RASSEGNA PUBBLICAZIONE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO DI SERVIZIO ANNO xv - N. 7-8-g LUGLIO-AGOSTO-SETTEMBRE I963 LA CORTE COSTITUZIONALE NEI PRIMI SETTE ANNI DELLA SUA ATTIVITÀ Discorso pronunciato dal Presidente della Corte Gaspare Ambrosini il 22 gennaio 1963 alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni SOMMARIO. - I - Genesi della Corte e varietà delle controversie trattate. - II- Contenuto della giurisprudenza della Corte con riferimento agli argomenti seguenti: ·Competenza della Corte ed instaurazione dei giudizi - Interpretazione - Diritti e doveri - Il principio d'uguaglianza e gli altri prin!:lipi delle " Disposizioni fondamentali » della Costituzione - I diritti tradizionali di libertà (libertà personale, di circolazione, di riunione ed associazione, di manifestazione del pensiero, di agire e di difendersi in giudizio, ecc.) - Il lavoro e la tutela del lavoratori- Contratti collettivi di lavoro e diritto di sciopero - Iniziativa economica, proprietà privata, finalità sociali, espropriazione ed indennizzo - L'esercizio della funzione legislativa ed interpretazione autentica delle leggi - L'esercizio della giurisdizione - L'unità della giurisdizione costituzionale - Caratteristiche di taluni dispositivi delle sentenze - Come è applicato dalla Corte il principio collegiale. - III - La necessità della Corte per la vita ed il progresso dell'ordinamento costituzionale. I - Genesi della Corte e varietà delle controversie trattate Il sistema del controllo di legittimità costituzionale delle leggi è strettamente collegato col sistema della Costituzione rigida, la cui ragione di essere discende dall'esigenza di una realizzazione più completa del valore superiore delle norme della Carta fondamentale rispetto a quelle delle leggi ordinarie. E ciò allo scopo di dare una maggiore garanzia ai diritti dei cittadini e di assicurare che l'attività degli stessi poteri sovrani venga esercitata nei limiti formali e sostanziali stabiliti dalla Costituzione. Si tratta di un'esigenza che era già stata avvertita dai Padri della Costituzione americana, e specialmente da Alex:;t,nder Hamilton, il quale sostenne che, essendo il Costituente il potere superiore dal quale il Legislativo ha attribuite funzioni e facoltà determinate, non può questo, cioè il potere legislativo, esercitarle al di là dei limiti od in senso contrario a quello stabilito dal Costituente nella Carta fondamentale, e che in conseguenza non può essere ritenuta valida una legge che contrasti con la Costituzione. Il principio venne poi in concreto applicato dalla Corte Suprema, a cominciare dalla celebre sentenza resa nel1803 per il caso Marbury v. Madison, nella quale la Corte presieduta da J ohn Marshall affermò che « un atto legislativo contrario alla Costituzione non è legge n. In verità l'affermazione del potere della Corte Suprema di sindacare le leggi approvate dal Congresso non avvenne senza resistenze e senza riserve e critiche mosse anche da grandi personalità della storia americana, a cominciare da J e:fferson ed a finire ai due Roosevelt. Ma ogni opposizione fu superata per la logica del sistema della Costituzione rigida che era stato adottato dalla Convenzione di Filadelfia, per la sapienza e l'alto senso di responsabilità dei giudici e per la sensibilità del popolo americano, che, pur tra tanti contrasti, ha sempre visto nella Corte Suprema l'organo di garanzia dei principi di libertà e di democrazia. * * * In Italia l'esigenza di dare la garanzia massima ai diritti dei cittadini e di evitare che rappresentanti degli organi sovrani travalichino i limiti della loro competenza istituzionale e di garantire, inoltre, l'attuazione del nuovo ordinamento regionale fu sentita, dopo la seconda guerra mondiale, non da ristretti gruppi politici, ma da larghe correnti del Paese, ed in modo determinante dalla maggio~ ranza dei deputati dell'Assemblea costituente, ·che adottò il sistema della costituzione rigida o il sistema del controllo di costituzionalità, affidandolo ad un organo apposito, la Corte costituzionale. -106- La formazione della Corte costituzionale doveva perciò avvenire de plano, giacchè, a differenza della costituzione americana, che non fa alcuna specificazione in proposito (ragione per la quale era stata perfino messa in dubbio la stessa legittimità del suddetto potere di controllo sulle leggi da parte della Corte Suprema), la Costituzione italiana non solo dispone espressamente l'istituzione di tale organo particolare, ma ne indica in modo specifico i compiti. Senonchè quei motivi di opposizione e di diffidenza, che erano stati addotti nei riguardi della Corte Suprema degli Stati Uniti, o motivi simili, od altri motivi dovuti alle particolari condizioni politiche del nostro Paese, e fors'anche il ricordo del fallimento della Corte costituzionale istituita in Germania dopo la prima guerra mondiale secondo il disposto della Costituzione di W eimar del 1919, influirono nell'ostacolare la formazione della Corte. E particolarmente, forse, influì il rilievo~ che il sistema di controllo della Corte costituzionale contrasterebbe (siccome sottolineò Vittorio Emanuele Orlando alla Costituente ed ancora dopo, in uno scritto del 1951 sulla forma di governo in Italia} col sistema del regime parlamentare. È da ricordare inoltre che taluni, anche in buona fede, dicevano che la Corte avrebbe avuto poco da fare, e che l'ufficio di giudice costituzionale sarebbe stato una sinecura. Per varie ragioni adunque passarono quasi otto anni dalla entrata in vigore della Costituzione, prima che la Corte costituzionale venisse costituita. Il 15 dicembre 1955 i Giudici prestarono giuramento, al Quirinale, nelle mani del Presidente Gronchi, il quale, in un alto e nobile discorso rivolto ai Giudici ed al Paese, disse, tra l'altro, che la Corte si inserisce nel complesso sistema di separazione ed equilibrio tra i vari poteri, « come elemento lliei nello stesso tempo moderatore e, per taluni rispetti, anche propulsore delle attività legislative ed esecutive ». Subito dopo il giuramento, i Giudici si riunirono al Palazzo della Consulta, e procedettero all'elezione del primo Presidente, l'antico parlamentare ed ex Capo provvisorio dello Stato e primo Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola. Nei primi tre mesi del 1956 la Corte provvide alla propria organizzazione interna ed all'emanazione delle N orme integrative per lo svolgimento dei giudizi intesi alla decisione delle questioni di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, e dei conflitti di attribUzione tra i poteri dello Stato e tra Stato e Regioni. * * * Il 23 aprile 1956, alla presenza del Presidente della Repubblica, ebbe luogo la prima udienza inaugurale con un memorabile discorso pronunciato dal Presidente De Nicola. Da allora Ja Corte ha svolto la sua alacre e feconda attività con i risultati che passerò ad esporre. Diversi problemi attinenti al funzionamento della Corte sono stati in questo periodo di tempo risolti; altri però ne restano, pure di carattere fondamentale che siamo certi saranno anch'essi presto risolti, come quello attinente alla continuità di vita della Corte alla scadenza del dodicennio dalla sua fondazione, come l'altro della posizione, anche formale, della Corte nell'ambito degli organi costituzionali dello Stato, e l'altro ancora del necessario coordinamento dell'attività della Corte con quella degli altri supremi organi costituzionali nella formazione ed esecuzione delle leggi. * * * Nel discorso inaugurale prounziato il 23 aprile 1956, alla presenza del Capo dello Stato, il Presidente De Nicola credette opportuno enunciare gli intendimenti con i quali la Corte si accingeva. ad adempiere la sua missione. «Spetta a me - egli disse - di dire a Voi qui ed al popolo italiano fuori di qui, con semplicità e chiarezza, senza opulenza verbali, con quali intendimenti ci accingiamo ad adempiere l'alta missione che ci è s.,_tata affidata nel regime democratico che si' fonda sul saggio equilibrio delle forze in perenne ed inevitabile contrasto ». E dopo varie considerazioni aggiunse: << Noi abbiamo questo dono necessario per l'adempimento dei nostri compiti: la fede, accompagnata da una infrangibile fermezza che non ha nulla da vedere con l'arbitrio. Non avremo bisogno nè di sprone nè di freni per la nostra opera non effimera ma duratura attraverso una nuova giurisprudenza, che avrà uno straordinario impulso sulla vita nazionale ». Sia consentito oggi a me, che pur ho tanta minore autorità. del Presidente De Nicola, ma tuttavia non minore fede, di dire a Voi, qui, ed al popolo italiano, fuori di qui, come la Corte ha assolto la sua missione nei primi sette anni della sua attività, e di sottolineare il contributo che ha dato con la sua giurisprudenza allo svolgimento ed alla applicazione di molte disposizioni della Costituzione e degli Statuti delle Regioni (Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta e Trentino-.A.lto .Adige). * * * Non mi dissimulo che sette anni di attività possono sembrare pochi per giudicare un istituto, che non aveva precedenti nel passato ordinamento, rispetto al quale costituisce anzi una innovazione profonda, ma si tratta dei primi sette anni di attività, che per le difficoltà stesse del passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento e per la gravità, delicatezza ed urgenza dei compiti affidati al nuovo ip,tituto, rappresentano un vero ciclo storico. È infatti in questo primo periodo di tempo che la Corte costituzionale ha preso sempre più nettamente forma e vitalità quale custodé·e ·garante d~ll~ legge fondamentale. · Le cifre sulle controversie proposte davanti alla Corte e sulle decisioni emanate basterebbero già a dimostrare quale è stata l'entità del suo lavoro. -101 Se si raffronta il numero dei casi esaminati dalla Corte italiana con quelli della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che fu istituita nel 1790 e che ha perciò 172 an]li di vita, si vede quanto più accentuato sia in questo campo il volume di attivit.1 della Corte italiana. Secondo i calcoli del Corwin, in più di un secolo e mezzo di vita, la Corte Suprema americana ha deciso più di 4000 casi di controversie costituzionali; la Corte italiana in sette anni ne ha deciso proporzionalmente un numero molto superiore. Certamente è difficile dare a tale differenza di cifre un concreto valore, anche ed anzitutto perchè i presupposti e la portata dell'attività delle due Corti sono diversi; ma, comunque, è fuori dubbio che l'entità del lavoro della Corte italiana è imponente. * * * Dall'inizio della sua attività, cioè dal 1956 a tutto il dicembre 1962, sono pervenuti alla Corte gli atti introduttivi di 1364 giudizi, dei quali: 1165 relativi a questioni di legittimità costituzionale di leggi o atti aventi forza di legge proposti in via incidentale con ordinanze dei giudici delle cause principali, 124 relativi a giudizi di legittimità costituzionale proposti in via principale con ricorsi dello Stato e delle Regioni, e 75 relativi a giudizi per conflitti di attribuzione proposti con ricorsi dello Stato e delle Regioni e della provincia di Bolzano. N el settennio trascorso non è stato proposto alla Corte alcun giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nè si è fatto luogo - e speriamo che non si farà mai luogo - a giudizi su atti di accusa. Non si è fatto e non avrebbe potuto nemmeno farsi luogo, dato lo stato della legislazione, a giudizi sull'ammissibilità di referendum abrogativo. Quanto ai giudizi di legittimità costituzionale proposti in via principale, in tutto 124, è da rilevare che 83 furono proposti dallo Stato contro leggi delle quattro Regioni a statuto speciale e della provincia di Bolzano, e 35 dalle suddette Regioni e Provincia contro leggi statali. Si debbono aggiungere 6 ricorsi proposti dalla provincia di Bolzano contro leggi della Regione Trentino-Alto .Adige. In tema di conflitti di attribuzione furono proposti, sempre dal1956 al1962: 32 ricorsi dello Stato contro atti delle quattro Regioni e della provincia di Bolzano, 41 da queste contro atti statali; e 2 dalla provincia di Bolzano contro atti della Regione. La provincia di Trento figura in questo quadro soltanto per un ricorso proposto nei riguardi dello Stato. In tutto adunque furono proposti 75 ricorsi Le sentenze e le ordinanze emanate dalla Corte ammontano rispettivamente a 397 e 199, in tutto 596. Con tali decisioni sono stati però, in realtà, risolti, per effetto di pronuncie ·èmanate con unica sentenza od ordinanza su controversie aventi oggetto simile o strettamente connesso, 1183 giudizi, dei èJ.uali 994 giudizi di legittimità costituzionale proposti in via incidentale, 117 giudizi proposti in via principale e 72 conflitti di attribuzione. 2 È da notare che delle 994 questioni di legittimità costituzionale proposte in via incidentale, 416 vennero giudicate fondate con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, mentre 578 vennero dichiarate non fondate. - Dei 117 ricorsi per questioni di legittimità proposte in via principale, vennero accolti, con conseguente pronuncia di illegittimità delle norme impugnate, 64 ricorsi, dei quali: 51 dello Stato contro leggi delle quattro Regioni e della provincia di Bolzano, 11 di dette Regioni contro leggi statali, e 2 della provincia di Bolzano contro leggi della Regione. N e vennero invece respinti 40, dei quali 13 dello Stato contro leggi regionali, 24 delle Regioni contro leggi statali, e 3 della provincia di Bolzano contro leggi della Regione. Venne pronunciata inoltre l'estinzione di 13 giudizi. Nessun ricorso fu presentato dalla provincia di Trento, nè contro di essa. Dei 72 ricorsi per conflitti di attribuzione, ne vennero accolti in tutto 33, dei quali 22 presentati dallo Stato contro atti delle quattro Regioni e della, provincia di Bolzano, lO dalle suddette Regioni e provincia contro atti dello Stato, ed uno dalla provincia di Bolzano nei riguardi della Regione. Vennero invece respinti 35 ricorsi, dei quali: 5 dello Stato, 29 delle Regioni e provincie di Bolzano e di Trento contro atti dello Stato, ed uno della provincia di Bolzano rispetto alla Regione. Quattro giudizi furono dichiarati estinti. * * * Non mi soffermo sui raffronti e sulle considerazioni cui possono dar luogo le cifre che sono venuto esponendo; qui mi basta averle indicate per mostrare quanto notevole sia stata l'attività svolta dalla Corte nei primi sette anni della sua vita. Rilevo soltanto che il numero delle questioni proposte con ordinanze emesse dai giudici della causa principale non è diminuito, siccome taluni ritenevano dovesse avvenire. N el1962 infatti il numero dei giudizi di legittimità costituzionale proposti in via incidentale è stato di 210, maggiore quindi rispetto alla media di 169 dei precedenti sei anni. È da notare, d'altra parte, che è diminuito il numero degli atti introduttivi dei giudizi di legittimità costituzionale in via principale e dei conflitti di attribuzione; il che può indicare che da parte dello Stato e delle Regioni si tiene conto dei principi affermati dalla Corte nelle sentenze degli anni precedenti. N ello stesso decorso anno il numero delle questioni di legittimità proposte in via incidentale decise dalla Corte è salito a 238, con un notevole aumento rispetto alla media degli anni precedenti, dal 1957 al 1961, che era 126. Nei primi venti giorni del corrente mese di gen~· naio sono già pervenute alla Cancelleria della Corte ben 24 ordinanze di proposizione di questioni di legittimità in via incidentale. 108- II - Contenuto della Giurisprudenza della Corte Competenza della Corte ed instaurazione dei giudizi Passo ad occuparmi della giurisprudenza della Corte, cominciando dalla parte attinente alla sua competenza ed alla instaurazione dei giudizi dinanzi ad essa, particolarmente per il sindacato di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Giova premettere che nel nostro sistema la Corte non ha potere di iniziativa, e che, d'altra parte, nè i cittadini nè altri soggetti dell'ordinamento possono adirla direttamente, giacchè soltanto allo Stato ed alle Regioni è riconosciuto il diritto di impugnare direttamente in via cosidetta principale, l'uno le leggi delle seconde, e viceversa. .Ai cittadini ed agli altri soggetti, come al Pubblico Ministero, è riconosciuta la facoltà di sollevare la questione di legittimità costituzionale soltanto in via cosidetta incidentale, cioè nel corso di un giudizio pendente avanti un organo giurisdizionale al quale poi spetta la potestà di decidere sulla richiesta, ed anche di proporre la questione di ufficio. Orbene, in relazione specialmente ai giudizi proposti in via incidentale, che hanno costituito e costituiscono la maggior parte del contenzioso di legittimità costituzionale, va rilevato che l'interpretazione data dalla Corte alle norme attinenti alla sua competenza ed alle forme e condizioni di introduzione dei giudizi ha facilitato agli interessati la possibilità di arrivare, sia pure in via incidentale, a sottoporre all'esame di essa il maggior numero di questioni. * * * ai decreti che hanno. forza di legge in virtù di una legge di delegazione, ma che non contengono norme giuridiche, sibbene provvedimenti pa,rticolari (sent. n. 59 del 1957). La Corte ha inoltre affrontato il problema del sindacato sulle norme di attuazione degli statuti regionali approvati con legge costituzionale, risolvendolo nel senso che anche a tali norme si estende il giudizio di legittimità, per la ragione che esse non possono considerarsi come norme di mera esecuzione degli statuti regionali (sent. n. 20 del 1956, e nn. 14, 67, 83 del 1962). * * * Quanto al concetto di autorità giurisdizionale legittimata, siccome si è detto, a proporre, su istanza di parte o di ufficio, la questione di legittimità costituzionale, la Corte, intendendo il concetto stesso in senso ampio ed estensivo, ha compreso tra i suddetti organi non solo il giudice ordinario in sede di volontaria giurisdizione, ma altresì: l) i Consigli comunali nella materia del contenzioso elettorale (sent. n. 42 del 1961); 2) le Commissioni tributarie (sent. n. 12 del 1961); 3) il Commissario liquidatore degli usi civici (sent. n. 78 del 1961); 4) la Commissiòne dei ricorsi in materia di brevetti (sent. n. 4 del 1958); 5) i Comandanti la Capitaneria di porto (sent. n. 41 del ·1960). N a tura del tutto particolare, a questo riguardo, presenta la facoltà che la Corte ha dovuto riconoscere a se stessa, di proporre, nel corso di un giudizio dinnanzi ad essa pendente, una questione di legittimità in via incidentale, quando la risoluzione di questa avesse carattere strumentale ai fini della Nella sua prima sentenza (la n. l del 1956) la definizione del giudizio già instaurato. E ciò in Corte ha respinto l'assunto che il giudizio di legit- quanto non può « ritenersi che proprio la Corte, che timità costituzionale si riferisse soltanto alle leggi è il solo organo competente a decidere delle queposteriori alla Costituzione, ed ha affermato invece stioni di costituzionalità delle leggi, sia tenuta ad che si estende anche alle leggi anteriori, sia perchè, applicare leggi incostituzionali >> (ord. n. 22 del dal lato testuale, l'art. 134 della Costituzione e 1960). l'art. l della legge costituzionale 9 febbraio 1948, Parimenti favorevole all'esperimento dei procen. l, non fanno alcuna distinzione, sia perchè, dal dimenti di legittimità è stata l'interpretazione lato logico, << è innegabile che il rapporto tra leggi della Corte relativamente alla constatazione che ordinarie e leggi costituzionali ed il grado che ad nell'ordinanza di proposizione della questione di esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle legittimità il giudice a quo deve fare, a norma del- . fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie l'art. 23 della legge n. 87 del 1953, circa la non anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali n. manifesta infondatezza della questione e circa la Riguardo ai decreti legislativi delegati, il cui rilevanza di questa ai fini della decisione della causa contrasto con le leggi di delegazione era pur stato principale. prospettato nello stesso giudizio come contrasto La Corte ha ritenuto: tra leggi ordinarie non sottoponibili come tali al a) per quanto si riferisce alla non manifesta sindacato di legittimità costituzionale, la Corte ha infondatezza della questione, che sia bastevole la ritenuto che anche questi decreti possono essere menzione nell'ordinanza del dubbio che ha in prooggetto di sindacato, per la considerazione che nella posito il giudice a quo; violazione, che si riscontri in essi, dei criteri e limiti b) per quanto attiene al requisito della rilestabiliti nella legge delegante si sostanzia altresì vanza della questione stessa ai fini della risoluzione una violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione della causa principale, che il giudizio·sulla rilevanza (sent. n. 3 del 1957). · è di competenza del giudice a quo, e che il controllo In base agli stessi criteri, la Corte ha ritenuto della Corte è in materia limitato soltanto all'accerche il giudizio di legittimità costituzionale si estende .. i tamento che tale giudizio sia stato compiutò e sia anche alle cosiddette leggi-provvedimento, cioè }!_;''sufficientemente motivato. . t IT - 109 - Nè la Corte ha ritenuto di sindacare, rispetto alla causa principale, la competenza del giudice che ha emesso l'ordinanza di proposizione della questione di legittimità, purchè tale ordinanza provenga da un'autorità giurisdizionale. Rilevando che il giudizio di legittimità costituzionale si svolge non nell'interesse privato ma pubblico, e che ha perciò caratteristiche proprie che lo differenziano da qualsiasi altro procedimento, la Corte ha stabilito che il processo di costituzionalità non è suscettibile di essere influenzato dalle vicende del processo principale dal quale ha ricevuto impulso: non trovano perciò applicazione nel processo costituzionale le norme sulla sospensione, interruzione ed estinzione del processo ordinario (sent. n. 50 del1957). Avuto una volta ingresso con l'ordinanza di rinvio, il giudizio di costituzionalità diventa autonomo, assolutamente indipendente dal giudizio principale che lo ha occasionato (sent. n. 57 del 1961). * * * Vengo ora a parlare del contenuto sostanziale della giurisprudenza della Corte, che si esplica nella interpretazione sia delle leggi ordinarie impugnate che delle riorme della Costituzione addotte come violate da tali leggi. Sarebbe oltremodo interessante, se il tempo a disposizione lo consentisse, esaminare anzitutto i criteri di interpretazione adottati. In proposito basti dire che la Corte non ha seguito criteri rigidi, ma ha fatto ricorso, secondo la particolarità dei casi ed il carattere speciale delle norme e degli istituti sottoposti al sno esame, ai vari metodi e criteri di interpretazione. Ricorderò soltanto, per il rilievo che ha avuto in tante sentenze, quello evolutivo, del quale la Corte si è avvalsa fin dalla prime sentenze (nn. 3 e 8 del1956), affermando che « non può non tenere il debito conto di una costante interpretazione giurisprudenziale che conferisce al precetto legislativo il suo effettivo valore nella vita giuridica, se è vero, come è vero, che le norme sono non quali appaiono proposte in astratto, ma quali sono applicate nella quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci n, ed interpretando cosi la norma in esame « non nel sistema in cui essa storicamente ebbe nascimento, bensi nell'attuale sistema nel quale vive». E ricorderò altresi il metodo logico-sistematico, per il quale basta citare la sentenza n. 121 del1957, nella quale la Corte ha fatto esplicitamente richiamo al principio « che le norme della Costituzione non van:p.o considerate isolatamente, bensi coordinate fra di loro, onde ricavarne lo spirito al quale la Costituzione si è informata e secondo il quale deve. essere interpretata ». Questo metodo logico-sistematico, che naturalmente vale per la interpretazione di tutte le norme giuridiche, assume maggior rilievo per le norme della Costituzione, non soltanto per la particolare natura di queste ultime, ma anche per il fatto che la Costituzione, avendo carattere composito, afferma principi che potrebbero apparire divergenti se non addirittura contrastanti (come il principio della solidarietà sociale rispetto a quello dei diritti individuali), e che la Corte, nella sua interpretazione, deve coordinare ed armonizzare nel quadro unitario dell'ordinamento costituzionale. Credo opportuno indicare, rispetto all'interpretazione delle leggi ordinarie, un altro principio affermato dalla Corte. Quando la disposizione di legge impugnata dà adito a varie interpretazioni, taluna in senso non contrastante e taluna in senso contrastante con la norma costituzionale addotta come violata, la Corte si è ispirata al criterio che debba prevalere l'interpretazione conforme alla Costituzione (sentenze nn. 3, 8 del 1956; 26 del 1961). * * * Non m1 e possibile, in questa sede, per ovvie ragioni di tempo, dare neanche la semplice indicazione delle leggi ed atti aventi forza di legge impugnati, attinenti alle materie più disparate, su cui la Corte ha portato il suo esame, nè tanto meno mi è possibile accennare al contenuto di alcuna pronuncia. Credo invece che non posso omettere di fare menzione, sia pur sommaria, della giurisprudenza della Corte in ordine alle norme costituzionali che nei vari e numerosi giudizi sono state assunte come violate, e sulle quali perciò la Corte ha dovuto egualmente portare il suo esame. Al quale proposito è opportuno notare che l'interpretazione delle norme costituzionali è più delicata ed impegnativa di quella delle leggi ordinarie, sia per la interdipendenza e la complessità, cui ho dianzi accennato, delle disposizioni della Costituzione, sia per il carattere naturalmente più ampio e generico proprio di tanti articoli di essa, e sia ancora, e maggiormente, per gli effetti e le ripercussioni che l'interpretazione delle norme della Carta fondamentale determina non soltanto nei casi di dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme ordinarie impugnate che cessano di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, ma anche, data l'autorità morale di tali pronunce, nei casi nei quali le questioni sottoposte al giudizio della Corte vengono dichiarate infondate. Ciò non toglie in questa seconda ipotesi, dato che le sentenze della Corte non hanno, come nella prima, carattere di definitività ed irrevocabilità, che le questioni con esse decise possano nuovamente venire sottoposte all'esame della Corte stessa (sent. n. 21 del 1959). * * * Mi limiterò ad accennare, sia pur in modo inadeguato ed inevitabilmente lacunoso, ad alcuni principi affermati dalla Corte che, per la loro vasta portata, possono considerarsi più caratteristici e fondamentali. Va anzitutto considerato il sistema di quéi diritti dell'uomo, che provengono dalle Dichiarazionia mericana e francese, ma che assumono una portata più ampia nelle Costituzioni attuali, e specie in quella italiana. -110- N ella Costituzione italiana, infatti, vi ha non soltanto l'innovazione, comune alle altre costituzioni, dell'estensione dei diritti dal tradizionale campo strettamente giuridico a quello economicosociale, ma una innovazione maggiore, in quanto la Costituzione considera l'uomo, siccome dice l'art. 2, << sia come singolo, sia nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità », ed in quanto, dopo la proclamazione dei diritti, afferma, altresì, l'esigenza dell'(( adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ». Già nella sua prima sentenza la Corte affrontò il problema della coesistenza e del contemperamento dei diritti e dei doveri, affermando che la disciplina dell'esercizio di un diritto non importa di per sè violazione o negazione di esso, e che, << se pure si pensasse che dalla disciplina dell'esercizio può derivare indirettamente un certo limite del diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e che nello ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perchè possano coesistere nell'ordinata coesistenza civile». Ribadendo in altre sentenze questo principio generale, la Corte ha altresì affermato che l'intervento del legislatore nel dettare una tale disciplina dell'esercizio dei diritti deve ritenersi ammissibile non soltanto quando la stessa Costituzione faccia in proposito un espresso rinvio alla legge ordinaria (come negli artt. 14, 16, 21, 39, ecc.), ma anche in mancanza di un tale espresso rinvio. La Corte, d'altra parte, ha nel contempo affermato: l) che tale intervento del legislatore incontra anzitutto un confine insuperabile nella necessità che il diritto di cui si regola l'esercizio <> (sent. n. 28 del 1957). D'altra parte, da questa stessa interpretazione consegne che non è neppure ammissibile che a situazioni diverse sia imposta una identica disciplina legislativa. <> (sent. n. 53 del 1958). .A questi principi generali discendenti dalla << disposizione fondamentale » dell'art. 3, la Corte si è costantemente orientata nell'interpretare molte disposizioni di altri articoli della Costituzione e degli statuti delle Regioni (sentenze nn. 53, 56 del 1958; 5, 12, 15, 33 dell960; 42, 64 dell961; 5, 7, 8, 29, 48, 65 del 1962). * * * Lo stesso è a dirsi per i principi generali affermati nelle successive << disposizioni fondamentali ». Riguardo all'art. 4, ai sensi del quale << la Republica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto », la Corte ha detto, nella sentenza n. 3 del 1957, che << trattasi di un'affermazione sul piano costituzionale della importanza sociale del lavoro, che costituisce un invito al legislatore a che sia favorito il massimo impiego delle attiVità libere nei rapposti economici »; e nella sentenza n. 5:f dello-stesso anno ha affermato che <<è appunto nell'ambito di questa generale direttiva (art. 4) >> che deve mantenersi il legislatore. 111- * * * .Al lume dei principi affermati nell'altra « disposizione fondamentale » dell'art. 5 sono state emanate n~merose sentenze, specie, siccome dirò appresso, ;per la decisione delle controversie riguardanti l'ordinamento regionale. .Al principio affermato dal successivo art. 6 circa la tutela delle minoranze linguistiche si ricollegano le pronunce con le quali sono state decise questioni relative all'uso della lingua nelle Regioni mistilingui .Alto-Adige e Valle d'Aosta (sent. nn. 32 del 1960 e 116 del 1961). * * * Del sistema degli artt. 7 e 8 la Corte ha precisato i lineamenti nella sentenza n. 125 del1957: « N egli artt. 7 e 8 - ha affermato la Corte - il Costituente ha dettato, rispettivamente per la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, norme esplicite, le quali non ne stabiliscono la 1c parità », ma ne differenziano invece la situazione .giuridica, che è, sì, di eguale libertà (come dice l'art. 8, primo comma), ma non di identità di regolamento dei rapporti con lo Stato. Infatti, mentre l'art. 7, primo comma, dichiara che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ognuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani », l'art. 8, secondo comma, :detta che « le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con lo ordinamento giuridico italiano». * * * È opportuno infine notare che la Corte ha avuto l'occasione di occuparsi del principio sancito nello .art. 10, per cui l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. A questo proposito mi sia concesso rilevare che nel nuovo clima di cooperazione mondiale, che è stato rafforzato anche dagli eventi del Concilio ecumenico, i principi di libertà e di democrazia costituiscono ormai un linguaggio comune, talchè, .anche se diverse sono le vie che conducono alla loro realizzazione e quindi varie le procedure e le modalità della loro garanzia, quella favella comune avvicina ed affratella gli individui e i popoli e ·quindi coloro che, come noi, sono chiamati ad interpretarne gli ordinamenti; dico, come noi, Giudici delle Corti costituzionali. Sotto questo .aspetto particolarmente proficui, ritengo, sono stati i contatti che la Corte italiana ha avuto con quella della Germania federale, specie nelle riunioni di studio tenute a Roma e a · Karlsruhe e con le Corti degli altri Paesi. Oggi mi è pertanto gradito rivolgere un parti ·colare saluto alla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che per prima affermò il principio del ()Ontrollo di legittimità costituzionale delle leggi, e che compie ora 172 anni di vita. Ed un caro saluto 3 rivolgo ai colleghi della Corte della Germania di Bonn, nata quasi contemporaneamente alla nostra, ed a quelli del lontano Giappone, delle Filippine, con i quali si sono avuti rapporti diretti, ed alle Corti di tutti i Paesi che, si può be:Q. dJr~, costituiscono supreme assise del diritto, fondamento degli Stati e presto, speriamo, anche della Comunità internazionale . * * * Dopo questi brevi cenni sulle suindicate « disposizioni fondamentali » della Costituzione, vengo a parlare della giurisprudenza della Corte su alcuni dei tradizionali diritti di libertà contemplati nel titolo 1° della parte prima, riguardante i cc rapporti civili)). Rispetto al diritto di libertà personale, di cui all'art. 13, la Corte ha affermato che la disposizione di tale articolo non va intesa cc quale garanzia di indiscriminata libertà di condotta d!el cittadino » o quale cc illimitato potere di disposizione della propria personalità fisica, bensì come diritto a che l'opposto potere di coazione· personale, di cui lo Stato è titolare, non sia esercitato se non in determinate circostanze e col rispetto di talune forme ». Si tratta del riconoscimento dei tradizio· nali diritti di habeas corpus. cc La libertà personale si presenta pertanto come diritto soggettivo perfetto nella misura in clù la Costituzione impedisce alle autorità p1;1.bbli,che l'esercizio della potestà coercitiva personale)) (sentenze nn. 2 e 11 del 1956). La Corte ha d'altra pa,rte escluso che, in base .all'art. 13, il cittadino possa pretendere di essere esente dagli obblighi imposti dalla solidarietà sociale, come, ad esempio, quelli segnati dell'art. 652 prima parte, del Codice penale (sent. n. 49 del1959). Riguardo all'art. 16, che afferma la libertà di circolazione sul territorio nazionale salvo le limitazioni che la legge stabilisce cc per motivi di sanità e di sicurezza », la Corte, mentre ha recisamente esclusa qualsiasi restrizione determinata da ragioni politiche, ha precisato che ai cc motivi di sanità e di sicurezza )) possono ricondursi anche i motivi di cc ordine, sicurezza pubblica e pubblica moralità». La Corte ha respinto la tesi che il termine cc sicurezza )) riguardi solo l'incolumità fisica, affermando che cc sembra razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola cc sicurezza)) il signicato di cc situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto è possibile, ·il pacifico esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza ». Quanto alla cc moralità », la Corte ha escluso che si possa tenere conto delle convinzioni intime del cittadino di per se stesse incoercibili, nonchè delle teorie in materia di moralità. Ha però, d'altra parte, nettamente affermato che cc i cittadini hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali, quando queste risultino pi'egiudizievoli anche alla sanità o creino situazioni ambien--· tali favorevoli allo sviluppo della delinquenza comune » (sent. n. 2 del 1956 e, da ultimo, sent. n. 126 del 1962). - 112 Riguardo alla libertà di riunione, di cui allo art. 17, la Corte ha, tra l'altro, affermato che le norme di tale articolo valgono per ogni specie di riunione (comprese quelle di carattere