PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SERVIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO XIV -N. 7-9 Luglio-Settembre 1962 NOMINA DELL'AVV. GIOVANNI ZAPPAL AD AVVOCATO GENERALE DELLO STATO Con decreto del Presidente della Repubblica del 9 giugno 1962, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri, il Vice .Avvocato Generale dello Stato Giovanni Zappal stato nominato .Avvocato Generale dello Stato. L'avv. Giovanni Zappal, nato il 9 novembre 1906 a Trecastagni (Catania), entrato a far parte dell'Avvocatura dello Stato nel 1930 con la nomina di .Aggiunto procuratore. Nel 1934, in seguito a concorso per esami, venne nominato sostituto avvocato e nel 1938 sostituto segretario generale. Nel 1940 gli furono conferite le funzioni di segretario generale che ha esercitato fino al 1955, quando venne promosso vice avvocato generale. Dal 1958 ha esercitato le funzioni di vice avvocato generale vicario. L'avv. Zappal, chiamato a partecipare alla direzione dell'Istituto dall'avvocato generale Scavonetti, stato da.11940 il pi immediato e diretto collaboratore, prima dell'avvocato generale Giaquinto e poi, durante sedici anni, dell'avvocato generale Scoca. Durante la sua. lunga carriera, l'avv. Zappal ha partecipato a numerose commissioni di studio e collegi amministrativi, tra cui la commissione per la riforma della Pubblica .Amministrazione e della legge sulla contabilit generale dello Stato ed il Consiglio di amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni. I redattori e collaboratori della Rassegna mentre partecipano alla soddisfazione comune per la nomina di Giovanni Zappal ad .Avvocato Generale, degno coronamento d'una appassionata attivit dedicata per oltre trent'anni al' nostro Istituto, salutano con particolare gioia colui che della Rassegna stato ed l'ispiratore e la guida illuminata e inflessibile. E' !ffi~TIRITilfimL~-~ I I IL NUOVO CAPITOLATO GENERALE n~APPALTO ! Oon decreto del Presidente della Repubblica del 10 luglio 1962, n. 1063 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 198 del 7 agosto 1962) stato approvato il nuovo capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, di cui appresso pubblichiamo il testo. Si conclude, cos, una lunga vicenda, che ha avuto momenti di particolare intensit le cui fasi sono ben note ai lettori di questa Rassegna (v. 1955, p. 177 e segg.; 1958, p. 4, 46, 73 e 116). Sembra utile richiamare ora gli aspetti pi salienti per chiarire le ragioni e la portata delle principali innovazioni di particolare interesse, attinenti alla materia della risoluzione delle controversie. Oom' noto i principi fondamentali in materia nel vecchio capitolato generale erano: 1) l'obbligatoriet dell'arbitrato; 2) la non impugnabilit del lodo per violazione delle regole di diritto; 3) la composizione del collegio esclusivamente con arbitri di nomina eteronoma; 4) l'obbligo del deposito anticipato di una somma a garanzia delle spese ed onorari degli arbitri. Nel nuovo capitolato generale questi principi sono stati decisamente abbandonati. Infatti: 1) l'llirbitrato non pi obbligatorio, essendo consentito alla parte attrice di adire, invece degli arbitri, il giudice ordinario ed alla parte convenuta in sede arbitrale di declinare la competenza degli arbitri obbligando l'attore ad adire il giudice ordinar!o; 2) il lodo impugnabile con tutti i mezzi consentiti dal Oodice di procedura civile, compresa, quindi, l'azione di nullit per violazione delle regole di diritto alla cui osservanza gli arbitri sono vincolati; 3) dei cinque arbitri che compongono il collegio, tre sono di nomina eteronoma, due, invece, sono nominati dalle parti; 4) soppresso l'obbligo del deposito anticipato delle spese arbitrali. Per rendersi conto della portata di questa radi cale trasformazione dell'istituto necessario ricor dare le ragioni che sono state addotte in passato a sostegno degli opposti principi gli uni accolti dal vecchio capitolato, gli altri dal nuovo. Era dato cogliere in passato il punto di contrasto fondamentale sopratutto nella diversa soluzione data dai sostenitori delle opposte tesi al quesito che costituisce la premessa logica e giuridica di tutto il problema della sistemazione normativa dell'istituto della definizione delle controversie atti nenti al contratto di appalto di opere pubbliche reputando gli uni che le norme del capitolato avessero natura di clausole contrattuali, ritenendo gli altri all'opposto che si trattasse d'un atto che pone norme di diritto oggettivo. I sostenitori della tesi secondo la quale il capitolato avrebbe avuta natura contrattuale ne facevano derivare la conseguenza che le sue clausole in quanto traenti la loro forza obbligatoria dalla volont comune delle parti, potrebbero derogare a norme di legge di carattere dispositivo, come quella dell'art. 829 O. p. c. che stabilisce l'impugnabilit del lodo arbitrale per violazione delle regole di diritto (la facolt di deroga ammessa nello stesso articolo); inoltre poich, secondo la tesi contrattualistica, le clausole del capitolato dovrebbero considerarsi inserite nei singoli contratti d'appalto come clausole di questi, chiaro che tutti gli articoli relativi alla risoluzione delle controversie si dovrebbero considerare alla stregua d'una clausola compromissoria che, concernendo materia com promettibile, vincolerebbe le parti anche per quanto riguarda l'obbligatoriet dell'arbitrato, il modo di nomina degli arbitri, il loro numero, i loro poteri, l'obbligo del deposito anticipato delle spese e, come s' detto, la non impugnabilit del lodo per violazione di legge. Gli argomenti che sono stati in passato avanzati a sostegno della tesi contrattualistica possono cos riassumersi: 1) la legge sui lavori pubblici del 1865 (n. 2248 allegato F del 20 marzo) mentre agli artt. 346 e 364 prevede l'emanazione di un regolamento per determinare la disciplina da osservarsi in ordine alla esecuzione dei lavori ed al modo di regolarne la contabilit e la liquidazione, nonch in ordine alla procedura di collaudazione e alla verifica dell'esatto adempimento degli obblighi assunti (regolamento poi approvato con regio dereto 25 maggio 1895, n. 350), stabilisce all'art. 323 che ogni progetto dev'essere corredato di un capitolato di appalto che descriva esattamente il lavoro da eseguirsi e determini gli obblighi speciali che si impongono all'imprenditore. Nessuna menzione, , invece, contenuta nella citata legge fondamentale della emanazione di capitolati generali. Di questi si parla solo nell'art. 50 del regolamento contabilit generale 4 maggio 1885, n. 3074 (sostituito negli stessi termini dall'art. 45 del regolamento vigente approvato con regio decreto 23 maggio 1924, n. 827) il quale stabilisce che i capitolati d'oneri per ogni genere di contratto possono dividersi ove sia necessario in generali e speciali e sono approvati da ciascun ministero. Da ci si vorrebbe desumere che il legislatore ha posto sullo stesso piano capitolati generali e speciali e come questi ultimi non contengono certo norme di diritto obiettivo cos non ne possono contenere quelli, tanto pi che per la emanazione di capitolati generali mancherebbe una delega legislativa analoga a quella sulla cui base stato emanato il citato regolamento del 1895 sulla contabilit, direzione e collaudazione dei lavori; 2) le norme del capitolato generale possono essere, sia pure eccezionalmente, derogate:-qu-esta possibilit riconosciuta implicitamente dall'art. 7 della legge di contabilit ed esplicitamente dagli artt. 107, 108 e 1-09 del relativo regolamento; i quali, peraltro, prescrivono che sia sentito il parere -65 del Oonsiglio di Stato sulla convenienza delle modifiche e che, comunque, il decreto di approvazione del contratto emani sempre dal Ministero (e non dall'autorit delegata) e sia motivato. Ora, la deroga alle norme del capitolato non sarebbe ammissibile se esso avesse na;tura regolamentare; 3) l'art. 99 del regolamento per la contabilit generale dello Stato prescrive che nei contratti dell'Amministrazione dev'essere fatta menzione dei capitolati generali d'oneri, il che rende palese che questi non sono da considerarsi norme giuridiche giacch -se cos fosse -dovrebbe prescindersi da ogni richiamo delle parti contraenti. A sostegno della tesi suesposta stata richiamata una isolata sentenza della Oorte Suprema, n. 448 del 1945, nella quale, si legge testualmente che: Il regolamento contrattuale preparato ed imposto all'Amministrazione viene ad avere applicazione nel caso concreto in virt della conclusione del contratto, che ha luogo sulla accettazione dei patti prestabiliti dall'Amministrazione stessa, i quali -per l'interesse pubblico che prevale -segnano i limiti della autonomia della volont dei contraenti . Agli argomenti sopra enumerati, sono state contrapposte le seguenti osservazioni: 1) Appare anzitutto irrilevante l'argomento fondato sulla derogabilit delle norme del capitolato generale, dal quale si vorrebbe inferire la loro natura contrattuale. Invero la inderogabilit non costituisce una caratteristica essenziale delle norme di diritto obiettivo e, in materia contrattuale la derogabilit pu dirsi che costituisca la regola. D'altronde, se si tien conto di quali cautele la legge circondi la possibilit di deroga apparir subito chiaro come questo argomento, non che appoggiare la tesi contrattualista ne costituisce ulteriore smentita. 2) L'argomento secondo il quale sarebbe incompatibile con la natura normativa del capitolato la disposizione dell'art. 99 del regolamento della contabilit generale il quale stabilisce che di tali capitolati debba essere fatta menzione nei contratti, prova troppo, in quanto nello stesso articolo detto che basta far menzione degli atti amministrativi approvati con decreti reali o ministeriali e contenenti norme di carattere regolamentare o capitolati generali di oneri. Non si comprende, invero, come potrebbe farsi alle norme di capitolato generale, in base al citato articolo, un trattamento diverso da quello delle norme regolamentari che proprio da tale norma sono considerate sullo stesso 1Jiano. E poich non vi dubbio che la obbligatoriet delle norme regolamentari non riposa, di certo, sulla volont dei contraenti, altrettanto deve dirsi delle norme del Capitolato generale che l'art. 99 accomuna a quelle. 3) L'argomento che si pretende di trarre dalla sentenza n. 448 del 1945 della Oorte di Oassazione, a prescindere dalla considerazione che, come si detto, si trattato di una isolata manifestazione giurisprudenziale, nemmeno appare del tutto idoneo a puntellare la tesi contrattualista, in quanto, come risulta dal brano che abbiamo sopra riportato, la Oorte Suprema riconosce espressamente che i patti prestabiliti dall'Amministrazione -per l'interesse pubblico che prevale -segnano i limiti dell'autonomia della volont dei contraenti, sono, cio, norme che trovano il loro fondame'flto in un principio -l'interesse pubblico -che non pu fondarsi sulla autonomia contrattuale. I sostenitori della testi normativistica deducono dalla natura regolamentare delle norme del capitolato generale la conseguenza che queste da un lato non possono derogare alle leggi, e dall'altro vincolano l'Amministrazione alla loro osservanza nei singoli contratti i quali non possono derogarsi, come abbiamo visto, se non in via eccezionale. Gli argomenti a favore della tesi normativistica possono cos riassumersi: 1) sia il capitolato generale del 1895 sia il nuovo contengono disposizioni che non possono in alcun modo aver carattere contrattuale perch regolano fasi e procedimenti anteriori alla stipulazione del contratto (ad esempio: condizioni di ammissibilit alla gara, cauzione provvisoria, modalit e termini per la stipulazione ed approvazione del contratto, ritiro dell'offerta nel caso di cottimo fiduciario ecc.); 2) nel capitolato sono contenute disposizioni che possono avere solo carattere di norme obiettive in quanto hanno per destinatari soggetti che, sicuramente, non sono parti nel contratto di appalto: si tratta delle norme dettate per la costituzione ed il funzionamento del collegio arbitrale, ehe stabiliscono poteri ed obblighi per i magistrati e i funzionari che debbono rispettivamente nominare ed essere nominati arbitri; 3) una volta stabilito che nel capitolato generale sono contenute disposizioni la cui forza vincolante non pu basarsi sul consenso delle parti, evidente che esse debbono trarre tale forza dal potere normativo spettante alla Pubblica .Amministrazione in virt o d'una specifica norma di legge che glielo attribuisca o dal principio generale secondo il quale spetta al potere esecutivo emanare norme giuridiche nell'ambito dei poteri attribuitigli dalla Oostituzione e dalle altre leggi fondamentali dello Stato. Escluso che una specifica delega legislativa possa riscontrarsi nell'art. 323 della legge sui lavori pubblici, il quale si riferisce chiaramente ai capitolati speciali, pu ben ritenersi che gli art. 346 e 364 della stessa legge possono essere interpretati nel senso che costituiscono delega specifica non solo alla emanazione del regolamento approvato con regio decreto n. 350 del 25 maggio 1895 sulla direzione, contabilit e c~llaudazione dei lavori dello Stato, ma anche all'emanazione delle norme contenute nel capitolato generale: sta di fatto, invero, che l'art. 346 parla di disciplina da osservarsi in ordine alla esecuzione dei lavori e al modo di regolarne la contabilit e la liquidazione, mentre l'art. 364 si riferisce oltre che alla procedura di collaudo anche alle norme per la risoluzione delle contestazioni tra Amministrazione _ appaltante e impresa. Si tratta, cio, proprio di quelle norme che sono contenute nel capitolato generale; del che riprova -66 la constatazione che talune disposizioni del capitolato riproducono norme del citato regolamento n. 350 del 1895 o a questo espressamente si riferiscono. D'altronde anche se non ci fosse una specifica attribuzione legislativa di competenza non per questo farebbe difetto il potere dell'Amministrazione ad emanare norme regolamentari quali quelle contenute nel capitolato generale. Oom' noto, infatti, in forza di un principio generale codificato nella legge 31 gennaio 1926, n. 100, che, per questa parte, non pu certo dirsi in contrasto con la Costituzione, il potere esecutivo ha la facolt di emanare norme giuridiche di grado inferiore alla legge per regolare l'uso delle facolt ad esso spettanti; ed ha, altres, il potere di emanare norme giuridiche la cui obbligatoriet riposa, non tanto sul principio di supremazia generale dello Stato nei confronti di tutti i cittadini, quanto sul principio di supremazia speciale nei confronti di coloro che entrano con l'Amministrazione in rapporti particolari. Al lume di tali principi deve riconoscersi che le norme del Capitolato gener~le partecipano della natura sia dell'una che dell'altra categoria sopra indicate; e deve, del pari, riconoscersi che per quanto concerne le norme del Capitolato la cui obbligatoriet presuppone la stipulazione del contratto di appalto, questo non ne costituisce il fondamento, ma solo la premessa storico-giuridica. La tesi normativistica di cui si sono delineati i tratti salienti, accolta dalla giurisprudenza costante della Corte Suprema di Cassazione, della quale citiamo le sentenze pi importanti: Cassazione di Roma, 23 febbraio 1918, in Giur. It., 1918, I, 1, 426; Cassazione, 5 aprile 1933, n. 1163, 9 marzo 1936, n. 809, 27 aprile 1936, n. 1407, 29 luglio 1941, n. 2402, 19 febbraio 1946, n: 171, 5 luglio 1951, n. 1761, 19 giugno 1952, n. 1808, 31 gennaio 1954, n. 260, 16 ottobre 1954, n. 3759, 9 marzo 1955, n. 715, 14 giugno 1955, n. 1806, 23 giugno 1958, n. 2219, 27 gennaio 1961, n. 143, 23 marzo 1961, n. 659, e, da ultimo la sentenza, n. 1478 del 14 giugno 1962. Merita di essere qui ricordata la parte centrale della motivazione della sentenza n. 2219 del 1958, sia per la sua chiarezza, sia perch stata resa in un momento in cui si erano sollevati da parte di alcuni scrittori dubbi sulla saldezza giuridica della tesi normativistica. Dice la Corte: Come noto, la giurisprudenza di questo Supremo Collegio ha abbandonato la tesi secondo la quale le disposizioni del detto capitolato avrebbero natura legislativa, in quanto ha escluso l'esistenza di una delegazione legislativa nella legge del 1895 sui lavori pubblici, ma ha attribuito alle medesime disposizioni carattere regolamentare, e pi precisamente di regolamento di organizzazione, sempre che si tratti di contratti interessanti lo Stato, mentre per i contratti posti in essere da privati o da enti pubblici diversi dallo Stato ha riconosciuto che quelle disposizioni hanno invece valore contrattuale, in quanto solo di fronte allo Stato il contraente in rapporto di subordinazione, che giustifica la sua sottoposizione a norme regolamentari obbligatorie. Di conseguenza nei contratti con lo Stato le norme del capitolato generale sono senz'altro vincolanti, mentre nei contratti con altri possono esserlo solo se sono richiamate nel contratto, e, qualora si tratti delle clausole previste dall'art. 1342 cpv. O.e. in quanto queste siano specificamente approvate per iscritto, ai sensi del medesimo articolo (sentenze 20 marzo 1958, n. 923; 4 febbraio 1957, n. 413; 24 marzo 1955, n. 870; 2 marzo 1955, n. 715; 30 settembre 1954, n. 3174). Riconosciuto nei limiti anzidetti, il carattere regolamentare delle norme in oggetto, si giustifica la deroga alla competenza del giudice ordinario, ancorch non sia attuata in virt di legge o di atto avente forza di legge. . << Poich lo Stato non pu concludere contratti se non osservando certe determinate norme e, d'altro canto, i privati che entrino in rapporti con lo Stato sono soggetti alle norme regolamentari da questo emanate, essi devono sottostare alla deroga della competenza stabilita con le norme medesime, a prescindere da un'apposita manifestazione di volont contrattuale . A favore della tesi normativistica si espressamente e con ampia motivazione pronunziata anche la Corte dei Conti che nella risoluzione del 25 ottobre 1956 resa dalla Sezione di Controllo che negando la registrazione del decreto ministeriale col quale si intendeva approvare il testo del nuovo capitolato, ha esplicitamente affermato che essa non esita a pronunziarsi per il carattere normativo , deducendone l'obbligo di provvedere alla sua emanazione per mezzo di un decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art. 87 della Costituzione. A favore di tale tesi si pronunziato, infine, lo stesso Consiglio di Stato che nel parere reso nell'Adunanza generale il 27 dicembre 1951, n. 600, ha esplicitamente affermato che tali capitolati hanno valore di norme obiettive di carattere dispositivo . La tesi normativistica prevalsa presso le autorit governative competenti e il nuovo capitolato stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica in applicazione dell'art. 87 della Costituzione che riserva (sia pure non in via esclusiva) al Capo dello Stato il potere di emanare i regolamenti. Risolto in tal senso il problema -presupposto della natura giuridica del capitolato, le innovazioni introdotte in materia di definizione delle controversie ne sono la rigorosa conseguenza. Ed infatti:. 1) Non appare legittimo statuire con norma regolamentare l'obbligo per l'Amministrazione di affidare al giudizio degli arbitri le controversie attinenti alla interpretazione ed esecuzione di tutti i contratti di appalto di opere pubbliche. Una tale norma, infatti, che in contrasto con la norma generale secondo la qu..ale spetta al giudice ordinario giudicare sulle liti aventi pel'-oggetto diritti soggettivi, non pu fondarsi sull'art. 806 del C.p.c. la quale prevede la possibilit di compromettere in arbitri solo liti specifiche gi sorte, n sull'art. 808 che prevede la possibilit - di far decidere da arbitri solo le liti che nascano da un determinato contratto (e ci a prescindere dalla considerazione che molto dubbio se i due citati articoli, applicabili alle liti tra privati, possano applicarsi anche all'amministrazione dello Stato). S' voluto vedere il fondamento della legittimit della clausola che sancisce l'obbligatoriet dell'ar bitrato in materia di appalti di opere pubbliche nell'art. 349 della legge sui lavori pubblici (20 marzo 1865, n. 2248 allegat9 F) il quale dispone: Nei capitoli di appalto potr prestabilirsi che le questioni tra l'Amministrazione e gli appalta tori siano decise da arbitri. Basta la semplice lettura di questa norma, messa in relazione coi precedenti artt. 323 e 324 per convincersi che i capitoli di appalto sono i capitolati speciali, si che l'art. 349 finisce proprio col confermare l'opi nione che l'affidamento agli arbitri della decisione delle controversie rimesso alla volont di entrambe le parti da manifestarsi caso per caso. Il sistema adottato dal nuovo capitolato per attuare, nei sensi sopra precisati, il disposto del l'art. 349 ci sembra ineccepibile. Entrambe le parti contraenti, infatti, hanno facolt' di adire il giudice ordinario invece degli arbitri:'Se la parte attrice intende affidare la lite agli arbitri, la parte convenuta pu declinare la competenza arbitrale, obbligando cos l'altra parte, se intenda proseguire il giudizio, a rivolgersi al giudice ordinario. Questo sistema , sostanzialmente, analogo a quello gi in vigore da tempo per gli appalti del 1'Amministrazione ferroviaria e per quelli della Cassa del Mezzogiorno ed collaudato da lunga e favorevole esperienza. 2) Ugualmente illegittima sarebbe una nor ma regolamentare che stabilisce la non impu gnabilit del lodo per violazione delle regole di diritto. Invero, con una tale disposizione, si ammette rebbe la possibilit che possa esistere nel nostro ordinamento una pronuncia giurisdizionale (tale diventa la pronuncia arbitrale con il visto di ese cutivit del Pretore) contro la quale non sia dato mai ricorrere alla Corte Suprema di Cassazione per violazione di legge. In altri termini, si creerebbe, con una norma regolamentare una eccezione al primo capo-verso dell'art. 111 della Costituzione, pretendendo di vietare alla Suprema Corte di eser citare i suoi poteri istituzionali in conformit delle norme costituzionali (v. in proposito in questa Rassegna 1962, pag. 47). 3) Per quanto riguarda la compsizione del Col legio, una volta ricondotto l'arbitrato in esame nel quadro generale dell'istituto arbitrale, quale rego lato dal codice di procedura civile, non si vede la ragione per la quale non si sarebbe dovuto accet tare il principio di attribuire, almeno parzialmente, la nomina degli arbitri alle parti in causa, acco gliendo anche le ripetute istanze degli imprenditori di opere pubbliche. 67 4) Infine non sarebbe stato pi possibile mantenere la norma secondo la quale la parte che richiede ilgiudizio arbitrale doveva depositare anticipatamente una somma (spesso notevole) a garanzia delle spese ed onorari degli arbitri. Questa norma , infatti, in evidente contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, secondo l'interpretazione che di tali articoli stata data dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 67 del 1960 che ha dichiarato la illegittimit costituzionale dell'art. 98 del C.p.c. che stabiliva l'obbligo per la parte di prestare, su ordine del giudice, cauzione per le spese, come condizione di proseguibilit del giudizio. Tale indirizzo giurisprudenziale che la Corte Costituzionale ha confermato, com' noto, con la sentenza n. 21 del 1961 (che ha dichiarato l'illegittimit costituzionale dell'art. 6 legge 20 marzo 1865, n. 2248 allegato E, istitutivo della c.d. regola del solve et repete), porta a ritenere l'incostituzionalit di tutte le norme che violino il principio dell'uguaglianza fra tutti i cittadini, abbienti o non abbienti, per quanto concerne la possibilit di chiedere ed ottenere la tutela giurisdizionale. Il citato D.P.R.. 10 luglio 1962, n. 1063 ha fissato al 1 settembre 1962 la data di entrata in vigore del testo del nuovo capitolato (1). Non sembra che possano sorgere questioni di difficile soluzione in ordine alla applicabilit delle norme del nuovo capitolato ai contratti di appalto di opere pubbliche in corso alla predetta data del 1 o settembre. Pare, infatti, evidente che per quanto riguarda le norme di carattere sostanziale (quelle cio che stabiliscono i reciproci obblighi e diritti delle parti) debba applicarsi nei riguardi dei contratti stipulati prima del 1 settembre 1962, il vecchio capitolato, mentre per quanto riguarda le situazioni giuridiche di carattere processuale o, comunque, di ordine pubblico, le norme del nuovo capitolato debbano trovare immediatamente applicazione anche ai contratti precedenti. Pertanto, il sistema di definizione delle controversie tra impresa e Amministrazione appaltante deve ritenersi regolato a decorrere dal 1 settembre 1962 dalle nuove disposizioni. N sembra possibile fare eccezione a questo principio per quanto riguarda gli arbitrati in corso. Assumendo, infatti, com' noto, il lodo arbitrale caratte_re di pronuncia giurisdizionale solo con il visto del pretore, alla data di questo visto che deve farsi riferimento per stabilire se il collegio arbitrale sia validamente composto. In altri termini, non pu vigere a nostro avviso, per i collegi arbitrali il principio della perpetuatio jurisditionis, in quanto eesi non sono organi giurisdizionali. (1) praticamente irrilevante la questione se si possa con una norma regolamentare stabilire una vacatio legis diversa da quella generale di 15 giorni disposta.. iri via generale dall'art. 73 della Costituzione. CORTE DEI CONTI E QUESTIONE DI LEGITTIMIT COSTITUZIONAlE L'art. 134 Cost. dispone che la Corte Costituzionale giudica, fra l'altro, sulle controversie relative alla legittimit costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. La legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 in attuazione della riserva, di cui al primo comma dell'art. 137 Cost., prevede due forme di proponibilit del giudizio di legittimit costituzionale: . una, in via principale, mediante ricorso del Presidente del Consiglio o della Giunta regionale (art. 2); altra, in via incidentale, per effetto di rimessione da parte di un giudice nel corso di un giudizio (art. 1). L'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 dispone, a proposito di quest'ultima, che l'autorit giurisdi zionale, davanti alla quale verte il giudizio, la definizione del quale dipenda dalla risoluzione della questione di legittimit costituzionale, pu, su istanza di una delle parti o del P.M. ovvero d'uf ficio, sollevarla, promuovendo il giudizio di costi tuzionalit innanzi alla Corte Costituzionale. .Alla stregua di quest'ultima disposizione, in modo particolare, stato ritenuto che il presuppo sto per l'esercizio del potere-dovere di promuovere, da parte dell'autorit giurisdizionale, la questione di legittimit costituzionale sia la pendenza di un procedimento 'di natura giurisdizionale, conten ziosa. Con sentenza n. 4 del 1956, n. 5, 40 e 129 del 1957, n. 24 del 1958 la Corte Costituzionale ha, viceversa, affermato che anche un procedimento di giurisdizione volontaria sede idonea per pro porre ed elevare una questione di legittimit costi tuzionale. Gli argomenti, su cui la Corte ha fondato il proprio convincimento, sono essenzialmente tre: che anche in questo caso si tratta di attivit giurisdizionale; che l'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 