ANNO XVI N. 2 MARZO -APRILE 1964 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione di servizio ARTI GRAFICHE MILILLO ROMA INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE pag. 243 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 272 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE 291 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 332 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 354 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE AP PALTI E FORNITURE 395 Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE 419 Parte seconda: .RASSEGNE QUESTIONI CONSULTAZIONI RASSEGNA DI DOTTRINA 25 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 27 QUESTIONI 50 CONSULTAZIONI 61 Le sezioni della parte prima sono curate, nell'ordine, dagli avvocati: Michele Savarese, Giorgio Zagari, Franco Carusi, Ugo Gargiulo, Leonida Correale, Giuseppe del Greco, Antonino Terranova; le rassegne di dottrina e legislazione dagli avvocati: Benedetto Baccari e Mario Fanelli. Coordinamento generale: avvocati Aristide Salvatori e Ugo Gargiulo. Elenco delle principali annotazioni a sentenze c. ARIAS, Sulla natura giuridica dell'Ufficio Italiano dei Cambi pag. 264 G. ZAGARI, Osservazioni in tema di interesse semplice . . . . )) 281 F. CARUSI, Azione di reclami di nome contro l'Ufficio Araldico? )) 295 u. GARGIULO, La impugnativa dell'elezione da parte dei componenti dei corpi eligenti amministrativi . . . . )) 332 u. GARGIULO, Rapporti tra piano di ricostruzione e piano regolatore generale . . . . . . . . . . . . )) 339 . ' ' G. GUGLIELMI, L,'attivitd statale decentrata alla Regione Siciliana in materia di antichit e belle arti . . . )) 349 L. CORREALE, Sull'effetto interruttivo del verbale di accertamento di trasgressione alle leggi finanziarie e valutarie . . )) 368 L. CORREALE, Deduzione dall'attivo dell'asse ereditario dei saldi passivi di c/c. Prova . . . . . . . 385 G. GUGLIELMI, La pregiudiziale amministrativa . . )) 399 F. CARUSI, Interpretazione invalidante del contratto .. )) 407 R. BRONZINI, Il reato abituale nella sua struttura giuridica )) 423 INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE -Classificazione -Modifica -Estinzione di diritti di uso e di [)esca -E'sclusione -Acque rpubblliche Mutamento di caratter.iistiche e di destinazione dirpendente da evento naturale -Diritto di uso e di pesca -lm{Poo.sibHe loro esercizio, 399. . -Competenza -Provvedimenti di decadenza dal diritto esclusivo di [pesca -Lmpugnativa dinanzi al Trib. Sup. .A!cque -Ammissibi1it, 398. -Competenza -Natura pubblica delle acque -Aecertamento gi defin..: tivo -Appartenenza al demanio marittimo o al demanio idrko Controversia sollevata incidenter tantum -Incidenza su interessi legittimi e non su diritti soggettivi -Competenza del Trib. Sup. Aque -Esclusione -Ooffi!Petenza del Consiglio di Stato -. Sussiste, con nota di G. GUGLmLMI, 399. -Costruzione acquedotti -G1U["isdi-. zione dei Tribunali delle Acque Pubbliche -Limiti, 405. -Pesca -Diritti esclusivi -Provvedimenti del Preifetto e del Capo Compartimento marittimo -Defi-7 nitivit -Esclusione -Silenzio Rifiuto -Illl/PIUgnativa dinanzi al Trib. Sup. Acque -Inammissibilit, con nota di G. GUGUELMI, 398. - Pesca -Diritti esc'.liusivi -Ricono scimento . -Termine previsto dalla legge 24 marzo 1921 n. 312 in relazione alle acque considerate, di diritto o di fatto, gi pubbliche nel 192.1 -Acque di,chiarate pubbliJche in epoca successiva -AIPSusrsistEm2la 29 _ con nota di F. CARUSI, 406. - AIP!Palto di opera ipubblica -Novazione del termine contrattuale di ultimazione dei lavori -Interpretazione dei 'contratto -Ricel'ca della 1comune intenzione dei contraenti -Perisistenza della 'l'esponsabilit della Stazione A[lipaltante [per la VI RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO protazione della durata dei lavori, CQIIl nota di F. CARUSI, 407. -A,ppalto di opere pubbliche _ Capitolato geneirale del Ministero dei LL..PP. _ Natura normativa, 395. --Appalto di opere ipubblkhe -Interessi sulle -somme dovute all'aiprpaltatore _ Art. 40 Capitolato ~en~ raie 28 magigio 18-95 -Inarppbcab1lit degli artt. 1341 e 1342 .c.c., 39-5. APPELLO -Principio del doipiPio grado di giurisdizione _ Limiti in materia di sentenze non definiti'Ve del giJUdice di primo grado, 321. -v. anche Imp'Ugnazione. ATTO AMMINISTRATIVO -V. Competenza e gti'Urisdizione. CACCIA E PESCA -Riserva di caccia -In1chlisione coattica -!Motivazione -Necessit, 349. COLLEGIO -Organo collegiale ,amministrativo E'lezione dei componenti -Partecipazione alla votazione di 'Soggetti ritenuti estranei Dedsivit dei loro voti -Impugnativa del risultato della elezione da parte degli eleggibili -Ammissibilit -Fattispecie, con nota di U. GARGIULO, 332. . -Organo rcollegia1:e amministrativo Elezione dei COmiPonenti -Partecid tt" pazione alla votazione i so~ge 1 ritenuti estranei -Impugnativa del irisultato della elezione da parte d" t degli elettori -Difetto l in eresse _ FatUspecie, con nota di U. GAR GIULO, 332. -Organo collegiale ammin~strativo Elezione dei componenti -Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei -E[ezione ultimata e proclamata -Im.:pugnativa -Interesse a ricorrere -Attualit, con nota di U. GARGIULO, 332. COMMISSIONI TRIBUTARIE -V. Imposte e Tasse in genere. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Amministrazione dello Stato ed Enti pubbl1ci _ Raworto con i di pendenti -Mancanza dell'atto formale di nomina -DLsciplina privatistica -ControveI'ISie -Giurisdizio ne ordinaria, 272. -Atto ammi!llistrativo -Disapplicazione ai sensi dell'art. 5 I. 20 mar zo 1865 n. 2248, all. E -Giurisdi ,1on, =inlb-tiv -"''""'""' Giurisdizione ordinaria -. Sussist~, 'con nota di G. GUGLIELMI, 39 -Principi generali -Conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione -. PreSU(pposti, 'con nota di G. GUGLIELMI, 349. -Regioni -Atto amministrativo Contestazione relativa alla -competenza della Regione -Conflitto di attribuzioni -Non sussiste -Giurisdizione del Consiglio di Stato Sussiste, 278. -Riserva di caiccia -Atto di proroga di concessione -Federazione It..cac- eia _ Interesse legittimo -Fatt1spede -Insussistenza -R~cOlllSO giurisdizionale -Inammissibilit, con nota di G. ZAGARI, 281. -Riserva di 'caccia -Atto di proro ga di concessione _ Privati caccia-. tori _ Interesse legittimo -Insusisistenza _ Ricol1so giurisdizionale _ Inammissib~lit, con nota di G. ZAGARI, 281. _ V anche Amministrazione deHo Stato Cosa gri:udicata, Regione, Sar ' bb' h degna, Acq'Ue pu. .u: e. CONCESSIO.NI AMMINISTRATIVE _ V. Farmacia, Acq'Ue pubbliche; Poste e teiecom'Unicazioni. CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI _ v. Corte Costit'UZionaie. CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO _ Morte di creditore dello Stato . Pagamento agli aventi .causa Ju:~ succession~s -Emissione. d\ IPlU o11dinativi parziali di spesa -Con-. dizioni di legittimit, con nota d1 F. CARUSI, 325. CONTENZIOSO TRIBUTARI~ --V. Imposte e tasse in genere. CONTRATTI PUBBLICI -Licitazione . rprivata -Durata di un'ora -Abbreviazione per man, canza di conconrrenti -Legittimit, 352. -Licitazione privata -Gara andata deserta -Rinnovazione -Inviti Limitazione a talune ditte -Motivi fondati -Obbligo di pl!"ecisazione dei motivi negli inviti -Non sussiste, 352. -L1"c1"taz1"one prlrvata_ -Oflferte -Of ~ d'erte verbali -Ammiissibilit Fattispecie, 352. COVOP.aEnRAcheTIAV~aito. '--V Edi>ota" od """""'"'" II I I I I ~ ~ ~ ili,',:.:._ W 1 : ~, . 1,. , 1 11 ~--"'""-M""'""'"'"""--""""""'11'=~#-~J INDICE VII CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto 1costituzionale di attribuzioni -Conflitto tra Stato e Regione -Presupposti, 1con nota di R. BRONZINI, 291. -Coruflitto fra Stato e Regione - Contraversia icirca l'a1p1partenenza di beni del :patrimonio disponibile Co!J..flitto costituzionale di attribuzioni, 1con nota di R. BRONZINI, 291. -Conflitto tra Stato e Regione Controversia drea l'apipaTtenenza di beni del patrimonio indh;ponib:ile Conflitto costituzionale di attribuzioni, con nota di R. BRONZINI, 291. COSA GIUDICATA -Giudicato imipilicito -Questioni dedotte e deducibili, 324. - Giudi1cato sulla giurisdizfone -Ne1cessit di un .giudicat oanche su questioni di merito -Non 'SUSsiste, 274. -V. anche Giustiz.ia amministrativa. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -V. Dogana, Reato, Reato contro la famiglia; Sicurezza pubblica, Tasse e imposte comunali. DANNI DI GUERRA -Danni subiti iill territori non metropolitani -Liqu1dazione -Divieto di revisione previlsta dall'art. 14 della 1. n. 961. del 1953 -Inapplicabilit, 348. DEMANIO E PATRIMONIO -Demanio stori!co e artLstico -Tutela -Regione Siciliana -Organi competenti, con nota di G. GUGLIELMI, 349. -Demanio storico e arUstico -Pi;-ovvedimenti di vitJ1c01lo -Motivazione -Crite.ri -Fattispecie, 353. -V. anche Acque pubbLiche. DOGANA -CaJ:\cerazione preventiva per reati doganali -Durata fino all'accertamento dell'identit personale del 1so.ggetto o alla prestazione di cauzione -Contra:sto con l'art. 13 della co1;tituzion -Insussistenza, 261. -Ingiunzione di pagamento -Opposiiione giudiziaria -Termine -Inosservanza -Effetti. 358. EDILIZIA . POPOLARE ED ECONOMICA -Cooperative edilizie -Azione ese1cutiva Richiesta di nulla osta Diffida -Silenzio rifiuto -Illegittimit, 343. ELEZIONI -V. Collegio ENTI PUBBLICI -Giudizio in 1C011So dinanzi a tr1bu~ nale straniero -Controvemia sulla capacit giuridica di un soggetto Riferimento all'ordinamento giuridico deHo Stato che di,sciplina il 1soggeto ,stesso, con nota di C. ARIAS, 264. -Ufficio Italiano cambi Controversia sulla sua capalcit giudd!ca -E' Ente con personalit giuridica, con nota di C. ARIAS, 264. EN'DRATE PATRIMONIALI -Ingiunzione di pagamento -Opposizione -Giudice 1competente -Foro dello Stato ~ tlnaP1P1icabilit, 356. -Procedimento coattivo iper la loro riscossione -Opposizione al'l'ingiunzione di pagamento -Giudice competente peT territorio, 357. ESECUZIONE FISCALE -Ingiunzione di pagamento -Otppo Sizione -Foro deHo Stato -Appli1cabilit, 356. ESPROPRIAZIONE PER :i;:>.U. -Accoro.o sulla misura dell'indennit esproipriativa -Negozio di diritto pubblico -Effiicacia, 321. - Indennit -Interessi compensativi, 319. - Mancata prefissione del termine per tl'esecuzione delle espropriazioni e dei lavori -Successivo provvedimento in sanatoria -Illegittimit, 405. - Oocu;pazione in via d'urgenza del'. l'immobile -Scadenza del biennio di oui all'art. 73 1. 25 giugno 1865, n. 2359 -IlliJceit dell'occupazione -Sopravvenienza del decreto espropriativo -E:flfetti -~ Risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo -Criteri di liquidazione, 323. -V. anche Servit militari. FARMACIA -Concessione farmaceutica -Decadenza -Effetti della illegittima dichiatazione di decadenza -Risarcimento dei danni -Competenza del G.O., con nota di F. CARUSI, 327. -Concessione \farmaceutica -Diritto del concessionario all'esercizio esclusivo della concessione -Diritto 'condizionato all'interesse pub RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIII bliico -Revocabilit della concessione _ D.i!ferenza tra revoca e dec-adenza, con nota di F. CARUSI 327. FURTO -F.urto di cose eiSistenti in campi A.R.A.iR. -Aggravante speciale de1l'aveir icommesso il fatto su cose. esistenti in stabilimenti !Pubblici -Applicabilit, 432. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Esecuzione di giudiJcato -Motivi di opportunit amminLstrativa o di ordine pubblico -Irrilevanza -Inerzia della [P.a. -Prefissiooe di un tel'mine e, in ca-so di inosservanza, nomina di un commissario, 343. - Ricol'So giudsdizionale -Decisione del Consiiglio di Giustizia amministrativa per la Regione SLciUana Decorrenza del t.rmine del ricorso in aippello -Nohficazione -Forme -Applicabilit degli artt. 3 e 81 r.d. 17 agosto 1907, n. 642, 337. - V. aniclle Piano Regolatore. IMPOSTE E TASSE IN GENERE - Decisione della Commissione Pro vinci!l!le delle imposte -Riieorso all'intendenza di Finanza -Decorso del tel'mine per il ricorso all'a.g.o. -Errore scusabile -Rimessione in termini -Esclusione -Fattispecie, 393. -Decisione di CommiJssione amministrativa RLcorso all'a.g.o. -Termine -Ricol'so geral:'chico -Effetto sosipensivo -Esclusione, 392. -Ingiunzione di pagamento -Natura, 358. -Ing1unzione di pagamento _ Oip;po1sizione giudziM"ia -Contenuto, 358. .....;. Procedimento innanzi alle C-Ommis1Sioni -Aipiplicabilit del c,p,c. Limiti, 364. -Procedimento davanti alle Commis1sioni delle imposte -Decisioni - Diiietto o maI11canza di motivazione -Non deducibHit davanti all'Autorit giudiziaria ordinaria Limiti, 354. -Procedimento innanzi alle Commissioni -Appello dell'Ufficio alla Commissione Centrale -NoUficazione -Nullit -Rinnovazione Sanatoria ex tunc, 364. - Procedimento davnti alle Commissioni delle imposte -Decisioni Mancanza di motivazione -Inesistenza giuridica del :procedimento Insussistenza, 354. -Procedimento innanzi alle Commissioni -Notificazioni di atti processuali ;prima dell'entrata in vLgore del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 Modalit, 364. -Procedimento innanzi a'lle Commissioni -Notificazioni di atti !Pro cessuali prima dell'entrata In vigore del t.ru. 19 gennaio 1958, n. 645 Consegna delll'atto a vicino di casa -Nullit, 364. -Re!Pressione delle violazioni costituenti illeciti civili -Prescrizione _ Disciplina penaiiistica della estinzione iper prescrizione del !fatto illecito -Inapplicabilit -Disciplina deMa prescrizione delle obbligazioni civili e delle relative cause di interruzione e di SOS\Pensione -Aip! Plicabilit, con nota di L. CORREALE, 367.. -Restituzione di imposta -Interessi ex legge 26 genanio 1961, n. 29 - Aipplicabilit alle controversie in .corso -Decorrenza dalla data di entrata in vigore della le~ge, 373. -Riscossione deMe imposte indirette -Espropriazione -Norme speciali, 358. - V. anche Reati finanziari. IMPOSTA DI BOLLO -V. Imposta di registro. IMPOSTA DI FABBRICAZIONE -Imposte sui minerali di mereurio e sui prodotti derivati -Norme transitorie -Obbligo di denunzia Esenzione -Deroghe -Limiti, 391. IMPOSTA DI REGISTRO - Atti di acquisto di aree 1coperte da costruzione, a scopo di demolizione e di successiva nuova edificazione -Agevolazioni per l'incremento del le costruzioni edilizie previste dalla 1. 2 lug'lio 1949, n. 408, a'P!Plicabilit -Limiti, 363. -Negozio di collegamento di com! Pravendite internazionali -Imposta proporzionale, con nota di F. CARUSI, 380. -Atti rellativi ad Ol:pere di sistemazione di corsi d'acqua affidate in concessione a consorzi di bonifica Agevolazioni ipreviste dall'art. 88, 2 comma, del t.u. 13 febbraio 1933, n. 215 sulla bonifica inteigrale Applicabilit, 361. - (Imposte di bollo ed ipotecarie) Leggi razziali -Leg,gi di reintegra INDICE IX zione -Acquisto per intel'IPosta per rSona -Esenzioni, 390. -1Societ in liquidazione _ Concentrazione di aziende sociali da parte di dette Societ -Agevolazioni fiscali ex 1. 21 giugno 1942, n. 830 -Applicabilit, 373. IMPOSTE DI SUCCESSIONE -Attivo -Pagamento di assegni di 1conto corrente -Prova ai fini della detrazione -Requisiti, con nota di L. CORREA.LE, 385. -Pa,ssivo -Debiti risultanti da contratto di aipertura di crediti in conto 1corrente -Emissione assegni -Vaiutazione ai fini dell'art. 45, 5 comma legge rSUlle succeSrSioni, con nota di L. CORREA.LE, 385. lMPUGNAZIONI PENALI -Aippello avverso sentenze di condanna per reati finanziari estinguibili per oblazione -Esclusione, 433. -Giudizio di aipipello -Sentenm non definittva -Pronuncia positiva sulla giurisdizione negata da1 g1udice di 1 1grado ed omessa rimessione deIIa causa a tale giudice -Omessa riserva di gravame -PaSrSaggio in 1giudicato della sentenza non definitiva -Sentenza definitiva -Ricorso per Cassazione -Denunziata violazione dell'art. 353 c.p.1c. -Prelclusione, 275. INGIUNZIONE -V. Esecuzione fiscale, Entrate patrimoniaii, Dogana, Acque pubbii che. INVENZIONE INDUSTRIALE -Invenzione !fatta durante l'esecuzione di raipiporto d'~iego -Premio -Determinazione -Criteri - Fattispeeie, 346. LAVORO -Inva11di di guerra -Assunzione obbligatoria ai! lavoro -Facolt di accertamento della qualifica del lavoratore e del grado di caipacit lavora1iiva da parte del datore di lavoro -Insussistenza, con nota di R. PETRONI, 419. NOBILTA' -Cognomizzazione del predicato nobiliare -Azione -Procedimento 1Contenzioso dinanzi al ,giudiice ordinario -Legittimazione passiva dell'U:fificio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri -Avvenuto espletamento del la procedura di rettificazione degli atti dello stato civile -Provvedimento camerale di cognomizzazione del predicato nobiliare -Preclusione -Insussistenza con nota di -Cognomizzazione del predicato nobiliare -Titoli esistenti prime del 28 ottobre 1922, che non avevano formato oggetto di riconoscimento Riconoscimento al fine della cognomizzazione da parte del giudice ortdinario -Inammissibilit, con nota di F. CARUSI, 295. -Titoli esistenti prima del 28 ottobre 1922, ohe non avevano formato oggetto di riconoscimento -Riconoscimento al fine della cognomizzazione da ;parte del giudice ordinario -Ammissibilit, Con nota di F. CARUSI, 294. OOCUPAZlONE -Occu;pazione d'urgenza preordinata alla espropriazione per P.U. -Man cato perfezionamento nel biennio dall'occupazione della procedura espropriativa -Illiceit -.. Risarci: mento del danno -Valutazione, 320. OPERE PUBBLICHE -V. Appalto, vedi a :pag. IX. PIANO DI RICOSTRUZIONE -Sostituzione col piano regolatore generale -Inefilicacia del ;piano di ricostruzione -Decreti di approvazione dei lavori ed occupazione degli immobili, disposti in base a quest'ultimo piano -Illegittimit, con nota .di U. GARGIULLO, 338. -Licenza edilizia Annullamento giurisdizionale -Ricor:so per esecuzione del giudicato -Possibilit del Consiglio di Stato di ordinare ~a demolizione -Esclusione -Potere del Comune di adottare i provvedimenti idonei ad eliminare la situazione illegale e, in mancanza, intervento dell'autorit di controllo Sussistenza, 351. -Licenza edilizia Annullamento giurisdizionale -Conseguente obbligo del Comune di ordinare la demolizione delle opere o di solle' citare la irrogazione delle sanzioni penali di cui all'art, 32 1. 'l!Tb., 351. -Piano regolatore di Roma _ Piano 1Partiicolareggiato Durata _ Termine -Proroga alla data di approvazione del nuovo piano regolatore generale, 338. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO X PIANO REGOLATORE -V. Piano cLi ricostruzione. POSTE E TELECOMUNICAZIONI Concessionario per l'a,ccettazione e distribuzione di corrispondenza -CorriS1pondenza con affrancatura ordinaria -Reato di incetta di corrispondenza -Ammi1ssibilit -Rapporti fra gH artt. 35 e 37 lett. b) cod. post., con nota di R. BRONZINI, 423. -Concessionario per l'accettazione e 1cUstribuzione di corrispondenza Inosservanza delle condizioni del Capitolato d'oneri -Aipplica'bilit delle sanzioni previste dall'art. 35 cod. poot. con nota di R. BRONZINI, 423. -Reato di incetta -Carattere abituale del reato -Inarppltcabilit del1' amnistia alle singole vioolazioni, con nota di R. BRONZINI, 423. PRESCRIZIONE -Atti interruttivi -Atti provenienti da soggetto che agisca legittimamente nell'interesse del titolare del diritto -Validit -Fattiispecie, con nota di L. CORREALE, 367. PREZZI - Disciplina dei ;prezzi -Organi 1competenti -Comitato interministeriale dei prezzi -Poteri -Emanazione di ordini vincolanti per i C.P.P. -!Jilegittimit, 346. PROCEDIMENTO CIVILE -Deduzione di prova testimoniale Omessa indicazione dei testi -Sue. cessiva indicazione all'inizio dell~ prova -Ammissibilit, 324. PROCEDLMENTO PENALE -Mancato avviso al dilfensore di uf. ficio sostituito -Nullit insanabile -Insussitenza, 432. -Sostituzione o revoca de1 difen1sore di uffido -Ammisibilit, 432. REATO -Reato finanziario -Amnistia e indulto -Decreto di concessione che condiziona il beneficio al ;previo pagamento dei tributi evaisi -Illegittimit costituzionaile -Violazione del prmcipio di uguaglianza Non sussiste, 243. -Reati finanziari -Contravvenzione Estinzione per oblazione -Ammissibilit, 433. -Reato contro la famiglia -Sottrazione di minorenni e di persone incapaci -Titolarit ed eserc1z10 Reato in genere -Attenuanti comuentrambi i genitori, .250. -Reato in genere -Atenuanti comuni -Tenuit del danno -Criterio 1sussidiario della situazione economica del dannegiato -Aipiplicabilit in ipotesi di danno e di obiettiva rilevante entit -Esclusione, 432. -Reato in genere -Cil'costanze del reato -Attenuante -Motivi di par ticolare va[ore morale e 422. RESBONSABILITA' CIVILE -Responsabilit della P.A. t di carattere militare sociale, -AttiviDanni Inapplicabilit della presunzione prevista dall'art. 2050 cJc. -Respon sabillt diretta rper co1pa -Onere della prova, 317. -Respo!Illsabilit della P.A. -Servizio rastrellamento proiettili -Discrezionalit della P.A. -Limiti -Sindacato del G.O., 317. -Responsabilit della P.A. -Respon I sabilit diretta -Interruzione del i i fil rapporto organico, 317. -Responsabilit de1la P.A. per atti ' dei suoi funzionari e dipendenti lesivi di diritti -Re1sponsabilit diretta, con nota di F. CARUSI, 328. I - v. anche Appalto. SARDEGNA -Regione -Competenza amministrativa in materia di distribuzione di energia elettrica -Appartiene al1' Amministrazione Statale, 278. SCAMBI E VALUTE o -Affari di reciprocit (fra operatori italiani e danesi) -Compensazione privata -Negozio di collegamento Contenuto, con nota di F. CARUSI, 380. -Violazioni ;punibili con pena l'ecuniaria -Natura -Prescrizione Rinvio alle dii1'Posizioni relative alla pena pecuniaria prevista per le trasgressioni in materia finanziarla, 'Con nota di L. CORREALE, 367. SERVITU' MILITARI -Pro.cedimenti e finalit -Espropriazione -Procedimento e finalit Differenze, 347. - V~cinanza deUa propriet vincolata col demanio statale -Non necessaria Vicinanza della propriet 1stessa con frontiere terrestri -Sufficienza, 347. INDICE XI SICILIA -v. Giustizia amministrativa, Dema, nio, Competenza. SliCUREZZA PUBBLICA -Di:f!fida del Questore -Contrasto Con gli artt. 13 e 25 della Costituzione -Non sUJSS:iiste, 257. -Misure di prevenzione -L. n. 1423 de[ 1956 art. 1 -E.lencazione della categoria dei soggetti da sottoporre a misure -Carattere dell'abitualit -Preteso contrasto con l'art. 3 Cost. E'sclusione, 257. -Miisure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralit . L. n. 1423 del 1956, art. 1 -Preteso contrasto con l'art. 27 Cost. Connessione icon la responsabilit penale del sog:getto. -Esclusione, 257. SOCIETA' -v. Imposta di registro. TASSE E IMPOSTE COMUNALI -Acque minerali sol'lgenti -Diritto a favore dei Comuni sull'esportazione di ta1i aicque -Legittimit costituzionale, 254. -lmposta di consumo -Imposta sul consumo del vino -Abolizione Norma delegata -Eccesso -Insusrsistenza, 246. i! i! I :9. . 1 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE pag. 243 1 febbraio 1964 n. 5 246 10 febbraio 1964 n. 6 250 22 febbraio 1964 n. 9 254 14 marzo 1964 n. 15 261 23 marzo 1964 n. 23 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un. 14 dicembre 1962 n. 3362 pag. 291 Sez. I 18 dicembre 1963 n. 3189 294 Sez. Un. 4 gennaio 1964 n. 3 317 Sez. Un. 4 gennaio 1964 n. 4 319 Sez. Un. 4 gennaio 1964 n. 5 272 Sez. Un. 20 gennaio 1964 n. 127 272 Sez. Un. 20 gennaio 1964 n. 128 274 )) 320 Sez. I 20 gennaio 1964 n. 107 321 Sez. I 20 gennaio 1964 'n. 108 Sez. I 20 gennaio 1964 n. 109 )) 323 354 Sez. I 20 gennaio 1964 n. 118 356 Sez. I 20 gennaio 1964 n. 147 395 Sez. I 23 gennaio 1964 n. 160 324 Sez. I 23 gennaio 1964 n. 163 358 Sez. I 23 gennaio 1964 n. 164 357 Sez. I 27 gennaio 1964 n. 183 361 Sez. I 27 gennaio 1964 n. 189 363 Sez. I 27 gennaio 1964 n. 198 275 Sez. I 27 gennaio 1964 n. 199 327 Sez. I 27 gennaio 1964 n. 233 )) 364 Sez. I 29 gennaio 1964 n. 228 367 Sez. I 29 gennaio 1964 n. 241 373 Sez. I 30 gennaio 1964 n. 257 380 Sez. I 14 febbraio 1964 n. 339 312 Sez. I 19 febbraio 1964 n. 370 385 Sez. I 25 febbraio 1964 n. 415 Sez. I 25 febbraio 1964 n. 416 )) 390 391 Sez. I 28 febbraio 1964 n. 451 INDICE TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE 22 gennaio 1964 n. 6 30 gennaio 1964 n. 7 11 marzo 1964 n. 8 3 aprile 1964 n. 12 LODI ARBITRALI 29 gennaio 1964 . 15 febbraio 1964 n. 6 24 febbraio 1964 n. 11 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 11 novembre 1963 n. 18 Ad. Plen., 11 novembre 1963 n. 19 Ad. Plen., 30 gennaio 1964 n. 25 Sez. IV 30 ottobre 1963 n. 651 Sez. IV 8 novembre 1963 n. 688 Sez. IV 13 novembre 1963 n. 710 Sez. IV 13 novembre 1963 n. 740 Sez. IV 13 n-0vembre 1963 n. 755 Sez. IV 15 novembre 1%3 n. 850 Sez. IV 15 gennaio 1964 n. 3 . Sez. VI 13 novembre 1963 n. 743 Sez. VI 13 novembre 1963 n. 816 Sez. VI 20 novembre 1963 n. 844 Sez. VI 27 novembre 1963 n. 878 Sez. VI 27 novembre 1963 n. 887 Sez. VI 4 dicembre 1963 n. 951 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 12 marzo 1962 n. 3483 Sez. I, 26 luglio 1963 n. 1638 . Sez. I, 10 ottobre 1963 n. 1812 . Sez. II, 14 novembre 1963 n. 1885 Sez, I, 21 marzo 1964 n. 84 XIII pag. 396 398 405 406 pag. 406 410 414 pag. 337 332 )) 281 346 )) 338 342 342 )) 345 345 347 348 349 349 )) 351 352 )) 353 pag. 419 )) 432 )) 423 )) 432 433 ..: " SOMMARIO DELLA PARTE SEDONDA RASSEGNA DI DOTTRINA R. ALESSI, L'illecito blici (recensione) e la responsabilit civile degli -enti pub. . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 25 V. ANDRIOLI, Coommenti al codice di procedura civile, Val. IV (recensioni) . . -. . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Enciclopedia del diritto: F.A. GUERCI, Demanio marittimo; V. ARDIZZONE, Dichiarazione di p.u.; P. PASTORE, Difesa (beni destinati alla) (recensione) . . . . . . . . . . 32 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Provvedimenti legislativi 37 Disegni e proposte di legge 38 Provvedimenti legislativi sottoposti a giudizio di costituzionalit 42 a) Disposizioni l'illegittimit di legge delle quali stata dichiarata costituzionale . . . . . . . . . . . . 42 b) disposizioni di legge in rapport alle quali stata dichiarata non fondata la questione di legittimit costituzionale c) Disposizioni di legge in rapporto alle quali stato promosso giudizio di legittimit costituzionale )) 43 43 QUESTIONI LA REDAZIONE, degli arbitri Il nuovo capitolato generale e gli onorari 50 G. FERRERO, In tema di responsabilit civile per i provvedimenti contingibili e urgenti del sindaco . . . . . . . . 56 CONSULTAZIONI Indice sistematico delle consultazioni 61 I t I I I I I I -I I I PARTE PRIMA ;: . . ' J~ l'-'FiP?:':~.'-'{t.''=f.@'%Wi::'=~~==r=w-\ilifr==--=-.-ww&@f(ffW.W~<-:p<::;:;w.::.:.:q:'"F%:fi'Jl*lf"'%:i::>f~&$f&"W...#.f.JIW4ri.fil GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 1 febbraio 1964, n. 5 -Pres. Ambrosini -Rel. Sandulli. Reato -Reato finanziario Amnistia e indulto -Decreto di concessione che condiziona il beneficio al previo pagamento dei tributi evasi -Illegittimit costituzionale -Violazione del principio di uguaglianza -Non sussiste. (1. 23 gennaio 1963 n. 2, art, 6; d.P.R. 24 gennaio 1963 n. 5, art. 6; Cost., art. 3). Non violano il principio della uguaglianza dei cittadini la norma di delegazione ed il decreto delegato del Presidente della Repubblica 24 gennaio 1963, n. 5 che, nel concedere amnistia ed indulto per reati finanziari, subordina l'applicazione del beneficio al previo pagamento dei tributi evasi, nel termine di 120 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento di clemenza (1). (1) L'ordinanza del Pretore di Roma, che ha sollevato la questione decisa dalla Corte Costituzionale, pubblicata in Gazz. Uff. 8 giugno 1963, n. 153. Vedasi anche l'analoga ordinanza del Pretore de L'Aquila, Giur. Cost. 1963, 231. La sentenza n. 45 del 1963, richiamata nella motivazione, pubblicata in Giur. it. 1963, I, 1, 1964. Sull'interpretazione dell'art. 3 Cost. in materia tributaria, vedi anche Corte Cost. 23 marzo 1960 n. 12, Giur. cost. 1960, n. 1134. Sul problema in via generale cfr. GITTI, L'applicazione dei principi costituzionali in materia tributaria, Rassegna di giurisprudenza, Dir. e prat. tributaria, 1960. Per quanto concerne, poi, il problema degli oneri imposti al cittadino per il concreto esercizio di diritti, stato ritenuto che essi non contrastino con l'art. 24 della Costituzione allorch tali oneri siano disposti a tutela di interessi pubblici,. o giustificati dall'esistenza di tn provvedimento giurisdizionale o, comunque, da altri presupposti oggettivi (Corte cost., 26 aprile 1962, n. 40, Giur. cost. 1962, 318). 244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -1) La Corte non ritiene fondata la questione di legittimit costituzionale rimessale dal Pretore di Roma circa la compatibilit con l'art. 3 della Costituzione delle disposizioni dell'art. 6 legge 23 gennaio 1963, n. 2, e dell'art. 6 d.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5, le quali, per i reati finanziari in cui si sia avuto il mancato pagamento di un tributo, subordinano la concessione dell'amnistia di pagamento del tributo evaso. Non esatto infatti che esse determinino una ingiusta sperequazione tra soggetti pi abbienti e soggetti meno abbienti. La subordinazione dell'applicazione del beneficio dell'amnistia e dell'indulto, nei confronti di coloro i quali siano incorsi in reati consistenti nell'evasione di un tributo, alla condizione del pagamento del tributo evaso ricorre nella generalit dei provvedimenti (meno frequenti degli altri provvedimenti di clemenza), coi quali vengono concessi l'amnistia e l'indulto per reati in materia finanziaria (vedansi l'art. 2, n. 3-4, d.P.R. 31 gennaio 1948, n. 109, l'art. 3, n. 3, d.P.R., 28 febbraio 1948, n. 138, l'art. 4 comma 4, n. 1, d.P.R., 19 dicembre 1953, n. 922, gli artt. 9, 10, 11 d.P.R. 11 luglio 1959, n. 460). Per i reati in questione il legislatore considera cio costantemente prevalente sull'interesse generale all'esercizio della straordinaria clemenza l'interesse della pubblica finanza alla immediata riscossione dei tributi. Tale costante orientamento legislativo non pu esser considerato in contrasto col principio di uguaglianza. E' vero che comunemente l'obbligo di pagare il tributo sorge prima che l'accertamento del debito tributario e della misura di esso sia diventato inoppugnabile; e che quindi un soggetto pu essere legittimamente sottoposto a procedimento penale per essersi sottratto al pagamento di un tributo prima che sia irrevocabilmente certo che egli sia debitore della pubblica finanza e che sia perci un evasore fiscale. Ma, come non pu plausibilmente affermarsi che il far sorgere l'anzidetto obbligo in quel certo momnto -cosa che ha la sua giustificazione nelle superiori e indilazionabili esigenze della finanza pubblica -contrasti col principio di uguaglianza, del pari non pu plausibilmente affermarsi che con quest'ultimo contrasti il fatto che, per i reati consistenti nell'essersi sottratti a quell'obbligo, il beneficio della clemenza straordinaria dello Stato sia condizionato, per tutti .indistintamente coloro che avevano da rispettarlo, alla osservanza, sia pur tardiva, dell'obbligo stesso. 2) A parte ci, pu notarsi, per quanto riguarda le persone meno abbienti eventualmente imputate di essersi sottratte al pagamento di un tributo nonostante che in realt non fossero PARTE 1, sllz. I, GIURISPRUDENZA CostITUZIONALE :a INTEllNAZiONLE soggette all'imposizione, che nessun apprezzabile pregiudizio pu derivar loro dalla mancata applicazione dell'amnistia o dell'indulto, avendo esse diritto a esser prosciolte, nel giudizio, per insussistenza del reato (art. 21, ultimo comma, e 22 legge 7 gen- naio 1929, n. 4). Per quanto riguarc:la poi i soggetti meno abbienti effettivamente incorsi nell'illecito penale, pu notarsi che il mancato godimento della straordinaria clemenza dello Stato in caso di omesso pagamento del tributo dovuto trova razionale e adeguata giustificazione nella priorit dell'esigenza della finanza pubblica, alla cui soddisfazione -proprio in omaggio al principio di uguaglianza -ogni cittadino, del quale sia stata constatata (non importa se con riferimento a una situazione permanente o a un singolo accadimento) una certa capacit contributiva, ha il dovere di non sottrarsi (art. 53 Cost.). Con la sentenza n. 45 del 1963 questa Corte ebbe ad affermare che non urta contro il principio di uguaglianza una disposizione la quale subordini l'esercizio di un diritto al fatto che il soggetto sia in regola con gli obblighi tributari, cui, per godere di quel diritto, egli avrebbe dovuto assolvere; e pose in risalto che, collegandosi necessariamente il tributo alla capacit contributiva (art. 53 Cost.), sarebbe impossibile ritenere che in tal modo si venga a operare una ingiusta discriminazione tra ricchi e poveri. Se ogni tributo presuppone una capacit contributiva, e cio una capacit economica adeguata all'obbligazione tributaria, fuori luogo, quando non venga contestata tale corrispondenza, lamentare in casi del genere la violazione del principio di uguaglianza. Il precedente non senza significato ai fini . della risoluzione del caso in esame, nel quale il legislatore ha voluto escludere dal beneficio della clemenza i reati in materia tributaria di quei soggetti che, pur avendo, al momento cui il tributo si riferisce, la capacit economica, e quindi contributiva, richiesta dalla legge, si siano sottratti all'adempimento della relativa obbligazione, senza provvedere neanche in un secondo tempo al soddisfacimento di essa, che l'art. 53 della Costituzione configura come dovere fondamentale di ogni cittadino. 3) Neanche potrebbe esser considerato lesivo del principio di uguaglianza il fatto che le disposizioni impugnate sono tali da escludere dalla clemenza elargita persino soggetti -quali, per esempio, i responsabili d'imposta -diversi dai debitori del tributo, allorch, per avventura, i soggetti stessi non siano ab RASSi!GNA DELL'AVVOCATURA DELLO S'rATO 246 bienti. Se la legge chiama quei soggetti a rispondere del mancato pagamento del tributo, perfettamente coerente che la loro responsabilit non venga meno fin quando l'obbligazione tributaria non sia stata assolta, e che essi non fruiscano di una clemenza maggiore di quella di cui sono ammessi a godere i soggetti principali dell'obbligo tributario. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 10 febbraio 1964, n. 6 -Pres. Ambrosini -Rel. Mortati -Comune di Modena c. INGIC e Societ Italiana Riscossioni Tributarie c. Comune di Cigole e Presidente Consiglio dei Ministri. Tasse e imposte comunali -Imposta di consumo Imposta sul con sumo del vino Abolizione Norma delegata Eccesso -Insus sistenza. <1. 18 dicembre 1959 n. 1079, art. 8 n. 4; d.P.R. 14 dicembre 1961 n. 1315, art. 8; Cost. art. 76). Non costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega rispetto alla legge 18 dicembre 1959 n. 1079 l'art. 8 del d.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, il quale dispone la proroga dei contratti di appa'lto delle imposte di consumo fino al 31 dicembre 1962, in quanto tale proroga diretta ad assicurare il blocco dei licenziamenti del personale addetto alla riscossione, nel quadro della tutela di detto personale, previsto dall'art. 8 n. 4 della stessa legge di delega (1). (1) Le ordinanze di rimessione 9 aprile 1963 del Tribunale di Modena e 27 giugno 1963 del Tribunale di Brescia sono pubblicate, rispettivamente, in Gazz. Uff. 1 giugno 1963, n. 145 e 12 ottobre 1963, n. 268. E' opportuno, per chirezza, ricapitolare la successione dei prov 'Vedimenti legislativi, in ordins: ai quali sorta la questione di legit timit in esame: A) Legge di delega. Con l'art. 8 della legge 18 dicembre 1959, n. 1079, concernente la completa abolizione, col primo gennaio 1962, dell'imposta di consumo sul vino, si delegava il Governo ad emanare, entro la stessa data, le norme necessarie ad attuare tale abolizione, attenendosi ai se guenti criteri: 1) compensare i Comuni delle minori entrate che si verificheranno in conseguenza dell'abolizione dell'imposta di consumo sul vino I I~: e sui vini spumanti in bottiglia, nonch delle relative supercontribuzioni ed addizionali; 2) mantenere nelle dimensioni in atto i limiti di delega~ i bilit delle entrate comunali; 3) salvaguardare la riscossione dell'imposta generale sull'entrata sui vini, mosti ed uve da vino, nonch sui vini I ;1 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 247 (Omissis). -Cos chiarito lo stato della legislazione in materia, da chiedersi se e in che senso le disposizioni conseguenti alla diminuzione prima e all'abolizione poi dell'imposta sul consumo del vino abbiano inteso derogare ad esso. Per quanto riguarda il periodo transitorio dal 1 gennaio 1960 al 31 dicembre 1961 nessuna disposizione al riguardo stata dettata dalla legge n. 1079, sicch da ritenere che si sia inteso fare rinvio alle disposizioni vigenti, come del resto risulta esplicitamente affermato nella relazione del Ministro proponente alla Camera dei Peputati, l dove rileva che per i rapporti contrattuali fra Co. muni ed appaltatori delle imposte di consumo, sui quali avrebbe inciso il provvedimento sul vino fin dalla sua prima fase di applicazione, si sarebbe dovuto fare riferimento al ricordato art. 80 T.U. 1931, dato che una disciplina in deroga ad esso avrebbe urtato contro la difficolt di adeguamento alle situazioni locali, e ci a causa della loro variet dall'uno all'altro Comune . E poich il predetto articolo riguardava la sola ipotesi di gestione esattoriale in corso, da ritenere che trattamento non diverso da quello prescritto dalla vigente legisazione si sarebbe dovuto effettuare anche nelle altre ipotesi di passaggio di gestione per avvenuta cessazione dell'appalto. Per il periodo successivo, decorrente dal 1 gennaio 1962, era stata spumanti in bottiglia; 4) tutelare gli interessi del personale addetto alla gestione delle imposte di consumo nella eventualit di riorganizzazione del serv.izio conseguente all'abolizione della imposta di consumo sul vino e sui vini spumanti in bottiglia; 5) provvedere l;\d una efficace repressione delle frodi e delle sofisticazioni delle bevande vinose, nonch al miglioramento quantitativo della produzione enologica nazionale . B) Legge delegata. Con d.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, si provveduto a compensare i comuni per le minori entrate (punto 1) e alla contemporanea tutela del personale (punto 4). L'art. 8 concernente proroga degli appalti delle imposte di consumo e mantenimento in servizio del personale addetto alle gestioni , cos, infatti, dispone: a) comma primo: il numero degli addetti alle gestioni delle imposte di consumo, tanto di nomina comunale, quanto di nomina privata, in servizio al 1. luglio 1961, non pu essere ridotto per effetto della arpplicazione della legge 18 dicembre 1959, n. 1079, fino al 31 dicembre 1962 ; b) comma secondo: i contratti di appalto e di gestione per conto del servizio di riscossione delle imposte comunali di consumo in corso alla data del 1. luglio 1961 e con scadenza anteriore al 31 dicembre 1962, sono prorogati, alle stesse condizioni in essi previste, fino al 31 dicembre 1962 . C) Legge di proroga e convalida. Con legge 30 dicembre 1962, nume 248 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ili ''9 prevista l'entrata in vigore del nuovo regime di totale soppressione del dazio, da regolare per opera del Governo a ci dele. . gato, sulla base dei criteri fissati in cinque punti dal citato articolo 8 legge 1079. Di fatto per il decreto delegato non esegu tutti i compiti attribuitigli poich nulla dispose in ordine ai punti 1, 2 e 5 dell'articolo ora ricordato ed invece si limit a disciplinare il punto 3, relativo alla riscossione dell'imposta generale sull'entrata sui vini, ed il 4 riguardante il personale, che quello di cui si controverte, statuendo con il primo comma dell'art. 8 il divieto, fino al 31 dicembre 1962, di ridurre comunque il numero degli addetti alle imposte di consumo per effetto dell'applicazione della legge sul vino, e con il secondo la proroga fino alla dta predetta dei contratti di appalto, in corso al primo luglio 1961 e con scadenza anteriore al 31 dicembre 1962, alle stesse condizioni dettate dai medesimi, Quest'ultima disposizione venne a derogare alle norme comuni, in ordine sia all'autonomia contrattuale nei confronti dei contratti scadenti nel periodo 1 luglio 1961-31 dicembre 1962, e sia all'adeguamento delle condizioni contrattuali in conseguenza dei mutamenti sopravvenuti, che era consentito dal citato articolo 80 T.U. sulla finanza locale. Pu essere esatto ritenere che l'intenzione del delegante, ro 1718, il legislatore ha proceduto alla proroga dei contratti di appalto, in corso alla data del 31 dicembre 1962 e con scadenza anteriore al 31 dicembre 1963, ivi compresi quelli gi prorogati, per effetto dell'art. 8, secondo comma del citato decreto 14 dicembre 1961, n. 1315, cio quelli in corso alla data del 1. luglio 1961 e con scadenza entro il 31 dicembre 1962. D) Nuova proroga delle disposizioni della legge precedente. Con ilegge 13 novembre 1963, n. 1517, stato disposto: le disposizioni ed i termini di cui agli artt. 1 e 2 della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, sono prorogati di un anno . La Corte ha escluso la sussistenza del denunciato eccesso di normazione della norma delegata, rispetto alle diretti'Ve contenute nella legge delega, osservando che la proroga delle gestioni era necessariamente strumentale rispetto al blocco dei licenziamenti del personale, disposto dal legislatore delegante. In sostanza, nell'attesa della riorganizzazione dell'intero servizio di riscossione (conformemente al punto 4 della' norma delegante), il legislatore delegato ha attuato un blocco puro e semplice della situazione preesistente, sia nei riguardi del personale col proprio datore di lavoro, sia nei riguardi di questi rispetto ai Comuni. Sono due aspetti di un medesimo problema, interdipendenti fra loro, la cui soluzione affidata al legislatore con delle scelte di merito, sulle quali non consentita una denuncia di illegittimit costituzionale (1. 11 marzo 1953, n. 87, art. 28). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 249 quando ebbe a dettare il n. 4 dell'art. 8, fosse rivolta ad assicurare la tutela del personale, con strumenti giuridici anche divergenti da quelli previsti dalle leggi gi in vigore, quando si fosse verificata l'esigenza di riorganizzare su nuove basi il servizio di riscossione, essendosi tenuta presente la previsione, enunciata dal Ministro proponente della legge n. 1079, in ordine alla difficolt di mantenere in servizio integralmente il personale stesso dopo l'abolizione di uno dei pilastri del servizio medesimo, qual'era costituito dall'imposta sul vino. Difficolt riaffermata in sede di discussione della legge medesima avanti al Senato, durante la quale venne presentato da alcuni Senatori un ordine del giorno, che, mentre patrocinava il mantenimento in servizio di tutto il personale, prevedendo all'uopo la possibilit di utilizzarne una parte per i compiti di repressione delle frodi e sofisticazioni del vino, proponeva altres la predisposizione di apposite misure rivolte a promuovere l'esodo volontario dei dipendenti, come quella del riconoscimento a loro favore di una anzianit integrativa ai fini della pensione. Ordine del giorno che venne accettato solo a titolo di raccomandazione dal Governo, data la necessit che appariva palese di risolvere il problema nel quadro del generale riordinamento che si sarebbe dovuto effettuare entro il periodo stabilito per l'esercizio della delega. Ma poich l'aspettativa in questo senso non ebbe a realizzarsi, a causa delle difficolt incontrate nella predisposizione della riforma da attuare, il Governo si limit a provvedere in via provvisoria, disponendo il prolungamento dello status quo, quale era yenuto a verificarsi al 1 luglio 1961, mantenendo i rapporti preesistenti in tutti i loro elementi, in deroga sia al principio del recesso unilaterale nei contratti di lavoro a tempo indeterminato, e sia all'altro riguardante l'onerosit sopravvenuta. Una volta che si ammetta il potere dell'organo delegato di provvedere nella materia delegata anche in via transitoria ed all'infuori del generale riordinamento dei servizi che era stato previsto (potere in ordine al quale nessuna contestazione stata sollevata), deve escludersi la sussistenza dell'eccesso denunciato. Infatti la misura straordinaria del blocco totale ed assoluto dei licenziamenti, che si ritenne necessario alla tutela del personale, non si sarebbe potuto realizzare se non nel quadro del mantenimento anch'esso straordinario della situazione dei rapporti di appalto quale sussisteva di fatto al primo luglio 1961, in tutti i suoi elementi e quale che fosse lo stato dei rapporti medesimi dopo l'entrata in vigore della legge n. 1079. Disponendo altrimenti si sarebbero potuti esporre i Comuni al pericolo di non ~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 250 riuscire a provvedere alla continuit della gestione se non a costo di sottoporsi ad oneri da essi non sopportabili. Dovendosi ritenere non sussistente l'eccesso di delega denunciato, si rende ultronea ogni fodagine circa l'influenza sulla questione della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, che ha prorogato a tutto il 1963 i contratti in corso al 31 dicembre 1962, ivi compresi quelli gi prorogati con il decreto delegato. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1964, n. 9 -Pres. Ambrosini -Rel. Petrocelli -Santoni c. Pres. Consiglio dei Ministri. Reato contro la famiglia -Sottrazione di minorenni e di persone incapaci -Titolarit ed esercizio del diritto di querela -Spetta ad entrambi i genitori. (Cost. art. 30; c.p. artt. 573, 574). La sottrazione di minori o di persone incapaci importa una offesa che non va circoscritta alla sola posizione dell'esercente la patria potest, ma che investe tutta la famiglia, nell'intera consistenza dei suoi intressi sociali, morali ed affettivi. Conseguentemente, la limitazione al solo genitore esercente la patria potest del diritto di querela posta dagli artt. 574 e 573 codice penale si manifesta lesiva del principio di eguaglianza fra coniugi, stabilito dall'art. 30 della Costituzione (1). (1) L'ordinanza di rimessione 13 aprile 1963 del Pretore di Roma pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 2 luglio 1963. La Corte, per abolire la limitazione posta dall'art. 574 c.p., denunciata nell'ordinanza di remissione come contrastante con gli artt. 29, 2 comma, e 30 della Costituzione (e la connessa limitazione posta dal precedent art. 573, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 27 1. 11 marzo 1953, n. 27) -ha identificato il soggetto passivo dcl reato di sottrazione di minori con la famiglia e, coerentemente, ha ritenuto che la titolarit del diritto di querela spetti ad entrambi i genitori, non al solo esercente < la patria potest. . . La configurazione accolta dalla Corte, non senza contrasti circa . l'oggettivit giuridica violata. Il delitto in esame, infatti, secondo la dottrina (PISAPIA, Delitti contro la famiglia, Torino, 1953, 758) e la stessa . ' Relazione al progetto definitivo del Codice penale (Il, 361), non lesivo I della patria potest, ma dell'esercizio di essa che -come noto -spetta f al padre (art. 316 e.e.). r-:: La giurisprudenza della Corte Suprema non univoca in proposito. i Infatti, mentre nella sentenza 2 dicembre 1955 (Giust. pen., 1956, II, 695) I ID si affermava che il reato d1 sottrazione di minorenni offende essenzial PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 251 (Omissis). -La Corte ritiene fondata la proposta questione. La disposizione che, relativamente al delitto di sottrazione di persone incapaci preveduto dall'art. 574 C.P., limita il diritto di querela al solo coniuge esercente la patria potest lede il principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sancito dal secondo comma dell'art. 29 della Costituzione; n la disposizione tale da potersi considerare, ai sensi dello stesso art. 29, come uno dei limiti che la legge stabilisce a garanzia dell'unit familiare. Nella disciplina giuridica del diritto di querela vige il principio generale che pone sullo stesso piano entrambi i genitori senza distinzione fra esercente e non esercente la patria potest, all'uno e all'altro concedendo la potest di presentare querela, sia che il diritto debba esercitarsi in rappresentanza di soggetti incapaci (art.120, secondo comma, C.P.), sia che debba esercitarsi in sostituzione di soggetti che sono abilitati a presentare querela (minori che hanno compiuto gli anni quattordici e inabili- mente la patria potest, nelle sentenze 30 giugno 1952 (ivi, 1952, II, 1057) e 26 marzo 1949 (ivi, 1950, II, 54) si dava particolare rilevanza, nel reato in esame, all'esercizio della patria potest. Al tempo stesso, la sentenza annotata ha escluso ogni riferimento che non sia puramente storico all'art. 120 c.p., 'dato che l'ipotesi da questo prevista riguarda il minore che sa direttamente offeso e soggetto passivo del reato, il cui genitore, quindi, interviene nel presentare la querela, non iure proprio , ma quale rappresentante del figlio minore (BATTAGLINI; La querela, Torino 1958, 365). Laddove, nelle ipotesi delittuose di cui agli artt. 573 ~ 574 c.p., la lesione primaria arrecata direttamente ai genitori -o a quello esercente la patria potest. Di fronte a tale divergente orientamento, la Corte .Costituzionale ha adottato la sua interpretazione, ritenendo che la sottrazione del mi" nore importi un'offesa che non va circoscritta alla sola persona del l'esercente la patria patest, ma che investe tutta la famiglia. Ora, senza voler discutere del merito di tale interpretazione, basti rilevare eh essa costituisce il presupposto della pronuncia di accoglimento della questione di legittimit cost,ituzionale, essendo evidente che, accogliendo l'interpretazione contraria, la quale identifica il soggetto passivo del reato in chi esercita la patria potest, la norma in esame sarebbe stata perfettamente ortodossa, in base all'equivalenza: soggetto passivo del reato -titolare del diritto di querela. Torna, cos, sul tappeto il problema degli effetti della interpretazione, da parte della Cort~ Costituzionale, della norma impugnata: il problema, cio, della qualificazione di detta norma nel confronto con la norma co. stituzionale. La qualificazione il frutto, appunto, di una certa interpretazione la quale pu spaziare da un ambito, per cos dire, conservativo ad un ambito dubbio, ad un ambito di inconciliabilit assoluta. La Corte c:ostituzionale affront il problema con la sentenza 27 mag 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tati), ma per i quali si ritiene opportuno anche il possibile intervento dei genitori, ovvero del tutore o del curatore (art. 120, terzo comma). Le predette disposizioni, corrispondenti ad eguale indirizzo di altre legislazioni, stanno a significare in modo evidente che, ancor prima dell'attuale energica affermazione del principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, l'unit familiare e l'autorit del genitore esercente la patria potest non erano considerate lese dal possibile dissenso fra i genitori in ordine alla presentazione della querela. Questa consideraziane, riguardante il principio generale dell'art. 120 C.P., pu essere riferita anche alla ipotesi preveduta dall'art. 574, nel senso cio che se con l'art. 120, come norma generale, si ritenuto non contrastante con l'unit e la disciplina della famiglia il diritto di querela attribuito ad entrambi i genitori, non v' motivo di attuare diverso criterio nella ipotesi particolare dell'art. 574. Le due norme riguardano indubbiamente situazioni diverse, prevedendo l'una un diritto di que gio 1961, n. 26 (Giur. it. 1961, I, 1, 756) allorch dichiar l'illegittimit costituzionale dell'art. 2 t.u. legge di P.S. nei limiti in cui esso attri buisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico ; sentenza che non and immune da critiche (PIERANDREI, La corte costituzionale e l'attivit maieutica, ivi, IV, 177), -specie sotto il profilo della certezza del diritto. Sempre in materia di sicurezza pubblica, la Corte ha ribadito tale suo atteggiamento con la sentenza 27 marzo 1962, n. 30 (Giur. i tal., 1962, I, 1, 1917) dichiarando l'ilJ.~ gittimit costituzionale dell'art. 4 1. di p.s. nella parte in cui prevede rilievi segnaletici che comportino ispezioni personali. In entrambe le ipotesi, peraltro, il testo delle leggi impugnate resta in vigore, sia pure rimpicciolito nel suo oggetto (PIERANDREI, op. cit.), per cui pu dirsi che la loro interpretazione, da parte della Corte, fa salve le altre interpretazioni da parte dell'Autorit giudiziaria, le quali non si configurino in contrasto con la Costituzione. Nella sentenza annotata, invece, con l'avvenuta dichiarazione di illegittimit costituzionale dell'inciso: esercente la patria potest (cos, almeno, sembra doversi intendere la pronuncia), preclusa, definitivamente, quanto all'identificazione del soggetto passivo del delitto di cui all'art. 574 c.p., ogni interpretazione diversa da quella adottata dalla Corte. Nelle precedenti pronuncie, la Corte costituzionale, ripudiando la norma, faceva salvo il testo, nei limiti in cui esso fosse ancora conciliabile con la Costituzione. In questa sentenza, si compie un passo ancor pi avanzato, che travolge insieme e la norma e il testo. Non sfuggir, quindi, l'importanza della decisione ai fini dell'affinamento del problema, sul quale, oltre agli studi gi citati, possono richiamarsi quanto scritto da questa Rassegna, 1961, 69 e la monografia dell'ANDRIOLI, Motivazione e dispositivo delle sentenze della Corte costituzionale, Riv. dir. e proc. civile, 1962, 529 sgg. I . . I 1::: . 1 I r,,. . I I I ~ I ~ r ii . ~. . J PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE rela in rappresentanza o in sostituzione di altri soggetti, e l'al. tra invece un diritto di querela iure proprio, spettante cio al genitore esercente la patria potest considerato unico soggetto passivo del reato, in quanto il reato viene ipotizzato appunto come sottrazione del minore al genitore esercente la patria potest. Senonch questa delimitazione dell'offesa e, conseguentemente, del soggetto passivo che, a giudizio di questa Corte, non risponde n alla natura ed incidenza effettiva dell'offesa medesima, n al carattere della figura di reato, quale, oltre tutto, si pu desumere dalla sua collocazione nel Titolo XI del Libro II del Codice, dei delitti contro la famiglia. Senza immutazione o alterazione della figura di reato, ma per via di una interpretazione pi aderente al suo reale conte nuto, da ritenere che la sottrazione del minore importi una offesa che non va circoscritta alla sola posizione dell'esercente la patria potest, ma che investe tutta la famiglia, nella intera consistenza dei suoi interessi sociali, morali e affettivi. La inclu sione della sottrazione di minorenni nel Titolo dei delitti con tro la famiglia, lungi dall'essere il frutto di una classificazione meramente formale, trova, per questa ipotesi, una rispondenza effettiva nella natura e nella estensione della offesa. Se questa pertanto deve ritenersi tale da superare il circoscritto interesse inerente all'esercizio della patria potest, ne consegue necessa riamente una diversa corrispondente estensione della soggetti vit passiva, con la inclusione anche dell'altro coniuge, il qua le, investito dalla patria potest pur non avendone attualmente l'esercizio, non pu, in questa ipotesi, essere escluso dalla rap presentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi interessi. Posti in questi termini la .figura delittuosa preveduta dal 1'art. 574 C.P._ e il contenuto offensivo che le proprio, viene meno il particolare fondamento della disposizione che limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potest, con la conseguenza che la limitazione stessa si manifesta lesiva del principio di eguaglianza fra i coniugi, al quale nel caso presente non concesso fare eccezione. Bisogna rilevare infine che nell'art. 573 C.P., il quale pre vede la sottrazione consensuale di minorenni, si riscontra iden tica non giustificata restrizione del diritto di querela; e pertan to, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche di questa norma, e per la parte relativa alla limitazione d~l di ritto di querela, va dichiarata la illegittimit costituzionale. (Omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 254 CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1964, n. 15 -Pres. Ambrosini -Rel. Jaeger -Soc. p.a. Terme di S. Pellegrino c. Comune di S. Pellegrino e Pres. Consiglio dei Ministri. Tasse e imposte comunali -Acque minerali sorgenti -Diritto a fa vore dei Comuni sull'aspo1tazione di tali acque Legittimit CO stituzionale. (1. 2 luglio 1952 n. 703, art. 6; Cost., artt. 3, 23, 120). Non contrasta con gli artt. 3 e 23 della Costituzione l'art. 6 della l. 2 luglio 1962, n. 703, istitutivo dello speciale diritto a favore dei Comuni per l'asporto delle acque minerali, in quanto, pur verificandosi taluni inconvenienti nell'applicazione concreta del tributo, deve considerarsi soddisfatto il principio che esige una sufficiente specificazione legislativa dei poteri di imposizione tributaria conferiti all'Autorit amministrativa attraverso la fissazione, nella legge, di un limite massimo in misura non elevata. N la norma predetta viola l'art. 120 della Costituzione, perch tale disposizione pone esclusivamente limiti alla potest legislativa delle Regioni, n consente una estensione analogica che la renda applicabile a provvedimenti in materia tributaria di competenza dei Comuni (1). (1) Con questa sentenza, la Corte Costituzione, respingendo l'eccezione di illegittimit costituzionale sollevata dal Tribunale di Bergamo con .ordinanza 1 marzo 1963 (Gazz. Uff. 6 aprile 1963, n. 94), conferma, con la medesima motivazione, la precedente analoga deci:; ione 13 giugno 1963, n. 93 (Giur. it. 1963, I, 1. 1206). Sull'interpretazione dell'art. 23 della Costituzione ormai pacifico l'insegnamento della Corte.secondo il quale non necessario che il tributo venga imposto per legge, essendo sufficiente che esso tragga il suo titolo dalla legge, con la riserva all'autorit amministrativa della concreta determinazione, purch tale rinvio assicuri un controllo sulla disc:r:ezionalit della p.a., ad evitare che esso si trasformi in arbitrio (sent. 30 gennaio 1962, n. 2, Giur. it. 1962, I, 1, 508; 11 luglio 1961, n. 48, ivi, I 1, 1! lO; 6 luglo 1960, n. 51, ;i, 1960, I, l, 1195; 27 giugno 1959, n. 36, ivi, 1959, I, 1, 897; 18 marzo 1957, n. 47, ivi, 1957, I, 1, 650; 26 gennaio 1957, n. 30, ivi, 1957, I, 1, 427; 26 gennaio 1957, n. 4, ivi, 1957, I, l, 209). .-;.. La Corte ha anche, in questa sentenza, fissato il principio dell'interpretazione restrittiva ratione subiecti , dell'art. 120 della Costituzione in materia tributaria. Infatti, scopo di tale disposizione quello di porre un limite alla potest legislativa delle Regioni, escludendo, tra l'altro, che queste possano avvalersene per istituire dazi di importazione o di esporta zione ed evitando, in tal modo, che in questo settore la legislazione regionale possa svolgersi in contrasto con gli interessi generali; lad PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 255 (Omissis). -L'ampio dibattito svoltosi fra i difensori delle parti nelle deduzioni e nelle memorie e poi nella discussione all'udienza ed il conseguente riesame compiuto dalla Corte di tutte le questioni prospettate non sono valsi ad indurre questa a modificare il giudizio emesso sulle questioni risolte con la precedente sentenza 18 giugno 1963, n. 93, alla cui motivazione deve farsi pertanto riferimento. I dati di fatto esposti dalla difesa della Societ Terme di S. Pellegrino, e non contestati dalle parti avversarie, hanno indubbiamente messo in luce talune notevoli diversit nei metodi adottati dai vari comuni nella applicazione del tributo, per quanto concerne la determinazione del valore delle acque asportate dal territorio dell'uno o dell'altro comune. Le differenze nella determinazione del valore delle acque asportate compiuta dalle commissioni provinciali rispetto ai diversi comuni, che si ripercuotono sulla misura dei tributi versati dai contribuenti dell'uno o dell'altro di questi, pur rimanendo contenuta entro il limite massimo del 3 per cento la aliquota del tributo, sono risultate effettivamente notevoli. Si tratta per di un incondove i Comuni, che non sono investiti nel nostro ordinamento di una potest legislativa, possono soltanto imporre i tributi previsti e disciplinati dalle leggi dello Stato. E' bens vero che il precetto costituzionale deve intendersi preclusivo dell'istituzione di tributi che riguardino non soltanto l'importazione o l'esportazione da Regione a Regione, ma anche quella da Comune a Comune nell'ambito di una stessa Regione. Ma la lettera della disposizione e gli scopi cui essa rivolta non lasciano dubbi sul suo esclusivo riferimento alla normativa regionale, non avendo i Comuni la facolt di istituire tributi con norme di legge, ed essendo la materia relativa alla finanza locale attribuita genericamente, in forza dell'art. 23 della Costituzione, al legislatore ordinario. Nel senso che l'art. 120 della Costituzione trova applicazione ri guardo a tutte le Regioni, sia a statuto ordinario che a statuto spe ciale, in quanto esso di carattere fondamentale perch necessario a garantire l'unit e indivisibilit della Repubblica, Corte Cost. 16 febbraio 1963, n. 12 (Giur. it. 1963, I, 1, 702). E' stato ritenuto, poi, dalla stessa Corte, che i divieti previsti nel secondo comma dell'art. 120 si applicano anche alle leggi regionali che creino discriminazioni fra Provincia e Provincia di una stessa Regione (sent. 8 giugno 1963, n. 86, Giur. it. 1963, I, 1, 1050). Sulla differenza di applicazione dell'art. 120 della Costituzione rispetto allo Stato e alle Regioni, nel senso che, mentre per queste i divieti ivi previsti sono assoluti, per lo Stato sono derogabili nella valutazione discrezionale di particolari settori di territorio, per il perseguimento di interessi di tutta la collettivit nazionale, Corte Cost. 29 marzo 1960, n. 15 (Giur. it. 1960, I, 1, 756). 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO veniente che, come ha gi rilevato la Corte nella sentenza sopra ricordata, non viola il precetto contenuto nell'art. 23 della Costituzione, dovendosi considerare soddisfatto il principio, che esige una sufficiente specificazione lagislativa dei poteri di imposizione tributaria conferiti all'autorit amministrativa, attraverso la :fissazione, nella legge, di un limite massimo in misura non elevata. -~ ' N sembra sostenibile la tesi della violazione dell'art. 120 della Costituzione, affacciata per la prima volta nella ordinanza del Tribunale di Bergamo, ma sulla quale la difesa del contribuente non ha insistito particolarmente, poich quella norma costituzionale pone esclusivamente limiti alla potest legislativa delle Regioni, n consente una estensione analogica che la renda applicabile a provvedimenti in materia tributaria di competenza dei comuni. La difesa stessa si invece diffusa ampiamente nel sostenere la tesi, che la legge non prevederebbe alcuna possibilit di riesame delle determinazioni compiute dalle commissioni provinciali, su ricorso del contribuente, consentendo solamente al Comune la facolt di ricorrere al Ministro delle finanze nel caso di determinazione di valori non corrispondenti alla realt di mercato, a norma dell'ultimo comma dell'art. 22 del Testo unico della finanza locale; e, a questo proposito, ha menzionato un decreto 10 giugno 1959, n. 3 -A -6454 del Ministro stesso che dichiar inammissibile un ricorso 21 gennaio 1959 della Societ Terme di S. Pellegrino. Ha insistito poi, nel corso della discussione orale, sul punto che la disposizione citata contiene una esplicita ammissione della possibilit di errori di valutazione da parte delle commissioni provinciali, errori considerati dal legislatore tali da richiedere una correzione, seppure soltanto per iniziativa del Comune e non del contribuente, in conseguenza della mancanza di una disposizione esplicita in materia. La Corte ha peraltro gi affermato esplicitamente, nella sentenza sopra ricordata, che la mancanza di disposizioni particolari, e la inapplicabilit della disciplina relativa ad altri tributi, non farebbe venir meno comunque, in ordine al tributo de quo, la garanzia della tutela giurisdizionale assicurata dall'art. 113 della Costituzione . Il principio enunciato in questa norma, secondo la quale Contro gli atti della pubblica amministrazione sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa e Tale tutela giurisdizionale non pu essere esclusa o PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE J3 INT.eRNAZIONALE 257 limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti, applicabile ad ogni caso in cui un cittadino si ritenga leso da un atto amministrativo, senza che occorra una speciale espressa disposizione di attuazione, anche in virt1 della completezza dell'ordinamento. Si potr discutere sulla individuazione dell'organo giurisdizionale, ordinario od amministrativo, competente nell'uno o nell'altro caso, ovvero sulla rilevabilit di un denunciato vizio di violazione di legge o di eccesso di potere e, in particolare, sulla estensibilit ai casi come quelli discussi delle garanzie giurisdizionali previste per altri tributi, qual -ad esempio -le imposte di consumo (questioni tutte, la cui soluzione non rientra per evidentemente nella competenza della Corte Costituzionale); ma per il chiaro dettato dell'art. 113 citato non si pu dubitare che l'ordinamento giuridico consenta che alcun diritto o interesse legittimo possa restare privo della tutela giurisdizionale garantita dalla Costituzione. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1964, n. 23 -Pres. Ambrosini -Rel. Chiarelli. Sicurezza pubblica -Diffida del Questore -Contrasto con gli artt. 13 e 25, della Costituzione -Non sussiste. (1. 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1; Cost. artt. 13 e 25). Sicurezza pubblica Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralit -L. n. 1423 del 1956, art. 1 -Preteso contrasto con l'art. 27 Cost. -Connessione con la responsabilit. penale del soggetto -Esclusione. (Cost., art. 27; I. 27 dicembre 1956, n. 1423 ,art. 1). Sicurezza pubblica -Misure di prevenzione L. n. 1423 del 1956, art. 1 -Elencazione della categoria dei soggetti da sottoporre a misure Carattere dell'abitualit ~ Preteso contrasto con l'art. 3 Cost. -Esclusione. (Cost., art. 3; 1. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1). La norma di cui all'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, la quale consente al Questore di diffidare gli oziosi e i vagabondi validi al lavoro, e coloro che debba ritenersi vivano abitualmente col provento d delitti o della prostituzione, o del contrabbando o, in genere, di attivit contrarie alla morale e al buon costume, non contrasta con gli artt. 13 e 25 della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 258 Costituzione in quanto l'adozione delle misure di prevenzione pu essere collegata, nella previsione legislativa, non al verificarsi di fatti singolarmente determinati, ma ad un complesso di t;om portamenti che costituiscono una condotta assunta dal legislatore come indice di pericolosit sociale (1). Detta norma non contrasta neppure con l'art. 27 della Costituzione perch tale articolo riguarda la responsabilit penale, mentre le misure di prevenzione non sono connesse a responsabilit penali del soggetto, ma a manifestazioni della sua personalit, desumibili anche da una serie ripetuta di denuncie o di assoluzioni con formula non piena (2). N sussiste contrasto tra la norma in questione e l'art. 3 della Costituzione. sotto il profilo che essa avrebbe introdotto un concetto non uniforme dell'abitualit, suscettibile di dar luogo a differenze di trattamento fra diversi soggetti; ci, in quanto, pur assumendo la parola abituale, nella soggetta materia, un significato diverso da quello di accezione nella legge penale, la sua concreta applicazione implica un margine di discrezionalit interpretativa, non dissimile da quello ravvisabile in ogni giudizio diretto all'applicazione di norme giuridiche (3). (1-3) Le ordinanze di remissione 26 novembre 1962 del Tribunale di Milano e 4 febbraio 1963 del Pretore di Milano, sono pubblicate, rispettivamente, in Gazz. Uff. 26 gennaio 1963, n. 24 e 6 aprile 1963, n. 94. Dopo le notissime sentenze emanate sulle vecchie disposizioni del t.u. delle leggi di p.s., nel senso della loro illegittimit costituzionale (sent. 23 giugno 1956, n. 2, Giur. it., 1956, I, 1, 553; sent. 3 luglio 1956, n. 11, ivi, 1956, I, l, 883), la Corte Costituzionale, in varie pro- nuncie, ha portato il suo esame sulle disposizioni della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, emanata proprio in funzione della necessit di colmare il vuoto legislativo creatosi dopo quelle pronuncie, e di rispettare, al tempo stesso, gli insegnamenti della Corte. E cos, con la sentenza (20 aprile) 5 maggio 1959, n. 27, citata nel testo (Giur. it. 1959, I, l, 721) la Corte affront e decise, in senso afferma tivo, il problema della compatibilit con le norme della Costituzione dell'istituto della sorveglianza speciale; analogamente, con sentenza 30 giugno 1960, n. 45 (Giur. it. 1960, I, l, 995), di quello del rimpatrio con foglio di via obbligatorio sotto il profilo dell'organo competente a disporlo; successivamente, con sentenza 28 dicembre 1962, n. 126, (Giur. it., 1963, I, l, 435), dello stesso istituto sotto il profilo oggettivo, rico noscendolo costituzionalmente legittimo con riferimento alla pubbli ca moralit. Con l'annotata sentenza, infine, la Corte affronta e risolve, nel senso della legittimit costituzionale, anche il problema della diffida di P.S. Rilevante appare la puntualizzazione data dalla Corte all'elemento valutativo del complesso della condotta del prevenuto, desumibile $ :~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 259 (Omissis). -Va premesso che nel presente giudizio non contestata la legittimit costituzionale delle misure di prevenzione, previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Questa Corte ha gi avuto occasione di ravvisare il fondamento di tali misure nel principio secondo cui l'ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti sociali deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive di fatti illeciti, anche da un sistema di misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi in avvenire : sistema che corrisponde a una esigenza fondamentale di ogni ordinamento, accolta e riconosciuta negli artt. 13, 16 e 17 della Costituzione (sent. 20 aprile 1959, n. 27). Dalle indicate finalit delle misure di prevenzione deriva che l'adozione di esse pu essere collegata, nelle previsioni legislative, non al verificarsi di fatti singolarmente determinati, ma a un complesso di comportamenti che costituiscano una condotta , assunta dal legislatore come indice di pericolosit sociale. Discende, pertanto, dalla natura delle dette misure che nella discrezione delle fattispecie il legislatore debba normalmente procedere con criteri diversi da quelli con cui procede nella determinazione degli elementi costitutivi di una figura criminosa, e possa far riferimento anche a elementi presuntivi, corrispondenti per sempre a comportamenti obbiettivamente identificabili. Il che non vuol dire minor rigore, ma diverso ri$ Ore nella previsione e nella adozione delle misure di prevenzione, rispetto alla previsione dei reati e alla irrogazione delle pene. Dagli esposti criteri non ritiene la Corte che il legislatore si sia discostato nel formulare l'art. 1, primo comma, della legge 27 dicembre 1956. Ed invero, in relazione al n. 1 del detto articolo, va riconosciuto che l'espressione oziosi e vagabondi abituali validi al lavoro non pu essere considerata vaga ed equivoca, essendo obbiettivamente identificabile, in base a nozioni di comune conoscenza tenendo conto delle :finalit della legge e delle misure di prevenzione, chi abitualmente non svolge alcuna attipur essendo in condizioni di trarre dal lavoro i necessari mezzi attraverso dati obbiettivi, ancorch non idonei ad essere sussunti sotto fattispecie tipiche di delitti. In ci conforme la giurisprudenza della Corte Suprema, la quale, come noto, richiede un complesso di elementi che pongano in luce la proclivit al delitto (Cass. 28 marzo 1960, Foro it. Rep. 1961, 1607, 10). Infine sul problema della discrezionalit nell'interpretazione ed applicazione della legge, cfr. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949 pag. 16 segg. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 260 di sussistenza. N vale in contrario affermare che la Costituzione riconosce un diritto, e non un dovere, al lavoro, giacch le misure di prevenzione non hanno carattere sanzionatorio di doveri giuridici, e, in particolare nel caso previsto dall'art. 1, n. 1, la misura di prevenzione non ha carattere sanzionatorio della violazione di un dovere di lavoro. Non ha maggior fondamento la questione di legittimit costituzionale sollevata in relazione ai nn. 2, 3 e 4 dello stesso art. 1. Non , infatti, esatto che, in base alle norme ivi contenute, le misure di prevenzione possano essere adottate sul fondamento di semplici sospetti. L'applicazione di quelle norme, invece, richiede una oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona, o che siano manifestazioni concrete della sua proclivit al delitto, e siano state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive e incontrollabili da parte di chi promuove o applica le misure di prevenzione. Infine, non pu riscontrarsi indeterminatezza assoluta, come si esprimono le ordinanze del Tribunale di Milano, nel richiamo alle nozioni di morale pubblica e buon costume, contenute nel n. 5, essendo ben chiaro che la disposizione si riferisce a quei comportamenti abituali che offendono quelle norme del costume, proprie della comunit, la cui violazione costituisce un indice di pericolosit sociale, indipendentemente dal carattere delittuoso o non dei singoli fatti in cui essi si concretano. Per le ragioni indicate, ritiene la Corte che non possa consi derarsi costituzionalmente illegittimo l'impugnato art. 1 della legge n. 1423 del 1956, in riferimento agli artt. 13 e 25 Cost. Ugualmente infondata la questione di legittimit costitu zionale in riferimento all'art. 27 Cost. Ed infatti, il richiamo all'art. 27 non pertinente alla detta questione, perch tale arti colo, nelle disposizioni a cui le ordinanze si riferiscono, riguarda la responsabilit penale e importa la presunzione di non colpe volezza dell'imputato fino alla condanna, mentre le misure di prevenzione, pur implicando restrizioni della libert personale, non sono connesse a responsabilit penali del soggetto, n si fondano su la colpevolezza, che elemento proprio del reato. N sussiste il contrasto, ravvisato dalle ordinanze, con l'art. 27 Cost. sotto il riflesso che semplici denuncie o procedimenti penali conclusi con ssoluzione per insufficienza di prove possano essere valutati come elementi negativi, nella applicazione delle misure di prevenzione. Da quanto si detto innanzi risulta che, correttamente interpretando la legge, la denuncia o l'assoluzione per insufficienza di prove, per se stesse considerate, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il INTERNAZIONALE 261 non possono costituire quei fatti obbiettivamente accertati, o quelle manifestazioni della personalit del soggetto, che soltanto possono dare fondato motivo all'applicazione delle misure di prevenzione. Ci, tuttavia, non significa che il ripetersi di denunzie a carico di un soggetto, o di assoluzioni con formula non piena da imputazioni di reati della stessa indole, non possa essere preso in considerazione, quando concorrono altri elementi di fatto, nella valutazione complessiva della condotta abituale e .del comportamento notorio di .una persona, ai fini del giudizio di pericolosit. Il Pretore di Milano, nella sua ordinanza, ha prospettato la questione di legittimit costituzionale dell'art. 1, n. 1, in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto, non essendo precisato, nella norma in esame, il criterio dell'abitualit, mancherebbe la possibilit di assicurare, nell'applicazione della norma stessa, l'eguaglianza di trattamento a tutti i cittadini. Ma, anche cos posta, la questione infondata. La disposizione legislativa configura una categoria di persone identificabili in base ad elementi da essa stessa determinati, tra cui l'abitualit del comportamento. E' vero che la nozione di abitualit, a cui il legislatore si riferisce, diversa da quella dallo stesso legislatore specificata in relazione alle figure di delinquente o contravventore abituale (artt. 102 e 104 c.p.); ci non toglie, per, che, assumendo la parola ,abituale nel senso che le proprio nel linguaggio comune, il legislatore ha introdotto nella norma un elemento non equivoco, come tale idoneo a differenziare, con gli altri elementi della previsione legislativa, la categoria di persone a cui la norma stessa si riferisce. Che poi l'attuazione di questa implichi un margine di discrezionalit nelle valutazioni dei singoli casi concreti non motivo perch possa ravvisarsi nella norma un contrasto con l'art. 3 Cost., essendo proprie, quelle valutazioni, di ogni giudizio diretto all'applicazione di norme giuridiche. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1964, n. 26 -Pres. Ambrosini -Rel. Verz. Dogana -Carcerazione preventiva per reati doganali -Durata fino all'accertamento dell'identit personale del soggetto o alla pres~azione di cauzione -Contrasto con l'art. 13 della Costituzione Insussistenza. (l. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 139; Cost., art. 13). 