religioso), osservando che esse norme si ispirano « a così elevate e fondamentali esigenze della vita sociale da assumere necessariamente una portata ed efficacia generalissime, tali da non consentire la possibilità di regimi speciali» (sent. n. 45 del 1957). Circa il diritto di associazione, di cui all'art. 18, la Corte ha ritenuto che esso debba essere garantito non soltanto nell'aspetto positivo, ma anche in quello negativo, cioè nella libertà di non associarsi. È da rilevare che nell'interpretare in questo senso l'art. 18, la Corte ha fatto ricorso, come già in una delle prime sentenze (la n. 4 del1956, relativa all'istituto del « maso chiuso » proprio della provincia di Bolzano), al criterio storico, affermando che il precetto dell'art. 18 deve essere interpretato « nel contesto storico che lo ha visto nascere, e che porta a considerare quella libertà non soltanto sotto l'aspetto che è stato definito positivo, ma anche sotto l'altro, negativo, che si risolve nella libertà di non associarsi» (sent. n. 69 del1962). * * * Numerose sono le sentenze della Corte sulla libertà di manifestazione del pensiero di cui allo art. 21. N e richiamo solo alcune: la prima (la n. l del 1956), nella quale si respinge la tesi che la Costituzione importi una distinzione tra (( marufestazione )) e (( divulgazione )) del pensiero, e si afferma il principio per cui la stampa non può essere assoggettata ad autorizzazione, escludendo tuttavia che << con la enunciazione del diritto di libera manifestazione del pensiero la Costituzione abbia consentito attività le quali turbino la tranquillità pubblica, ovvero abbia sottratta alla polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei reati; le sentenze nn. 31 e 115 del 1957, nelle quali, in base ai principi già enunciati nella suddetta sentenza, si afferma che deve distinguersi in materia di stampa tra << autorizzazione >> non ammessa e semplice << registrazione >> che è invece ammissibile; la sentenza n. 33 del1957, che tale distinzione applica nei confronti dell'art. 121 del testo unico leggi di P. S., relativo ai vari mestieri girovaghi, tra cui quello di venditore e distributore di scritti, disegni o stampati; la sentenza n. 121 del1957 in materia di spettacoli teatrali e cinematografici, dove si precisa la distinzione tra il controllo sul contenuto delle opere da rappresentare, che non è ammesso, e quello che può chiamarsi << polizia dello spettacolo >> che è ammesso; la sentenza n. 44 del1960, nella quale si esclude che sotto il termine << censura » (vietata per la stampa dall'art. 21) possa comprendersi il controllo che il direttore del giornale è tenuto a compiere sotto la sua responsabilità su quanto nel giornale stesso si pubblica; la sentenza n. 38 del1961 nella quale si precisa che per << stampa » deve intendersi, ai sensi dello art. 21, la manifestazione del pensiero a mezzo della stampa e. su stampati, e non anche l'attività. materiale che ne perm()tte la. rinroduzione. Alle sentenze riguardanti la libera manifestazione del pensiero possono ricollegarsi quelle sulla libertà di insegnamento e sulla scuola in genere, di cui agli artt. 33 e 34. * * * Degne di particolare rilievo, anche per le immediate ripercussioni di ordine economico, sono le numerose decisioni riguardanti il principio, che storicamente diede luogo all'avvento della rappresentanza politica e che è ora enunciato nell'art. 23, per cui nessuna prestazione personale o patrimonìale può essere imposta se non in base alla legge. La Corte ha precisato anzitutto che il !termine <>. Resta però ben fermo, anche in questi casi, il principio generale che il legislatore deve, al fine della effettiva garanzia della libertà e proprietà individuale, fissare i criteri idonei a limitare la discrezionalità delle autorità, sì da evitare ogni eventuale loro arbitrio nella determinazione della prestazione (si vedano, per tutte, la sent. n. 4 7 del 1957 e la n. 48 del 1961). * * * Circa il diritto di agire e di difendersi in giudizio~ di cui all'art. 24, la Corte ha affermato che tale diritto, che è riconosciuto per tutti, non può essere negato, nè il suo esercizio può avere limitazioni per i cittadini meno abbienti. Ed in conseguenza ha dichiarato illegittimo l'antico principio del solve et repete (sent. n. 21 del 1961). La Corte ha poi affermato che il diritto di difesa spetta al cittadino non solo per i procedimenti giudiziari, ma anche per quelli amministrativi e, che requisito imprescindibile di tale diritto è, tra gli altri, il << contraddittorio » "{sentenze n. 2 del 1956 e n. 59 del 1959). ·" · Circa le norme degli artt. 25 e 27 riguardanti l'ordinamento giuridico penale, hanno trovato in varie sentenze naturale precisazione i principi -113- fondamentali del giudice naturale precostituito per legge, della legalità della pena e della tassatività in genere della legge penale, della personalità, della responsabilità penale, dell'irretroattività della legge; principio quest'ultimo che, secondo la Corte, la Costituzione ha accolto soltanto per le leggi penali (sentenze n. 118 del 1957, n. 29 del 1958, n. 27 del 1961, nn. 15, 29, 88 del 1962). Circa il principio della responsabilità civile dello Stato, di cui all'art. 28, va richiamata la sentenza n. l dell962, nella quale la Corte ha ritenuto che tale responsabilità dello Stato sussiste anche verso i suoi dipendenti; osservando che, « per quanto ampia possa essere, in ipotesi, la sfera nella quale il legislatore può regolare i rapporti tra lo Stato e i suoi dipendenti anche agli effetti della responsabilità verso di essi, non è lecito disconoscere che s:trebbe in contrasto con il precetto fondamentale contenuto nell'art. 28 della Costituzione una legge che adottasse una disciplina tale da escludere in tutto, più o meno manifestamente, la responsabilità)). * * * Rispetto alla materia del lavoro e della tutela dei lavoratori specialmente contemplata negli artt. 35, 36, 37 e 38 della Costituzione, la Corte si è sempre orientata nelle sue decisioni ai principi fondamentali dell'art. 1, che pone il lavoro a fondamento della Repubblica democratica, dell'art. 3, che dichiara essere compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, e dell'art. 4 che, dopo aver affermato il diritto ed il dovere del lavoro, proclama che la Repubblica « promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto )). Al lume di questi principi generali sono state interpretate le disposizioni specifiche dei suaccennati artt. 35-38 per la soluzione delle questioni concernenti le condizioni e la tutela del lavoro, la retribuzione ed il minimo di trattamento economico .. dei lavoratori, la loro formazione professionale, le garanzie per la donna lavoratrice, l'occupazione dei mutilati ed invalidi di guerra e del lavoro, il riposo settimanale, le ferie annuali retribuite, l'assistenza e previdenza sociale, ecc. (sentenze nn. 52, del 1957; 7, 30, 32, 66, 78 dell958; 30, 38, 70 del 1960; 55 del 1961; 41, 76 del 1962). * * * Particolarmente delicata si è presentata la soluzione delle controversie riguardanti la effettiva portata degli artt. 39 e 40; e ciò Jlrincipalmente a causa della non ancora avvenuta emanazione delle leggi sull'esercizio dei diritti contemplati in questi articoli. Quanto all'art. 39, che attribuisce ai sindacati liberamente costituiti e registrati, la potestà di stipulare contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, la Corte ha affermato, in una recente sentenza (n. 106 del 1962), che «una legge la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima ». Considerando tuttavia che non è stata ancora emanata la legge necessaria per regolaree le forme ed il procedimento previsti dall'art. 39, la Corte ha ritenuto che la legge impugnata del 14 luglio 1959, n. 741, contenente delega al Governo di emanare norme giuridiche con l'obbligo di uniformarsi alle clausole dei contratti collettivi stipfìlati dalle associazioni sindacali prima dell'entrata in vigore della legge stessa, potes~e considerarsi di natura « transitoria, provvisoria ed eccezionale », e come tale non diretta ad attuare il sistema previsto dall'art. 39 della Costituzione, e perciò con esso non contrastante. D'altra parte, secondo questo stesso criterio, la Corte ha ritenuto viziata da illegittimità costituzionale la legge successiva l o ottobre 1960, n. 1027, per la ragione che essa legge conteneva una reiterazione della delega disposta con la suddetta legge n. 741 del 1959, e che pertanto, a differenza di questa, non le si potevano riconoscere i suaccennati Qaratteri di transitorietà ed eccezionalità. * * * Fronunciandosi sul disposto dell'art. 40, per cui ((il diritto di sciopero è esercitato nell'ambito delle leggi che lo regolano », la Corte ha affermato, nella recente sentenza n. 123 del 1962, che lo sciopero è legittimo allorchè è rivolto a conseguire fini di carattere economico; ha tuttavia chiarito che la tutela concessa ai rapporti economici non rimane circoscritta alle sole rivendicazioni di indole salariale, ma che si estende a tutte quelle riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori. Il diritto di sciopero non può essere disconosciuto nei confronti dei dipendenti di imprese di gestione di servizi pubblici (come quelli svolti dai dipendenti di una azienda tramviaria automobilistica municipale) che non sono attinenti alla soddisfazione di esigenze assolutamente essenziali alla vita della collettività nazionale. Nell'individuare, in mancanza della suddetta regolamentazione legislativa prevista dall'art. 40, i limiti in cui l'esercizio del diritto di sciopero può ritenersi consentito, la Corte ha ritenuto che si possono fare valere solo quelle limitazioni che si desumono in modo necessario o dal concetto stesso dello sciopero oppure dalla necessità di contemperare le esigenze dell'autotutela di categoria con le altre discendenti da interessi generali, i quali trovano ugualmente diretta protezione in altri principi consacrati nella Costituzione. È pertanto da considerarsi legittimo lo sciopero di solidarietà allorchè la sospensione del lavoro venga effettuata in appoggio a rivendicazioni di carattere economico cui si rivolga uno sciopero già in via di svolgimento ad opera di lavoratori appartenenti alla stessa categoria dei primi sciopèrant;, e sia accertata l'affinità delle esigenze che motivano l'agitazione degli uni e degli altri; ma non può invece comprendersi nell'ambito del diritto riconosciuto dall'art. 40 lo sciopero di carattere politico. - 114- Ribadendo i principi ge~erali ·enunciati in questa sentenza n. 123, la Corte ha precisato nella successiva sentenza ·(n. 124 del 1962) sullo sciopero dei marittimi, che il diritto di sciopero, in via di massima ad essi non disconoscibile, incontra un limite invalicabile segnato dalla necessità di evitare il pericolo di danni a beni e sopratutto a persone, ed ha aggiunto che un pericolo di tal genere è inerente << ad ogni sospensione o irregolarità del:tff prestazione del lavoro. da parte dell'equipaggio di una nave, dopo l'inizio del viaggio e durante l'intero periodo della navigazione, fino al compimento del medesimo>>. * * * Riguardo agli artt. 41 e 42, che riconoscono i dirittieconomici (iniziativa economica e proprietà priv,ata), sottoponendoli nel contempo, per fini di utilità sociale, a vincoli e limiti da stabilirsi con legge, ed in riguardo all'art. 43, in base al quale ugualmente ai fini di utilità generale, la legge può riservar.e originariamente o trasferire allo Stato o ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese che si rìferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio, la Corte ha precisato, in numerose sentenze, la portata delle norme di tali articoli, considerandole nel loro sistema unitario, in un quadro di insieme. Molte di queste sentenze meriterebbero di essere richiamate; ma, non essendomi qui possibile farlo, ne indicherò solo qualcuna particolarmente interessante in ordine alla disciplina dell'esercizio dei poteri in materia attribuito al legislatore. Mi riferisco principalmente alla precisazione di quel principio della riserva di legge, che, come ho già detto, è elemento essenziale della garanzia della libertà in generale, e che i suddetti artt. 41, 42 e 43 riaffermano in ordine ai vari casi in essi contemplati. La Corte ha precisato che per l'adempimento del detto principio non basta che la legge determini i fini di interesse sociale da raggiungere, ma che occorre altresì che essa contenga' la specificazione di tali fini, la precisazione dei crite:H da seguire per il raggiungimento dei fini stessi, l'indicazione dei mezzi e la determinazione degli organi preposti alla loro attuazione (vedi, tra le tante, la sentenza n. 35 del 1961). . È opportuno ricordare che tra i fini di utilità sociale che giustificano i limiti costituzionali alla libertà di iniziativa economica, la Corte ha compreso l'esigenza dell'assunzione obbligatoria nelle imprese private di mutilati e invalidi di guerra e del lavoro (sent. n. 38 del 1960). * * * Per i riflessi sulla estensione della libertà di iniziativa economica privata, sembra degna di particolare menzione la sentenza n. 129 del 12 ·dicembre 1957, con la quale la Corte ha affermato che: << tra i fini sociali in funzione dei quali la Costituzione consente di porre con legge ordinaria limiti alla libera iniziativa economica. ed· allà proprietà privata, preminente è assicurare l'adempimento dell'obbligo tributario e la P!Ogressività delle imposte, principi consacrati n~ll'art. 53 della Costituzione, alla cui attuazione .. non è dnbbio che la nominatività dei titoli azionari possa essere diretta>>. · * * * La Corte s1 e altresì occupata dei concetti di espropriazione e di indennizzo, non accogliendo la tesi che l'indennizzo debba necessariamente commisurarsi al valore venale, ma contemporaneamente affermando che, in ogni caso, «l'esigenza di un indennizzo non può ritenersi soddisfatta con disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo apparente o puramente simbolico » (sentenze nn. 61 e 118 del 1957; 46 e 47 del 1959; 5 del 1960). Per la precisazione dei caratteri dei fini di utilità generale e delle situazioni di monopolio di cui all'art. 43, va particolarmente citata, anche per la risonanza che ha avuto, la sentenza n. 59 del 1960 sui servizi della radiotelevisione. .Alla norma dell'art. 44 si -riconnettono numerose sentenze emanate dalla Corte in materia di riforma fondiaria. * * * · Riguardo ai rapporti politici di cui al titolo 4 della parte prima, la Corte si è pronunziata, tra l'altro, sul principio dell'eguaglianza del voto, sui requisiti stabiliti dalla legge per l'accesso dei cittadini a,lle carriere pubbliche, sul diritto dei cittadini chiamati a funzioni pubbliche elettive a conservare il loro posto di lavoro, ecc. (sentei)..Ze n. 56 del 1958; n. 6 del 1960 e n. 43 del 1961). * * * Particolare rilievo meritano alcune sentenze che in vario modo si riferiscono all'esercizio della funzione legislativa. Richiamo la sentenza n. 9 del 1959, nella quale la Corte ha affermato che è costituzionalmente sindacabile il procedimento di formazione delle leggi anche rispetto alla cosiddetta procedura decentrata prevista dall'art. 72, terzo comma. Non sembra dubbio che « se la procedura cosi detta decentrata fosse applicata per l'approvazione di un disegno di legge rientrante tra quelli elencati nell'ultimo comma dell'art. 72, si avrebbe un vizio del procedimento di formazione della legge costituzionalmente rilevante, perchè consistente in una violazione della stessa Costituzione >>. D'altra parte la Corte ha escluso «che l'art. 72, deferendo al regolamento della Camera di stabilire in quali casi e forme un disegno di legge può essere assegnato a Commissioni in sede legislativa, abbia posto una norma in bianco con la conseguenza che le disposizioni inserite a tale riguardo da una Camera nel suo regolamento assumano if valore di norme costituzionali >>. Ed in conseguenza ha ritenuto, che per ciò che riguarda l'interpretazione dell'art. 40 del regolamento della Camera, che -115 esclude la procedura decentrata per l'approvazione dei progetti in materia tributaria, debba considerarsi decisivo l'apprezzamento della Camera stessa, e che non possa perciò farsi luogo al sindacato di legittimità costituzionale. N ella stessa sentenza la Corte ha affermato la sindacabilità del procedimento di formazione della legge anche in riguardo all'osservanza dell'art. 70, per cui, essendo il potere legislativo esercitato dalle due Camere collettivamente, occorre che il testo approvato dall'una concordi con quello approvato dall'altra, ed ha altesì precisato il senso dei termini «votazione finale >> e « approvazione definitiva >> adoperati nel primo e nel terzo comma dell'art. 72. La successiva sentenza n. 39 del 1959 contiene, a sua volta, una notevole precisazione circa il significato dell'espressione «tempo limitato n, la cui determinazione da parte delle Camere e la cui osservanza da parte del Governo costituiscono una condizione prescritta dall'art. 76 per la legittimità dell'esercizio del potere legislativo delegato da parte del Governo. La Corte, dopo avere rilevato che «funzione legislativa n è quella che, secondo l'art. 70 della Costituzione, è esercitata collettivamente dalle due Camere, ha affermato che « il tempo limitato >> da prestabilirsi nella legge di delegazione, << concerne precisamente l'esercizio di tale funzione, e non comprende invece adempimenti successivi a quell'esercizio, che si è esaurito con l'emanazione del provvedimento legislativo, posto che gli adempimenti stessi competono ad altri organi di natura amministrativa>>. <> (sentenze nn. 118 del 1957 e 9 del1959). * * * Per il contributo alla determinazione del concetto di libertà ed indipendenza del giudice, degna di menzione è la sentenza n. 8 del20 febbraio 1962, con la quale la Corte ha stabilito che gli artt. 101, 102, 104 e 111 della Costituzione garantiscono la libertà e l'indipendenza del giudice nel senso di vincolare la sua attività alla legge e solo alla legge, in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza interferenze ed interventi al di fuori di essa, che possano influire sulla formazione del suo libero convincimento; ma, d'altra parte, non escludono la possibilità che il legislatore emani norme le quali, senza incidere su tale principio, tendano a regolare l'attività degli organi giurisdizionali dettando disposizioni vincolanti per il giudice. * * * Uno dei problemi principali che la Corte ha dovuto affrontare in riguardo all'ordinamento giurisdizionale è stato quello della sopravvivenza delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione. La Corte ha ritenuto che dal principio dell'unità della giurisdizione, affermato dall'art. 102, sarebbe, indubbiamente derivata la cessazione del funzio~ namento di tali giurisdizioni se altrimenti non fosse stato disposto, e che perciò non alla automatica soppressione di esse doveva addivenirsi, sibbene alla <> ad opera del legislatore ordinario. Questa volontà del Costituente di procedere gradualmente a tale revisione risulta indirettamente dai successivi artt. 103 e 111, nei quali si fa riferimento a giurisdizioni speciali diverse dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, e ancora più espressamente dalla VI disposizione transitoria. Circa quest'ultima norma, che stabilisce il termine di cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione per tale opera di revisione, la Corte ha ritenuto che questo termine non ha carattere perentorio. Ha, d'altra parte, precisato che anche presso gli organi di tali giurisdizioni devono essere garantiti sia il diritto di difesa, sia l'idoneità, l'indipendenza e l'imparzialità del giudicante, osservando che tale garanzia, prima ancora di essere scritta in disposizioni particolari della Costituzione, come l'art. 108, riposano nel complesso delle norme costituzionali relative alla magistratura e al diritto di difesa (sentenze nn. 12 e H del 1957 e 92 del 1962). Quanto alle sezioni specializzate che possono venire istituite presso gli organi giudiziari ordinari in base all'art. 102, secondo comma, la Corte ha. ritenuto che l'istituto delle sezioni specializzate va configurato non come un tertium genns fra le giurisdizioni speciali e la giurisdizione ordinaria, bensì come species di questo ultimo. E mentre ha escluso che sia motivo di illegittimità costituzionale la prevalenza numerica nella composizione di talune di queste sezioni degli «esperti>> rispetto ai giudici togati, ha tuttavia ribadito che anche questi esperti debbono avere quei requisiti di idoneità e_~ indipendenza ed imparzialità che, siccome si è detto, sono necessari per tutti i giudici in genere (sent. n. 108 del 1962). -116 l.Ja Corte si è anche occupata delle disposizioni della Costituzione riguardanti i Tribunali militari (sentenze nn. 119 del1957 e 29 del1958). Con riferimento all'art. 112, la sentenza n. 22 del 1959 ha affermato il principio dell'obbligo dell'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero, escludendo che tale esercizio possa essere rimesso ad una valutazione discrezionale. Il quale principio dell'obbligatorietà non impedisce, peraltro, che la legge stabilisca in via generale determinate condizioni perchè l'azione penale possa essere promossa e proseguita. * * * r.,argamente impegnata è stata l'attività della Corte nel campo dell'ordinamento regionale. Nel risolvere le questioni sottoposte al suo esame dallo Stato e dalle singole Regioni finora costituite, sia in sede di sindacato di legittimità costituzionale delle leggi statali o regionali, sia in sede di decisione di conflitti di attribuzione per atti amministrativi che lo Stato o le Regioni assumevano rientrare nella. sfera della propria competenza, la Corte ha sempre sentita ed affermata la necessità di coordinare ed armonizzare i due principì fondamentali dell'unità ed indivisibilità dello Stato, da un lato, e dell'autonomia regionale, dall'altro, che sono stati contemporaneamente posti_ a base del nuovo ordinamento politico-territoriale dal disposto generale dell'art. 5 della Costituzione e dalle disposizioni specifiche contenute nel titolo 5° della seconda parte di essa, e negli statuti speciali delle Regioni: Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-.Alto .Adige. .A titolo puramente esemplificativo, richiamerò talune sentenze nelle quali trovano particolari riconoscimenti, a seconda della singolarità dei casi, l'una o l'altra e.>igenza. In riguardo alla prima esigenza va anzitutto notato che la Corte ha fin dalle prime sentenze affermato, ed in seguito costantemente ribadito, che le Regioni, anche a statuto speciale, sono tenute al rispetto di quei principi espressamente enunciati dalla Costituzione od anche impliciti necessariamente discendenti dal principio generalissimo della unità ed indivisibilità della Repubblica, che l'art. 5 pone come una delle basi fondamentali del nostro Stato e che perciò costituisce un limite insuperabile per le autonomie regionali. .A questa prima esigenza possono ricondursi, per esempio, le pronuncie della Corte nelle quali si afferma: l'unità della giurisdizione costituzionale (sentenza n. 38 del 1957); l'applicazione alle Regioni delle norme contenute negli artt. 51, 81, 97, 120, ecc. della Costituzione (sentenze nn. 6 del 1956; 105 del 1957; 13, 49 del 1961); l'esclusione di una competenza regionale in materia penale (sent. n. 6 del 1956) e nelle materie regolate dal diritto privato ed in particolare dal codice civile, salvo eccezioni nei rapporti intersubiettivi privati giustificate da situazioni ambientali particolari nelle singole Regioni, circoscritte nel tempo (sent. n. 109 del 1957); l'incompetenza delle Regioni a legiferare su materie che non siano loro attribuite da esplicita disposizione costituzionale (sent. nn. 124 del 1957 e 66 del 1961); l'impossibilità che si applichino in via analogica istituti che non siano per esse previsti nella Costituzione e negli· statutì régionali, quali la decretazione di urgenza e la delegazione legislativa (sentenze nn. 50 del 1959 e 32 del1961); la necessità che il puro e semplice rinvio alla « legge » fatto dalla Costituzione venga riferito unicamente alla legge dello Stato (sent. n. 4 del 1956). Quanto invece all'altra esigenza della garanzia costituzionale delle autonomie regionali, indico, sempre a titolo puramente esemplificativo, alcune sentenze nelle quali si afferma: che deve escludersi la facoltà del Governo dello Stato di annullare di propria autorità gli atti amministrativi del Governo regionale, in base al potere generale di annullamento di atti illegittimi che trova il suo fondamento nella legge comunale e provinciale; e ciò per la ragione che, essendo proponibile rispetto agli atti regionali che invadono la competenza dello Stato il conflitto di attribuzione, è esperibile da parte del Governo dello Stato questo rimedio e non anche quello dell'annullamento d'ufficio (sent. n. 38 del 1959); che non è consentito l'assoggettamento della Regione ad ordini o direttive dell'Amministrazione statale in materie rientranti nella competenza amministrativa della Regione, perchè ciò costituisce violazione non solo della competenza di essa, ma degli stessi principi fondamentali dell'autonomia (sent. n. 15 del 1957); che violano il principio dell'autonomia regionale le norme delle leggi statali che pongano alla Regione l'obbligo di «provvedere d'intesa>> con lo Stato nell'esercizio di funzioni amministrative demandate alla competenza della sola Regione, nonchè quelle norme che prevedono l'impugnativa in via amministrativa delle pronunce degli organi di controllo, sugli atti degli enti locali costituiti dalle Regioni (sentenze nn. 22 del 1956 e 73 del 1961). .Accanto ai due suindicati gruppi di pronunce, potrebbe configurarsene un terzo, nel quale la competenza dello Stato e quella della Regione in determinate materie sono considerate coesistenti. Così, ad esempio, la sentenza n. 43 del 1958, che dichiara spettare alla Regione siciliana la compe~ tenza a determinare le tariffe nei trasporti in concessione regionali in Sicilia, nonchè ad autorizzare mutamenti successivi di esse, e che nel contempo afferma competere agli organi dello Stato il potere di coordinamento generale dei prezzi; la sentenza n. 40 del1961, nella quale si afferma che il diritto allo scioglimento dei consigli dei comuni e degli enti locali spetta alla Regione siciliana, quando la causa del provvedimento sia la persistente violazione della legge, e che spetta invece allo Stato quando la causa -risieda nella tutela dell'ordine pubblicJ, ecc. Degno di menzione è il principio enunciato dalla Corte che la legge dello Stato è operativa l.n tutto il territorio della Repubblica anche per le materie t&&&1&1& &fi1&M&& 117 di competenza esclusiva o primaria delle Regioni, ma che non ha efficacia o cessa di averla qualora nelle dette materie sia prima intervenuta o intervenga dopo la legge regionale valida (sent. n. 7 del 1958). Credo opportuno sottolineare inoltre che la Corte, nell'affermare che l'effettivo trasferimento alle Regioni di funzioni statali è condizionato dall'emanazione di norme di attuazione da parte dello Stato, ha posto in luce l'esigenza che si provveda a completare la serie delle «norme di attuazione n degli statuti regionali in modo da consentire alle Regioni di esercitare in concreto la potestà di cui sono titolari nel quadro del sistema della unità politica dello Stato. * * * Per quanto attiene alla materia di cui alla sez. P del titolo sesto riguardante la Corte costituzionale, f\ da segnalare, oltre la suindicata sentenza n. p8 del1957, con la quale la Corte affermò l'unità della giurisdizione costituzionale, la sentenza n. 13 del 1960, con la quale, dopo avere precisato la materia fl la portata della sua funzione di controllo costituzionale, ha messo in rilievo: « È pertanto da respingere l'opinione che la Corte possa essere in- clusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali (;he siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza pre< Jedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati degli organi giurisdizionali n. * * * Hanno formato oggetto del giudizio della Corte anche diverse disposizioni transitorie e finali, come la VI, l'VIII, la IX, la XII, la XV (sentenze nn. 1, 32, 41, 119 del 1957; 40, 45, 58, 74 del 1958; 11, 30 del 1959; 41 del 1960; 22, 42, 49 del 1961; 14, 65, 83, 87 dell962). * * * Un cenno giova infine fare alla particolarità di · taluni dispositivi delle decisioni della Corte. Allo scopo di meglio adeguare le pronunce ai casi concreti la Corte ha adottato talvolta varie formule o tipi di dispositivo. Così, ad esempio, quando per la dichiarazione di illegittimità della disposizione impugnata ha adottato la formula << in parte n o « per la parte in cui n, e sopratutto quando ha adoperato l'altra formula «illegittima in quanto n, ed ancora più quando ha fatto riferimento alla motivazione con la formula « ai sensi e nei limiti della motivazione ''· Altra volta invece, come in una delle primissime sentenze (la n. 3 dell956), nel dichiarare non fondata la questione di legittimità sollevata contro una norma (quella contenuta nell'art. 57, n. 1, del Codice penale), la Corte, rendendosi interprete della necessità di un intervento chiarificatore del legislatore, ha nello stesso dispositivo aggiunto: « salva la revisione del testo dell'art. 57, n. 1, Codice penale, al fine di renderlo anche formalmente più adeguato alla norma costituzionale n. * * * Per valutare appieno l'efficienza del lavoro della Corte è bene tenere anche presente come tale lavoro viene svolto. Le grandi questioni, che nella giurisprudenza della Corte tro.vano soluzione, sono dibattute non nell'atmosfera accesa dei conflitti politici, ma nell'aria serena propria di una Corte di giustizia, dopo ampi approfonditi dibattiti condotti da eminenti avvocati, sia dell'Avvocatura dello Stato che del libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto contributo, e dopo approfondite discussioni dei Giudici nella Camera di consiglio. A quest'ultimo riguardo va notato che tali discussioni non si limitano alla sola decisione della controversia, ma si estendono alla motivazione ed alla elaborazione dell'intero testo della sentenza, cosicchè ne risulta di molto più oneroso il lavoro dei Giudici, con indubbio vantaggio però per la ponderatezza delle decisioni. Per precisare ancora il modo con cui i Giudici svolgono il proprio lavoro, giova aggiungere che, a differenza del metodo comune alla decisione dei giudizi da parte delle autorità giurisdizionali, secondo il quale è sempre indicato il nome dell'estensore, la Corte costituzionale ha adottato, con le N orme integrative da essa stessa dettate, un sistema per cui il nome dell'estensore non deve essere indicato. In tal modo il contenuto delle sentenze risulta il prodotto di una attività ispirata all'applicazione integrale del principio · della collegialità, con la conseguenza che la personalità dell'estensore viene assorbita e si trasfonde in quella unitaria del Collegio. Ho creduto doveroso fare questi accenni perchè possano anch'essi servire al futuro· storico della Corte. III - La necessità della Corte per la vita ed il progresso dell'ordinamento costituzionale Da questa, sia pur sommaria e necessariamente incompleta esposizione dell'attività della Corte costituzionale, mi pare risulti chiaramente che, attraverso le sue pronunce, si è venuta formando una somma di giurisprudenza costituzionale di indubbia vasta portata. L'evidente importanza di questa giurisprudenza trova conferma tra l'altro, nel fatto che in molte ordinanze, con le quali i giudici di merito propongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale, si fa riferimento, oltre che alle disposizioni della Costituzione, anche alle sentenze della Corte, e trova altresì conferma nell'interesse teorico e pratico con cui le sue decisioni sono attese e quindi esaminate sia dai giuristi che dal_. grande pubblico. È opportuno, a questo punto, rilevare che, nel suo compito di suprema interprete e garante della Costituzione, la Corte costituzionale continua bensì, in un certo senso, attraverso l'interpretazione, LE :::ftFF&& -118- l'opera del Costituente, ma che non diventa per ciò un organo superlegislativo, giacchè anche quando prospetta, come ha fatto in parecchie pronunce a cominciare da quella n. 3 del 1956 poc'anzi citata, l'esigenza obbiettiva di un intervento del legislatore, non ne tocca la sfera di sua esclusiva competenza, siccome è stato riaffermato nella sentenza n. 64 del 1961 ed in quella più recente n. 30 del 1962. Con le sue sentenze la Corte costituzionale ha apportato ed apporta un contributo essenziale alla chiarificazione e talora anche all'integrazione stessa dell'ordinamento costituzionale, ma sempre attraverso l'interpretazione della Carta fondamentale. * * * Guardando, nel complesso, l'attività svolta dalla Corte in questi primi sette anni formativi della sua vita, che rappresentano, siccome ho detto, un ciclo di importanza storica nell'attuarsi della Costituzione, può adunque ben dirsi, senza tema di esagerare, che ormai l'ordinamento costituzionale italiano vigente non può essere integralmente conosciuto ed inteso senza la conoscenza della giurisprudenza della Corte costituzionale. È quindi evidente che la vita ed il regolare funzionamento dell'ordinamento costituzionale non possono scompagnarsi dalla vita e dalla efficienza della Corte costituzionale per la garanzia di quei principi di rispetto della persona umana, di libertà, di democrazia e di giustizia, che stanno a base della Costituzione, e la cui integrale attuazione è indispensabile per l'ordinato vivere dei cittadini ed il pacifico progresso civile e sociale della N azione. * * * Chi non ha avuto la possibilità di essere presente alla pubblica udienza del 22 gennaio scorso nella quale l'illustre Presidente della Corte, on. prof. Gaspare Ambrosini, alla presenza del Capo dello Stato, ebbe a pronunciare un discorso di estremo interesse sull'attività di quel supremo consesso nei primi sette anni del suo funzionamento, sarà certamente lieto di poter leggere il discorso stesso riportato nel nostro periodico. Discorso di estremo interesse sopratutto per la sintesi mirabile con la · quale l'oratore è riuscito a delineare, in una visione chiarissima, non solo la genesi e le diverse competenze della Corte, ma anche l'ampiezza del lavoro fin qui compiuto attraverso un riassunto, sia pure per rapidi cenni, di tutta la giurisprudenza della Corte. Arduo compito, invero, che solo chi come il Presidente Ambrosini ha partecipato, fin dall'inizio, quotidianamente, al lavoro della Corte portandovi il contributo di una somma doUrina e diuna profonda esperienza nel campo giuridico ed in quello sociale e politico, ha potuto affrontare ed assolvere con pieno successo. Molto felicemente l'oratore ha voluto ricordare le parole pronunziate il 23 aprile 1956 dal Presidente della Corte De Nicola nel discorso inaugurale: << Noi abbiamo questo dono necessario per l'adempimento dei nostri compiti: la fede, accompagnata da una infrangile fermezza, che non ha nulla da vedere con l'arbitrio. Non avremo bisogno nè di sprone nè di freni per la nostra opera non effimera, ma duratura attraverso una nuova giurisprudenza, che avrà uno straordinario impulso sulla vita nazionale >>. Noi che abbiamo seguito, non da semplici spettatori ma da collaboratori, l'opera della Corte dando vita a quel contraddittorio che la Corte stessa ha sottolineato essere « il metodo considerato più idoneo dal legislatore costituente per ottenere la collaborazivne dei soggetti e degli organi meglio informati e più sensibili rispetto