usano la formula nel corso di un giudizio in senso generico ed ampio; che un giudice, quale che sia la funzione attribuitagli dalla legge, non pu essere costretto ad applicare una legge, della cui legittimit costituzionale abbia motivo di dubitare. L'Esposito, in nota alla sentenza n. 129 (in Giur. Oost. 1957, 1230) ha prospettato seri dubbi sulla esattezza della soluzione adottata, tanto pi se si esclude, come ritiene di dover escludere, la natura giurisdizionale dell'attivit esplicata dal giudice in sede di volontaria giurisdizione. L'.Andrioli (in Giur. Oost. 1958, p. 398), pur ritenendo che la legge si riferisca, nella forma e nella intenzione dei conditores, ai soli procedimenti contenziosi, aderisce alla soluzione adottata dalla Corte, sopratutto in considerazione del fatto che il giudice, ai sensi dell'art. 101 Cost. soggetto solo alla legge e che, ai sensi dell'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 deve rilevare d'ufficio la questione di legittimit costituzionale e rimetterla alla Corte Oostituzfonale, onde, unifi cando le due proposizioni, pu affermarsi che il giudice soggetto solo alla legge conforme alla Costituzione. .Anzi, dalla considerazione che il giudice, in definitiva, soggetto solo alla legge conforme alla Costituzione e che, appunto in relazione a questa premeEsa, gli attribuito il potere-dovere di ri mettere alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalit insorta in procedimenti conten ziosi e non, l'Autore trae ulteriore argomento a favore della tesi della giurisdizionalit di tutte le funzioni attribuite ai giudici. La soluzione accolta dalla Corte Costituzionale, la quale, nella sentenza, n. 52 del 1962, ha espressa mente dato atto di avere interpretato 'largamente le suaccennate disposizioni di legge, ci induce ad esaminare la questione, che ci siamo proposti, se, cio, possa la Corte dei conti sollevare la que stione di legittimit costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dello Stato o delle Regioni, in sede di controllo, ovvio essendo che possa farlo nella esplicazione dell'attivit giuri sdizionale ad essa attribuita. La risoluzione della prospettata questione impone, a nostro avviso, un'indagine sulla natura della Corte dei conti e sulla sua origine storica, al fine di accertare se essa sia un organo giurisdizionale, cui siano state attribuite, appunto in relazione alla sua natura, le funzioni di controllo o se, invece, non debba ritenersi un organo di diversa natura, amministrativo-costituzionale, cui sianc~ state occasionalmente attribuite alcune funzioni giurisdizionali. In questa ultima ipotesi, infatti, secondo l'insegnamento della Corte (vedasi in particolare la gi citata sentenza n. 52 del 1962), indispensabile l'accertamento sulla effettiva natura giurisdizionale delle funzioni esercitate e sulla. regolare instaurazione del processo. La Corte dei conti, com' noto, stata istituita. con legge 14 agosto 1862, n. 800. Essa fu solennemente insediata il 1 ottobre 1862 da Quintino. Sella, Commissario del re, il quale pose in evidenza. la circostanza che la Corte era il primo 1nagistrato. civile, che estendesse la sua giurisdizione su tutta l'Italia. L'ordinamento del 1862 ricalca in gran parte quello della Corte dei conti del regno di Sardegna~ istituita nel 1859, a seguito della soppressione del magistrato della Camera dei conti, dell'Ufficio del procuratore generale del re e del Controllore. generale. Fin dalla sua costituzione la Corte dei conti fu considerata una magistratura speciale, cui era attribuita la potest di giudicare o dar giudizio sui conti pubblici. Si ritenne, cio, c-he-offrisse maggiori guarantigie di pi giusto sindacato-questo. giudizio affidato ad un magistrato. Ci anche in vista dell'inscindibile connessione fra controllo dei conti e accertamento della responsabilit indivi -69 duale (Tango, in Digesto it., 1889; Ugo, La Corte dei conti, 1882). D'altra parte la Camera dei conti piemontese, da cui in certo qual modo la Corte prendeva vita, decideva tutte le liti, in cui era interessato il regio patrimonio, giudicava le cause civili e criminali delle regie gabelle, i delitti di peculato e le contravvenzioni commesse da ufficiali e delegati in ragione delle loro funzioni. N diverse funzioni avevano le Corti dei conti di Napoli e di Sicilia,istituite nel 1807 dai francesi e riordinate nel 1817-18 dai Borboni. Esse si occu pavano della revisione dei conti, del contenzioso amministrativo e delle pensioni. Le attribuzioni della Oorte dei conti furono, quindi, fin dalla sua costituzione, di controllo e tutela giuridica e giurisdizionale. La Oorte attua, mediante la registrazioner il controllo continuo sugli atti di Governo nonch su tutte le entrate e le spese pubbliche e giudica, con giurisdizione con tenziosa, i conti dei contabili dello Stato, sia in denaro, sia in materia nonch della responsabilit degli agenti dello Stato. Il giudizio sui conti e quelli di responsabilit sono l'obietto principale e la base delle attribuzioni della Corte; ma essi sono inscindibilmente connessi con il riscontro :finanziario preventivo. Pu, anzi, dirsi che questo abbia una duplice natura, assolva, cio, contemporaneamente a due funzioni: una, politico-costituzionale, che consente al Parlamento il sindacato sull'attivit del Governo; l'altra, pre-giurisdizionale, istruttoria, che pone in grado la Oorte stessa di esercitare la giurisdizione contabile e amministrativa. Questa duplicit di funzioni, intimamente con nesse, si evince chiaramente dalla Oostituzione, la quale, dopo aver posto la Oorte dei conti fra gli organi ausiliari del Governo (art. 100) nell'esercizio del controllo preventivo di legittimit sugli atti e successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, la considera espressamente fra gli organi giurisdi zionali (artt. 103 e 111) e la inquadra, quale giu dice in materia di contabilit pubblica, nel Potere giudiziario. Se si pon mente a questa circostanza ed al fatto che alla Oorte attribuita, altres, la giurisdizione sulle pensioni e sul rapporto d'impiego dei suoi dipendenti, non pu negarsi che essa sia e debba essere considerato organo sostanzialmentff e principalmente di giurisdizione, cui stato attribuito il controllo sugli atti di Governo e sulla contabilit dello Stato proprio in vista ed in funzione della sua natura giurisdizionale. Questo controllo, che si esplica con un giudizio sulla legittimit dell'atto e della spesa, stato affidato alla Oorte proprio perch, quale magistrato, organo di giurisdizione, dava maggiori garanzie di obiettivit e di indipendente autorevolezza (1). Riteniamo, perci, senza volere affrontare la questione se anche la funzione di controllo, specialmente quella esercitata, in caso di controversia, dalla Sezione di Oontrollo (2), sia in definitiva una funzione giurisdizionale, che, essendo la Corte organo di giurisdizione e, come tale, soggetta solo alla legge conforme alla Oostituzione, possa e debba, anche nella esplicazione della funzione di controllo, sollevare e promuovere la questione di legittimit costituzionale delle leggi e degli atti aventi f011za di legge, dello Stato e delle Regioni, che essa chiamata ad applicare. La questione, a nostro avviso, dovrebbe essere promossa, per, dalla Sezione di controllo, cui demandato il giudizio definitivo sulla ammissione dell'atto a registrazione, e non dal Consigliere delegato. G. GUGLIELMI (1) In questi sensi si erano esplicitamente pronunziati il Cavour, fin dal 1852, il Ba~togi, nella ralazione al disegno di legge della Corte del Regno d'Italia, presentato il 21 novembre 1861, il Sella, Commissario del re, nel discorso inaugurale pronunciato il io ot.tobre 1861. (2) Le Camere dei conti di Chambry e Torino si presentavano come magistrature esterne e svolgevano controllo in forma giwisdizionale, discutendo le controversie concernenti il fisco e il patrimonio ducale. NOTE D I DOTTRINA ----------------------------------------------------------------------------------------- F. OuccIA : Lineamenti di tina bibliografia sulla " disciplina giuridica della urbanistica (Ed. Giu:ffr, Milano, 1962). r Francesco Cuccia, oggi Consigliere di Stato, fu per molti anni Direttore generale dell'Urbanistica presso il Ministero dei Lavori Pubblici, d senza dubbio, per riconosciuta preparazione e matura esperienza amministrativa, uno dei cultori della materia pi competenti a commentare quanto il legislatore ha elaborato dal 1942 ad oggi sulla materia che concerne la pianificazione territoriale ed urbana ai suoi vari livelli. Il lavoro presenta un accurato ordinamento sia dei testi inerenti a problemi pi generali della pianificazione urbana sia delle opere riguardanti la materia in senso pi specifico, non trascurando nemmeno quanto cultori e tecnici hanno ritenuto di segnalare in questi anni su inconvenienti, lacune, proposte di modifiche o rimedi radicali. Lo studio appare cos particolarmente utile a chi voglia orientarsi nella vasta materia tecnica e giuridica e valutare il lavoro che giuristi, funzionari delle .Amministrazioni centrali e locali, economisti, sociologi e tecnici hanno svolto in quasi vent'anni di dibattiti, di studi, di attivit scolastica, scientifica e di operativit amministrativa. Molto opportunamente l'autore non trascura di richiamare l'attenzione dello studioso sui legami che la materia urbanistica ha con geografia, economia, sociologia; e ci allo scopo di estendere i confini della materia e di elevarla, secondo la pi moderna tendenza, al livello di scienza politicoeconomica. Non si tralasciano nemmeno i problemi della pianificazione urbana in relazione ai pi circoscritti aspetti della produttivit edilizia e le esperienze concrete di applicazione del diritto nell'ambito delle .Amministrazioni locali. Politica delle aree e imposta sulle aree fabbricabili, piani territoriali di coordinamento e piani intercomunali, sono argomenti sviluppati con aggiornate ma essenziali citazioni bibliografiche; mentre i problemi pi strettamente legati ai Piani Regolatori generali; ai piani particolareggiati e alle loro norme attuative trovano largo sviluppo fornendo allo studioso una materia ordinata ed esauriente. Un libro utile dunque, e particolarmente oggi, in quanto in corso un vasto lavoro di revisione e di costruttiva critica alla legislazione che riguarda i problemi dei piani di sviluppo territoriale e di quelli urbani e rurali. In vista della preannunciata nuova legislazione urbanistica l'opera del Consigliere Cuccia potr recare un contributo serio e circonstanziato al chiarimento dei problemi giuridici che il nuovo testo dovr affrontare. .RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE -CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE -Ricorso proposto dal Presidente della Regione senza la prvia deliberazione della Giunta -Inammissibilit. (Corte Costituzionale, 10 aprile 1962, n. 33 - Pres.: Cappi; Rel.: Castelli Avolio). inammissibile il ricorso per regolamento di competenza proposto dal Presidente della Regione siciliana senza la previa deliberazione della Giunta, a nulla rilevando che la Giunta fosse dimissionaria ovvero che non ebbe a deliberare per mancanza del numero legale o, infine, che la deliberazione del Presidente sia stata successivamente ratificata dalla Giunta. Con questa sentenza la-Corte conferma l'inderogabilit delle competenze stabilite dalle norme sul procedimento costituzionale. In considerazione del rilevante interesse, che presenta la questione, se ne riporta integralmente la motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1) I tre giudizi, congiuntamente discussi alla udienza, possono essere decisi con unica sentenza: essi infatti. sono identici sia nei loro presupposti di fatto, sia nei motivi e nelle argomentazioni difensive svolte dall'una e dall'altra parte in causa. 2) Pregiudiziale l'esame della prima questione sollevata in limine litis dall'Avvocatura dello Stato: la inammissibilit dei ricorsi, che non sono stati preceduti da delibera della Giunta regionale. Il Presidente della Regione, infatti, propose i tre ricorsi senza che fosse intervenuta la previa deliberazione della Giunta, cos com' richiesto dallo art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, in riferimento e in attuazione del disposto dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, espressamente stabilisce, nel terzo comma, che il ricorso per conflitto di attribuzione proposto per la Regione dal Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa . Tale omissione stata giustificata dalla difesa della Regione con la inderogabile necessit di assi curare la tutel dell'interesse della Regione alla integrit della propria sfera di competenza ammi nistrativa proponendo i ricorsi entro il termine di decorrenza previsto dall'art. 39, che scadeva pochi giorni dopo e con la impossibilit di ottenere la deliberazione della Giunta, perch dimissionaria. Ha poi comprovato, con la esibizione del verbale, che la Giunta, d'altra parte, fu convocata prima della scadenza del termine per produrre i ricorsi, ma non pot legalmente riunirsi per mancanza del numero legale. In ogni modo, l'operato del Presidente venne approvato e ratificato dalla nuova Giunta. Ritiene, tuttavia, la Oorte che l'eccezione di inammissibilit dei ricorsi, per il motivo sopra accennato, sia fondata. 3) Oome ha osservato all'udienza la difesa dello Stato, la ricordata espressione del terzo comma dell'art. 39 della legge n. 87: il ricorso della Regione per conflitto di attribuzione proposto... in seguito a deliberazione della Giunta , non dissimile da quella adoperata negli :;i,rtt. 31 e 32, a proposito della prop~>Sizione dei ricorsi con i quali si faccia questione della legittimit costituzionale di una legge di una Regione o dello Stato: la que~ stione (della legittimit costituzionale di una legge di una Regione) sollevata, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri dal Presidente del Consiglio mediante ricorso ecc. (art. 31, comma secondo); la questione (della legittimit costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato), previa deliberazione della Giunta regionale, promossa dal Presidente della Giunta mediante ricorso ecc. (art. 32, secondo comma). Ohe la proposizione del ricorso, in tali casi, debba essere preceduta da deliberazione, rispettivamente, del Consiglio dei Ministri o della Giunta regionale, esigenza non soltanto formale, ma sostanziale. Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Pre sidente regionale sono gli organi rappresentativi del Governo dello Stato e, rispettivamente, della Regione, e attribuendosi ad essi la legittimazione attiva ad agire dinanzi alla Oorte costituzionale si adempie bens ad una esigenza di natura formale, ma, sostanzialmente, occorre che sia preceduta dalla determinazione dei membri del Governo o dei componenti la Giunta regionale, e ci per l'importanza dell'atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l'atto stesso pu produrre. Infatti la conseguente pronuncia della Corte costituzionale pu avere l'effetto di dichiarare la.- inefficacia di una legge dello Stato o di una; Regione (art. 136 Oost.), e non minore importanza ha la pronuncia della Corte in materia di conflitti di attribuzione, in quanto la Oorte costituzionale BW+r::W -72 risolve il conflitto dichiarando il pote:i;e al quale spettano le attribuzioni in contestazione (art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87; art. 134 Cost.; v. sentenze della Corte 18 gennaio 1957, n. 11; 19 gennaio 1957, n. 18; 26 giugno 1958, n. 44). La inderogabilit di siffatta esigenza confermata dal rilievo che ben poteva il legislatore, ove lo avesse voluto, stabilire, in via generale, nella legge n. 87 e, in via particolare, nello Statuto speciale per la Regione siciliana, intorno al quale si discute nel presente giudizio, una disposizione che avesse autorizzato quegli organi rappresentativi a produrre, nei casi di urgenza o comunque di contingenze eccezionali, ricorso, salvo convalida degli organi collegiali. Il non averlo fatto indizio di volont contraria; e lo si pu argomentare anche dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62, riguardante la costituzione e il funzionamento delle Regioni a statuto ordinario, nella quale il legislatore avrebbe ben potuto attribuire, qualora l'avesse ritenuto necessario, un potere sostitutorio della Giunta al Presidente delle Regioni, nei casi di urgenza, mentre nell'art. 25, determinando le attribuzioni del Presidente, si limitato a dargli la facolt di promuovere di propria iniziativa~ e salvo sempre a riferirne alla Giunta nella prima seduta, solo i provvedimenti cautelativi e le azioni possessorie , cio soltanto quei provvedimenti e quelle azioni che si presentano cQme mezzi di tutela in relazione a situazioni di fatto urgenti che, per la loro peculiarit, postulano interventi immediati, non compatibili con la prventiva consultazione della Giunta regionale. Non vale, poi, richiamare la sentenza 13 aprile 1957, n. 57, con la quale la Corte ritenne ammissibile il ricorso per la impugnazione di una legge regionale del Trentino-Alto Adige proposta in via di urgenza dalla Giunta provinciale anzich dal Consiglio, perch, come espressamente si rileva dalla relativa motivazione, la decisione rispecchia le particolari disposizioni dettate al riguardo dallo Statuto di quella Regione, e precisamente l'art. 48, n. 7, che consente tale potere sostitutorio. Si tratta quindi di una decisione basata sopra una espressa disposizione, non applicabile al caso in esame. Negli indicati casi speciali le disposizioni di legge sono quindi tassative, il che implica l'esclusione del Presidente dalla legittimazione ad agire, di sua iniziativa, negli altri casi. Deve dunque ritenersi imprescindibile l'esigenza della previa deliberazione della Giunta regionale, come prescrive l'art. 39 della legge 11 marzo 1953, confermandosi in tal sens.o, quanto gi ebbe a decidere questa Corte con la sentenza 19 gennaio 1957, n. 15, con la quale venne dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Regione sarda senza la previa deliberazione della Giunta regionale. 4) Non si pu in contrario opporre, per quanto riguarda i casi di cui ora si discute, che la Giunta fu convocata, ma non pot deliberare per mancanza del numero legale, e che, in ogni modo, la nuova Giunta ratific l'operato del Presidente. L'avere convocato la Giunta, per quanto dimissionaria, per deliberare, fra le altre cose poste .all'ordine del giorno, la proposizione dei ricorsi per conflitto di attribuzione, significa riconoscere, senza possibilit di equivoco, che venne ritenuta necessaria, e giustamente, anche in tale situazione del Governo della Regione, la necessit della deliberazione della Giuntar il che vale negare il potere diretto e autonomo del Presidente a proporre i ricorsi. Dal fatto poi che fu determinata dai componenti la Giunta la mancanza del numero legale pu anche inferirsi una volont forse contraria a produrre i ricorsi. Non pu poi valere, come si sostenuto, la successiva ratifica della nuova Giunta. A parte il rilievo che essa, come risulta dal documento esi-' bito, ha tutto il carattere di una sanatoria generale dell'operato del Presidente, riferita a vari provvedimenti, res~a pur sempre la violazione della norma che impone, in via preventiva e in modo inderogabile, la deliberazione della Giunta. Dando valore ad una successiva ratifica potrebbe giungersi ad avallare il principio per cui, ad libitum del Presidente, la deliberazione della Giunta pu seguire, invece che precedere, la proposizione del ricorso, in aperto contrasto con la ricordata norma dell'articolo 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953. 5) Dovendosi, in base alle esposte considerazioni, dichiarare inammissibili i ricorsi, rimane assorbito l'esame di ogni altra questione e del merito dei ricorsi stessi. CORTE COSTITUZIONALE -CONFLITTO DI AT TRIBUZIONE -Regicne Siciliana -Attivit statale decentrata -Norme transitorie (d.l. C.P.S. 30 giu gno 1947, n. 567) -Vigenza. (Corte Costituzionale, 7 luglio 1962, n. 83 -Pres.: Ambrosini; Rel.: Branca -Presidente Regione siciliana -Presidente del Consiglio dei Ministri). Non sussiste conflitto di attribuzione costitu zionale nell'ipotesi in cui la Regione rivendichi ai suoi organi l'esercizio di attivit statale ad essi decentrata con legge ordinaria. Il D.L. C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567 ha proro gato la situazione di decentramento organico cre atasi con i decreti nn. 91 e 416 del 1944 e 50 del 1945, conferendo i poteri, gi spettanti all'Alto Commissariato ed alla Consulta regionale, non alla Regione, ma a due organi del Governo regionale, considerati quali organi di decentramento statale. * * * 1) Nel primo motivo del ricorso la difesa regio nale si richiama innanzi tutto agli artt. 14 lettera n e 20 dello Statuto speciale siciliano: il provvedi mento impugnato violerebbe tali norme poich stato emesso da un organo dello Stato (Ministro della pubblica istruzione) in materia.che di com petenza esclusiva della Regione siciliana. Tale assunto non pu trovare accoglimento. Non c' dubbio che il decreto del Ministro della pubblica istruzione riguardi la tutela delle bellezze naturali e che questa sia oggetto di competenza -73 esclusiva della Regione siciliana. Senonch, a dif. ferenza di quanto avvenuto nel campo del turismo dove sono state gi emanate le norme di attuazione, in materia di bellezze naturali la potest am.miriistrativa, mancando ancora quelle norme, non ancora passata alla Regione. N si pu dire che l'esercizio di tale potest spetti alla Regione siciliana in virt dell'art. 20, primo comma, seconda parte, dello Statuto regio nale: infatti vero che questa norma, come si deve ritenere secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, consente agli organi regionali di svolgere attivit amministrativa statale anche in terreno di competenza esclusiva della Regione quando non si siano emanate le norme d'attuazione; ma, appunto, perch ci accada occorrono direttive del Governo nazionale, direttive che in questo caso sono mancate totalmente. Sotto tale profilo la Corte costituzionale, respin gendo il ricorso della Regione siciliana, si uniforma alla propria costante giurisprudenza, che trae con forto dall'art. 43 dello stesso Statuto regionale, oltrech dalla disposizione VIII della Costituzione. 2) La difesa regionale invoca anche i decreti legislativi 18 marzo 1944, n. 91; 28 dicembre 1944, n. 416; 10 febbraio 1945, n. 50 e il D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, il quale ultimo risulterebbe violato in quanto attribuisce agli organi della Re gione l'esercizio di quella potest amministrativa che, anche riguardo alla tutela delle bellezze na turali, gli altri tre decreti avevano conferito al l'Alto Commissario e alla Consulta regionale. Com' noto, il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, allo scopo di evitare soluzioni di continuit , volle assicurare nel territorio dell'Isola l'ulteriore svol gim<:.into delle funzioni e dei servizi amministrativi gi svolti dall'Alto Commissario per la Sicilia: poi ch, a norma dell'art. 42 dello Statuto siciliano, l'Alto Commissario e la Consulta regionale doveva no cessare con la prima elezione dell'Assemblea regionale siciliana, il che era avvenuto puntual mente il 20 aprile 194 7, si volle conservare alla Regione, sotto nuova forma, quel sistema di decen tramento di potest amministrative statali che vi si era praticato prima dell'emanazione delle norme statutarie: in attesa che queste norme venissero integralmente attuate e mentre all'uopo si era provveduto alla nomina di una commissione pari tetica, il D.L.C.P.S. n. 567 attribuiva al Presidente e alla Giunta regionale i poteri che gi erano spetta ti all'Alto Commissario e alla Consulta regionale. Ci con l'intesa che tali poteri restassero a quegli organi regionali nei limiti in cui e fino a quando la potest amministrativa, nelle singole materie, non fosse passata alla Regione o riservata espres samente allo Stato in virt di speciali norme statu tarie o di leggi ordinarie: cos, infatti, deve essere inteso e cos stato inteso da precedenti sentenze di questa Corte (n. 18 del 1957 e n. 45 del 1958) l'inciso contenuto nello stesso art. 1 del predetto D.L.C.P.S., n. 567 del 1947 l dove esso afferma che le disposizioni, con le quali si attribuiva com petenza amministrativa all'Alto Commissario, pas savano agli organi regionali solo in quanto appli cabili. N si pu dire, come invece ha genericamente rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, che tutto il complesso normativo dei decreti n. 91 e 416 del 1944 e n. 50 del 1945 sia caduto perch incompatibile con lo Statuto regionale. Illi0Jtti il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, con cui si conservava l'efficacia di tali disposizioni, fu emesso proprio al fine di soddisfare un'esigenza che era stata temporaneamente provocata dalla pubblicazione e dalla prima attuazione dello Statuto regionale; dimodoch quell'insieme di norme, essendo state mantenute in vigore con legge posteriore allo Statuto, non possono ritenersi abrogate da questo ultimo, mentre, essendo applicabili nelle sole materie in cui lo Statuto non ha avuto attuazione, non appaiono incompatibili con esso. Non per niente l'art. 1 D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, stabilendo, dopo la pubblicazione dello Statuto regionale, che esse continuano ad osservarsi in quanto applicabili , presuppone che ne siano venute meno solo alcune. .Altrettanto infondato il rilievo, che stato fatto dall'Avvocatura dello Stato nella discus sione orale e secondo il quale l'incompatibilit delle disposizioni racchiuse in quei decreti sarebbe derivata dalla successiva costituzionalizzazione dello Statuto siciliano avvenuta con la legge 26 febbraio 1948, n. 2. Questa legge infatti non ha avuto altro scopo ed altro oggetto che di immettere nel tessuto delle norme costituzionali della Repubblica anche quelle dello Statuto speciale siciliano: ha attribuito maggior vigore alle norme statutarie, ma non ha potuto ampliarne il contenuto n alterare ilrapporto che intercorreva fra esse e le altre leggi, dimodoch le disposizioni dei decreti in oggetto, se avevano avuto efficacia prima del 26febbraio1948, dovevano conservarla anche dopo quella data. 3) In conclusione il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, una legge ordinaria tuttora vigente ed ha attri buito al Presidente e alla Giunta i medesimi poteri che gi spettavano all'Alto Commissario e alla Consulta regionale, organi dell'Amministrazione dello Stato. La conseguenza che, con ci, si venuta a pro rogare la situazione di decentramento organico creatasi coi decreti n. 91 e 416 del 1944 e n. 50 del 1945: infatti il D.L C.P.S. n. 567 del 1947, confe riva quei poteri non alla Regione, ma a due organi del Governo regionale, il Presidente e la Giunta, considerati quali organi di decentramento statale. Col predetto D.L.C.P.S. n. 567 la competenza, in materia di tutela delle bellezze naturali e in altri campi, non passata alla Regione come tale e pertanto non si ancora realizzato quel decen tramento istituzionale che solo apposite norme dello Stato possono attuare. Ci significa che nel caso ora, sottoposto al giudizio della Corte costituzionale non dato profilare un conflitto di attribuzioni fra