PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SE R fl'IZ I O DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO XIV -N. I0-12 Ottobre-Dicembre 1962 -LA CORTE DEI CONTI NEL CENTENARIO Davvero memoranda la ricorrenza che viene oggi con tanta solennit giustamente celebrata. Queste parole del Presidente della Repubblica hanno sottolineato autorevolmente nell'Aula delle Sezioni Unite della Corte il 20 dicembre scorso l'importanza della cerimonia; la quale ha rivestito anche un parti colare interesse, per quanti hanno a cuore il per fezionamento dei nostri ordinamenti. ed il migliore funzionamento della Pubblica Amministrazione, per il vigoroso ed ampio discorso del Presidente Ferdi nando Carbone, cos interessante sia nelle annota zioni storiche e nell'analisi delle attuali necessit sia, soprattutto, nella visione di piu ampie future prospettive. Riportiamo qui di seguito tale discorso dal quale abbiamo straliato la sola pmte introduttiva e finale: < ha posto l'accento e, a nostro avviso molto giustamente, perch quella funzione che maggiormente contraddistingue l'attivit della Corte e ne caratterizza la posizione tra gli organi costituzionali dello Stato. In merito al controllo sull'Amministrazione dello Stato, mentre concordiamo pienamente sulla inso stituibilit delle funzioni della Corte e sui pericolit ben superiori ai pretesi vantaggi, che deriverebber<> dalla istituzione di organi speciali, dalla Costituzione peraltro non previsti, non possiamo, tuttavia, non osservare che, probabilmente, nella immutabilit dei criteri e delle modalit del controllo esercitato dalla Corte da cogliersi la spiegazione della tendenza recentemente manifestatasi di ricercare altre forme di controllo di pi rapida attuazione. Non questa certo la sede pi opportuna per analiz zare le ragioni di siffatta tendenza n per tentare di el!aminare la possibilit di eventuali perfezionamenti del sistema. Ci sembra, tuttavia, che nello stess& attuale sistema di controllo potrebbe trovarsi la possibilit di conciliare l'esigenza d'un controlli> efficiente e conforme al dettato delf;'a'f't. 100 della Costituzione con la necessit di adeguare l'aiion~ amministrativa alle, troppo spesso, urgenti contin genze. Intendiamo riferirci alla possibilit di esten dere ad altre amministrazioni dello Stato, se non di. -125 generalizzare, il sistema di controllo vigente per le aziende autonome statali (F.S., P.TT., ecc., art. 28 T. U. 12 luglio 1934, n. 1214), e cio controllo preventivo per gli atti di governo veri e propri (decreti presidenziali), controllo successivo per tutti gli altri provvedimenti che importino spesa. Questa estensione sembra possa avere, accanto al vantaggio dell'accelerazione della procedura di controllo, anche quello di attribuire ai funzionari amministrativi che emettono provvedimenti che impegnano spese, tutta la responsabilit per i provvedimenti stessi (in relazione 'ai quali dovrebbe, evidentemente, essere abolita la prassi adottata dalle Aziende Auto1iome di richiedere il visto di controllo preventivo anche dove la legge non lo prevede). Sarebbero, poi, ridotti, se non completamente eliminati, i contrasti -non del tutto infrequenti -tra i rifiuti di visto preventivo da parte della Oorte e le pronuncie giurisdizionali che riconoscono dovuto dall'Amministrazione proprio l'atto che la Oorte rifiuta di vistare. , infatti, noto che, nel caso di riscontro successivo, l'illegittimit dell'atto vien fatta valere come titolo di responsabilit a carico del funzionario che lo ha emanato e per tale responsabilit il giudizio devoluto alla Oorte dei Oonti in via esclusiva. L'estensione del sistema, attualmente limitato alle Aziende Autonome, implicherebbe un notevole rafforzamento del numero dei magistrati e del personale che esplica l'attivit di controllo, in modo da rendere il riscontro successivo quanto pi prossimo alla data dell'atto ad esso sottoposto, ma tale rafforzamento potrebbe, forse, essere realizzato in un tempo non lontano quando il naturale esaurimento del lavoro giurisdizionale relativo alle pensioni di guerra render disponibili i magistrati e gli impiegati che vi sono ora impegnati. Il controllo sugli enti pone un acuto problema; quello che attiene alla estensione del controllo. Il Presidente della Oorte ha rilevato che il controllo sarebbe monco se non si estendesse anche alla valutazione economica della gestione al fine di stabilirne la rispondenza, nel suo complesso, ai fini istituzionali dell'Ente. Probabilmente, allo stato della legislazione vigente (legge n. 259 del 1958) questo controllo penetrante non appare consentito, ma il problema di quelli che rivestono importanza fondamentale particolarmente in seno ad uno Stato che si avvia ad interventi sempre piu numerosi nell'economia nazionale, attraverso la istituzione di organismi la cui azione, svincolata da quei limiti che per l'Amministrazione dello Stato sono costituiti dai capitoli del bilancio, tende a sottarsi naturalmente ad ogni controllo che non sia quello politico del Parlamento. L'organizzazione di un controllo il piu penetrante ed efficace della Oorte su tali enti appare, perci, una condizione essenziale per un ordinato sviluppo ed una corretta gestione di essi. Notiamo, infine, per quel che concerne la prossima attuazione dell'ordinamento regionale che il Presidente della Oorte, indicando nelle Delegazioni regio nali, recentemente istituite, gli organi della nuova struttura decentrata del controllo, ha fatto richiamo al carattere naturalmente unitario della funzione di controllo come conseguenza logico-giuridica del caratte;re unitario dello Stato. Questo autorevole richiamo all'unit della funzione di controllo appare tanto piu necessario ed opportuno affinch non si ceda alle eventuali prevedibili pressioni locali dirette ad ottenere la creazione in ogni Regione di vere e proprie Sezioni della Oorte, a pi o meno ampia autonomia, col gravissimo pericolo di intaccare quella unitariet della funzione di controllo che ne caratteristica essenziale. Queste brevi note non hanno certo la pretesa di costituire un adeguato commento alla vastit ed importanza dei tempi affrontati ohe meriterebbero ben pi ampio approfondimento. Esse tendono al limitato scopo di porre in rilievo alcuni dei temi di maggiore interesse che hanno formato oggetto del discorso, che pu definirsi un punto fondamentale di riferimento per l'avvenire della Oorte e per la futura attivit degli emeriti Magistrati che la compongono; discorso ohe sar sempre ricordato per la ricchezza di pensiero, per la profondit della conoscenza dei problemi propri dell'Istituto e di quelli pi vasti della Pubblica Amministrazione e degli ordinamenti statali, e, sopratutto, per lo spirito da da cui permeato e per la nobilt dei sentimenti da cui ispirato. Di tali sentimenti dato cogliere l'essenza in questi due brani detti a chiusura del discorso; Indipendenza che tale in quanto l'assolvimento nostro ci pone alla assoluta dipendenza della legge soltanto, ad ogni altra dipendenza, perci stesso, sottraendoci. Diversamente intesa e praticata l'indipendenza rischierebbe di risolversi in pregiudizio dell'adempimento del dovere, laddove, certo, che indipendenti siamo per il dovere non dal dovere; in altri termini l'adempiere, pienamente, il dovere nostro il fine, l'indipendenza, il mezzo per raggiungerlo . E piu oltre; Termino convinto di poter affermare come all'inizio di questo suo secondo secolo di vita nell'unit d'Italia la Oorte altro essenzialmente non si propone, non ambisce, rispettosissima sempre degli altrui, ma nello stesso grado gelosa dei propri poteri, che di rendere sempre pi di questi perfetto, spedito, efficiente l'esercizio, per nessun'altro scopo che quello di concorrere -assolvendo con assoluta dedizione ed appassionato impegno la sua missione, nell'interesse della societ nazionale, dello Stato, come di tutte le entit che allo Stato direttamente od indirettamente si ricolleghino -di concorrere, dicevo, a realizzare i presupposti e le condizioni perch la Patria nostra sia -come la sognavano coloro che un secolo fa con la O orte dei conti, diedero inizio all'unit nei civili magistrati, come tuttavia la sognamo noi -ognora piu grande, prospera, libera antesignana e garante con i propri sempre pi ammodernati ordinamenti, entro i suoi confini e nel mondo, di ogni sociale ordinato progresso, nella pace e nella giustizia . NOTE SULLtART. 17 DELLA LEGGE 24 MARZO l958t N. 195 1) Con la decisione n. 248 del 1962, e con le altre che la ricalcano fedelmente, il Consiglio di Stato ha dichiarata la propria giurisdizione sui decreti del Capo dello Stato e del Ministro di Grazia e Giustizia, emessi in attuazione delle delibere del Consiglio Superiore della Magistratura, a' sensi dell'art. 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e sulle stesse delibere del Consiglio Superiore, in quanto trasfuse nei decreti in parola. Non pu certo imputarsi al S. O. A. un'insufficienza nella motivazione della pronuncia in esame. Sarebbe, infatti, bastato dire quel che si dice verso la :fine della decisione, e, cio, che le delibere del Consiglio Superiore sono meri atti preparatori dei decreti di cui trattasi, decreti a cui non pu essere negato il carattere di atti non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente amministrativi, per tagliare corto ad ogni ulteriore indagine. Si vede che, per, la Quarta Sezione si resa conto della gravit del problema affrontato ed ha voluto esaminarlo sotto ogni possibile punto di vista. Sono state, cos, enunciate, nell'ordine, le seguenti proposizioni: a) al Consiglio Superiore della Magistratura devesi attribuire piuttosto il carattere di organo di rilevanza costituzionale , che non quello di organo costituzionale , sia perch discutibile che l'amministrazione e la disciplina di un Corpo di persone investite di una pubblica funzione possa considerarsi supremo interesse dello Stato, sia perch al vertice del potere giudiziario stala Corte di Cassazione e non il Consiglio Superiore, la cui funzione meramente ausiliaria e strumentale rispetto all'esercizio della giurisdizione; b) ancorch trattisi di Organo costituzionale vero e proprio, non esiste un principio che esenti dalla giurisdizione gli atti degli Organi costitu nali (il Presidente della Repubblica ed il Governo possono vedere, volta a volta, annullati o disap. plicati i propri atti); _ e) n esiste un principio che attribuisca agli Organi costituzionali giurisdizione esclusiva sui propri membri. Del resto, l'Ordine giudiziario come tale non un Organo: l'Organo -se mai il Consiglio Superiore al quale pu, al massimo, riconoscersi giurisdizione in tema di verifica della regolarit della nomina dei propri membri; . d) il precedente costituito dalla pronuncia delle Sezioni Unite 3 febbraio 1917 (Pres. ed est. MORTARA, pubbl. in Foro It., 1917, I, 551, con nota di BIAMONTI) citata nella decisione, inutilizza bile, una volta entrato in vigore l'art. 113 della Costituzione; e) le delibere del Consiglio Superiore, a parte la loro essenza di atti meramente preparatori di provvedimenti del Governo, potrebbero essere per sino assoggettate, se considerate in s e per s, al sindacato di legittimit del Consiglio di Stato, in quanto atti oggettivamente amministrativi, non esistendo alcun ostacolo di principio a che un Organo non inquadrato nel potere esecutivo possa assumere la qualit di Organo di pubblica amministrazione ed essere soggetto al relativo regime giurisdizionale. Cos riassunti con la maggiore obiettivit (almeno riteniamo) gli argomenti del Consiglio di Stato, deve immediatamente soggiungersi che non pu approvarsi n l'impostazione data da quel Consesso alla questione, presa nel suo insieme, n una sola delle tesi sopra enunciate. 2) Alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato sfuggito il significato del principio dell'indipendenza della Magistratura, cosi come esso accolto nel vigente sistema costituzionale. L'esercizio della funzione giurisdizionale autonomo. Cio il Giudice dipende soltanto dalla legge (sottoposta, ove occorra, alla prova di resistenza rispetto alla Costituzione): con la conseguenza che l'atto del potere esecutivo va applicato solo in quanto conforme alla legge. E uno. E due: l'Organo giurisdicente autonomo. La sentenza non pu essere emanata in obbedienza ad un ordine gerarchico, n pu essere riformata o annullata se non in sede giurisdizionale, attraverso la sequela dei gravami. Sin qui, siamo, al livello del Iustizbeamte della monarchia illuminata. O, forse, a quello del Giu dice delle Nozze di Figaro: non certo a quello del Magistrato secondo l'orientamento costante del diritto post-unitario, ora solennemente dichiarato negli artt. 104 e 105 della vigente Costituzione. L'autonomia qui garantita non solo alla funzione giurisdizionale, non solo agli Organi che la esercitano, ma a quel Corpo di persone investite di una pubblica funzione (come testualmente dice il Consiglio di Stato) che costituisce l'Ordine giudiziario. Lo stato di queste persone e l'autogoverno di questo Corpo, sono affidati al Consiglio Superiore della Magistratura. L'art. 104 della Costituzione non pu essere pi chiaro. La Magistratura (non soltanto la funzione giudiziaria o gli Organi giurisdizionali) costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere . Ohe l'autonomia e l'indipendenza della Magistratura siano strumentali rispetto all'esercizio libero della funzione giudiziaria verit che pu essere condivisa da tutti. Ma un errore dimen ticare che questa autonomia ed indipendenza dell'Ordine giudiziario stanno scritte nella Costituzione, e tenere solo presenti quelle della funzione e degli Organi giurisdizionali. 3) Da questa autonomia ed indipendenza discende l'esigenza dell'autogoverno-. -Orgap.o __ di questo autogoverno il Consiglio Superiore della Magistratura, annunziato, nella sua composizione, dall'art. 104 della Costituzione, e le cui attribuzioni sono fissate dal successivo art. 105. Tf -127 Volendo tenere per buona la distinzione fatta dal Consiglio di Stato, la domanda che si pone questa: il Consiglio Superiore organo costituzionale, ovvero organo di mera rilevanza costituzionale? La risposta non pu essere che una: il Consiglio Superiore organo costituzionale. Lo , perch a fondamento di ogni Stato di diritto posto il principio della divisione dei poteri, e perch la Carta del 1948 attua questo principio costituendo in ordine autonomo ed indipendente la Magistratura; perch questa autonomia ed indipendenza postulano che ci sia un organo di autogoverno, e che quest'Organo di autogoverno sia del pari autonomo ed indipendente. Stiamo qui al vertice rappresentato dalle supreme esigenze dello Stato: supreme esigenze -si noti bene -come tali accolte e riconosciute dal testo della Costituzione . .A fronte di queste caratteristiche intrinseche, possono pure passare in seconda linea altr(j considerazioni, ancorch pi appariscenti: la presidenza attribuita al Capo dello Stato, la partecipazione di rappresentanti del Potere politico, con le garanzie connesse a questa partecipazione, ecc. Quindi, risulta erronea a proposizione che trattisi di Organo di mera rilevanza costituzionale, ed inappropriato il paragone con il Consiglio supremo di difesa. Nel testo dell'attuale Costituzione non c' una norma che dica che le Forze .Armate costituiscono un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere dello Stato! Organo costituzionale -dotato di attribuzioni proprie: spettano al Consiglio Superiore ..... )) (articolo 105). Organo costituzionale che -evidentemente non fa parte n del Potere legislativo, n del Potere secutivo, ed i cui atti -per conseguenza non sono soggettivamente n legislativi, n amministrativi. 4) Bastano queste constatazioni (ch di mere constatazioni si tratta) per liberare il campo d'indagine dallo sterile e dal superfluo. Cos perde rilievo la considerazione di cui al n. 1 lettera a), ove si pensi che la volont della Costituzione stata quella di garantire non solo la libert della funzione giurisdizionale, non solo l'autonomia degli Organi di giustizia, ma l'indipendenza dell'Ordine giudiziario (proprio come cc Corpo di persone ll), ponendo le tre esigenze sullo stesso piano. E cade, del pari, l'argomento, svolto nella stessa sede, secondo il quale -se mai dovrebbe censiderarsi al vertice del Potere giudiziario (e sarebbe, quindi, interpretabile come Organo costituzionale) la Corte di Cassazione e non il Consiglio Superiore. Ripetiamo: nulla di eterodosso, se il Costituente avesse investito del potere di governo della Magistratura la Sede pi alta dell'esercizio della funzione giurisdizionale. Fu fatta (in base a considerazioni politiche, che qui debbono sfuggire ad ogni giudizio) una scelta diversa. Ma ci non toglie la natura di Organo costituzionale del Consiglio Superiore. Risulta inappropriato l'argomento (lettera b) che, dopo aver negato che i Magistrati facciano tutti, parte del Consiglio Superiore (o ne siano degli impiegati), restringe la possibile giurisdizione di quest'ultimo alla verifica dei poteri dei propri membri. Qui, a parte che si rientra nella tematica gi nota della funzione, non si tratta di attr!bzioni interne del Consiglio Superiore. Qui si tratta dell'autonomia, dell'indipendenza e dell'autogoverno (che ne conseguenza ineluttabile) dell'Ordine giudiziario, e della sindacabilit in sede di giurisdizione amministrativa di questi atti di autogoverno. In conclusione, allora, restano aperte due questioni di principio ed una di interpretazione di norme positive. Le questioni di principio sono: primo, se l'atto del Consiglio Superiore sia meramente preparatorio del provvedimento di esecuzione; e, secondo se il Consiglio di Stato abbia giurisdizione sugli atti amministrativi in senso soltanto oggettivo (i c. d. atti di tipo amministrativo). Ci con una implicazione relativa alla sindacabilit degli atti di Organi costituzionali. La questione d'interpretazione consiste nel vedere se l'art. 17 citato, nella sua attuale formulazione sia o meno costituzionalmente legittimo. Sappiamo bene che qui, in ultima analisi, si tratta di tre facce di uno stesso poliedro. Ma serve sempre avere un punto dal quale cominciare. 5) Il decreto dell'Autorit governativa atto finale? Si tratta di una di quelle tesi che, pi vengono meditate e pi risultano infondate. La Costituzione dice che certe attribuzioni spettan'J al Consiglio Superiore, non che spettano al Capo dello Stato od al Ministro e< sentito (o su conforme parere, o su conforme proposta, o quel che si voglia), ecc.)), E basterebbe questo solo per dimostrare che il dubbio non ha ragione d'essere. Ma v'ha di pi. Se si fa questione di atto finale, si fa questione di procedimento; se si fa questione di procedimento, si fa questione di concorso di volont: di volont diseguali quanto si voglia, ma pur sempre concorrenti. Ora, che ci possa essere una volont del Ministro che si spieghi sul contenuto del provvedimento chiaramente impossibile. Ed sufficiente al riguardo la lettera dell'art. 17, in conformit delle deliberazioni del Oon'liglio Superiore. Senonch, se il concorso della volont del Ministro non gioca sul contenuto, si costretti ad ammettere che (tacendo, come tace la legge a questo proposito) esso trovi luogo sul <l e sul <. Paragrafo 7 (sotto l'epigrafe Il provvedimento esecutivo del Ministro): la necessiti, di calare " la delibera del Consiglio Superiore nella forma del decreto, discende dal fatto che nessuna norma costituzionale deroga -in relazione all'amministrazione finanziaria della Magistratura -al procedimento generale di cui agli artt. 81 e 100 della Costituzione (spesa approvata dalle Camere e disposta dal Governo, sotto il controllo della Corte dei Conti). Paragrafo 8 (epigrafe: Impugnazione di tale provvedimento ..... ma se dice che un provvedimento esecutivo!?): l'art. 24 della Costituzione esige che nel decreto sia impugnabile la delibera (v. al riguardo, infra, n. 7). Forse in proposito ha giocato la suggestione operata dai lavori preparatori alla legge del 1958 (ma che cosa non si trova in questi lavori ? Si pensi che ad un certo ptmto tutto fu ridotto ad una questione di deferenza al Capo dello Stato), e dall'esempio del Consiglio di Stato francese. Ma la posizione di quell'Organo in Francia ben diversa che in Italia. Per una informazione pi ampia, v. SANTosuosso: Il Consiglio S1tperiore della Magistratura, 1958, 318. (2) Nel primo senso, GLINNI: Il Co't}_siglio Superiore della Magistratura, 1959, e Vrn1sTI: Gli aspetti in&.ostitu~-zionali del Consiglio Superiore della Magistratura, in Rass. di dir. pubblico'" 1958, 517. Nel secondo, TORRENTE: l. cit. (per altro, con talune divergenze rispetto al pensiero esposto in occasioni precedenti). -129 In conclusione: la deliberazione del Consiglio Superiore deve intendersi come atto finale del procedimento, produttivo di effetti giuridici esterni secundum naturam sui generis (artt.12 e 13). L'atto del Governo un provvedimento di mera esecuzione, inteso a portare a buon fine nell'ambito degli ordinamenti amministrativi econtabili quanto si gi perfezionato in sede di Ordine giudiziario. Nient'altro. 6) Veniamo, ora, alla 'sindacabilit dell'atto oggettivamente, ma non soggettivamente, amministrativo. una seduzione che talvolta (e -del resto abbastanza di rado) tenta il Consiglio di Stato. Ed una seduzione la cui fallacia dimostrata non solo da una immemorabile tradizione dottrinaria e giurisprudenziale, non solo dall'art. 26 del Testo unico 1924 delle leggi sul Consiglio di Stato, ma dalla stessa Costituzione della Repubblica, la quale in almeno tre articoli (100, 103 e 113) richiede, specialmente quoad iuris dictionem, che la nozione di atto amministrativo sia integrata dall'elemento soggettivo (3). Del resto, a volere rimanere sul terreno dei principi, abbiamo altra volta dimostrato (in questa Rassegna 1951, 153 segg.; 1951, 177 segg.; 1952, 85 segg. e spec. 96 segg.) che stabilire una nozione di atto amministrativo, prescindendo dal soggetto e dalla forma, insomma costruire la categoria dell'atto naturaliter amministrativo, impresa vana. E la Suprema Corte Rgolatrice ha accolto l'essenziale di questa tesi (Sent. 107 /53: cfr. pure la requisitoria EuLA, nella stessa Rassegna, 1953, 205 segg.). Il Consiglio di Stato ha cercato di aggirare tali ostacoli, che deve aver tenuto certamente presenti, osservando che vi sono casi in cui Organi appartenenti ad uno dei poteri dello Stato esercitano funzioni proprie di un altro potere, che i relativi atti seguono, per quanto riguarda la soggezione al potere giurisdizionale, il regime che loro obiettivamente proprio , che non esiste, quindi, nessun ostacolo di principio a che un Organo non inquadrato nel potere esecutivo possa assumere la qualit di Organo di pubblica amministrazione ed essere soggetto al relativo regime giurisdizionale>>. Dunque, una specie di metamorfosi nel soggetto, determinata dalla funzione: se un Organo non amministrativo esercita funzione amministrativa, per i relativi atti si qualifica come Organo amministrativo e soggiace al regime giurisdizionale della pubblica amministrazione. Ma: come si identifica la funzione amministrativa di cui non traccia (a differenza di quel che accade con la funzione legislativa e con la funzione giurisdizionale) nella Costituzione ~ Con l'emanazione di atti naturaliter amministrativi~ (3) In proposito, cfr. da ultimo A. SAvIGNANO: Gli atti amministrativi delle Camere parlamentari e la loro sindacabiUt, in Rassegna di diritto pubblico, 1960, I, 626 segg., spec. pagg. 641 segg. (Il lavoro notevole per la completezza dell'informazione). Ma allora, nonostante l'ingegnoso giro di pensiero della Sezione, si ricade in quel tipo di identificazione dell'atto obiettivamente amministrativo, che deve dirsi insostenibile (4). Ancora: quali sono gli esempi di ass<;>ggettamento al potere di giurisdizione, secondo le caratteristiche del potere esercitato, formulati nella pi che diligente motivazione delle decisioni in esame~ Questi: i decreti legislativi ed i decreti legge soggetti alla Corte Costituzionale, pur se emanati dal Governo; le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, sottoposte alla Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. Ora, nel primo esempio, la Corte Oostituzionale giudica delle leggi e degli atti aventi forza di legge, non degli atti emanati da un'Autorit legislativa o da un Corpo legislativo . E la differenza fra i due casi essenziale: quanta ne corre fra l'art. 134 e l'art. 113 della Costituzione. Nel primo, giurisdizione ratione obiecti, nel secondo ratione subiecti. Per quanto, poi, concerne la funzione regolatrice della Suprema Corte di Cassazione, a parte ogni considerazione teorica sull'unit della giurisdizione e sull'assoggettamento di tutte le giurisdizioni al controllo della Cassazione, c' da dire che questa soggezione espressamente disposta dalla Costituzione, e che -quindi -il problema non sorge neppure. Se mai, l'esempio istruttivo avrebbe potuto essere quello dell'attivit amministrativa affidata ad Organi giudiziari (volontaria giurisdizione, te nuta dei registri dei privilegi su beni mobili regi strati, ecc.). Si mai pensato di ricorrere al Con siglio di Stato avverso provvedimenti di questo tipo~ Eppure la teoria dell'atto oggettivamente 1> amministrativo a questo porterebbe. L'Organo giurisdizionale esercita funzioni proprie di pubblica amministrazione, quindi i relativi atti dovrebbero seguire il regime che loro proprio per quanto concerne il relativo sindacato. 