alle questioni da risolvere ed alle conseguenze della decisione n (sent. n. 13 del 1960) constatiamo, quotidianamente, come essa abbia mantenuto fermamente e puntualmente l'impegno assunto. -Il Presidente A mbrosini ha nel suo discorso anche tenuto giustamente a sottolineare come il lavoro della Corte viene svolto, rilevando che « le grandi questioni, che nellq, giurisprudenza della Corte trovano soluzione sono dibattute non nell'atmosfera accesa dei conflitti politici, ma nell'aria serena propria di una Corte di giustizia dopo ampi approfonditi dibattiti, condotti da eminenti avvocati sia dell'Avvocatura dello Stato che del libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto contributo, e dopo approfondite discussioni dei Giudici nella Camera di Consiglio », Siamo vivamente grati al Presidente ed alla Corte dell'alto apprezzamento dimostrato nei riguardi dell'opera, fin qui svolta, dagli Avvocati dell'Avvocatura Generale dello Stato i quali hanno sempre posto, e porranno anche in futuro, il massimo impegno nell'esercizio delle funzioni loro affidate dal legislatore, ben consapevoli che la collaborazione prestata alla Corte nella soluzione di problemi costituzionali di grande importanza per l'incidenza che la soluzione stessa ha sull'ordinato sviluppo della vita del Paese, qualifica ed eleva, su un piano del tutto nuovo e particolare, l'attività che essi svolgono nell'interesse della collettività nazionale. NOTE D I MARco J ANNI : Riflessi processuali del trasferimento all'E.N.E.L. delle Aziende elettriche (in << Riv. dir. proc. >>, 1963, p. 273. L'A. si propone il quesito se ai rapporti processuali pendenti che la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 trasferisce all'E.N.E.L., si applichi l'art. 110 o il successivo art. 111 del Codice di rito e perviene alla · conclusione che l'ipotesi rientra integralmente nella fattispecie contemplata dall'art. 111 C.p.c. Nella specie, infatti, secondo l'A., non si verifica una successione a titolo universale dell'Ente sia perchè, almeno nella maggior parte dei casi, il precedente titolare del rapporto non si estingue, sia perchè, comunque, l'estinzione sarebbe successiva al trasferimento, che, invece, nella successione a titolo universale trova e deve trovare la sua causa nell'estinzione del titolare. In definitiva l'A. ravvisa nelll'!dpE>tesi legislativa un trasferimento di azienda, che, peraltro, esclude si verifichi a titolo originario e per effetto di un provvedimento espropriativo. La soluzione accolta non ci convince. A nostro avviso essa contrasta non solo con l'insegnamento della giurisprudenza (Cass., 6 luglio 1942, I, 1, 483, con nota adesiva di Di Blasi), la quale à escluso che l'art. 111 C.p.c. si applichi all'ipotesi di vendita forzata immobiliare, cioè, di trasferimento coatto del diritto controverso, quanto con la chiara ed inequivoca volontà del legislatore, che, peraltro, s'inquadra in un ben preciso, recente indirizzo di politica legislativa. Nè poteva trascurarsi la considerazione, di per sè assorbente, che l'art. 111 C.p.c. regola l'ipotesi di successione per atto tra vivi a titolo particolare, cioè, di acquisto derivativo negoziale del diritto, non del debito. Pertanto, se si esclude l'ipotesi della successione a titolo universale e, quindi, l'applicazione dell'art. 110 C.p.c. non può che darsi atto di una lacuna della legge processuale, la quale, peraltro non poteva disciplinare ex-professo una fattispecie eccezionale, quale è la nazionalizzazione delle aziende elettriche, tanto più che, com'è stato già affermato dalla giurisprudenza. essa non disciplina direttamente neppure l'ipotesi del trasferimento coattivo del diritto controverso. Nè può dubitarsi della natura espropriativa del provvedimento, che trasferisce le imprese elettriche all'E.N.E.L., e, conseguentemente, della nrutura originaria, non derivativa dell'acquisto da parte di questo ente. L'art. 43 Cost., che espressamente prevede la possibilità di trasferire, mediante espropriazione, e salvo indennizzo allo Stato o ad altri enti pubblici determinate imprese o categorie di 4 DOTTRINA imprese, esclude ogni dubbio in proposito. Il trasferimento ex lege delle imprese elettriche all'E. N.E.L. è una vera e propria espropriazione, espressamente prevista e come tale disciplinata, sulla base della Costituzione, dalla legge 6 dicembre 1962, n. 1643. Escluso che la fattispecie possa ritenersi direttamente disciplinata dagli artt. 110 e 111 C.p.c., occorre aver riguardo, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. Naturalmente, nella ricerca delle norme da applicare l'interprete deve tener nel massimo conto la volontà del legislatore e deve in primo luogo accertare se la legge 6 dicembre 1962, n. 1643 abbia inteso trasferire all'E.N.E.L., insieme con le imprese, i debiti ed i crediti ad essa afferenti, estraniando definitivamente dal rapporto l'originario titolare dell'impresa debitore o creditore. In questa indagine l'interprete non può, a nostro avviso, trascurare alcune altre, recenti leggi speciali, che hanno previsto e disciplinato il trasferimento di debiti. La legge 4 dicembre 1956, n. 1404 dispone in merito alla soppressione e liquidazione degli enti superflui; la legge 18 marzo 1958, n. 356, al fine di evitare che la pendenza di qualche giudizio ritardasse la chiusura delle opemzioni di liquidazione degli enti soppressi à autorizzato il Ministro per il Tesoro a trasferire, con proprio decreto, i debiti in contestazione da uno ad altro , ente. Ija predetta legge dispone che <>. In questo caso la volontà del legislatore è esplicita: il trasferimento, disposto al fine di chiudere le operazioni di liquidazione dell'ente a quo, ne consente ed impone l'estinzione, con la conseguenza che titolare del rapporto processuale in corso diventa esclusivamente l'ente ad quem. Verrebbe meno lo scopo del trasferimento e si tradirebbe la lettera e, sopratutto, lo spirito della legge se si ritenesse che il processo possa proseguire nei confronti dell'ente liberato dall'obbligazione in virtù dell'imminente sua estinzione e che ha, perciò, fornito all'ente ad quem, come prescrive la legge speciale, la provvista occorrente. Altre due recenti leggi regolano fattispecie analoghe: la legge 14 febbraio 1963, n. 60, che ha.istituito la Gestione case per lavoratori (GESCAL), - e la legge 15 febbraio 1963, n. 133, che à istituito l'I.S.E.S. (Istituto per lo sviluppo dell'edilizia sociale); le predette leggi dispongono (rispettiva == = -120- mente agli artt. 35 e 2) che il nuovo ente assume, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge, la titolarità. attiva e passiva di tutti i rapporti processuali degli enti soppressi (Gestione INA-Oasa, Oomitato UNRRA-Oasa). Qui la volontà del legislatore è chiarissima anche perchè è disciplinata direttamente la fattispecie processuale, cioè, la successione nel processo. Alle stesse conseguenze, deve, a nostro avviso, pervenirsi per i debiti ed i crediti relativi alle imprese trasferite all'E.N.E.L. La legge 6 dicembre 1962, n. 1463 dispone (art. 4, nn. l e 9) che il trasferimento. ha ad oggetto <> nonchè « con tutti gli, obb~ighi e i diritfi, le concessioni ed autorizzazioni amministrative in atto attinenti la produzione, il trasporto, la trasformazione e la distribuzione dell'energia >>. È chiaro, quindi, che la legge vuole attuare, con effetto dalla data del provvedimento di trasferimento, che potrà., non dovrà. individuare anche i rapporti trasferiti all'E.N.E.L. (art. 4, n. 10), una successione dell'E.N.E.L. in tutti i diritti e gli obblighi relativi alle imprese elettriche trasferite, con la immediata liberazione dell'originario titolare dell'impresa. Alcuni argomenti di contorno confortano questa tesi: l'indennizzo, ai sensi dell'art. 5, è determinato con riferimento alla media dei valori del capitale delle società, quale risulta dai prezzi di compenso delle azioni nel periodo l gennaio 1959-31 dicembre 1961; dalla data di entrata in vigore della legge i legali rappresentanti delle società esercenti le imprese soggette a trasferimento sono costituiti custodi delle imprese stesse senza poteri di disposizione (art. 12, primo comma); gli atti di disposizione compiuti dopo il l& dicembre 1961 possono essere dichiarati nulli su istanza dell'E.N.E.L.t quando abbiano diminuito la consistenza patrimoniale ed economica o l'efficacia produttiva e, tecnica dell'impresa (art. 12, secondo comma). , Oiò significa, a nostro avviso, che l'originario titolare dell'impresa, al quale già dalla data di entrata in vigore della legge è negato ogni potere di disposizione del debito, ne viene definitivamente liberato con effetto dalla data del provvedimento di trasferimento e non può ulteriormente risponderne anche perchè l'indennizzo è per legge determinato con riferimento alla posizione debitoria e creditoria dell'impresa alla data del 31 dicembre 1961. Il trasferimento dell'impresa, con i crediti e i debiti relativi, all'E.N.E.L. fa, perciò venir meno la legittimazione sostanziale e processuale dell'originario titolare dell'impresa e del rapporto processuale, ponendo in essere una fattispecie analoga a. quella regolata dagli artt. 110, 299 e 230 O.p.c.,. con la conseguenza che il processo deve essere dichiarato interrotto, salvo che l'E.N.E.L. si costituisca volontariamente o l'altra parte provveda, a citarlo in riassunzione. G.G,. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE COSTITUZIONE- Leggi regionali- Assunzioni a pubblici impieghi- Obbligo dell'osservanza art. 51 Costituzione. (Corte Costituzionale, Sentenza, 25 maggio-8 giugno 1963, n. 86- Pres.: Ambrosini; Rel.: Branca - Presidenza del Consiglio dei Ministri c. Regione Trentino Alto Adige. a) Contrasta con gli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione il disegno di legge 6 novembre 1962 della Regione Trentino .Alto .Adige che limita la partecipazione ai concorsi per sanitario condotto nei comuni delle provincie di Trento e di Bolzano di sanitari che, alla data del bando, figurino iscritti negli albi professionali delle rispettive provincie; b) Il legislatore regionale è regolarmente vincolato all'osservanza dei divieti posti dall'art. 120 della Costituzione, divieti che comprendono anche la ipotesi che ha speciale disciplina nell'art. 51, primo comma della Costituzione. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: La Presidenza del Consiglio sostiene che la legge regionale, ammettendo ai concorsi indetti per medici, veterinari ed ostetriche solo i professionisti iscritti nell'albo della provincia, entro cui è bandito il concorso, contrasta con gli artt. 3, 51 e 120 della Costituzione. La questione è fondata. , La legge impugnata ha l'effetto, per non dire lo scopo, di escludere dai concorsi per i suddetti uffici pubblici i professionisti iscritti in albi diversi da quelli di ciascuna provincia altoatesina; esclude cioè, nella sostanza, coloro i quali risiedono nelle altre provincie dello Stato. Ciò si concreta in una discriminazione che per un verso non trova adeguata giustificazione, per l'altro verso rivela una tendenza non scevra di pericoli, a lungo andare, per la stessa unità e indivisibilità dello Stato. Non trova giustificazione poichè l'iscrizione nell'albo di una provincia piuttosto che d'un'altra, lungi dall'essere un requisito attitudinale, non ha alcuna particolare attinenza con le funzioni che sono chiamati a svolgere i sanitari nelle provincie del Trentino-.Alto .Adige, funzioni analoghe a quelle che si svolgono in ogni altra parte del territorio nazionale; nè per assolverle in quella regione è necessaria, a differenza che altrove, una particolare conoscenza dell'ambiente. Tanto è vero che una tale disciplina è assolutamente ignota e contrastante alle leggi vigenti in ogni altra parte dello Stato (il che s'è già detto, per un caso analogo e con ampia motivazione, nella sentenza n. 104 del 1957). La legge impugnata, inoltre, riserbando gli impieghi sanitari ai soli residenti, pone una barriera, fra provincia e provincia e rispetto al resto del territorio nazionale, che tutt'al più potrebbe essere consentita alla legislazione statale; infatti questo sistema di escludere dagli uffici i non residenti, se si estendesse, finirebbe per minacciare quell'unità dello Stato che trova il suo riconoscimento, fra l'altro, nell'art. 5 della Costituzione e la sua difesa contro arbitri regionali nell'art. 120 della stessa Costituzione. Il quale ultimo è stato a ragione invocato dalla Presidenza del Consiglio poichè il suo significato va oltre le singole ipotesi che vi sono espressamente contemplate ed abbraccia anche il caso che ha speciale disciplina dello art. 51 primo comma. La Corte, così pronunciando, non fa che confermare la propria giurisprudenza. Le sentenze n. 15 del 1960 e n. 68 del 1961 non ne costituiscono una deviazione, ma si spiegano, perchè vi si giudicava, nella prima, d'una legge statale e, in tutte e due, di situazioni assolutamente particolari e contingenti disciplinate con metro particolare e contingente. Il caso deciso nella sentenza che annotiamo è il seguente: Con disegno di legge impropriamente intitolato : N orma transitoria per i concorsi a posto di sanitario condotto, La Regione Trentina-Alto .Adige aveva disposto la limitazione della partecipazione di concorsi stessi ai << sanitari che, alla data del bando di concorso, figurano regolarmente iscritti negli albi professionali delle rispettive provincie >>. Il Governo aveva rinviato il disegno di legge al Consiglio regionale, ai sensi ed agli effetti dell'art. 49 dello Statuto speciale approvato con legge costituzionale 20 febbraio 1948, n. 5, perchè l'anzidetta limitazione doveva ritenersi in contrasto con gli articoli 51 e 120 della Costituzione. Il Consiglio regionale riapprovava il disegno di legge nell'identico schema che era stato censurato e rinviato dal Governo, anzi riproducendo con carattere pe1·manente la norma precedentemente-· prevista solo in via transitoria. Da qui il ricorso del Governo, ai sensi dell'art. 49, 2° comma dello stesso statuto speciale, col quale veniva sollevata la questione di legittimità costitu- 122- zionale della anzidetta legge regionale, in relazione agli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione, nonchè allo art. 4 n. 12 dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige. La Corte Costituzionale ha accolto integralmente il ricorso ravvisando nella limitazione introdotta con la proposta di legge una discriminazione ingiustificata sotto il profilo dei c. d. requisiti attitudinali ed escludendo che la legge regionale possa riserva1·e gli impieghi pubblici ai soli residenti nella Regione, in base al principio fondamentale della unità dello Stato sancito nell'art. 5 della Costituzione. Vale la pena di segnalare l'una e l'altra massima, per la loro importanza che trascende i limiti del caso concreto. * * * I n ordine alla prima, rileviamo: La Regione Trentino-Alto Adige ha competenza legislativa primaria in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera >> in forza dell'art. 4 n. 12 dello Statuto speciale approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. Peraltro, la suddetta competenza è limitata dal 1·ispetto della Costituzione, dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e degli interessi nazionali, nonchè delle norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica. Adunque, al pari del legislatore statale, il legislatore regionale è vincolato al rispetto del principio fondamentale della eguaglianza dei cittadini sancito nell'art. 3 della Costituzione e del principio, da esso derivato, circa l'eguale diritto dei cittadini nei riguardi dell'accesso ai pubblici uffici (art. 51, comma 1o della Costituzione); anzi, come si vedrà a proposito della seconda massima, il legislatore regionale resta ancora piu speoifioamente vincolato dall'art. 120 della Costituzione nonchè dalle altre fondamentali norme delle leggi costituzionali che, in sede di approvazione degli statuti delle regioni a statuti speciali, abbiano posto limiti invalicabili per la legislazione 1·egionale anohe primaria, com'è pm· eswmpio, del limite del rispetto dei << principi dell'ordinamento giuridico dello Stato>> (l) stabilito nall'art. 4, primo comma dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Pertanto, la 'f;alidità di una legge regionale la quale restringa l'accesso ad impieghi o ad uffici locali ai cittadini nati o, come avviene nella specie, residenti nella regione si prestava ad essere sindacata, così come è stata sindacata, alla stregua delle fonda,mentali disposizioni, sopra richiamate, degli artt. 3, 51 e 120 della Costituzione in relazione all'art. 4 dello Statuto speciale T.A.A. Sotto il profilo del contrasto con i principi sanciti negli artt. 3 e 51 della Costituzione, intesi nella loro connessione, è ~l) Com'è noto, questi princ1pn m relazione ed ai fìni degli artt. 4 e 11 dello Statuto speciale TrentinoAlto Adige sono stati definiti dalla Corte Costituzionale con Ja, sentenza n. 6 del 1956. da ricordare, anzitutto, che l'orientamento giurisprudenziale della Ecc.ma Corte, affermato sia in tema di interpretazione dell'art. 3 considerato da solo che in connessione con l'art. 51, è nel senso che il principio della eguaglianza, come limite alla legge, se importa il divietò di adòzii:Yné di cause discriminatrici di capacità del tipo di quelle espressamente elencate nel primo comma dell'art. 3 (sesso, razza, lingua, eco.), consente, peraltro, che in sede di determinazione concreta dei << requisiti >> per questo o per quello uffioio, il legislatore possa adottare una disoiplina differenziata in base a quelle stesse cause o ad altre non espressamente menzionate nell'art. 3 considerate non piu come condizioni (astratte) di capaoità, bensì come requisiti attitudinali, dei quali il legislatore dovrebbe dare espressamente oonto e che sono, comunque, soggetti, quanto alla differenziazione con essi operata, al controllo della Corte Costit1tzionale, sotto il profilo della loro sufficienza e giustificatezza e della loro ragionevolezza. Si puo vedere, al riguardo, tutta la giurisprudenza della Corte, ormai costante, in tema di interpretazione del principio di eguaglia.nza in genere (a partire dalle sentenze 26 gennaio 1957, 14 luglio 1958 n. 53 a venire alle sentenze 15 luglio 1959 n. 46, e così via via fino alle sentenze nn. 7 e 8 del 27 febbraio 1962); nonchè in tema eguaglianza nell'aocesso ai pubblici uffici (sentenza n. 56 del 3 ottobre 1958; sentenza n. 15 dei 28 marzo 1960; Folie contro Commissario Governo Regione Trentino-Alto .Adige; sentenza n. 33 del 18 maggio 1960: Oliva contro Presidenza del Consiglio dei Ministri). Si tratta, quindi, di valutare, caso per caso, se la differenziazione adottata in ragione del sesso, della razza, della lingua ecc. si possa ritenere adeguatamente giustifioata come requisito attitudinario t·imesso, entro i sopra indicati limiti, alla valutazione del lfjgislatore o se, invece, si tratti di discriminazioni non giustificate; peggio, poi, se adottate in via generale e senza aloun apprezzabile connessione e riferimento con situazioni particolari e locali. Il controllo della ratio e del contenuto di questa disciplina differenziata è non solo ammissibile, ma anche necessario da parte della Corte Costituzionale; proprio a garanzia certa e completa del rispetto del principio della eguaglianza da parte sia del legislatore statale che di quello regionale, giacchè, altrimenti, sarebbe aperta la via all'eventuale arbitrio da parte del legislatore in materia di disciplina differenziata, con manifesta violazione del principio della eguaglianza. E, come è stato esattamente osservato anche in dottrina (2), non dovrebbero esservi preoccupazioni oirca il controllo dell'uso della c. d. discrezionalità legislativa (non ammesso, com'è noto, dalla Corte Costituzionale); giacchè si tratta di controlli di genere e contenuto diversi, dei quali quello sulla sussistenza di un giustificato motivo di differenziazione è non (2) Cfr. PALADIN: Una questione di eguaglianza nello accesso a pubblici u(fic1:, in « Giurisprudenza Costituzionale "• 1960 p. 149. -123- solo pienamente ammissibile, ma altresì doveroso, giusta qua.nto si è già rilevato (3). "a Corte ha, quindi, ammesso questo controllo e lo ha esercitato positivamente, ai fini della dichiarazione di illegittimità costit~tzionale del disegno di legge impugnato col ricorso. La soluzione appare, ineccepibile, sotto ogni profilo. Non v'è dubbio che il disegno di legge impugnato attuasse ed, anzi, si proponesse addirittura lo scopo di attua1·e, come esattamente ha detto la Corte, una disciplina differenziatrice tm i cittadini della Repubblica per quanto attiene alle condizioni di ammissibilità ad un particolare impiego od ufficio pubblico quale è quello per i posti di medico, veterinario ed ostetrica condotti nei Comuni delle Provincie dell'Alto Adige. Invero, era sufficiente leggere il testo del disegno di legge per convincersi che ai concorsi indetti per i suddetti posti possono partecipare soltanto i sanitari che, alla data del bando di concorso, figurassero regolarmente iscritti negli albi professionali delle <> province. Il che significa, se non andiamo errati, che mentre per tutto il resto del territorio nazionale i concorsi a posti di sanitario condotto sono aperti a tutti i cittadini aventi i normali requisiti per partecipare ai concorsi del genere e residenti in qualunque parte dello stesso territorio, in una parte della Regione T.A.A. (e neanche in tutta la Regione) la partecipazione ai suddetti concorst veniva limitata ai sanitari iscritti, alla data dei bandi, negli albi professionali delle due provincie; con l'ulteriore specificazione che, essendo la tenuta degli albi professionali delle professioni sanitarie organizzata su base provinciale (artt. 3, 7 ed 8 del D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233), ai concorsi indetti per la provincia di Bolzano non avrebbero potuto partecipare neanche i sanitari iscritti nell'albo professionale della provincia di Trento e viceversa. La memoria difensiva della Regione - non certo il disegno di legge, che non dava alcuna ragione od accenno di ragione di tale disciplina differenziata - spiegò al riguardo, che si sarebbe inteso assumere a << requisito attitudinale >> per l'accesso ai concorsi di sanitario condotto nelle due provincie la residenza in ciascuna delle provincie stesse, per quanto indirettamente, cioè attraverso la iscrizione nell'albo professionale. Senonchè, anche se considerata come <> la limitazione non poteva sfuggire alla censura d'una assoluta e manifesta arbitrarietà - sotto il profilo della violazione· del principio della eguaglianza - conclamata da un complesso di evidenti ragioni. N ella memoria della Regione si tentò di integmre le deficien.ze del provvedirnento e di sottrarlo alla censura di arbitrarietà e, comunque, di non giustificata discriminazione, asserendosi che la giustifi- (3} Appare, al riguardo, del tutto convincente ·n parallelo con l'orientamento giurisprudenziale della Corte Costituzionale della Germania occidentale la quale, mentre si è rifiutata di sindacare il merito delle leggi, si è sempre ritenuta competente a sindacare l'arbitrio del legislatore in materia di eguaglianza. cazione sarebbe stata n~lla esigenza che i sanitari abbiano quella conoscenza dei problemi locali che può ad essi venire dal vivere a contatto con la popolazione, ed invocandosi, a pi1't riprese, il « precedente >> che sarebbe costituito dalla decisione della. Corte Costituzionale n. 15 del 28 marzo 1960. Ma, l'autorità di questo <> è stata dalla Corte rettamente esclusa nel caso in esame, sia perchè si trattava di specie del tutto particolare e diversa (legge statale che limitava agli << oriundi >> la frequenza dei corsi di preparazione per i concorsi a segretario comunale nei ruoli provinciali di Bolzano), sia perchè nella stessa sentenza n. 15 del 1960 è detto espressamente che la decisione è stata dettata dalle considerazioni particolarissime del caso di specie (posti di segretario di piccoli comuni alpestri in zone di confine) non escludendosi, neanche nella stessa particolare materia, che << per altre zone del territorio nazionale e per altri uffici della stessa provincia di Bolzano una norma di questo genere non sarebbe o potrebbe non essere giustificata ... »; ed è anche detto che, se invece di legge statale si fosse trattato di legge regionalE>, la decisione sarebbe stata esattamente opposta, in considerazione dei limiti derivanti al legislatore regionale dall' aTt. 120 della Costituzione, limiti che la Corte ha ritenuto invalicabili e che, invece, risultamno disinvc ltamente trasgrediti nel caso in esame. Tornando alla << giustificazioni >> (delle quali non è traccia nella legge) del trattamento differenziato dei cittadini in ordine all'accesso ai concorsi in questione, era evidente che esse non avessero fondamento. I nvero, per i concorsi dei sanitari condotti n è la residenza e anche la nascita in una determinata località del territorio nazionale possono indurTe una ragionevole presunzione che i residenti od i nativi esercitino la funzione sanitaria meglio in quella località che nelle restanti parti del territorio e, quindi, possono mai concretare << requisito attitudinario >>Questo preteso requisito non sarebbe stato in alcuna rela,zione col fatto della residenza (e, tanto meno~ col fatto della nascita), residenza che, oltre tutto, poteva essere, anche in base al disegno di legge impugnato·, meramente occasionale ed accidentale ed anche dt: recentiseima acquisizione (in tesi, un giorno prima dalla data del bando!). Comunque, non vi era, nè poteva essere dimostrata, alcuna seria e ragionevole correlazione tra l'esplicazione delle funzioni proprie del sanitario condotto e la iscrizione agli albi professionali nelle provincie di Trento o di Bolzano o con la residenza dalla iscrizione stessa presupposta: anzi, la comune esperienza in materia doveva insegnare che spesso proprio i sanitari già esercenti in loco la libera professione possono essere portati a trascurare, sotto vari aspetti, le funzioni dell'ufficio pubblico (condotta) al quale vengano assunti. E poi, non vi era, nè vi poteva essere alcuna prova che i sanitari iscritti agli albi professionali delle due provincie conoscessero i problemi e le condizioni locali (quali ? ) meglio di quelli che avessero, ad es. esercitato per anni la pròfèssione localmente e si fossero in seguito trasferiti altrove r Quindi, il « requisito >> doveva, se mai, vertere su altre << attitudini >>, non sulla semplice e non meglio definita iscrizione negli albi professionali delle due provincie, non senza rilevare che la limitazione del--- 124 - l'accesso all'ufficio di sanitq,rio condotto ai residenti ed iscritti negli albt delle due provincie localizzava e circoscriveva agli iscritti a questi albi, con una specie di ritorno al passato addirittura..... medievale, la partecipazione ad un concorso che doveva essere, invece, aperta a tutti gli iscritti agli albi tenuti da tutti gli Ordini e Collegi provinciali d'Italia. La giustificazione della difierenziazione diveniva, infine, assurda ove si fosse considerato che, in base al disegno di legge, il sanitario iscritto all'albo professionale dei ·medici di Bolzano non poteva neanche concorrere ai posti di medico condotto bandito per la provincia di Trento e viceversa ! La soluzione negati-va data dalla Corte a questo aspetto di legislazione ·regionale merita, quindi, il piu ampio consenso. * * * Importantissima è, poi, l'affermazione di principio ribadita, con la seconda massima, in tema di limiti alla legislazione regionale in genere, cioè compresct quella a statuto speciale. La Corte Costituzionale ha riatfermato la interpretazione dell'art. 120 della Costituzione, data già con la sentenza n. 15 del 28 marzo 1960, nel senso che i limiti in esso contenuti sono assoluti ed inderogabili per il legislatore .regiona.le, mentre è consentito solo al legislatore statale di valutare ed identificare particolari settori di ter1·itm·io o di popolazione al fine di dettare per essi una disciplina diffm·enziata, nel quadro dell'interesse generale della collettività nazionale. Questa valutazione- ha ribadito l'attuale sentenza - non può essere fatta, a seni dell'art. 120 dal legislatore regionale, in quanto andrebbe contro << la stessa unità ed indivisibilità dello Stato >> che la Costituzione, pur prevedendo l'<< ordinamento regionale >> ha inteso garantire con le fondamentali disposiziòni degli artt. 5 e 120. La sentenza ha soggiunto che l'a.rt. 120 ha tm significato ed una portata che va olt1·e le singole ipotesi che vi sono espressamente contemplate ed abbraccia anche il caso che ha speciale disciplina nell'art. 51, primo comma della Costituzione .. La riaffermazione del principio è tanto piu importante, in quanto essa segue alla opinione nettamente opposta o manifestata da parte della dottr2na, in ordine alla questione stessa, subito dopo la p1.tbblicazione della senttnza 28 marzo 1960, n. 15 (4). LUCIANO TRACANN .A COSTITUZIONE - Nomina dei giudici da parte della suprema magistratura artt. 135 e 137, legge 11 marzo 1953, n. 87, artt. 1 e 2. (Corte Costituzionale, sentenza 27 giugno-3 luglio 1963, n. 111- Pres.: Ambro· sini; Rei.: Cassandro. 1) Rimessa ritualmente, mediante il procedi mento incidentale all'uopo previsto, una questione di legittimità costituzionale all'esame della Corte, questa non può procedere alla indagine sulla com- (4) Cfr. PALADIN: Una qu.estione, ecc., p. 152, petenza del Giudice che ha ·emesso la ordinanza di rinvio, così come non può esaminare qùestioni atti-· nenti alla giurisdizione, nè alla regolarità della costituzione del rapporto proeessuale presso questo Giudice. 2) L'art. 2, lettera e) della legge 11 marzo 1953, n. 87 sulla composizione dello speciale collegio elettorale presso la Corte dei C~:mti per la elezione del Giudice costituzionale da parte di quella Magi_. stratura, non è in contrasto con l'art. 135 della Costituzione. Per una completa informazione delle gravi e nuove questioni trattate, riteniamo opportuno trascrivere integralmente la sentenza, nella esposizione di fatto e nella motivazione di diritto. RITENUTO IN FATTO l. Con ricorso notificato il 26 febbraio 1963 e depositato il 28 dello stesso mese, il dott. Pasquale Paone ed altri 37 primi referendari e referendari della Corte dei conti chiesero alle Sezioni riunite che fosse annullato, o quantomeno dichiarato illegittimo e illecito, il decreto 15 febbraio 1963, n. 12, con il quale il Presidente della Corte dei conti aveva convocato il collegio per l'elezione del giudice costituzionale riservata a detta Corte; e che la stessa dichiarazione si dovesse fare, unitamente o disgiuntamente, del comportamento del medec simo Presidente. I ricorrenti desumevano i motivi del ricorso dal fatto che il citato decreto dichiarava che del collegio elettorale dovessero far parte soltanto il presidente, i presidenti di Sezione, il procuratore generale, i consiglieri e i vice procuratori generali (tranne coloro tra essi che fossero in posizione di aspettativa o di fuori ruolo per esercitare funzioni non d'istituto); e ciò in violazione dell'art. 135 della Costituzione che, parlando dei giudici costituzionali da nominarsi dalle << supreme magistrature ordinaria e amministrative n, ha certamente ricompreso tra queste la Corte dei conti e tra i magistrati di questa anche i primi referendari e i referendari. N ello stesso tempo i ricorrenti sollevavano, come necessariamente pregiudiziale, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, lettera e, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, determinando la composizione del collegio elettorale nel modo sopraesposto e puntualmente osservato nel decreto del Presidente della Corte dei conti, avrebbe violato il richiamato art. 135 della Costituzione. Le Sezioni riunite hanno preliminarmente affermato che il decreto denunciato ben poteva essere enucleato dal complesso procedimento, che si conclude con la proclamazione del giudice costituzionale, e autonomamente impugnato, in quanto esso comporta il disconoscimento del preteso diritto di voto dei primi referendari e referendari, -nonchè dell'esercizio di codesto diritto. In conseguenza esso opera la violazione di un diritto soggettivo perfetto e fa sorgere un interesse attuale al ricorso, interesse che permane, permanendo la lesione, nella -125- sua attualità, anche dopo la conclusione del procedimento. In secondo luogo affermavano che non può essere messa in dubbio la giurisdizione-competenza delle Sezioni riunite a conoscere della controversia, giurisdizione-competenza che risulta dal- ' l'art. 65 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, sul contenzioso d'impiego della Corte dei conti, che assegna a questa la competenza a pronunziare sui reclami dei propri dipendenti, riguardino essi diritti soggettivi o interessi legittimi. E poichè non potrebbe negarsi che il preteso diritto al voto per .l'elezione del giudice costituzionale sia un diritto soggettivo di ordine funzionale, ricompreso tra gli attributi che costituiscono lo status dei magistrati della Corte dei conti, se ne deve trarre la conseguenza che la controversia è di quelle devolute alla giurisdizione-competenza di detta Corte. Sul merito della questione la Corte, ricordato che le parti hanno richiamato a sostegno della loro tesi i lavori parlamentari relativi alla legge n. 87 del 1953, riconosce che questi offrono uno scarso ausilio per l'interpretazione della formula adoperata nella Costituzione « supreme magistrature ordinaria e amministrative n, ma aggiunge che essi forniscono, tuttavia, cc apprezzabili ragioni di dubbio in ordine alla rispondenza delle norme di legge ordinaria al precetto costituzionale». In conseguenza ha ritenuto la questione, a suo avviso .. di evidente rilevanza ai fini del giudizio principale, non manifestamente infondata e, con ordinanza 25 aprile 1963, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti a questa Corte. L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 132 del 18 maggio 1963. 2. Nel presente giudizio si sono costituiti i dott. Pasquale Paone, Giuseppe Mareddu e Ugo D'Orso, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo Fornario e Massimo Severo Giannini. Nelle deduzioni, depositate il 31 maggio 1963, la difesa sostiene la. tesi che l'art. 135 della Costituzione, laddove parla di supreme magistrature amministrative, intende fare riferimento a tutti i magistrati che concorrono a costituirlo, non già a coloro che rivestono i gradi gerarchici più elevati. La soluzione adottata dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, che si potrebbe definire dei cc supremi magistrati delle supreme magistrature n, sarebbe una soluzione restrittiva del disposto costituzionale. I primi referendari, i referendari e i sostituti procur.;1tori generali, come risulta dalla legislazione relativa alla Corte dei conti, hanno sempre fatto parte del gruppo che la difesa chiama cc di magistratura n, contrapponendolo a quello cc non di magistratura ». Vero è che i vice referendari e gli aiuto referendari facevano un tempo parte del personale di concetto della Corte dei conti, ma è altrettanto vero che la legge 21 marzo 1953,·n. 161, soppresse questo gruppo e creò un unico ruolo di magistratura del quale fanno parte i primi referendari e i referendari, i quali, pertanto, concorrono a costituire la suprema magistratura amministrativa di cui parla l'art. 135 della Costituzione. Del che sarebbe conferma il fatto che i ricordati magistrati della Corte dei conti, come si evince anche dal sistema, svolgono funzioni cc oggettivamente e soggettivamente » proprie dei tre uffici principali della Corte dei conti: di controllo, gìur1sdizionale e della procura generale, e non diverse, perciò, da quelle dei consiglieri e dei vice procuratori generali, insieme con i quali sono addetti a sezioni giurisdizionali o ad attività di controllo. Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, lettera c, della legge ll·marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135 primo comma, ultima parte, della Costituzione. 3. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. La tesi dell'Avvocatura, quale risulta dall'atto di intervento depositato il 30 maggio scorso, si articola su , tre punti, due pregiudiziali e uno di merito. I) Il rapporto processuale di merito, il provvedimento di rimessione e, di conseguenza, il rapporto processuale in questa sede sarebbero viziati dal fatto che la Corte dei conti non ha considerato, ai fini dell'ammissibilità del ricorso e della sussistenza dei presupposti per un valido instaurarsi del giudizio davanti alla Corte costituzionale, la posizione di colui che fu proclamato eletto, cc unico controinteressato al ricorso» e comunque legittimato a contraddire anche in ordine alla sollevata questione di costituzionalità, nè quella dei magistrati che fanno parte del collegio elettorale, anch'essi senza dubbio controinteressati all'impugnativa del decreto de quo. Il) La questione sarebbe inammissibile perchè, riferendosi essa alla validità della nomina di un giudice costituzionale, rientrerebbe nell'ambito della competenza-prerogativa di questa Corte, esclusiva di ogni altra giurisdizione generale o speciale, e tale da estendersi ad ogni atto del procedimento di nomina, sia questo atto preparatorio, o terminale e conclusivo . .Avrebbe qui vigore il principio costituzionale, che si applica ai giudizi sui titoli di ammissione dei componenti delle due Camere (art. 66 della Costituzione), sulla base dell'assoluta autonomia e indipendenza della Corte ·costituzionale. La quale, nell'esercitare questa sua competenzaprerogativa, potrebbe decidere, secondo l'Avvocatura, ogni questione pregiudiziale circa la costitu- · zionalità delle norme cc che regolano la formazione del titolo )). III) La questione è infondata nel merito, perchè nello stabilire quali siano i requisiti per la nomina dei giudici costituzionali riservata alle supreme magistrature, si deve tener conto della situazione qual' era al momento in cui il Costituente dispose mediante un rinvio recettizio sostanziale -a una norma di grado inferiore, non già ai sopravvenuti mutamenti che comporterebbero una modifica della norma costituzionale ad opera della legge lQ&&miì T :m; -126- ordinaria. Deve perciò intendersi per membro o componente della suprema magistratura chi riveste in effetti la quali:fica e ne esercita la relativa funzione «con partecipazione necessaria ed incondizionata e con le relative garanzie n, non già chi aspira alla prima ed esercita la seconda soltanto a titolo semipieno o suppletivo, come avveniva per gli aiuto referendari al momento dell'entrata in vigore della Costituzione e come avviene tuttora per i referendari, che hanno funzioni limitate nel tempo e per il contenuto. L'Avvocatura riprende, infine, un accenno che si legge nell'ordinanza di rinvio circa la particolare « forzà >> e natura della legge 11 marzo 1953, n. 87, rimettendosi alla Corte per quanto attiene, nei riguardi di questa legge, ai limiti del controllo di costituzionalità della Corte stessa. 4. In un'ampia memoria depositata questo 7 di giugno, la difesa dei ricorrenti respinge le eccezioni pregiudiziali dell'Avvocatura. La sua tesi è che occorre distinguere tra questioni relative al ·diritto elettorale e questioni relative alle operazioni elettorali e che danno luogo a un giudizio di convalida, il quale sarebbe un giudizio amministrativo contenzioso, ossia un giudizio non giurisdizionale. Le questioni del primo tipo, quando si tratti, come nel caso, di elezione-nomina, non sono mai di competenza del giudice della convalida o dell'elettorato passivo. E poichè il ricorso contro il decreto del Presidente della Corte dei conti è un ricorso avente ad oggetto un diritto di elettorato attivo di rilevanza costituzionale, ne dovrebbe conseguire: l) che non si possa parlare di controinteressati, ma, se mai, di autorità resistente; 2) che non sussiste la. pretesa competenza assoluta ed esclusiva di questa corte, giudice, viceversa, della « convalida n. Nè il fatto che la controversia, trattandosi di un collegio elettorale di formazione automatica, in quanto la qualità di membro è legata al possesso di uno status giuridico, possa sorgere soltanto quando sia convocato il collegio, è circostanza sufficiente a trasformare la controversia in una controversia relativa alle operazioni elettorali. N el merito, la difesa, distinte le funzioni della Corte dei conti in funzioni di pubblico ministero e funzioni di decisione (a loro volta distinguibili in giurisdizionali e di controllo), sostiene che i primi referendari e i referendari assolvono alle medesime funzioni dei consiglieri con qualche differenza, che è « del tipo di quelle che si ascrivono alle esigenze tecnico-funzionali >>, differenze che poi nelle funzioni di pubblico ministero non esisterebbero punto. Replicando poi alla tesi della mancanza di pienezza di garanzie di cui soffrirebbero referendari e primi referendari, con particolare riferimento alla guarantigia di inamovibilità dalla quale quelli sarebbero esclusi ai sensi dell'art. 8 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, la difesa asserisce che tale norma deve intendersi tacitamente abrogata dalla legge 21 marzo 1953, n. 161, e, nel caso ciò non si ritenesse, formula espressa domanda giudiziale perchè la Corte sollevi direttamente dinanzi a se stessa, secondo le norme di rito, la relativa questione di legittimità costituzionale. Quanto, infine,· alla competenza della Corte a sindacare la legittimità costituzionale della legge 11 marzo 1953, n. 87, la difesa-sostiene che, quale che sia la categoria nella quale questa legge debba essere iscritta, sarebbe certo il suo carattere di legge non costituzionale e quindi la sua assoggettabilità all'esame di questa Corte. 5. Anche l'Avvocatura in una non meno ampia memoria del 7 scorso ripropone le sue tesi, ribadendole con copiosi richiami ai lavori preparatori e alle leggi che hanno regolato e regolano la Corte dei conti. Ai fini di una migliore precisazione dei termini della controversia è sufficiente richiamare i seguenti punti: l) la competenza esclusiva della Corte costituzionale, che deriva dal principio della divisione dei poteri, sarebbe giustificata anche dal fatto che, nei collegi previsti dalla legge per l'elezione dei. giudici costituzionali da parte delle superme magistrature, l'elettorato attivo coinciderebbe con quello passivo, sicchè ogni questione relativa alla partecipazione a quei collegi diventerebbe insieme questione relativa alla capacità di essere eletto e, come tale, necessariamente devoluta a una <> di tutte le questioni che attengano alla << validità del titolo n e, ove necessario, risolvere direttamente e di ufficio le eventuali questioni di legittimità costituzionale. I singoli interessati e gli organi giurisdizionali e non giurisdizionali che si trovassero di fronte a questioni relative alla validità del titolo, potrebbero avvalersi della facoltà di farne denuncia alla Corte costituzionale, al solo fine di eccitarne << il potere sovrano ed esclusivo di decisione in materia n; 2) conferma della tesi che la norma di attuazione impugnata non contrasti con l'art. 135, si trarrebbe da questo medesimo articolo, laddove stabilisce la nomina dei cinque giudici riservata alle supreme magistrature ordinaria e amministrative senza riferirsi ai magistrati << tutti >> dì tali magistrature, e laddove indica, come requisiti dei giudici costituzionali in genere, la particolare qualifica di magistrati anche a riposo delle"giurisdizioni superiori, di professori universitari e di avvocati. Tale indicazione deve necessariamente riflettersi, sostiene l'Avvocatura, sulla composizione dei collegi, stante la circostanza già messa in rilievo che coloro i quali sono chiamati a far parte dei collegi, sono anche quelli __ cl). e possono essere eletti. 3) la partecipazione all'esercizio dell'attività giurisdizionale non è per i primi referendari e i referendari necessaria e incondizionata, ma eventuale e subordinata al verificarsi di determinati pre- 127- supposti, collegati in sostanza a una valutazione discrezionale del superiore gerarchico (nomina a relatore, incarico di sostituzione). Primi referendari e referendari sono in conseguenza gli unici magi- . strati della Corte a non godere della cosiddetta · « inamovibilità perfetta >>. Infine, l'art. 105 del Testo unico del 1934, richiamato e mantenuto in vigore anche dalla più· recente legge sull'ordinamento della Corte dei conti (20 dicembre. 1961, n. 1345, art. 11) stabilisce che il numero complessivo dei primi refererendari e dei referendari non può essere superiore a due nelle singole sezioni e a quattro nelle. sezioni riunite, assicurando cosi sempre la prevalenza della volontà dei magistrati delle categoria qualificate, cioè di quelli che rivestono la qualifica ed esercitino la funzione propria di magistrato della Corte dei eonti. 6. All'udienza dell4 giugno 1963, le parti hanno illustrato i punti salienti delle rispettive tesi e hanno insistito nelle loro conclusioni. CONSIDERATO IN DIRITTO l. In primo luogo deve essere respinta l'eccezione pregiudiziale dell'Avvocatura dello Stato, giusta la quale la Corte dei conti sarebbe incompetente a conoscere la questione oggetto del ricorso davanti alle Sezioni riunite. La tesi della difesa del Presidente del Consiglio che, trattandosi di una questione relativa alla validità della nomina di un giudice costituzionale, sussisterebbe una competenza esclusiva ed assoluta di questa Corte, non può trovare ingresso in questa sede. La Corte è stata, infatti, chiamata a giudicare della legittimità costituzionale di una norma di legge e non può procedere all'indagine sulla competenza del giudice che ha emesso l'ordinanza di rinvio, come non può esaminare e risolvere questioni attinenti alla giurisdizione. Su questi punti la giurisprudenza della Corte è costante e ferma (cfr. da ultimo la sentenza n. 65 del 7 giugno 1962). Alla Corte spetta soltanto di.accertare che la questione provenga da un'autorità giurisdizionale, sia sorta nel corso di un giudizio e ne sia sufficienteménte dimostrata la rilevanza ai fini della decisione del giudizio principale. Tutte e tre queste èon:dizioni si verificano nel caso presente, non potendosi porre in dubbio il carattere giurisdizionale dell'organo che ha proposto la questione, nè che l'ordinanza sia stata pronunciata nel èorso di un giudizio; e non essendo stata affacciata nemmeno dall'Avvocatura la tesi che la questione non fosse in rapporto di pregiudizialità col giudizio principale. Tutto quanto precede non tocca la questione, affatto diversa, dell'estensione· dei poteri della {)orte in tema di giudizio sulla validità dei titoli dei suoi membri o dei titoli di ammissione dei suoi componenti, che norme costituzionali riservano ad essa sola (art. 3 ·legg!'l costituzionale 9 febbraiq 1948, n. 1, e art. 3 legge costituzionale 11 marzo 1953, .n .. 1). 5 Le eventuali questioni che sorgessero a questo proposito devono rimanere pertanto affatto impregiudicate. 2. Le medesime ragioni valgono a fortiori nei confronti dell'altra eccezione di inammissibilità, fondata sul fatto che non sarebbero stati presenti nel giudizio a quo coloro che l'Avvocatura ritiene necessari controinteressati (il presidente di sezione eletto giudice costituzionale e gli appartenenti al collegio elettorale convocato dal Presidente della Corte dei conti). Questa infatti è una eccezione che riguarda il legittimo instaurarsi del rapporto processuale davanti al giudice a quo, sul quale ancora meno può portarsi il giudizio di questa Corte, che deve, in conseguznza, procedere ad esaminare nel merito la questione di legittimità dello art. 2 lettera c della legge .11 marzo 1953, n. 87. 3. Le parti hanno a lungo discusso sullo status dei primi referendari e dei referendari per trarne sostegno alle loro opposte tesi. La difesa dei ricorrenti non ha negato che qualche differenza esista tra essi e i consiglieri della Corte dei conti, ma ha qualificato codeste differenze « del tipo di quelle che si ascrivono alle esigenze tecnico-fp.nzionali n. Viceversa, l'Avvocatura ha insistito sulla circostanza che la partecipazione all'esercizio dell'attività giurisdizionale da parte dei primi referendari e dei referendari non è necessaria e incondizionata, ma eventuale e subordinata al verificarsi di pre~;~ upposti collegati, in sostanza, a una valutazione discrezionale di altri organi, e che essi, pertanto, esercitano la funzione che è propria dei consiglieri soltanto a titolo semiproprio o suppletivo. Detto diversamente, primi referendari e referendari svolgerebbero le funzioni giurisdizionali e anche quelle di pubblico ministero non già istituzionalmente, sul fondamento diretto della legge, che organizza e regola l'attività della Corte dei conti, ma, in ogni caso, per il tramite di un atto di preposizione allo ufficio del Presidente della Corte o del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 2 R. D. 13 agosto 1933, n. 1038; art. 5 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214; art. lllegge 20 dicembre 1961, n. 1345). 4. Tuttavia. la Cor~e, pur rendendosi conto del peso e dell'importanza degli argomenti addotti dall'Avvocatura, ritiene che il sistema creato dalla Cost~tuzione e dalle leggi che per questa parte la integrano e la attuano, offra elementi sufficienti per dichiarare non fondata la sollevata questione di costituzionalità. L'art. 135 della Costituzione stabilisce che un terzo dei giudici della Corte siano eletti dalle ~< supreme p:1agistrature ordinaria e amministrative n. Si tratta, come è chiaro, di un precetto che ha bisogno di essere integrato e specificato, come lo stesso Costituente riconosce (e non soltanto in relazione a questa specifica norma), quando rinvia nel successivo art. 137 a una legge costituzionale per quel che attiene alle condizioni, le forme e i·termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e alle garanzie di indipendenza dei giudici della Corte (primo comma); e alla legge -128- ordinaria per le « altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte ». Il che trova conferma nell'art. l della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, che ribadisce il rapporto sistematico che intercorre tra earta costituzionale, leggi costituzionali e legge ordinaria, la quale ultima definisce come « emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali ». Da ciò non può dedursi, come qualche cenno dell'ordinanza di rimessione e i più aperti assunti della difesa del Presidente del Consiglio potrebbero far ritenere, che questa legge si ponga a un grado diverso da quello della legge ordinaria nella gerarchia delle fonti, con conseguenze che si rifletterebbero perfino sul controllo di costituzionalità; ma se ne può ricavare soltanto che ad essa è lasciato dal precetto costituzionale, più che non aecada nel caso di altri rinvii alla legge cosi frequenti nella Costituzione, uno spazio più ampio, e che le è assegnato, per la funzione che deve svolgere, un carattere che potrebbe consentire di accostarla alle norme di attuazione degli Statuti regionali, sulla natura, i limiti e l'efficacia delle quali la Corte ha già avuto, del resto, occasione di manifestare il proprio pensiero (sentenza n. 14 del 15 giugno 1956; sentenza n. 20 del 29 giugno 1956). 5. Ora, nel dettare la norma dell'art. 2 lettera c, che è quella impugnata, il legislatore ordinario non ha travalicato i limiti impliciti nel rinvio alla legge di attuazione, che, ovviamente, sono quelli di non contrastare con le norme costituzionali, nell'integrare ed attuare il sistema, le cui basi sono poste dalla Costituzione, e segnatamente dall'art. 135. Vero è che questo articolo parla di « supreme magistrature ordinaria e amministrative », od è anche vero che qui << magistrature » non sta al luogo di « magistrati », ma è altrettanto vero che il richiamo è fatto alle magistrature, non già nella loro composizione ordinaria, ma ad esse in quanto speciali collegi elettorali, investiti dall'alto compito di designare un terzo dei componenti della Corte costituzionale, l'organo a cui è affidato il compito di controllare la costituzionalità delle leggi e l'ordinata ed equilibrata convivenza degli organi costituzionali, tra i quali si suddivide l'esercizio della sovranità statale. Sicchè, limitando la composizione del collegio ai consiglieri, ai presidenti di sezione, ai vice procuratori generali, al procuratore generale e al presidente della Corte dei conti, la legge non ha violato alcuna norma costituzionale, ma piuttosto ha attuato l'intento del Costituente, affidando compito cosi grave a collegi, che, sotto ogni aspetto, ha considerato supremi. Del che è conferma la norma contenuta nel secondo comma del medesimo art. 135 Cost., strettamente collegata col primo, al quale dà o dal quale riceve luce, che, ispirata al medesimo intento, limita l'eleggibilità ai magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori, ai professori ordinari di università in materie giuridiche e agli avvocati dopo venti anni di esercizio: categorie, per prestigio ed esperienza, omogenee tra loro e con quelle che concorrono a costituire i collegi elettorali. E, infine, integra il sistema, in conformità col precetto costituzionale, rivolta com'è al fine di rendere rigorosa e meditata la scelta, la norma dell'art. 3 della stessa legge, che, ponendo quelle che un tempo si dicevano « strettezzze »1 stabilisce che i giudici nominati dal Parlamento devono essere eletti da questo· in·· séduta comune delle due Camere, a scrutinio segreto e con maggioranza di tre quindi dell'Assemblea nel primo scritinio, e dei tre quinti dei votanti negli scrutini successivi. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione sollevata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, sulla legittimità costituzionale dell'art. 2 lettera c, della legge 11 marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135, primo comma ultima parte, della Costituzione. l) Con la motivazione contenuta nella prima massima, la Corte Costituzionale ha ritenuto di non potersi occupare delle due questioni pregiudiziali sollevate dalla Avvocatura, relative: a) la prima, alla competenza esclusiva della Corte a giudicare della validità dei titoli di immissione dei suoi componenti, ai sensi dell'art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 10 e dell'art. 3 dell'altra legge costituzionale 11 marzo 1953, n. l, come competenza- prerogativa esclusiva ed assorbente, per il particolare obbietto, di quella di qualsiasi altra giurisdizione del nostro ordinamento, sia essa generale o speciale; b) la seconda, al difetto di contraddittorio nel giudizio di merito in quanto si traduceva necessariamente in un difetto di contraddittorio del giudizio costituzionale. La Corte non ha esaminato nè l'una nè l'altra questione, richiamandosi alla propria giurisprudenza in materia di preyiudizialità della questione di giurisdizione o di competenza del Giudice a quo sulla questione di legittimità costituzionale (da ultimo, sent. n. 65 del 7 giugno 1962). Senonchè è da osservare che le due questioni sollevate erano, questa volta, essenzialmente diverse da quelle obbietto delle precedenti pronuncie della Corte. I nvero, quanto alla prima, si trattava di affermare o di negare, in ordine alla materia in controversia, la competenza-prerogativa della Corte a giudicare della validità della nomina dei propri componenti ed, in particolare, il contenuto ed i limiti di questa competenza. La Corte Costituzionale era, quindi, chiamata questa volta a giudicare, non della competenza o giurisdizione del Giudice a quo, bensì della propria competenza a decidere della quistione sollevata in sede di esame della validità dei titoli dei propri componenti neo nominati, ai sensi delle citate norme costituzionali; il che avrebbe escluso la possibilità alla stessa Corte di occuparsene in altra sede e precisamente nella normale sede dei giudizi incidentali. Si trattava, cioè, di stabilire se la· Gorte potesse, nel caso in esame, esercitare la sua ordinMia-· competenza di cui all'art. 134 dellq, Costituzione od,. invece, come era sostenuto dalla Avvocatura, se tale competenza non fosse esclusa dalla di:.. -129- versa competenza circa la validità dei titoli, competenza che si esercita direttamente, cioè indipendentemente dalle condizioni e dai presupposti stabiliti per l'esercizio della prima (in particolare, dalla insorgenza della questione in via incidentale) e con assoluta pienezza di 'Valutazione anche di merito. Nell'esercizio di questa speciale attribuzione costituzionale, la Corte ha il potere di risolvere direttamente e d'ufficio le eventuali questioni di legittimità costituzionale. Le cose stavano in termini pressochè analoghi per quanto riguarda l'altra questione circa la regolarità del contraddittorio. Partendo dal principio, ribadito anche da una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (sent. 44 del 9 aprile 1963) secondo cui il procedimento di rimessione è regolato dalla legge (11 marzo 1953, n. 87) in modo completo ed autonomo dalle ordinarie norme del codice di rito civile, era sembrato e sembra alla Avvocatura che quel procedimento, considerato, appunto nella stta autonomia, abbia un necessario ed inderogabile presupposto: quello del rispetto del principio del contraddittorio (art. 101 C.p.c.) nella fase di questo procedimento che si svolge dinanzi al giudice di merito. Il rispetto di tale principio non ha, se ben si osserva, soltanto valore e rilevanza di ordine processuale ordinario, ma valore e rilevanza di ordine costituzionale, cioè direttamente influenti sulla validità del processo costituzionale che, se nasce viziato in quella fase iniziale, trasferisce necessariamente il vizio di origine anche nella fase di decisione della questione innanzi alla Corte. È sufficiente, al riguardo, osservare, che l'anzidetto procedimento di introduzione del giudizio costituzionale dà a ciascuna delle parti il potere di istanza in ordine al promuovimento della questione di legittimità costituzionale (art. 23 della n. 87 del 1953), così come dà a ciascuna delle parti il potere di costituirsi innanzi alla Corte e di presentare memorie difensive e di partecipare alla discussione orale. Il controllo, quindi, di tale presupposto, che è presupposto di validità anche per la instaurazione del processo innanzi alla Corte, dovrebbe essere fatto da quest'ultima. 2) N el merito, la sentenza ha accolto integralmente le argomentazioni dell'Avvocatura, sia di ordine gene· rale, relative cioè alla interpretazione dell'art. 135 della Costituzione in relazione al carattere, al contenuto ed alla portata della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, cioè della legge di prima attuazione, sotto il profilo della composizione della Corte, dell'art. 135 della Costituzione; sia di ordine particolare, relative cioè, alla posizione organica dei primi referendari e de~ referendari della Corte dei conti nell'ordinamento della Corte stessa, in relazione alle funzioni giurisdizionali ad essi attribuite. Per una completa informazione dei lettori riportiamo la parte di merito della memoria dell'A vvocatura. III) Sulla infondatezza della questione di illegitimità costituzionale nel merito. - La questione sarebbe, comunque, infondata nel merito, apparendo evidente la insussistenza dell'asserito contrasto tra l'art. 2 lettera c) della legge di prima attuazione delle norme costituzionali sulla composizione e sul funzionamento della Corte e l'art. 135 della Costituzione. A) Interpretazione dell'art. 135, primo e secondo comma della costituzione. - È opportuno, anzitutto, intendere il contenuto precettivo dell'art. 135, primo e secondo comma della Costituzione, col quale deve essere confrontato l'art. 2 della legge ordinaria di prima attuazione, ai fini dell'anzidetto, asserito contrasto. Com'è noto, la Costituzione, all'art. 135, traccia le linee generali del sistema di nomina dei componenti della Corte Costituzionale, avendo cura di attribuire in misura eguale la nomina dei diversi poteri, sì che la Corte risulti nel suo complesso formata in modo che sia la espressione dei vari poteri e di nessuno di essi: cinque Giudici sono di nomina del Presidente della Repubblica, altri cinque delle Camere ed, infine, altri cinque « delle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa)) (art. 135, primo comma). Premessa questa ripartizione, la Costituzione fissa, sempre in via generale, la qualità o, se si vuole il livello, che deve essere raggiunto con la nomina dei componenti della Corte, limitando la possibilità di scelta a categorie di persone ritenute particolarmente idonee, come quelle di magistrati (anche a riposo) delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrativa, dei professori ordinari di università in materia giuridica e degli avvocati dopo venti anni di esercizio (art. 135, secondo comma). Com'è anche noto. l'art. 137 della Costituzione stabilisce, al secondo comma, che con legge ordinaria dovevano essere poste «le altre norme necessarie per la costituzione ed il funzionamento della Corte n, oltre alle norme sulle condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudici e le garanzie dei giudici, riservate alla legge costituzionale. La previsione della legge ordinaria, in tema di costituzione e funzionamento della Corte venne ribadita dalla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, art. 1, laddove la legge ordinaria viene indicata come: << ••• emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali n. B) I lavori preparatori della legge 11 marzo 1953, n. 87. -La legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87 ebbe un lunghissimo e meditato iter legislativo, come risulta dai lavori preparatori (2), nel quale furono posti e discussi tutti i problemi concer- (2) Cfr. Relazione DE GASPERI; in «Atti Senato, doc. n. 3 "; I a Relazione PERSICO per la seconda Commissione del Senato, in «Atti Senato, doc. n. 23-A "; 1a Relazione TESAURO per la Oommissione speciale della Oamera, in «Atti Camera doc. n. 469-A l>; 2a "Relazione PERSICo per la Commissione del Senato,· in « Atti Senato, ... doc. 23-0 "; 21 Relazione TESAURO per la Oommissione speciale della Oamera, in «Atti Camera doc. n. 469:(7 "; riportati ne La legislazione ltaliana 1954, pp. 364-435 .. -130- nenti l'attuazione delle anzidette norme costituzionali sulla composizione e sul funzionamento della Corte. Si lavorò, in sostanza, su due disegni di legge predisposti rispettivamente, dalla seconda Commissione del fSenato e della Commissione speciale della Camera, i quali furono più volte modificati e, comunque, discussi articolo per articolo. Per quanto concerne più da vicino la questione della nomina dei Giudici, si stabilì fin da principio, che il sistema di nomina doveva essere quello della elezione (3) e che questa dovesse avvenire in tre distinti Collegi, uno per ogni «magistratura suprema ». Per ciò che concerne la partecipazione ai Collegi, si delineò subito una divergenza tra orientamento del Senato e quello della Camera dei Deputati, giacchè mentre il primo intendeva per « supreme magistrature » i tre organi di giurisdizione superiore (Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti), la Commissione speciale della Camera propendeva per la interpretazione del termine nel senso che esso comprendesse « i magistrati dei gradi più alti n indipendentemente dalla natura dell'organo presso il quale essi esercitano le loro funzioni ( 4). Secondo questo orientamento, e quindi secondo il progetto della Commissione speciale della Camera, dei tre Collegi elettorali potevano far parte (ed essere eletti) anche i presidenti di Corte d'Appello ed i procuratori generali, mentre ne venivano esclusi i consiglieri di Corte d'appello addetti alla Cassazione. Peraltro, l'anzidetta soluzione del « grado » rivestito dal magistrato veniva accolta, in questa fase, in forma dubitativa, soggiungendosi che sarebbe spettato all' .Assemblea stabilire, in definitiva, se la cerchia degli elettori dovesse estendersi fino a comprendere tutti i magistrati di cassazione ovunque esercitassero le funzioni, o se, invece, dovessero da essa escludersi anche i primi presidenti ed i procuratori generali di co1·te d'appello. La stessa riserva per la discussione in aula veniva fatta a proposito dei referendari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i quali ultimi erano stati esclusi dal testo del Senato ed inclusi in quello della Commissione, sempre ·con anzidetta riserva. Quando il disegno di legge fu disc:usso innanzi alla Camera dei deputati nella seduta del l 0 febbraio 1951, ( 5) vi erano due emendamenti presentati l'uno dall'on. Costa e l'altro dall'on. Colitto che davano corpo a concretezza al dubbio ed alla riserva espressi dalla Commissione, nel senso che la partecipazione ai Collegi dovesse essere limitata ai Con-· siglieri di Cassazione ed ai Magistrati di grado superiore della Stessa Corte effettivamente addetti (3) Cfr. 1a Relazione PERinoo, in . «Atti Senato, doc. 23-A n. · (4) Ofr~ la èitata Relazione TESATRO, riportata in La legiBlazione italiana; 1954 pag. 612. (5) Cfr. Atti parlamentai; Òa~era dei Deputati, seduta l febbraio 1951, p. 252817. alle funzioni di Cassazione, ed ai Consiglieri di Stato e della Corte dei Conti escludendosi i referendari. Nella discussione che seguì, (6) sia il relatore Tesauro che il rappresentante d~l Governo ebbero modo di chiarire, senza possibilità di equivoci, il concetto ispiratore dell'emendamento Costa che fu approvato sia dalla Camera che dal Senato e passò, quindi, come testo di legge. C) Confronto tra il contenuto normativo dell'art. 2 della legge 11 marzo 9153, n. 87 e l'art. 135 della Costituzione. - Premesso l'anzidetto excursus sui lavori preparatori della legge ed, in particolare, dell'art. 2, si può fondatamente affermare che questo articolo sia in contrasto con l'art. 135 della Costituzione, per quanto attiene particolarmente alla composizione del Collegio speciale elettorale della Corte dei Conti Y La risposta negativa a noi non pare dubbia. Diciamo subito che ci sembra del tutto vano lo sforzo col quale i ricorrenti hanno cercato di dimostrare nel giudizio di merito (cfr. la loro Memoria inanzi la Corte dei Conti, pagg. 7 e segg.) la pretesa oscurità e la pretesa incoerenza con le quali da parte della Camera dei deputati si sarebbe preceduto alla approvazione dell'emendamento Costa, nelle circostanze sopra riferite. I ricorrenti hanno tacciato questo emendamento di illogicità e di incoerenza, asserendo che con esso si sarebbe venuto ad operare, nelle magistrature superiori, un « taglio » diverso a seconda che si trattasse della Corte di Cassazione o del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. .A.:ffidandosi a questa argomentazione (che probabilmente sarà ripetuta anche nella loro memoria nell'attuale Sede) i ricorrenti dimenticano che l'emendamento Costa fu approvato a seguito di discussione nella quale tutti si trovarono d'accordo, e dimenticano altresì i concetti ed i principii che erano a base dell'emendamento e della discussione, quali si erano venuti delineando già nelle precedenti discussioni sui disegni di legge del Senato e della Commissione della Camera. È bene quindi, fermare alcuni punti fondamentali. L'organo legislativo ordinario doveva, in sede di prima attuazione dell'art. 135 della Costituzione, porre norme sulla composizione e sul funzionamento della Corte Costituzionale, norme espressamente previste dall'art. 137 della Costituzione e dell'art. l della legge 11 marzo 1953, n. l. Non vogliamo, neanche in questa Sede, prendere posizione nei riguardi della tesi, sostenuta in dottrina, circa la << forza n o la natura delle norme della legge ordinaria espressamente prevista, sia pure come tale, da norme costituzionali concernenti l'organizzazione ·ed il funzionamento della Corte . .A.i fini del nostro problema, è sufficiente rilevare che, per espressa disposizione delle citate norme costituzionali, le norme emanate con·tà legge ordi- (6) Ofr. Atti parlamentari, cit. p. 252818 -131- naria 11 marzo 1953 n. 87 sono norme di attuazione, e precisamente di prima attuazlone delle predette norme costituzionali. Esse si trovano, quindi, quanto meno, nei riguardi di queste ultime, in posizione analoga a quella delle norme di attuazione degli Statuti speciali regionali: il che significa che esse non debbono andare contra Constitutionem, ma possono bene attuare ed anche integrare la regolamentazione tracciata solo a grandi linee dalla Costituzione, ove non ne vengano a menomare i principi fondamentali informatori della regolamentazione stessa (7}. Un primo problema che, entro gli anzidetti limiti, il legislatore ordinario doveva risolvere in questa materia era quello del sistemo o modo di nomina: e lo ha risolto adottando il sistema della elezione, che non si può dire in contrasto con la Costituzione, anche se non espressamnete previsto per la nomina dei Giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. .Altro problema era quello se alla elezione-nomina da parte della « suprema magistratura » dovesse provvedersi da un Collegio unico o da tre Collegi distinti: ed il legislatore ha accolto questa ultima _soluzione, per le ragioni che diffusamente si leggono nei citati lavori preparatori. Vi era, poi, il terzo problema relativo alla campo- sizione de'i tre speciali Collegi elettorali, per il _quale problema, come risulta dagli stessi lavori preparatori, il legislatore ordinario si trovava di fronte a questi termini fondamentali: a) l'elemento costituito dalla norma costituzionale dell'art. 135 che, al primo comma, stabilisce la nomina di 5 Giudici « dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa >> senza neanche riferirsi ai magistrati tutti di tali magistrature; mentre, al secondo comma, in tema di requisiti dei Giudici costituzionali in genere, indica le particolari qualifiche (magistrati superiori, professori, avvocati), e la indicazione deve necessariamente riflettersi anche nei riguardi della composizione dei collegi, cioè dell'elettorato attivo, in quanto nella specie è pacifico che coloro che sono chiamati a far parte del Collegio possono da esso anche essere eletti; b) la possibilità di interpretare la espressione costituzionale << Supreme Magistrature ordinaria ed amministrativa» con riferimento al corpus o complesso di magistrati che, al momento della elezione compongono ciascuna suprema magistratul'a ed in essa esercitano funzioni, pur rivestendo qualifiche diverse ed eventualmente inferiori a quelle proprie delle funzioni esercitate (ad esempio i consiglieri di appello addetti alla Cassazione), ovvero esercitino anche funzioni meno piene di quelle proprie della << magistratura suprema » (caso dei referendari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti). c) la possibilità, invece, di interpretare la norma costituzionale con riferimento esclusivo al corpus dei magistrati che rivestano, nel contempo, la qualifica propria del magistrato supremo (consigliere di Cassazione ed equiparati) ed esercitino (7) Cfr. per le norme di attuazione degli statuti speciali: della Oorte Costituzionale n. 20 del 1956. effettivamente la funzione corrispondente alla qualifica con carattere di attualità riferito al momento della elezione. In base a questa interpretazione, vengono esclusi dal Collegio elettorale (e dalla possibilità di essere eletti) sia i magistrati che, pur rivestendo (come grado) la qualifica, non esercitano attualmente presso le giurisdizioni superiori (magistrati di Cassazione nominati presidenti di Corte d'Appello o di Tribunale) sia, all'inverso, i magistrati inferiori che svolgono attualmente le funzioni superiori ma non / ne hanno la qualifica (consiglieri di appello addetti alla Cassazione). N e sono, per altro verso, esclusi i magistrati che non hanno la qualifica propria delle magistrature superiori e che esercitano le funzioni, peraltro in maniera affievolita, cioè semipiena ed adventicia, per le particolari limitazioni che la legge stessa pone all'esercizio delle funzioni. E questo è il problema particolare dei referendari (}_el Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, problema che è stato ben presente ed è stato discusso, come si è visto, in sede di formazione della legge in questione. Questa, partendo dalla considerazione del dato costituzionale (sub a), ha deliberatamente e meditatamente adottato la interpretazione (sub c) come la più rispondente alla lettera ed alla ratio del precetto costituzionale. Perciò, non può seriamente parlarsi di pretesa incoerenza e di illogicità del legislatore, facendosi leva su di una elemento che è altrettanto ovvio quanto irrilevante ai fini della questione di costituzionalità, e cioè la diversità, peraltro non sostan- ziale, con la quale il problema si presentava, in termini pratici, nei riguardi della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Il problema è stato, a nostro avviso, bene impostato e bene risolto dal legislatore ordinario con la norma attualmente in vigore che è stata, nel recente passato, applicata senza dar luogo a contestazioni di sorta, in ciascuno dei tre Collegi che hanno proceduto alla nomina. D) Sulla funzione dei referendari in base all'ordinamento della Corte dei Conti. - La nostra convinzione riceve conferma, oltre che dalle considerazioni fino ad ora esposte, dall'esame delle vigenti norme sull'ordinamento della Corte dei Conti, per quanto, come si è detto nelle deduzioni di intervento, occorrerebbe considerare solo l'ordinamento vigente all'entrata in vigore della Cosittuzione. Comunque, in base alle norme attualmente vigenti i magistrati della Corte si distinguono, secondo le funzioni, in varie categorie (art. 10 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 ). Già questa distinzione, nella stessa magistratura superiore, di magistrati (ivi compresi i referendari) secondo le funzioni, è sintomatica e significativa, ai fini che qui interessano: giacchè, com'è noto, tHl~ distinzione del genere non si riscontra nell'ambito della Corte di Cassazione in cui i magistrati che rivestono la qualifica propria esercitano tutti la stessa funzione, quella di < corrisponde a quella di giudice istituito in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie, in modo che sia data al cittadino la certezza circa il giudice che lo deve giudicare (sentenze n. 29 del1958, n. 22 del1959, n. 88 del1962). Nel caso in esame, tanto l'art. 55 D. P. R. 19 maggio 1949, quanto l'art. 25 O. p. c., stabiliscono la competenza del cosidetto foro della P. A. in maniera generale, per tutte le categorie di controversie in cui è parte la Regione o la Pubblica Amministrazione. Le disposizioni in essi contenute non ammettono alcuna possibilità che la competenza venga determinata in relazione a una controversia già insorta, e danno al cittadino la previa certezza del giudice che dovrà conoscere delle sua causa. Alla stregua dei criteri ricordati, può ben dirsi che il giudice la cui competenza è determinata, per il richiamo contenuto nell'art. 55 citato, dalla legge sulla ,rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e dall'art. 25 O. p. c., è esso stesso un giudice naturale precostituito per legge. Nessuna illegittimità costituzionale è dato, pertanto, scorgere nella indicata norma legislativa che deferisce ad esso le controversie in cui è parte la Regione sarda, e nella norma conseguenziale che regola le notificazioni alla Regione secondo le disposizioni dello art. 144 O. p. c. COSTITUZIONE - Regione siciliana - Presidente - Funzioni statali decentrate - Modo di esercizio - Mantenimento dell'ordine pubblico. (Corte Costituzionale, 13 luglio 1963, n. 131 - Pres.: Ambrosini; Rel.: Chiarelli - Presidente del Consiglio c. Regione Siciliana). Il mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio della Regione siciliana è attribuito al Presidente della Regione nella qualità di organo dello Stato. Egli non può esercitare questa funzione mediante uffici od organi della Regione, ma deve esercitarla esclusivamente a mezzo della polizia dello Stato. Riportiamo integralmente la motivazione della sentenza, che, a nostro avviso, trascende il caso di specie, espressamenw regolato dall'art. 31 S.S.Sic. I principi affermati dalla Oorte, infatti, sono applicabili a tutte le ipotesi di esercizio di attività statali decentrate ad organi individuali della Regione (art. 20 P.c., u.p. S.S.Sic. e art. l D.L.O.