in un altro (cfr. Cass. 17 maggio 1974 n. 1445 e n. 1446; 27 giugno 1975 n. 2522). E a maggior ragione ci deve affermarsi qualora l'ipotetico vincolo -come nella specie -non sia previsto neppure dallo statuto dell'ente, la cui libera determinazione non incontra allora alcun limite, n esterno n interno, in ordine all'utilizzazione degli introiti dei quali esso ha e conserva la piena disponibilit. Si rivela perci priva di fondamento l'affermazione che l'UMA avrebbe amministrato gli avanzi di gestione come mero intestatario contabile e non come titolare di un potere di disposizione. Al contrario, proprio nell'esercizio di un .tal potere e non gi per l'adempimento di un obbligo di legge che l'ente ha stabilito in che modo impiegare gli utili di bilancio. E ov'anche fosse del tutto vero che questi utili sono riportati nel bilancio successivo per essere. interamente assorbiti nelle spese di gestione (del che lecito dubitare considerando la lunga e ininterrotta serie di bilanci di chiusura sempre attivi), ci l'ente avrebbe fatto nullo iure cogente, ma per una discrezionale scelta che, lungi dall'escludere presuppone la disponibilit dell'acquisita ricchezza. Sub f) Non vale infine richiamarsi alla prassi seguita dall'UMA per argomentare che l'impiego delle somme eccedenti risulta ormai legalmente predeterminata nel sensd suddetto. A parte invero l'indipendenza di ciascun periodo d'imposta (art. 3 t.u. del 1958 cit.), da osservare che, qualunque sia questa prassi, essa, proprio perch espressione di una autonoma (e sempre modificabile) volont dell'ente, non pu6 far luogo di una volont legislativa inesistente, e tanto meno, p. sostituirsi alla legge nel vincolare un introito a una destinazione che ne escluda la disponibilit da parte del percipiente, e quindi, la stessa tassabilit. N una regola iuris di questo tipo, per di pi con effetti negativ.i sull'imposizione tributaria, pu farsi mai discendere dalla sempllce circostanza -del tutto estranea ed ininfluente rispetto al problema in esame -che i bilanci conformi a quella prassi siano stati sempre approvati dal Ministero alla cui vigilanza l'UMA soggetto. Non sussiste, in definitica, alcuna valida ragione per negare la natura di reddito tassabile agli avanzi di gestione realizzati dal predetto ente; essi pertanto sono assoggettati all'imposta di ricchezza mobile (art. 81 t.u.) e, di conseguenza, a decorrere dal primo gennaio 1954 (art. 1 legge 6 agosto 1954 n. 603), aU'imposta sulle societ (art. 148 lett. a), e art. 150 comma 2 t.u.). -(Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI AC,QUE ED APPALTI PUBBLICI SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI AC,QUE ED APPALTI PUBBLICI TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 15 novembre 1977 n. 38 -Pres. Vallillo -Rel. Sgroi -Comune di Napoli (avv. Peccerillo) c. Fusco e altri (avv. Abbamonte e Della Valle), Narciso e altri (avv. Flora e Morgia), Amm.ne Provinciale di Napoli (avv. Ciampa e Cicala), Comune di Casavatore (avv. Jaccarino), Comune di Arzano (avv. M. Abbamonte) e Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Imponente). Responsabilit civile -Danno da cose in custodia -Qualit di custode Requisiti. (Cod. civ., art. 2051).. Responsabilit civile Criteri di imputazione Custodia Pubblica amministrazione Si applica. (Cod. civ., art. 2051). Responsabilit civile -Criteri di imputazione Custodia Naturale condizione dannosa del bene -Inapplicabilit del criterio Esclusione Fattispecie. (Cod. civ., art. 2051). Responsabilit civile -Danno da cose in custodia Fatto di un terzo noto al custode -Fortuito Non tale. . (Cod. civ., art. 2051). Responsabilit civile -Danno ingiusto -Pregiudizio di situazione possessoria Risarcibilit Sussiste. (Cod. civ., art. 2043). Acque pubbliche ed elettricit -Giudizio e procedimento Tribunali regionali delle acque Condanna al pagamento di provvisionale e :provvisoria esecuzione della sentenza Ammissibilit. (Cod. proc. civ., artt. 278 c.p.v. e 282 c.p.v.). La qualit di custode, agli effetti dell'applicazione dell'art. 2051 cod. civ., prescinde dalla titolarit di un diritto di propriet sulla cosa, richiedendo ~per contro che il soggetto, esercitando sulla csa un potere fisico, ne abbia l'effettiva padronanza e disponibilit (1). (1-4) La sentenza confermata, Trib. reg. acque Napoli 28 gennaio 1976, n. 4, pubblicata in questa Rassegna 1976, I, 1050. Sulla prima massima, nello stesso senso, cfr., da ultimo Cass. 3 giugno 1976, n. 1992, Giust. civ. 1976, I. 1241; Cass. 23 gennaio 1976, n. 221. Monit. trib. 1976, 187. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 643 La custodia della cosa criterio di imputazione della responsabilit che opera anche in confronto della P.A. (2). La responsabilit dei danni derivati dalla esondazione di acque piovane da una depressione che assolva in concreto la funzione di vasca di raccolta .non esclusa dalla circostanza che tale funzione non sia il risultato di specifiche opere a tal fine eseguite dal custode, n da qulla del non potersi impedire in confronto di proprietari di fondi dominanti il naturale deflusso delle acque verso la depressione (3). L'immissione di acque in una vasca di raccolta, opera!a da soggetti privi di titoli al riguardo e per non all'insaputa del custode, non esonera questi dalla responsabilit verso i terzi, ancorch tali immissioni abbiano dato causa o concorso a dare causa ed una esondazione di acque dalla vasca ed ai danni conseguitine (4). Costituisce danno risarcibile anche quello che incide nella sfera patrimoniale del soggetto che si trovi (ld esercitare un potere di fatto sulla cosa danneggiata (5). L'istituto della condanna al pagamento di una provvisionale e la connessa possibilit di dichiarare provvisoriamente esecutiva la sentenza trovano applicazione anche nel giudizio avanti a tribunali regionali delle acque pubbliche (6). (Omissis). -All'esame degli specifici motivi di appello, che sostanzialmente ripropongono tutte le questioni di merito dibattute nel giudizio di primo grado, occorre premettere una serie di rilievi, che consentono di svolgere in maniera pi chiara e spedita quell'esame. Innanzi tutto, non discutibile che il Comune di Napoli sia proprietario dell'immobile denominato Vasca Taglia: la contestazione, tardivamente mossa al riguardo soltanto in sede di discussione in appello, smentita dalla documentazione in atti provenient~ dal Comune stesso in cui la veste di proprietario viene espressamente indicata o presupposta; inoltre, il sistema difensivo imperniato sulla situazione giuridica del proprietario del fondo servente, tenuto come tale soltanto ad un pat, ritrova la sua premessa nella predetta qualit. Sulla seconda massima, cfr. Trib. reg. acque Napoli 28 gennaio 1976, n. 4, cit., e la giurisprudenza ivi richiamata. Sulla terza e quarta massima, cfr. le decisioni, richiamate in motivazione, Cass. 24 gennaio 1975, n. 280 e 18 gi:.gno 1975, n. 2435, Giust. civ. Mass. 1975, 138 e 1136; Cass. 15 dicembre 1975, n. 4124, Giust..civ. 1976, I, 591 con nota di A.I.VINO, Obblighi del custode ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. e questioni relative. (5) Nello stesso senso, Cass. 3 maggio 1976, n. 1569, Riv. giur. circ. trasp. 1976, 607. ; (6) In termini, Trib. sup. acque 28 aprile 1971, n. 8, in Cons. Stato 1971, II, 414. Sull'arigomento della disciplina del ;giudizio aventi ai tribunali delle acque, cfr. Cass. 21 febbraio 1976, n. 576 e 9 gennaio 1974, n. 62 in questa Rassegna 1976, I, 280 e 1974, I, 721. r111111r1lr1t11111111111111r1t1111111111111111111r1111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 644 In secondo luogo , nella specie, questione di responsabilit del custode ex art. 2051 e.e. e, agli effetti dell'articolo citato, custore colui che, esercitando un potere fisico sulla cosa, ne ha l'effettiva padronanza e disponibilit (cfr. Cass. 12 luglio 1976 n. 2667, Cass. 17 novembre 1975 n. 3853). La sussistenza di questa relazine fra il Comune di Napoli e la Vasca -che risulta chiaramente acquisita agli atti e che non forma oggetto di discussione Ira le parti -toglie valore alla (del resto, tardiva ed artificiosa) disputa intorno alla propriet. La Vasca Taglia fu acquistata per essere destinata e fu (ed ) in concreto adibita dal Comune di Napoli alla raccolta di acque proprie e di acque pluviali e di rifiuto provenienti dal territorio circostante, convogliate dal canale Cassano. In tal senso convincono sia la stessa denominazione dell'immobile (usata constantemente negli atti pubblici prodotti dalle parti) sia la circostanza che per provvedere ad una sistemazione della Vasca che garantisse un pi efficiente svolgimenfo dlla sua funzione di contenimento, ssorbimento e smaltimento delle acque raccolte furono stanziate ed erogate rilevanti somme, ripartite fra i vari enti che vi immettono le proprie acque, con una partecipazione maggioritaria alla spesa del Comune di Napoli. Si discute tra le parti se, prima del- l'evento per cui causa, la Vasca fosse gi stata adeguatamente attrezzata mediante la costruzione di argini e l'apertura di pozzi; ma il contrasto su questo punto non pu distruggere la prova, emergente dagli atti, che la Vasca -qualunque fosse lo stato delle opere compiutevi per adeguarla alle sue funzioni -avesse concretamente quella destinazione fin da epoca di gran lunga anteriore all'acquisforattone dal Comune (e motivato proprio dall'esigenza di garantirla mediante un controllo diretto). Un terzo aspetto della causa non oggetto di contestazione. I beni, per la cui distruzione o per il cui danneggiamento si chiesto il risarcimento, furono rispettivament distrutti o danneggiati per effetto della inondazione della zona verificatasi nella notte sul 30 novembre 1969 e le acque che inondarono la zona provenivano proprio dalla Vasca Taglia. , invece, discusso il punto residuale se vi sia stata tracimazione ovvero si sia avuta una rottura di argini per non avere questi resistito alla pressione esercitata dalle acque raccolte nella Vasca: questa seconda ipotesi sostenuta dagli attori, mentre il Comune di Napoli nega che tra la Vasca e i fondi circostanti vi fossero opere di difesa e, in primo luogo, argini artificiali. Ci precisato, si rileva che con il motivo principale del gravame l'appellante -nega la propria responsabilit per 1 danni lamentati dagli attori in primo luogo sotto il prfilo che la Vasca Taglia costituisce un impluvio naturale, dove le acque provenienti dal canale Cassano si raccolgono naturalmente a causa della depressione in cui giace l'immobile PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 645 rispetto ai fondi circostanti, mentre esso privo di specifici adattamenti, che possono rivelare la sua natura di opera destinata alla regolamentazione delle acque. In secondo luogo, il Comune nega di essere tenuto, quale proprietario del fondo servente, ad un facere (a costruire, cio, opere di raccolta, di contenimento, di assorbimento e di deflusso delle acque), dovendosi limitare ad un mero pati (a subire, cio, l'immissione delle acque di pertinenza dei titolari dei fondl. dominanti). Sotto entrambi i profili la doglianza si .rivela infondata, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza della S.C. in materia di responsabilit per danno cagionato da cose in custodia. Per la sussistenza della responsabilit presunta iuris tantum a carico del custode, stabilita dall'art. 2051 e.e.; rkhiesto che il danno sia prodotto dalla cosa in custodia o perch la medesima sia, per la sua intrinseca natura, idonea a produrlo o perch in essa siano insorti agenti dannosi, anche se scaturiti da elementi o fatti provenienti dall'esterno (cfr. Cass. 18 giugno 1975 n. 2435; Cass. 24 gennaio 1975 n. 280). La cosa -cui si riferisce -l'art. 2051 -pu e~ser_e immobile (cfr. Cass. 11 ottobre 1971 n. 2839); e anche alla Pubblica Amministrazione pu spettare la veste di custode, responsabile in forza della disposizione citata (cfr. Cass. 14 ottobre 1972 n. 3060; Cass. 18 marzo 1968 n. 882). Non importa, allora, stabilire se il Comune avesse adattato con specifiche opere la Vasca Taglia alla destinazione sopraindicata, ma conta soltanto che quella destinazione fosse stata concretamente impressa alla Vasca: e viene, cos, a cadere il fondamento del primo profilo di doglianza, non potendo la responsabilit del custode dipendere dalla preesistenza o meno di opere artificiali, come se la negligenza o l'inerzia tenuta per il passato in ordine alla manutenzione della Vasca potesse