7) Si venga, ora, alla questione della immunit dalla giurisdizione degli Organi costituzionali. Il Consiglio di Stato pone il problema sul piano dell'a priori, come -cio -se si discutesse in astratto della validit dell'equazione superiorem non recognoscens = legibus solutus, e confuta tale asserzione. Ora, va subito osservato che in questi termini il ragionamento mal posto, e che del resto, nel merito, gli esempi addotti per sorreggere siffatta costruzione non sono affatto convincenti. Giacch, se si fa questione del potere del Giu dice ordinario di disapplicare l'atto amministra tivo illegittimo, chiaro che ci discende dall'au tonomia della funzione giurisdizionale (supra, n. 2), autonomia costituzionalmente garantita, e non (4) Tautologia gi rilevata, se pure in chiave diversa, da Kelsen, e posta in evidenza da Giannini. V. SAVI GNANO: l. cit. pag. 648, nota 33. :::rn :::: pwm &&i FQd&QJW -130 da un potere di sindacato diretto sulla pubblica amministrazione e sugli atti amministrativi; se gli atti del Presidente della Repubblica o dei Ministri possono essere annullati da parte del Consiglio di Stato, la proposizione certamente vera quando questi Organi hanno qualifica di Organi di pubblica amministrazione (per chiarire, sono la pubblica amministrazione), ma -quanto meno -da vedere che cosa succede per i veri e propri atti di Governo (dovendosi qui-a nostro avviso -negare la proponibilit della domanda) e resta, in:fine, da dimostrare che la dichiarazione di illegittimit costituzionale di un atto avente forza di legge da parte della Corte Costituzionale sia atto giurisdizionale o non piuttosto atto legislativo abrogativo. Sia dal suo primo sorgere la Corte Costituzionale si preoccup, infatti di chiarire che la sua funzione era, s, di controllo costituzionale nelle forme giudiziarie, ma non certo giurisdizionale stricto sensu (sentenza n. 2, 3 e 19 del 1956: cfr. GIANNINI in Giurispr. Oostituz., 1956, 902 segg. e ORIS.AFULLI, ivi, 929 segg.). Costruire, un sistema su basi di questo genere sembra, adunque, impresa alquanto imprudente. Comunque, non questo il punto. Ed, invero, se nel contesto giuridico attuale, si solleva la questione dell'Organo costituzionale per il Consiglio Superiore della Magistratura, lo si fa per impedirne l'annessione al territorio della pubblica amministrazione. In altre parole, perch si constati che, secondo il vigente sistema del diritto pubblico, il Consiglio Superiore non (n pu essere) inserito tra gli Organi amministrativi dello Stato, e che tale autonomia dall'Amministrazione gode di una tutela costituzionale, idonea a quali:ficare quel Consesso. Quindi (e qui si vede come sia mal posto il problema nella decisione esaminata) non tanto questione di immunit giurisdizionale in astratto, ma di difetto di giurisdizione in concreto del Consiglio di Stato, il cui sindacato ha per oggetto esclusivo gli atti delle .Autorit amministrative. E cio, e per restare nel tema: qualunque cosa si pensi in tema di garanzie giurisdizionali del singolo, da escludere che nel nostro caso si versi nella zona di applicazione dell'art. 113 della Costituzione. Ch, se poi si fa questione di art. 24 della Costi tuzione, la conclusione, che giocoforza trarre da siffatto argomento, che su questa base si potr affermare la giurisdizione di qualsiasi organo giu dic~nte, ma non del Consiglio di Stato, al quale -si ripete -spetta un sindacato solo in zona di pubblica amministrazione (5). (5) Ed questo l'ostacolo pi grave a costruzioni come quella del TORRENTE (v. cit. in Enciclopedia del diritto). D'altra parte, se si nega l'applicabilit dell'articolo 113 della Costituzione, come si adempie all'art. 24? Il ricorso ai Tribunali ordinari facilmente ammissibile in tema di gestione patrimoniale, ma non certo per i provvedimenti che si considerano. Qui non resta che o teorizzare sulla base delle considerazioni empi- Sin qui le considerazioni che speci:ficamente si attagliano all'ipotesi che ora interessa. Ma, naturalmente, quanto si venuto dicendo comporta una conseguenza -che siamo ben disposti a lasciare qualificare come empirica -in tema di giurisdizione sugli Organi costituzionali. E cio: che fuori da una espressa previsione costituzionale vana impresa cercare un giudice che possa conoscere degli atti degli Organi primari dello Stato. L'unico problema che a tale livello si pu porre, come problema d'ordine generale, quello del conflitto di attribuzioni. Ed osserviamo di sfuggita che proprio il germe per un conflitto di questo genere stato seminato non dal Consiglio Superiore o dal Ministro, ma proprio dalle decisioni del Consiglio di Stato. Esclusa l'indebita invasione dell'Organo primario nella zona d'attribuzioni di altro Organo primario, non resta -di regola rimedio giurisdizionale di sorta. 8) chiaro, dopo l'esposizione sin qui fatta, come debba essere interpretato, nel sistema della legge n. 195 e della Costituzione della Repubblica, l'art. 17. Il ricorso al Consiglio di Stato in sede. di giurisdizione di legittimit sugli atti amministrativi, previsto unicamente per i decreti del Capo dello Stato o del Guardasigilli, per vizi propri ed esclusivi di questi provvedimenti. Tali vizi possono essere meramente formali, ovvero concernere la non conformit degli atti in questione alle deliberazioni del Consiglio Superiore. Riteniamo che per via d'interpretazione possa trovare tutela avanti al S.C.A.. anche l'interesse del singolo Magistrato all'emanazione del decreto conforme alla delibera (inerzia ministeriale, silenzio-rifiuto, ecc). Non pu, invece, avere ingresso avanti al Con siglio di Stato in sede giurisdizionale la pretesa del singolo a sentir dichiarare illegittima, e quindi a sentir annullare, la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, pur se trasfusa in un provvedimento governativo. E non pu tro varla per due serie di ragioni: perch qui non c' attivit che provenga da un Organo amministra tivo, e perch quanto opera il Consiglio Superiore ha luogo in seno all'ordine giudiziario e non in seno alla pubblica Amministrazione. Del resto, il Consiglio Superire, sia che trattisi di concorsi, che di scrutini, opera attraverso Commissioni. L'operato di queste Commissioni soggetto a reclamo avanti al Consiglio (in plenum). L'art. 13 dice che in tema di scrutini Il Consiglio Superiore giudica definitivamente anche nel merito n. L'art. 12, non contiene tale frase, ma basta guardare l'art. 54 delle norme di attuazione (D. P. richc esposte nel testo, oppure riconoscere natura giurisdizionale al ricorso al Consiglio Superiore in pleniim. Ed assai probabilmente vero il seco:nd0 termine dell'alternativa, pur non svolgendosi siffatta attivit -giurisdizionale in contraddittorio, ecc. Ma tutto -in definitiva -si riduce ad intendersi sul concetto di giurisdizione (impresa, del resto, tutt'altro che agevole). -131 16 settembre 1958, n. 916) per concludere che in tema di concorsi, il giudizio di legittimit ( decisioni sui ricorsi n: secondo comma; cc quando non vi riscontri violazione di legge n: primo comma). Come a dire allora che l'assunzione e la carriera dei Magistrati non trova una sede che renda possibile il sindacato ~ La trova, ma l dove pQ.ssibile t~ovarla, in sede cio di Ordine giudiziario, e non certo in quella di sindacato degli atti della pubblica .Amministrazione. .A ragionare diversamente si d luogo ad un inedito vizio di illegittimit costituzionale ex interpretazione. Non solo -volendo leggere nell'art. 17 quello che non c' -si violano, da una parte, gli artt. 104 e 105 della Costituzione, e dall'altra gli artt. 100, 103 e 113, ma si contraddice manifestamente alla stessa legge n. 195, la quale ha voluto tenere fede all'impegno costituzionale dell'autonomia dell'Ordine giudiziario, separando nettamente le attribuzioni del Consiglio Superiore da quelle del Ministro, consentendo al Magistrato una serie di riesame delle delibere delle Commissioni, avanti al Consiglio Superiore, organo costituzionalmente autonomo, ed attuando quella cc collaborazione di poteri desiderata dal Consiglio di Stato l dove essa appariva possibile, cio soltanto nella zona degli adempimenti amministrativi e contabili. 9) Da quanto precede risulta la fondamentale esattezza della sentenza delle Sezioni Unite del 1917, e l'attualit di questa pur nel vigente Ordi namento costituzionale. Il Consiglio di Stato rileva un'incompatibilit tra l'insegnamento della Corte Regolatrice e l'ar ticolo 113 della Costituzione. E non dato com prendere se questa incompatibilit sia fatta discen dere dalla teoria della giurisdizione sull'atto cc og gettivamente n amministrativo, o da un supposto divieto al ricorso giurisdizionale, posto dall'Ordi namento giudiziario allora vigente. Ora, come risulta dalle pagine che precedono, per quanto attiene al primo punto nulla mutato nell'area della giurisdizione del Consiglio di Stato: nel 1917, cos come ora, occorreva l'atto dell'au torit amministrativa perch il S.C . .A. potesse affermare la propria giurisdizione. Non si vede -pertanto -dove (data la lettera e lo spirito del citato art. 113) le decisioni in esame abbiano potuto ravvisare l'elemento nuovo, idoneo a determinare un diverso orientamento. Per quanto attiene al secondo punto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione non pensarono neppur lontanamente all'esistenza di un divieto cc esterno ad adire l'Organo .giurisdizionale (di modo che, caduto questo divieto, debba dirsi che la giurisdizione del Consiglio di Stato pu ora liberamente espandersi). Un divieto di questo genere non stava scritto in nessuna legge, n era desumibile dal sistema . vero, invece, che le Sezioni Unite ebbero ben presente il principio della divisione dei poteri (oggi, se mai, manifestato in forma pi categorica che nel 1917), che da questo principio trassero la conseguenza dell'autonomia (e dell'autogoverno) dell'Ordine giudiziario, che videro giustamente nel Consiglio Superiore un Organo non della pubblica .Amministrazione, ma del Potere giudiziario, ed infine che ritennero attivit del potere giudiziario oltre quella finale (l'esercizio della funzione giurisdizionale) anche quella strumentale (il governo della Magistratura). Da qui, la conseguenza del difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato sull'operato del Consiglio Superiore della Magistratura, e ci pur nell'ipotesi che tale operato fosse portato a concreta attuazione per via di atti dell'esecutivo. E vale la pena, in chiusura di questo forse troppo lungo discorso, ricordare che la Suprema Corte (sentenza citata, Foro Italiano, 1917, I, 552) cc considerato che il ricorso debba essere accolto per ragioni intuitive, che conviene deplorare siano sfuggite alla considerazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, la quale bene avrebbe provveduto col riconoscere e dichiarare la propria incompetenza anche di ufficio, dando lodevole esempio di rispetto ai confini del proprio potere giurisdizionale >> osservava che ragionandosi diversamente cc si dileguerebbe la guarentigia data alla Magistratura per sottrarla efficacemente,.. all'arbitrio dell'Amministrazione. Imperocch ... potendo essere esercitato il sindacato di legittimit anche per il titolo dell'eccesso di potere, che nel giudizio sull'atto amministrativo autorizza all'esame del fatto e del merito, si aprirebbero agevolmente le porte alla revisione e modificazione dei giudizi del Consiglio Superiore della Magistratura da parte della IV Sezione . FRANCESCO .AGR A VVOOATO DELLO STATO NOTE DI DOTTRINA ANDRIOLI: Motivazione e dispositivo nelle sentenze della Corte Costituzionale (in << Riv. Trim. Dir. e Proc. Civile, 1962, 2, p. 529). Attraverso un'acuta disamina dei vari testi legislativi, che dispongono relativamente alla questione di costituzionalit, alla dichiarazione di illegittimit ed all'effetto della inapplicabilit (articoli 134 e 136 Cost., artt. 23, 27, 28 e 30 legge 11 marzo 1953, n. 87), l'.A. perviene alla conclusione che il legislatore, costituzionale e ordinario, usando come sinonimi le espressioni legge (e atto avente forza di legge), norma di legge e disposizioni di legge, considerato unico l'oggetto della triplice sequenza, non precisando, per, s'esso sia il testo o la norma. Il giudizio di costituzionalit, secondo l'.A., consiste nel raffronto fra due norme, costituzionale l'una, ordinaria l'altra, che necessario ridurre ad entit commensurabili, operando sui due elementi, che compongono la proposizione normativa: la fattispecie e l'effetto. Precisa, inoltre, l'.A. che la proposizione normativa pu derivare da uno o pi testi, univoci o equivoci, onde il grave problema se la incompatibilit con la Costituzione di una proposizione normativa tratta da testo equivoco o da pi testi travolga o meno i testi stessi. L'.A. procede, poi, all'indagine volta ad accer tare se l'interpretazione del testo ordinario e la conseguente scelta della propos1z10ne normativa si svolga in sede di giudizio di rilevanza, riservato al giudice a quo, o anche in sede di giudizio di manifesta infondatezza, di cui non precluso alla Corte il riesame e conclude per l'unitariet dell'operazione di raffronto, su cui incide il giudizio di manifesta infonda_tezza, come quello d rilevanza. Conseguenza di tutto ci che la Corte svolge l'operazione di raffronto senza limiti, scegliendo liberamente l'interpretazione del testo e combinando nel modo, che ritiene pi opportuno, i testi indicati nell'ordinanza di rinvio o nel ricorso al :fine di determinare la proposizione normativa ordinaria, che sottopone al giudizio di compatibilit con la proposizione normativa costituzionale. L'.A. conclude questa disamina identificando nel o nei testi (da cui si trae proposizione normativa) l'oggetto della triplice sequenza: questione e dichiarazione d'illegittimit, pronuncia d'inapplicabilit. Il risultato dell'indagine, come sempre acuta, ci sembra da condividere anche perch soddisfa l'esigenza, innegabile, della certezza del diritto, che, a nostro avviso, verrebbe meno se oggetto della triplice sequenza fosse la proposizione normativa tratta da uno o pi testi, univoci o equivoci, che rimarrebbero in vita pur sempre anche se svuotati di contenuto a seguito di una o pi pronuncie d'inapplicabilit. G. G. .RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE COSTITUZIONE -Giurisdizioni speciali -Soppressione -Esclusione -Obbligo di revisione. (Corte Cost. 22 novembre 1962, n. 92-Pres.: Ambrosini; Rel.: Branca; Quaranta Giuliano -Caradente Giarrmio Giuseppe -Presidente del Consiglio). La Costituzione non ha voluto sopprimere le giurisdizioni speciali preesistenti; ma ha voluto sottoporle a revisione, la quale, comportando una scelta delicata fra la soppressione pura e semplice e la trasformazione, stata affidata esclusivamente al Parlamento. Trascriviam'J la motivazione della sentenza. La difesa del Oaradente Giarruso denuncia la illegittimit costituzionale delle norme citate (articoli 82, 83 e 84 Testo unico 16 maggio 1960, n. 570) perch la giurisdizione dei Oonsigli comunali, essendo stata disciplinata da leggi posteriori alla Costituzione, non potrebbe considerarsi come una di quelle giurisdizioni preesistenti, che la disp. VI ha temporaneamente salvato. La questione sotto tale aspetto stata gi decisa sia nella sentenza n. 42 del 1961 sia nell'ordinanza n. 11 del 1962, con cui la Corte ha stabilito che le norme impugnate e quelle analoghe, contenute nella legge n. 136 del 1956, hanno sostanzialmente riprodotto le disposizioni anteriori alla Costituzione; ma in questa causa vengono addotte nuove ragioni di incostituzionalit, sulle quali occorre pronunciarsi. Secondo il Caradente Giarruso, la legge n. 136 del 1956, di cui le norme impugnate sono una riproduzione letterale, non si sarebbe limitata a ripetere la legislazione precedente; ma avrebbe modificato in parte la disciplina relativa alla giurisdizione dei Consigli comunali: cio avrebbe introdotto norme nuove, come l'obbligo dei Consigli comunali di decidere entro due mesi, l'impugnabilit, presso lo stesso Consiglio comunale, delle decisioni adottate dal Consiglio in sede amministrativa, la natura giurisdizionale del ricorso alla G.P.A. Questa affermazione non esatta: il semplice confronto degli artt. 53 e segg. del D.L.Lgt. n. 1 del 1946 con le norme impugnate (e con l'art. 43 della legge n. 136 del 1956) mostra subito che le pretese innovazioni non sussistono: l'obbligo di decidere entro due mesi e l'impugnabilit delle deliberazioni emesse in sede amministrativa erano previsti anche dal D.L.Lgt. del 1946 (art. 54 quarto comma, art. 55 terzo comma), mentre il carattere giurisdizionale del procedimento che si svolge dinanzi alla G.P.A., bench non dichia rato, era implicito nello stesso D.L.Lgt.; dimodo ch le leggi posteriori alla Costituzione si sono limitate, rispetto a quelle anteriori, a mutamenti che non vanno oltre la formulazione degli articoli. Se non ci sono state sostanziali innovazioni, da escludere che possa considerarsi violato il 2a comma dell'art. 102, una norma che vieta sol tanto l'introduzione di altre giurisdizioni speciali: non un'altra giurisdizione quella che le leggi posteriori alla Costituzione hanno mantenuto tale quale era prima e quale sarebbe stata senza di esse. Si denunciato il fatto che quelle leggi sono successive alla Costituzione, cio sono state emanate nel tempo in cui ogni giurisdizione speciale doveva essere sottoposta a revisione dal Parlamento (disp. VI): poich non hanno adempiuto a questo obbligo, esse sarebbero costituzionalmente illegittime; ma neanche questo, a parere della Corte, un motivo di incostituzionalit. Dalla disposizione VI si ricava anzi che l'Assemblea Costituente non ha voluto sopprimere le giurisdizioni speciali preesistenti ma sottoporle a revisione; che la revisione, comportando una scelta .delicata fra la soppressione pura e semplice e la trasformazione, stata affidata esclusivamente al Parlamento; che, come si stabilito in una precedente sentenza, il quinquennio, entro cui questa scelta doveva essere attuata, non un termine perentorio; che perci la mancata revisione d'una giurisdizione speciale ad opera d'una legge recente, non materia di giudizio di legittimit costitu zionale. Posto ci, quelle, tra le ulteriori denuncie, che riguardano la natura, la formazione e la composi zione del collegio giudicante, si rivelano subito infondate. Infatti, che i Consigli comunali, pur giudicando in nome del popolo ed in ci facendo parte della organizzazione unitaria dello Stato, non siano organi statali in senso stretto, si potrebbe anche ammettere; ma si tratterebbe a ogni modo di .una semplice anomalia connessa con la specialit della - giurisdizione e perci non contrastante con norme costituzionali (art. 102), che si riferiscono sol tanto alla magistratura ordinaria e alle sezioni specializzate. -134 .Analogo discorso vale per l'altro rilievo secondo cui i giudici collegiali, a norma della Oostituzione, dovrebbero essere sempre collegi perfetti, tali che non possano pronunciarsi senza la partecipazione di tutti i propri componenti. Effettivamente, che i collegi giudicanti siano collegi perfetti si ricava dalle norme dell'ordinamento giudiziario al quale rinvia il citato 1 comma dell'art. 102; ma queste norme non si estendono ai vecchi collegi competenti in materia di giurisdizione speciale. .Altrettanto si dica di quella denuncia con cui si afferma che, secondo la Oostituzione, una parte dei componenti d'ogni collegio giudicante devono essere giudici ordinari. Ci vero tutt'al pi per le sezioni specializzate di vecchia e nuova istituzione; ma non per le preesistenti giurisdizioni speciali, fra le cui caratteristiche c' proprio quella di una particolare composizione del collegio. Oon questo non si vuol dire che le vecchie giurisdizioni speciali, appunto perch coperte dalla disposizione VI, sfuggano a qualunque giudizio di costituzionalit. La Corte ritiene invece che anche presso gli organi di giurisdizione speciale debbano essere garantiti sia il diritto di difesa sia l'indipendenza e la imparzialit del giudicante; indipendenza e imparzialit, che, prima ancora d'essere scritte in disposizioni particolari della Oostituzione, come l'art. 108, riposano nel complesso delle norme costituzionali relative alla magistratura e al diritto di difesa. Perci le denuncie avanzate in proposito dal Oaradente Giarruso meritano la pi attenta considerazione. Questi afferma innanzi .:tutto che il diritto di difesa sarebbe compromesso in un giudizio, come quello dei Oonsigli comunali, a cui partecipano anche i consiglieri che non conoscono le argomentazioni delle parti. Ma la censura, in concreto, non ha fondamento: nel contenzioso elettorale le argomentazioni delle parti sono avanzate soltanto col ricorso e colle controdeduzioni che qualunque interessato pu presentare prima della seduta consiliare; dimodoch tutti i consiglieri, anche quelli che sopraggiungano al momento della votazione, possono essere al corrente delle ragioni delle parti, consacrate negli scritti difrnsivi, e sono in grado di decidere. Resta un'ultima censura, piuttosto accennata che svolta: la deliberazione di rinvio, col richiamo agli artt. 104 e 130 della Oostituzione, e le deduzioni del Oaradente Giarruso negano che i Oonsigli comunali siano giudici indipendenti e imparziali. Ma neanche questa cemura pu essere accolta, bench la Corte non ne dissimuli il. peso. In verit, se si allude all'indipendenza dell'organo giudicante da altri organi o poteri, pu rispondersi che il controllo a cui sottoposta la attivit amministrativa dei Consigli comunali non implica n rapporto gerarchico n soggezione formale o sostanziale. Sotto questo aspetto il libero esercizio della potest giurisdizionale sembra garantito proprio da quell'autonomia comunale, in cui sono confluite antiche tradizioni cittadine e moderne concezioni sull'investitura popolare. Se ci si riferisce all'indipendenza del giudice dagli interessi dedotti nel giudizio ( c.d. imparzia lit), a prima vista pu sembrare che il Oonsiglio comunale sia un collegio giudicante composto dagli stessi interessati (consiglieri la cui elezione contestata), 0io un vero e proprio giudice in caurn propria. Ma a ben guardare la situazione sostanzialmente diverrn. Innanzi tutto si deve tener conto del fatto che, quando sia contestata l'elezione di un singolo consigliere, egli non pu partecipare alla deciEione (art. 275 legge comunale e provinciale). Inoltre, a rigore, neanche quando si contesti la nomina di tutti i componenti d'una lista o genericamente il risultato delle operazioni elettorali si pu dire che il Oonsiglio comunale sia un giudice in cama propria: infatti, pi che giudicare d'un suo interesse in contrasto con quello dell'eventuale ricorrente, esso giudica della legittimit della propria composizione; il