Stato e .Regione siciliana: infatti dal D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, si pu ricavare soltanto che la dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona in localit Disueri doveva essere emessa, invece che da un certo organo statale (Ministro della pubblica istru -74 zione), da un altro organo, decentrato dello Stato (Presidente o Giunta regionale). Con il che, nell'assenza d'un conflitto tra lo Stato e la Regione, deve dichiararsi inammissibile il ricorso in questa sede, salva la sua proponibilit in altra sede. 4) Quanto al secondo motivo del ricorso, la sua infondatezza si trae agevolmente dalla esatta interpretazione delle norme a cui esso si richiama. Infatti il concerto con l'Assessore al turiEmo necessario quando il provvedimento interessi localit riconosciute stazioni di soggiorno, di cura, di turismo (art. 13, terzo comma, legge n. 1497 del 1939), riconoscimento che non risulta sia avvenuto in questo caso. N era necessario il parere dell'Ufficio minerario distrettuale e il concerto con l'Assessore all'indu stria: l'art. 30 R.D. n. 1357 del 1940 richiede l'uno e l'altro solo quando si emettano i provvedimenti speciali, a cui allude, in materia di cave e di mi niere, l'art. 11 della citata legge n. 1497 del 1939 e che non devono confondersi con la dichiarazione di notevole interesse pubblico contenuta nel de creto del Ministro della pubblica istruzione: que sto anche il parere, varie volte espresso, del Consiglio di Stato. Infine vero che tutti i provvedimenti relativi alla tutela delle bellezze naturali, se riguardano opere pubbliche, devono essere emessi di concerto con le singole amministrazioni interessate e per ci, se si tratta_di beni di cui sia titolare la Regione, con l'Assessore regionale alle opere pubbliche; ma sta di fatto che non apparisce provata, quanto alla zona sottoposta a vincolo, la presenza di opere pubbliche a cui si riferisca specialmente il provve dimento impugnato. * * * La Corte, con questa sentenza, ha deciso, per la prima volta ex professo, la questione, di particolare importanza per i rapporti fra lo Stato e la Regione siciliana, della attuale vigenza e degli effetti del D.L. C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, col quale, come noto, si disponeva che, fino a quando non fosse stato attuato completamente il passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione e non fossero state emanate tutte le norme occorrenti per l'attuazione dello Statuto, avrebbero continuato ad osservarsi le disposizioni del R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91 (modificato con i decreti n. 416 del 1944 e n. 50 del 1945) e le attribuzioni gi conferite all'Alto Commissario per la Sicilia ed alla Consulta regionale sarebbero state esercitate (rispettivamente) dal Presidente e dalla Giunta regionale. La sentenza interessa esclusivamente i rapporti fra lo Stato e la Regione siciliana, perch per nessuna altra Regione esiste analoga disposizione; l'art. 61 D.L.P. 19 maggio 1949, n. 250, contenente norme di attuazione dello Statuto Speciale per la Sardegna, infatti, attribuiva provvisoriamente le funzioni, gi esercitate dall'Alto Commissario per la Sardegna e dalla Giunta Regionale, al Rappresentante del Governo e non agli organi regionali. La predetta questione era stata altre volte esaminata, in via incidentale, dalla Corte, la quale, con le sentenze n. 18 del 1957 e n. 45 del 1958, dando maggior rilievo alle espressioni in quanto applicabili e, in quanto occorra , contenute nel D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, aveva mostrato di ritenere che non tutte, almeno, le funzioni gi esercitate dall'Alto Commissario e dalla Consulta regionale fossero state attribuite in via provvisoria al Presidente ed alla Giunta regionale. Con questa sentenza, invece, la Corte, in conformit della giurisprudenza del Consiglio di Stato (vedasi in questa Rassegna, 1961, p. 109), ha affermato l'attuale integrale vigenza del sistema di decentramento, creato con il D.L.L. 18 marzo 1944, n. 91 e successive sue modificazioni, ed ha, conseguentemente, ritenuto che tutte le funzioni gi attribuite all'Alto Commissario ed alla Consulta regionale (ad eccezione, ovviamente, di quelle, che lo Statuto ha trasferito alla Regione e per le quali siano state emanate le norme di attuazione e siano stati trasferiti uffici e personale) debbono essere esercitate in Sicilia dal Presidente e dalla Giunta regionale, quali organi decentrati dello Stato. Trattandosi di funzioni attribuite ad organi regionali quali organi decentrati dello Stato e non, quindi, alla Regione, l'eventuale conflitto fra essi e gii organi centrali statali un conflitto interorganico, non intersoggettivo, che non solo non integra un conflitto di attribuzione costituzionale, ma non d luogo neppure a confiitto esterno, giuridicamente rilevante. Il difetto di competenza dell'organo centrale rispetto all'organo decentrato potr, quindi, essere denunziato al Consiglio di Stato esclusivarnente dal privato interessato dall'atto e sempre che questo abbia leso un suo interesse legittimo. Alla stregua di queste considerazioni la Corte ha dichiarato inammissibile, in prte qua, il ricorso proposto dal Presidente della Regione. La soluzione data a questo ulteriore aspetto della questione, che potremmo definire processuale, non assurge, a nostro avviso, a principio di massima, applicabile in via generale a tutte le ipotesi di attivit statale decentrata alle Regioni (artt. 118 e 121 Cost., 6 e 49 S.S.Sa.; 20, p.c .. , u.p. S.S.Sic.; 13 e 33 S.S.T.AA.; 4 e 44 S.S. V.A.); le due ipotesi, almen.o da un punto di vista formale, infatti, non sono identiche. Il decentramento amministrativo, attuato provvisoriamente in Sicilia dal D.L.L. 30 giugno 1947, n. 567, fondato su legge ordinaria dello Stato, come non ha mancato di porre in luce la Corte nella sentenza, che si annota. A prescindere, quindi, dalla considerazione che lo Stato potrebbe sempre, con altra legge ordinaria, ridurlo o addirittura sopprimerlo, l'atto dell'organo statale, emanato in violazione del citato D.L.L., non invaderebbe mai la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione all'organo regionale, la sfera, cio, di competenza costituzionale della Regione. Il conflitto fra i due organi, perci, anche se non fosse interno, interorganico, non sarebbe mai di ordine costituzionale e non integrerebb.e, anche per questo motivo, quel conflitto, che l'art. 134 Cost. e gli artt. 39 e segg. l. 11 marzo 1953, n. 87, espressamente prevedono e devolvono alla cognizione della Corte costituzionale. -75 Il decentramento di funzioni statali alla Regione, invece, oltre che essere previsto in via permanente, fon dato su disposizioni della Costituzione e delle altre leggi costituzionali, onde ben potrebbe parlarsi di sfera di competenza costituzionale. Inoltre, salve le espressioni usate dall'art. 20 S.S.Sic., il quale si riferisce espressamente al Presidente ed agli Assessori regionali, le altre disposizioni costituzionali citate parlano di delega di funzioni o dell'esercizio di funzioni statali alla Regione, (art. 118 Cost., art. 6 S.S.Sa., art. 13 S.S.TAA., art. 4 S.S.V.A.). E' vero che successive disposizioni (art. 121, 35 S.S.T.A_.A., 44 S.S. V.A.) precisano che il Pre7 sidente della Regione a dirigere le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione e conformandosi alle istruzioni del Governo; ma queste norme, se valgono a superare le diversit letterali delle disposizioni dianzi citate e ad unificare il concetto e la disciplina del decentramento di funzioni statali alle Regioni, non escludono che queste vengano in consi derazione come portatrici di un interesse costituzionale al decentramento stesso. La questione sotto questo particolare aspetto, stata piu volte discussa e, a nostro avviso, stata decisa ex-profe.oso con la sentenoo, n. 9 del 1-9&7, ove la Corte ritenne che potesse ipotizzarsi confiitto .di attribuzione costituzionale per effetto di un _atto emanato dall'Assessore regionale nell'esercizio della cos detta attivit statale decentrata, di cui all'articolo 20 S.S.Sic., p.c., u.p. In conclusione riteniamo che l'annotata sentenza abbia affermato principi, sostanziali e processuali, che valgono solo per il decentramento amministrativo attuato provvisoriamente in Sicilia con il D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, lasciando del tutto impregiudicata la questione, peraltro gi decisa in senso positivo, se l'esercizio di attivit statale .decentrata alle Regioni in base alle disposizioni dello Statuto dia luogo a confiitto di attribuzione costituzionale. G. G. CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNIT ECONOMICA EUROPEA CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COJYIUNITA' ECONOMICA EUROPEA -Procedimento avanti la Corte di Giustizia ex art. 169 del Trattato per constatazione di inadempimento da parte di uno Stato membro -Adempimento, in corso di causa dopo lo scadere del termine fissato -Cessazione della materia del contendere -Insussistenza -Prodotti consolidati ex art. 31 cpv. del Trattato -Misure restrittive dell'importazione a titolo di provvedimento di urgenza -Illegittimit. (Corte di Giustizia delle Comunit Europee -Pres.: Donner; Rel.: Delvaux -19 dicembre 1961). 1) L'art. 169, 20 comma, del Trattato della O.E.E. attribuisce alla Commissione il diritto di rivolgersi alla Corte solo se lo Stato di cui trattasi non si conformi al parere nel termine fissato dalla Commissione, termine che permette quindi allo Stato interessato di regolarizzare la sua posizione al Trattato. Se per entro il termine prefisso lo Stato membro non si sia conformato al parere della Commissione, questa non pu essere privata del diritto di ottenere una pronuncia della Corte sulla violazione degli obblighi derivanti dal Trattato. La Commissione continua ad aver interesse a veder accertato in diritto se sia stata effettivamente,commessa una violazione del Trattato. 2) L'obbligo di standstill (consolidamento) previsto dall'art. 31 del Trattato assoluto, e non comporta alcuna eccezione sia pur parziale e temporanea, al di fuori dell'applicazione delle misure di salvaguardia previste dall'art. 226 del Trattato medesimo, sempre che tali misure siano state preventivamente richieste dallo Stato membro ed autorizzate dalla Commissione. Le restrizioni unilaterali al libero mercato, consentite dall'art. 36 del Trattato, hanno tratto a situazioni di natura non economica. E' opportuno premettere qualche cenno di fatto. Nel giugno del 1960 il Governo Italiano, constatato che nonostante l'adozione di provvedimenti interni il mercato nazionale delle carni suine andava registrando un sempre pi. crescente e preoccupante perturbamento, dovuto a fattori contingenti non esclusa anche l'infiuenza di operatori economici esterni, con vari decreti interministeriali decideva di sospendere per breve periodo l'importazione delle dette carni fresche e lavorate in provenienza da qualsiasi Paese. I provvedimenti vennero poi prorogati alle rispettive scadenze. La Commissicne della Comitnit Economica Europea, ritenuto che tra i prodotti vietati all'importazione erano compresi anche taluni, la cui liberalizzazione era stata gi consolidata tra i Paesi membri del M.E.C., e giudicando esser i provvedimenti in violazione dell'art. 31 del Trattato, che vieta l'introduzione di restrizioni al libero commercio dei prodotti gi consolidati, mise in opera la procedura stabilita dall'art. 169 del Trattato per far constare la asserita inadempienza, rivolgendo prima contestazioni al Governo italiano e quindi emettendo il parere in detta norma previsto con fissazione di un termine per l'eliminazione delle misure restrittive introdotte. Trascorso l'assegnato termine, la Commissione della Comunit Economica Europea adi la Corte di Giustizia ai sensi del sopracitato art. 169 del Trattato. Peraltro nelle more della causa il Governo italiano ritenne superata la congiuntura, e giudic potersi adeguare alla richiesta espressa dalla Commissione, ristabilendo l'importazione per taluni prodotti e fissando per gli altri un prezzo di importazione limite ed adeguato, in modo da evitare ulteriori perturbazioni di mercato, come consentito dall'art. 44 del Trattato. In giudizio il convenuto Governo italiano con il patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato, sostenne che in rito doveva esser dichiarata cessata la materia del contendere, e che nel merito la do -76 manda giudiziale della Commissione era infondata, essendosi trattato di provvedimenti di urgenza, esorbitanti dai limiti delle previsioni del Trattato. Con la sentenza annotata la Corte di Giustizia ha disatteso entrambe le eccezioni sollevate in rito e in merito, ed ha accolto la. domanda attrice, di ' chiarando l'avvenuta inadempienza. La sentenza della Corte induce per ad alquante riflessioni, le quali non consentono di far piena adesione agl! argomenti che la sorreggono. 1) IN RITO. -L'azione data all'Organo Comunitario dall'art. 169 cpv. del Trattato indubbiamente tende ad ottenere dalla Corte una pronuncia dichiarativa; ci si evince aa un inciso del successivo art. 171, il quale specifica che, nell'ipotesi di accoglimento della domanda della Commissione, lo Stato membro a dover prendere i provvedimenti per dar attuazione alla sentenza. La norma pertanto esclude l''!ventualit che la Corte possa emanare una sentenza di condanna ad un facere. Risulta palese inoltre, a termini delle citate disposizioni, che presupposto processuale dell'azione il motivato parere dell'Organo Comunitario; non seguito da un comportamento adesivo dello Stato membro interessato. Ci quanto dire che la controversia aperta davanti la Corte riguarda da un lato la legittimit del parere dell'Organo Comunitario e dall'altro la esistenza di una mancata ottemperanza al parere da parte dello Stato membro convenuto. Nella specie la Commissione della O.E.E., sia nel parere che -nelle conclusioni rassegnate al Collegio aveva chiesto che la Corte dichiarasse che il convenuto con il sospendere le importazioni dei r1toti prodotti aveva mancato ad un proprio dovere comunitario, con il che la controversia aveva per oggetto l'esistenza di uno stato di sospensione delle dette importazioni. Ma tale stato era in corso di causa cessato, talch, se di inadempienza poteva parlarsi, questa poteva riferirsi soltanto all'inosservanza del termine stabilito per l'adeguamento al parere, peraltro dalla stessa Commissione nel detto suo parere introduttivo definito ordinatorio, e non gi in relazione ad un mancato adempimento de parere medesimo, il quale adempimento in corso di causa si era viceversa verificato. La Corte di Giustizia, che pur aveva seguito il Governo convenuto sulla impostazione relativa al carattere dichiarativo della controversia, ha poi risolto la pregiudiziale questione sottopostale, osservando che, pur dopo l'adempimento, la Commissione continuava ad avere interesse a veder accertato in diritto se sia stata effettivamente commessa una violazione del Trattato. Il rilievo non ci sembra per esauriente. Ci sembra infatti chiaro che, sia pur ammesso l'interesse dell'Organo Comunitario all'osservanza del termine assegnato, tale interesse non potesse esser coltivato nella instaurata causa perch in ipotesi trattavasi di inadempimento diverso da quello per il quale la Commissione della O.E.E. aveva introdotto la sua do. manda giudiziale. Probabilmente la Corte rimasta sensibile alla esi difensiva dell'attrice, che aveva prospettato il pericolo di adempimenti fittizi in corso di causa per fini meramente processuali ed elusivi del Trattato, ma tali remote per vero ipotesi palese che debbono esser ritenute irrealizzabili, dal momento che in caso di un adempimento, effettuato dopo la scadenza del termine assegnato, e pur in pres.enza di una. declaratoria di cessazione della materia del contendere sul merito, nulla impediva alla Commissione di rivolgere nuova e diversa contestazione allo Stato membro interessato per l'eliminazione, ove sussistenti, dei pregiudizi verificatisi per il ritardo, e quindi di adire di nuovo la Corte per far constare il ritcirdo stesso quale autonomo inadempimento. La conseguenza inevitabile della motivazione data dalla Corte, a tutto concedere, doveva essere una dichiarazione giudiziale di inosservanza del termine, che peraltro non sarebbe stata rituale, ostandovi la impossibilit processuale di una mutatio libelli e l'inesistenza di una preventiva specifica procedura amministrativa ad hoc sugli effetti della mora (a termini sempre dell'art. 169 del Trattatoh non gi una sentenza dichiarativa che in determinato periodo una violazione del Trattato era stato commessa. N convince l'asserzione della Corte che il termin prefisso allo Stato membro debba esser riguardato quale un mero mezzo per permettere alto Stato stesso di regolarizzare la sua posizione rispetto al Trattato. Nell'ipotesi infatti che lo Stato membro adempia al parere motivato della Commissione dopo la scadenza del termine, ma prima che la Commissione adisca la Corte, ovvio che la controversia, che la Commissione stessa intendesse ugualmente di istaurare, dovrebbe avere per oggetto soltanto l'inosservanza del termine, o, in altre parole, la mora ad adempiere, previa nuova contestazione in via amministrativa e nuovo parere della Commissione stessa, possibile essendo che la mora non sussista o in ipotesi non sia colpevole. N pu prescindersi dalla citata preventiva procedura amministrativa sull'oggetto che poi sar dedotto in giudizio, essendo l'esistenza di un parere in termini presupposto processuale dell'azione. 2) NEL MERITO. -Mentre per quanto riguarda l'ultima parte della massima, che abbiamo estratto dalla sentenza annotata, nessun rilievo da farsi ed acuta appare la distinzione, operata dalla Corte, tra le ipotesi dell'art. 226 e quelle dell'art. 36 del Trattato, sulla scorta dei motivi (economici i primi) e politici (i secondi), che possono sorreggere eventuali deroghe allo standstill dell'art. 31, la prima parte della massima ci appare non completamente convincente. E' noto che i Trattati istitutivi delle Gomimit Europee (O.E.O.A. -O.E.E. -O.E.E.A.) sono stati dalla pi accreditata dottrina in materia considerati quali attributivi da parte degli Stati membri agli Organi comunitari dell'esercizio di alcuni poteri spettanti ai primi. Necessit quindi di considerare gli impegni, assunti nei relativi Trattati dagli Stati membri, in senso cautamente restrittivo, con l'effetto che, ove determinato potere o determinata facolt non risultino espressamente devoluti: questi sono da intendersi rimasti nel libero ed esclusivo .esercizi_<> degli Stati membri, in ordine al quale non configu rabile un sindacato in sede comunitaria. Come era stato dedotto e provato in causa, nell'or dinamento giuridico pubblico italiano, al pari di -==mzrcF&E?E -==mzrcF&E?E -77 quanto del resto riscontrato negli ordinamenti degli altri Stati membri, accanto allo ordinario potere dispositivo della P.A. esiste il potere di emanare provvedimenti contingibili e di urgenza, e ci anche nelle ipotesi di importazioni ed esportazioni a sensi delle leggi in materia, che appunto prevedono la formalit del Decreto Interministeriale. Ben vero che l'art. 226 del Trattato prevede la possibilit di ottenere anche con procedura di urgenza misure di salvaguardia, ma riteniamo palese che vanamente l'art. 226 del Trattato possa essere considerato quale norma attributiva all'organo comunitario dei poteri di intervento statale in tema di provvedimenti contingibili e urgenti, non fosse altro che per il rilievo che detto art. 226 norma di applicazione temporanea ristretta quanto alla sua validit al solo periodo transitorio di applicazione del Trattato. E' pertanto ben sostenibile che la materia dei provvedimenti di urgenza sia rimasta nell'orbita delle attribuzioni statali. N potrebbe dirsi che lo standstill dell'art. 31 ne rimanga svuotato, giacch spetter sempre alla Commissione il potere di indagare in virt dell'art. 155 del Trattato se in ipotesi un provvedimento di tal natura sia fittizio ed elusivo degli scopi del Trattato, adendo anche la Corte di Giustizia a termini dell'art. 169; ma questo problema di merito, che non giustifica l'asserzione della soppressione in materia della facolt degli stati membri di ricorrere ai propri poteri di apprezzare determinate situazioni sotto il profilo dell'urgenza e della contingibilit, necessit queste che possono invero sussistere anche al di fuori delle ipotesi previste dalla procedura comunitaria per l'ottenimento di misure di salvaguardia, o non consentire le remore della procedura stessa. N da trascurarsi che il convenuto, sia pur dopo l'adozione dei provvedimenti di urgenza, aveva poi . provveduto ad informarne la Commissione. La questione, di particolare interesse, si presenta peraltro ormai superata per effetto di quasi coeve decisioni del Consiglio dei Ministri delle Comiinit, le quali decisioni, come noto, in diritto comunitario hanno efficacia legislativa. Difatti nelle discussioni tenutesi nel dicembre 1961 a Bruxelles per il passaggio alla seconda tappa, la questione dei provvedimenti di urgenza stata ex professo in seno al Consiglio affrontata, disponendosi all'uopo che gli Stati membri possono prendere tali provvedimenti di urgenza nel caso in cui il mercato subisca o rischi di subire gravi perturbazioni. La procedura legislativamente fissata dal Consiglio la seguente; lo Stato interessato tenuto a notificare al piu presto alla Commissione ed agli altri Stati membri il provvedimento adottato, e la Commissione, sentito un Comitato di gestione, deve pronunciarsi in merito entro breve termine con possibilit dello stato interessato, nel caso di diniego della Commissione, di investire il Consiglio della Comunit che decide in via definitiva. E' ovviamente, nel caso, aperta allo Stato interessato la possibilit di impugnare la decisione del Consiglio, che in tal caso ha natura di atto amministrativo, avanti la Corte di Giustizia a termini dell'art. 173 del Trattato con gli effetti di cui al successivo art. 176. La decisione del Constglio della Comunit intervenuta, come sopra detto, quasi nello stesso torno di tempo della decisione della Corte, mentre esaurisce legislativamente sul piano comunitario l'importante questione agitatasi nella causa de quo, ribadisce invero l'opinione che il Trattato non vietasse agli Stati membri di adottare provvedimenti di urgenza, ed anzi che, non regolandoli, avesse inteso mantenerli nella sfera di attribuzione degli stessi, fermo il potere di vigilanza della Commissione a termini dell'art. 155 primo comma del Trattato. P. P. CORTE DI CASSAZIONE ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Costruzione alloggi per il personale ferroviario Costruzione ferroviaria -Legge 7 luglio 1907, n. 429 -Applicabilit. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Indennit liquidata a seguito di giudizio di opposizione -Pagamento diretto allo espropriato -Inammissibilit. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Interessi sulla indennit liquidata a seguito di giu dizio di opposizione -Decorrenza. LITISCONSORZIO FACOLTATIVO -Impugnazione incidentale tassativa -Inammissibilit. SENTENZA -Interpretazione della volont di legge in concreto attuata -Dispositivo in relazione alle motivazioni. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 757, 21 dicembre 1961-18 aprile 1962 -Scheibler Elisaiin Zieleri e Ferrovie Cdello Stato e Societ Uniorfas). 1) La costruzione di fabbricati alloggi per il personale ferroviario, di servizio (Regol. n. 405 del 1925) o economiche (T.U. 28 aprile 1938, n. 1165), rientra nel concetto unitario di costruzione ferroviaria posto dalla legge del 1907, quale che sia la distanza dagli impianti ferroviari" e quali_ che siano le funzioni del personale che vi abita. Le espropriazioni, pertanto, occorrenti per dette costruzioni sono disciplinate, a norma dell'art. 77 della legge citata, dalla legge di Napoli ovvero se -'j8 pi favorevole da quella relativa al luogo in cui sono eseguite. 2) Dato che il procedimento da seguire per lo svincolo della indennit depositata alla Cassa Depositi e prestiti dall'art. 55 della legge sulla espropriazione per P.U. regolato in modo indero g:abile anche a garanzia di eventuali diritti di. terzi, la maggiore indennit liquidata dal giudice a fa vore dell'espropriato, non si sottrae a detto depo sito e per essa non pu configurarsi una condanna dell'espropriante al pagamento diretto all'espro priato. 3) Con il deposito della indennit alla Cassa Depositi e Prestiti l'espropriante liberato dalla sua obbligazione. Sulle somme depositate, per tanto, non sono dovuti interessi maggiori e diversi da quelli corrisposti dalla Cassa. Sulle maggiori somme liquidate con il giudizio di. opposizione, rimaste nella disponibilit dell'espropriante sono dovuti gli interessi legali dalla data del decreto di espropriazione fino a quello in cui sar effettuato il deposito supplementare. 