liberare dalla responsabilit ex art. 2051 il custode della Vasca, stessa da cui si assume essere derivato il danno. La custodia implica, infatti, il dovere di non perdere il controllo della cosa in guisa da evitare ogni situazione di pericolo capace di tramutarsi in danno (cfr. Cass. 16 febbraio 1976 n. 506; Cass. 18 giugno 1975 n. 2435). Tale dovere viene osservato mediante l'adozione di un comportamento improntato alla diligenza normale, cosicch mentre vi rientrano le misure ordinarie, ne esorbitano quelle implicanti mezzi straordinari (cfr. Cass. 15 dicembre 1975 n. 4124). A questo dovere il custode non pu sfuggire, adducendo che il fondo -dal quale si sostiene essere provenuta l'inondazione - assoggettato alla servit di ricevere acque. questa una situazione che -a parte la sua eventuale incidenza, ad altri fini, all'interno del rapporto tra il titolare del fondo dominante e il titolare del fondo servente -non assume RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO alcuna rilevanza nei rigurdi dei terzi estranei, quali sono coloro che hanno proposto l'azione di risarcimento. Poich, dunque, il Comune era tenuto all'osservanza del dovere di controllo (impregi.dicato, per ora, restando il quesito se lo abbia o non lo abbia osservato), viene travolto anche il secondo profilo sotto il quale l'appellante imposta la sua doglianza principale per liberarsi in limine della responsabilit dedotta dagli attori. Vero che la responsabilit per danni agionati da cose in custodia subordinata alla sussistenza di un nesso causale tra la cosa, su cui il custode ha il potere di fatto, e l'evento dannoso; e che. la dimostrazione di tale presupposto a carico del danneggiato (cfr. Cass. 7 luglio 1975 n. 2646; Cass. 20 luglio 1972 n. 2487). . Ma nel caso in esame il nesso eziologico stato p:t:ovato perche la massa d'acqua, che produsse i crolli, si form e si mosse dalla Vasca. Tale massa, dunque, cost.itu l'agente dannoso che, se pur proveniente dall'esterno, la Vasca Taglia, per la sua obiettiva conformazione e destinazione, doveva essere idonea a raccogliere e contenere; Uria volta fuoriuscite per inidoneit della Vasca a svolgere adeguatamente la sua funzione quelle acque provocarono i lamentati danni. Non importa qui accertare se la fuoriuscita fu dovuta alla rottura degli argini o alla tracimazione, dato che entr.ambe le ipotesi, che sono le uniche prospettabili, implicano la prova dell'inosservanza, da parte del Comune, del suo dovere di controllo e di vigilanza della cosa in cui potevano formarsi agenti dannosi per i terzi. La presunzione di responsabilit ex art. 2051 pu essere vinta solo con a prova del fortuito, comprensivo, nella sua pi lata accezione (oltre che della colpa del danneggiato, ipotesi che nella specie non interessa) anche del fatto di un terzo, che abbia direttamente cagionato .l'evento dannoso (cfr. Cass. 23 gennaio 1976 n. 221; Cass; 18 giugno 1975 n. 2435). Il caso fortuito, inteso in questo ampio significato, esclude la respowsabilit del custode quando, nel determinismo dell'evento dannoso, si pone come dotato di impulso causale autonomo e con carattere di imprevedibilit e di inevitabilit nella sfera di azione del custode; questi, per vincere la presunzione di cui la legge lo grava, ha l'onere di allegare e provare la causa del danno estranea alla predetta sfera (cfr. Cass. 4 settembre 1974 n. 2412; Cass. 13 ottobre 1973 n. 2584). Il tentativo fatto in questa direzione dal Comune di Napoli pu dirsi fallito. Per quanto attiene al caso fortuito in senso stretto, da escludere che il Comune abbia dato la dimostrazione del sopravvenire di un fattore imprevisto e imprevedibile che, inserendosi nel p'rotesso causale e soverchiando ogni possibilit di resistenza e di contrast da parte delle : ' PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 647 forze dell'uomo, abbia reso inevitabile il compiersi dell'evento (cfr. Cass. 28 maggio 1975 n. 2189; Cass. 6 marzo 1962 n. 428). La documentazione esibita, invero, non prova che nel comprensorio de quo le precipitazioni atmosferiche della notte sul 30 novembre 1969 abbiano avuto il carattere dell'eccezionalit, tnto da poters onfigurare come un evento estremamente improbabile, .alle cui conseguenze il Comune non avrebbe potuto preventivamente opporre gli opportuni rimedi. In realt, sia per la stagione in cui ebbe a verificarsi' sia per il fatto che nel corso dell'anno vi erano state nella stessa zona precipitazioni di pari o maggiore intensit senza apprezzabili conseguenze dannose, la pioggia di quella notte non costitu un accadimento straordinario. Si pu convenire sul punto che il dato quantitativo non pu assumere un significato preciso se isolatamente considerato; ma si deve replicare che nel caso manca la prova di fattori concomitanti, non risalenti al comportamento del Comune, che abbiano conferito alla pioggia il carattere dell'eccezionalit. Certo che nelle preeenti occasioni non si verificarono inondazioni per cedimento di argini o per tracimazione: e ci conferma che il sinistro del 30 novembre deve farsi risalire alla difettosa manutenzione della Vasca. In ordine all'assunto, secondo cui la responsabilit dovrebbe imputarsi, interamente o in parte, 'al comportamento degli' enti che immettono le acque di rispettiva pertinenza nella Vasca Taglia, non stata data la prova che l'inondazione sia stata direttamente prodotta da tali immissioni, in quanto operate in misura e' con modalit abnormi. Bisogna, in proposito, rilevare che i predetti enti non sno gravati . da una presunzione di responsabilit n quanto sono privi tiella qualit di custode della Vasca; e che, quindi, per poter sostenere che essi abbiano contribuito alla produzione del sinistro occorre la prova degli estremi del fatto illecito ex art. 2043 e.e. Una simile prova non stata data; e neppure si sostenuto che le immissioni fossero abusive (circostanza, questa, che peraltro non avrebbe esonerato il Comune _di Napoli dal dovere di impedirla e dalla responsabilit per l'ipotesi di omesso impedimento. In realt si tratta, nella specie, di una regolamentazione operata ab antiquo, ben nota al Comune, il quale era quindi perfettamente in grado di programmare ed adottare le cautele necessarie al fine di evitare