che ha sempre fatto e pu fare in quanto un collegio dotato di quella particolare autonomia che gli deriva, tradizionalmente, dal voto cittadino: ci che da una precedente sentenza della Corte .stato gi rilevato (sentenza n. 42 del 1961) . La sentenza, che si annota e nella q_'uale ancora una tolta riaffermato il principio, gi enunciato nella sentenza n. 41 del 1957 sulla sopravvivenza delle giurisdizioni speciali, c'induce a questo breve excursus sugli orientamenti dtlla dottrina e della giurisprudenza in merito alla questione, divenuta nuovamente attuale in relazione al noto progetto di riforma del contenzioso tributario. La dottrina si ampiamente occupata, fin dalla entrata in vigore della Costituzione repubblicana, dell'argomento, che, peraltro, aveva gi formato oggetto di vivaci discussioni alla Costit'l,f,ente (vedasi in proposito .ANDRIOLI: Le giurisdizioni speciali nella Costituzione della Repubblica, in lJir. Giur., 1956, p. 117). Il MoRTATI (Il ricorso in Cassazione contro le decisioni dei giudici speciali, in Giur. Gass. Civ. , 1949, I, 232), confermando l'avviso espresso alla Assemblea costituente, era per la perentoriet del termine di cinque anni previsto dalla VI disposizione transitoria e per la categoricit del divieto posto dall'art. 102, con la conseguenza di degradare il secondo comma dell'art. 113 Cost. a norma transitoria. Questi concetti erano ribaditi dall' .AzzARITI (Pro blemi attuali di diritto costituzionale, Milano, 1951, 236) e dal LESSONA (Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da Calamandrei e Levi, Firenze, 1950, I, 206-11), il quale, a sua volta, restringeva la portata dell'art. 103 u.p. Cost. agli organi periferici correlativi al Consiglio di Stato (e alla Corte dei Conti, cio, alle Giunte provinciali amministrative ed ai Consigli di Prefettura). In senso contrario si pronunziava il GUARINO (Contenzioso tributario e giurisdizioni speciali in Foro it. , 1954, III, pag. 114)', il quale, dopo aver confutato la tesi della soppressione, -limitava il divieto dell'art. 102 Cost. ale giurisdizioni speciali in materia civile e penale, escludendo quelle in materia amministrativa (e tributaria), espressamente previste dagli artt. 103, 108 e 111 Cost. -135 Il BASILE (Sulla permanenza delle giurisdizioni speciali in nota alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 17 febbraio 1954, in Riv. dir. proc., 1954, II, 81), dopo aver premesso che l'intenzione manifestata dai costituenti o da alcuni di essi poteva avere un valore interpretativo solo nella ipotesi, in cui la proposizione normativa non potesse trarsi con certezza dal combinato disposto dagli artt. 102, 103, 111 e VI transitoria della Costituzione, esprimeva l'avviso che l'art. 102 guardasse all'avvenire e nulla disponesse per le giurisdizioni speciali esistenti. Queste, peraltro, -avvertiva il predetto autore sono espressamente previste dall'art. 103 Cost., che affianca al Consiglio di Stato altri organi di giustizia amministrativa, e dal successivo art. 111, il quale prevede il ricorso per Cassazione contro le sentenze degli organi di giurisdizione speciale diversi da quelli enunciati nell'ultima parte del secondo e nel terzo comma (Tribunali militari, Consiglio di Stato e Corte dei conti). In base ad analoghe argomentazioni il SANDULLI (Sulla sopravvivenza delle giurisdizioni speciali al termine fissato per la loro revisione in Giur. Cost. , 1956, 965) escludeva che l'art. 102 Cost., essendosi espressamente limitato a vietare la istituzione (futura) di (nuove) giurisdizioni speciali, avesse soppresso o disposto la soppressione di quelle esistenti. D'altra parte, affermava il citato autore, la VI disposizione transitoria prevede la revisione delle giurisdizioni speciali esistenti, non la loro trasformazione in sezioni speciali, e il concetto di revisione non implica, almeno necessariamente, n la soppressione, n la trasformazione; la revisione deve tendere solo ad assicurare, in conformit di altri precetti costituzionali, l'indipendenza dei giudici speciali, l'obiettivit e la motivazione della sentenza, il diritto di difesa (artt. 108, 111 e 24 Cost.). L'ANDRIOLI (Le giurisdizioni speciali nella Oostituzione della Repubblica in Dir. Giur. , 1956, p. 117) dopo aver premesso, anche alla stregua della Relazione del Guardasigilli, che il principio della unit della giurisdizione aveva gi dominato il vigente codice di rito, ma non era e non poteva essere ritenuto un feticcio, a cui sacrificare ogni concreto interesse generale, riconosceva che il divieto di costituire giurisdizioni speciali, contenuto nell'art. 108 Cost., assoluto, nel senso che si riferisce ad ogni materia (civile, penale, amministrativa); ma rivolto all'avvenire. L'art. 102, secondo il citato Autore, non riguarda in alcun modo le giurisdizioni speciali esistenti, rispetto alle quali data al legislatore .. ordinario una triplice alternativa; sopprimerle, trasformarle in sezioni specializzate, sottoporle a revisione, cio, conservarle adeguandole ai precetti costituzionali sulla motivazione e la indipendenza dei. giudici. Questo era lo stato della dottrina, quando interveniva la sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 1957. In essa la Corte, dopo aver richiamato la sua precedente sentenza n. 12 del 1957 sul carattere giurisdizionale delle Commissioni Tributarie, escludeva la perentoriet del termine di cinque anni, fissato dalla V I disposizione transitoria per la revisione delle giurisdizioni speciali esistenti all'atto dell'entrata in vigore della Costituzione, e, conseguentemente, affermava che queste continuano legitmamente a funzionare nella pienezza dei loro poteri e secondo le norme istitutive. Merita, a nostro avviso, particolare considerazione e induce a meditare, per, la premessa,. di carattere generale, che, in questa sentenza, la Corte ritenne di dover fare. Dall'art. 102 Cost., si legge nella citata sentenza, si trae il principio direttivo della unit della giurisdizione, che avrebbe portato alla soppressione e con effetto immediato delle giurisdizioni speciali esistenti se non fosse stato espressamente precisato che non alla automatica soppressione doveva pervenirsi, sibbene alla loro revisione ad opera del legislatore ordinario . La volont di procedere alla revisione e no'fl, alla soppressione, secondo la citata sentenza, si ricava anche e chiaramente dagli artt. 103 e 111 Cost., nei quali si fa espresso riferimento a giurisdizioni speciali diverse dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, ed ancor pi espressamente dalla VI disposizione transitoria. Da queste norme -concludeva su questo punto la sentenza -risulta per un verso la sopravvivenza delle giurisdizioni speciali all'entrata in vigore della Costituzione; per altro verso, l'obbligo del Parlamento di provvedere in conformit dei principi costituzionali innanzi ricordati .... . Con numerose altre sentenze ed ordinanze la Corte confermava la legittimit del funzionamento delle varie giurisdizioni speciali esistenti all'atto della entrata in vigore della Costituzione (sentenza n. 41 del 1960 sulla giurisdizione penale, attribuita dall'art. 1238 Cod. Nav. al Capitano di porto; sentenze nn. 42, 43 e 44 del 1961 e Ordinanze nn. 11, 42 e 44 del 1962 sulla giurisdizione, attribuita dagli artt. 82 e 83 T. U. 18 maggio 1950, n. 570 ai Consigli comunali e provinciali in materia elettorale). Di queste merita una menzione particolare la sentenza n. 42 del 1961, nella quale la Corte, espressamente richiamandosi alla precedente sentenza n. 41 del 1957, ha ribadito il concetto, secondo il quale la nuova Costituzione non ha automaticamente soppresso le giurisdizioni speciali, gi esistenti; ma ne ha disposto solo la revisione. In questa sentenza, peraltro, affermato anche un altro principio, di particolare importanza, e che non pu essere trasciirato in sede di revisione. Si discuteva di Commissioni Comunali per i tributi locali e ne era stata eccepita l'incostituzionalit anche sotto il profilo che esse erano organi comunali, non dello Stato; la Corte respinse questo profilo, affermando che le disposizioni degli artt. 278-282 T. U. 14 settembre 1931, n. 1175, che riguardano la istituzione, il funzionamento e la nomina dei componenti delle commissioni e il contenzioso dei Tributi locali -anche ad ammettere la natura di organo comunale delle commissioni e il carattere giurisdizionale delle funzioni ad esse attribuite -non contrastano con il principio posto dall'art. 101 Gost., per cui rientra nella competenza dello Stato l'organizzazione ed il funzionamento degli organi giurisdizional~, _essendo consentito allo Stato di attribuire con proprie leggi la funzione giurisd1zionale ad organi appartenenti ad enti diversi dello Stato, i quali, in quanto esercitano le funzioni stesse e limitatamente all'eserc -136 zio di esse, vengono a inserrirsi nell'organizzazione unitaria dello Stato. Un accenno alla interpretazione gi data dello art. 102 Oost. contenuto anche nell'ordinanza n. 44 del 1961, ove si legge che la Oostituzione non ha soppresso il sistema del contenzioso elettorale, preesistente, ma di esso ha soltanto disposto la revisione. D'altra parte la O orte, nella richiamata sentenza n. 42 del 1961, pur senza decidere la questione se le funzioni attribuite al Parlamento dall'art. 66 Oost. fossero di natura giurisdizionale, non aveva trascurato di considerare questa disposizione costituzionale quale espressione del principio di conservazione della tradizionale potest attribuita agli organi elettivi per la verifica dei poteri dei propri componenti (sul carattere giurisdizionale di tale funzione vedasi, in senso dubitativo, l'Elia, in nota a questa sentenza). Recentemente la questione stata ripresa dal POTOTSCHNIG (Pronuncie elettorali del Consiglio comunale e funzione giurisdizionale, in Giur. Oost. , 1961, p. 1161). L'autore, che pur riconosce il carattere giurisdizionale della funzione di verifica dei poteri, attribuita dall'art. 66 Oost. al Parlamento, dall'art. 3 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n'. 1 alla Oorte e, sia pure con qualche perplessit, dall'art. 29 legge 24 marzo 1958, n. 195 al Oonsiglio Superiore della magistratura, esita a riconoscere, pur dando atto della ormai consolidata giurisprudenza contraria, tale carattere, alle funzioni attribuite ai Oonsigli, comunali e provinciali, in materia di contenzioso elettorale. Egli, comunque, postulata la natura giurisdizionale della funzione, accenna alla incompatibilit del procedimento con le norme della Oostituzione, particolarmente con l'art. 111 Oost., che impone la motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, e con l'art. 25 Oost., in relazione all'effetto avocatorio prodotto dall'istanza degli interessati alla G.P.A. ove il Oonsiglio non abbia deciso in via definitiva sul ricorso nei due mesi dalla sua notificazione. Sopratutto l'A., facendo leva sul fatto che la legge 23 marzo 1956, n. 136, pur riproducendo sostanzialmente norme anteriori alla Oostituzione, e deve ritenersi legge nuova, ne ravvisa il contrasto con la VI disposizione transitoria della Oostituzione. Anche ammettendo che l'art. 102 Oost. vieti la istituzione di giudici speciali nuovi e diversi da quelli preesistenti, l'A. esclude che il Pa1lamento possa legiferare in materia senza effettuare quella revisione, nel senso voluto dalla Oostituzione, che gli imposta dalla VI disposizione transitoria. Questa revisione, secondo l'A. non potrebbe consistere solo in riforme processuali (contraddittorio, motivazione della decisione, assistenza del difensore), ma si ridurrebbe a questa alternativa; soppressione o trasformazione in giurisdizioni speciali. E a questo punto che interviene la sentenza annotata, nella quale la Oorte riaffr,rma la sua ormai consolidata interpretazione dell'art. 102, in relazione ai successivi artt. 108 e 111 ed alla VI disposizione transitoria della Oostituzione, nel senso, cio, che questa non abbia soppresso il preesistente sistema del contenzioso elettorale, ma ne abbia solo disposto la revisione per adegua1'l,o ai prinrma di requisizione, definita atipica , in virt della quale la propriet dei beni della sua azienda sarebbe passato all'Amministrazione militare mentre egli ne avrebbe conservato il possesso. Ma ci non conforme ai principi giuridici in quanto la requisizione importa il trasferimento della disponibilit del bene e quindi del possesso di questo; n appare conforme alla logica poich l'Amministrazione Militare, per realizzare i propri fini, non avrebbe avuto necessit di ricorrere ad un cos anomalo sistema, essendole pi che sufficiente la requisizione in uso -che lo stesso ricorrente esclude -e che, per altro, neppure avrebbe potuto essere posto a fondamento della domanda dato che, per l'art. 73 della legge sulla requisizione n. 1741 del 1940, l'indennit per la perdita della cosa requisita in uso spetta soltanto Ee il perimento collegabile con nesso di causalit all'uso della cosa stessa o a compo:t'tamento colpevole della P.A. E nella specie il perimento-Bi verific per evento di guerra. Da ci la necessit, per il ricorrente, di sottrarsi all'applicazione del principio res perit domino allegando la requisizione in propriet. Ma, per potersi n " n " -139 ritenere quanto egli sostiene, occorrerebbe ammettere che il Bianchi gestisse l'impresa per conto della P.A., perch soltanto in tale ipotesi si potrebbe giustificare la permanenza della disponibilit dei beni nonostante la perdita della propriet. Senonch, come si rilevato, gli accertamenti di fatto della Oorte di merito -insindacabili in questa sede -lo escludono. N dalle circostanze che l'ordine dal quale sarebbe derivata la requisizione imponeva di tenere a disposizione dell'Autorit Militare i cantieri per l'esecuzione di opere diverse, con l'obbligo di non alienare le attrezzature, e che i lavori venivano richiesti con ordini particolari impartiti di volta in volta, deriva la conseguenza -esattamente esclusa dalla Oorte di merito -che la propriet delle attrezzature fosse passata alla P.A. Trattasi, invero, di situazioni di per s non idonee a produrre tale effetto giuridico; come inidonea allo stesso fine l'altra circostanza (pure dedotta con il ricorso) che delle cennate attrezzature fosse stato redatto un inventario, perch questo atto non basta a concretare un'apprensione (tanto meno un trasferimento di diritti) ben potendo essere disposto al mero scopo d'impedire alterazioni o dispersioni di beni senza ottenerne la titolarit giuridica, ed anzi proprio nel presupposto che le cose inventariate rimangano al loro proprietario. Non risulta in contrasto con alcuna norma di diritto n con alcun criterio di logica la (motivata) affermazione della Oorte secondo la quale -rimasto in realt ineseguito l'ordine verbale, che, sostanzialmente preannunziava le requisizioni -il Bianchi continu a concludere con la A.M. contratti di appalto, sia pure nella condizione di mobilitato civile. La deduzione del ricorrente secondo la quale la Oorte di merito avrebbe ravvisato un consenso del Bianchi l dove non vi poteva essere perch i lavori da eseguire gli venivano prescritti dalla Amministrazione Militare con atti imperativi contenenti fra l'altro, l'ammonizione che si poteva incorrere in sanzioni per inadempimento ai doveri di mobilitazione; come l'altra deduzione secondo la quale la stessa Oorte avrebbe errato nel ritenere che l'organizzazione dei mezzi necessari non fosse stato assunto dalla medesima Autorit, non soltanto si infrangono di fronte al contrario avviso espresso dalla ripetuta Oorte in base a diversa valutazione delle risultanze processuali, ma risultano addi;rittura irrilevanti. La mobilitazione civile, disposta dal Governa tore della Libia per tutte le aziende esistenti nel territorio con provvedimento dell'aprile 1941 al quale la Oorte di merito si riferita non va con fusa con la requisizione, sostenuta dal ricorrente, n pu ritenersi in contrasto con la stipulazione di contratti di appalto fra i titolari delle aziendp militari e l'Amministrazione Militare. Dalla mobilitazione civile di un'azienda per scopi di guerra deriva, uno status soggettivo per il titolare implicante l'obbligo di prestare l'attivit spiegata dall'azienda stessa secondo le diret 4 tive dell'Amministrazione Militare, il che legittima, quindi l'iniziativa e gli ordini dell'Autorit militare per tutto quanto attinente alla qualit, tempo, luogo e requisiti specifici delle opere richieste. Deriva, altres, un certo vincolo relativamente ai beni costituenti l'azienda, D:l senso che gli stessi debbano essere utilizzati unicamente per la produzione di opere pertinenti alla guerra o comunque discrezionalmente ritenute tali dalla Autorit competente. Ma n dall'una n dall'altra situazione giuridica consegue la giuridica impossibilit di rapporti contrattuali fra l'Amministrazione Militare e il titolare dell'azienda inquadrabili nello schema dell'appalto entro i limiti imposti dalle :finalit di interesse generale e contingente perseguiti dalla Amministrazione, come non ne consegue -il che decisivo ai fini diquesta causa -l'apprensione delle attrezzature dell'azienda e il passaggio di esse in propriet dell'Amministrazione. Non giova rilevare in contrario che tiella specie difettasse la possibilit di una libera contrattazione anche in relazione al compenso, poich anche ci pu incidere sul particolare regolamento giuridico dei singoli rapporti in concreto posti iil essere ed eseguiti ma non vale ad escluderne la sostanziale natura di contratti e tanto meno a trasformarli in requisizione di beni. L'ordinamento giuridico ha previsto lo stato di cose prospettato dal ricorrente e lo ha previsto nel senso di non escludere la natura contrattuale dei rapporti instaurati fra la P.A. e il privato, per l'esigenza di provvedere a necessit belliche immediate ed indifferibili, come risulta dalla considerazione che l'art. 4 del R.D.L. 25 marzo 1948, n. 674 definisce contratti di guerra non solo i contratti stipulati ed approvato o soltanto stipulati, ma anche gli impegni sommari, le ordinazioni, i provvedimenti di autorit e simili; comunque attinenti alle forniture, opere, lavori e prestazioni preordinati alla preparazione e alla condotta della guerra, ferme restando le disposizioni di legge sulle requisizioni. In tale disposizione, generica ed esemplificativa rientrano le varie situazioni nelle quali, per ragioni belliche contingenti, sono instaurati rapporti giu ridici tra l'Amministrazione Militare e privati per la prestazione di opere, lavori-, beni o servizi comunque attinenti alla preparazione e condotta della guerra, con espressa esclusione dei rapporti specificamente regolati dalle leggi sulle requisi zioni. connaturale alla prima specie dei cennati rapporti -come particolarmente si deduce dal riferimento ai provvedimenti di autorit e si mili nonch della considerazione della parti colare gravit ed importanza dell'interesse collet tivo tutelato e dello stato di necessit inerente alla guerra -che l'Amministrazione Militare sia in essi parte preminente e dotata di poteri impel'ativi per tutto quanto attiene alla.richiesta, esecuzione e retribuzione delle prestazioni. Oi importa bens una limitazione dell'autonomia contrattuale della parte privata, ma per volont del legislatore e non vale ad escludere -140 ia sostanziale natura di contratti nei rapporti ln discorso, i quali restano pur sempre inquadrati negli schemi del diritto privato e rimangono altres nettamente distinti dalle requisizioni, espressamente lasciate al regolamento delle leggi che le disciplinano. Pertanto, anche in virt della richiamata norma di legge, la requisizione pu essere ravvisata soltanto quando sussistono gli elementi tipici di essa, mentre le varie situazioni considerate fra le quali quella prospettata del ricorrente danno luogo a. contratti di guerra soggetti alle disposizioni del D.L. 25 marzo 1948, n. 674~ A questo propm;ito va considerato che la Corte di merito non ha mancato di rilevare che lo stesso ricorrente, prima d'instaurare il presente giudizio, si rivolse per l'appunto agli organi speciali istituiti con il sopra citato decreto per la sistemazione e liquidazione dei contratti di guerra e ne ottenne il pagamento residuo delle opere eseguite; in tal modo riconoscendo la natura contrattuale dei rapporti avuti con l'A.M., che oggi, contraddittoriamente, tenta di contestare. Non sussistono, quindi, ragioni apprezzabili per censurare l'accertamento della Corte secondo il quale l'asserita requisizione atipica non fu posta in essere e la propriet delle attrezzature rimase al Bianchi. N ha rilevanza la censura relativa all'interpretazione data dai giudici del merito ai poteri del1' Autorit Militare in base alla legge di guerra 8 luglio 1938, n. ,1415, (interpretazione secondo la quale l'Autorit suddetta non avrebbe neppure avuto la facolt di ordinare requisizioni) poich trattasi di un'argomentazione ad abundantium che la Corte ha creduto di addurre a conferma dello accertamento -fondato su molteplici altri elementi -che requisizione non vi fu. Non costituendo, pertanto, tale argomentazione la ratio decidendi della sentenza impugnata, non neppure il caso di occuparsene: solo opportuno osservare che l'invocata potest di bando conferita in tempo di guerra dagli artt. 17 e 18 del R.D. 8 luglio 1938, n. 1415 richiamati dal ricorrente -qual che ne sia la portata - per sua natura esercitabile in forma scritta e pubblica, si che non ravvisabile un bando di guerra nelle dichiarazioni verbali di un comandante militare (nella specie, per altro, del Governatore di una colonia) in un'adunanza privata. In dipendenza di quanto sin qui esposto, risulta infondato l'assunto che la Corte del merito abbia falsamente applicato la legge 27 dicembre 1953, n. 968. Esclusa la requisizione -ed essendo fuori contestazione che il perimento delle attrezzature si verif.c a causa dell'occupazione nemica, che costrinse il proprietario di esse ad abbandonarle, esattamente la Corte di merito ha ravvisato ai soli fini dell'indagine sulla giurisdizione -gli estremi del danno di guerra. A norma, infatti, degli art. 1, 3 lettera d e 4 della legge ora citata per l'appunto indennizzabile come danno di guerra la perdita di cose mobili o in11bili adibite all'esercizio di un'attivit professionale, commerciale o industriale, determinata da fatto delle forze nemiche che abbia costretto il privato proprietario ad abbandonarle ovvero a subirne l'asportazione o la distruzione. E da tali eventi, come altre volte questo Supremo Collegio ha avuto occasione di rilevaret non deriva per il privato uri. diritto soggettivo perfetto tutelabile davanti ad organi giurisdizionali ordinari o speciali, ma un interesse legittimo la cui tutela proponibile soltanto in sede amministrativa. (Cassazione 9 maggio 1955, n. 1320; 25 ottobre 1954, n. 4087). Con il terzo motivo denunciata l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine a punti decisivi della controversia. Con tale censura il ricorrente ha tentato d portare al riesame della Corte Suprema le risultanze processuali, il che gli inibito, e di prospettare come difetti di motivazione gli apprezzamenti di fatto delle Corte di merito non conformi alla tesi da lui sostenuta. La Corte ha esaminato, come emerge dalla. motivazione, tutta la documentazione prodotta, non esclusi gli ordini per l'esecuzione delle opere belliche commesse all'impresa Bianchi e per gli spostamenti della mano d'opera e delle attrezzature a secondo delle necessit della guerra~ e ne ha dato interpretazione nel senso che essi non escludevano la persistenza di contrattazioni private, non dimostravano l'allegata requisizione delle attrezzature e tanto meno l'asserito trasferimento della propriet di queste alla P.A. Valutazioni, queste, immuni da errori di logica o di diritto e solo difformi da quelle del ricorrente. Il quale, in sostanza, accusa la Corte di travisamento, di fatti senza avvertire che, ancorch sussistere, questo non sarebbe denunciabile in sede di legittimit. Il solo punto della censura in esame con il quale prospettato un errore giuridico quello che investe l'accertamento negativo della Corte di merito