4) Nellitisconsorzio facoltativo la parte che abbia ricevuto notificazione della impugnazione princi pale ai soli effetti della denuntiatio litis, non abilitata alla impugnazione incidentale tardiva. Questa ammessa soltanto a favore delle parti contro le quali la impugnzione proposta ed a favore di quelle chiamate ad integrare il contrad dittorio a norma dell'art. 331 del C.p.c. 5) Al fine di d.eterminare la volont concreta di legge attuata in sentenza il tenore e la portata del dispositivo vanno interpretati con quanto emerge dalla motivazione che ne costituisce il necessario presupposto. La parte motivo della sentenza del seguente tenore: Deve essere anzitutto disposta la riunione dei pred..:itti ricorsi, principale ex incidentali, sotto il numero pi antico di ruolo trattandosi di impugnative avverso la stessa sentenza. La ricorrente principale nei suoi primi due motivi del ricorso, che sono strettamep.te connessi e posRono quindi essere esaminati congiuntamente; si duole sostanzialmente della sentenza impugnata per avere la Corte del merito considerato il fabbricato costruito dalla Amministrazione ferroviaria sul terreno espropriatole cme costruzione ferroviaria , ai sensi dell'art. 77 della legge 7 luglio 1907, n. 429, e quindi per averlo considerato valutabile mediante i criteri d.i atima indicati nel primo comma dell'art. 4 della legge 24 marzo 1932, n. 355, sul piano regolatore di Roma. E di ci la medesima ricorrente si duole in quanto la Corte di Appello male avrebbe operato, ricorrendo all'applicazione dell'art. 33 del Regolamento 7 aprile 1925, n. 405 e dell'art. 300 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, al fine di determinare, nella fattispecie, il concetto di costruzione ferroviaria di cui a detto articolo 77 della legge del 1907, n. 429. La censura non ha fondamento. Il tribunale aveva negato il carattere di costruzione ferroviaria al fabbricato costruito sul fondo espropriato alla Scheibler, oltre che per la lontananza degli impianti ferroviari, anche perch destinato ad alloggi di personale investito di funzioni elevate e non quindi addetto 3Jgli impianti stessi, secondo la elencazione contenuta nell'art, 33 del regola mento 7 aprile 1925, n. 405. La Corlie del merito si posta l'unica questione che si trattava di decidere, se cio la costruzione di alloggi per il peTsonale ferroviario rientrasse nella economia della legge 429 del 1907 (art. 77), di cui, come era pacifico, si faceva espresso riferi mento nel testo del decreto di. espropriazione, ed entro tali limiti della contestazione ha ritenuto che in tale previsione di legge rientrasse la costru zione di cui si discute. E tale interpretazione del precetto legislativo esatta, perch il concetto unitario di costruzione ferroviaria , quale deve desumersi dal complesso delle disposizioni vigenti, comprende sicuramente anche la costruzione di fabbricati-alloggi per il personale ferroviario, quale che sia la distanza di detta costruzione dagli impianti ferroviari e quali che siano le funzioni del personale che vi abita. Per vero da tener presente che l'art. 33 dello allegato n. 2 del decreto 7 aprile 1925, n. 405 in nanzi richiamato prevede espressamente, sia pure ai fini del pagamento di un canone per l'alloggio, che le cbstruzioni siano situate lontano dagli im pianti, ditalch intuitivo che il criterio della distanza irrilevante per la definizione di costruzio ne ferroviaria di cui all'art. 77 della legge del 1907. L'art. 300 del T.U. 28 aprile 1938, n. 1165 (dettato per la disciplina dell'edilizia economica per i ferrovieri) stabilisce poi che la scelta della localit nelle quali devono acquistarsi o costruirsi le case per i ferrovieri (epper senza alcuna discriminazione delle funzioni di tale personale) rimessa alla libera discrezionalit del Ministero dei Trasporti; e sancisce inoltre testualmente che le espropriazioni per le costruzioni ed opere da eseguirsi sono dichiarate di pubblica utilit e sono regolate dalle norme legislative riguardanti quelle per lavori e impianti ferroviari ; ossia dalla legge n. 429 del 1907. Infine da aggiungere che il D.L.C.P.S. 29 luglio 1946, n. 95 (concernente la sovvenzione di somma per la costruzione o l'acquisto di case in conto patrimoniale per i ferrovieri) fa espresso riferimento, nella sua premeosa, alla richiamata legge n. 429 del 1907 di cui si discute. Le considerazioni che precedono non lasciano quindi alcun dubbio che la lettera e lo spirito dell'art. 77 della legge n. 429 del 1907 hanno capacit di attrarre nell'orbita di questo precetto la costruzione di fabbricati-alloggi per i ferrovieri, siano essi alloggi servizio (secondo il decreto 7 aprile 1925, n. 405) siano essi case economiche (secondo il T.U. 28 aprile 1938, n. 1165). Indiscusso pertanto in definitiva il presupposto (costruzione ferroviaria) per l'app~~c~bilit dello art. 77 della legge del 1907, correttamente la_Co.rte_ di Appello -secondo le disposizioni della norma stessa, che consentono alla Amministrazione ferroviaria espropriante di avvalersi delle disposizioni speciali gi favorevoli vigenti nei luoghi ove ven -79 gono eseguite tali espropriazioni -ha proceduto alla liquidazione dell'indennit secondo il criterio di stima della legge 24 marzo 1932, n. 355 sul piauo regolatore di Roma (art. 4). Il terzo mezzo denuncia una pretesa violazione dell'art. 91 C.p.c. Si spiega che la Corte del merito, nel riformare la sentenza di primo grado, ha compensato un terzo delle spese ed onorari del giudizio di appello, e si formula la censura .nel senso che in caso di accoglimento del ricorso la pronuncia sulle spese dovrebbe essere riformata. Ma evidente che se la stessa ricorrente riconosce che la pronuncia sulle spese stata emessa in dipendenza della decisione adottata, la violazione dell'art. 91 non sussiste e pertanto il relativo mezzo del tutto infondato. Il ricorso principale deve essere perci respinto. Ugualmente destituito di fondamento il ricorso incidentale della Uniorias. La Corte del merito ha dichiarato inammisf'libile l'appello incidentale proposto da detta Societ, che era intervenuta volontariamente in primo grado, per essere la stessa , decaduta dal diritto di impugnazione ai sensi degli artt. 325 e 344 C.p.c. Da ci deriva che dei quattro motivi di annullamento dedotti l'unico assorbente quello concernente l'affermata decadenza dell'impugnazione. Ora, in proposito, agevole rilevare che la statuizione impugnata ha fatto buon governo della legge. Certo, come si diceva in narrativa, che la sentenza del Tribunale fu notificata dalla Scheibler alla Uniorias in data 17 settembre 1958, questa ultima avrebbe dovuto proporre il suo gravame nei termini di legge, non essendo ad essa consentita l'impugnazione incidentale tardiva, che ammessa soltanto a favore delle parti contro le quali stata proposta impugnazione e a favore di quelle chiamate a integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331 C.p.c. (art. 334 C.p.c.). Ipotesi queste che non ricorrevano nel caso di specie, perch dall'un canto l'Amministrazione delle Ferrovie aveva proposto appello avverso la sentenza del tribunale unicamente nei confronti della Scheibler e non della Uniorias e dall'altro canto si trattava di litis-consorzio facoltativo, essendo appunto la Uniorias divenuta partecipe del giudizio di prime cure in forza di intervento volontario. Ed ben noto che quando si tratti di litiscon..~orzio facoltativo la parte che abbia riavuto notificazione della impugnazione principale, ai soli effetti della denunciatio litis, non abilitata alla impugnazione tardiva (sent. 316/1958; 545, 993, 2052 e 3012/ 1959; 1938-1960). D'altra parte da aggiungere 'che il tribunale con la sua pronuncia aveva in sostanza, come gi detto nell'esposizione di fatto, negato ogni legitti mazione all'intervento spiegato dalla Uniorias, sul riflesso che la pretesa da quest'ultima fatta valere era del tutto estranea all'oggetto del giudizio vertente tra i soggetti del rappor~o espropriativo che erano in causa; di talch appariva ovvio che, di fronte a tale accertamento, il quale escludeva in radice ogni vincolo, sia pure di connessione, tra la causa principale e quella proposta dall'inter ventore volontario, rimaneva vieppi confermato che la Uniorias avrebbe dovuto proporre il suo appello nel termine posto dall'art. 325 C.p.c. Il che non avvenuto. Venendo a dire del ricorso incidentale della Amministrazione delle Ferrovie dello Stato osservano le Sezioni Unite che con l'unico meiz detta Amministrazione, nel denunciare la violazione degii artt. 48, 54, 55 e 56 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e dell'art. 1 della legge 5 aprile 1926, n. 686, deduce che ha errato la Corte di appello nel condannare l'Amministrazione stessa al pagamento diretto della maggiore indennit con gli interessi, fino all'effettivo pagamento, anzich al deposito della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti, per ch ildeposito l'unico modo valido di adempimento della obbligazione che fa carico all'espropriante. La censura, ancorch si richiami ad esatto principio giuridico, non pu peraltro indurre all'annullamento, per questa parte, dell'impugnata sentenza. La Corte del merito se nel dispositivo ha pronunciato la condanna della Amministrazione delle Ferrovie dello Stato a. corrispondere alla Scheibler la somma di lire 8.607.110, una agli interessi dal 31 luglio 1946 sino all'effettivo pagamento, peraltro in motivazione ha precisato testualmente che il disposto pagamento in favore dell'espropriato una statuizione condizionata, essendo l'effettivo pagamento della somma subordinato all'accertamento della sussistenza degli estremi tutti previsti dalla legge 3 aprile 1926, n. 686 . Sicch, alla stregua del principio che il tenore e la portata del dispositivo vanno interpretati con qanto emerge dalla motivazione che ne costituisce il necessario presupposto, al fine di determinare la volont concreta di legge attuata in sentenza, nel caso appare ben manuesto che la statuizione della Corte di merito (stante l'esplicito avvertimento fatto in motivazione che la condanna al pagamento di quella somma non esimeva l'espropriato dall'espletamento della particolare procedura prevista dalla legge n. 686 del 1926) venuta a risolversi necessariamente nell'ordine di deposito della somma medesima alla Cassa Depositi e Prestiti. Ci precisato, rimane quindi osservato il principio di diritto posto a base della censura e della cui esattezza non a dubitare. Invero, posto che l'art. 55 della legge 1865 sulla espropriazione per pubblica utilit -modificato dalla legge n. 686 del 1926 (sul trasferimento al giudice ordinario della competenza di disporre il pagamento della indennit di espropriazione) -regola, in modo inderogabile, anche a garanzia di eventuali diritti di terzi, il procedimento da seguire per lo svincolo della indennit depositata, consegue che anche nell'ipotesi del maggior supplemento di indennit liquidato dal giudice a favore dell'espropriato, l'espropriante sia tenuto a quel deposito, e non quindi configurabile una condanna dell'espropriante stesso al pagamento diretto verso l'espropriato. ovvio che sulla maggior somma accertata come dovuta col giudizio sulla opposizione (somma che rimasta nella disponibilit dell'espropriante) sono--dovuti gli interessi legali dalla data del decreto di esproprio e fino all'effettivo deposito (come deve intendersi statuito nel caso concreto), deposito che -80 considerato equivalente al pagamento, ai fini il.ella liberazione del debitore espropriante, il quale perci, relativamente alla somma depositata, non pu essere ulteriormente tenuto a corrispondere alcunch per interessi all'espropriato, creditore dell'indennit, al quale competono, sulla somma depositata, soltanto gli interessi corrisposti dalla Cassa (cfr. sent. 3378/1958; 987 /1960). Le soluzioni adottate nella sentenza in esame 8ono conformi alla impostazione prospettata nello interesse detl;Amministrazione per 'i vari punti controversi. Una particolare segnalazione meritano Ze massime relative al concetto di costruzione ferroviaria ed alle modalit di pagamento delle indennit liquidate nel giudizio di opposizione, per la man.anza di precedenti in termini da parte della Corte di Cassazione. La corte di Appello di Roma gi nella sentenza 8 maggio 1956, D'Amico Fiory c/ ,Ministero dei Trasporti, riportata in questa Rassegna 1956; pagina 181, aveva riconosciuto il Carattere di costruzione ferroviaria alle case economiche costrtdte a norma del Testo unico 1165 del 1938, ma il Consiglio di Stato, per gli alloggi di servizio, in alcune decisioni (cfr. 16 novembre 1951, n. 431 in Foro .Amministrativo 1952; 1; 3, 76) aveva ritenuto che per rimanere nell'ambito della costruzione ferroviaria la distanza dagli impianti avrebbe dovuto essere espressamente giustificata da particolari motivi di necessit e convenienza. La costruzione egli alloggi per il personale ferroviario sono compiute con spese a carico del Bilancio del. Ministero dei Trasporti, con un susseguirsi di leggi che vanno da quella del 14 luglio 1907, n. 553, del 19 giugno 1913, n. 641; del 27 novembre 1919, n. 2350; del 3 settembre 1925, n. 164 7, del 4 novembre 1926, n. 2229; del 6 novembre 1930, n. 1954; del 18 giugno 1931, n. 920; del 3 dicembre 1932, n. 419 a quella del Testo unico 1938, n. 1165 (a.rticolo 300) nella quale sono state tutte richiamate ed infine a q,uella del 29 luglio 1946, n. 95 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1946, n. 212. Per tali costruzioni, inoltre, la legge del '38 fa espresso riferimento alla legge n. 429 del 1907 di cui si discute e nella qtiale posto l'art. 77. Il D.L.G.P.S., n. 95 del 1946, inoltre, tale espresso riferimento ha fatto nella premessa. E' quanto basta per ritenere che nelle previsioni del legislatore la costruzione degli alloggi per il personale ferroviario, siano essi alloggi di servizio (art. 33 Reg.) siano case economiche (art. 300 del Testo unico del 1938) -un tertium genus non esiste -costttuisce un'opera' del genere prevista nel l'art. 77 del Testo unico del 1907. Le ragioni sono di intuitiva evidenza; sia il Regolamento 7 aprile 1925, n. 405 che il Testo unico 28 aprile 1938, n. 1165, nel loro contenuto prevedono e disciplinano gli alloggi per il personale ferroviario -di ser1,izio o economici -e per tutti tali alloggi trovano applicazione le norme del particolare tipo di espropriazione; il Regolamento 405 del 1925 all'art. 34 precisa che gli alloggi di seri1izio possono essere assegnati anche a quegli altri agenti che l'Amministrazione giudica opportuno, con la conseguenza che non soltanto il personale esecutivo indicato nel precedente art. 33, ma altresi il personale direttivo ed in genere qualsiasi categoria di personale . ferroviario pu beneficiare della assegnazione; lo stesso Regolamento prevede e disciplina gli aspetti economici per coloro che godono di alloggio di servizio situato lontano, con la conseguenza che nelle previsioni del legislatore detti alloggi, da costruirsi con il particolare tipo di espropriazione, possono essere ubicati anche in lontananza dagli impianti ferroviari, senza per ci stesso, perdere la loro caratteristica funzionale; lo stesso Regolamento considera gli alloggi di servizio alla stessa stregua delle case economiche (art. 33 ultima parte) e l'art. 300 del Testo unico del 1938, nel disciplinare le case economiche in questione fa espresso riferimento al particolare tipo di espropriazione con richiamo alla legge 429 del 1907 e non contiene limitazioni di distanza .. Da ci necessario dedurre che, mancando per la uti lizzazione dei fondi da impiegare ne.lla costruzione di alloggi per il personale ferroviario un tertium genus oltre gli alloggi di servizio e le case economiche e contenendo la legge relativa ai fondi predetti (v. Testo unico del 1938 e legge n. 95 del 1946) espresso riferimento alla legge 429 del 1907, il concetto di costruzione ferroviaria un concetto unitario nel quale non possono non rientrare le costruzioni delle quali cenno, siano esse di servizio o economiche, vicine o lontane dagli impianti ferroviari e quali che siano le funzioni del personale che vi abita. Quanto alle modalit di pagamento delle indennit di espropriazione l'affermazione delle Sezioni unite di indubbio fondamento; Poich il giudizio di opposizione ha natura di impugnazione della determinazione della indennit e poich l'art. 55 della legge sulle espropriazioni per P. U. -modificato dalla legge 3 aprile 1926, n. 686 -regola, in modo inderogabile, anche a garanzia di eventuali diritti di terzi, il procedimento da seguire per lo svincolo della indennit depositata, per il caso di determinazione di indennit maggiore di quella depositata, non configurabile una condanna dello espropriante al pagamento diretto allo espropriato di alcuna somma. La condanna stessa dovr necessarfomente risolversi nell'ordine di deposito della maggior somma alla Gassa Depositi e Prestiti. IMPIEGO PUBBLICO -Competenza -Ufficiale di complemento -Rapporto di pubblico impiego Mancanza -Controversie relative agli assegni di prigionia spettanti ad un ufficiale di complemento Giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato Esclusione -Competenza dell'A.G.O. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 2314/61 -Pres.: Verz; Est.: Rapisarda; P.M.: Reale -Ministero Difesa c. Pascucci). Il servizio prestato dall'ufficiale di complemento non ha natura di pubblico impiego. Elementi caratteristici ed indispensabili per aversi un rapporto di pubblico impiego sono la -81 volontariet e la professionalit, che, invece, difettano totalmente nel servizio prestato dall'ufficiale di complemento. Questo, nonostante l'attribuzione del grado e delle funzioni ad esso relative, non fa che prestare, in una particolare posizione e funzione, il servizio militare cui obbligato, non diversamente dagli arruolati di leva o dal cittadino richiamato alle armi per le particolari esigenze dello Stato. Il compenso che riceve non pu essere confuso con la retribuzione dell'imp~ego perch non trae la sua origine dall'istituzionale carattere lucrativo e professionale del rapporto di impiego. Difetta, soprattutto, nell'ufficiale di complemento, la professionalit, a differenza degli ufficiali e sottufficiali in servizio permanente. Ai sensi d.ella legge 10 aprile 1954, n. 113, sullo stato degli ufficiali dell'esercito, che regola esclusivamente il rapporto di pubblico impiego degli ufficiali in servizio permanente, deve escludersi che un rapporto di impiego pubblico sussista in ordine agli ufficiali di complemento. Pertanto, sono devolute non alla giurisdizione esclusiva del Oonsiglio di Stato, ai sensi degli artt. 29 e 30 del Testo unico 26giugno1924, n. 1054, bens alla giurisdizione ordinaria, le controversie relative agli assegni di prigionia spettanti ad un ufficiale di complemento. Confrontare Corte dei conti , 1959, III, 2, 122. IMPOSTA DI REGISTRO...:Quota fissa di abbonamento dovuta dalla Cassa per il Mezzogiorno a norma dell'art. 26, legge n. 646 del 1950 -Documentazione richiesta dall'art. 1 legge n. 1575, del 1951 -Carattere probatorio e non essenziale -Esibizione della predetta documentazione -Momento utile. IMPOSTA DI REGISTRO -Privilegi tributari -Subordinazione a determinati presupposti -Applicabilit -Ambito -Limiti -Fattispecie. (Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 376/62 -Pres.: Torrente; Est.: Favara; P.M.: Gentile (conf.) -Finanze c. Puleo). Allorquando l'art. 1 legge n. 1575 del 1951 (poi trasfuso nell'art. 31 legge n. 634 del 1957) dispone che nella quota fissa di abbonamento corrisposta dalla Oassa per il Mezzogiorno, a norma d'lll'art. 26 legge n. 646 del 1950, sono comprese le tasse e le imposte indirette sugli affari dovute sui contratti di appalto stipulati dalle amministrazioni e dagli enti cui all'art. 8 della ricordata legge, relativi a lavori la cui esecuzione sia stata affidata, o concessa, agl' enti anzidetti dalla Oassa e che, per conseguire il trattamento cos concesso, i contratti di appalto debbono contenere la contestuale dichiarazione che essi sono stati stipulati ai fini di detta legge ed essere, altres, corredati, da una copia dell'atto di affidamento, o concessione, effettuata dalla Oassa per il Mezzogiorno, ovvero da analoga certificazione rilasciata dalla Oassa stessa, la documentazione cos voluta daUa legge ha carattere probatorio e non essenziale in ordine alla effettiva sussistenza dei requisiti oggettivi cui soltanto subordinato il diritto al trattamento stesso per l'atto sottoposto a registrazione, tanto che non comminata alcuna decadenza dal beneficio anzidetto per il caso in cui l'Ufficio, senza richiedere il contestuale deposito della documentazione insieme all'atto, lo abbia ugualmente registrato a tassa fissa, nella . .ritenut.a sussistenza dei requisiti necessari alla concessione del predetto beneficio fiscale, per il contestuale richiamo contenuto a tale fine nell'atto cos sotto- posto a registrazione. In tale ipotesi, pertanto, bene pu il contribuente, a richiesta dell'Ufficio esibire la documentazione a corrdo dell'atto anche in epoca successiva e, occorrendo, anche in sede giudiziale, a sostegno dell'opposizione all'ingiunzione fiscale intimata dall'Ufficio, in seguito ad ispezione degli atti registrati ed a confutazione dell'analogo rilievo elevato sulla dedotta mancanza del contemporaneo deposito da parte del contribuente della prevista documentazione al momento della sottoposizione dell'atto alla registrazione. I privilegi tributari subordinati a determinati presupposti sono, in generale, applicabili in quanto i presupposti stessi oggettivamente sussistano al momento della stipulazione dell'atto a cui vanno applicati, salvo che la legge non disponga diversamente col prevedere, ad esempio, la decadenza dal beneficio per l'inutile decorso dei previsti termini, compreso quello prescrizionale, o per il verificarsi di determinati eventi dalla legge stessa specificati. Nella specie, l'art. 1 legge n. 1575 del 1951 non prevede decadenza alcuna dal trattamento fiscale concesso, per l'ipotesi in cui si ometta di corredare contestualmente alla registrazione l'atto sottoposto a tale formalit, n alcuna potrebbe, per ci, aggiungerne l'interprete, tanto pi quanto, in realt, non si tratta di un'esenzione fiscale in senso proprio ma, come nel caso specifico, di una mera modalit di pagamento dovuta in abbonamento anzich per ogni singolo atto. Trascriviamo la motivazione della sentenza. La sentenza conforme alla precedente n. 1710 del 1961 in Foro It. 1961, I, 1443 con nota. Ool primo mezzo, nel denunziare la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge 22 dicembre 1951, n. 1575 e dell'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 686, anche in relazione agli art. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale ed agli art. 3, 76, 88 e 110 della legge di registro, n. 3269 del 1923 ed 8 del Regolamento 23 dicembre 1897, n. 549, nonch il vizio di omessa ed insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e 5 O.p.c.), l'Amministrazione finanziaria censura la sentenza della Corte di Palermo per avere a torto disattesa la tesi di essa ricorrente, secondo cui non poteva attribuirsi rilevanza alla produzione tardiva della copia dell'atto di concessione della Oassa per il Mezzogiorno, richiesta dalla legge speciale per farsi luogo all'agevolazione tributaria. Avnao il legislatore imposto al contribuente l'onere della presentazione dei documenti al momento della registrazione dell'atto, non sarebbe pi consentito, ad avviso della ricorrente, il completamento -82 della doeumentazione in alcun momento successivo, non bastando la semplice inserzione della dichiarazione contestuale nel contratto di appalto per ottenere la concernione del beneficio tributario, qualora essa non sia accompagnata dalla contemporanea esibizione della copia dell'atto di concessione, o del certificato della Cassa del Mezzogiorno. La ricorrente .Amministrazione denunzia, perci, la inesattezza dell'avviso della Corte di merito, secondo la cui sentenza la documentazione avrebbe funzione invece meramente probatoria, sul presupposto inesatto che sia, invece, sufficiente la mera esibizione di tale documento, mentre la legge tributaria impone l'onere della contestuale presenzione alla registrazione del contratto e della relativa documentazione, senza che presenti alcun riliev:o neppure, in senso contrario, la circostanza che la legge non prevede alcuna decadenza espressa dall'applicazl.one del beneficio fiscale per il caso dr mancata presentazione congiunta dell'atto e della richiesta documentazione. Le censure del mezzo in esame sono prive di giuridico fondamento. .Allorquando, infatti, l'art. 1 della legge 22 dicembre 1951, n. 1575 (poi trasfuso nell'art. 31 della legge 29 luglio 1957, n. 634) dispone che nella quota fissa di abbonamento corrisposta dalla Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi dell'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 646, sono comprese le tasse e le imposte indirette sugli affari dovute sui contratti di appalto stipulati dalle amministrazioni e dagli enti di -cui all'art. 8 della ricordata legge, relativi a lavori la cui esecuzione sia stata affidata, o concessa, agli enti anzidetti dalla Cassa e che, per conseguire il trattamento cos concesso, i contratti di appalto debbono contenere la contestuale dichiarazione che essi sono stati stipulati ai fini di detta legge ed essere, altres corredati da una copia dell'atto di affidamento, o concessione, effettuata dalla Cassa per il mezzogiorno, ovvero da analoga certificazione rilasciata dalla Cassa stessa; la documentazione cos voluta dalla legge ha carattere probatorio e non essenziale in ordine alla effettiva sussistenza dei requisiti oggettivi cui soltanto subordinato il diritto al trattamento stesso per l'atto sottoposto a registrazione, tanto che non comminata alcuna .decadenza dal beneficio anzidetto per il caso in cui l'Ufficio, senza richiedere il contestuale deposito della documentazione, insieme all'atto, lo abbia ugualmente registrato a tassa fissa, nella ritenuta sussistenza dei requisiti necessari alla concessione dell'anziriferito beneficio fiscale, per il contestuale richiamo contenuto a tale fine nell'atto cos sottoposto a registrazione. In tale ipotesi, pertanto, bene pu il contribuente, a richiesta dell'Ufficio, esibire la documentazione a corredo dell'atto anche in epoca successiva e, occorrendo anche in sede giudiziale, a sostegno della opposizione alla ingiunzione fiscale intimata dall'Ufficio, in seguito ad ispezione degli atti registrati, ed a confutazione dell'analogo rilievo elevato sulla dedotta mancanza del contemporaneo deposito da parte del contribuente della prevista documentazione al momento della sottoposizione dell'atto alla registrazione. Va ricordato, d'altro canto, che i privilegi tributari subordinati a determinati presupposti sono, in generale, applicabili in quanto i presupposti stessi oggettivamente sussistono al momento della stipulazione dell'atto a cui. vanno applicati, salvo che la legge non dispong" dversamente, col prevedere, ad esempio, la decadenza dal beneficio per l'inutile decorso dei previsti termini (compreso quello prescrizionale) o per il verificarsi di determinati eventi dalla legge stessa specificati (cfr. su ci Cassazione, 14 luglio 1961, n. 1710; Cassazione, 7 febbraio 1961, n. 254 e Cassazione 25 febbraio 1960, n. 334 e 335). Ora, l'art. 1 della legge n. 1575 del 1951 non prevede decade.nza alcuna dal trattamento fiscale concesso, per l'ipotesi in cui si ometta di corredare contestualmente alla registrazione l'atto sottoposto a tale formalit, n alcuna potrebbe, perci, aggiungerne l'interprete, tanto pi quanto in realt, non si tratta di una esenzione fiscale in senso proprio, ma come nella specie, di una mera modalit di pagamento dell'imposta dovuta, in abbonamento, anzich per ogni singolo atto, cos come previsto, appunto, dal l'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 646 per la Cassa del Mezzogiorno, poi estesa anche agli atti di esecuzione indiretta neceESaTi al raggiungimento dei fni pubblicistici perseguiti dalla Cassa stessa, con l'art. 1 della ricordata legge n. 1575 del 1951. Non si contesta dall'.Amministrazione finanziaria ricorrente che, nel caso in esame, i requisiti oggettivi per la concessione del trattamento fiscale previsto sussistevano fin dal momento della stipulazione dell'atto, senza mai essere venuti meno successivamente, neppure si nega che dall'atto stesso risultava la contestuale dichiarazione di riferimento della stipulazione al raggiungimento dei fini voluti dalla legge, cos come richiesto dall'articolo 1 della legge 22 dicembre 1951, n. 1575, cosicch la tesi dell'.Amministrazione si riduce nel sostenere che la circostanza della mancata unione della copia dell'atto di affidamento a quello da registrare implicava, per ci solo, la decadenza dal trattamento concesso: ora la tesi evidentemente insostenibile non solo perch aggiungerebbe alla legge una causa di decadenza che l'interprete non sarebbe sicuramente autorizzato ad inserire nel testo legislativo, ma anche perch si risolverebbe, oltre tutto, in un duplice pagamento della tassa di registrazione, una volta corrisposta in abbonamento ed una seconda volta pagata, poi, sul singolo atto che pure si riconosce ricompreso tra. quelli che oggettivamente erano gi stati tassati in abbonamento, e ci solo perch l'atto sottoposto a registrazione non era stato contestualmente corredato dalla certificazione voluta dalla legge, ma dalla quale lo stesso Ufficio aveva ritenuto di potere inizialmente prescindere, registrando l'atto a tassa fissa senza il corredo della documentazione, nella convinzione (del tutto