che il contemporaneo confluire, nella Vasca drraccolta, di una maggiore (ma non straordinaria) quantit d'acqua si ponesse come possibile fattore causativo di danno per i terzi. Poich, insom~a. le immissioni, lungi dal rappresentare un fatto imprevedibile ed inevitabile, si ponevano come una costante del regime della Vasca, il Comune non poteva non tenerne conto nel predisporre misure adeguate e id~nee a prevenire i possibili effetti pregiudizievoli derivanti dalle difficolt di. contenimento, di assorbimento o di smalti 648 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento delle acque immesse. Non essendo stato provato che il sinistro fu dovuto all'anormale immissione delle acque provenienti dal Canale Cassano invece che al cedimento degli argini, in quanto mal costruiti o fatisceriti ovvero al mancato compimento nella Vasca di adeguate opere di assorbimento (come i pozzi) o di smaltimento, le Amministrazioni chiamate dal Comune di Napoli vanno esenti da responsabilit e questa deve gravare sul custode della Vasca, a cui carico resta la causa ignota (cfr. Cass. 4 settembre 1974 n. 2412; Cass. 13 ottobre 1973 n. 2584). N potrebbe il Comune invocare nei confronti di tali enti la pretesa di ottenere la rivalsa di quanto sar condannato a pagare ai terzi danneggiati. Il rilievo svolto a proposito della mancata dimostrazione che dal comportamento di tali enti sia derivato il danno e l'inesistenza di un qualsiasi titolo contrattuale o legale che obbligasse gli enti stessi a provvedere direttamente alle opere necessarie per impedire che dalla Vasca Taglia si producessero inondazioni smentiscono la fondatezza di una simile pretesa, la quale non pu neppure trovare la sua base nell'asserito rapporto di servit, della cui esistenza il Comune non ha fornito II la necessaria prova. L'appellante rimprovera ancora al Tribunale rgonale di non aver tenuto in alcuna considerazione la sua eccezione di difetto dei titoli I I f.: di propriet degli attori . A parte la genericit della sua formulazione, questa censura palesemente priva di base se con essa si vuol dire che il gudice di primo grado non ha pronunciato espressamente sul punto della titolarit, in ~: ~: capo agli attori, -del ;diritto leso. Se, invece, si vuol significare che ndagine non stata approfondita, va rilevato, da una parte, che 1e contew I ~: stazioni al riguardo furono svolte dal Comune in termini molto vaghi e con espressioni meramente incidentali (essendosi il dibattito incentrato sul tema fondamentale della responsabilit del custode) e, dall'altra parte, che, non vertendosi in materia di rivendicazione, non era richiesta una prova rigorosa del titolo di propriet. Si aggiunga che, per giurisprudenza costante della S.C., danno patri- IImoniale risarcibile, in quanto 'cagionato dall'altrui fatto illecito, anche quello che incide nella sfera patrimonia:le del soggetto che si trovi ad I ~ esercitare un potere di fatto sulla cosa danneggiata o distrutta (cfr. Cass. 21 giugno 1976 n. 2329; Cass. 3 maggio 1976 n. 1569): e l'esistenza di questo potere di fatto non stata, nella specie, mai contestata. L'appellante lamenta, infine, che il primo giudice abbia accordato I ~ una provvisionale ai danneggiati, applicando un istituto estraneo alla i'. disciplina del procedimento davanti ai Tribunali regionali delle acque pubbliche e abbia, altres, erroneamente ritenuto che ricorressero le ~ f I ~condizioni per dichiarare provvisoriamente esecutiva la sentenza. Entrambe le critiche sono infondate. f. f. I I: f PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 649 Come questo Tribunale Superiore, con sentenza 28 aprile 1971 n. 8, ha gi affermato, l'istituto della provvisionale, pur non essendo previsto nel codice di rito del 1865 -al quale fa generico rinvi6, in via suppletiva, l'art. 208 del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775 - applicabile ai processi davanti ai tribunali delle acque, trattandosi di nuovo istituto, introdotto dal codice di procedura civile del 1942, avente portata generale per tutto il rito civile. Da tale principio discende l'applicabilit' della norma dettata dall'art. 282 cpv. c.p.c., che obbliga il giudice a concedere la richiesta provvisoria esecuzione nel caso di sentenze che pronunciano condanna al pagamento di provvisionali... tranne quando ricorrono particolari motivi per rifiutarla . Ora il motivo di rifiuto non pu erto consistere nella mera probabilit di riforma della sentenza in appello, perch una simile eventualit non mai da escludersi in astratto; e tanto varrebbe allora considerare eliminata la regola dtdla normale correlazione tra concessione della provvisionale ed esecuzione provvisoria. -(Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 13 dicembre 1977, n. 39 -Pres. Vallillo -Rel. Sgroi V. -Barozzi (avv. Annesi) c. Grazia (avv. Mesiano) e Ministero delle finanze (Avv. Gen. Stato). Acque pubbliche ed elettricit -Acqua pubblica Configurazione -Scorrimento in acquedotti comunali -Rilevanza ostativa -Esclusione. (T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1). Acque pubbliche ed elettricit -Acqua pubblica -Possibile oggetto di propriet privata -Esclusione. Acque pubbliche ed elettricit -Diritti parziari preesistenti alla demanialit Subutenze -Trasformazione Condizioni. Acque pubbliche ed elettricit -Antica utenza e uso di fatto -Diritto al riconoscimento o alla concessione Mancanza di tempestiva domanda Decadenza. (T.u. 11 dcernbre 1933, n. 1775, artt. 2, 3, e 4). L'acqua, che per la sua attitudine ad usi di pubblico generale interesse ha natura di acqua pubblica, non perde il suo carattere di bene appartenente al demanio idrico statale per il fatto della sua immissione in canali o acquedotti di propriet non statale, almeno sino a quando la rilevata attitudine permane, concretandosi nell'impiego per usi di irrigazione, alimentazione, forza mo'trice e simili (1). (1) Cass. 22 ottobre 1954, n. 3996, Giur. agr. 1955, Il, 465. Per la distinzione tra acquedotti -beni del demanio accidentale dell'ente territoriale cui appartengono -e acqua pubblica in essi fluente -bene del dema 650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ,, Non configurabile, rispetto ad acque cui sia riconosciuto il carattere