in ordine all'allegato status di militarizzazione. A questo riguardo i giudici del merito hanno espresso il convincimento che non sussistesse. alcuna prova attestante l'emissione di un provvedimento della competente Autorit idoneo a costituire lo status sopra cennato ed ha negato valore ad una certificazione del Ministero della difesa, rilasciata su domanda dell'interessato nel 1956, con la quale fu dichiarato che l'impresa Bianchi, durante l'ultimo conflitto, era stata militarizzata ai soli effetti penali e disciplinari. La Corte ha dichiarato di disapplicare tale certificazione, ma, in sostanza, l'ha disattesa. Di ci si duole specificamente il Bianchi, ma a torto poich lo stato di militarizzazione non pu sorgere a posteriori da atto meramente dichiarativo, ma occorre un provvedimento costitutivo emesso dall'Autorit competelit a norma delle leggi di guerra; sicch l'attestazione posfum-a .circa la sussistenza, in passato, delle militarizzazioni, senza alcuna indicazione del provvedimento costitutivo di essa, non costituisce prova legale -141 inoppugnabile ma una semplice affermazione di conoscenza o di opinione, liberamente valutabile dal giudice. Ci senza dire (e la Corte di merito non ha mancato di rilevarlo) che nelle specie, secondo lo stesso tenore del documento, la pretesa militarizzazione dell'azienda Bianchi, sarebbe stata limitata ai soli effetti penali e disciplinari . Il che -riferendosi alle persone e non alle cose -lascerebbe comunque impregiudicata ogni questione in ordine all'asserita requisizione in propriet dell'attrezzature dell'azienda suddetta. Il ricorso dev'essere, pertanto, rigettato. DOGANA -Presentazione della merce -Obbligo impo sto al Capitano -Modalit (art. 42 1.25 settembre 1940 n. 1424)-Infrazione -Contravvenzione (art. 130 stessa l.) -Operativit -Fideiussione prestata dal raccomandatario. RESPONSABILITA' CIVILE -Risarcimento danni patrimoniali derivanti dal reato -Condanna da parte del giudice civile. CORTE COSTITUZIONALE -Questione di costituzionalit -Rilevanza ai fini della decisione della causa -Preliminarit rispetto alla delibazione di infondatezza. APPELLO -Eccezioni non riproposte -Presunzione di rinunzia (art. 346 cpc.). (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 2025/62 -Pres.: Verz; Est.: Giannattasio; P.M. Colonnese '(conf.) -Soc. Cosulich c. Finanze). I) Il capitano della nave, che non provvede alla presentazione delle merci alla Dogana o non vi provvede con tutti gli adempimenti prescritti dall'art. 42 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, commette violazione della ricordata norma, passibile di sanzione ai sensi dell'art. 130 stessa legge -Per effetto di tale infrazione, spiega efficacia la fideiussione prestata dal raccomandatario della nave che approda in un porto della Repubblica (nella specie, Genova), con espressa rinuncia al beneficio d'escussione, per il pagamento delle multe, spese e diritti dovuti alla Finanza per le contravvenzioni ai regolamenti doganali, in cui sono incorsi i capitani de.i piroscafi da essi raccomandati. II) Il giudice civile, ove da un reato consegua un danno patrimoniale, pu condannare l'autore di questo al risarcimento, anche se si verificata l'estinzione, del reato. III) La questione di legittimit costituzionale in tanto pU, indurre il giudice a rimettere gli atti alla Corte Costituzionale e a sospendere il giudizio, in quanto si tratti di questione rilevante ai fini della risoluzione della causa nella quale la questione di legittimit costituzionale viene sollevata, e l'accertamento di tale rilevanza preliminare alla delibazione sulla manifesta o non manifesta infondatezza della questione stessa. IV) Se vero che non necessario proporre appello incidentale per la riproposizione delle domande e delle eccezioni, non accolte in primo grado, per la parte che non abbia interesse a proporre gravame per essere riuscita vittoriosa in causa per altra via, tale parte deve, tuttavia, sotto pena di incorrere nella presunzione di cui all'.art. 346 C. p. c., espressamente riproporre in appello le eccezioni medesime in modo chiaro e preciso. La sentenza cos motivata: Con il primo motivo la ricorrente denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 34, 42 e 130 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, dell'art. 139 Regolamento 13 febbraio 1896, n. 65 e degli artt. 1936 e segg. Codice civile, in relazione all'art. 360 n. 3 C.p.c., nonch il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su diverso punto decisivo della contraversia (art. 360 n. 5 C.p.c.) assume che nessun fatto contravvenzionale era imputabile al comandante e quindi la fideiussione non poteva essere utilmente invocata. .Al riguardo la ricorrente sostiene che: a) la Corte di merito, ritenendo che la violazione di legge commessa dal comandante consistesse nella mancata presentazione delle merci alla Dogana di arrivo, ha errato perch una tale violazione non stata mai prospettata dalla controparte, ma non mai esistita, perch si provvide immediatamente alla presentazione delle merci alla Dogana mediante esibizione del manifesto del carico, di copia di esso in italiano e della polizza di carico, tanto che gli inviti di pagamento e le ingiunzioni identificano la causa petendi nel mancato scarico del manifesto merci in arrivo; b) nella specie non ricorreva alcuna violazione dell'art. 42 comma 2 legge doganale, giacch la Dogana ha imputato al capitano soltanto di non aver curato l'appuramento del manifesto per determinate partite, n comunque ricorrevano le circostanze di fatto che presuppongono quella violazione; c) irrilevante il richiamo all'art. 34 legge doganale, perch la Corte non ha dimostrato se e quale norma di quella legge sia stata violata; d) la Corte di merito, ritenendo . che il fatto contravvenzionale consistesse nella violazione dell'art. 139, comma 50 Regolamento 13 febbraio 1896, n. 65 in relazione allo art. 130 comma 20 legge doganale, ha errato perch quest'ultima disposizione si riferisce soltanto alle norme del nuovo emanando regolamento e non anche alle norme di quello del 1896: comunque la contravvenzione non ricorrerebbe ugualmente perch il regolamento del 1896 non commina alcuna ammenda o pena pecuniaria a carico del comandante per il mancato appuramento del manifesto; e) anche ammessa la sussistenza del fatto contravvenzionale, questo non potrebbe essere imputato al comandante, poich sarebbe stato commesso dall'impresa di sbarco (vigendo nel porto di Genova lo sbarco di amministrazione), onde la fideiussione prestata dalla raccomandataria verso la Dogana non sarebbe operante-per-_ ch limitata ai reati commessi personalmente dal comandante. Tale motivo infondato. Invero, dopo aver dato la definizione della linea doganale (art. 1), -142 la legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 stabilisce all'art. 4 che il passaggio della linea doganale di merci soggette a diritti di confine fa sorgere a favore dello Stato il diritto all'imposta, e al successivo art. 5 aggiunge che al pagamento dell'imposta sono obbligati il proprietario della merce e tutti coloro per conto dei quali la merce stata importata o esportata. L'art. 16 0.p.v., poi, per consentire alla Dogana di realizzare il suo credito, senza procedere a ricerche dirette alla identificazione del titolare e senza essere costretta a subire la remora di contestazioni, considera proprietario della merce colui che la presenta in dogana o la detiene al momento del passaggio della linea doganale, salvo, in ogni caso, il diritto della Dogana di accertare ad ogni effetto di legge, chi abbia effettivamente la propriet della merce, oggetto delle operazioni doganali. L'art. 17 stabilisce quindi che ogni qualvolta sia prescritto al proprietario della merce di fare una dichiarazione o di compiere determinati atti, oppure di osservare speciali obbli.ghi o norme, il proprietario pu agire all'uopo a mezzo di rappresentante. Se queste sono le norme che valgono in generale, una disciplina particolare e pi semplice si ha allorquando le merci soggette a dogana formano oggetto di spedizione marittima. La situazione sostanzialmente pi semplice, perch la Dogana si trova di fronte ad un soggetto, al quale meglio che ad ogni altro si possono riferire gli adempimenti di cui si tratta, poich il capitano, oltre ad essere il r~ppresentante del vettore marittimo, il detentore del carico per conto degli aventi diritto (art. 295 secondo comma e 887 Ood. nav.). I capitani -nozione questa nella quale sono compresi tutti i conduttori di navi (art. 34 primo comma legge doganale), -ove queste sono dirette ad un porto dello Stato entro la zona di vigilanza, devono essere muniti del Manifesto del carico (art. 36) contenente, fra l'altro, le indicazioni della specie del carico, e, secondo i casi, della quantit in volume delle merci alla rinfusa, del numero, qualit e peso lordo dei colli, dei documenti che accompagnano le merci, dei nomi dei destinatari di ogni partita (art. 37). Il capitano che approda in qualunque porto della Repubblica deve inoltre presentare alla Dogana il Manifesto del carico con gli altri documenti del trasporto (art. 38); e, per lo sbarco e la presentazione delle merci alla Dogana deve esibire, insieme con il manifesto del carico, una copia di esso, compilata in lingua italiana sul modello stabilito dal Ministero delle Finanze, nonc)l. le polizze di carico e deve rendere conto, ad ogni richiesta della Dogana, delle merci iscritte a manifesto (art. 42). Il complesso di tutti gli adempimenti che incombono al capitano riassunto nell'art. 34 O.p.v. secondo cui i capitani sono responsabili della osservanza delle norme stabilite dalla legge doganale nei riguardi delle merci trasportate. Per l'inosservanza delle disposizioni citate e di altre contenute nella legge doganale il capitano passibile di sanzioni penali (articoli 117, 124, 130) e il pagamento delle multe e delle ammende non esime dall'obbligo del pagamento dei diritti doganali (art. 145). Precisato cos il sistema della legge doganale, nella parte che pi interessa l'attuale controversia, agevole la critica alle singole censure che vengono mosse alla denunciata sentenza. La mancata presentazione delle merci alla Dogana, nei modi prescritti dalla legge, (e che la Corte di merito ha insindacabilmente accertato, perch non presentazione delle merci l'iscrizione di queste nel manifesto d'arrivo e l'esibizione del solo manifesto) costituisce infrazione alla norma del ricordato art. 42 il quale, come si visto, pone proprio a carico del capitano lo sbarco e la presentazione delle merci alla Dogana. Anche se gli inviti e le ingiunzioni identificano la causa petendi nel mancato scarico (appuramento) del manifesto in arrivo, cio della mancata corresponsione del diritto doganale, poich l'appuramento del manifesto in realt non un atto del capitano o di un suo mandatario, o del vettore o dell'armatore, ma unicamente dell'Amministrazione doganale, il mancato appuramento non rappresenta altro che la sicura prova del mancato pagamento dei debiti doganali, cio la dimostrazione della mancata presentazione, da parte del capitano, delle merci alla dogana d'arrivo. ovvio che non debba trattarsi di una materiale presentazione del carico, ma poich la legge precisa le modalit di tale formale presentazione, esse non sono suscettibili di equipollenti ne possono essere compiute solo in parte. Non importa che al capitano non sia stata mossa direttamente alcuna contestazione, poich la raccomandataria a lui legata da un rapporto di solidariet passiva. La responsabilit personale dei raccomandatari delle navi -almeno nel porto di Genova -trae origine dall'atto di sottomissione rilasciato all'Amministrazione :finanziaria con il quale i raccomandatari hanno presentato fideiussione, con espressa rinuncia al beneficium excussionis, per il pagamento di tutte le multe, spese e diritti che fossero dovuti alla Finanza dello Stato a seguito delle contravvenzioni ai vigenti regolamenti doganali, in cui siano incorsi o potranno incorrere verso la Dogana i capitani e comandanti di piroscafi, di cui essi non sono raccomandatari. Non ha poi rilevanza alcuna eccepire che il capitano non sarebbe incorso in alcuna contravvenzione, perch aveva affidato le operazioni di presentazione e relativo appuramento del manifesto ad una impresa di sbarco, cos come si pratica nel porto di Genova, perch l'art. 34 fa risalire ogni responsabilit, accompagnata anche da sanzioni d'ordine penale (art. 130) per l'inosservanza delle norme stabilite dalla legge nei riguardi delle merci trasportate, sicch non basta demandare all'impresa di sbarco, nel quadro dell'intero ciclo delle operazioni ad essa assumesse dal vettore marittimo la presentazione delle merci, anche tale impresa, agendo come mandataria del vettore marittimo e quindi del capitano, non copre qust'ultimo dalla responsabilit per fattQ 9n-:_ travvenzione, dovendo sempre il capitano, come stato precisato, rendere conto, ad ogni richiesta della Dogana, delle merci iscritte a manifesto (art. 42) e rimanendo sempre responsabile della -143 osservanza di tali doveri fintantoch non risulti che le merci siano state prese in consegna dalla Dogana nei recinti o magazzini di temporanea custodia ecc. (art. 139 Reg. 13 febbraio 1896, n. 65). N, infine, vale sostenere l'inapplicabilit alla specie del secondo comma dell'art. 130 della legge doganale che stabilirebbe le sanzioni per le violazioni delle norme che saranno contenute in un regolamento ancora da emanare, perch la denunciata sentenza fa riferimento non gi al secondo, ma al primo comma dell'art. 130 che determina le sanzioni per qualsiasi violazione della legge doganale, per la quale non sia comminata una sanzione speciale. Oon il secondo motivo la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043 segg. O.e. e dell'art. 385 O.p., in relazione all'articolo 360 n. 3 O.p.c. assume che, essendosi prescritto il preteso reato, la Oorte di merito non poteva procedere all'accertamento del reato stesso, perch il giudice civile facoltizzato in via eccezionale a compiere tale accertamento esclusivamente nel caso che la parte lesa chieda il risarcimento di un danno non patrimoniale, e non anche nel caso che, come nella specie, si tratti di danno patrimoniale, nel qual caso il giudice civile ha semplicemente il potere-dovere di accertare la sussistenza dell'illecito civile e di stabilire le conseguenziali responsabilit. Tale censura fondata su di un palese equivoco, che prescinde dalla chiara disposizione dell'art. 198 O.p. secondo il quale l'estinzione del reato... non importa la estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si tratti delle obbligazioni indicate nei due articoli precedenti (che qui, peraltro, non interessano). Oi significa che il giudice civile, una volta che il danno patrimoniale discende da un reato (come nel caso di danno rappresentato dalla mancata riscossione del tributo) pu benissimo condannare l'autore del reato al risarcimento del danno patrimoniale, anche se si verificata l'estinzione del reato. La giurisprudenza invocata dalla ricorrente, secondo la quale al giudice civile, chiamato a conoscere delle conseguenze di un fatto illecito, consentito accertare preventivamente se il fatto medesimo costituisce reato, ai fini della condanna ai danni non patrimoniali, solo quando sia intervenuta una causa di estinzione del reato, esatta ma non riguarda il caso in esame, perch se vero che il giudice civile pu risarcire il danno non patrimoniale compiendo tale accertamento, non vero che l'autore del reato estinto o non, possa essere tenuto solo al risarcimento di danni non patrimoniali e non anche a quello dei danni patrimoniali. Oon il terzo motivo la ricorrente eccepisce in subordine l'illegittimit costituzionale dell'articolo 130 legge 25 settembre 1950, n. 1424, in relazione all'art. 23 della Oostituzione, assumendo che il comma 20 del citato art. 130 legge doganale, se avesse la portata indicata dalla Oorte di merito, sarebbe in contrasto con il citato art. 23 della carta costituzionale -il quale stabilisce la riserva di legge per tutte le prestazioni pecuniarie ed in particolare per quelle aventi natura di sanzione penale -perch, disponendo che, per violazione delle norme contenute nel regolamento per l'applicazione di questa legge pu essere comminata nel regolamento stesso la pena dell'ammenda da L. 20 a L. 1000 annette al potere esecutivo la determinzione dei presupposti della prestazione pecuniaria, i quali presupposti dovrebbero invece essere spedficati dal legi, slatore. La censura infondata perch gi stato dimostrato che la sentenza denunciata fa riferimento al primo e non al secondo comma dell'art. 130 della legge doganale, per cui la questione di costituzionalit sollevata, anche se fosse fondata sarebbe irrilevante. Infatti la questione di legittimit costituzionale, in quanto pu indurre il giudice a rimettere gli atti alla Oorte Oostituzionale e a sospendere il giudizio, in quanto si tratti di questione rilevante ai fini della risoluzione della causa nella quale la questione di legittimit costituzionale viene sollevata; e l'accertamento di tale rilevanza preliminare alla delibazione sulla manifesta o non manifesta infondatezza della questione stessa (Oassazione Sezioni Unite, 22 marzo 1962, n. 593). Con il quarto motivo la ricorrente -denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 27 legge 25 settembre 1940, n. 1424 e dello art. 2935 O.e., in relazione all'art. 360 n. 3 O.p.c. -assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Oorte di merito, nella specie si era gi verificata la prescrizione, perch: a) il termine quinquennale di prescrizione non ha iniziato a decorrere dal 12 marzo 1955, data della bolletta rilasciata al ricevitore, in quanto tale bolletta si riferisce soltanto a somme depositate a garanzia dei diritti gravanti sulla merce; b) poich la legge doganale non prevede espressamente l'ipotesi del mancato accertamento dei tributi, e poich vanno applicati i principi generali in tema di prescrizione ed in particolare il disposto dell'art. 2935 O.e., nella specie il termine di prescrizione ha cominciato a decorrere dal momento in cui le merci vennero sbarcate, se non addirittura dal momento in cui le merci passarono la linea doganale. Anche tale censura non ha fondamento. L'ecce zione di prescrizione non fu esaminata dal Tribu nale perch ritenuta assorbita, non fu riproposta in appello dalla raccomandataria, se non nella comparsa conclusionale, cio irritualmente. La Oorte d'Appello l'ha presa ugualmente in esame per respingerla, ma ci non doveva fare, perch se vero che non necessario proporre appello incidentale per la riproposizione delle domande e delle eccezioni non accolte in primo grado per la parte che non abbia interesse a proporre gra vame per essere riuscita vittoriosa in causaper altra via, tale parte deve tuttavia, sotto pena di incorrere nella presunzione di cui all'art. 346 O.p.c., espressamente riproporre in appello le eccezioni medesime in modo chiaro e preciso (Cassazione 14 febbraio 1959, n. 450). L'errore in cui incorsa la Oorte di merito nell'esaminare l'eccezione non riproposta privo dipratiche conseguenze, perch l'eccezione stata respinta; ma ove la Corte, fosse E* ::Wft filW': if E* ::Wft filW': if -144 giunta ad opposta conclusione ed avesse accolta l'eccezione, sarebbe incorsa nel vizio di extrapetizione, per violazione dei limiti fissati dall'articolo 112 C.p.c. (Cassazione 23 gennaio 1961, n. 100). A) Il CapUano della Nave, per le merci trasportate, concentra in s, a norma del codice della Navigazione (art. 295, 2 comma e 305 e 312) la duplice figura di rappresentante del vettore marittimo e di detentore del carico per conto dell'avente diritto. Nel sistema della legge doganale, pertanto, esso, quale titolare, atl' atto del passaggio della linea doganale, di un potere giuridico e fisico sulle merci trasportate, partecipa della categoria dei soggetti passivi dell'obbligazione tributaria nella nozione datane dal combinato disposto degli artt. 5 e 16 della legge 1424 del 1940. Da ci hanno origine gli adempimenti che, quali presupposti necessari per l'accertamento, la liquidazfone e la riscossione dei diritti doganali, la legge predetta impone, per le merci trasportate, al Capitano stesso sancendone, in via riassuntiva ed onnicomprensiva, la responsabilit personale, per il caso di inosservanza (articolo 34), in via penale (artt. 117, 124 e 130, primo comma) ed in via civile (art. 145). Di tali principi la sentenza annotata ha fatto buon uso in ordine all'istituto della presentazione delle merci alla dogana, traendone le dovute conseguenze. Dato, infatti, il ruolo svolto dalla presentazione delle merci nello accertamento e nella liquidazione dei diritti doganali e dato che la stessa si attua, nella disciplina legislativa, in maniera formale, attraverso l'esibizione di determinati documenti, la modalit prescritte (manifesto di carico che, prodotto in copia, per le merci di sbarco, diventa mani! esto delle merci arrivate e polizza di carico) non possono non essere di carattere tassativo, con conseguente obbligo per il Capitano di rendere conto delle merci iscritte a manifesto fino a quando le stesse non siano state prese in consegna materialmente dalla Dogana o non abbiano avuto ulteriore esito doganale (art. 42 della legge 1424 del 1940 e 139 ultimo comma del Regolamento approvato con decreto 13 febbraio 1896, n. 65). L'inosservanza di tali adempimenti ed obblighi, non comportando una sanzione particolare, rientra nella previsioni dell'art. 130 primo comma in relazione all'art. 34 e, dato il carattere contravvenzionale della stessa, porta con s la responsabilit personale del Capitano e con essa quella civile del raccomandatario che, per effetto di fideiussione prestata per il pagamento delle multe, spese e diritti, al primo legato da un rapporto di solidariet passiva. B) Le affermazioni contenute nella seconda e nella quarta massima costituiscono ius receptum. La causa estintiva toglie al fatto -reato l'efficienza giuridica penale, ma non quella civile che, per il preciso disposto dell'art. 198 del C.p., resta integra, salvo casi tassativi. Da ci la conseguenza che, avvenuta la estinzione del reato, il giudice civile abilitato, a norma del ricordato articolo, ad indagare se il fatto ascritto avrebbe avuto la natura di fatto -reato per dedurne l'obbligo al risarcimento d.ei danni siano essi patri moniali o non patrimoniali (cfr. Cassazione 2 mag gio 1939 in Giustizia penale, 1940, 11. 