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non fondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 139 della legge doganale che prescrive l'arresto dell'imputato di reati doganali fino a quando non ne sia accertata l'identit personale o, trattandosi di stranieri, non venga prestata cauzione o malleveria, per l'asserito contrasto con l'art. 13, ultimo comma, della Costituzione, in quanto la stessa disposizione pone i limiti massimi entro i quali la carcerazione consentita, ancorch divergenti da quelli stabiliti dal codice di procedura penale (1)\ (Omissis). -Il primo comma dell'art. 139 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, dispone che il colpevole dei reati in essa preveduti arrestato quando non ne sia nota la identit personale, ovvero quando si tratti di straniero che non dia idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende. Il secondo comma dello stesso articolo contiene altre due norme : la prima, prescrive che la liberazione non pu essere ordinata fino a che l'identit personale del colpevole non sia accertata, o, trattandosi di straniero, fino a che costui non abbia prestato cauzione o malleveria. La seconda precisa che tuttavia la detenzione del colpevole non pu superare il massimo della pena stabilita dalla legge per il reato di cui imputato, od i tre mesi quando contro di lui si procede per contravvenzione. Questa seconda norma, che l'ordinanza non ha neppure pre (1) L'ordinanza di remissione 23 agosto 1963 del Giudice Istruttore presso il Tribunale di Trapani pubblicata nella Gazz. Uff. 2 novembre 1964 n. 287. L'art. 139 della legge doganale, nel primo comma, dispone che il colpevole di reati preveduti da detta legge, fermo quanto disposto nel codice di procedura penale circa la libert personale dell'imputato, arrestato quando non nota la sua identit, ovvero quando si tratta di straniero che non d idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende; ed aggiunge, al secondo comma, che la liberazione non pu essere ordinata fino a che l'identit personale del colpevole non sia stata accertata o, trattandosi di straniero, fino a che questi non abbia prestato la cauzione o la malleveria. Rilevante , tuttavia, la disposizione della parte finale del secondo comma, in base alla quale la detenzione del colpevole non pu superare il massimo della pena stabilita dalla legge per il reato di cui imputato o, i tre mesi, quando contro di lui si procede per contravvenzione. Viene, cos, rispettata la riserva di legge posta dall'art. 13, ult. comma, della Costituzione, circa i limiti massimi della carcerazione preventiva. Per l'inquadramento dell'istituto della scarcerazione automatica, cfr. SABATINI, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, Torino, 1953, 420 sgg. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 263 so in considerazione, pone quei limiti massimi alla carcerazione preventiva che il precetto dell'art. 13 della Costituzione vuole garantire. Che siffati limiti -poi -non siano coincidenti con quelli fissati dall'art. 272 c.p.p. questione irrilevante sotto il profilo Costituzionale, dal momento che risulta rigettata la riserva di legge contenuta nell'art. 13, e dal momento che tanto la legge doganale quanto il codice di procedura penale sono entrambe leggi ordinarie, poste sullo stesso piano delle fonti. E' da osservare piuttosto che il dubbio manifestato dall'ordinan za, se la scarcerazione cos detta automatica possa essere sottoposta alla condizione del verificarsi di eventi futuri ed incerti, non pu neppure sorgere, quando la norma dell'art. 139 della legge doganale, espressamente dispone che, allo scadere dei termini, la liberazione si verifica anche nel caso di mancata identificazione del colpevole o di non prestata cauzione o malleveria. E giova per ultimo rilevare che la mancata identificazione dell'imputato regolata anche dall'art. 84 del Codice di procedura penale, che ne subordina la liberazione a prestazione di cauzione o malleveria nel caso in cui l'incertezza sulla identit Nel senso che l'istituto sulla scarcerazione automatica previsto dall'art. 272 c.p.p., risulta pienamente compatibile con l'eventuale imposizione di obblighi anche di natura patrimoniale, Cass. Sez. Un. 23 marzo 1963, rie. Nicastri (Giust. pen. 1964, III, 1). Nel senso, poi, che l'istituto stesso abbia natura istruttoria'" con l'obbligo della scarcerazione anche quando l'istruttoria sia stata tardivamente conclusa, Cass. 16 luglio 1963 rie. Car (ivi, 1964, III, 167). Sull'art. 139 legge doganale, per la complementariet e non per l'alternativit delle ipotesi di arresto quivi indicate con quelle previste dal codice di procedura penale, Cass. 21 febbraio 1957, rie. Martinez (ivi, 1957, III, 514). La stessa sentenza, ponendo il carattere assoluto ed inderogabile. alle prestazioni di cauzione o malleveria, escluse la possibilit della concessione della libert provvisoria. Cosicch pu concludersi che, mentre l'istituto della scarcerazione di cui all'art. 272 c.p.p. di carattere processuale, perch collegato ai tempi dell'istruttoria, la scarcerazione prevista dalla seconda parte del secondo comma dell'art. 139 legge doganale non riveste tale carattere, ma ha natura sostanziale, in quanto collegato esclusivamente alla pena edittale, o, trattandosi di contravvenzioni, allo scadere del termine assoluto di tre mesi. Tale diversit di qualificazione dell'istituto doganale rispetto al Co dice di rito non lo rende, tuttavia, invalido sotto il profilo costitu zionale, perch -come ha rilevato la Corte -tanto la legge doganale che il Codice Cli procedura penale sono leggi ordinarie, poste sullo stesso piano delle fonti. RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 264 personale sia stata cagionata dal fatto della persona non identificata, onde non appaiono giustificate le apprensioni di un diverso trattamento fra il colpevole di reati oomuni ed il colpevole di reati in danno dell'Erario dello Stato. Mentre, in ogni caso, appare certo che la particolare struttura giuridico-economica del contrabbando, reato pi difficilmente perseguibile per le sue peculiarit, giustifica una disciplina anche diversa da quella comune. -(Omissis). TRIBUNALE FEDERALE ELVETICO, Sez. Civ. Il, 23 gennaio 1964 -Collegio giudicante: Vice Presidente del Tribunale Federale, Comment (Presidente della II Sez. Civ.); Giudici federali: Schwartz, Stocker, Plattner, Schmid -Finacom Trust fiir Finanzierung und Handel, Vaduz Fl. c. Ufficio italiano cambi (U.I.C.). Enti pubblici -Giudizio in corso dinanzi a tribunale straniero -Controversia sulla capacit giuridica di un soggetto -Riferimento all'ordinamento giuridico dello Stato che disciplina il soggetto stesso. Enti pubblici -Ufficio Italiano Cambi -Controversia sulla sua capacit giuridica -E' Ente con personalit giuridica. In un giudizio in corso dinanzi a un Tribunale straniero, nel quale si debba accertare la capacit giuridica di un soggetto, occorre far riferimento, ed applicare l'ordinamento dello Stato che disciplina e definisce detta capacit (nella specie occorre far riferimento all'ordinamento giuridico dello Stato Italiano per definire l'U.l.C.) (1). L'Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.) non organo dello Stato italiano, bens Ente di diritto pubblico con personalit giuridica (2). (1-2) Sulla natura giuridica dell'Ufficio Italiano dei Cambi. Con questa decisione, il Tribunale Federale Elvetico, sedente in Losanna, ha posto la parola fine ad una lunga controversia sorta fra la Finacom Trust filr Finanzierung und Handel Vaduz FL. e l'Ufficio Italiano dei Cambi nel lontano 1955. Lo svolgimento della causa, attraverso i vari gradi del procedimento, stato sommariamente indicato dalla decisione del Tribunale resa in Camera di Consiglio, perch stato ritenuto, prima facie, che le domande proposte dalla Finacom erano evidentemente infondate. PARTE I, SilZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il INTERNAZIONALE 265 . (Omissis). -E' risultato che: A) La Confederazione Elvetica e la Repubblica Italiana, in data 23 luglio 1955, stipularono un accordo circa il finanziamento per la elettrificazione ed il potenziamento di determinate linee di accesso in !svizzera delle Ferrovie dello Stato Italiane, entrato in vigore il 1. marzo 1957 (AS 1957, pagina 193 e segg.). In base a tale accordo la Svizzera si impegn, tra l'altro, ad autorizzare le Ferrovie Federali Svizzere a concedere alle Ferrovie dello Stato Italiane un credito di 200 milioni di franchi svizzeri per il finanziamento dei suddetti lavori. Per ragioni che esulano dall'argomento, l'ammontare del credito avrebbe dovuto essere depositato anteriormente al 1. agosto 1955 presso l'Ufficio Italiano dei Cambi (U.I.C.) in Roma. I particolari riguardanti tale deposito furono concordati dai Capi delle due Delegazioni, mediante scambio di lettere di testo uguale in data 23 luglio 1955. Secondo il paragrafo 3 di tali lettere, l'UIC dovette depositare in garanzia, entro e non oltre il 25 luglio 1955, presso la Schweizerische Nationalbank (Banca Nazionale Svizzera) effetti dela Confederazione Evetica o degli Stati Uniti d'America pari all'ammontare del credito. L'U.I.C. tenne fede a questo impegno entro il termine stabilito. B) La Finacom Trust filr Finanzierung und Handel di Vaduz chiese alle Ferrovie dello Stato Italiane, oppure alla Repubblica Italiana, un compenso di 6 milioni di franchi svizzeri Possiamo aggiungere, a maggior chiarimento dell'oggetto della vertenza, che la Finacom, asserendosi creditrice della somma di fr. sv. sei milioni cinquantamila, quale provvigione per una pretesa mediazione fra le -Ferrovie Elvetiche e le Ferrovie Italiane dello Stato, riguardante il prestito effettuato dalle prime alle seconde della somma di 200 mi lioni di franchi svizzeri, oper un sequestro di titoli e valori intestati all'Ufficio Italiano dei Cambi e che si trovavano presso la Banca Nazionale Svizzera. Tale sequestro fu reso possibile in virt delle disposizioni degli articoli 50, 66, 88 e seguenti della legge federale pour la poursuite pour dettes et la faillite dell'll aprile 1889. Operando il sequestro, la Finacom raggiungeva, inoltre, lo scopo di radicare in Svizzera (per motivi di connessione) anche le .cause principali di merito proposte contro l'Amministrazione delle Ferrovie e il Governo della Repubblica Italiana per ottenere il riconoscimento giudiziario del diritto della Finacom a percepire la somma di fr. sv. 6.050.000 per il titolo sopra indicato. Al sequestro si opposto l'Ufficio Italiano dei Cambi, difeso dall'avvocatura generale dello Stato e rappresentato in giudizio dall'avv. Gayle:r di Zurigo. Assai laborioso fu lo sviluppo dei vari giudizi attraverso i tre gradi 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per la mediazione del credito di 200 milioni di franchi svizzeri. Il 12 dicembre 1955 essa ottenne a Zurigo il sequestro sui Buoni del Tesoro (Reskriptionen) della Confederazione Elvetica del valore nominale di frs. 6.050.000, costituenti una parte delle garanzie depositate presso la Banca Nazionale a favore della Confederazione Elvetica. L'UIC dichiar essere l'oggetto del sequestro di sua propriet. Entro i limiti stabiliti, la Finacom Trust present ricorso per la contestazione del diritto di propriet. C) Sia il Giudice Unico nel procedimento per direttissima presso il Tribunale Distrettuale di Zurigo (Sentenza del 2 dicembre 1958) sia la Corte d'Appello del Cantone di Zurigo, II Sezione Civile (Sentenza del 20 novembre 1962) -su ricorso I della Finacom Trust -respinsero l'istanza. Lo stesso destino fu riservato al ricorso per nullit presentato dalla Finacom I Trust alla Corte di Cassazione del Cantone di Zurigo avverso la sentenza della Corte d'Appello (Sentenza del 30 luglio 1963). I D) In data 6 febbraio 1963 la Finacom Trust avanz il , presente ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Zurigo, formulando la richiesta di annullare la sentenza impu~ I~ >!=', gnata, di rigettare i presunti diritti di propriet fatti valere ~~ I,;: dall'UIC sui titoli depositati per il valore di stima di franchi svizzeri 6.050.000, e di convalidare il sequestro su tali titoli, . di rimettere la vertenza al Tribunale competente per un nuovo giudizio. , , di giurisdizione del Cantone di Zurigo e cio: Giudice Cantonale, Corte rn w di Appello e Corte di Cassazione di Zurigo. f Su invito del Giudice Cantonale, dapprima, e di quello d'Appello ~ dopo, le parti ricorsero alla consulenza di giuristi esperti in diritto italiano. L'UIC nomin suo consulente il prof. avv. CARLO ARTURO JEMOLO e I la Finacom il prof. MASSIMO SEVERO GIANNINI. Semplice e delimitato era il tema disputandum poich si trattava soltanto di stabilire se l'UIC avesse o meno una personalit giuridica I distinta da quella delle Amministrazioni dello Stato, e se, di conse00 guenza, l'UIC avesse una propria capacit patrimonale e, quindi, fosse proprietario dei titoli e valori che gli erano stati sequestrati. I Lunga stata la disputa e la Finacom, che dapprima aveva negato persino che l'UIC avesse una propria personalit giuridica (al contrario di quanto , inoltre, testualmente stabilito dall'art. 1 del decreto legi0 I slativo luogotenenziale 17 maggio 1945, n. 331 che istitu l'UIC), ripieg sulla tesi sostenuta dal suo consulente, che, cio l'UIC dovesse essere ,, considerato come organo dello Stato avente personalit giuridica e che, quindi, i beni da esso posseduti si dovessero ritenere di propriet dello r::. Stato (senz&, peraltro, precisare a quale fra le Amministrazioni dello Stato essi appartenessero). -11!~ L'Avvocatura Generale, nell'interesse dell'UIC, ha, invece, sostenuto, =:~ ~ nei vari gradi di giurisdizione, che l'UIC non solo ha personalit giuri-;::: I r::! . ~lfT::!?-B'ffil;B:Vwtx::=,-..:),-::::=wtx":w-?.;::;:.::;::::,:::.-:::=f@.~-=:::=-.MWJfw~x&',wm<-::::'::{q;.::.w.:::::=:--:t..:-fd.W&Afi~/tt@m+rfiltttii1&1w PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 267 E) Il convenuto in appello, UIC, chiede che non si dia luogo ad appello, che esso venga eventualmente respinto e che la sentenza impugnata venga confermata. Il Tribunale Federale considera: 1) Se la sentenza impugnata fosse stata inviata al legale dell'appellante, Dr. Zi.iblin~ il 16 gennaio 1963, come potrebbe essere desunto da una ricevuta che si trova agli atti, firmata da un'impiegata del suddetto avvocato, l'appelLo con timbro postale del 5 febbraio 1963 non sarebbe stato presentato entro il termine, in quanto detto termine, in tal caso, sarebbe scaduto il giorno precedente. Da un'indagine condotta a tale proposito dal Tribunale Federale , per, risultato che la segretaria sbagli data e che la sentenza impugnata stata effettivamente notificata al legale in data 17 gennaio 1963. Il ricorso stato quindi presentato in tempo utile. 2) L'appellante, in data 3 ottobre 1963, comunic al Tribunale Federale di aver ceduto il 12 giugno 1962 alla BetaHolding SA, Suvigiana-Castagnola (TI) il credito per il quale era stato ottenuto il sequestro; fu acclusa una copia autenticata dell'atto di cessione. Ai sensi dell'~rt. 17, comma 1, P.C., valido in conformit all'art. 40 OG anche per il procedimento in appello, il subentrare ad una parte ammesso solo previo consenso della controparte. Non esiste un tale consenso. La Finacom Trust resta, quindi, parte del processo in appello. dica distinta da quella dello Stato, ma che esso, in conseguenza di ci, ha piena capacit di diritto e quindi piena capacit patrimoniale. Il patrimonio assegnato all'UIC di sua esclusiva propriet e non di alcuna Amministrazione dello Stato. In particolare, si sostenuto: 1) che l'UIC non pu inquadrarsi tra le persone giuridiche cosididette organi dello Stato. Per le sue funzioni e la sua organizzazione, l'UIC non pu, in alcun modo essere, considerato n come organo del.lo Stato, n come Organo dipendente dallo Stato; esso sottoposto alla sola vigilanza del Ministero del Tesoro, come, del resto avviene per tutte le persone giuridiche di diritto pubblico. 2) I compiti attribuiti all'UIC, quali risultano dall'art. 2 del decreto legislativo lgt. del 1945, non sono compiti propri dello Stato e non risultano staccati dalla sua organizzazione ed attribuiti alla nuova persona giuridica. Tali compiti erano gi, in gran parte, propri di una altra persona giuridica pubblica: l'Istituto Naz.le dei Cambi con l'Estero, creato nel 1917 e di poi soppresso. 3) L'UIC ha un patrimonio proprio: il fondo dotazione confe ritogli dalla Banca d'Italia, ed il Consiglio Superiore della Banca, su proposta del Governatore, pu, se necessario, aumentarlo. Tale fondo unitamente alle riserve accumulatesi attraverso il commercio delle va RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 268 3) L'appellante parte giustamente dal principio che il convenuto un ente di diritto pubblico con personalit giuridica propria, secondo il diritto italiano, e che esso convenuto ha acquistato a proprio nome dalla. Banca Nazionale Svizzera i titoli sottoposti a sequestro. Rileva, per, che il giudizio precedente avrebbe per questo senz'altro concluso che il convenuto anche proprietario dei titoli sequestrati, mentre in questo punto sarebbe decisiva la posizione giuridica del convenuto nella struttura del diritto costituzionale ed amministrativo italiano, Tale argomentazione del tutto infondata, anzi addirittura sibillina. Nel giudizio precedente stata dettagliatamente ed accuratamente esaminata la questione della posizione giuridica dell'UIC. Si venuti alla conclusione che l'UIC, in questione non come organo dello Stato Italiano, ma nella sua veste di ente di diritto pubblico autonomo, contrariamente all'asserzione della Finacom, acquist i titoli. Tale questione dovette essere giudicata esclusivamente in base al diritto italiano (vedere ad esempio BGE 76 II 374, 76 III 62), e non pu, pertanto, essere esaminata dal Tribunale Federale (art. 43 OG, BGE 84 III 150, 88 II 203), .mentre decisiva per l'esito della vertenza. Il ricorso non pu essere, quindi, accolto ai sensi dell'art. 60, comma 1, lettera a, OG. Non cambia nulla che l'attore in appello si richiami al cosiddetto accordo aggiuntivo, vale a dire alla corrispondenza lute e dell'oro, qualificato dallo statuto dell'UIC (approvato con d.m. 25-2-1946, art. 4) come patrimonio dell'ufficio. 4) L'UIC ha un proprio personale, direttamente assunto e al quale non si applicano le disposizioni relative agli impiegati dello Stato; , anzi, prevista (Statuto, art. 9 lett. a) l'emanazione da parte del Consi glio di amministrazione di un regolamento per determinare lo stato giuridico ed economico degli impiegati e dei salariati. 5) Sono, inoltre, elementi contrastanti con 1m, eventuale configu razione dell'UIC come organo dello Stato fornito di personalit, la isti tuzione presso di esso di un collegio di revisori per esercitare funzioni analoghe a quelle determinate per i sindaci dal codice civile (d.1.1. del 1945, art. 7). 6) Infine, l'impossibilit di configurare l'UIC come organo dello Stato risulta comprovata dai rapporti giuridici, di natura contrattuale, posti in. essere fra esso e l'amministrazione dello Stato. Se, infatti, un'amministrazione dello Stato ha bisogno di valuta, deve regolarmente acquistarla dall'UIC, pagando . il controvalore in lire. E' significativo, di poi, quanto stabilito nel decreto legge 7 luglio 1951, n. 490, convertito nella legge 30 agosto 1951, n. 950. Da tale norma legislativa risulta che il Ministero del Tesoro ha ottenuto un vero e proprio prestito dall'UIC in valuta estera fino al controvalore di 100 PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 269 intercorsa tra i Capi delle Delegazioni in data 23 luglio 1955, sostenendo che ne risulti che all'epoca del pignoramento dei titoli sequestrati lo Stato Italiano sia apparso quale pignoratario; quindi quale proprietario di tali titoli. Quantunque questo accordo aggiuntivo -contrariamente al'opinione. dell'attore in appello -non costituisca un accordo interstatale ai sensi dell'art. 43, comma 1, OG, ovviamente giusto che il pignoramento dei titoli depositati in !svizzera debba essere giudicato secondo il diritto svizzero, in conformit alla lex rei sitae valida nel diritto privato internazionale. Dall'accordo aggiuntivo non risulta, per, che lo Stato Italiano sarebbe stato pignoratario. Al punto 3 di tale accordo chiaramente precisato che l'UIC avrebbe depositato i titoli presso la Banca Nazionale Svizzera. Dagli altri atti risulta che l'UIC procedette in conformit (vedere soprattutto la lettera di conferma della Banca Nazionale in .data 27 luglio 1955). Con ci dimostrato che l'UIC ag come pignoratario. Del resto, non si tratta di un pignoramento nel senso stretto della parola, ma di un deposito in garanzia, come stato provato nel giudizio precedente (pagina 13 della Sentenza), rimandando al Commento Oftinger, Sicurt in beni mobili, N 22 e seguenti della parte sist. Non importa se il rappresentante dello Stato Italiano, che firm l'accordo, ag su incarico e con procura dell'UIC o se si bas su un mandato dello Stato Italiano nei confronti dell'UIC. 4) All'attore in appello non dovrebbe essere sfuggito che la questione, chi fosse il proprietario dei titoli sequestrati, dovette essere decisa unicamente secondo il diritto italiano e che, quindi, un riesame non di competenza del Tribunale Federale. Forse per questa ragione l'attore tenta di impugnare la sentenza di appello davanti al Tribunale Federale, richiamandosi all'art. 8 e.e. concernente i regolamenti dei mezzi di prova e sostenendo che nel giudizio precedente tale articolo sfato ripetutamente violato. Ma anche i regolamenti dei mezzi di miliardi di lire e per tale prestito venne, persino, corrisposto un inte resse. Sostenne, di poi, la difesa dell'UIC (in conformit dei noti principi di diritto internazionale privato, del resto constantemente e pacifica mente accolti dal Tribunale Federale elvetico) che la personalit giuridica e la capacit patrimoniale dell'Ufficio dovevano essere stabiliti secondo il diritto italiano. Sull'applicazione si tale diritto non poteva sorgere alcuna questione giuridica, n, pertanto, formularsi alcuna eccezione, di pretesa violazione di legge perch principio noto di diritto internazionale che l'applica 270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prova prevedono la legge applicabile, in casu, quella italiana. (Vedere commento Kummer, all'art. 8 e.e., N. 378 e la letteratura ivi citata). Non si pu, quindi, accogliere questa eccezione. Essa sarebbe comunque infondata. Il Tribunale ha giustamente richiesto i mezzi di prova, imponendo al convenuto UIC di presentare la fondata prova della sua propriet dei titoli. Essa ritenne addotta tale fondata prova e lasci alla parte attrice di iniziare il procedimento di controprova. Di queste controprove la sentenza tratta molto esaurientemente (pagine 2656 ), concludendo che la controprova non stata addotta. Date queste circostanze di fatto, non si potrebbe parlare di una violazione all'art. 8 C.C. Del resto, i motivi esposti dall'appellante per larghi tratti del ricorso in appello non riguardano tanto la questione della richiesta dei mezzi di prova, bens l'equa valutazione delle prove nonch le disquisizioni giuridiche contenute nela sentenza impugnata. S) Quanto precedentemente esposto in merito alla presunta violazione dell'art. 8 C.C., vale anche per l'eccezione della non corrispondenza degli atti (pagina 11 del ricorso) in merito alla constatazione del giudizio precedente (pagina 13) riguardo alla procura dell'UIC al Capo della Delegazione, Cattani (chepoich la Corte d'Appello non accett l'eccezione della non corrispondenza degli atti - da interpretare come richiesta di rettifica, ai sensi dell'art. 63, comma 2, OG, di una constatazione ovviamente basata su una svista). A prescindere che manca, anche in tal caso, la facolt di cognizione del Tribunale Federale circa l'applicabilit del diritto italiano, si tratta sempli zione di norme di un diritto straniero costituisce una quaestio facti sottoposta all'esame del giudice. Tutte le suesposte argomentazioni furono, quasi testualmente, accolte dalle varie decisioni cantonali, ed, implicitamente, confermate dalla pronunzia del Tribunale Federale elvetico alla quale, come ultima ratio la Finacom ricorse per pretesa violazione di norme di ordine pubblico. A questo proposito, devesi rilevare che il Tribunale federale ha espressamente dichiarato che tale violazione non esisteva e che i principii da noi sostenuti dovevano trovare piena applicazione in quanto che non venivano e contrastare, in alcun modo, con le ordine pubblico del diritto federale. Pertanto, nella causa contro l'UIC la Finacom ha raggiunto... lo scopo inverso a quello che si proponeva, perch vengono a cadere irri I I mediabilmente, per il venir meno della competenza territoriale per conili nessione, le cause proposte contro le Ferrovie e il non meglio identi*~ ficato Governo della Repubblica Italiana. ~1 C. ARIAS .,:-,. "- ~-:-~.: wi~-.,,..,,/==='Y, ,..., -,~,x~,,,.... ,,~rz~Am! .,.,.... ..h....,z..h... .....::%....: .<..-::. h........ n....h.,.: . n ... ~h..-n... X.. ,:.:.:...:..z;;;.: .... ,:.:. ..Z:..h.>:.::;:::. ,~::..<:.;:;.:. ..:-.-:.-:::.;:.< PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 271 cemente di un errore di trascrizione: invece di act. 71-11 avrebbe dovuto essere scritto act. 111/10 . 6) In subordine, l'appellante fa, infine, valere una violazione del'art. 2 e.e. nella sentenza impugnata, perch -in sintesi il convenuto, rifacendosi, secondo la lettera della legge, alla sua propriet, vorrebbe sottrarre i titoli -che gi sarebbero stati pignorati a favore di altro creditore dello Stato Italiano -all'intervento di un secondo creditore di tale Stato. Si tratta, pertanto, di un richiamo, non pertinente ed in mala fede, alla autonomia dell'UIC quale persona giuridica (vedere Commento Merz all'art. 2 e.e., n. 286 e seguenti). Prescindendo dal fatto che non si pu concordare con l'appellante circa questo punto, l'art. 2 C.C. non pu, comunque, essere applicato, in quanto la questione deve essere decisa giusta il diritto italiano. Anche se fosse nota una disposizione corrispondente a tale legge, o se il giudizio precedente avesse applicato l'art. 2 e.e., quale diritto suppletivo, la sentenza in tal modo emanata non potrebbe essere presa in considerazione dal Tribunale Federale neppure sotto tale profilo (vedere Merz a.a.O. n. 79). Una revisione potrebbe essere apportata, al massimo, in via aequitatis, cio applicando la clausola cautelativa dell' ordre public se, a causa dell'applicazione del diritto estero, il senso di giustizia nazionale venisse violato in modo inammissibile (B.G.E. 83 I 122, Merz, a.a.O. n. 80). Nel presente caso ci assolutamente da escludere come stato deciso anche nel giudizio precedente. Del resto, l'appellante non fece valere detta clausola. Per le sopracitate ragioni, ai sensi dell'art. 60, comma 1, lett. a, OG, il ricorso, discusso in Camera di Consiglio, stato respinto. -(Omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE .I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 gennaio 1964 n. 5 -Pres. Celentano -Est. Modigliani -P.M. Criscuoli (conf.) -Presidenza del Consiglio dei Ministri c. Grifoni. II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 gennaio 1964 n. 127 Pres. Celentano -Est. Modigliani -P.M. Criscuoli (conf.) Presidenza del Consiglio dei Ministri c. Gennuso. Amministrazione dello Stato -Comitato Nazionale della produttivit Organo dello Stato -Rapporto d'impiego -Natura pubblicistica. O. 31 luglio 1954 n. 626, art. 2). Competenza e giurisdizione -Amministrazione dello Stato ed Enti pubblici -Rapporto con i dipendenti -Mancanza dell'atto formale di nomina -Disciplina privatistica -Controversie -Giurisdizione ordinaria. Il Comitato Nazionale per la produttivit un organo dello Stato e fa parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella quale s'inquadra; pertanto il rapporto d'impiego con .i dipendenti, quando esista l'atto formale di nomina che ne costituisce un elemento essenziale, ha natura pubblicistica (1). (1) Per l'affermazione della natura di organo d~ll~ Stato del Com~ tato nazionale della produttivit, cfr. la sentenza rich~amat~ nella dec1 sione annotata, Cass., Sez. Un., 29 maggio 1962 n. 1294, Giust. civ., 1963, 141. 273 PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Il rapporto di prestazione d'opera retribuita tra un soggetto privato ed un ente pubblico, in mancanza di un atto formale di nomina, ha carattere privatistico e conseguentemente la cognizione delle controversie relative ai diritti soggettivi da esso derivanti spetta all'autorit giudiziaria ordinaria (2). (2) Circa i precedenti richiamati dal Supremo Collegio a proposito del requisito formale del provvedimento di nomina per il sorgere del rapporto di pubblico impiego, cfr. Cass., Sez. Un., 6 ottobre 1962 n. 2829, Foro it. Mass. 1962, 800, 18 gennaio 1963, n. 51, Foro it. 1963, I, 622; 18 maggio 1963, n. 1295, ivi, 1963, I, 674; cui adde, Sez. Un., 29 maggio 1962 n. 1294, cit. alla nota precedente; 3 marzo 1962 n. 147, Giust. civ. 1962, I, 1307. Tale giurisprudenza pu dirsi ormai consolidata. Una volta escluso il rapporto di impiego pubblico, sorge il problema dell'individuazione clel giudice competente a conoscere delle eventuali pretese del prestatore d'opera. Le Sezioni Unite, con l'annotata decisione, hanno ritenuto di risolvere il problema facendo generico riferimento alle norme privatistiche, ma, a parte tale genericit, non sembra che la soluzione proposta possa essere adottata nei confronti dello Stato. E' da escludere, infatti, la configurabilit di un rapporto di impiego vrivato con lo Stato fuori delle tassative ed eccezionali ipotesi previste da leggi speciali. (art. 3 I. 26 febbraio 1962 n. 67, per l'assunzione a 90 giorni di operai temporanei: facolt, peraltro, soppressa dall'art. 60 della I. 5 marzo 1961 n. 90; art. 7 I. 18 luglio 1957 n. 614 per il personale di taluni servizi lacuali, e in tal senso, anche SANDULLI, Manuale dir. amm.vo, 1959, 133; art. 12 d.l. 13 aprile 1948 n. 221 per il personale della soppressa G.R.A., qualificato come personale impiegatizio non statale, cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 20 dicembre 1955, n. 23, in questa Rassegna, 1956, p. 68). Rapporti del genere, pertanto, trovano la loro tutela davanti al giudice ordinario solo quando essi costituiscano estrinsecazione in un incarico professionale o di consulenza (locatio operis). Qualora, invece, essi si esplichino con carattere di continuit e di dipendenza gerarchica,, moldelbandosi sopra il rappo'Ito di impie1go, dovendosi escludere la sussistenza vuoi di un rapporto di impiego pubblico (per l'assenza dei requisiti formali richiesti ad substantiam ), vuoi di un rapporto di impiego privato (per l'incapacit concettuale dello Stato ad essere soggetto di tale rapporto), possono trovare tutela ginrisdizionale nell' actio de in rem verso , la quale prescinde dal titolo e si fonda sul fatto meramente oggettivo delle prestazioni da parte del dipendente e dell'utilit ricavata dal datore di lavoro. Naturalmente, anche questa azione non sarebbe indiscriminatamente di competenza dell'a.g.o. imponendosi la ben nota limitazione circa l'esperibilit della relativa pretesa verso la p.a. Essa ammessa, nel nostro ordinamento giuridico solo nei limiti dell'utilit riconosciuta, discrezionalmente, dalla P.A., e, pertanto, nel caso di prestazione di lavoro -non potrebbe spingersi oltre i tempi ed i modi ritenuti utili e come tali compensati. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 274 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 gennaio 1964, n. 128 - Pres. Lonardo -Est. Giannattasio -P.M. Pepe (conf.) -Ministero LL.PP. c. De Domenico ed altri. Cosa giudicata -Giudicato sulla giurisdizione -Necessit di un giu dicato anche su questioni di merito' -Non sussiste. ( c.p.c., art. 37). Il giudicato sulla giurisdizione, che preclude il riesame della questione nei successivi stati e gradi del processo, pu formarsi, non soltanto in funzione della pronuncia adottata dalla Corte di Cassazione, ai sensi degli artt. 41 e 367 c.p.c., o in funzione del passaggio in giudicato di una statuizione di merito che presupponga il riconoscimento, sia pure implicito, della competenza giurisdizionale del giudice che l'ha pronunciata, ma anche nel caso in cui una precedente sentenza abbia esplicitamente dichiarato la giurisdizione del giudice adito, e tale capo della decisione non sia stata tempestivamente o ritualmente impugnato (1). (1) Con la decisione annotata la Suprema Corte affronta ancora una volta il dibattuto problema del giudicato sulla giurisdizione. Come noto, sulla questione il precedente orientamento della Cassazione stato fino ad ora notevolmente oscillante. L'indirizzo prevalente pu considerarsi quello, ora ribadito con la decisione sopra riportata (in senso conforme cfr. Sez. Un. 11 ottobre 1963, n. 2722, Foro it., Mass. 340) e secondo cui il giudicato formale sulla giurisdizione si forma, oltre ovviamente ai casi di pronuncia della Cassazione nel suo potere regolatore della giurisdizione stessa (artt. 41, 367 c.p.c.) ed al caso .di giudicato sostanziale anche parziale sul merito che importi pronuncia -esplicita o implicita -sulla giurisdizione, anche quando una sentenza, non pi impugnabile, abbia statuito esplicitamente sul punto. Rilevante peraltro il numero degli arresti difformi, nei quali si invece affermato l'opposto principio secondo cui, in applicazione del disposto dell'art. 37 c.p.c., non potrebbe formarsi un giudicato solo sul punto della giurisdizione, al di fuori cio di un giudicato sostanziale, anche parziale di merito, che comporti l'attribuzione ad uno dei litiganti, secondo la formula chiovendiana, di un bene della vita. Per l'orientamento tradizionale favorevole al giudicato formale, cfr. tra le pi recenti decisioni: Cass. 23 febbraio 1954, n. 517, Foro it., 1954, I, 767; 6 ottobre 1954, n. 3341, id., Rep. 1954, v. Competenza civ., n. 412; 17 ottobre 1955, n. 3225, Foro it., Rep. 1955, v. Impugnazione civ., n. 30; 3 maggio 1956 n. 1380, id., Rep. 1956, v. Cosa giudicata civ., n. 54; 8 febbraio 1958, n. 406, id., Rep. 1958, v. Competenza civ., nn. 444 e 445; 28 ot tobre 1959, n. 3159, id. Rep. 1959, v. Competenza civ., n. 161, e, in particola PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 275 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 199 -Pres. Est. Pece -P.M. Maccarone (Conf.) -Micillo c. Ministero Finanze Impugnazione -Giudizio di appello -Sentenza non definitiva -Pronuncia positiva sulla giurisdizione negata dal giudice di 1. grado ed omessa rimessione della causa a tale giudice -Omessa riserva di gravame -Passaggio in giudicato della sentenza non definitiva -Sentenza definitiva -Ricorso per Cassazione -Denunciata violazione dell'art. 353 c.p.c. -Preclusione. (c.p.c,, art. 353). Se il giudice di appello, nel riformare la sentenza del giudice di primo grado che abbia dichiarato il difetto di giurisdi re, per un meditato riesame della questione, Sez. Un. 22 luglio 1960, n. 2084, Foro it., 1691, I, 481, con ampia nota di richiami. Per l'orientamento negativo della possibilit di un giudicato formale se non in base a pronuncia su regolamento di giurisdizione cfr. : Cass. 30 maggio 1958, I, 1820, Foro it., Rep. 1958, v. Competenza civ., nn. 72 e 73; 24 marzo 1959, n. 918, id., Rep. 1959, v. Cosa giudicata civ., n. 21; 10 aprile 1959, n. 1072, Foro it., 1959, I, 755; 22 maggio 1959, numero 1573, id., Rep. 1959, v. Competenza civ., n. 330; 13 ottobre 1959, n. 2818, id., nn. 331-333; 3 marzo 1961, n. 456, Foro it., 1961, I, 949. In dottrina la maggioranza degli autori favorevole al giudicato formale sulla giudisdizione: ANDRIOLI, Commento al Codice di proc. civ., vol. I, 146; GIUDICEANDREA, Le impugnazioni civili, 1952, II, 12. Contra: D'ONOFRIO, Commento, 1957, I, 82. Per una trattazione critica dell'argomento, esauriente ed informata, cfr. la nota di R. SANDULLI, In tema di giudicato sulla giurisdizione, Giust. civ., 1960, I, 1932. Resta da aggiungere che nella causa decisa con la sentenza annotata, l'Avvocatura nel proporre ricorso non aveva ritenuto di porre in discussione il principio poi riaffermato dalla Cassazione,. ma aveva rilevato che, nella specie, non si poteva dire che si fosse formato un giudicato sulla giurisdizione perch la sentenza del Tribunale era stata impugnata proprio su tale punto da una delle parti, a nulla potendo rilevare che tale parte non avesse poi pi coltivato tale capo di impugnazione. Sul problema generale, non si pu non rilevare che auspicabile che la Suprema Corte nella sua funzione regolatrice consolidi la propria giurisprudenza, essendo evidente che il contrasto di decisioni su di un argomento di tanta rilevanza, determina un dannoso stato di incertezza nella pratica della vita giudiziaria, incrementa il peso dell'alea nella' decisione delle liti e, in definitiva, compromette la possibilit di raggiungere quella giustizia sostanziale che con il processo si cerca di perseguire. 276 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione dell'A.G.O., afferma, con sentenza non definitiva, la giurisdizione del giudice ordinario e trattiene la causa presso di s per l'esame di merito, invece di rimetterla, a norma dell'art. 353 c.p.c., al giudice di primo grado, senza che alcuna riserva di gravame venga fatta contro detta sentenza non definitiva, l'errore cos commesso, non pu formare motivo di censura col ricorso per cassazione proposto contro la sentenza definitiva, giacch, a causa della mancata riserva di gravame e della mancata proposizione del ricorso immediato contro la sentenza non definitiva, questa passata in cosa giudicata (1). (1) Non risultano precedenti in termini. La Corte di Cassazione ha I fatto puntuale applicazione dei principi che regolano la cosa giudicata. E', invero, di intuitiva evidenza l'inammissibilit di un'impugnazione I avverso una pronuncia definitiva, per un errore in procedendo che gi I inficiava la sentenza non definitiva passata in giudicato. f, Nella specie la Corte d'Appello con la sentenza non definitiva aveva < : : I ~ dichiarato la giurisdizione dell'a.g.o. e non aveva altres dichiarato di ' trattenere la causa per il merito, disponendo, con separata ordinanza, , l'acquisizione di mezzi istruttori, e poich contro tale sentenza non era stata proposta riserva di ricorso per cassazione, ne discendeva che la I sentenza non definitiva era passata in cosa giudicata, e pertanto inam" missibile era il ricorso proposto avverso la sentenza definitiva per un > I. preteso errore in procedendo, gi consumatosi con la pronuncia non defintiva. m: Peraltro, forse interessate rilevare che -come non di rado avviene -la sentenza riportata non d completamente conto della tesi } ldel ricorrente, che non cos sprovveduta come potrebbe apparire dalla lettura della decisione. Invero, il ricorrente non contestava il principio affermato dalla Suprema Corte, ma sosteneva che, nella specie, il decisum della sentenza non definitiva si doveva intendere limitato alla sola declaratoria di giurisdizione dell'a.g.o. e che solo con la contestuale, ma separata ordinanza la Corte aveva rimesso la causa al Consigliere Istruttore, con la conseguenza che solo con la sentenza definitiva si sarebbe consumata la violazione dell'art. 353 c.p.c., non essendo ovviamente impugnabile di per s l'ordinanza istruttoria. Ma stato agevole rilevare che il decisum attiene non solo alle statuizioni del dispositivo ma anche alle affermazioni della parte motiva che di quello costituiscono il fondamento logico e giuridico. Nella specie risultava evidente dalla motivazione che con la sentenza non definitiva la Corte aveva inteso trattenere dinnanzi a s il giudizio, dal che conseguiva la possibilit e l'onere di impugnazione di tale pronuncia (per riferimento circa il giudicato sostanziale e formale e la preclusione delle questioni cfr. R. SANDULLI, In tema di giudicato sulla giurisdizione, Giust. Civ. 1960, I, 1932). PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (Omissis). -La censura inammissibile. Giova richiamare che la Corte di Appello ha pronunziato, nel processo in esame, due sentenze. Con una prima sentenza in data 19 giugno-21 dicembre 1959, riformando la pronunzia del Tribunale, dichiar che la questione sollevata dal Micllo era di estimazione complessa e, come tale, rientrava nella competenza del giudice ordinario; dichiar che la causa doveva essere trattenuta per l'esame del merito e dispose, con separata ordinanza, alcuni atti istruttori. -Con una seconda sentenza, in data 24 marzo-22 luglio 1961, decidendo definitivamente in merito alla domanda del Micillo, la Corte di Appello rigett la domanda stessa. Il Micillo non fece alcuna riserva di gravame avverso la prima sentenza della Corte d'Appello ed ha proposto il ricorso per cassazione esclusivamente avverso la seconda sentenza. . Va richiamato che, una volta riconosciuto che il giudice di primo grado, contrariamente a quanto da lui affermato, poteva cnoscere della causa, il giudice di appello deve spogliarsi della causa e, al fine di garantire l'osservanza del doppio grado di giurisdizione, deve chiudere con sentenza il processo innanzi di s e, con la stessa sentenza, deve rinviare le parti al primo giudice. Infatti, l'art. 353 c.p.c. prescrive testualmente che, nella ipotesi suesposta, il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice . Ne segue che, nella specie in esame, l'errore denunziato dal Micillo con il secondo mezzo del ricorso (omessa rimessione delle parti al primo giudice e ritenzione della causa nel merito da parte del giudice di appello) imputabile alla prima sentenza pronunziata dalla Corte di appello. E poich detta sentenza, stante la mancata riserva di gravame e la mancata proposizione di ricorso per Cassazione, era ormai passata in cosa giudicata, l'errore successivamente prospettato dal Micillo non pu pi formare oggetto di censura ed essere valorizzato per l'annullamento della seconda sentenza della Corte di Appello. Quest'ultima sentenza, infatti, a causa della preclusione derivante dalla precedente pronunzia, pi non poteva rimettere in discussione (ed esattamente non ha pi rimessa in discussione) la possibilit di giudicare direttamente nel merito ed a tale giudizio di merito ha proceduto. A torto il Micillo afferma che egli non aveva interesse a gravarsi della prima sentenza. Al contrario, dopo quanto detto, evidente che tale interesse gli de 278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rivava direttamente dal fatto che quella prima sentenza lo privava, in conseguenza della violazione dell'art. 353 c.p.c., della garanzia del doppio grado di giurisdizione (Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 15 gennaio 1964, n. 1 -Pres. Meregazzi -Est. Potenza -soc. Elettrica Sarda c. Giunta Regionale Sarda. Competenza e giurisdizione -Regioni -Atto amministrativo -Contestazione relativa alla competenza della Regione -Conflitto di attribuzioni -Non sussiste -Giurisdizione del Consiglio di Stato -Sussiste. Sardegna -Regione -Competenza amministrativa in materia di distribuzione di energia elettrica -Appartiene all'Amministrazione Statale. L'attribuzione di poteri alle Regioni rimane nel quadro organizzativo di un decentramento istituzionale dei poteri statali e il loro conferimento rientra sempre nei limiti di una attribuzione di competenza. Pertanto la contestazione relativa al potere di una Regione di emanare un determinato atto amministrativo non equivale a negazione del potere della P.A. e rientra nella giurisdizione del Consiglio di Stato (1). (1) La Quarta Sezione conferma la propria giurisprudenza secondo cui l'invasione da parte degli organi della Regione o dello Stato nella sfera amministrativa dell'altro Ente pu da un terzo soggetto essere denunziata a tutela di un proprio interesse dinnanzi al giudice competente a giudicare di questo ultimo, senza con ci dar luogo ad un conflitto di attribuzioni in senso tecnico. (Cfr. IV, 9 giugno 1959, n. 663, Rass. Cons. Stato 1959, I, 771; IV, 17 ottobre 1956 n. 697, ivi, 1956, I, 1262; 10 dicembre 1958 n. 919, ivi, 1958, I, 1523; 30 dicembre 1959 n. 1049, ivi, 1959, I, 1782; 30 novembre 1960 n. 995, ivi, 1960, I, 2160; 7 dicembre 1960 n. 1051, ivi, 1960, I, 2382). In questa Rassegna si pi volte avuto occasione di illustrare l'errore di impostazione che alla base di tale orientamento. (Cfr. GuGLIELMI Questioni di competenza costituzionale e giurisdizione in questa Rassegna, 1960, 65; 1963, 28; cfr. inoltre ibid., 1961, 109; 1962, 72; 1'963, 150). Si cos chiarito che il problema di fondo non quello della tutela giurisdizionale di una posizione soggettiva che l'Ordinamento assicuri ad un soggetto, ma quello, preliminare, se, nella specie, l'Ordinamento assicuri una tale posizione di vantaggio ai consociati. E' infatti evidente che il richiamo al disposto dell'art. 113 della Costituzione che (in modo pi o meno esplicito) alla base o, almeno, sostiene PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 279 L'attribuzione alla competenza legislativa della Regione Sarda della materia relativa alla produzione e alla distribuzione dell'energia elettrica non , di per s, sufficiente a fare ad essa (lcquisire la competenza amministrativa, occorrendo altres che sia adottato un provvedimento di trapasso dei poteri dallo Stato alla Regione in conformit di quanto stabilisce la disposizione VIII della Costituzione. Tale trapasso, almeno in materia di distribuzione di energia elettrica, non pu dirsi avvenuto n per effetto dell'art. 13 d.P.R. 9 maggio 1950, n. 327 (contenente norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna), dichia la tesi accolta dal Consiglio di Stato e da parte della dottrina, in tanto ha un senso, in quanto in via preliminare si accerti che si pu effettivamente configurare quella posizione di interesse legittimo la cui tutela giurisdizionale si vuole assicurare ammettendo l'esperibilit del ricorso giurisdizionale. Orbene, impostata cos la questione su di un piano di diritto sostantivo, al quesito se sia configurabile un interesse legittimo del privato all'osservanza delle norme costituzjonali di attribuzione di competenze amministrative fra Stato e Regione, non sembra possa rispondersi che negativamente, in quanto, da una parte, la Carta costituzionale ripartisce le attribuzioni avendo di mira solo l'interesse pubblico dell'equilibrio tra gli Enti costituzionalmente garantiti e senza collegare a tale espresso interesse, neppure in via occasionale o strumentale, la posizione dei terzi, (nel quale collegamento soltanto potrebbe trovarsi la fonte di un interesse legittimo), dall'altra, il Legislatore Costituzionale ha previsto con l'apposito procedimento dinanzi alla Corte Costituzionale un sistema esclusivo di risoluzione dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione e non chi non veda come un'eventuale cognizione da parte del Consiglio di Stato (sia pure in via incidentale o occasionale, in relazione alla legittimit di un determinato atto amministrativo) dei limiti di attribuzione tra Stato e Regione verrebbe necessariamente ad interferire con il predetto sindacato esclusivo della Corte Costituzionale. Si pensi solo ad un atto amministrativo statale o regionale che dia luogo contemporaneamente ad un conflitto di attribuzioni dinnanzi alla Corte Costituzionale e ad una impugnativa per incompetenza dinnanzi alla giurisdizione del Consiglio di Stato da parte di un privato: facile giuoco casistico prospettarsi tutti i possibili (ed irrimediabili) contrasti che possono venire jn essere, sia nel caso in cui la pronuncia della Corte preceda quella del Consiglio, sia nel caso inverso. Queste considerazioni fanno ritenere che nessun interesse legittimo venga a costituirsi in capo al privato in relazione alla osservanza da parte degli organi regionali e statali dei limiti di attribuzioni stabiliti dalla Costituzione. Nella decisione annotata ia Quarta Sezione, nel confermare la precedente giurisprudenza gi citata, esamina il problema sotto il nuovo profilo nel quale era stato prospettato nell'ultimo articolo in argomento di GuGLIELMI (in questa Rassegna 1963, 28). 280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rato incostituzionale con sentenza 13 luglio 1956, n. 22 della Corte Costituzionale, n per effetto della legge regionale 24 febbraio 1956, n. 38, la quale regola l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di acque pubbliche e di produzione dell'energia elettrica ma non in materia di distribuzione dell'energia. (Omissis). -Va preliminarmente disattesa la eccezione di inammissibilit per difetto di giurisdizione sollevata in sede di discussione orale dalla difesa della Regione in ordine al I motivo del ricorso, sotto il profilo che esso, in quanto contesta la competenza a provvedere della Regione, contesterebbe il potere In tale articolo si era rilevato che, in ogni caso, l'eventuale invasione da parte di Organi della Regione e dello Stato nella sfera amm.va dell'altro Ente non comporta un mero difetto di competenza (denunciabile come vizio di legittimit) ma si risolve, semmai, in un difetto assoluto di potere da parte dell'Autorit che ha emanato l'atto: di fronte a tale radicale carenza di potere la posizione del privato non pu essere configurata come interesse legittimo, ma assume consistenza di diritto soggettivo, cosicch non pu essere fatta valere dinnanzi al Consiglio di Stato che difet~ i terebbe, sul punto; di giurisdizione. La Quarta Sezione, ha respinto tale impostazione affermando che la I attribuzione di potere alla Regione rimane nel quadro organizzativo di un f decentramento istituzionale dei poteri statali e il loro conferimento rien~:; tra sempre nei limiti di una attribuzione di competenza, e che pertanto l'atto con cui l'Autorit Regionale abbia invaso la competenza attribuita , . I allo Stato sarebbe pur sempre viziato di incompetenza e non inficiato da m un assoluto difetto di potere. A noi sembra evidente il paralogismo che si annida in tale motivazione. ~ E' vero che i poteri attribuiti a Stato e Regione hanno natura omogenea (amministrativa) e rientrano in una comune fonte primaria, ma pur l vero che la garanzia costituzionale accordata a tali attribuzioni crea un . diaframma di rilevanza costituzionale tra la sfera di attivit regionale e la sfera di attivit statale, cosicch l'eventuale sconfinamento da parte , di uno dei due enti non si risolve in un mero vizio di incompetenza, ma si atteggia come un assoluto difetto di potere. i D'altra parte evidente l'analogia che pu porsi tra ripartizione di ru I ~ competenze amm.ve (tra Stato e Regione) e ripartizione di competenze giurisdizionali (tra i vari Organi giurisdizionali dello Stato: Autorit Giudiziaria Ordinaria, Consiglio di Stato, Corte dei Conti ecc.). w,~ Orbene, in tale campo, pur trattandosi di attribuzioni nell'ambito della m stessa funzione giurisdizionale e pur risolvendosi, in tal senso, in una specificazione di competenze all'interno di quel potere, tuttavia a causa della r. rilevanza primaria che a tale ripartizione di poteri d l'Ordinamento, non r~i~.: si mai dubitato che lo straripamento di un organo della giurisdizione t" nella sfera di attribuzioni di un altro, configura non un vizio di competenza, ma un difetto di giurisdizione. lii. Analogamente, nel campo della ripartizione di attribuzioni amministrative tra Stato e Regione, pur essendo esatto che si tratta di compe~ 1= tenze nell'ambito dello stesso potere di amministrazione pubblica, non . I j I V: PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 281 stesso dell'Amministrazione di adottare il provvedimento. Va osservato al riguardo che il dedotto vizio di competenza tipicamente un vizio che appartiene al Consiglio di Stato di conoscere per espresso disposto dell'art. 26 t.u. 21 giugno 1924, n. 1054. N tale vizio si atteggia diversamente per il solo fatto che la competenza contestata appartenga ad una Regione, sia pure a Statuto speciale. L'attribuzione di poteri alle Regioni rimane nel quadro organizzativo di un decentramento istituzionale dei poteri statali e il loro conferimento rientra sempre nei limiti di una attribuzione di competenza. La contestazione relativa al potere della Regione non equivale quindi ad una negazione in ordine al potere della P.A. di emanare l'atto impugnato, in quanto sia la Regione che lo Stato (come potere esecutivo) costituiscono pur sempre la Pubblica Amministrazione nel suo complesso. (Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Ad. pl. 30 gennaio 1964, n. 25 -Pres. Bozzi -Est. Landi -Federazione It. della Caccia ed altri c. Ministero Agricoltura. Competenza e giurisdizione -Riserva di caccia -Atto di proroga di concessione ~ Federazione It. caccia Interesse legittimo -:Fattispecie -Insussistenza -Ricorso giurisdizionale ~ Inammissibilit. (t.u. 5 giugno 1939 n. 1016, art. 43 e segg. e 86). Competenza e giurisdizione -Riserva di caccia -Atto di proroga di concessione -Privati cacciatori -Interesse legittimo -Insussistenza -Ricorso giurisdizionale -Inammissibilit. (t.u. 5 giugno 1939 n. 1016 art. 43 e segg.) sembra per contestabile che, data la rilevanza costituzionale data dallo ordinamento a tale ripartizione, l'atto con cui un Organo della Regione e dello Stato straripi nella sfera di attribuzioni dell'altro Ente deve considerarsi viziato non per mero difetto di competenza, ma per assoluto difetto di potere. Non sembra pertanto conclusiva l'argomentazione su cui la Quarta Sezione ha basato la propria decisione n pu condividersene l'attuale orientamento: pertanto da auspicare che su tali importanti questioni, che d'altra parte involgono problemi fondamentali per l'ordinato articolarsi della vita amministrativa del Paese, venga provocato un nuovo e pi approfondito esame. 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Federazione Italiana della Caccia una semplice associazione, oggi non pi obbligatoria, dei cacciatori e dei concessionari con finalit di disciplina sportiva, di propaganda e di perseguimento di comuni interessi. Pertanto ad essa l'Ordinamento non assicura, in via generale, una posizione di interesse legittimo tutelabile giurisdizionalmente riguardo ad un provvedimento di proroga di una concessione, a favore di un privato, di una riserva di caccia (1). Il c.d. diritto soggettivo di caccia (art. 842 e.e.) non viene preso in considerazione dalle norme che regolano la concessione di riserva di caccia e pertanto al cacciatore non assicurata dall'Ordinamento una posizione di interesse legittimo tutelabile giurisdizionalmente riguardo ad un provvedimento di proroga di una concessione, a favore di un privato, di una riserva di caccia (2). (1-~) Osservazioni in tema di interesse semplice. I precedenti citati nella decisione si possono leggere: Corte Cost. 26 giugno 1962 n. 69 Ciuris. Cast. 1962, 738 (con nota di CRISAFULLI); Cons. Stato, VI, 7 luglio 1954 n. 481, Il Consiglio di Stato, 1954, I, 639; IV, 24 maggio 1957, n. 577, ibid, 1957 643. Con la decisione annotata l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affrontato il problema della proponibilit, da parte della Federazione della Caccia e da parte di due cittadini qualificatisi come cacciatori, di un ricorso giurisdizionale avverso un atto di proroga di una concessione di riserva di caccia. La decisione appare importante, non solo per quanto riguarda lo specifico settore della caccia, ma, pi in generale, per quanto riguarda la configurazione della posizione di interesse legittimo, in quanto con questa sentenza l'Adunanza Plenaria riafferma con nettezza i caratteri distintivi della figura dell'interesse legittimo e ne pone in evidenza gli elementi differenziali dal mero interesse di fatto. Tale pronuncia appariva necessaria dopo la decisione della Sezione Quinta 30 marzo 1963 n. 170 riportata in questa Rassegna, 1964, retro, I, 44, e nella quale erano contenute affermazioni, tali da generare notevoli perplessit sui criteri di discriminazione tra interesse legittimo e interesse semplice e sulla stessa possibilit di effettiva distinzione tra le due posizioni. La nota di AGR ( Ancora sulla distinzione tra interesse legittimo e interesse a ricorrere in questa Rassegna, retro, 1, 44), aveva chiarito il .rischio contenuto in un'impostazione priva di rigore nella definizione dell'interesse legittimo e possiamo ora leggere con soddisfazione la meditata motivazione con cui l'Adunanza Plenaria ha ribadito che per aversi una posizione di interesse legittimo non sufficiente che l'atto I ~:: amm.vo possa produrre una lesione nella sfera degli interessi di un privato, ma occorre che l'interesse del privato abbi:l acquistato rilevanza giuridica per il collegamento, sia pure indiretto e strumentale, che >:; . ' j I@H02W&iffW%f!.fff.='!.:f.V@Y!.l'ZF''VW.:f&!f.0=::'..i-Wfft=2.WNff..r.::;ir==w=r::r:x-wew2w.ff.e.{g@"{{::<:=:w:w...:wg:::>.w..{w:ffe;-?-':::w?:::::.:::::.,-:::::::::::::::::=1'.: filt: .JWtgf.&f''4.!fr.W#.gpw:=J$P-,.-J.ff"94fMx.Wf/J%%!.=lf@W&%=:fPf'1t.M.itN=~=*-=t!:X::h&W:::-..::/f.?;.=::nnjf'.W::fil~tf=A ~ PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 283 (Omissis). -L'eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti -sollevata dal resistente Cattaneo della Volta deve essere esaminata separatamente nei confronti della Federazion italiana della Caccia, e dei cacciatori Geppi e Dolfi.n, pur dovendosi pervenire nell'uno e nell'altro caso -sia pure per diverse considerazioni -a concludere che la legittimazione manca. La Federazione dalla Caccia invoca a fondamento della pro- l'Ordinamento ne abbia fatto con l'interesse pubblico perseguito dalla norma. Solo in presenza di tale intima e bene individuata correlazione posta dalla norma tra la posizione del privato e l'interesse pubblico perseguito si pu parlare di interesse legittimo e di conseguente tutela giurisdi: Gionale: altrimenti la posizione del privato rispetto al potere della p.a. non acquista rilevanza giuridica e si risolve in un interesse di mero fatto, sfornto di giuridica protezione. In base a tali considerazioni stato dichiarato inammissibile sia il ricorso della Federazione della Caccia che quello proposto da due cacciatori avverso un provvedimento di proroga di concessione di riserva, in quanto la normativa che regola tali atti tiene conto solo dell'interesse pubblico che contempera con l'interesse del concessionario e quello del proprietario del fondo, mentre non viene in considerazione, neppure in via indiretta, la posizione dei singoli cacciatori. Particolarmente interessante la declaratoria di inamissibilit. del ricorso proposto da due cacciatori, perch i ric0rrenti affermavano la configurabilit di un loro interesse legittimo in base alla posizione di diritto soggettivo di caccia che il codice civile stabilisce all'art. 842 e la consistenza di diritto soggettivo della posizione del privato poteva deviare la linearit dell'indagine. Ma stato agevole rilevare che, anche ove la posizione del privato assuma la consistenza di diritto soggettivo, non per questo si pu dire che l'Ordinamento assicuri una posizione di interesse legittimo se non prevede, per l'appunto, quel collegamento tra il fine pubblico perseguito dalla norma che concede o regola il potere dela p.a. e la posizione del privato. Nella specie il c.d. diritto soggettivo alla caccia ha per soggetto pas sivo il proprietario che non pu escludere il cacciatore dal suo fondo <>e non nei modi stabiliti dalla legge. Ma tale posizione del privato non presa in considerazione, neppure in via indiretta o occasionale, dalla norma che regola la concessione di riserva di caccia e pertanto, rispetto all'atto amm.vo emanato in forza di quel potere, il privato, sia pure cacciatore , non pu van tare un interesse legittimo (cfr. in dottrina CIGOLINI, Il diritto di cac cia, 74). La decisione appare, pertanto, di notevole importanza ed da auspicare che valga a contribuire alla chiarificazione dei concetti fondamen RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 284 pria azione la disposizione dell'art. 86, 5 comma, del t.u. 5 giugno 1939, n. 1016, che le attribuisce la difesa in genere degli interessi dei cacciatori, E pertanto essa in memoria afferma che a ben guardare proprio la Federazione il soggetto pi idoneo a reagire contro un provvedimento, come quello impugnato, che arreca una lesione specifica non ad un solo soggetto, bens ad un'intera categoria di soggetti accomunati dallo stesso interesse ad esercitare la libera caccia. Va subito osservato, peraltro, che la Federazione non una tali della giurisdizione amministrativa, ancora in via di elaborazione e consolidamento. Si vuole solo aggiungere un rilievo di carattere marginale. Come il lettore attento avr rilevato, nella motivazione della deci sione l'esame della sussistenza dell'interesse legittimo nei riguardi del la Federazione della Caccia viene fatto analiticamente rispetto ai singoli motivi di ricorso e in relazione al modo in cui prospettata la censura da parte del ricorrente. Una tale impostazione non appare del tutto soddisfacente, per ch, in tale modo sembra che si giunga ad affarmare o negare la giurisdizione non in base ad una valutazione obiettiva della posizione che l'Ordinamento assicura ad un soggetto in relazione ad un deter minato rapporto (o comunque ad un determinato potere della p.a.), ma in relazione al modo in cui il soggetto stesso ha ritenuto di pro porre il ricorso. A noi sembra che in tal modo si venga in un certo senso, a ripro porre quale criterium discriminationis tra interesse legittimo e inte resse semplice la teoria della prospettazione gi ripudiata come critero di differenziazione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione del Con siglio di Stato. E' peraltro evidente che gli argomenti che indussero ad abban donare quella teoria nel campo della discriminazione tra giurisdizioni, valgqno altres a non accoglierla ai fini della distinzione tra interesse legittimo e interesse semplice, distinzione, quest'ultima, che attiene alla sussistenza o meno della giurisdizione. La giurisdizione esiste o non esiste in relazione alla valutazione che l'Ordinamento fa della posizione e degli interessi del privato, e non pu dipendere dall'arbitrario e soggettivo modo di atteggiarsi del ricorso. Riteniamo pertanto che l'indagine sulla proponibilt del ricorso, pur dovendosi ovviamente condurre in relazione ai motivi proposti, debba peraltro prescindere dalla concreta e, diremmo, empirica prospettazione che di essi ne faccia la parte, ma debba mirare soltanto ad accertare se, rispetto al rapporto regolato con l'atto impugnato, l'Ordinamento assicuri o meno al ricorrente una posizione di interesse legittimo (so stantivo). Occorre pertanto accertare se la norma che accorda o regola il po PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 285 organizzazione di cacciatori liberi , la cui funzione di difesa possa essere riferita agli interessi di tale categoria, contrapposti a quelli dei concessionari di bandite o riserve. Il 2 comma dell'art. 86 stabilisce che fanno parte di essa i cittadini che abbiano ottenuto la licenza di caccia o di uccellazione e i concessionari di bandite e di riserve, e il 4 comma aggiunge che la Federazione ... presiede all'attivit dei cacciatori italiani e provvede ad inquadrare ed organizzare i cacciatori, uccellatori e concessionari di bandite o di riserve ... ai fini della necessaria disciplina nell'applicazione della presente legge, in armonia con i superiori interessi nazionali. Tale inquadramento, come anche risulta dalla sentenza della Corte costituzionale 26 giugno 1962, n. 69, non implica una funzione di vigilanza sull'attivit della caccia (che spetta ad altri organi, quali le Amministrazioni provinciali e i Comitati provinciali della caccia), ma consiste nella semplice associazione dei cacciatori e concessionari con finalit di disciplina sportiva, di propaganda e di perseguimento di comuni interessi; associazione che oggi non pi obbligatoria, perch tale prescrizione -contenuta nel t.u. 5 giugno 1939, n. 1016 - venuta meno, per l'affermato contrasto con l'art. 18 della Costituzione. Circoscritte in tal modo le finalit dell'ente, occorre ai presenti fini rilevare che cacicatori liberi e concessionari > sono considerati unica categoria, dimodoch appare gi in contrasto con gli scopi istituzionali assumere come interesse prevalente l' esercizio della libera caccia , quando il comune inquadramento attribuisce all'ente la tutela di entram bi i gruppi che svolgono attivit venatorie, in una funzione di composizione d'interessi ( in armonia con i superiori interessi nazionali ), ed in applicazione d'una legge che considera le bandite e riserve, non quali mere situazioni di privilegio, ma come uno dei mezzi pi idonei al ripopolamento della selvaggina (v.la Relazione del Ministro dell'Agricoltura e delle foreste, premessa al t.u. cit.). Precisato cos, che, dove l'art. 86 cit., parla di difesa in ge tere esercitabile dalla p.a. per la emanazione dell'atto impugnato abbia o meno preso in considerazione la posizione che il privato ha in relazione al rapporto regolato, e se, di conseguenza, abbia o meno conferito a tale posizione la consistenza di interesse legittimo e la possibilit di tutela giurisdizionale, a nulla rilevando, ai fini di tale indagine, quale prospettazione abbia dato il ricorrente alla censura. G. ZAGARI 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nere degli interessi dei cacciatori, non si tratta esclusivamente della categoria dei cittadini che abbiano ottenuto la licenza di caccia o di uccellazione , bens dell'intera categoria organizzata, comprensiva quindi dei concessionari, bisogna ulteriormente definire il senso della espressione difesa degli interessi. Secondo la ricorrente, essa attribuirebbe alla Federazione la potest di invocare la tutela giurisdizionale, nell'interesse generale dei cacciatori. Che qui non sia in questione un interesse di tutti gli organizzati, ma soltanto quello d'un gruppo di essi risulta gi da quanto precede. Ma, in pi, quando l'azione sia da svolgere innanzi alle autorit di giurisdizione, la identificazione d'un fine dell'ente, in tal modo definito, non pu consentire di derogare ai principi concernenti la legittimazione ad agire. In sede politica o amministrativa, dove ogni pretesa si pu prospettare quando pure concreti soltanto un interesse semplice, la Federazione, come organo rappresentativo di categoria, potrebbe invocare dalle competenti autorit quelle modificazioni alle leggi in vigore, o quelle revisioni d'indirizzo amministrativo, che le acquisite esperienze potrebbero dimostrare necessarie ed opportune. Ma, per ricorrere in sede giurisdizionale al Consiglio di Stato, necessario dimostrare la titolarit di un interesse legittimo . Vale a dire, non basta asserire che, nell'emanazione di un atto,. l'Amministrazione sia incorsa in un vizio di legittimit: occorre, in pi, che la illegittimit dell'atto abbia determinato una specifica lesione della sfera giuridica del ricorrente. Da tale punto di vista, la decisione della VI Sez. 7 luglio 1954, n. 481, citata in udienza dalla Federazione, non apporta alcun sussidio alla tesi della ricorrente. Ricorrevano, contro la rinnovazione d'una riserva di caccia, il Comune di Aquileia e la Sezione cacciatori. La decisione, che si conclude con una dichiarazione d'inamimssibilit del ricorso per mancanza di provvedimento definitivo, non si pronuncia sul punto della legittimazione della Federazione, sotto il profilo che viene in esame in questa sede, ma tratta un profilo diverso, cio quello della capacit di stare in giudizio delle Sezioni, che viene risolto affermativamente. La difesa della Federazione vuol desumere, che implicitamente, ed in via generale, la Sezione avrebbe ritenuto la legittimazione ad agire degli organi federali contro le rinnovazioni di riserve. Ma l'argomento cade, dinanzi alla constatazione, desumibile dalle premesse di fatto della decisione, che in quel caso il Comune aveva riserva su tutto il territorio comunale, eccezion fatta per la zona concessa a privati; e che la Sezione Cacciatori lamentava, per effetto del rinnovo della concessione, lo scorporo di un'estesa zona a lei data in gestione . E' chiaro che la PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 287 rinnovazione della riserva determinava una specifica ripercussione dannosa nella sfera giuridica dei ricorrenti, dimodoch il problema odierno non si presentava affatto, e la Sezione non aveva motivo di risolverlo. Un'altra decisione della VI Sezione -30 giugno 1954, n. 454 -ammette bens, in una fattispecie affine a quella odierna (ma concernente altre norme) la legittimazione del presidente della Sezione Cacciatori del Comitato provinciale della caccia, ma insiste per sulla sua qualit di cacciatore, donde deriverebbe la proponibilit del ricorso a tutela della posizione garantita dall'art. 842 cod. civ. Questa decisione esclude quindi, implicitamente la legittimazione degli organi federali, in quanto l'interesse stato ravvisato, non nella Sezione, ma nella persona del suo presidente che sottoscrivendo il ricorso... ha dichiarato di proporlo anche in proprio, come titolare di licenza di caccia. Nel caso in esame, i precedenti citati non sono dunque utilizzabili a favore della ricorrente: e si tratta soltanto di stabilire se esista quel particolare collegamento, tra una asserita illegittimit dell'atto amministrativo, ed una lesione della sfera giuridica della Federazione, che, per quel che pi sopra si detto, pu rendere ammissibile il ricorso. Le prime due censure investono l'efficacia retroattiva del rinnovo della concessione. La Federazione non illustra nessuna situazione particolare, che, nei rapporti tra essa e l'Amministrazione abbia potuto determinare una lesione degli interessi dell'ente. Si fa cenno soltanto di possibili effetti nei confronti dei cacciatori (degli organizzati, quindi, e non della persona giuridica) per la restrizione della sfera di libero esercizio della caccia, e per il pericolo che la retroattivit dell'atto possa rendere penalmente perseguibili infrazioni che altrimenti non lo sarebbero. Non si dice per se situazioni del genere si siano verificate. Del resto, le ipotetiche controversie sulla responsabilit d'eventuali contravventori avrebbero potuto essere sottoposte al giudice competente, il quale -nei limiti dell'art. 4, comma I, della legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. B -avrebbe potuto certamente stabilire se le infrazioni commesse tra scadenza e rinnovo retroattivo della concessione fossero o no perseguibili. L'interesse, che parrebbe invocato a fondamento del 3 mo tivo, invece da identificarsi in ci : che se il rinnovo fosse stato negato, e si fosse dato corso invece ad una nuova concessione, si sarebbe dovuto applicare il limite di 500 metri dalla pi vicina riserva, previsto dall'art. 64, comma 2, T.U. cit. A tal proposito, occorre ribadire che la Federazione, come associazione di cac 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO datori e di concessionari, non pu identificare il proprio interesse con quello del primo gruppo d'organizzati, a detrimento di quello del secondo; e che non stata data dimostrazione che la riduzione delle zone di caccia riservata a favore di quelle di caccia libera giovi alla Federazione stessa come soggetto di diritto in rapporto ai suoi fini istituzionali (il dubbio pu ragionevolmente nascere, se si consideri che la legge riconosce alle riserve e bandite uno scopo di ripopolamento) od a eventuali situazioni patrimoniali. L'azione svolta in questa sede dalla Federazione si riduce, in conclusione, alla tutela di un interesse semplice all'adozione, da parte dei competenti organi amministrativi, di certi criteri d'interpretazione e d'applicazione della legge, che alla ricorrente appaiono pi corretti di quelli attualmente seguiti dal Ministero dell'Agricoltura e delle foreste. Tale interesse non si presenta quindi con quei caratteri qualificati, che ne consentono la tutela giurisdizionale. Il ricorso, come si detto, risulta proposto anche da due cacciatori -Mario Geppi e Daniello Delfin -i quali si qualificano titolari di licenze di caccia rilasciate dalla Questura di Firenze, e residenti nel Comune di Pelago, nel cui territorio giace la riserva Altomeha. Essi assumono che con la rinnovazione della riserva perdono la possibilit di recarsi a accia in quei terreni sui quali avrebbero potuto, anche per la contiguit con la loro residenza, pi facilmente soddisfare la loro passione sportiva, e fare buona preda . Nella discussione orale, la difesa dei ricorrenti, ha ricordato la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, ad esempio in materia di disciplina urbanistica, ha riconosciuto interessi dei proprietari frontisti o interessi di zona . L'incidenza dell'eventuale illegittimit dell'atto amministrativo nella sfera giuridica del ricorrente causata da un rapporto di contiguit o di prossimit tra beni immobili, che permette d'individuare la specie della lesione e la categoria dei soggetti lesi. Nella specie, non cenno di nessuna lesione, che i ricorrenti abbiano sofferto in quanto proprietari o titolari di diritti sui beni immobili (ipotesi p. es., del proprietario del fondo, su cui si imponga riserva a favore del Comune: IV Sez., 24 maggio 1957, n. 577). Altro argomento i due ricorrenti vogliono trarre dall'art. 842 cod. civ., secondo il quale il proprietario d'un fondo non pu impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge_ sulla caccia, 289 PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE o vi siano culture in atto suscettibili di danno. Questa disposizione non concerne rapporti tra la pubblica amministrazione ed i soggetti privati, n impone all'amministrazione stessa un dovere d'azione da svolgersi nel pubblico interesse: essa stabilisce, da una parte, un limite del ius excludendi alias dei proprietari fondiari, e, dall'altra, un diritto soggettivo del cacciatore, il quale ne pu lamentare la violazione allorch il proprietario gli abbia opposto un divieto di caccia, fuori dei casi consentiti. Gli effetti della norma si esauriscono quindi in tale ambito, e non possono fondare un interesse legittimo a ricorrere contro l'atto amministrativo di concessione o rinnovazione della riserva. Non pu essere quindi condivisa la decisione della VI Sezione 30 giugno 1954, n. 454, che -del resto, senza svolgere alcuna motivazione -ritiene sufficiente l'art. 842 cod. civ., per radicare l'interesse a ricorrere del cacicatore. Resta dunque da considerare se il titolo di legittimazione possa rinvenirsi, puramente e semplicemente, nei requisiti personali posti in rilievo dai ricorrenti: titolarit di licenza di caccia, e residenza nel comune dove sita la riserva. E' chiaro. che non potrebbe essere sufficiente la residenza nel Comune, perch il libero esercizio della caccia non pu costituire interesse di chi non vi sia autorizzato. Senonch, la disciplina legislativa della materia (artt. 7 ss. T.U. cit.) impedisce altres d'individuare una situazione d'interesse giurisdizionale tutelabile nella congiunta qualit di residente e di titolare d licenza. La licenza di caccia, infatti (come altre autorizzazioni di polizia amministrativa, quali ad esempio le patenti di guida automobilistica) non localizzata ; il rilascio bens decentrato alle singole autorit competenti per territorio, ma l'efficacia estesa a tutto il territorio nazionale. Ogni titolare di licenza ha quindi facolt d'esercitare la caccia in qualsiasi localit della Repubblica, e tutti incontrano una potenziale limitazione allorch un fondo, ovunque sito, sia vincolato a riserva: la residenza nel Comune circostanza di mero fatto, la cui rilevanza resa minima dalla facolt d'ogni cittadino di trasferirsi, anche temporaneamente e precariamente, da un comune all'altro. Accolta la tesi dei ricorrenti, l'interesse dovrebbe essere riconosciuto, non ai soli residenti nel comune, ma a tutti i cacciatori dovunque residenti: anche a quelli che mai si sono recati, e probabilmente mai si recheranno, a cacciare nelle adiacenze della riserva. In altri termini, il fondamento del ricorso non starebbe nella lesione di un interesse personale, diretto, attuale: ma nella semplice eventualit, che, ove in ipotesi il cacciatore voglia introdursi nella riserva, gli si possa opporre un divieto, fondato su un atto amministrativo illegittimo. 290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E' chiaro, che, in siffatta ipotesi, chi agisce in base al mero titolo della licenza, farebbe valere un interesse diffuso di una collettivit indeterminata -quella dei cacciatori -che non soggettivato in lui da una specifica relazione, vale a dire un interesse semplice, cui non accordata in questa sede tutela.. . . Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. -(Omissis). SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 dicembre 1962 n. 3362 - Pres. Torrente -Est. Rossi -P.M. Pepe (concl. conf.) -Pre~ sidenza Regione Val d'Aosta c. Ministero Finanze. Corte Costituzionale -Conflitto costituzionale di attribuzioni -Conflitto tra Stato e Regione -Presuppbsti. ()orte Costituzionale -Conflitto tra Stato e Regione -Controversia circa l'appartenenza di beni del patrimonio indisponibile Conflitto costituzionale di attribuzioni. Corte Costituzionale Conflitto tra Stato e Regione -Controversia circa l'appartenenza di beni del patrimonio disponibile -Conflitto costituzionale di attribuzioni. (Cost., art. 134; I. 11 marzo 1953, n. 87, art. 39). Il conflitto di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni o tra Regioni previsto dagli art. 134 della Cost. e 39 legge 11 marzo 1953 n. 87 ricorre ogni qualvolta uno dei due enti interessati deduca che si verificata in concreto, ad opera dell'altro ente, un'invasione della sfera di competenza assegnatagli dalle norme costituzionali (1). (1) Il conflitto deve essere reale e positivo, in quanto si delinei in relazione ad uno specifico atto, che implichi una univoca manifesta zione di volont dell'Ente (Stato o Regione), da cui promana, in ordine all'affermazione della propria competenza, rispetto all'effetto dell'atto, e che venga denunciato dall'altro Ente come lesivo della propria sfera di competenza. La Corte Costituzionale, con sentenza 26 gennaio 1957, n. 18 (Giur. Cast., 1957, 335) aveva precisato che il conflitto pu concernere solo atti amministrativi o di normazione subordinata (regolamenti), che siano viziati per violazione della sfera di competenza dello Stato o delle Regioni, quali delimitati da legge costituzionale. Non occorre, per, che l'atto sia munito di tutti i requisiti formali rigorosa. mente previsti dall'ordinamento. In sede di giudizio che concerne il conflitto di attribuzioni ha scarsa rilevanza la questione relativa alla forma dell'atto per effetto del quale sorge il conflitto: qualsiasi atto dello Stato o della Regione idoneo a far sorgere il conflitto di attribuzioni, trattandosi di delimitare le rispettive sfere di competenza (Corte Cast. 26 gennaio 1957, n. 12, Giur. Cast. 1957, 287; Corte Cost., 2 luglio 1958, n. 45, Giur. Cast. 1958, 562). 