pubblico, la esist'enza di un diritto di propriet privata (2). m La trasformazione in subutenza dei diritti parziari di godimento di un'acqua poi riconosciuta demaniale presuppone la derivazione di I quei diritti da soggetto che dell'acqua fosse anteriormente il proprietario (3). La rilevanza giuridica della posizfone di utente di fatto in attesa del riconoscimento di antica utenza condizionata alla tempestiva presentazione della domanda di riconoscimento secondo il disposto degli II artt. 2 e 4, t.u. 11 dicembre 1933, n. 1i1s (4). (Omissis). -Nella seconda comparsa conclusionale l'appellante ha dedotto con formula alquanto vaga il difetto di legittimazione dei Gra I zia, i quali, siccome privi della titolarit di diritti sull'acqua fluente nel II Canale s. Pietro, non sarebbero -seCOJ:\dO il suo avviso -legittimati ad agire in giudizio per ottenere l'accertamento delI'inesistenza di un diritto di esso Barozz sulla medesima acqua. . L'eccezione infondata. Se con essa l'appellante si riferisce alla causa promossa dai Grazia davanti al Tribunale di Modena, per la parte di controversia che la S.C. ha ritenuto non di ~ompetenza del giudie I I t specializzato, Teccezione esula dall'ambito del presente giudizio. Con riguardo al quale va rilevato che l'eccezione non tiene conto del rilievo f:' che questo Tribunale superiore chiamato a risolvere la questione pre~ f: giudiziale -relativa alla natura. giuridica della predetta acqua -ricompresa entro la sfera di competenza delineata dall'art. 140 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775; e che l'indagine intorno alla legittimazione in ordine alla cau.sa circa fa deinani~lit idrica, in, quanto si tratta, ap I punto, di causa pregiudiziale, non pu dissociarsi dall'esame della legittimazione relativa alla causa di merito. Sotto questo aspetto sostenere che i Grazia non sono legittimati perch non sono titolari di diritti sull'acqua significa giustapporre i due profili della legittimazione e della titolarit del diritto e dimenticare che la controversia di merito stata nio idrico statale o regionale -cfr. Pret. Montegono 7 giugno 1974, Giur. me rito 1975, I, 243;. Cass. 7 giugno 1973, n. 1637, Giust. civ. 1973, I, 1707; Trib. sup. acque 1 febbraio 1973, n. 3, Cons. Staro 1973, II, 219. (2) Cfr., nello stesso senso, Cass. 7 dicembre 1974, n. 4088, in questa Rassegna 1975, I, 424; Trib. sup. acque 1 ottobre 1974, n. 16, ivi, 1975, I, 599. (3) Cfr. Trib. sup. acque 26 aprile 1974, n. 5, Giust. civ. 1974, I, 1312. (4) Le sentenze richiamate sul punto in motivazione possono leggersi, Trib. sup. acque 5 ,giugno 1974, n. 11, in questa Rassegna 1975, I, 252; Cass. 21 febbraio 1974, n. 486, ivi 1974, I, 722; Cass. 19 luglio 1965, n. 1628, ibidem, 1965, I, 828; Cass. I 13 maggio 1965 n. 918, in Foro amm. 1965, I, 1, 375; Trib..sup. acque 1 aprile 1965, n. 8, in questa Rassegna 1965, I, 580; Cass. 14 aprile 1964, n. 891 in Giust. civ. 1964, I, 1600. I I ~ ' PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 651 introdotta sul tema dell'accertamento dell'inesistenza del diritto del Ba rozzi. Con l'atto di appello il Barozzi ha chiesto dichiararsi che l'acqua gratuita delle 24 ore festive di cui si contende di esclusiva utilit pri vata e privilegiata dei terreni siti in territori di Vignola, Spilamberto e Castelnuovo Rangone e costituente diritto acce!sorio alla yropriet dei beni stessi per consu.etudni immemorabili convalidate da Grida e Notificazioni dei cessati Governi estensi, accettate e sempre osservate dal Governo italiano; e come tale estranea a qualsiasi uso di pubblico generale interesse . L'appello infondato. L'art. 1 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 fa discendere il carattere demaniale delle acque dalla loro obiettiva attitudine a soddisfare fini di pubblico generale interesse e indica quali elementi rilevanti allo scopo di accertare la possibilit di utilizzazione pubblica la portata delle acque, l'ampiezza del bacino imbrifero, il sistema idrografico al quale le acque .stesse appartengono (cfr. Cass. 28, aprile 1976, n. 1507; Cass. 15 marzo 1975, n. 1014; Cass. 25 novembre 1974, n. 3814). In particolare, l'attitudine di determinate acque ad usi di pubblico generale interesse non esclusa dalla circostanza che per il passato tali acque siano state completamente utilizzate da privati, allorch quest'uso, come per l'irrigazione, corrisponda all'interesse generale (cfr. Cass. 25 maggio 1971, n. 1534). Nella specie le acque che fluiscono nel Canale (artificiale) S. _Pietro sono derivate dal fiume Panaro, vale a dire da un corso d'acqua di indiscutibile rilevanza idrica in relazione sia alla sua portata che all'am piezza del suo bacino sicch il suo carattere pubblico, ai sensi dell'art. 1 citato, non seriamente contestabile. A sua volta l'appartenenza del Canale al Comune di Modena non incide minimamente sul carattere demaniale di tali acque. Infatti, se si eccettuano le derghe a favore di Regioni a statuto speciale, il demanio idrico appartiene esclusiva mente allo Stato, mentre il demanio comunale o provinciale, di natura accidentale, comprende soltanto gli acquedotti e le relative attrezzature, non mai l'acqua cl;ie in essi viene immessa e fatta defluire (cfr. Cass. 7 giugno 1973, n. 1637; Trib. sup. 18 aprile 1968, n. 9 e 1 febbraio 1973, n. 3); e, una volta accertato che determinate acque abbiano l'attitudine ad usi di pubblico generale interesse, la lor~ immissione in canali o acquedotti di propriet non statale non determina la perdita del loro carattere demaniale finch tale. attitudine permane, concretandosi nell'impiego per usi di irrigazione, di alimentazione, di forza motrice e simili (cfr. Cass. 22 ottobre 1954,. n. 3996). L'appartenenza al demanio idrico statale delle acque del Canale S. Pietro , del resto, sostanzialmente riconosciuta dallo stesso appel: lante, il quale si limita a svolgere un discorso inteso ad accreditare una ~ ~ I I ili 652 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO discriminazione tra le acque fluenti nei giorni feriali (delle quali non disconosce la natura pubblica) e quelle derivate nei giorni festivi per !i uso di irrigazione gratuita (che sarebbero private). Ora si deve escludere la configurabilit, rispetto ad acque, cui sia riconosciuto il carattere pubblico, dell'esistenza di un diritto di propriet r.