517). L'impugnazione della sentenza riservata alla parte che sia rimasta totalmente o parzialmente soccombente, ma, per il. rispetto d,el principio fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 del C.p.c.) la presunzione di rinuncia posta dall'art. 346 del C.p.c. per le eccezioni che, non accolte in primo grado e, riservate alla parte, nno sono state riproposte in appello, opera anche per la parte che, riuscita vittoriosa, all'impugnazione suddetta manca di interesse. (Cfr. Cassazione, 450 del 14 febbraio 1959; 2621 del 18 luglio 1958; 752 del 4 marzo ~957). O) Il carattere pregiudiziale che, nella delibazione riservata al giudice a quo, ai fini della introduzione del giudizio di legittimit costituzionale in via incidentale, riveste l'esame della rilevanza e della perdnenza della questione rispetto alla non manifesta infondatezza della stessa, nel sistema normativo. L'eccezione scaturisce dal processo che, non potendo essere altrimenti deciso, (art. 23 della legge n. 87 del 1953), resta sospeso con conseguente rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Diretta ad impedire l'applicazione della norma contestata, l'eccezione di risolve in un ostacolo alla prosecuzione del processo paralizzando il potere decisorio del Giudice (Cfr. MoRTATI: Istituzioni di Diritto Pubblico, pag. 639). Da ci la necessit obiettiva, per l'interesse pubblico connesso con l' attuazione della tutela giurisdizionale al caso concreto, che all'esame della manifesta o non manifesta infondatezza si passi solo dopo aver accertato che, trovando la causa la sua soluzione nell'applicazione della norma, la questione sollevata sia rilevante e pertinente ai fini_ della decisione di merito. (Ofr.: Corte Costituzionale, sentenza n. 59 del 13 luglio 1960 e Cmcco e CoRONAS. L'interpretazione giudiziale della Costituzione in La Corte Costituzionale , 1958, pag. 609 e segg.). IMPOSTA DI REGISTRO -Coobbligati solidali Opposizione ad ingiunzione -Integrazione del con traddittorio. IMPOSTA DI REGISTRO -Donazione fatta per scrittura privata -Tassabilit -Diritto al rimborso per nullit dell'atto. IMPOSTA DI REGISTRO -Corresponsione della rendita di fondi rustici, in precedenza donati, dai donatari al donante -Natura giuridica del rapporto Rendita vitalizia. RICORSO PER CASSAZIONE -Motivi prodotti nei termini di impugnazione in aggiunta a quelli formulati con il Ricorso -Inammissibilit. (Cassazione I Sezione 6 aprile-19 giugno 1962, n. 1554 -Del Balzo Francesco e Del Balzo Federici Elena c. Finanze). I) Nell'opposizione ad ingiunzion fiscale __intl-_ mata a pi coobbligati, il giudizio di impugnazione, nel quale sono parte gli opponenti, non deve essere integrato mediante la chiamata di coloro che non avevano fatto opposizione. -H5 II) La donazione fatta per scrittura privata, nonostante la nullit per vizio di forma, soggetta, ai fini della imposta di Registro, alla tassazione corrispondente alla voce della tariffa, salvo rimanendo il diritto al rimborso della imposta pagata nel caso che i contraenti ottengano nella competente sede il giudicato dichiarativo della nullit nei sensi previsti dall'art. 14 n. 2 della Legge di Registro 30 dicembre 1923, n. 3269. III) Il contratto con il quale i donatari di fondi rustici si obbligano, in maniera autonoma ed indipendente dalla donazione dei fondi predetti, a corrispondere al donante, vita natural durante, le rendite annuali degli stessi prodotti, integra gli estremi della rendita vitalizia. IV) ..Alla parte che ha ritualmente proposto Ricorso per Cassazione precluso proporre ulteriori motivi di annullamento anche se il termine di impugnazione non sia scaduto. In diritto la sen~enza cos motivata: La Corte di merito accert che, con rogito notarile del 1950, Giuseppe Federici aveva donato varie estensioni di terreno al figlio Francesco Q alle figlie Fanny, Elena e Maria, che, con successiva scrittura privata non datata, i figli del Federici ed i rispettivi mariti delle figlie si erano obbligati a versare al donante vita natural durante, tutte le rendite dei fondi donati, facendo riferimento al suindicato rogito notarile; che dopo, la registrazione, senza contestazioni, del rogito notarile, il Fisco riguardo alla successiva scrittura privata, qualificata come costituzione di rendita fondiaria, aveva notificato ingiunzione di pagamento della corrispondente imposta di registro sia ai costituenti della rendita (i quattro figli del Federici nonch i rispettivi mariti delle figlie) sia al Federici, che l'aveva accettata, partecipando all'atto e sottoscrivendolo: ingiunzione che fu opposta unicamente da Elena Federici e dal marito Francesco Del Balzo. Ci. premesso, i giudici di appello ritennero che la predetta scrittura privata contenesse una costi tuzione di rendita, bench qualificabile come rendita vitalizia, piuttosto che come rendita fondiaria (tesi dl Fisco); che tuttavia l'opposta tassazione era da considerare legittima, in quanto la costituzione di rendita vitalizia si inquadrava nel disposto dell'art. 25 della vigente legge del registro, che l'ufficio finanziario aveva espressa mente richiamata ed applicato nella liquidazione della controversa imposta. Col primo mezzo i coniugi Del Balzo rilevano la non integrit del giudizio d'appello, e la conse guente nullit del giudizio stesso, per non evere la Corte di merito esteso il contraddittorio a tutti i sottoscrittori della menzionata scrittura privata, ai quali l'Ufficio tribunario notific, per il paga mento della tassa di registro, l'ingiunzione fiscale, che fu opposta unicamente da essi coniugi. In proposito da notare che tutte le parti -0ontraenti ;> sono, ai sensi dell'art. 93 T.U. 30 di cembre 1923, n. 3269 tenute solidalmente, vers l'Amministrazione dello Stato, per il pagamento della tassa di registro ; e ci sul presupposto dell'unit ed inscindibilit dell'obbligazione tributaria, onde ciascuno dei debitori d'imposta tenuto, verso il Fisco, al pagamento dell'intero tributo, che non frazionabile. Da ci deriva il principio, gi affermato da questa Corte (Cassazione n. 616 del 1946), della mutua rappresentanza giudiziale dei codebitori d'imposta, nel senso che la risoluzione giudiziale della lite tributaria tra la Finanza ed uno degli obbligati al pagamento del tributo estende necessariamente i propri effetti nei confronti degli altri, che siano rimasti estranei alla controversia. Difatti, data l'unit ed inscindibilit dell'obbligazione tributaria, a seconda che la pronunzia giudiziale riconosca, o la escluda nei confronti del debitore, che in lite con la Finanza, non pu la stessa obbligazione, in quanto non suscettibile di frazionamento, non essere rispettivamente riconosciuta o esclusa anche nei confronti degli altri soggetti del rapporto tributario, i quali non abbiano partecipato al giudizio. perci da escludersi il litisconsorzio necessario tra i condebitori d'imposta nella lite tributaria, onde il contraddittorio da ritenersi regolarmente costituito, nei confronti della Finanza, anche con la partecipazione al giudizio di uno solo dei cobbligati solidali. Oosicch, nella specie, non occorreva che il giudizio di appello fosse integrato nei confronti di tutti coloro, contro i quali la Finanza aveva fatto valere, con la notifica dell'ingiunzione, la pretesa fiscale, laddove esso doveva considerarsi regolarmente costituito mediante la partecipazione, quali contraddittori del Fisco, di quei soli soggetti del rapporto tributario (gli odierni ricorrenti), che si opposero all'ingiunzione stessa. Senza fondamento, dunque, i primo mezzo prospetta la nullit del procedimento di appello sotto l'erroneo profilo della non integrit del contraddittorio. Col secondo mezzo i ricorrenti rilevano che l'atto privato, con cui i donatari costituirono la rendita vitalizia a favore del donante (Giuseppe Federici), sia del tutto autonomo rispetto all'anteriore atto pubblico di donazione, onde non potrebbe la costituzione di rendita qualificarsi come negozio a titolo oneroso, come se posto in essere dai donatari in corrispettivo della donazione ricevuta. Sicchla rendita vitalizia dovrebbe ritenersi costituita, secondo i ricorrenti, a mezzo di un negozio di carattere gratuito, cio di una donazione, con la conseguenza di dover soggiacere alle norme stabilite dalla legge per la donazione (art. 1872 O.e.), tra cui quella che prescrive, ad substanstiam1 la formalit dell'atto pubblico. Concludono i ricorrenti che la donazione della rendita vitalizia, essendo stata posta in essere a mezzo di scrittura privata, debba considerarsi giuridicamente inesistente, e q:q.il).di non suscettibile di imposizione tributaria. Orbene la Corte di merito non manc di rilevare il carattere gratuito della controversa costituzione di rendita, in quanto fatta dai figli del Federici al padre, non in corrispettivo della rice -146 vuta donazione, ma per puro spirito di liberalit, mediante separato, autonomo, obbligo contrattuale , assunto successivamente alla donazione stessa. Non ne trasse per la Corte la lineare conseguenza che, essendo stata la rendita vitalizia costituita mediante donazione, ed essendo perci sottoposta alle relative norme (art. 1872 comma 2 codice civile, non potesse sottrarsi alla formalit dell'atto pubblieo, prescritta, per tale negozio, sotto pena di nullit dell'art. 782 comma 1 codice civile. Erroneamente perci la denunziata sentenza ritenne la validit formale della costituzione di rendita, sul riflesso che fosse avvenuta mediante una comune dichiarazione di obbligo , suscettibile, come tale, di essere validamente espressa mediante scrittura privata. Tuttavia, pur avendo i giudici di appello errato nel non rilevare la nullit formale della rendita vitalizia, -in quanto costituita mediante donazione non consacrata in atto pubblico -deve considerarsi esatta, per le ragioni che si esporranno la loro decisione affermativa della legittimit della imposizione fiscale. .All'uopo da notare che, secondo l'art. 11 della legge di registro, le tasse, da essa stabilite, sono dovute anche nei casi di registrazione di atti comunque nulli, cio di atti che possono essere affetti sia da nullit relativa o annullabilit sia da nullit assoluta o radicale. Quest'ampia interpretazione giustificata dalla stessa ampiezza letterale del testo legislativo, che, rendendo obbligatori le tasse di registro anche nei casi di atti comunque nulli, non distingue tra le possibili ipotesi delle nullit, comprendendole quindi tutte. Il che del resto conforme alla ratio legis. Invero il legislatore, col richiamato disposto, mira ad impedire che le parti, simulando ad arte un negozio affetto da nullit, sia pure assoluta, possano evadere l'imposta che dovrebbero scontare sul negozio realmente concluso, mentre, d'altro canto, vuole evitare le gravi difficolt pratiche, in cui incorrerebbe la tassazione, qualora gli uffici del registro fossero tenuti a soprassedervi in vista di eventuali nullit, di qualunque specie, da cui fossero eventualmente inficiati gli atti da tassare. soltanto fatto salvo al contribuente, per ovvie ragioni di giustizia, il diritto alla retribuzione del tributo pagato riguardo ad atti, dichiarati nulli, con sentenza pronunciata in contraddittorio fra i contraenti e passata in giudicato, per vizio radicale, che, indipendentemente dalla volont e dal consenso delle parti, inducl)i la loro nullit fin dall'origine (art. 11 precitato in relazione al successivo art. 14 n. 2). Ora non v'ha dubbio che la donazione, redatta per mezzo di scrittura privata, invece che di atto pubblico, sia affetta da nullit assoluta. Essa, infatti, priva di uno dei requisiti essenziali del negozio che la forma (atto pubblico), giusta l'art. 1325 O.e. n. 4, quando (come nel caso della donazione) prescritta dalla legge sotto pena di nullit. Il che importa che la donazione, fatta con scrittura privata, al pari di ogni altro negozio privo di uno qualsiasi dei requisiti essenziali indi cati dal menzionato art. 1325, affetta ai sensi 1 dell'art. 1418 comma 2 e.e. da nullit, che da I considerarsi assoluta e radicale, in quanto pu essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, inoltre rilevabile di ufficio dal giudice ne suscettibile di sanatoria (art. 1421 e 1423 successivi). Ma giusta i suesposti rilievi, la innegabile nullit assoluta della controversa donazione costitutiva di rendita non vale ad esimere l'atto dalla tassazione, mentre fatta salva ai contraenti la restituzione del relativo tributo, ove essi ottengano, nella competente sede, il giudicato dichiarativo della nullit nei sensi previsti dal richiamato art. 14 n. 2. N pu dirsi, al fine di sottrarre al tributo la donazione de qua, che essa, come negozio, privo di un requisito essenziale debba considerarsi giuridicamente inesistente, epper non inquadrabile fra gli atti comunque nulli, sia pure in senso assoluto, che, a mente del ricordato art. 11, sono soggetti a tassazione. E ci perch -come si notato -i contratti, privi di requisiti essenziali (come la contraversa donazione fatta con scrittura privata) rientrano secondo la disciplina del codice, nella categoria generale dei contratti nulli, laddove il codice stesso non contempla una separata categoria di negozi giuridicamente inesistenti, ipotizzati dalla prevalente dottrina in casi, del tutto abnormi, nei quali non esiste neppure di fatto, una qualsiasi fattispecie negoziale. Consegue che il contestato negozio, dovendo, secondo la disciplina legislativa, considerarsi nullo, e non giurdicamente inesistente, non si sottrae, giusta l'art. 11 in parola, alla tassazione corrispondente alla sua qualificazione giuridica. Ma proprio sul punto qualificazione giuridica del contratto, si prospetta una ulteriore censura dei ricorrenti, nel senso che la denunziata sentenza avrebbe esorbitato dai limiti del thema decidendum, quali.: ficando come rendita vitalizia il contratto stesso, bench tassato dal Fisco come rendita fondiaria. Senonch il thema decidendum verteva sulla legittimit o meno della imposizione tributaria e su tal punto la Corte di merito limit la propria pronunzia, ritenendo legittima la tassazione, pur precisando, nei sensi suaccennati, il nomcn iuris dell'atto sottoposto a tributo. N par dubbio che il nomen iuris dell'atto in contestazione sia stato esattamente determinato, a dimostrazione della legittimit della tassazione disposta dall'Ufficio tributario ai sensi dell'art. 24 della legge del registro, ove si consideri che i donatari si obbligarono, con la scrittura privata, a versare al donante vita natural durante tutte le rendite dei fondi donati, in guisa da attuare lo schema tipico della rendita vitalizia. Essendo perci privo di pregio anche il secondo mezzo, il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti alla perdita del deposito (art. 381 C.p.c.) mentre concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le . parti le spese di questo grado (art. 92 comma 2 O.p.c.). Vanno inoltre dichiarati inammissibili i motivi aggiunti , giacch, alla stregua della -147 costante giurisprudenza di questa Corte) le cui ragioni giustificative sarebbe superfluo stare ancora a ripetere -alla parte, la quale abbia ritualmente proposto ricorso per cassazione, precluso proporre ulteriori motivi di annullamento, anche se il termine d'impugnazione non sia ancora scaduto. .A) L'affermazione contenuta nella prima massima conseguenziale al principio per il quale la unit inscindibile del debito di imposta ed il conseguente vincolo giuridico fra i soggetti dell'atto determina la rifiessione reciproca, sui condebitori, della intera procedura di accertamento dalla nascita alla estinzione. Da tale principio nel 1941 con la sentenza n. 2602 e nel 1946 con la sentenza n. 616 la Corte di Cassazione aveva gi dedotto la mutua rappresentanza giudiziale dei condebitori di imposta, con la conseguenza che la risoluzione della lite tributaria svoltasi nei confronti di uno dei coobbligati estende i propri effetti anche a quelli che sono rimasti estranei alla lite stessa. (Cfr. anche sentenza n. 2138 del 1957; n. 3228 del 1958) La qual cosa assolutamente esatta e non contrasta con l'ulteriore principio per il quale la iscindibilit formale oltre che sostanziale del vincolo tributario fra i coobbligati porta all'applicazione dell'art. 331 del C.p.c. (integrazione del contraddittorio in causa inscindibile) nel caso in cui l'opposizione sia stata introdotta da pi coobbligati e, nella fase della impugnazione, la sentenza non sia stata gravata nei confronti di tutti coloro che presero parte al giudizio. L'applicazione suddetta, infatti, la conseguenza necessitata del carattere pecutiare della solidariet nel debito di imposta rispetto alla comune solidariet di diritto privato e della infrazionabilit dell'obbligazione tributaria. Di tale principio ha fatto applicazione la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1476 del 1959 (con nota critica di .A. LENER in Foro Ital. 1960, I, 1803) e nel Contenzioso dello Stato 1956-1960, vol II, pag. 342, stato posto in risalto che diversamente autorizzandosi cio, nella fase di impugnazione la scissione dei rapporti processuali, si finirebbe, in concreto, per negare l'automatica estensione degli accertamenti e delle decisioni favorevoli e contrarie, sacrificando l'esigenza fondamentale dell'ordinamento tributario di giungere ad una soluzione unica, senza il rischio di pronunce difformi e' di disparit di trattamento fra i soggetti passivi. B) Le affermazioni contenute nella seconda massima esigono una precisazione. Nessun dubbio che per il principio sancito negli artt. 11 e 12 della legge di Registro 30 dicembre 1923, n. 3269, secondo il quale le imposte stabilite sono dovute anche nei casi di registrazione di atti comunque nulli e, se percette legalmente, non possono essere restituite se non nei casi tassativamente indicati dalla legge stessa (art. 14 e 32 della Legge citata) la donazione fatta per scrittura privata, nonostante il difetto della forma pubblica, non si sottrae alla tassazione corrispondente alla voce della Tariffa. Il principio trae origine dal fatto che l'imposta di registro collegata all'esistenza di un atto, anche se lo stesso non produca gli effetti ai quali preordinato ed , dal punto di vista pratico, giustificato dalle difficolt della conseguenziale tassazione ove l'ufficio dovesse attenersi alla reale produzione degli effetti suddetti. Del pari, per, nessun dybbio pu sussistere sul fatto che il vizio di forma nella donazione per scrittura privata, pur determinando la nullit radicale dell'atto non sufficiente a configurare il diritto alla restituzione a norma dell' articolo 14 n. 2 della Legge di Registro, anche se le parti ottengono nella sede competente la relativa pronuncia giudiziale con sentenza passata in giudicato. Il n. 2 dell'art. 14, nell'accezione fatta palese dal suo tenore letterale e finalistico, esige, infatti, oltre alla dichiarazione giudiziale della nullit e del passaggio in giudicato della sentenza relativa, che il vizio determinante la nullit sia indipendente dalla volont e dal consenso delle parti. La retta interpretazione di tale requisito porta alla conseguenza, chiaramente illustrata dalla Corte di Cassazione nella sentenza 18 ottobre 1956, n. 3706 in Leg. Fiscale 1957, 143, che il vizio radicale che consente la restituzione solo quello obiettivo, quello, in altre parole, che sia estraneo all'opera delle parti ed alla loro partecipazione al negozio. Laddove le parti, in violazione di norme imperative, quali quelle della forma negli atti di donazione, pongono in essere un atto, sia pure viziato, e dallo stesso conseguono uno scopo pratico, che possano coltivare anche dopo la pronuncia di nullit, si assolutamente fuori dal.la sfera ambientale del n. 2 dell'art. 14 citato (Cfr. Contenzioso dello Stato 1942-1950, nn. 321-333; 1951:1955 nn. 218219; 1956-1960 n. 189. In tale senso, per le Corti di merito cfr. Corte Milano 6 novembre 1953 Finanze c. Societ La Ferraglia e america ExportImport). C) La qualificazione giuridica contenuta nella terza massima frutto di una peculiare situazione di specie. Essa, pertanto, non intacca il criterio per il quale ogni volta che il donatario, in concomitanza della donazione di fondi rustici, assume l'onere modale di corrispondere al donante le rendite che dai fondi saranno ritratte, si esuli dalla nozione di rendita vitalizia per rientrare in quella di rendita fondiaria a titolo gratuito. D) La preclusione per la parte che ha ritualmente proposto Ricorso per Cassazione di proporre ulteriori motivi di annullamento anche se il termine di impugnazione non precluso, la conseguenza necessitata del principio relativo alla consumazione del diritto di impugnazione e del disposto esplicito dell'art. 329 del C.p.c., per il quale l'impugnazione parziale di una sentenza importa acquiescenza per le parti non impugnate . .Al riguardo la Giurisprudenza della Corte di Cassazione pacifica (Cfr. Sentenze 1938 aet 1960;_ 2466 del 1958; 1285 del 1958 e 841 del 1958. Questa ultima in Giur. Civile 1958, pag. 1347 con note di richiamo). L. C. m: mammmmmmim ITimm 48 IMPOSTE E TASSE -Imposta di fabbricazione Diritto all'abbuono -Prescrizione -Esibizione della bolletta doganale di esportazione -Necessaria per evitare la prescrizione. (Corte di Cassazione, Sezione i; Sentenza n. 1579/62 -Pres.: Celentano; Est.: Bartolomei; P.M. Maccarone (conf.) -Amministra zione Finanze dello Stato c. Zucchi). Ai sensi degli artt. 15 D.L. 5 ottobre 1933, n. 1314 e 24 D.L. 30 ottobre 1952, n. 1323, in tanto pu essere evitata la prescrizione del diritto all'abbuono dell'imposta di fabbricazione sugli oli di semi, che siano stati esportati all'estero direttamente dalle fabbriche o dalle raffinerie, in quanto, entro i termini prescrizionali, rispetti- vamente stabiliti dai due provvedimenti legislativi, sia presentata dal contribuente, al competente ufficio :finanziario, non soltanto la domanda di abbuono1 ma anche la bolletta doganale di uscita, .attestante l'avvenuta esportazione della merce. Trascriviamo la motivazione della sentenza: La diversa interpretazione, adottata dalla Corte di merito, secondo la quale basterebbe, al :fine di evitare la prescrizione del diritto ll'abbuono, la presentazione della domanda entro il termine prescrizionale, mentre la bolletta doganale potrebbe essere esibita ad libitum, conduce all'illogica conseguenza (certo non voluta dal legislatore) che sarebbe impedita sine die, merc la sola richiesta del beneficio fiscale, la prescrizione del diritto all'abbuono, pur non fornendosi mai la prova del vantato diritto mediante l'esibizione del documento doganale. Tale rilievo conferma la -0pinione che, per potersi evitare la prescrizione del diritto all'abbuono, necessiti la presentazione, ()ntro il termine prescrizionale, oltre della richiesta del beneficio tributario, dell'indicato documento comprovante il fondamento del dirittostesso. Sicch, secondo la regolamentazione dell'arti< lOli 15 precitato -prima che sulla stessa venisse .ad inserirsi la nuova disciplina transitoria, di cui si dir, stabilita dall'art. 24 D.L. 30 ottobre 1952, n. 1323 -la soc. Zucchi, per evitare la prescrizione dei vantato diritto all'abbuono, avrebbe dovuto esibire, a corredo della domanda di abbuono, la bolletta doganale, recante la data del 16 agosto 1952, entro il termine di cinque anni dalla data stessa, cio entro il 16 agosto 1957. Senonch sopravvenne la norma transitoria, contenuta nel menzionato art. 24 del D.L. n. 1323 del 1952, che del seguente tenore: Il diritto all'abbuono dell'imposta di fabbricazione sugli oli di semi, che siano stati esportati all'estero direttamente dalle fabbriche o dalle raffinerie, non .ancora prescritto alla data di entrata in vigore del presente decreto, si prescrive nel termine di sessanta giorni a decorrere dalla data stessa. In virt, dunque, dell'ius superveniens, il diritto .all'abbuono, spettante all'Oleificio -che non si ra ancora prescritto alla data di entrata in vigore del nuovo provvedimento legislativo (30 ottobre 1952), giacch il termine prescrizionale scadeva {come si notato) il 16 agosto 1957 -veniva sottoposto ad una pi breve prescrizione, che andava a compiersi entro sessanta giorni da quella stessa data, cio entro il 29 dicembre 1952. Sicch in questo pi breve termine, fissato dell'ius superveniens, l'Oleificio, per evitare la prescrizione del diritto all'abbuono, avrebbe dovuto esibire all'ufficio :finanziario, a corredo della gi inoltrata domanda di abbuono, il documento doganale comprovante il diritto medesimo. Nel risolvere una questione di diritto intertemporale insorta, per l'imposta di fabbricazione sugli oli di semi, con l'entrata in vigore del D.L. 30 ottobre 1952, n. 1323 (restituzione della imposta percetta sui semi impiegati nella produzione di oli esportati all'Estero in luogo dell'abbuono sui prodotti finiti esportati direttamente dalle fabbriche o dalle raffinerie disposto dal R.D.L. 5 ottobre 1953, .n 1314) la sentenza annotata affronta e risolve esattamente il problema relativo al momento utile per la produzione della prova del fatto, da cui scaturisce il diritto al trattamento di favore fiscale. Dopo aver rinvenuto nella bolletta di esportazione il carattere di prova legale della situazione di fatto ipotizzata dalla norma (art. 15 ultimo comma R.D.L. 5 ottobre 1933, n. 1314 e 13 del I.L.L. 30 ottobre 1952, n. 1323) ha precisato, la sentenza annotata, che la stessa va esibita in uno alla richiesta di abbuono ieri e di restituzione oggi, nel termine utile per lo esercizio del diritto relativo. Ci risponde al principio generale per il quale la produzione della prova non pu essere svincolata dai termini e dalle formalit stabilite per l'attuazione di un diritto. Di tale principio traccia anche nelle pronunce che la Corte di Cassazione ha emesso, per le agevolazioni fiscali in generale, in ordine al momento utile per la esibizione della documentazione a carattere probatorio dei presupposti di fatto ai quali collegata la concessione di un particolare trattamento di favore fiscale (cfr. sentenza n. 376/62 della I Sezione in Rassegna Mensile, n. 7-9 del 1962, pag. 81 e sentenza n. 1710 del 1961 in Foro Italiano 1961, 1, 1443). Nella sentenza 1710 del 1961, infatti, la Corte di Cassazione ha precisato che ... se la legge non impone al contribuente l'onere di produrre, al momento in cui fa registrare l'atto la documentazione giustificativa del beneficio fiscale e non fissa un termine di decadenza per l'esibizione stessa, questa ha il valore di accertamento dei presupposti di fatto cui condizionata la concessione del beneficio, cosicch la prova pu essere data in ogni tempo salvo il verificarsi della prescrizione . IMPOSTE E TASSE -Competenza -Imposta generale sull'entrata -Controversie di semplice estimazione Controllo delle commissioni tribu~arie -Casi di competenza dell'Autorit Giudiziaria Ordinaria. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza numero 2173/62 -Pres.: Tavolaro; Est.: Giannattasio; P.M. Reale -Coppola c. Amminist.ri_t.ime Finanze Stato). In tema di imposta generale sull'entrata le controversie di semplice estimazione sono sottratte alla giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordina --, 149 ria nelle ipotesi in cui l'imposta sia dovuta in abbonamento e nelle quali l'accertamento soggetto .al controllo delle commissioni tributarie: in materia di accertamento di violazioni invece, allorquando tale controllo escluso dalla legge, anche le questioni di estimazione semplice appartengono .alla cognizione del giudice ordinario. La sentenza pubblicata in Foro It. 1962, I, 1654. La questione stata riproposta alla Corte Suprema con un ricorso in causa Finanze c. Soc. Parisi contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 16 luglio 1962. Si trascrive la parte del ricorso che si riferisce al problema in esame: La sentenza della Corte di Appello di Napoli non pu reggersi, adunque, sul profilo che la lite dedotta in giudizio involgesse una questione di estimazione complessa; e resta quindi a vedere se essa meglio fondata sul profilo pi generale indicato nella sentenza in esame. da premettere, intanto, che la distinzione fra estimazione semplice e complessa -con le conseguenze che ne derivano in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario -costituisce principio valido anche in tema di imposte indirette in genere, e di controversia in materia di I.G.E.: su questi punti vi costante e copiosa giurisprudenza; e baster ricordare qu la gi citata centenza 20 ottobre 1956, n. 3784, e quella 24 giugno 1957, n. 2427, pure delle Ecc.me Sezioni Unite. E per la verit la sentenza impugnata questo principio non ha in toto rifiutato, ma ha ritenuto di porre una distinzione, a seconda della possibilit per il contribuente di adire o meno le Commissioni delle imposte, precisando che, quando .questa possibilit non sussiste, la controversia, pu essere in ogni caso deferita al giudice ordinario .anche quando si tratti di questioni di puro fatto, .e cio di estimazione semplice. Or siffatta distinzione non nelle disposizioni di legge che -con carattere generale e valido Jler t.utti i tributi, compresa l'I.G.E., secondo .si gi rilevato -escludono la giurisdizione del :giudice ordinario quando la questione attenga .alla semplice estimazione; ed quindi da escludere che essa possa essere introdotta dall'interJ) rete. E, per restar nel campo della imposta sulla .entrata, non si pu, senza cadere in illogica contradizione prima ancora che in violazione di legge, riconoscere in linea di principio che se si verte in questioni di semplice estimazione la giurisdizione del giudice ordinario da escludere, e contemporaneamente affermare (senza, peraltro, che nes, suna esplicita disposizione di legge ci sancisca) Che quella giurisdizionale sorge, anche in tema di estimazione semplice, a seconda del modo con il quale si fa luogo al pagamento dell'imposta ... La verit che il principio posto dall'art. 6 della legge 25 marzo 1865, n. 2248 allegato E ha una portata generale (Cassazione, Sezioni Unite, 6 novembre 1956, n. 4150), n pu soffrire limi tazioni, secondo ha avuto modo di ricordare an che un acuto magistrato, commentando alcune sentenze rese in argomento (cfr. CELORIA, in Foro pad., 1957, I, 285). N pu sostenersi che la giurisdizione del giudice ordinario discende dall'art. 52 del R.D.L. 9 gennaio 1940, n. 2, giacch questa norma va messa in correlazione, ed armonizzata, con il principio generale ci:ca il sorgere della giurisdizione: quella disposizione sta cio a significare che la decisione del Ministro, resa in controversie per infrazioni alla legge sull'I.G.E., non si sottrae al controllo giurisdizionale del giudice ordinario, se ed in quanto questa giurisdizione puo essere esercitata in base ai principi generali. Del resto, a queste stesse conclusioni g1a pervenuto, proprio in un caso di impugnativa di decreto ministeriale emesso per infrazioni all'I.G.E., codesta Ecc.ma Suprema Corte, affermando che non poteva il giudice indagare sulla infondatezza prima facie della pretesa tributaria, in quanto, trattandosi di valore attribuito ad un bene e sul quale era stato commisurato il tributo posto a carico del contribuente, si verteva in un caso di estimazione semplice, sottratto come tale alla giurisdizione del giudice ordinario (Cassazione, Sezioni Unite 24 giugno 1957, n. 2417). Il difetto di giurisdizione, sotto questo profilo, va dunque affermato, in materia di I.G.E., anche quando si tratti di imposta che non si riscuote in abbonamento, ed anche se all'accertamento si addiviene a sensi dell'art. 52 del decreto istitutivo della imposta. Dimostrato, cos, l'errore giuridico nel quale incorsa la sentenza impugnata la cui motivazione , per una notevole parte, del tutto superflua, posto che non si era mai sostenuto che, nella specie, il Ministro provvedeva come giudice, per far derivare da ci il difetto di giurisdizione del giudice ordinario: onde assolutamente inconferenti sono i richiami a talune pronuncie della Corte Costituzionale -, la difesa della Amministrazione potrebbe far punto su questo argomento. Peraltro si vuol qui, e sia pur brevemente, confutare l'argomento -di carattere paragiuridico, ma che non manca di influenzare talune sentenze: n a questa influenza. si sottratta quella ora denunciata -secondo il quale il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, se affermato, priverebbe il contribuente di tutela giurisdizionale contro un atto della pubblica Amministrazione: nella specie contro il decreto del Ministro che accerta la evasione fiscale. Or qui pu anzitutto farsi una prima conside razione: posto che il provvedimento del Ministro l'ultimo atto di un certo procedimento di natura contenziosa, e che si svolge in contradittorio, con l'osservanza di particolri norme (legge 7 gennaio 1929, n. 4), fuori di dubbio che la inosservanza delle norme che regolano il procedimento, invol gendo questioni di diritto in ordine aii'ccerta:_~ mento, pu esser sempre dedotta in sede giurisdi zionale (n, per quel che qui interessa, ha impor tanza stabilire quale giudice abbia giurisdizione in proposito). -150 Di poi non da sottacere che, con recente sentenza delle Sezioni Unite, stato precisato che i provvedimenti dal Ministero per le Finanze emessi a seguito di un procedimento contenzioso-amministrativo in materia di qualificazione, classificazione, accertamento di valore delle merci ai fini delle imposte doganali (e cio relativamente a questioni che rientrano proprio nel concetto di semplice estimazione) sono impugnabili avanti il Consiglio di Stato, in quanto attraverso l'accertamento di mero fatto, o di carattere tecnico, leso un interesse legittimo e non un diritto soggettivo (Sezioni Unite, io febbraio 1961, n. 207); e tale sentenza trascende il caso deciso, per inquadrarsi in una pi ampia ed armonica visione dei problemi e dei principi giuridici che si profilano nella controversa e delicata materia dei rapporti fra Finanza e contribuenti in tema di accertamento della sussistenza e della entit della materia tassabile. S che non affatto esatto che, in questo settore, il contribuente sarebbe privo di tutela giurisdizionale. Comunque quel che interessa affermare in modo chiaro e non equivoco che, se pur si volesse ammettere la giurisdizione del giudice ordinarici in questi particolari casi di semplice estimazione, tale giurisdizione dovrebbe esser contenuta al controllo sul piano giuridico dell'iter logico seguito per pervenire all'accertamento; dovendosi in ogni caso escludere, per la stessa ripartizione istituzionale delle attribuzioni tra i poteri dello Stato, che possa il giudice ordinario procedere ad indagini di mero fatto, che sostanzialmente dovrebbero condurre a rifare l'accertamento tributario in sede giudiziaria. PRO VE -Richiesta di informazione alla P.A. Facolt discrezionale del giudice -Mancato esercizio -Insindacabilit -Ordine di esibizione. PROCEDIMENTO CIVILE -Ordine di esibizione di documenti -Presupposti. RESPONSABILITA' CIVILE -Responsabilit della P. A. -Prescrizione del diritto al risarcimento Domanda di pensiOne -Efficacia interruttiva della prescrizione -Mancanza. (Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza n. 1597/62 -Pres.: Vistoso; Est.: La Porta; P.M.. Caldarera (conf.) -Ferri c. Minintero della Difesa). Il precetto dell'art. 213 O.p.c., per il quale il giudice pu richiedere di ufficio informazioni alla Pubblica Amministrazione relativamente ad atti e documenti dell'Amministrazione medesima, attribuisce al giudice una facolt discrezionale, il cui mancato esercizio non suscettibile di sindacato per cassazione. 'L'onere della prova incombe sulla parte ed il giudice non tenuto ad attivit sostitutiva della mancata o deficiente attivit delle parti. Il giudice pu avvalersi della facolt di ordinare l'esibizione di uno o pi documenti in possesso di una parte o di un terzo, riconosciutaglia dall'art. 210 0.p.c., quando la parte, che chieda lo ordine di esibizione, gli specifichi il contenuto dei documenti, in modo che egli possa liberamente ed insindacabilmente apprezzare ,la rilevanza e la necessit di acquisirli al processo. In difetto di specificazione del contenuto dei documenti, il giudice nell'impossibilit di apprezzarne la rilevanza ai fini del decidere. L'atto interruttivo della prescrizione del diritto azionato va riguardato con riferimento al diritto che costituisce la materia del rapporto dedotto in giudizio. Pertanto, in tema di responsabilit della pubblica .Amministrazione per fatto illecito, una domanda di pensione, diretta aJ Ministero del Tesoro per ottenere il conseguimento di un beneficio di natura assistenziale e non la reintegrazione del danno patito in conseguenza del fatto illecito, non essendo idonea a costituire in mora l'autore dell'illecito, non vale ad interrompere il corso della prescrizione del diritto al risarcimento. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Col primo motivo del ricorso si censura l'impugnata sentenza per violazione degli artt. 112, 116, 210, 213 O.p.c. e 2697 O.e., in relazione ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 O.p.c., assumendosi che essa sia incorsa in errore nel rigettare la richiesta di trasmissione del fascicolo di pensione esistente presso il Ministero del Tesoro, per non avere esaminato la rilevanza di tale fascicolo ai fini della prova della avvenuta interruzione della prescrizione. Il ricorrente precisa che egli aveva regolarmente prospettato alla Corte di merito che al detto fascicolo era alligato anche quello del Ministero della Difesa-Esercito, nel quale erano contenute le numerose sollecitazioni rivolte al detto Ministero. La censura priva di fondamento. Il precetto dell'art. 213 O.p.c., per il quale il giudice pu richiedere di ufficio informazioni alla Pubblica .Amministrazione relativamente ad atti e documenti dell'amministrazione medesima, attribuisce al giudice una facolt discrezionale, il cui mancato esercizio non suscettibile di sindacato per cassazione. L'onere della prova incombe sulla parte ed il giudice non tenuto ad attivit sostitutiva della mancata o deficiente attivit delle parti. Va ancora precisato che il giudice pu avvalersi della facolt di ordinare l'esibizione di uno o pi documenti in possesso di una parte o di un terzo, riconosciutagli dall'art. 21(} O.p.c., quando la parte, che chieda l'ordine di esibizione, gli specifichi il contenuto dei documenti~ di maniera che egli possa liberamente ed insindacabilmente apprezzarne la rilevanza e la necessit di acquistarli al processo. In dif~ttp di specificazione del contenuto dei documenti, il giudice . nell'impossibilit di apprezzarne la rilevanza a:ii fini del decidere. Il vago accenno a numerose sollecitazioni che sarebbero state rivolte al Ministero della Difesa e che sarebbero contenute ne] --151 fascicolo esistente presso il Ministero del Tesoro, non era certamente idoneo a porre il giudice in grado di compiere l'apprezzamento sulla rilevanza e decisivit. delle dette sollecitazioni al fine di dimostrare la pretel'la avvenuta interruzione della -prescrizione. Col secondo motivo si censura l'impugnata sentenza per violazione degli artt. 112, 115, 116, 210 e 213 O.p.c. 1219 e 2943 O.e., 12 delle preleggi e 360 nn. 3 e 5 0.p.c., per avere escluso che la richiesta di pensione presentata al Ministero del Tesoro costituisse un idoneo atto interruttivo della prescrizione, ritenendo applicabili, anche alla sfera dei rapporti di diritto sostanziale, le norme sulla rappresentanza processuale dello Stato. La censura non fondata. La Corte di merito ha ritenuto che in tanto una dichiarazione di volont. pu dirsi essere stata fatta allo Stato, in quanto ci avvenga attraverso l'organo che investito della rappresentanza dello Stato m.edesim.o nel determinato settore che concerne la sua attivit. e che, pertanto, una domanda rivolta ad un organo diverso da quello, che rappresenta l_o Stato nel settore cui attiene il rapporto controverso, com.e non fo'sse pervenuta allo Stato. Questo Supremo Collegio non ritiene di poter condividere, nella sua assolutezza siffatta affermazione, perch, com.e rileva la pi recente dottrina pubblicistica, l'organo, riguardato nei confronti dei soggetti di diritto diversi dallo Stato, si presen,ta come lo Stato stesso in un suo particolare aspetto, ossia si presenta privo di personalit. giuridica sua propria. Tuttavia, rileva che la decisione della Corte di merito conforme a diritto e, quindi, non va cassata. Invero, correggendo, ai sensi dell'art. 384, com.ma secondo, O.p.c., la motivazione, a dimostrare ra infondatezza della pretesa del Ferri basta rilevare che la domanda di pensione non atto valevole a costituire in mora l'obbligato al risarcimento del danno da fatto illecito. L'atto interruttivo va riguardato in riferimento al diritto che costituisce la materia del rapporto dedotto in giudizio. Ora, la domanda di pensione diretta al conseguimento di un beneficio di natura assistenziale e non alla reintegrazione del danno patito in conseguenza del fatto illecito, ond' che essa inidonea a costituire in mora l'autore dell'illecito. Col terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1362 e segg. e 2937 O.e., in relazione ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 O.p.c., assumendosi che la Corte di merito, con motivazione insufficiente e contraddittoria,, avrebbe erroneamente escluso che la lettera 11 marzo 1955 del Comando Militare Territoriale di Firenze contenesse un'im.plicitarinncia della Amministrazione ad avvalersi della prescrizione gi maturata. .Anche tale censura infondata. La Corte di merito ha rilevato che con la citata lettera il Comando Militare Territoriale si limit a comunicare che la pratica era ancora all'esame del Ministero della Difesa-Esercito; che tale lettera non conteneva alcun apprezzamento e che, per i suoi termini vaghi e generici, non poteva intendersi com.e espressione di un com.portamento dell'.Am.ministrazione incompatibile con la volont, di valersi della prescrizione. Tale apprezzamento, logicamente motivato ed im.m.une da vizi, essendo di mero fatto, si sottrae a censura. Per quanto concerne la prima massima rileviamo che la Oorte Suprema non ha esaminato la questione della applicabilit dell'art. 213 nei confronti della Pubblica Amministrazione parte in causa, questione alla quale non si pu dare che soluzione nfgativa. In proposito si veda in questo senso AN DRIOLI: Com.mento al Codice di procedura Civile, ed. 1956, vol. II, pag. 139. Vedi anche Il Contenzioso dello Stato 1956-60, n. 738. Nella motivazione relativa all'ultima massima la Oorte Suprema ha tenuto a precisare che se il Ferri avesse rivolto domanda stragiudiziale per risarcimento di danni ex delicto ad organo dello Stato diverso da quello passivamente legittimato, la domanda sarebbe stata valida ad interrompere la prescrizione. Questa precisazione si inquadra nella tendenza manifestatasi nella giurisprudenza della Oorte di Cassazione dopo l'entrata in vigore della legge n. 260 del 1958 di considerare lo Stato sempre nella sua unit a tutti gli effetti, anche processuali, tendenza che oltre ad urtare contro una precedente giurisprudenza costante della stessa Oorte, sembra in contrasto con i principi fondamentali della contabilit dello Stato e della legge di bilancio. SENTENZA -Sentenza di appello che concluda una fase del processo su un punto della lite che non pu pi costituire oggetto di ulteriore esame -Sentenza de'fnitiva -Riserva di ricorso differito -Irrilevanza. GUERRA -Legge n. 10 del 1951 -Requisizioni e danni cagionati con azfoni non di combattimento delle forze armate alleate -Indennizzo -Determinazione -Potere discrezionale della P. A. -Insussistenza - Competenza dell'Autorit giudiziaria ordinaria. (Corte di Cassazione, Elezioni Unite, Sentenza numero 2114/62 -Pres.: Lombardo; Est.: Cannizzaro; P.M.: Criscuoli -Min. Tesoro c. Carotti). La sentenza di appello che, pur non esaurendo tutto il merito della causa, tuttavia concluda, davanti al giudice di appello, una fase del processo in relazione ad un punto della lite che non pu pi costituire oggetto di ulteriore esame, n da parte del primo giudice n da parte del giudice di appello, va annoverata tra le sentenze dEfinitive. Non ha, quindi, alcun valore, perch priva di qualsiasi significato e processualmente inutile, la riserva di ricorso differito contro una sentenza del genere, che, per conseguenza, direttamente suscettibile di ricorso per cassazione. (Nel caso trattavasi di sentenza di rigetto dell'appello proposto contro sentenza non definitiva di primo grado con cui era stata respinta l'eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione deI giudice ordinario). La legge 9 gennaio 1951, n. 10, dettando nuove norme in ordine all'attribuzione ed alla determinazione degli indennizzi per requisizioni e danni -152 cagionati con azioni non di combattimento dalle forze armate alleate, e comprendendo anche le requisizioni irregolari, disciplina in modo diverso dal precedente, oltre che integralmente e con carattere di assoluta autonomia, l'intera materia, riconfermando il diritto vero e proprio all'indennizzo da parte del cittadino e svincolando la determinazione dell'indennit dai criteri gi fissati dal R.D. n. 1741 del 1940. Conseguenza della nuova disciplina che il mero riferimento all'equit, come criterio per la determinazione dell'indennizzo, contenuto nell'art. 4 della citata legge n. 10 del 1951, non degrada il diritto conferito con l'art. 1 della stessa legge, e, perci, non conferisce all' .Amministrazione un corrispondente potere discrezionale circa la determinazione dell'indennizzo medesimo, e che resta attribuita alla .Autorit giudiziaria ordinaria la cognizione delle eventuali controversie in relazione alla liquidazione dell'indennit, come poi, in via generale, stato confermato con la legge 11 aprile 1957, n. 246. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con il primo motivo l'amministrazione :finanziaria denunzia il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione all'art. 2 e seguenti della legge 9 gennaio 1951, n. 10, agli artt. 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, '11. 2248 allegato E e all'art. 361 O.p.c., in quanto sostiene che la liquidazione dell'indennizzo previsto dalla citata legge n. 10 del 1951 costituisce un atto amministrativo, come tale sottratto a qualsiasi sindacato del giudice ordinario. Ora, premesso che gi questa Suprema Corte ha avuto occasione di rilevare che nel sistema della legge predetta il criterio equitativo stabilito dall'art. 4 per la determinazione dell'indennizzo non ha carattere diverso dai criteri obiettivi :fissati dall'art. 2 (del resto espressamente richiamati allo stesso art. 4) non si pu non trarne la conseguenza logica che il mero riferimento alla equit non degrada il diritto conferito con l'art. 1 e, perci stesso, non conferisce all'Amministrazione :finanziaria un corrispondente potere discrezionale circa la determinazione dell'indennizzo medesimo. Invero bisogna tener presente l'evoluzione della legislazione in materia e precisamente bisogna osservare che le norme dettate dal R.D. 18 agosto 1940, n. 1741 e, poi, dal R.D. 21 giugno 1941, n. 688 e dalia legge 3 dicembre 1942, n. 1819, non potevano prevedere le occupazioni effettuate dalle forze armate anglo-americane, n le requisizioni disposte direttamente dalle stesse forze armate ovvero dalle .Autorit dello Stato per conto di esse e che tuttavia, in ordine a tali occupazioni e requisizioni, si ritenne, in un primo tempo, di potere provvedere tramite appositi Uffici di requisizione applicando, agli effetti delle indennit, i criteri di stima e il sistema del R.D. n. 1741 del 1940. Successivamente, per, in vista dell'impegno espressamente assunto dallo Stato italiano con l'art. 76 del Trattato di pace e con l'art. 1 del Memorandum d'intesa firmato a , Washington il 14 agosto 1947, e, conseguentemente. in relazione al diritto soggettivo vero e proprio all'indennizzo riconosciuto al cittadino danneggiato, si ritenne di riordinare la materia mediante il R.D.L. 21 maggio 1946, n. 451, conJo scopo preciso di sottrarla alla applicazione del R.D. n. 1741 del 1940 e successive modificazioni. Senonch le nuove norme non raggiunsero lo scopo, specialmente per quel che riguarda la liquidazione dei danni da requisizione, demandate, con altre operazioni, a speciali uffici centrali e periferici. Lo scopo predetto, in ultimo, venne raggiunto con la legge n. 10 del 1951, la quale, dettando nuove norme in ordine a l'attribuzione e alla determinazione degli indennizzi per requisizioni e danni cagionati con azioni non di combattimento dalle forze armate alleate e, comprendendo anche le requisizioni irregolari, disciplina in modo diverso dal precedente, oltre che integralmente e con carattere di assoluta autonomia, l'intera materia~ riconfermando il diritto vero e proprio all'indennizzo da parte del cittadino e svincolando la determinazione dell'indennit dai criteri gi :fissati dal' R.D. n. 1741, che inizialmente, si ripete, era stato ritenuto estensibile ai danni conseguenti da azioni non di combattimento delle forze armate alleate. Conseguenza della nuova disciplina stata l'attribuzione della cognizione delle eventuali controversie all'Autorit giudiziaria ordinaria, come poi, in via generale, stato confermato con la. legge 11 aprile 1957, n. 246, la quale, dopo di avere stabilito l'art. 1 la soppressione dei Comitati giurisdizionali territoriali e del Comitato giurisdizionale centrale per le controversie in materia. di requisizioni, istituiti ai sensi degli artt. 77 e 78 del R.D. 18 agosto 1940, n. 1741 e successive modificazioni, all'art. 2 sancisce testualmente: La cognizione delle controversie di cui all'art. 1 devoluta al giudice ordinario per quanto attiene alla liquidazione dell'indennit e al Consiglio di Stato per quanto riguarda la legittimit del provvedimento di requisizione . Non pare, quindi, che si possa dubitare che, non ricorrendo, nella specie, la seconda ipotesi prevista nella superiore norma, ma ricorrendo, pacificamente, la prima, il primo motivo del ricorso privo di fondamento in quanto la controversia in esamespetta alla cognizione del giudice ordinario, come stato affermato nei due precedenti gradi del giudizio. Non ci sembra che la sentenza abbia risolto in modo esauriente i dubbi che avevamo prospettati con il ricorso, specie se si tien conto del diverso orientamento giurisprudenziale in materia, non tanto di indennizzi per danni di guerra quanto di indennizzi per la perdita di beni italiani all'estero ai sensi dell'art. 79 del Trattato di pace (V. in proposito su questa Rassegna 1959, pagg. 1 e segg.). Oi sembra, inoltre, opportuno richiamare l'orientamento della giurisprudenza della Corte Suprema in materia di impugnazione di decreto. del .Mini,._ stra del Tesoro che infligge sanzioni pecuniarie per infrazioni valutarie (V. Rassegna 1953, pag. 275), giurisprudenza secondo la quale la giurisdizione dell'Autorit Giudiziaria limitata all'accertamento -153 della sussistenza dell'infrazione, esclusa ogni possibilit di rivalutare la misura della pena infiitta. Una applicazione analogica di questo principio potrebbe giustificare l'esclusione del potere della Autorit Giudiziaria di rifare le valutazioni compiute dalla autorit amministrativa ai sensi dell'art. 4 della legge n. 10 del 1951, salvo a dichiararne la illegittimit per inosservanza delle norme che regolano il procedimento relativo. SPESE GIUDIZIALI -Ingiunzione fiscale -Imme diata azione giudiziaria -Condanna della P. A. alle spese -Estremi. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sen tenza n. 2049/62 -Pres.: C13lentano; Est.: Fresa; P.M.: Tavolaro (conf.) -Finanze c. Torre). A norma dell'art. 148 della legge di registro, l'amministrazione :finanziaria non pu essere condannata alle spese di lite quando l'azione giudiziaria sia promossa senza previo ricorso in via amministrativa o prima di novanta giorni dalla. presentazione di esso. L'inosservanza di detta norma, mediante proposizione intempestiva dell'azione giudiziaria, pu tuttavia ritenersi superata quando, portata la causa in discussione dopo il termine di novanta giorni, l'amministrazione resti soccombente senza avere preso alcuna determinazione entro il detto termine o una determinazione conforme a giustizia e sia quindi fallito lo scopo cui la norma medesima preordinata, quello, cio, di dare all'amministrazione la possibilit di riesaminarti il proprio contrario convincimento, normalmente risultante dall'ingiunzione fiscale, e di esprimere avviso conforme a giustizia. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 145 e 148 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, in rela zione all'art. 31 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 e al R.D.L. 8 luglio 1937, n. 1516, nonch il vizio di insufficienza ed illogica motivazione, il tutto in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 C.p.c. In particolare deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, essa ammi nistrazione non poteva essere condannata al pagamento delle spese del giudizio in quanto il contribuen,te aveva promosso l'azione giudiziaria senza avere preventivamente proposto domanda in via amministrativa e senza aver atteso il de corso di novanta giorni dalla presentazione di tale domanda. La censura non fondata. L'art. 148 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, dispone che l'amministrazione :finanziaria non pu essere condannata alle spese di lite quando il contribuente abbia promosso l'azione giudiziaria senza esperire preventivamente la via ammini strativa e prima di novanta giorni dalla presenta zione della domanda. La norma, che indubbiamente pone l'Amministrazione in una situazione di privilegio, ha loscopo di consentire all'ufficio :finanziario la possibilit di riesaminare, sulla base delle contestazioni del contribuente, la determinazione in precedenza. espressa e di emettere un prov'vdiment conforme a giustizia. Con la disposizione in esame non viene peraltro stabilita alcuna preclusione ed il contribuente, che abbia ricevuta una intimazione fiscale, libero di promy.9vere l'azione giudiziaria indipendentemente dall'esperimento della via amministrativa. Sostiene, per, la ricorrente che in tale caso l'Amministrazione non possa essere condannata al pagamento delle spese del giudizio ai sensi dello art. 91 C.p.c. La questione ha gi formato oggetto di esame da parte di questa Suprema Corte che, con decisioni (nn. 1472 del 1955, 920 del 1957 e 2695 del 1959) ha ritenuto che la norma in esame debba essere interpretata nel senso che non necessario che l'azione giudiziaria venga promossa dopo il decorso di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso amministrativo, ma sufficiente che al passaggio in decisione della causa sia decorso tale termine senza che l'Amministrazione abbia adottato alcun provvedimento. Da tale lata interpretazione nonvi motivo di discostarsi perch essa risponde ad una perfetta esegesi della legge: evidente, infatti, che dopo l'intimazione l'amministrazione ha avuto a sua disposizione tutto il periodo dalla legge accordatole per emettere un provvedimento conforme a giustizia e se non ha provveduto non pu dirsi che non sia stato raggiunto lo scopo cui la norma preordinata. Invero in tale ipotesi l'amminis.trazione viene per fatto da lei dipendente, a trovarsi nella situazione in cui sarebbe stata se fosse stato interposto preventivamente il ricorso in via amministrativa ed essa avesse espresso giudizio negativo sulla pretesa dell'opponente ovvero non avesse preso alcuna decisione nel termine previsto dall'art. 147 della legge di registro. Proseguendo sulla via della interpretazione, pri- ma estensiva, poi analogica, poi evolutiva dell' articolo 148 della legge di registro, (v. sentenze nv,meri 1472/55, 920/57 e 2965/59) la Corte Suprema giunta, con questa sentenza, al traguardo della interpretazione abrogativa, eliminando puramente e semplicemente la norma succitata dalnostro ordina-,. mento giuridico. Nel suo ricorso l'Avvocatura aveva, invero, posto il problema in termini precisi; pu il ricorso soltanto intempestivo essere equiparato, agli effetti dell'art. 148 L.R. al ricorso ... omesso~ La risposta affermativa della Corte Suprema ci sembra appoggiata ad argomenti pi impressionanti dal punto di vista della politica legislativa che convincenti dal punto di vista strettamente giuridico. Dire che l'amministrazione alla quale &ia stata notificata opposizione in via giudiziaria si trova nella situazione in cui sarebbe stata se fosse statointerposto preventivamente il ricorso in via amministrativa ed essa avesse espresso giudizio negativo = = m :: -154 sulla pretesa dell'opponente o non avesse adottato in merito alcuna decisione significa, infatti, modificare la formula dell'art. 148 e non interpretarla. La pretesa odiosit dei privilegi del fisco o meglio dei privilegi dello Stato nei confronti dei singoli contribuenti non ci sembra motivo sufficiente a giu stificare il fatto che il giudice si sostituisca al legislatore per abolirli. Appare, comunque, indispensabile che fattispecie dello stesso tipo di quella in esame (omissione assoluta del ricorso amministratiyo) siano riportate alla Suprema Corte per un nuovo giudizio. CONSIGLIO DI STATO AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Enti pubblici Poteri di controllo dello Stato -Nomina di Commissario straordinarl giurisdizionale -Legittimazione -Esclusione. SANITA' PUBBLICA -Disciplina dei prezzi -Specia lit medicinali -Competenza del Ministero Sanit e Comitato dei prezzi -Coesistenza. APPROVVIGIONAMENTI E CONSUMI -Disciplina dei prezzi -Comitato dei prezzi -Atto preparatori<> -Criteri di massima -Legittimit. APPROVVIGIONAMENTI E CONSUMI -Atti Amministrativi -Procedimento -Accertamenti preparatori affidati ad organi esecutivi -Legittimit -Limiti. APPROVVIGIONAMENTI E CONSUMI -Disciplina dei prezzi -Competenza -Giunta in luogo del Comi tato prezzi -Ragioni di urgenza -Insindacabilit. (Consiglio di Stato, IV Sezione, Decisione n. 229 del 7 marzo 1962 -Pres.: Bozzi; Est.: Landi -Societ Laboratori Glaxo ed altri -Comitato Interministeriale prezzi -Ministero Industria commercio t7 Sanit). Le .Associazioni di categoria non hanno veste per ricorrere a tutela di interessi che riguardano i singoli associa ti. In materia di disciplina dei prezzi delle specialit medicinali, coesistono e sono fra loro compatibili le attribuzioni che competono al Ministero della sanit, a norma della legge sanitaria. e del relativo regolamento, e quelle relative alla disciplina generale del mercato, conferite al Comitato dei prezzi: spetta, cio, al Ministro della. sanit determinare il prezzo base delle specialit in sede di registrazione di autorizzazione, mentre compete al Comitato dei prezzi, con provvedimenti di contenuto generale, sul fondamento dei dati risultanti dagli atti dell'.AmministraziGne sanitaria, operare le opportune perequazioni, in rapporto alle sopravvenute variazioni delle componenti economiche del prezzo originariamente determinato. Il Comitato dei prezzi legittimamente pu, con. atto interno e preparatorio, prestabilire criteri di massima da applicare a future determinazioni dei prezzi. -156 L'organo competente ad adottare, con efficacia -esterna, un provvedimento (nella specie: Comitato ) del C.I.P. (provvedimenti prezzi) si manifestano con un certo contenuto tipico, ci non pu importare che l'organo non possa legittimamente procedere ad atti preparatori, con efficacia meramente interna, e che in tali atti possano determinarsi i criteri di massima da osservare in futuri deliberati concernenti, come nella specie, unica materia, la cui trattazione presuppone un'ingente e complessa elaborazione. Il problema non di legittimit formale, bens di sostanza. Tali deliberati non incontrano alcun divieto: ma, ovviamente, il loro contenuto, se illegittimo, influir, viziandolo, sul contenuto dello atto esterno, definitivo, al quale fono preor dinati. Si deduce pure che illegittima la deliberazione, contenuta nel citato verbale 26 ottobre 1960, d'affidare ad un apposito Comitato presso la Segreteria del C.I.P. il calcolo dei nuovi prezzi da sottoporre alla Giunta. Tale deliberato trova rispondenza nella proposta conclusiva della Commissione centrale prezzi, quale risulta dal verbale 25 ottobre 1960. .Anche qui, bisogna distinguere il problema formale da quello di sostanza. In linea di legittimit formale, non pare contestabile che l'organo competente possa affidare determinati lavori preparatori ad organi esecutivi, singoli o riuniti in collegio: beninteso, tale attivit non pu avere nessuna rilevanza esterna, se non in quanto sia fatta propria dall'organo competente. Nella sostanza per, se l'organo competente recepisse il lavoro preparatorio senza esercitare su di esso sufficiente critica e conseguente controllo, i possibili vizi del lavoro preparatorio possono divenire altrettante came di invalidit dell'atto finale. Sembra perci opportuno (in relazione alle riserve chesi faranno in seguito sull'istruttoria e sulla motivazione degli impugnati provvedimenti) disporre che !'.Amministrazione chiarisca (ci che non risulta dagli atti) come fu costituito l'anzidetto comitato presso la Segreteria del O.I.P., ed esibisca la documentazione delle operazioni da esso compiute (quanto meno, in relazione alle specialit prodotte dalle ditte ricorrenti) posto che ai verbali della Giunta risultano allegati semplici elenchi. I ricorrenti sostengono poi che illegittimamente il C.I.P. ha delegato alla Giunta l'emanazione dei provvedimenti. L'art. 3 D.L. 15 settembre 1947, n. 896, consente, in caso d'urgenza, la sostituzione della Giunta al Comitato, salvo ratifica. In effetti, l'urgenza segnalata dal Ministro della Sanit nel verbale 26 ottobre 1960, ed questione di merito, che il giudice di legittimit non pu sottoporre a sindacato; la delega della Giunta contenuta nelle conclusioni del Presidente riprodotte in verbale, che, salvo le riserve che in se~ guito si esporranno sulla forma della verbalizzazione, si dichiarano approvate dal Comitato; e la ratifica segu nella seduta del O.I.P. in data 9 febbraio 1961, il cui verbale in atti. Di conseguenza, da escludere che la censura in esame sia fondata. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Liquidazione di enti superflui -Legge 4 dicembre 1956, n. 1404 Perentoriet dei termini. (Tribunale di Brescia 6 giugno 1962 -Min. Tesoro c. S.r.l. F.R.E.M.A.). Il termine di 60 giorni, previsto dall'art. 8 legge 4 dicembre 1956, n. 1404. per la presentazione delle domande di riconoscimento di crediti verso enti in liquidazione, perentoria. Per una maggior comprensione della delicata questione, sulla quale non esistono precedenti specifici (Rassegna 1961, p. 8) riportiamo integralmente la chiara motivazione della sentenza. La legge 4 dicembre 1956, n. 1404 prevede e disciplina un'apposita procedura amministrativa per la realizzazione di diritti nei confronti di determinati enti posti in liquidazione, stabilendo, in particolare, che le domande di riconoscimento dei crediti devono essere presentate nel termine di giorni sessanta dalla pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale, del provvedimento di liquidazione o di avocazione al Ministero del Tesoro delle relative operazioni. L'art. 13 della stessa legge dispone, poi, che i crediti che non sono stati fatti valere nella procedura di liquidazione possono essere soddisfatti dopo il credito che dichiara chiusa la procedura medesima, sull'eventuale residuo. Dal sistema di tali disposizioni risulta evidente che il legislatore ha inteso prevedere e disciplinare che diverse situazioni: quella che un credito sia stato fatto valere nella procedura di liquidazione, secondo le forme ivi previste, e quella, invece, che il diritto non sia stato esercitato nel corso della gestione, stabilendo, in quest'ultima ipotesi, che il creditore potr soddisfarsi soltanto sull'eventuale residuo. Non , invece, prevista, n trova luogo nel sistema sopra descritto, la terza ipotesi; cio che un credito sia stato fatto valere nella procedura, ma tardivamente. La conseguenza, nelle soggette ipotesi, allora, si che l'appellata, non avendo osservato l'onere di cui all'art. 8 della legg, deve considerarsi decaduta dal diritto di far valere il suo credito in sede di liquidazione, salvo le facolt riservatele dal disposto dell'art. 13. N si pu affermare che H termine di giorni sessanta, stabilito per la presentazione delle domande di riconoscimento dei crediti, non sia a pena di decadenza, in virt del disposto dell'articolo 152 O.p.c. Tale articolo, infatti, disponendo che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che siano dichiarati espressamente perentori, si riferisce esplicitamente ai termini per il compimento di atti del processo ed alle relative sanzioni processuali, e non , pertanto, applicabile nel caso in esame, trattandosi di termine per l'esercizio di un diritto di credito, con effetti evidentemente sostanziali. Infine appena il caso di considerare l'argomento svolto dalla difesa della Societ F.R.E.M.A., secondo cui il termine previsto dall'art. 8 legge 4 dicembre 1956 atterrebbe soltanto all'esperimento della procedura amministrativa ivi disciplinata, e sarebbe invece irrilevante qualora si adiscal'Autorit giudiziaria direttamente, all'infuori cio di tale procedura. Infatti la legge, istituendo e disciplinando un apposito procedimento per la realizzazione dei crediti nei confronti di determinati enti posti in liquidazione, evidentemente esclude che i crediti medesimi possano essere fatti valere in altro modo. Ritenuto, quindi, che la Societ F.R.E.M.A., quando chiese il riconoscimento del proprio credito, era ormai decaduta, non avendo osservato il termine previsto dall'art. 8 della legge citata~ la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado deve essere riformata e la Societ stessa deve essere condannata a rifondere all'appellante le spese e gli onorari di entrambi i gradi del giudizio. DOGANA -Azione di rimborso di diritti non dovuti Intestatario della bolletta -Legittimazione esclusiva. (Tribunale di Genova 28 maggio-12 luglio 1962, n. 1158 -Pres.: Riccomagno; Est.: Tanas -Soc_ Macchine Colorni c. Finanze.). In materia di diritti doganali, legittimato a chiedere il rimborso dei diritti non dovuti solo l'intestatario della bolletta doganale. L'art. 29 della legge doganale, infatti riconosce tale diritto al solo .contribuente , intendendo non certo tutti i possibili ed eventuali soggetti passivi dell'obbligazione, ma soltanto quello, fra i debitori, che ha adempiuto l'obbligazione, essendosi con questo ultimo consolidato il rapporto tributario. La clausola di vendita di una merce franco sdoganata non esclude che l'operazione di sdo ganamento sia effettuata a nome e per conto del l'acquirente nazionale, in conformit all'intesta zione della bolletta. QUESTIONI DI LEGITTIMAZIONE, IN TEMA DI RThIBORSO DI IIYIPOSTE NON DOVUTE. 1) Colui che ha pagato una imposta non aov.uta ha certamente diritto a ripeterla; e si pu ammettere che la natura della sua azione non muti per il fattoche il vincolo. fosse in origine esistente, e solo sue ' ' -159 ()essivamente sia venuto a mancare (Cassazione 7 febbraio 1962. n. 235, Foro it. 1962, I, 676). Jlfa non sempre agevole distinguere, nel gioco ella traslazione, chi ha sopportato l'onere della imposta, e chi possa dirsi solvens dell'imposta nei Confronti dello Stato. La sentenza annotata ha il merito di avere esattamente risolto questo problema, .apparentemente modesto, ma non privo di importanza pratica. La soluzione di questo problema sembra discen. dere senza difficolt dal tenore letterale dell'art. 2033 C.c.; Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ci che ha pagato . Pare evidente che solo colui che ha effettuato un pagamento .abbia un simile diritto verso colui che l'ha ricevuto. La dottrina qualifica quest'azione come strettamente personale, tale, cio, che non possa essere esperita se non dal solvens contro l'accipiens (BARBERO; Sistema istituzionale del diritto privato, vol. II, p. 722); e questi elementari concetti sono stati spesso ribaditi dalla giurisprudenza (Cassazione 1 agosto 1960, n. 2253; Cassazione 9 luglio 1960, n. 1842; Cassazione 6 dicembre 1954, n. 4396), che ha messo in rilievo il ristretto ambito dell'azione, circoscritta fra il solvens e l'accipiens. Concetti elementari, si detto. Eppure, non sono mancate decisioni, nelle quali la ripetizione di indebito venne estesa oltre l'ambito sopra accennato, ammettendo all'azione anche la persona dalla cui legittima disponibilit furono sottratte le cose, in buona o mala fede {Cassazione 14 luglio 1949, n. 1801, Foro it. 1950, I, 1185 con nota critica di Distaso, e Giur. Compl. Cass. Civ. 1950, I, 278, pure con nota contraria di Longo). Infiu senza dubbio su questo orientamento il diritto romano, al quale, del resto, la sentenza test citata fece ampi e frequenti richiami; ma non meno decisamente influ lo sta~o della giurisprudenza anteriore, alla quale la Suprema Corte ritenne di uniformarsi, senza accorgersi che la regolamentazione separata della condictio indebiti e dell'arricchimento inde. bito, introdotta dal codice del 1942, doveva condurre a diverse conclusioni. Se, infatti, vero che l'azione di arricchimento genericamente concessa alla persona che ha rice vuto un danno dall'arricchimento altrui (art. 2041 O.e., intestato appunto azione generale di arric chimento), per contro l'azione di ripetizione di indebito ammessa -come giustamente osserva il Longo -solo a favore di << chi ha eseguito un pagamento non dovuto (art. 2033), chi ha paga to un d,ebito altrui>) (art. 2036), colui che ha dato una cosa determinata (art. 2037). Nonostante la chiarezza di queste norme, anche in tema di rimborso di imposte questi concetti o non sono stati tenuti presenti, o hanno subito pericolose deformazioni nella loro pratica applicazione. Un caso tipico fu offerto dalla sentenza 10 luglio 1961 della Corte d'Appello di Genova (Dir. prat. trib. 1961, II, 359). Una societ aveva fornito ad un cliente alcuni macchinari, e aveva regolarmente assolto sul corrispettivo in danaro l'imposta sull'entrata, rivalendosene, peraltro, sull'acquirente, cos come la legge le permetteva (art. 6 legge 19 giugno 1940, n. 762; art. 14 D.L. 3 maggio 1948, n. 799). A sua volta l'acquirente, dopo aver rimborsato il venditore, accortosi che l'imposta non era dovuta, ritenne di poter agire direttamente contro la Finanza, per sentir ordinare a quest'ultima il rimborso a suo favore di una imposta che, non lui, ..ma il suo dante causa aveva pagato all'erario. In questa situazione la Corte di Genova consider ammissibile l'azione, cos argomentando: Dato il vincolo solidale esistente fra le due Societ in ordine all'obbligo del pagamento dell'imposta, il rimborso effettuato dalla societ B (contribuente inciso) alla societ A (contribuente percosso) ha operato ex lege la surrogazione del solvens nei diritti della societ A verso l'Amministrazione finanziaria dello Stato a norma dell'art. 1203 O.e. Secondo il disposto del suddetto articolo, la surrogazione ha luogo di diritto, fra l'altro, a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri e per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo. Nella specie il vincolo fra solvens ed accipirns ancora pi saldo, e l'interesse del solvens al soddisfacimento del debito si identifica addirittura nello obbligo del pagamento; onde appare evidente come nel caso in esame ricorrano, a maggior ragione, i presupposti della surrogazione legale . Si pu rendere omaggio allo spirito di equit che volle informare questa decisione, ma l'argomento addotto non pu certamente convincere. La surrogazione ex art. 1203 n. 3 O.e., infatti, porta unicamente alla conseguenza che il condebitore solidale che ha adempiuto l'obbligazione, surrogato nei diritti del creditore verso gli altri condebitori (cfr. Cassazione, 20 ottobre 1959, n. 2996). Nel caso preso in esame dalla Corte di Genova, il creditore era lo Stato, ed i condebitori le due societ; e basta tener presente la configurazione del rapporto, per escludere una surrogazione di un condebitore nei diritti del condebitore verso il comune creditore. Del resto, quale sia il vero meccanismo della surrogazione appare chiaro nel particolare caso dello indebito soggettivo, regolato dall'art. 2036, terzo comma; il solvens surrogato nei diritti del creditore verso il vero debitore (cfr. Appello Brescia 28. ottobre 1960, Giur. it. 1962, I, 2, 110), secondo il congegno caratteristico della surrogazione legale del 1203 O.e., n. 3, con la sola differenza che il solvens, nell'indebito soggettivo, non tenuto al pagamento, n con il vero debitore, n per il vero debitore. Ma il fatto che A abbia rimborsato a B il pagamento da questi effettuato al comune creditore O , non autorizza A a scavalcare B , nel ripetere a O l'indebito. Un siffatto scavalcamento non trova alcuna base dogmatica nella surrogazione legale. Anche volendo ravvisare in B il creditore (quale avente diritto verso lo Stato al rimborso dell'indebito) non possibile configurare A come colui che, esse/(bd,o tenuto con lo Stato o per lo Stato al pagamento, av'rietario della merce , cio al dichiarante, o a colui che considerato tale (arti colo 16). La bolletta viene rilasciata al proprietario anche se questi rappresentato da spedizioniere o da altro mandatario, i quali, pur assolvendo mate rialmente il dazio, agiscono in nome e per conto del proprietario (art. 17). Nella pratica doganale, la bolletta non che la dichiarazione, che si converte in bolletta mediante la registrazione e la riscos sione dei diritti. Il solvens , quindi, il dichiarante. Nei confronti della dogana non ha rilevanza alcuna che material mente altri (generalmente uno spedizioniere) si sia per lui presentato in dogana, e abbia proceduto al pagamento. Solo l'intestatario della bolletta legit timato a chiedere il rimborso del dazio, esibendo la bolletta in suo possesso. Occorre, in altre