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, art. 44 P.c. S.S. V A). Solo nelle ipotesi, in cui l'esercizio di funzioni statali sia delegato all'Ente-Regione (art. 6 u.p., articolo 47 O.c. e art. 49 S.S.Sa., art. 35 S.S.T.A., - art. 44, II c. S.S. V A.), gli organi di questa pot1·anno perciò, servirsi degli uffici e della organizzazione regionale. Nella prima ipotesi, invece, l'esercizio - 134 delle funzioni statali decentrate dovrà essere effettuato dal Presidente e dagli .Assessori esclusivamente a mezzo degli Uffici e della organizzazione statale. CONSIDERATO IliO DIRITTO Il riéorso del Commissario dello Stato investe gli artt. 2 e 7 della legge sull'ordinamento del governo e dell'amministrazione centrale della Regione siciliana, approvata dall'Assemblea regionale il 20 novembre 1962, in quanto l'art. 2 lettera q, richiamandosi all'art. 31 dello Statuto, comprende tra le attribuzioni del Presidente ivi elencate il mantenimento dell'ordine pubblico, e l'art. 7 comprende tra gli uffici, mediante i quali il Presidente della Regione esplica le attribuzioni di sua competenza, un Ispettorato regionale di polizia. Il ricorso è fondato. È fuori dubbio, e non forma oggetto di discussione tra le parti, che la funzione di provvedere al mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio · della Regione è attribuita dall'art. 31 Statuto . sicilìano al Presidente della Regione nella qualità di organo dello Stato. Ma può ritenersi ugualmente certo che il Presidente non può esercitare questa funzione mediante uffici ed organi della Regione. Se, infatti, è vero che, comè rileva la difesa della Regione; il Presidente di questa è investito di funzioni statali non come persona fisica, ma in quanto copre l'ufficio di Presidente della Regione, (si ha, cioè, una specie di unione reale e non personale), resta tuttavia distinta la figura della presidenza della Regione, come organo di quest'ultima da quella del Presidente della Regione, come ufficio pubblico con distinte funzioni, di organo regionale e di organo statale; o, in altre parole, come organo di due enti diversi, ciascuno con proprio ordinamento e con propria organizzazione. Certo, anche la Presidenza della Regione può avere una propria organizzazione di uffici ausiliari; ma attraverso questa organizzazione non possono · essere trasferite ad uffici e ad agenti dipendenti dalla Regione funzioni che sono del Presidente come organo dello Stato. Diverso è il caso dell'ente che agisce come organo di un altro ente, e che non può non servirsi della propria organizzazione e del proprio apparato: il Presidente della Regione non è un ente che, come tale, non .può agire se non attraverso una propria organizzazione e un proprio apparato, ma è, come si è detto, un ufficio che, essendo investito di funzioni regionali e di funzioni statali, è distintamente incardinato nello ordinamento dell'ente Stato e dell'ente Regione, senza la possibilità che nella sua figura vengano a confondersi o a sovrapporsi le rispettive organizzazioni di questi due enti. Nè vale il dire. che, nella specie, le funzioni attribuite all'Ispettorato regionale di polizia dall'art. 7 si esauriscano nella organizzazione interna della Presidenza della Regione. A parte il fatto che non si vede come l'esercizio di funzioni di polizia sia pure in collaborazione con l'attività del Presdente, possa esaurirsi nell'ambito interno dell'Amministrazione, è lo Statuto ad impedire che il Presidente possa svolgere la funzione di provvedere al mantenimento dell'ordine pubblico mediante OJ'gani regionali. L'art. 31 di esso, infatti, dispone che << al manteni- -mento dell'ordine pubblico provvede il Presidente regionale a mezzo della polizia dello Stato, la qua-le nella Regione dipende disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzazione, dal Governo regionale )). Il Governo della Regione, dunque, può disporre dell'impiego e dell'utilizzazione della polizia statale, servendosi dei poteri che lo Statuto gli attribuisce; ma è escluso che al mantenimento dell'ordine pubblico si possa provvedere a mezzo di una polizia diversa dalla statale. È chiaro, pertanto, il contrasto tra la riportata norma dell'art. 31 e la formula adottata nell'art. 7 della legge de qua; << Ispettorato regionale di polizia - Collaborazione alla attività del Presidente per quanto concerne l'esercizio delle funzioni indicate nella lettera q dello art. 2 - Polizia amministrativa )). Altrettento evidente è la violazione delle norme - statutarie sulla competenza legislativa dellll> Regione. Dall'art. 31 dello Statuto siciliano diseende che solo una legge costituzionale potrebbe stabilire, in sede di revisione, che il Presidente regionale possa servirsi di organi non appartenenti alla . polizia statale; e, d'altra parte, solo una legge della . Repubblica può stabilire l'ordinamento degli organi di polizia, di cui il Presidente e il Governo della · Regione possono disporre. Con le impugnate norme la Regione ha, per tanto, travalicato i limiti della competenza legislativa fissati dagli artt. 14 e 17 dello Statuto siciliano, i quali, coerentemente con l'art. 31, non comprendono la materia dell'ordinamento della polizia. Anche per quanto riguarda la polizia amministrativa deve dichiararsi illegittima la impugnata disposizione dell'art. 7, perchè, in attuazione dell'ultimo capoverso dell'art. 31 dello Statuto siciliano, si sarebbe potuto prevedere la organizzazione di corpi speciali, destinati alla tutela di particolari servizi ed interessi, ma non poteya farsi una generica attribuzione delle funzioni di polizia amministrativa all'Ispettorato regionale. Va ugualmente dichiarata l'illegittimità dell'articolo 2, lettera q, che si richiama all'art. 31 dello Statuto siciliano, perchè nel sistema della legge l'art. 2, lettera q e l'art. 7, parte impugnata, sono tra loro collegati, insieme esorbitando dalla competenza regionale. ~ "Jilmi&& ME = m rz rwwrr -135- CORTE DI CASSAZIONE COMPETENZA - Concessione in uso di bene demaniale -Imposizione di un canone- Controversia relativa alla legittimità dell'imposizione - Competenza del giudice amministrativo. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 1666/63 - Pres.: Lonardo; Est.: Pece; P. M.: Criscuoli - Soc. Sogene c. Ministero dei Lavori Pubblici). Nel caso in cui il privato, che ha ottenuto dalla Pubblica .Amministrazione la concessione in uso di un bene demaniale contesti la legittimità. dell'imposizione di un canone relativo alla concessione stessa, la controversia, investendo la maniera con la quale la Pubblica .Amministrazione ha esercitato- in concreto il proprio potere discrezionale, rientra nella competenza del giudice amministrativo e non già in quella del giudice ordinario. Oon questa sentenza la Oorte conferma i criteri - ormai consolidati - di discriminazione fra giurisdizione ordinaria e amministrativa in materia di concessioni, precisando che rientrano nella prima tutte e sole le controversie, le quali abbiano ad oggetto l'interpretazione e l'adempimento di una clausola inerente al regolamento · convenzionale conseguente alla concessione e con questa connesso (concessione contratto) mentre sono devolute alla giurisdizione amministrativa quelle, che riguardino il contenuto, intrinsecamente unitario ed inscindibile, dell'atto amministrativo di concessione. Nella specie non si trattava d'interpretare una clausola del disciplinare, che costituisce il regolamento convenzionale conseguente alla concessione; ma di accertare la legittimità dell'atto amministrativo, con il quale la Pubblica Amministrazione, nell'esercizio del suo potere discrezionale, aveva ritenuto di concedere l'uso eccezionale di un bene demaniale elo~usivamente previo pagamento di un canone, commisurato all'utilità, che dalle concessioni il privato avrebbe tratto. L~intrinseca unità ed .inscindibilità dell'atto amministrativo e del suo contenuto non consentiva altra soluzione, essendo evidente che il pagamento del canone era la causa o, quanto meno, una delle cause dell'atto amministrativo, che, il giudice ordinario non poteva modificare senza interferire - contro il divieto posto dall'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E - nell'esercizio dell'attività discrezionale riservata alla Pubblica Amministrazione, ponendo, con la sentenza, l'equipollente di un diverso atto di concessione. Trascriviamo la motivazione della sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE La Società ricorrente ha dedotto che nella specie doveva essere ritenuta la giurisdizione ordinaria perchè veniva in contestazione il potere o meno, nella Pubblica .Amministrazione, di imporre il pagamento di un canone, quale corrispettivo per il godimento in concessione di un bene demaniale. La censura è infondata. È esatto che ripetutamente queste Sezioni Unite hanno affermato il concorso della gimisdizione ordinaria quando il privato contesti, nei confronti della Pubblica .Amministrazione, la stessa esistenza di un potere discrezionale; il richiamo a tale indirizzo giurisprudenziale non è, però, rilevante nel caso in esame. Infatti, la stessa Sogene non contesta già che rientri nel potere discrezionale della Amministra. zione il concedere o meno in 1;1.so un bene demaniale, ma nega che l' .Amministrazione possa condizionare . tale uso al pagamento di un canone da parte del privato concessionario. Poichè, però, la imposizione del canone attiene, in realtà, al modo di utilizzazione del bene concesso in uso, nel senso che si risolve nella determinazione di un onere relativo alla concessione, in realtà la contestazione ha per· oggetto il modo che l'Amministrazione ha ritenuto meglio rispòndente al pubblico interesse per· la utilizzazione dello specifico bene demaniale dato in concessione. N e segue che la illegittimità. dedotta dalla Sogene investe, in definitiva, la maniera con la quale la. Pubblica .Amministrazione ha esercitato in concreto il proprio potere discrezionale, sicchè l'accertare la sussistenza o meno della dedotta illegittimità. rientra nella competenza del giudice amministrativo e non già in quella del giudiee ordinario. D'altr~ parte, la censura della ricorrente vorrebbe operare una inammissibile frattura nel contenuto, intrinsecamente unitario ed inscindibile} . dell'atto amministrativo in esame, non potendosi~ nella specie e contrariamente a quanto affermato. dalla ricorrente, fare ricorso allo schema· giuridicodella concessione-contratto. Infatti, non sono venuti in discussione la interpretazione o l'adempimento di una elausol~, inerente ad un regolamento convenzionale conseguente alla concessione, postochè nessun contrattoera intervenuto tra la Pubblica .Amministrazione e la Sogene. Al contrario, era in discussione solo un atto autoritativo della Pubblica .Amministrazione~ del quale atto la Sogene, lungi dall'accettare il contenuto, ha contestata la legittimità.. Ancora più chiaro è poi il difetto della giurisdizione ordinaria in relazione alla domanda subordinata, con la quale la Sogene aveva richiesta al Tribunale la riduzione del canone di concessione,. comechè eccessivo. Tale riduzione, infatti, avrebbe importata quella modifica dell'atto amministrativo che è, invece~ istituzionalmente sottratta al potere del giudice ordinario. Concludendo, deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo e, per l'effetto, il ricorso deve essere rigettato. COMPETENZA E GIURISDIZIONE - Contratti di locazione con la Pubblica Amministrazione - Rinnovazione tacita - Questione di diritto soggettivo~ - 13G AMMINISTRAZIONE PUBBLICA - Volontà implicita della Pubblica Amministrazione -Inconfigurabilità - Rinnovazione tacita del contratto di locazione - Inammissibilità. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 1817/63 - Pres.: Lonardo; Est.: Jannelli; P. M.: Criscuoli (conf.) -Rovegno c. Amministrazione Finanze dello Stato). l) È competente il giudice ordinario a decidere della questione di rinnovaziune tacita del contratto di locazione concluso tra il privato e la Pubblica Amministrazione. 2) La volontà di obbligarsi della Pubblica Amministrazione non può desumersi da facta concludentia, ma deve essere espressa nelle forme di legge e tra cui la forma scritta, richiesta ad sub-stantiam. Pertanto, in caso di locazione di un immobile di proprietà della Pubblica Amministrazione, non può trovare applicazione l'istituto della rinnovazione tacita del contratto, che viene posto in essere con una manifestazione tacita di volontà di entrambe le parti contraenti- desunta dal fatto che il conduttore, alla scadenza del contratto, rimane nella detenzione della cosa locata senza l'opposizione del locatore - e che dà luogo a un negozio giuridico nuovo. La prima massima è di ovvia esattezza e non si -comprende come la questione possa essere stata sollevata. La seconda massima, accogliendo la tesi dell'Av" Vocatura, conferma un indirizzo giurisprudtnziale -che può ben dirsi ormai costante. DANNI DI GUERRA - Contributo per riparazioni - Recupero spese. Cassazione, I Sezione Civile, Sentenza) 14 marzo 1963, n. 644 - Pres.: Celentano; Est.: Stella · Richter; P. M.: Cutrupia - Finanze c. Colella). L'art. 55 della legge n. 968 del 1953, il quale fa obbligo al Ministero del Tesoro di liquidare d'ufficio i contributi per i danni di guerra a favore di persone :fisiche o giuridiche i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra, siano stati ripristinati direttamente dallo Stato o da enti contròllati dallo Stato con :finanziamenti concessi dallo Stato o dagli enti medesimi, demandando ad un successivo decreto presidenziale di stabilire le norme per il recupero della differenza tra gli esborsi .anzidetti ed il contributo liquidato ove non vi provvedano già le disposhdoni vigenti, non è incompatibile con l'art. 40 del decreto legislalivo n. 261 del1947, che impone al proprietario dell'edificio riparato dal genio civile di rimborsare i due terzi della spesa per la riparazione, ma si limita a stabilire il sistema di riscossione in dipendenza del credito che il privato abbia nei confronti dell'Amministrazione, nel senso che l'obbligo del proprietario di rimborsare i due terzi della 13pesa sostenuta Q.allo Stato è condizionato alla preventiva liquidazione del contributo attribuito dalla legge del1953 ed è limitato quantitativamente per effetto della detrazione dell'ammontare della speRa dell'importo del contributo. La sentfnza è cosi. motivata : La tesi sostenuta dall'Àmministrazione ricorrente puo così compendiarsi: l'art. 40 del D.L.O.P.S. 10 aprile 1947, n. 261 dispone cll._e i proprietari dei fabbricati danneggiati per fatto di guerra, che siano ripristinati di ufficio dal Genio Civile, sono tenuti al rimborso delle spese di riparazione limitatamente ai due terzi. Tale disposizione è perfettamente compatibile con quella dell'art. 55, comma 3° della legge 27 dicembre 1953; n. 968, secondo la quale il Ministro del Tesoro provvede di ufficio alla liquidazione dei contributi a favore di persone i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra siano stati ripristinati direttamente dallo Stato o mediante :finanziamenti concessi dallo Stato o per suo conto. Da queste combinate norme risulta che i proprietari, nell'indicata ipotesi, sono tenuti al rimborso dei due terzi della spesa sostenuta dallo Stato, salvo ad aver diritto ad un contributo, che sarà liquidato tenendo conto dell'onere del rimborso anzidetto. La disposizione dell'art. 40 del decreto del1947, è, invece, incompatibile con quella dell'ultimo comma dell'art. 55 della legge del1953, secondo la quale con decreto del Presidente della Repubblica sarebbero state dettate le norme per il recupero, a favore dello Stato, dalla differenza tra gli esborsi per il ripristino dei beni e il contributo liquidato (decreto poi emal).ato il 30 giugno 1959, n. 638.) Ciò dimostra che l'ultimo comma dell'art. 55 della legge del 1953 regola una materia diversa da quella regolata dall'art. 40 del decreto del 1947, come è fatto palese dall'inciso :finale << ove non provvedano già le disposizioni vigenti,>. E la materia sarebbe quella dei lavori di ripristino dei fabbricati eseguiti ai sensi delle leggi 9 luglio 1940, n. 938 e 26 ottobre 1940, n. 1543, che non prevedevano l'obbligo dei proprietari di rimborsare le spese, vale a dire anteriormente alle leggi per il ricovero dei senza tetto (D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366; D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305 e D. L. O. P. S. 10 aprile 1947, n. 261). Quindi la norma in esame si applica solo rispetto ai lavori di ripristino iniziati prima del 31 agosto 1944, data di riferimento del D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366, che per primo sancisce l'obbligo del rimborso delle spese. In conclusione, qualora si tratti di lavori di riparazione o ricostruzione eseguiti sotto l'impero delle leggi per il ricovero di senza tetto, il proprietario è tenuto al rimborso dei due terzi della spesa sostenuta dallo Stato, senza poter invocare che dal relativo importo sia detratto il contributo spettantegli. La tesi è infondata. È da ricordare che la legge 26 ottobre 1940, n. 1543, la quale prevedeva un risarcimento integrale dei danni di guerra, ha avuto una limitatissima applicazione, per la gravità dei danni e l'incertezza della situazione bellica, nonchè per la mancata iniziativa dei privati nella riparazione o ricostruzione dei fabbricati. Ma, essendosi determinata la mancanza di abitazioni, si sono dovute emanare le disposizioni legislative del 1944, 1945 e 1947 sopra richiamate, in viriù delle quali lo Etr to p (v - 137 vide al ripristino dei fabbricati, al fine di offrire un ricovero ai senza tetto. Lo Stato non ritenne :poi di poter sostenere l'onere del risarcimento integrale dei danni di guerra, dato l'ammontare ingentissimo di essi, ma di dover solo dare un indennizzo ':parziale o un contributo alle ricostruzioni o ripa: razioni, e, in attesa di disciplinare tali sovvenzioni, stabilì l'obbligo dei proprietari di rimborsare i due terzi della spesa occorsa per il ripristino, calcolando ~he l'altro terzo potesse rappresentare l'indennizzo ·a titolo di risarcimento. E appunto per la man. canza, in quel tempo, della disciplina del risarcimento, fece rinvio ad un secondo tempo per il ·computo del dare e dell'avere: l'art. 87 del decreto del 194 7, infatti stabilisce che l'ammontare della spesa doveva essere comunicato all'intendente di :finanza << ai fini di eventuali conguagli a favore del propri~tario in sede di liquidazione di indennità :per danni di guerra)} (analoga disposizione conteneva l'art. 65 del D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305). La nuova legge del 1953 disciplina gli indennizzi -e i contributi per i danni di guerra: nell'art. 27 J>One il criterio per la commisurazione dei contributi -e nell'art. 55 scioglie la detta riserva. Il credito da recuperare non è più quello indicato in via prov- visoria nei due terzi della spesa, ma solo quello dato dalla differenza tra l'importo della somma ~rogata nel ripristino e l'ammontare del contributo dovuto secondo la nuova legge, e che non può in alcun modo eccedere i due terzi di quella somma, mentre di regola sarà minore. Invero l'art. 55 stabilisce che il Ministero deve provvedere di ufficio alla liquidazione dei contributi a favore delle persone i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra, siano stati ripristinati dallo Stato o con finanziamenti da esso concessi ovvero da enti controllati dallo Stato o con :finanziamenti dei medesimi. E demanda poi ad un successivo provvedimento le norme per il recupero della differenza fra i detti esborsi e il contributo liquidato, ove già per tale recupero non provvedano le disposizioni vigenti. In tali sensi statuiscono gli ultimi tre commi dello articolo, i quali non possono non essere considerati intimamente connessi tra loro, tanto -più che l'ultimo richiama esplicitamente gli altri due. Ora siffatto ultimo comma pone due principii, l'uno è che il contributo per danni di guerra va detratto all'ammontare degli esborsi effettuati per il ripristino dei fabbricati, appunto perchè il contributo è liquidato di ufficio, ai sensi dei commi precedenti; l'altro è che le modalità per il recupero della differenza saranno stabilite con decreto del Presidente della Repubblica, salvo che siano già stabilite dalle disposizioni vigenti. Quest'ultimo inciso perciò si riferisce solo alle modalità per il detto recupero, modalità in effetti stabilite dal D. P. R. 30 giugno 1959, n. 638, che riferendosi al 3° e 4° comma dell'art. 55 della legge del 1953, prevede l'emanazione di decreto del Ministero del Tesoro, determinativi delle somme, la notificazione di essi, il pagamento in unica soluzione o mediante ratizzazione, le impugnazioni e l'esecuzione. - Ne consegue che il primo dei due I!!'incipi enunciati, vale a dire quello della detraibilità del contributo dell'ammontare della spesa da rimborsare, si applica in tutti i casi in cui il contributo spetta. Esso quindi si pone come una norma limitativa rispetto a quella dell'art. 40 della legge tlel 1947, nel senso che l'obbligo del proprietario di rimborsare i due terzi della spesa sostenuta dallo Stato è condizionato alla preventiva liquidazione del contributo attribuito dalla svccessiva legge del 1953 ed è limitato quantitativamente per effetto della detrazione dell'ammontare della spesa dell'importo del contributo. La esposta interpretazione non contrasta con la natura di mero interesse legittimo riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza di questo Supremo Collegio e dalla dottrina all'aspettativa per il risarcimento dei danni di guerra. In vero la liquidazione del contributo resta rimessa all'amministrazione senza possibilità di tutela avanti alla autorità giudiziaria: se tale liquidazione non ha luogo, l'interessato non può richiederla al giudice, e così se essa non è adeguata, non può dolersene avanti al giudice. Ma la liquidazione medesima, essendo imposta all'amministrazione ed essendo necessaria per la determinazione della somma che il privato è tenuto a pagarle a titolo di rimborso della spesa per la ricostruzione, si pone come condizione per l'esercizio dell'azione, da parte dell'Amministrazione medesima per il recupero della differenza tra la sofi:lma erogata e l'ammontare del contributo. Per queste considerazioni il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine alle spese. Con la sentenza sopra riportata la Corte Suprema ha ritenuto illegittimo il comportamento fin qui seguUo dall'Amministrazione, la quale aveva provveduto a richiedere, ai proprietari degli immobili riparati a spese dello Stato, il rimborso dei due terzi delle spese di riparazione, prescindendo dalla liquidazione del contributo per danni di guerra. Tale comportamento aveva, peraltro, ottenuto il conforto, sia pure implicito, di altra sentenza della stessa Corte di Cassazione (Sent. 6 ottobre 1960, n. 2!)77, in Giur. It., 1961, I, l, 9). L'Amministrazione ha deciso di adeguarsi alla ultima pronuncia del FJupremo Collegio. DOMICILIO - RESIDENZA - Trasferimento residenza all'estero- Opponibilità al terzo di buona fede- Formalit'à da osservare. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1921/63 - Pres.: Vistoso; Est.: D'Amico; P. M.: Caldarera (conf.) - Salviati c. Amministrazione Finanze dello Stato). La doppia dichiarazione, fatta al Comune che si abbandona e al Comune ove si fissa la nuova residenza è richiesta per la validità del-trasferimento nei confronti dei terzi di buona fede soloper il trasferimento di residenza da un comune all'altro nella Repubblica Italiana ma non è richiesta per il trasferimento in un Comune di Stato -138- estero non potendo la legge italiana imporre adempimenti agli uffici comunali esteri; in tale fattispecie è sufficiente la sola dichiarazione del comune che si abbandona, con la indicazione del Comune dello Stato estero ove si trasferisce la residenza. L'omessa indicazione del Comune estero rende il trasferimento inopponibile al terzo di buona fede o immutata la residenza originaria. Trascriviamo la motivazione in diritto della sen _ tenza: Con il primo mezzo i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 142, 291 C.p.c. in relazione all'art. 44 C.c., sostengono che nel giudizio ·di appello doveva essere rilevata la nullità deUa notifica dell'atto di riassunzione, notifica eseguita in Roma, dopo la morte di Giacomo Salviati, anche per gli eredi Agnese e Gherardo, mentre risultava dai certificati anagrafici esibiti che avevano trasferito la residenza, la prima in Francia e il secondo nel Congo. Risulta dagli atti di causa - l'indagine di fatto è consentita a questa Corte, trattandosi di errore in procedendo - che, nella prima udienza . istruttoria del giudizio di appello, si costituì lo avv. Pacifici per Maria Teresa Salviati, quale erede di Giooomo Salviati, deceduto nel corso del giudizio. Il Consigliere Istruttore dispose la, integrazione nei confronti degli altri eredi. La Amministrazione delle Finanze provvide all'integrazione con atto del 25 marzo 1960, notificandolo ad Agnese, Bona e Gherardo Salviati, figli di Giacomo, e alla vedova Maria Immacolata Capece Galeata; le copie furono consegnate, nel loro domicilio in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia, n. 11, all'addetto al servizio Luigi Rossi, nella loro precaria assenza. Restarono contumaci Agnese e Gherardo Salviati e la vedova Salviatì. Dai certificati anagrafici del Comune di Roma, esibiti nel giudizio di appello, risulta che Agnese Salviati, maritata con Guido De Tulle di Villafranca, è emigrata in Thennisei (Francia) il 6 luglio 1947, e che Gherardo Salviati è emigrato nel Congo il 27 aprile 1959. Ora, prendendo innanzitutto in esame la notifica eseguita nei confronti di Agnese Salviati, non può dubitarsi che essa doveva essere fatta a norma dell'art. 142 C.p.c., come a persona non 1~esidente nè dimorante nè domiciliata in Italia. Il trasferimento della residente può essere opposto ai terzi se è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge (art. 44 C.c.), e cioè .con la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e a quello dove si intende fissare la dimora 11bituale: nella dichiarazione fatta al comune che si abbandona deve risultare il luogo in cui è fissata la nuova residenza (art. 31 delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile). Se però si tratta di trasferimento della residenza all'estero non è richiesta la doppia dichiarazione: essa riguarda soltanto i trasferimenti da un comune all'altro dello Stato, non potendo la legge italiana imporre i correlativi adempimenti agli uffici comunali esteri (Cass., 28 aprile 1949, n. 1014). Agnese Salviati, indicando all'ufficio anagrafico di Roma esattamente il luogo della sua nuova. residenza (Comune di Thennisei in Francia) ha. adempiuto gli obblighi di legge-. Nè può dirsi che essa abbia conservato il domicilio in Italia;. innanzitutto quando si trasferisce altrovè la residenza, s'intende trasferito anche il domicilio, tranne che nell'atto in cui è stato denunciato il trasferimento della residenza si sia fatta una diversa. dichiarazione (art. 44 C.c.); in secondo luogo la. Salviati è coniugata e la moglie ha il domicilio del marito (art. 45 C.c.). Nè vale apporre che nella specie la prova della permanenza del domicilio e· comunque della residenza in Roma è data dalla. attestazione dell'ufficiale giudiziario che provvide alla. notifica della riassunzione, consegnandola ·a persona dipendente che dichiarò di riceverla nella precaria assenza della destinataria. L'atto dello ufficiale giudiziario fa fede fino a querela di falso· di ciò che egli attesta compiuto da lui e alla sua. presenza, ma non delle verità delle dichiarazioni di chi riceve l'atto; la non rispondenza a verità, di queste dichiarazioni può essere dimostrata da, prova contraria, e nelle specie la · prova è stata. data con l'esibizione del certificato anagrafico. · Deve ritenersi invece regolare la notifica eseguita. nei confronti di Gherardo Salviati, che si era limitato a denunciare all'ufficio anagrafico di Roma il suo trasferimento nel Congo, omettendo di indicare la precisa località, richiesta invece dall'articolo 31 delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile; in mancanza deve · ritenersi immutata la residenza originaria per i terzi di buona fede (Cass.~ 11 marzo 1958, n. 818; 13 aprile 1960, n. 872). ESECUZIONE FISCALE - Entrate patrimoniali delli> Stato - Procedimento ingiunzionale speciale - Art. 1 n. 639 del 1910 - Ambito di applicabilità. (Cortedi Cassazione, Sezione l, Sentenza n. 1729/63- Pres.