-: I privata. La natura stessa del bene considerato impedisce che esso sia, ad ~:un tempo, in parte pubblico e in parte privato, sicch inammissibile la coesistenza sulla medesima acqua di diritti demaniali e di diritti di propriet privata (cfr. Cass. 7 dicembre 1974 n. '4088); n possibile differenziare dagli altri il caso, che l'appellante prospetta, di diritti concorrenti ma distinti nel tempo (a seconda che siano esercitabili ni giorni lavorativi ovvero nei giorni festivi), giacch l'impiego dell'acqua ad uso di irrigazione, per di pi relativa ad un vasto comprensorio, corrisponde ad evidenti fini di pubblico generale interesse. Sotto questo profilo, dunque, a togliere per periodi limitati, ma ricorrenti all'acqua stessa il crisma della demanialit non giova il riferimento a giorni diversi della settimana, col variare dei quali muterebbe la natura del diritto e il relativo titolare. L'appellante ravvisa nella circostanza che l'acqua delle giornate festive non pu essere utilizzata per un uso diverso dalla irrigazione dei terreni dei Comuni di Vignola, Spilamberto e Castelnuovo Rangone, una intrin l seca inettitudine dell'acqua stessa ad usi di pubblico generale interesse. In questo enunciato si annidano una petizione di principio ed un errore di diritto. Sotto il primo profilo, da notare che l'esistenza de~ I preteso diritto costituisce il thema demostrandum e non pu, perci, ri essere addotta come la prova o la conferma di quella inettitudine. Ii Al secondo profilo si gi accennato, allorch si detto che non contraddice alla natura demaniale delPacqua la circostanza che essa sia utilizzata solo da privati, se il fine dell'utilizzazione rilevante come pubblico, qual quello dell'irrigazione di un vasto comprensorio (cfr. Cass. 25 maggio 1971 n. 1534). Nel tentativo di sorreggere il proprio assunto l'appellante, andando a:lla ricerca del titolo idoneo a fondare il suo preteso diritto, richiama sia il rogito Prampolini del 1890 (con il quale lo Stato vendette al Comune di Modena il Canale S. Pietro) sia il decreto ministeriale in data 28 gennaio 1969 di concessione dell'acqua a favore del predetto Comune. Senonch, il suindicato atto di vendita non si pone affatto come fonte regolatrice o come atto ricognitivo di diritti spettanti ai danti causa del Barozzi in ordine all'utilizzazione dell'acqua del Canale. Da. un lato, infatti, da rilevare che costitu oggetto della vendita non gi l'acqua fluente nel Canale, ma questo considerato nella sua struttura di opera idraulica; e perci stesso quel rogito mal si presta ad avallare la tesi dell'esistenza di un diritto relatvo all'acqua. Dall'altro lato, poi, i danti causa dell'appellante non risultano affatto menzionati nel rogito Prampo PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 653 lini; e il divieto imposto al Comune acquirente di deviare le acque del Canale e di disporne in modo non conforme agli usi legittimi attuali ha una portata cos_ generica da non giustificare T'idea che a tale divieto corrispondano automaticamente specifici diritti di utenti, per di pi nominativamente non indicati. da notare, ancora, che il riferimento alla irrigazione gratuita o privilegiata menzionata riel rogito come spettnte a tutti gli utenti situati nel territorio di Modena, oltre a prensatare la stessa genericit, viene svalutato dal rilievo che -come testualmente si esprime lo stesso atto __: i diritti e gli obblighi del Demanio, che nascono dalla. sua qulit di proprietario del Canale e nei quali subentra il Comune, sono delineati in modo semplicemente dimostrativo senza punto intendere con ci di dar base a diritti ed obblighi che non siano fondati sopra validi titoli , decisivo, infine, il rilievo che il rogito Prampolini di gran lunga anteriore all'entrata in vigore del regime della demanialit e della connessa discipina -che impone per le antiche utenze il provvedimento ricognitivo. Considerazioni analoghe a quelle or ora svolte e basate sulla genericit delle riserve a favore dei diritti di terzi (secondo un usuale modulo provvedimentale), suggerisce la lettura del decreto di concessione di utenza accordata al Comune: quelle riserve non possono equivalere ad un riconoscimento implicito del diritto vantato dal Barozzi, quando non si registra alcun cenno idoneo a legittimare, sia pure per via indiretta, la titolarit di un simile diritto. Si aggiunga che il tema della trasformazione in subutenza del diritto di godimento iure. privato dell'acqua come riflesso della dichiarazione di demanialit dell'acqua stessa non appartiene alla presente causa: e ci non soltanto perch l'appellante esclude di essere titolare di una subutenza, ma soprattutto perch non si allega n si dimostra che il Comune, divenuto utente, fosse proprietario dell'acqua prima della dichiarazione di demanialit di questa e si esclude, coerentemente, che il preteso diritto di utilizzazione gratuita dell'acqya festiva fosse costituito sulla base di diritti del Comune. Altrettanto superfluo e fuori centro risulta qualsiasi discorso imperniato sulla posizione giuridicamente rilevante dell'utente di fatto in attesa del riconoscimento dell'utenza (cfr. Cass .. 21 febbraio 1974 n. 486; Cass. 13 maggio 1965 n. 918; nonch Cass. 9 marzo 1965 n. 378), dal momento che l'appellante non ha provato (ed anzi neppure sostiene) di aver presentato tempestiva domanda di riconoscimento di antica utenza ai sensi degli artt. 2 e 4 del testo unico n. 1775 del 1933 (cfr. Cass. 19 luglio 1965, n. 1628; Cass. 14 aprile 1964 n. 891; Cass. 13 febbraio 1964 n. 313; Trib. sup. 1 aprile 1965 n. 8; Trib. Sup. 5 giugno 1974 n. 11). IO 654 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Questo rilievo non in contraddizione con quanto si legge negli atti difensivi dell'appellante, gacch egli si riferisce ad un riconoscimento ex art. 2 lettera b) del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1175 che sarebbe intervenuto (in via implicita, ma come appare evidente, in contrasto con il sistema posto dalla citata norma) prima dell'entrata in vigore del citato testo unico. E quando passa ad indicare l'atto di riconoscimento, pretende di