parole, che il presentatore della bolletta ne sia anche l'inte statario, poich solo da questa coincidenza pu derivare quella veste di contribuente che ha pagato pi del dovuto che legittima la domanda di rimborso in base all'art. 29 della legge doganale. Su questo punto -e cio, sull'insufficienza del solo possesso della bolletta per legittimare una do manda di rimborso -le conclusioni cui giunta la sentenza annotata sono ineccepibili. La bolletta non certamente un titolo di credito al portatore. Esiste un caso -e un caso solo -in cui la legi slazione doganale ammette la girata della bolletta, ed il caso delle bollette di esportazione di merci, ammesse a restituzione di diritti (art. 260 Reg. doganale, modificato con D.P.R. 12 ottobre 1956, n. 1460). Ma questa girata, che le istruzioni ministeriali circondano di particolari cautele (fra l'altro, il giratario deve, in carta bollata autenticata_ d frequentissimo in questi rapporti. In effetti, molto spesso il venditore della merce estera, titolare della lioenza di importazione, limita la sua opera all'operazione on l'estero, sfruttand<> allo scopo i suoi ingenti capitali e l'apposita attrezzatura. Per le grandi imprese di scambi con l'estero, lo sdoganamento rappresenta una operazione marginale, che viene lasciata all'aoquirente (proprietario e soggetto del rapporto doganale) o viene materialmente compiuta da dipendenti della ditta titolare della licenza, ma sempre nell'interesse ed a spese dell'acquirente- dichiarante. In realt, la clausola franco confine sdoganata , che spesso viene pattuita nelle vendite di meroi estere, ha lo scopo di agevolare l' applioazione della imposta sull'importazione, che va calcolata sul valore della merce, aumentata dei dazi doganali e di ogni altro diritto dovuto per lo sdoganamento (art. 18 legge 19 giugno 1940, n. 762). In pari tempo, per, la ditta titolare della licenza di importazione ha interesse a non figurare oome dichiarante (oio, titolare del rapporto doganale), perch in tal caso le sucoessive vendite nello Stato verrebber<> assoggettate ad imposta sull'entrata. Queste considerazioni svelano il vero scopo dell'intestazione della bolletta direttamente all'acquirente nazionale e non al titolare della licenza di importazione; un<> scopo pratico, essenzialmente anti-fiscale. Per raggiungerlo senza pregiudicare la rapidit dell'operazione di sdoganamento, entra in funzione la clausola franoo confine sdoganata , che permette al titolare della licenza di compiere le necessarie operazioni a spese e in nome del dichiarante, che ha acquistat<> la merce all'estero. Ma se cos, giusto che solo l'intestatario della bolletta possa chiedere il rimborso di diritti che egli ha gi anticipato al venditore, <> che ha direttamente pagato alla dogana per ottenere lo sdoganamento. ADRIANO OHIOCO IMPOSTA DI REGISTRO -Sentenza di condanna a risarcimento di danni per occupazione illegittima Condanna al pagamento del valore venale dell'immobile. (Corte d'Appello di Palermo, 23 febbraio 1961 -Pres.: Micela; Est,: Scarpulla -Finanze riet. Pur non contestando la difficolt giuridica di -configurare un regolare e formale trasferimento della propriet nelle statuizioni della precisata .sentenza, riteniamo che la conclusione accolta dalla Oorte di merito sia indubbiamente semplici. stica e sia contaminata dal vizio di non avere considerato gli aspetti di specie del rapporto giu: ridico sottoposto al suo esame e le particolari -disposizioni della legge del registro. * * * Va anzitutto tenuto presente che la Oorte di Palermo ha completamente omesso di considerare le conseguenze giuridiche del fatto che il bene immobile dei Castellucci era stato dal Oomune di Palermo appreso e reso strada pubblica, cio destinato alla pubblica funzione della viabilit. Tale destinazione, pacificamente ammessa dai giudici di merito e concordemente riconosciuta dalle parti, comportava la sottoposizione di quell'immobile al regime del demanio pubblico. L'apprensione dell'immobile e la destinazione di esso a strada, il suo inserimento nell'elenco dei beni formanti oggetto del demanio stradale, rendevano impossibile la coesistenza di un qualunque diritto o pretesa dominicale dei Oastellucci sull'immobile. Il bene immobile de quo non poteva essere pi ;suscettibile di privato dominio e veniva a trovarsi in una situazione giuridica che postulava ex natura -rerum la sua esclusiva utilizzazione uti civis (diritti civici): uso ordinario generale del bene pubblico, che esclude qualunque pretesa dominicale da parte di privati. Si era venuto cos a realizzare il trasferimento della propriet del bene occupato, vero, senza l'osservanza delle leggi sull'espropriazione per p. u., ma per il quale il Tribunale di Palermo, adito dai proprietari del terreno, con la sentenza 11 giugno-26 agosto 1958, ha attribuito l'intero valore venale del terreno a prezzo normale di trasferimento calcolato come in una libera contrattazione. In seguito a tale decisione, quindi, il patrimonio dei Oastellucci definitivamente evitto del terreno de quo stato proporzionalmente reintegrato con una somma di danaro corrispondente al valore dello stesso, come se fosse stato liberamente venduto. * * "' .All'assorbente argomento test esposto segue, a nostro avviso, il rilievo di non avere la Oorte di merito considerato che ai fini tributati non aggiunge o toglie nulla l mancanza di un formale titolo di trasferimento e che, diversamente argomentando, il sorgere dell'obbligo per l'imposta di registro verrebbe fatto dipendere dalla volont dei due soggetti fra i quali intervenuto lo scambio del terreno con la somma di danaro mentre in realt il debito d'imposta nasce nel momento stesso in cui si verifica quella particolare situazione di fatto, alla quale la legge ricollega l'imposta di registro, costituente il presupposto del tributo. Nella specie il presupposto ipotizzato dall'articolo 1 della tariffa allegato A alla legge del registro non vi ha dubbio che si verificato con il passaggio in giudicato della sentenza che ha attribuito ai Oastellucci l'intero valore venale del terreno. I soggetti processuali del giudizio definito con quella sentenza possono anche non avere pi alcun interesse al provvedimento formale che dispone il trasferimento del bene: pu tale provvedimento condizionare il sorgere dell'obbligazione tributaria? La Oorte palermitana non ha tenuto conto che il pagamento dell'integrale valore venale del terreno svuota di ogni contenuto il diritto di propriet sul terreno stesso e determina quella situazione ben nota al diritto romano classico: la sopravvivenza della propriet quiritoria, ridotta a nudum nomen, accanto alla propriet pretoria, che tutela anche contro il dominus, la cui rivendicatio paralizzata dall'ewceptio doli. Anche secondo il nostro ordinamento giuridico il titolare di questo apparente diritto di propriet, ombra vana fuor che nell'aspetto, non legittimato ad esercitarlo in alcun modo. Forse che egli potr invocare in suo favore il diritto d'accessione ex art. 934 O.e. e pretendere di acquistare per accessione la propriet dell'opera pubblica eretta dalla P.A. GIAM:MAJ (Oassazione, 19 giugno 1961, n. 1440). Oos, sempre a m d'esempio, non pu dubitarsi che, ai fini dell'imposta di successione, non possa essere sottoposto a questo tributo un immobile, gi esistente nel patrimonio del de cuius, che sia stato oggetto di ablazione da parte della P.A., la quale abbia poi, prima dell'apertura della successione, corrisposto l'intero valore del terreno. La decisione di codesta Suprema Oorte del 30 ottobre 1959, n. 3204 che la Oorte d'Appello di Palermo ha ritenuto di richiamare in autorevole appoggio al proprio decisum si riferiva a fattispecie diversa. Nel caso di questa esisteva il formale provvedimento di espropriazione; comunque, ai fini della questione tributaria in esame, le statuizioni di quella decisione non contrastano con il nostro ordine di ragionamento. Oon quella sentenza codesto Supremo Oollegio ha affermato il principio che nel caso di impossibilit di restituzione del bene la pronuncia che attribuisce l'intero valore vena.le FPE ,m::;;m FPE ,m::;;m -163 del terreno a prezzo normale di trasferimento non di ostacolo all'esercizio del potere di espropriazione della Pubblica .Amministrazione (Sentenza n. 66 del 1959). Del pari codesta Suprema Corte ha affermato che se, dopo la pronuncia del risarcimento dei danni, non interviene il decreto di espropriazione, il trasferimento di propriet del bene non pu avere luogo se non per mezzo di un contratto di compravendita o di un atto a contenuto negoziale, in genere, nel quale al prezzo viene sostituita la somma liquidata a titolo di equivalente del bene, elemento base per il risarcimento del danno. Ci in quanto, nel caso in cui espropriante sia la pubblica amministrazione siincorrerebbe nell'assurdo giuridico di sostituire il giudice ordinario alla pubblica amministrazione nel perfezionamento della espropriazione. Ma a tale richiamo evidentemente non giova alla questione da decidere essendo evidente che laddove vi provvedimento di esproprio o atto negoziale il problema non sorge. Il thema decidendum un altro: qual' la disciplina tributaria cui va soggetta la decisione giudiziaria che attribuisce l'intero valore venale dell'immobile a prezzo normale di trasferimento del quale il proprietario stato privato dalla P . .A. fuori delle previsioni di legge quante volte manchi l'atto che disponga il formale trasferimento della propriet ? allora possibile ammettere che l'obbligazione tributaria sia affidata aUibito dei soggetti di quel rapporto processuale ? Di modo che se per un motivo qualsiasi il provvedimento che regolarizza formalmente la titolarit del diritto reale non viene ad esistenza, perci stesso non sorge l'obbligazione dell'imposta di registro. Tale conclusione viola manifestamente gli articoli 8 e 18 della legge del registro. Infatti, l'art. 8 di questa prevede che le tasse di registro debbano essere applicate secondo l'intrinseca natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. E nella specie gli elementi che postulano la conclusione cui la finanza ritiene debba pervenirsi sono senza dubbio pi ampi di quelli richiesti dall'art. 8 citato. Non pu, al riguardo, omettersi di considerare che il Comune di Palermo ha perfino inquadrato quel terreno fra i beni demaniali, in relazione al combinato disposto degli artt. 822 e 824 O.e., destinandolo a strada s che questo elemento basterebbe per provare l'avvenuto, pieno e irrevocabile trasferimento della propriet del bene ai Castellucci per conseguire la cancellazione dell'immobile di loro propriet dai registri catastali mentre si venuta in tal modo a realizzare una situazione giuridica che sopravanza quella contemplata dall'art. 18 della legge del registro. E anche se si volessero obliterare tali considerazioni che pure dimostrano con dovizia di argomenti essersi nella specie verificata una situazione giuridica assimilabile pienamente a quella di un vero e proprio trasferimento immobiliare, la sentenza della Corte di merito avrebbe, del pari per altro verso, consumata una violazione dello art. I della tariffa allegato A) alla legge del registro. Invero nella sentenza denunciata non dedicata alcuna considerazione alla circostanza che,. anche se si conviene nel mancato trasferimentodella propriet del terreno, tuttavia quella decisione riconosce in pari tempo il pieno diritto in favore del Comune di Palermo di godere permanentemente del fondo: il che riporta la sentenza de qua sotto la disciplina tributaria del n. I della tariffa allegato A alla legge del registro, per essersi verificato il trasferimento dell'uw o del godimento del bene immobile. Tale situazione pur essendo stata lumeggiata. dalla difesa dell'Amministrazione non stata oggetto di alcuna considerazione da parte della. Corte che si limitata ad affermare l'inesistenza. del trasferimento di propriet, incorrendo cos manifestamente nella violazione delle norme ri- chiamate. OBBLIGAZIONI -Obbligazioni solidali -Sentenza pronunziata tra il creditore ed uno dei condebitori in solido -Inefficacia contro gli altri condebitori. PRESCRIZIONE -Praescriptio (ex iudicato -Inappli cabilit nei confronti del condebitore solidale (non. condannato). La sentenza pronunziata tra il creditore ed uno dei condebitori in solido non ha effetto contro. gli altri condebitori solidali (estranei al processo) nemmeno per quanto attiene alla trasformazione della prescrizione breve (nella specie: biennale). in decennale a seguito di intervenuto giudicato. sulla condanna (Tribunale Napoli, 6 maggio10 giugno 1960, n. 3347, I Sezione Civile Pres.:. dott. Pisani; Rel.: prof. La Rocca e Corte .App. Napoli, 1 giugno-26 luglio 1962, n. 1395; II Sezione Civile, Pres.: dott. Marmo; Rel. dott. Mililotti in causa .Angelotti con il prof. avv. Porzio. contro .Amministrazione della Difesa-Esercito con l'Avvocatura dello Stato). Con le sentenze di cui si riportata la massima,. Tribunale (1) e Corte di Appello di Napoli hann<> risolto in senso negativo la questione dell'estensione della prescrizione da giudicato al coobbligato solidale non condannato. (1) La citata sentenza del Tribunale riportata in. Diritto e Giurisprudenza, 1961, p. 151, con nota favo~ revole del prof. Scuto, nella quale, peraltro, dopo una minuziosa esposizione dei principi regolanti le obbligazioni solidali, si trascura il punto centrale della questione risolta dalla sentenza, lasciando l'impressione che non si distingua a sufficienza tra tale questione e l'altra della trasformazione o meno della pr~!c:rizione. breve in decennale a seguito del passaggio in giudi-'--cato di sentenza sul solo an debeatur, questione questa ultima, cui si accenner qui appresso, e la sola strettamente collegata alla portata dell'espressione sentenza. di condanna>>, Usata nell'art. 2953 0.C. -164 - Benvero, nella specie, l'attore, atteso che il conducente di un autoveicolo dell'Amministrazione della Difesa-Esercito era stato condannato con sentenza passata in giudicato a risarcirgli il danno da lui subito in un incidente automobilistico, chiedeva la -0ondanna dell'anzidetta Amministrazione al pagamento della somma liquidata in quella sentenza e delle spese ivi accordate, oltre a quelle relative alla registrazione ed alle successive dell'esecuzione (infruttuosa) nei confronti del conducente stesso, il tutto con gli interessi e con vittoria di spese ed onorari del processo all'uopo instaurato. In tale pro- 0esso, partendo appunto dalla circostanza del mancato soddisfacimento a carico del conducente medesimo e dalla responsabilit con lui della menzionata Amministrazione, l'attore sosteneva. l'applicabilit nei confronti di questa della prescrizione decennale ex indicato e addirittura che pure le statuizioni sull'an e sul quantum contenute nella sentenza pronunziata nei confronti del solo conducente non potes (2) Non era arrivato per vero l'attore ad eseguire senz'altro quella sentenza anche nei confronti dell'Amministrazione della Difesa-Esercito, rendendosi evidentemente conto solo per questo dell'erroneit della sua tesi, ma se ci avesse tentato sarebbe stato forse pi conseguente giacch nella causa instaurata contro la anzidetta Amministrazione questa, a suo avviso, avrebbe dovuto solo ... lasciarsi, in definitiva, condannare alle ... ulteriori spese del relativo giudizio ... che di vero e proprio giudizio a'7rebbe avu~o ben poco. Conferma dell'insostenibilit di una tale tesi , pure, del resto nelle conseguenze pratiche che essa comporterebbe. Senza andare molto lontano nelle ipotesi baster pensare che un qualsiasi danneggiato anzich convenire in giudizio, poniamo, l'Amministrazione della Difesa-Esercito, quale proprietaria di un autoveicolo, convenga il conducente, gi militare di leva e quindi in congedo (onde l'Amministrazione pu non averne notizie e con ogni probabilit non ne avr) davanti a un qualsiasi Tribunale d'Italia, dove, come quasi sempre accade in casi del genere, il convenuto resti contumace (come accaduto nella specie) o compaia senza molto dire, cosi indirettamente avvalorando, pi o meno, le pretese attrici; con il passaggio in giu< licato della sentenz emessa in un tal giudizio l'attore chiamerebbe poi in causa l'Amministrazione perch questa fosse condannata a pagare la somma liquidata in quella sentenza con le relative spese senza nulla poter dedurre e con l'obbligo di dover pagare pure le spese. di questa sorta di giudizio di delibazione, non previsto dalla legge. Si potrebbe obbiettare che il responsabile civile, il quale non sia parte nel processo penale, pu trovarsi in un'analoga situazione; ma, innanzitutto, la situazione potrebbe essere analoga non identica, sotto vari aspetti, ad esempio per il motivo, cui ora qui di seguito si accenner, e, poi, soprattutto, per la posizione del responsabile civile rispetto alla sentenza pronunciata nel processo penale, in cui egli non sia intervenuto, nonostante la nota efficacia erga omnes del giudicato penale e forse appunto in relazione alle questioni che potevano farsi derivare dalla na sero put porsi in discussione dalla convenuta, la quale avrebbe dovuto soggiacere sic et simpliciter a quelle statuizioni (2). Orbene, la avversa tesi sotto entrambi gli accennati aspetti in contrasto con il fl:jsposto dell'articolo 1306 O.e., primo comma. Pi evidente il contrasto laddove si sostiene che le statuizioni sull'an e sul quantum contenute nella sentenza pronunziata nei confronti di uno dei coobbligati solidali non possano piu porsi in discussione dagli altri coobbligati solidali, pure a voler introdurre temperamenti alla stregua di una distinzione tra fatti accertati e fatti non accertati ai quali solo potrebbe limitarsi la difesa di quei convenuti, giacch tale distinzione sarebbe del tutto arbitraria rispetto al processo civile, priva come di fondamento nella legge (3). N in contrario pu con giuridica rilevanza addursi come si faceva ex adverxo nel caso di specie, da cui trae spunto questa nota, la mancanza di autonomia tra le posizioni dei conde- tura privatistica del rapporto su cui quello pu per ipotesi incidere, si dettata l'apposita norma dell'art. 27 C.p.p., la quale non pu, quindi, ovviamente, applicarsi oltre i limiti previsti e perfino sostituire il disposto dell'articolo 2909 negli stessi processi civili, sia pure per particolari casi, i soli in definitiva, come meglio si vedr, rilevanti. Del resto, la norma dell'art. 27 C.p.p., a parte l'efficacia erga omnes del giudicato penale in antitesi all'efficacia inter partes del giudicato civile, non potrebbe portare alle aberranti conseguenze sopra ipotizzate in rapporto ai giudizi civili in quanto da un canto non essendo il processo penale procrastinabile come quello civile e dall'altro essendo la competenza del giudice penale determinata senza possibilit di fori alternativi o di deroga, almeno in principio, consentito al responsabile civile di acclarare facilmente la pendenza del processo penale a carico di colui per il cui fatto anch'egli tenuto a di intervenire quindi, se vuole, nel processo stesso, in considerazione degli effetti previsti nel citato art. 27 C.p.p. (3) Il RuBINO in: Delle Obbligazioni nel Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, BolognaRoma, 1957, a pag. 239 testualmente afferma: l'inefficacia, verso gli altri consorti, di una sentenza sfavorevole importa, ~ caso di solidariet passiva, che il debitore non solo non pu valersi direttamente contro gli altri debitori di una sentenza di condanna ottenuta nei confronti del primo debitore, cio valersene come titolo esecutivo per procedere senz'altro ad esecuzione forzata, ma neanche pu promuovere un nuovo giudizio di cognizione tendente meramente ad accertare che la questione, decisa nel primo processo, si intenda decisa anche nei riguardi degli altri debitori ... bensi deve fare in pieno e per l'intero debito un nuovo processo che formalmente non in alcun modo influenzato dal primo: cio in esso il creditore deve riperc_grre.re .-nuovamente e per intero l'iter delle prove e il nuovo convenuto pu liberamente opporgli qualsiasi eccezione che gli competa, sicch il nuovo processo pu anche avere esito diverso dal primo! 165 bitori solidali, mancanza di autonomia che per quanto interessa dobrebbe appunto dimostrare (4) o, anche, argomentarsi dalla particolare disciplina del giuramento contenuto nell'art. 1305 O.e., la quale, > (n. 30). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ACQUISTO DI IMMOBILI DA PARTE DELLE AMMINISTRA ZIONI DELLO STATO. 1) s sia necessaria l'autorizzazione governativa per gli acquisti di immobili fatti dalle Amministrazioni dello Stato (n. 264). 2) Se per gli acquisti di aree occorrenti per la ese< iuzione delle opere previste dal D.L. 1947 n. 261, fatti a titolo gratuito, le Amministrazioni debbano unifor marsi alle norme della legge 5 giugno 1850, n. 1073 (n. 264). CASSA PER IL MEZZOGIORNO -DIPENDENTI ASSUNTI CON CONTRATTO A TERMINE. 3) Se le norme sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, dettate con la legge 18 aprile 1962, n. 230, siano applicabili ai contratti di lavoro per il personale assunto direttamente dalla Cassa del Mezzogiorno non proveniente dalle Amministrazioni dello Stato o dagli altri enti pubblici (n. 265). OssERV_ATORIO GEOFISICO DI TRIESTE. 4) Se l'Osservatorio Geofisico di Trieste possa fruire del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ai sensi dell'art. 43 del T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 con riferimento al R.D. 27 marzo 1939, n. 654 (n. 266). ANTICHITA' E BELLE ARTI OPERE D'ARTE ABBANDONATE IN DOGANA. 1) Se esistano norme che consentano l'apprensione da parte dello Stato delle opere d'arte abbandonate in Dogana (n. 48). ZONE VINCOLATE -LAVORI ESEGUITI SENZA AUTORIZ ZAZIONE. 2) Se l'Amministrazione debba procedere in via amministrativa alla sospensione o alla demolizione di lavori eseguiti senza autorizzazione in zone vincolate o soggette a vincolo ovvero se debba ottenere provvedimento dall'Autorit giudiziaria (n. 49). APPALTO IMPOSTA FISSA DI REGISTRO -CONTRATTO DI APPALTO. 1) Se sia fondata la richiesta di un'impresa, che ha stipulato un contratto di_ appalto con l'Amministrazione dei Lavori Pubblici, tendente ad ottenere il rim borso dell'imposta ordinaria di registro pagata dalla impresa stessa per effetto di decadenza dal beneficio della registrazione a tassa fissa, conseguente a tardiva registrazione dell'atto di cottimo (n. 264). Nuovo CAPITOLATO GENERALE DI APPALTO PER LE OPERE DI COMPETENZA DEL MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI. 2) Quali siano i riflessi del Nuovo Capitolato Generale approvato con D.P. 16 luglio 1962, n. 1063 sugli appalti di opere pubbliche stipulati prima della sua entrata in vigore (n. 265). REGIONE SICILIANA -LEGGE REGIONALE. 3) Se la legge regionale 18 luglio 1961, n. 10 che detta norme particolari per la disciplina degli appalti di opere pubbliche nella Regione Siciliana si applichi anche alla esecuzione di gare pubbliche affidate dallo Stato in concessione alla Regione (n. 266). APPELLO GIUNTA PROVINCIALE AMMINISTRATIVA -CONTROLLO SOSTITUTIVO. Se la Giunta Provinciale Amministrativa possa nell'esercizio di poteri di controllo sostitutivo appellare contro una sentenza di Tribunale assolutoria di amministratori comunali dall'azione di responsabilit intentata dal Comune (n. 6). AVVOCATI E PROCURATORI OSSERVATORIO GEOFISICO DI TRIESTE. Se l'Osservatorio Geofisico di Trieste possa fruire del patrocinio dell'Avvccatura dello Stato ai sensi dell'art. 43 del T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 con riferimento al R.D. 27 marzo 1939, n. 654 (n. 57). [Q[@ 5f: 5v=t EL!MEJ~ffil&w1wr1;g :z=rnJ ma Ml Mi E 168 CACCIA E PESCA CREDITO PESCHERECCIO -APPLICAZIONE LEGGE 27 DICEMBRE 1956, N, 1457. Quali siano i provvedimenti che l'Amministrazione deve adottare nel caso di sottrazione da parte dei mutuatari dei beni sottoposti al privilegio previsto dall'articolo 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1457 che ha istituito un fondo di rotazione per l'esercizio del credito peschereccio (n. 22). CINEMATOGRAFIA SPETTACOLI CINEMATOGRAFICI -DIVIETO DI A:l