esatta) della esistenza oggettiva dei presupposti di legge__ per la concessione del trattamento in questione, e del gi seguito pagamento della tassa in abbonamento. La mancanza della contestuale documentazione poteva, al pi, importare che l'Ufficio poteva -83 richiedere tale adempimento di carattere probatorio al contribuente, in qualsiasi momento iniziale, o successivo; ma in nessun caso ci poteva importare, invece, la decadenza dal trattamento quando, oltre tutto, rientrando l'atto oggettivamente (come non si discute) tra quelli per cui la tassa era gi stata corrisposta in abbonamento, non si sa perch l'Ufficio ne potrebbe richiedere una seconda volta il pagamento al contribuente, quasi che la tassa -per la sola circostanza della mancata esibizione contestuale della documentazione probatoria -non fosse gi stata da tempo liquidata e percepita in via di abbonamento cumulativo, ai sensi dell'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 646, anche per l'atto in questione, insieme a tutti quelli per i quali l'abbonamento era oggettivamente valido ed esteso. Comunque riguardato, perci, il motivo in esame si rivela del tutto privo di fondamento giuridico ed il suo rigetto travolge anche il secondo mezzo col quale, nel rinnovare la denunzia di violazione delle disposizioni di legge sopra ricordate, l'Amministrazione si duole perch la sentenza avrebbe, a torto, ritenuta valida l'esibizione della documentazione fatta dal contribuente solo in sede giudiziale, anzich davanti all'Ufficio. .Ancora una volta; infatti, VA.mministrazione sostiene, senza fondamento, che la mancata presentazione della documentazione all'atto stesso della registrazione avrebbe importata la decadenza del contribuente dal trattamento tributario in esame, mentre -come si visto . una tale decadenza non sussiste, almeno nella formulazione chiarissima della legge al riguardo, o, comunque, nel sistema della legge tributaria nel registro cui invano la ricorrente Amministrazione fa pure richiamo. In realt, la documentazione richiesta ha un carattere meramente probatorio e non essenziale, rivolto come solo a dimostrare la computabilit del singolo atto in concreto fra quelli per i quali la tassa viene corrisposta all'erario globalmente, sotto forma di abbonamento, dalla Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi dell'art. 26 della legge n. 646 del 1950. Una volta raggiunta tale prova chiaro che l'atto non pu essere tassato una seconda volta, senza convertire tale secondo pagamento in definitiva in una forma di ammenda per la mancata contestuale documentazione, (neppure, si noti, richiesta nella specie dall'Ufficio al momento della registrazione) che, ancora una volta, l'interprete non in modo alcuno autorizzato ad aggiungere al chiaro testo di legge, che regola il caso in esame, con giusto contemperamento delle esigenze del contribuente e di quelle dell'Ufficio, e senza il ricorso a forma di penalizzazione, decadenza, o altra sanzione, quale in sostanza -l'interpretazione proposta dalla Amministrazione ricorrente verrebbe a stabilire, ponendo come termine finale per la facolt di documentazione ora il momento della registrazione, ed ora quello della opposizione giudiziale alla ingiunzione fiscale, con una incertezza del tutto spiegabile perch, in realt, l'interpretazione proposta aggiunge alla legge e non si limita, come invece dovrebbe, a spiegarla negli effetti realmente e solamente voluti. IMPOSTA DI REGISTRO -Societ -Scadenza del termine -Deliberazione di proroga della durata -Non d luogo alla costituziane di un nuovo ente Tassa proporzionale di registro -Inapplicabilit. (Corte di Cassazione, Sezione :r, Sent(:lm;~ ,595/62 - Pres.: Torrente; Est.: Malfitano; P.M.: Cutrupia (conf.) -Ticozzi c. Amministrazione delle Finanze(. La deliberazione di proroga del termine di durata della societ adottata dopo la scadenza di ew;o, con la quale i soci, manifestando la volont che l'ente sociale debba continuare ad esistere senza soluzione di continuit, eliminano la causa di scioglimento e revocano la liquidazione intrapresa, non d luogo alla costituzione di un nuovo ente separato o distinto dal precedente, ma determina la ripresa della normale attivit della societ e il ritorno di questa allo stato antecedente al verificarsi della causa di scioglimento; tale deliberazione non , pertanto, soggetta alla imposta proporzionale di registro prevista dall'art. 81 della tariffa allegato A del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, per gli atti di costituzione o di fusione di societ con conferimento di beni di varia natura. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza, e una nota del collega Adriano Rossi. Con i due motivi del ricorso, strettamente connessi denunciandosi la violazione degli articoli 2448 del codice civile e 81 della tariffa A allegata alla legge di registro del 30 dicembre 1923, n. 3269, si sostiene che la Corte di merito, pur avendo esattamente affermato che il verificarsi delle cause di scioglimento della societ non ne produce l'estinzione, ha erroneamente ritenuto che la deliberazione di proroga del termine di durata della societ a r.l. La Giulia , adottata dopo la scadenza di esso, importi l'annullamento degli effetti dello scioglimento e dia luogo alla costituzione di un nuovo ente sociale e, conseguentemente, renda applicabile a tale deliberazione l'imposta proporzionale di registro prevista dal citato articolo per gli atti di costituzione e fusione di societ. Si aggiunge che non essendovi stati nuovi conferimenti di beni alla societ, n atti di assegnazione di beni sociali ai soci non poteva, comunque, essere applicata la menzionata imposta la quale colpisce i trasferimenti di ricchezza. La censura fondata. La deliberazione di proroga del termine di durata della societ presa dall'assemblea dei soci dopo la scadenza di esso non comporta la costituzione di un nuovo ente sociale, e, pertanto, non soggetta alla imposta proporzionale di registro dovuta, a norma dell'art. 81 della tariffa allegato A del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, per gli atti di costituzione o di fusione di societ con conferimenti di beni di varia natura. Questa Corte Suprema ha altre volte affermato che lo scioglimento e la messa in liquidazirie dell~ _ societ, da qualunque causa siano determinati, non producono la estinzione dell'ente sociale perch questo, durante la fase di liquidazione continua ad esistere sebbene nsuo scopo sia modifi ::: mr-mw-ncw& -84 cato e ristretto, in quanto esso tende non pi all'esercizio dell'attivit imprenditrice oggetto del patto sociale, ma alla definizione dei rapporti in corso sorti nella fase precedente, al pagamento delle passivit e alla ripartizione degli utili tra i soci e ha, altres, ritenuto che verificatasi la causa di scioglimento l'assemblea dei soci pu, all'unanimit, eliminare gli effetti revocando la liquidazione (v. sent. 2068 del 60, 299 del 1961 e 2365 del 1961). Ora, se durante la fase di liquidazione la societ ancora in vita, la deliberazione di proroga del termine di durata della societ adottata dopo la scadenza di esso, con la quale i soci, manifestano la volont, che l'ente sociale debba continuare ad esistere senza soluzione di continuit, eliminano la causa di scioglimento e revocano la deliberazione intrapresa, non d luogo alla costituzione di un nuovo ente separato e distinto dal precedente, ma determina la ripresa della normale attivit della societ e il ritorno di questa allo stato antecedente al verificarsi della causa di scioglimento. La sopravvivenza della societ durante lo stato di liquidazione inconciliabile con la sua ricostituzione la quale, presuppone l'esaurimento del procedimento di liquidazione e richiede la stipulazione di un nuovo contratto con l'osservanza delle forme all'uopo richieste. Escluso che la deliberazione di proroga del termine di durat,11 della societ intervenuta dopo la scadenza di esso, importi la costituzione di un nuovo ente sociale, ne deriva la inapplicabilit ad essa della imposta proporzionale di registro dovuta per gli atti di costituzione o di fusione delle societ. A conferma di tale conclusione va rilevato che la imposta medesima, essendo dovuta per gli atti di costituzione o di fusione di societ con conferimento di danaro o di beni mobili, di contratti di locazione di cose o di opere di stabilimenti industriali o di altri immobili, colpisce gli atti medesimi in quanto con essi si attua un trasferimento di ricchezza. Ora, la deliberazione con la quale dopo la scadenza del termine di durata della societ si provvede puramente e. semplicemente alla proroga di esso non attua alcun trasferimento di ricchezza, perch, essendo diretta a far riprendere alla societ la attivit esercitata prima del verifiarsi della causa di scioglimento, non stabilisce alcun conferimento di beni. Nella specie la Oorte di merito non si uniformata ai suesposti principi .perch ha ritenuto che la deliberazione con la quale l'assemblea straordinaria della societ a responsabilit limitata La Giulia prorog il termine di durata di essa dopo la scadenza importasse la ricostituzione dell'ente disciolto, e, pertanto, fosse soggetta alla imposta proporzionale prevista dall'art. 81 della tariffa allegato A della legge di registro, anzich alla imposta fissa prevista dall'art. 86 della tariffa medesima per le dichiarazioni di proroga della societ e le modificazioni di statuto . Oonsegue che si deve accogliere il ricorso, cassare la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviare la causa per nuovo esame ad altra Corte di appello che si uniformer al seguente principio: La deliberazione di semplice proroga del termine di durata della societ, intervenuta dopo la scadenza di esso, non importa la costituzione di un nuovo ente sociale, e, pertanto, non soggetta alla imposta proporzionale prevista dall'art. 81 della tariffa allegato A della legge di registro per gli atti di costituzione o di fusione di societ . REVOCA DELLO STATO DI LIQUIDAZIONE DI UNA SOCIET DI CAPITALE E L'IMPOSTA DI REGISTRO. 1) Una recente decisione del Supremo Oollegio ha riproposto all'attenzione di tutti coloro che si interessano di problemi societari, la delicata questione circa la tassa applicabile alla deliberazione di revoca dello stato di liquidazione di una societ di capitale. Il problema, come noto, nasce dal fatto che la legge di registro regola con distinti articoli della tariffa allegato la diversa situazione della costituzione e della proroga di una societ, (per l'art. 81 la costituzione o fusione di una societ di qualunque specie assoggettabile alla tassa proporzionale di cui all'art. 1 della tariffa, per l'art. 86 invece la delibera di proroga soggetta alla sola tassa fissa), mentre nulla dispone circa la delibera di revoca della liquidazione. Il problema, come risulta chiaro, consiste nello stabilire quale dei due articoli della tariffa sia applicabile alla delibera di revoca, dato che la legge tributaria non ha risolto espressamente il caso. Oonseguentemente in conformit all'art. 8 della legge di registro il compito dell'interprete quello di stabilire la natura della delibera di revoca dello stato di liquidazione tenendone in considerazione soprattutto gli effetti. La soluzione accolta dal Supremo Collegio nella gi richiamata decisione conforme ad un suo ormai lontano precedente e all'opinione della dot trina dominante. Ha ritenuto la Oassazione che la deliberazione di proroga nel termine di durata della societ, intervenuta dopo la sua scadenza, non im porta la costituzione del nuovo ente sociale, e, per tanto, non soggetta alla imposta proporzionale prevista dall'art. 81 della tariffa allegato A della legge di registro per gli atti di costituzione o fusione di societ. Di diverso avviso invece la prevalente giurispru denza della Oommissione Oentrale delle imposte che ha sempre affermato che la delibera di revoca dello stato di liquidazione deve essere assog gettata all'imposta prevista dall'art. 81 della tariffa allegato A. La disparit di opinioni tuttora viva, e rite niamo pertanto non inopportuno svolgere alcune considerazioni che, a nostro parere, possono por tare qualche utile contributo nella ricerca di una soluzione appagante. Nelle osservazioni che svolgeremo, affronteremo.. ii problema in relazione al verificarsi di una qual siasi causa di scioglimento e in tale indagine sa ranno utilizzati i risultati a cui giunta la dottrina commercialistica sul punto, perch, pensiamo, che -85 solo una esatta impostazione in termini commercialistici della questione possa portare ad una soluzione soddisfacente. La pi autorevole dottrina e la giurisprudenza della Oorte di Oassazione insegnano, infatti, che ove la norma tributaria non disponga direttamente, in tal modo affermando la sua autonomia dal sistema del diritto privato, ritorni applicabile questo ultimo ordinamento per cui ad esso bisogna rifarsi per una retta interpretazione della norma tributaria. Nell'esame del problema postoci riteniamo che occorra procedere per gradi esaminando prima le conseguenze del verificarsi di una causa di scioglimento della societ, passando quindi all'esame degli effetti che derivano dallo scioglimento e infine alla ammissibilit della revoca e alle sue conseguenze. 2) Il primo punto su cui dobbiamo fermare la nostra attenzione , pertanto, quello che riguarda gli effetti che si producono al verificarsi di una causa di scioglimento della societ. Si ritiene da parte della dottrina e dalla giurisprudenza delle Oommissioni tributarie che al verificarsi di una causa di scioglimento la societ si estingue, traendo da ci l'ulteriore conseguenza che la deliberazione di revoca determina la costituzione di un nuovo ente sociale. Tale affermazione viene sostenuta con vari argomenti. Oon un primo argomento si afferma che venendo a cessare a seguito dello scioglimento della societ, lo scopo sociale, cessa la titolarit dell'ente sul suo patrimonio, subentrandovi quella dei singoli soci. Oon un secondo argonwnto si fa leva sulla volont dei soci al momento della costituzione. Si afferma che se la volont dei soci ha stabilito che per una certa ragione (ad esempio scadenza del termine) la societ si sciolga, i soci hanno inteso che al verificarsi della causa da essi prevista la societ cessi di esistere. Tale teoria, che riprende soluzioni accolte, sempre con scarsa fortuna, anche sotto il vigore dell'abrogato Oodice di commercio, pu essere superata, e infatti stata superata con argomentazioni del tutto convincenti. Si fatto giustamente richiamo alla lettera della legge (arg. art. 2456 O.O.) e si osservato che poich il legislatore ha ritenuto idoneo strumento per il conseguimento di dati fini la concessione deUa personalit giuridica, occorrerebbe dimostrare che al verificarsi di una causa di scioglimento verrebbero meno le ragioni per il permanere della personalit, mediante una espressione non equivoca dello stesso legislatore. Ora, si rileva ancora, non solo non esistono norme contenenti detta prescrizione, ma, anzi, sussistono affermazioni non equivoche che lasciano ritenere il contrario. Si ancora osservato, sul piano logico, che i due argomenti addotti dai sostenitori della teorica contrastata sono inconsistenti. Non vero, infatti, che a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento del vincolo sociale cessi lo scopo della societ; al pi si detto, potr verificarsi una modifica dello scopo sociale (passandosi da uno scopo di lucro ottenuto attraverso l'esercizio di una attivit, ad uno scopo di lucro ottenuto attraverso la liquidazione del patrimonio) ma mai il venir meno dello scopo sociale. Infine l'argomento tratto dal preteso richiamo alla volont sociale pu facilmente superarsi argo mentando dal fatto che essendo la personalit giuridica un effetto dell'ordinamento e non della volont ben pu la volont venir meno e permanere la persona giuridica anche se a scopi pi limitati. 3) Ritenuto che il verificarsi di unar-causa di scioglimento non determina l'estinzione della persona giuridica, occorre esaminare quali altri effetti pu determinare lo stesso evento. La dottrina dominante ritiene che il verificarsi di una causa di scioglimento apra, ipso jure, la tase di liquidazione. Tale affermtt~ne stata recenfemente contrastata. Si sostenuto che il verificarsi di una causa di scioglimento prevista dall'art. 2448 O. O. non deter. minerebbe l'apertura della fase iJJ liquidazione del l'ente sociale, ma solo farebbe sorgere negli amministratori della societ l'obbligo di astenersi da nuove operazioni e di convocare l'assemblea; mentre a quest'ultima spetterebbe la facolt di decidere se aprire lo stato di liquidazione o continuare l'esercizio dell'attivit sociale eliminando con una modifica dello statuto, eventualmente necessaria, il fatto produttivo dello scioglimento. Pertanto secondo l'autore di cui stiamo riportando le conclusioni, il verificarsi di una delle situazioni di cui all'art. 2448 O.O. avrebbe come conseguenza di far sorgere nell'assemblea, che deve a tal fine essere necessariamente convocata dagli amministratori, il potere di scegliere tra lo scioglimento della societ o l'eliminazione della causa di scioglimento e la prosecuzione dell'attivit sociale. La tesi di cui trattasi si basa su una serie di considerazioni. L'argomento principale tuttavia tratto dall'esame dei lavori preparatori alla riforma del vigente Oodice civile soprattutto dall'art. 309 del progetto Asquini e dalla relazione del Guardasigilli, nella quale ultima si afferma che al verificarsi di una causa di scioglimento gli amministratori debbono promuovere una deliberazione dell'assemblea, alla quale demandata anch.e la facolt di reintegrare l'elemento dell'atto costitutivo venuto meno e disporre la continuazione della societ. Da tale premessa l'autore trae la conseguenza che il determinarsi di una causa di scioglimento non fa sorgere alcun diritta individuale del socio e che nessun diritto pu vantare il socio alla cessazione del vincolo sociale. La tesi che abbiamo esposto, si basa su argomenti a nostro parere facilmerite superabili e pertanto riteniamo non possa es8ere seguita. Abbiamo gi osservato infatti che l'argomento principale a sostegno dell'opinione che stiamo commentando l'autore lo ricava dall'esame dei lavori preparatori. Ora ri8aputo che la opinione dei compilatori della legge, intanto ha valore in quanto trovi il suo fondamento nella lettera e nel sistema della stessa. Nella specie, l'esame del dato normativo (argomenta art. 2448 e 2449 O.O.) consente di escludere una qualunque convalida all'opinione sopra riportata; l'art. 2448 infatti espressamente dichiara che la societ si scioglie per una delle cause di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6; e l'art. 2449 a chia_r:e_lettere parla di fatto che determina lo scioglimento della,_ societ il che sembra espressione troppo evidente per consentire opinioni diverse. D'altra parte tutte le argomentazioni che si basano sull'opinione di coloro che .hanno partecipato alla elaborazione della -86 legge si prestano, se non trovano fondamento su solide basi letterali, a motivo di facile ritorsione. Sembra infatti facile obiettare che se i principi accolti nei vari progetti di riforma possono essere stati abbandonati nella relazione definitiva del testo legislativo, come dimostrerebbe il fatto che la lettera della legge non offre nessun appiglio alla interpretazione proposta. Ma a parte le osservazioni che precedono, sembra che le obiezioni mosse dalla opinione che si critica alla dottrina dominante non siano assolutamente insperabili, e da ci pertanto si pu trarre l'ulteriore e definitivo motivo di convincimento circa la bont della tesi seguita dalla maggioranza della dottrina. Obietta infatti l'autore che stiamo commentando che affermare l'esistenza di un diritto individuale del socio allo scioglimento della societ una petizione di principio. Ci esatto solo se si parte dalla premessa che il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l'apertura della fase di liquidazione. Se si accoglie l'opinione opposta deve invece ritenersi che per effetto del verificarsi della causa di scioglimento W3lla societ il socio venga a trovarsi titolare di una particolare situazione soggettiva. N maggior. pregio ha l'affermazione che consentendo all'assemblea di eliminare la causa di scioglimento il legislatore ha voluto garantire ai soci nel loro interesse e in quello della collettivit il potere di rimettere la societ nella sua piena attivit per mezzo di una modifica statutaria; la lettera della legge al contrario chiaramente orientata nel senso di garantire l'interesse del socio a che il vincolo da lui contratto abbia un certo termine. Respinta pertanto l'opinione che abbiamo sopra riportata si deve ritenere, secondo l'opinione domi nante che il verificarsi di una causa di scioglimento apra la fase di liquidazione della societ essendo rimesso solo all'assemblea il potere di accertare, con solo effetto dichiarativo, se il fatto ritenuto dalla legge causa di scioglimento si sia verificato o meno, nei casi in cui il verificarsi di una causa di sciogli mento possa dar luogo a dubbi. 4) Proseguendo nelle indagini circa gli effetti pro dottisi dal verificarsi di uno dei fatti previsti dallo art. 2448 C. c. e stabilito che al loro accadere si deter mina di diritto il passaggio della societ nella fase di liquidazione, occorre chiederci quali conseguenze si operano nella societ per effetto dell'avverarsi W3lla causa di scioglimento. Bisogna in altre parole accer tare quali siano gli effetti dello scioglimento. La lettera della legge non offre sicuri elementi per la risoluzione di tutti i problemi che sono stati posti e si pongono in questo, delicato momento nella vita della societ. L'art. 2449 C. c. si limita a dire che gli amministratori non possono compiere nuove operazioni e che devono convocare entro trenta giorni dal verificarsi Ml fatto l'assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione; mentre l'art. 2451 c. c. san cisce il principio che le norme sull'assemblea e sull'or gano di controllo si applicano anche durante la liqui dazione, purch compatibili con la liquidazione stessa. Sulla base del dettato legislativo dottrina e giuri sprudenza si sono affannate nella ricerca di una soluzione al problema postaci. Due comunque sono le tesi che trovano maggior credito. Per una corrente dottrinaria, seguita da alcune decisioni delle magistrature di merito e da una decisione del Supremo Collegio, il verificarsi di una causa di scioglimento determina una modifica nella struttura della organizzazione sociale. La seconda corrente invece seguita dalla giurisprudenza prevalente del Supremo Collegi oritiene che la causa di scioglimento determini lo scioglimento del contratto sociale. La prima tesi, a sua volta, si sdoppia in due opinioni contrastanti: per l'una la modificazione intervenuta col verificarsi della causa di scioglimento nell'organizzazione sociale non determina alcuna conseguenza a favore dei soci, mentre per l'altra il verificarsi di una causa di scioglimento determina nel socio la titolarit del diritto alla quota di liquidazione. Diciamo subito che a parer nostro quest'ultima opinione, se pure autorevolmente sostenuta, non sembra possa trovare accoglimento. Da pi parti infatti stato osservato che l'affermazione che al verificarsi di una causa di scioglimento sorge il diritto del socio alla quota di liquidazione significa dare per dimostrato quello che dimostrato non , e cio che al verificarsi della causa di scioglimento pur rimanendo integra la base contrattuale della societ sorga un diritto rinunziabile del socio alla quota di liquidazione. E' ben vero che riconoscendo al socio il diritto alla quota di liquidazione viene riconosciuto un limite al vincolo di partecipazione del socio e quindi si viene a tutelare l'interesse del socio nei confronti della societ, ma ci che bisogna dimostrare appunto che il sistema legislativo protegga tale diritto del socio. Tale dimostrazione sembra difficile raggiungere se si riconosce, come l'opinione che stiamo esponendo riconosce, che la causa di scioglimento opera solo una modifica nell'organizzazione sociale. Se infatti tale la conseguenza del verificarsi di una causa di scioglimento non si comprende perch debba intervenire una deliberazione unanime e non una semplice delibera maggioritaria perch siano eliminati gli effetti della causa di scioglimento. L'alternativa posta dall'art. 2451 C. c. una sola e non duplice; o l'assemblea pu revocare lo stato di liquidazione, perch tale stato non incompatibile con la continuazione delle operazioni sociali, oppure la revoca della liquidazione incompatibile con la liquidazione stessa e allora non si comprende come l'assemblea possa revocare tale stato sia a maggio ranza che all'unanimit. In altre parole non la natura maggioritaria o unanime della delibera che determina la possibilit di far cessare la liquidazione, ma solo il fatto che la legge ritenga tale delibera am missibile e quindi giuridicamente produttiva di effetti. Se le considerazioni che precedono sono esatte, ci sembra che il problema centrale della questione che stiamo esaminando stia nella risoluzione della alter nativa tra modifica dell'organizzazione della societ e scioglimento del contratto sociale come -conseguenza del verificarsi di una causa di scioglimento. - Le argomentazioni prospettate dalla dottrina a favore dell'una o dell'altra tesi sono cosi varie che il riportarle, anche succintamente, ci porterebbe troppo distante ed esorbiterebbe dai limiti che ci siamo imposti. -87 Riteniamo pertanto opportuno esporre quella che secondo noi la soluzione da adottare, senza tuttavia nasconderci la delicatezza dell'argomento. 