ravvisarlo nella convenzione consacrata. nel rogito Prampolini e nel decreto di concessione di utenza in favore del Comune di Modena, la cui inidoneit a questo effetto gi stata mess in luce. La tempestiva presentazione della domanda di riconoscimento , poi, presupposto necessario per l'applicabilit della legge n. 42 del 1952 (il cui art. 1, comma 2, richiama, appunto, gli artt. 2 e 3 del testo unico) e, quindi, anche questa deduzione, tardivamente svolta nella 2a comparsa conclusio.nale, non giova all'assunto del ricorrente. Neppure il richiamo dell'art. 67 del testo unico, su cui l'appellante fa leva, vale a spostare i trmini della questione, giacch la partecipazione, al consorzio obbligatorio di utenti di acqua per antico uso si intende l anch'essa condizionata, in base alla citata disposizione, al riconoscimento I dei .rispettivi diritti ai sensi del precedente art. 3. In conclusione, ove pure il diritto dominicale vantato dal Barozzi I f sulle acque fluenti del Canale S. Pietro fosse esistito in epoca preunitaria ! e comunque anteriore all'introduzione. del regime giuridico della demanialit delle acque stesse, esso sarebbe venuto meno per effetto della f.[ % legislazione speciale che ha introdotto tale regime (cfr. Cass. 24 giugno 1976 n. 2366; Cass. 25 maggio 1971 n. 1534; Trib. Sup. 1 febbraio 1973 n. 4); I e la caducazione non potrebbe essere neutralizzata pro parte della persistenza di un diritto (hon riconosciuto da un atto della P.A.) di natura reale, caratterizzato dalla peculiarit del suo contenuto, consistente nella I utilizzazione dell'acqua limitatamente ai giorni festivi, e strutturato se ~ I i !condo lo schema della servit o del diritto propter rem o comunque d~l diritto accessorio alla propriet del fondo (l'appellante prospetta promiscuamente questa serie di configurazioni giuridiche), quando la stessa natura demaniale del bene, che permane immodificabile nella sua identit pubblicistica rifiuta, in forza del criterio di incompatibilit, l'assog I ! gettamento ad un simile diritto di carattere privatistico. -(Omissis). I \ I PARTE SECONDA -I ~ i ?: I I I I Il I i ! I .. I LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT COSTITUZIONALE III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, a,rt. 250, ultimo comma (artt. 3 e 30 delilia Costi:tuzionre). Tribunalie per i minorenni di Venezi1a, ordinanza 20 aprilie 1978, n. 357, G. U. 11 ottobre 1978, n. 285. codice civile, art. 2'84 [niod. legge 19 maggio 1975, n. 151; art. 1Z5l (artt. 3, 29 e 30, comma terzo, de1La Costituzione). Tribuoolie per i minorenni di Napolii, ordinanza 6 aprile 1978, n. 382, G. U. 25 ottobre 1978, n. 300. codice c1ivile, art. 284 (ari:t. 29 e 30, terzo comma, della Costituzione). Tribunalie per il minorenni di Roma, ordiinanza 23 gennaio 1918, n. 294, G. U. 13 settembre 1978, n. 257. codice civile, art. 1284 (artt. 3 e 47 del:IJa Costituzione). Pretore di :Piombino, ordinanza 14 marzo 1978, n. 298, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. codice civile, art. 2948, n. 4 [modificato dalla sentenza 10 giugno 1966, n. 63 della Corte cos+.ituzionalel (art. 3 de1La Costituzione). TribuooLe di .Massa, ordmanza 7 marzo 1978, n. 288, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. codice civile, art. 2948, n. 4 (artt. 136 e 36, primo comma dell1a Costituzione). PtVetore di Parma, ordina.nza 14 1aprilie 1978, n. 356, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. codice di procedura civile, art. 419 (artt. 3 e 24 deLLa .Costituzione). Pretore di Napo~i, 011dinanza 17 apriLe 1978, n. 350, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. codice di pl"ocedura civile, art. 431, terzo comma (,artt. 3 e 24 deLLa Costrtuzione). TdbUJnaLe di Torino, ordinanza 20 apriLe 1978, n. 351, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. 180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedu,ra civile, art. 700 (artt. 24, primo comma, e 3, primo comma, dehlia Costi>tru.zione). Pretore. di Genova, ordinanza 28. febbraio 1978, n. 290, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. Pretore di Genova, ordinanza 24 marzo 1978, n. 312, G. U. 13 settembre 1978, n. 257. codice di procedura civile, disposizioni di attuazione, art. 152 ('art. 24, commi primo e terzo, delila Costituzione). PTetcwe di Avezzano, ordinanza 23 marzo 1978, n. 362, G. V. 11 ottobre 1978, n. 285. codice penale, art. 57 (art. 3 deHa Costituzione). ' Tribunade di Millano, oiidinanza 13 maggio 1977, n. 389/1978, G. U. 25 ottobre 1978, n. 300. codice penale, art. 176 cpv. (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione). Giudice di ,sorveglianza presso i1 tribuna1e di Nuoro, ol1dinanza 28 febbraio 1978, n. 299, G. U. 13 settembre 1978, n. 257. codice 9enale, ai:t. 222, primo e secondo comma (aTtt. 3; primo comma, e 32, secondo comma, dehla Costituzione). Giudice istruttore de~ tribuna1e di Pi:sa, ordinanza 18 febbraio 1978, n. 370, . G. V. 18 ottobre 1978, n. 293. codice penale (art+. 624 e 625, n. 4 (artt. 3, 13 e 27 della 'costituzione). Trj,bun~ di Calitanissetta, ordinanza 19 aprHe 1978, n. 380, G. U. 25 ottobre 1978, 111. 300. codice penale, art. 636, . terzo comma, seconda parte (art. 3 deMa Costituzione). Pretore di Amagll!i, ord~nanza 9 febb:r~aio 1978, n. 300, G. V. 6 settembre 1978, n. 250. cod,ice ,pena-le, art. 684 (artt. 3 e 21 deMa Costituzione). Tiribunalie di Macerata, oroirumza 3 aprile 1978, n. 324, G. V. 27 seHembre 1978, n. 271. codice di procedura ,penale, art. 164; n. 1 (artt. 3 e 21 deUa Costituzione). 0 TribU>Dale di Macerata, ordinanza 3 apri1e 1978, n. 324, G. U. 27 settembI'. e 1978, n. 271. codice ,di procedura penale, art. 169 (artt. 3 .e 24, comma secndo, deHa Costituzione). p,retore di MiJLano, ordinanza 15 marzo 1978, n. ,333, G. U. 27 settembre 1978, n. 271. PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura penale, art. 489 (art. 3 de!ila Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 17 marzo 1977, n. 340/1978, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. r.d'. 