~ Torrente; Est.: Del Conte; P. M.: Trotta (conf.) - Finanze c. C.R.A.L. di Cordignano). Per l'ampio e generico riferimento all'entrata patrimoniale, contenuto nell'art. l della legge n. 639 del 1910, lo Stato o gli altri enti pubblici ivi previsti possono avvalersi dello speciale procedimentoingiunzionale non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato. Tale procedimento, tuttavia, per la natura sui generis che cumula in sè le caratteristiche del titolo esecutivo e del predetto, e per il suo fondamento derivante dal potere di autoaccertamento della Pubblica amministrazione non può estendersi anche alle ipotesi in cui, come quella del risarcimento dei danni per fatto illecito, mancano i requisiti della certezza e della liquidità del credito o sia la causa giuridica che la prova della sussistenza e dell'ammontare del credito stesso, @Ssend,ocompletamente al di fuori della sfera della Pubblica. amministrazione, non possono essere apprèzzate che dall'autorità giudiziaria. -139- ESECUZIONE FISCALE - Entrate patrimoniali dello Sto.to - Ingiunzione di cui al T. U. 14 aprile 1910, n. 639 - ApplicabilitàJl.er crediti liquidi, esigibili e -certi - Inapplicabilità per crediti risarcitori. (Corte di Cassazione, Sezion.e I, Sentenza n. 1950/63; Pres.: ·Celentano; Est.: Di Majo; P. 1\L: Silocchi (conf.) -. Amministrazione Finanze Stato ·c. Soc. Cave Reno). L'ingiunzione fiscale di cui al Testo unico 14 -aprile 1910, n. 639 ha per suo fondamentale presupposto che il credit4 in base al quale viene -emesso l'ordine di pagare la somma sia liquido, .esigibile e quindi certo. Pertanto, la Pubblica .Amministrazione non ha il potere di autotutelarsi -con la speciale procedura coattiva di cui al detto Testo unico in ordine alle sue pretese di soddisfazione dell'obbligazione risarcitoria di terzi, trattandosi di crediti che mancano dei requisiti di liquidità, esigibilità e certezza. Trascriviamo la motivazione in diritto della se. conda sentenza. . E' da ritenere che l'indirizzo della Corte Suprema ·nella materia debba considerarsi ormai consolidato. Con i due motivi del ricorso, che sono strettamente connessi, la .Amministrazione ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione delle norme relative alle riscossioni delle entrate patrimoniali dello Stato (T.U. 14 aprile 1910, n. 630), -deduce che erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto di escludere il potere di auto. accertamento della Pubblica Amministrazione, ai sensi delle indicate norme, di un credito risarcìtorio derivante dalla abusiva occupazione di un bene demaniale. La censura è infondata. Non si dubita che l'ingiunzione fiscale di cui al 'Testo unico n. 639 del 1910 tenda alla sollecita riscossione delle entrate patrimoniali e dei proventi del demanio pubblico e dei pubblici servizi dello Stato e degli altri enti pubblici indicati nello .art. l di detto Testo unico, e che l'ingiunzione medesima costituisca una estrinsecazione del potere di supremazia dello Stato e di detti Enti in rela. zione ai fini <1 i Lecessaria utilità generale perseguiti dalla Pubb: . -~ Amministrazione (sent. 381/1959; 2125/1961). Ma è agevole considerare, nel quadro del sistema generale dell'ordinamento giuridico, che trattasi pur sempre d'ingiunzione, la quale ha a suo fon- damentale presupposto che il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la S()mma dovuta sia liquido, esigibile ·e quindi certo (sentenza Sezioni Unite, n. 3156 dell936). Il che ov- viamente non è configurabile per i crediti risarcitori in genere che l'Amministrazione può vantare verso terzi appunto perchè tali crediti mancano di quei . requisiti di liquidità, esigibilità e certezza, che -costituiscono condizione necessaria per il sorgere di quel potere di supremazia estrinsecantesi nella ingiunzione. In relazione poi al. non discutibile principio che di regola solo il giudice ordinario può assicurare la .:tut0la -.dei. dil'itti -~ttivi. -~aFantitL dalla norma giuridica, anche nei riguardi della Pubblica .Amministrazione,· deve ritenersi che non è sicura- . mente consentito all'Amministrazione stessa il potere di autotutelarsi, con la speciale procedura coattiva dell910, in ordine alle sùe pretese di sodisfazione dell'obbligazione risarcìtoria di terzi (comé quella di cui è causa), la quale obbligazione può acquistare carattere di certezza, nei rapporti controversi, soltanto, come si diceva, attraverso il crisma del giudice •e nei modi ordinari. IMPOSTA DI REGISTRO- Finanziamenti accordati da Istituti di credito con contestuale rilascio di cambiali - Assorbimento dell'imposta di registro dovuta per il finanziamento in quella di bollo scontata sulle cambiali. (Cassazione, Sezione I, 5 aprile-H luglio 1963, n. 1873 - es.: Vistoso; Rei.: Caporaso; Pr. M.: Cutrupia- Finanze. c. S.p.A. Ercole Marelli). .".i.i.i Sia secondo il Regio decreto 19 marzo 1936, n. 2170 che secondo la legge 4 aprile 1953, n. 261, con norme di favore per l'imposta di registro sui finanziamenti accordati da Istituti di Credito in relazione a cessioni di credito verso Pubbliche Amministrazioni dipendenti da appalti o forniture, l'imposta di registro dovuta per i finanziamenti è surrogata, nel caso. di contestuale rilascio di cambiali, dalla imposta di bollo scontata per queste ultime anche se le cambiali, integralmente trascritte, non siano rilasciate solvendi causa, ma con mera funzione di garanzia. I n diritto la sentenza è così motivata: Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione delle Finanze lamenta che la questione fiscale di cui si tratta sia stata decisa in base alla legge 4 aprile 1953, n. 261, la quale è successiva al tassato rogito Mossolin 11 giugno 1951: perciò non è applicabile nella specie . Senza dubbio la norma tributaria vigente alla epoca della stipulazione dell'atto di finanziamento concesso· dall~ Casse di Risparmio alla ditta Marelli e garantito da cessioni di credito verso il Comune di N a poli era quella contenuta nell'art. l del regio decreto 19 dicembre 1936, n. 2170, esattamente richiamato nella parte espositiva della sentenza impugnata. La quale però, nel precisare i termini della norma di legge applicabile nella specie, si è esclusivamente riferita alla « nota >> dell'art. 2 della citata legge 4 aprile 1953, n. 26 .. Ciò sul presupposto, del resto pacifico fra le parti, che per le operazioni di finanziamento da parte degli istituti di credito di cui al decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, con corrispettive cessioni di credito verso la Pubblica Amministrazione, l'esenzione fiscale prevista dalle due successive norme di legge sia rimasta fondamentalmente immutata. La stessa Amministrazione lliveva, sia .nell'atto di appello sia nella comparsa conclu- ·sionale, tes.tualmente premesso, che l'agevolazione tributaria, prevista dall'art. l del Regio decreto legge. 19 .. settem'bx.e -1936, n. 2170. coo:risp.Oildeva - 140 -- esattamente a quella previ.;ta dalla nota dell'articolo 2 della legge 4 aprile 1953, n. 261 e proseguiva affermando che per tale agevolazione la legge pone due condizioni: a) èhe il fin:;tnziame;nto sia p9sto in essere con le cambiali; b) che le cambiali si'àno trascritte nell'atto.. L'Amministrazione poneva quindi la questione, come tuttora la pone, negli stessi termini e con le stesse argomentazioni già svolte in fattispecie identiche, sicuramente regolate dalla nuova. legge dell'aprile del 1953 (vedi, da ultimo, Cass., 14 febbraio 1963, n. 321). Ciò, del resto, si spiega agevolmente col fatto che la lettera, il contenuto e la ratio delle due norme si identificano in maniera evidente, poichè l'una parla di « finanziamento posto in essere con cambiali n e l'altra di « finanziamento posto in essere· mediante cambiali >>. La questione sorta in questo come altri precedenti giudizi è dunque sempre la medesima, stabilire, se, alla stregua dell'una e dell'altra norma di legge, il beneficio sia dovuto solo se si tratti di rapporto di credito posto in essere mediante rilascio di cambiali solvendi causa (tesi dell'Amministrazione Finanziaria), ovvero anche se si tratti di finanziamento collegato ad un rapporto cambiario accessorio, avente funzione di garanzia. Di questo problema si occupa il secondo motivo di ricorso. Ma, come si è già accennato, la questione è stata risolta da precedenti decisioni di questo stesso Collegio il quale ha accolto la tesi che anche nel caso in cui il rilascio di cambiali da parte del debitore sia solo a garanzia del finanziamento concesso dalla banca dietro cessione di crediti verso enti pubblici per appalti di lavori e forniture di merci, la tassa graduale di bollo scontata dalle cambiali medesime assorbe quella proporzionale di registro dovuta per l'atto di finanziamento (Sent. n. 1044 del 1961 e 321 del 1963). Tale massima si fonda principalmente sul rilievo che secondo la stessa previsione della legge deve trattarsi di due diversi rapporti, di finanziamento e cambiario, certamente collegati tra loro, ma non fino al punto che le cambiali debbano necessariamente essere rilasciate solvendi causa e non a scopo di garanzia del finanziamento medesimo.. Il rapporto cambiario può avere anche uno scopo semplicemente sussidiario e strumentale, cioè concorrente al più rapido e sicuro recupero della sovvenzione accordata al soggetto passivo dell'operazione di finanziamento. Pertanto, alla surrogazione della imposta proporzionale di registro si ha diritto anche nella ipotesi in cui le cambiali assolvono, come nel caso concreto, una funzione di garanzia della obbligazione assunta dal sovvenuto. Con le precedenti decisioni di cui sopra questa Corte ha altresi ritenuto che è irrilevante la presenza di clausole contrattuali dirette a disciplinare le modalità del finanziamento indipendentemente dal rapporto cambiario, sempre per la medesima ragione che trattasi di due distinti rapporti, sebbene funzionalmente collegati. Per conseguenza non ha fondamento neppure il terzo ed ultimo motivo di ricorso con il quale si sostiene la tesi contraria, facendosi richiamo alla giurisprudl.mza relativa al t.rattamento tributario delle cambiali ipotecarie. Ma è stato già rilevato che è diverso il presupposto del regime tributario in materia di cambiali ipotecarie, sicchè i principi stabiliti per quella fattispecie non possono valere anche per la diversa ipotesi disciplinata > (art. 2135) e l'art. 137 della legge cennato usa infatti la stessa. espressione nel capo che regola le prescrizioni (l'azione della Finanza ... si prescrive ... ) a differenza del Codice vigente che, risolvendo l'antica. questione se con la prescrizione si estingua il diritto soggettivo materiale o l'azione, detta che «ogni diritto si estingue per prescrizione» (articolo 2934). Deve ritenersi perciò che il legislatore abbia. voluto ancorare l'estinzione del privilegio unicamente al fatto oggettivo della mancanza di esercizio del relativo diritto nel tempo stabilito (che coincide con quello della prescrizione del debito d'impos.ta), e non già al fatto soggettivo della inerzia del titolare protratta per il tempo medesimo. E questo porta a concludere che trattasi di decadenza e non di prescrizione con la necessaria. conseguenza che la decadenza non tollera nè sospensione, nè interruzioni (art. 2964). Fermo in definitiva l'indirizzo segnàto da questa. Corte Suprema a Sezioni Unite secondo cui il venditore il quale abbia pagato per conto del.(lompratore la tassa (principale o complementare) di regi--stro ha diritto di rivalsa sull'immobile gravato dllJl privilegio, a chiunque questo appartenga, giacQhè la garanzia reale, per il diritto di seguito si tra- 142- sferisce ai successivi acquirenti dell'immobile (sentenza 1468 del 1955, Foro It., 1956, I, 66), la censura del mezzo deve essere accolto sul punto di cui si è discorso con rinvio della causa ad altra Sezione della stessa Oorte di appello che nel nuovo -esame si atterrà al principio di diritto che qui viene enunciato: «In conformità alle esigenze di sicul'ezza nella circolazione dei beni, specie immobiliari, il termine previsto dall'art. 97, 2o comma della legge di r< gistro è di decadenza e non di prescrizione e come tale non _subisce nè sospensioni nè interruzioni, sicchè l'azione esecutiva del Fisco >. La somma di denaro nella quale si sostanzia la perdita è detraibile dal reddito di categoria B delle aziende e degli istituti anzidetti soltanto nel caso che la rinunzia sia imposta da cause del tutto estranee alla volontà del creditore. La Commissione Centrale aveva ritenuto - con la decisione n. 32148 in data 12 ottobre 1960 della Sezione I - che l'imposta di Ricchezza Mobile, categoria A, corrisposta dagli istituti e dalle aziend& di credito - con rinunzia all'esercizio del diritto. di rivalsa previsto dall'art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231 - sugli interessi aventi natura di redditi di capitale, riconosciuti a favore dei depositanti, dovesse detrarsi, come spesa necessaria alla. produzione del reddito (art. 32 T.U., 24 agosto 1877, n. 4021), dall'imponibile di Ricchezza Mobile, categoria B determinato nei confronti degli istituti e delle aziende medesime. Siflatto carattere di spesa necessaria alla produzione del reddito, ricoJ'I,osciuto dalla Commissione Centrale al mancato esercizio della rivalsa d'imposta, sarebbe derivato dal fatto che la rinunzia sarebb& stata imposta dalle inderogabili condizioni di mercato (usi, cartello bancario, ecc.). L'Amministrazione delle Finanze, impugnando con ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. tale· decisione, rilevò che il pagamento dell'imposta di categoria A in luogo dei depositanti non fa sorgere - per gli effetti di cui al citato art. 32 del Testo unico, n. 4021 - un costo o una spesa per le aziende ed istituti di credito, ma determina più esattamente il sorgere di un credito verso i reddituari, fondato sul diritto, dichiarato dalla legge, all'esercizio della. rivalsa. Solo successivamente, e cioè quando le aziende rinunciano alla realizzazione del credito, si manifesta un onere di esercizio qualifi~apile come perdita per insussistenza di attivo. In altri termini, trattandosi di un onere facente carico al percipiente del reddito, non può parlarsi di « spesa »· per le aziende ed istituti di credito, ma di « perdita>>. - 144 Precisò l'Amministrazione che la definizione- giu ·ridica dell'onere assume notevole rilievo, in quanto, mentre per le « spese » l'indagine diretta alla ricerca del carattere d'inerenza, richiesto dalle disposizioni in materia ai fini della detrazione, si arresta dinanzi alla constatazione della relazione di causalità economica esistente fra le spese ed il reddito da assoggettare a tassazione, nel caso di << perdite » per mancato realizzo di credito l'indagine supera tali limiti e si estende alla ricerca della vokmtarietà o meno della rinunzia al credito, in quanto l'onere relativo può trovare considerazione tributaria, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 31 del. Testo unico, n. 4021, solo nel caso che, ferma restando la relazione di afferenza o inerenza alla produzione del reddito tassabile, la rinuncia sia imposta da situazioni estranee alla volontà del creditore,. potendosi altrimenti configurare un mero atto di liberalità o comunque di rinunzia che non può incidere sul reddito da acquisire alla tassazione, come ritiene la copiosa giurisprudenza della stessa Commissione Centrale. La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza sopra massimata, ha accolto il ricorso deWAmministrazione, così motivando nella parte essenziale: Il pagamento dell'imposta di ricchezza mobile di categoria A eseguito dalle aziende e istituti di credito, in sostituzione dei depositanti, sugli interessi da questi percepiti, non dà luogo a una spesa inerente alla produzione del reddito, di categoria B che tali aziende e istituti ritraggono dall'esercizio della loro normale attività, ma fa s01:gere a favore degli enti medesimi un credito verso i depositanti, fondato sul diritto all'esercizio della rivalsa della somma pagata, espressamente sancito dalla legge (art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231). Se, poi, le aziende o gli istituti non esercitano tale diritto, il pagamento dell'imposta si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita. Ora, mentre per le spese inerenti alla produzione l'indagine diretta ad accertare tale inerenza, richiesta dalla legge come condizione necessaria per la loro detraibilità dal reddito medesimo, si esaurisce di fronte alla constatazione dell'esistenza del rapporto di causalità economica tra le spese e il reddito, per la perdita dovuta alla rinunzia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito, tale indagine si estende alla ricerca della volontarietà o meno della rinunzia, in quanto la somma di denaro nella quale si sostanzia la perdita, è detraibile dal reddito soltanto nel caso che la rinunzia sia imposta da cause del tutto estranee alla volontà del creditore. N ella specie, la Commissione Centrale non si è uniformata a tali principi perchè ha ritenuto che la somma pagata dalla Banca Popolare di Milano per imposta di ricchezza mobile di categoria A sugli interessi percepiti dai depositanti fosse una spesa inerente alla produzione del reddito derivante dalla sua normale attività e che tale somma fosse detraibile da questo ai fini della determinazione -dell'imponibile di ricchezza mobile di categoria B, sebbene non fosse stato accertato che la rinuncia da parte della Banca alla rivalsa della somma :pagata non fosse volontaria. N è . la volontariet(Ì, . della .rinun.zia potepa essere esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza di usi e accordi interbancari in tal senso, perchè questi, invece, confermano tale vglontarietà. I. G. E.- Ricostruzione di naviglio sinistrato per cause di ifu«:r;ra - Esenzione - Pagamenti effettuati dai cantieri per lavori rientranti nel quadro della ricostruzione - Applicabilitd. SPESE GIUDIZIALI - Onere - Azione per rimborso I. G. E. oltre termine art. 47 legge n. 762 del 1940 - Soccombenza Amministrazione- Esenzione. RIMBORSO DI TRIBUTI NON DOVUTI- Interessi - Decorrenza- Legge 26 gennaio 1961 n. 29- Applicabilità ai rapporti pregressi non ancora esauriti. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1114/63- Pres.: Celentano; Est.: Caporaso; P. M.: Trotta (conf;)Finanze c. Soc. O.T.O.). L'esenzione dall'I.G.E., prevista dall'art. 9 del decreto legislativo 29 giugno 1947, n. 779 è applicabile, non soltanto ai· pagamenti effettuati dai committenti proprietari od armatori ai cantieri incaricati dell'esecuzione di lavori di costruzione, riparazione, modificazione o trasformazioni navali, ma anche agli acquisti di materiali e di macchinari effettuati dai cantieri navali per eseguire lavori che rientrino nel quadro della ricostruzione del naviglio sinistrato dalla guerra, ed ai pagamenti effettuati dai cantieri stessi per singole prestazioni. La norma demanda al Ministero della Marina Mercantile di certificare che il pagamento concerne in concreto un contratto avente ad oggetto un complesso di lavori eseguiti per una determinata nave, corrispondenti alle finalità della ricostruzione del naviglio e dell'attivazione dell'industria delle costruzioni navali e dell'armamento. L'art. 148 della legge di registro, secondo il quale l'Amministrazione non è tenuta al pagamento delle spese giudiziali quando il contribuente non abbia prima sperimentato la via amministrativa, ponendo in grado l'Amministrazione di adottare essa direttamente il provvedimento di rimborso, è espressione di un principio generale valevole anche per le altre controversie in materia di tasse ed imposte indirette, e quindi anche in materia di I.G.E. Nè l'art. 47 della legge sull'I.G.E., che commina la decadenza dal rimborso in via amministrativa dell'imposta indebitamente pagata, per la mancata presentazione della relativa istanza entro un anno, è d'ostacolo all'applicazione della regola anzidetta, perchè la decadenza non determina la inammissibilità, ma rende soltanto inevitabile l'azione giudiziaria, nella quale però l'Amministrazione è esente dall'onere delle spese del giudizio. La legge 26 gennaio 1961, n. 29, la quale na stabilito che sulle somme pagate per tasse ed imposte indirette sugli affari, ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa -145- o giudiziaria, spettano al contribuente gli interessi di mora dalla d.ata Q.e~la don:mn,da di rimborso, si applica anche ai pagamenti indebiti effettuati prima dell'entrata in vigore della legge stessa dei ·quali sia stata chiesta la restituzione senza che sia stata definita la relativa controversia. In tale ipotesi gli interessi decorrono dalla data di entrata in ·vigore della legge. La motivazione della sentenza della Oorte Suprema :sulle questioni delle << spese git~diziali » · e degli « interessi n è la seguente: Devesi ora esaminare il ricorso incidentale della O.T.O., anche esso basato su due distinte censure. La seconda delle quali concerne la pronunzia in 'Ordine alle spese del giudizio, che la Corte di Appello ha ritenuto di dover compensare in quanto era mancata nella specie la preventiva domanda di rimborso in via amministrativa. . La sentenza impugnata pone a base della sua tesi la norma contenuta nell'art. 148 della legge di registro, considerandola come espressione di uri principio generale, valevole anche per le altre controversie in materia di tasse ed imposte indirette ·e quindi in materia di I.G.E. . Questa Corte ritiene esatta la tesi, rilevando .come non soltanto per la legge di registro, sibbene .anche per l'imposta sulle successioni (art. 96 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270) vige il medesimo principio, .che l'Amministrazione non è tenuta al pagamento delli:l spese giudiziali qualora il contribuente non abbia prima sperimentato la via amministrativa, ponendo in grado l'Amministrazione di adottare .essa, direttamente, il provvedimento di rimborso. Nè l'art. 47 che commina la decadenza dal Timborso in via amministrativa dell'I.G.E. indebitamente pagata, è d'ostacolo all'applicazione della regola di cni sopra. La decadenza per il decorso di un anno senza pre. sentazione della prescritta istanza di rimborso non determina la inammissibilità, ma rende inevitabile l'azione in via giudiziaria, nella quale però l'Ammi ·nistrazione è esente dall'onere delTte spese del giudizio. Poichè la decisione impugnata è fondata sul :principio di diritto sopra accennato, la censura della O.T.O. non è accoglibile. Resta, pertanto, da esaminare la prima censura del ricorso incidentale, relativo agli interessi legali .sulle somme dovute dall'Amministrazione a titolo di rimborso. Sostiene la O.T.O. che detti interessi dovrebbero decorrere quanto meno, dalla domanda giudiziale e non mai dal passaggio in giudicato .della sentenza che ordina il rimborso. Anche su tale punto la impugnata decisione è ·esattamente conforme al principio di diritto impe: rante al momento della decisione medesima. La giurisprudenza era ormai ferma nel ritenere che il diritto del contribuente alla percezione degli · interessi moratori sorgeva al momento del passaggio in giudicato della sentenza che dichiarava non dovuta l'imposta pagata dal contribuente stesso e ne ordinava la restituzione. Ma, successivamente alla pronunzia d'appello, è intervenuta la legge 26 gennaio 1961, n. 29, la quale ha stabilito che sulle somme pagate per tasse ed imposte indirette sugli affari, ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria, spettano al contribuente gli interessi di mora dalla data della domanda di rimborso (art. 5). La legge ribadisce che l'obbligo della restituzione è subordinato pur sempre all'esistenza di un provvedimento amministrativo o giudiziario, il quale riconosca non dovuto il tributo pagato, ma anticipa la decorrenza degli interessi alla data della istanza di restituzione. In mancanza di disposizione transitoria, nasce il dubbio sull'applicabilità della norma nuova (di cui come ius superveniens, la Corte deve tener conto) ai rapporti di tassa e d'imposta indiretta sorti anteriormente, per i quali sia tuttora pendente la controversia, non essendosi ancora formato il giudicato nè sulla legittimità dell'effettuato pagamento dei tributi nè sugli interessi nè sulla loro decorrenza. La tesi dell'Amministrazione appare fondata su di una rigida ed astratta concezione della regola della irretroattività contenuta nel citato art. 11 non considerando che nel caso di situazioni giuridiche le quali non si esauriscono in un determinato momento come quello in specie, detta regola lascia pur sempre aperta la questione dell'applicabilità della legge nuova alla situazione ancora in atto ed agli effetti non ancora prodotti o tuttora pendenti di un rapporto giuridico sorto anteriormente. Sono note le diverse soluzioni proposte dalla dottrina, ma la giurisprudenza (Cass., 5 agosto 1957, n. 3304), posta di fronte al problema, lo ha praticamente risolto nel senso che la nuova norma si applica allorquando concorrono le seguenti condizioni: a) che il rapporto giuridico, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i suoi effetti; b) che la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto o l'atto generatore del rapporto, sibbene gli effetti di esso. Con questi criteri sono stati risolti i conflitti di norme tra codice vigente e codice abrogato, tra cni quello relativo al risarcimento dell'ulteriore danno, oltre gli interessi moratori, nell'ipotesi di ritardato adempimento dell'obbligazione pecuniaria. Si è a tal proposito parlato di una situazione di mora che si rinnova de die in diem, onde non può dirsi che essa si sia interamente verificata sotto l'impero del vecchio Codice e per nulla sotto il nuovo. Le medesime considerazioni ed il medesimo criterio valgono dunque anche per il caso in esame, nel quale l'obbligazione degli interessi a carico dell'Erario sorge del pari dalla mora debendi. Comunque, è certo che al momento dell'entrata in vigore della legge del 1961, il rapporto avente ad oggetto tanto il debito di restituzione dell'imposta quanto il pagamento degli interessi moratori, non si era affatto esaurito, dappoichè il pagamento eseguito dal contribuente prima della legge può costituire, se mai, il fatto generatore ·della obbligazione, principale di rimborso (subordinata - al provvedimento di riconoscimento dell'indebito) ma, a tale fatto segue tutta una ulteriore situazione (la mora del debitore) con gli effetti giuridici che - 146- vi sono connessi, situazione che la nuova legge tributaria trova in atto ed in pieno svolgimento. La quale legge, come si è già accennato, è certamente diretta a regolare tali effetti, indipendentemente e ferma la disciplina sul rimborso dei tributi indebitamente percetti. L'art. 5 in modo particolare, determina solamente ed esplicitamente il momento da cui decorrono gli interessi a carico dell'Erario, interessi che la giurisprudenza riconosceva dovuti e che erano ugualmente condizionati all'esistenza di un provvedimento definitivo che dichiarasse non dovuta l'imposta pagata dal contribuente. Fino a che tale provvedimento non sia stato emesso, il rapporto, specialmente per quanto riguarda gli interessi, non si è certamente esaurito e quindi, per il principio sopra detto, è ad esso applicabile la sopravvenuta disposizione del menzionato art. 5. Per altro, se si guarda allo scopo della legge entrata in vigore nel 1961 quale risulta anche dai lavori preparatori ed in special modo dalla relazione al Senato sul disegno di legge presentato dal Ministro delle Finanze, si nota come essa sia diretta a porre in armonia con le norme del diritto privato la disciplina giuridica del ritardato adempimento così della obbligazione del contribuente come della obbligazione di rimborso della Pubblica Amministrazione con il dichiarato intento di risolvere i vari dubbi e di eliminare una situazione di disparità di trattamento «in atto esistente». Cosicchè la stessa ratio della disposizione di legge induce a ritenere e sta a confermare che essa è diretta ad operare anche nei confronti delle situazioni pendenti, cioè nei confronti dei pagamenti d'imposta effettuati prima dell'entrata in vigore della legge medesima dei quali era stata chiesta la restituzione ma non era stata ancora definita la relativa eontroversia. L'atto introduttivo del procedimento, amministrativo o giurisdizionale, tiene logicamente luogo della « domanda di rimborso », richiesta dall'art. 5 ai fini della decorrenza degli interessi moratori sulle somme da restituire al contribuente. Da tutto quanto sopra deriva che concorrono entrambe le condizioni necessarie, secondo la citata giurisprudenza per l'applicabilità della norma nuova ai rapporti pregressi non ancora esaUI"iti. Conseguentemente deve ritenersi che l'art. 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29 spiega la sua efficacia anche nei riguardi dei pagamenti indebiti anteriori alla legge predetta, per i quali vi sia, al momento della entrata in vigore della legge stessa, una contestazione non ancora definita. In tale ipotesi, gli interessi · decorrono dalla data di entrata in vigore della legge. IMPOSTA SULL'ENTRATA - Corresponsione - Infrazione - Pagamento - Solidarietà dei soggetti - Sopratasse e pene pecuniarie- Pagamento- Onere. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1937/63 - Pres.: Varallo; Est.: Pece; P. M.: Tavolaro (conf.); Finanze c. Soc. Montecatini). In tema di corresponsione dell'imposta generale sull'entrata, anche quando la relativa infrazione sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto economico generatore dell'imposta, i predetti soggetti sono solidalmente obbligati, verso lo Stato,. al pagamento dell'imposta stessa; al contrario,. al pagamento delle tasse e delle sopratasse e delle, pene pecuniarie è tenuto solo il soggetto al qual& l'infrazione è imputabile. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza che ha accolto la tesi dell'Avvocatura: I primi due mezzi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente. Con essi l'Amministrazione ricorrente denunzia:· a) che l'art. 14 del D.L. 3 maggio 1948,. p_. 799 avrebbe innovato, in tema di solidarietà tra i soggetti debitori dell'imposta generale sulla entrata, non solo in relazione al R.D.L. 3 giugno· 1943, n. 452, ma anche in relazione all'art. 11 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 contenente le norme· generali per la repreEsione delle violazioni sulle· leggi finanziarie. E cioè, secondo la ricorrente, nella materia della. imposta generale sull'entrata, la solidarietà tra.. i vari soggetti obbligati all'imposta sarebbe insensibile alla imputabilità della infrazione, non soloai fini dell'imposta, ma anche ai fini della pena. pecuniaria e della sopratassa, nel senso che, anche se l'infrazione sia addebitabile ad uno solo dei soggetti obbligati, questi ultimi risponderebberosempre in solido, verso lo Stato, e per la tassa e· per la sopratassa e per la pena pecuniaria. b) che, in via subordinata, l'art. 14 del decretolegislativo 3 maggio 1948, n. 799 ha innovato all'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 in tema di SQlidarietà per la imposta, nel senso che al pagamento. di quest'ultima sono sempre obbligati in solido entrambi i soggetti dell'atto economico, con l'unica. eccezione della ipotesi in cui l'atto economico, nei confronti di chi esegue il versamento dei compensi e corrispettivi costituenti l'entrata, non sia comunque connesso ad una attività industriale o commerciale. E cioè, all'infuori della ipotesi ultima, nella. quale non sussiste solidarietà, in tutte le altre ipotesi i soggetti dell'atto economico sono solidalmente. obbligati, verso lo Stato, al versamento dell'I.G.E., anche se il mancato pagamento di tale imposta sia imputabile ad uno solo dei predetti soggetti. Al contrario, la solidarietà non sussiste, per quanto· attiene alla sopratassa ed alla pena pecuniaria~ nella ipotesi in cui il mancato pagamento dell'I.G.E. sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto economico. La censUI'a di cui alla lettera a) è infondata~ deve essere, invece, accolta la censura di cui alla lettera b). Poichè la prima parte del secondo comma dello art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452, nella. ipotesi di trasferimento di materie, merci e prodotti fra commercianti ed industriali, sanciva esplicitamente la solidarietà di entrambe le parti contrae:ntit. non solo rispetto alle sopratasse ed alle pene pecuniarie, ma anche rispetto al pagamento dell'imposta, la conclusione di detta solidarietà (nella ipotesi, contemplata nella seconda parte dello· Rfffff'fF-1Bili &PfL-i &dilli W! ~~FF''FF=WSwrzeye - 147 ;stesso secondo comma, di imputabilità. della infrazione ad una sola delle parti) si estendeva, oltre che alle sopra;tasse ed alle pene pecuniarie, anche al :pagamento della imposta. Da ciò derivava, in materia di I.G.E., una -eccezione al principio generalè, fissato nell'art. 11 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (recante norme generali per la repressione delle violazioni alle leggi finanziarie), in virtù del quale principio, nel caso in cui la violazione delle leggi finanziarie, sia imputabile ad uno solo dei soggetti obbligati, la solidarietà. tra costoro cessa in relazione· alla -pena pecuniaria ed alle sopratasse, ma permane -per la obbligazione dell'imposta. L'art. 14 del decreto legislativo 3 maggio 1948, ·n. 799 (recante modifiche in materia di I.G.E.) ba sostituita una nuova regolamentazione in tema di ·solidarietà. Anzitutto, ha generalizzata quella solidarietà. (rispetto al pagamento dell'imposta non -corrisposta, della sopratassa e delle pene pecuniarie), -che la prima parte del secondo comma dell'art. 24 -del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 dettava solo per l'I.G.E. riferibile ad atti economici fra commer ·cianti ed industriali ed ha sostituito una più limitata eccezione di carattere oggettivo a tale soli- darietà, escludendo quest'ultima nella ipotesi in -cui l'atto economico (indipendentemente dalla qualità dei soggetti tra i quali è intervenuto) non sia ·comunque connesso (nei riflessi di chi esegue il -versamento dei compensi e corrispettivi costituenti l'entrata) ad una attività. industriale o commerciale. In secondo luogo, l'art. 14 del decreto legislativo .3 maggio 1948, n. 799 non ha più disciplinata la ipotesi nella quale risulti che l'infrazione è imputabile ad una sola delle parti. E cioè ha soppresso la seconda parte del secondo comma dell'art. 24 -del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452. La abrogazione dei primi due commi del decreto legislativo, n. 799 del1948 risulta da due concorrenti ragioni che integrano, rispettivamente, la prima e la terza ipotesi di abrogazione ex art. 15 delle preleggi. Infatti, statuendo: «In tali sensi restano modificate le disposizioni di cui al primo ed al secondo comma dell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 n, è lo stesso legislatore ad indicare che non si tratta di mera modifica, ma di vera e propria sostituzione di norme nel senso · che al p1}sto dei commi primo e secondo, devono ritenersi inserite, nell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1963, n. 452, i nuovi commi. Il che potrà anche intendersi come modifica rispetto all'art. 24 predetto nella sua interezza, ma non può non intendersi (ed è il punto che interessa la causa) come sostituzione rispetto ai due commi in discussione, che il legislatore del 1948 non si è limitato a ritoccare, ma ha formulato ex novo per intero. Tale abrogazione sostitutiva dei due commi in discussione è confermata dal particolare che il nuovo contenuto dei due commi ex art. 14 decreto legilativo 3 maggio 1948, n. 799 regola completamente la solidarietà per l'imposta principale, che era già. regolata dai primi due commi ex art. 24 R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452. Da quanto sopradetto, però, non deriva la conseguenza espressa dalla Amministrazione ricorrente con la censura di cui alla lettera A. Non deriva, cioè, che anche nella ipotesi in cui resti accertato che la infrazione sia imputabile ad uno solo dei soggetti, anche in tal caso i soggetti partecipi all'atto economico generatore dell'imposta restano obbligati solidalmente (verso l'Erario), oltre che per il pagamento dell'imposta, anche per le sopratasse e le pene pecuniarie. Stante i suespressi principi, poichè, nella specie, è in discussione la solidarietà solo per l' imposta e non anche per le sopratasse e le pene pecuniarie, resta assorbito il terzo mezzo del ricorso con il quale l'Amministrazione ha denunziato che la Corte di Trieste avrebbe errato nell'escludere la responsabilità della Montecatini in ordine al mancato versamento dell' I.G.E. all'Erario. CONSIGLIO DI STATO CONSIGLIO DI STATO - Ricorso in sede giurisdi· zionale - Effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma applicata dall'atto. CONSIGLIO DI STATO - Ricorso in sede giurisdizionale - Sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attributiva di potestà discrezionale della Pubblica Amministrazione - Effetti sulla giurisdizione. (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, IO aprile 1963 - Compagnia Industrie Saccarifere S. Eufemia Lamezia c. Ministero Agricoltura e Foreste e Ministero Industria e Commercio). Dichiarata la illegittimità costituzionale della norma applicata da un atto amministrativo impugnato avanti al Consiglio di Stato, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dello atto. L'atto amministrativo emanato in virtù di potestà discrezionale, conferita alla Pubblica Amministrazione da una norma