5) Alla luce dei principi accolti, ritenuto cio che il verificarsi della causa di scioglimento provoca l'aprirsi di diritto della fase di liquidazione della societ e che durante la fase di liquidazione la persona giuridica non si estingue, ci sembra di poter affermare che il verificarsi di uno dei fatti previsti dall'art. 2448 O. c. incida sul vincolo contrattuale su cui poggia la societ e determini l'esaurimento dei suoi effetti tipici. Oi secondo noi si ricava dall'esame delle singole cause di scioglimento previste dall'art. 2448 O. c., in relazione alla volont dei soci al momento della conclusione del contratto di societ. Non ci sembra dubbio infatti che la scadonza del termine (n. 1) o il verificarsi di un fatto a cui i soci abbiano ricollegato lo scioglimento della societ (n. 6) si ricolleghi alla volont dei soci di por termine al vincolo sociale. Ma lo stesso effetto deve ricollegarsi anche alle cause di scioglimento di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 2448. E' la legge qui che ad integrazione della volont delle parti (art. 1364) stabilisce che il conseguimento dell'oggetto sociale o l'impossibilit di conseguirlo, l'inattivit continuata o l'impossibilit di funzionamento dell'assemblea, la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale senza reintegra ed infine la deliberazione dell'assemblea determinino l'esaurimento degli effetti tipici del contratto sociale. Una prima obiezione p, tale ragionamento potrebbe discendere dal rilievo che se rimesso ad una deliberazione dell'assemblea, la quale decide naturalmente a maggioranza, produrre l'effetto dello scioglimento della societ, vuol dire che lo scioglimento opera solo sull'organizzazione sociale e non sul contratto. Ma l'obiezione superabile. Sembra infatti facile rispondere che essendo il legislatore libero di diporre come ritiene piu opportuno nell'interesse generale ben pu rimettere alla valutazione della maggioranza il verificarsi di una causa di scioglimento. D'altronde non ci sembra che sul piano logico alcun ostacolo si opponga ad ammettere che durante la vita del eontratto sociale sia rimesso alla maggioranza valutare l'opportunit di sciogliere la societ. Quello che invece non ci sembra ammissibile che il legislatore ritenga che la maggioranza possa far continuare il contratto quando questo ha esaurito i suoi effetti. La soluzione accolta stata sottoposta a serrate critiche. Si osservato che se fosse vero che il verificarsi di una causa di scioglimento determina lo scioglimento del contratto sociale non si potrebbero spiegare gli obblighi dei soci durante la fase di liquidazione. L'osservazione frutto di un equivoco. Non si dice infatti che a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento il contratto sociale non produce pi alcun effetto; si detto invece che esso non produce pi i suoi effetti tipici e cio l'obbligo dei soci di proseguire l'esercizio in comune di una attivit economica allo scopo di dividerne gli utili. Oi quanto dire che al verificarsi di una causa di scioglimento non si estinguono tutti gli effetti contrattuali ma cessano solo gli effetti tipici permanendo il vincolo contrattuale ai soli fini della defini~ione dei rapporti in corso. Accade in sostanza quanto avviene in alcuni contratti di durata, si pensi ad esempio all'apertura di credito e al contratto di conto corrente. Nell'apertura di credito la scadenza del termine non fa venire meno l'obbligo dell'accreditato di rimborsare le somme utilizzate e di pagare gli interessi e le provvigioni nel frattempo maturate. Lo stesso dicasi per il contratto di conto corrente dove la scadenza del termine produce l'obbligo della liquidazione del saldo, che non un effetto tipico del contratto ma una conseguenza del suo esaurirsi. Per altra via si cercato di dimostrare che le cause di scioglimento incidono sulla organizzazione sociale e non sul contratto. Si osservato che le cause di scioglimento variano secondo i vari tipi di organizzazione sociale alla quale il contratto ha dato vita, mentre la nozione di contratto di societ identica per ogni tipo sociale. Da ci si tratta la conseguenza che se diverse sono le cause di scioglimento, vuol dire che le cause di scioglimento attengono all'organizzazione e non al contratto. Anche tale osservazione , come evidente, frutto di un equivoco. E' ben vero infatti che la nozione di contratto di societ identica per ogni tipo di organizzazione ma altresi vero che ogni contratto che costituisce una certa organizzazione sociale fa sorgere un tipo di contratto, dell'ampia categoria dei contratti di societ. I contratti di societ hanno tutti le medesime caratteristiche generali ma essi si diversificano in concreto a seconda della organizzazione di cui costituiscono la base. In altre parole esiste una categoria generale contratto di societ (art. 2247 O. c.) ed esistono vari tipi di contratti sociali a se conda dell'organizzazione a cui danno vita. Ragionando diversamente si finirebbe col dire che l'organizzazione che d vita al contratto e non viceversa, il che palesamente assurdo. Si infine osservato che se la personalit giuridica della societ continua a permanere durante la fase di liquidazione non consentito distinguere tra atti dei soci e atti della societ. Il rilievo non sembra apprezzabile in quanto irascura una osservazione gi fatta che sono atti della societ quelli che attengono alla liquidazione ma che non possono considerarsi atti sociali quelli che alla liquidazione non attengono perch il contratto sociale ha esaurito ogni altro effetto salvo per quanto riguarda la procedura di liquidazione dei rapporti pendenti. 6) Sembra ora possibile passare all'esame della natura della cosidetta delibera di revoca dello stato di liquidazione. Se le considerazioni sinora svolte sono esatte, ci sembra non possa discendere altra conseguenza da quanto sinora detto se non che la cosiddetta delibera di revoca della liquidazione non atto imputabile alla societ, perch i soci non sono piu legati dal vincolo contrattuale che col verificarsi della causa di scioglimento cessato. Conseguentemente la cosiddetta delibera di revoca ha natura di contratto con cui i soci decidono la reviviscenza della socit. ormai in via di estinguersi. Tale ultima conclusione stata fieramente avversata da pi parti, con considerazioni che possonq in breve ioooo. Ci pare infatti che non si sia rettamente inteso quale sia, secondo noi, l'effetto della c.d. delibera di reroca della liquidazione. Con essa non si ricostituisce una nuova societ ma si utilizza l'organizzazione della precedente non ancora estinta infondendogli nuova linfa e attribuendogli nuova vita. In atre parole i soci si accordano per utilizzare l'organizzazione sociale gi esistente, cio l'ente sociale, e attraverso un nuovo contratto ricostituiscono quel substrato contrattuale di cui la societ in liquidazione ormai manca. Non quindi nuova organizzazione, ma nuovo contratto di societ che utilizza la vecchia organizzazione, la quale pertanto si presuppone esistente. Ma se cos , poich si costituisce solo un nuovo contratto, non sono necessarie tutte le formalit richieste per la costituzione di un nuovo ente sociale essendo sufficiente la forma pubblica che la deliberazione di revoca indubbiamente possiede. In tal senso ci sembra debba intendersi l'espressione riviviscenza della societ usata da autorevole dottrina per indicare gli effetti della cosiddetta delibera dello stato di liquidazione. 7) Possiamo ora esaminare quali siano gli effetti dello scioglimento della societ sulla posizione del socio. Se vero che il verificarsi di una causa di scioglimento sociale cessa di produrre i suoi effetti tipici e limita i suoi effetti alla definizione dei rapporti con terzi attuata mediante le operazioni di liquidazione, si deve conseguentemente ritenere che in tal momento i soci diventano titolari del diritto alla quota, in ragione della partecipazione di ciascuno alla societ, di quanto rimane dedotte le passivit del patrimonio sociale. Si tratta cio di un diritto di credito che il socio ha nei confronti della societ che subordinato, quanto al valore, al fatto che l'attivo sociale sia superiore al passivo, e, quanto al tempo in cui diventer esigibile, alla definizione dei rapporti con terzi e all'approvazione del bilancio finale di liquidazione. N varrebbe obiettare contro la precedente conclusione che permanendo durante la liquidazione la personalit giuridica della soci.et, conservando questa la titolarit del patrimonio sociale, non si potrebbe parlare di un diritto del socio. La societ durante la liquidazione solo uno strumento a tutela dei terzi creditori e a tal fine conserva la personalit giuridica, tutto ci non esclude tuttavia, anzi consente, il sorgere del diritto del. socio alla quota di liquidazione, inteso questo come diritto di credito nei confronti della societ. La riprova di quanto veniamo dicendo ci sembra si ricavi dall'art. 2483 C. c. secondo il quale i soci non soddisfatti del piano di ripartizione devono proporre entro ire mO deposito, opposizione contro la so ciet. Il che ci sembra dimostri con evidenza la sussistenza di un diritto del socio alla quota di liquidazione nei confronti della societ anche prima del riparto finale. Da quanto sopra consegue ulteri1>rmente che nel easo in cui i soci attraverso la cosiddetta delibera di revoca operino la reviviscenza della societ, essi implicitamente rinuncino a favore della stessa ad esigere la quota di liquidazione. Si potrebbe obiettare che in realt i soci con la delibera di revoca non rinunciano a mtlla, essi vogliono solo che la societ riprenda la sua attivit produttiva destinando a tale attivit il patrimonio che prima era destinato alla liquidazione. L'obiezione prescinde, ci sembra, dal considerare che se vero che col verificarsi della causa di scioglimento la societ entra in liquidazione e sorge il diritto del socio alla quota di liquidazione, il contratto con cui i soci dispongono del patrimonio sociale destinato alla liquidazione per intraprendere una nuova attivit importa anche la rinuncia ad esigere la quota di liquidazione. In sostanza la societ in liquidazione destinata ad estinguersi ed pertanto debitrice dei soci i quali hanno diritto a ricevere il residuo attivo dopo pagati i creditori sociali. La riviviscenza della societ esclude l'estinzione e importa la destinazione del patrimonio a nuove attivit con rinuncia dei soci a quel diritto maturatosi per effetto del sorgere della causa di scioglimento. 8) A questo punto ci sembra si possano tirare le fila del nostro discorso di valutare a quali conseguenze portino le conclusioni accolte nelle pagine che precedono nella interpretazione degli artt. 81 e 86 della tariffa allegato A.. della legge di registro. La Cassazione nella sentenza che ha dato spunto a queste pagine ha affermato il seguente principio di diritto; La deliberazione di semplice proroga del termine di durata di una societ, intervenuta dopo la scadenza di esso non importa la costituzione di un nuovo ente sociale, e, pertanto, non soggetta alla imposta proporzionale prevista dall'art. 81 tariffa allegato A.. della legge di Registro per gli atti di costituzione o fusione di societ . Il Supremo Collegio pervenuto a tale affermazione sulla base delle seguenti considerazioni; 1) durante la fase di liquidazione la societ conserva la persona giuridica e pertanto la delibera di revoca non importa costituzione di un nuovo ente; 2) la delibera di revoca essendo solo destinata ad eliminare una causa di scioglimento, non opera alcun trasferimento di ricchezza. Se le considerazioni che abbiamo sopra sviluppato sono esatte, se vero cio, che il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l'estinzione dell'ente sociale e determina invece lo scioglimento del contratto e il sorgere del diritto del socio alla quota di liquidazione, la soluzione accolta dal Supremo Collegio lascia perplessi. La cosiddetta delibera di revoca .. un contratto che determina la riviviscenza della societ e im.porm _ la rinuncia del socio alla quota di liquidazione. Non esatto pertanto quanto afferma la decisione che si commenta che la delibera di revoca non determi ma alcun trasferimento di ricchezza. Quanto stiamo -89 dicendo trova maggior conforto proprio nelle decisioni richiamate dalla stessa sentenza nelle quali si afferma che la revoca dello stato di liquidazione non ammissibile se non presa all'unanimit dei soci. Oi rende evidente che la stessa Suprema Oorte riconosce l'esistenza di un diritto alla quota di liquidazione. E' pertanto contraddittorio da un lato affermare l'esistenza di un diritto del socio alla quota di liquidazione e dall'altro negare un trasferimento di ricchezza nel caso di rinuncia ad esso. Oi sembra infatti che costituisca arricchimento per un soggetto tanto l'acquisto di un diritto che la liberazione da un debito. La riprova di quanto veniamo dicendo si ha nella prassi quotidiana delle societ in cui viene considerato. conferimento tanto la cessione di un credito alla societ quanto la liberazione di un debito da parte del socio a favore della societ. Se dunque l'effetto della cosiddetta delibera di revoca dello stato di liquidazione quello di costituire il nuovo contratto sociale che vincoler i soci per tutta la sua durata, e se la stessa delibera produce la rinuncia dei soci alla quota di liquidazione non sembra che tale atto possa considerarsi semplice atto di proroga di societ. La proroga di un rapporto ammissibile finch questo non sciolto. Avvenuto lo scioglimento non piU di proroga si deve parlare ma di ricostruzione del rapporto. Esattamente la legge del registro distingue tra proroga e costituzione; l'una presuppone un rapporto produttivo di effetti l'altra invece la forma~ione di un nuovo rapporto, sottoponendo i due atti a due tassazioni diverse. La proroga di un rapporto non determina alcun trasf erimento di ricchezza mentre la, costituzione produce un nuovo vincolo tra i soci o quindi nuovi conferimenti. Se ci vero, le conseguenze di quanto siamo venuti dicendo ci sembrano ovvie. La cosiddetta delibera di revoca la quale determina non la proroga di un contratto ormai esaurito ma la ricostituzione di un nuovo contratto anche se non la costituzione di una nuova societ non pu essere ricompresa tra gli atti soggetti ad imposta prevista dall'art. 86 della tariffa allegato A della legge di registro ma, deve ricomprendersi tra quelli soggetti allo art. 81 della stessa tariffa. N si dica che facendo la lettera dell'art. 81 riferimento agli atti di costituzione di societ , non agli atti di ricostituzione del contratto sociale, la soluzione accolta urterebbe contro la lettera della legge. A parte l'osservazione che se anche l'art. 81 fa riferimento alla costituzione di societ l'atto tassato in realt un contratto sociale con cui i soci operano un conferimento, la soluzione proposta sembra esatta anche in applicazione dell'art. 8 della legge di registro. Non sembra possibile contestare infatti che il contratto con cui i soci rinunciano ad esigere la quota di liquidazione e si obbligano ad utilizzare l'organizzazione della societ in via di esaurimento per lo sviluppo di una nuova attivit, sia molto piu vicino, quanto agli effetti, alla costituzione di una nuova societ che alla semplice proroga. 9) Ritenuto applicabile alla cosiddettade libera di revoca dello stato di liquidazione l'art. 81 della tariffa allegato A della legge di registro sorge un ulteriore problema che merita di essere puntuaUzzato. E' noto come la Finanza ritenga la delibera di revoca un atto di costituzione di nuova societ e pertanto consideri come trasferito alla nuova societ il patrimonio lordo della societ in liquidazione. Oonseguenza del criterio adott.ato che. iL'Qalore .del patrirnonio lordo della societ viene tassato con aliquote differenziate a seconda che nel patrimonio stesso siano ricompresi immobili oppure beni mobili o crediti. La soluzione della Finanza non pu accogliersi, pmch, come abbiamo gi so-pra dimostrato, e sul punto concorde l'assoluta maggioranza della dottrina e giurisprudenza della Suprema Oorte, la permanenza dell'ente sociale durante la liquidazione esclude la possibilit della costituzione di una nuova societ. . Se si accolgono invece le conclusioni da noi proposte, la delibera di revoca deve essere tassata con l'aliquota proporzionale dell'l % sul valore netto del patrimonio della societ. Riassumendo infatti le conclusioni a cui siamo giunti si pu dire che la cosiddetta delibera di revoca un contratto con cui i soci rinnovano il vincolo sociale utilizzando l'organizzazione gi esistente e rinunciando a favm e di essa alla quota di liquidazione. La quota di liquidazione un credito del socio nei confronti della societ il cui valore determinato dalla differenza tra patrimonio della societ e le passivit della stessa, e cio dal patrimonio netto. E poich il conferimento di crediti in societ tassato con l'aliquota dell'l %, la delibera di revoca che importa la rinuncia di tutti i soci alla quota di liquidazione deve essere tassata con la stessa aliquota sul valore netto del patrimonio sociale in liquidazione. Non ci sembra il caso di spendere parola per dimostrare la natura del diritto di credito che ha la quota di liquidazione spettante al socio, sembrandoci sufficiente al riguardo quanto sopra abbiamo gi esposto e il rinvio che facciamo all'opinione della dottrina pi autorevole. .ADRIANO ROSSI PROCURATORE DELLO STATO IMPOSTE E TASSE-Addizionale E.C.A. -Maggfo razione -Art. 1 legge n. 1 del 1952 -Periodo cui si riferisce. (Cassazione, Sezione I, Sentenze n. 1558/61 -Pres.: Di Pilato; Est.: Passanisi; P.M.: Pedote (conf.) -Amministrazione Finanze c. Soc. Montecatini). L'art. 1 della legge 2 gennaio 1952, n. 1, che eleva l'addizionale E.O.A. per il periodo 10 gennaio 31 dicembre 1952, va interpretato nel senso che per tale periodo deve intendersi quello di competenza e non di riscossione, e cio che la maggiorazione dovuta sui carichi di competenza e non su quelli riscossi. Si trascrive la motivazione in diritto deila sentenza. L'Amministrazione ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 11 e 12 delle disposizioni stla legge in generalei l'airt. l . -90 legge 2 gennaio 1952, n. 1, 111 della Oostituzione della Repubblica; 360 nn. 3 e 5 O.p.c., e censura la sentenza impugnata per avere, anche senza alcuna motivazione o quanto meno con motivazione insufficiente o contraddittoria, affermato che l'art. 1 della legge del 1952 gi citata, che elevava l'addizionale EOA per il periodo 1 gennaio-31 dicembre 1952, va interpretato nel senso che tale periodo deve ritenersi riferito a quello di competenza e non di riscossione, e cio che la maggiorazione dovuta sui carichi di competenza e non su quelli riscossi La censura priva di fondamento. L'Amministrazione ricorrente sostiene preliminarmente che la formulazione del citato art. 1 non chiara ma equivoca e potrebbe essere interpretata nei due sensi contrari e conformi ai due contrastanti assunti .delle parti. Il citato art. 1 della legge 2 gennaio 1952, n. 1 dispone: L'addizionale istituita con decreto-legge 30 novembre 1937, numero 2145, convertito nella legge 25 aprile 1938, 614, ed elevata a centesimi 5 per ogni lira di vari tributi erariali, comunali e provinciali, con D.L. 18 febbraio 1946, n. 100, ulteriormente elevata per il periodo 1o gennaio-31 dicembre 1952 a centesimi 10 . Il maggiore provento dipendente dall'aumento di cui al comma precedente riservato all'Erario e sar. versato in apposito capitolo dello stato di previsione dell'entrata. La limitazione dell'aumento dell'aliquota dell'addizionale EOK al periodo 10 gennaio-31 dicembre 1952 , espressamente specificata nel testo della norma riportata senz'altra aggiunta o qualificazione, come ha esattamente osservato la decisione impugnata, rende palesemente chiaro il riferimento unicamente al periodo di imposta, cio all'anno di competenza, che quello al quale normalmente e di solito tutte le disposizioni che stabiliscono le aJiqute dovute si riferiscono. Solo in casi ccezionali le aliquote o le addizionali sono imposte con riferimento all'anno di riscossione e ci sempre risulta espressamente od agevole desumerlo dal complesso delle norme del provvedimento legislativo stesso o dalla ratio che le norme ha ispirate. Tale riferimento deve essere chiaro e sicuro, in quanto la maggiorazione delle aliquote precdentemente stabilite se riferite non al periodo di imposta ma all'anno di riscossione, cio a tutte le somme dovute dai contribuenti all'esattore, si risolve in una nuova imposta o in una maggiore aliquota non prevista o stabilita per le imposte dovute per gli anni anteriori .al periodo al quale la maggiorazione s~ riferisce, in quanto colpisce non soltanto le imposte dell'anno di competenza, ma anche tutte le somme dovute dai contribuenti all'esattore per imposte relative ad anni diversi da quelli di riscossione, imposte ed anui per i quali o non era prevista l'addizionale o era sta bilita questa e l'aliquota in misura diversa, di solito inferiore. L'esattezza delle considerazioni che precedono, ispirate ai corretti principi in materia, , se ve ne fosse bisogno, confermata proprio dalle leggi 27 dicembre 19531 n, 938 e 26 novembre 1955, n. 1177 che l'Amministrazione ha creduto di ricordare a sostegno della sua infondata tesi. In entrambe le leggi (emanate per provvidenze urgenti a favore della Oalabria e con le quali, fra l'altro, venivano istituite addizionali . del .. 5 %) specie per le espressioni usate rispettivamente negli artt. 33 e 18 e la ratio che le ha ispirate, chiaro ed espresso il riferimento all'anno di riscossione, come agevole accertare dalla semplice lettura. Tutta la formulazione degli art. 33 e 18 delle due leggi citate ben diversa da quella dell'art. 1 della legge 2 gennaio 1952, n. 1, nel quale manca il minimo cenno o riferimento all'anno di riscossione, n ci risulta dalla ratio legis, n dai lavori preparatori. La dimostrata esattezza dell'interpretazione adot tata dalla decisione impugnata dispensa da ogni altra considerazione, che sarebbe ultronea, per confutare le altre argomentazioni della ricorrente. Il ricorso va, quindi, rigettato con le conseguenze di legge in ordine alle spese di questo giudizio. IMPOSTE E TASSE -Commissioni -Procedura am ministrativa -Presenza, durante la decisione del ricorso, del procuratore delle imposte o del contri buente -Art. 50, comma terzo, legge n. 1 del 1956 Violazione -Nullit della decisione. (Corte di Cas sazione, Sezione ia, Sentenza n. 113/62 -Pres.: Verzi; Est. Bianchi d'Espinosa; P.M.: Gedda (conf.) -Rocco di Torrepadula c. Finanze). La violazione, da parte di una comm1ss10ne per le imposte, dell'art. 50, comma terzo, della legge 5 agosto 1956, n. 1, secondo cui, dopo la discussione il contribuente ed il procuratore delle imposte devono ritirarsi dall'aula, senza poter assistere alla deliberazione, causa di nullit della decisione. Trascriviamo la motivazione in diritto di questa sentenza. Il principio in essa affermato ci sembra accettabile ed opportuno che le commissioni tributarie, una volta divenuta indiscutibile la loro natura di organi giudiziari, vi si adeguino. La questione, che si prospetta per la prima volta a questa Oorte Suprema, consiste nello stabilire se l'inosservanza da parte delle Oommissioni tributarie, della norma introdotta dall'art. 50 terzo comma della legge 5 gennaio 1956, n. 1, per la quale, dopo la discussione innanzi alla Oommissione, <1 il contribuente e il procuratore delle imposte si ritirano dall'aula, e solo dopo la Oommissione decide .sul ricorso, sia causa o meno della nullit della deliberazione. La decisione impugnata ha dato al quesito risposta negativa; ma essa ha erroneamente applicato .. norme di diritto, e deve essere quindi annullata. La Oommissione Oentrale, infatti, ha riconosciuto (n poteva fare diversamente) che la disposizione ora ricordata, contenuta fra le norme iute -91 grative della legge di perequazione tributaria, ha inteso innovare il sistema precedente, secondo il quale (art. 29, comma secondo, regio decreto 7 luglio 1937, n. 1616) dopo la chiusura della discussione, il procuratore delle imposte era ammesso ad assistere alla votazione ed alla deliberazione, anche senza facolt di interloquire; ma ha ritenuto che, non essendo comminata espressamente dalla legge la sanzione di nullit per l'inosservanza della disposizione ora in vigore, l'inosservanza stessa non incida sulla legittimit della decisione presa alla presenza del procuratore delle imposte, trattandosi di una norma di carattere meramente formale. Il ricorrente afferma che la nullit deriverebbe da vizi relativi alla costituzione del giudice o all'intervento del P.M. (art. 158 del codice di rito civile), poich il procuratore delle imposte dovrebbe essere assimilato, nel procedimento innanzi alle Commissioni tributarie, al Pubblico Ministero; ma l'osservazione non esatta, dal momento che -poich le Commissioni tributarie sono organi giurisdizionali, come ormai pacificamente stabilito -il procuratore delle imposte rappresenta una delle parti (la .Amministrazione finanziaria), nel giudizio contenzioso che si svolge innanzi alle ripetute Commissioni. .Ammesso ci, ne deriva che la nullit della deliberazione presa -in violazione dell'art. 50 della legge n. 1 del 1956 -alla presenza del procuratore delle Imposte, deriva, se non da una esplicita disposizione di legge, dalla viQlazione di uno dei principi fondamentali su cui regge il nostro processo civile, il principio del contraddittorio, formulato nell'articolo 101 C.p.c. Come noto, tale principio (che chiamato anche principio dell'uguaglianza delle parti) rispettato solo quando data a tutte le parti nel processo uguale possibilit di difendersi: esso l'attuazione di una fondamentale garanzia di. giustizia, consacrata oggi anche nella Costituzione (art. 24, secondo comma). evidente che non garantita alla controparte (cio al contribuente) pari possibilit di difesa nella fase decisoria del giudizio della Commissione, se viene consentito solo ad una parte (l'Amministrazione delle Finanze) la possibilit di assistere alla deliberazione della controversia, e di esporre quindi eventualmente ai membri del collegio giudicante ulteriori ragioni, alle quali il contribuente non in condizioni di replicare. La legge del 1956, che con le norme contenute negli artt. 47 e seguenti, ha inteso accentuare il carattere giurisdizionale del processo innanzi alle Commissioni tributarie, nel quadro di tale scopo ha soppresso la disposizione dell'articolo 29 del decreto n. 1516 del 1937, che faceva al procuratore delle imposte una ingiustificata condizione di favore nei confronti del contribuente, consentendo solo al primo, e non al secondo, di assistere alla deliberazione. L'art. 50 della nuova legge, in definitiva, ha su questo punto disposto in conformit di quanto, per il procedimento ordinario, dispone l'art. 276, primo comma, del codice di rito: che la decisione deliberata in segreto in Camera di Consiglio, con la partecipazione dei soli giudici che hanno assistito alla discus sione. E, come non pu dubitarsi che la inosservanza di quest'ultima norma (nel caso, ad esempio, che sia ammesso ad assistere alla deliberazione in Camera di Consiglio il procuratore di una delle parti) importi nullit della sentenza: uguale sanzione di nullit deve ritenersi comminata per la inosservanz della norma analoga, ora in esame, riguardante il processo tributario. Quantunque una esplicita sanzione di nullit non sia comminata espressamente dalla legge, n nel caso dello art. 276 C.p.c., n nel caso dell'art. 50 legge 5 gennaio 1956, n. 1, nell'una e nell'altra ipotesi l'inosservanza della disposizione si traduce nella violazione di uno dei principi fondamentali, che costituisce elementare garanzia di giustizia, ed uno dei cardini su cui fonda la regolarit del processo. La decisione impugnata deve essere quindi annullata, col rinvio della controversia alla Commissione Centrale delle Imposte: la quale, nella sua decisione, dovr attenersi al seguente principio di diritto: La violazione, da parte di una Commissione per le imposte, dell'art. 50, comma terzo, della legge 5 gennaio 1956, n. 1, secondo cui dopo la discussione il contribuente ed il procuratore delle imposte devono ritirarsi dall'aula, senza poter assistere alla deliberazione, causa di nullit della decisione . IMPOSTE E TASSE -Competenza amministrativa e giudiziaria -Giudicato di estimazione semplice o complessa -Art. 29 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 16$9 Inapplicabilit alle controversie in materia d'imposte dirette. (Corte di Cassazione, Sentenza, n. 345/62 - Pres.: Lorizio Est.: Gentile; P.M.: Pepe (conf.) Iorio c. Amministrazione delle Finanze). In tema d'imposte dirette, le controversie di semplice estimazione dei redditi, le quali, .ai sensi dell'art. 22 R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, sono sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, sono tutte quelle in cui, al fine dell'accertamento della