292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il conflitto di attribuzioni configurabile anche in conne.9" sione a questioni sostanzialmente patrimoniali, come quelle concernenti l'appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione ed il suo carattere di bene indisponibile, in quanto la risoluzione di tali questioni si pone come necessario presupposto per la decisione circa l'appartenenza di tutte quelle potest pubbliche che concernono il regime giuridico del patrimonio indisponibile, in esso compreso il potere di autotutela concretamente eserci~ tato dallo Stato (2). (2) La questione circa la sussistenza del conflitto di attribuzioni, ove sia controversa l'appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione, fu prospettata per la prima volta alla Corte di Cassazione nella causa Finanze c. Comune di Canicatti ed altri. La causa aveva per oggetto la rivendica da parte dell'Amministrazione Finanziaria di un bene del soppresso p.n.f. occupato da terzi, che sostenevano essere stato, detto bene, trasferito in propriet alla Regione. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4141 del 1957 (in questa Rassegna, 1957, 188; Giur. Cast., 1958, 1083; Foro it., 1958, I, 1137), escluse la sussistenza del conflitto, sia sotto l'aspetto subiettivo, in quanto la controversia era insorta non fra i due ~ soggetti legittimati a proporla (Stato-Regione), sia sotto l'aspetto obiettivo, mancando un atto che avesse invaso la reciproca sfera di competenza costituzionale. Per, il motivo determinante per affermare, con I la citata decisione, la giurisdizione dell'a,g.o. fu quello che oggetto del f. fil... giudizio era l'accertamento del diritto di propriet, costituente un prius rispetto alla questione circa la competenza all'emanazione degli atti ' , amministrativi riguardanti lo stesso bene controverso (in senso con I forme, in materia di diritto all'utilizzazione delle acque pubbliche nella Regione V.A., v. Cass. Sez. Un., 6 novembre 1958, n. 3619). La Corte Costituzionale, invece, con sentenza 19 giugno 1958, n. 37 (Giur. Cast., I 1958, 497, con nota di M. NIGRO e Foro lt., 1958, I, 1061) non dubit affatto che la questione circa l'appartenenza allo Stato o alla Regione Siciliana di beni del demanio marittimo involgesse un conflitto di attri I buzioni. A tale decisione aderi la Corte 'di Cassazione in analoga con~ troversia rigual'dante alcune zon,e di spiaggia site nel territorio della Regione Siciliana, sdemanializzate con decreto del Ministro della Marina Mercantile, impugnato dalla Regione S. innanzi al Consiglio di Stato. I La Cassazione, con sentenza 12 dicembre 1958, n. 3872 (in questa Rassegna, 1959, 19, con nota di L. TAVASSI LA GRECA) ritenne che l'impugnativa dinanzi al Consiglio di Stato del decreto ministeriale di sdemanializzazione di dette zone di spiaggia, sotto il profilo della esclusiva competenza degli organi regionali ad emettere il provvedimento stesso, I implicasse la risoluzione di un conflitto di attribuzioni, di competenza esclusiva della Corte Costituzionale (in senso conforme, per la ex Caserma Crispi, decise la Cort. Cost. con sent. 18 maggio 1959, n. 31, in questa Rassegna, 1959, 51, con nota adesiva di G. GUGLIELMI, e in Giur. Cast. I 1959, 385, con nota contraria di CASSARINO). La possibilit che il conflitto di attribuzioni insorga fra uno dei sog i getti costituzionali (Stato o Regione) ed il terzo, oppure in una controversia fra terzi, allorch si controverta sulla illegittimit dell'atto (ad PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 293 Il conflitto di attribuzioni sussiste anche in relazione alle controversie circa l'appartenenza di beni del patrimonio disponibile, giacch il potere di godimento e di disposizione che compete agli enti pubblici, rispetto ai beni di loro pertinenza, presenta atteggiamenti ed implicazioni di carattere pubblicistico, non soltanto in funzione della peculiare natura e destinazione dei beni stessi (come per i beni demaniali e per quelli del patrimonio indisponibile), ma anche in funzione della natura dei soggetti, la cui attivit pur sempre condizionata, nella scelta degli obbiettivi concreti da perseguire e dei mezzi da impiegare, dai fini pubblici istituzionali; valutazione e scelte che integrano l'esercizio di potest amministrative, tanto pi in relazione a quegli atti, di carattere squisitamente pubblico, quali quelli intesi a dare al bene una destinazione che imprima ad esso il carattere della indisponibilit o addirittura della demanialit (3). es. in materia di diritti o di interessi legittimi derivanti da una concessione amministrativa), deducendosi l'incompetenza dell'Ente ad ema nare l'atto della cui legittimit si discute, stata esaminata dal GUGLIELMI in Questioni di competenza costituzionale e giurisdizionale (in questa Rassegna 1960, 64 e segg.). L'a. ha rilevato gl'inconvenienti del sistema, ove si ammettesse una giurisdizione concorrente del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, con particolare riguardo alla possibilit di un contrasto di giudicati rispetto alla competenza dell'atto impugnato, pervenendo alla conclusione che dovrebbe ritenersi assorbente, nei predetti casi, la giurisdizione della Corte Costituzionale. (3) Notevole la ser-itenza nella parte ove si afferma che il conflitto di attribuzioni pu verificarsi anche in relazione alle controversie circa l'appartenenza all'uno o all'altro Ente di beni del patrimonio disponi bile. In realt, la propriet relativa ai beni demaniali o del patrimonio indisponibile si estrinseca indubbiamente in una somma di pubblici poteri attribuiti dall'ordinamento all'Ente proprietario, in considerazione dell'uso e della destinazione dei beni medesimi per il soddisfacimento di pubbliche funzioni o di pubblici servizi, mentre i beni del patrimonio disponibile hanno solo un valore strumentale di scambio per cui tutti i poteri per la migliore utilizzazione .di questi beni si atteggiano e ineriscono ad un diritto di propriet jure privatorum (cfr. MAZZELLA, Competenza a decidere le controversie tra Stato e Regione relative a beni demaniali, patrimoniali indisponibili e disponibili, in questa Rassegna 1958, 79). Tuttavia, non pu disconoscersi, come ha oppor tunamente rilevato l'annotata sentenza, che anche in relazione ai detti beni non pu prescindersi dalla natura dei soggetti, la cui attivit pur sempre condizionata dai fini pubblici istituzionali e si estrinseca attraverso l'esercizio di potest amministrative, specie in relazione a quegli atti intesi a dare al bene una destinazione con caratteri di indi- sponibilit o di demanialit. R. BRONZINI RASSEGNA DELL'AVVOATURA DELLO STATO 294 I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 dicembre 1963, n. 3189 . Plres. Pece -Rel. Pece -P. M. Pedote (conf.) -Cetti Serbelloni di S. Gabrio c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e Proc. Gen. Corte App. Roma. Nobilt -Cognomizzazione del predicato nobiliare -Titoli esistenti prima del 28 ottobre 1922, che non avevano formato oggetto di riconoscimento -Riconoscimento al fine della cognomizzazione da parte del giudice ordinario -Ammissibilit. (Cost., disp. trans. e fin,, XIV; r.d. 2 luglio 1896, n. 313, artt. 6-9; r.d. 5 luglio 1896, n. 314, artt. 26, 32 e 65). Nobilt -Cognomizzazione del predicato nobiliare -Azione -Procedimento contenzioso dinanzi al giudice ordinario .. Legittimazione passiva dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri -Avvenuto espletamento della procedura di rettificazione degli atti dello stato civile -Provvedimento camerale di cognomizzazione del predicato nobiliare -Preclusione -Insussistenza. (Cost. disp. trans. e fin., XIV; e.e. art. 7; r.d. 20 marzo 1924, n. 442, art. 2; r.d. 7 giugno 1943, n. 651, art. 72; r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, artt. 167 e segg.). Il diritto alla cognomizzazione del predicato nobiliare sancito dal secondo comma dell'art. XIV delle disposizioni transi_, torie e finali della Costituzione si riferisce ai predicati dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922, ancorch a quella data non riconosciuti (1 ). La revindica di un predicato nobiliare, al limitato fine di usarne come parte del nome, ai sensi del secondo comma dello art. XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, esperibile come azione di reclamo del nome e, pertanto, d luogo ad un giudizio contenzioso, che deve svolgersi nelle forme ordinarie, nei confronti degli eventuali controinteressati ed in ogni caso del P. M., incidendo in senso lato sullo status della persona, nonch dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio (2). - ,, ,,___ ~~ -~~ (1-2) V. in argomento: Cass., 13 giugno 1957, n. 2221, Foro it., 1958, I, 234 (n. PEZZANA); Cass., 11 luglio 1960, n. 1874, Giur. cast., 1960, 1000 (n. BoN VALSASSINA) e Giur. it., 1961, I, l, 1204 (n. CANSACCHI); Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087, Foro it., 1961, I, 1646 (n. PEZZANA). In senso contrario alla legittimazione a contraddire dell'Ufficio Araldico presso la 295 PARTE I/SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE II CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sez. I, 21 maggio 1962 -Pres. Vallillo -Est. Mirabelli -Gabrielli c. Presidenza Consiglio Ministri e P. M. Nobilt -Cognomizzazine del predicato nobiliare -Titoli esistenti prima del 28 ottobre 1922, che non avevano formato oggetto di riconoscimento -Riconoscimento al fine della cognomizzazione da parte del giudice ordinario -Inammissibilit. (Cost., disp. trans. e fin., XIV; r.d. 2 luglio 1896, n. 313, artt. 6-9; r.d. 5 luglio 1896, n. 314, artt. 26, 32 e 65). Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, non pu essere attribuito alcun valore giuridico ad un titolo nobiliare e, in particolare, non pu farsi luogo ad alcun riconoscimento di diritto a titolo nobiliare, al fine della cognomizzazione del relativo predicato, poich con la norma contenuta nel secondo comma della XIV disp. trans. e fin. della Costituzione si regolata una mera conseguenza del diniego di riconoscimento, attribuendosi un effetto particolare al riconoscimento gi avvenuto (3), Presidenza del ConsigUo dei Ministri: App. Perugia, 6 agosto 1954, Giur. it., 1955, I, 2, 245 (n. CANSACCHI); Trib. Bologna, 18 aprile 1958, Riv. dir. matr., 1959, 533 (che esclude la stessa necessit del procedimento contenzioso). La sentenza in rassegna annotata favorevolmente dal CANSACCHI, in Giur. it., 1964, I, 585 e segg., il quale, per, s'era gi pronunziato in senso contrario alla legittimazione passiva dell'Ufficio Araldico in nota ad App. Perugia, 6 agosto 1954, cit., Giur. it., 1955, I, 2, 245 e segg. ed in nota a Cass., 11 luglio 1960, n. 1874, cit., Id., 1961, I, l, 1205 e segg. Per l'esclusione di tale legittimazione passiva v. anche BoN VALSASSINA, Questioni ecc. in Giur. Cost., 1960, 999 e segg. (3) La sentenza fa riferimento alla motivazione di Cass., 14 marzo 1961, n. 562, in Foro it., 1961, I, 407, la quale, per, a sua volta, richiama Cass., 11 luglio 1960, n. 1874, Foro lt., 1960, I, 1476 (n. PEZZANA). (1-3) Azione di reclamo di nome contro l'Ufficio Araldico? L'art XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione della Repubblica, pacificamente riconosciuto quale norma precettiva di immediata applicazione (cfr. CANSACCHI, La cognomizzazione dei predicati nobiliari e la loro tutela giurisdizionale, Giur. it., 1954, IV, 193 ed ivi ampie citazioni di dottrina e giurisprudenza), come, peraltro, ammesso dalla stessa sentenza sopra riportata, sub I, statuendo al primo comma che i titoli nobiliari non sono riconosciuti, inibisce, evidentemente, alla Autorit Giudiziaria di procedere a declaratoria dell'appartenenza di un titolo o attributo nobiliare, come prima aveva il potere di fare di fronte alla P.A., che negasse il riconoscimento (cfr. Cass. Roma, 28 febbraio 296 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (Omissis). -La sentenza impugnata ha riconosciuto, richiamando specificamente le precedenti pronunzie di questa Corte Suprema nella soggetta materia, che, non essendo ancora intervenuta la disciplina legislativa, prevista dal quarto comma della XIV disposizione transitoria della Costituzione, per la soppressione della Consult~ Araldica, l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve ritenersi tuttora funzionante e legittimato passivamente nei giudizi relativi alla pretesa di fare valere un predicato nobiliare come parte del nome, ai sensi del secondo comma della sopra menzionata disposizione transitoria della Costituzione. La sentenza impugnata ha, quindi, rigettato la eccezione di carenza di legittimazione passiva avanzata dall'Ufficio Araldico. Ci premesso, per, la stessa sentenza ha affermato che gli odierni ricorrenti mancavano di interesse a proporre la domanda giudiziale nei confronti del predetto Uffi I cio Araldico, postoch, a segi:tito delle sentenze pronunziate dal I ~ 1921, Giur. it., 1921, I, 1, 326). Ma, in relazione al secondo comma della cennata disposizione, a mente del quale i predicati dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del nome, la Corte di Cassazione ha gi avuto occasione di affermare, in I[ varie pronunzie, ricordate dalla sentenza sub I, la legittimit del <. . l'accertamento in sede contenziosa innanzi al Giudice Ordinario della esistenza, prima del 28 ottobre 1922, di un predicato nobiliare, anche in I' mancanza di pregresso riconoscimento del titolo, al limitato fine dell'accoglimento dell'azione tendente alla cognomizzazione del predicato medesimo. I La Corte di Cassazione, a quanto sembra ricavarsi dalla lettura della cennata pronunzia, ha ritenuto di addivenire a tale conclusione, in quanto non si tratterebbe di un vero e proprio accertamento incidentale , ossia I di un riconoscimento fatto in via principale, ma di una mera cognizione di una questione pregiudiziale, senza effetto di giudicato (sulla distinzione v. ZANZUCCHI, Dir. Proc. Civ., vol. I, Milano 1948, 186; CAPPELLETTI, La I pregiudizialit costituzionale nel processo civile, Milano 1957, 48, nota 83). ID Ed il giudizio non avrebbe ad oggetto un reclamo di predicato no IIbiliare in quanto tale (come sembra leggersi in Cass., 11 luglio 1960, n. 1874, Giur. Cost., 1960, 1010 e Giur. it., 1961, I, 1, 1211), ma il reclamo di una parte del nome (art. 7 e.e.). Ora, se pu comprendersi che, ritenendo tale azione relativa in senso lato allo stato della persona, la sentenza, con implicito riferim mento all'art. 70, n. 3 c.p.c., abbia considerato necessario il contraddit. torio col P.M. (ma vedasi App. Venezia, 8 giugno 1954, Foro pad., 1954, IV, 115, ove si nega che le azioni relative al nome possano considerarsi azioni di stato in senso proprio e si considera la necessit dell'intervento del P.M. sotto il profilo della tutela dello Stato Civile), rion altrettanto !agevole comprendere come tale necessit di contraddittorio sia stata ,r estesa anche all'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 297 Tribunale di Milano in camera di consiglio ed a seguito della esecuzione fattane dall'Ufficiale di Stato Civile, con la annotazione negli atti di nascita, essi Cetti avevano gi realizzato l'unico bene ad essi spettante, e cio quello di aggiungere il predicato di San Gabrio al proprio cognome. Avverso la pronunzia di carenza di interesse, i Cetti, con il primo mezzo di ricorso, hanno denunziato che, poich l'Ufficio Araldico non era stato parte nei procedimenti camerali innanzi al Tribunale di Milano, essi Cetti avevano interesse ad ottenere una sentenza anche nei confronti diretti del predetto Ufficio Araldico, sia per precludere una eventuale impugnativa della ottenuta cognomizzazione del predicato di San Gabrio per illegittimit delle menzionate sentenze camerali, sia per ottenere che la sentenza emananda fosse iscritta nei registri dell'Ufficio Araldico. Gli stessi Cetti, poi, con il secondo mezzo di ricorso, hanno denunziato che la riconosciuta legittimazione passiva dell'Ufficio Araldico postulava l'interesse di essi Cetti alla proposizione Che si tratti di Ufficio tuttora esistente, come afferma la Corte di Cassazione, non significa che esso abbia conservato intatte le originarie funzioni, relative al perseguimento del pubblico interesse in materia nobiliare, posto che tale interesse divenuto ormai irrilevante nell'ordinamento repubblicano, epper non richiede l'esplicazione di attivit da parte di un organo statale. Bene stato notato, in proposito, che dal fatto che un organo statuale non abbia cessato di esistere, non pu davvero desumersi che esso abbia conservato inalterate determinate competenze attribuitegli in passato (BoN VALSASSINA, Questioni vecchie e nuove in tema di applicazione della XIV disp. fin. della Costituzione, Giur. Cost., 1960, 1003), concludendosi che quell'Ufficio oggi soltanto un pubblico Archivio (Aut. cit., op. cit., 1010). N si capisce come possa sostenersi (Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087, Foro it., 1961, I, 1651) che dall'art. 2 R.D. 20 marzo 1924, n. 442 debba trarsi 'una norma vigente, al presente, in ordine alla obbligatoriet del contraddittorio con l'Ufficio Araldico nelle controversie di cogno. mizzazione dei predicati nobiliari, se si consideri che quella disposizione prevedeva, invece, una facolt di intervento dell'Ufficio della Consulta araldica nelle controversie sull'appartenenza di titoli o attributi nobiliari. Se, attualmente, non una controversia, ma solo una questione del genere pu essere dibattuta innanzi all'Autorit giudiziaria, come mera pregiudiziale di una controversia avente ben altro oggetto, e cio il reclamo di una parte di cognome, il problema della legittimazione dell'Ufficio Araldico non si risolve di.mostrando che una volta esso era legittimato ad intervenire facoltativamente nelle controversie previste dall'art. 2 R.D. 20 marzo 1924, n. 442 e certamente oggi non pi consentite, se vero che la Costituzione non ammette il riconoscimento, non solo in via amministrativa, ma neppure con sentenza passata in cosa giudi cata (art. 3 R.D. n. 442 del 1924), del diritto di portare titoli o attri buti nobiliari (disp. ult. cit.). Oggi non ci sono pi n diritti nobiliari, 298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della domanda giudiziale nei confronti dell'Ufficio stesso, sicch la sentenza impugnata era incorsa in contraddizione. Le due doglianze, che -stante la loro intima connessione possono essere trattate congiuntamente, sono fondate. Ripetutamente questa Corte Suprema, sia a Sezioni Unite (snt. n. 157 del 1961) sia a Sezione semplice (sent. n. 2087 del 1961; sent. n. 1874 del 1960; sent. n. 2221 del 1957), ha affermato che: 1) l'azione intesa alla revindica di un predicato nobiliare, al limitato fine di usarne come parte del nome ai sensi del secondo comma della XIV disposizione transitoria della Costituzione, rientra nell'azione di reclamo del nome ed incide, in senso lato, sullo status della persona; 2) l'azione di cui sopra, attesa la sua natura, d vita ad un giudizio contenzioso, che deve svolgersi nelle forme ordinarie, e non con la procedura della camera di consiglio, nei confronti degli eventuali controinteressati e, in ogni caso, nei confronti del P. M. e dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio, quale parte (detto Ufficio Araldico), n un pubblico interesse nobiliare da tutelare in giudizio ed il preteso interesse a che il nome civile dei cittadini sia completato da predicati effettivamente spettanti, una volta, a coloro che ne chiedano la cognomizzazione Ǐ giuridicamente tutt'altra cosa che la funzione di garanzia nobiliare contemplata dal decreto n. 442 del 1924 (BON VALSASSINA, op. cit., 1003). E pertanto resta un'affermazione priva di alcun appoggio normativo, anzi contraddetta dai testi positivi, quella della sentenza sopra riportata, sub I, secondo la quale, pur trattandosi, nella specie, di giudizio di reclamo di nome e non gi di titolo o attributo nobiliare, esso doveva svolgersi contro l'Ufficio Araldico, con l'intervento obbligatorio del P.M. (in dottrina si osservato che l'intervento del P.M. sarebbe obbligatorio solo nel caso che fosse citato in giudizio l'Ufficiale di Stato Civile competente per l'annotazione e si chiedesse in contraddittorio del medesimo l'annotazione del predicato a margine dell'atto dello Stato Civile: cfr. CANSACCHI, op. cit., 202) e con la partecipazione di ... eventuali controinteressati. Cosicch l'Ufficio Araldico, lungi dall'essere pi titolare dell'interesse nobiliare, sarebbe titolare dell'interesse a contraddire alla domanda di reclamo di nome. Ma se, de jure condito, un tale interesse assurge a natura pubblica con esclusivo riferimento alla salvaguardia delle rettifiche dello Stato Civile (cfr. CANSACCHI, Giudizio contenzioso in tema di aggiunzione di predicati, Giur. it. 1961, I, 1, 1210), esso non stato mai attribuito alla cura dell'Ufficio Araldico, n si vede come tale attribuzione possa considerarsi effetto della asserita, mancata abrogazione di una norma ... che prevedeva attribuzioni diverse. E che senso ha, poi, parlare di azione di reclamo di nome, se si prescinda dalla effettiva contestazione del diritto all'uso del medesimo (art. 7 e.e.; v. FER RARA F., Diritto delle persone e di famiglia, Napoli 1941, 87)? O che, forse, la pretesa, mancata abrogazione dell'art. 2 R.D. n. 442 del 20 marzo 1924 avrebbe avuto l'ulteriore, singolare effetto ... di trasformare ;_: 1~ I I J ~1'i =~ =~ l'Ufficio Araldico in negatore necessario, de jure, del diritto di un qual .; ~ '.~ -: ffil1r}fo::.;<.11?'4M;.,:.,~::.~rL/i'.:,.:.i,::.N/t%.;;.. ":;ii:.1L=.,.-.K1..,~~,~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 299 tuttora giuridicamente esistente, del pi complesso organismo araldico (Consulta Araldica), la cui abolizione, con la conseguente disciplina specifica di attribuzioni e funzioni, stata riservata (comma quarto della ricordata disposizione transitoria della Costituzione) ad una legge tuttora emananda. Le affermazioni di cui sopra, contenute nelle richiamate sentenze di questa Corte Suprema, postulano il necessario presupposto (che peraltro stato enunciato anche esplicitamente in alcune di esse sentenze: nella sent. n. 157 del 1961 delle Sezioni Unite; nella sent. n. 2087 del 1961 di questa stessa Sezione) che sia tuttora legittimo l'accertamento incidentale, in sede contenziosa, innanzi al giudice ordinario, della esistenza di un predicato nobiliare, anche in mancanza di un pregresso riconoscimento del titolo, sempre -si intende -al limitato fine dell'accoglimento o meno dell'azione della cosiddetta cognomizzazione del predicato stesso e purch si tratti di predicati attinenti a titoli nobiliari gi esistenti prima del 28 ottobre 1922, postoch ai titoli conche cittadino della Repubblica di usare una certa parte di nome? Ed infine, se la sentenza che conclude il giudizio di reclamo condanna il convenuto ad astenersi dall'apporre ostacolo all'uso ed al godimento del nome del reclamante e dal provocare un ulteriore danno per l'avvenire (FERRARA, op. cit., 88), che senso avr parlare di un siffatto giudicato nei confronti dell'Ufficio Araldico? Potr invocarsi l'obbligo di iscrizione nei registri della Consulta Araldica del riconoscimento del diritto al predicato nobiliare una volta previsto dall'art. 3 R.D. n. 442 del 1924, se nessun giudicato s' formato e poteva formarsi sull'appartenenza del pre dicato nobiliare, dato che, come riconosce la stessa sentenza sopra riportata, sub I, il vigente ordinamento non riconosce ai titoli nobiliari alcun effetto giuridico, ad eccezione, per i titoli gi esistenti alla data del 28 ottobre 1922, della possibilit di utilizzare il predicato come parte del nome? E, se deve parlarsi, invece, di annotazione riguardante il nome, essa dovr essere eseguita non gi nei libri Araldici, ma nei Registri dello Stato Civile, ed allora come potr la condanna investire l'Ufficio Araldico, che non , certo, organo dello Stato Civile? La verit che la legittimazione all'intervento dell'Ufficio Araldico si sarebbe giustificata soltanto, qualora fosse stato ammissibile, in un giudizio di reclamo di nome, un vero e proprio accertamento incidentale nel senso di cui all'art. 34 c.p.c. -ossia condotto principaliter, con efficacia di giudicato -della spettanza del predicato nobiliare. Pur riconoscendo ai ricorrenti l'interesse ad ottenere una sentenza di cognomizzazione del predicato nobiliare, che faccia stato... anche nei confronti dell'Ufficio Araldico , il Supremo Consesso non si spinto fino a tale esplicita affermazione, ma, quale che sia la reale portata della pronuncia, certo che essa ha finito per sostituire l'originaria legittimazione passiva dell'Ufficio Araldico (ad una vera e propria azione di reclamo di titolo e di predicato nobiliare) alla legittimazione passiva all'azione di reclamo di nome, che, de jure condito, spetta, invece, solo al soggetto, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 300 cessi dopo di tale data negato in via assoluta qualsiasi rilievo giuridico ed il relativo predicato non pu essere aggiunto al no me (secondo comma della menzionata disposiz. XIV della Costituzione). Dalle pi volte citate pronunzie di questa Corte Suprema e, specialmente, dalla sent. n. 2087 del 1961 stato posto in rilievo come, in attesa del regolamento ex lege, previsto dall'ultimo comma della predetta disposizione XIV della Costituzione, l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio rappresenta tuttora l'Ufficio dotato di competenza tecnica per la necessaria ricerca storico-araldica e, pertanto, il pi qualificato a conservare o ristabilire la verit storica circa l'appartenenza o meno dei predicati nobiliari, al fine di contenere nei limiti della predetta verit storica la tutela del predicato, quale elemento (riconosciuto dalla Costituzione) del nome, evitando cos eventuali collu sioni tra privati, i quali potrebbero, diversamente, dare vita a contraddittori simulati, e facilitando, con l'intervento di un ufche in concreto contesti il diritto al nome (art. 7 e.e.). Ne nato, cos, il monstrum di un'azione di reclamo di (parte di) nome, che prescinde dalla concreta contestazione del medesimo e la legittimazione passiva alla quale si attaglia, invece, ad un'azione di reclamo di attributo nobi liare, non pi consentita dall'ordinamento! Che gli intenti della Corte di Cassazione siano stati quelli, pratici, di ovviare ai frequenti casi di collu sione fra le parti ed alla impreparazione specifica dei Magistrati in ma teria nobiliare, non vale a giustificare i criticabili risultati a cui perve nuta la sentenza sopra riportata, sub I, fra, cui, non ultimo, quello di far violenza allo stesso art. 100 c.p.c. Alludendo alla dilagante speculazione in materia nobiliare, quella pronuncia sottolinea che in definitiva, il contraddittorio con l'Ufficio Araldico, lungi dal dilatare, tende a contenere nei limiti di legge quel riconoscimento del predicato nobiliare, al quale la Costituzione ha ritenuto di conferire residua rilevanza giuridica La sentenza d, cos, per certo, a differenza di quella della Corte d'Appello romana, sopra riportata, sub II, che la ricognizione del diritto al titolo nobiliare non affatto resistita dal precetto costituzionale. Orbene, su tale affermazione giunto finalmente il momento di soffermarsi, per dimostrare che, ove essa non fosse stata apoditticamente formulata, si sarebbero eliminate in radice le ragioni stesse, che hanno indotto la Corte di Cassazione, posta innanzi ai gravi inconvenienti di cui si fatto cenno, a modificare addirittura la positiva disciplina dell'azione di reclamo di nome, prevista dall'art. 7 e.e. E valga il vero: il primo comma dell'articolo XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione statuisce che i titoli nobiliari non sono riconosciuti , Dato l'indubbio carattere precettivo, di immediata applicazione, della disposizione, n' conseguita la abrogazione dell'ordinamento nobiliare esistente al momento dell'entrata in vigore della Costituzione, senza possibilit di reviviscenza dell'ordinamento nobiliare precedente. E' ben noto, infatti, PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 301 ficio centrale specializzato e particolarmente documentato, quale l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio, l'opera di vigilanza dei rappresentanti del P. M. In definitiva, quindi, il contraddittorio con l'Ufficio Araldico, lungi dal dilatare, tende a contenere nei limiti di legge quel riconoscimento del predicato nobiliare, al quale la Costituzione ha ritenuto di conferire residua rilevanza giuridica. Posto tutto ci, il fatto che gli odierni ricorrenti avessero gi ottenuto, attraverso la procedura (giuridicamente inesatta) in Camera di Consiglio, la cognomizzazione del predicato di San Gabrio, al quale assumono di avere diritto, non vale ad esaurire l'interesse dei ricorrenti medesimi a perseguire la predetta cognomizzazione, attraverso un regolare giudizio in sede contenziosa, nelle forme ordinarie e nei confronti, non solo del P. M., ma anche dell'Ufficio Araldico. E ci perch, a parte la irregolarit della procedura in Camera di Consiglio innanzi al Tribunale di Milano, a quella procedura non era stato chiamato a partecipare l'Ufficio Araldico, ri che la abrogazione di una norma non fa rivivere la norma precedentemente abrogata. D'altra parte, da tener presente che la portata del precetto qui considerato assoluta e non autorizza distinzioni fra ordinamento nobiliare del periodo fascista e ordinamenti precedenti. Cos, proprio la Corte di Cassazione ha altra volta riconosciuto, che la Costituzione ha cancellato i diritti nobiliari e soppressa la fun zione della Consulta Araldica, solo riservando ad una legge ordinaria di regolare la liquidazione dell'organismo amministrativo (Cass., 16 luglio 1951, in Giur. it., 1952, II, 52), avvertendo anche, in proposito (nella pronuncia del 14 marzo 1961, n. 562, ricordata dalla Corte di Appello romana, nella sentenza sopra trascritta sub II), che Ǐ venuta a cadere ogni possibile tutela amministrativa e giurisdizionale al rico noscimento di un diritto, che pi non sussiste . E' chiaro, cio, che lo scopo fondamentale dell'art. XIV disp. trans. e fin. Cost. stato ed quello di negare ulteriore applicabilit, in regime repubblicano, all'or dinamento nobiliare. L'esclusione di qualsiasi ultrattivit delle norme abrogate dalla Costituzione (su tale ultimo fenomeno, collegato al carattere precettivo e di immediata applicazione di alcune norme costituzionali, v. Corte Cost., 14 giugno 1956, n. 1, Giur. Cast., 1956, 1; 27 gennaio 1959, nn. 1 e 4, Giur. Cast. cit., 1959, 1 e 23; Cass., 26 luglio 1956, n. 2893, Id., 1956, 818; Cass., Sez. Un., ordinanza 23 ottobre 1956, Id., 1957, 266; in dottrina: CRISAFULLI, Incostituzionalit o abrogazione?, Id., 1957, 271 e segg.; CHICCO e CORONAS, L'interpretazione giudiziale della Costituzione, in La Corte Costituzionale, Raccolta di studi a cura dell'Avvocatura dello Stato, Roma 1957, 641 e segg.) sembra essere implicita nella natura e nel grado sopraordinato della norma abrogante (sul concetto di Costituzione rigida v. AZZARITI (Giorgio), I vari sistemi di sindacato sulla costituzionalit delle leggi ecc., in La Corte Costituzionale cit., 3), che, una volta vigente, non ammette deroghe alla sua 302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spetto al quale, quindi, non esiste pronunzia giudiziaria a favore dei Cetti. Inoltre, il diritto (ed il connesso interesse ad agire) alla cognomizzazione del predicato nobiliare non si esaurisce con il riconoscimento all'aggiunta del predicato stesso al nome, ma investe anche la difesa alla interezza del nome, che cos ne rislta, da opposizioni ed eventuali rivendicazioni da parte di terzi. E, nelle condizioni attuali della legislazione nella soggetta materia, non essendo ancora intervenuta la legge regolatrice della soppressione della Consulta Araldica, il menzionato interesse alla tutela del nome, di carattere pubblicistico comech inerente in senso lato ad uno status personale, pu essere pi agevolmente e compiutamente perseguito, solo se la cognomizzazione del predicato nobiliare sia stata ottenuta, e quindi faccia stato, in conseguenza del necessario contraddittorio, anche nei confronti dell'Ufficio Araldico. Il resistente Ufficio Araldico, richiamandosi alle eccezioni gi proposte al riguardo in primo e in secondo grado, insiste nel contestare l'interesse ad agire negli odierni ricorrenti, anche sot :; .;t,1(',~ .,. : applicazione, con la prevalenza dell'applicazione di norme incompati bili, sottordinate (in questo senso, il rilievo fatto dal CALAMANDREI La prima sentenza della Corte Costituzionale, Riv. dir. proc., 1956, II, 150 -per escludere addirittura la possibilit di distinzione tra abro gazione ed illegittimit costituzionale, a favore della quale v., invece, LIEBMAN -Invalidit e abrogazione delle leggi anteriori alla Costituzione, ivi, 161 e segg. -pu accettarsi come esatta avvertenza che la relazione di prevalenza tra le leggi costituzionali e le leggi ordinarie anteriori non pu mai fondarsi soltanto su una ragione di successione cronologica, ma si fonda sempre, in tal caso, anche su una diversit di intrinseca autorit nella graduatoria delle fonti giuridiche. Il MORTATI osserva -Abrogazione legislativa e instaurazione costituzionale, Riv. dir. proc., 1957, 384 -che l'avvenuta avocazione da parte di una norma co stituzionale della disciplina di una certa materia rende la fonte superiore unica idonea ad emettere qualificazioni giuridiche per ogni situazione o fatto che in essa rientri e, cos, impossibile la coesistenza di comandi emananti da fonti diverse ). Nella specie, comunque, la predetta esclusione di ultrattivit delle norme incompatibili pu dirsi espressamente statuita dallo stesi;o precetto costituzionale, che, affermando categoricamente: i titoli nobiliari non sono riconosciuti, vieta, ovviamente, qualsiasi riconoscimento amministrativo o giudiziale dei medesimi e cio qualsiasi ulteriore applicazione di norme dell'ordinamento nobiliare. Ci rilevato, dovrebbe esser chiaro che la portata del secondo comma dell'art. XIV disp. trans. e fin. Cost. (nel quale, si noti, non si parla di diritti, ma di titoli esistenti prima del 28 ottobre 1942, epper non si autorizza alcuna contrapposizione fra diritti esistenti e diritti riconosciuti, ma solo si allude ai titoli non concessi in periodo fascista ed in questo senso esistenti. prima della predetta data) postula e realizza per fetta armonia col primo comma: la incostituzionalit delle norme dell'or PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 303 to il profilo della affermata inesistenza di una norma, che preveda la possibilit della cognomizzazione del predicato relativo a titoli nobiliari, che, come quello asserito dai Cetti, non avessero gi formato oggetto di riconoscimento prima del 28 ottobre 1922. A fondamento della propria tesi viene dedotto dell'Ufficio Araldico che : 1. Solo attraverso il riconoscimento i titoli nobiliari venivano ad inserirsi nell'ordinamento giuridico, sicch la norma costituzionale ha parlato, agli effetti della cognomizzazione del predicato, di titoli esistenti e non gi di diritto al titolo, che concetto diverso da quello della esistenza del titolo. 2. La possibilit, dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, del riconoscimento incidentale di un titolo nobiliare, ai soli fini dell'aggiunta del relativo predicato al nome, sarebbe resistita dal primo comma della stessa XIV disposizione della Costituzione, che sancisce: I titoli nobiliari non sono riconosciuti ; contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, che dinamento nobiliare travolge tutti i diritti nobiliari, ma la cognomizzazione dei predicati relativi a titoli non concessi in periodo fascista ammessa, purch non involga la necessit di ulteriore applicazione delle norme abrogate, ossia quante volte la spettanza del diritto al titolo e, quindi, al predicato risulti gi consacrata da un atto amministrativo di riconoscimento o da una sentenza dell'A. G., pasata in giudicato. Appare, pertanto, arbitraria l'affermazione, pur fatta in dottrina, che l'ordinamento nobiliare cacciato dalla porta rientra dalla finestra (FUNAIOLI C. A., I titoli nobiliari sono aboliti?, in Foro civ., 1948, 1'91). Essa contrasta, invece, col preciso dettato costituzionale. Cosicch, lungi dal potersi pretendere che l'attivit di organi amministrativi e giudiziari della Repubblica sia indefinitamente impegnata nell'applicazione di norme abrogate dalla Costituzione, solo quei cittadini, che gi ottennero il riconoscimento amministrativo o giudiziario del loro diritto ad un titolo nobiliare, esistente prima del 28 ottobre 1922, potranno chiedere ed ottenere, col procedimento di rettificazione previsto dagli artt. 167 e segg. dell'ordinamento dello Stato Civile di cui al R.D.L. 9 luglio 1939, n. 1238, la cognomizzazione del relativo predicato. La limitata rilevanza giuridica di cui trattasi viene accordata, insomma, non tanto al titolo e quindi al predicato nobiliare, quanto all'atto amministrativo definitivo o alla sentenza dell'A. G. passata in giudicato, e ci appunto perch, in tal modo, resta pienamente rispettato il precetto del primo comma della disposizione di cui si discorre e Io spirito stesso della Costituzione. Per dirla con la sentenza della Corte di Appello romana sopra riportata sub II, non gi l'esigenza dell'attribuzione del predicato come parte del cognome stata assunta dalla norma costituzionale come preminente rispetto all'esigenza del disconoscimento, in regime repubblicano, dei diritti nobiliari, sebbene questa condiziona quella e ne consente la rilevanza solo nei limiti in cui essa si armonizzi col divieto di riconosci 304 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO afferma la pari dignit sociale e la uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; sarebbe ancora in contrasto con i lavori preparatori per la formulazione della menzionata XIV disposizione della Costituzione e con lo stesso carattere provvisorio di essa disposizione. Alle suesposte argomentazioni non pu essere riconosciuto carattere decisivo e le stesse non possono valere a giustificare un mutamento del gi richiamato e ripetuto indirizzo giurisprudenziale di questa Corte Suprema. Poich, come precisato dalla sent. n. 2087 del 1961 di questa stessa Sezione, la norma XIV della Costituzione, per il suo carattere di compiutezza legislativa, per quanto attiene alla disciplina degli effetti giuridici ricollegabili ai titoli nobiliari ed ai predicati correlativi, norma con contenuto precettivo (e non anche programmatico) di applicazione immediata, la predetta norma non pu non essere interpretata in senso tecnico-giuridico. Ed allora si impone il necessario coordinamento tra il dettato del primo comma, secondo cui i titoli nobiliari non sono riconosciuti, ed il dettato del secondo comma, secondo cui i predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome. Ne consegue che, come fatto chiaro dalla stessa lettera dei trascritti precetti costituzionali, il vigen~e ordinamento non riconosce ai titoli nobiliari alcun effetto giuridico, ad eccezione, per i titoli gi esistenti alla data del 28 ottobre 1922, della possibilit di utilizzarne il predicato come parte del nome. Di qui l'ulteriore conseguenza che il problema giuridico in discussione si accentra nella identificazione dei titoli che possono considerarsi esistenti alla data del 28 ottobre 1922. E poich la Costituzione non enuncia alcun diverso criterio di accertamento, deve necessariamente concludersi che la esistenza o meno di un titolo nobiliare, agli effetti della norma costituzio mento di cui si discorso. Idea certamente pi ragionevole e corretta di quella opposta, alla quale ha aderito, invece, la sentenza della Corte di Cassazione, con quei iisultati che si sono gi commentati. E' augurabile, pertanto, che la Suprema Corte regolatrice del Diritto -dinanzi alla quale stata portata la suestesa, perspicua sentenza della Corte di appello romana in caso Gabrielli, nonch altra della Corte di appello bolognese in caso Gardi --voglia, possibilmente a Sezioni Unite, riesaminare pi approfonditamente la grave questione e definitivamente deciderla, in conformit del precetto costituzionale. FRANCO CARUSI PARTE I, SEZ.' III, GIURISPRUDENZA CIVILE 305 nale in esame, deve essere considerata alla stregua della legislazione speciale, che vigeva in materia alla data del 28 ottobre 1922. Orbene, dall'art. 79 dello Statuto Albertino, poi esteso a tutto il territorio nazionale ( I titoli di nobilt sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Il Re pu conferirne dei nuovi ), nonch dalla successiva legislazione speciale in materia, sia prima della unificazione nazionale (r.d. 10 ottobre 1869, n. 5318; r.d. 8 maggio 1870), sia post-unitaria (r.d. 11 dicembre 1887 numero 5150; r.d. 2 luglio 1896, n. 313; r.d. 5 luglio 1896, n. 314) si ricava con sicurezza, condivisa dalla pacifica giurisprudenza e dottrina del tempo, che la esistenza o meno dei titoli nobiliari andava controllata con riferimento al titolo di concessione originaria, al quale andava riconosciuta efficacia ex tunc, mentre il cosiddetto riconoscimento non era un modo di acquisto del titolo, ma si risolveva in una mera ricognizione della esistenza di esso ed aveva effetto dichiarativo e non gi costitutivo. Posto ci, e poich la cognomizzazione del predicato per i titoli esistenti al 28 ottobre 1922 (permessa per ragioni di carattere storico e non per ragioni di favore individuale) espressamente prevista dalla Costituzione, la ricognizione di tale esistenza non affatto resistita dal precetto costituzionale. Rilevato, d'altra parte, che la cognomizzazione del predicato non importa l'attribuzione di alcuna prerogativa, non sussiste neppure l'asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione. N pu rinvenirsi contrasto con la collocazione della XIV disposizione tra quelle transitorie e finali della Costituzione, postoch scopo della predetta disposizione quello di disciplinare la posizione dei soggetti che alla data del 28 ottobre 1922 si presentavano portatori del diritto, di carattere sostanziale, ad un titolo nobiliare. Il che importa che la interpretazione costantemente data da questa Corte Suprema al comma secondo della XIV disposizione della Costituzioue aderente alla finalit propria delle norme transitorie, che , istituzionalmente, quella di regolare, per le situazioni preesistenti, il trapasso da una disciplina giuridica pregressa ad una nuova disciplina. N vale invocare, infine, i lavori preparatori. Infatti, a parte che le norme giuridiche, una volta legalmente emanate, vivono di vita autonoma, sta di fatto che dal complesso dei diversi interventi svolti dai Costituenti in relazione alla formulazione della norma XIV della Costituzione, si ricava che volont degli stessi Costituenti fu quella di enun RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 306 ciare, anche esplicitamente e solennemente, la incompatibilit tra il regime repubblicano e la concessione di nuovi titoli nobiliari (in evidente contrapposizione alla prerogativa regia consacrata nello Statuto albertino), nonch la volont di annullare gli effetti giuridici dei titoli nobiliari gi esistenti, fatta eccezione (relazione Ruini) della possibilit per titoli anteriori al fascismo, di usarli come predicato del nome, specificandosi (stessa relazione Ruini) che quest'ultima disposizione vuol dire che non vi saranno pi principi o conti o baroni; ma qualche indicazione di casato storico sar incorporata nel nome. Per tutte le esposte ragioni, deve concludersi, confermandosi l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte Suprema, che: 1 -il diritto, sancito dal comma secondo della disposizione XIV della Costituzione (Disposizioni transitorie e finali), alla cosiddetta cognomizzazione del predicato nobiliare relativo ai predicati dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922, ancorch -a quella data -i predetti titoli non avessero formato oggetto di pregresso riconoscimento; 2 -l'azione tendente alla cognomizzazione del predicato nobiliare incide, in senso lato, sullo status delle persone e, pertanto, il relativo giudizio deve svolgersi in sede contenziosa e nelle forme ordinarie, innanzi l'autorit giudiziaria ordinaria; 3 -nel giudizio avente per oggetto la richiesta di cognomizzazione di un predicato nobiliare, la legittimazione passiva compete, oltre che agli eventuali controinteressati, all'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Concludendo, il ricorso deve essere accolto e la sentenza im pugnata deve essere cassata. -(Omissis). II (Omissis). -Con il primo motivo di appello, si sostiene che erroneamente il Tribunale di Roma, confermando anche in questo giudizio la propria costante giurisprudenza (Trib. Roma, 11 aprile 1957, in causa Stuccoli, e 7 dicembre 1959, in causa Cetti Serbelloni), ha affermato che il diritto di aggiungere al proprio cognome il predicato nobiliare, previsto dalla XIV disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica, vada riconosciuto soltanto ai titolari di titoli nobiliari, che ne avessero ottenuto il riconoscimento alla data del 28 ottobre 1922, e propugna la tesi che, invece, il diritto al predicato spetta a tutti coloro che siano titolari di titoli nobiliari, per concessioni emanate anteriormente alla data suddetta, dei quali PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE potesse essere ottenuto il rioonoscimento,. secondo le norme in vigore alla data stessa. La difesa degli appellanti recepisce, cos, la tesi che stata sostenuta dai commentator della XIV disposizione, fin dal suo primo apparire, e che si fonda sopra una interpretazione strettamente letterale della norma, in connessione con le nozioni ed il linguaggio correnti, in relazione all'ordinamento precedente. La tesi muove, infatti, dal rilievo che il diritto al titolo nobiliare era configurato, nell'ordinamento precedente, come diritto personale, imprescrittibile, e che al riconoscimento, emesso con provvedimento amministrativo, era attribuito contenuto meramente dichiarativo, e non costitutivo, del diritto; il riconoscimento era considerato, cio, come provvedimento fondato sull'accertamento dell'esistenza del diritto, che aveva l'effetto di rendere esercitabile il diritto stesso e di attribuire al titolare la tutela prevista dall'ordinamento stesso. Poich nella disposizione XIV si trovano menzionate entrambe le nozioni, di "riconoscimento" e di "esistenza", del titolo nobiliare, e le due nozioni si trovano formulate in due norme distinte ed apparentemente contrapposte, si sostiene che la disposizione abbia recepito entrambi i concetti e che, mentre con il primo comma della disposizione viene negato valore al "riconoscimento", con il secondo si attribuisce rilevanza giuridica alla "esistenza" del titolo, quale presupposto per l'applicazione del precetto ivi sancito, con cui ammessa la cosiddetta cognomizzazione del predicato, e cio l'aggiunta del predicato nobiliare al cognome, come parte integrante di questo. Si sostiene, in altre parole, che il diritto ad aggiungere il predicato al proprio cognome debba essere attribuito anche a coloro che non avevano ottenuto il riconoscimento del titolo, alla data indicata nel secondo comma, qualora, secondo le norme vigenti a tale data, questi fossero titolari di un titolo legittimamente attribuito ed ammissibile al riconoscimento. Questa tesi stata ripetuta ed ampliata in numerose note di riviste giuridiche ed in monografie di specialisti, ha trovato eco in qualche trattato di diritto privato e, bench non sembri del tutto coerente con le nozioni espresse nei pi accreditati trattati di diritto costituzionale, non ha ricevuto n critica, n confutazione, s che si presenta come opinione unanimemente accolta in dottrina. La giurisprudenza non ha potuto, quindi, non tenerne conto. Ed infatti, la maggioranza delle pronunce della Magistratura di merito, che sono state RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 308 emesse su tale punto, vi hanno aderito (da ultimo, App. Bologna, 16 settembre 1961, in causa Presidenza Consiglio c. Gardi). Hanno respinto la tesi, per quanto risulta, soltanto il Tribunale di Roma, nelle sentenze citate ed in questa ora impugnata, e due altre isolate pronunce (Tribunale Trani, decr. 5 febbraio 1954, rie. Basile; Appello L'Aquila, decr. 9 febbraio 1954, rie. Vincenzini). Questa Corte e la Corte Suprema di Cassazione non hanno avuto finora occasione di pronunciarsi su tale questione; tuttavia le argomentazioni addotte in recenti giudicati, a sostegno di decisioni emesse su questioni collaterali, sono state interpretate dai commentatori e dalla difesa degli appellanti come implicita adesione alla tesi prevalente. La prima questione venuta in esame riguardava il procedimento attraverso il quale pu essere chiesta l'aggiunta al cognome di un predicato relativo ad un titolo, che non sia stato riconosciuto prima dell'entrata in vigore della Costituzione, ed stato giudicato, al riguardo, che non pu essere utilizzato il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile, ma deve essere proposta domanda, in sede contenziosa, alla autorit giudiziaria ordinaria (Cass., 13 giugno 1957, n. 2221); come premessa necessaria di tale decisione stato ammesso, quindi, che, in questa ipotesi, la pretesa ad ottenere l'accertamento ed il riconoscimento del titolo nobiliare, quale presupposto per il riconoscimento del diritto alla cognomizzazione del predicato, sia esercitabile ed ammissibile. Connessa con questa la question~ concernente la individuazione del soggetto, nei confronti del quale possa essere esercitata tale pretesa; ed stato deciso, come si detto, che la legittimazione passiva spetta tuttora alla Consulta Araldica (Cass., 13 giugno 1957, n. 2221 cit.), o, quanto meno, all'ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ne cura lo stralcio (App. Roma, 23 maggio 1959, cit.; Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087, cit.); per giungere a tale soluzione, peraltro, stata espressamente affermata l'ammissibilit dell'accertamento del diritto al titolo, ancorch non nel dispositivo della sentenza, n con efficacia costitutiva, tuttavia nella motivazione, come presupposto per l'accertamento del diritto all'uso del predicato. E' sorta questione, altres, intorno alla sussistenza del di ritto alla cognomizzazione del predicato di un titolo nobiliare straniero, non riconosciuto, e tale diritto stato escluso; ma a so stegno di tale esclusione stata ricordata la distinzione, comune mente accolta nel vigore del precedente ordinamento, tra i prov PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE vedimenti di grazia e i provvedimenti di giustizia, che il sovrano emanava per il riconoscimento dei titoli nobiliari, e si affermato che soltanto nei primi il riconoscimento del titolo, che formava oggetto del provvedimento, aveva valore costitutivo per l'ordinamento italiano, mentre nei secondi il riconoscimento aveva contenuto meramente dichiarativo ed aveva solo l'effetto di rendere esercitabile, nell'ambito dell'ordinamento, il diritto al titolo (App. Roma, 23 maggio 1959, citata). Appare comprensibile, anche se non accettabile, quindi, la deduzione che i commentatori e la difesa degli appellanti hanno tratto dalle argomentazioni contenute in tali decisioni, secondo cui la giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Cassazione si sarebbe _gi pronunciata in senso favorevole alla tesi, da loro affermata e sostenuta. Soltanto in una pronuncia sopra la questione, marginale ed incontroversa, della inammissibilit di una domanda di delibazione di una sentenza straniera, che riconosca un titolo nobiliare, la Suprema Corte, pur ripetendo la consueta, generica affermazione della tutela del diritto alla cosidetta cognomizzazione del predicato, ha enunciato principi, che devono indurre alla meditazione; stato affermato, infatti, che "la solenne affermazione della Costituzione circa la pari dignit sociale di tutti i cittadini (art. 3) si collega strettamente, sul piano concreto, c:tl precetto, di immediata applicazione, secondo cui non sono riconosciuti, nel nuovo ordinamento, i titoli nobiliari (disp. transitoria XIV). Il che implica, come ineluttabile conseguenza, che, negandosi ogni giuridica rilevanza alla materia nobiliare come tale, venuta a cadere ogni possibile tutela, amministrativa e giurisdizionale, al riconoscimento di un diritto, che pi non sussiste, al titolo nobiliare... Il limite attuale dell'ordine pubblico, che tende a garan- tire l'armonia del diritto positivo, non consente che, direttamente o indirettamente, sia realizzato uno status, che suonerebbe offesa agli interessi essenziali e fondamentali dell'ordinamento sociale italiano, che vuole l'assoluta eguaglianza di ogni individuo, quale che sia la sua origine" (Cass., 14 marzo 1961, n. 562, nella motivazione). Ed invece, se si dovesse ritenere accettabile, ed anzi gi accolta dalla prevalente giurisprudenza, la tesi sulla quale gli appellanti hanno fondato la loro domanda, si verrebbe ad affermare che, nel vigore dell'attuale regime costituzionale repubblicano, fondato sulla piena parit sociale degli individui, sarebbe esercitabile in giudizio, in qualunque momento, la pretesa ad ottenere ex novo l'accertamento dello status nobiliare; che, cio, potrebbe 310 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essere ottenuto, in sede giurisdizionale, un provvedimento il cui contenuto ed il cui valore sarebbero eguali a quelli dell'atto di "riconoscimento" del diritto al titolo nobiliare, che il sovrano emanava, come provvedimento "di giustizia"; che, in altri termini, un ordinamento, che espressamente dichiara "non riconosciuti" i titoli nobiliari, ammette implicitamente che sia effettuato, nelle vie giudiziarie, il "riconoscimento" del titolo; anche se, come detto in una delle pronunce citate, il riconoscimento sarebbe contenuto nella motivazione, e non nel dispositivo, della sentenza. La considerazione di questa evidente contraddizione tra il principio informatore e la norma, nel significato che a questa viene attribuito, sembra a questo Collegio che debba indurre ad un riesame ampio ed approfondito della questione, sottratto alla suggestione delle argomentazioni degli scrittori specialisti, che permetta di studiare se, realmente, alla norma debba essere dato ' quel significato. Sembra, infatti, che il sillogisma sul quale poggia la tesi addotta dagli appellanti assuma come premessa certa quello che deve essere, invece, il primo oggetto della ricerca. .Il sillogisma assume come prima premessa il rilievo che, con il secondo comma della XIV disposizione, stata data tutela giuridica all'interesse al predicato nobiliare, come parte del cognome, ed stato, quindi, costruito il diritto al predicato, come diritto soggettivo privato, pari al diritto al cognome. Come seconda premessa, si afferma che, essendo il predicato parte del titolo nobiliare, l'ammissione del diritto al predicato importa tutela dell'interesse all'accertamento della sussistenza del diritto al titolo nobiliare, come presupposto per l'accertamento del diritto al predicato. Da tali premesse, si trae la tesi che con la norma in esame stata disposta l'attribuzione del diritto al predicato a coloro che dimostrino di essere titolari del diritto al titolo, alla data indicata dalla norma stessa. Non stato rilevato che la seconda premessa contiene una affermazione, della quale, a sua volta, deve essere data dimostra-~ zione, in quanto contrasta con la norma contenuta nel primo com~ ma della stessa disposizione, che pone il principio generale, en : tro il quale la norma del secondo comma va inquadrata. Non stato rilevato, cio, che, essendo escluso, per la disposizione contenuta nel primo comma, che possa farsi luogo, dopo l'entrata in vigore della norma costituzionale, a riconoscimento del titolo nobiliare, o, pi propriamente, del diritto al titolo nobiliare, perch possa essere affermato che esercitabile attual PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 311 mente, sia pure in via incidentale, la pretesa all'accertamento ed al riconoscimento del diritto al titolo, deve essere .dimostrato, innanzi tutto, che il secondo comma pone una deroga od eccezione al principio, affermato nel primo comma; si omesso di rilevare, anzi, del tutto, che il secondo comma, cos come viene interpretato, contiene non una norma di attuazione od esplicazione del principio contenuto nel primo comma, ma una norma che contrasta con quel principio, e che al principio stesso va, in qualche modo, coordinata. Perch possa essere giudicato se la tesi proposta sia fondata, o meno, deve essere affrontata, quindi, questa dimostrazione, e deve darsi la prova che l'esigenza dell'attribuzione del predicato, come parte del cognome, stata assunta nella norma come esigenza preminente, alla quale stata sacrificata la generale esigenza a disconoscere, in regime di repubblica, il valore giuridico dei diritti nobiliari. Questa dimostrazione non pu essere data, come invece ritengono i commentatori e la difesa degli appellanti, attraverso il mero rilievo che le due norme contengono locuzioni diverse e che queste locuzioni hanno, nell'ambito della specifica materia, cui la norma si riferisce, un significato tecnico ben determinato. La considerazione delle vicende, attraverso le quali stato formato il testo della Carta costituzionale, vieta di ritenere che alle singole locuzioni inserite nelle norme costituzionali possa e debba essere sempre attribuito un significato tecnico. Il criterio pi appropriato per la interpretazione delle norme costituzionali il criterio sistematico, con l'osservanza dei canoni della coerenza e della totalit ermeneutica, per cui ogni norma va intesa non tanto nel suo significato letterale e tecnico, quanto in connessione con il complesso dei principi, cui la carta costituzionale ispirata, ed in relazione alla genesi delle singole norme. Perch possa essere dimostrato che effettivamente, con le norme contenute nei primi due comma della XIV disposizione transitoria, sia stata attribuita rilevanza preminente all'esigenza di dare al predicato nobiliare il valore di elemento completivo del cognome e sia stata attribuita efficacia prevalente alla antecedente disciplina dei rapporti inerenti ai diritti nobiliari, occorre, quindi, ricercare se questi, propriamente, siano stati i risultati cui stata diretta la formulazione della disposizione; occorre esaminare, cio, se, nel corso della elaborazione della norma, sia stata tenuta presente la differenza concettuale tra il " riconoscimento " del titolo e la "esistenza" del diritto al titolo, e si sia inteso, appunto, dare valore a questa, in contrapposizione con quello, al 312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO WFll*'at-m.ww.aa11.m'~#P.It.Mffw-%1m&Irz-~J fine di attribuire, sia pure indirettamente, all'ordinamento nobiliare una persistente rilevanza giuridica. Sembra a questo Collegio che l'esame della documentazione relativa al lavoro legislativo, attraverso il quale si giunti alla formulazione della XIV disposizione, conduca ad una conclusione pienamente negativa su tali punti. La prima formulazione della norma, quale risulta redatta dalla prima sottocommissione della Commissione per la Costituzione dell'Assemblea costituente e presentata per l'approvazione alla Commissione stessa, fu la seguente: "E' vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome". Questa norma avrebbe dovuto, secondo i proponenti, essere inserita nel testo della Costituzione. Con la prima parte della norma si ribadiva che, in aderenza al principio della parit dei cittadini, la costituenda repubblica non avrebbe potuto istituire distinzioni nobiliari; con la seconda parte si recepiva una disposizione enunciata in altre Costituzioni repubblicane, quali quella della Repubblica di Weimar, pur alterandone il contenuto e non tenendo conto della diversit delle situazioni. Se, peraltro, tale formula fosse stata mantenuta, sembra che nessuno avrebbe potuto pensare che, con la locuzione "attualmente esistenti", fossero indicati titoli, che non fossero quelli, che, secondo le norme vigenti al momento dell'entrata in vigore della Costituzione, avevano rilevanza giuridica, e cio, secondo la locuzione corrente, i titoli " riconosciuti ". Alla prima parte di questo testo fu, per, subito proposto un emendamento: "E' vietata la concessione e l'uso dei titoli nobiliari", mentre ne veniva anche chiesta la soppressione (Asscm~ blea costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza plenaria, seduta del 25 gennaio 1947); nella discussione venne chiarito, da un canto, che la previsione del divieto di concedere titoli nobiliari appariva superflua, essendo la concessione di dignit nobiliari istituto proprio del regime monarchico e incompatibile con il regime repubblican9 e, dall'altro, che si intendeva, soprattutto, impedire che venissero, comunque, mantenute in vita le distinzioni nobiliari create nel periodo del ventennio fascista. Al termine di questa discussione, venne eliminata la prima parte della norma e mantenuta la seconda : " I predicati dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono come parte del nome" e si rimise al Comitato di redazione il compito di redigere una disposizione, da inserire eventualmente nelle disposizioni transitorie, che regolasse la sorte dei titoli concessi nel periodo I/: < I "' if.lfrM='&&J%&%ffiW.r@,~ ::dfe1':1,#~-;~4'W,Jf:@/f};4f.A;~-<%&.dtf#b,t.:::#:.fPdfnj ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE fascista, e di esaminare se dovesse essere enunciato, o meno, il principio del disconoscimento dei titoli esistenti; fu osservato, peraltro, che al disconoscimento dei titoli esistenti si sarebbe pervenuti sancendo l'abolizione della Consulta Araldica. Anche in questa fase dell'elaborazione non fu, quindi, ipotizzato affatto che i titoli esistenti , dei quali si discuteva, fossero altro che i titoli riconosciuti , ed anzi risulta chiaro che i due concetti non erano tenuti distinti, dal rilievo che si riteneva sufficiente la soppressione della Consulta Araldica, per giungere al risultato del disconoscimento dei titoli nobiliari, pur essendo notorio che nei registri della Consulta risultavano soltanto i titoli che avessero ottenuto il riconoscimento. Il Comitato di redazione elabor il nuovo testo, che costituisce l'embrione di quello poi accolto: "La Repubblica non riconosce titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica", e lo sottopose alla Commi-'sione, proponendo di includerlo nelle disposizioni transitorie (Commissione per la Costituzione, Adunanza plenaria, seduta del 1 febbraio 1947). Bench fosse scomparso l'inciso "attualmente" e fosse prevista la futura soppressione della Consulta Araldica, il contenuto della norma non appare mutato. Con la prima parte era posta una disposizione che ribadiva il principio della parit, in modo completo, enunciando non soltanto l'inammissibilit della concessione di nuovi titoli nobiliari, ma anche l'irrilevanza dei titoli precedenti; con la seconda parte si faceva chiaro riferimento al momento stesso del1' entrata in vigore della Costituzione, per l'attribuzione del valore di predicato ai titoli esistenti e, rinviando, con la terza parte, l'abolizione della Consulta Araldica ad un successivo provvedimento di legislazione ordinaria, si manteneva in vigore la legislazione nobiliare vigente al momento, sia pure al limitato scopo di permettere l'accertamento dei predicati esistenti, al fine della inclusione di questi nel nome. Con questa terza parte si ribadiva, anzi, che l'esistenza del titolo andava accertata secondo le norme che regolavano i rapporti devoluti alla competenza della Consulta Araldica, e cio i rapporti concernenti titoli inseriti nei registri di questa, in quanto riconosciuti . Alla disposizione, cos formulata, fu proposto un emendamento : " Ai titoli nobiliari concessi dopo il 28 ottobre 1922 non riconosciuto neppure questo valore " (on. Targetti e Nobile). A questo punto, per, del tutto inavvertito, ebbe luogo il mutamento della formulazione, che ha dato luogo al problema interpretativo, che qui si esamina. L'on. Togliatti osserv: Ba RASSEGNA DELL'AVVOCATURA nELLO STATO 314 sterebbe dire: I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del nome; ed il Presidente espresse il pensiero che la proposta dell'on. Togliatti soddisfi il pensiero di tutti . Nessuno sollev obiezioni ed il testo rimase fissato in questa formulazione. Anzi, l'on. Lucifero, che sar poi qualificato competente in materia dall'on. Ruini, nella successiva Assemblea generale, si limit ad osservare che, con la formula "La Repubblica non riconosce titoli nobiliari", si era inteso tener conto anche dei titoli nobiliari " concessi " dal fascismo, confermando, cos, implicitamente, che non era tenuta affatto presente la distinzione tra riconoscimento ed esistenza del titolo e che il riconoscimento veniva contrapposto soltanto alla " concessione ". Ipotizzare che con quella modificazione terminologica si fosse inteso abrogare l'intera legislazione in materia nobiliare emanata successivamente alla data del 28 ottobre 1922, come, in coerenza con la lettera della norma, stato affermato da re I centi giudicati (da ultimo, Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087 cit.), e si fosse determinato di rendere possibile, dopo l'entrata in vigo I re della Costituzione, il riconoscimento di titoli precedentemente concessi, ma non riconosciuti, come stato affermato ed so' I stenuto in questo giudizio, sembra, invero, alquanto ingiustifi I cato. Si tratta, invero, di una mera semplificazione della formu la, che appariva ridondante, con cui si riteneva che rimanesse I ferma la concezione che della " esistenza " dei titoli si dovesse giudicare alla stregua della legislazione vigente, la cui modifica,. I zione era rinviata al momento successivo, in cui sarebbe stato ri formato l'ordinamento della Consulta Araldica, fermo restando il principio che ai titoli nobiliari, come tali, si negava ogni rile vanza giuridica nel nuovo ordinamento. La questione non emerse neppure nella discus~ione in seno all'Assemblea plenaria, che termin con l'approvazione del testo .ora vigente (Atti dell'Assemblea Costituente, volume X, Seduta pomeridiana del 5 dicembre 1947). Un chiarimento, invero, avrebbe potuto aver luogo, ove fosse stato approfondito il significato ;; del nuovo emendamento proposto dall'on. Nobile, che, con molta precisione, enunciava, tra l'altro: "tutte le questioni relative ai I ~ titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale re. . goler anche la soppressione della Consulta Araldica. Le conces I .. sioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 1922 sono annullate"; ma l'argomento non venne affrontato e lo stesso proponente dell'emendamento, nel criticare il secondo com ma del testo proposto dalla Commissione, si limit a sottolineare PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE come fosse ingiustificato dare rilevanza ai predicati, di origine feudale, e non a titoli senza predicato, concessi in riconoscimento di meriti civili o militari, ed a prevedere il complesso lavoro da fare per accertare i predicati dei titoli esistenti o farne annotazione nei registri di stato civile e le intricate e complesse questioni amministrative, assai ardue a risolversi , che sarebbero sorte. All'emendamento dell'On. Nobile, l'on. Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione e del Comitato di redazione, formato in seno a questa, oppose le seguenti dichiarazioni, che vanno tenute ben presenti, sia a riprova dell'atecnici smo delle espressioni adoperate, sia per l'indicazione dei principi ispiratori della norma: il Comitato ha adottato la formula del non riconoscimento dei titoli nobiliari, che si trova in altre Costituzioni ed sembrata -anche per consiglio di un nostro competente collega, l'on. Lucifero -tecnicamente esatta. Lo Stato non riconosce, non d valore ai titoli nobiliari di qualsiasi genere. Non si dovr, pertanto, farne pi uso. Stabilir la legge se si dovr, o no, punire chi se ne freger ancora come titolo abusivo. Il riconoscimento negato a tutti i titoli nobiliari; e perci senza dubbio anche a quelli concessi durante il fascismo. Anzi, nei loro riguardi, la disposizione pi grave, perch non consente, come consentito per i titoli anteriori al fascismo, di usarne come predicato del nome. Quest'ultima disposizione vuol dire che non vi saranno pi principi, conti o baroni; ma qualche indicazione di casato storico sar incorporata nel nome. Non nego che, fermissimi questi concetti, si possa trovare qualche cosa di pi adatto come forma; ma resta inteso che i punti sono questi: nessun riconoscimento di titoli nobiliari, di nessun tempo, ammissione, come predicato, per quelli anteriori al fascismo . Su queste determinazioni, la norma fu approvata, nel testo proposto. Numerosi commentatori hanno rilevato come in queste dichiarazioni sia contenuta una evidente commistione di nozioni, risultando non chiaramente distinti il diritto al titolo dal titolo, il titolo dal predicato e dal casato, il disconoscimento del titolo e il divieto dell'uso. Risultano, per, chiaramente, dalle dichiarazioni stesse, i punti che appaiono decisivi per l'interpretazione della norma; da un canto, che la formula "non sono riconosciuti" stata ritenuta tecnicamente esatta per indicare il diniego di valore giuridico, s che deve dedursi che non soltanto non stata tenuta presente la possibilit di attribuire valore giuridico a titoli non riconosciuti, ma stato escluso che al 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di fuori del riconoscimento potesse essere ipotizzata rilevanza giuridica di un titolo; dall'altro, che, come principi fermissimi , di cui la norma l'espressione, sono indicati il diniego di riconoscimento di titoli nobiliari di ogni tempo e la cognomizzazione di quei predicati, che non avessero origine da provvedi menti inerenti al regime fascista; ed, infine, che lo specifico regolmento della materia era rinviato alla legislazione ordinaria. Dal riesame dell'iter, attraverso il quale si giunti alla formulazione del testo della XIV disposizione transitoria della Costituzione, non soltanto risulta da escludere, dunque, che sia stata scorta una contrapposizione tra le nozioni di "riconoscimento " e di "esistenza" del titolo nobiliare e che si sia, comun que, inteso attribuire rilevanza a titoli non riconosciuti, prima o dopo la. data indicata nel secondo comma, ma deve anche essere dedotto che, con la norma contenuta nel secondo comma, si regolata una mera conseguenza del diniego di riconoscimento, attribuendo un effetto particolare al riconoscimento gi avvenuto, e, sopratutto, che il principio che domina la materia, ed al quale non stata ipotizzata alcuna eccezione, che, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, non pu essere attribuito alcun valore giuridico ad un titolo nobiliare e, in particolare, non pu farsi luogo ad alcun riconoscimento di titolo e di diritto a titolo nobiliare. La deduzione che si trae dalle risultanze della genesi della norma, mentre toglie valore al significato, che potrebbe essere ricavato dalla interpretazione strettamente letterale, conferma, per contro, l'interpretazione, che alla norma stessa va data, attraverso l'inquadramento nel sistema, cui appartiene; ed infatti viene riconfermato che, nel vigore della Costituzione, non pu essere avanzata una pretesa tendente a fare riconoscere una posizione di distinzione sociale, in contrasto con il principio enunciato nell'art. 3 della Costituzione medesima. La Corte ritiene, pertanto, che esattamente il primo Giudice ha rigettato la domanda proposta dagli appellanti, sia in quanto dalla retta interpretazione del secondo comma della XIV disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica deve essere dedotto che con la locuzione "titoli esistenti" siano in t dicati i titoli nobiliari dei quali gi fosse stato provveduto al . riconoscimento, secondo l'ordh,1amento precedentemente vigente, sia, e sopratutto, in quanto la pretesa di cognomizzazione del predicato di un titolo non riconosciuto deve essere ritenuta .. . inammissibile, nell'ordinamento attualmente vigente, in quanto lI ffi t! WJfilf.ffe?..W&mm-,,,.-~?.>%$%{:%;{:?:"::-:=;.n2ws::mw%.f:?:"%"WBYPO:::~ffj?%r1'"M'"'""""=':.:W?:~xfffWVBW&Vi:=::f-?.W.M'/.-:':f@.i::mrfi:..::,.:::f! W.l/ill i!tf.t."#.f/::t~rn~t.:t=:::,:~:;.:=-.,~:):i:!'.P@.if""";-.m~ffif.Y-0".Ygf'ffif"@ll~..&ffjF~ji-p:--;.::~:?ffWi'M{Wl''~"'A\f'dfA~f.@ ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 317 ha come presupposto una pronuncia di accertamento e riconoscimento di titolo nobiliare, che contrasta con il precetto contenuto nel primo comma della medesima disposizione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 gennaio 1964, n. 3 - Pres. Tavolaro -Est. Sparvieri -P.M. Pepe (conf.) -Ministero Difesa-Esercito c. Rappuoli e Cioli. Responsabilit civile -Responsabilit della P.A. -Attivit di carattere militare -Danni -Inapplicabilit della presunzione prevista dal l'art. 2050 e.e. -Responsabilit diretta per colpa -Onere dellil prova. (Cost., art. 28; e.e., artt. 2043, 2050, 2697). Responsabilit civile -Responsabilit della P.A. -Servizio rastrellamento proiettili -Discrezionalit della P.A. -Limiti -Sindacato del G.O. (Cost., art. 28; e.e., art. 2043). Responsabilit civile -Responsabilit della P.A. -Responsabilit diretta -Interruzione del rapporto organico. (Cost., art. 28). Nei confronti della Pubblica Amministrazione, chiamata a rispondere di danni arrecati a privati da suoi organi, nello svolgimento di attivit, rivolte, come quelle di carattere militare, al perseguimento di finalit essenziali dello Stato, non trova applicazione la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2050 e.e., in quanto la discrezionalit della Pubblica Amministrazione sarebbe compromessa da una presunzione di colpa, epper non essa deve provare di avere adottato tutte le misure atte ad evi tare il danno, sibbene il danneggiato ha l'onere di dimostrare la colpa dell'Amministrazione (1). La discrezionalit della Pubblica Amministrazione, ancorch di carattere tecnico, trova un limite nel dovere della medesima di osservare le disposizioni di legge e regolamento, nonch le norme elementari di diligenza e prudenza imposte dal precetto del neminem laedere, onde il Giudice ordinario pu accer (1) Cfr. Cass., Sez. Un., 23 febbraio 1956, n. 507, Giur. it., 1956, I, l, 890; 23 febbraio 1956, n. 509, Foro it., 1956, I, 507; 8 novembre 1957, n. 4310, Id., 1957, I, 1929. 