di cui sia dichiarata la illegittimità costituzionale, costituisce esercizio non di potere inesistente, bensì di potere viziato, per riflesso del vizio di incostituzionalità che inficia la norma, e conseguentemente la giurisdizione resta radicata presso il giudice amministrativo. Il testo della decisione è pubblicato nella rivista < stesso e, nella specie, non pu,ò a nostro avviso sostenersi che l'atto sia ab origine viziato, proprio per la. ragione, sottolineata dalla sentenza, che, attesa la au,tonomia tra momento .legislativo e momento amministrativo, non pu,ò riferirsi qu,ello che è un viziodella legge incostit-uzionale all'atto amministratiVI> emanato in base a qu,ella legge. J,n altri termini, l'atto - al momento della sua emanazione - nonpresenta vizi tali da comprometterne la validità: a) non pu,o, invero, parlarsi di violazione di legg.eperchè, per ipotesi, l'atto costituisce proprio applicazione della legge; b) neanche di incompetenza, giacchè se tale vizio non concreta altro che violazione di u,na norma relativa al soggetto investito del poteredi emettere l'atto nale qu,anto detto prima; c) nè, infine, pu,ò parlarsi di eccesso di potere, perchè l'antorità amministrativa, nell'emanare l'atto tendeproprio al persegu,imento degli scopi prefissa# dalla norma. Rimane, allora, solo una via per sostenere l'annullabilità dell'atto: ritenerlo, cioè ab origine viziato per effetto della dichiarazione di incostituzionalità, che retroagisce ex tunc. Poichè dal giorno successivoalla pubblicazione della decisione della Oorte, la legge non ha più efficacia, non solo per quanto rigu,arda la disciplina giuridica dei fatti futuri, ma anche per qu,el che attiene alla valu,tazione dei fatti passati, qu,esti u,ltimi, quando siano ancora sub indice, sarebbero da giudicare come se la norma di legge non fosse mai esistita. Il giu,dizio di legittimità di un atto amministrativo dovrebbe, allora, fondarsi su,ll'ordinamento giu,ridico qu,al'era al momento della emanazione del provvedimento, senza considerare la norma incostitu,zionale. Si prospetterebbe, cioè, il problema dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale per un motivo che, tu,tt'al più, andrebbe considerato solo come implicitamente dedotto dal ricorrente. Accogliendo, peraltro, simile tesi, verrebbe a superarsi il postu,lato di partenza, affermato nella decisione, secondo cu,i momento legislativo e momento amministrativo sono autonomi, anche se connessi: si riferirebbe, infatti, il vizio originario della leggeall'atto. Sembra, du,nque, che il concetto di annu,llabilità non possa u,tilizzarsi in relazione all'atto amministrativo emesso in base a una norma dichiarata su,ccessivamente incostitu,zionale. Ed invero, il problema della validità o invalidità di un atto giu,ridicc; è sempre in rapporto alle norme vigenti al momento del sorgere dell'atto, così come l'annu,llamento trova il suo fondamento sempre in una cau,sa contemporanea alla emissione dell'atto, con la consegu,enza che il fenomeno non si verifica qu,ando l'invalidità (se di invalidità possa parlarsi) .trae origine da cause sopravvenute. La materia offre, chiaramente, favorevole campc; di indagine per i sostenitori della dottrina della invalidità successiva. Ma sembra più opportu,nc; W&llia ''' m W 7f 7 i ET 'fTI E Wi §= -149- ricorrere, · in simili ipotesi, al concetto di inutilità sopravvenuta. Scrive il GIANNINI (voce Atto aromi. nistrativo, in << Enc. dir. n) che in simili ipotesi «l'atto non già si invalida, bensì diviene inidoneo a produrre ulteriori effetti per l'avverarsi di un fatto giuridico che non può neppure dirsi estintivo, ma solo impeditivo, ossia agente sull'efficacia dell'atto, e quindi sul rapporto, e non sull'atto medesimo n. E' proprio questa, secondo noi, la sorte del provvedimento amministrativo, una volta dichiarata l'incostituzionalità della norma posta a base dell'atto, sorte che si spiega in termini di efficacia-inefficacia e non di validità-invalidità. Si obietta che vi sono delle situazioni in cui, per l'effettiva tutela degli interessi del ricorrente, si rende necessaria una rimozione reale dell'atto, conseguibile solo con l'annullamento, e si aggiunge che, continuando l'atto amministrativo a vivere di vita autonoma, pur dopo la declaratoria di incostituzionalità della norma, -persiste l'interesse ad ottenere l'annullamento. Il che è vero e risponde ad una evidente esigenza di equità, quando però si ritenga l'atto tuttora in grado di spiegare effetti. Ma non è più vero, -una volta riconosciuta l'inettitudine del provvedimento, ormai privato del suo stesso presupposto, a spiegare ancora efficacia. Ove, poi, di fatto, la situazione giuridica rimanesse tale quale s'era determinata a seguito dell'emanazione dell'atto, potrebbf! nondimeno l'interessato sollecitare presso la Amministrazione l'emanazione di ulteriori provvedimenti che, per ipotesi, si rendessero necessari a ripristinare lo status quo, essendo evidente che l'eventuale rifiuto di siffatti provvedimenti non potrebbe sottrarsi al sindacato di legittimità. La tesi dell'annullabilità dell'atto non appare, insomma, sostenibile neppure sotto un generico profilo di equità. Fondamentalmente, comunque, non appare sostenibile una volta rilevata, come esattamente ha fatto la sentenza, l'autonomia del momento amministrativo rispetto a quello legislativo, in virtù della quale il vizio di incostituzionalità della norma non può reagire se non mediatamente sull'atto, privandolo cioè di efficacia e non invalidandolo ab origine. E che l'atto non possa ritenersi invalidamente sorto, lo ammette la stessa decisione quando afferma che, dichiarata la incostituzionalità di una norma attributiva di potestà discrezionale alla Pubblica Amministrazione, non può sostenersi che l'atto sia stato emesso nell'esercizio di un potere inesistente con la conseguenza che la giurisdizione resta radicata presso il giudice amministrativo. Il che equivale a dire che l'atto risulta validamente emanato. * * * Dalla inettitudine del provvedimento a spiegare ulteriori effetti consegue, a nostro avviso, il venir meno dell'interesse al ricorso. Invero, deve riconoscersi che - privato l'atto autoritativo di ogni efficacia - le situazioni giuridiche soggettive che dallo atto siano rimaste compresse riassumono il contenuto e la latitudine originari, e la necessità di una pronuncia giurisdizionale, che ripristini una situazione conforme al diritto, viene meno. Nè è a dire che il ricorrente conservi interesse a una pronunc-ia dichiarativa che acc.erti il ripristino dello status quo giacchè evìdentemente siffatto accertamento è di per sè contenuto nella declaratoria di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.· I n una sola ipotesi, a nostro avvisor permane la. necessità di una pronuncia giurisdizionale: nell'ipotesi, più sopra accennata, in cui, restando esclusa dì fatto la automaticità degli effetti della pronuncia della Oorte Oostituzionale, ulteriori provvedimenti si rendessero necessari a ripristinare la situazione giuridica incil!a dall'atto. Ma l'interesse alla pronuncia. sorgerebbe, in tal caso, solo di fronte alla constatata inerzia della Pubblica Amministrazione, sollecitata all'emanazione degli opportuni provvedimenti; e sarebbe, comunque, un interesse rivolto a ben altro tipo di pronuncia. Oomunque, una volta accolta la tesi dell'annullabilità dell'atto, una volta cioè affermato che l'attO. emesso in virtù di una norma incostituzionale debba ritenersi viziato fin dall'origine, suscita qualche perplessità la soluzione accolta nella decisione in ordine al problema della individuazione del giudice competente a pronunziare. Sembra, in altri termini, che~ data quella premessa, le conseguenze non possano essere quelle di cui alla p~onuncia della Adunanza Plenaria. Si è detto quale sia la soluzione prospettata dalla. sentenza: dovendo l'atto amministrativo ritenersi emanato non già nell'esercizio di un potere inesistente, ma nell'esercizio di un potere viziato per riflesso del vizio di costituzionalità, che inficia la norma attributiva, le posizioni incise dal provvedimento restano sempre di interesse legittimo e competente a conoscerne è, quindi, il giudice amministrativo. Mentre, dunque, la dichiarazione di incostituzionalità della norma produrrebbe, per il caso sub indice, l'effetto retroattivo di invalidare l'atto, esponendolo ad annullamento come viziato ab origine, per quanto attiene al problema della giurisdizione siffatta retroattività non sarebbe più operante, daì momento che il giudice dovrebbe pur sempre ritenere esistente, anche se viziato, il potere discrezionale esercitato con l'emanazione dell'atto. A nostro avviso, però, una volta affermata l'annullabilità del provvedimento e, quindi, una volta ritenuto che l'atto emanato in base a norma incostituzionale debba ritenersi viziato fin dall'origine, dovrebbe conseguentemente ammettersi che l'incostituzionale attribuzione di potere discrezionale reagisca, fin dall'origine,. sull'atto, facendolo ritenere emesso nell' esercizio di potere inesistente. Oon le conseguenze inevitabili in ordine alla individuazione del giudice competente. Sul tema, com'è noto, si sono pronunciate anche le Sezioni Unite della Oassazione, con la sentenza 1603 del 17 maggio 1958 (Foro It., 1958, I, 1108), richiamata dalla riportata decisione. Qualora - ha rilevato la Oassazione - uno specifico potere discrezionale della Pubblica Amministrazione non residuasse affatto a seguito della pronuncia di incostituzionalità, tale pronuncia porterebbe · à - dover considerare ex tunc con qualificazione di diritt~·soggettivi le posizioni già dedotte in causa come interessi legittimi. - 150,- E deve aggiungersi, inoltre, che una simile ipotesi può inquaiJ,rarsi nel generico concetto di ius superveniens, che trova automatica ed immediata applicazione in tema di giurisdizione (Oass., 16 maggio 1958, n. 2066). SERGIO L.A.PORT.A PROCURATORE DELLO STA.TO REGIONI- Conflitti di attribuzione - Stato e provincia di Bolzano - Difetto di giurisdizione del Consiglio di Sta.to. (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, Decisione n. 11/1963 - Pres.: Bozzi; Est.: DanileProvincia di Bolzano c. Commissario del Governo per la Regione Trentina-Alto Adige). N el conflitto di attribuzione previsto dalla Co: stituzione l'invasione nella sfera delle competenze 'Costituzionalmente garantite può essere denunziata .solo da soggetti legittimati a proporre il giudizio di costituzionalità in via principale. Se l'incompetenza viene dedotta da altri soggetti si ha non un conflitto di attribuzione, ma un comune vizio di legittimità, della cui fondatezza può ben giudicare il Consiglio di Stato. La Provincia di Bolzano non può far valere innanzi il Consiglio di Stato i vizi di un provvedimento, col quale si è disposto di alcuni alloggi dell'Istituto .Autonomo Case Popolari di Bolzano perchè non ha poteri di disposizione degli alloggi .stessi nè ha dichiarato di agire in sostituzione dello Istituto ed in virtù del suo potere di controllo sugli atti dello stesso. Per una migliore comprensione della questione riteniamo opportuno riportare integralmente la deci, yiOne, nella sua esposizione in fatto e nella sua motivazione in diritto. FATTO Il vice commissario del Governo della Regione Trentino-.Alto .Adige con decreto, n. 12647 del 18 novembre 1960 requisiva tredici alloggi dello Istituto autonomo delle Case popolari siti in Bolzano, via Palermo e via Milano allo scopo di assicurare alloggio a talune famiglie, che abitavano in locali pericolanti e che erano state colpite da una ordinanza di sgombero, emessa dal Sindaco di Bolzano. Con atto 18 gennaio 1961 la Regione Trentino. Alto .Adige proponeva, in relazione al citato de' Creto, ricorso per conflitto di attribuzioni avanti alla Corte Costituzionale, ricorso che veniva dichiarato infondato con sentenza 30 dicembre 1961, n. 72. .Avverso lo stesso decreto la Provincia di Bolzano ha proposto ricorso a questo Consiglio deducendo i seguenti motivi: l) violazione degli artt. 4, 13 e 46 della legge 'Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 in relazione all'art. 56 della legge regionale 17 maggio 1956, n. 7; incompetenza. Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato avrebbe invaso la sfera di competenza della Provincia in quando i provvedimenti d'urgenza, nella Regione Trentino-.Alto .Adige spetterebbero al Presidente della Giunta provinciale c non già agli organi dello Stato; 2) violazione degli artt. 11 e 13 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 in relazione agli artt 1, 6 e 7 segg. D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 8. In base allo Statuto la competenza in materia di case popolari spetta alla Provincia. Il provvedimento impugnato disponendo in sostanza di case popolari ha posto in essere un' assegnazione di case, che era riservata alla competenza della Provincia; 3) violazione dell'art. 7 legge ,20 marzo 1885, n. 2248, allegato E; eccesso di potere per mancanza di. presupposto e per vizio di causa ed illogicità sotto forma di sviamento e di difetto di motivazione. La falsità della causa risiede in ciò che il motivo dedotto (pericolo per l'incolumità pubblica) vale a giustificare l'ordinanza di sgombero, ma non il decreto di requisizione, che ha la sua causa nell'assegnazione dell'alloggio agli sfrattati. Il difetto di motivazione si concreta nella mancata indicazione dei motivi per i quali sono stati scelti gli .Alloggi dell'Istituto anzichè altri alloggi disponibili, mentre la falsità della causa sarebbe costituita dall'intendimento di pervenire, attraverso un provvedimento di requisizione, alla assegnazione degli alloggi, senza l'osservanza delle norme all'uopo applicabili; 4) Violazione dell'art. 76 dello Statuto Trentino-. Alto .Adige in relazione all'art. 16 del D.P.R. 12 dicembre 1948, n. 14-14. Il potere d'ordinanza non rientrava fra i poteri delegabili; pertanto esso doveva essere esercitato dal Commissario e non dal vice Commissario; 5) eccesso di potere per errore, inesistenza di causa, difetto di motivazione. Non sussiste il presupposto del pericolo di crollo, dedotto dalla ordinanza sindacale; tale pericolo è stato affermato sulla base di cause imprecisate; il che sta anche a concretare un difetto di motivazione. L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in difesa dello Stato, ha controdedotto: l) i primi due motivi attengono a diritti soggettivi epperò in ordine ad essi va dichiarata la carenza di giurisdizione del Consiglio di Stato; nei riguardi degli altri motivi la Provincia ha solo un interesse di fatto non tutelato neppure in via indiretta; 2) nel merito il ricorso è infondato: i due provvedimenti dello sgombero e della requisizione sono fra loro collegati come causa ed effetto e pertanto non possono essere presi isolatamente e valutati indipendentemente l'uno dall'altro; 3) è esatto che la requisizione non può essere adottata per interessi privati ed il reperimento di un alloggio di regola costituisca un fatto di privato interesse. Ma nella specie il provvedimento è motivato con l'esigenza di evitare il pericolo di disgrazia alle persone; 4) non esistano norme che impediscano al Commissario di delegare al Vicecom:riiissario !_pqter! che gli sono stati riconosciuti dallo Stato; · 5) il pericolo di crollo è stato accertato nella competente sede dagli organi tecnici. m TE E m m -151- Conclude pertanto l'Avvocatura per il rigetto del ricorso con le conseguenze di legge. La ricorrente Provincia ha depositato memorie contestando le eccezioni dell' .Avvocatura sulla. base della decisione della Sezione IV, 24 ottobre 1962, n. 524 ed insistendo sui motivi di ricorso. Con ordinanza 17 ottob:J:_e 1962 la Sezione IV, ha rimesso il ricorso alla decisione di quest'Adunanza Plenaria. DIRITTO Esattamente, nella discussione orale, è stato posto in rilievo dalle parti che l'interesse alla impugnativa del decreto del Vicecommissario, deve essere valutato in diverso modo, in relazione ai primi due e altri motivi di ricorso. Con i primi due motivi, la Provincia ricorrente censura il provvedimento impugnato, in quanto con esso il Vice-commissario avrebbe invaso la sfera di competenza riservata alla Provincia dallo Statuto Trentina-.Alto Adige. In astratto deve riconoscersi àlla Provincia l'interesse a dedurre la violazione di norme che le attribuiscano un potere; in tali casi si ha la violazione del c.d. diritto di autarchia che, come bene pone in luce la ricorrente, è un interesse legittimo, poichè le norme che lo riconoscono sono dirette in via diretta e principale a tutelare un pubblico generale interesse. Ma nella specie è da esaminare se, in deroga ai principi generali, la tutela dell'interesse sia stata affidata ad altro soggetto e ad un giudice diverso da quello normalmente competente. La risposta affermativa a tale quesito è stata già data dalla Corte Costituzionale con la sentenza 30 dicembre 1961, n. 72, emanata in relazione allo stesso provvedimento, ora impugnato. La citata sentenza ha posto in rilievo che i conflitti di attribuzione fra le Provincie della Regione Trentino-.Alto .Adige e lo Stato vanno decisi dalla Corte Costituzionale su ricorso della Regione, legittimata ad agire anche nell'interesse delle Provincie. La decisione della Corte Costituzionale circa la spettanza del potere, non può quindi non fàre stato anche nei riguardi della Provincia. Ciò è stato anche ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza 26 gennaio 1957, n. 22 nella quale si legge che la pronunzia della Corte sul ricorso della Regione, sola legittimata ad agire, « ha uguali effetti per entrambe le Provincie, giacchè la causa e i motivi di essa sono inscindibili. Si ha, riguardo a questi effetti, una posizione analoga al litisconsorzio necessario, con la differenza che, nel caso in esame, la legittimazione attiva spetta unicamente alla Regione, che rappresenta entrambe le Provincie e ne tutela gli interessi, e quindi non si fa luogo alla rappresentanza in giudizio di ciascuna di esse ... ». Vero è che, come la giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte affermato (Sez. IV, 9 giugno 1959, n. 663; Sez. VI, 17 ottobre 1956, n. 697, 10 dicembre 1958, n. 919, 30 dicembre 1959, n. 1049; 30 novembre 1960, n. 995, 7 dicembre 1960, n. 1051), deve farsi distinzione fra la denunzia di incompetenza avanzata davanti al giudice amministrativo e quella di conflitto di attribuzione,. proposta dinanzi alla Corte Costituzionale. N el « conflitto di attribuzione » previsto dalla Costituzione, l'invasione della sfera delle competenze. costituzionalmente garantite, pùò essere -d(munziata solo da soggetti legittimati a proporre il giudiz.io di costituzionalità, in via principale. Se l'incompetenza viene dedotta da altri soggetti si ha non un conflitto di attribuzioni, ma un comune vizio di legittimità, della cui fondatezza. può bene giudicare il Consiglio di Stato. Ma è da avvertire che, nel caso in esame, non si tratta di valutare la legittimità dell'atto, viziato. di incompetenza, in relazione alla lesione dell'interesse di un soggetto, estraneo al giudizio di costituzionalità. Invero, nella specie, la questione della spettanza o non del po~ere alla Provincia è stata esaminata e decisa dalla Corte Costituzionale, in relazione al medesimo atto ora impugnato, con una sentenza che, come si è detto, non può non fare stato anche verso la Provincia. La tesi della ricorrente (accolta dalla decisione della Sezione IV, 24 ottobre 1962, n. 517) che afferma la competenza del Consiglio a pronunziarsi sulla medesima questione ed in relazione. allo stesso atto, comporta non solo un inammissibile bis in idem, ma anche la sostanziale inutilità. del giudicato della Corte Costituzionale che (plll" essendosi pronunziata sulla spettanza o meno del potere alla Provincia) sarebbe stato solo fra Regione e Stato e non fra la Provincia (che è il soggetto direttamente interessato) e lo Stato. Ritiene quindi il Collegio che la questione, già. decisa dalla Corte Costituzionale della legittimità. dell'impugnato decreto del vice commissario, sotto. il riflesso che il potere di requisizione di cui allo. art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E spetta allo Stato e non alla Provincia, non sia proponibile dalla ricorrente in questa sede, per la preclusione che discende dal giudicato. Nei riguardi degli altri motivi del ricorso la, questione dell'interesse si presenta in modo diverso. Con detti motivi non si fa più questione della. spettanza o meno del potere alla Provincia ma si contesta la legittimità del provvedimento di requisizione per inosservanza di disposizioni di legge e per eccesso di potere. Eccepisce l' .Avvocatura generale dello Stato, in relazione a tali motivi, il difetto di interesse della. Provincia, in quanto sarebbero soggetti, legittimati a ricorrere, solo !;Istituto, proprietario dei beni, e i privati aventi titolo all'assegnazione degli alloggi. Oppone la ricorrente Provincia che il bene leso dal provvedimento impugnato sarebbe costituito dal « complesso dei suoi poteri giuridici connessi alll'edilizia popolare»: la Provincia dispone invero di poteri di vigilanza e di direttiva sugli istituti delle case popolari e di tale potere; nella, specie essa si era già avvalso impartendo direttive con atto 10 novembre 1960; cosicchè l'atto impugnato avrebbe praticamente tolto efficacia a tale atto della Provincia. wc cm TE - IG2 - Il Collegio non ritiene che sia necessaril'l soffer- . marsi a considerare se, quando l'atto impugnato non neghi all'ente pubblico il potere di esercitare una determinata funzione la disponga di beni sui quali la funzione possa essere esercitata (se, cioè, quando l'atto interferisca non nella sfera giuridica dell'ente bens0 incida solo sulla possibilità di fatto di esercitare il potere sulla cosa, resa indisponibile) -esista quel collegamento diretto fra. l'interesse leso e la norma violata che, in base alla giurisprudenza causa di legittimazione al ricorso. Invero basta qui considerare che la Provincia non ha, nella specie, poteri di disposizione degli .alloggi degli Istituti delle Case popolari. Come ha ritenuto la Corte Costituzionale (sentenza 26 gennaio 1960, n. 2) la competenza a nominare gli organi amministrativi straordinari degli istituti autonomi delle case popolari nella Regione Trentino- A.lto Adige spetta allo Stato; sicchè non è pensabile neppure ad un potere di sostituzione della Provincia all'istituto. Ma, anche a voler concedere che tale potere sussistesse, certo è che in concreto la Provincia non ha dichiarato di volerlo esercitare; poichè, come bene ha rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, nel presente giudizio la Provincia non si è presentata quale sostituto degli organi dell'istituto. Infine, all'osservazione che, in seguito al provvedimento di requisizione, resterebbe privo di -effetti l'atto di direttiva 10 novembre 1960, è da rilevare che trattasi di un interesse di mero fatto, non tutelabile in questa sede. Con questa decisione l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, modificando l'indirizzo giurisprudenziale della IV Sezione, ha in parte accolto le tesi sostenute dall'Avvocatura, declinando la propria giurisdizione, anche in considerazione della circo. stanza che sullo stesso atto e per gli stessi motivi si era gia pronunziata la Oorte Costituzionale (la sentenza è pubblicata . in questa Rassegna, 1961, J••.t. pag. 71). . , La motivazione, Zaddove afferma che ci sarebbe stata giurisdizione se u ricorso fos86 stato proposto, per gli stessi motivi, da soggetto non legittimato a proporre il giudizio di costituzionalita, è evidentemente errata, non potendo la giurisdizione affermarsi o negarsi esclusivamente con riguardo ai soggetti, senza tener alcun conto dell'oggetto del giudizio (vedasi in questa Rassegna: 1960, p. 65; 1961, p. 109; 1962, p. 72; 1963, p. 28). Il conflitto di attribuzione costituzionale con il suo specifico oggetto, cioè, la appartenenza di un potere allo Stato o alla Regione, resta sempre tale anche se chi lo faccia valere è un soggetto non legittimato a proporre l'azione di costituzionalita. Esso è in ogni caso· devoluto alla esclusiva cognizione della Corte Costituzionale e la circostanza che il privato non sia legittimato a proporre, nè in via principale nè in via incidentale, l'azione di costituzionalita sta a significare che non è titolare di un interesse legittimo (costituzionale), non gia che possa adire altro giudice, privo di giurisdizione sulla questione. Anche la seconda massima, sostanzialmente conforme alle conclusioni dell'Avvocatura, contiene delle riserve, che non possono condividersi. La Provincia di Bolzano, come la stessa decisione riconosce, non ha competenza a nominare gli organi straordinari dell'Istituto; ma, ancorchè l'avesse avuta, si sarebbe dovuto pur sempre negare una sua legittimazione al ricorso. Il potere di controllo sostitutivo sull'ente, infatti, non autorizza mai a proporre azioni o ricorsi in vece dell'ente stesso, ma solo eventualmente - ed anche su questo nutriamo forti dubbi - a nominare un Commissario straordinario per il compimento di questa attivita. GIUSEPPE GUGLIELMI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO :IMPOSTA DI SUCCESSIONE - Inventario form~:~&~.Li -154- ed agli istituti di diritto civile per la nozione e la qualificazione di tali fatti o rapporti, se ne desume che è alle norme generali in tema d'inventario, nonchè a quelle particolari che disciplinano le singole specie menzionate nell'art. 31 che occorre far ricorso ai fini dell'accertamento della validità formale dell'atto. In questi sensi deve convenir11i che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili, è ugualmente valido ed efficace ai fini tributari. Ma non è qui questione di validità formale dell'inventario che gli odierni appellanti oppongono alla pretesa di accertamento presuntivo della finanza. Si tratta, invece, di stabilire se l'omissione di un bene ereditario in uno degli inventari indicati nell'art. 31, renda l'atto inefficiente a vincere la presunzione legale prevista dalla prima parte della stessa norma, come i primi giudici han ritenuto, o se, invece, debba il quesito risolversi sulla base del richiamo alle disposizioni che disciplinano gli istituti nell'ambito dei quali operano gli inventari in questione e, nel caso in esame, alla norma dello art. 494 C.c. che regola le omissioni e le infedeltà nell'inventario e la conseguente decadenza dal beneficio. L'art. 31 della legge sull'imposta di successione non prevede e non disciplina con norme particolari il caso in cui nell'inventario si riscontrino omissioni o infedeltà. La soluzione propugnata dagli odierni appellanti, ed a volte condivisa dalla Commissione Centrale, procede dall'affermazione che, per risolvere il problema, si debba far ricorso ai principi che regolano l'eredità beneficiata, ed in particolare a quello posto dall'art. 494 O.c. Già si è rilevato che, in via di principio, è lecito far ricorso ai concetti ed agli istituti del diritto civile allorchè la norma tributaria manchi di una disciplina specifica di determinati fatti o rapporti. Ma va considerato che è la stessa legge tributaria con le proprie norme e le finalità cui esse tendono a segnare il limite del rinvio. Orbene, se gli inventari vengono in considerazione perchè la legge tributaria attribuisce loro la particolare efficienza di prova contraria alla presunzione legale, ed in vista della forza probante che il legislatore ha ritenuto tranquillante al fine indicato, non è ragione alcuna per estendere il rinvio alle regole della eredità beneficiata, nell'ambito del quale istituto l'inventario opera nel campo civilistico. Quel che interessa ai fini fiscali non è già la regolamentazione del beneficio d'inventario, sibbene è l'inventario come documento redatto nel quadro degli incombenti volti a realizzare quel particolare istituto, che la legge considera quale atto idoneo alla rilevazione della consistenza dell'asse ereditario, e sono, invece, indifferenti la funzione che ad esso assegna la legge civile ed i particolari effetti che in quell'istituto giuridico l'inventario stesso può conseguire. Non è contestabile, infatti, che un inventario escluda la presunzione di cui all'art. 31 pure se, ad esempio, nel frattempo l'erede abbia rinunciato al beneficio, pure se il fallimento sia stato revocato, e ciò perchè il suo valore tributario è del tutto insensibile alle vicende dei rapporti civilistici nei quali esso opera. E per converso, è ben possibile che permangano gli effetti del beneficio d'inventario, della dichiarazione di fallimento,. della tutela, e la finanza lo disattenda provando· che esistono denaro, gioielli e mobilia che l'inventario aveva escluso. Ora, la norma dell'art. 494 O.c. regola senza. dubbio le omissioni e le ilifedeltà nell'inventario, ma al fine specifico della decadenza dal beneficio, vale a dire di quegli effetti che la legge (art. 490· C.c.) riconnette all'istituto, i quali effetti non hanno alcun rilievo per la legge tributaria che si appaga della validità formale del documento~ Tanto ciò è vero che altri, oltre quello ora considerato, sono i casi di decadenza previsti dalla legge, e non può, certo, fondatamente sostenersi che le ipotesi di cui all'art. 505 O.c. importino l'invalidità ai fini fiscali dell'inventario. D'altra parte il minore che non osserva ·l'obbligo della formazione delloinventario non potrà vincere la presunzione dello· art. 31 per difetto del documento prescritto dalla norma, ma non decade dal beneficio se non quando dopo un anno dal compimento della maggiore età" non abbia provveduto a formare l'inventario. Il quesito, quindi, non può trovare soluzione con l'inammissibile richiamo a norma dettata per· tutt'altro fine. In sostanza la presunzione legale posta dall'art. 31 più volte citato opera solo nei casi tassativamente indicati nel terzo comma~ sicchè, ove sussista la validità formale dell'inventario, cade la facoltà degli uffici finanziari di ricorrere all'accertamento presuntivo. Nel caso in esame - già si è detto - la validità formale del documento non viene in discussione, ma l'Amministrazione finanziaria sostiene che la certezza che l'inventario non comprendeva tutti i beni è circostanza efficiente ad abilitarla a ricorrere allo accertamento presuntivo; il che pone in diversi limiti il problema, e cioè se un fatto accertatÙ" successivamente ·alla formazione del documento. possa rendere quest'ultimo invalido ai fini fiscali. Or, se si tiene presente la finalità che la legge ha inteso perseguire allorchè ha limitato la prova. contraria alla presunzione di cui all'art. 31, cioè quella di evitare, con l'occultamento della ricchezza~ le frodi fiscali, e si tiene conto, altresì, che gli inventari indicati sono dalla legge considerati efficienti a dare l'esatta rilevazione dei beni ereditari~ si deve ritenere che il fatto posteriormente accertatÙ" deve essere di tale natura da vulnerare sia detta finalità, sia la rilevazione che il documento è destinato ad offrire. Tale è senza dubbio l'omissione maliziosa nell'inventario di alcuni beni. Ma. allorchè tale omissione non è da ascriversi a mala fede, e risulta, anzi, come nel caso esame, che essa è addebitabile ad ignoranza sulla esistenza dei beni omessi, e dei quali, per di più, l'erede si è affrettato a denunciare l'esistenza agli organi tributari, non può affermarsi che l'inventario abbia. perduto ogni idoneità a contrastare l'accertamento. presuntivo. In definitiva l'amministrazione finanziaria, per negare la validità probatoria dell'inventario ed affermare la legittimità.. dell'accertamento· in via presuntiva, si vale, a ben rifletterer· a -Sua, volta di un elemento presuntivo consistente nel fatto che l'inventario non contiene menzione delle 162 azioni della Sez. Tritone, ed argomenta che se - 155 ·quel bene fu omesso, se ne deve dedurre che lo inventario non contiene la rilevazione della insussistenza del denaro, dei gioielli,.;,della mobilia. Ma l'elemento presuntivo non è efficiente a disconoscere la validità sostanziale dell'inventario quando risulta che l'omissione fu, come nel caso in esame, incolpevole, e quando gli eredi hanno subito portato a conoscenza degli organi tributari l'esistenza di dette azioni. Illegittimo è pertanto l'accertamento operato in via presuntiva dall'Ufficio e conseguentemente gli appellanti hanno diritto al rimborso dell'imposta :pagata. La questione, ampiamente trattata dalla Corte di Appello nella sentenza che si annota, non è nuova .alle Commissioni Tributarie e, quel che più conta, "nOn è pacificamente risolta (1). Com'è noto, l'art. 31 della legge sull'imposta di . successione sancisce la presunzione dell'esistenza di gioielli, denari, mobilio ecc ... per un valore in ragione di una determinata percentuale sull' ammontare globale del compendio ereditario. Detta presunzione è di applicazione generale; si ammette, peraltro, la prova contraria, ma in modo restrittivo e con mezzi > che possono essere anche tacitati in denaro. · Il GRECO (Le società, Giappichelli, 1959, pagina 464) afferma che l'aumento di capitale della società incorporante può non essere necessario, così nel caso che questa possedesse già l'intero pacchetto azionario della società incorporata, o che abbia in portafogli un numero sufficiente di proprie azioni da attribuire a tutti i soci di detta società n, e cita l'opinione del VIVANTE (Trattato, II, n. 766, del FERRARA: Impr. e Soc., pag. 423 e del VrsENTINI in Riv. Dir. Oomm., 1942, II, 294). La seconda premessa è che l'aumento di capitale corrispondente alla somma dei capitali sociali delle Società sia già esentato in virtù dell'art. l del regiodecreto 7 maggio 1948, n. 1057, il che è puramente gratuito perchè l'art. l esenta gli atti di fusione e non parla affatto dei contemporanei aumenti di capitale; ora, come abbiamo visto, l'aumento di capitale può essere una modalità del procedimento di fusione ma non è la fusione stessa come è di tutta evidenza. La conseguenza errata è che l'aumento di capitale di cui all'art. 3 debba essere diverso da quello strettamente necessario per l'operazione di fusione. E' invece da rilevare al contrario che, appunto perchè trattasi di operazioni distinte sia pure dello stesso procedimento, non si sarebbe potuto applicare l'esenzione fiscale agli aumenti di capitale, quantunque connessi con l'operazione di fusione, se non con una esplicita disposizione legislativa, e a tal fine è stato emanato l'art. 3 (cfr. PERRICONE: .Aziende e Società nell'imposta di registro, Giuffrè 1950, pagina 288). D'altro canto se il solo aumento di capitale inscindibilmente connesso con la fusione è quello corrispondente alla somma dei due capitali sociali, come si giustificherebbe, in armonia con la ratio legis che è quella di facilitare le fusioni, una agevolazione per un aumento di capitale non connesso con la fusione stessa.'