21 ottobre 1923, n. 2393, art. 7 (artt. 3 e 24, comma secondo, dehla Costituzione). Pretore di MHano, ordinanza 15 marzo 1978, n. 333, G. U. 27 settembre 1978, Il. 271. r.di. 30 dicembre 1923, n. 31269, artt. l2 e 14 (artt. 3 e 53 ddLa Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 31 marzo 1977, n. 384, G. U. 25 ottobre 1978, n. 300. r.d.I. 29 luglio 1'927 [convertito in legge 5 luglio 1928, n. 17601 art. 1O (artt. 3, comma priimo e 25, comma secondo, deLJ,a Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 10 febbraio 1978, n. 372, G. U. 18 ottobre 1978, n. 293. legge 27 maggio 19,29, n. 847, art+. 12 e 16 (art. 3 ddLa -Costituzione}. Tribunale di Treviso, ordinanza 16 marzo 1978, n. 278, G. U. 6 settemb11e 1978, n. 250. r.d. 8 gen.naio 1931. n. 148, art. 27, !etera a), alegato A) (artt. 3, 4 e 38, primo capoverso, delJJa Costituzione). Pretore di Taranto, ordinanza 12 aprHe 1978, n. 359, G. U. 11 ottobrie 1978; n. 285. legge 26 apl'ile 1934, n. 653, art. 18 (.artt. 3 e 37 detJ,a Costituzione). Pi;etore di La Spezia, ordinanza 28 apriLe 1978, n. 377, G. U. 18 ottobre 1978, n. 293. r.d.I. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 32, quarto comma (art. 3 della Costituzione) . Pretore di Portomaggiore, ordinanza 13 Settembi;e 1978, n. 336, G. U. 13 settembre 1978, n. 257. ~egg.e 3 9iugno 1940, n. 1078, artt. 5, 6 e 7 (.ai;tt. 3 e 24 deHa Costituzione). Tdbuna1e di Avezzano, ordinanza 10 marzo 1978, n. 287, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. legge 16 febbra.io 1942, n. 26, artt. 2 e 3, n. 4 (art. 11 deUa Costituzione). Proouratore del.ila Repubblica di Salerno, oi;dinnam 31 marzo 1978, n. 301, G. U. 13 settemb11e 1978, n. 257. 182 RASSEGNA DELL'A_VVOCATURA DELLO STATO legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 31, ultimo comma [come mocHicato Ida legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 10] (artt. 3, 41 e 42 delJ.ia Costituzione). Pretore di Bassano deL Grappa, 011d1nanza 20 febbraio 1978, n. 307, G. U. 13 isettembre 1978, n. 257. I legge 17 agosto 1942, n. ll50, art. 41, lettera b) (art. 3 deLlia Co f~ stituzione). ~= Piretore di Gali!Ja11ate, mdinanza 21 ottobre 1977, n. 322/1978, G. U. 20 settembre 1978, n. 264. d. legislativo del C.p.S. 1 aprlle 1947, n. 273, art 1 (art. 44 della CostituziOIIle). Tribuna1e di Parma, sezione agraria, ordinanza 21 dicembre 1974, n. 361/1978, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. legge 8 febbraio 19418, n. 47, art. 3 (art. 3 de11a Costituzione). Tribuna1e di Mi1ano, ordinanza 13 maggio 1977, n. 389/1978, G.'!. 25 ottobre 1978, n. 300. d. legislativo 11 febbraio 1948, n. 50, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 6 marzo 1978, n. 302, G. U. 6 settembre 1978, l n. 250. ili d.P.R. 1 dicembre 194>9, n. H42, art. 75 (art. 24 deLla Costituzione). I f: Commissione trnbutaria di ;primo grado di Mistretta, O!'dinanza 18 febbraio 1978, n. 367, G. U. 11 ottobre 1978, n. 285. lli legge 23 maggio '1950, n. 253, art. 4, n. 2 (airt. 3 deLla Costituzione). Pretore di AJvigfilana, 011dinanza 25 marzo 1978, n. 314, G. U. 20 settembre 1978, n. 264. I d.P.R. 310 maggiio 1955, n. 973, art. 3, primo comma (artt. 3, 29, secondo comma, 36, primo comma, e 37, primo comma, delilla Costituzione). Corte di CaJSsazione, ordinanzi;i 13 :f.ebbraio 1978, n. 338, G. U. 11 ottobre 1978, n. 285. I d.P.R. H gennaio 1958, n. 645, art. 1'51, lettera d) (art. 76 deLl!a Costi tuzione). . '.:';]ili/! CommiStsione tributaria centrale di Roma, 011dinanza 9 dicembre 1977, n. 368/1978, G. U. 11 ottobre 1978, n. 285. d.P.R. 15 giugno 1959, .n. 393, art. 121, comma te.rzo [mod. da legge 5 maggio 1976, n. 31'3, art. 5] (artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, delila Costituzione). Pretore di Cento, ordinanza 19 apriLe 1978, n. 381, G. U. 25 ottobre 1978, D. 300. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 1~ agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo com.ma, lettera a) ~art. 3 delta Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 23 marzo 1978, n. 316, G. U. 27 ,settembre 1978, n. 271. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 14 (art. 44 deHa Costituzione). Tribunale di Parma, sezione agraria, ordinanza 21 dicembre 1977, n. 361/1978, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. d.P.R. 30 giugno 1965, n. l a4, art. 145, lettera A> .(ar. 3 e 38 d.elLa Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 15 marzo 1978, n. 352, G. U. 4 ottobre 1978, Il. 278. legge 15. luglio 1'966, n. 604, artt. 8 e 11 (art. 3 dehla Costituzione). Pretoit1e di Bassano del Gmppa, ordinama 25. marno 1978, n. 295, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. legge 15 luglio 1966, n. 604, art 11 (artt. 3, primo comma, 4, primo e secondo comma, 37, primo cQIII1ma, e 38, secondo comma, del!1a Costitu:ione). Pcretore di MiLano, ordinanza 21 febbraio 1978, n. 331, G. U. 20 settembre 1978, n. 264. legge 29 maggio 196,7, n. 379, art. 7, terzo comma (artt. 3 e 24 defila Costituzione). TribuIJJaLe di fosvezzano, ordinanza lo marzo 1978, n. 287, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. legge 29 maggio 1967, n. 379, art. 7, quinto comma (art. 3 dehla Costituzione). Tlribunalle di Avezzano, 011dinanza lo marzo 1978, n. 287, G. U. 6 settembre 1978, n. 250. legge ~ ottobre 1967, n. 895, art. 2 [mod. da legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 101] (art. 3 de11a Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunaLe di Bo~ano, oa.idinanza 10 apdLe 1978, n. 303, G. U. 13 novembre 1978, n. 257. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 deUa Costituzione). TribunaLe amministmtivo 11egionaLe de1La CaLabria, ordinanza 10 novembre 1977, n. 349/1978, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1 O e 20 (artt. 3 e 24 dehla Costituzione). T1ribunalle di Torino, ordinanza lo marzo 1978, n. 286/1978, G. U. 6 s'ettembre 1978, n. 250. 184 RASSEGNA D~L'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 27 apriile 1968, n. 488, art. 1 (artt. 3 e 38 deH marzo 1978, n. 308, G. U. 20 settembre 1978, n. 264. legge 26 novembre 1969, n. 833, art. 4 e 5 (art. 3 de& Costituzione). I Pretore di Imperia, ordinanze (quattro) 4 maggio 1978, nn. 343, 344, 345 e 346, G. U. 4 ottobre 1978, n. 278. I ,legge 24 dicembre 1969, n. 990, combinato d'is.posto artt. 7, secondo [: comma, e 32 (art. 41, terzo comma, della Costituzione). I li Pil'etore .di La Srpezia, ordinanza 5 aJ?