318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tare, ai fini del risarcimento, se il fatto della Pubblica Amministrazione, esorbitando da tale limite, abbia leso il fondamentale diritto del cittadino alla integrit personale (2). La responsabilit della Pubblica Amministrazione diretta, per fatto proprio, venendo esclusa per effetto dell'interruzione del rapporto organico, che si verifica soltanto se l'attivit del dipendente sia rivolta a fini estranei a quelli istituzionali dell'Ente Pubblico (3). (2) Cfr. Cass., 6 febbraio 1954, n. 369, Resp. civ. e prev., 1954, 113; 10 luglio 1957, n. 2746, Giust. civ., 1958, I, 138; 28 aprile 1961, n. 979, Sett. Cass., 1961, 809; 12 luglio 1961, n. 1659, Giust. civ., 1961, I, 1562; 13 febbraio 1963, n. 287, Giur. it., Mass. 1963, 92,sub b); Sez. Un., 28 maggio 1'963, n. 1422, Ibidem, 490 sub b). (3) La giurisprudenza della Corte di Cassazione rimane ferma, nonostante tentativi dottrinali, pii1 o meno recenti, di introdurre una responsabilit indiretta della P.A., all'insegnamento che la responsabilit della P.A. soltanto diretta, per fatto proprio: cfr. Cass., Sez. Un., 9 luglio 1946, n. 819, Foro it., 1947, I, 104, con nota di JEMOLO; 15 luglio 1950, n. 927, Resp. civ. e prev., 1951, 21; Cass. 15 febbraio 1952, n. 398, Id., 1953, 131; 9 maggio 1952, n. 1312, Id., 1952, 504; Cass., Sez. Un., 21 luglio 1953, n. 2433, Id., 1954, 25, che, come le precedenti citate, insegna che l'abuso della funzione da parte del dipendente, il quale se ne serva per suo interesse privato, ed in genere il fatto illecito doloso rompono il rapporto organico, facendo considerare l'azione come commessa fuori dell'ambito dell'attivit dell'Ente , conclusione perfettamente coerente con l'essenza della responsabilit diretta, alla base della quale v' l'idea che la P.A. che vuole ed agisce tramite i suoi funzionari e dipendenti, onde -come avverte Cass., 2.3 settembre 1958, n. 3029, Foro it., 1959, 408 sono i fini che quella persegue che delimitano l'ambito della riferibilit istituzionale . In questa pronuncia, per, la Suprema Corte regolatrice, pur ribadendo che l'art. 28 della Costituzione nulla ha innovato in ordine alla natura della responsabilit della P.A., ha ritenuto di avvertire che non del tutto esatta l'affermazione che il dolo normalmente spezzi il rapporto organico ed impedisca, quindi, _la riferibilit alla P.A. del comportamento del suo dipendente. Tale precisazione si fonderebbe sulla necessit di distinguere fra intenzione e movente dell'agente: la intenzione (dolo) il risultato del processo volitivo, ma non va confusa con lo scopo o movente, che costituisce il fine dell'azione illecita ; soltanto il carattere esclusivamente personale del fine dell'agente, ma non la mera intenzionalit dell'atto dannoso, compiuto nell'esplicazione dell'attivit propria del servizio od ufficio cui addetto , spezzerebbe il rapporto organico, impedendo la riferibilit del comportamento alla P.A. (cfr. successivamente, in tale ordine di idee, Cass., 31 marzo 1960, n. 708, Foro it., 1961, I, 668; 20 aprile 1962, n. 792, Giur. it., Mass. 1962, 285; 30 novembre 1963, n. 3069, in questa Rassegna, 1964, 102, in part. 106, con. nota di richiami sub 7). Ma sembra agevole obiettare a siffatto ragionamento, che proprio l'intenzione uno sforzo della volont verso un certo fine (CARRARA, Programma, I, par. 63), onde, se il dolo si traduce nell'intenzione di cagionare un evento antigiuridico ( volont cosciente dell'offesa antigiuridica, cfr. PECORARO-ALBANI, Il dolo, Napoli 1955, 7 e PARTE I, SEZ, III, GIURISPRUDENZA CIVILE 319 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 gennaio 1964, n. 6 -Pres. Tavolaro -Est. Di Majo -P.M. Pepe (conf.) -Ministero del l'Interno c. Landi. Espropriazione per p.u. -Indennit -Interessi compensativi. (Cost., art.. 42; 1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 24 e segg. e 51; e.e., art. 1499). Sulla somma liquidata dal G.0. a titolo di indennit di espropriazione decorrono gli interessi compensativi dalla domanda alla data del deposito nella Cassa DD.PP., e ci a prescindere da qualsiasi colpa da parte dell'espropriante, ma con esclusivo riguardo alla produttivit del danaro (1 ). La pronuncia del giudice di merito in ordine alla misura dell'indennit d'espropriazione per p.u. incensurabile in Cassa segg., 522 e segg.), certo che anche l'azione dolosa esorbita dall'ambito della riferibilit istituzionale alla P.A., tra i fini della quale non rientra, certo, quello di arrecare offese antigiuridiche a terzi. Sul punto che l'art. 28 Cost. ha lasciato inalterato il principio che la responsabilit della P.A. soltanto diretta, per fatto proprio, v., da ultimo, Cass., 29 1964, 327 e segg.; in part. 330-331. Sulla problematica della responsabilit della P.A. v. anche FANELLI, Recensione ad ALEssr, La responsabilit degli enti pubblici, Milano 1964, in questa Rassegna, 1964, 25 e segg. F. C. (1) La giurisprudenza della Corte di Cassazione non sicura. Per Cass., Sez. Un., 30 ottobre 1951, n. 2648 (Giur. Compl. Cass. Civ., 1951, 3 quadr., n. 3046, p. 1016) si tratterebbe di inte~essi compensativi (v. art. 1499 e.e.), decorrenti dal giorno in cui si avvera per il privato la perdita del bene. Per la sentenza in rassegna, avendosi riguardo alla produttivit del danaro, si tratta, invece, di interessi da qualificarsi pi propriamente corrispettivi (art. 1282 e.e.). Quanto agli interessi compensativi, da avvertire che, secondo la ratio dell'art. 1499 e.e., l'obbligo del compratore di corrispondere gli interessi sul prezzo, anche se non ancora esigibile, della cosa acquistata e ricevuta in consegna deriva dal fatto che egli, pur non avendone ancora pagato il prezzo, gode dei frutti o proventi della cosa (cfr. LuzzATO, La compravendita, Torino 1961, 350; GRECO e CoTTINO, Della vendita, Commentario Scialoja e Branca, Libro Quarto, artt. 14701547, Bologna-Roma, 1962, 268). Appare evidente, pertanto, l'impossibilit di estendere l'applicazione di tale norma al caso di espropriazione per p.u., in cui il trasferimento avviene jure publico e l'indennit, da determinare secondo legge, viene depositata prima dell'emissione del decreto espropriativo (nello stesso senso, CARUtiNO, L'espropriazione per pubblica utilit, Milano 1958, 199, che sostiene, tuttavia, che sulle maggiori somme liquidate all'espropriato in seguito all'impugnazione della stima competono gli interessi legali, per un'esigenza d'equit che sarebbe imposta dagli stessi principi dominanti in materia di espropriazione; sull'argomento v. anche RossANO, L'espropriazione per pubblica utilit, I, Torino 320 R~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, se la liquidazione risulta fatta in base a criteri di legge e la pronuncia sorretta da motivazione esente da vizi logici (2). 1964, 293 e seg., che critica Cass. 21 ottobre 1958, n. 3378 (Foro amm., 1958, II, 1, 820) e parla interessi di natura compensativa). Quanto agli interessi corrispettivi (su cui v. Cass., 13 aprile 1944, n. 241, Foro it., Rep. 1943-45, voce Interessi, n. 14; v. anche Giur. compl. Cass. Civ., 1944 231; AscARELLI, Delle obbligazioni pecuniarie, Commenta rio del Codice Civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro Quarto, artt. 1277-1284, Bologna-Roma, 1959, 584 e segg.), essi suppongono (art. 1282 e.e.) un credito di somma di danaro liquido ed esigibile. Per Cass. 14 gennaio 1956, n. 71, (Giust. Civ., 1956, I, 652) il debito pecuniario della indennit espropriativa sarebbe immedjatamente esigibile, essendo prescritto il suo versamento alla Cassa DD.PP., anche se non accettato dall'espropriato ; ma, con riguardo al tema della prima massima della sentenza in rassegna, sembra opportuno avvertire che: a) giurisprudenza costante circa l'esigibilit dei crediti verso la P.A. che essa non sussista e non siano dovuti interessi, fin quando non . venga emesso un titolo definitivo di pagamento (Cass., 26 aprile 1951, n. 1014, Foro it., 1952, I, 711; 5 giugno 1952, n. 1601, Ibidem, 845; 26 giugno 1956, Id., Mass. 1956, n. 2291 ed in questa Rassegna, 1956, 184; 9 febbraio 1957, Foro it., Mass., 1957, n. 517. Secondo il SANDULLI, La posizione dei creditori pecuniari dello Stato, Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 545, 551,557, la procedura contabile non inciderebbe sulla esigibilit dei diritti di credito, ma sul diritto al pagamento, che rimarrebbe in istato di pendenza fino al momento dell'emissione del titolo di spesa. Ma l'esigibilit suppone proprio il potere di chiedere ed ottenere la condanna all'immediato pagamento della somma); b) nel caso di credito da indennit di espropriazione, proprio la Corte di Cassazione ha pi di recente affermato che il debito dell'epropriante, anche se liquido, non esigibile fino all'emanazione del provvedimento di svincolo dell'indennit depositata, ai sensi dell'art. 1 della 1. 3 aprile 1926, n. 686 (Cass., 23 aprile 1963, n. 1071, Giur. it., Mass. 1%3, 307, che nega che sull'indennit espropriativa liquidata d'accordo decorrano gli interessi compensativi o corrispettivi). Per quanto concerne, infine, gli interessi moratori ed il maggior danno (art. 1224 e.e.), stato avvertito che, fin quando il ritardo della procedura relativa all'effettuazione della spesa non sia stato dichiarato illegittimo dal giudice Amministrativo, non potr esser questione di colpevole ritardo nel pagamento (SANDULLI, op. cit., 561). {2) Conf. Cass., 23 luglio 1960, n. 2113, Foro it., Rep. 1960, voce Espropriazione per p.i., n. 128, c. 870. F. C. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 107 -Pres. Fibbi -Est. Di Majo -P.M. Pedote (diff.) -D'Arrigo c. ANAS Occupazione -Occupazione d'urgenza preordinata alla espropriazione per p.u. -Mancato perfezionamento nel biennio dall'occupazione della procedura espropria.tiva -Illiceit -Risarcimento del danno -Valutazione. Cl. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 71 e 73; e.e., artt. 2043, 2056). PARTE I, SEZ, UI, GIURISPRUDENZA CIVILE Qualora l'occupazione anticipata di un immobile, per l'esecuzione di opera pubblica urgente e indifferibile, sia protratta oltre il biennio di legge senza il perfezionamento della procedura espropriativa e la restituzione dell'immobile sia resa impossibile per l'avvenuta trasformazione del medesimo a seguito della costruzione dell'opera, spetta al proprietario il risarcimento del danno, da liquidare con riferimento non solo allo stato del fondo al momento dell'occupazione (e perci senza tener conto degli incrementi di valore ad esso apportatt dalla P.A.), ma anche alle eventuali condizioni pi favorevoli della zona ove il fonda ubicato, sussistenti al momento della liquidazione (1). (1) Cfr. Cass., 23 maggio 1962, n. 1189, Foro it., Mass. 1962, 365; v. anche Cass., 20 gennaio 1964, n. 109, in questa Rassegna 1964, 323-324, ed ivi nota di ulteriori richiami. Sul limite interno della giurisdizione ordinaria, per cui dalla costruzione dell'opera pubblica deriva l'impossibilit di restituire in pristino il bene occupato, e, quindi, di ordinarne il rilascio, v. Cass., Sez. Un., 8 febbraio 1957, ri. 490, Acque, bon. e costr., 1957, 316 e segg., con nota del CoLETTI; 16 ottobre 1957, n. 3857, Giust. Civ., 1957, I, 1847, con nota, sul punto, di richiami di dottrina, ove si sottolinea essere principio pacifico che, nell'ambito dei rapporti di diritto pubblico, la P.A. non pu essere condannata alla reintegrazione in forma specifica dei diritti del cittadino, ma solo al risa:rdmento del danno per equivalente; 13 gennaio 1959, n. 66, Giust. Civ., 1959, 460 (che parla di risarcimento del danno ove la restituzione, per le opere compiute od altra ragione, non sia pi possibile); 15 luglio 1959, n. 2290, Acque, bon. e costr., 1959, 520, con nota qi RUPERTO; 30 ottobre 1959 n. 3204, Ibidem, 623 v. anche Cass., 14 dicembre 1963, n. 3166, in questa Rassegna, 1964, 113 e seg., ed ivi nota di ulteriori richiami. F. C. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 108 -Pes. Fibbi -Est. Di Majo -P.M. Pedote (conf.) -Bandiera c. Assessorato LL.PP. Regione Siciliana. Espropriazione per p.u. -Accordo sulla misura dell'indennit espropriativa -Negozio di diritto pubblico -Efficacia. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 25, 28). Appello -Principio del doppio grado di giurisdizione -Limiti in materia di sentenze non definitive del giudice di primo grado. (c.p.c., artt. 187, 279, 339 e segg.). E' pienamente valido ed operante, siccome negozio di diritto pubblico, l'accordo tra espropriante ed espropriato sulla misura 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'indennit, intervenuto nel corso del procedimento di espropriazione per p.u. (1). Il principio secondo il quale, fuori dei casi previsti dal[' art. 354 c.p.c., il doppio grado di giurisdizione salvaguardato sempre che una stessa questione sia sottoposta all'esame successivo del giudice di primo e di quello di secondo grado, senza che occorra che essa sia stata decisa in primo grado, trova il suo limite nel sistema accolto dal codice di rito in materia di sentenze non definitive, secondo il quale riconosciuto al giu (1) Come negozi di diritto pubblico gli accordi sulla misura della indennit e sul trapasso della propriet , che costituiscano atti integrativi del procedimento esJ!ropriativo, in quanto abbiano a loro motivo determinante il compimento dell'opera di pubblica utilit (Cass., Sez. Un., 14 ottobre 1957, n. 3813, Acque, bonifiche e costruzioni, 1958, 354, con nota di SIMONE; v. anche Cass., 13 giugno 1959, n. 1811, Foro Amm., 1959, II, 1, 380; 18 maggio 1960, n. 1253, Foro it., 1960, I. 1120; 14 dicembre 1962, n. 3348, Id., 1963, I, 266), non sono soggetti alla disciplina privatistica relativa alle cause di invalidit, risoluzione (per eccessiva onerosit sopravvenuta, o per inademp~mento), e rescissione per lesione ultra dimidium (cfr. Cass., 19 gennaio 1939, Giur. it., 1939, I, 1, 340; 21 maggio 1945, n. 368, Giur. compl. Cass. Civ., 1945, I, 223; 7 giugno 1952, n. 1636, Giur. oo.pp., 1952, I, 187; App. Messina, 28 febbraio 1959, Giur. sic., 1959, 978; in dottrina: JEMOLO, Accordo sulla indennit di esproprio ed azione di rescissione per lesione, Giur. it., 1939, I, 1, 339 e segg.; SIMONE, Accordi sull'indennit della espropriazione per p.u., Acque, bonifiche e costruzioni, 1958, 354 e segg.; v. anche Relazione Avvocatura dello Stato, 1951-56, voi. II, Roma 1957, 150; Id., 1956-60, voi. III, Roma 1%1, 340 e segg.; per l'am missibilit dell'azione di rescissione per lesione enorme v., invece, PESCATORE, Accordi tra espropriato ed espropriante ed esperibilit dell'azione di rescissione per lesione, Giur. compl. Cass. Civ., 1945, I, 224 e segg.). La ritardata emissione del decreto di espropriazione non determina la caducazione dell'accordo sulla misura dell'indennit di espropriazione, stipulato nel corso del biennio dall'occupazione d'urgenza: Cass., 14 dicembre 1962, n. 3348, Foro it., 1963, I, 266. Il mancato perfezionamento della procedura espropriativa determina, invece, la caducazione dell'accordo: Cass., Sez. Un., 16 ottobre 1957, n. 3857, Giust. Civ., 1957, I, 1849-50. Sulla vincolativit dell'accordo determinativo dell'indennit di espropriazione, qualunque sia il tempo decorso tra l'accordo ed il perfezionamento del procedimento espropriativo e salva responsabilit per colpa o dolo dell'espropriante pel risarcimento del danno subto dall'espropriato per la anormalit del ritardo, v. Cass., 28 giugno 1960, n. 1648, Riv. giur. ed., 1960, I, 622, con nota; Cass., 29 maggio 1962, n. 1280, Foro it., Mass. 1962, 391. Sulla somma determinata nell'accordo tra P. A. e proprietario del bene espropriando circa la misura dell'indennit di espropriazione non decorrono n gli interessi compensativi di cui all'art. 1499 e.e., dovendosi escludere che l'accordo ponga in essere un negozio traslativo di diritto privato, n gli interessi corrispettivi, perch il debito dell'espropriante, anche se liquido, non esigibile, fino all'emanazione del provvedimento di svincolo dell'inden nit depositata Cass., 23 aprile 1963, n. 1071, Giur. it., Mass. 1963, 357. 323 PARTE I, SEZ, Hl, GIURISPRUDENZA CIVILE dice di primo grado il potere di decidere solo parzialmente la causa e di rinviare alla prosecuzione del giudizio la decisione in ordine alla materia riservata (2). (2) Conf. Cass., 16 maggio 1959, n. 1460, Foro it., Rep. 1960, v. App. Civ., n. 21, c. 117, ove si avverte che l'esercizio da parte del giudice di primo grado di tale facolt assolutamente incompatibile con un contrario potere del giudice di secondo grado di porla nel nulla, sostituendosi egli stesso nella decisione di questioni, che il primo giudice non ha ancora decise, per essersi riservato di farlo, dopo l'istruzione della causa; 13 maggio 1961, n. 1134, Id., Rep. 1961, V. Sentenza civile, n. 93, c. 2308-2309. Sul principio del doppio grado di giurisdizione, nel vigente codice di procedura civile, v. ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, voi. I, Milano, 1948, 199 e segg; F. C. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 109 -Pres. Fibbi -Est. Perrone-Capano -P.M. Pedote (parz. diff.) -Amministrazione LL.PP. c. Massara. Espropriazione per p.u. -Occupazione in via d'urgenza dell'immobile Scadenza del biennio di cui all'art. 73 I. 25 giugno 1865, n. 2359 Illiceit dell'occupazione -Sopravvenienza del decreto espropriativo -Eft'etti -Risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo -Criteri di liquidazione. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 73; e.e., artt. 2043, 2056, 2697). Decorso il biennio previsto dall'art. 73 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 senza che l'espropriazione sia stata pronunciata nei modi di legge, l'ulteriore detenzione del bene, gi occupato legittimamente, diviene illegittima, con la conseguenza che l'ente occupante, quale detentore senza titolo, tenuto alla restituzione. Se, per, questa non pi possibile, a causa delle tra<; formazioni subite dall'immobile per l'esecuzione dell'opera pubblica, dovuto al proprietario il risarcimento del danno. In .tale ipotesi, occorre distinguere: se l'occupazione protratta oltre il biennio di legge non sia stata seguita da regolare pronuncia espropriativa, il danno rappresentato dal valore del bene illegittimamente trattenuto e non pi suscettibile di restituzione; se, invece, sopravviene il decreto di espropriazione a sanare ex nunc la pregressa situazione antigiuridica, il danno da risarcire consiste, di regola, nella mancata percezione da parte del proprietario del reddito, che egli avrebbe potuto ricavare dal bene nel periodo dell'abusiva occupazione, salvo che il proprietario 324 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO provi che, in conseguenza della protrazione abusiva dell' occupazione, egli non potette realizzare concrete occasioni per la vendita del bene e conseguire altri benefici, nel qual caso dovr essere risarcita la perdita che in concreto il proprietario abbia subto e che pu consistere nella differenza tra il valore venale del bene e l'indennit di espropriazione fissata nel decreto espropriativo o, in caso di contestazioni, nella sentenza della competente autorit giudiziaria (1). (1) Conf. Cass., Sez. Un., 22 luglio 1960, n. 2087, Foro it., 1960, I, 1703, in part. 1706; Cass. 30 gennaio 1%3, n. 154, Giur. it., Mass. 1963, 48; 30 marzo 1963, n. 800, Ibidem, 261-262; 23 aprile 1963, n. 1056, Ibidem, 354; 27 maggio 1963, n. 1389, Ibidem, 478-479; 12 giugno 1%3, n. 1589, Ibidem, 546; 17 ottobre 1963, n. 2776, Ibidem, 949. Per l'ipotesi che non sopravvenga il decreto espropriativo, il risarcimento del danno, ove sia impossibile la restituzione del bene per l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica, deve essere liquidato con riferimento alla situazion dell'immobile al momento della decisione: cfr. Cass., 14 dicembre 1963, n. 3166, in questa Rassegna, 1964, 113; 20 gennaio 1964, n. 107, in questa Rassegna, 1964, 320, ed ivi rispettive note di richiami. F. C. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1964, n. 163 -Pres. Rossano -Est. Giannattasio -P. M. Trotta (conf .) -Ministero dei Lavori Pubblici c. Usai. Procedimento civile -Deduzione di prova testimoniale -Omessa indicazione dei testi -Successiva indicazione all'inizio della prova Ammissibilit. (e.p.e., art. 244). Cosa giudicata -Giudicato implicito -Questioni dedotte e deducibili. (e.e., art. 2909). Le disposizioni del primo e del secondo comma dell'art. 244 c.p.c. sul modo di deduzione della prova per testimoni hanno carattere ordinatorio processuale e quindi non comportano, in caso di inosservanza, alcuna nullit o decadenza, tanto che, ai sensi dell'ultimo comma dello stesso articolo, il giudice istru;ttore pu, secondo le circostanze, assegnare alle parti un termine perentorio per formulare o integrare le necessarie indicazioni,' epper, mentre la formulazione dei capitoli di prova per testi deve necessariamente precedere l'ammissione del mezzo istruttorio, salva successiva, autorizzata integrazione, la indicazione dei testimoni e, a maggior ragione, la precisazione di ulteriori elementi idonei ad una sicura dentificazione degli stessi possono i,. I. X :~ 325 PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE essere fatte all'inizio della prova, se il giudice consente tale tardiva attivit, e soltanto l'inutile decorso del termine perentorio fissato importa la decadenza della parte dal potere di provvedere all'indicazione medesima (1). Se pur vero che l'autorit del giudicato limitata a ci che ha formato l'oggetto e la causa giuridica del giudizio, essa tuttavia copre sia il dedotto che il deducibile e cio non soltanto le ragioni giuridiche fatte valere in concreto nel giudizio medesimo, ma anche tutte quelle altre, sia in via di azione che di eccezione, che, pur se non specificamente dedotte o enunciate, tuttavia costituiscano ugualmente premesse logiche essenziali e necessarie della pronuncia (2). (1) Conf. Cass., 16 novembre 1961, n. 2673, Foro it., Rep. 1961, voce Prova testimon., n. 49, c. 2087; 9 giugno 1962, n. 1430, Giust. Civ., 1962, I, 1436, con nota di SAMMARCo; 30 agosto 1962, n. 2723, Foro it., Mass. 1962, 773. (2) Tantum iudicatum quantum disputatum, vel quantum disputari debebat: cfr. Cass., 23 novembre 1962, n. 3170, Giur. it., Mass. 1962, 1059; 29 dicembre 1962, n. 3454, Ibidem, 1154. Entro i limiti degli elementi costitutivi dell'azione (soggetti, petitum e causa petendi) la cosa giudicata copre oltre il dedotto anche il deducibile, nel senso, cio, di precludere il riesame giudiziale dell'identica controversia tra le stesse parti, gi decisa dal giudicato, anche sulla base di nuove ragioni, che potevano dedursi, ma non furono dedotte, nell'anteriore procedimento conclusosi col giudicato stesso : Cass., 8 febbraio 1963, n. 239, Giur. it., Mass. 1963, 77. Sul concetto di giudicato implicito v., ancora, Cass. 5 marzo 1963, n. 537, Ibidem, 174; 7 maggio 1963, n. 1121, Ibidem, 381; 30 maggio 1963, n. 1433, Ibidem, 494; 23 dicembre 1963, n. 3210, Ibidem, 1082; in dottrina v. LIEBMAN, Corso di dir. proc. civ., parte gen., Milano 1952, 240. F. C. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 192 -Pres. Rossano -Est. Di Majo -P.M. Trotta (conf.) -Ministero del Tesoro c. Rispoli. Contabilit generale dello Stato -Morte di creditore dello Stato -Paga mento agli aventi causa jure successiotis -Emissione di pi ordinativi parziali di spesa -Condizioni di legittimit. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 302). Nel caso di morte di creditore dello Stato, pur essendo unico il titolo del pagamento, consentita la emissione di ordinativi parziali di spesa a favore dei singoli aventi causa jure successionis, ma solo quando sussista un atto legale, che indichi 326 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la quota specifica spettante ad ogni erede ed escluda ogni dubbio sulla entit e titolarit della quota medesima (1). (Omissis). -L'art. 302, test cennato, testualmente stabilisce che quando sia presentato un atto legale, che attribuisca specificatamente le rispettive quote agli aventi diritto alla successione, possono essere spediti titoli di spesa parziali a favore d ciascuno di essi, nonostante che una sola. fosse la somma dovuta al creditore defunto . Occorre, quindi, secondo la chiara previsione normativa, per la emissione di pi titoli di spesa, quando ovviamente il titolo sia. unico ed unica la causa di pagamento (come avviene nel pagamento ai debitori dello Stato jure successionis ), che sussista un atto legale, il quale indichi la quota specifica spettante ad ogni erede: una quota perci precisa, ossia tale da escludere ogni dubbio sulla entit e sulla titolarit della quota medesima. Nel caso concreto i giudici del merito hanno detto, s, che i Rispoli avevano diritto ad ottenere il pagamento frazionato della somma ad essi dovuta dal Tesoro, ma -ripetesi -non hanno detto quali fossero queste singole, precise quote. Il che, nella fattispecie, tanto pi si imponeva, in quanto era pacifico, come del resto gli stessi Rispoli avevano spiegato in causa, di non aver potuto riscuotere presso quell'ufficio provinciale del (1) E' esatto il principio affermato dalla Cassazione, che ha accolto la tesi dell'Amm.ne, rifiutata sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello. Trattasi di eccezione (art. 302 Reg. cont. gen. Stato) alla regola che il titolo di spesa unico, quando unica la causa del pagamento. Sono considercati individuali i mandati emessi per somma indivisa, anche se sia 'rfohesta la quietanza di pi persone (art. 282 Reg. cit.; cfr. ROSTAGNO, Contabilit di Stato, vol. III, Milano, s.d., 14). Sul concetto di atto legale che attribuisca specificatamente le rispettive quote agli aventi diritto alla successione , di cui all'art. 302 cit. Reg., v. l'art. 383 delle Istruzioni generali sui servizi del Tesoro, appr. con D. M. 30 giugno 1939: Nei casi in cui debba procedersi alla ripartizione fra gli eredi delle somme cadute in successione, l'Amministrazione o l'Ufficio ordinatore pu ritenere documenti validi allo scopo le copie dei testamenti, da cui risultino specificatamente attribuite agli eredi stessi le rispettive quote. Possono pu- re servire gli atti di divisione dell'eredit, prodotti in forma autentica e le sentenze divenut,e esecutorie, a norma dell'art. 561 del codice di procedura civile dell'anno 1865, anche in confronto dell'Amministrazione come terzo, ove contengano l'attribuzione delle quote ai singoli eredi. Sugli ordinativi di pagamento. v. GRECO, L'ordine amministrativo di pagamento e il diritto del creditore, Riv. Corte dei Conti, 1953, I, 7 e segg.; PUGLIESE, Mandato amministrativo di pagamento in N. Dig. Ita- liano, vol. VIII, Torino 1939, 56 e segg. F. C. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE tesoro la somma di lire 140.330 (di cui al mandato individuale emesso a favore di tutti gli eredi del defunto Rispoli Vincenzo) per il rifiuto opposto dalla coerede Enrichetta Rispoli. Se, dunque, unicamente la mancata cooperazione di uno dei coeredi aveva reso impossibile la riscossione, conseguiva evidente che l'amministrazione, estranea ai rapporti interni tra gli stessi coeredi, una volta evocata in giudizio, a ragione invocava dal giudice di merito che venisse chiaramente indicata nella statuizione, perch potessero ritenersi soddisfatte le condizioni richieste dall'art. 302 del regolamento di contabilit generale dello Stato, l'attribuzione specifica di quota. Risultato questo, che si sarebbe potuto facilmente raggiungere o con l'indicare la somma precisa da attribuire (col titolo di spesa parziale) a ciascun coerede o con lo specificare la quota dell'avente diritto, dalla quale quota l'Amministrazione avrebbe poi potuto, con una semplice operazione aritmetica di divisione, determinare quella somma. Di tutto ci la Corte del merito non si dato carico, perch, omettendo al riguardo ogni specifica indagine, nonostante che sul punto fosse stata proposta specifica censura, ha confermato. sostanzialmente la pronuncia del Tribunale, il quale si era limitato, come si detto in narrativa, a dichiarare che i Rispoli avevano. diritto ad ottenere il pagamento frazionato merc mandati di pagamento parziali, da emettere in favore di ciascuno di loro, per le rispettive quote (non indicate) del rateo di pensione gi spettante al defunto Vincenzo Rispoli. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, per il rilevato difetto di motivazione su punto decisivo della controversia. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1964, n. 233 -Pres. Pece -Est. Giannattasio -P.M. Maccarone (conf.) -Mini stero della Sanit c. Nuvola. Farmacia -Concessione farmaceutica -Diritto del concessionario allo esercizio esclusivo della concessione -Diritto condizionato all'in teresse pubblico -Revocabilit della concessione -Differenza tra revoca e decadenza. (t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 104 e segg.; reg. 30 settembre 1938, n. 1706, artt. 1 e segg.). Farmacia -Concessione farmaceutica -Decadenza -Effetti della illegittima dichiarazione di decadenza -Risarcimento dei danni -Competenza del G.O. 328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ct.u. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 113; reg. 30 settembre' 1938, n. 1706, 328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ct.u. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 113; reg. 30 settembre' 1938, n. 1706, artt. 57 segg.). Responsabilit civile -Responsabilit della P.A. per atti dei suoi funzionari e dipendenti lesivi di diritti -Responsabilit diretta. CCost,, art. 28; e.e. art. 2043). La cosiddetta autorizzazione ad aprire ed esercitare una farmacia integra in realt una concessione, essendo prestabilito il numero delle farmacie ed essendo la titolarit di esse conferita in seguito a concorso a cittadini iscritti nell'albo professionale, (fotati di mezzi sufficienti, con i conseguenti obblighi da osservare sotto la vigilanza della Pubblica Amministrazione. Dalla concession farmaceutica sorge per il titolare un diritto alla conservazione ed all'esclusivo esercizio della &mcessione medesima, condizionato all'interesse pubblico e perci destinato a venir meno per effetto di revoca da parte della P.A., quando la concessione non risponda pi alle pubbliche esigenze. Al di fuori del caso di revoca discrezionale, per causa di pubblico interesse, l'estinzione del rapporto pu aver luogo per il sopravvenire di una prevista causa di decadenza e di una pronuncia dichiarativa della P.A. (1). (1) In senso conforme v. Cass., 24 agosto 1948, n. 1548, Giur. compl. Cass. Civ., 1948, 2 quadr., 746 e Foro it., 1949, I, 244. In dottrina si annoverano fra le concessioni (sul concetto v. RANELLETTI, Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni anim.ve, Giur. it., 1894, IV, 7 e segg.; FORTI, Natura giuridica delle concessioni amm.ve, Giur. it., 1900, IV, 369 e segg.; VITTA, Diritto Amm.vo, vol. I, Torino 1949, 347 e segg e 359 e segg.) gli atti che attribuiscono ad un privato l'esercizio di una determinata attivit professionale in un campo in cui cotesto esercizio non sia libero. a tutti sotto certi requisiti (poich allora si rientrerebbe nel regime delle autorizzazioni), ma bens chiuso, perch il numero dei posti sia stabilito dalla legge o dall'amministrazione pubblica e la nomina dei titolari venga lasciata alla scelta della stessa amministrazione, sia pure dietro concorso. Ci, naturalmente, accade per professioni alle quali sia collegato un pubblico interesse particolarmente grave, s da dovere eliminare la libera concorrenza (VITTA, op., val. cit., 350) ed in tale categoria si fa rientrare la c.d. autorizzazione prevista dall'art. 104 T.U. 27 luglio 1934, n. 1265 (VITTA, op., val. cit., 335 e 350; Id., op. cit., vol. II, Torino 1950, 142, nota 1), che viene qualificata come concessione costitutiva, in quanto non si risolve nell'attribuzione di facolt o po test inerenti a diritti dell'Amministrazione, ma fa sorgere in deter minati soggetti diritti creati ex novo (SANDULLI, Manuale di dir. anzm.vo, Napoli 1955, 281) e distinta dalla concessione di pubblico servizio o pub blica impesa (VITTA, op. cit., vol. I, 350-351). Sull'argomento v. anche FALZONE, Le farmacie, Palermo 1948. In ordine alla subordinazione del c. d. diritto all'esclusivo esercizio di una determinata attivit data in con 329 PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE L'atto della P.A., che pronuncia la decadenza dalla concessione farmaceutica per una delle causa tassativamente previste dall'art. 113 T.U. n. 1265 del 1934, vincolato e si limita ad accertare una situazione obiettiva, epper, se l'Amministrazione, con la sua pronuncia, faccia valere un'ipotesi insussistente o non prevista di decadenza, si ha una misura illegittima, che costituisce violazione del diritto soggettivo alla conservazione ed all'esercizio della concessione, con la conseguenza della responsabilit per il danno economico che ne sia derivato al concessionario, da far valere innanzi all'Autorit giudiziaria ordinaria, quanto meno dopo l'annullamento dell'atto illegittimo da parte dei competenti organi amministrativi (2). cessione al pubblico interesse, in vista del quale codesto esercizio stato sottratto all'iniziativa privata , nonch sulla normale revocabilit della concessione ogni qual volta l'esercizio eccezionale dell'attivit da parte del privato si ponga in contra'sto col pubblico interesse ed infine sulla inapplicabilit, in caso di revoca, del principio privatistico di cui all'art. 2043 e.e. v. Cass., Sez. Un., 2 aprile 1959, n. 972, Foro it., 1959, I, 762, con nota di richiami; in part. 767; v. anche Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1961, n. 2481, Giust. Civ., 1961, I, 1712, ove si ribadisce (1721) che la revoca di una concessione non pu... costituire, di per s, titolo al risarcimento di danni a carico dell'Amministrazione ed a favore del concessionario. (2) La classificazione dell'art. 113 t.u. n. 1265 del 1934 fra le norme di relazione (sulla nota distinzione fra norme di azione e norme di relazione e sulle conseguenze v. Gu1ccIARDI, La Giustizia Amministrativa, Padova 1954, 33 e segg.; 453 e segg.) e l'affermazione che la pronuncia di decadenza dalla concessione farmaceutica sia sempre un atto vincolato, in quanto si limita ad accertare una situazione obiettiva, avrebbero meritato una indagine pi approfondita. Gi a proposito delle c.d. concessioni- contratto (su cui v. Cass. 23 febbraio 1954, n. 521, Giust. Civ., 1954, I, 410 e segg., in part. 412; 7 aprile 1956, n. 1014, Foro it. 1957, I, 917; per la critica del concetto v. VITTA, Dir. amm., vol. I, cit., ed. 1949, 359 e segg.; ed. 1962, 397 e segg.), principio fondamentale che l'autolimitazione che la P.A. apporta al suo potere d'imperio non pu essere mai assoluta: ad essa esiste un limite, oltre il quale non pu andare, ed quello che, varcato, condurrebbe alla negazione completa degli stessi fini pubblici, che l'ente chiamato a conseguire e tutelare e ai quali, quindi, non pu rinunciare, senza rinunciare ad una parte almeno delle ragioni della propria esistenza. E anche quando, per un errore di previsione o di conoscenza della realt, abbia varcato questo limite essenziale alla propria esistenza, 1'.eccesso di detta facolt di autolimitazione, che l'ente ha posto in essere di fronte ad uno o pi subietti di diritto, deve conside .. rarsi come illegittimo e perci non vincolante e l'ente pu ritornare a far uso del potere d'imperio (Cons. Stato, IV Sezione, 17 febbraio 1942, Giur. it., 1952, III, 114 e seg.), onde si ammette la possibilit di una decadenza propriamente detta, attuata anch'essa da un potere discrezionale (Cons. Stato, dee. cit., Ibidem, 110; v. anche Cass., Sez. Un., 11 giugno 1963, n. 1559, Foro it., 1963, I, c. 1926, nella motivazione). La valutazione del pubblico interesse , infatti, una potest tipicamente discrezio 330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I0 Anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 28 della Costituzione, rimasto fermo il principio secondo il quale la responsabilit della P.A. per atti dei suoi funzionari e dipendenti, i quali ab,; ~, . nale (sul concetto di discrezionalit v. GARGIULO, I provvedimenti d'urgenza, Napoli 1'954, 76 e segg.), anche se esercitata mediante valutazione di inadempienza del concessionario e la disciplina contrattuale che si accompagna all'atto di concessione non altera, n diminuisce la posizione di preminenza che compete all'ente, per l'attuazione delle esigenze pubbliche cui l'atto di concessione soddisfa (Cons. Giust. Amm.va Reg. Sic., 3 marzo 1955, n. 38, Il Consiglio di Stato, 1955, I, 381). Ma a maggior ragione per le concessioni unilaterali (sarebbero bilaterali, secondo la Corte di Cassazione, quelle traslative, cfr. sent. 23 febbraio 1954, n. 521, gi citata, Giust. civ., 1954, 412), nelle quali il titolare non pu vantare diritti soggettivi perfetti e non ha neppure l'azione ordinaria per la tutela dei suoi interessi, che rimane affidata unicamente alla giurisdizione amministrativa (Cass., 23 febbraio 1954, n. 521, cit., Giust. civ., 1954, I, 411), la figura di una decadenza in esecuzione di una facolt discrezionale pu ricorrere, in concreto, quante volte, pur se la causa di decadenza sia espressamente prevista da una norma, questa ultima, nel fare riferimento all'inadempimento del concessionario, lasci, tuttavia, alla P.A. di valutarne, volta a volta, l'importanza in rapporto alle preminenti e concrete ragioni di tutela dell'interesse pubblico. Sempre pu dirsi, allora, correttamente, che, di fronte a quel potere della P.A., il concessionario non pu vantare pi che un interesse legittimo (Cons. Stato, IV Sez., 17 febbraio 1942, cit., Giur. it., 1942, III, 110). Orbene, questo era proprio il caso di specie, nel quale la decadenza era stata pronunciata ai sensi dell'art. 113, lett. E, cit. t.u. n. 1265 del 1934 (che prevede lo scioglimento del rapporto per constatata, reiterata o abituale negligenza e irregolarit nell'esercizio della farmacia, o per altri fatti imputabili al titolare autorizzato, dai quali sia derivato grave danno alla incolumit individuale o alla salute pubblica ) e rispetto al quale era stato avvertito che di fronte al potere discrezionale della P.A., che certamente sussiste, non c' un diritto del privato, che si affievolisce, ma soltanto un interesse al legittimo esercizio di quel potere, la lesione del quale non pu dar luogo a risarcimento del danno (Relaz. Avv. dello Stato, 1956-1960, v.ol. II, Roma 1961, 165). Per la proponibilit contro la P.A. dell'azione risarcitoria non sufficiente la decisione di annullamento di un atto illegittimo da parte del giudice amministrativo, ma occorre che dall'atto, la cui illegittimit sia stata accertata, sia derivata una lesione di un diritto soggettivo (Cass., Sez. Un., 6 agosto 1962, n. 2418, Foro it., 1963, I, 66; v. anche Cass., Sez. Un., 11 giugno 1963, n. 1559, Ibidem, I, 1925 e 1926). Contro la tesi dottrinale della risarcibilit degli interessi legittimi (cfr., per tutti, MIELE, Risarcibilit dei danni derivanti da ingiusta lesione d'interessi legittimi ad opera della pubblica amministrazione, Foro it., 1963, IV, 23 e segg.) v. FOLIGNO, La pretesa responsabilit della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, Ibidem, 81 e segg. Il SANDULLI, Lesione di interesse legittimo e obbligazione risarcitoria della pubblica amministrazione, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1963, 1279 e segg., riconosce ~he per la generalit degli in PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 331 biano agito nell'ambito dei compiti ad essi affidati e non per fini propri, diretta, per fatto proprio (3). teressi legittimi vantati nei confronti della pubblica amministrazione la tutela dell'ordinamento, pur essendo da considerare non di diritto oggettivo, non si estende al piano patrimoniale, poich le norme da cui nascono gli interessi legittimi sono dettate essenzialmente in funzione della disciplina dell'azione della pubblica amministrazione ... e non della disciplina di rapporti intersoggettivi (ivi, 1290), ma ritiene difficile negare la risarcibilit di interessi legittimi aventi funzione strumentale rispetto a corrispondenti diritti soggettivi: interessi alla preservazione di diritti soggettivi nei confronti di poteri amministrativi idonei ad incidere su di essi, estinguendoli o limitandoli, ed interessi alla realizzazione della piena espansione di diritti soggettivi , sottoposti a controlli preventivi non liberi nell'an o a provvedimenti permissivi dovuti nel concorso di determinate condizioni (ivi, 1291). Il chiaro A. avverte, per, che, in mancanza di una determinazione tuttora non raggiunta di ci che debba considerarsi interesse giuridicamente protetto ai fini dell'applicazione dell'art. 2043 e.e., si tratta di intuizioni e di spunti -e quindi di suggerimenti provvisori -piuttosto che di dimostrazioni e di punti di arrivo (ivi, 1289). Sembra un dato sicuro, tuttavia, che, se la fattispecie del fatto illecito, cui ha riguardo l'art. 2043 e.e., e alla quale questo collega come conseguenza l'obbligo del risarcimento... del danno soltanto quella del fatto dell'uomo, doloso o colposo, che abbia provocato un danno ingiusto (SANDULLI, op. cit., 1282) e, se danno ingiusto e risarcibile quello provocato dai funzionari e dipendenti pubblici soltanto con atti compiuti in violazione di diritti (art. 28 cost.), non possa negarsi che, agendo la P.A. proprio e solo attraverso l'operato dei suoi funzionari e dipendenti, la fattispecie dell'illecito di costoro, produttiva di responsabilit civile nei confronti del danneggiato, coincida con quella dell'illecito della P.A., produttiva della responsabilit civile della medesima. La Costituzione proclama l'indefettibilit della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei cittadini (artt. 24 e 113); ma di responsabilit civile dello Stato e degli enti pubblici parla soltanto con riferimento all'attivit dei loro organi lesiva di diritti e, perci, non sembra possibile alcun equivoco interpretativo, n si vede come possa parlarsi di un ampliamento della tutela risarcitoria, al di l di tale limite obiettivo, senza supporre che ci involga una mo difica del positivo dettato costituzionale. (3) Cfr. Cass., Sez. Un., 4 gennaio 1964, n. 3 in questa Rassegna, 1964, 318, ed ivi nota (sub 3) di richiami. F. C. SEZJONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. pl., 11 novembre 1963, n. 19 -Pres. Bozzi -Est. Meregazzi -Tuccio c. Ministero P.I. Collegio -Organo collegiale amministrativo -Elezione dei componenti Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei -Impugnativa del risultato della elezione da parte degli elettori -Difetto d'interesse -Fattispecie. Collegio -Organo collegiale amministrativo -Elezione dei componenti -Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei -'Decisivit dei loro voti -Impugnativa del risultato della elezione da parte degli eleggibili -Ammissibilit -Fattispecie. Collegl.o -Organo .collegiale amministrativo -Elezione dei componenti -Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei Elezione ultimata e proclamata -Impugnativa -Interesse a ricorrere -Attualit. (1. 30 dicembre 1947, n. 1477, art. 12, 2 comma; 1. 2 agosto 1957, n. 699). L'elettore di un collegio amministrativo non titolare di un interesse legittimo da tutelare, ove alla votazione abbiano partecipato soggetti ritenuti estranei al corpo elettorale (nella specie: partecipazione dei professori di religione, ritenuti estranei alla categoria dei professori incaricati abilitati per eleggere il Consiglio Superiore della P.I.) (1). (1-3) La impugnativa dell'elezione da parte dei componenti dei corpi eligenti amministrativi. La decisione contiene diverse affermazioni di indubbia esattezza. Su di esse ci soffermeremo per un breve commento. La legge 2 agosto 1957, n. 699 attribuisce ai professori incaricati abilitati il diritto di eleggere un rappresentante della categoria in seno alla seconda sezione del Consiglio superiore della p.i. L'ordinanza emessa dal Ministro della p.i., in esecuzione dell'art. 12, 2 comma della legge 30 dicembre 1947 n. 147], riconosce quel diritto anche ai professori di religione; i quali, pertanto, hanno partecipato all'elezione, ed i loro voti sono stati decisivi per la designazione del rappresentante. Un candidato, risultato non eletto, appena venuto a conoscenza dell'esito della votazione, ha impugnato l'ordinanza ministeriale laddove prevedeva PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 333 Il candidato alle elezioni di un collegio amministrativo titolare di un interesse legittimo da tutelare, ove alla votazione abbiano partecipato soggetti ritenuti estranei al corpo elettorale, il cui voto sia risultato decisivo per la designazione dell'eletto (nella specie: partecipazione, alla votazione eseguita dalla categoria dei professori incaricati abilitati, dei professori di religione, il cui voto risultato decisivo per l'elezione) (2}. Sussiste in forma attuale la lesione dell'interesse per impugnare l'esito della elezione per un vizio del procedimento elettorale (partecipazione di soggetti ritenuti estranei) nel momento in cui l'elezione ultimata e ne proclamato l'esito (3). la partecipazione alla votazione dei professori di religione, non com presi, a suo dire, nella categoria dei professori incaricati abilitati. Il Consiglio di Stato ha ritenuto il ricorrente privo, nella qualit di elettore, di un interesse legittimo, mentre lo ha riconosciuto, nella qualit di eleggibile, titolare di un interesse legittimo, che in via astratta pu essere leso dalla partecipazione di soggetti estranei (professori di religione) alla votazione (in concreto la lesione non stata esami nata per ragioni procedurali); ed ha precisato che la lesione stessa diviene attuale appena la elezione ultimata e proclamata. Come rilevasi, il Consiglio di Stato, riconfermando la sua prece dente gi'urisprudenza (Sez. VI, 31 ottobre 1962, n. 746, Il Consiglio dt Stato, 1952, I, 1680), ha risolto interessanti questioni inerenti ai collegi elettorali, tra le quali rientrano la consistenza ed i limiti della situazione soggettiva dei componenti di tali collegi, la legittimazione all'impugnativa e il concetto di elezione, rilevante ai fini dell'attualit della lesione dell'interesse. Le accennate questioni si ricollegano alla nozione di corpo eligente. Come noto, i collegi (amministrativi) vnno distinti dai corpi eli genti. Il collegio (amministrativo) consiste in una riunione di persone che formano e manifestano una deliberazione, cio un atto che ha un procedimento di formazione (proposta, discussione, voto), regolato da speciali principi (unitas actus, sistema di relazione giuridiche fra collegio e componenti): collegio e deliberazione sono due nozioni correlative e inscindibili. Il collegio un'istituzione che ha una propria individualit, concreta e visibile; un'organizzazione di persone e, come tale, un ordinamento che non si identifica con le singole norme, ma le comprende e nello stesso tempo le precede e le trascende. Il corpo eligente, invece, consiste nella somma dei singoli elettori, non essendo possibile individuare una nota caratteristica che avvinca questi ultimi in un insieme a s stante. Si tratta di una somma arit metica di persone; di una pluralit, e non di una unit.. E ci percM non esiste un sistema di norme che unisca i singoli, n esiste, di conse guenza, una entit che esprima le ragioni della coesistenza e del si stema in cui gli elettori si pongono. Non esiste una organizzazione; non esiste un ordinamento. I corpi eligenti non sono istituzioni; non sono collegi. Sono corpi eligenti, ad es. i c.d. collegi elettorali politici; i c.d. collegi elettorali amministrativi (provinciali e comunali); i collegi di docenti universitari per la elezione dei componenti delle commissioni di concorso (I. 13 luglio 1954, n. 439). Rientra in tale categoria 334 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Il ricorso tuttavia inammissibile per le ineccepibili ragioni gi esposte dalla VI Sezione nella decisione 31 ottobre 1962, n. 746, su identico ricorso proposto dal prof. Coltellacci: ragioni, che l'Adunanza plenaria non pu non condividere. Invero; nella qualit di elettore, come professore incaricato abilitato, il prof. Tuccio non difende un suo interesse personale qualificato, dacch il suo diritto al voto non negato dalla impugnata Ordinanza ministeriale, n comunque contestato od impedito. Egli fa valere un interesse di categoria e, come tale, diffuso, generico, non specifico ed individuale, privo, cio, di quella tutela giuridica che legittima la posizione del gravame. la pluralit dei professori incaricati abilitati per la elezione del Con6iglio superiore della p.i.. Deve ora individuarsi la situazione soggettiva di cui i singoli mem bri sono titlari in seno ai corpi eligenti. I corpi eligenti sono sorti e si sono sviluppati nelle collettivit associate, nelle quali l'interesse individuale dei singoli non si pu sepa rare dall'interesse generale della collettivit, essendo l'un e l'altro indissolubilmente uniti: ben vero il singolo legato alla collettivit da un rapporto particolare: legittimato a partecipare, a collaborare alla vita attiva (politica, amministrativa) della comunit; ha un interesse che non in contrasto, bens in corrispondenza con l'interesse collettivo, essendo questo l'astrazione degli interessi individuli. In tal senso egli partecipa dell'interesse collettivo. Laddove un interesse individuale esiste in cos alta misura da coincidere con quello della comunit, il suo riconoscimento possibile: in tali casi ha luogo da parte della norma la fissazione giuridica dell'interesse individuale alla partecipazione. La situazione giuridica che per effetto di tale .riconoscimento ha luogo, ha per presupposto non un interesse individuale, come nel diritto soggettivo, bens il rapporto di partecipazione ora messo in evidenza, ed assume perci una propria struttura: essa consiste in una posizione giuridica che attribuisce al singolo la titolarit di un munus pubblico. In tal modo la sua capacit che viene ad essere ampliata, ricevendo una propria qualificazione: una qualificazione di diritto pub blico. Il munus consiste in una posizione giuridica, caratterizzata da una capacit che specificata in una particolare direzione: di operare, cio, nell'interesse collettivo. I munera, per, nel campo ora in esame, sono generali. Essi, infatti, vengono attribuiti ai singoli componenti della collettivit, e perci sono uniformi ed omogenei. Ciascun componente ha un proprio munus, ma il munus di ciascuno non autonomo e indipendente dai mu nera degli altri, bens con questi collegato da un rapporto di neces saria co-esistenza e necessario co-esercizio; ogni munus coesiste con gli altri e viene esercitato insieme con gli altri, cio corporativamente. Si pu cos parlare di munera collegiali. Sul presupposto del munus, a ciascun membro appartengono par ticolri attribuzioni (potest); cos egli legittimato a intervenire nelle riunioni, a esprimere il voto. Laddove l'esercizio di tali potest viene consentito, non si verifica una lesione della situazione soggettiva. Nel :~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Siffatta legittimazione il Collegio, in casi analoghi, non ha riconosciuto persino ai rappresentanti, debitamente eletti, delle Associazioni sindacali di categoria: tanto meno pu riconoscerla al prof. Tuccio, che non riveste neppure tale qualit, ma agisce come semplice professore incaricato abilitato. E' invece titolare di un interesse legittimo qualificato il prof. Tuccio nella veste di candidato eleggibile alla II Sezione del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, in rappresentanza della categoria dei professori incaricati abilitati, in una delle liste in lizza: e quindi in tale qualit legittimato a ricorrere. Senonch, alla data della notificazione del ricorso il prof. Tuccio era privo di un interesse attuale al ricorso; tale ['elettore la posizione giuridica consiste e si estrinseca nelle potest ora accennate, e solo in esse. Nel candidato all'elezione la posizione consiste non solo nella po test di intervenire e di esprimere il voto, ma anche nella possibilit di essere eletto in base a un particolare procedimento. Ove quindi tale procedimento si svolga in modo non conforme alla norma, pu veri ficarsi una lesione della posizione soggettiva del candidato. Ne consegue che il membro legittimato a impugnare l'elezione solo in quanto abbia subito una lesione delle potest di cui titolare; pu far valere le sue pretese perch gli venga riconosciuto il suo munus e perch vengano rispettate le attribuzioni correlative: in tali li miti va circoscritto il pregiudizio che lo legittima all'impugnazione. Pi precisamente, questa ammessa per vizi del procedimento elettorale, in quanto incidono sulla posizione giuridica del membro, ledendo le sue potest collegiali: cos nell'elettore se gli viene negata la potest di esprimere il voto; nel candidato all'elezione, se vi partecipano estra nei il cui voto risulti decisivo. Occorre ora esaminare l'altra questione accennata nella decisione, e cio il momento in cui, nell'ipotesi considerata (partecipazione di estranei alla votazione), diviene attuale, per il candidato, la lesione dell'interesse; e ci va fatto in relazione alla specie del vizio denun dato, che assume rilievo diverso nei collegi e nei corpi eligenti. Nei primi la composizione del collegio ha un rilievo a s nel procedimento collegiale, ha una propria struttura, venendo regolata, come si detto, da apposite norme (unitas actus, relazioni giuridiche tra componenti e collegio, ecc.). Da essa si distingue la votazione che regolata da norme diverse. L'una riguarda il collegio che un'entit a s; l'altra riguarda la formazione della volont, l'atto collegiale. La partecipazione all'adunanza di componenti illegittimamente investiti o la esclusione di compo nenti non invitati determinano un vizio che inerisce alla composizione del collegio, alla organizzazione funzionale del soggetto agente, e non ri guardano la formazione della volont. La deliberazione viene a risultare illegittima in seguito a un vizio che colpisce il soggetto, non l'atto. Nei corpi eligenti, invece, la composizione non ha un autonomo rilievo in seno al procedimento collegiale; non ha una propria struttura; il corpo eligente una pluralit di elettori che non assurge come si detto, a entit soggettiva a s, a soggetto agente. Le variazioni che, con la partecipazione di es,tranei o con l'esclusione di elettori, in esso si verificano, 336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO interesse -come esattamente osserv la VI Sezione nella citata decisione -potendosi in lui maturare solo quando, ultimati gli scrutinii, egli non fosse risultato eletto . Ora, in esecuzione dell'Ordinanza ministeriale 3 aprile 1962, le elezioni ebbero luogo 1'8 giugno 1962 e gli scrutinii delle appo~ site Commissioni ebbero termine il 14 giugno, cio il giorno dopo la notificazione del ricorso Tuccio : i risultati nazionali definitivi vennero pubblicati sul Bollettino Ufficiale del Mini !Stero della Pubblica Istruzione del 5 luglio 1962. Il primo ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inam missibile. (Omissis). Il prof. Tuccio sostiene, in primo luogo, per salvare il primo ricorso che il termine decorre dalla data delle elezioni, mentre ovvio che esso decorre, invece, dalla data di pubblica zione dell'esito delle votazioni; in via subordinata relativamente al secondo ricorso, assume che il termine decorre dalla data di emanazione del D.M. 14 settembre 1962. L'Avvocatura oppone che, anche a voler ade;rire alla tesi del ricorrente, il primo ricorso, notificato il 17 novembre-4 dicembre 1962, sarebbe comunque irricevibile; senonch l'eccezione non ha fondamento, dacch il termine di impugnazione decorrerebbe pur sempre dalla data non hanno rilievo autonomo; hanno rilievo invece solo in quanto inci dono sulle elezioni, facendo alterare, in seguito alla prova di resistenza, il risultato. 'Fin quando l'effetto giuridico (elezione) non si verifica, non ha luogo, in modo attuale, la lesione, che, sulla posizione giuridica dei singoli elettori, sia stata determinata con la partecipazione di estranei. Occorre qui rilevare che quell'effetto non nasce dai singoli atti di voto, e cio da un atto giuridico nel quale le singole manifestazioni di voto vengono a fondersi. E' invece l'ordinamento che fa nascere quel certo effetto (elezione) dalla situazione di mero fatto costituita dal risultato che d la somma dei singoli voti. Di conseguenza, soltanto dopo che l'effetto si verificato, pu precisarsi la rilevanza che i singoli voti. espressi da estranei, abbiano avuto nella determinazione del risultato (elezione). Se tali voti, una volta at tribuiti alla minoranza, non mutano il rapporto tra maggioranza e minoranza, essi vengono a trovarsi in una situazione di giuridica inutilit; se invece una volta attribuiti, mutano tale rapporto, essi vengono a trovarsi in una situazione di giuridica rilevanza: nel primo caso i voti sono inutili, e la elezione va dichiarata valida; nel secondo caso sono decisivi e l'elezione va caducata (pi ampiamente cfr. GARGIULO, I collegi amministrativi, ed. Iovene, 309). Esattamente perci il Consiglio di Stato ha ritenuto, sia pure implicitamente, sussistere la lesione della posizione giuridica del candidato perch i voti degli estranei (cos ritenuti i voti dei professori di religione) erano risultati decisivi per l'elezione; e del pari esattamente ha ritenuto sussistere l'attualit della lesione allorch l'elezione stata ultimata e proclamata. U. GARGIULO 337 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA in cui il decreto ministeriale divenuto efficace mediante la registrazione a!Ja Corte dei Conti, cio dal 31 ottobre 1962, e rispetto a questa data il ricorso sarebbe tempestivo. Devesi piuttosto rilevare che, esaurita la complessa pro cedura relativa agli scrutini ed alla decisione dei reclami, l'esito r,}efinitivo delle elezioni, come si visto, fu pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero della P.I. del 5 luglio 1962, n. 27, e che un'apposita avvertenza precisava che la pubblicazione sul Bollettino ufficiale ha valore di notifica , soggiungendo che a tal fine la data di notifica la seguente: 23 luglio 1962 . Si intende che la pubblicazione sul Bollettino ufficiale ha valore ed efficacia di notificazione per i dipendenti del Ministero della P.I. in servizio: ed in tale posizione si trovava il prof. Tuccio. Jl ricorso, notificato quattro mesi dopo, si palesa quindi irricevibile. CONSIGLIO DI STATO, Ad. pi., 11 novembre 1963, n. 18 -Pres. Bozzi -Est. Valitutti -Terranova c. Prefetto di Siracusa. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Decisione clel CQnsiglio di Giustizia .amministrativa per la Regione Siciliana Decorrenza del termine del ricorso in appello -Notificazione -Forme -Applicabilit degli artt. 3 e 81 r.d. 17 agosto 1907, n. 642. (r.d. 17 agosto 1907, n. 642, artt. 3 e 81; d.l. 8 maggio 1948, n. 654, art. 5). La notifica delle decisioni, emesse dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, deve essere eseguita, ai fini della decorrenza del termine per il ricorso in appello alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nelle forme previste dagli artt. 3 e 81 r.d. 17 agosto 1907, n. 642, e cio alla parte interessata, e non al procuratore costituito in giudizio (1). (1) Il Consiglio di Stato ha per la prima volta esaminato. le forme di notifica delle decisioni del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana avverso le quali sia ammissibile l'appello, ed ha affermato che la notifica deve essere effettuata secondo le norme delle leggi del Consiglio di Stato, richiamate dall'art. 5 del d.l. 6 maggio 1948, n. 654, e cio alla parte interessata, e non al procuratore costi tuito in giudizio, non essendo applicabile l'art. 285 c.p.c. Ne consegue che le decisioni, per quanto riguarda l'Amministrazione statale, devono essere notificate all'Amministrazione interessata, e non presso l'Avvocatura dello Stato (cfr. Ad. pl. 15 gennaio 1960, n. 1, Il Consiglio di Stato, 1960, I, 225). Cfr., anche, per la notifica della decisione della G.P.A. in s.g., ai fini della decorrenza del termine per la impugnativa, Sez. V, 9 luglio 1956, n. 575, Il Consiglio di Stato, 1956, II, 933. 338 RASSEGNA DELL1AVVOATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 30 ottobre 1963, n. 651 -Pres. D'Avino -Est. Granito -Soc. Montecatini c. Prefetto di Roma e Comune di Roma. Piano regolatore -Piano regolatore di :Roma -Piano particolareggiato Durata -Termine -Proroga ::1lla data di approvazione del nuovo piano regolatore generale. . uromosso l'annullamento giudiziale della licenza ad ottenere l'emanazione ~i tali provvedimenti (ed eventualmente l'abbattimento della costruzione\ Deve, al contrario, ribadirsi il concetto, gi espresso dal SANDULLI (S'Jt mezzi di tutela giurisdizionale del terzo danneggiato da una licenze:. <'-dilizia illegittima, Riv. amm. 1957, 520), secondo il quale, se il potere comunale in materia edilizia un potere di polizia, in relazione al suo eserci?.io i terzi non possono vantare n un diritto soggettivo, n un interesse legittimo, e perci non sono tutelati in alcuna pretesa. Con la ser,onda massima il Consiglio di Stato riconferma la sua giurisprudenza (Sez. V, 19 aprile 1958, n. 245, Riv. giur. ed., 1958, 407), rivolta ad ammettere, nel caso d'inerzia del Comune, obbligato ad eliminare la situazione illegale derivante dall'annullamento di una licenza edilizia, il controllo sostitutivn da naite dell'autorit prefettizia che puo nominare un commis=.rio. (Re:r. V. 2 luglio 1962, n. 552, Riv. giur. ed. 1962, I, 1109; Sez. V. 1. dicembre 1962, n. 935, riv. cit. 1963, 98, e giur. ivi cit.). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 352 deve dichiarare il Comune, rimasto inattivo, obbligato ad eliminare la situazione irregolare, caratterizzata dalla costruzione abusiva, prefiggendogli un termine, decorso il quale l'autorit tutoria pu intervenire col controllo sostitutivo (2). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 novembre 1963, n. 887 -Pres. Breglia -Est. Brignola -Ricci c. Ministero Finanze. Contratti pubblici -Licitazione privata -Offerte -Offerte verbali -Ammissibilit -Fattispecie . Contratti pubblici -Licitazione privata -Gara andata deserta -Rin novazione -I~viti -Limitazione a talune ditte -Motivi fondati -Obbligo di precisazione dei motivi negli inviti -Non sussiste. Contratti pubblici -Licitazione privata -Durata di un'ora -Abbreviazione per mancanza di concorrenti -Legittimit. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 69, 89). La licitazione privata, ai sensi dell'art. 89 r.d. 23 maggio 1924, n. 827 sulla Contabilit Gene.raie dello Stato, pu svolgersi mediante presentazione di offerte verbali, e tale modalit non in alcun modo limitata dalla legge. Pertanto illegittimo il provvedimento che, in sede di approvazione, annulla la gara, motivato dal richiamo generico che in relazione all'oggetto della licitazione le offerte verbali dovessero ritenersi inammissibili (1). Nel caso che una gara, andata deserta, venga rinnovata, la p.a. ha il potere discrezionale di limitare, per fondati motivi, la partecipazione a talune ditte, senza che i motivi stessi vengano dichiarati nell'invito (2). La durata della gara, che ai sensi degli artt. 69 e 89 r.d. n. 827 si deve protrarre per un'ora, pu anche essere abbreviata, allorch, rimasto in gara un solo concorrente in seguito alla esclusione degli altri, non sussiste la possibilit di un ulteriore concorso nello spazio di tempo necessario per raggiungere la durata di un'ora (3). (1-3) Le tre massime si informano ad esatti principii, anche se su di essi, per la particolarit della specie decisa, non risultano precedenti. Occorre, tuttavia, rilevare che la licitazione era viziata da altro aspetto, relativo cio all'organo legittimato a procedere alla gara, rientrando questa nella competenza dell'Ufficio del Registro e non dell'Intendenza di Finanza ai sensi dell'art. 2 d.P.R. 4 febbraio 1955, n. 72; per tale motivo, ove sussista un interesse pubblico all'annullamento, la licitazione potrebbe non essere approvata. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 353 CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 4 dicembre 1963, n. 951 -Pres. D'Avino -Est. Anelli -Cella c. Ministero P.I. Demanio -Demanio storico e artistico -. Provvedimento di vincolo Motivazione -Criteri -Fattispecie. (L. 1. giugno 1939, n. 1089, art. 1). L'imposizione del vincolo di interesse storico e artistico, presuppone un giudizio tecnico discrezionale, che deve essere congruamente motivato attraverso l'indicazione e la specificazione del tipo di interesse che giustifichi il provvedimento. Pertanto legittimo il provvedimento la cui motivazione consenta di individuare gli elementi (quali i pregi artistici o gli avvenimenti storici) che caratterizzano l'importanza dell'immobile vincolato, mentre illegittimo il provvedimento che, nell'imporre il vincolo ad un terreno annesso ad un palazzo, si limita al rilievo, meramente quantitativo, dell'intensit della vegetazione e dell'ampiezza dell'area (1 ). (1) Giurisprudenza costante; cfr., da ultimo, Sez. VI, 23 ottobre 1963, n. 774, Il Consiglio di Stato, 1963, I, 1456 e giuris. cit. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 118 -Pres. ' Rossano -Est. Caporaso -P.M. Maccarone (conf.) De Pompeis c. Finanze. Imposte e tasse in genere -Procedimento davanti alle Commissioni delle imposte -Decisioni -Difetto o mancanza ,di motivazione -.Non deducibilit davanti all'Autorit giudiziaria ordinaria -Limiti. Imposte e tasse in genere -Procedimento davanti .alle Commissioni delle imposte -Decisioni -Mancanza di motivazione -Inesistenza giuridica del procedimento -Insussistenza. (Cost. art. 111; d.1. 7 agosto 1936, n; 1639, artt. 22, 29, conv. nella I. 7 giugno 1937, n. 1016, e successive modificazioni). Il difetto ,o la mancanza di motivazione nelle decisioni delle Commissioni tributarie non deducibile in sede giudiziaria allorquando il contribuente, anzich ricorrere in Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, contro la pronuncia della Commissione centrale, instaura giudizio ex novo davanti al giudice ordinario. In tale sede pu farsi valere in giudizio unicamente la inesistenza giuridica del procedimento svoltosi davanti agli organi della giustizia tributaria, il quale procedimento < = deve, per inderogabile norma di legge, precedere quello davanti all'Autorit giudiziaria ordinaria (1); La mancanza di motivazione nelle decisioni delle Commissioni non costituisce un'ipotesi di inesistenza giuridica del relativo procedimento (2). (1-2) La esattezza delle adottate statuizioni non pu revocarsi in dubbio. E', infatti, ius receptum, per costante affermazione della Giurispru denza sia delle Corti di merito che della Corte di Diritto, che in materia tributaria esiste un duplice ordine di difese giurisdizionali (avanti le Comm.ni ed avanti l'Autorit Giudiziaria ordinaria) distinte ed autonome con -conseguente esclusione assoluta del carattere di gravame del ricorso al Giudice ordinario che non sia quello previsto dall'art. 111 della Carta Costituzionale. Ci non solo sotto l'aspetto formale del funzionamento, ma anche sotto quello sostanziale, riferendosi le difese predette a situazioni obittivamente differenti. Il giudizio avanti le Commissioni si svolge di norma durante la formazione dell'atto amministrativo di imposizione del tributo ed ha per oggetto la determinazione degli elementi dell'ob PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 (Omissis). -Limitata, per ora, la questione alla sola motivazione della decisione delle Commissioni tributarie, non pu ritenersi che il difetto o la mancanza di motivazione nella decisione delle Commissioni deducibile in sede giudiziaria allorquando il contribuente anzich ricorrere in cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, contro la pronunzia della Com. missione Centrale instaura giudizio ex novo davanti al giudice ordinario. In tal caso pu farsi valere in giudizio unicamente la inesistenza giuridica del procedimento svoltosi davanti agli organi della giustizia tributaria, il quale procedimento deve, per inderogabile norma di legge, precedere quello davanti all'autorit giudiziaria ordinaria. Ma stato gi chiarito in giurisprudenza, ed del resto ovvio, che la mancanza di motivazione nelle decisioni delle Commissioni non costituisce una ipotesi di inesistenza giuridica del relativo procedimento (Cass. 6 febbraio 1961, n. 242; 18 gennaio 1957, n. 128). bligazione tributaria, della quale il soggetto passivo tende ad impedire la perfezione ed ottenere che sia fissata in misura a lui pi favorevole. Il giudizio dell'A.G.O. tutela il contribuente quando l'obbligazione per fetta, e talvolta gi eseguita (cfr. Cass. Sez. Un. 19 gennaio 1957, Riv. leg. fisc. 1957, 725; Cassaz. 12 aprile 1958, Dir. e prat. trib. 1959, 2, 297). L'autonomia dei due ordini di difese, inoltre, accentuata dalla diversa struttura dei procedimenti, perch il processo tributario caratterizzato dall'impulso di ufficio, affidato alla stessa Amministrazione delle Finanze (cfr. Cassaz. 7 luglio 1958, Riv. Leg. Fiscale 1958, 1927; Relazione Avvo catura Stato, 1956-1960, vol. III, 362 e seg.). Da tale autonomia deriva necessariamente che il riesame affidato all'Autorit Giudiziaria limita to alle questioni di legittimit sostanziale dell'atto di imposizione e non si estende alle questioni di legittimit formale del processo tributario (vizi in procedendo). Restano salve le sole ipotesi estreme in cui la irre' golarit del procedimento assurga ad entit tale da rendere giuridica mente inesistente il procedimento. in concreto eseguito e con esso la relativa decisione. Detto procedimento infatti, tranne i casi, ove consentiti, di accerta mento negativo, nel sistema procesuale tributario deve precedere l'azio ne giudiziaria per dare all'Amministrazione, sotto il cui impulso si svolge il relativo procedimento, la possibilit di rimuovere la eventuale illegittimit della imposizione. Il difetto e la mancanza di motivazione, naturalmente, non determina la inesistenza n del procedimento n della decisione, costituendo vizi che rendono la decisione stessa modificabile o anche annullabile nei li miti e con le regole del mezzo di gravame consentito. Nella copiosa giu risprudenza formatasi al riguardo, precisato che i vizi invalidanti l'esi stenza della decisione sono dati dalla mancata scrittura della stessa; dalla mancata sottoscrizione, dal contenuto impossibile e simili (cfr.: Cass. 9 gennaio 1957 n. 128, Riv. leg. fisc., 1957, 725; 6 maggio 1957, Riv. leg. fisc., 1957, 1198 e 1961 n. 242, Mass., Foro it., 1961, 46). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 356 Pertanto la Corte ha bene dichiarato irrilevante il dedotto difetto di motivazione riferibile alle decisioni emesse dai competenti organi di gustizia tributaria. (Omissis). I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 147 -Pres. Varallo -Est. D'Amico -P.M. Maccarone (conf.) -Finanze c. Palmarin Angelo. Esecuzione fiscale Ingiunzione di pagamento -Opposizione -Foro dello Stato -Applicabilit. Entrate patrimoniali -Ingiunzione di pagamento -Opposizione -Giudice competente -Foro dello Stato -Inapplicabilit. (r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 8; t.u. 14 aprile 1910, n. 639, art. 3). La cognizione delle opposizioni ad ingiunzioni emesse, a norma del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, per la riscossione di entrate di carattere tributario riservata, in primo grado, al Tribunale del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova l'ufficio finanziario che ha liquidato la tassa e sopratassa (1). La cognizione delle opposizioni ad inginzioni emesse a norma dello stesso t.u. ]Jer la riscossione di entrat di carattere patrimoniale riservata in primo grado al conciliatore, Pretore o Tribunale competente per valore, del luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso l'ingiunzione opposta (2). (1-3) La discriminazione fra opposizioni ad ingiunzione emesse, a norma del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, per la riscossione di entrate tributarie da quelle emesse per la riscossione di entrate patrimoniali, per ricono scere, alle prime, l'operativit del foro dello Stato e per escluderlo, alle seconde, costituisce ius receptum (cfr. Cass. Sez. I, 25 novembre 1963 n. 3034 in questa Rassegna, 1964, n. 1; Cass. 9 febbraio 1961 n. 274 Mass. For. it. 1961, 55; Cass. 16 dicembre 1952 n. 3206, Mass. Foro it. 1952, n. 75; Cass. 12 gennaio 1953, Riv. leg. fiscale 1953, 253; Cass. 22 aprile 1954 n. 1083 Foro it., 1954, 1, 1125 Cass. 17 luglio 1953, Riv leg. fiscale 1953, 1106). La discriminazione predetta, infatti, dato il carattere esecutivo del giudizio di opposizione ad ingiunzione, per essere diretto a contestare, per vizi di forma e di sostanza, il diritto all'esecuzione, .necessitata dalle norme recate dagli artt. 7 e 8 del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 sulla rap presentanza e difesa in giudizio dello Stato, la cui applicazione disposta, in modo tassativo, dal rinvio, all'uopo fatto, dell'art. 25 del c.p.c. PAR'fE 1, .SEZ V, GiURISPRUDENZA Tl.UBUTARIA. 357 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 183 -Pres. Pece -Est. Di Majo -P.M. Pedace (conf.) -Giubergia c. Amministrazione Finanze. Entrate patrimoniali dello Stato -Procedimento coattivo per la loro riscossione , Opposizione all'ingiunzione di pagamento -Giudice competente per territorio. (t.u. 14 (l.prile 1910, n. 639, art. 2 e segg.; t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 7). Poich il procedimento monitorio previsto dal t.u. n. 639 del 1910 ha carattere esecutivo, l'opposizione all'ingiunzione di pagamento, relativa ad entrate patrimoniali, deve essere proposta non gi innanzi al giudice competente secondo le regole del iforo erariale, ma innanzi a quello territorialmente competente secondo le norme ordinarie del codice di rito (3). L'art. 7, per i giudizi esecutivi, deroga l foro dello Stato, che, concepito come foro speciale per un oggetto determinato, continua ad operare, per i giudizi predetti, per la sola materia tributaria a norma del successivo art. 8. La ragione chiara. Dato il ruolo in concreto spiegato dalla ingiunzione fiscale di atto di accertamento del debito di imposta e di intimazione di pagamento al tempo stesso (cfr. Cass. 23 gen. 1964 n. 164) l'opposizione giudiziaria, anche se limitata alla regolarit delle forme seguite per la riscossione, investe il rapporto giuridico tributario, che, nella sua strut tura, abbrnccia l'arco costituito dall'accertamento, liquidazione e rea lizzazione del tributo. E poich la cognizione di detto rapporto rimessa, senza discriminazione di valore, alla competenza, ratione materiae, dci Tribunali, una deroga al foro dello Stato, per il carattere esecutivo del giudizio di opposizione, si sarebbe risolta in un attentato alle ragioni che hanno determinato la posizione del foro speciale con negazione delle finalit che, con detto foro, l'ordinamento giuridico ha in concreto tutelato. Non cos per le opposizioni giudiziarie alle ingiunzioni emesse per la riscossione delle entrate patrimoniali. Per tali entrate (cfr. Cass. 16 luglio 1963 n. 1950, Riv. leg. fiscale, 1963, 2307) la procedura ingiunzionale disciplinata dal t.u. 14 aprile 1910 n. 639 consentita soltanto per la riscossione di crediti certi liquidi ed esigibili in base a titolo precosti tuito. L'opposizione, di conseguenza, non avendo alcuna interferenza con il potere di autoaccertamento della P.A. resta nell'ambito dei comuni procedimenti esecutivi e, con l'osservanza della discriminazione di valore, richiama le norme ordinarie di competenza con la sola deroga, prevista dall'art. 3 del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, agli artt. 615 e 619 del c.p.c. L'opposizione, infatti, in tali casi proposta innanzi l'Autorit Git'diziaria, competente per valore, del luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso l'ingiunzione. 358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1964, n. 164 -Pres. Vistoso .: Est. Arienzo -P.M. Gedda (conf.) -Soc. Saponeria A. Silva c. Finanze Stato. Imposte e tasse in genere -Riscossione delle imposte indirette -Espropriazione -Norme speciali. Imposte e tasse in genere -Ingiunzione di pagamento -Natura. Imposte e tasse in genere -Ingiunzione di pagamento -Opposizione giudiziaria -Contenuto. Dogana -Ingiunzione di pagamento Opposizione giudiziaria -Ter mine -Inosservanza -Effetti. (Artt. 3, 5, e 31, t.u. 14 aprile 1910, n. 639; art. 24 1. 25 settembre 1940, n. 1424; art. 145, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269). Il procedimento coattivo per la riscossione delle imposte previsto dalla legge organica di registro ed esteso, da leggi relative ai singoli tributi, ad altre imposte e tasse, integrato, per il disposto. dell'art. 31 del t.u. 14 aprile 1910, n. 639, dalle norme relative al procedimento di espropriazione mobiliare ed immobiliare contenute in detto t.u. (1). L'ingiunzione fiscale emessa a norma delle ricordate leggi costituisce, ad un tempo, l'atto formale di accertamento della imposta e l'atto con il quale si inizia il procedimento coattivo per la sua riscossione, con facolt per l'interessato di proporre ricorso amministrativo ovvero opposizione giudiziaria (2). (1-4) L'ingiunzione fiscale emessa a norma della legge organica di registro e, per la riscossione delle altre imposte, dalle leggi a queste ultime relatiYe, l'atto formale che determina in concreto il debito di imposta e ne ingiunge il pagamento all'obbligato (cfr. GIANNINI, Istituzioni diritto tributario, 1960, 253). Assolvendo, perci, alla duplice funzione di accertamento e di riscossione partecipa della categoria degli ordini emessi dalla p.a. attiva (cfr. Cass. Sez. Un., 6 febbraio 1959 n'. 381, Mass. Foro it. 1959, 73), e quale estrinsecazione del potere di supremazia dello Stato integra un vero e proprio atto amministrativo munito di forza propria indipendentemente dal visto di esecutoriet apposto dal Pretore (cos la citata sentenza delle Sezioni Unite). L'attivit, infatti, che il Pretore chiamato a svolgere non ha affatto natura giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. Un. 19 aprile 1955 n. 1079; Mass. Foro It. 1955, 230, Cass., 13 febbraio 1951, n. 347; Mass. Foro It. 1951, 82 12 gennaio 1953 n. 54, Mass. Foro It. 1953, 14 8 luglio 1953 n. 2175; Mass. Foro It. 1953, 420 27 luglio 1956 n. 2906; Mass. Foro It. 1956, 536 18 dicembre 1956 n. 4453 Mass. Foro It., 1956, 826), ma tipicamente amministrativa, in quanto che attraverso il controllo formale i Ifil PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 359 Con quest'ultimo mezzo il debitore di imposta, qualora con testi la fondatezza della pretesa, abilitato, nei termini e nelle forme previsti dalle disposizioni di legge, a chiedere in via di azione, la dichiarazione di illegittimit della pretesa stessa (3) Per i diritti doganali il termine utile per l'opposizione giu diziaria di 15 giorni e lo stesso dalla legge 1424 del 1940 dichiarato perentorio. L'inutile decorso di tale termine comporta, con la decadenza dell'opposizione e la preclusione di ogni ulteriore contestazione, la definitivit dello eseguito accerta mento (4). (Omissis). -Invero, il procedimento coattivo per la riscossione delle imposte da parte degli uffici finanziari, previsto nella legge del registro ed esteso da leggi speciali ad altre imposte, fra cui quella per la riscossione dei diritti doganali (art. 24, I. 25 settembre 1940, n. 1424), integrato dalle norme riflettenti il procedimento di espropriazione mobiliare e immobiliare, contenute nel t.u. 14 aprile 1910, n. 639 sulla riscossione delle entrate patrimoniali applicabile alla riscossione delle tasse sugli affari (art. 31 legge cit.). L'ingiunzione l'atto formale che d corso al procedimento: il contenuto e l'effetto dell'ingiunzione di determinare e noti- d legittimit sul concorso delle condizioni est.rinse~he d~lla ingiun~ione (indicazione della somma, data, firma del funzionano emittente, articolo di credito), vi imprime forza esecutiva, senza nulla togliere alla validit ed efficacia della notifica del debito di imposta e dell'ordine di pagamento. Da ci una duplice conseguenza: 1) l'ingiunzione fiscale; traendo la sua origine e la sua legittimit dal potere di autoaccertamento della p. a. senza necessit di precostituzione di un titolo, non affatto assimilabile al procedimento monitorio ordinario e da esso si differenzia sia per quanto concerne l'opposizione, sia ancora per quanto concerne la decisione di ques:t'ultima ;' 2) l'ingiunzione stessa, quale atto amministrativo complesso partecipa, a seguito della opposizione giudiziaria, della disciplina posta dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865 all. E, abolitiva del contenzioso amministrativo e la pronuncia dell'a.g.o. potr essere di legittimit o di illgittimit formale o sostanziale, ma non di revoca, di annullamento, di nullit, di inefficacia. Nel giudizio di opposizione la domanda giudiziale, a differenza di quanto avviene per il procedimento monitorio ordinario nel quale creditore e debitore mantengono la loro posizione originaria con i relativi oneri di prova, .rappresentata dall'atto con il quale il debitore contesta la legittimit della pretesa fiscale asmmendo gli oneri propri dell'attore in giudizio (cfr. Cass. 4 giugno 1962 n. 1345, Mass. Foro it., 1962). Il termine nel quale con il contenuto predetto, l'opposizione va proposta assume aspetti peculiari. L'art. 2 del t.u. 14 aprile 1910 n. 639 fissa in trenta giorni il termine utile per la proposizione dell'apposizione gidiziaria. Le accennate differenze, per, rispetto al procedimento monito RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO fi.care all'obbligato il debito di imposta e, cio, l'ingiunzione costituisce, ad un tempo, l'atto formale di accertamento _dell'imposta e l'atto col quale si inizia il procedimento coattivo per la sua riscossione contro cui (art. 145 L. Registro), il contribuente pu reclamare in via amministrativa o proporre immediata opposizione giudiziaria (Cass. 12 ottobre 1955, n. 3041). In particolare, il debitore dell'imposta, cui notificata l'ingiunzione, qualora contesti la fondatezza della pretesa della finanza, pu proporre, nei termini previsti dalle disposizioni di legge, opposizione dinanzi al giudice ordinario con atto da notificarsi all'ufficio che ha emesso l'ingiunzione chiedendo, in via di azione, la dichiarazione di illegittimit della pretesa amministrativa. Con riguardo specifico alla controversia in oggetto, l'art 24 della legge doganale stabilisce espressamente che all'atto di ingiunzione, emesso in base alla detta legge, pu farsi opposizione entro il termine perentorio di giorni quindici dalla data di notificazione. L'inutile decorso del termine perentorio per mancanza di opposizione all'ingiunzione preclude al contribuente la possibilit di contestare la pretesa tributaria per effetto della deca rio ordinario e la dichiarata natura esecutiva del T.U. 639 del 1910 richiamato, in materia di tasse ed imposte, a svolgere, per il disposto dell'art. 31, un ruolo integrativo con particolare riguardo alle modalit per l'esproprizione mobiliare o immobiliare, hanno comportato che il decorso del termine fissato dal ricordato art. 2, non impedisce la contestazione giudiziaria della legittimit sostanziale della pretesa fiscale, per la quale valgono i termini di decadenza o di prescrizione previsti dal contenzioso tributario, laddove non dispongono le leggi relative ai singoli cributi (cfr. dopo la ormai lontana sentenza 12 maggio 1917, Giur. it., 1917, l, 1, 657 della Cassazione Romana, Cass. Sez. 1, 7 marzo 195'8, Giur. it. 1958, 1, 1, 540). Per i diritti doganali dispone la I. 25 settembre 1940 n. 1424 che all'art. 24 nel richiamare il diritto dell'interessato all'opposizione, fissa un termine minore di quello indicato nell'art. 2 del T.U. 14 aprile 1910 n. 639 e lo definisce espressamente perentorio. Con tali caratteri il termine predetto chiamato a svolgere il ruolo dei termini di decadenza posti dall'ordinamento giuridico, nella disciplina del contenzim;o tributario, perch si acquisisca la definitivit dell'accertamento cn conseguente impossibilit di contestare, ulteriormente, l'obbligo di imposta. L'opposizione, infatti, data la funzione in concreto spiegata dalla ingiunzione, incide sul t!tolo .