! Che la ratio legis fosse quella di facilitare, con la riduzione dei costi fiscali che tali operazioni comportano, il ridimensionamento delle aziende sociali per rafforzare, attraverso la fusione di aziende minori, l'economia nazionale è indubbio (cfr. RoMANO~ .Agevolazioni tributarie agli effetti dell'imposta di registro e concentrazioni d'azienda in « Riv. Trim . Dir. Proc. Civ. n, 1959, 711 e .A.NTONINI: Considerazioni intorno ad alcuni aspetti tributari delle· concentrazioni aziendali in « Gius. It. n, 1960, IV pag. 57 e segg.). E se, l'aumento di capitale superiore alla somma dei capitali sociali delle società che si fondono non è « inscindibilmente connesso n, con la fusione, per quale motivo il legislatore avrebbe dovuto concedere le agevolazioni fiscali'! Ma, si è obiettato, se così fosse, la considerazione di contemporaneità imposta dallo art. 3 sarebbe superflua in quanto l'aumento dì capitale corrispondente all'importo dei capitali delle società incorporate è necessariamente contemporaneoalla fusione. Se anche l'obiezione fosse fondata non proverebbe granchè in quanto le leggi sono pienedi pleonasmi, specie quelle tributarie che sono tutt'altro che tecnicamente ineccepibili. M a, in realtà, il requisito, della contemporaneità non era affatto superfluo in quanto, come abbiamo visto, la fusione non importa necessariamente un aumento di capitale; per collegare l'aumento alla fusione ed estendere al primo gli stessi benefici della seconda è quindi necessaria la contemporaneità cronologica, senza che però questa sia sufficiente essendo esplicitamenterichiesto anche l'altro requisito della strumentalità dell'aumento di capitale, che deve essere diretto a facilitare la fusione. Sulla portata di tale ultimo requisito la Genepesca} giocando sulla elasticità lessicale della parola « facilitare n ha sostenuto che il secondo aumento « era destinato a consentire la più efficiente organizzazioneimposta dalla deliberata fusione e, quindi, in definitiva, a facilitare la fusione stessa nelle sue proprie· finalità n. È stato facile obiettare che il risultato di facilitare· la fusione sarebbe in tal caso secondario, indiretto e mediato, mentre immediato, diretto e principale & lo scopo di consentire una più efficiente organizzazione aziendale. Ora, tenendo presenti i criteri interpretativi in tema di agevolazioni tributarie (cfr. Oont. dello Stato per gli anni 1942-50, vol. I, pag. 475, n. 344) sintetizzati nella formula secondo cui è necessaria« la connessione diretta dell'oggetto del ne-. gozio per il quale si discute dell'applicabilità dell'agevolazione con l'ipotesi di riduzione delle leggi previste n, è evidente che non può consentirsi un tale allargamento della portata della normà di favore. La circolare ministeriale 18 agosto 1948, n. 117855 ha precisato, proprio in previsione di una tale situazione di fatto che: « si deve ritenere compreso nelle agevolazioni di cui sopra esclusivamente l'aumento di capitale che sia strettamente collegato alla fusione sociale mentre è da considerarsi escluso quello rivolto al potenziamento della società ». La Commissione Centrale ha chiarito che l'agevolazione « non può riferirsi che agli aumenti di capitale resi necessari dall'operazione di fusione e concentrazio'fbe e per la parte corrispondente all'ammontare delle aziende o stabilimenti conferiti o al capitale ·delle società incorporate n, aggiungendo che «è insufficiente ai fini della concessione dell'esenzione tributaria, la circostanza che il menzionato conferimento -158- forma un presuppQsto inderogabile della fusione, giacchè essa, se ha rilievo in rapporto alle cause che la determinano, non costituisce un elemento essenziale dell'operazione (Comm. Centr., 10 marzo 1950, numero 11065 in Riv. Leg. Fisc., 1950, 1008 e, per qualche riferimento, Comm. Centr. 26 maggio 1954, n. 61747 in Riv. Leg. Fisc. 1954, 1511). Se si escludesse la connessione diretta tra l'aumento -di capitale e la fusione, il « rapporto direttamente -causale» per usare l'espressione della Corte torinese, ne deriverebbe che qualsiasi aumento di capitale -deliberato in occasione di una fusione potrebbe genericamente essere considerato come diretto a faciUtarla. E' ovvio che in ogni caso un'aumentata disponibilità di capitali facilita lo sviluppo e la riorganiz. zazione dell'azienda: se davvero il legislatore avesse voluto uno scopo così amp·io era sufficiente che si :Umitasse a richiedere il solo requisito della contemporaneità dell'aumento di capitale con la fusione, essendo evidente che, nel senso voluto dai contribuenti, tutti gli aumenti di capitale facilitano indirettamente :Za fusione potenziando l'azienda incorporante. · Se il legislatore ha voluto oltre al requisito della -eontemporaneità anche quello della connessione diretta -dell'aumento con la fusione è perchè non tutti gli aumenti di capitale (che certo facilitano e non osta- colano la fusione) possono essere esenti dall'imposta .bensì solo quelli che hanno per scopo immediato, per causa effettiva, per oggetto diretto la fusione e non anche il potenziamento dell'azienda incorporante che .solo indirettamente finisce con il facilitare anche la j~tsione. Onde a noi sembra che esattamente la Corte di Torino ha concluso la pregevole motivazione della sua sentenza affermando che: va ritenuto, pertanto, che l'esigenza di un rapporto direttamente causale tra l'aumento di capitale societario e l'atto di fusione si evince chiaramente dalla lettera della legge, onde collegando la menzionata finalità agevolatrice della fusione con la pur menzionata condizione che l'aumento debba essere deliberato contemporaneamente alla fusione e nell'occasione di essa, si trae la conseguenza che la legge abbia preteso, .all'effetto del beneficio fiscale, un vero e proprio collegamento diretto tra la deliberazione maggiorativa del capitale stesso e la deliberazione di fondere (o concentrare) due o più società. GIOVANNI FIERRO ESPROPRIAZIONE PER P. U. - Retrocessione - Relitti - Determinazione del giusto prezzo, in mancanza di amichevole pattuizione - La preventiva perizia di cui agli articoli 32 e 33 della legge è condizione di ammissibilità della domanda giudiziale. (Tribunale Potenza 12 marzo 1963, n. 121/63 - Est.: Nesti - Appio c. Finanze). In analogia a quanto è disposto per la determinazione dell'indennità di espropriazione, l'azione .giudiziaria per la determinazione del giusto prezzo di retrocessione di un relitto va intesa come mezzo di impugnazione di una precedente stima eseguita in fase non contenziosa. Pertanto, anche rispetto a tale azione, la perizia prevista dagli artt. 32 e 33 della legge si pone come un prius logico, che condiziona l'ammissibilità della relativa domanda. Co'Ji, la sentenza che si segn'a.la, il Tribunale di Potenza - oltre a decidere (nel senso di cui sopra e .rtecondo la tesi dell'Avvocatura) la questione di ammissibilità della domanda di determinazione giudiziale del prezzo d'un relitto - ha cercato di fissare, sullo stesso argomento, alcuni principi, che sembrano interessanti, per la rarità di precedenti. I n particolare, dopo aver premesso che il prezzo dei fondi oggetto di retrocessione, ove non sia amichevolmente pattuito, viene stabilito giudizialmente, in seguito a perizia da eseguirsi a norma degli articoli 32 e 33 della legge, il Tribunale ha precisato: Il mezzo per la determinazione del prezzo dei beni non è quindi diverso da quello stabilito per la determinazione dell'indennità di espropriazione. La stima deve, di conseguenza, essere eseguita da un perito nominato dal Tribunale territorialmente competente, entro il termine fissato col decreto di nomina. Per quanto, poi, riguarda il soggetto, ad impulso del quale - in caso di disaccordo - debba richiedersi la nomina del perito, avvertita la carenza di una esplicita indicazione legislativa (in quanto l'art. 60 si limita a richiamare i precedenti artt. 32 e 33), il Tribunale stesso ha espresso l'avviso che (a differenza di quanto avviene nel caso d'indennità di .espropriazione, in cui tale iniziativa compete al Prefetto), nella ipotesi in questione, in caso di disaccordo, una qualsiasi· delle parti possa dare impulso al procedimento per la determinazione del prezzo di retrocessione, mediante istanza o richiesta al Tribunale territorialmente competente, per la nomina del perito. Infine, circa i termini per la impugnativa di tale stima, il Tribunale ha ritenuto che la relativa azione giudiziaria sia svincolata dall'osservanza di termini di decadenza, a differenza di quanto dispone l'art. 51 della legge per il caso d'indennità di esproprio. GIUSEPPE ADOBBATI RESPONSABILITA CIVILE- Danno subito da dipen· dente in servizio - Prescrizione. (Tribunale di Firenze, Io luglio 1963 - Pres.: Est.: Cerrini Feroni- Galardi c. FF.SS.). Il diritto del dipendente statale al risarcimento del danno, che abbia subito, per colpa dell'Amministrazione, in servizio ed a causa di servizio, si prescrive in 5 anni, che, per i fatti avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore della Costituzione (e, quindi, anteriormente anche alla legge 6 marzo 1950, n. 104), decorre da questa e non dalla data della sentenza, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il R.D.L. 6 fe-bbraio 1936, numero 313 (30 gennaio 1962) . La sentenza, che ha accolto in pieno le tesi sostenute dall'Avvocatura, così motiva al riguardo: Wr E 77 7777"1 777WWT%?- - 159 - -Vatto di citazione introduttivo di questo giudizio è stato, infatti, notificato il giorno 16 dicembre .1962. A tale data erano già maturati i termini di prescrizione preveduti rispettivamente dagli artt. 294 7 e 2951 C.c. poichè erano già trascorsi più di cinque anni, e perciò a maggior ragione più di un anno, dal giorno in cui il diritto oggi vantato dal Galardi poteva essere f.atto valere (articolo 2935 C.c.). Ed invero, ad avviso del Collegio come non v'è dubbio che al Galardi era precluso in passato, cioè all'epoca in cui si verificò il fatto dannoso ed anche successivamente, l'esercizio del diritto di richiedere all'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato l'integrale ristoro del danno sofferto per effetto della legislazione speciale allora vigente (D.L.G. 21 ottobre 1915, n. 1558 e R.D.L. 6 febbraio 1936, n. 313 convertito nella legge 28 maggio 1936, n. 1126) che escludeva l'azione risarcitoria dell'impiegato infortunato nei confronti della Pubblica Amministrazione, così sembra altrettanto certo che tale preclusione venne a cessare al momento dell'entrata in vigore della nuova Costituzione dello Stato o quantomeno al momento in cui trovò effettiva attuaziùne la legge 11 marzo 1953, ì1. 87 (cioè nel 1956). In altri termini, a prescindere dal fatto della sopravvivenza della legge abrogativa 6 marzo 1950, n. l04 alla quale le parti hanno fatto solamente un accenno e dalla quale potrebbero sorgere questioni di dubbia risoluzione, la preclusione dello esercizio del diritto all'intero ristoro del danno invocato dal Galardi, per effetto della nuova costituzione e perciò ancora prima che intervenisse la sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 1962, n. l non era, come rileva la convenuta, di carattere assoluto ma relativo in modo da consentire allo stesso attore di esercitare il diritto solo attualmente fatto valere. La illegittimità della abrogata legislazione preclusiva dell'azione riparatrice del danno, è derivata infatti, da contrasto con i principi dell'art. 28 della Costituzione. N e deriva come logica conseguenza che questo motivo di illegittimità poteva essere sollevato inizialmente dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, poi dinanzi al Giudice Costituzionale, facendosi contemporaneamente valere il diritto risarcitorio, senza che perciò quest'ultimo trovasse più quella preclusione assoluta ad essere azionato che invece valeva per il passato. ··· Questa soluzione, secondo il parere del Tribunale trova il suo sostegno nel principio che le sentenze della Corte Costituzionale le quali accertano la illegittimità di una legge non fanno che rilevare la nullità (per difformità ai principi costituzionali) della legge stessa; tale servizio peraltro esiste fin dal momento in cui si verificò l'anzidetta difformità, ossia dal momento in cui la legge o, se questa è anteriore alla Costituzione, (come nel caso in esame) dal momento dell'entrata in vigore di questa ultima. Conseguentemente è a tale momento che deve farsi risalire il giorno iniziale· della relativa decorrenza secondo il principio dell'art. 2935 C.c. Infatti, era da quel momento che il Galardi avrebbe potuto esercitare il proprio diritto verso la Pubblica Amministrazione, sollevando contemporaneamente ai fini delle relative declaratorie giudiziali la questione di illegittimità delle leggi ordinarie, che fino allora gli aveva precluso ogni azione, per il vizio consistente nella difformità con i principi dell'art. 28 della nuova Carta Costituzionale. Nè può essere presa in considerazione l'ultima obiezione sollevata dall'attore, secondo il quale il corso della prescrizione opposta dalle Ferrovie dello Stato si sarebbe interrotto per effetto del risarcimento del debito da parte della stessa Amministrazione (art. 2944 C.c.). Infatti le manifestazioni provenienti dalla convenuta ed a tal fine indicate dal Galardi, cioè a dire fornitura di un arto artificiale fino al 1956, sollecitazione dello I.N.A.I.L. perchè venisse corrisposta all'infortunato una rendita mensile, ed infine concessione di uno speciale distintivo di onore, non sono idonei a interrompere la prescrizione. Essi, non rappresentano manifestazioni espresse dal risarcimento del diritto patrimoniale dedotto in giudizio, ma espressioni di solidarietà sociale e di comprensione. .. INDICE SISTEMATICO D E L L E C O N S U L T A Z--I O N I C,.tl. FORMUL.tl.ZIONE DEL QUESI_TO NON RIFLETTE IN .tJ.LOUN MODO L.;t SOLUZIONE OHE NE È STATA DATA ACQUE PUBBLICHE REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE. Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per la Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui allo art. IO dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige in base alla quale a detta Regione spetta un diritto di preferenza a parità d i condizioni nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico (n. 75). APPALTO FALLIMENTO - pAGAMENTI. Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante a garanzia dei versamenti di legge agli istituti previdenziali e assicurativi debbano, intervenuto il fallimento dell'appaltatore, essere versate al curatore o agli istituti stessi (n. 268). AUTOVEICOLI E AUTOLINEE MANUTENZIONE - RESPONSABILITÀ. Se il periodico controllo degli organi meccamc1 e l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente ad esonerare il proprietario dalla responsabilità di cui al 4° comma dell'art. 2054 C.c. (n. 65). CIRCOLAZIONE STRADALE CARICHI SPORGENTI. Se le norme contenute nell'art. 119 e 32 del Codice della Strada tutelino interessi diversi ed abbiano un diverso ambito di applicazione (n. 5). CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO PROCURA ffiREVOCABILE ALL'INCASSO - pAGAMENTO AL TITOLARE DEL CREDITO. Se, in presenza di una procura irrevocabile per incasso, il pagamento fatto al dominus abbia piena efficacia liberatoria (n. 190). COMUNI E PROVINCIE TASSA PER OCCUPAZIONE DI SUOLO PUBBLICO - SPAZI DEMANIALI. Se sia applicabikl la tassa comunale di occupazione di arae pubbliche alle concessioni di spazi demaniali marittimi (n, 103). DANNI DI GUERRA CITTADINI TEDESCHI. l) Se l'accordo di reciprocità italo-germanico ratificato il 26 ottobre 1942 e reso esecutivo con legge 7 dicembre 1942, n. 1855 in virtù del quale i cittadini tedeschi avevano diritto al risarcimento dei danni di guerra dii{ parte dello Stato Italiano, debba considerarsi estinto alla data di inizio delle ostilità tra la Germania e il Regnd d'Italia essendo in conseguenza illegittimi e ripetibili i pagamenti fatti in virtù di detto trattato dall'Ammini" strazione delle Finanze nel corso delle ostilità medesime (n. 112). 2) Se in base alla legge 27 dicembre 1953, n. 968 possa accogliersi la domanda di risarcimento di danni di guerra presentata da una Società italiana il cui pacchetto azionario al momento del verificarsi del danno apparteneva interamente a cittadini tedeschi e che pertanto ai sensi della precedente legge sui danni di guerra 26 ottobre 1940, n. 1543 doveva" considerarsi" straniera e quindi esclusa dal risarcimento (n. 112). DAZI DOGANALI AziONE DI RIMBORSO - PRESCRIZIONE. l) Se l'azione di rimborso di diritti doganali indebitamente pagati fuori dei casi previsti dall'art. 29 legge 25 settembre 1940, n. 1424 sia soggetta a prescrizione ordinaria (n. 22). 2) Se sia sottoposta a tale prescrizione l'azione di rimborso dell'imposta di conguaglio, istituitft con l'articolo l secondo comma legge 31 luglio 1954, n. 570, pagata in più del dovuto in dipendenza dell'applicazione di criterio di calcolo del valore diverso da quello stabilito nell'art. 18 legge 19 giugno 1940, n. 762 (numero 22). DEMANIO DEMANIO LACUALE- DISTANZE DELLE COSTRUZIONI. l) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo, oppure se debba tenersi a distanza non inferiore a metri tre da esso confine (n. 174). SPAZI DEMANIALI MARITTIMI - TASSA' COMUNALE PER OCCUPAZIONE DI SUOLO PUBBLICO. 2) Se sia applicabile la tassa comunale di occupazione di aree pubbliche alle concessioni di spazi demaniali marittimi (n. 175). 161- EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE . ALLOGGI INA-CASA- A11!ENAZIONE ALLOGGI A RISCATTO. l) Se l'art. 15 della legge 28 febbraio 1948, n. 43 che prevede per gli alloggi a riscatto INA-Casa un divieto di cessione per un termine di 5 anni sia ancora applicabile dopo l'entrata in vigore della legge 14 febbraio 1963, n. 60 il cui art. 29 dispone il divieto di alienazione per un periodo di dieci anni per gli alloggi assegnati immediatamente in proprietà con pagamento rateale e garanzie ipotecarie (n. 134). ALLOGGI POPOLARI - CESSIONE IN PROPRIETÀ. 2) Se all'acquirente con patto di riservato dominio di un alloggio di tipo popolare ed economico ai sensi del decreto presidenziale 17 gennaio 1959, n. 2, spetti la qualifica ed i diritti del condominio anche prima del pagamento integrale del prezzo (n. 135). GESTIONE INA-CASA - UTILIZZAZIONI PARTI COMUNI. 3) Se la modificazione o l'utilizzazione particolare delle parti comuni di un edificio dell'INA-casa sia condizionata al consenso degli assegnatari (n. 136). ALLOGGI POPOLARI - ALmNAZIONE. 4) Se per l'apponibilità ai terzi del divieto di alienazione degli alloggi a tipo popolare, realizzati col contributo dello Stato, sia indispensabile la trascrizione (n. 137). 5) In particolare, se - nelle provincie soggette al regime dei libri fondiari - sia praticamente eludibile il divieto di alienazione di detti alloggi (n. 137). CooPERATIVE EDILizm. 6) Quali siano i criteri per giudicare dell'adeguatezza di un alloggio posseduto da un socio di cooperativa edilizia ai fini della sua esclusione dalla stessa (n. 138). ELEZIONI LISTE ELETTORALI. Se, a norma dell'art. 53 D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, debba ritenersi nulla la votazione nell'ipotesi in cui le liste elettorali siano state sottoscritte solamente da due scrutatori (n. 5). ELETTRICITA' ED ELETTRODOTTI LINEE ELETTRICHE - NORME TECNICHE. l) Se le Norme Esplicative che sono riportate in relazione a ciascun articolo del regio-decreto, n. 1969 del 1940, contenente norme per l'esecuzione delle linee elettriche stesse, abbiano efficacia modificatrice delle norme dettate dal suddetto regio-decreto (n. 8). 2) Se, nel calcolo dei sostegni delle linee elettriche, lo sforzo uguale a 1/3 del maggiore dei tiri laterali esercitati dai conduttori (art. 7, comma 2° e .4° regiodecreto, n. 1969 del 1940) vada calcolato in corrispondenza della mensola situata al vertice del palo di sostegno o di quella situata al centro (n. 8). 3) Se la disposizione contenuta nel quart'ultimo comma del regio-decreto n. 1969 del 1940, come modificato dall'art. 5 delle Varianti approvate con D.P.R . l febbraio 1948, n. 63, sia applicabile, nel caso di conduttori fissati ai sostegni mediante catene di sospensione, oltre che al morsetto che collega il conduttore alle catene, al complesso del dispositivo di isolamento (numero 9). ESECUZIONE FISCALE EsECUZIONE PRESSO TERZI. l) Se, nell'ipotesi di imposte suppletive di successione, il privilegio reale spettante all'Erario ex articolo 2772 C.c. possa essere esercitato in danno dei terzi acquirenti gli immobili caduti in successione (n. 63). 2) Quali siano le modalità da osservare nell'esecuzione fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario del bene gravato da privilegio reale (n. 63). PIGNORAMENTO - OGGETTI D'ORO. 3) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64). 4) In quale ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi «d'oro" agli effetti di. cui agli artt. 539 C.p.c. e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64). ESECUZIONE FORZATA ESECUZIONE PRESSO TERZI. l) Se il debitore assoggettato a espropriazione forzata presso terzi possa efficacemente autorizzare il terzo pignorato a versare le •somme vincolate in favore del creditore procedente (n. 32). ESTINZIONE DEL PROCEDIMENTO. 2) Se l'art. 627 (che disciplina la riassunzione del processo esecutivo dopo la definizione giudiziale del procedimento di opposizione) sia applicabile anche quando il procedimento di opposizione si estingua per inattività delle parti (n. 33). PIGNORAMENTO - MORTE DEL DEBITORE. 3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento sia necessario riassumere la procedura esecutiva nei confronti degli eredi (n. 34). PIGNORAMENTO - REATI DEL CUSTODE. 4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto a seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di ufficio per mancata consegna dei beni al momento della vendita (n. 35). 5) Se la nullità degli atti esecutivi escluda la sussistenza dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p. (n. 35). 6) Sugli effetti che la sanatoria delle nullità proces- -suali dell'esecuzione forzata determ.ina in ordine alla configurabilità dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p. (n. 35). -162- ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' DECRETI DI ESPROPRIAZIONE - IDENTIFICAZIONE DEI PROPRIETARI ESPROPRIATI. l) Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente, nelle note di trascrizione dei medesimi sia obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione della data e del luogo di nascita, ai sensi della legge 21 dicembre 1955, n. 1064 (n. 177). INDENNITÀ - OPPOSIZIONE AL PAGAMENTO. 2) Se sia ammissibile Òpporsi al pagamento della indennità di espropriazione per ragioni di credito derivanti da obbligazione estranee al rapporto di espropriazione (n. 178). ENFITEUSI. 3) Stùla disciplina dei rapporti tra concedente ed enfiteuta in ipotesi di espropriazione per pubblica utilità dell'immobile concesso enfiteusi (n. 178). FALLIMENTO APPALTO- PAGAMENTI. l) Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante a garanzia dei versamenti di legge agli istituti previdenziali e assicurativi debbano, intervenuto il fallimento dell'appaltatore, essere versate al curatore o agli istituti stessi (n. 76). STATO PASSIVO - INSINUAZIONE TARDIVA. 2) Quali siano le modalità richieste per la costituzione in giudizio del creditore che ha proposto ricorso per insinuazione ta1'diva nel passivo fallimentare agli effetti di impedirne la decadenza prevista dall'art. 98 della legge sul fallimento (n. 77). FERROVIE PERSONALE FERROVIARIO - ART. 3 LEGGE, N. 304 DEL 1963. TUTELA DEL LAVORO. 3) Se sia legittimo, nel settore del pubblico impiego, l'intervento dell'Ispettore del lavoro per la tutela della legge sul lavoro e sulla previdenza sociale (n. 550). IMPOSTA DI CONSUMO MATERIALI DA COSTRUZIONE. Se la leggè 19 luglio 1961, n. 659 che estende agli edifici contemplati dall'art. 2 regio-decreto 21 giugno 1938, n. 1094 l'esenzione dall'imposta di consumo per i materiali da costruzione disposta dall'art. 16 legge 2 luglio 1949, n. 408 faccia riferimento a quest'ultima legge anche per quanto concerne il limite di tempo entro il quale deve essere iniziata la costruzione perchè vi sia titolo all'esenzione (n. 13). IMPOSTA DI REGI~TRO TRASFERIMENTO SIMULTANEO DI MOBILI ED IMMOBILI. Se l'art. 46 della legge di registro (a sensi del quale al trasferimento simultaneo di mobili ed immobili, ove sia stato pattuito un prezzo unico complessivo, si applica l'aliquota per i trasferimenti immobiliari) contenga una norma di carattere eccezionale che non. consente estensione a casi diversi da quello dalla stessa legge espressamente previsto (n.. 193). I.G.E. INTERESSI SULL'l.G.E. EVASA. Se gli interessi da corrispondersi prima dell'entrata in vigore della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sulle somme dovute per I.G.E. evasa, sopratassa e pena pecuniaria decorrano dal giorno in cui s'è verificato il presupposto tributario o piuttosto dalla data dell'ingiunzione di pagamento del tributo e della sopratassa ovvero dal decreto che abbia inflitto la pena pecuniaria (n. 102). Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal IMPOSTA DI SUCCESSIONE 1° ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge, n. 304 del 1963, si debba tener conto, con. la ricostru- PRIVILEGI. zione economica della carriera dell'interessato, dei benefici economici già attribuiti in virtù degli artt. 20 e 21 della legge 8 dicembre 1961, n.. 1165 (n. 344). IMPIEGO PUBBLICO IMPIEGATI SOGGETTI ALLA LEGGE SULL'IMPIEGO PRIVATO - LICENZIAMENTO. l) Se il licenziamento di pubblico impiegato soggetto alla legge sull'impiego privato possa essere disposto in relazione a fatti di rilevanza disciplinare senza il rispetto della garanzia del contraddittorio (n. 548). PERSONALE FERROVIARIO- ART. 3 LEGGE, 304 DEL 1963. 2) Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal 1° ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge n. 304 dell963, si debba tener conto, con la ricostruzione economica della carriera dell'interessato, dei benefici economici già attribuiti in virtù degli artt. 20 e 21 della legge 8 dicembre 1961, n. 1265 (n. 549). Se, nell'ipotesi di imposta suppletiva di successione, il privilegio reale spettante all'Erario ex art. 2772 c:c. possa essere esercitato in danno dei terzi acquirenti gli immobili caduti in successione (n. 34). Quali siano le modalità da osservare nell'esecuzione fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario del bene gravato da privilegio reale (n. 34). IMPOSTE E TASSE IMPOSTA CEDOLARE. l) Se la delibera assembleare di una società per azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio degli utili a riserve e la distribuzione agli azionisti di somme prelevate dal fondo sovrapre·zzo azionario dia luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalle divel'sità di forma e di denominazione, ad una distribuzione di utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cu:i alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 356). -163 2) Se nei confronti della Società che abbia omesso il versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio · Tributario possa procedere all'accertamento d'ufficio ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza attendere anche la vana decorrenza del termine previsto per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno in corso, quando già da documenti ufficiali risulti la dichiarazione degli utili stessi e quindi l'avvenuta violazione della legge (n. 356). IMPOSTE COMUNALI- RICORSI. 3) Se il termine previsto per la presentazione dei ricorsi in materia di finanza locale debba essere inteso con riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione dei ricorsi stessi (n. 357). IPOTECHE CAUSE DI SOSPENSIONE DIPENDENTI DALLO STATO DI GUERRA. l) Se il termine di efficacia delle iscrizioni ipotecarie sia stato sospeso per il periodo previsto nel R.D.L. 3 gennaio 1944, n. l e nel R.L.L. 24 dicembre 1944, n. 392, contenenti norme per la sospensione del corso delle prescrizioni dei termini di decadenza e dei termini processuali in dipendenza dello stato di guerra (n. 16). 2) Se le stesse cause dì sospensione siano applicabili in tema di usucapione ventennale di diritti immobiliari, nei confronti del terzo possessore (n. 16). LOCAZIONI AUMENTI DI CANONE - DECORRENZA. l) Quale sia il termine iniziale di decorrenza per gli aumenti del canone previsti dalla legislazione vincolistica in tema di locazione (n. 116). RINNOVO TACITO. 2) Se il contratto di locazione a tempo determinato debba intendersi tacitamente rinnovato quando il locatario conservi il godimento della cosa oltre il termine di scadenza (n. 117). 3) Se sia ipotizzabile la tacita riconduzione nei confronti della Pubblica Amministrazione (n. 117). LOTTO E LOTTERIE CONCORSI A PREMI. l) Se l'aggiunta di premi, da estrarsi a sorte, alle obbligazioni emesse dall'I.R.F.I.S. costituisca un concorso a premi, a sensi dell'art. 43 della legge sul lotto (n. 18). 2) Se fra i « titoli di prestiti pubblici e privati» - i quali a norma dell'art. 51 della legge sul lotto non possono costituire premi di lotterie - debbano ritenersi compresi anche i libretti di risparmio al portatore (n. 18). 3) Se l'imposta annua di aboonamento, dovuta, secondo l'art. l legge 27 luglio 1962, n. 1228, dallo I.R.F.I.S. e. dagli istituti similari sia sostitutiva anche della c.d. tassa di lotteria (n. 18). PENSIONI PENSIONI DI GUERRA- TRATTENUTE PER DEBITI VERSO LO STATO. Se sia possibile recuperare un credito erariale· a ·mezzo di ritenute sulla pensione di guerra (n. 107). PIGNORAMENTO OGGETTI D'ORO. l) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. e il regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5). 2) In quali ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi «d'oro » agli effetti di cui agli artt. 539 C.p.c. e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5). MORTE DEL DEBITORE.' 3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento sia necessario riassumere la procedura esecutiva nei confronti degli eredi (n. 6). REATI DEL CUSTODE. 4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto a seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di ufficio per mancata consegna dei beni al momento della vendita (n. 7). 5) Se la nullità degli atti esecutivi escluda la sussistenza dei reati previsti dagli artt. . 328, 334 e 335 C.p. (n. 7). 3) Sugli effetti che la sanatoria delle nullità processuali dell'esecuzione forzata determina in ordine alla configurabilità dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p. (n. 7). POSTE E TELECOMUNICAZIONI INCETTA DI CORRISPONDENZA. l) Se possa configurarsi il reato di incetta previsto nell'art. 35 del Codice Postale anche nell'ipotesi prevista dall'art. 37, lettera b) dello stesso Codice, e cioè nella ipotesi di trasporto e del recapito di corrispondenze epistolari per le quali sia stato soddisfatto il diritto postale, nei modi di cui all'art. 20, n. l del Regolamento 18 aprile 1940, n. 689 (n. 96). PUBBLICITÀ POSTALE. 2) Se, a seguito dell'emanazione del D.M. 1° dicembre 1961, sia tuttora consentito all'Amministrazione PP.'IT. svolgere attività pubblicitaria a favore di enti ed Istituti non aventi fini di lucro e se - ed in quali casi - sia possibile consentire che gli utenti di macchine affrancatrici apportino variazioni alle dimensioni ed al contenuto delle targhette-leggenda (n. 97). PROCEDIMENTO CIVILE GIURISDIZIONE VOLONTARIA - PROVVEDIMENTI DI AUTO• •. RITÀ STRANmRE. l) Sull'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione (n. 30). W22?7777FEZ m:uc rn ~zmzzz zm;;::;;;q - 164 2) In quali ipotesi l'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione siano condizionati al procedimento di delibazione previsto dallo art. 801 del codice di procedura civile (n. 30). 3) In particolare, se sia necessaria la delibazione per le deliberazioni rese dal Consiglio di famiglia previsto dagli artt. 405 e seguenti del Codice civile francese (numero 30). PROPR1ETA' CONDOMINIO- ASSUNZIONE PERSONALE. l) Se l'assunzione del personale di custodia da parte dell'Amministratore del condominio sia condizionata alla preventiva deliberazione dell'Assemblea dei condomini (n. 34). PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLICHE. 2) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica che intenda piantare alberi ai bordi della strada sia tenuto al rispetto delle istanze legali dalle proprietà limitrofe (n. 35). 3) Se possa competere al privato proprietario di fondo confinante con strada pubblica il diritto della autotutela di cui all'art. 896 C.c. per la recisione dei rami protesi e delle radici che si insinuassero nel suo fondo (n. 35). PROPRIETÀ CONFINANTI COL DEMANIO LACUALE. 4) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo, oppure se debba tenersi a ·distanza non inferiore a metri tre da detto confine (n. 36). PROPRIETÀ INTELLETTUALE BREVETTO - ESPROPRIAZIONE DA PARTE DELLO STATO. I) Se l'espropriazione di un brevetto da parte dello Stato, limitato al diritto di uso, lasci al titolare del brevetto la facoltà di disporre dell'invenzione salvo che nei confronti dello Stato espropriante (n. 21). 2) Se sia legittimo, nel decreto di espropriazione del diritto di uso di un brevetto, l'inserimento dell'obbligo - senza limiti temporali - di mantenere le invenzioni segrete (n. 21). REGIONI REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE - AcQUE PUBBLICHE. Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui all'art. IO dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige in base alla quale a detta Regione spetta un diritto di preferenza a parità di condizioni nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico n. 108). RESPONSABILITA' CIVILE AUTOVEICOLI - OMESSA MANUTENZIONE. Se il periodico controllo degli organi meccamCI e l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente ad esonerare il proprietario dalla responsabilità di cui al 40 comma dell'art. 2054 C.c. (n. 202). RICORSI AMMINISTRATIVI RICORSO GERARCHICO. Se il termine previsto per la presentazione dei ricorsi in materia di finanza locale debba essel'e inteso con riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione dei ricorsi stessi (n. 9). SERVITU' SERVITÙ « AMOENITATIS CAUSA "· Se sia ammissibile la costituzione di tma servitù amoenitatis causa comportante per il proprietario del fondo servente l'obbligo di conservare le alberature esistenti e di metterne a dimora nuove (n. 35). SOCIETA' IMPOSTA CEDOLARE. l) Se la delibera assembleare di una società per azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio degli utili a riserva e la distribuzione agli azionisti di somme prelevate dal fondo sovraprezzo azionario dia luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalla diversità di forma e di denominazione, ad una distribuzione di utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cui alla legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 103). 2) Se nei confronti della Società che abbia omesso il versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio Tributario debba procedere all'accertamento d'ufficio ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza attendere anche la vana decorrenza del termine previsto per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno in corso, quando già da documenti ufficiali risulti la dichiarazione degli utili stessi e quindi l'avvenuta violazione della legge (n. 103). STATO CIVILE DECRETI DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ. Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente, nelle note di trascrizione dei medesimi sia obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione della data e del luogo di nascita, ai sensi della legge 21 ottobre 1955, n. 1064 (n. 6). STRADE PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLICHE. I) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica che . intenda piantare alberi ai bordi della strada sia tenuto al rispetto delle distanze legali dalle proprietà limitrofe (n. 48). 2) Se possa competere al privato proprietario di fondo confinante con strada pubblica il diritto all'autotutela di cui all'art. 896 C.c. per la recisione dei rami e delle radici che si insinuassero nel suo fondo (n. 48). TELEFONI CONCESSIONI TELEFONICHE - AUMENTO DEI CANONI. Quale sia l'interpretazione dell'art. 52 delle convenzioni riguardanti le concessioni telefoniche alle Soceità S.T.I.P.E.L. e T.E.T.I. (n. 23).