~uridic? ~i cui si ~ ch!esta .la pronu~zia di illegittimit, e se per l eserc1z10 dell azione relativa 11 legislatore tributario fissa un termine assolutamente singolare con espressa dichiarazione di perentoriet, resta esclusa, in radice, la possibilit di riconoscere all'inosservanza del termine, effetti minori. e diversi da quelli dichiarati dalla sentenza annotata. PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA denza in cui egli incorso. L'accertamento tributario, contenuto nell'ingiunzione, diventa definitivo per il decorso del termine perentorio e la mancanza di opposizione. Il contrario assunto che l'opposizione si risolverebbe in una azione di impugnazione del diritto all'esecuzione, oltre che ad essere contraddetto da quanto sopra esposto sul contenuto e gli effetti dell'ingiunzione, in contrasto con esplicite disposizioni di legge che negano all'autorit giudiziaria, innanzi alla quale proposta l'opposizione, la facolt di sospendere l'esecuzione (art. 31 1. 1910 n. 639) delle ingiunzioni per debito di imposte ed escludono l'effetto sospensivo dell'opposizione, tranne che la richiesta dell'ufficio finanziario riflette un'imposta supplementare; senza considerare infine, che prima dell'abolizione del principio del solve et repete per difetto costituzionale, il giudizio era proponibile solo previo pagamento dell'imposta, che superava la discussione sulla: sospensione e sull'esecuzione dell'ingiunzione. Orbene, in conseguenza della definitivit dell'accertamento contenuto nella ingiunzione non opposta nel termine di quindici giorni (art. 24 L. doganale) dalla ricorrente, restava preclusa ogni indagine con essa in contrasto, per cui la domanda di rimborso dell'imposta era inammissibile con l'ulteriore conseguenza che irrilevante esaminare se nella specie fosse applicabile l'art. 29 della legge doganale o l'art. 47 della legge sull'IGE. (Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 189 -Pres. Fibbi -Est. Bianchi-D'Espinosa -P.M. Cutrupia (conf.) Finanze c. Consorzio Bonifica Piana di Sant'Eufemia. Imposta di registro -Attl relativi ad opere di sistemazione di corsi d'acqua affidate in concessione a consorzi di bonifica -Agevola zioni previste dall'art. 88, 2 comma, del t.u. 13 febbraio 1933. n. 215 sulla bonifica integrale -Applicabilit. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3256, artt. 17 e 24; t.u. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 88). Essendo disposto, dagli articoli 17 e 24 del r.d. 30 dicem bre 1923, n. 3256, che soltanto le opere di bonifica di prima categoria che sono di competenza dello Stato, possono eseguirsi in concessione dai consorzi di bonifica, sufficiente accertare che date opere, di sistemazione di corsi d'acqua, siano eseguite in virt di un tale affidamento in concessione, per stabilirne la 362 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO classificazione nella detta prima categoria, e ci anche ai fini dell'applicabilit del privilegio fiscale obiettivo previsto, in relazione agli articoli 24, 33 e 66 del citato r.d. 3256/1923, dall'articolo 88, 2 comma t.u. 13 febbraio 1933, n. 215 sulla bonifica integrale (1). (1) Di contenuto identico, anche nella motivazione, la successiva sentenza n. 190, pubblicata lo stesso giorno, vertente fra le stesse parti, ed avente analogo soggetto. Le innovazioni introdotte dal t.u. 13 febbraio 1933 n. 215 attraverso l'assetto dato all'intera materia della Bonifica integrale, esigono delle precisazioni in ordine ai principi affermati nelle due sentenze. Alla di stinzione in categoria delle opere, fatta dal t.u. 30 dicembre 1923, n. 3256, il t.u. 13 febbraio 1933, n. 215 ha sostituito la distinzione dei comprensori e nell'ambito di questi ultimi ha dichiarato di competenza dello Stato, in quanto necessarie ai fini generali della Bonifica integrale, opere varie distinte classificate e differenziate con criteri innovatori rispetto alla disciplina normativa anteriore. Il t.u. 13 febbraio 1933, n. 215, infatti, emanato in forza della delegazione di poteri conferita dalla legge n. 3134 del 1928, ha affrontato in modo organico la disciplina della bonifica integrale comprendendovi le opere di sistemazione montana, di bonifica idraulica, di difesa dell'acqua, di provvista e di utilizzazione delle stesse, nonch le opere stradali di interesse generale e le altre opere necessarie per una radicale trasformazione dell'ordinamento produttivo. Ha inoltre catalogato le opere stesse in categorie nettamente separate e distinte e non comunicanti stabilendo che se di competenza statale possono esse essere eseguite in concessione. Pre la bonifica idraulica e per le opere di sistemazione montana, in particolare, ne derivata una classificazione diversa da quella a suo tempo posta dagli artt. 9 del t.u. 3256 del 1923 e 4 e 6 della legge 3134 del 1928. La situazione cos determinatasi non senza effetti ai fini fiscali. Dato che l'art. 119 dei t.u. 215 del 1933 ha disposto l'abrogazione delle norme che in precedenza disciplinavano la subiecta materia, il richiamo a tali norme fatto dall'art. 88, secondo comm!l, spiega la sua efficacia unicamente e soltanto per la posizione del trattamento di favore (atti a favore dei Consorzi ed opere di bonifica idraulica e di sistemazione montana) e non anche per i criteri che per la legislazione cessata avevano in modo difforme precisato e delimitato le opere pi volte dette. II criterio oggettivo del trattamento di favore, infatti, esige che del beneficio godano le opere che nel momento in cui il trattamento opera, costitriiscono a termini di legge opere di bonifica idraulica e di sistemazione montana. La qual cosa, appunto, stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione nelle sentenze 13 aprile 1961, n. 787 e 788 e 26 giugno 1963 numero -1724, riportata in questa Rassegna 19f3, 190 con nota. ' Logica e necessaria canseguenza che l'operativit del trattamento di favore fiscale disposto dall'art. 88, secondo comma, del t.u. 215 del 1933, per quanto concerne le opere esige non solo che si tratti di opere di competenza statale eseguibili in concessione, ma ancor prima che si tratti di. opere che risultino di bonifica idraulica o di sistemazione montana a norma, rispettivamente, delle lettere b) ed a) dell'art. 2 del t.u. 215 del 1933 pi volte detto. PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 363 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 198 -Pres. Pece -Est.. Di Majo -P.M. Maccarone (conf.) -Finanze c. Chiappino. Jmposta di registro -Atti di acquisto di aree coperte da costruzione, a scopo di demolizione e di successiva nuova edifiQazione Agevolazioni per l'incremento delle costruzioni edilizie previste dalla I. 2 luglio 1949, n. 408, applicabilit -Limiti. (1. 2 luglio 1949, n. 408, artt. 14 e 19). Le agevolazioni tributarie previste dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, per l'acquisto di aree fabbricabili (imposta fissa di registro e riduzione al quarto dell'imposta ipotecaria), spettano, a norma dell'art. 19 della legge stessa, anche nell'ipotesi in cui sull'area insistano delle costruzioni, sempre che l'area stessa venga acquistata per demolire l'edificio e costruirne, in sostituzione, un altro, meglio e pi ampiamente utilizzabile (1). (1) Le statuizioni della .sentenza sono il frutto di un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato sia presso le Corti di merito che presso la Corte di Cassazione. Quest'ultima, infatti, che nelle sentenze 23 maggio 1961, n. 1213 e 23 maggio 1962, n. 1191 aveva gi affermato la operativit del particolare trattamento di favore per gli acquisti di aree fornite di costruzione d utilizzare a seguito di preordinata demolizione, nella sentenza 28 giugno 1963, n. 1752 tornata sull'argomento e riesaminate le argomentazioni in contrario addotte nell'interesse dell'Amministrazione Finanziaria, ha confermato le precedenti sue affermazioni. Ha precisato al riguardo la Corte di Cassazione che per le obiettive finalit della legge di favore sull'incremento edilizio non sussiste una sostanziale differenza fra l'acquisto di area nuda e quella di area occupata da un fabbricato da demolire per edificare, perch anche nel secondo caso, l'acquisto, in definitiva, concerne l'area su cui dovr sorgere la costruzione e non il fabbricato da abbattere. Ha, inoltre aggiunto: a) che l'art. 19 della legge 408 del 1949 estende i benefici all'ipotesi di ampliamento e di ricostruzione di case comunque distrutte e che l'av verbio adoperato dal testo di legge -comunque - determinante per escludere l'indagine sulla causa, naturale o volontaria, della distruzione; b)che l'interpretazione adottata ha un fondamento letterale e logico, di contenuto estensivo e non analogico. Nulla di nuovo e di diverso si legge nella riportata sentenza che, essendosi espressamente richiamata all'indirizzo giurisprudenziale suddet to ed avendo precisato che non vi sono motivi per discostarsi dallo stesso, esclude che si possa utilmente tornare, in sede giudiziaria, sulla que stione anche al solo fine di vedere il principio limitato alle costruzioni destinate, naturalmente, alla demolizione o in dipendenza di precise dispo sizioni di piano regolatore o di oggettiva inabilit. Tale criterio, costantemente seguito dall'Amministrazione in consi 364 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1964, n. 228 -Pres. Fibbi -Est. Perrone Capano-P.M. Pedace (conci. conf.) Finanze c. Angeli. Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni -Notificazioni di atti processuali prima dell'entrata in vigore del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 -Modalit. (r.d. 11 luglio 1907, n. 560, artt. 89, 97; r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 31). '1 .i Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni -Notificazioni di atti processuali prima dell'entrata in vigore del t.u. 19 gennaio 1958, n. 645 -Consegna dell'atto a vicino di casa -Nullit. (r.d. 11 luglio 1907, n. 560, artt. 89, 97; r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 31; c.p.c., art. 160). Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni Appello dell'Ufficio alla Commissione Centrale -Notificazione Nullit -Rinnovazione -Sanatoria ex tunc. (c.p.c., art. 291). Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni applicabilit del c.p.c. -Limiti. Prima dell'entrata in vigore del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 sulle imposte dirette, le notificazioni degli atti processuali, sia in materia di imposte dirette che di imposte indirette, erano soggette alle modalit indicate dal combinato disposto degli artt. 89 e 97 del Reg. per l'applicazione dell'imposta di r.m. approvato con r.d. 11 luglio 1907, n. 560 (1). Poich secondo tali modalit, i vicini di casa non erano legittimati a ricevere gli atti da notificare al contribuente, la notifica in tal modo eseguita era colpita dalla nullit recata dal1' art. 160 del c.p.c., applicabile anche al procedimento tributario (2). La nullit della notificazione di un atto di impugnazione, , . derazione del fatto che la mancanza in atto della funzione dell'alloggio . ovvero la necessaria cessazione della stessa era compatibile, nella sua obiettivit materiale, con il dovuto coordinamento delle finalit della 1. n. 408 con le precise e specifiche espressioni del testo normativo, contrasta r. con le adottate statuizioni e non condiviso dalla Commissione Centrale delle Imposte che, con la decisione n. 86397 dell'8 marzo 1962, Riv. leg. fisc., 1963, n. 1511, lo ha chiaramente disatteso adeguandosi anch'essa all'indirizzo giurisprudenziale suddetto. PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 365 determinata dalla inosservanza delle disposizioni circa le persone alle quali la copia dell'atto pu essere consegnata, sanata, con effetto ex tunc, o con la costituzione del destinatario del!' atto, anche se posteriore al termine utile ad impugnare, o con la rinnovazione della notifica che il Giudice, a norma del!' art. 291 del c.p.c. tenuto a disporre non solo nel procedimento contumaciale di primo grado, ma anche in quello di impugnazione (3). Nel procedimento tributario, nel quale manca una disciplina della nullit delle notificazioni e dei relativi effetti, vige analogo principio, estendendosi ad esso tutte le disposizioni generali del diritto processuale comune, che non trovino nelle norme fiscali una deroga espressa e che non siano con esse contrastanti o inconciliabili (4) . .(1-4) La sentenza in nota riportata per esteso limitatamente alla parte relativa al1a 2-3 e 4 massima. Le norme degli artt. 89 e 97 e del reg. per l'applicazione dell'imposta di r.m., approvato con r.d. 11 luglio 1907, n. 560, sono state sostituite dall'art. 38 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 che, per la disciplina delle notificazioni degli avvisi e degli altri atti che, in materia di tributi diretti, la legge dispone siano notificati al contribuente, ha largamente richiamato le corrispondenti norme poste dal diritto processuale comune. Dalla entrata in vigore di detto t.u., pertanto, dato il parallelo richiamo a queste ultime norme fatto, in materia di tributi indiretti, dall'art. 144 della legge di Registro (30 dicembre 1923, n. 3269) e 92 della legge di successione (30 dicembre 1923, n. 3270), la legittimazione dei vicini di casa del contribuente a ricevere gli atti processuali a questo ultimo destinati, recepita, in via di principio, nel diritto processuale tributario in generale. La materia affrontata e decisa ha, di conseguenza, perduto di attua lit e la cennata disciplina normativa ha troncato, per l'avvenire, ogni questione diretta ad accertare se, sia per le imposte dirette che per quelle indirette, per i casi non espressamente regolati, ai fini delle notificazioni, dalle singole leggi tributarie, occorresse far capo, in rvia analogica, alle norme di dichiarato carattere tributario (art. 89 e 97 del reg. 11 luglio 1907 per la imposta di r.m.; art. 30 del reg. 20 agosto 1877 per l'imposta fabbricati; 56 del Reg. 15 settembre 1923, n. 2090 per le cartelle ed avvisi di mora; ,144 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 per l'imposta di registro; 92 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 per l'imposta di successione) e solo in mancanza a quelle di diritto processuale comune (cfr. Coc1VERA, Guida delle Imposte dirette, ed. 1961, pag. 50 e Riv. dir. fin. e se. fin., 1951, II, 142; PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, 213-215) ovvero sempre e soltanto a queste ultime norme (cfr. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, 1948, 159; BERLIRI, Proc. trib. amm., II, 41). La qual cosa, fra l'altro, con richiamo anche alla natura indiretta dell'imposta controversa, era stata dedotta, nel caso concreto, sia in via diretta che in via analogica, per il richiamo fatto, per l'ingiunzione fiscale, dal ricordato art. 144 delJa legge di Registro. Devesi, infatti, ritenere acquisito (cfr. ALLORIO; Diritto processuale tributario, ed. 1962, pag. 457) che sia per i tributi diretti che per quelli indiretti, laddove non dispongono norme derogative 366 RASSEGNA DEL.L'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Parzialmente, fondato, invece, il secondo motivo. Non esatto che nella specie non sia configurabile una nullit di notifica, per non essere la nullit prevista espressamente delle norme fiscali in materia. Essa comminata da una disposizione di carattere generale, applicabile anche nel procedimento tributario, quale quella dell'art. 160 cod. proc. civ. secondo cui la notificazione nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia. E poich, nel caso in esame, l'atto da notificare venne consegnato a persona non legittimata a riceverlo, esattamente la Commissione centrale ritenne che la notifica fosse nulla. Ma, riconosciuta la nullit, le conseguenze non erano quelle ravvi~ sate nell'impugnata decisione, che dalla nullit della notifica fece derivare l'inammissibilit dell'appello. Sono ormai principi acquisiti, perch pi volte affermati da questo Supremo Collegio, che la nullit della notificazione di un atto (quale quella che deriva dalla inosservanza delle disposizioni circa le persone alle quali pu essere consegnata la copia) sanata con effetto ex tunc, anche quando trattisi di atto di impugnazione, o con la costituzione del destinatario dell'atto, ancorch la costitu zione avvenga dopo la scade.nza del termine stabilito per l'impu gnazione, ovvero con la rinnovazione della notificazione, che il tratte dalle singole leggi tributarie (art. 38 del t.u. 22 gennaio 1958, n. 645), operino le norme .del diritto processuale comune per tutti gli atti afferenti al rapporto giuridico d'imposta, vuoi nella fase di accertamento che in quella contenziosa. Conseguenza logica e necessaria la operativit, nel processo tributario, sia della nullit posta, ai fini della notificazione degli atti, dal diritto processuale comune, sia della sanatoria in essa recepita con particolare riguardo, nella materia in esame, alla rinnovazione della notifica nulla, con efficacia sanante ex tunc, a norma dell'art. 291 del c.p.c., anche nella fase di impugnazione. Tale principio, nel diritto processuale comune, risponde ad una giurisprudenza costante ( cfr. da ultimo Cass. 7 aprile 1962, n. 733, Giust. civ. 1962; I, 2000; Cassaz. 12 aprile 1961, n. 784, Ivi, 1961, I, 754) ed esattamente stato, della sentenza in nota, ritenuto operante anche per il periodo anteriore al t.u. 29 gennaio 1958, n. 645. Per il regime della nullit e delle conseguenziali sanatorie, infatti, anche per il periodo predetto, il ricorso al diritto processuale comune costituiva una necessit obiettiva quale che fosse stata la teorica accolta: quella della generalizzazione del diritto processuale comune ovvero quella della generalizzazione delle norme poste in materia di tributi diretti, limitatamente, in questa ultima alternativa, ai casi in cui le norme stesse non fossero state utilizzabili neppure in via analogica. Ci per la necessit obiettiva di assicurare la dovuta regolamentazione legislativa dell'istituto della noti ficazione e dei suoi effetti, anche nel campo del rapporto giuridico d'im posta. PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA giudice deve disporre ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., applicabile non solo nel procedimento contumaciale di primo grado, ma anche in quelli di impugnazione. Tali principi devono valere anche nel proce_sso tributario, nel quale manca una disciplina delle nullit delle notificazioni e dei relativi effetti. Al processo tributario, del resto, si estendono tutte le disposizioni generali del diritto processuale comune, che non trovino nelle norme fiscali un'espressa deroga e che non siano con esse contrastanti o inconciliabili. Da ci deriva che nel caso in esame la Commissione centrale, anzich dichiarare inammissibile l'appello dell'ufficio del registro, la cui notifica era affetta da nullit (sanabile), avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della notifica stessa alle altre parti non comparse. (Omissis). . ' CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1964, n. 241 -Pres. Stella Richter -Est. Bianchi-D'Espinosa -P.M. Pisano (difI.) -Brunetti c. Ministero Tesoro. Scambi e valute ,.. Violazioni punibili con pena pecuniaria -Natura Prescrizione -Rinvio alle disposizioni relative alla pena pecuniaria prevista per le trasgressioni in materia finanziaria. (r.d. 5 dicembre 1938, n. 1928, art. 3; 1. 7 gennaio 1929, n. 4). Imposte e tasse in genere -Repressione delle violazioni costituenti illeciti civili -Prescrizione -Disciplina penalistica della estinzione per prescrizione del fatto illecito -Inapplicabilit Disciplina della prescrizione delle obbligazioni civili e delle relative cau!e di interruzione e di sospensione -Applicabilit. (1. 7gennaio 1929, n. 4, art. 17; e.e. artt. 2934 segg.). Prescrizione -Atti interruttivi -Atti provenienti da soggetto che agisca legittimamente nell'interesse del titolare del diritto Validit -Fattispecie. (e.e., art. 2943). Le violazioni in materia valutaria e di scambi con l'estero, per le quali prevista la sanzione della pena pecuniaria, dnno luogo ad obbligazioni di natura civile, e sono disciplinate, quanto alla prescrizione, dalle disposizioni della legge 7 gennaio 1929, n. 4, cui fatto rinvio dall'art. 3 del r.d. 5 dicembre 1938, n. 1928. Essendo di natura civile le violazioni alle leggi finanziarie, 368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO :~ per le quali dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4 prevista la sanzione della pena 'pecuniaria, non possono per esse applicarsi norme e principi della materia penale, ed in particolare non pu ipotizzarsi la estinzione per prescrizione delle stesse, come estinzione del fatto violazione , e deve invece ritenersi l'applicabilit delle norme sulla prescrizione delle obbligazioni in materia civile, per la estinzione del diritto di credito dello Stato per la somma dovuta dal trasgressore a titolo di pena pecuniaria: con la conseguenza che devono in materia ritenersi applicabili le disposizioni del codice civile sulla sospensione e la interruzione della prescrizione. Gli atti, intesi a conservare o a far valere un.diritto, provenienti da un soggetto che legittimamente agisca nell'interesse del titolare del diritto stesso, sono idonei ad interrompere la prescrizione (Applicabilit al caso dei verbali e di altri atti del procedimento di accertamento delle violazioni in materia valutaria, posti in essere da soggetti anche estranei all'Amministrazione dello Stato, ai quali, per, legislativamente attribuita la relativa competenza in merito). {1-3) Sull'effetto interruttivo del verbale di accertamento di tra sgressione alle leggi finanziarie e valutarie. Dopo alterne vicende, nelle statuizioni delle Corti di merito (cfr. Corte Roma 25 maggio 1962, n. 1047, in questa Rassegna, 1963, 108; Corte Genova 18 dicembre 1958, Riv. Guardia di Finanza 1959, 93; Corte Bologna 17 gennaio .1957, in questa Rassegna, 1%3, 108; Tribunale Roma 21 febbraio 1963 (inedita) Capuano c. Tesoro) l'istituto della prescrizione del diritto alla pena pecuniaria per le violazioni delle leggi finanziarie, djsciplinato dall'art. 17 della 1. 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato per le violazioni delle leggi valutarie, dall'art. 3 del r.d.l. 1928-1938, ha trovato, con la riportata sentenza della Corte di Cassazione, il suo naturale assetto. Dalla natura civilistica dell'obbligazione della pena pecuniaria, espressamente sancita dall'art. 3 della 1. 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato anche esso in materia valutaria dall'art. 3 del r.d.l. 1928 del 1938, i Giudici di diritto hanno tratto le dovute conseguenze, affermando, in accoglimento di analoga prospettazione fatta nell'interesse dell'Amm.ne interessata, che: a) l'obbligo al pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria determina, per lo Stato, un diritto che, ai fini della prescrizione, disciplinato dalle norme civilistiche poste dagli artt. 2934 e segg. e.e., con esclusione di ogni utile richiamo, al riguardo alle norme penalistiche; b) il diritto di .credito sorge per effetto ed all'atto della commessa violazione, non diversamente dal diritto ai danni da fatto illecito (art. 2947 e.e.) e si manifesta nella sua obiettivit giuridica attraverso un procedimento amministrativo sanzionatorio, nel quale l'atto di irrogazione, che in concreto ne fissa la misura, ha natura dichiarativa (cfr. Cass. 4 luglio 1962, n. 1703 dt. n~lla sentenza e riportata in Mass., PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 (Omissis). -Vengono sottoposte, per la prima volta a questa Corte Suprema, alcune questioni relative alle norme applicabili alla prescrizione quinquennale stabilita dall'art. 17 della legge per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie (7 gennaio 1929 n. 4), per il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria inflitta per la violazione di alcune norme in materia, che non costituisce reato {art. 3 legge suddetta); in relazione soprattutto alle cause d'interruzione applicabili alla prescrizione medesima. La Corte di Appello, partendo dal presupposto che la prescrizione in questione opera come causa estintiva della perseguibilit del fatto, e non del solo diritto dell'Amministrazione ad ottenere il soddisfacimento del credito pecuniario avente titolo nel provvedimento punitivo, ne ha tratto la conseguenza che, perch sia impedita la prescrizione, non deve essere trascorso pi di un quinquennio tra il momento iniziale del termine (corrispondente alla perpetrazione del fatto), ed il momento finale costituito dalla notifica al debitore del decreto ministeriale di condanna alla pena pecuniaria, e della pedisse- Foro it. 1962, 513, nel quale affermata la trasmissibilit agli eredi del trasgressore della relativa obbligazione anche se, alla data della apertura della successione, non stata definitivamente accertata e determinata); e) gli atti del procedimento amministrativo sanzionatorio posto a disciplina dell'aecertamento e della repressione dell'illecito finanziario o valutario, nei quali sia dato rinvenire la volont dell'Amministrazione dello Stato creditrice di ottenere il soddisfacimento dell'obbligazione, hanno eficacia interruttiva del quinquennio di prescrizione, a norma dell'art. 2943 e.e.; d) l'efficacia predetta permane anche se gli atti provengono da soggetti che, diversi dal titolare del diritto, agiscono in forza di legge, nell'interesse di quest'ultimo (cfr. Cass. 29 marzo 1949, n. 702 dt. in sentenza Mass. Foro it. 1949 p; 148) ed anche se il credito non sia ancora liquidato nel suo ammontare (cfr. Cass. 21 febbraio 1961, n. 39~, cit. in sentenza, Mass. Foro it. 1961 p. 87). Siffatte affermazioni, della cui esattezza non dato dubitare perch, originate dal chiaro testo di legge, rispondono a principi consolidati. di diritto (cfr. le sentenze ricordate nella motivazione nonch Cass. 4 agosto 1950, .n. 2376, Giuris. comp. Cass. 1951, II, p ..389 e segg.; id. 17 giugno 1957, n. 2293, Giust. civ. 1957, I, 1495 e segg.; e 3 novembre 1959, n. 3249, Mass. Foro, 614, sull'effetto interruttivo di atti stru ' mentali all'esercizio del diritto di credito), sono determinanti per riconoscere effetto interruttivo al processo :verbale di accertamento e per escludere che, in materia valutaria, l'istituto assuma caratteri peculiari che neghino, per altra via, l'operativit delle cause di interruzione e di sospensione. Il verbale di accertamento - stato precisato in nota alla sentenza 11. 1047 del 1962 della Corte di Roma, in questa Rassegna 1963, 108 e segg. -risponde ai requisiti richiesti dall'art. 2943 del e.e. perch, provenendo da organi espressamente previsti dalla legge, introduce il proce RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO qua intimazione di pagamento. N la contestazione degli addebiti, n l'interrogatorio dell'incolpato, n il verbale di accertamento dell'infrazione, n gli altri atti del procedimento amministrativo (che, nella specie, trattandosi di violazione di leggi valutarie, di cui al r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, regolato dal r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794), possono avere efficacia interruttiva o sospensiva della prescrizione. Come os.serva l'Amministrazione ricorrente (questo il motivo del ricorso), inesatto il principio affermato dalla sentenza impugnata nella proposizione sopra trascritta, in cui si contrappone una prescrizione della perseguibilit del fatto, ad una prescrizione del diritto dell'Amministrazione ad ottenere il soddisfacimento del credito. Tale distinzione riproduce esattamente quella, accolta nel nostro sistema, esistente nel campo penale fra prescrizione del reato (art. 157 ss. cod. pen.), ed estinzione della pena per decorso del tempo (art. 172 ss. stesso codice): la prima, con decorrenza dal giorno in cui stato commesso il reato (art. 158), la seconda dal giorno in cui la condanna divenuta irrevocabile (art. 172). La Corte ha perci ritenuto che la prescrizione della pena pecuniaria, di cui all'art. 17 legge n. 4 del 1929, debba considerarsi istituto analogo alla prescrizione del reato, avendo posto in rilievo che essa riguarda la perseguibilit del fatto, e non il diritto dello Stato creditore alla riscossione della pena pecuniaria . Del resto, nell'applicazione analogica di norme ed istituti propri del diritto penale, la sentenza impugnata non ha dedotto quelle conseguenze che sarebbero state logiche, non rilevando dimento amministrativo sanzionatorio richiesto per la realizzazione del diritto e contiene la precisa manifestazione della volont dell'Amm.ne di conservare il diritto alla pena pecuniaria, rendendo edotta la parte debitrice della pretesa creditrice sorta in dipendenza della infrazione. Esso, inoltre, alla enunciazione delle norme violate fa seguire la previsione della pena nei limiti entro i quali l'organo preposto alla concreta determinazione, a chiusura del procedimento, potr spaziare in relazione alla gravit del fatto ed alla personalit del trasgressore. In materia valutaria la situazione del tutto identica perch l'irrogazione della pena atto dovuto, concernendo la facolt concessa .al Ministero del Tesoro dall'art. 2 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 solo ed unicamente " la misura della stessa (ofr. Cass. Sez. Un. 30 luglio 1953, n. 2594, Giuris. it. 1954 1, 151). La qual cosa, posta in dubbio da qualche isolata Corte di merito (cfr. Tribunale Roma sentenza 21 febbraio 1963, Soc. Capuano c. Tesoro) confermata dalle statuizioni della sentenza in nota, la quale, con richiamo al testo normativo del r.d. 1928 del 1938, ha precisato la assoluta identit di disciplina, ai fini prescrizionali, delle violazioni delle leggi valutarie Con quelle delle leggi finanziarie in genere. L. CORREALE 371 PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA che causa d'interruzione della prescrizione del reato , ad esempio, l'interrogatorio dell'imputato dinanzi all'autorit giudiziaria (art. 160 cod. pen.); e non avendo perci esaminato se, coerentemente (dal momento che nell'accertamento della commessa infrazione, e nell'applicazione della pena pecuniaria, lo speciale procedimento amministrativo sostituisce in toto quello penale), non dovesse, con interpretazione analogica, essere considerato atto interruttivo della prescrizione per lo meno l'interrogatorio dell'incolpato, reso ai sensi dell'art. 3 del r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794. Ma lo stesso principio affermato che non pu essere accolto. Com' chiaramente espresso nell'art. 3, capoverso, della L. 7 gennaio 1929 n. 4, e come chiaramente risulta da altre norme della legge medesima (ad esempio, l'art. 11, relativo alla solidariet passiva tra pi responsabili della medesima violazione), l'obbligazione al pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria , ha carattere civile; onde essa regolata dalle norme del diritto civile, mentre non sono assolutamente applicabili norme e principi propri del diritto penale (cfr., da ultimo, le sentenze di questa Corte Suprema 4 luglio 1962 n. 1703, e 13 ottobre 1962 n. 2994). Anche la prescrizione, di cui all'articolo 17 della citata legge n. 4 (richiamato espressamente dall'art. 3 del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, applicabile nel caso concreto) , quindi regolata dall'art. 2934 ss. cod. civ.: essa prescrizione riguarda perci necessariamente, e soltanto, il diritto dello Stato a riscuotere la somma dovuta a titolo di pena pecuniaria (art. 2934) e non pu considerarsi come prescrizione del fatto. Del resto, la regola, di cui all'art. 17, per cui il diritto dello Stato si prescrive col decorso di cinque anni dal giorno della commessa violazione, disposizione pienamente conforme a quella generale dell'art. 2947, primo comma, cod. civ. per cui il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si verificato (la violazione delle leggi finanziarie che non costituisce reato, e di cui all'art. 3 della legge n. 4, , in definitiva, un illecito civile). Dal criterio, certamente inesatto, accolto dalla Corte di merito, che consider la pena pecuniaria alla stregua di una sanzione penale, e la prescrizione relativa quale istituto analogo alla prescrizione del reato, conseguirono chiaramente errori, nell'indagine (che alla stessa Corte era stata proposta), circa la sussistenza o meno, nel caso concreto, di una interruzione della prscrizione: onde la sentenza deve essere annullata. La Corte, infatti, avrebbe dovuto esaminare, alla luce degli atti sottoposti al suo esame, se si fosse verificata una delle cause interruttive 372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della prescrizione, previste dagli artt. 2943 e 2944 cod. civ.; e, di conseguenza, se nella specie, tenuto conto delle eventuali interruzioni, si fosse compiuto il tempo necessario a prescrivere il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria. Vfceversa -e probabilmente sull'erroneo presupposto che si tratti di istituto analogo alla prescrizione del reato -la Corte si limita ad affermare apoditticamente che nessuno degli atti del procedimento di accertamento dell'infrazione poteva avere efficacia interruttiva della prescrizione, incorrendo quindi anche nel vizio di omessa motivazione, segnalato nel secondo motivo del ricorso dell'Amministrazione del Tesoro. Il r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794, infatti, prescrive una particolare procedura per l'accertamento delle trasgressioni in materia valutaria (indagini a cura di apposito ufficio di ispezione dell'Istituto nazionale per i Cambi con l'estero -ora Ufficio Italiano Cambi -successiva rimessione degli atti, insieme ad una relazione illustrativa, ad apposita commissione consultiva presso il Ministero del Tesoro; parere della commissione; e, finalmente, emissione del decreto con cui il Ministro determina la pena pecuniaria da infliggere per la trasgressione) ; procedura seguita nel caso concreto. E l'Amministrazione aveva dedotto nel giudizio di merito -cos come deduce ora -che alcuni degli atti del procedimento amministrativo fossero idonei ad interrompere la prescrizione, ai sensi dell'art. 2943 cod. civ .. (in particolare, il processo verbale, firmato dal Brunetti, col quale si contestava esplicitamente che l'infrazione era punibile ai sensi dell'art. 2 r.d.l. 5 dicembre 1938, cio con pena pecuniaria in misura non superiore al quintuplo delle valute oggetto della violazione; nonch altri atti del procedimento). Questa Corte Suprema non pu, evidentemente, esaminare gli atti cos richiamati per accertare se in concreto ad essi debba riconoscersi efficaeia interruttiva della prescrizione: si tratta, com' chiaro di un accertamento di fatto, che dovr essere com piuto dal giudice di rinvio. In astratto, per, non pu negarsi che_ alcuni degli atti previsti dal ricordato r .d.l. 12 maggio 1938 n. 794, possano avere una simile efficacia. A tale conclusione non osta certamente la circostanza che gli accertamenti previsti in quel testo legislativo sono affidati, non ad organi dell'Amministrazione statale, ma ad organo di un Ente avente personalit, e distinto dallo Stato (l'Ufficio Italiano Cambi); da tutto il complesso della legge in esame, dai poteri che essa attribuisce ai funzionari dell'U.I.C. (in particolare, la facolt di procedere al sequestro delle valute, a garanzia delle pene pecuniarie applicabili: art. 3 r.d.1. citato), risulta chiaro che quei funzionari PARTE I, SEZ V, GIURlSPRUDENZA TRIBUTARIA agiscono ex lege, nell'interesse ed in rappresentanza del Ministero del Tesoro; onde ai loro atti non pu negarsi l'efficacia di interrompere la prescrizione, se, come costantemente ha stabilito questa Corte Suprema (ad esempio con le sentenze 29 mar zo 1949 n. 702 e 26 gennaio 1961 n. 22), vale ad interrompere la prescrizione un atto proveniente da soggetto che legittimamente agisca nell'interesse del titolare. Che, d'altra parte, alcuni degli atti dell'accertamento possano rivestire gli estremi di cui all'art. 2943 cod. civ. non pu dubitarsi. Sarebbe atto interruttivo indubbiamente il sequestro, ai sensi dell'art. 3 r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794, quale provvedimento conservativo (art. 2943 cit.): possono costituire atti di ostituzione in mora altri atti dello stesso procedimento amministrativo, ove essi esprimano la chiara volont dell'Amministrazione creditrice di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto ad esigere la pena pecuniaria che, successivamente, sar determinata in concreto dal Ministro; non essendo necessario, perch .di atto interruttivo si possa parlare, che l'atto stesso indichi la misura del credito, e che questo sia gi liquidato nel suo ammontare (cfr. le sentenze di questa Corte Suprema 26 gennaio 1961 n. 92, e 21 febbraio 1961 n. 392). La sentenza impugnata deve essere quindi annullata, col rinvio della causa ad altra Corte d'Appello, che riesaminer la causa al lume dei principi di diritto sopra enunciati. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 gennaio 1964, n. 257 -Pres. Pece -Est. Gianattasio -P.M. Tavolare (conf.) -Ministero Finanze c. Societ Dell'acqua. Imposta di registro -Societ in liquidazione -Concentrazione di azien de sociali da parte di dette Societ -Agevolazioni fiscali ex I. 21 giugno 1942 n. 830 -Applicabilit. (1. 21 giugno 1942, n. 830, art. 1). Imposte e tasse ~ Restituzione d'imposta -Interessi ex legge 26 gennaio 1961 n. 29 -Applicabilit alle controversie in corso -Decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge. (1. 26 gennaio 1961, n. 29, art. 5). La tassa fissa di registro accordata dal d.l. 5 marzo 1942, n. 192, convertito nella l. 21 giugno 1942, n. 830, sia per le fusioni di societ costituite anteriormente all'entrata in vigore del r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, che per le concentrazioni di aziende sociali effettuate mediante apporto di attivit in societ esistenti 374 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO o da costituire, opera, in questa seconda ipotesi, anche nel caso in cui la concentrazione avvenga con apporti effettuati da Societ in liquidazione. Essendo il trattamento di favore posto non solo per le fusioni, alle quali segue, come conseguenza necessaria, la estinzione della societ incorporata, ma anche per le concentrazioni di aziende sociali, alle quali segue il mantenimento in vita della societ apportante, la simultanea e consecutiva estinz. ione di detta societ, nel caso di concentrazione di aziende sociali, cosa che, implicitamente prevista, non esclude il trattamento di favre (1). (1) Due ordini di argomentazioni, fra loro interdipendenti, sono stati posti, nella sentenza in nota, a base della operativit del trattamento di favore previsto dal d.l. marzo 1942, n. 192, convertito nella legge 21 giugno 1942, n. 830, per le concentrazioni di aziende sociali attuate con apporti effettuati da societ in .liquidazione: l'uno per il quale il fatto che l'apporto dell'azienda di una societ in altra societ, a titolo di concentrazione con il corrispettivo di azi_oni della societ che riceve l'apporto, lascia sussistere, a differenza di quanto avviene nelle fusioni, la societ apportante, non impedisce che questa ultima venga ad estinzione, simultanea e consecutiva; l'altro per il quale l'estinzione, che, in ogni caso, per le societ in liquidazione, non si verifica fino a quando non sono estinti i rapporti creditori e debitori verso terzi, non costituisce causa di esclusione, per i casi di concentrazione di attivit sociali, del trattamento di favore, giacch l'estensione alle concentrazioni di aziende sociali del trattamento riservato alle fusioni dimostra l'intento della norma fiscale di recepire, nel trattamento predetto, anche le concentrazioni, alle quali non segue necessariamente la permanenza in vita della societ apportante. Tali ordini di argomentazioni non esauriscono, per, l'indagine che, nei casi in cui la societ apportante in liquidazione, richtede la norma fiscale. La finalit economica infatti presa in considerazione dalla legislazione di favore stata quella -cfr. Cass. 26 ottobre 1959, n. 3086, Riv. Leg. fisc. 1960, 489 -di favorire il rafforzamento ed il consolidamento degli orga nismi economici, mediante opportune riunioni ed organizzazioni di so ciet (apporti di attivit patr:imoniali meglio utilizzabili in seno ad enti diversi e meglio attrezzati). Da ci deriva che un ruolo determinante nell'economia delle norme di favore, chiamato a svolgere lo scopo per il quale si attua la fusione o la concentrazione di aziende e precisamente: a) quanto alle fusioni, l'unione ed organizzazione di societ, che assicu rino una migliore rispondenza ai bisogni del mercato e che evitino una concorrenza dannosa; b) quanto alle concentrazioni, un apporto di at tivit patrimniali che, staccandosi da organismi in atto, assicuri una pi razionale utilizzazione ed un migliore rendimento. Il ridimensionamento degli organismi suddetti, infatti, collegato, per le concentrazioni, non solo all'aspetto patrimoniale dell'apporto ma anche e soprattutto all'aspetto funzionale sia nell'azienda che si lascia che in quella in cui si entra. Sicura conferma di ci si rinviene, oltre che nel r.d.l. 15 novembre 1931, n. 1434, al quale ha fatto seguito, per una pi1 approfondita tutela PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 Per i pagamenti indebiti, effettuati, per imposte e tasse indirette sugli affari, prima della data di entrata in vigore della legge n. 29 del 1961 (16 marzo 1961), dei quali sia stata chiesta la restituzione e, alla data predetta, non sia stata defiiiita la relativa controversia, sono dovuti gli interessi di mora previsti dall'art. 5 della legge stessa, con decorrenza dalla entrata in vigore di quest'ultima e non dalla domanda di restituzione prodotta in epoca anteriore (2). degli interessi connessi con la pubblica economia, il d.l. 5 marzo 1942, n. 192, ngli atti parlamentari relativi a quest'ultimo provvedimento normativo. Nella relazione del Ministro delle Finanze alla Camera ( doc. n. 1920 del 15 aprile 1942), dopo essere stato precisato che, nella concentrazione di aziende, le societ apportanti non scompariscono, ma possessori delle azioni della societ alle quali vengono trasferite le attivit, assumono in tutto o in parte il carattere di societ finanziarie, testualmente detto che le condizioni stabilite dall'art. 1 tendono a limitare il beneficio ai casi di fusione e di concentrazione, per i quali non poteva sorgere dubbio sulle finalit che li avevano determinati. Per le societ in liquidazione, nell'apporto di attivit _da esse attuate, tali finalit mancano del tutto. L'apporto, infatti, da esse attuato non caratterizzato dal fine produttivo, voluto delle norme fiscali, ma dal fine liquidatorio, di mero realizzo delle attivit, per la conseguenziale estinzione delle passivit ripartizione dell'eventuale residuo. E ci, escludendo che gli effetti pratici dell'apporto coincidano con quelli di utilit sociale voluti dalle norme fiscali, non pu non portare, per il tassativo disposto dell'art. 8 della legge organica del registro, l'apporto stesso decisamente fuori dalla economia del trattamento di favore. (2) La mancanza, nella legge 26 gennaio 1961,n. 29, di disposizioni transitorie ha dato luogo, per l'obbligazione degli interessi sulle imposte indebitamente percette alla data di entrata in vigore di detta legge, reclamate dal contribuente ed in corso di contestazione, a tre diverse prospettazioni: a) applicazione integrale della nuova disciplina normativa a far data dalla domanda; b) esclusione totale della disciplina predetta; c) applicazione della disciplina stessa a far data dall'entrata in vigore della legge. La sentenza in nota, confermando l'orientamento assunto con la precedente sentenza nn. 1114-63 ha accolto quest'ultima prospettazione. La qual cosa esatta. Esclusa la prima, fondata sul presupposto di un carattere interpretativo della legge n. 29-61, che non ricorre affatto sia perch mancava una disposizione normativa precedente di controversa applicazione sia perch l'obbligazione degli interessi a far data dal giudicato traeva origine dal carattere novativo di quest'ultimo, sia, ancora perch la misura ed i termini di maturazione hanno nella legge n. 29-61 una regolamentazione peculiare rispetto a quella del diritto comune, l'indagine limitata alle altre due. Di queste la seconda (esclusione totale della nuova disciplina) non pu non cedere il posto alla terza (applicazione .dalla data di entrata in vigore) perch gli effetti del fatto giuridico (pagamento di indebito) si sono protratti, in parte, sotto l'imperio della nuova legge e per tale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 376 (Omissis). -Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 r.d.l. 5 marzo 1942, n. 192, conv. in 1. 21 giugno 1942, n. 830, in relazione all'art. 8 t.u. legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269 e all'art. 81 tariffa ali. A) alla stessa legge, e all'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. ed osserva che, dovendosi, a norma del ricordato art. 8 legge di registro, applicare l'imposta secondo l'intrinseca natura e gli effetti degli atti e dei trasferimenti, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, va tenuta distinta la fusione (art. I primo comma r.d.l. n. 192 del 1942) dalla concentrazione di aziende sociali, cio di aziende appartenenti a societ, il cui apporto opera una concentrazione oggettiva, senza che l'ente apportante venga a cessare, perch, qualora venisse a cessare, si cadrebbe nell'ipotesi della fusione. Venendo pi specificamente al problema fondamentale, la ricorrente si pone il quesito se sia possibile fruire della agevolazione tributaria della legge del 1942 ove la societ apportante, rimasta in vita, sia in stato di liquidazione e risponde negativamente perch, a suo dire, non si avrebbe, in tal caso, la garanzia di un apporto effettuato a fine produttivo, potendosi in ogni liquidazione ricorrere all'apporto come forma di realizzazione dell'attivo. La censura infondata. Innanzi tutto si osserva che, effettivamente, il fenomeno della fusione, che anche esso, del resto, una concentrazione di aziende sociali, diretta al fine di realizzare l'unione di forze produttive, si distingue dal fenomeno della concentrazione vera e propria, nel senso che mentre nella fusione si ha la costituzione di una nuova societ, che assorbe le due o pi societ preesistenti o incorpora in una societ un'altra o pi altre esistenti, nella concentrazione la societ apportante e quella che riceve gli apporti rimangono entrambe in vita, ciascuna con la propria personalit giuridica, senza successione n dei diritti n delle obbligazioni; ma il fatto che l'apporto della azienda di una societ in altra societ, a titolo di concentrazione, con il corrispettivo di azioni della societ che riceve l'apporto, lascia sussistere la societ apportante, non impedisce affatto che quest'ultima venga ad estinzione, n tale fatto, ove avvenga, modifica l'operazione di concentrazione. Comunque, se la societa apportante, all'atto dell'apporto, parte gli effetti stessi non possono non beneficiare della regolamentazione in atto. Tale soluzione, aderente ai principi, non contrasta n con il carattere innovativo della legge n con la regola della irretroattivit posta nell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. 377 PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA abbia gi deliberato lo scioglimento, ci non importa automaticamente la sua estinzione, perch la societ in liquidazione non rappresenta un ente diverso da quello innanzi operante. Questo, quando ne sia stato deliberato lo scioglimento, continua. a sussistere con la propria struttura e la propria organizzazione, salvo lo scopo profondamente modificato. La personalit giuridica delia societ sopravvive fino a quando non siano estinti i rapporti creditori e debitori verso i terzi, e la stessa chiusura della liquidazione non produce la cessazione dell'ente, se alla formale chiusura non corrisponde la reale situazione delle cose e rimangono in vita rapporti di debito e anche di credito da definire con i terzi. Anzi, seppur si discute se occorre il consenso unanime dei soci o sia sufficiente una delibera con le maggioranze prescritte dall'assemblea straordinaria, si ritiene che l'assemblea di una societ in liquidazione possa stabilire la proroga del termine della societ e riattivare l'attivit produttiva dell'ente, alla quale aveva posto termine la liquidazione. Passando al problema specifico, pu dirsi che la legge speciale non esclude affatto, ai fini del beneficio tributario, che la concentrazione sia operata da una societ in liquidazione. L'art. 1 del r.d.l. 5 marzo 1942, n. 192, dopo aver detto, nel primo comma, che gli atti di fusione delle societ commerciali, regolarmente costituite anteriormente alla data d'entrata in vigore del r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, sono soggetti alle imposte di registro ed ipotecaria in misura fissa, soggiunge nel capoverso: La disposizione di cui al precedente comma si applica altresl alle concentrazioni di aziende sociali effettuate, anzich mediante fusione, mediante apporto di attivit in societ esistenti o da costituire, quando anche, in conseguenza di tali apporti, l'oggetto delle societ apportanti venga limitato, per essersi lo esercizio del ramo di commercio che vi si riferisce in tutto o in parte trasferito alle altre societ . Devesi subito rilevare che sebbene la disposizione, or ora riportata, riproduca, quasi alla lettera, quella dell'art. 1 r.d.l. 1l novembre 1931, n. 1434, contenente agevolazioni tributarie in materia di concentrazione di aziende sociali mediante apporto di un'attivit ad altre societ esistenti o da costituire, nessun ausilio offre alla risoluzione del problema una remota sentenza di questo Supremo Collegio (Cass. 4 agosto 1948, n. 1389) che, interpretando il ricordato art. 1 del decreto del 1931, ebbe ad affermare che, per la registrazione a tassa fissa occorreva che la societ apportante continuasse a vivere, anche in misura pi limitata, sia sotto l'aspetto giuridico che sotto quello economico, per cui -si precisava -l'agevolazione medesima non era ap 378 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO plicabile e l'apporto andava tassato a norma dell'art. 81 tariffa all. A) della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269 nel caso che la societ apportante avesse gi deliberato il suo scioglimento. Quella sentenza, che non nomina neppure il decreto del 1942 e che si riferisce ad una ipotesi di concentrazione operata quando vigevano gli abrogati codici e, per giunta, da una societ apportante in istato di dissesto, ammessa al concordato preventivo in corso di esecuzione, non pu costituire un precedente, anche perch non aderente al contenuto del decreto del 1942. Invero, quando la norma in questione stabilisce che il benefi. cio della tassa fissa si applca altres alle concentrazioni effettuate, anzich mediante fusione, mediante apporto di attivit in societ esistenti o da costituire quando anche in conseguenza di tale apporto, l'oggetto delle societ apportanti venga limitato e ci per essersi l'esercizio del ramo di commercio che vi si riferisce, in tutto o in parte trasferito alle altre societ, tale inciso non significa affatto che, secondo il pensiero della legge, perch possa applicarsi l'agevolazione tributaria, occorre che la societ apportante continui a vivere e ad operare. In quell'inciso vi una proposizione concessiva ( quando anche in conseguenza di tale apporto l'oggetto delle societ apportanti venga limitato ) e una proposizione causale successiva (per essersi l'esercizio del ramo di commercio che vi si riferisce, in tutto o in parte trasferito alle altre societ ), le quali, lungi dal restringere l'ambito di applicazione della norma, hanno al contrario, finalit di ampliamento della fattispecie astratta. Dopo aver fatto riferimento alla fusione delle societ cio ad una forma di concentrazione che importa, come conseguenza ineluttabile, l'estinzione delle societ fuse o incorporate, il legislatore ha voluto sottolineare che il beneficio fiscale si estendeva anche alle ipotesi in cui la societ apportante sopravviva all'apporto, con ci ammettendo, in pari tempo, che la societ apportante possa estinguersi. Si pu dire, anzi, che proprio perch la legge ha inteso estendere l'agevolazione tributaria alle ipotesi di societ che continuano a vivere, sia pure con oggetto limitato, ha preveduto, in lina principale, l'agevolazione applicabile alle fattispecie concrete di apporti con simultanea o consecutiva estinzione della societ apportante, cio precisamente agli apporti effettuati da societ in liquidazione. Che sia proprio cos si desume dai lavori preparatori e particolarmente dalla relazione 15 aprile 1942 del Ministro delle Finanze alla Camera (doc. 1920) in sede di conversione, con modifiche, del r.d.l. 5 marzo 1942, n. 192. Si legge in detta relazione PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 379 che i provvedimenti di agevolazione tributaria in quel decreto previsti riguardano particolarmente: a) le fusioni e concentrazioni di societ che possono rendersi necessarie per la eliminazione di alcuni enti che non hanno una funzione produttiva apprezzabile... . Da questo passo si ricava che la legge speciale ha preveduto l'eliminazione di enti inutili alla produzione nazionale non solo a mezzo di fusione (il che connaturale al fenomeno), ma anche a mezzo di concentrazione, sicch, in tale ultima ipotesi, l'estinzione dell'ente apportante costituisce, almeno nella previsione legislativa, la regola e non l'eccezione. Con il secondo motivo l'Amministrazione ricorrente, in subordine, censura la sentenza denunciando la violazione dell'art. 35 della 1. 8 giugno 1936, n. 1231, in relazione all'art. 5 della 1. 26 gennaio 1961, n. 29, nonch in relazione all'art. 11 delle disposizioni della legge in generale. Lamenta l'Amministrazione di essere stata condannata a corrispondere gli interessi sulla somma riscossa a suo tempo, a titolo di imposta, con decorrenza dalla domanda giudiziale di restituzione (12 dicembre 1959) ed assume che l'art. 5 della 1. 26 gennaio 1961, n. 29, non contiene disposizioni transitorie ed avendo carattere innovativo opera -atteso il principio dell'irretroattivit della legge -per i crediti che si sono resi esigibili dopo l'entrata in vigore della legge stessa, ossia dopo il 16 marzo 1961. Comunque -osserva la ricorrente -mai la corresponsione degli interessi potrebbe farsi risalire alla data della domanda, ma al massimo detti interessi potrebbero decorrere dal 16 marzo 1961. La censura parzialmente fondata. Nel regime anteriore alla 1. 26 gennaio 1961, n. 29 (e relativa legge interpretativa 28 marzo 1962, n. 147) per i crediti per rimborso di imposta non valeva, nel silenzio delle leggi tributarie, la regola di diritto comune della decorrenza de iure degli interessi di mora e ci per la presunzione di legittimit della riscossione e gli interessi decorrevano dal passaggio in cosa giudicata dalla sentenza, in dipendenza della efficacia novativa del giudicato. La 1. 26 gennaio 1961, n. 29, in forza della quale sulle somme pagate per tasse ed imposte dirette sugli affari e ritenute non dovute in seguito a provvedimento amministrativo o giudiziario, spettano al contribuente gli interessi del tre per cento a semestre compiuto a decorrere dalla domanda di rimborso (art. 5), ha sicuramente carattere innovativo, ma ci non significa che le disposizioni contenute in detta legge non possono applicarsi nelle controversie pendenti, relative ad imposte pagate prima della sua entrata in vigore. Tali disposizioni, ed in particolare il citato art. 5, troveranno 380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO applicazione anche relativamente ai pagamenti indebiti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge (16 marzo 1961), dei quali sia stata chiesta la restituzione senza che sia stata definita la relativa controversia. In tale ipotesi, per, gli interessi di mora non potranno decorrere dalla data della domanda di ripetizione, (ove tale data sia anteriore) ma soltanto dalla data di entrata in vigore della legge trattandosi di rapporto conseguente ad un fatto giuridico (pagamento di indebito) i cui effetti si sono protratti solo in parte sotto l'impero della nuova legge. In tali sensi si gi pronunciato questo Supremo Collegio (Cass. 380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO applicazione anche relativamente ai pagamenti indebiti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge (16 marzo 1961), dei quali sia stata chiesta la restituzione senza che sia stata definita la relativa controversia. In tale ipotesi, per, gli interessi di mora non potranno decorrere dalla data della domanda di ripetizione, (ove tale data sia anteriore) ma soltanto dalla data di entrata in vigore della legge trattandosi di rapporto conseguente ad un fatto giuridico (pagamento di indebito) i cui effetti si sono protratti solo in parte sotto l'impero della nuova legge. In tali sensi si gi pronunciato questo Supremo Collegio (Cass. 7 maggio 1963, n. 1114) e a tale criterio dovr attenersi il giudice di rinvio, al quale, per effetto della parziale cassazione, la causa va assegnata per nuovo esame, limitatamente al punto di decorrenza degli interessi e per la pronuncia sulle spese anche del presente giudizio. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1964, n. 339 -Pres. Celentano -Est. Perrone-Capuano -P.M. Trotta (conf.) - Tringale c. Ministero Finanze. Scambi e valute -Affari di reciprocit (fra operatori italiani e danesi) -Compensazione privata -Negozio di collegamento -Contenuto. +t;~{~}ff:Af.{f.f.Yh:W&.%;-tf.i.&$:fil::.%fil&:t.::ff&ff0t:.f.JJi%&ffikdfiM*:;:\H@t-fuv.J'dwkri - PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381 propria autonomia giuridica e da esso deriva, segnatamente, l'impegno dell'importatore nazionale di versare il prezzo della operazione di importazione, tramite la Banca d'Italia, cassiera dell'Ufficio Italiano dei cambi, a favore dell'esportatore nazionale, epper esso sconta l'imposta proporzionale di registro ai sensi dell'art. 4 del.r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, e dell'art. 28 della relativa Tariffa all. A. (1). (1) Gli affari di reciprocit sono delle compensazioni private fatte a mezzo degli uffici-cambi dei paesi interessati. Secondo Cass., Sez. Un., 5 maggio 1962, n. 902 (Giur. it., Mass. 1962, 325): in regime di politica economica caratterizzato da un controllo degli scambi internazionali, il divieto posto alla libert di commercio superabile, in certi limiti, nell'ambito della compensazione privata, in forza di un'autorizzazione seguita da licenza, la quale deve presumersi concessa subordinatamente al fine che quella tutela suppone: d'impedire fuoruscita di divisa estera in pagamento diretto a favore dcl venditore straniero. Pertanto, poich nel quadro della compensazione le singole operazioni formano un complesso unitario, in quanto condizionate e collegate l'una con l'altra, l'importatore, ottenuto il permesso d'importare, non pu. in via autonoma e all'insaputa del connazionale esportatore, cui l'operazione collegata in forza della licenza, servirsi di questa al solo fine di eludere il divieto, sottraendosi all'obbligo di mettere a disposizione dell'esportatore il controvalore in lire italiane, il quale obbligo richiesto come condizione sine qua non per la concf:ssione del permesso da parte del competente Ministero. Dalla inscindibilit delle posizioni, propria della struttura dell'affare di compensazione privata, che non pu essere condotto a buon fine ex uno latere, ma necessariamente da entrambe le coppie di operatori, collegati dal fatto che la licenza, essendo tale tanto per l'esportatore quanto per l'importatore, non scomponibile in due parti distinte, ciascuna valevole separatamente dall'altra, .deriva la presunzione che tra importatore ed esportatore debba essere intervenuto un precedente accordo di compensazione, la cui efficacia condizionata dalla licenza. Tale accordo implica, perch ne sia possibile l'adempimento, l'obbligo di utilizzare la licenza non altrimenti che in stretto collegamento tra i due operatori connazionali . Nella sentenza 26 aprile 1955, n. 1151 (Giust. Civ., 1955, I, 1870) le Sezioni Unite della Suprema Corte regolatrice avvertono che l'intervento dello Stato nelle operazioni di scambio internazionale, sia che sia diretto ad evitare, mediante la prescrizione di determinate modalit (quali il procedimento di clearing, gli affari di reciprocit e la compensazione privata), il movimento della valuta, sia che miri al raggiungimento di altre finalit, non toglie ai negozi giuridici, mediante i quali le operazioni stesse vengono compiute, il carattere di negozi di diritto privato, rientranti nella sfora di cognizione del G.O. ; Cass., 28 maggio 1955, n. 1661 (Giust. Civ., 1955, I, 1834) precisa, a sua volta, che, nel rapporto di c.d. compensazione privata, l'accordo di collegamento o abbinamento delle due compravendite in esportazione ed importazione ha contenuto vincolante ed . generatore di reciproci diritti ed obblighi per i soggetti 382 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Col secondo motivo del ricorso principale si deduce che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che, in base al negozio di collegamento, la ditta Esposito avesse assunto nei confronti della ditta Tringale un'obbligazione di dare, oltre che un'obbligazione di fare, e che, di conseguenza, fosse legittima e conforme a legge la impugnata imposizione tributaria. Si deduce, cio, che il negozio di collegamento non che vi partecipano, onde ciascuno dei due operatori connazionali, in mancanza di espressa riserva limitatrice, assume verso l'altro la responsabilit non solo della propria condotta, ma anche di quella del proprio contraente estero, salva l'azione di rivalsa verso quest'ultimo ; Cass., 16 aprile 1952, n. 1001 (Giur. Compl. Cass. Civ., 1952, 2 quadr., voi. I, 557) afferma che: negli accordi di compensazione privata ciascun contraente pu pretendere l'adempimento delle obbligazioni direttamente assunte verso di iui dal contraente straniero e dall'altro contraente italiano ed a sua volta liberato da ogni responsabilit, quando dimostri di aver puntualmente adempiuto le proprie obbligazioni verso i suddetti contraenti. Ciascuna delle parti ha pure diritto di vedere adempiute le obbligazioni, che il proprio debitore ha nei confronti dell'altro suo contraente . Sulla distinzione fra affare di reciprocit e accordo di clearing v. App. Firenze, 7 settembre 1955, Giust. Civ., 1955, I, 1875. Sulla nozione di compensazione privata e affare di reciprocit v., in dottrina, FRANCESCHELLI, Gli scambi internazionali e il diritto commerciale interno, Riv. dir. comm., 1950, I, 1 e segg., in part. 19 e segg.; WEILLER, In tema di compensazione privata, Foro pad., 1950, I, 415 e segg.; ROTONDI, Osservazioni in tema di compensazione privata, Riv. dir. comm., 1950, II, 38 e segg., in part. 364 e segg.; AscARELLI, Compensazione privata volontaria e cambio traiettizio, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1951, 303 e segg., in part. 307 e segg..e 320 e segg.; TESTA, I mezzi di pagamento nel commercio stero, Ibidem, 695 e segg., in part. 705 e segg., 726; Id., Sugli "affari di reciprocit e sulla compensazione privata nel commercio internazionale, Giur. it., 1951, I, 1, 765 e segg.; PROVI"lo di elemento essenziale del prodotto. La qual cosa, assicurando il medesimo trattamento tributario fra il mercurio detenuto per gli usi della propria industria quale componente dei propri prodotti finiti e quello detenuto, per gli stessi usi, quale componente degli apparecchi di lavorazione dei propri prodotti finiti, risponde al principio codificato nel 3 comma dell'art. 1 del d.l. 1068-54 per il quale l'imposta dovuta qualunque sia la destinazione e l'impiego dei minerali di mercurio e dei suoi derivati. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1964, n. 370 -Pres. Pece -Est. Del Conte -P.M. Maccarone (conf.) -Larghi c. Finanze. Imposte e tasse in genere -Decisione di Commissione amministrativa -Ricorso all'a.g.o. -Termine -Ricorso gerarchico -Effetto sospensivo -Esclusione. (r.d.I. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 146). 393 PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Imposte e tasse in genere -Decisione della Commissione Provinciale delle imposte -Ricorso all'intendenza di Finanza -Decorso del termine per il ricorso all'a.g.o. -Errore scusabile -Rimessione in termini -Esclusione -Fattispecie. (r.d.l. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 146). Nelle controversie tributarie che abbiano formato oggetto di decisione amministrativa, il termine di sei mesi previsto, a pena di decadenza, dall'art. 146 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269, per l'azione giudiziaria, non sospeso per effetto della propqsizione del ricorso gerarchico, che ha carattere facoltativo (1). (1-2) L'art. 28 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 sulla riforma degli ordi namenti tributari, ha espressamente stabilito che la risoluzione in via amministrativa delle controversie relative all'applicazione della imposta di registro, di successione, in surrogazione, di manomorta ed ipotecaria, qualunque sia la natura della contestazione ed il valore presunto dei beni, demandato alle Commissioni amministrative. Per effetto di tale disposizione, nelle controversie relative alle imposte suddette il ricorso gerarchico sostituito dal ricorso alle Commissioni Amministrative le quali, a tal fine, nel relativo giudizio di carattere inquisitorio, serbano, a norma dell'art. 25 del r.d.I. 8 luglio 1937, n. 1516, le stesse facolt di indagine, di accesso, di ispezione, di controllo, di richiesta di dati, di informazioni e di chiarimenti conferite dalle singole leggi di imposte ai funzionari delle imposte dirette e di registro, con conseguenze utilizzazione delle resultanze come elementi di prova e di giudizio. Il ricorso gerarchico, dallo stesso art. 28 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 mantenuto soltanto per le controversie relative all'imposta di bollo, alle con cessioni governative ed alle altre imposte sugli affari ed a queste assimilate. (Cfr. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, ed. 1961, pagina 183-185). La cennata disciplina normativa, posta in relazione alla esclusione di ogni legame di continuit fra il giudizio innanzi alle Commissioni e quello innanzi all'Autorit Giudiziaria ordinaria, per l'autonomia formale e sostanziale del duplice ordine di difese, esclude, in maniera certa, che il termine di decadenza posto per l'introduzione dell'azione giudiziaria, a far data dalla notifica della decisione della Commissione amministrativa, di tipica natura giurisdizionale, possa essere influenzato, ai fini ,della decadenza, dalla pendenza del ricorso che il contribuente, dopo aver conseguito la decisione sostitutiva suddetta, abbia ritenuto di proporre agli organi dell'Amministrazione attiva. La qual cosa assorbe, precedendolo, il richiamo al prindpio recato dall'art. 2966 del e.e. sulla disciplina delle cause che impediscono la decadenza, quale quella comminata dall'art. 146 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269. Analoghe ragioni escludono, per le imposte per le quali il ricorso gerarchico sostituito dal ricorso alla Comm.ne amm.va, ogni utile richiamo all'istituto dell'errore scusabile e della conseguenziale rimessione in termini. Indipendentemente da ogni altra considerazione, sta di fatto che 394 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La remissione in termini per errore scusabile attiene ai .. '. ricorsi amministrativi propri ed ai ricorsi giurisdizionali amministrativi e non a ricorsi all'a.g.o. Essa inoltre riguarda l'ipotesi del ricorso avverso un provvedimento ritenuto, per errore, definitivo e non l'ipotesi inversa del ricorso avverso un provvedimento ritenuto per errore non definitivo. Detta rimessione in termini, pertanto, non opera nel caso in cui, a seguito della decisione emanata dalla Commissione Provinciale delle Imposte in materia di imposta di registro, il contribuente non abbia proposto ricorso alla Commissione Centrale delle Imposte, ma all'Intendente di Finanza e, decorso il termine di decadenza, previsto dall'art. 146 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269, abbia introdotto azione giudiziaria (2). " -~ II~ )':, l'istituto dell'errore scusabile concerne i ricorsi amministrativi propri ed i ricorsi giurisdizionali proposti in impugnativa di un atto amministrativo. Nei casi in esame l'azione giudiziaria non ha affatto, n nella sostanza n nella forma, la natura e gli effetti del gravame e la pronunzia della Commissione, a seguito della quale stato, per avventura, proposto .ricorso agli organi dell'Amm.ne attiva, ha natura e contenuto di decisione giurisdizionale e non di atto amministrativo. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1964, n. 160 -Pres. Stella Richter -Est. D'Amico -P.M. Colonnese (conf.) Impresa Rancilio c. Ministero LL.PP. Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale del Ministero dei LL.PP. -Natura normativa. (d.m. 28 maggio 1895). Appalto -Appalto, di opere pubbliche -Interessi sulle somme dovute all'appaltatore -Art. 40 Capitolato generale 28 maggio 1895 Inapplicabilit degli artt. 1341 e 1342 e.e. Il Capitolato generale d'appalto delle opere dipendenti dal Ministero dei LL.PP., approvato con d.m. 28 maggio 1895, ha natura regolamentare (1). Gli interessi sulle somme dovute all'appaltatore sono regolati dall'art. 40 del Capitolato suddetto, e non dall'art. 1224 e.e., la cui norma ha carattere dispositivo, e non imperativo, ed pertanto derogabile, senza che sia necessaria una approvazione specifica per iscritto, data la natura regolamentare dell'art. 40 citato (2). (1-2) Sul carattere normativo del Capitolato generale 28 maggio 1895 e di quello appr. con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, (e pubbl. in G. U., 7 agosto 1962, n. 198), attualmente in vigore per le opere di competenza del Ministero dei LL.PP., nonch sulle questioni connesse, anche in relazione all'inapplicabilit degli artt. 1241 e 1342 e.e., cfr in questa Rassegna 1964, retro, 192. Circa la natura forfettaria della disciplina prevista dall'art. 40 del citato capitolato (e dai corrispondenti artt. 35 e 36 del nuovo Capitolato generale 16 luglio 1962, n.. 1063), relativamente ai ritardi nel pagamento delle somme dovute all'appaltatore, cfr. in questa Rassegna, 1964, retro, 192. 396 RASSEGNA l)ELI.'AVVOCATURA DELLO STATO ;:; ~ TRIBUNALE SUP. ACQUE, 22 gennaio 1964, n. 6 -Pres. Reale - Est. Ferrati -Soc. Meridionale di Elettricit ed E.N.E.L. c. Ministero LL.PP. ~ . f.. . Acque pubbliche -Sovracanoni -Ingiunzione di pagamento Giudizio di opposizione -Competenza territoriale dei TriJmnali Regionali -Criterio: localit ove sono situate le opere -Inderogabilit. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 140, 161; r.d. 14 aprile 1910, n. 639, art. 3). Acque pubbliche -Procedimento innanzi ai Disciplina. (t.u. 11 dicembre 1833, n. 1775 ,art. 202). Tribunali delle Acque - La competenza territoriale dei Tribunali regionali delle acque pubbliche determinata dal luogo ove sono le opere o i beni oggetto delle controversie elencate nell'art. 140 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775. Questa competenza inderogabile e va osservata anche se trattasi di opposizione ad ingiunzione per il pagamento di sovracanoni (1). Il procedimento che si svolge dinanzi ai Tribunali delle acque regolato, pur dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, dalle norme del codice di rito del 1865 (2), (Omissis). -Va esaminata, prima di ogni altra, la questione di competenza, ritualmente sollevata con l'atto di impugnazione, e deve riconoscersi che la stessa va rsolta in conformit all'assunto dell'appellante. (1) La sentenza conferma un indirizzo che ha trovato dissenso in d.ottrina. Affermato il principio, per la prima volta, dalla Corte di Cassaz10ne, con sentenza 9 gennaio 1959 n. 26 (Acque, ecc., 1959, 129), esso stato a~colto con perplessit e riserve (cfr. questa Rassegna, 1959, 75), ed anche vivacemente criticato (cfr.: ANDRIOLI, La competenza per territorio dei tribunali delle acque pubbliche, Acque, ecc., 1959, 327; DI TARSIA, ivi, 1959, 3'92). In senso adesivo, invece, cfr.: RoMUALDI, Sulla natura della competenza per territorio dei tribunali reg. aa. pp., ivi, 1959, 129). Il Tribunale Superiore si uniformato all'indirizzo con sentenza 15 luglio 1960, n. 26 (Acque, ecc., 1960, 384). (2) La massima del tutto pacifica. Da ultimo, cfr.: Cass. 17 aprile 1?63, n. 950, che ne ha fatto applicazione a proposito dei termini per il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione. In dottrina, l'ANDRIOLI (Codice di procedura civile e leggi processuali speciali, in Foro It., 1942, IV, 44) aveva affermato la legittimit del procedimento esegetico, inteso a sostituire ag~i articoli del codice del 1865, le corrispondenti nor me del nuovo codice. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 397 E' pacifico che sono di competenza del Tribunale regionale delle acque le controversie che insorgono in sede di opposizione ad ir.i.giunzione per la riscossione coattiva di sovracanoni dovuti dalle imprese concessionarie di derivazioni d'acqua per impianti di produzione di forza motrice, giacch le stesse importano una contestazione sull'obbligo di corresponsione allo Stato di quanto dovuto per l'uso delle acque pubbliche, che rientra ratione materiae nella competenza di quel Tribunale. Ora, il criterio per determinare la competenza territoriale non pu essere quello dettato dall'art. 3 del t.u. 14 aprile 1910, n. 639, che, nel disciplinare la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, attribuisce la competenza a conoscere delle opposizioni avverso le ingiunzioni al giudice del luogo in cui ha sede l'Ufficio che ha emesso l'ingiunzione. La competenza terrioriale, nella soggetta materia, va, invece, stabilita in relazione al luogo ove sono le acque, le opere od i beni, oggetto delle controversie indicate nell'art. 140 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici. In questi sensi si gi pronunciato il Tribunale Superiore (sent. 15 luglio 1960, n. 26) in aderenza all'indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione (sent. 9 gennaio 1959, n. 24, 25, 26), la quale, pur riconoscendo che il principio non trovasi espresso con formunla sacramentale nella legge speciale, ha rilevato che esso costituisce il logico presupposto di tutto il sistema che informa la distribuzione delle competenze, ratione loci, tra i tribunali regionali, in relazione alla situazione di fatto che si considera decisiva a questo effetto, ossia l'esistenza di quei beni nella circoscr~zione dell'uno o dell'altro organo. Opportunamente s' osservato che l'elemento territoriale influisce essenzialmente sulla funzione del giudice specializzato, perch la funzione medesima in quel determinato ambito territoriale ritenuta la pi efficace alla tutela dell'interesse pubblico, che si riconnette alla demanialit delle acque e al migliore regolamento di esse nelle singole zone regionali, a cui corrispondono , le diverse circoscrizioni, e se ne dedotto, quindi, che quella in esame una competenza territoriale funzionale per ragioni d'ordine pubblico e come tale inderogabile. Cos essendo, appare evidente come sia inapplicabile la norma del t.u. del 1910, la quale, se deroga alle norme di carattere generale sulla competenza, sicuramente incompatibile col sistema particolare della legge sulle acque, che determina con 398 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il criterio funzionale un foro esclusivo che non ammette alcuna altra competenza. Pertanto, poich nella specie fuor di contestazione che l'impianto idroelettrico, in relazione al quale stato richiesto il pagamento del sovracanone, trovasi nella circoscrizione del Tribunale regionale di Napoli e non in quella del Tribunale di Roma, quest'ultimo avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza anzich conoscere del merito della opposizione. L'impugnata sentenza va, quindi, riformata in tal senso, senza che vi sia possibilit di ritenere la causa, dovendo trovar applicazione, per il richiamo fattone nell'art. 191 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, la norma del'art. 493 dell'abrogato codice di procedura civile, secondo la quale, qualora in prima istanza si sia pronunciato sulla competenza e sul merito, non si pu in appello conoscere di questo se sia dichiarata l'incompetenza dei primi giudici. E' noto infatti (cfr. sent. Cass. 6-11-1958, n. 3619) che, pur dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, il sistema processuale relativo alle controversie in materia di acque pubbliche rimane collegato, nella sua interezza, attraverso il riferimento di cui al menzionato testo unico, alle norme contenute nel codice di rito del 1865; le quali norme debbono considerarsi come recepite dal testo unico medesimo, rimanendo estranee alla materia le modificazioni della procedura ordinaria apportata dal nuovo codice. -(Omissis). TRIBUNLE SUP. ACQUE, 30 gennaio 1964, n. 7 -Presidente Reale -Est. Granito -Tamborino Vincenzo (eredi) c. Ministeri Marina Mercantile, Agricoltura e Foreste e Prefetto di Lecce. Acque pubbliche -Pesca -Diritti esclusivi -Provvedimenti del Prefetto e del Capo Compartimento marittimo -Definitivit -Esclusione -Silenzio-rifiuto -Impugnativa dinanzi al Trib. Sup. Acque -Inammissibilit. Acque pubbliche -Competenza -Provvedimenti di decadenza dal diritto esclusivo di _pesca -Impugnativa dinanzi al Trib. Sup. Acque -Ammissibilit. Acque pubbliche -Competenza -Natura pubblica delle acque -Accertamento gi definitivo -Appartenenza al demanio marittimo PA~TE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 399 o al demanio idrico -Controversia sollevata incideuter tantum Incidenza su interessi legittimi e non su diritti soggettivi -Competenza del Trib. Sup. Acque -Esclusione -Competenza del Consiglio di Stato -Sussiste. Competenza e giurisdizione -Atto amministrativo -Disapplicazione ai sensi dell'art. 5 I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E -Giurisdizione amministrativa -Esclusione -Giurisdizione ordinaria -Sussiste. Acque pubbliche -Classificazione -Modifica -Estinzione di diritti di uso e di pesca Esclusione -Acque pubbliche -Mutamento di caratteristiche e di destinazione dipendente da evento naturale Diritto di uso e di pesca -Impossibile loro esercizio. Acque pubbliche -Diritti esclusivi di pesca -Riconoscimento -Termine previsto dalla legge 24 marzo 1921, n. 312 in relazione alle acque considerate, di diritto o di fatto, gi pubbliche nel 1921 Acque dichiarate pubbliche in epoca successiva -Applicabilit. Gli atti del Prefetto e del Capo del Compartimento marittimo in materia di diritti esclusivi di pesca non sono definitivi. E' perci inammissibile il ricorso proposto avverso il silenziari. fiuto delle predette autorit (1). (1-6) La pregiudiziale amministrativa. . Le prime due massime costituiscono giurisprudenza consolidata e non hanno, perci, bisogno di alcun commento: . , La terza e la quarta sono di particolare mtere.ss~. Con es~e .si ~ escluso che il Tribunale Superiore (e lo stesso deve dirsi del Consiglio di Stato) possa decidere, in via incidentale o ai fini della disapp!icazi?ne dell'atto, la questione relativa alla legittimit di un atto ammin~strativo, che si assume lesivo d'interessi legittimi, qualora la detta questione non sia devoluta alla sua giurisdizione. In proposito noto che il sistema processuale vigente (art. 34 c.p.c., artt. 28 e 30 r:d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 3 e 5 r.d. 26 giugno 1924, n. 1058, artt. 9 e 11 r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 169 t.u. 11 dicembre 933, n. 1775) si uniformato alla classic~ tricotomia del MENESTRINA (La pregiudiziale nel processo civile, p. 26, 123 e 149), che distingue i punti pregiudiziali, non controversi, le questioni pregiudiziali, da risolvere incidenter tantum, e le cause pregiudiziali, in cui l'antecedente logico deve essere <<:::.:0w.:x:::.w..:::::::.:x:w::::::::::::m'w:::.,....:::::::.o;:f.::=/,:::.::::~:gw&:'ffi'<-.I PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE borino a titolo di propriet, ovvero allo Stato. Detta questione fu proposta a suo tempo dal senatore Tamborino, mediante impugnativa dell'iscrizione dei due laghi nell'elenco delle acque ,pubbliche, e venne definitivamente risolta in senso a lui sfavorevole con sentenza 28 febbraio-7 aprile 1956 del Tribunale regionale delle acque di Napoli, confermata in grado di appello da questo Tribunale superiore con sentenza 17 novembre 1956-24 gennaio 1957 e passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso per cassazione con sentenza delle Sezioni unite 27 febbraio- 30 luglio 1958. Il carattere pubblico dell'intero complesso idrico AliminiFontanelle ormai fuori discussione. La questione sollevata nel presente giudizio verte, invece, sul punto se l' Alimini grande e parte del canale Lu Strittu appartengano al demanio idrico interno (come era stato, in un primo momento, dichiarato con D.P. 7 dicembre 1951) ovvero al demanio marittimo (come stato, poi, accertato con D.M. 22 novembre 1955). Ora la soluzioni di tale questione non incide. su diritti soggettivi, ma (se mai) su interessi legittimi. Il singolo cittadino non ha un diritto subbiettivo perfetto a che un dato bene sia classificato nell'una o nell'altra categoria di beni demaniali; le norme che fissano i criteri distintivi del demanio idrico e del demanio marittimo non sono state dettate dal legislatore per la tutela di interessi privati, bens nell'interesse generale della collettivit. Il privato potr avere un interesse, indirettamente e occasionalmente protetto, alla inclusione di uno specchio d'acqua pubblica tra le acque lacuali, ai sensi dell'art. 1 t.u. 1933, n. 1775, anzich tra le acque lagunari o tra i bacini di acqua salsa o salmastra ai sensi dell'art. 28, lett. b) cod. nav. -e ci ai fini delle modalit di esercizio del diritto di pesca (data la diversa regolamentazione della pesca lacuale o fluviale rispetto a quella marittima) o, come nella specie, ai fini del procedimento e dei termini da osservare per il riconoscimento di tale diritto -ma non un diritto perfetto. Che si tratti di meri interessi legittimi stato, del resto, gi affermato nel caso in esame dalla Corte d'appello di Lecce, con sentenza 7-25 luglio 1960 non impugnata dagli interessati, che, confermando la. sentenza 10 febbraio -11 marzo 1959 del Tribunale di Lecce, ha ritenuto appunto improponibile per difetto di giurisdizione dell'Autorit giudiziaria ordinaria una azione di accertamento negtivo proposta dai Tamborino e intesa a far dichiarare che le acque in questione non appartengono al demanio marittimo, bens a quello idrico. Ci posto, ne segue che non trovano qui applicazione le 404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO norme che attribuiscono agli organi di giustizia amministrativa, .e in particolare al Tribunale superiore delle acque, la potest di conoscere incidenter tantum di questioni relative a diritti, anche se devolute alla competenza dei Tribunali regionali (art. 197 t.u. 1933, n. 1775); e tanto meno l'art. 5 della legge sul contenzioso amministrativo dettato per la giurisdizione ordinaria, non per le giurisdizioni amministrative di legittimit, e non applicabile quindi nell'ambito della tutela degli interessi legittimi. Obbiettano i ricorrenti che i diritti di pesca sono diritti soggettivi perfetti e che il Tribunale superiore, quando si ;pronuncia sui ricorsi attinenti a tali diritti e attribuiti alla sua giurisdizione, agisce quale giudice dei diritti, non diversamente dal giudice ordinario o dal Consiglio di Stato, nella sfera della sia giurisdizione esclusiva. Va, peraltro, osservato che l'antico utente di acque pubbliche, nelle more della procedura di riconoscimento, trovasi s in una posizione di diritto (e non di fatto), produttiva di conseguenze giuridiche specie nei confronti dei terzi, ma non pu ancora considerarsi titolare di un diritto soggettivo perfetto (v. Cass. 13 luglio 1951, n. 1948). E appunto per ci le controversie relative alla decadenza dalla facolt di chiedere il riconoscimento di un antico diritto di pesca -a differenza di quelle richiamate nell'art. 140, lett. f) t.u. 1933 e che concernono veri e propri diritti -sono state devolute al Tribunale superiore, anzich ai Tribunali regionali. Ma anche se nel conoscere di tali controversie il Tribunale Superiore fosse giudice dei diritti e non di interessi legittimi, la tesi dei ricorrenti dovrebbe essere ugualmente respinta, dato che il Tribunale superiore non ha, in materia di diritti di pesca, giurisdizione esclusiva e i suoi poteri di cognizione e decision non sono quelli del giudice civile ordinario, bens quelli di una giurisdizione speciale amministrativa di legittimit e di annullamento. D'altra parte, il decreto interministeriale 22 novembre 1955 e il D.P. 1 febbraio 1956 non contengono alcun provvedimento che abbia come oggetto diretto e specifico il diritto esclusivo di pesca vantato dai Tamborino; la qualificazione demaniale da essi attribuita all' Alimini Grande e allo Strittu potr ave re rilevanza ai fini del riconoscimento di tale diritto, ma solo in via mediata e indiretta, e potr ledere quindi soltanto interessi legittimi: i quali (com' noto) possono farsi valere esclusiva mente mediante formali impugnative, da proporsi nei termini e nei modi di legge innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa. E' chiaro, pertanto, che della legittimit di detti decreti il PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 405 Tribunale superiore non pu conoscere, neppure in via inciden. tale, e che l'appartenenza dei due specchi d'acqua a demanio marittimo va considerata nel presente giudizio come un punte;> fermo, un dato obbiettivo di fatto, non suscettibile di contestazione. -(Omissis). TRIBUNALE SUP. ACQUE, 11 marzo 1964, n. 8 -Pres. Celentano -Est. Daniele -D'Anna c. Cassa per il Mezzogiorno e Prefetto di Napoli. Acque pubbliche -Costruzione acquedotti -Giurisdizione dei Tribunali delle Acque pubbliche -Limiti. (t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 140 e 143). Espropriazione per pubblica utilit -Mancata prefissione del termine per l'esecuzione delle espropriazioni e dei lavori -Successivo provvedimento in sanatoria -Illegittimit. O. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 13). Criterio discriminatore della competenza dei Tribunali delle acque pubbliche, rispetto al Consiglio di Stato o al giudice ordinario, quello relativo alla utilizzazione diretta ed immediata dell'acqua pubblica'. La costruzione della condotta principale di distribuzione di un acquedotto un'opera che realizza tale immediata utilizzazione; mentre la costruzione della rete di distribuzione agli utenti pone in essere un'utilizzazione indiretta (1). L'indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento delle espropriazione deve essere espressa nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilit, trattandosi di un elemento essenziale, che non pu essere fissato in atto successivo (2). ,, (1) Per larghi richiami, cfr.: Cons Stato, Sez. V, 3 giugno 1961 n. 252, Foro it. 1961, III, 163. Secondo gli attuali orientamenti giurisprudenziali, la competenza speciale del Trib. Sup. AA.PP., in tema di derivazione di acque ad uso potabile e di opere relative alla costruzione degli acquedotti, si arresta, quando, compiuta la presa ed eseguite le opere, l'acqua viene immessa negli impianti. (2) In questa Rassegna (retro, 211, nota 2-3) sono stati richiamati i precedenti. Con l'occasione si prospettava il dubbio circa la possibilit di fissare, con atto successivo e con efficacia di sanatoria, i termini omessi. La decisione, che -a quanto risulta -per prima affronta specificamente la questione, nega l'accennata possibilit; sotto il profilo che la fissazione dei termini costitu~sc,~ un elemento essenziale, condizionante la stessa giuridica esistenza della dichiarazione di pubblica utilit. 400 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO TRIBUNALE SUP. ACQUE, 3 aprile 1964, n. 12 -Pres. Reale Est. Giannattasio -Ministero LL.PP. c. Soc. Idr. del Carpino. Acque pubbliche -Sovvenzioni per costruzione di nuovi impianti Pretesa del concessionario -Natura -Diritto soggettivo -Sovvenzioni per ampliamento, potenziamento e ricostruzione di impianti gi esistenti Pretesa del concessionario -Natura -Interesse legittimo. (1. 29 maggio 1951 n. 457, art. 1). La sovvenzione, prevista nell'art. 1, 1 comma, della legge 29 maggio 1951, n. 457, per la costruzione di nuovi impianti idroelettrici, d luogo ad un diritto soggettivo perfetto, mentre la sovvenzione, prevista dai successivi commi 2 e 3, per l'ampliamento, potenziamento e ricostruzione degli impianti gi esistenti, d luogo ad interessi legittimi (1). (1) La sentenza 14 dicembre 1962, n. 3364, delle Sezioni unite della Cassazione, richiamata nel testo, riportata in Foro it., 1963, I, 32. Quella dello stesso Trib. sup. acque 19 maggio 1960, anche richiamata nel testo, riassunta in Foro it., Rep., 1960, voce acque pubbliche, n. 146. Va ricordato, a proposito dell'art. 1 della legge 29 maggio 1951, n. 457, il parere del Cons. Stato, Sez. II, 23 maggio 1956, n. 365, (ivi, 1958, voce cit., nn. 70-71), che ha riconosciuto il diritto alla sovvenzione per tutti i nuovi impianti, sia che utilizzi.no acque fluenti, che acque raccolte in serbatoio. Nel parere citato, si distingue anche tra sovvenzione concessa a norma della legge in esame, e contributo accordato ai sensi dell'art. 73 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775. Il criterio seguito dal Tribunale Sup. per discriminare tra posizione di diritto soggettivo (in rapporto a norma di relazione) e posizione di interesse (in rapporto a norma di azione) accolto correntemente. Per una approfondita disamina, cfr.: GUICCIARDI, La giustizia amministativa, 1943, 31 e ss.; nonch, in Giur. It., 1949, III, 145; 1951, III, 33 e 66. LODO 29 gennaio 1964 (Napoli) -Pres. ed Est. Cesaro -Impresa Domenico De Luca c. Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Napoli e Gestione Case per Lavoratori (interveniente adesiva). Appalto -Appalto di opera pubblica -Dovere della stazione appaltante di cooperare con l'appaltatore per rendere possibile la sua tempestiva liberazione -Sussistenza. (e.e. ,artt. 1175, 1375). Appalto Appalto di opera pubblica -Novazione del termine contrattuale di ultimazione dci lavori Interpretazione del contratto -Ri PARTE I, SBZ. Vl, GlURlS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 407 cerca della comune intenzione dei contraenti -Persistenza della responsabilit della Stazione Appaltante per la protrazione della durata dei lavori. (e.e., artt. 1321, 1322, 1372, 1362, 1175). Nel contratto di appalto di opera pubblica l'Amministrazione appaltante responsabile per la mancata cooperazione necessaria per render possibile la tempestiva liberazione dell'appaltatore (1). Qualora il termine contrattuale di ultimazione dei lavori sia consensualmente sostituito da altro termine, pi lungo, l'interpretazione di tale accordo, con la ricerca della comune inten (1-2) Per gli appalti privati v. RUBINO,' L'appalto, Torino 1954, 176 e segg.; per gli appalti d'opera pubblica nega che si tratti di una vera e propria obbligazione CIANFLONE, L'avpalto di opere pubbliche, Milano 1950, 338 e segg. Contro la semplicistica tendenza, che talora. si manifesta, a voler ricondurre la disciplina giuridica dell'appalto pubblico negli schemi del corrispondente contratto di diritto privato e l'erroneit dell'indiscriminato ricorso in materia di pubblico appalto alle norme di diritto privato, che costituiscono, in materia, soltanto una fonte sussidiaria di diritto, cui lecito ricorrere solo in caso di lacune della normazione speciale e semprech la norma sussidiaria non contrasti con i principi risultanti dall'ordinamento speciale, v. Relaz. Avvocatura dello Stato, 19421950, Roma, 1953, 468 e segg. ed ivi giurisprudenza. (1-2) Interpretazione invalidante del contratto? In caso di ritardo nel compimento da parte della Stazione appaltante dell'attivit indispensabile per l'inizio o la prosecuzione dei lavori si sostiene che l'appaltatore di opera pubblica ha diritto di ottenere un prolungamento del termine di ultimazione e si parla, in tal caso, di termine suppletivo (CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano 1950, 490; CuNEO, Appalti pubblici e privati, Padova 1947, 533). Si anche ammesso il diritto dell'appaltatore ad un compenso per la maggior durata dei lavori principali, oltre il termine contrattualmente previsto, in caso di ritardo dell'Amministrazione appaltante a provvedere alle opere e provviste scorporate (lodo 9 aprile 1953, cit. da BoNORA, Il contratto d'appalto di lavori pubblici, Frascati, s.d. (ma 1960, 140 e seg.). Diversa , invece, l'ipotesi di c.d. novazione del termine, consistente nella fissazione consensuale di una nuova data in cui l'opera deve essere materialmente compiuta. In relazione a tale modifica del contratto d'appalto d'opera pubblica, lo svolgimento del rapporto avr luogo come se il termine di ultimazione fosse stato ab initio quello successivamente pattuito, poich esso sostituisce quello originario. Appare ovvia, pertanto, la conseguenza, scaturente dalla premessa, che in tal caso l'appaltatore non pu avanzare alcuna pretesa di particolari compensi o indennizzi per il prolungamento della durata dei lavori: qualunque possa essere stata la ragione del prolungamento del termine (colpa dell'Amministrazione, colpa dell'appaltatore, fatti obiettivi), la consensualit del prolungamento del 408 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione dei contraenti, mediante la valutazione del loro comportamento complessivo, pu autorizzare l'interprete a desumere dalle ragioni che resero necessario il prolungamento del termine ' termine fa s che nessuna azione possa, in tal caso, farsi valere dall'una parte e dall'altra (CIANFLONE, op cit., 489; CUNEO, op. cit., 534). Trattasi non gi di materia opinabile, ma della ovvia conseguenza giuridica di una valida mocj.ificazione consensuale del contratto originario (v., infatti, lodo 29 giugno 1939, Giur. oo.pp., 1939, I, 658, in particolare pagg. 686-687; lodo 3 luglio 1940, Id., 1941, 91; lodo 2 aprile 1955, Id., 1955, I, 138 e 143). Sicch, applicando, su tale premessa, il principio fondamentale che l'appaltatore deve compiere tutto ci e non pi di tutto ci che si rende necessario per l'esecuzione dell'opera secondo i patti contrattuali e le regole d'arte, apparir un fuor d'opera parlar di indennizzo o risarcimento per l'aggravarsi delle spese generali, o, comunque, per le conseguenze sfavorevoli derivanti dalla maggiore durata dell'appalto. Non v' maggiore durata del rapporto, laddove esso si svolga entro il termine contrattuale, sia pure consensualmente novato . Il lodo arbitrale in esame, dopo aver fatto riferimento ad alcune richieste di proroga dell'Impresa alla Stazione appaltante, per l'assunto ritardo con cui questa provvedeva all'esecuzione delle opere scorporate dall'appalto principale, ha dato atto che l'Impresa, successivamente, addivenne alla stipulazione con l'Istituto di vari atti aggiuntivi, con i quali, oltre alla modifica oggettiva del contratto (esecuzione di parte delle opere scorporate; retribuzione di lavori a misura anzich a corpo, come originariamente pattuito; prezzi nuovi), consentiva alla novazione del relativo termine di ultimazione dei lavori, che veniva complessivamente prolungato di altri 14 mesi. Esso, infatti, ha qualificato innegabile il collegamento funzionale dei vari atti di sottomissione rispetto a quello originario e ritenuto per certo che i nuovi termini di consegna si aggiunsero al primo, nel senso di costituire tutti insieme un termine unico, finale, di adempimento . Ci stante, ci si sarebbe aspettato il rigetto delle domande dell'Impresa, in quanto fondate su una pretesa colpa dell'Istituto appaltante nel prolungamento dell'originario termine di esecuzione dei lavori, prolungamento, che, viceversa, era stato, come s' visto, liberamente pattuito. Senonch, il lodo pervenuto a diversa conclusione, affermando che non basta riferirsi all'esistema dell'accordo di proroga del termine, perch cos facendo si descriverebbe il fenomeno dal punto di vista estrinseco e formale , mentre il problema invece diverso, di struttura, interessando le cause della protrazione del termine originario . Sembra giusto chiedersi, per, a questo punto, quale interesse e rilevanza potevano e dovevano avere le cause che diedero luogo ai vari contratti di protrazione del termine, una volta che tali contratti esistevano e non ne era stata contestata la validit, onde essi dovevano avere forza di legge tra le parti (art. 1372 e.e.). Poich la liberazione dell'Impresa era regolarmente seguita, in relazione al nuovo termine di ultimazione, non si vede come potesse ancora parlarsi di colpa della Stazione appaltante, la quale, secondo il lodo, non avrebbe, tuttavia, impedito che la durata dei lavori anzi che nei tredici mesi prefissi, si fosse irragionevolmente protratta, invece, rispetto al termine contrattuale originario, di mesi quattordici, come infatti avvenuto. Non pare potesse qualificarsi irragionevole una protrazione libera PARTE I, SEZ. VI, G!URIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 409 una fonte di persistente responsabilit dell'Amministrazione, per la mancata, tempestiva liberazione dell'appaltatore, con riferimento al termine contrattuale originario (2). mente pattuita. Ch, anzi, se la Stazione appaltante la avesse, poi, impedita, avrebbe, precisamente, violato i patti, mentre, dire che avrebbe dovuto impedirla prima, significa sostenere che avrebbe dovuto addirittura impedire all'Impresa... di contrattarla. Ma il lodo appare criticabile sotto ulteriori profili. Sembra, infatti, pacifico che l'interpretazione di un contratto serve a stabilirne il contenuto, non gi ad invalidarlo, poich non ... funzione dell'interprete, ma compito della prova, a sostegno di una eventuale azione di impugnativa per vizio della volont, di ricostruire la reale volont dell'autore (BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino 1943, 202). Pure consolidato il principio che l'applicazione del criterio di ermeneutica previsto dal capoverso dell'art. 1362 e.e. ha per presupposto che l'interpretazione delle clausole pattizie, nel loro significato letterale, logico o sistematico, non fornisca da sola gli elementi indispensabili al fine di intenderne il contenuto effettivo (Cass., 29 agosto 1963, n. 2379, Giur. it., Mass. 1963, 809; v. anche Cass., 14 settembre 1963, n. 2520, Ivi, 857; Cass, 8 febbraio 1964, n. 290, Id., 1964, 88). Invece il lodo annotato, rifacendosi alle rimostranze della Impresa, di cui si accennato, superate ed assorbite dagli atti aggiuntivi (cfr. lodo 17 maggio 1939, Giur. oo.pp., 1939, I, 570) e nonostante il chiaro significato letterale e logico delle clausole di protrazione del ter mine dell'appalto in questi contenute, ha ffermato che la comune intenzione delle parti fu quella di non ritenere preclusa ogni doglianza . Ora, anche a prescindere dall'irrilevanza attribuita, nella specie, alle clausole di rinunzia ad eccezioni e riserve, pur sottoscritte dall'Impresa con i cennati atti, in quanto, secondo il lodo, predisposte dall'Amministrazione ed ispirate alle proprie esigenze burocratiche (?), sembra lecito chiedersi: come possibile che la comune intenzione di reiterati patti di novazione del termine contrattuale di esecuzione dei lavori fosse animus novandi ed in pari tempo volont di lasciar sopravvivere gli effetti del termine originario, di guisa che la protrazione, pur pattuita, potesse poi considerarsi ugualmente irragionevole ed imputabile a colpa di una delle parti contraenti? Si sarebbe pattuito, allora, un riconoscimento di colpa e di responsabilit della stazione appaltante? Strana intenzione comune dei contraenti quella, che, invece di integrare la fattispecie della dichiarazione, si ritorce contro di essa e le toglie valore! Sarebbe come se la Stazione appaltante e l'Impresa avessero vol-to e disvoluto al tempo stesso, nonostante la contradizion che noi consente . Ma quale comportamento della Stazione appaltante autorizzava, in ogni caso, il Collegio arbitrale a ritenere comw1e un'intenzione, che appare piuttosto come una riserva mentale dell'Impresa appaltatrice? Cos, in definitiva, il Collegio ha invalidato dei contratti, pur senza esserne stato ritualmente richiesto e senza avere avuto la prova della sussistenza di una rilevante causa di invalidit dei medesimi (ed anzi disponendo di tutti gli elementi per inferirne che l'Impresa li stipul ed esegu con sdenza e volont), ma soltanto... per via di interpretazione. FRANCO CARUSI 410 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO LODO 15 febbraio 1964, n. 6 (Roma) -Pres. Trotta -Impresa Bentivoglio c. Ministero LL.PP. e I.A.C.P. per la Provincia di Brescia. Appalto -Appalto di opere pubbliche -Costruzione di alloggi per prfughi -Rapporto instaurato tra Stato e Istituti Autonomi Case ~opolari -Natura: delegazione amministrativa -Contratto di appalto stipulato dagli Istituti -Controversie -Legittimazione passiva dello Stato. ;I i Appalto -Appalto di opere pubbliche -Esecuzione dei lavori -Riserve -Termine ~ Inosservanza -Effetti. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 53, 54). Il rapporto instaurato, ai sensi dell'art. 18, l. 4 marzo 1952, n. 137, tra l'Amministrazione dei LL.PP., che ha il compito di costruire alloggi per la sistemazione dei profughi, e gli Istituti provinciali autonomi delle Case Popolari, cui affidato l'incarico di eseguire la costruzione in nome e per conto dello Stato, consiste in una delegazione amministrativa, con la conseguenza che l'Amministrazione suddetta legittimata passivamente alle liti promosse dalle imprese appaltatrici, ancorch il contratto di appalto sia stato stipulato direttamente degli Istituti (1). (1) La massima e m netto contrasto con il consolidato insegnamento della Corte Suprema a Sezioni Unite (11 ottobre 1963, n. 2711, Giust. civ., 1963, Mass. Cass., 1271, 20 gennaio 1964, n. 128, Giur. it. 1'964, Mass., 43), che nell'ipotesi del tutto analoga di lavori previsti dalla legge 9 agosto 1954, n. 640, ha escluso la possibilit di utilizzare le nozioni privatistiche del mandato e della rappresentanza, per la delega amministrativa intersoggettiva. Questa, rispondendo ad esigenze di decentramento, e mirando a realizzare una semplificazione o riduzione, sotto il profilo strutturale e funzionale, dell'organizzazione amministrativa e delle dimensioni dell'ente delegante, pone il delegato -nei limiti della delega e per la sua durata -in una posizione pari a quella del delegante; il quale viene a trovarsi, rispetto agli atti di esecuzione della delega, nella posizione di soggetto investito di funzioni di controllo. Ci comporta, di regola, e salvo che l'atto di conferimento non disponga altrimenti in modo esplicito, che il delegato provvede all'oggetto della delega in nome proprio, e non in veste di rappresentante del delegante; e che nei confronti di terzi direttamente responsabile, senza che in contrario possano avere rilievo le eventuali ripercussioni degli atti posti in essere in esecuzione della delega, nell'ambito del rapporto (interno) con il delegante. In dottrina, cfr.: FRANCHINI, La delegazione amministrativa, Mila no, 1950. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 411 La mancata iscrizione delle riserve nei modi e termini previsti dall'art. 54 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, non comporta la loro nullit o in.validit, riguardando dette prescrizioni esclusivamente l'accertamento dei fatti (2). (Omissis). -L'Amministrazione dei LL.PP., a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, eccepisce, in via pregiudiziale, il difetto di legittimazione ;passiva nei suoi confronti, assumendo che il rapporto si era esclusivamente costituito tra l'Impresa Bentivoglio e l'Istituto Autonomo delle Case Popolari di Brescia, onde il Ministero dei LL.PP., dovendosi ritenere estraneo a un siffatto rapporto, dovrebbe essere estromesso dal giudizio. Sostiene, a .tal uopo, l'Amministrazione, che i lavori dei quali si discute erano stati finanziati ai sensi della legge 4 marzo 1952, n. 137, e, quindi, affidati in concessione al predetto Istituto, onde gli alloggi costruiti, di propriet dello Stato, erano stati, dopo il collaudo, trasferiti in gestione all'Istituto medesimo, che soddi( 2 La massima risulta difforme anche dalla pi benevola interpretazione delle norme in materia. E' noto, che, nei pubblici appalti, le richieste dell'appaltatore sono subordinate all'osservanza di rigorose formalit, non solo per il modo ed il luogo di formulazione, ma specialmente per il tempo nel quale devono essere avanzate. Infatti, corrisponde non solo all'esigenza dell'esatto ed aggiornato calcolo degli oneri derivanti dall'appalto (al fine di rimanere nei limiti dello stanziamento); ma principalmente alla necessit di immediati controlli (in relazione all'acquisizione di elementi di fatto a prova o contro le richieste dell'appltatore), che le stesse debbano essere avanzate subito dopo l'inserzione in contabilit delle partite di lavoro alle quali si riferiscono (art. 53 e 54 del regolamento del 1895). Ad esempio, evidente che, a distanza di tempo, non pi possibile controllare in quali condizioni fosse un terreno all'atto dell'apertura di uno scavo; in qual modo sia stato esso eseguito; in che condizioni di imbibizione fossero le terre trasportate a rifiuto. Si tratta di circostanze da accertare durante Io scavo; e per le quali una dimostrazione a distanza di tempo del tutto impossibile, specie se affidata alla labile memoria di testimoni: appunto a questo fine, l'art. 54 del regolamento 25 maggio 1985, n. 350, dispone che, se l'appaltatore non abbia formulato riserve, i fatti registrati si intendono accertati, con decadenza dal diritto di far valere in seguito domande che ad essi si riferiscano. In sede arbitrale si ripetutamente tentato di superare tale preclusione, facendo riferimento al concetto dei fatti continuativi, che cio durano nel tempo o i cui effetti si protraggono nel tempo. Per, la portata e l'estensione dell'espressione sono state giustamente definite e circoscritte sulla scorta dei seguenti principi: a) il fatto continuativo deve essere del tutto indipendente dalle singole partite di lavoro, via via iscritte in contabilit, e deve investire l'appalto nel suo complesso, in quanto afferente alla generalit dell'opera; b) per questa ragione, la 412 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sfaceva cos ad una sua istituzionale funzione; nel che, appunto, si concreterebbe la differenza fra i due istituti, che integrano il caso tipico di sostituzione con trasferimento at sostituto di popoteri propri del sostituito: perci in entrambi i casi il sostituto agirebbe per soddisfare in via principale un 'interesse pubblico del sostituito, ma il concessionario sarebbe, altres, titolare di interesse proprio, concorrente, e spesso coincidente, con quello del concedente, il che non si verificherebbe per il delgato. Siffatta eccezione priva di fondamento giuridico. Come risulta dalla documentazione prodotta, il Ministero dei LL.PP., con nota 8801 del 22 dicembre 1952, ha affidato all'Istituto Autonomo delle Case Popolari della Provincia di Brescia, in applicazione della legge 4 marzo 1952, n. 137, l'incarico per la costruzione, in Brescia, in nome e per delega dello stesso Ministero dei LL.PP., di alloggi destinati ai pr9Jughi, per l'importo di L. 247.600.000. Il progetto, redatto-dall'Istituto in data 18 novembre 1954, stato ritenuto ammissibile dal Consiglio Superiore dei LL.PP. e il Ministero, con nota 3597 del 27 aprile 1955, ha autorizzato il suddetto Istituto ad esperire, in nome e per conto del Ministero medesimo, la licitazione privata per l'appalto dei lavori, previo adempimento degli incombenti indicati dal cennato Con nota, che in proposita caratterizza le pretese dell'appaltatore, che le stesse si riferiscano a fatti non registrati, o a fatti che non sono destinati ad essere iscritti in contabilit. Perci, pi rettamente, si usa dire cl;ie trattasi di pretese di carattere generale; c) qualora in contabilit esistano annotazioni di partite di lavoro, alle quali si riferisce un fatto continuativo, o sulle quali il fatto continuativo si ripercuote, l'appaltatore non dispensato dall'onere della tempestiva riserva, ma soltanto dall'obbligo di determinare il compenso: infatti, la dispensa da un onere non pu andare oltre la ragione che la giustifica (cfr. CIANFLONE, L'appalto di oo. pp., 1957, 787 e ss.; e la giurisprudenza richiamata, ivi, nelle note nn. 22, 23, 24, 25, 26 e 27. Cfr. pure: lodo n. 56 del 30 giugno 1960, Acque, ecc., 1961, 268; dolo n. 9 del 1959, ivi, 1960, 189, secondo cui: tenuti fermi i dati di fatto iscritti in contabilit e non contestati, (pu) l'appaltatore dedurre quelle richieste che, o attengano all'interpretazione del contratto, fermi restando i fatti quali risultano dai registri di contabilit, o si riferiscano a fatti che nei registri non. vanno o non sono stati iscritti o descritti; lodo 7 dicembre 1958, ivi, 1959, 312; lodo n. 21 del 1 luglio 1956, ivi, 1958, 438, secondo cui il principio della preclusione della riserva, non trova applicazione: a) quando i documenti contabili non consentano all'appaltatore di verificare a quali lavori si riferiscano le annotazioni e misurazioni; b) quando la richiesta dell'impresa si fondi su fatti nuovi, sopravvenuti dopo la firma del libretto delle misure o dopo la chiusura del conto finale, ovvero su fatti del tutto indipendenti dalle singole partite di lavoro allibrate, e relativi all'andamento complessivo dell'appalto: c. d. riserve di carattere generale) . PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 413 siglio Superiore dei LL.PP. in ordine al perfezionamento del progetto. Consegue, da quanto esposto, che l'Istituto agiva nel nome e per conto del Ministero dei LL.PP., tanto vero che il contratto di appalto era stato stipulato dall'Istituto medesimo in rappresentenza del Ministero, onde i rapporti derivanti dal contratto anzidetto si erano stabiliti tra l'Impresa appaltatrice e la Stazione appaltante, costituita dal Ministero, rappresentato, per l'occasione, dall'Istituto dinanzi cennato. Di conseguenza, da escludere l'estraneit dell'Amministrazione al contratto di appalto e quindi la sua estraneit alla clausola compromissoria ed il difetto di giurisdizione nei suoi confronti di questo Collegio arbitrale. Non pu, pertanto, il Ministero dei LL.PP. essere estromesso dal presente giudizio; poich, nella specie, ricorre rapporto di delega, per l'intervento diretto del delegato nello svolgimento dei lavori, appaltati in nome e per conto del delegante, secondo il potere conferito con la delega di sostituirsi alla Stazione appaltante, il che comporta una diretta partecipazione di quest'ultima alla clausola compromissoria, onde la legittimazione passiva del Ministero dei LL.PP. non pu essere posta in dubbio, tanto pi che il medesimo esercitava un continuo ed assiduo controllo sullo svolgimento dei lavori a mezzo dei propri organi qualificati, per soddisfare un interesse pubblico diretto; e, d'altra parte, in virt della cennata legge del 1952, le case vennero costruite a totale carico dello Stato, che le diede poi in gestione all'Istituto di Brescia. Deve essere, invece, estromesso dal giudizio, perch estraneo al rapporto contrattuale, il suddetto Istituto, che non deve .ritenersi, per quanto esposto, legittimato passivamente. La stessa Amministrazione dei LL.PP., anche in via pregiudiziale, eccepisce la inammissibilit delle riserve formulate dall'Impresa Bentivoglio, perch sarebbero state sollevate tardivamente, oltre i termini stabiliti dall'art. 54 del regolamento 25 maggio 1895, n. 350. L'Impresa, infatti, non solo avrebbe liberamente sottoscritto il contratto di appalto del 2 maggio 1956, ma avrebbe anche sottoscritto senza riserva per ben otto volte il registro di contabilit, dopo che erano intervenuti i fatti sui quali la stessa Impresa fonda le sue pretese. Anche tale eccezione infondata. E' vero che l'art. 54 sopra cennato prescrive che le riserve vanno annotate di volta in volta, allorch il registro viene sottoposto all'appaltatore, tanto vero che il successivo artico 414 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lo 64 stabilisce che non possono avanzarsi nello stato :finale riserve diverse da quelle segnalate in precedenza ,ai sensi dello stesso art. 54; ma anche vero che quando le riserve non vengono avanzate tempestivamente, l'inosservanza di tale prescrizione non comporta la nullit o la invalidit delle riserve stesse sollevate all'atto della firma del registro di contabilit, non essendo tale invalidit o nullit prevista o comminata da alcuna disposizione di legge, e tanto meno dalle disposizione normative del Regolamento dianzi menzionato. Pertanto, le riserve formulate dall'Impresa Bentivoglio, sia pure tardivamente rispetto alla prescrizione stabilita dal cennato art. 54, sono valide ed efficaci, e come tali possono essere esaminate nel merito, tanto pi che esse sono stat deferite all'esame preventivo degli organi amministrativi, i quali, presa visione degli atti e dei rilievi fatti, hanno prospettato le relative osservazioni e dedotte le conclusioni in merito. N ha rilievo la circostanza, per nulla saliente ai fini della questione in esam, che l'Impresa, qualora, nel termine stabiliro dal Regolamento non specifichi il contenuto delle riserve fatte al momento dalla firma del registro di contabilit, decade dal diritto di far valere ulteriormente le riserve stesse, in quanto tale particolare disciplina si riferisce esclusivamente ed uni. camente all'accertament.o dei fatti, i quali, pertanto, si ritengono come gi acquisiti e certi, se le contestazioni e le relative riserve non vengono specificate nel termine anzidetto. Tutto ci non pu determinare alcuna preclusione in ordine alla fattispecie in esame, poich, come si gi precisato, il fatto che .l'Impresa non abbia formulato le riserve volta per volta non impedisce che la medesima possa avanzare -tali riserve in un momento successivo e prima del collaudo delle opere eseguite; come accaduto nella specie. -(Omissis). LODO 24 febbraio 1964, n. 11 (Roma) -Pres. ed Est. Granata - Impresa Martinez c. Ministero P .I. e Gestione case per lavoratori. Appalto -Appalto di opere pubbliche -Maggior durata dei lavori -Mancanza di colpa del committente e dell'appaltatore -lndennizzabilit. (cc., art. 1664, II comma). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Maggior durata dei lavori -Indennizzo all'impresa per minore redditivit dell'appalto -Non dovuto. Iti I "' . . l PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA.DI AA. PP., APPALTI E FORNITORI> 415 Appalto -Appalto di opere pubbliche -Maggior durati dei lavori -Natura degli indennizzi dovuti all'impresa. Nel caso di ritardo nell'esecuzione dei lavori, se risulti esclusa la colpa del committente e il ritardo non sia riferibile al comportamento dell'Impresa, alla stessa spetta un indennizzo a norma dell'art. 1664, 2 comma, e.e. Ci anche fuori delle ipotesi espressamente previste in tale norma; in forza di interpretazione estensiva ed in omaggio al principio della sopravvenienza, consacrato in detto articolo (1). Negli appalti di opere edilizie, il ritardo non incide in via autonoma sulla redditivit del contratto, in mancanza di necessit tecniche che impongano un determinato e costante ritmo produttivo (2). Negli stessi, il maggior onere dipendente dal ritardo nella esecuzione dei lavori rappresentato dal maggior dispendio per spese generali continuative, dal protratto immobilizzo dei mezzi di opera, dell'eventuale, protratta esposizione finanziaria e dalla prorastinazione nella liberazione della rata di saldo (3). (Omissis). -E' certamente indiscutibile che, quando la maggior durata de lavori sia stata cagionata da un comportamento colposo (e, quindi, illecito) del committente, questi tenuto all'integrale risarcimento del danno, sotto il profilo dei danni emergenti e del lucro cessante. Tale responsabilit, infatti, derivante dalla violazione del (1) Sulla inapplicabilit, nei pubblici appalti, del I comma dell'art. 1664 e.e. non esiste dissenso (cfr. CIANFLONE, L'appalto di oo.pp., 1957, 664). Ci, pi che per il principio dell'invariabilit del prezzo, per essere la materia revisionale compiutamente regolata dalla legislazione speciale, sia nei supposti e nei limiti, che nelle forme e nei mezzi di tutela. Anzi, pu aggiungersi, che proprio dalla revisione dei prezzi negli appalti .pubblici, stato riportato nell'ordinamento giuridico la clausola rebus sic stantibus ripudiata dal codice del 1865, ed ispira t_rice degli istituti basati sulla sopravvenienza nel codice in vigore ( cfr.: Cass., 10 luglio 1952, n. 2116, Giur. it., 1953, I, l, 720). . La giurisprudenza arbitrale costantemente riconosce l'applicabilit, invece, del II comma dell'art. 1664 e.e. (cfr.: CIANFLONE, op. cit., 436). L'indirizzo non sembra da, ~pprovare, quanto meno senza il conforto di una approfondita indagine, fin d'ora non consentita dalle note limita zioni alle azioni di impugnazione dei lodi, imposte dall'abrogato capi tolato generale. Infatti, anche qui, la speciale legislazione sui lavori pubblici appresta i rimedi per ovviare alle situazioni previste nella norma accennata; consentendo gli artt. 21 e 22 del regolamento 25 maggio 1859, n. 350, la formazione di nuovi prezzi, per specie di lavoro non previste in contratto ; ed essendo evidente, che le difficolt esecutive di cui alla norma ripetuta, se non trovano possibilit di compenso 416 RASSEGNA DELI.'AVVQCATURA DELLO STATO l'obbligo di cooperazione, che ha non soltanto un contenuto positivo (compimento degli atti necessari per porre in grado l'appaltatore di ultimare tempestivamente i lavori), ma anche un contenuto negativo (astensione dagli atti che possono ritardare o comunque i;ntralciare l'attivit dovuta dall'appaltatore), costituisce applicazione dei principi generali in materia di responsabilit contrattuale; evidente, quindi, che in tali casi gli oneri derivati dalla maggior durata dei lavori debbano restare a carico del soggetto che vi ha dato causa con il suo comportamento antigiuridico. Ci non comporta, peraltro, che l'indennizzo per la maggior durata dei lavori possa essere riconosciuto all'appaltatore solo nei casi di accertata colpa della Stazione appaltante. Vero invece che, quando il ritardo sia stato cagionato dal fatto del committente (come nella specie), si pone, indipendentemente dall'accertamento della colpa, il problema se l'incidenza della causa di maggiore onerosit, sopravvenuta in corso del1' opera, debba rimanere a carico dell'appaltatore, o non debba piuttosto riconoscersi, anche in questa ipotesi, rilevanza giuridica al concetto della sopravvenienza considerato dall'articolo 1664, secondo comma e.e. Orbene, nei casi in esame (escluse, beninteso, le ipotesi di colpa dell'appaltatore), si impone la seconda alternativa, dovendosi riconoscere l'esistenza della medesima ratio juris cui da rapportarsi detta norma, secondo la quale, se nel corso del- nelle voci di tariffa, necessariamente si risolvono in una spede di lavoro non prevista . In sostanza: come esatto che il primo comma dell'art. 1664 e.e. ipotizza una situazione giuridica, che regolata dalla legislazione speciale; cos deve riconoscersi, che questa consente la diretta ed autonoma disciplina dei casi previsti nel secondo comma. Ditalch, per identit di ragione, anche di quest'ultima norma dovrebbe essere esclusa l'applicabilit negli appalti pubblici. Di particolare interesse risulta, poi, l'affermazione secondo cui la previsione legislativa non sarebbe limitata alle sole cause naturali o obbiettive (in questo senso, invece: CIANFLONE, op. cit. 436); ma comprenderebbe tutte le cause, comunque estranee ad entrambe le parti, e -quindi -anche il fatto del terzo. Tale opinione sostenuta dal RUBINO (L'appalto, 1958, 503),, ma -per quanto risulta -non giunta ancora al controllo della Cassazione. (2-3) La massima di specie, e risponde a principi di ovvia evidenza. Anche se una situazione di inadempienza consente di ipotizzare, in astratto, l'esistenza di un danno; l'accertamento in concreto non pu essere effettuato che in stretta relazione con le specifiche modalit della prestazione. La puntualizzazione delle voci di danno, risultante dalla terza massima, risulta anch'essa del tutto esatta. PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 417 l'opera si manifestano difficolt d'esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che ren dono notevolmente pi onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso. Invero, se la legge riconosce rilevanza giuridica ad una so pravvenienza dipendente da causa estranea ad ambedue le parti contraenti, attribuendo per essa un equo compenso all'appalta tore, non lecito poi in sede interpretativa negare rilevanza allo stesso evento dannoso, nel caso che esso sia stato determinato da causa, estranea bens all'appaltatore, ma rapportabile al fatto, per quanto non colposo, del committente. Non pu infatti applicarsi al committente un trattamento giuridico pi favorevole di quello previsto nel succitato articolo per causa estranea ad entrambe le parti, quando in concreto i maggiori oneri risentiti dall'appaltatore siano stati causati dal fatto del committente stesso. Non pu sostenersi che con ci si contravvenga al divieto della interpretazione analogica per le norme eccezionali, giacch, . a parte la considerazione che l'articolo 1664 e.e. costituisce una mera applicazione del principio generale della sopravvenienza, nella specie non trattasi di analogia, ma di interpretazione estensiva, che consentita, come noto, anche per le norme ecce zionali. In tali sensi, del resto, si ormai consolidata la giurispru denza dei collegi arbitrali, con conseguente enunciazione del prin cipio, secondo cui sufficiente che la maggiore durata dei lavori non sia stata determinata da fatto imputabile all'Impresa, bens da causa ad essa estranea, come nella specie, perch si realizzi una sopravvenienza, idonea a giustificare l'attribuzione di un indennizzo per i maggiori oneri dall'Impresa stessa incontrati; n questo Collegio, sulla base dei principi suenunciati, trova ora ragione per andare in contrario avviso. Procedendo, quindi, all'esame dei singoli indennizzi richiesti dall'Impresa per la detta protrazione dei lavori, il Collegio os serva che nessuna somma pu essere riconosciuta, per l'aggravio relativo alla minore redditivit dell'appalto . Invero, s'econdo i dati tecnici di comune esperienza, convali dati dalla costante giurisprudenza arbitrale, mentre i maggiori oneri derivanti dalla protrazione dei lavori si compendiano in altri elementi (che saranno esaminati in appresso, in riferimento agli altri quesiti), deve escludersi, per gli appalti di opere di edilizia, una incidenza propria ed autonoma del ritardo sulla redditivit dell'appalto. Il fattore temporale, difatti, pu incidere direttamente sulla 418 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO redditivit solo nelle aziende che devono adeguarsi per necessit tecniche a determinati e costanti ritmi produttivi, ma non gi nelle aziende edili per le quali, in mancanza dei summenzionati elementi, non ravvisabile la correlazione fra la causa e l'asse rito effetto; 1e ci trova conferma nella considerazione che l'Im presa, a parte la generica deduzione della necessit di un armo. nico temperamento tra l'utile marginale sul corrispettivo e la durata dell'impegno necessario a conseguirlo, non ha dedotto, al riguardo, concreti e specifici elementi dimostrativi. Vero , invece, che per gli appalti di opere di edilizia il maggior onere dell'Impresa per la protrazione dei lavori si com pendia nei seguenti elementi : J) nel maggior dispendio inerente alle spese generali continuative, erogate in pi durante il periodo di protrazione; 2) nell'onere inerente al protratto immobilizzo di mezzi d'opera; 3) negli effetti negativi della protratta esposizione :finanziaria; 4) nella procrastinazione della liberazione della rata di saldo (decimi di garanzia), per il tempo corrispondente alla protrazione dei lavori: Procedendo quindi alla valutazione del quantum da attri buirsi per la prima causale, il Collegio rileva che non pu essere, nella fattispecie, adottato il criterio di determinazione proposto dall'Impresa, basato sulla nozione di comune esperienza, secondo cui l'importo delle spese generali continuative va ragguagliato normalmente all'8 per cento del prezzo di appalto depurato del l'utile. Tale criterio, infatti, se pu ritenersi accettabile per la sua approssimazione alla realt economica, nei casi in cui la protra zione dei lavori imponga il mantenimento dei cantieri in totale o pressocch completo esercizio, per le opere fondamentali, risulta del tutto inadeguato in riferimento a situazioni che impongono soltanto, come nella specie, il mantenimento di un cantiere che assorbe una assai ridotta attivit lavorativa, in riferimento alla natura e alla entit delle opere da eseguirsi. E che tale fosse, nel periodo di protrazione dei lavori oltre il termine, la situazione dei cantieri del Martinez si evince dagli stati di avanzamento e dalle precisazioni rese al riguardo dal consulente, secondo le quali nel periodo in esame la maggiot parte del lavoro da eseguirsi aveva carattere accessorio e si riferiva a finiture interne. -(Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZJONE, Sez. III, 12 marzo 1962, n. 3183 - Pres. Loschiavo -Est. Giorgioni -P.M. Dettori (conf.). -Rie. AreJ:?.a Filippo p.c. O.N.I.G. Lavoro -Invalidi di guerra -Assunzione obbligatoria al lavoro Facolt di accertamento della qualifica del Iavorafore e del grado di capacit lavorativa da parte del datore di lavoro -Insussistenza. I datori di lavoro non hanno facolt di rifiutare l'assunzione ove ritengano che la qualifica del lavoratore ed il residuo grado della sua capacit lavorativa non siano tali, nel loro soggettivo apprezzamento, da rendere conveniente per essi l'assunzione (1). (1) Con sentenza 12 marzo 1962, pronunziata in esito a giudizio conseguente ad opposizione a decreto penale di condanna, il Pretore di Messina ritenne la colpevolezza dell'imputato, per la contravvenzione di cui agli artt. 14 e 22 della 1. 3 giugno 1950, n. 375, per non avere assunto un invalido di guerra, segnalato dall'Opera Nazionale. Invalidi di Guerra (ONIG). Assumeva l'imputato che l'Ente avrebbe dovuto previamente indicare la qualifica del lavoratore ed il grado della sua capacit lavorativa. Dinanzi la Corte Suprema, l'imputato prospett la non punibilit (art. 51 C. P.), assumendo l'illegittimit dell'ordine di assunzione, in quanto in esso non erano precisati la qualifica ed i limiti della residua capacit lavorativa dell'invalido. Ma il Supremo Collegio, con la sentenza che si annota, respinse il ricorso, enunciando la massima sopra riferita, cui va prestata adesione. E. infatti, la legge (art. 14, comma 1), dispone che tutti i privati datori di lavoro, i quali abbiano alle loro dipendenze, come operai od impiegati, pi di dieci persone... sono tenuti ad occupare, nella proporzione del 6%, invalidi di guerra di cui all'art. l della presente legge, e, nella proporzione del 2,50%, invalidi di cui all'art. 2 ; la stessa legge (art. 5) dispone che presso le rappresentanze provinciali dell'Opera Nazionale per gli invalidi di guerra sar formato, per ciascuna delle categorie di invalidi previste dagli artt. 1 e 2 della presente legge, un ruolo provinciale di invalidi aspiranti al collocamento come impiegati, come personale subalterno e come operai presso le Amministrazioni puobliche o presso i privati datori di lavoro; e l'art. 2 d. P. R. 18 giugno 1952, n. 1176 (Regolamento per l'assunzione obbligatoria al lavoro degli invalidi di guerra) dispone che nell'ambito delle categorie professionali previsti dall'art. 5 della legge, gli invalidi aspiranti al cc;i~lq RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO camento saranno iscritti nei relativi ruoli, distinguendoli per sesso, per settore di produzione, per qualifica e per specializzazione. Le di stinzioni di cui sopra hanno mero valore indicativo, ai fini di una oculata selezione dei minorati collocabili, in rapporto alle occupazioni cui il datore di lavoro intende destinarli. E, pertanto, il datore di lavoro tenuto a far luogo alle assunzioni di legge, anche indipendentemente dalle distinzioni predette ... . Da tali disposizioni discende che, per legge, posto a carico del datore di lavoro l'obbligo, puro e semplice, di assunzione di una certa percentuale di invalidi di guerra, e tale obbligo non condizionato in alcun modo n dalla qualifica del lavoratore n da un particolare grado di capacit lavorativa: con la duplice conseguenza che n il datore di lavoro pu rifiutare l'assunzione per motivi attinenti alla qualifica o alla residua capacit lavorativa dell'invalido, n, tanto meno -e ci si rileva con particolare riguardo al motivo del ricorso -pu rifiutare la stessa assunzione, per mancata indicazione di tali elementi, indicazione non solo non richiesta dalla legge, ma del tutto superflua, per l'insidacabilit, da parte del datore di lavoro, degli stessi elementi. Per altri profili della questione in esame attinenti alla costituzionalit della legge 3 giugno 1950, n. 375, al fine specifico della formazione dei ruoli previsti dall'art. 5 della legge stessa, alla tutela di interessi secondari del datore di lavoro, alla giurisdizione ed alla competenza esclusiva del giudice penale in ordine ai vari aspetti della questione stessa, alla irrilevanza degli artt. 2095 c. c. (categoria dei prestatori di lavoro) e 2103 c. c. (prestazione del lavoro), si riporta la parte ,motiva della sentenza: I concetti esposti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 15-6-1960, relativa all'esame della legittimit costituzionale n. 292, sull'avviamento al lavoro e collocamento degli invalidi del lavoro, non contrastano e non respingono il principio sostenuto esattamente nella sentenza pretoria. La formazione dei ruoli delle diverse categorie di invalidi, previsti dall'art. 5 della legge, nei quali non possono essere incluse le categorie di cui al precedente art. 3, disposta nell'interesse degli invalidi stessi, e per porre l'ente in condizioni di disporre opportunamente, e cio nel modo pi appropriato, l'occupazione del lavoratore, in base alla natura ed al grado della sua invalidit, alle sue attitudini lavorative, alle sue aspirazioni ed alla sua non pericolosit per i compa -~ gni di lavoro e la sicurezza degli impianti. D'altra parte il datore di lavoro pu avere notizia di tutti i dati predetti chiedendo al lavoratore, in visione, la tessera personale, .della quale lo deve munire la rappresentanza dell'Opera Nazionale presso la quale l'invalido iscritto e dalla quale tutti i predetti dati debbono risultare (art. 8 della legge). Inoltre, il datore di lavoro potr efficacemente tutelare i suoi interessi e salvaguardare le sue responsabilit richiedendo (a norma dell'art. 7) la visita collegiale di controllo del lavoratore invalido, per accertare le condizioni della invalidit in rapporto alle disposizioni del n. 3 dell'art. 6. Non esiste, infine, alcuna delle questioni pregiudiziali previste e disciplinate dall'art. 20 del C.P.P., implicanti controversie che debbono essere preventivamente risolte dal giudice civile od amministra tivo. PARTE I, sEZ. VII, GlURlSP~UDENZA PENALE Tutti gli aspetti del fatto e le questioni che insorgono in relazione al caso concreto rientrano infatti, contrariamente a quanto il ricorrente assume, nella diretta competenza del giudice penale, ilicidendo sull'esame che solo a lui devoluto e sulla decisione che solo a lui spettante. E' appena poi il caso di rilevare, posto quanto sopra, che non sussistono le lamentate violazioni degli artt. 2095 e 2103 del codice civile, che distinguono le categorie dei prestatori di lavoro e disciplinano la prestazione del lavoro stesso . Giova inoltre rilevare che non avrebbe fondamento il rilievo che l'ONIG potrebbe -cos interpretata la legge in esame -disporre l'assunzione di invalidi che abbiano perduto ogni capacit lavorativa. Per vero, tale possibilit risulta esclusa dal combinato disposto degli artt. 5 e 3, lett. a) della legge stessa, in forza del quale i detti invalidi sono esclusi dall'assunzione obbligatoria, e non possono quindi essere iscritti nei ruoli di cui al detto art. 5. D'altra parte, l'art. 20 della legge (nel testo modificato con la legge 5 marzo 1963, n. 367) dispone, che l'invalido possa essere licenziato, oltre che nei casi previsti dagli articoli 2118 (recesso del contratto a tempo indeterminato) e 2119 (reces so per giusta causa) del cod. civ., anche nel caso di perdita di ogni capacit lavorativa, previo l'esperimento dello speciale giudizio di cui allo stesso art. 20. Cos pure da rilevare che i principi sopra riferiti si affermano nei confronti dei privati datori di lavoro e che una disciplina parzialmente diversa invece sancita per le Amministrazioni dello Stato, le Amministrazioni provinciali e comunali, le Aziende municipalizzate, gli Enti pubblici in genere, e gli Istituti soggetti a vigilanza governativa ( v. art. 9-10-11-12 della legge 3 giugno 1950, n. 375, testo modificato con la legge 5 marzo 1963, n. 367): disposizioni che condizionano l'assunzione degli invalidi, a seconda dei casi, al possesso dei requisiti richiesti dalle vigenti disposizioni, ovvero alla compatibilit con le mansioni cui essi dovranno essere adibiti, oppure ad una apposita prova. Per quanto infine riguarda l'accenno, contenuto in motivazione, alla sentenza della Corte Costituzionale 15 giugno 1960, n. 38 (in Foro it. 1960, I, 1077) giova precisare che tale sentenza si riferisce al d.l.c.p.s. 3 ottobre 1947, n. 1222, ratificato con la legge 9 aprile 1953, n. 292, e cio non all'assunzione obbligatoria dei mutilati ed invalidi di guerra, ma a quella, anch'essa obbligatoria, dei mutilati ed invalidi del lavoro, onde a tale legge erroneamente aveva fatto riferimento il ricorrente, e ci tanto pi che la sentenza stessa dichiarava infondata la questione di incostituzionalit del predetto decreto legislativo, in relazione agli artt. 3, 38, 41 e 42 della Costituzione. D'altra parte, la questione di costituzionalit della legge che andava applicata in concreto (1. 3 giugno 1950, n. 375, sull'assunzione obbligatoria al lavoro degli invalidi di guerra) stata anch'essa decisa dalla Corte Costituzione con la sentenza 11 luglio 1961, n. 55 (Foro it. 1961, I, 1276), che ha dichiarato infondata la questione stessa in riferimento agli artt. 38, 41 e 42 della Costituzione, negando che l'assicurazione obbligatoria degli invalidi di guerra ponga a carico di determinati gruppi di privati cittadini oneri e restrizioni spettanti alla collettivit e che la legge stessa violi il principio della lbert della ini 422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ziativa economica privata e delle garanzie della propriet privata: e ci in quanto la legge riguarda bens gli invalidi di guerra, ma non totalmente inabili .al lavoro, disponendo provvidenze di carattere non :~ assistenziale, ma di avviamento al lavoro (onde non sussiste viola:~ zione dell'art. 38 Cost.), ed in quanto non incide sull'organizzazione economica dell'impresa (onde non sussiste violazione degli artt. 41 e 42 Cost.). R. PETRONI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 luglio 1963, n. 1638 -Pres. Sepe -Est. Peronaci -P.M. Parlatore (conf.) -Rie. Turelli p. c. Ministero finanze. ~eato in genere -Circostanze del reato -Attenuante -Motivi di particolare valore morale < sociale. (c.p. art. 62, n. 1). L'attenuante di cui all'art. 62, n. 1 c.p. non pu essere concessa nella ipotesi in cui il colpevole abbia agito in stato di disoccupazione e di miseria familiare, potendosi l'attenuante concedere solo allorch la spinta a delinquere trovi causa psichica conclusiva in sentimenti altruistici e non assolutamente personali, anche se, sotto altri aspetti, considerevoli. Il principio contenuto nella massima viene costantemente applicato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio. In particolare, non costituiscono situazione che legittimi la applicazione dell'attenuante lo stato di bisogno e il desiderio di aiutare i prossimi congiunti (Cass. III, 7 marzo 1960, Giust. pen. 1961, II, 39, n. 19) o la necessit di curare i familiari (Cass. fil, 28 maggio 1962, n. 1897, Riv. pen. 1963, II, 1010) ovvero le disagiate condizioni economiche del colpevole (Cass. III, 22 gennaio 1963, Giust. pen. 1963, II, 918, n. 1322). Peraltro, la Corte Suprema ha ritenuto applicabile l'attenuante nell'ipotesi in cui sussisteva la necessit di curare urgentemente un congiunto gravemente ammalato (Cass. III, 6 maggio 1963, Riv. pen. 1963, Il, n. 1157). In tale occasione, pur ribadendo il principio di cui alla massima che si annota, e cio che la dedotta situazione di miseria e la necessit di sostenere la famiglia non costituiscono motivi di particolare valore morale .e : ' .., o sociale, il Supremo Collegio ha ritenuto l'applicabilit della attenuante " qualora il fatto sia commesso non gi per sopperire ad un generico stato di bisogno dei familiari del colpevole, ma per conseguire lo scopo specifico di curare urgentemente un congiunto, come il padre, che sia affetto da gravissima malattia e versi, pertanto, in una situazione di estremo pericolo". A. T. 423 PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 ottobre 1963, n. 1812 -Pres. Sepe -Rel. Minerbi -P. G. Parlatore -rie. Lantieri c. sent. Pretore di pialermo, 15 marzo 1963. Poste e telecomunicazioni -Concessionario per l'accettazione e distribuzione di corris1>ondenza -Inosservanza delle condizioni del Capitolato d'oneri -Applicabilit delle sanzioni previste dall'art. 35 "' cod post. (cod. post., art. 35). Poste e telecomunicazioni -Concessionario per l'accettazione e distribuzione di corrispondenza -Corrispondenza con affrancatura ordinaria -Reato di incetta di corrispondenza -Ammissibilit -Rapporti fra gli artt. 35 e 37 lett. b) cod. post. (cod. post., artt. _35 e 37 lett. b). Poste e telecomunicazioni -Reato di incetta -Carattere abituale del reato -Inapplicabilit dell'amministia alle singole violazioni. (cod. post., art. 35; reg. 18 aprile 1940, n. 689, artt. 22 e 150). Il titolare di una concessione per la raccolta e la distribuzione di corrispondenza, qualora non osservi le condizioni di cui al capitolato d'oneri, viene ad assimilarsi a qualsiasi altro privato che violi il monopolio statale ed quindi passibile delle sanzioni previste nell'art. 35 del cod. post. (1). (1-3) II reato abituale nella sua struttura giuridica (1) Circa la sussistenza della violazione da parte del concessionario del diritto di est!Iusivit postale per i servizi di raccolta, trasporto e distribuzione della corrispondenza, in caso di inosservanza del capitolato d'oneri relativo all'obbligo di apporre le marche postali, la giurisprudenza della S.C. costante cfr. Cass. Sez. III 6 marzo 1957, rie. Zordan (Giust. pen. 1957, lJ, c. 723); id. 5 novembre 1962, rie P.M. c. Gelati (Giust. pen. 1%3, II, c. 713). Per la sussistenza dello stesso reato nel caso in cui il concessionarie) inoltri, in un unico plico affrancato con una sola marca, pi lettere, an corch ricevute dallo stesso mittente e dirette allo stesso destinatario, si pronunciata la S.C. con sentenza 27 aprile 1962, rie. Limoncelli (Giust. pen. 1963, II, col. 145). (2) Per quanto riguarda la sussistenza del reato di cui all'art. 35 cod. post. nell'ipotesi di recapito di corrispondenza con affrancatura ordinaria a mezzo. del servizio postale, con sentenza 13 giugno 1961 ,n. 887, Pres. Macaluso, P.M. De Gennaro, (cond. diff.) rie. Frazza Luigi la 1" Sez. della Cassazione aveva ritenuto che, giusta l'art. 37 lett. b) del cod. post. le disposizioni del precedente articolo 35 che prevedono e puniscono le violazioni all'esclusivit postale, non sono applicabili nelle ipotesi di trasporto e recapito di corrispondenza per cui siano stati soddisfatti i diritti postali. 424 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La corrispondenza eventualmente recapitata dal concessionario a mezzo del servizio postale e con affrancatura ordinaria non esclude la sussistenza del reato di incetta della corrispondenza stessa. _ I destinatari della norma di cui all'art. 37 del cod. post. sono soggetti diversi dal titolare di un'agenzia autorizzata al recapito di espressi in loco, con la conseguenza che tra le particolari previsioni di quella norma (trasporto e recapito occa-... sionale e sporadico di corrispondenza) non rientra quella di incetta di corrispondenza per cui sia stato soddisfatto il diritto postale. L'art. 150 del regolamento contempla le infrazioni del capitolato d'oneri che disciplina la concessione _ed, essendo norma regolamentare infra legem , rimane nell'ambito della disposizione dell'art. 35 del cod. post. che vieta l'incetta della corrispondenza (2). Il reato di incetta inscindibile nella sua configurazione ontologica in episodi distinti; un reato unico, collettivo o abituale ad esecuzione complessa, non scomponibile agli effetti dell'amnistia in pi fatti criminosi autonomi e distinti; non quindi configurabile in detto reato la continuazione (3). A tale statuizione la S.C. era pervenuta rilevando che l'art. 150 del regolamento approvato con R.D. 8 aprile 1940, n. 689, che prevede una presunzione juris di responsabilit del concessionario per gli espressi muniti di francobolli ordinari trovati presso l'Agenzia o comunque recapitati, sarebbe illegittimo perch contrario al citato art. 37 lett. b), in base al principio della gerarchia delle fonti normative, nondl. per contrasto con il divieto di cui al 2 comma dell'art. 25 Cost., non potendo una disposizione regolamentare attribuire carattere di reato ad atti di cui la legge ha escluso espressamente. l'illeceit penale. Con l'annotata sentenza, invece, la stessa r Sezione della S.C., riesaminata la questione, anche a seguito delle discordanti pronuncie dei giudici di merito, ha ritenuto che esiste ugualmente la violazione dell'esclusivit postale sotto il profilo della incetta nel fatto del concessionario che inoltri la corrispondenza a mezzo del servizio postale con affrancatura ordinaria, e ci perch gli articoli 1 e 35 del Cod. Post. riservano esclusivamente allo Stato il servizio della corrispondenza epistolare nei tre distinti momenti della raccolta, trasporto, e distribuzione della corrispondenza stessa, onde l'art. 37 lett. b), nello escludere il reato solo per il trasporto e recapito (o distribuzione) di corrispondenza per le quali sia stato soddisfatto il servizio postale, non comprende la violazione della esclusivit postale sotto il profilo dell' incetta. E' bene chiarire che tale attivit consiste, secondo quanto precisato nell'art. 22 del regolamento approvato con r.d. 18 aprile 1940, n. 689, nella raccolta o accettazione di corrispondenze di pi mittenti per essere spedite comunque, anche a mezzo posta, o per essere trasportate, distribuite o fatte , ..,,1111.,;. ,,,.,,,,.,.,.,__d ~ -~~:~.:,x~'=-~'.;r..;~,:==-~x::~IMJ 425 PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE (Omissis). -I motivi di ricorso sono i seguenti: 1) nullit del decreto di citazione a giudizio, in conseguenza della violazione degli artt. 407, n. 3 e 412 c.p.p. per non essere stato nominato all'imputato un. difensore di ufficio. 2) errata applicazione degli artt. 1 e 35 del Codice. Postale in relazione agli artt. 19 e 37 dello stesso, e agli artt. 22 e 150 del Regolamento del 1940 e all'art. 25 della Costituzione per essere stato dichiarato colpevole di incetta di corrispondenza, ai sensi dell'art. 35 codice postale. 3) violazione dell'art. 42 c.p. per difetto dell'elemento psicologico, costitutivo anche del reato contravvenzionale. 4) violazione dell'art. 47 c.p. per non essersi riconosciuto l'errore di fatto, nell'interpretazione degli artt. 1 e 35 codice postale ed 8 del capitolato d'oneri. 5) violazione degli artt. 1 e 35 codice postale, per non avere il Pretore ritenuto, nella fattispecie, la sussistenza di un illecito amministrativo. 6) nullit dellp sentenza, per non avere il Pretore esaminato verbali di ispezione, verbale di sequesto di corrispondenza, deposizione dell'Ispettore postale e per avere negato il diritto di acquisizione agli atti dei verbali originali e delle risul distribuire entro o fuori il territorio della Repubblica. Pertanto, nessun contrasto pu ravvisarsi fra la nonna dell'art. 37 lett. b) della legge postale e quella dell'art. 150 del citato regolamento, che riferendosi esclusivamente ai concessionari, impone loro l'obbligo di applicare e di nnullare la marca postale, stabilita come canone nell'atto di concessione, al momento dell'accettazione di ogni espresso da recapitare, con la conseguenza che ogni corrispondenza trovata presso l'agenzia o presso i fattorini o comunque recapitata senza la marca postale, o con marca non annullata, s'intende accettata, trasportata o recapitata in violazione dell'esclusivit postale. (3) Di notevole rilievo poi la sentenza annotata nella parte in cui ha ravvisato nella fattispecie legale esaminata il carattere di reato abituale, e ci per la disciplina giuridica di tale reato in rapporto agli istituti dell'amnistia e della prescrizione. La questione venne una prima volta esaminata dalla Cassazione, Sezione III, con sentenza 6 marzo 1957, rie. Zordan (Giust. pen. 1957, II, c. 723). Osserv la S.C. in detta sentenza che: L'art. 35, 1 comma del r.d. 27 febbraio 1936, n. 645 dispone testualmente: chiunque faccia incetta trasporti o distribuisca, direttamente o a mezzo di terze persone, corrispondenze in contravvenzione all'art. 1 del la presente legge punito con l'ammenda eguale a venti volte l'importo della tassa di francatura, col minimo di lire venti. Si stabilisce poi col secondo comma: Alla stessa pena soggiace chiunque abitualmente consegna a terzi corrispondenze epistolari per il trasporto o il recapito. 426 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tanze della commissione che esamin la materia alla denunzia. 7) nullit della sentenza, per avere il Pretore sovvertito il principio generale della prova, facendo carico all'imputato di dimostrare la propria innocenza. 8) nullit della sentenza, per non avere ritenuto il Pretore, che, nella specie, trattavasi di reato continuato e pertanto amnistiabile, e non di reato abituale; violazione degli artt. 81 e .151 c.p. nonch degli artt. 152, 591, 592 c.p.p. in relazione all'art. 35 del codice postale e agli artt. 1 e 8 del D. P.. 24 gennaio 1963, n. 5. Sul primo motivo. La censura inconsistente. A norma de Data la particolare struttura della fattispecie, descritta nella prima parte della norma, sembra lecito concludere che il fatto della incetta, trasporto o distribuzione di corrispondenze, commesso dal privato in contrasto col principio della esclusivit statale, viene di regola conce pito dal legislatore sotto forma di attivit continuativa, e pertanto in modo non frammentario in altri termini, pur potendo in astratto la fi gura contravvenzionale tipica realizzarsi anche wediante il compimento di un unico episodio (recapito di una sola lettera), la ripetizione di pi fatti non d luogo ad una somma di pi illeciti, eventualmente unifica bili quoad poenam in figura di reato continuato, ma integra invece una previsione a struttura persistente o continuativa, dotata ad ogni effetto giuridico-penale di natura omogenea ed unitaria. Ricorre quinai nella specie esaminata una ipotesi di reato eventualmente abituale, la cui ca ratteristica segnata dal fatto che ogni successiva infrazione compiuta dall'autore si riallaccia a quella di eguale natura gi in precedenza rea lizzata, saldandosi strettamente con essa. Da codesto processo di unifi cazione emerge allora una figura di illecito strutturalmente compatto, non pi suscettibile di segmentazione (ad es. relazione adulterina ex art. 559 c.p., relazione incestuosa ex art. 564 cod. pen.). " 11 carattere eventualmente abituale della ipotesi, prevista nella pri ma parte dell'art. 35, confermato dal disposto del comma successivo. Invero, S il fatto di chi consegna corrispondenze ad abusivi distribu tori, in modo non sporadico integra una fattispecie a struttura abituale (come reso palese dal tenore della norma), egual natura deve avere il fatto di chi, in maniera continuativa, provveda al recapito del pre detto materiale, non potendosi ovviamente ammettere che in una figura criminosa a struttura plurisoggettiva, la condotta plurima di una parte integri un illecito abituale, e quella dell'altra sfoci invece in una plura lit di infrazioni, indipendenti e autonome. Stabilito pertanto che la con travvenzione di cui al primo comma dell'art. 35 ha natura eventualmente abituale, la pena deve fissarsi in rapporto al numero delle corrispon denze irregolarmente affrancate, e secondo la proporzione aritmetica al l'uopo indicata. I diversi criteri, previsti dalle norme in vigore con riferimento alla ipotesi del reato continuato, che profondamente si differenzia dal reato abituale, non possono per conseguenza trovare applicazione nella specie qui presa in esame . Successivamente la stessa III" Sezione andava in avviso contrario con PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 427 gli artt. 407, n. 3, 409, 412 c.p.p. la nomina del difensore di ufficio deve essere fatta, a pena di nullit, se l'imputato ne privo, mentre nel caso di specie, il Lantieri aveva un proprio difensore di fiducia, l'avv. Giovanni Finazzo. Si evince dagli atti che il decreto di citazione fu ritualmente emesso con la nomina del difensore di ufficio, avv. Oreste Natoli: non risulta che sia stato fatto l'avviso al difensore di ufficio, ai sensi dello art. 410, ma questa Corte ha gi altra volta ritenuto che la mancata notifica dell'avviso di dibattimento al difensore di ufficio, che sia stato sostituito con altro difensore all'udienza, non importa effettivo pregiudizio all'assistenza dell'imputato e sentenza 26 febbraio 1962, n. 637 (Giust. pen. 1963, II, c. 322) statuendo quanto segue: (Omissis). -Fondata invece la richiesta difensiva circa la prescrizione per gli episodi anteriori al novembre 1959. La difesa di parte civile, in contrario, ha richiamato la precedente decisione di questa Corte in data 6-3-1957, la quale, nella contravvenzio ne prevista nella prima parte dell'art. 35 c. postale, ha ravvisato una ipotesi di reato eventualmente abituale, osservando che il fatto dell'in cetta, trasporto e distribuzione di corrispondenza, commesso dal privato in contrasto con il principio dell'esclusivit, viene di regola concepito dal Legislatore sotto forma di attivit continuativa e pertanto in modo non frammentario. Detta sentenza ammette che la figura tipica della predetta contrav venzione pu realizzarsi anche mediante il compimento di un unico epi sodio, ma soggiunge che la ripetizione dei fatti non d luogo ad una somma di pi illeciti, eventualmente unificabili quoad poenam nella fi gura del reato continuato, dotata -ad ogni effetto giuridico penale di natura omogenea ed unitaria. Non pare, per, alla Corte di confermare tale indirizzo. Come noto, la caratteristica del reato eventualmente abituale data dal fatto che la condotta pu essere costituita sia da un singolo atto che da pi: in .questo secondo caso il reato presenta carattere abituale. Ora dalla fattispecie descritta dalla prima parte dell'art. 35 in esa ;me, si desume che un unico fatto costituisce reato, ma non dato ri cavarne che i successivi si riallacciano a quelli di natura eguale in pre cedenza realizzati, saldandosi con essi in una struttura unitaria. Anche nell'ipotesi dell'incetta e della distribuzione il reato si con suma con il primo fatto. I singoli atti (quando non si tratta di uno solo), ancorch successivi, costituiscono una unica attivit di dstribu zione o d'incetta, quando siano compiuti nel medesimo contesto d'azione. Il carattere abituale del reato ricorre, invece, nella fattispecie con travvenzionale del secondo comma dell'art. 35 codice postale laddove la consegna a terzi di corrispondenze epistolari per il .trasporto o il reca pito punita solo quando trattasi di attivit abituale . Il rigetto del primo motivo importa l'accertamento della appli cabilit della amnistia concessa con d.p.r. 24 gennaio 1963, n. 5, e, altres, l'accertamento della unicit e pluralit del reato contestato RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 428 non dentra, pertanto, nelle nullit insanabili di cui all'art. 185, n. 3 c.p.p. Sul secondo motivo. Premessa la definizione di incetta in senso tecnico-giuridico quale risulta dall'art. 22 p.p. del regolamento di esecuzione, approvato con R.D. 18 aprile 1940, n. 689, assume il ricorrente che in nessun caso potrebbe essere chiamato a rispondere di incetta, per violazione degli artt. 1 e 35 del codice postale, il titolare di un'agenzia di recapito espressi per citt, il quale, in virt della concessione prevista dall'art. 19 dello stesso codice, , per l'appunto, autorizzato a raccogliere, ad accettare e a recapitare la corrispondenza episto alla Bianchini ai fini di determinare se sia o meno intervenuta pre scrizione. I fatti addebitati all'imputata risultano commessi nel periodo dal 1 febbraio 1960 al 13 febbraio 1961, cos che se ognuna delle infra zioni accertate dovesse essere considerata reato a s stante, parte sa rebbe prescritta e parte sarebbe coperta da amnistia. Tratterebbesi, in fatti, di tante contravvenzioni distinte che, per la inapplicabilit della legge 7 gennaio 1929, n. 4, disposta dall'art. 116 del r.d. 27 febbraio 1936 n. 645, si sarebbero prescritte nel termine normale di ventisette mesi o, se non prescritte,, rientrerebbero nel sopra citato provvedimento di amnistia. " @, 1 :-: ' , Con la sentenza annotata, che segue a breve distanza di tempo ~ ~?altra analoga decisione della I sez. pen. della Cassazione in data 8-2-1963 n. 244, Pres. Vista, P.M. Dettori (conci. conf.), rie. Bianchini, stato riaffermato il carattere abituale, del reato in esame, con particolare riferimento all'attivt illecita della incetta della corrispondenza in I'. ' violazione dell'esclusivit postale. ~-~ La pronuncia senza dubbio esatta e costituisce la puntuale applicazione di principi giuridici gi elaborati nella dottrina (cfr. il fondamentale lavoro del LEONE: Il reato continuato, abituale e permanente, Ed. Iovene, 1933). Caratteristica del reato abituale, come noto, una pluralit di azioni con pluralit di eventi, senza che, per, ciascuna azione dia luogo alla realizzazione del reato. Esso si distingue nettamente e dall'abitualit nel reato e dal reato continuato. L'abitualit nel reato costituisce una circostanza aggravante prevista negli art. 102 e 104 cod. pen. e presuppone u determinato numero di condanne riportate dal giudicabile per delitti non colposi o per contravvenzioni, tutti della stessa indole, intendendosi per tali quei reati che, ancorch siano preveduti da diverse disposizioni, presentino, tuttavia, sia per la natura dei fatti e sia per i motivi che li determinarono, caratteri fondamentali comuni (art. 101 cod. pen.). Rispetto al reato continuato, il reato abituale ha alcuni caratteri in comune: la pluralit di azioni nonch l'antigiuridicit e la colpevolezza delle singole azioni. Invero, senza questi due requisiti non sarebbe concepibile che possa aver vita qualsiasi specie di reato, e tanto meno quello cosidetto abituale, che non che la risultante (se non la somma) delle singole azioni. La differenza sostanziale, invece, sta nell'evento come giustamente 429 PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE . lare di pi emittenti: egli non commetteva, quindi alcun reato, ritirando la corrispondenza da enti o banche, se tale corrispondenza era diretta entro il perimetro della zona di concessione. Senonch il fondamento di tale assunto solo apparente, essendo innegabile (e questo Supremo Collegio lo ha altra volta ritenuto, che il titolare di una concessione per la raccolta e per la distribuzione di corrispondenza, qualora non osservi le condizioni di cui al capitolato d'oneri, viene ad assimilarsi a qualsiasi altro privato che violi il monopolio statale, e solo in questa qualit egli agisce, ai fini della responsabilit penale. N il ri stato rilevato in dottrina (LEONE, op. cit., 22), il concetto di azione postula quello di evento, come il concetto di causa postula quello di effetto. Tuttavia, se ci vero da un punto di vista che potrebbe dirsi fisico, non ugualmente vero da un punto di vista giuridico, essendo ovvio che allora si avvera il reato quando si verifica, come conseguenza dell'azione del colpevole, quel determinato evento previsto dalla norma punitiva. Sicch, mentre nel reato abituale l'evento, inteso in senso giuridico, si verifica solo quando sia compiuta una pluralit di azioni, nel reato continuato, invece, alla pluralit di azioni corrisponde una pluralit di eventi giuridici e quindi una pluralit di reati, che darebbero luogo ad un cumulo materiale di pene, se il legislatore non ne avesse attenuato il rigore attraverso la figura del reato continuato. Quindi pluralit di azioni ma unicit di evento giuridico (di lesione o di pericolo) nel reato abituale; pluralit di azioni e pluralit di eventi giuridici nel reato continuato, in cui i diversi reati sono autonomi in tutti i loro elementi costitutivi, ma vengono unificati, quoad ad poeam, allorch siano stati determinati da uno stesso disegno criminoso e consistano nella violazione di un medesimo interesse protetto dalla legge (Cass. 19-51952 Giust. pen.; 1952, II, c. 911, id. 31-3-1952 ibid., col 74; Cass. 28-51953, rie. Zoccoli Giust. pen., 1954, II, c. 429 nonch le numerose sentenze citate nella Rassegna di Giur. sul Cod. Penale, diretta da LATTANZI in nota all'art. 81 Cod. pen.). Ma, se l'evento che consegue ad ogni singola azione non ha alcuna rilevanza giuridica agli effetti del reato abituale, in quanto l'esistenza di questo condizionata all'evento previsto dalla norma penale, che interviene solo nel momento finale conseguente alla serie delle azioni commesse, tuttavia vi sono dei casi in cui non sempre necessario che si verifichi una pluralit di azioni per dar luogo alla figura del reato abituale. La differenza resa evidente dalla distinzione che la dottrina fa fra reati necessariamente e reati accidentalmente o eventualmente abituali, intendendosi per reati della prima specie quelli costituiti sempre da una pluralit di azioni mentre i reati della seconda specie possono consistere tanto in un unico fatto, quanto in pi fatti. Allorch si verifica l'ipotesi di un reato eventualmente abituale non ha alcuna rilevanza, sotto il profilo della sussistenza del reato, che si tratti di una sola azione commessa dal colpevole o di una pluralit di azioni, in quanto si applica sempre la stessa disciplina giuridica del reato necessariamente abituale con particolare riguardo agli istituti della pre . scrizione e dell'amnistia. 430 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO . corrente, in relazione alla sua difesa di avere, per necessit o ' per altri motivi, recapitato corrispondenza con il servizio postale e con l'affrancatura in via ordinaria, pu invocare l'art. 37 lett. b, che dichiara l'inapplicabilit della disposizione dello art. 35 al trasporto e al recapito di corrispondenze epistolari per le quali sia stato sodisfatto il diritto postale. Invero, i destinatari della norma di cui all'art. 37 del codice postale, sono soggetti diversi dal titolare di un'agenzia autorizzata al recapito di espressi in loco, con la conseguenza che tra le particolari previsioni di quella norma (trasporto e recapito occasionale e sporadico di corrispondenza), non rientra anche quel- Passando all'applicazione di tali concetti in materia di violazione dell'esclusivit postale, si rileva che l'art. 35 del Cod. Post. stabilisce: Chiunque faccia incetta, trasporti o distribuisca, direttamente o a mezzo di terze persone, corrispondenze in contravvenzione all'art. 1 della presente legge, punit con l'ammenda eguale a venti volte l'im" porto della tassa di francatura, col minimo di lire venti. Alla stessa pena soggiace chiunque abitualmente consegna a terzi corrispondenze epistolari per il trasporto o il recapito . Ora, come stato gi rilevato, la violazione del diritto di esclusiva, in riferimento alle corrispondenze epistolari, si estrinseca nei tre distinti momenti dell'incetta, del trasporto e della distribuzione di dette corrispondenze. Poich l'attivit dell'incetta consiste nella raccolta di corrispondenza di pi mittenti, evidente che occorre, per la sussistenza di tale reato, quella .pluralit di azioni che costituis.ce l'essenza. del reato necessariamente abituale. Lo stesso pu dirsi per la distribuzione delle corrispondenze ai destinatari, in quanto nel concetto stesso di distribuzione quella pluralit di azioni concepita nella struttura della speciale figura giuridica in esame, nonch per l'ipotesi prevista nel primo comma del citato art. 35. Diversamente deve opinarsi per il trasporto, giacch, in via di ipotesi, anche un unico trasporto, di uno o pi oggetti di corrispondenza, pu dar vita al reato previsto nel citato art. 35. Perci tale reato dovr definirsi eventualmente abituale. Un'ultima osservazione potrebbe farsi in riguardo alla pena prevista dall'art. 35 del Cod. Post.. Se il reato abituale unico, nonostante sia strutturalmente costituito da una pluralit di azioni, unica la pena che, generalmente, prevista dal legislatore per detto reato, onde non si spiegherebbe come nella citata disposizione stabilita una pena per ciascun oggetto di corrispondenza accettato, trasportato o distribuito in violazione dell'esclusivit postale. Ma l'obbiezione, a nostro avviso, facilmente superabile, in quanto la pena un elemento estrinseco del reato e, d'altra parte, il rapportare la sanzione al numero degli oggetti di corrispondenza non rappresenta che una modalt per la determinazione in concreto della sanzione da applicare, in rapporto alla gravit della violazione commessa dal colpevole desunta dagli elementi obbiettivi del numero delle corrispondenze sottratte all'esclusivit postale. :~ R. BRONZINI PARTE 1, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE la di incetta di corrispondenza epistolare per cui sia stato soddisfatto il diritto postale, mentre l'art. 150 del regolamento contempla, per l'appunto, le infrazioni del capitolato l'oneri che disciplina la concessione, ed, essendo norma regolamentare in, fra legem, rimane nell'ambito della disposizione dell'art. 35 del codice postale, che vieta l'incetta della corrispondenza. Sui motivi terzo, quarto e quinto, oppone il ricorrente il difetto, nella specie, delle condizioni soggettive di punibilit. Ma, per l'applicabilit dell'art. 47 c.p. si esige che l'errore cada su una condizione di fatto che sia elemento essenziale di un reato, mentre il ricorrente non pu invocare a sua difesa lo errore sulla liceit del fatto addebitatogli, essendo interdetto dall'art. 5 c.p. di invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale. Osservasi, poi, che dovendosi determinare l'importo del canone annuo dovuto dal concessionario all'Amministrazione in base al numero delle marche consumate, moltiplicato per il corrispettivo unitario prestabilito, la presunzione di frode, che normalmente inerente alle leggi fiscali e finanziarie e che discende dall'infrazione all'art. 35 addebitata al titolare dell'agenzia, non facilmente vincibile dalla prova contraria, come nel caso di specie. Sul sesto e sul settimo motivo. E' noto che stato pi volte ripetuto eh~ il ricorso in Cassazione non riapre un'ulte riore fase del giudizio di merito, cosicch gli errori in proce dendo possono essere denunciati con ricorso per cassazione, solo quando si riferiscano a norme stabilite dal codice di rito a pena di nullit di inammissibilit o di decadenza. Sull'ottavo motivo. Sostiene il ricorrente che il reato di cui al 1 comma dell'art. 35, per sua natura istantaneo, pu es 1sere riptuto, ma non pu mai considerarsi permanente, n qualificarsi abituale, poich l'abitualit dell'azione non rientra nella sua fattispecie legale: d'altra parte, devesi evitare la con fusione tra il reato abituale , costituito da pi fatti che iso latamente considerati sono penalmente indifferenti, e l'abi tualit nel reato; collegandosi con il vincolo della continua iZione i singoli reati di incetta, esso ricorrente potrebbe bene ficiare del recente provvedimento di clemenza. Ma se la raccolta di corrispondenze epistolari da parte di un titolare di agenzia , per necessit di cose, effettuata mat~ rialmente in pi riprese, tuttavia il reato di incetta, qualificato come tale nei suoi confronti, per la violazione dell'art. 35 e dell'art. 8 del capitolato d'onere, inscindibile nella sua confi gurazione ontologica in episodi distinti; un reato unico, col 432 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lettivo o abituale, e l'assimilazione delle diverse ipotesi del . I e del II comma dell'art. 35, agli effetti della irrogazione della pena, ulteriormente argomento per ritenere la sostanziale natura giuridica e la stessa qualit politica delle due contrav. venzioni. Se il reato continuato costituito da pi fatti cri; rninosi autonomi e distinti, che sono giudicati congiuntamente per essere esecutvi di uno stesso disegno criminoso, il reato ~ollettivo o abituale un unico reato ad esecuzione complessa, ;anche se risulti da una attivit materiale discontinua; escluf> O, quindi, che esso possa essere scomponibile in infrazioni di~ tinte ai fini dell'applicazione dell'amnistia ai sensi degli art. 1 e 4 lett. b del D.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5 (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 11,14 novembre 1963, n. 1885 - Pres. Santoro -Est. Laurino -P.M. Velotti (conf.) -Rie. ;Marino ed altri -p.c. Ministero Tesoro. ~ Proc~dimento penale -Sostituzione o revoca del difensore di ufficio - Ammissibilit. (C.p.p., artt. 125, 128). Procedimento penale -Mancato avviso al difensore di ufficio sostiI' . , tuito -Nullit insanabile -Insussistenza. (c.p.p., artt. 125, 128, 185 n. 3). Furto -Furto di cose esistenti in campi A.R.A.R. -Aggravante speciale dell'aver commesso il fatto su cose esistenti in stabilimenti pubblici -Applicabilit. (C.p., art.' 625 n. 7; d.1.1. 23 novembre 195 n. 793). Reato in genere -Attenuanti comuni -Tenuit del danno -Criterio sussidiario della situazione economica del danneggiato -Applicabilit in ipotesi di danno di obiettiva rilevante entit Esclusione. (c.p., art. 62 n. 4). La nomina del difensore di ufficio un atto del giudice, per sua natura revocabile; pertanto l'avviso del dibattimento viene rettamente notificato al difensore di ufficio nominato nel decreto di citazione anzich a quello nominato in una precedente udienza (1). (1) In tema di efficacia nel tempo della nomina del difensore di ufficio la sentenza annotata ha fatto preciso richiamo al principio gi affermato dal Supremo Collegio in altra occasione ( Sent. 15 novembre 1958, Sicilia, in Giu.st. pen. 1959, III, 166, n. 209). In materia di notifica dell'avviso di deposito dell'estratto della sentenza contumaciale nel caso in cui si proceda secondo le forme previste per gli imputati irreperibili, l'avviso va notificato al difensore nominato nel giudizio e non a quello nominato precedentemente -~ 433 PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE La mancata notifica dell'avviso di dibattimento al difensore di ufficio, che sia stato sostituito con altro difensore alla udienza, non importa effettivo pregiudizio alla assistenza dell'imputato e non rientra, pertanto, nelle nullit insanabili di cui all'art. 185, n. 3 c.p.p. (2). I campi dell'A.R.A.R. sono da qualificare come stabilimento pubblico e ci sia per il fine di pubblico interesse cui tali stabilimenti erano destinati sia per l'appartenenza dei campi ad un ente pubblico (3). Nell'ipotesi in cui il danno subto appare di rilevante entit non pu farsi luogo all'applicazione del criterio sussidiario della situazione economica del soggetto passivo, che viene in considerazione quando il valore della cosa in s non escbtda la particolare tenuit del danno (4). ai sensi dell'art. 170 c.p.p., ma non comparso al dibattimento (Cass. II 28 gennaio 1960, n. 523, Restaino, in Riv. pen. 1961, 404). (2) La seconda massima, la quale riproduce quella desunta da altra sentenza della Corte Suprema (III sez. -16 marzo 1959, in Giust. pen. 1959, III, 611, n. 687), sembra non perfettamente in linea con il principio affermato nella prima massima: ed invero se vale il principio della revocabilit circa la nomina del difensore di ufficio, non appare conseguente l'apprezzamento circa la non effettivit del pregiudizio all'assistenza dell'imputato, con esclusione dalle ipotesi di nullit ex art. 185, n. 3, per la mancata notifica dell'avviso di dibattimento al difensore di ufficio che sia stato sostituito con altro difensore all'udienza. (3) Nulla da osservare sulla qualificazione come stabilimento pubblico dei campi A.R.A.R. Sull'organizzazione dell'A.R.A.R. v. Relaz. Avv. Stato, 1942-50, III, 372 e segg.; Relaz. Avv. Stato 1951-1955, II, 821 e segg. (4) La massima fa , precisa applicazione del principio contenuto nel n. 4 dell'art. 62 c.p. (v. anche Cass. I 22 gennaio 1962, n. 106, Previtera, in Riv. gen. 1963, 1011. A. T. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1964, n. 84 -Pres. D'Aniello -Est. De Mattia -R.M. Biscotti (conf.) -Rie. Jacomo -p.c. Ministero Finanze. Reati finanziari -Contravvenzioni -Estinzione per oblazione -Ammissibilit. (c.p. art. 162; 1. 7 gennaio 1929 n. , art. 14). Impugnazioni penali -Appello avverso sentenze di condanna per reati finanziari estinguibili per oblazione -Esclusione. Cl. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 14; c.p.p. artt. 512, 513). 434 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'art. 14 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 ammette la estin-t zione per oblazione di qualsiasi contravvenzione punibile soltanto con la pena dell'ammenda (1). La predetta oblazione pur essendo prevista da una legge speciale con effetti in parte diversi da quelli previsti dall'art. 162 c.p., rientra egualmente negli schemi dell'istituto dell'oblazione considerato nella sua fondamentale unit. Pertanto ai fini della impugnabilit delle sentenze di condanna di primo grado, la esclusione dell'appellabilit di sentenze relative a reati per i quali ammessa l'oblazione riguarda anche le contravvenzioni di cui all'art. 14 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (2). La Corte Suprema nell'esaminare l'istituto dell'oblazione considerato. dall'art. 14 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 ha correttamente interpretato il contenuto,dell'art. 162 del codice penale il quale, nel disciplinare gli effetti dell'oblazione quale causa estintiva del reato, fa riferimento alle contravvenzioni in genere per le quali la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda, e quindi pone un riferimento in via generale a tutte le disposizioni legislative che prevedono fattispecie punite con la pena dell'ammenda. Risolta, cos, la questione dei limiti interpretativi dell'art. 162 con riferimento in via generale ad ogni specie di oblazione come considerata dallo stesso articolo, ne conseguiva l'applicabilit del principio della non impugnabilit delle condanne di primo grado come stabilito dagli artt. 512 e 513 del Codice di procedura penale. Sugli aspetti particolari dell'oblazione ex art. 14 citato, Rel. Avv. Stato 1951-1955, I, 784, n. 365 (in particolare per quanto riguarda la disciplina della posizione dell'Amministrazione in ordine alla richiesta di oblazione). Per la trattazione cli carattere generale, V. Spinelli, La repressione delle violazioni delle leggi finanziarie nella scienza e nel diritto, 1947, 127 e 291 segg. Sulla non estensione degli effetti dell'oblazione ai coimputati v. Cass., I, 13 novembre 1962, n. 1713, Riv. pen. 1963, II, 658; in particolare, per quanto riguarda la definizione amministrativa prevista dalle leggi finanziarie nel senso della non estensibilit ai compartecipi, v. Cass. 8 marzo 1956, Rep. Foro; 1956, voce Tasse e imposte in genere, n. 135. Sulla prevalenza della disciplina indicata negli artt. 13, 14 e 46 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 rispetto alla disciplina contenuta nel codice penale in materia di obla:z;ione v. Cass. 28 maggio 1951, Arch. pen. 1951, II, 634. A. T. PARTE SECONDA RASSEGNA DI DOTTRINA R. Al.ESSI, L'illecito e la responsabilit civile degli enti pubblici, Mi. !ano, 1964, pagg. XI-168. 1. L'Alessi, che al tema della responsabilit dell'Amministrazione pubblica ha sempre dedicato attente cure, ci presenta tma nuova trattazione dell'argomento, la quale, per la materia in s e per la novit di alcune impostazioni e soluzioni indicate dal chiaro autore, indubbiamente destinata a suscitare largo interesse presso gli studiosi. E' di introduzione un'ampia premessa, circa L'illecito e la. responsabilit civile nella teoria generale del diritto privato, nella quale, considerati i vari aspetti che il problema presenta, l'A. esamina tra l'altro il fondamento della responsabilit, osservando che questa, pur essendo nel nostro ordinamento improntata in generale al principio della imputabilit, trova la sua base, in alcune ipotesi (responsabilit dal modo di essere di cose e responsabilit, in alcuni casi, per fatto altrui), nel principio del rischio e dell'u.tilizzazione, e, quindi, anzich nell'illecito, nella garenzia,, che si connette all'utilizzazione medesima. Rilevato poi, programmaticamente, che il fondamento della responsabilit dell'a.p., per violazioni della sfera giuridica complementare e di quella primaria, risiede, rispettivamente, al pari che per i soggetti privati, nelle disposizioni di cui agli articoli 1218 e segg. e 2043 e segg. del codice civile, l'A. osserva che una differenziazione tuttavia da individuare nel fine cui si connette l'istituto della responsabilit concepita come sanzione >>, che, nel caso degli enti pubblici, deve ritenersi sia quello di colpire le esplicazioni illegali di potere, che siano fonte di lesione di sfere giuridicamente protette pertinenti a cittadini , mentre nel caso del singolo il fine medesimo quello di colpire le violazio,ni, soggettivamente imputabili, di sfere giuridiche altrui (p. 34): alla quale conclusione l'A. perviene tra l'altro osservando che i privati possono ledere le sfere primarie altrui soltanto con attivit materiale, laddove la p.a. esercita poteri che possono incidere, eventualmente producendo danni, nelle sfere dei singoli. Gi in relazione a tale possibilit lesiva, l'A. individua elementi di indagine ai fini del problema della riferibilit all'ente dell'azione delle persone fisiche che per-esso agiscono; e tal problema passa poi, sistematicamente, ad inquadrare, confermando la critica della teoria organica gi altrove svolta (ALESSI, L'affermazione costituzionale, ecc. Riv. trim. dir. pubb. 1959, 15), ed osservando: che la questione va posta con riferimento alla nozione di ordinamento, che implica quella di potere, ed ancora quella correlativa di dovere, e, quindi, di un poteredovere, di una funzione, anzi di un complesso di funzioni, le quali presuppongono altrettanti centri predisposti per il loro esercizio, e cio altrettante sfere di poteri e di funzioni, attribuite necessariamente a persone fisiche ( individualit fisiche, le quali, in quanto investite del potere e della funzione dall'ordinamento, possono ben dirsi tito 26 RA$5EGNA DELL'AVVOCAttJRA D!!LLO StATO lari del potere e della funzione ... p. 40); che detti centri ed i relativi titolari, se non possono considerarsi organi, nel senso in cui per organo si intenda la manifestazione fisico-giuridica dell'esistenza dello Stato, nemmeno possono configurarsi come rappresentanti, non verificandosi alcuno spostamento dei poteri, che sono esercitati dal funzionario in quanto a lui direttamente attribuiti nell'ordinamento; che lo Stato da considerare come il soggetto creato dall'ordinamento per la necessit di dare un titolare ai rapporti cui d vita l'esplicazione del potere da parte dei costituiti centri; che, conseguentemente, e senza far ricorso n alla teoria organica n a quella della rappresentanza, deve affermarsi la diretta imputazione all'ente dell'azione del funzionario, poich questa costituisce esplicazione di quel potere, rampollante dall'ordinamento statuale, nel cui presupposto, ed in vista dei cui effetti, creata appunto la personalit statuale (p. 43). A" guisa di corollari, poi, l'A. indica le ulteriori conclusioni: che la diretta riferibilit da ritenere soltanto per la lesione della sfera primaria altrui che sia direttamente o indirettamente attinente alla esplicazione di un potere giuridico dell'ente pubblico; che, in ogni altro caso di lesioni deila sfera primaria, deve, per esclusione, farsi capo ai principi della responsabilit indiretta, la quale andrebbe ammessa anche per fatti imputabili al dipendente in via di dolo, limitatamente, per altro, in coerenza alle premesse (garenzia per la utilizzazione), ai fatti commessi in intima connessione col servizio pubblico, che ne costituisca la necessaria occasione. Segue una breve trattazione delle questioni che si pongono in relazione all'art. 28 della Costituzione (sembra adombrato l'interrogativo d una ribadita affermazione, dalla norma, della diretta responsabilit dell'a.p., in senso generale); e l'A. passa ad esaminare, quindi, gli elementi dell'illecito, in relazione allo studio dei quali rileva, tra l'altro, che per la risarcibilit occorre che si abbia una lesione ingiusta, evidenziabile tuttavia anche quando, pur essendo concesso all'ente di incidere su posizioni soggettive altrui, sia poi l'esplicazione del potere --riconosciuta illegittima con l'annullamento del provvedimento -da ritenere non pi idonea a giustificare la lesione medesima, che resterebbe pur sempre lesione di diritto soggettivo (p. 74). Avverte l'A. che altro discorso da fare per quanto concerne gli interessi legittimi, in relazione ai quali sicuramente da dire che una questione di risarcibilit delle corrispondenti lesioni nemmeno pu porsi, non sussistendo, in principio, un interesse sostanziale direttamente tutelato, e quello strumentale essendo restaurato in pieno con la eliminazione del provvedimento illegittimo (pagg. 75-76); e, rilevato che ci si deve domandare, piuttosto, se possa darsi risarcimento della lesione del danno patrimoniale che per avventura sia collegato alla lesione dell'interesse legittimo, osserva che al quesito pu darsi risposta affermativa, in via generale, quando sia ipotizzabile autonomamente una lesione patrimoniale, dipendente dal meder.imo comportamento dell'a.p. lesivo dell'interesse legittimo: lesione da ritenere conseguenza diretta della trasgressione del dovere primario di rispettare l'integrit dei patrimoni altrui, e da considerare perci risarcibile, purch ricorrano gli altri comuni presupposti della responsabilit (p. 78 segg.). Un'ampia indagine compie poi l'A. in ordine all'elemento sogget 27 PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA tivo dell'illecito, la imputabilit, con particolare riferimento agli aspetti attinenti alla ricerca del dolo e della colpa, anche in rapporto alla ricorrenza di situazioni in cui rilevino i poteri discrezionali dell'a.p.; ed una separata e completa trattazione svolge, ancora, circa l'accertamento e gli effetti dell'illecito, e circa la responsabilit per danni conseguenti ad attivit legittime, dedicando infine un apposito capitolo, che chiude il volume, all'approfondimento delle questioni concernenti la responsabilit diretta e personale dd dipendente. 2. Si cercato di dar conto, sia pure in rapida sintesi, dello sviluppo tematico dell'opera in rassegna, con la quale uno studioso di indubbia autorit, quale l'A., porta un nuovo contributo all'esame delle questioni che si presentano nella materia della responsabilit degli enti pubblici: materia di per s delicata, per la esigenza della ricerca del giusto punto di equilibrio, nell'ambito dell'ordinamento, tra gli interessi dei singoli e quelli della collettivit, ed oggi fatta oggetto di pi tormentata indagine, per i nuovi orientamenti che, da alcun tempo, una parte della dottrina va esprimendo, anche su punti che sembravano non controvertibili o non pi controversi. Si tratta di un contributo particolarmente apprezzabile anche per il rigore metodologico della trattazione, che, come del resto gi dato di rilevare dalla breve esposizione che si tentata innanzi, compiuta sempre con un attento studio delle singole questioni che vengono in rilievo, da una parte, e con uno sviluppo gradato e sistematico, poi, nella ricerca concernente i. pi ampi temi posti in discussione, per i quali le conclusioni scaturiscono conseguenzialmente dall'armonico e logico coordinamento delle soluzioni parziali volta a svolta acquisite, che si pongono, cos pu dirsi riprendendosi una notazione espressa dal Carnelutti per il Sistema istituzionale... dello stesso A. (Riv. dir. proc., 1955,75), come elementi di una architettonica costruzione. Ci non esclude, naturalmente, che in relazione a taluna premessa o a taluna conclusione, possano ravvisarsi ragioni di dubbio o anche di dissenso. Ma va detto subito che, particolarmente nei punti in cui sono additati nuovi profili o indicate nuove impostazioni di un problema, l'A. stesso che, con quel metodo strettamente razionale seguito, quasi invita ad un dibattito, o comunque ad una pi ampia discussione dell'argomento: la qual cosa indubbiamente costituisce un ulteriore pregio dell'opera. Cos, ad esempio, sembra proposta all'attenzione dello studioso l'affermazione dell'A. a proposito del fine che si connette all'istituto della responsabilit dell'a.p.: affermazione che, anche per le conseguenze che se ne dovrebbero trarre, pu dar. luogo a perplessit, e sollecitare ad una ulteriore ricerca, quando si rilevi che la differenziazione di base, rispetto alla responsabilit dei privati (individuata, tra l'altro, con riferimento alla potenzialit lesiva dei considerati soggetti), potrebbe diversamente prospettarsi, se si ipotizzino, come sembrerebbero ipotizzabili, anche lesioni ad opera di privati non derivanti da un comportamento materiale (si pensi, ad es., senza pi ampiamente considerare la teoria pi negozi sul patrimonio altrui, alla responsabilit per lite temeraria), e quando si consideri, sotto altro aspetto, che nella proposta formulazione potrebbe non risultare compreso il pur vasto campo della responsabilit dell'a.p. (diretta o indiretta che sia da ritenere) ~ 28 RASSGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO -:-: per i danni arrecati a terzi nell'esplicazione dell'attivit materiale o tecnico-materiale dei dipendenti: per i quali rilievi, ed in relazione alla individuazione, nella norma di cui all'art. 2043 e.e., di un comune denominatore della responsabilit dell'a.p. e dei privati, potrebbe dirsi che non tanto rilevi una distinzione qualitativa e finalistica, quanto di misura, nel senso che gli enti pubblici debbano ritenersi responsabili, alla pari dei privati, per le trasgressioni al dovere di non ledere la sfera primaria altrui, purch questa non sia limitata dai poteri concessi all'a.p.. Sulla questione della riferibilit all'ente degli atti o dei fatti compiuti da persone fisiche che per esso agiscono, o delle conseguenze dannose che ne derivino, si visto come, respinta la teoria organica, l'A. pervenga all'affermazione, tuttavia, di una diretta responsabilit dell'a.p. in situazioni attinenti all'esplicazione, illegale, di un potere, e invece, per esclusione, all'affermazione, in ogni altra ipotesi di lesione di sfere primarie, della responsabilit indiretta, per altro estesa anche ai casi di attivit dolosa dell'agente. Quanto alla prima conclusione, la quale si riallaccia, cos ci parso, alla teoria dell'imputazione organica, potrebbero non esservi difficolt concettuali a consentirvi, di massima, quando la si consideri, come sembra potersi rilevare, soltanto nell'ambito del problema della riferibilit, e non foriera di ulteriori conseguenze ai fini dell'identificazione di altri presupposti della responsabilit, cui potrebbe far pensare il richiamo al concetto, nella formulazione inserito, di una illegalit dell'azione amministrativa. Appare di pi difficile intendimento, invece, il corollario che da quella impostazione dovrebbe trarsi, della limitazione della responsabilit diretta ai soli casi di danni derivanti da esplicazione di potere, giacch, invero, se alla conclusione prima debba pervenirsi in relazio ne al rilievo secondo cui l'ente costituito, nell'ordinamento e dall'ordinamento, perch sia il centro dei rapporti che dall'attivit dei centri di potere si originano, e cio per dare un soggetto ai rapporti medesimi, sembrerebbe doversi porre l'alternativa: che all'ente non siano riferibili, n in via diretta n in via indiretta, rapporti diversi da quelli in vista de quali esso istituzionalmente creato, e cio diversi da quelli dipendenti, nei limiti precisati dall'A., dall'attivit dei ripetuti centri di potere, ovvero che all'ente siano riferibili anche altri rapporti, e specificamente anche quelli derivanti da attivit materiali delle persone fisiche agenti, ma ci soltanto in quanto possa evidenziarsi per essi quello stesso collegamento, che l'A. individua ai fini della diretta riferibilit delle attivit. da esplicazione di potere, e cio in quanto possa dirsi che l'ente sia creato per essere soggetto anche di tali rapporti, anch'essi collegabili, sia pure in via strumentale, all'azione amministrativa dei centri ridetti, e possa quindi affermarsi la ricorrenza di una comune ragione giustificativa della riferibilit: la quale, allora, in vista di quel comune, anzi unico, fine istituzionale, potrebbe in ogni caso considerarsi diretta. E ragioni di dubbio, d'altra parte, circa la conclusione cui l'A. perviene, sembrano doversi esprimere anche con riferimento al criterio della utilizzazione, che sia da porre a fondamento della responsabilit indiretta, giacch, in rapporto alla proposta costruzione, e cos considerandosi il fine dell'ente, che creato per essere soggetto dei rapporti PARTE U, RASSEGNA DI DOTTRINA ~9 ' derivanti dall'attivit dei centri di potere, potrebbe non individuarsi nell'attivit dei dipendenti una utilit per l'ente medesimo (essa gioverebbe, in ipotesi, ai centri di potere), e potrebbe ritornarsi allora all'alternativa di dover escludere, e questa volta per il difetto del presupposto della utilizzazione, la riferibilit anche indiretta dei rapporti derivanti da attivit materiale, ovvero di ammetterla, ma non sotto l'indicato profilo, bens. in vista della natura strumentale dell'attivit medesima rispetto all'esercizio del potere, e quindi per lo stesso tramite diretto, per cui si perviene a fare imputazione all'ente dei rapporti cui d vita l'azione amministrativa: il qual rilievo potrebbe, infine, indurre alla conclusione che non si possa comunque prescindere, nell'indagine sulla riferibilit, dal principio dell'organizzazione, che si confermerebbe perci di per s idoneo, rispetto ai centri di potere anche, se si vuole, o direttamente rispetto all'ente, a far considerare come proprio dei primi, e quindi anche del secondo, o di quest'ultimo soltanto, il fatto illecito che sia emanazione, e purch sia emanazione, dell'apparato organizzato. (E, quindi, con esclusione dei fatti dolosi, che non possono non essere esclusivamente propri dell'agente). E' il caso, infine, di fermare l'attenzione su un altro interessante problema esaminato nell'opera in rassegna, quello della pretesa risarcibilit dei danni da lesine di interessi legittimi. Va subito detto che merito dell'A. l'aver riportato la questione nei suoi giusti confini, con la basilare precisazione che una questione non potrebbe porsi che nell'ambito dei comuni principi in tema di responsabilit, per la lesione di sfere primarie, prescindendosi in ogni caso dalla diretta considerazione della lesione dell'interesse legittimo, non potendo ipotizzarsi un risarcimento pecuniario quando non vi sia una utilit sostanziale oggetto di garenzia . Ci non esclude, per, secondo l'A., che possa sotto altro aspetto configurarsi la risarcibilit per la lesione di sfere patrimoniali protette, che sia da ritenere collegata alla lesione di un interesse legittimo, ed in particolare, se bene abbiamo inteso, quando si avveri e sia accertabile un pregiudizio patrimoniale, che non si sarebbe verificato se l'attivit amministrativa si fosse legittimamente esplicata. Ma, proprio restandosi nell'ambito dei comuni principi (alla stre gua dei quali, ovviamente, deve anche ritenersi che non sia fatta al l'a.p. una condizione deteriore rispetto a quella dei privati), non sem bra si possa senz'altro consentire nel proposto ragionamento, anche circa il rapporto di causa ad effetto tra il comportamento dell'a.p. ed il pregiudizio economico, essendo quest'ultimo soltanto una compo nente del danno giuridicamente inteso, il quale presuppone, in primo luogo, la esistenza, gi nel patrimonio del soggetto presunto leso, del la utilit che si possa ipotizzare menomata: la quale utilit, se un dato interesse non sia fatto oggetto di immediata tutela anche nei confronti dell'a.p., come a dire originariamente insussistente, cos dovrebbe ritenersi che non possa nemmeno successivamente acquisirsi, o per dersi, in collegamento ad eventuale illegittimit dell'azione ammini strativa. N sembra possa valere all'indicato fine la considerazione di una lesione del patrimonio altrui come diretta conseguenza non gi della violazione della norma dettata per il regolare svolgimento dell'atti vit dell'ente, bens di un comportamento autonomamente lesivo ed RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO S'fATO 30 incidente nella sfera primaria dei singoli, perch, mentre nella proposta costruzione tuttavia prospettata la necessit di un collegamento alla violazione dell'interesse (e si tratterebbe di un collegarq.ento indiretto, che non dovrebbe rilevare, non essendo ammesso risarcimento di danni che non siano conseguenza immediata e diretta di una violazione), parrebbe comunque da osservare che quel .comportamento medesimo non potrebbe i.ncidere che nei limiti della consistenza, della sfera dei diritti p,rimari, che sia giuridicamente apprezzabile, e cio di una consistenza che non comprende n il vantaggio sperato, n la sperata mancata diminuzione patrimoniale (in relazione ad interessi legittimi), e rispetto alla quale, quindi, un danno (che --.si colleghi a quel mancato vantaggio o all'avveratasi diminuzione), non dovrebbe essere comunque ipotizzabile. (Per un ampio esame della questione, in genere, della risarcibilit in rapporto a violazione di interessi legittimi, cfr. FOLIGNO, La pretesa responsabilit, ecc. in questa Rassegna, 1963, 1 segg.). 3. Premeva segnalare il lavoro dell'A. anche e particolarmente negli aspetti, spesso nuovi, con i quali esso si inserisce nella rinnovata polemica circa il fondamento ed i limiti della responsabilit della Pubblica Amministrazione. . Altre, e tutte interessanti, questioni vi sono trattate, come prima si detto, e per esse valga il breve cenno che se ne fatto innanzi a richiamare l'attenzione. dello studioso, che in tutta l'opera, invero, trover spunti utili anche per una ulteriore proficua meditazione dei proposti problemi. MARIO FANELLI V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, voi. IV, Napoli, 1964, pagg. 936. Scrivere di un commentario, e per giunta di un commentario come quello dell'Andrioli, non come scrivere di un libro. Un libro si legge, si studia, un commentario del genere si vive: se ne saggiano, cio, la utilit e la bont nella pratica quotidiana, ogni volta che si presenta l'occasione. Comunque, intanto, l'ausilio di un commentario nella soluzione dei molti problemi (spesso assillanti specie in materia di procedura) che si pongono a chi opera nel mondo del diritto, meglio ancora di un libro per quanto pregevole, pu essere prezioso; e preziosi, ormai notorio, sono stati i primi tre volumi del commentario dell'Andrioli: riconoscerlo, sebbene doveroso, un portare vasi a Samo. Sar cos anche per questo quarto volume? Non vi ragione di dubitarne, conoscendo l'A., sia pur solo attraverso le sue opere ed i suoi scritti; di pi, si sa come l'A. si sia dedicato al completamento, tanto atteso, di questa sua opera, anzi di questa, che si ritiene la sua Opera. Benvero, impostazione e metodo non si differenziano da quelli dei precedenti volumi, nella loro ultima edizione; i pregi sono in tutto ana loghi: peraltro, il completamento stesso dell'opera ne accresce il valore. PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA Anche qui vanno diminuendo il raffronto con il codice del 1865 e il richiamo ai lavori preparatori, giustificatamente dato il trascorrere del tempo, che ne attenua forse l'utilit e consente. il pi proficuo uso dei risultati dell'esperienza, come osserv il CARNELUTTI, a proposito della terza edizione del primo volume dell'opera (in Riv. dir. proc., 1954, I, 130), ma la quasi intera eliminazione dell' analisi dei lavori preparatori... unica del genere in Italia (v. schedula non firmata a proposito della terza edizione del secondo volume in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1957, 386) sar pi sentita per questo quarto volume, non potendosi far ricorso a precedenti edizioni. Si avverte, poi, la mancanza per ciascun capo (e talvolta per ciascuna sezione) di quelle bellissime premesse fatte solo per alcuni capi (e per alcune sezioni), le quali lungi dallo snaturare il carattere dell'opera riescono di grande vantaggio all'inquadramento dei singoli istituti, che peraltro si pu ricavare dall'esegesi articolo per articolo (quasi sempre come di consueto ampia e completa o almeno esauriente, ricca di richiami ragionati a giurisprudenza e dottrina, e spesso, specie per i primi articoli relativi a ciascun istituto, permeata da vasti riferimenti sistematici: v., ad esempio, i commenti agli articoli 700 e 796), ma pi faticosamente e meno efficacemente di come l'A. con la sua maestria avrebbe potuto offrire ed ha offerto laddove tali premesse si leggono. Cos, la struttura e la natura del procedimento di ingiunzione sono sinteticamente chiariti nello sviluppo storico e criticamente esaminati ai fini della costruzione teorica , nel fruttuoso tentativo di ricondurre ad unit l'istituto sia nel caso di decreto normale sia nel caso di decreto provvisoriamente esecutivo, sulla base della disciplina positiva data dal legislatore con l'abbandono delle linee classiche del processo monitorio (pagg. 1 e segg.). Cos pure a proposito del procedimento per convalida di sfratto si distingue tra le diverse ipotesi sotto il profilo funzionale, negandsi l'utilit pratica de l'indagine sui rapporti con il procedimento monitorio (pag. 117), ed a proposito dei procedimenti di istruzione preventiva si pone in luce la sistemazione, la quale rappresenta una novit del codice del 1940 rispondente a sentite esigenze pratiche, approvandola giacch le varie applicazioni, pur differenti per la ratio, ben rientrano nella vasta categoria dei provvedimenti cautelari (pagg. 234235). Cos ancora si riconducono i procedimenti per l'interdizione e per l'inabilitazione, conformemente all'attuale sistemazione data dal legislatore, dopo l'esame della disdplina contenuta nel precedente codice e delle fondamentali questioni agitate in merito, tra i procedimenti in camera di consiglio (contrapposti ai procedimenti contenziosi, unica di'> tinzione di rilievo, secondo l'A., per i procedimenti instaurati davanti ai giudici nazionali -la qualificazione di giurisdizione volontaria sarebbe necessaria solo per assodare i modi di riconoscimento dell'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri -); ma con larghissime... brecce aperte nello schema normale specie per quanto attiene all'istruzione ed alla decisione, onde, malgrado la sistemazione, pu piuttosto parlarsi di un procedimento contenzioso speciale che non di un procedimento speciale in camera di consiglio; e si considerano, quindi, i principi applicabili indipendentemente dalla accennata bipartizione (pagg. 345 e segg.). Cos, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO infine, per quanto riguarda le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio l'A. a conclusione di un sostanzioso discorso sui precedenti fa presente che per l'applicazone di esse lungi dal far leva sulla nozione sostanziale di volontaria giurisdizione (dato e non concesso che di una, e non di molte e fra loro conflittanti si tratti) o, quanto meno, sulla vicenda di una procedura senza contraddittore l'interprete deve fondarsi sugli elementi formali: forma del ricorso per l'atto introduttivo e carattere rudimentale del contraddittorio e dell'istruttoria anzitutto, senza che ci possa peraltro consentire di superare ogni difficolt (pagg. 425 e segg.); e, per quanto riguarda il processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche, l'A. sostiene, nella successione dei vari atti con riferimento pure alle norme contenute nel codice civile (artt. da 2889 a 2898), l'inquadramento tra i procedimenti volontari, non senza svolgere osservazioni di grande interesse sul carattere dell'aggiudicazione (non risolutivo ma confermativo del precedente acquisto) e sulla legittimazione (pagg. 620 e seg.). BENEDETTO BACCARI . AUTORI VARI, Enciclopedia del diritto, val. XII (voci del delitto-diritto), Mih:ino, 1964. La enciclopedia del diritto presenta anche per questo volume i ben noti requisiti di completezza, da considerare ovviamente in rapporto ai caratteri ed alla funzione dell'opera. Anzi, la natura tipicamente composita di essa fa risaltare ancor pi, per alcune voci, la bellezza delle trattazioni, la cui lettura spesso costituisce un vero godimento. Alludiamo specialmente a quelle attinenti alla teoria generale e alle partizioni del diritto, tra cui ricordiamo: diritto soggettivo (W. CESARINI SFORZA, p. 659 e segg.); diritto pubblico e privato (S. PUGLIATTI, p. 696 e segg.); diritti (soggettivi) assoluti e relativi (F. SANTORO PASSARELLI, p. 748 e segg.); diritto amministrativo (M. S. GIANNINI, p. 855 e segg.); diritto civile (R. NicoL6, p. 904 e segg.); diritto costituzionale-nozione e caratteri (C. MORTATI, p. 947 e segg.); diritto processuale civile (S. SATTA, p. 1100 e segg.); diritto tributario e diritto finanziario (G. A. MICHELI, p. 1119 e segg.). Accanto a queste ora menzionate sono contenute nel volume altre numerose voci, del pari interessanti, pure ai fini di questa rassegna, par ticolarmente su argomenti specifici, talvolta affidate ad autori di chiara fama e ricche nella trattazione di impostazioni originali e di spunti feli cissimi (v., ad esempio, la voce demanio comunale di A. M. SANDULLI, p. 86 e Segg., da notare anche per l'ammirevole sintesi). In rapporto agli accennati fini, tenendo conto dello svolgimento degli argomenti, anche per l'ampiezza, converr soffermarsi nei limiti consentiti da una recensione del genere su talune voci, guidati pure nella scelta dalla pertinenza a temi di maggior pratica rilevanza, senza con ci nulla voler togliere alla preminenza della teoria e ai riflessi determinanti sulla pratica: basti pensare, tanto per fare un esempio, alla tesi riaffermata @ If: I I ..~ ' , 33 PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA dal Micheli (Dir. trib. e fin., cit., p. 1126-7) -contraddetta, peraltro, dalla pi recente giurisprudenza (v., da ultimo, Cass. 19 aprile 1961, in Foro it., 1962, I, 118 e Cass. 28 giugno 1963 n. 1752) -della inapplicabi lit della interpretazione estensiva alle norme tributarie eccezionali, come quelle che stabiliscono esenzioni! Eppertanto si considererranno qui partitamente le voci sul demanio marittimo, sulla dichiarazione di pubblica utilit, sulla difesa (beni destinati alla). F. A. GUERCI, Demanio marittimo, pagg. 92-109. Alla nozione del demanio marittimo come complesso di beni destinati a soddisfare gli interessi pubblici riguardanti la navigazione ed il traffico marittimo, piuttosto ristretta, invero, laddove sarebbe preferibile il riferimento ai fini del pubblico uso' del mare, in genere (v. Cass. 2 maggio 1962 in Giur. it., I, 1, 795, richiamata, del resto, dallo stesso A.), e non solo in rapporto agli ipotizzabili sviluppi di tale uso, l'A fa seguire, peraltro, la chiara affermazione della non tassativit dell'elenco di cui all'art. 822 e.e., non si comprende bene tuttavia se solo in relazione all'integrazione positiva dell'art. 28 c. nav., il che non pare sostenibile almeno in ragione del disposto dell'art. 33 c. nav. (v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1942-1950, voi. I, n. 165, pagg. 346-347). Cos pure, a parte il mancato approfondimento della natura del decreto previsto dall'art. 35 c. nav., giustificato per dai limiti di spazio della trattazione, Io stesso carattere di generale esclusivit della competenza del!' Autorit marittima (v. pure Cons. di Stato 23 dicembre 1961 in Foro it., 1962, III, 20 e Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1951-1955, voi. I, n. 139, pagg. 312-316) si sarebbe potuto meglio precisare, segnatamente in rapporto al pi recente indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. 2 maggio 1962 cit.; v., per, pure Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1942-1950, voi. I, n. 165, pagg. 345-346), secondo cui il Giudice ordinario investito della controversia sulla demanialit o meno di un. bene potrebbe accertare il concorso o meno in quel bene dei caratteri della demanialit . Infine, il rinvio per ci che concerne le vicende del carattere demaniale del bene -acquisito, modificazione e perdita -alla voce beni pubblici (sebbene l'argomento sia qui magistralmente sintetizzato dal SANDULLI, voi. V, pagg. 295 e 297) non avrebbe forse dovuto escludere un utile esame delle relative questioni con particolare riguardo al demanio marittimo (v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1942-1950, voi. I, n. 164, pagg. 344-345). Pi completa la trattazione per quanto attiene alla funzione dei beni , del demanio marittimo ed agli effetti di tale demanialit (uso diretto, uso generale, uso. particolare), nonch specialmente per quanto attiene alle concessioni, cui dedicata, sotto l'aspetto sostanziale (v. pure Cass. 23 giugno 1962, n. 1637) e procedurale (v. pure Cons. di Stato 23 maggio 1962, in Foro amm., 1962, I, 1263), la maggior parte dello studio (par. 8-15, pagg. 98-109). Anche qui si potrebbero fare qualche rilievo e qualche riser va, ma ai fini di questi brevi cenni sembra sufficiente quanto si osservato sopra, che riguarda in definitiva la parte generale suscettibile di 34 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO influenzare ogni soluzione dei problemi particolari e per ci ritenuta meritevole delle esposte considerazioni. U. ARDIZZONE, Dichiarazione di pubblica utilit, pagg_ 391-409. Da un giudizio di perspicuit dell'art. 834 e.e., dal rilievo che la necessit della dichiarazione di pubblica utilit non prevista nella Co stituzione e dall'affermazione che l'opera di pubblica utilit non l'opera pubblica>>, meglio chiarita nel testo di un paragrafo cos intitolato (par. 2), l'A. prende le mosse per una lunga esposizione, la cui prima parte dedicata ad un elenco delle leggi riguardanti la materia e ad un commento delle prime disposizioni della legge fondamentale sulle espropriazioni per pubblica utilit. Laddove formula talune considerazioni spesso l'A non convince, cos come quando, accennando alla rilevanza dell'approvazione dei progetti ai fini della dichiarazione di pubblica utilit allorch la legge tale rilevanza stabilisce, afferma che la formulazione legislativa non quella dell'equivalenza (espressione che sembra, invece, efficace a ren dere il concetto) ma quella della conseguenzialit, per la quale tale dichiarazione implicita nell'atto di approvazione , mentre stato giustamente osservato che con l'approvazione del progetto l'amministrazione non valuta e, quindi, non dichiara n esplicitamente n implicitamente la pubblica utilit della singola opera, la quale stata gi dichiarata per tutte le opere della categoria del legislatore, che " solo ha condizionato gli effetti di tale dichiarazione alla emanazione di un atto amm1mstrativo (v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1955-1960, voi. III, n. 456, p. 280). Ampio esame l'A. dedica, poi, all'autonomia del procedimento di dichiarazione di pubblica utilit, nelle varie ipotesi, autonomia generalmente ammessa, -peraltro, nel senso di impugnabilit ex se dell'atto amministrativo che lo conclude. Segue una dettagliata descrizione del procedimento, puntellata qua e l da affermazioni che non sempre appaiono condividibili, almeno nella loro assolutezza, cos come quando si esprime l'opinione dell'impugnabilit ex se del decreto prefettizio di autorizzazione all'introduzione nelle propriet private, il quale sembra, invero, un atto tipicamente preparatorio e strumentale previsto proprio al fine di consentire quell'accertamento di ricorrenza o meno degli estremi di pubblica utilit dell'opera che si voglia intraprendere. Non sembra, di contro, adeguatamente trattato il problema del termine per l'inizio e per l'ultimazione dell'espropriazione e dei lavori, ai cui pi recenti ed interessanti sviluppi (giacch riguardano le questioni per le quali il problema si pone sostanzialmente) l'A. dedica una nota (n. 15), ritrattando, peraltro, ivi, come pare, quanto afferma nel testo (a pag. 406). Il problema, cui si -accenna, quello della dichiarazione di pubblica utilit ex lege senza la prefssione di un termine: tale dichiarazione conserva la sua efficacia finch la legge rimane in vigore o la pre fissione dei termini dovr essere contenuta nel primo provvedimento di concreta attuazione della legge (e, quindi, non solo nell'atto di approva iione del progetto, ma finanche nell'atto con il quale si designano i beni da espropriare, come afferma l'A_, o, pi propriamente, nel provve 35 PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA dimento con il quale il Prefetto 'ordina il deposito di quest'atto)? La prima soluzion sembra la pi corretta, nonostante il contrario orientamento giurisprudenziale (per una serrata e convincente critica del quale v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1955-1960, voi. III, n. 466, pagg. 311-319), ma un approfondimento delle questioni relative nella trattazione in esame non sarebbe apparsa fuori luogo. Cos pure il rinvio alla voce occupazione del problema dei rapporti tra occupazione ed espropriazione in relazione alla dichiarazione di pubblica utilit, con la semplice affermazione della necessit di questa sempre che l'occupazione si presenti come un provvedimento incidentale, il quale si inserisca nel procedimento di espropriazione, non pare del tutto giustificabile, ma si sarebbe qui dovuto almeno ribadire, per non ingenerare equivoci favoriti dalla surriportata affermazione, la giuridica autonomia dei due procedimenti con le logiche conseguenze anche per la dichiarazione di pub . blica utilit, da riferirsi soltanto all'esproprizione ed anzi non necessaria come tale ove l'occupazione sia resa definitiva in applicazione dell'art. 73 della legge n. 2359 del 1863. Con l'accenno a talune espropriazioni (quelle, di cui agli artt. 857 e segg. e.e.), ritenute di natura sanzionatoria e non abbisognevoli di preventiva dichiarazione di pubblica utilit (ma non potrebbe configurarsi una dichiarazione di pubblica utilit insita nel complesso delle relative nor:me legislative e negli atti ivi previsti per il compimento dell'espro priazione?) e con la riaffermazione dell'autonomia del provvedimento mediante il quale si dichiara la pubblica utilit, ai fini della impugnabilit ex se, la trattazione si conclude. P. PASTORE, Difesa (beni destinati alla), pagg. 441-454. Del pari a qualche perplessit induce fin dalla impostazione iniziale anche la trattazione dei beni destinati alla difesa . Benvero, a mo' di premessa, l'A. afferma che costituisce demanio militare in senso tecnico oltre alle opere destinate alla difesa ogni altro bene pubblico, pubblico, che pure non essendo destinato direttamente alla difesa dello Stato, sia amministrato in quanto interessa la medesima dall'Autorit militare . Orbene, tale affermazione non pare possa in principio condivi dersi, giacch il demanio in senso tecnico appunto e solo caratterizzato da una destinazione diretta, come del resto riconosce lo stesso A., poco dopo; n pare possa in concreto giusti:(carsi attraverso la successiva esemplificazione, per cui si ritiene che l'A. voglia indicare con quella locuzione le strade militari, gli aeroporti militari, i porti militari , giacch tali beni in tanto fanno parte del demanio militare sempre beninteso nel senso tecnico di cui soltanto si discorre qui in quanto rientrino tra le opere destinate direttamente alla difesa, pure se suscettibili di altri usi. La espressa indicazione di taluni beni nell'art. 822 e.e. tra quelli del demanio non ha a che vedere con il demanio militare. Ci vale altres per gli acquedotti costruiti dall'Amministrazione militare e per le raccolte dei musei e delle biblioteche militari, giacch del demanio militare pure tali beni potrebbero far parte solo in quanto rientrassero (ma per le raccolte non sembra proprio ammissibile) tra le opere destinate direttamente alla difesa. 36 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In definitiva, cio, questa formula, volutamente generica per con'sentirne la estensione in relazione alle particolari, complesse e mutevoli esigenze della difesa, suscettibile di comprendere una serie di beni, la cui elencazione, difficilmente completa (m peraltro accuratamente condotta dal'A. una volta giustamente esclusa l'enumerazione legisla tiva a carattere tassativo), pu tentarsi con qualche utilit, semmai praticamente, soltanto con riferimento ad un dato momento storico. In considerazione di tutto questo di quella formula, mentre non pu non ammettersi l'interpretazione in maniera razionale, del resto criterio generale di ermeneutica, non sembra possa condividersi l'interpretazione con <:riteri necessariamente restrittivi , anche se in ci come in altri punti riecheggia non sempre felicemente sviluppato l'autorevole pensiero dello ZANOBINI (Corso di diritto amministrativo, vol. IV, Milano, 1958, p. 105 e segg.). Deve, invece, condividersi il principio, secondo cui taluni beni che in s considerati non rientrerebbero nel demanio militare vi rientrano quali pertinenze di altri beni demaniali (restando soddisfatto dato il rapporto di pertinenza la rilevata esigenza di destinazione diretta), mentre circa la permanenza delle opere come condizione della demanialit dei beni in questione potrebbero formularsi delle riserve nel difetto di opportune precisazioni; ma ogni ulteriore osservazione condurrebbe ad esemplificazioni, che qui si vogliono evitare, intendendo non andare oltre a rilievi di carattere pi generale, riflettentisi ovviamente sulle questioni specifiche, dall'A. trattate con diligenza e completezza. BENEDETTO BACCARI -~ :-: ; :- RASSEGNA DI LEGISLAZIONE PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI* D.P.R. 13 FEBBRAIO 1964 n. 185: Emanato in virt della delega conferita al Governo con l'art. 14 della legge 31 dicembre 1962 n. 1860, detta disposizioni per ia sicurezza degli impianti e la protezione dei lavoratori e delle popolazioni in relazione allo svolgimento di attivit concernenti materie nucleari e sostanze radioattive (G.U. 16 aprile 1964, n. 95, suppl. ord.). LEGGE 1 MARZO 1964 n. 62: Reca modicazioni al R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilit generale dello Stato, tra l'altro disponendo: che l'anno finanziario comincia il 1 gennaio e termina il 31 dicembre; che Io stato di previsione della entrata e gli stati di previsione della spesa formano oggetto di unico disegno di legge; che le spese sono distinte in spese correnti (o di funzionamento) e spese in conto capitale (o di investimento). (G.U. 9 marzo 1964, n. 61). LEGGE 1 MARZO 1964, n. 113: Eleva a lire 960.000, con decorrenza dall'l gennaio 1964, il minimo imponibile agli effetti dell'imposta complementare, e modica altre correlative ,disposizioni del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 {G.U. 25 marzo 1964, n. 76). LEGGE 1 MARZO 1964, n. 134: Modifica alune disposizioni del D.P.R. 30 giugno 1955, n. 1534 e della legge 12 luglio 1956, n. 735, in tema di decentramento dei servizi dell'Amministrazione dei Lavori Pubblici, elevando i limiti di valore per la competenza dei Provveditori alle 00.PP. e dei Comitati tecnici amministrativi; eleva altres i limiti di valore in tema di pareri obbligatori del Consiglio di Stato sugli appalti e le transazioni relative ad opere di competenza della detta Amministrazione (G.U. 1 aprile 1964, n. 81). LEGGE 12 APRILE 1964, n. 189: Converte in legge, senza modicazioni, il D.L. 23 febbraio 1964, n. 25 sul regime fiscale della benzina, degli idrocarburi aciclici saturi e naftenici, liquidi, e dei gas di petrolio liquefatti per autotrazione (G.U. 18 aprile 1964, n. 97). LEGGE 12 APRILE 1964, Ii. 190: Converte in legge, con modificazioni, il D.L. 23 febbraio 1964, n. 26, istitutivo di un'imposta speciale sugli acquisti di automobili e natanti (G.U. 18 aprile 1964, n. 97). LEGGE 12 APRILE 1964, n. 191: Converte in legge, con modificazioni, il D.L. 23 febbraio 1964, n. 27 recante disposizioni temporanee sulla ritenuta di acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle societ e norme sulla nominativit (G.U. 18 aprile 1964, n. 97). * Si segnalano quelli ritenuti di maggiore interesse. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 33 D.L. 24 APRILE 1964, n. 212 (1): Modifica il trattamento fiscale delle vendite di merci allo stato estero, abrogando le disposizioni della legge 16 agosto 1962, n. 1347 e richiamando in vigore quelle della legge 24 marzo 1959, n. 112 (G.U. 28 aprile 1964, n. 104). D.L. 24 APRILE 1964, n. 213 (1): Dispone agevolazioni in materia di imposta di bollo e di bollo sui documenti di trasporto, per atti relativi al commercio internazionale (G.U. 28 aprile 1964, n. 104). (1) Presentato al Parlamento per la conversione. DISEGNI E PROPOSTE DI LEGGE DISEGNO DI LEGGE N. 366, di iniziativa del senatore Paratore, comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica il 22 gennaio 1964 e deferito alla prima commissione in sede referente (previo parere della quinta commissione) il 4 febbraio 1964: Istituzione del Ministero della Presidenza del Consiglio dei ministri e determinazione del numero dei Ministeri (*) Il disegno di legge, di cui si tratta, esempio mirabile di sinteticit, consta di appena nove articoli, che tuttavia riguardano aspetti fondamentali dell'organizzazione amministrativa dello Stato italiano. In esso si evidenziano, come risulta dal titolo, due obbiettivi principali: la istituzione di un ministero della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di cui si indicano compiti ed attribuzioni regolandosi per la parte essenziale il funzionamento con qualche innovazione fin dalla prima applicazione (costituzione di una ragioneria centrale), nella quale per il resto in sostanza si utilizzerebbe l'attuale assetto, e la riduzione a diciotto del numero dei Ministeri con la specificazione dei rapporti tra Ministri e Sottosegretari (uno per ogni ministero, due per il Ministero del Tesoro e tre per il Ministero della Difesa) e delle funzioni di questi; da segnalare, poi, la disposizione dell'art. 9, che prevede la presentazione ai Presidenti del Senato e della Camera dei documenti relativi alle cosiddette spese discrezionali, del risultato del cui esame si darebbe comunicazione alle Assemblee, le quali ne prenderanno atto senza discussione . Dall'ampia premessa al disegno di legge, la quale muovendo da pertinenti indagini storiche esamina criticamente l'ordinamento vigente ed illustra efficacemente l'ordinamento proposto, si enuclea Io scopo nel definire legislativamente il carattere amministrativo della Presidenza del Consiglio, che avrebbe materia di amministrare. Prima di svolgere talune brevi considerazioni in proposito, alla luce peraltro dei pi apprezzati orientamenti dottrinali, mentre ci si asterr da ogni osservazione sia per quanto attiene alla riduzione del numero dei Ministri e dei Sottosegretari (non senza notare per che Io stesso continuo aumento dei fini dello Stato, ricordato nella medesima richia mata premessa, e la sentita esigenza di una specializzazione in tutte le attivit del mondo moderno mal si conciliano con un siffatto criterio) sia per quanto attiene al controllo delle cosiddette spese discrezionali (*) Su due disegni di legge di analogo contenuto presentati nelle precedenti legislature cfr. lo scritto di SEPE in Ri:v. trim. dir. pubbl. 1956, 1077 ed i rilievi di GIANNINI, GUARINO, PREDIERI e di BARILE e SICA in Rass. parl., 1959, rispettivamente nn. 1 e 4. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE (la cui delicatezza del resto largamente avvertita dall'esperti;i. sensibilit dell'illustre parlamentare proponente, il quale adotta conseguentemente la soluzione di un controllo non completo, ossia meramente informativo, che potrebbe peraltro accomunare agli inconvenienti innegabili una dubbia utilit), converr rilevare come il disegno di legge di cui si tratta si presenti riccamente documentato con allegati circa i precedenti pi importanti {disegno di legge Depretis del 188~), i dati tecnico-finanziari (stralcio di previsione della spesa del Ministero del Tesoro, esercizio 1964-1965) e la bibliografia. Dunque, per quanto attiene alla istituzione del Ministero della Presidenza del Consiglio, seppur non pu disconoscersi l'esistenza di materia da amministrare da parte di essa, non sembra tuttavia potersi escludere la posizione sui generis di tale materia rispetto a quella dei singoli Ministeri. In tali sensi le ragioni che indussero la Giunta della Camera a respingere l'analoga proposta contenuta nel ricordato disegno di legge Depretis, in quanto non riconobbe alla Presidenza del Consiglio le funzioni amministrative che giustificano l'idea di Ministero, potrebbero essere ancora valide (per un'interpretazione tanto originale quanto non motivata di tale deliberazione v. lo studio del PRBDIERI, Liineamenti della posizione costituzionale del Presidente del Consiglio dei Ministri, vol. I, Firenze,, 1951, p. 49, studio del resto interessante per il profilo costituzionale sotto gli approfonditi aspetti storico e comparativo). Della opportunit di una regolamentazione giuridica aggiornata della Presidenza del Consiglio dei Ministri come della medesima migliore collocazione sistematica dei relativi stanziamenti in bilancio, ove di tutto ci si senta l'esigenza, non questa la sede per discutere. Quel che qui va considerato, nei limiti consentiti dalla presente rassegna, , invece, appunto, la speciale natura delle funzioni amministrative della Presidenza del Consiglio dei Ministri e ci al fine di valutarne la rilevanza giuridica agli effetti della sussunzione nel concetto di Ministero con le peculiari conseguenze per quanto attiene all'organizzazione (v. in proposito il recentissimo e completo scritto del GATTA, voce Ministeri e Ministri in Nuovissimo Digesto italiano, vol. X, Torino, 1964, p. 720 e segg.). Intanto giova rammentare che la Costituzione della Repubblica italiana nel titolo III della parte seconda riguardante il governo e pm precisamente nella sezione prima di tale titolo, riguardante il Consiglio dei Ministri, prevede la figura del Presidente del Consiglio (artt. 92 e 93) e ne fissa le funzioni non solo per quanto attiene alla direzione ed alla responsabilit della politica generale del governo ma anche per quanto attiene al mantenimento dell' unit di indir;zzo politico e amministrativo , che si svolge promuovendo e coordinando l'attivit dei Ministri (art. 95, comma primo). In particolare, poi, al comma terzo dell'art. 95, disponendo che la legge provvede all'ordinamento della Pre sidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e le orga nizzazioni dei Ministeri, sembra distinguere (v. pure VITTA, Corso di diritto amministrativo, vol. I Torino, 1962, p. 522) tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e singoli Ministeri, in rapporto anche alla singolare funzi_one delineata nel citato comma primo. In altri termini, oltre a quanto formalmente pu desumersi dal riportato comma terzo dell'art. 95, proprio il mantenimento della unit di indirizzo amministrativo, adempiendosi attraverso il promuovimento ed il coordinamento delle attivit dei Ministri, sembra sostanzialmente 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO indicare per il Presidente del Consiglio (e, quindi, per la Presidenza del Consiglio: cfr. CERETI, Corso di diritto costituzionale italiano, Torino 1964, p. 304) appunto in campo amministrativo attribuzioni che mal si concilierebbero con la sussunzione in uno dei tanti Ministeri (v. pure RANELLETTI, Istituzioni di diritto pubblico -Il nuovo diritto pubblico della Repubblica italiana, parte generale, Milano, 1948, p. 95). Benvero, poi, segnatamente gli organi, istituti e commissioni,, con dipendenza amministrativa dalla Presidenza del Consiglio, per usare le medesime espressioni della premessa al disegno di legge (ma meglio si direbbe facenti capo o addirittura collegati per fini limitati alla Presidenza del Consiglio: v. BisCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, Napoli, 1962, p. 418 e SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1959, p. 173) in questa menzionati, mal si inquadrerebbero, anche al solo fine di un mero collegamento, nella tipica istituzione ministeriale (cfr. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1955, p. 315) e piuttosto anzi confermano, attraverso le funzioni esercitate, la caratterizzazione dell'attivit amministrativa di promuovimento e di coordinamento delle attivit dei singoli Ministri: sono nell'ordine di elencazione fatto nella richiamata premessa l'Istituto centrale di statistica, la Corte dei Conti, l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio di Stato, e molti altri minori; mentre gli stessi uffici per i quali il concetto di dipendenza appare pi proprio hanno caratteristiche tali da rispondere meglio all'inserimento in un organizzazione speciale diversa da quella tipica dei singoli Ministeri (cfr. l'importante studio del CATALDI, Nuovi indirizzi nell'organizzazione delle amministrazioni centrali, in Riv. trim. dir. pubbl. 1951, p. 453 e segg. ed in particolare p. 470 e segg.). Diversa ovviamente, d'altra parte, la questione se per taluni uffici a carattere prevalentemente burocratico convenga operare, come gi accaduto nel passato recente e meno recente, un'attribuzione di competenza a singoli Ministeri (esistenti o da costituire). In df'finitiva, proprio come ad organo coordinatore centralizzato responsabile presso il quale affluirebbero e dal quale partirebbero gli impulsi ed i controlli dell'attivit amministrativa non solo degli organi direttamente dipendenti ma anche di tutti i Dicasteri, restituendo alla figura del Presidente del Consiglio la funzione di... primo coordinatore e controllore della gestione amministrativa dell'intero Governo sembra pi rispondente anche per le direttive della Costituzione un'organizzazione formalmente e sostanzialmente diversa da quella dei singoli Ministeri (cfr. MARCHI, Il Governo, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da Piero Calamandrei e Alessandro Levi, Firenze, 1950, vol. II, p. 133). A conforto di che ci piace concludere riportando testualmente l'autorevole pensiero dello Zanobini: il Presidente del Consiglio dei ministri... ha anche una serie di attribuzioni esclusivamente proprie, che aggiungono alla sua qualit di presidente di un organo collegiale, quella di organo individuale, paragonabile a un singolo ministro, ma distinto da questo per la natura delle attribuzioni, che non riguardano una parte determinata dell'Amministrazione, ma interessano la generalit di tutti i ministeri (ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. III, Milano, 1958, p. 12). PARTE II, RASSEGNA D[ LEGISLAZIONE PROPOSTA DI LEGGE N. 1267, di iniziativa dei deputati Cacciatore, Ghislandi, Minasi, Alini, presentato alla Camera dei deputati il 22 aprile 1964: Modifica agli articoli 2748, 2751, 2755, 2770, 2776, 2778 e 2780 del codice civile. La proposta di legge consiste nella modifica degli indicati articoli del codice civile (per gli articoli 2775 e 2770 si tratta pi precisamente dell'aggiunta di altri articoli: il 2775 bis ed il 2770 bis) al fine precipuo di accordare privilegi migliori ai credti per retribuzioni, provvigioni ed indennit dovute ai lavoratori nonch agli scopi secondari di precisare inequivocabilmente i limiti del relativo privilegio e di rendere preferiti nel concorso di crediti del locatore con crediti del mezzadro o del colono quelli di tali ultimi soggetti. Le deficienze e le incongruenze dell'attuale tutela in subiecta materia dei crediti dei lavoratori, messe opportunamente ed efficacemente in luce dagli onorevoli proponenti, alla stregua dell'esperienza e dei principi vigenti nel nostro ordinamento giuridico (v. anche l'art. 1 della Costituzione della Repubblica), senza dubbio sussistono. Porvi rimedio collocando pi avanti nell'ordine dei privilegi i crediti di lavoro, consentendo l'esercizio dei privilegi anche in pregiudizio del creditore pignoratizio (v., peralfro, sul punto, ANDRIOLI, Privilegi in Commentario del codice civile, diretto da A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1945, p. 83) e precisandone la portata agli effetti della decorrenza, con la espressa indicazione nella cessazione del rapporto (v. le recenti difformi interpretazioni date in proposito a Trib. Palermo 6 aprile 1959 in Giur. sic. 1959, 496 e Trib. Salerno 20 luglio 1959 in Temi nap. 1959, I, 636), intento da perseguire. Andrebbe, forse, avanzata qualche riserva sull'anteposizione dei crediti di cui trattasi ad ogni altro (salvo che a quelli per le spese di giustizia previste negli articoli 2755 e 2770 e.e.) e ci, in particolare, sembrerebbe giustificabile per quei crediti che rispondenti ad esigenze fondamentali del debitore o dell'azienda di lui (e, quindi, anche agli interessi dei lavoratori) potrebbero essere accordati con maggiore difficolt, ove mai venissero posposti nell'ordine dei privilegi ai crediti, spesse> consistenti, dei lavoratori. Ma qui pi proprio ed importante rilevare sul piano tecnico-giuridico come la proposta di legge aprirebbe delle brecce nel sistema introducendo tra i privilegi speciali un privilegio su tutti i mobili (art. 2775 bis), con l'evidente intento, difficilmente inquadrabile nei principi, di estendere a questo gli effetti propri di quelli (art. 2747 e.e., comma secondo), e tra i privilegi (speciali) sugli immobili un privilegio sugli immobili tutti del debitore (art. 2770 bis), cui si dovrebbe estendere, in disarmonia con i principi, la preferenza sulle ipoteche (art. 2748 e.e., secondo comma) e sui diritti dei terzi, almeno in quanto posteriormente acquistati (v. in proposito GAETANO, I privilegi in trattato di diritto civile, diretto da F. Vasalli, Torino, 1948, p. 58-59). E' vero che il privilegio generale sugli immobili non assolutamente inconcepibile: lo prevedeva il codice francese, mentre nel codice civile italiano, vigente, come in quello del 1865, concesso ad alcune categorie di privilegi generali (sui mobili) un diritto di prelazione sul prezzo degli immobili nei confronti dei creditori chirografari (v. art. 2776 e.e. e cfr. GAETANO, op.. cit., p. 79). E' vero altres che non mancata nel recente passato qualche deroga introdotta da leggi speciali, che prevedevano appunto un privilegio generale sugli immobili; ma si trattava di crediti di natura particolarissima, la cui preferenza 42 RASSEGNA DELL1AVVOCATUR<\ DELLO STATO peraltro rispetto ai creliti garantiti da ipoteca ed ag1i stessi crediti chirografari era notevolmente limitata: si allude al D.L.Lgt. 31 maggio 1945, n. 364 ed al D.L.Lgt. 31 agosto 1945, n. 538, relativi ai profitti di regime, ed ai quali, tuttavia, sul punto, non mancarono critiche (v. GAETANO, op. cit., p. 163). Qui, invece, addirittura, le accennate brecce con le caratteristiche rilevate, per crediti del genere di quelli di cui si tratta, meritevoli della pi ampia tutela ma non certo eccezionali, tro verebbero posto nello stesso codice civile, dove resterebbe l'art. 2746, del quale nemmeno si propone una modifica e che testualmente dispone: il privilegio generale o speciale ; il primo si esercita su tutti i beni mobili del debitore, il secondo su determinati beni mobili o immobili (sul punto cfr. ANDRIOLI, op. cit., p. 58-59). PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI SOTTOPOSTI A GIUDIZIO DI COSTITUZIONALITA' DISPOSIZIONI DI LEGGE DELLE QUALI E' STATA DICHIARATA L'ILLEGITTIMITA' COSTTTUZIONALE. CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 270, secondo comma; Art. 272, secondo comma; Art. 280, terzo comma; Art. 392, terzo comma; Art. 395, primo comma. Di tali disposizioni -per ciascuna nella <;ola parte in cui sono previste la rimessione degli atti alla Sezione istruttoria, da parte del Procuratore generale cbe abbia assunto o avocato a s l'istruzione sommaria della causa (artt. 272 e 392) e la competenza della stessa Sezione a provvedere, sempre nei casi di istruzione assunta o avocata dal Procuratore generale, sulle richieste di scarcerazione (art. 270), di libert prowisoria (art. 280) e di proscioglimento (art. 395) - dichiarata l'illegittimit costituzionale, in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964 n. 32, G.U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). D.P.R. 26 APRILE 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952 n. 218 sul riordinamento delle pe;,,sioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit, la vecchiaia ed i superstiti): Art. 21, seconda parte del terzo comma (che escludeva la maggiorazione della pensione, anche nel caso di ulteriori versamenti di contributi, dopo la richiesta di un primo supplemento della pensione stessa); Art. 29, primo comma (che richiedeva, per le prestazioni a favore del marito di donna assicurata per la tubercolosi, anche il requisito, della vivenza a carico, oltre quello dell'invalidit), sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, in relazione ai limiti della legge di delega 4 aprile 1952 n. 218, ed in riferimento all'art. 77 della Costituzione (Corte Cost., sent. 14 n1arzo 1964, n. 18, per l'art. 21, 43 PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE e sent. 14 marzo 1964, n. 19, per l'art. 29; entrambe in G. U. 21 marzo 1964, n. 73 ed. spec.). D.P.R. 11 DICEMBRE 1961, n. 1642: Art. unico (Notme sul trattmento economico e normativo degli operai dipendenti dalle imprese edili ed affini delle province di Catania, Palermo, Siracusa e Trapani). Dell'indicata norma, e nei limiti in cui con essa era da ritenere anche disposta l'obbligatoriet erga omnes della clausola n. 9 dell'accordo di lavoro del 30 settembre 1959 per la provincia di Palermo, dichiarata l'illegittimit costituzionale, in relazione ai limiti della legge di delega 14 luglio 1959, n. 741, ed in riferimento agli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964, n. 31, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). DISPOSIZIONI DI LEGGE IN RAPPORTO ALLE QUALI E' STATA DICHIARATA NON FONDATA LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE. CODICE PENALE: Art. 151, primo comma (Amnistia); Art. 198 (Effetti della estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili). La questione, sollevata per le indicate disposizioni, limitatamente alla parte in cui escludono che l'amnistia estingua l'obbligazione del condannato al pagamento delle spese processuali, stata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dichiarata non fondata (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964, n. 30, G.U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 488 (Disposizioni della sentenza di condanna relative alle spese) -Art. 613 (Recupero delle spese processuali anticipate dallo Stato). Le questioni, proposte in relazione alle indicate norme nonch ad altre disposizioni in materia di spese nei procedimenti penali (tariffa 'penale; diritti spettanti alle Cancellerie; legge del bollo, etc.), sono state, in riferimento all'art. 53, primo e secondo comma, della Costituzione, dichiarate non fondate (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964, n. 30, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). LEGGE 22 MARZO 1908, n. 105: Artt, 1 e 7, nel testo modificato con la LEGGE 11 FEBBRAIO 1952, n. 63, e con la LEGGE 16 OTTOBRE 1962, Il. 1498 (Divieto di lavoro notturno dei fornai). La questione, sollevata in riferimento all'art. 41 della Costituzione, stata dichiarata non fondata (Corte Cost., sent. 14 marzo 1964, n. 21, G.U. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). R.D.L. 20 LUGLIO 1934, n. 1404: Art. 13, primo comma -Art. 18, secondo comma. -LEGGE 27 MAGGIO 1'935, n. 835 (di conversione del precedente R.D.), (Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni). Le questioni, sollevate in rapporto alle indicate nonne, concernenti le perizie nei procedimenti di competenza del Tribunale per i minorenni, sono state, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, 44 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO dichiarate non fondate (Corte Cost., sent. 23 marzo 1964, n. 25, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). LEGGE 25 SETTEMBRE 1940, n. 1424: Art. 139, secondo comma (Legge doganale). La questione sollevata in relazione all'indicata disposizione, la quale disciplina la detenzione preventiva, per i r~ati in materia doganale, in rapporto alla circostanza che non sia nota l'identit dell'imputato ovvero che si tratti di imputato straniero, che non abbia prestato cauzione o malleveria, stata, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costi. tuzione, dichiarata non fondata (Corte Cost., sent. 23 marzo 1964, n. 26, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec). D.L.C.P.S. 5 SETTEMBRE 1947, n. 888. LEGGE 5 GENNAIO 1949, n. 7 LEGGE 4 LUGLIO 1950, n. 454 LEGGE 10 LUGLIO 1951, Il. 541 LEGGE 26 GIUGNO 1952, n. 664 D.L. 21 GIUGNO 1953, n. 452, convertito nella LEGGE 21 AGOSTO 1953, n. 589 (Ammasso del grano per contingente). In relazione a tutte le indicate disposizioni, in quanto disciplinanti gli ammassi del grano, per contingente, stata dichiarata non fondata la questione di legittimit sollevata in riferimento all'art. 41 della Costituzione (Corte Cost., sent. 23 marzo 1964, n. 24, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). LEGGE 2 LUGLIO 1952, n. 703: Art. 6 (Disposizioni in materia di finanza locale). La questione di legittimit dell'art. 6, col quale venne istituito a favore dei Comuni uno speciale diritto di asporto sulle acque minerali, stata dichiarata non fondata, in riferimento agli articoli 3, 23 e 120 della Costituzione (Corte Cost., sent. 14 marzo 1964, n. 15, G.V. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). D.P.R. 11 GENNAIO 1956, n. 20: Art. 8, ultimo comma -Art. 10, secondo comma (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale). In relazione alle indicate disposizioni, disciplinanti rispettivamente la decorrenza della maggiore ritenuta in conto entrate del tesoro, per i salariati dello Stato, ed il subentro dello Stato nei diritti dei salariati medesimi, e dei superstiti, alla pensione o quota di pensione relativa all'assicurazione obbligatoria invalidit, vecchiaia e superstiti, per i servizi resi dal 1 gennaio 1926 e valutati per la pensione statale, stata ritenuta non fondata la questione di legittimit sollevata per dedotto eccesso rispetto alla legge di delega 20 dicembre 1954, n. 1181, ed in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, nonch, per l'art. 10 del D.P., anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964, n. 29, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec). LEGGE 27 DICEMBRE 1956, n. 1423: Art. 1 (Sulle misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose). PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE La questione di legittimit della disposizione dell'art. 1, che prevede la diffida del Questore a persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralit e determina i criteri di individuazione della pericolosit, stata esaminata in riferimento agli articoli 3, 13, 25 e 27 della Costituzione, e dichiarata non fondata (Corte Cast., sent. 23 marzo 1964, n. 23, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). D.P.R. 26 APRILE 1957, n. 818: Art. 12, primo comma (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit, la vecchiaia ed i superstiti). La questione sollevata in relazione alla disposizione del primo comma dell'art. 12, nei limiti in cui dalla stessa escluso il riconoscimento di contributi figurativi agli effetti della pensione, nel concorso di date condizioni,. stata dichiarata non fondata, in riferimento all'articolo 77 della Costituzione (Corte Cost., sent. 14 marzo 1964, n. 20, G.U, 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). LEGGE 6 DICEMBRE 1962, n. 1643 (Istituzione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche). D.P.R. 15 DICEMBRE 1962, n. 1670 (Organizzazione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica). D.P.R. 4 FEBBRAIO 1963, n. 36 (Norme relative ai trasferimenti ali'ENEL delle imprese esercenti le industrie elettriche). Sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimit della legge n. 1643, sollevate in riferimento all'art. 3, all'art. 4, in relazione all'art. 41, all'art. 43 ed all'art. 67 della Costituzione (Corte Cast., sent. 7 marzo 1964, n. 14, G.U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. spec.). Sono state dichiarate, inoltre, non fondate le questioni di legittimit delle disposizioni degli articoli 1 e 4 n. 5 e 9 della stessa legge n. 1643, e degli articoli 1 del D.P.R. n. 1670/62 e 2, 3 e 10 del D.P.R. n. 36/63, tutte sollevate ed esaminate in riferimento agli articoli 2, prima parte, 3 lett. d), 4, 7 ed 8 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, ed agli articoli 4, prima parte e nn. 4 e 5, 5 n. 5, 9, 10, terzo, quinto e sesto comma e 13, primo comma, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (Corte Cost., sent..7 marzo 1964, n. 13, G. U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. spec.; con la quale, inoltre, sono state esaminate e dichiarate non fondate, in riferimento alle stesse disposizioni dei detti Statuti regionali, le questioni di legittimit sollevate in relazione a vari decreti di trasferimento di imprese elettriche all'ENEL). DISPOSIZIONI DI LEGGE IN RAPPORTO ALLE QUALI E' STATO PROMOSSO GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE CODICE DI PROCEDURA CIVILE: Art. 25 (Foro della Pubblica Amministrazione) La questione di legittimit stata dal Pretore di Pieve di Cadore ritenuta non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione (Ordinanza 30 novembre 1963, G.U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CODICE PENALE: Art. 62 n. 6 (Circostanze attenuanti comuni) Per ritenuto contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, il Pretore di Offida ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimit della disposizione "indicata, limitatamente alla parte di essa in cui prevista l'attenuante per integrale risarcimento del danno (Ordinanza 30 gennaio 1964, G.U. 21 marzo 1964, n. 73 ed. spec.). CODICE PENALE: Art. 72 (Concorso di reati che importano l'ergastolo e. di reati che importano pene detentive temporanee) La disposizione, la quale prevede, nelle dette ipotesi di concorso, l'isolamente diurno del condannato all'ergastolo, parsa, alla Corte di Assise di appello di Milano, in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Cos.tituzione (Ordinanza 24 gennaio 1964, G.U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. spec.). CODICE PENALE: Art. 116 (Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti) Il Tribunale di Livorno ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimit dell'indicata norma, in referimento all'art. 27, primo comma, della Costituzione (Ordinanza 13 gennaio 1964, G.U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). CODICE PENALE: Art. 402 (Vilipendio della religione dello Stato) La questione stata dal Tribunale di Cuneo ritenuta non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 8, 19 e 20 della Costituzione (Ordinanza 21 febbraio 1964, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). CODICE PENALE: Art. 553 (Incitamento a pratiche contro la procrea. zione) Il Pretore di Lendinara ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimit dell'indicata disposizione, (e di quella di cui all'art. 112 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, nella parte concernente. la propaganda anticoncezionale), per ritenuto contrasto con l'art. 21 della Costituzione (Ordinanza 3 febbraio 1964, G. U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). CODICE PENALE: Art. 670 (Mendicit) La questione stata dal Pretore di Milano ritenuta non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 38, primo e quarto comma, della Costituzione (Ordinanza 13 gennaio 1964, G. U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). La questione stessa, in riferimento all'art. 38, ultimo comma, della Costituzione, venne dalla Corte Costituzionale (sent. 21 novembre 1959, n. 51, G.U. 28 novembre 1959, n. 288, ed. spec.) dichiarata non fondata. CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 74, ultimo comma (Esercizio de[. l'azione penale da parte del pubblico ministero o del pretore) In relazione alla disposizione dell'ultimo comma dell'art. 74 c.p.p., nella parte in cui, per la ipotesi che il Pretore abbia dichiarato, con decreto, di non doversi promuovere l'azione penale, prevista la facolt del Procuratore della Repubblica di richiedere gli atti e disporre invece che si proceda, stata dal Pretore di Pieve di Cadore ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale, in riferimento PARTE II, RASSEGNA Dl LEGISLAZIONE agli articoli 101, secondo comma e 107, terzo comma, della Costituzione, nonch in riferimento, in generale, alle norme del titolo quarto, sezione prima, della parte seconda della Costituzione medesima (Ordinanza 13 novembre 1963, G. U. 14 marzo 1964 n. 67, ed. spec.). CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 236 (Arresto facoltativo in flagranza) Per ritenuto contrasto con i principi fissati dall'art. 13, comma secondo (rectius: comma terzo) della Costituzione, stata dal Pretore di Imola ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimit sollevata in relazione alla norma indicata (Ordinanza 10 febbraio 1964, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). CODICE DELLA NAVIGAZIONE: Art. 1240, terzo comma (Competenza per territorio) In relazione. all'indicata disposizione, che, per i reati di competenza dell'autorit consolare, e per il caso che la sentenza di merito non sia stata ancora pronunciata prima della partenza della nave o dell'aeromobile dal luogo nel quale risiede la detta autorit, prevede lo spostamento della competenza ad altro giudice, il Comandante del Porto di Napoli, per ritenuto contrasto con l'art. 25, comma primo, della Costituzione, ha rimesso la questione all'esame della Corte Costituzionale (Ordinanza 24 gennaio 1964, G. U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). R.D. 29 NOVEMBRE 1906, n. 660: Art. 49 (Regolamento per l'uso dell'acetilene) In relazione alla norma dell'art. 49, che prevede sanzioni penali per violazioni all'indicato regolamento, il Pretore di Pontedera, per ritenuto eccesso rispetto alla legge di delega 30 giugno 1901, n. 278, ed in riferimento agli articoli 70, 76 e 77 della Costituzione, ha rimesso la questione all'esame della Corte Costituzionale (Ovdinanza 19 febbraio 1964, G.U. 21 marzo 1964, n. 73 ed. spec.). LEGGE 22 MARZO 1908, n. 105: Art. 1 e segg. (Divieto di lavoro notturno dei fornai) In relazione alle indicate disposizioni, quali successivamente modificate (leggi 11 febbraio 1952, n. 63 e 16 ottobre 1962, n. 1498), il Pretore di Barcellona Pozzo di Gotto ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimit sollevata in riferimento all'art. 41 della Costituzione (Ordinanza 25 gennaio 1964, G.U. 11 aprile 1964 n. 91, ed. spec.). La questione era stata gi in precedenza rimessa alla Corte Costituzionale, la quale, in riferimento al medesimo art. 41 della Costituzione, l'ha dichiarata non fondata (sent. 14 marzo 1964, n. 21 retro, pag. 43). R.D. 31 DICEMBRE 1925, n. 2383: Artt. 18, 19, 20 e 21 (Norme per il trattamento di quiescenza dei salariati statali) R.D. 28 GIUGNO 1933, n. 704: Artt. 14, 15, 16 e 17 (Norme per il funzionamento presso l'Amministrazione dello Stato dei servizi inerenti alla liquidazione delle pensioni} D.P.R. 11 GENNAIO 1956, n. 20: Art. 8, ultimo comma, Art. 10, primo comma (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale) Le indicate disposizioni, tutte regolanti, per i salariati statali, il cori- 48 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO corso di trattamenti pensionistici dello Stato e delle assicurazioni per l'invalidit, la vecchiaia ed i superstiti, sono parse, al Tribunale di Taranto, in contrasto con gli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione (Ordinanza 4 gennaio 1964, G.U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. spec.). In relazione agli articoli 8 e 10 del D.P.R. n. 20 citato, vedasi la sentenza 2 aprile 1964, n. 29 (retro, pag. 44), con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni sollevate in riferimento agli stessi articoli 3, 76 e 77 della Costituzione. R. D. 18 GIUGNO 1931, n. 773: Art. 112 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) In relazione all'indicata disposizione dell'art. 112, nella parte concernente la propaganda anticoncezionale, il Pi.etore di Lendinara ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale, in riferimento all'art. 21 della Costituzione (Ordinanza 3 febbraio 1964, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec., con la quale. stata rimessa anche la questione relativa all'art. 553 del codice penale). I D.P.R. 15 GIUGNO 1959, n. 393: Art. 84 (Testo unico delle norme sulla ~ circolazione stradale) , I}:. La disposizione dell'art. 84, che disciplina le scuole per conducenti di veicoli a motore, parsa al Pretore di Iglesias in contrasto con gli articoli 33 e 41 della Costituzione (Ordinanza 30 gennaio 1964, G.U. ' I 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). w D.P.R. 16 MAGGIO 1'960, n. 570: Artt. 82 e 83 (Testo unico delle leggi per ml!. la composizione e la eleZione degli organi delle Amministrazioni comunali) In relazione alle disposizioni degli articoli 82 e 83, che disciplinano il procedimento innanzi al Consiglio comunale in materia di eleggibilit e fil di regolarit delle operazioni elettorali, stata sollevata questione di legittimit costituzionale, dal Consiglio Comunale di Pizzo, in riferimento I;:agli articoli 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione (Ordinanza 30 dicembre 1963, G.U. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). ' ' I D.P.R. 16 MAGGIO 1960, n. 570: Art. 102, ultimo comma (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Ammini strazioni comunali) Il Pretore di Mineo ha ritenuto non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale sollevata in relazione all'indicata disposizione del t.u. n. 570, ed a quella dell'art. 79 u.c. del t.u. della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, che prevedono, per i reati elettorali, l'inapplicabilit dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario (Ordinanza 23 gennaio 1964, G. U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). Della questione, in relazione all'art 102 t.u. 570, si gi altra volta occupata la Corte Costituzionale, che ebbe a dichiararla non fondata, in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione (sent. 7 giugno 1962, n. 48, G.U. 9 giugno 1962, n. 145 ed. spec.). D.P.R. 14 LUGLIO 1960, n. 1032:. Art. unico (Norme sul trattamento economico e normativo degli operai e degli impiegati addetti alle industrie edilizie ed affini) , " 49 PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE In relazione all'indicata disposizione, nei limiti in cui con la stessa si attribuisce efficacia erga omnes alla norma dell'art. 55 del contratto nazionale n. 1 del 24 luglio 1959 (che sancisce l'obbligatoriet del tentativo di conciliazione, ai fini della procedibilit della domanda giudiziale), stata dal Tribunale di Napoli, in riferimento agli articoli 24 e 76 della Costituzione, e dalla Corte di Appello di Napoli, in riferimento al solo articolo 76, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale (Ordinanza del Tribunale: 18 febbraio 1964~ 'G.U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.; ordinanza della Corte di Appello: 27 dicembre 1963, G.U. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). In relazione allo stesso art. 55 del contratto nazionale in questione, si veda la sentenza della Corte Costituzionale del 19 dicembre 1962, n. 107 (G.U. 22 dicembre 1962, n. 327 ed. spec.). LEGGE 21 DICEMBRE 1960, n. 1521: Art. 2, primo comma, lett. a) (Disciplina transitoria delle locazioni di immobili urbani) In relazione all'indicata disposizione, nella parte in cui prevista la cessazione del regime vincolistico delle locazioni di immobili considerati di lusso ai sensi del n. 2 del D.M. 7 gennaio 1950. e di quelli aventi una superficie coperta superiore ai mq. 200, il Tribunale di Venezia ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione (Ordinanza 31 ottobre 1963, G.U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). LEGGE 27 DICEMBRE 1963, n. 1878 (Interpretazione autentica degli articoli 4 e 6, secondo comma, della legge 19 marza 1955, n. 160, in materia di personale insegnante non di ruolo) In relazione alle indicate norme, che prevedono la possibilit di conferire supplenze di insegnamento anche a persone munite di titoli di studio inferiori a quelli richiesti per l'ammissione agli esami di abilitazione professionale, il Pretore di Montegiorgio, per ritenuto contrasto con gli articoli 3 e 33, quinto comma, della Costituzione, ha rimesso la questione all'esame della Corte Costituzionale (Ordinanza 15 gennaio 1964, G.U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). I QUESTION I IL NUOVO CAPITOLATO GENERALE E GLI ONORARI DEGLI ARBITRI 1) Com' noto, il nuovo Capitolato Generale di appalto per le opere pubbliche di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici (d.P.R. 16 luglio 1%2, n. 1063) non ha riprodotto la norma dell'art. 49, ultimo comma, del vecchio Capitolato, per la quale le spese del giudizio arbitrale (ivi compreso, secondo la comune opinione, l'onorario degli arbitri) dovevano essere anticipate dalla parte che avesse presentato domanda di arbitrato (1). La materia delle spese del giudizio arbitrale e del compenso spettante agli arbitri ora regolata dagli ultimi due commi dell'art. 51 C.G., che cos dispongono: Gli arbitri decidono a carico di quale delle parti ed in quale proporzione debbano andare le spese del giudizio. -La liquidazione delle spese e degli onorari degli arbitri ha luogo nei modi stabiliti dall'art. 814 del Codice di procedura civile. La corretta interpretazione della nuova disciplina conduce a stabilire i seguenti principi: 1) esclusa la legittimit di ogni richiesta, da parte degli arbitri, di anticipazioni di somme a garanzia del pagamento degli onorari; 2) la liquidazione delle spese e del compenso degli arbitri non pu essere effettuata direttamente da essi, n pu risultare da un accordo intervenuto con le parti: spetta soltanto al Presidente del Tribunale provvedere a tale liquidazione. 2) Va chiarita, anzitutto, la natura del compenso spettante agli arbi- ~ .: tri nominati a norma del Capitolato Generale. E' opinione dominante, acolta anche dalla giurisprudenza, che nel l'arbitrato di diritto comune {disciplinato dalle norme generali contenute nel codice di procedura civile) debba ravvisarsi, accanto al negozio compromissorio, un rapporto contrattuale di diritto privato (locatio operis, o, secondo altri, mandato) fra le parti e gli arbitri. Il compenso dovuto a questi ultimi avrebbe perci natura di retribuzione dell'opera prestata in base al coritratto. Ne con:.~gue logicamente che la determinazione quantitativa del compenso, come elemento essenziale del contratto d'opera professionale, rientrerebbe essenzialmente nella sfera di autonomia delle parti contraenti, che potrebbero provvedervi preventivamente (al momento della stipulazione del contratto) o successivamente, mediante un accordo integrativo atteggiantesi come accettazione, da parte dei com promittenti, della liquidazione effettuata, in via di proposta, dagli arbi (1) Per le ragioni dell'innovazione, cfr. le note pubblicate in questa Rassegna, 1962, 64 e 1963, 96. .< ; 51 PARTE II, QUESTIONI tri (art. 814 cpv. c.p.c.). In questa prospettiva, la previsione di una liquidazione effettuata mediante ordinanza del Presidente del Tribunale in mancanza di accordo fra le parti (art. 814 cpv., ult. parte) si inquadre rebbe in quella serie di ipotesi eccezionali in cui la legge, portando al limite l'attuaZione del principio di consenrazione del negozio giuridico, attribuisce al giudice un potere di determinazione di elementi contrattuali lasciati indeterminati dalle parti (cfr., ad. es., artt. 20992, 2225, 22331 codice civile). Ravvisata la natura del compenso agli arbitri in una comune retri buzione contrattuale di un'opera professionale, non sussisterebbero, d'al _tro lato, ostacoli all'applicazione dell'art. 2234 cod. civ., che sancisce l'obbligo di anticipare al prestatore d'opera le spese occorrenti al compimento dell'opera e di corrispondere, secondo gli usi, acconti sul compenso. Orbene, appare chiaro che questa costruzione (del resto, tutt'altro che appagante anche sul terreno del diritto comune (2) ) non pu assolutamente essere trasportata nell'ambito dell'arbitrato regolato dal Capitolato Generale. Gli arbitri nominati a norma dell'art. 45 non sono legati da alcun rapporto contrattuale con le parti: la loro investitura nell'uf. ficio consegue ad un procedimento di nomina, disciplinato in maniera inderogabile c'(alla norma regolamentare, nel quale non assolutamente ravvisabile un incarico contrattuale conferito dalle parti e accettato dagli arbitri dietro corrispettivo. Le parti possono declinare la competenza arbitrale, ma se dell'arbitrato intendono valersi non possono. affidare a chi vogliono il potere di decisione, ma si trovano vincolat.e da una norma di diritto oggettivo che, in vista del preminente interesse pubblico della materia, direttamente attribuisce a determinate persone, scelte in modi tassativamente previsti, la veste di arbitri. Se si prescinde dal membro nominato dall'appaltatore (che tuttavia, si noti, deve essere scelto fra i liberi professionisti iscritti nel relativo albo professionale), la partecipazione al collegio arbitrale non forma oggetto di impegno liberamente assunto, ma rientra -in virt della norma regolamentare dell'art. 45 fra i doveri d'ufficio di determinati magistrati e pubblici funzionari, i quali, se nomJnati, non possono certo esimersi dal prestare la propria opera. Dal carattere di munus publicum che l'arbitrato dei pubblici appalti viene ad assumere in ragione della particolare qualificazione degli arbitri, delle modalit della loro nomina e del titolo in virt del quale essi sono legittimati ad esercitare le loro funzioni (che in passato, come noto, ha fatto sorgere il dubbio se non si fosse in presenza di una vera e propria giurisdizione speciale: cfr., da ultimo, Cass. Sez. Un. 22 novembre 1958, Giust. civ., 1958, 1627) discendono le seguenti conseguenze: a) la illegittimit di una norma di capitolato che imponga alla parte istante di prestare cauzione per le spese e per gli onorari agli arbitri. E' noto, infatti, che l'istituto della cautio pro expensis stato dichiarato (2) Cfr., ad es., SPERI, in Annuario dir. comp., val. XIV, 1942, pag. 52 ss. 52 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO incostituzionale con decisione della Corte Costituzionale del 23 novem bre 1960 n. 67. Per tale ragione l'obbligo del deposito per le spese ed onorari, gi consacrato nell'art. 49 del Capitolato Generale del 1895, stato soppresso nel nuovo. E' appena il caso di soggiungere che, se sarebbe da ritenersi illegittima una norma che imponesse alla parte attrice l'obbligo di versare una cauzione per le spese ed onorari, altrettanto a dirsi, a maggior ragione, per l'atto col quale gli arbitri, senza esservi in alcun modo autorizzati, ritenessero di dover imporre alla parte attrice, o ad ambedue le parti, il versamento della cauzione. Del resto, la richiesta di versamento della cauzione oltre che illegittima sarebbe da ritenersi inutile negli arbitrati relativi ai pubblici appalti. Infatti, disponendo l'art. 814 c.p.c. che le parti sono tenute solidalmente al pagamento dell'onorario, gli arbitri sono pienamente garantiti dalla solvibilit delle Amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici ai quali il Capitolato Generale si applica. b) Il diritto al compenso non pu, in alcun modo, fondarsi su un inesistente e inconcepibile contratto d'opera (o di mandato) fra parti e arbitri. Esso nasce direttamente dalla norma regolamentare istitutiva dell'ufficio arbitrale e assume la figura di una indennit spettante per l'espletamento di un munus imposto dalla legge: indennit posta a carico degli interessati. Se un parallelo si vuol fare, occorre riferirsi non all'onorario del libero professionista, ma, ad es., al compenso spettante al consulente tecnico nominato dal giudice (cfr. art. 24 disp. att. c.p.c.) e ad analoghe forme di indennit dovute per legge al di fuori di ogni vincolo contrattuale fra l'avente diritto e l'obbligato. Tutte le norme e i principi attinenti al contratto di opera professionale (come anche al mandato) sono, comunque, certamente inapplicabili: non trovano quindi applicazione, ad es., le varie tariffe di compensi spettanti ai liberi professionisti (3). 3) Se si tengono presenti queste premesse, appare chiaro il signifi. cato del rinvio operato dall'art. 51 C.G. all'art. 814 c.p.c. per la liquidazione delle spese e degli onorari degli arbitri. In primo luogo, l'applicazione dell'art. 814 presuppone indubbia mente che il giudizio arbitrale sia stato concluso con l'emanazione del lodo, ossia che il compito affidato agli arbitri sia stato completamente espletato (si parla, infatti, nell'art. 814, di un diritto degli arbitri al rimborso delle spese e all'onorario per l'opera prestata). Se pure si volesse ammettere (il che, come si detto, non va esente da gravi dubbi) che nell'ambito dell'arbitrato di diritto comune l'art. 814 non escluda la applicazione dell'art. 2234 cod. civ., ci si deve senza dubbio negare per l'arbitrato previsto dal Capitolato Generale. Riferendosi all'art. 814 c.p.c., (3) In applicazione di tale principio, l'art. 61 delle condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare (r.d. 30 marzo 1932, n. 355) prescrive, ad es., che la retribuzione degli arbitri liquidata per vacazioni e che ogni vacazione fissata in un terzo dell'indennit di missione. PARTE II, QUESTIONI l'art. 51 ha inteso proprio escludere che una liquidazione (sia pur prov visoria) delle competenze degli arbitri possa aver luogo prima che si verifichino i presupposti per l'applicazione di quella norma, ossia prima che il giudizio arbitrale sia concluso. Il diritto all'indennit riconosciuto agli arbitri si perfeziona .soltanto con l'emanazione del lodo: pri ma di questo momento non sussiste n pu sussistere, data la qualit degli arbitri, alcuna legittima pretesa al versamento di somme a titolo di acconto o di deposito cauzionale per il pagamento del compenso. Trattandosi, infatti, di un diritto d'indennit nascente dalla legge (in rela zione ad incarico conferito nell'ambito dei doveri attinenti al rapporto di pubblico impiego), i suoi limiti e le sue garanzie non possono che dedursi dalla stessa norma che lo riconosce, senza che possa farsi appli cazione di altre disposizioni destinate a regolare ipotesi diverse. In particolare, non pu qui venire minimamente in discussione, come si detto, l'art. 2234 cod. civ., mancando del tutto quel rapporto contrattuale che tale norma presuppone. In definitiva, da escludere che gli arbitri possano chiedere depositi preventivi di somme o anticipi sul compenso. Soltanto negli stretti limiti degli art. 90 c.p.c. e 38-39 disp. att. potr essere OI'dinato un deposito per la carta bollata e le spese del processo alla parte attrice o alla parte chr; richiede il compimento di determinati atti istruttori. 4) In secondo luogo, deve ritenersi che la determinazione delle spese e degli onorari degli arbitri debba avvenire in ogni caso mediante ordinanza del Presidente del Tribunale su ricorso degli arbitri e sentite le parti. Si gi visto come non esista un rapporto contrattuale liberamente stipulato fra le parti e gli arbitri: l'ufficio arbitrale direttamente istituito dal Capitolato Generale e agli arbitri riconosciuto il diritto ad una indennit, a carico delle parti, per l'opera prestata. In quest'ambito l'autonomia privata non pu operare se non ammessa espressamente da una norma di diritto oggettivo. Vale a dire che, mentre nell'arbitrato di diritto comune (ammessa la configurazione di un rapporto contrattuale privatistico fra parti e arbitri) la determinazione del compenso -in funzione di corrispettivo dell'opera contrattualmente dovuta naturalmente rimessa all'autonomia degli interessati, salvo l'eccezionale intervento succedaneo di una determinazione imparziale rimessa al Presidente del Tribunale, nel nostro caso solo una espressa disposizione del Capitolato potrebbe attribuire efficacia ad un accordo stipu iato per la determinazione dell'indennit dovuta agli arbitri, mentre in linea di logica -tale determinazione non potrebbe che essere rimessa ad un. accertamento imparziale dell'obiettiva rilevanza e difficolt dell'opera prestata in attuazione dell'ufficio conferito dalla norma di diritto oggettivo del Capitolato (e non dalla volont delle parti interessate). Come sarebbe assurdo ammettere -in difetto di una norma in tale senso -che il consulente tecnico possa accmdarsi con le parti sulla mi sura del suo compenso, cos sarebbe inammissibile una liquidazione consensuale del compenso degli arbitri nominati a norma del Capitolato Generale, in difetto di una disposizione che espressamente ammetta que 54 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO sta eccezionale efficacia dell'autonomia privata in un campo che non le proprio (4). N questa norma autorizzativa della liquidazione consensuale potrebbe ravvisarsi nel semplice rinvio che l'art. 51 C.G. fa all'art. 814 c.p.c. Quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese e dell'onorario -dispone il capoverso dell'art. 814 -tale liquidazione non vincolante per le parti se esse non l'accettano. E' evidente che il significato di questa disposizione solo negativo: essa esclude la possibilit di una liquidazione unilaterale ed inoppugnabile delle spese e del compenso, anche se preventivamente consentita dalle parti. La determi nazione degli arbitri non pu avere altro valore che quello di una proposta rivolta alle parti : e tale valore assumer se e in quanto sia ammessa una liquidazione contrattuale del compenso. Orbene, tanto se si ritiene che questa liquidazione contrattuale, nell'ambito dell'arbitrato di diritto comune, sia ammessa sempre (come logicamente ritiene chi fa capo ad un contratto d'opera fra le parti e gli arbitri), quanto se, invece, si reputa necessaria una espressa previsione contenuta nel compromesso o nella clausola compromissoria (come pure potrebbe fondatamente sostenersi in base a una diversa qualificazione del rapporto parti-arbitri), in ogni caso, comunque, il fondamento dell'efficacia dell'accordo di liquidazione del compenso non potrebbe ravvisarsi nell'art. 814, che si limita a prevedere particolari modalit per la conclusione dell'accordo (presupposta la sua ammissibilit ed efficacia) in una determinata ipotesi. Se cos , risulta chiaro che il richiamo all'art. 814 da parte dell'art. 51 C.G. non vale a conferire efficacia a quell'accordo per la determinazione del compenso che non previsto (n potrebbe esserlo, come in seguito si dir) da alcun'altra disposizione del Capitolato. Del resto ove quel valore volesse darsi al richiamo dell'art. 814, dovrebbe ritenersi efficace soltanto un accordo concluso nei modi previsti da tale norma (liquidazione effettuata direttamente dagli arbitri e successiva adesione delle parti) e non ogni altro accordo: il che, evidente, non pu non apparire assurdo. In definitiva: la determinazione dell'ammontare delle spese e dell'onorario effettuata dagli arbitri non ha n il valore di una pronuncia (4) N si invochi la natura pubblicistica dell'attivit demandata al consulente tecnico in contrapposto alla natura privatistica dell'attivit degli arbitri per giustificare una diversa soluzione nei due casi. Anzitutto gli arbitri dell'arbitrato dei pubblici appalti adempiono anche in qualit di arbitri ai doveri inerenti alle pubbliche funzioni che esercitano (siano essi magistrati o funzionari dello Stato). Ma, anche a prescindere da ci, ben sostenibile (e un'autorevole corrente dottrinale in questo senso) che l'attivit degli arbitri, destinata a sfociare in una pronuncia giurisdizionale, non possa costringersi negli schemi del diritto privato. E poi; non tanto la natura dell'attivit (che, anche se pubblica, non escluderebbe, per s, la configurabilit di un distinto rapporto di diritto Qrivato, accessorio e strumentale, avente ad oggetto il compenso), quanto n titolo (non contrattuale) d'investitura nell'ufficio (sia esso di diritto pubblico o di diritto privato) che esclude, nei due cas.i, che il regolamento del rapporto, in ogni suo aspetto, possa essere rimesso, in via normale, all'autonomia negoziale delle parti. PARTE II, QUESTIONI S5 autoritativa che possa imporsi alle parti, n quello di una semplice proposta contrattuale, essendo esclusa, nel nostro caso, l'efficacia di una liquidazione consensuale del compenso. In armonia con lo spirito dell'istituto disciplinato dal Capitolato Generale, il compenso degli arbitri sar perci, sempre e in ogni caso, liquidato, con valutazione imparziale e obiettiva, dal Presidente del Tribunale, esclusa ogni possibile liquidazione, anche in via di semplice proposta, da parte degli arbitri (5). 5) Alla stessa conclusione si pu, del resto, giungere seguendo un diverso ordine di considerazioni. Una pura e semplice adesione alla liquidazione effettuata dagli arbi tri non potrebbe certamente aversi da parte dell'Amministrazione parte in causa. Essa sarebbe, infatti, in assoluto contrasto con le norme della legge di contabilit (che, ovviamente, non possono essere derogate dalle disposizioni regolamentari del Capitolato). Trattandosi di un impegno di spesa, la volont qell'Amministrazione dovrebbe essere espressa nelle forme tassativamente previste e l'atto dovrebbe assoggettarsi alle appro \razioni e ai controlli inderogabilmente stabiliti dalla legge, che, come noto, non si riferiscono soltanto all'an ma anche al quantum dell'impegno stesso. E' appena il caso di avvertire, infatti, che nessun rilievo in contrario assume il fatto che l'obbligo generico di corrispondere il compenso agli arbitri nasce dalla norma regolamentare del Capitolato. E' indubbio che anche per la liquidazione di un debito dell'Amministrazione gi sorto in base ad altro titolo (si pensi, ad es., ad una sentenza di condanna generica) occorra pur sempre o un atto giurisdizionale o un formale contratto stipulato e ~pprovato nei modi previsti dalla legge di contabilit. La liquidazione convenzionale del compenso non potrebbe perci mai avvenire per via di semplice accettazione della determinazione degli arbitri. Dovrebbe procedersi, invece, alla stipulazione di un formale contratto nei modi previsti dall'art. 17 L. Cont. per i contratti con elusi a trattativa privata (escluse le forme previste nei due ultimi com mi, evidentemente non applicabili); il contratto dovrebbe poi esser sottoposto ai controlli previsti nel successivo art. 19. Il che val quanto dire che la liquidazione effettuata direttamente dagli arbitri non pu avere, nel nostro caso, nessun valore: neppure quello di una mera propost suscettibile di dar luogo ad un impegno contrattuale attraverso una pura e semplice accettazione delle parti. Tutto ci, com' evidente, ci porta fuori dalle previsioni dell'art. 51 C.G. Un formale contratto stipulato ai sensi dell'art. 17 L. Cont. non rientra certo fra i modi stabiliti dall'art. 814 c.p.c. che l'art. 51 vuole siano seguiti per la liquidazione del compenso degli arbitri. L'art. 814 condiziona il potere determinativo del Presidente del Tri (5) E' chiaro che questa conclusione convalida sotto altro profilo quanto abbiamo detto circa l'esclusione del diritto degli arbitri di ottenere acconti sul compenso: essendo esclusa . ogni liquidazione unilaterale o consensuale di questo, e non potendosi chiedere la liquidazione al Presidente del Tribunale se non dopo la conclusione del giudizio arbitrale, viene a mancare ogni possibilit di liquidazioni provvisorie del compenso. 56 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bunale alla mancata accettazione della liquidazione effettuata dagli arbitri. Non potendo mai, nel nostro caso, tale' accettazione aver luogo, deve ritenersi che quel potere sia incondizionato e che, quindi, non possano adottarsi altri procedimenti di liquidazione dell'onorario che quello previsto dall'ultima parte del capoverso dell'art. 814 c.p.c. LA REDAZIONE IN TEMA DI RESPONSABILITA' CIVILE PER I PROVVEDIMENTI CONTINGIBILI ED URGENTI DEL SINDACO Una recente giurisprudenza (1) della Suprema Corte ha riproposto la dibattuta questione della responsabilit civile per i provvedimenti con tingibili ed urgenti del sindaco. Le molte pagine scritte non esimono --per la estrema gravit pratica delle conseguenze che discendono dal l'accoglimento dell'una o deli'altra tesi -da alcune riflessioni in merito. Lo schema logico, per cui si fa risalire allo Stato la responsabilit per i provvedimenti del sindaco, pu cos riassumersi -con tutte le imperfezioni e imprecisioni di una schematizzazione-: il sindaco, quando agisce ex art. 153, legge com e prov. 1915, ufficiale di Governo, quindi organo dello Stato; presupposto come base della responsabilit della P.A. un rapporto organico... ; anche i dipendenti del Comune, che collaborano nell'esecuzione di siffatti provvedimenti del sindaco, operano per lo Stato, quindi... Sulla veste giuridica del sindaco nell'esercizio della funzione di cui in narrativa, ci sembra ancora possibile formulare dei dubbi. L'art. 151 e l'art. 152 legge com. e prov. contengono rispettivamente un elenco delle attribuzioni spettanti al sindaco, ora come capo dell'amministrazione, ora come ufficiale di governo. Se le funzioni in questione fossero volute e intese come governative, la trattazione in altro separato articolo risuo nerebbe, quantomeno, topograficamente innaturale. Il n. 7 dell'art. 152 nel modo in cui si esprime - ed in generale di compiere gli atti che gli sorto dalla legge affidati -, assume un valore di chiusura. Ancora, mentre l'art. 152, nell'enunciare l'attivit governa tiva del sindaco l'assoggetta alla direzione delle autorit superiori, ossia afferma un rapporto gerarchico (anche se eminentemente funzionale), l'art. 153 tratteggia i compiti del sindaco come indipendenti (2). Dal punto di vista sostanziale non pu disconoscersi che la materia oggetto dei provvedimenti contingibili e urgenti non di esclusiva competenza dello Stato, cos come non sono solo o principalmente dello Stato gli interessi che con essi si tutelano (3). Appartiene, infatti, istituzionalmente al Comune di fare regolamenti, fra gli altri, in materia di polizia locale 'e di edilit. N pare si possa dubitare che nella specie (1) Cass. 9 giugno 1959, n. 1718, Arch. resp, civ., 1960, 344; Cass. 11 agosto 1962, n. 2563, Giust. civ., Mass., 1962. (2) Cass. Napoli 20 agosto 1879, Riv. amm. XXX, 114; Cass., Roma 18 marzo 1904, Foro it., 1904, I, 467. (3) In senso contrario: Cass. 24 luglio 1954, n. 2667, Giust. civ., 1954, 1834; id. 26 giugno 1953 n. 1978, ivi, 1953, 2155; Cass. 9 giugno 1959, cit. PARTE Il, QUESTIONI 57 vengano protetti in primis gli interessi locali (4). Non deve dimenticarsi inoltre, che la giunta, avendo il compito di eseguire i regolamenti, pu, con una normale ordinanza, prendere provvedimenti analoghi a quelli che il sindaco tenuto ad adottare ex art. 153, se manca il regolamento ed incombe l'urgenza. La contingibilit e l'urgenza possono, dun que, determinare una qualificazione soggettiva della funzione? Va ancora accennato che, contro i provvedimenti contingibili ed ur genti, si ritiene ammesso il ricorso, anche in merito alla G.P.A., il che, per lo pi, implica un attributo di provincialit nella materia oggetto del ricorso (5). Passando pi direttamente alla trattazione della responsabilit civile, vanno tenute nella dovuta considerazione le peculiarit strutturali e funzionali che sono proprie dell'ente comune e che incidono sullo sviluppo giuridico del rapporto in oggetto. Non sembra, cio, . sufficiente, nella specie, soffermarsi sulla linearit concettuale del rapporto organico della riferibilit dell'operato degli interessi protetti (su cui, peraltro, permangono non pochi dubbi), per individuare il soggetto pas sivo su cui grava la responsabilit patrimoniale dell'illecito. Nelle disposizioni normative concernenti i Comuni, in modo particolare nel t.u. del 1915, non difficile riconoscere l'intento di dare realizzazione ad un decentramento fortemente autarchico (storicamente congenito all'istituto comunale) consistente nel passaggio di alcune funzioni dello Stato in altro organismo giuridico (6). Ora, proprio in materie come quelle dell'edilizia, della polizia locale,. in materie, do, dove il Comune esprime la sua autonomia, dovrebbero sorgere non pochi dubbi sull'esattezza della tesi che scorge nell'attribuzione al sindaco dei compiti ex art. 153 la realizzazione di un decentramento burocratico anzich autarchico. E' noto, inoltre, come il t.u. ponga a carico del Comune tutti gli oneri patrimoniali per l'attivit del sindaco, anche quando agisce in veste di ufficiale di governo (determinante la disposizione sulle spese -funzioni (4) Il BORSI -Le funzioni ..., in Trattato per l'Orlando, vol. II, 2, 199 nel sostenere la responsabilit del Comune per i provvedimenti contingibili ed urgenti del sindaco, sottolinea che questi curatore degli interessi locali e, quando lo dei generali, ci avviene soltanto perch questi ultimi coincidono con i primi. (5) In questa sede non si vuole disconoscere il valore letterale contenuto negli articoli 155 e 156, i quali richiamano, in tema. di funzioni affidate al sindaco nella sua qualit di ufficiale di governo, l'art. 153, ma ci si limita a non considerarlo determinante, do a consentire quei dubbi cui si faceva cenno all'inizio. Non mancano, peraltro, scrittori che distin guano, in seno all'art. 153, tra funzioni e funzioni, ritenendole talune proprie del capo dell'Amm.ne, altre dell'ufficiale di governo, superando con ci automaticamente l'ostacolo letterale degli articoli citati. V. FORTI, Sulle attribuzioni del sindaco quale ufficiale di governo, Foro it., 1905, I, 1, 16. Neppure si intende svalutare la gravit delle argomentazioni che fanno leva sul concetto di sicurezza pubblica (anche se, nel caso, circoscritta oggettivamente e geograficamente) o che richiamano al rispetto della propriet privata. Anche in questo caso sarebbe proficua un'elaborazione, e relativo adattamento, della figura giuridica dell' Organo supplente . (6) ZANOBINI, L'Amministrazione locale, 145. 58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO obbligatorie, ma assai significativo anche l'art. 274 che recita: salvo che non sia disposto altrimenti i comuni... sono tenuti a compiere senza corrispettivo gli atti che siano loro commessi dalla legge nell'interesse generale.); decentramento finanziario, dunque, nel senso e nel modo pi ampio. Le peculiarit accennate, il cui rilievo appena il caso di sottolineare, non possono non movimentare quella linearit che si diceva -rapporto organico, individuazione dell'ente responsabile -; tacerle, significherebbe non tener conto non solo di situazioni diverse, ma di disposizioni legisla tive diverse, che spostano la responsabilit patrimoniale da un soggetto (Stato) all'altro (Comune). Le disposizioni del t.u. che impongono, per talune funzioni di interesse generale, lo sgravio finanziario dello Stato, non consentono di discriminare tra responsabilit patrimoniale da atti vit lecita e responsabilit patrimoniale da attivit illecita. La condizione solo questa: che si eserciti una delle funzioni demandate dalla legge al sindaco unitamente al Comune. Lo sforzo della dottrina inteso a porre in risalto il valore giuridico di questa imposizione patrimoniale del Comune, legislativamente voluta, non sembra aver avuto buona fortuna (7). L'obiezione mossa dalla giurisprudenza, avere, cio, la norma che im pone l'onere patrimoniale al Comune carattere meramente contabile, non ci trova consenzienti. Una interpretazione cos concepita degrada il va lore sostanziale della norma (determinazione di un obbligo ed individua zione del soggetto obbligato) in valore formale di imputazione contabile, qualcosa di simile ad una partizione interna di un bilancio, Pet convincersi del contrario pu essere sufficiente riflettere su di una fatti specie del genere : il sindaco emette una ordinanza di demolizione di un edificio pericolante, 1'011dine non viene eseguito; in mancanza o nell'in. disponibilit immediata di appositi uffici comunali, il sindaco commetta l'esecuzione dell'opera ad un appaltatore. Il rapporto che si instaura , incontestabilmente, fra il committente Comune e l'appaltatore; l'obbligazione che ne nasce, di pagare il corrispettivo pattuito, fa capo al Comune. Il valore della norma qui ben lungi dall'essere contabile; da essa, infatti, discende il potere del sindaco di impegnare il Comune in un rapporto oneroso per fini di interesse generale (dato per ammesso che siano soprattutto gen~rali siffatti fini). Le disposizioni concernenti gli oneri finanziari, a ben riflettere, ri (7) La dottrina ha correttamente ritenuto speciale la legge che impone al Comune l'aggravio finanziario per le funzioni esercitate nell'interesse generale e ne ha tratto conseguenze precise sul punto della responsabilit. Si veda: ZANOBINI, L'amministrazione locale. cit.; PRESUTTI, Istituzioni di diritto amministrativo, voi. II, 107; FORTI, Sulle attribuzioni del sindaco, cit., Giur. it., 1905, I, 1, 16; id., Foro it.,. 1937, I, 1246; TELCHINI, Su un caso di negata responsabilit, Foro it., 1956, I, 1008; LA TORRE, Provvedimenti del sindaco e responsabilit dello Stato, Amm. it., 1959, 889; CAnusr, Sulla pretesa responsabilit dello Stato per le esecuzioni di ordinanze sindacali contingibili e urgenti in materia di edilizia, Foro it., 1959 IV, 265, con ampi richiami di dottrina e di giurisprudenza. I~;~ , f:f::: I .. . 1:::1 . .. PARTE II, QUESTIONI 59 velano tutto il loro peso sostanziale anche sotto un altro rilevantissimo aspetto: la distinzione tra funzioni obbligatorie e facoltative del Comune in spese obbligatorie e spese facoltative (8). Ritornando alla responsabilit civile per gli illegittimi provvedimenti del sindaco, acutamente stato osservato dal CARUSI (9) che non sufficiente l'esercizio di funzioni obbiettivamente statali a determinare l'imputazione degli effetti direttamente allo Stato. Questo binomio -funzioni statali, responsabilit dello Stato -, indubbiamente spontaneo e per lo pi vero, va colto come criterio indicativo e non di applicazione; basta riflettere sui casi, tutt'altro che infrequenti, di esercizio privato di funzioni pubbliche. La Suprema Corte ha inteso estendere la responsabilit dello Stato anche nel caso di illecita esecuzione dei provvedimenti sindacali da parte degli organi comunali. I principi posti a sostegno della tesi possono sinteticamente riassumersi: il decentramento funzionale in materia ex art. 153 non fatto alla sola persona del sindaco, ma alla Amministrazione comunale nel complesso, one i dipendenti del Comune devono assistere il sindaco nella sua attivit di ufficiale di governo; in questa veste di collaboratori agiscono per lo Stato, al quale vanno riferiti gli effetti della loro attivit. La tesi appare alquanto ardita, soprattutto l dove ammette un ecentramento funzionale al Comune nel suo complesso anzich al solo sindaco. In questo modo, infatti, si viene implicitamente a dar corpo al concetto di ente-organo (10), concetto di indubbio interesse e di grande rilievo, ma che difficilmente sar stato presente al legislatore del 1915. Il vero ostacolo, per, a nostro avviso, si trova nella. lettera della legge: appartiene pure al sindaco di fare... , che non lascia dubbi sull'attribuzione personale delle funzioni in esame. Se si pone attenzione al carattere eccezionale (come eccezionali sono le funzioni regolate} dell'articolo 153, non si pu non considerare con il dovuto sospetto ogni estensione applicativa che vada al di l della mera interpretazione della lettera della fogge. La disposizione segue nell'ordine gli articoli 151 e 152, che contengono l'elenco delle funzioni spettanti al sindaco, in quanto tale, nella sua duplice qualit; la disposizione si apre con una espressione di appartenenza che non sembra. lasciar dubbi sulla sua esclusivit; in tutto il contesto non possibile trovare un solo addentellato che consenta di arrivare alle conclusioni del Supremo Collegio. Ma anche le argomentazioni portate a sostegno della tesi, sebbene efficaci, ci lasciano perplessi. Si afferma che, non accogliendo la soluzione prospettata, si verrebbe a negare la possibilit in concreto dello esercizio delle funzioni decentrate, per l'impossibilit che il sindaco, in (8) CINTOLESI, La responsabilit per gli atti del Sindaco quale ufficiale di governo e per l'attivit esecutiva degli organi comunali, Foro pad., 1'960, I, 163. (9) CARUSI, Sulla pretesa responsabilit dello Stato, cit. (10) CARBONE, Persone giuridiche-organi ed organi dotati di personalit giuridica, in questa Rassegna 1955, 228. 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO persona propria, compia tutta l'attivit necessaria per l'attuazione della ordinanza. Le argomentazioni sembrano basarsi sul presupposto di una necessaria identit fra organo che emana l'ordine e organo che lo esegue. Quasi vi fosse alcunch di patologico nella distinzione soggettiva fra l'autore della norma particolare (ordine) e il suo esecutore. Mentre una tale distinzione si pone come del tutto naturale non solo nella fattispecie, ma anche in altri diversi settori del diritto (si pensi ad una sentenza che ordina la riduzione d<;:ll'opera illecitamente compiuta ed alla sua materiale esecuzione). L'art. 153 attribuisce al sindaco la potest di emettere provvedimenti contingibili ed urgenti e di far eseguire gli ordini relativi a spese degli interessati; le modalit di esecuzione, in modo particolare i mezzi d esecuzione, sono affidati al potere .discrezionale del sindaco (con i soliti limiti dettati dalla buona amministrazione ). Respinta la tesi dell'ente-organo, ovvero di un decentramento non limitato alla persona del sindaco, ma esteso all'amministrazione comunale nel suo complesso, la responsabilit per illecita esecuzione della ordinanza va esaminata alla luce del t.u. 1915 e dei principi generali. Si appreso dal t.u. come sia compito del Comune provvedere finanziariamente alle funzioni attribuite dalla legge al sindaco; per quanto attiene particolarmente all'esecuzione dei provvedimenti sindacali, detto compito pu essere assolto o mediante gli uffici ed il personale del Comune, che esplicano l'attivit materiale necessaria, o attraverso l'assun zione, da parte del comune, di una obbligazione (pagamento del corri spettivo) per l'opera prestata da un appaltatore incaricato. Nel primo caso, il Comune responsabile dell'illecita e dannosa esecuzione per una duplice ragione: perch adempie ad un obbligo che gli proprio e che gli deriva non da un ordine particolare (provvedimento del sindaco), ma dalla legge (la legge, ponendo a suo carico il peso finan ziario per lo svolgimento di determinate funzioni, gli impone necessariamente una serie di obblighi, che si sostanziano nella organizzazione dei mezzi e nella esplicazione di attivit, obblighi che si presentano, quindi, come conseguenza pratica o corrispondente funzionale dell'onere finanziario); in secondo luogo, perch l'attivit esecutiva in parola viene svolta da organi o, quanto meno, da dipendenti del Comune per cui, sia in applicazione del principio generale dell'immedesimazione organica, sia in applicazione dell'art. 28 della Costituzione, la responsabilit del Comune viene sempre in gioco. Nell'altro caso, in cui, cio, l'opera resta affidata ad un appaltatore, la responsabilit per l'eventuale illecita esecuzione ricade esclusivamente su di lui per una specie di appartenenza istituzionale di ogni tipo di rischio all'appaltatore. Da qui l'ultima considerazione contro la tesi della Suprema Corte e cio che l'estensione della responsabilit allo Stato verrebbe a dipendere da circostanze contingenti, quali l'esistenza, l'opportunit, la volont sindacale di servirsi di mezzi comunali anzich dell'opera di un appai tatore. GIANCARLO FERRERO CONSULTAZIONI* AGRICOLTURA E FORESTE Agricoltori diretti -Vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli Se la legge 9 febbraio 1963 si applichi alla vendita al pubblico in sede stabile di tutti i prodotti agricoli da parte dei coltivatori diretti compreso in questi prodotti anche il vino dei propri fondi (n. 34). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ANAS -Condizione giuridica 1) Se l'A.N.A.S. possa avvalersi del trattamento riservato alle Amministrazioni statali per atti e tasse giudiziali (n. 281). Stipulazione contratti -C.N.E.N. 2) Sull'identificazione degli organi competenti a deliberare le convenzipni ed i contratti che impegnano il Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare (n. 282). Istituto del Dramma Antico 3) Se l'Istituto del Dramma Antico abbia diritto al patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (n. 283). Terreni demanio forestale -Costruzione di opere per la difesa nazionale 4) Se il passaggio di terreni appartenenti al demanio forestale dell'Azienda di Stato per le Eoreste demaniali all'Amministrazione militari per essere destinati ad opere per la difesa nazionale debba avvenire mediante un atto formale che stabilisca i rapporti e fissi la corresponsione di un canone (n. 284). APPALTI Forniture militari 1) Se l'Amministrazione Militare possa autorizzare, ai sensi dell'articolo 63 Condizioni Generali per gli acquisti delle Forze Armate, la sostituzione della merce gi rifiutata con decisione della Commissione Centrale per i collaudi in appello ( n. 272). Variazioni dei lavori 2) Se l'impresa appaltatrice possa contestare l'applicazione della norma del Capitolato speciale che fissa in 3/5 il massimo delle variazioni in meno dei lavori di appalto stabilito in 4/5 dal Capitolato Generale perch non approvata espressamente per iscritto ai sensi del l'art. 1341 e.e. n. 273). AVVOCATI E PROCURATORI Istituto del Dramma Antico 1) Se l'Istituto del Dramma Antico abbia diritto al patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (n. 59). *La formulazione del quesito non riflette in alcun modo la soluzione che ne ' stata data. 62 RASSEGNA DELt.'AVVOCA'fURA DELLO STATO Spese di procedura 2) Quali siano le modalit di riscossione del contributo a favore della Cassa Naz. di Previdenza degli Avvocati (L. 8 gennaio 1952, n. 6) nel caso che il provvedimento soggetto al contributo stesso sia esente da registrazioni in termine fisso e se -in ipotesi di disposta compensazione cfell~ spese -sia legittima la richiesta di pagamento del contributo nei confronti della parte istante in giudizio (n. 60). BELLEZZE ARTISTICHE E NATURALI Regione Siciliana -Tutela artistica e paesistica Sulla ripartizione delle competenze tra il Ministero della P.I. ed il Presidente della Regione Siciliana nell'esercizio di attivit statale decentrata, ai sensi del d.l. C.P.S. n. 567/1947, in materia di tutela artistica e paesistica in Sicilia (n. 9). COMMERCIO Agricoltori diretti -Vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli Se la legge 9 febbraio 1963 si applichi alla vendita al pubblico in sede stabile di tutti i prodotti agricoli da parte dei coltivatori diretti compreso in questi prodotti anche il vino dei propri fondi (n. 20). COMUNI E PROVINCIE Agevolazioni fiscali -Capi di famiglia -numerosa Quali siano i criteri per l'applicazione dell'art. 10 della legge 27 giugno 1961, n. 551 che ha apportato ulteriori agevolazioni fiscali in materia di ricchezza mobile in favore dei capi di famiglia numerosa in relazione all'imposta sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni (n. 110). CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO Fermo amministrativo 1) Se possa legittima:giente essere disposto il fermo amministrativo previsto dall'art. 69, ultimo comma, 1. Contabilit generale dello Stato sulle dovute dall'Amministrazione ad un privato a garanzia del soddisfacimento di un credito vantato da altra P.A. verso il medesimo per il quale sia stato ottenuto decreto ingiuntivo e sia pendente il giudizio di opposizione (n. 196). Norme dei capitolati generali d'appalto 2) Se le norme regol"!mentari che, nei capitolati generali di appalto o forniture, prescrivono un termine per l'effettuazione degli atti amministrativi di liquidazione del debito e, conseguentemente, prevedono la corresponsione di interessi in caso di ritardo, siano in contrasto con le norme ed i principi di cop.tabilit di Stato (n. 197). COSTITUZIONE Imposta di successione 1) Se sia manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale degli articoli 45 e 48 della legge fributaria sulle successioni in relazione all'art. 53 Costituzione (n. 20). -:~ ~ : I lfil -:~ PARTE II, CONSULTAZIONI 63 Imposte e tasse -Ricorso del contribuente 2) Se l'art. 280 comma 3 del t.u. sulla finanza locale, nel testo modificato con l'art. 48 della legge 2 luglio 1952, n. 703, sia da c.onsi derarsi costituzionalmente illegittimo in contrasto con gli artt. 3, 24, 113 della Costituzione (n. 21). Imposta consumo sul vino 3) Se il d.P.R. 14 dicembre 1961, numero 1315, emanato in attuazione della delega legislativa contenuta nell'art. 8 della legge 18 dicembre 1959, n. 1079, sull'abolizione dell'imposta comunale di consumo sul vino, sia da considerarsi costituzionalmente illegittimo (n. 22). DEMANIO Beni gi appartenenti alla Corona -Cessione in uso 1) Se le disposizioni della legge 9 agosto 1948 n. 1077 precludano la possibilit di dare esecuzione ad un accordo internazionale che prevede la cessione in uso gratuito di beni gi appartenenti alla dotazione della Corona (n. 183). Rettorie annesse alle chiese conservate al culto 2) Se lo Stato sia tenuto, in forza dell'art. 8 legge 27 maggio 1929 n. 848, a retrocedere alle chiese conservate al culto i locali per rettoria acquisiti per effetto della legislazione eversiva, ove sussistano le condizioni che avrebbero consentito, ai sensi dell'art. 19 d. Lgt. 7 luglio 1866 n. 3036 e dell'art. 4 1. 11 agosto 1870, n. 5874, la esclusione della devoluzione di tali immobili al Demanio (n. 184). Terreni demanio forestale -Costruzione di opere per la difesa nazionale 3) Se il passaggio di. terreni appartenenti al demanio forestale del1' Azienda di Stato per le Foreste demaniali all'Amministrazione militare per essere destinati ad opere per la difesa nazionale debba avvenire mediante un atto formale che stabilisca i rapporti e fissi la corresponsione di un canone (n. 185). EDiLIZIA ECONOMICA E POPOLARE Alloggi in locazione -Successione 1) Sulla successione nell'assegnazione degli alloggi in locazione (applicazione del 3 comma art. 6 legge 14 febbraio 1963, n. 60) (n. 143). Case per lavoratori agricoli -Cessione di credito 2) Se il riconoscimento delle cessioni effettuate sui fondi erogati per la costruzione di abitazioni per lavoratori agricoli dipendenti ai sensi della legge 30 dicembre 1960 n. 1676 rientri nella competenza dell'Ente realizzatore delle opere o in quella degli Uffici del Genio Civile cui demandato il controllo sulla regolare esecuzione dei lavori e quindi nella effettiva destinazione dei finanziamenti agli scopi perseguiti dalla legge (n. 144). Cooperative edilizie -L. 14 febbraio 1963, n. 60. 3) Se le Cooperative edilizie ammesse ad usufruire delle provvidenze contenute nella legge 14 'febbraio 1963, n. 60 possano qualificarsi come cooperative edilizie ammesse a contributo statale ai fini dell'art. 16 legge 1 marzo 1952, n. 113. 4) Se, agli effetti dell'applicazione dell'art. 16 legge 1 marzo 1952, n. 113, possano qualificai;-si come cooperative edilizie ammesse a con -~ .:.; -~ .:.; 64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO :lj tributo statale anche le cooperative che abbiano conseguito la prenotazione (n. 145). . ' . Cooperative edilizie -Morosit di socio 5) Se la Cassa Depositi e Prestiti, per applicare la ritenuta nei confronti di un socio moroso di una cooperativa ai sensi dell'art. 65 r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, debba prima attendere una apposita delibera del Consiglio di amministrazioi:e della cooperativa stessa (n. 146). 6) Se la predetta Cassa in mancanza di prove contrarie fornite dal socio, possa ritenere le quote dei soci tutte uguali (n. 146). 7) Se la detta Cassa, nel caso in cui il socio indicato moroso abbia segnalato gravi irregolarit o abusi da parte della cooperativa, debba ravvisare l'opportunit di sospendere la ritenuta e considerare l'esposto come denuncia trasmettendola, di conseguenza, alla Commissione di Vi gilanza perch dette irregolarit siano represse ex officio (n. 146). ENTI E BENI ECCLESIASTICI Rettorie annesse alle chise conservate al culto Se lo Stato sia tenuto, in forza dell'art. 8 legge 27 maggio 1929 n. 848, a retrocedere alle chiese conservate al culto i locali per rettorie ac quisiti per effetto della legislazione eversiva, ove sussistano le condizioni che avrebbero consentito,ai sensi dell'art. 19 d. lgt. 7 luglio 1866 n. 3036 e dell'art. 4 legge 11 agosto 1870 n. 5784, l'esclusione della devoluzione di tali immobili al Demanio (n. 40). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Indennit di occupazione -Criteri 1) Sui criteri per la determinazione della indennit di occupazione, quando questa sia preordinata all'espropriazione e l'espropriazione in concreto segua (n. 182). Piani regolatori 2) Se per la esecuzione di opere comprese nel piano regolatore particolareggiato, ma non annoverabili tra le c.d. opere di piano regolatore in senso proprio, sia legittimo il ricorso alla proceduta di espropriazione di cui all'art. 11 legge n. 335 del 1932, e in base a quali criteri debba essere fissato il prezzo dei beni trasferiti nell'ipotesi in cui, per l'adesione dei proprietari all'alienazione, non sia necessario procedere alla espropriazione (n. 183). FARMACIA Farmacia Comune di Longarone -Indennit di avviamento Se gli eredi del titolare della farmacia andata completamente distrutta nel disastro del Vajont possano pretendere dal nuovo titolare l'indennit di avviamento prevista dall'art. 110 legge sanitaria (n. 11). FERROVIE Passaggi a livello privati Se l'Azienda Ferroviaria sia obbligata ad adottare i provvedimenti necessari a ripristinare le condizioni di sicurezza di un passaggo a livello, dato in consegna agli utenti, nel caso di sopravvenuta pericolosit dell'attraversamento (n. 349). ..: ==~ .: PARTE Il, CONSULTAZIONI IMPIEGO PUBBLICO Pubblici impiegati investiti di mandato parlamentare -Procedimento disciplinare 1) Se possa essere sottoposto a procedimento disciplinare l'impiegato che sia parlamentare (n. 555). Responsabilit dell'impiegg..to verso terzi 2) Se il dipendente possa richiedere all'Amministrazione il rimborso di quanto ha pagato a terzi a titolo di risarcimento del danno provocato con la conduzione di un automezzo dell'Amministrazione stessa (n. 556). IMPORTAZIONE-ESPORTAZIONE Assicurazione crediti all'esportazione 1) Se il Comitato per l'Assicurazione dei Crediti all'Esportazione, di cui all'art. 9 della legge 5 luglio 1961 n. 635 nell'approvare i criteri di ripartizione dei recuperi per capitali e interessi pagati non tempestivamente, possa disporre ch venga operata dall'Ente gestore la trattenuta dello scoperto obbligatorio per l'eventualit di un mancato recupero delle rate dovute dall'importatore anche nelle ipotesi in cui si sia convenzionalmente derogato al sistema legislativo vigente tanto all'epoca della stipula dell'assicurazione, quanto a quello del pagamento dell'indennizzo (n. 29). Importazione zucchero -Rimborso spese di trasporto 2) Se l'obbligo della Cassa Conguaglio di rimborsare le spese di trasporto dello zucchero importato sia condizionato alla destinazione delfo zucchero stesso a consumatori diversi dall'importatore (n. 30). 3) Se l'avviso n. 5 del 8-11-1963 del Comitato Interministeriale abbia portato modificazioni sul punto (n. 31). IMPOSTA DI REGISTRO Impianti industriali Se il primo trasferimento di un impianto' industriale organizzato e funzionante, allo scopo, dichiarato dall'acquirente nell'atto di acquisto ed attuato nel termine di tre anni, di ampliarlo e trasformarlo e renderlo pi efficiente e meglio rispondente alle necessit industriali, possa godere del beneficio della registrazione a tassa fissa (n. 196). IMPOSTA DI SUCCESSIONE Costituzione Se sia manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale degli articoli 45 e 48 della legge tributaria sulle successioni in relazione all'art. 53 Cost. (n. 36). IMPOSTA PROGRESSIVA SUL PATRIMONIO Concordato tributario Quale sia la natura del concordato tributario ed in quale modo possa provarsene l'esiste(lza. (n. 11 ). 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTE E TASSE Agevolazioni fiscali -Capi di famiglia numerosa 1) Quali siano i criteri per l'applicazione dell'art. 10 1. 27 giugno 1961 n. 551 che ha apportato ulteriori agevolazioni fiscali in materia di ricchezza mobile in favore dei capi di famiglia numerosa in rela zione all'imposta sulle iqdustrie, i commerci, le arti e le professioni (n. 362). Benefici fiscali -Retroattivit 2) Sulla retroattivit dei benefici fiscali previsti dalla legge 2 luglio 1945 n. 408 in relazione all'art. 4 d.l.l. 24 aprile 1946 n. 350 (n .363). Imposta concessioni governative -Restituzione -Prescrizione 3) Quale sia il dies a quo del termine triennale di prescrizione del diritto alla restituzione di somme indebitamente corrisposte a titolo di imposta sulle concessioni governative (art. 16 T.U. 20 marzo 1953 n. 112), nell'ipotesi in cui, pagato il tributo per ottenere il rilascio di una licenza di commercio, questa venga rifiutata (n. 364). Imposta consumo sul vino 4) Se il d.P.R. 14 dicembre 1961 n. 1315, emanato in attuazione della delega legislativa contenuta nell'art. 8 della legge 18 dicembre 1959 n. 1079 suil'abolizione dell'imposta comunale di consumo sul vino, sia da considerarsi costituzionalmente illegittimo (n. 365). Ricorso del contribuente -Richiesta di audizione personale 5) Se l'art. 280, comma 3, del t.u. sulla finanza locale, nel testo modificato con l'art. 48 della legge 2 luglio 1952 n. 703, sia da considerarsi costituzionalmente illegittimo (in contrasto con gli artt. !, 24, 113 della Costituzione) (n. 366). Sequestro conservativo 6) Se l'Intendente di Finanza possa richiedere e legittimamente ottenere il sequestro conservativo di beni immobili ai sensi dell'art. 26 della legge 7 gennaio 1929. n. 4 (n. 367). MANDATO ~ Alqrte del mandatario -Estinzione Se con la morte del mandatario si estingua il mandato irrevocabile anche nell'interesse del mandatario e dichiarato espressamente non caducabile nemmeno per i casi di estinzione di cui all'art. 3722 e.e. (n. W). MEZZOGIORNO Cassa per il Mezzogiorno 1) Se la Cassa per il Mezzogiorno abbia diritto, come le Amministrazioni dello Stato, all'esenzione dai diritti e dalle indennit spettanti agli Ufficiali Giudiziari per la notificazione degli atti (n. 26). PARTE II, CONSULTAZIONI 67 Previdenza ed assistenza 2) Sul trattamento previdenziale ed assicurativo delle maestranze agricole impiegate nei lavori di sistemazione idraulico forestale condotti in amministrazione diretta dai Consorzi di Bonifica, a seguito di concessione della Cassa per ;il Mezzogiorno (n. 27). OPERE PUBBLICHE Albo Nazionale dei Costruttori 1) Se possa essere iscritta all'Albo Nazionale dei Costruttori una Societ il cui direttore tecnico stato nominato dal Consiglio di Amministrazione della societ e non dall'assemblea dei soci (n. 56). Appalti di 00.PP. -Revisione prezzi contrattuali 2) Se l'art. 1, secondo comma, della legge 23 ottobre 1963 n. 1481 che prevede la facolt di praticare la revisione dei prezzi quando il costo dell'opera sia aumentato o diminuito oltre il 6% per successive variazioni ctei prezzi correnti, obblighi l'Amm.ne P.:r. ed in generale le Amministrazioni autonome ad adottare il sistema analitico, in conformit all'adozione del Ministero dei LL.PP., o consenta l'adozione del sistema parametrico (n. 57). 3) Se l'art. 2 della legge 23 ottobre 1963 n. 1481, che prevede la applicazione retroattiva delle norme relative alla revisione dei prezzi, si applichi a quelle amministrazioni autonome che in esso non risultino menzionate ed in particolare se si applichi all'Amministrazione P.T. (n. 57). POLIZIA Vendite al pubblico in sede stabile dei propri prodotti Se la legge 9 febbraio 1963 si applichi alla vendita al pubblico in sede stabile di tutti i prodotti agricoli da parte dei coltivatori diretti compreso in questi prodtti anche il vino dei propri fondi (n. 32). POSTE E TELECOMUNICAZIONI Buni postali -Pagamento autorizzato dall'A.G.O. 1) Se l'Amministrazione Postale debba riconoscere efficacia vincolante al provvedimento di un Magistrato relativo al pagamento in favore di un istituto di credito dell'importo di un buono postale fruttifero rinvenuto in una cassetta di sicurezza intestata al debitore del detto istituto (n. 103). Servit telegrafica -Indennizzo Se, ai fini della determinazione dell'indennizzo per la imposizione di servit telegrafica, i criteri sanciti nell'art. 182 del codice postale possano essere integrati con quelli pi dettagliati enunciati nell'art. 123 del t.u. sugli impianti elettrici (r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775) (n. 104). Testimonianza dipende111ti P.T. innanzi all'A.G. 3) Se, ai sensi degli artt. 11 e 12 del Codice postale sia vietato al personale p.t. di dare a terzi informazioni scritte o verbali relative ad operazioni richieste od es.~guite e di dare in visione copie di telegrammi e di altra corrispondenza a persone diverse da mittenti, destinatari o rappresentanti legali . (n. 105). C8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4) Se per le informazioni richieste dal giudice civile, ai sensi dell'art. 213 c.p.c. all'Amm.ne P.T., l'Amministrazione possa opporre il segreto di ufficio sancito nell'art. 11 del Codice Postale (n 105). Titoli di risparmio postali -Interruzione della prescrizione 5) Se gli atti di richiesta o diffida di cui agli artt. 151 e 158 del Codice P.T. intesi ad interrompere il corso della prescrizione relativa a titoli di risparmio postali siano validi solo se effettuati direttamente dall'intestatario del . titolo o dal suo rappresentate, ovvero se il corso della prescrizione possa ritenersi validamente interrotto anche se l'atto di richiesta provenga da un soggetto diverso dal titolare, che ne ratifichi successivamente l'operato (n. 106). PREVIDENZA ED ASSISTENZA Trattamento previdenziale maestranze agricole Sul trattamento previdenziale ed assicurativo delle maestranze agricole impiegate nei lavori di sistemazione idraulico-forestale condotti in amministrazione diretta dai Consorzi di bonifica, a seguito di concessione delia Cassa per il Mezzogiorno (n. 43). PRESCRIZIONE Titoli di risprmio postali Se gli atti di richiesta o diffida di cui agli artt. 151 e 158 del Codice P.T. intesi ad interrompere il corso della prescrizione relativa a titoli di risparmio postali siano validi solo se effettuati direttamente da l'intestatario del titolo o dal suo rappresentante, ovvero se il corso della prescrizione possa ritenersi validamente interrotto anche se l'atto di richiesta provenga da un soggetto diverso dal titolare, che ne ratifichi successivamente l'operato (n. 41). PREZZI Appalti di 00.PP. -Revisione prezzi contrattuali 1) Se l'art. 1, secondo c;omma, della legge 23 ottobre 1963 n. 1481 che prevede la facolt fi praticare la revisione ~ei prezzi quandQ il costo dell'opera sia aumentato o diminuito oltre il 6% per successive variazioni dei prezzi correnti, obblighi I'Amm.ne P.T. ed in generale le Amministrazioni autonome ad adottare il sistema analitico, in conformit tiella adozione del Ministero dei LL.PP., o consenta l'adozione dd sistema parametrico (n. 57). 2J Se l'art. 2 della legge 23 ottobre 1963 n. 1481, che prevede la -~ applicazione retroattiva delle norme relative alla revisione dei prezzi, si applichi a quelle amministrazioni autonome che in esso non risultino menzionate e in particolare se si applichi all'Amm.ne P.T. (n. 57). PROPRIETA' Condominio Quali siano le condizioni perch il condominio possa appoggiare al muro comune, prospiciente nel cortile interno dell'edificio, una canna fumaria (n. 37). PARTE II, CONSULTAZIONI REGIONI Regione Siciliana -Tutela artistica e paesistica Sulla ripartizione delle competenze tra il Ministero della P.I. ed il Presidente della Regione Siciliana nell'esercizio di attivit 'tatale decentrata, ai sensi del d.l.C.P.S. n. 567/1947 ,in materia di tm:i::1~ artistica e paesistica in Sicilia (n. 110) RESPONSABILITA' CIVILE Animali in bandita 1) Se lo Stato sia responsabile per i danni causati ad una autovettura in circolare da un animale selvatico tuoriscito da zona in bandita demaniale (n. 208). Infortuni di militari -Recupero spese da parte della Amministrazione 2) Se l'Amministrazione militare possa agire contro il terzo responsabile dei danni causati a militari in seguito ad incidenti stradali perl recupero di spese mediche, di cura e di degenza e di assegni particolari (n. 209). 3) Se l'Amministrazione militare possa agire contro il terzo responsabile dei danni causati a militari in seguito ad incidenti stradali per il recupero degli assegni e degli stipendi normalmente corrisposti al dipendente (n. 209). 4) Se l'Amministrazione militare possa chiedere la rivalsa delle spese di cura mediche di cura e degenza, erogate a favore di un militare di leva rimasto infortunato in seguito ad incidente stradale al responsabile dell'incidente stesso (n. 209). Responsabilit della P.A. per atti illegittimi .......... 5) Se l'Amministrazione della P.I. possa essere chiamata in garanzia da chi sia convenuto in giudizio per il risarcimento del danno derivante da una costruzione compiuta con il nulla osta della Sovrintendenza ai monumenti che sia stato annullato dal Consiglio di Stato. (n. 210). Responsabilit dell'impiegato verso terzi 6) Se il dipendente possa richiedere all'Amministrazione il rimborso di quanto pagato a terzi a titolo di risarcimento del danno provocato con la conduzione di un automezzo dell'Amministrazione stessa (n. 211). SEQUESTRO Sequestro conservativo Se l'Intendenza di Finanza possa richiedere e legittimamente ottenere il sequestro conservativo di beni immobili ai sensi dell'art. 26 della legge 7 gennaio 1929 n. 4. (n. 19). SOCIETA' Albo Nazionale' dei Costruttori Se possa essere iscritta all'Albo Nazionale dei Costruttori una Societ il cui direttore tecnico stato nominato dal Consiglio di Amministrazione della Soiet e non dall'Assemblea dei soci (n. 104). SPESE GIUDIZIAU A.N.A.S. . . P ,s,lif .1'.4'.~A.:~ PP~.sa. ayval~rl'i Q.,el ,t:r,attal')J.ento riservato alle ,Aromiowtrnz1. u;n staU!,Jj -p~r ;:ttt~ ,e (>Rei)~ gmdJ?:~ali. (p. J;>): Cassa per il Me:z.?,ogiorno 2) Se la Cassa per il Mezzogiorno abbia diritto, come le Amministrazioni dello Stato, all'esenzione dai diritti e dalle indennit spettantiagli Ufficiali Giudiziari per la notificazione degli atti (n. 16). STRADE ~e.strage ~ pj.st,q,nZft JJ-rf.. :9 L. 729/1961 . Se. il diyieto, i;>revist da~l'art. 9. ~e~la legge 24 19-~Q 19;61.. :q. 729, ?i ,_o~~J"\W:~, ;1'~98~.Irc.e O fl.WJ,?hare c~:fl.(;I ,<;> fl!o;tnufatti ~ru q\la1Sia!)l specie ~ ,4i~tanza .1..fe,1ore a n;t;etn 25 ,l