sussistenza, dell'entit e della natura del reddito imponibile, si deve procedere alla determinazione in base a criteri empirici, di dati o di elementi di puro fatto, senza che sia necessario risolvere alcuna questione giuridica. Costituiscono, invece, controversie di estimazione complessa, attribuite alla cognizione del giudice ordinario, quelle in cui l'accertamento della sussistenza, dell'entit o della natura del reddito importa la necessit. di risolvere questioni non solo di fatto, ma anche di diritto. La disposizione dell'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, la quale, in materia d'nposte indirette sui trasferimenti della ricchezza, ammette, contro il giudizio delle commissioni provinciali in ordine alla determinazione del valore imp_o:r;i.ibile, il ricorso all'autorit giudiziaria per grave ed evi-_ dente errore di apprezzamento ovvero per mancanza o insufficienza di calcolo, ha carattere eccezionale, e non applicabile nelle controversie in materia d'imposte dirette. -92 - Trasoriviamo la motivazione in diritto della sentenza: L'unico mezzo del proposto ricorso si articola in due distinte censure. Con la prima di esse il ricorrente sostiene che nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza denunziata, si trattava di estimazione complessa e non gi di estimazione semplice, in quanto si era richiesto al giudice ordinario di interpretare il contratto di vendita del carbone al Bardoni, allo scopo di stabilire se il prezzo era stato convenuto a corpo, nella somma indicata dal contribuente, ovvero a misura nella misura di L. 980 per quintale accertata dalla Commissione provinciale. Con la seconda censura, poi, il ricorrente deduce che ad ogni modo il giudice ordinario era anche competente per il gravissimo errore di calcolo commesso dall'Ufficio e dalla commissione provinciale, soprattutto perch non sono assolutamente ricavabili gli elementi di fatto sui quali stato impostato il calcolo, sicch reso impossibile seguire l'iter logico-giuridico seguito dall'Ufficio e dalla commissione provinciale. L prima censura infondata. La giurisprudenza di questa Corte costante prima nel senso che, in tema di imposte dirette, le controversie di semplice estimazione di redditi, le quali, ai sensi dell'art. 22, terzo comma, R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, sono sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, sono tutte quelle in cui al fine dell'accertamento della sussistenza, dell'entit, o della natura del reddito imponibile, si deve procedere soltanto alla determinazione, in base a criteri empirici, di dati o di elementi di puro fatto, senza che sia necessario risolvere alcuna questione giuridica. Costituiscono, invece, controversie di estimazione complessaj attribuite alla cognizione del giudice ordinario quelle in cui l'accertamento dalla sussistenza, dell'entit o della natura del reddito importa la necessit di risolvere questioni non solo di fatto, ma anche di diritto. In particolare in tutti quei casi in cui per l'estimazione del reddito, sia necessario procedere alla determinazione del contenuto di un negozio giuridico, si ha giudizio di estimazione semplice allorch la determinazione di tale contenuto non implichi alcuna indagine di natura giuridica, e si ha invece giudizio di estimazione complessa nel caso contrario. Ora, nella specie, la controversia sottoposta dall'attuale ricorrente all'esame del Tribunale di Potenza con la citazione in~roduttiva del giudizio aveva per oggetto la determinazione del guadagno che Domenico e Giuseppe Iorio avevano realizzato da una operazione commerciale da loro compiuta (acquisto di una partita di carbone e successiva rivendita). La Commissione provinciale aveva anzitutto accertato in fatto che gli Iorio avevano acquistato dalla .Amministrazione forestale una partita di q.li 6500 di carbone per il prezzo complessivo di L. 2.410.000; e contro questa prima parte dell'accertamento l'attuale ricorrente non aveva proposto a,lcuna, impugua.izione davanti a.il giudice ordinario, riconoscendo che essa era da questo insindacabile. La stessa Commissione provinciale aveva poi accertato che gli Iorio avevano in seguito venduto la predetta partita di .carbone a__ Francesco Bordoni per il prezzo di L. 980 per quintale, e quindi per il prezzo complessivo di L. 6.370.000, realizzando cos un guadagno netto, tassabile con l'imposta. di ricchezza mobile, di L. 3.960.000 (6.370.000 meno 2.410.000). L'attuale ricorrente era insorto davanti al giudice ordinario contro quest'altra parte dell'accertamnto, sostenendo che dovevasi invece ritenere che la partita di carbone era stata venduta al Bardoni non a misura, come affermato dalla Commissione, ma a corpo, per il prezzo globale di L. 2.900.000, e chiedendo prova testimoniale di tale assunto. Ma di assoluta evidenza che la controversia cos proposta davanti al giudice ordinario era di estimazione semplice, perch, per deciderla, non occorreva procedere ad alcuna indagine giuridica, non si doveva risolvere invece soltanto la questione, di mero fatto, relativa all'importo del prezzo della vendita conclusa dagli Iorio con il Bardoni, e, in particolare, se tale importo fosse stato di Lire 6.370.000, come sostenuto dall'attore. Onde la cognizione di una siffatta controversia esulava senz'altro dalla giurisdizione del giudice ordinario. Del pari, infatti, il ricorrente sostiene che gli accertamenti tributari in materia di imposte dirette e le relative decisioni delle commissioni amministrative siano impugnabili davanti all'autorit giudiziaria ordinaria per gravi errori di calcolo o per mancanza di calcolo nella determinazione del reddito imponibile. Ma tale assunto del tutto erroneo, giacch, in materia di imposte dirette, i predetti errori o mancanze di calcolo, incidendo, di per s, soltanto sulla semplice ~stimazione dei redditi, non sono autonomamente denunziabili all'autorit giudiziaria ordinaria, alla giurisdizione dalla quale, come si visto, la legge sottrae, nella cennata materia, le controversie di semplice estimazione. Il ricorrente evidentemente caduto in errore ritenendo che sia applicabile alla materia deJle imposte dirette la disposizione del terzo comma dell'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, la quale, in materia di imposte indirette sui tra sferimenti della ricchezza, ammette, contro il giu dizio delle commissioni provinciali in ordine alla determinazione del valore imponibile, il ricorso all'autorit giudiziaria per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per mancanza o insuffi cienza di calcolo. Ma tale disposizione (il cui carattere eccezionale stato del resto gi affermato da questa Corte con la sentenza n. 1361 del 1954) dettata esclusivamente per le controversie in materia di imposte indirette sui trasferimenti della ric_h_ezza, e non pu certo trovare applicazione per le ben djve_rse__ controversie in materia di imposte dirette, per l quali provvede il precedente art. 22 dello stesso decreto legge n. 1639 del 1936, il cui contenuto, per quanto riguarda l'esclusione delle controversie -93 di semplice estimazione di redditi dalla giurisdi" zione dell'autorit giudiziaria, stato dianzi sufficientemente precisato. Ed il ricorrente, appunto, anche con le deduzioni a cui si riferisce la seconda censura, non fa che sollevare una controversia di semplice estimazione. Con dette deduzioni egli infatti si limita a sostenere che la commissione provinciale, nel ritenere che la vendita al Bordoni fosse stata conclusa per il prezzo di L. 6.370.000, non abbia dato sufficiente ragione degli elementi di fatto sui quali ebbe ad impostare il proprio calcolo e sia incorsa in un gravissimo (e peraltro non meglio specificato) errore di calcolo. Ed pienamente manifesto che le questioni cos sollevate, le quali non richiedono lo svolgimento di alcuna indagine giuridica, attengono soltanto alla semplice estimazione del reddito di cui trattasi. IMPOSTE E TASSE -Imposta di negoziazione Titoli azionari -Decisione della sezione speciale della Commissione provinciale -Ricorso alla Commissione centrale -Inammissibilit. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 2225/61 -Pres.: Verzi; Est.: Caporaso; P.M. Pepe (conf.) -Soc. Immobiliare Vigo c. Finanze). Oontro le pronunzie della Sezione speciale della Oommissione Provinciale delle Imposte, istituita per la risoluzione, in secondo grado delle controversie in materia di impost2, di negoziazione di titoli azionari avverso le decisioni del Oomitato direttivo degli agenti di borsa, non dato ricorrere alla Oommissione Oentrale, trattandosi di decisioni definitive, passibili soltanto di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza; Con la memoria aggiunta l'.Amministrazione Finanze dello Stato nega la giurisdizione della Oommissione Oentrale nelle controversie in materia di imposte di negoziazione di titoli azionari decise, in secondo grado, dalla Sezione Speciale presso la Oommissione Provinciale. Trattandosi di questione rilevabile di ufficio e in ogni stato e grado del processo, deve la Corte proporsi il quesito come sopra enunciato e risolvere, in via preliminare, il problema della giurisdizione della Oommissione Centrale delle Imposte. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con decisione del 12 ottobre 1960, n. 2689, ha gi ritenuto ed affermato che contro le decisioni della Sezione Speciale della Commissione Provinciale delle Imposte non dato ricorrere alla Oommissione Oentrale, trattandosi di decisioni definitive, passibili soltanto di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 della Oostituzione. In effetti, il procedimento per la valutazione dei titoli azionari, diversamente da quello per l'accertamento del tributo in questione, tuttora regolato dal R.D.L. 15 dicembre 1938, n. 1975. Il quale devolve ai Comitati Direttivi (o sottocomitati) degli .Agenti di Cambio, in primo grado, e ad un Collegio peritale, con sede in Roma, .. in secondo grado, la risoluzione delle controversie insorte in materia di estimazione dei titoli azionari. Oontro la decisione d'appello dell'anzidetto Collegio peritale non , consentito alcun gravame, n in sede amministrativa, n in sede giudiziaria (articoli 4, 9, e 10 del citato decreto legge, n. 1975). Tale regolamentazione del procedimento non stata modificata dai successivi provvedimenti legislativi in materia (D.L.L. 25 maggio 1945, n. 301; legge 10 dicembre 1948, n. 1469; legge 6 agosto 1954, n. 603); con i quali alla competenza del Collegio dei periti subentrata quella della Sezione Speciale, appositamente istituita presso la Commissione Provinciale delle Imposte, del luogo dove ha sede la borsa valori pi vicina alla sede della societ tassata. Di modo che, come non erano impugnabili le pronunzie del menzionato Collegio peritale (art. 10 R.D. n. 1975 del 1938); cos non sono del pari impugnabili davanti alla Commissione Centrale delle Imposte le decisioni adottate dalle Sezioni Speciali, le quali, per quanto detto innanzi, sono succedute, in toto e con le medesime modalit di legge, ai summenzionati Oollegi peritali. Naturalmente, con l'entrata in vigore dell'art. 111 della Oostituzione, deve ritenersi ammissibile per dette decisioni delle Sezioni Speciali Provinciali, nonostante il contrario disposto di legge, il ricorso immediato alla Oorte di Cassazione, per violazione di legge. per in ogni caso escluso il ricorso alla Oommissione Oentrale. .Applicando tale principio al caso in esame, ne deriva che, contro la decisione della Sezione Speciale la Immobiliare Vigo avrebbe dovuto, per qualsiasi vizio di legittimit, ricorrere direttamente in Cassazione e non gi alla Commissione Centrale, la quale, per le ragioni sopra esposte, non ha giurisdizione nelle controversie in oggetto. N vale osservare, come si fatto in udienza, che nella specie la Sezione Speciale, oltre a deci dere su questioni di valutazione dei titoli azionari della societ ricorrente, aveva pure respinta una eccezione di prescrizione relativa ad una delle annualit dell'imposta in controversia, giudicando cos su di una questione non di mera estimazione dei titoli, e quindi non di sua competenza. chiaro che questo sconfinamento della Sezione Speciale non pu dar luogo a legittimare la impugnazione alla Oommissione Centrale, che, per quanto riguarda le decisioni della Sezione medesima, la legge non consente. Il fatto che la Sezione Speciale ha esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni costituisce pur sempre un vizio di legittimit della decisione anzidetta, da far valere mediante ricorso in Oassazione, ai sensi d~ll:articolo 111 della Oostituzione. A vendo, viceversa, la Commissione Centrale delle Imposte ritenuta la propria giurisdizione, devesi cassare senza rinvio la decisione da essa adottata. IMPOSTE E TASSE -Imposta di ricchezza mobile Societ -Rettifica del reddito dichiarato -Avviso di accertamento -Indicazione dei motivi -Fattispecie. IMPOSTE E TASSE -Accertamenti -Nullit per mancata specificazione e contestazione dei fatti indici -Sanatoria nel corso del procedimento di merito innanzi alle Commissioni. IMPOSTE E TASSE -Imposta di ricchezza mobile Accertamento -Bilancio -Bilancio non attendibile -Determinazione in via induttiva. (Cassazione, Sezione I, Sentenza, n. 1577/61; Pres.: Di Pilato; Est.: Favara; P.M.: Tavolaro (conf.); -Societ Apeco Sud c. Amministrazione delle Finanze). L'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, esige solo che, ai fini dell'esatta determinazione dei redditi propri delle societ e degli enti indicati negli artt. 11 e 13 della legge stessa, ove l'Ufficio intenda procedere alla rettifica delle impostazioni di bilancio e del reddito tassabile dichiarato dal contribuente ed anche se le impostazioni di bilancio risultano inattendibili per fondata presunzione di frode fiscale debba1 nell'avviso di accertamento, indicare i motivi in base ai quali ha proceduto alla rettifica ed al maggiore accertamento. Deve, pertanto, considerarsi valido l'avviso di accertamento nel quale l'Ufficio dichiari di aver dovuto procedere alla determinazione del reddito in via induttiva perch il bilancio presentato risultaV'a corredato da allegati eccessivamente sintetici ed insufficienti alla verifica analitica dei dati relativi e perch nel bilancio stesso non figuravano numerose operazioni commerciali compiute dalla societ, che aveva altresi omesso di presentare la prescritta dichiarazione e di fornire i dati richiesti, necessari per la determinazione del reddito in via analitica. La nullit dell'accertamento tributario per essere mancata la specificazione e la contestazione dei fatti indici su cui si fonda la valutazione induttiva del reddito imponibile pu essere sanata nel corso del . procedimento di merito dinanzi alle Commissioni tributarie, ove i dati stessi vengano comunicati, posto che le disposizioni degli artt. 25 e 41 del R.D. 8 luglio 1937, n. 1516, conferiscono a dette Commissioni gli stessi poteri di indagine, di richiesta di dati e di raccolta di prova attribuiti all'Ufficio, con pienezza di contraddittorio, e perci con ogni garanzia di difesa del contribuente. Tale principio vale anche, in tema di imposta di ricchezza mobile; per la quale la Commissione distrettuale ha persino il potere sostitutivo e di aumento dei redditi. A norma dell'art. 25 della legge 25 agosto 1877, n. 4021, nonch degli artt. 8 e 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, il bilancio di una societ commerciale rappresenta la base normale per la determinazione degli utili netti sui quali deve gravare l'imposta di ricchezza mobile; ma quando il bilancio non attendibile perch parte delle operazioni sociali non risultano contabilizzate o ci fondato motivo di ritenere che il bilancio stesso 94 non rispecchi, perci, la reale situazione economica dell'azienda e l'intero reddito conseguito, l'Ufficio pu, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n.. 1231, procedere in via induttiva alla determinazione delreddito tassabile. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Col primo mezzo, la Societ ricorrente -nel denunziare la violazione dell'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231 nella parte concernente l'b~ bligo di motivazione dell'aecertamento ed il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione sostiene cbe l'avviso di accertamento nullo perch, pure ritenendosi legittimato l'Ufficio all'accertamento induttivo, anzich a quello analitico, esso avrebbe dovuto indicare spe~ificamente i motivi in base ai quali aveva proceduto allo accertamento nella maggiore misura di cui agli atti e gli elementi concreti di fatto posti a fondamento dell'accertamento medesimo. L'omessa indicazione dei motivi, aveva, invece, impedito al contripuente di difendersi validamente in base ai dati che si sarebbero dovuti comunicare nell'avviso di accertamento. Rileva ancora la Societ ricorrente che la Com missione Centrale avrebbe altres errato nel ritenere che la doglianza proposta al riguardo dal contribuente riguardasse, invece, solo la legittimit del ricorso al sistema dell'accertamento induttivo e non si sarebbe avveduta della contraddizione in cui era caduta con l'accertare, da un canto, che l'Ufficio aveva indicato i concreti motivi solo nelle proprie deduzioni davanti alla Commissione tributaria e lo stabilire, dall'altro, che in tale modo l'accertamento aveva posto il contribuente in grado di difendersi validamente per contrastare le deduzioni dell'Ufficio. Le doglianze del mezzo sono infondate. Infatti, l'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231 esige solo che, ai fini della esatta determinazione dei redditi propri delle societ e degli enti indicati negli art. 11 e 13 della legge stessa, ove l'Ufficio intenda di procedere alla rettifica delle impostazioni di bilancio risultino inattendibili per fondata presunzione di frode fiscale; debba - nell'avviso di accertamento -indicare i motivi in base ai quali ha proceduto alla rettifica ed al maggiore accertamento. Deve, pertanto, considerarsi valido l'avviso di accertamento nel quale l'Ufficio dichiari di avere dovuto precedere alla determinazione del reddito in via induttiva perch il bilancio presentato risulta corredato da allegati eccessivamente sintetici ed insufficienti alla verifica analitica dei dati relativi e perch nel bilancio stesso non figuravano numerose operazioni commerciali compiute dalla Societ, che aveva altres omesso di presentare la prescritta dichiarazione e di fornire i dati richiesti, necessari per la determinazioJJ.e del reddito in via analitica. -~ --_ L'Ufficio aveva, cio, indicato le ragioni dello accertamento in via induttiva per. l'esistenza di una fondata presunzione di esistenza di una frode fiscale, qual risultante dall'omessa ed incompiuta -9{) espos1z10ne in bilancio dei fatti economici dell'azienda, dalla mancanza della dichiarazione e dalla insufficienza degli allegati, oltre che all'esistenza di operazioni che, bench note all'Ufficio, non risultavano contabilizzate in bilancio. La ricorrente Societ non contesta che la presunzione di frode fiscale eventualmente nascente dai dati suindicati, dava, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, facolt all'Ufficio di procedere ad accertamento in via induttiva, anzich in via analitica, ma sostiene che l'Ufficio avrebbe dovuto, insieme all'accertamento, notificare i fatti e dati concreti in suo possesso relativi ai singoli redditi omessi ed alle operazioni non contabilizzate, cos da mettere il contribuente in grado di difendersi in rapporto ai dati cos esposti, e non limitarsi -invece -come ha fatto, ad ad indicare solo le ragioni dell'accertamento, contestando, poi, solo innanzi alla Commissione i dati concreti in suo possesso relativi alle operazioni occultate nel bilancio e mai esposte nelle contabilit sociali per evadere1a relativa imposta. Ora l'art. 20 della legge 20 giugno 1936, n. 1231 (a differenza dell'art. 37 del Testo unico approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 che vuole che l'avviso di accertamento sia analiticamente motivato, a pena di nullit peraltro sanabile) esige solo che l'avviso di accertamento indichi i motivi in base ai quali l'Ufficio ha proceduto alla rettifica delle risultanze di bilancio e tale indicazione dei motivi esige, altresi, nel caso di inattendibilit del bilancio per fondata presunzione di frode fiscale, ipotizzato dall'ultimo comma dell'art. 20 stesso. Sia pure che i motivi non debbono essere generici, ma specifici, indicando i fatti in base ai quali l'Ufficio ha ritenuto di discostarsi dall'accertamento analitico per l'esistenza di una frode fiscale, non pu esservi dubbio che, nella specie, tali fatti sono stati anche indicati nell'avviso di accertamento, attraverso la contestata omissione della presentazione della prescritta dichiarazione, e le ulteriori contestazioni relative all'insufficienza degli allegati al bilancio, all'omissione di fornire gli ulteriori dati richiesti e necessari per una tassazione analitica ed alle informazioni in possesso dell'Ufficio circa la esistenza di numerose altre operazioni sociali, non contabilizzate in bilancio, cosi da porre in essere q"Q.ella fondata presunzione di frode fiscale che legittimava l'Ufficio a procedere a valutazione in via induttiva e sintetica, anzich in via analitica. Vi era, dunque, una specifica indicazione degli elementi in base ai quali l'Ufficio era giunto alla conclusione dell'esistenza di una fondata presunzione di frode fiscale e del motivo che, cosi, legittimava l'Ufficio a procedere all'accertamento induttivo in luogo di quello analitico, in base allo ultimo comma dell'art. 20 del Testo unico del 1936. Con ci, il voto della legge poteva considerarsi adempiuto dall'ufficio senza che fosse, altres, ne cessario indicare nell'avviso di accertamento le singole partite che risultavano all'Ufficio occultate dalla Societ nei propri bilanci, cos come questa sostiene, trattandosi non di mera rettifica delle appostazioni delle scritture e del reddito di bilancio, ma di un bilancio incompleto ed inesatto e, come tale, affetto da frode fiscale, perch redatto in modo da non fornire all'Ufficio il dovuto specchio esatto e fedele della vita economica della Societ, con i documenti giustificativi e gli allegati richiesti, cos come ritenuto anche dalle Commissioni tributarie in via di valutazione di merito circa la sussistenza dell'incompletezza del bilancio, che la stessa ricorrente ammette quando riconosce che, in base ad essa l'Ufficio era legittimato alla ricerca induttiva del reddito, pure soggiungendo che sarebbe, per, stata necessaria la indicazione delle singole partite omesse, da notificarsi con l'accertamento, a pena di nullit di quest'ultimo. Del resto, come ha rilevato la Commissione Centrale, i fatti specifici e gli elementi e motivi relativi vennero, in ogni caso, resi noti al contribuente davanti alla Commissione tributaria con le deduzioni dell'Ufficio, cos come la ricorrente pure riconosce. Ora, questa Suprema Corte ha gi altre volte avuto occasione di affermare il principio secondo il quale la nullit dell'accertamento tributario, per essere mancata, od omessa la specificazione e la contestazione dei fatti indici su cui si fonda la valutazione induttiva del reddito imponibile, pu essere sanata nel corso del procedimento di merito ove i dati stessi vengano comunicati dinanzi alle Commissioni tributarie, e ci in forza delle disposizioni di cui agli artt. 25 e 41 del R.D. 8 luglio 1937, n. 1516 che conferiscono a dette Commissioni gli stessi poteri di indagine, di richiesta di dati e di raccolta di prove attribuiti all'Ufficio, con pienezza di contraddittorio e, perci, con ogni garanzia di difesa per il contribuente (cfr. sentenze 30 gennaio 1961, n. 172, cass. 16 ottobre 1959, n. 2787 e 3 aprile 1941, n. 947). Tale principio non pu non essere valido anche in tema di imposta di ricchezza mobile per la quale (in forza dell'art. 43 della legge 24 agosto 1877, n. 4021 richiamato dall'art. 31 del regio decreto, n. 1516 del 1937) la Commissione distrettuale ha persino il potere sostitutivo di accertamento e di aumento dei redditi, cosicch anche la seconda censura del mezzo si rivela priva di qualsiasi pregio giuridico e da rigettare. Col secondo mezzo, poi, nel denunziare la violazione dell'art. 25 del Testo unico 24 agosto 1877, n. 4021 e degli artt. 12 e 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, la Societ ricorrente sostiene che pu passarsi dall'accertamento analitico a quello induttivo solo se le impostazioni del bilancio risultino inficiate da frode :fiscale, ipotesi -questa che non ricorreva, invece, nella specie, cosicch, l'Ufficio non avrebbe dovuto ricorrere all'accertamento in via analitica . .Anche questo ulteriore motivo infondato. A. norma infatti, dell'art. 25 della legge 24 agosto 1877, n. 4021, non meno che degli artt. 8 e 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, il bilancio di una societ commerciale rappresenta la base normale per la determinazione degli utili netti sui quali deve gravare l'imposta di ricchezza mobile, ma quando il bilancio non attendibile, perch parte delle operazioni sociali non risultano contabilizzate e vi fondato motivo di ritenere che -96 il bilancio stesso non rispecchi, perci, la reale situazione economica dell'azienda e l'intero reddito conseguito, l'Ufficio pu; ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, procedere in via induttiva alla determinazione del reddito tassabile. Nella specie, le Commissioni tributarie adite hanno, in sede di merito, ritenuta la sussistenza di operazioni non contabilizzate, dichiarando perci legittimo il ricorso fatto dall'Ufficio all'accertamento induttivo ed a nulla rileva se, in fatto, taluna delle operazioni indicate dall'Ufficio come occultate non siano risultate tali; una volta che, sia pure in parte, i rilievi dell'Ufficio sono stati; in sede di valutazione di merito, ritenuti esatti; con ci stesso, come ha osservato esattamente la Commissione Centrale della sentenza denunziata, i bilanci potevano dirsi essere stati compilati in modo infedele ed incompleto tale da legittimare il ricorso all'accertamento induttivo, anche perch i dati forniti nei bilanci stessi e negli allegati non erano sufficienti per l'accertamento in via analitica ed erano, comunque, incompleti. La ricorrente Societ, contesta invano il ricorso al metodo induttivo quando essa medesima riconosce che, sia pure in parte, i rilievi dell'Ufficio circa la mancata contabilizzazione di parte delle operazioni sono stati ritenuti esatti, trattandosi sempre di un occultamento del reddito e non di una semplice rettifica di partite dichiarate all'Ufficio, con tutti i dati richiesti dalla legge al fine di metterlo in grado di valutare esattamente la loro portata economica e l'eventuale utile attraverso esse ricavato dal contribuente e tassabile come reddito effettivamente conseguito. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna della Societ ricorrente alla perdita del deposito ed alle spese. IMPOSTE E TASSE -Imposte indirette -Questioni di diritto -Rapporti fra il procedimento avanti le Commissioni tributarie e quello avanti l'autorit giudiziaria. (Corte di, Cassazione, I Sezione, Sentenza n. 2125/61 -Pres.: Celentano; Est.: Del Conte; P.M.: Toro (conf.) -Cantone c. Finanze). La legge ammette il concorso ed il contemporaneo svolgimento dei due processi, l'uno davanti alle Commissioni tributarie e l'altro davanti al giudice ordinario, e, pertanto, deve escludersi che l'un processo debba sospendersi in attesa della decisione dell'altro; le due azioni sono del tutto autonome, senza alcun rapporto di dipendenza fra loro, e possono coesistere fino a quando si sia formato il giudicato nel processo davanti al giudice ordinario, ovvero sino a quando non sia stato presentato il ricorso per cassazione contro la decisione della Commissione centrale. La prima parte della massima sopra riferita di intuitiva 6videnza; la affermata possibilit del contemporaneo svolgimento in materia di imposte indi rette del procedimento avanti le Oommissioni tributarie e di quello avanti l'autorit giudiziaria sul qual punto costante ormai la giurisprudenza della Oorte Suprema -esclude di per s e per il principio di contraddizione che l1un processo debba sospendersi in attesa della decisione dell'altro, perch ci starebbe a significare che i due procedimenti non sono autonomi, e che l'un di essi si pone in posizione subordinata rispetto all'altro. Di particolare interesse si presenta, invece, la seconda parte della massima, pure attinente ai rapporti fra i due procedimenti ed alla coesistenza. Nella motivazione di precedente sentenza, avente oggetto non dissimile da quello in rassegna, la Corte Suprema -12 aprile 1958, n. 1194, Impresa Girola c. Finanze, in Riv. leg. fisc. 1958, 1476 -aveva affermato che le due azioni sono perfettamente autonome e possono coesistere senza reciproca interferenza sino a che non si sia formato il giudicato in uno dei due giudizi. Questa opinione stata ora modificata e rettificata; se i due procedimenti sono attivati contemporaneamente, non si verifica mai il passaggio in giudicato della decisione emessa dalla Commissione tributaria, nel senso che la mancata impugnazione in cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., ovvero il mancato successivo ricorso al Tribunale nei termini e nei modi previsti dalle leggi tributarie, non ha alcun effetto preclusivo sul procedimento gi in corso avanti il giudice ordinario. E la ragione di questa decisione evidente: .se dell'esame del fondamento o meno di quella certa (unica) pretesa tributaria, il giudice ordinario gi investito, sarebbe fuor di luogo obbligare la parte rimasta soccombente nel processo svolto avanti le Commissioni a rivolgersi allo (stesso) giudice ordinario per chiedergli di giudicare sul fondamento di quella stessa (unica) pretesa tributaria; il che, pure, occorrerebbe fare se al mancato ricorso al giudice ordinario si riconoscesse effetto preclusivo rispetto al processo in corso. E, insomma, posto che il giudice ordinario sia gi investito dell'esame di quella lite, superfluo sarebbe il volerlo o doverlo investire di nuovo dell'esame della stessa lite. Di tutta evidenza appare, almeno parzialmente, la portata dell'ultima parte della massima. Se contro la decisiono della Commissione Centrale per le im poste proposto ricorso per cassazione a sensi dello art . .111 Cost., ricorso che si pone come impugnativa di quella decisione, s che possono in questa sede denunciarsi sia vizi in indicando sia vizi in pro cedendo, chiaro che di coesistenza non piu a parlare. Ed anche pacifico che, proposto quel .ricorso per cassazione non possibile instaurare autonomo giudizio avanti il Tribunale (v. Il Cont. dello Stato, 1956-60, vol. II, n. 129). Un punto resta, per, ancora da chiarire: se contro la decisione della Commissione centrg,le-viene proposto ricorso per Cassazione a sensi dell'art; 111 .Cost., quale sorte riservata al processo gi da prima, per effetto della autonomia dei due procedimenti, in corso avanti il Tribunale, o la Corte di Appello, per la stessa questionef -97 Si potrebbe essere tratti a pensare che, investita oimai della questione la Oorte Suprema di Cassazione, non vi sia pi margine per l'esercizio della giurisdizione da parte di altro organo giurisdizionale, ma d'altro canf,o non si pu non rilevare come alla Oorte Suprema sia pur sempre riservato un giudizio di mera legittimit, a differenza di quanto CONSIGLIO DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto del Trattato di pace -Legge n. 1050 del 1954 Determinazione dell'indennizzo -Accordo con la Jugoslavia -Irrilevanza. ATTO AMMINISTRATIVO -Motivazione -Omessa comunicazione -Irrilevanza -Effetti. ATTO AMMINISTRATIVO -Controllo -Corte dei Conti -Rilievi -Facolt dell'Amministrazicine. DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto del Trattato di pace -Procedimento -Contrad dittorio -Nomina consulente tecnico -Non sono prescritti. (Consiglip di Stato, Sezione IV, decisione n. 204 del 1962 -Wres.: Bozzi; Est.: Potenza - Soc. per azioni Compagnia di Antivari c. Ministero Tesoro). .Ai fini della liquidazione degli indennizzi da corrispondere per i beni perduti all'estero in applicazione del Trattato di pace, ai sensi della legge 20 ottobre 1954, n. 1054, irrilevante l'accordo intervenuto con lo Stato jugoslavo per la valutazione complessiva dei beni stessi. La comunicazione successiva dei motivi di un provvedimento non vizia il provvedimento, poich attiene a fase successiva alla sua perfezione, ma consente all'interessato di dedurre motivi aggiun ti ove l'atto sia stato impugnato. Le Amministrazioni dello Stato hanno facolt di riesaminare i propri provvedimenti, per le definitive determinazioni, a seguito di rilievi mossi dalla Oorte dei Oonti in sede di controllo di legitti mit; pertanto, legittimamente modificano tali provvedimenti facendo proprie le considerazioni svolte dalla Oorte. Il procedimento di liquidazione per indennizzo di beni perduti all'estero in applicazione del Trattato di pace un procedimento amministra tivo, disciplinato dalla legge, che non prevede n il contraddittorio n la nomina di consulenti tecnici. La lucida motivazione della decisione (che ap presso trascriviamo) dispensa da ogni commento. Segnaliamo per la sua importanza, che trascende la speciale materia degli indennizzi per danni di guerra, il punto della decisione che chiarisce il pro blema dei rapporti tra l'attivit deZl'organo di con- accade per i giudici di primo e secondo grado, che estendono la loro giurisdizione anche al merito attraverso un autonomo accertamento dei fatti, necessario per la retta soluzione delle questioni di diritto. E', questo; un punto ancora oscuro; ed augurabiw che anche esso possa al pi presto essere chiarito in modo soddisfacente dalla Suprema Oorte Regolatrice. (n. g.). DI STATO trollo e dell'amministrazione attiva in quella fase del controllo che si esplica attraverso i c.d. rilievi senza giungere al rifiuto di visto. Va disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, inaicati, stante la loro connessione. I~}.All'udienza di discussione la difesa della ricorrente ha sostenuto di poter chiarire che il difetto di motivazione denunciato con il ricorso consisterebbe nel fatto che l'Amministrazione non ha tenuto conto dei valori attribuiti negli accordi intervenuti fra lo stato italiano e lo Stato confiscante per la determinazione del valore complessivo dei beni confiscati. da rilevare che siffatta censura ben diversa da quella dedotta in ricorso e che pertanto la doglianza, non notificata; inammissibile. Giova comunque ricordare che, come gi stato rilevato dalla giurisprudenza di questo Ool legio, tali accordi internazionali rimangono estra nei al nostro ordinamento interno, e comunque concernono i rapporti fra gli Stati e non sono rile vanti ai fini della liquidazione degli indennizzi concessi ai cittadini che hanno sofferto la perdita dei beni in applicazione del Trattato di pace. Oc corre infatti non confondere l'accordo intervenuto per la valutazione complessiva dei beni confiscati con gli accordi considerati dall'art. 1 della legge 20 ottobre 1954, n. 1050. In ordine a questi accordi la Amministrazione ha precisato con la nota del 17 luglio 1961, esibita in atti, che nessun accordo stato stipulato fra l'Italia e la Jugoslavia per i beni italiani siti nel vecchio territorio jugoslavo e, pertanto, trova applicazione l'art. 2 della legge. Venendo ai motivi contenuti nel ricorso, pur dando atto che essi sono stati dedotti in maniera generica e talora non chiara, pu individuarsi in essi in primo luogo una censura di motivazione, ma occorre subito rilevare che il denunciato difetto di motivazione non sussiste. Il provvedimento motivato con l'espresso richiamo ai rilievi solle vati dalla Oorte dei Oonti e fatti propri dall'Ammi nistrazione. Ohe il contenuto di tali rilievi e cio di tale motivazione per relationem non sia stato comunicato alla ricorrente, come gi pi volte stato ritenuto dalla costante giurisprudenza- del Collegio, non inficia l'atto. La comunicazione successiva dei motivi di un provvedimento non vizia il provvedimento, poich attiene a fase successiva alla sua perfezione, ma -98 consente all'interessato di dedurre motivi ag' giunti ove l'atto non sia stato impugnato. In ordine al preteso vizio di incompetenza de dotto in sede di ricorso deve riconoscersi che la doglianza talmente generica che non consente un esame di tale censura. Ohe se la ricorrente avesse inteso -come sembra -dolersi del fatto che l'organo di controllo ha riesaminati i presupposti di liquidazione dell'indennizzo chiaro che tale riesame rientrava nell'ambito della competenza riconosciutagli e diretta a constatare la legittimit del provvedimento. N al Ministero era preclusa la facolt di riesa minare il provvedimento dopo i rilievi della Corte dei Conti per le sue definitive determinazioni. A ci ha legittimamente provveduto, facendo proprie le considerazioni svolte dalla Corte dopo aver nuo vamente sentito la competente Commissione. Venendo all'esame dei vizi denunciati con i motivi aggiunti, palesemente infondata la pre tesa nomina di un consulente tecnico di parte. Il procedimento di liquidazione dell'indennizzo un procedimento amministrativo, disciplinato dalla legge, che non prevede n il contraddittorio n la nomina di consulenti tecnici. Quanto poi alla pretesa illogicit dei criteri adottati dall'Ufficio tecnico erariale, cui la Com missione ha, nella sua discrezionalit, commesso di adempiere alle valutazioni estimative dei beni da indennizzare, essa non sussiste. Pi precisamente per quantO concerne il diverso valore monetario da dare ai beni alla data di scadenza della concessione e cio al 1970 da osservare che se arn3he l'U.T.E. avesse inteso tener conto della svalutazione a quella data e. cio avesse indicato i valori al 1970 secondo una presumibile svalutazione della moneta, nel deter minare l'indennizzo, il quale va riferito ai valori del 1947, avrebbe dovuto procedere alla rivaluta zione al 1947 e quindi il risultato sarebbe stato sempre il medesimo. Quanto all'ammontare delle percentuali di am mortamento trattasi di valutazioni tecniche non sindacabili e d'altra parte la ricorrente si limi tata ad una generica doglianza di eccessivit. Le valutazioni dell'U.T.E. indicano il processo logico seguito nella determinazione e ci suffi ciente ai fini di motivare il giudizio tecnico-esti mativo pronunciato. DANNI DI GUERRA -Beni italiani confiscati a sensi dell'art. 79 del Trattato di pace -Indennizzo ex lege n. 1050 del 1954 -Cessione~ Concentrazione di aziende. (Consiglio di Stato, IV Sezione, decisione n. 479 del 1962 -Pres.: Bozzi; Rel.: Trotta S. A.C.I.E. c. Ministero del Tesoro). La pretesa all'indennizzo dovuto ai sensi della legge n. 1050 del 1954 e dell'art. 79 del Trattato di pace per la confisca di beni italiani all'estero pu ben formare oggetto di cessione attuabile anche a mezzo di concentrazione di aziende. Trascriviamo la motivazione in diritto della decisione: Con l'impugnato pro-irvedimento il Ministero del Tesoro, su conforme determin~ione espressa dalla Commissione istituita con legge 22 ottobre 1954, n. 1060, ha respinto l'istanza d'indennizzo prodotta dalla S.A. Costruzioni Edilizie, opponendo che legittimata a far valere la pretesa di risarcimento era la Societ S.A.F.F.A. proprietaria al 6 novembre 1947 dei beni confiscati in Etiopia. Nessuna giuridica rilevanza stata a tal fine attribuita all'atto per notar Bernasconi del 30 settembre 1949, in virt del quale la Societ richiedente subentrata, a titolo di concentrazione aziendale, nella propriet degli immobili confiscati, in quanto stato rilevato che, a seguito della cessione delle attivit e delle passivit del ramo aziendale sussistono due societ a personalit nettamente distinta. Ne deriva -secondo l'Amministrazione -che le titolariet del diritto ad indennizzo per la liquidazione dei beni perduti in Etiopia permane nelle S.A.F.F.A. e non passato alla S.A.C.I.E., poich la cessione generica dell'indennizzo non pu avere efficacia giuridica, in quanto esso riguarda non un bene determinato e neppure un diritto accertato, ma solo una spesa allo stato d'interesse che non pu essere oggetto di concreta cessione fino alla sua realizzazione . In via di principio pu senz'altro convenirsi che, mentre con la concentrazione di societ si determina la confusione dei patrimoni sociali, con la concentrazione di aziende nessuna delle societ contraenti perde la propria individualit, trattandosi in effetti di una permuta di attivit patrimoniali (cessione di beni contro acquisto di azioni) che non implica assolutamente alcun fenomeno successorio nei debiti e nei crediti. Il fatto per che ciascuna delle societ contraenti continui a sopravvivere con distinta personalit non ha giuridica rilevanza ai fini della ontroversia da risolvere, dovendosi invece stabilire se con l'apporto dei beni costituenti il patrimonio aziendale possa o meno ritenersi trasferito cum omni causa qualsiasi diritto od azione che comunque si ricolleghi alla propriet dei cespiti ceduti. Se qualche perplessit pu sorgere quando manchi apposita clausola, ogni dubbio determinato a sparire quando con la cessione del bene espressamente previsto il trasferimento di ogni relativa azione o ragione. In via di principio, infatti, la cessione dei crediti deve ritenersi sempre possibile, quando la posizione di creditore non sia inseparabilmente connessa a particolari requisiti subbiettivi. Nella fattispecie per l'atto notar Bernasconi del 30 settembre 1949, l'apporto della Societ S.A. F.F.A. a titolo di concentrazione aziendale comprende tutte le attivit e passivit costituenti il c001,_ plesso del proprio ramo aziendale immobili civili e costruzioni con pieno subingresso della S.A.C.I.E. in tutti i diritti crediti, ragioni, azioni, obblighi, oneri ~d impegni di qualsiasi natura spettanti od -99 incombenti alla S.A.F.F.A. per l'azienda conferita anche se non espressamente contemplati. Data l'ampiezza della clausola convenuta chiaro che anche le azioni o ragioni riflettenti la riscossione di indennizzi relativi ai beni perduti in Etiopia, che sono espressamente individuati nell'atto, deve ritenersi compresa nella cessione, nessuna limitazione o riserva essendo stata al riguardo prevista. N alcuna obbiettiva limitazione pu farsi derivare dall'ordinamento vigente, mancando apposita . norma che per gli indennizzi ed in genere per i crediti verso lo Stato ponga divieti di trasferimento in deroga alle norme ed ai generali principi che regolano la cessione dei crediti. Va inoltre considerato che la corresponsione degli indennizzi dovuti per danni di guerra o relativi ai beni soggetti a confisca per effetto del trattato di pace, non affatto connesso a particolari requisiti subbiettivi, dovendo invece ricollegarsi al fatto obbiettivo del danno subito senza che le condizioni. del precedente proprietario possano minimamente influire sulla concssione o sulla determinazione del relativo ammontare. Nella materia riflettente gli indennizzi o contributi per danni di guerra regolati dalla legge 27 dicembre 1953, n. 968 la possibilit del trasferimento non soffre eccezione alcuna, potendo in virt dell'art. 6 essere corrisposti al danneggiato e ai suoi aventi causa a qualsiasi titolo. Solo col secondo comma si introduce una norma di cautela nel senso che qualora nei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore del D.L. 10 aprile 1947, n. 261 non siano stati espressamente ceduti con le propriet del cespite sinistrato anche il contributo o l'indennizzo statale, necessario il consenso del cedente per la liquidazione del beneficio a favore dell'altro' contraente. La richiamata norma conferma cio il principio che col trasferimento del cespite sinistrato sempre possibile la cessione dell'indennizzo non sussistendo alcuna sostanziale differenza tra gli indennizzi stessi e gli altri diritti o ragioni di credito comunque connessi alla propriet del cespite ceduto. Non vi motivo per non accogliere lo stesso principio anche per gli indennizzi ralativi ai beni confiscati all'estero in esecuzione del trattato di pace, trattandosi di materia del tutto analoga anche se regolata da norme particolari. Nella memoria di difesa l'Avvocatura Generale dello Stato ha osservato che ogni negozio del genere posto in essere dopo l'entrata in vigore del trattato di pace deve ritenersi n_ullo,-non potendo commerciarsi beni che siano destinati a confisca a favore di una delle potenze alleate. Ritiene il Collegio che l'atto posto in essere debba invece considerarsi perfettamente valido, non potendo, in mancanza di apposita norma, ritenersi cessata la disponibilit dei beni fino a quando perduri la semplice possibilit di confisca in estratto prevista dalla norma del trattato. Le clausole convenute non sanzionano infatti ope legis la confisca immediata dei beni italiani siti all'estero, ma attribuiscono a ciascuna potenza alleata il diritto di procedere a tale misura stabi lendo che possono utilizzarsene i proventi entro il limite delle domande di riparazione. La cessione deve pertanto ritenersi possibile, malgrado il vincolo esistente, potendo in ogni caso la confisca esperirsi contro qualsiasi t13_rzo, purch riflettente beni che all'epoca dell'entrata in vigore del trattato di pace risultassero di appartenenza dello Stato italiano o di cittadini italiani. Ci stante sulla validit dell'atto Bernasconi del 1949 non possono sorgere dubbi in quanto per le clausole in esso contenute e per l'espresso riferimento a; beni siti in Etiopia, la cessione deve ri tenersi avvenuta cum omni causa, comprese le ragioni dell'indennizzo cb.e gi le norme del trat -tato di pace, reso esecutivo in Italia col D. L. 28novembre 1947, n. 1430 espressamente preve devano. L'Amministrazione nega che la cessione abbia giuridico effetto, riguardando, secondo si afferma nell'impugnato provvedimento, non un bene determinato e neppure un diritto accertato ma solo una .spes allo stato d'interesse che non pu essere oggetto di concreta cessione fino alla sua realizzazione. La tesi non pu essere condivisa poich essa non tiene conto che al momento in cui l'atto di ces sione veniva stipulato sussistevano tutti i presup posti per la realizzazione di una pretesa che una norma del trattato gi reso esecutivo in Italia pienamente garentiva. In tema di danni di guerra un principio contra rio a quello sostenuto dall'Amministrazione agevol mente si desume dall'art. 6 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, ai sensi del quale il contributo e l'in dennizzo sono concessi al danneggiato o ai suoi aventi causa, qualsiasi possa essere il titolo sulla cui base il trasferimento avviene. Ci significa che per i principi accolti dal nostro ordinamento positivo la pretesa al risarcimento, anche se allo stato d'interesse, si trasferisce normalmente al nuovo proprietario, nei cui confronti l'Amministra zione proceder al pagamento una volta che ne accerti i presupposti dalla legge in astratto previsti. La decisione non convince. .A prescindere dalla impropriet del termine concentrazione d' aziende per indicare la cessione d'una azienda da parte di una societ ad altra societ, sembra che il richiamo alla legge, n. 968 del 1953 non sia decisivo ove si rifletta che questa legge sembra che preveda la ces sione dell'indennizzo solo come conseguenza del trasferimento del bene danneggiato dalla guerra, trasferimento che per quanto concerne beni confiscati all'estero appare inconcepibile. E' appena il caso di rilevare che le difficolt che si oppongono all'ammissibilit d'una cessione della pretesa all'indennizzo prima della liquida zione di questo non hanno alcuna rilevanza nel caso di cessio.ne posteriore alla liquidazione, quanao cio essendo divenuto definitivo il provvedimento am: ministrativo di concessione la pretesa ha tutte le caratteristiche del credito di somma liquida eil esigibile. E E -100 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione temporanea -Stabilimenti di lavora zione di oli minerali e carburanti -Art. 19 R.D.L., n. 1741 del 1933 -Eccezione di incostituzionalit Manifesta infondatezza. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione temporanea -Durata -Stabilimenti di lavorazione di oli minerali e carburanti -Con formit all'ordinamento giurid_ico. LEGGI E DECRETI -Interpretazione -Criteri -Pre valenza di quelli conformi ai principi costituzionali. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione temporanea -Stabilimenti di lavorazione oli minerali e carburanti -Art. 19 R.D.L., n. 1741 del 1933 -Limiti -Costituzione della Repubblica Art. 3 -Interpretazione. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione temporanea -Stabilimenti di lavorazio ne oli minerali e carburanti -Art. 19 R.D.L., n. 1741 del 1933 -Trasformazione definitiva del bene occu pato -Illegittimit. (Consiglio di Stato, Sezione IV, decisione Ii. 263/62 -Pres.: Bozzi; Est.: Meregatti; Rie.: Sanguinetti c. Ministero Industria e Commercio). manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit dell'art. 19 R.D.L. 2 novembre 1933, n. 17 41, convertito nella legge 8 febbraio 1934, n. 367, il quale prevede l'occupazione del suolo pubblico privato necessario per l'impianto di stabilimenti di lavorazione di oli minerali, di lubrificanti e di carburanti per tutta la durata della concessione, sotto i dedotti profili di contrasto con gli artt. 3, 24, 41 e 42 Cost. L'occupazione temporanea istituto generalissimo del nostro ordinamento giuridico previsto in molte leggi speciali, anche all'infuori dell'ipotesi eontemplata dall'art. 64 della legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359, e, secondo le esigenze ehe l'occupazione destinata a soddisfare, pu variara la durata della sospensione o compressione del diritto dominicale. Di fronte ad una Costituzione non flessibile, i p:cincipi da essa posti investono l'intero ordinamento legislativo e funzionano come criteri di ermeneutica delle norme dettate dalle leggi ordinarie, di modo che, se una norma si presta a diverse interpretazioni, di cui ciascuna produce effetti di maggiore o minore ampiezza ed intensit, l'interpretazione da scegliersi quella pi aderente al principio costituzionale. L'occupazione di suolo prvato consentita dall'art. 19 R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 non si estende al suolo necessario all'impianto di lavorazione di carburanti -o degli impianti per loro natura permanenti ed inamovibili, ma concerne soltanto stabilimenti in via provvisoria, manufatti ed accessori dello stabilimento ed in particolare depositi di combustibili liquidi, che non abbiano il carattere della permanenza e della inamovibilit. L'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non esclude che l'attivit di alcuni di essi possa essere considerata con maggiore favore dal legislatore, in quanto meglio rispondente ai fini di interesse generale, di cui soprattutto deve preoccuparsi lo Stato; pertanto, questa suprema necessit richiede, talvolta, nelle forme stabilite dalla stessa. Costituzione, il sacrificio -tuttavia debitamente remunerato -dell'interesse di un cittadino a favore di un altro, quando sia imposto dalle esigenze sociali ed economiche della collettivit. Illegittimamente si procede all'occupazione di suolo privato, ai sensi dell'art. 19 R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741, allorch l'occupazione, ivi prevista come provvisoria, si debba attuare con la distruzione degli immobili che sorgano sul suolo occupato, sicch non si abbia soltanto l'occupazione del suolo, ma anche la trasformazione stessa del bene. Si tratta d'wna decisione di notevole importanza pratica la cui portata, peraltro, non ci sembra possa essere estesa troppo oltre i limiti della fattispecie che presenta, indubbiamente, aspetti particolari i quali hanno determinato l'adozione di criteri interpretativi dell'art. 19 del decreto-legge n. 1741 del 1933 che si risolvono, in sostanza, in una critica al legislatore. Concordiamo pienamente col Consiglio di Stato sul punto della manifesta infondatezza della questione dilegittimit costituzionale del citaJo art. 19 e riteniamo che ben possa il giudice a quo formulare il suo giudizio su tal,e infondatezza basandosi sulla interpretazione che egli dichiara di dover dare alla norma della quale si contesta la legittimit (v. su questo punto in senso contrario V. Andrioli in Foro Italiano 1962, II, 232). La decisione in rassegna stata sostanzialmente criticata in un pregevole studio del Piga (in Rivista giur. degli idrocarburi, 1962, 89 e segg.), il quale ci sembra ponga giustamente in rilievo ia considerazione che i problemi derivanti dalla particolarit della occupazione disciplinata dall'art. 19 possono trovare soluzione adeguata in sede di applicazione dell'art. 68 legge generale sulle espropriazioni, che consente di stabilire l'indennit per l'occupazione in misura tale da compensare tutti i pregiudizi che al proprietario del fondo sono cagionati dalla occupazione, per quanto ampia ne sia la portata. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con il primo mezzo di gravame i ricorrenti propongono in via principale la questione della incostituzionalit dell'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 17 41 (convertito in legge 8 febbraio 1934, n. 367) in relazione agli artt. 42, 41, 3 e 24 della Costituzione. Sotto il primo profilo si deduce che l'art. 19 predetto -imponendo sui beni di propriet privata un vincolo di indisponibilit praticamente a tempo illimitato -consentirebbe in sostanza una yerf!i e propria espropriazione dell'are~ senza l'osservanza delle formalit e senza le garanzie del procedimento espropriativo, contro il disposto dell'art. 42 della Costituzione. -101 Replicano le parti resistenti che la Costituzione riafferma e garantisce solennemente la propriet, ma ne riconosce peraltro anche la possibilit di espropriazione per motivi di interesse generale, nei casi preveduti dlla legge e salvo indennizzo. Di fronte ad una norma cos chiara e fondamentale, che ammette addirittura il trasferimento autoritativo e coattivo del bene da uno ad altro soggetto, per ragioni di pubblico interesse, il Collegio ritiene che debbono riconoscersi conformi al precetto costituzionale in base al tradizionale brocardo in eo, quod plus est, inest et minus, anche istituti intermedi di sospensione o di compressione limitata e temporanea, anzich di soppressione totale e definitiva, del diritto del proprietario (occupazione temporanea, che non rappresenti atto incidentale del procedimento di espr:>priazione, imposizione di servit, requisizione ecc.), i quali, in base al principio della elasticit, consentono al bene stesso, una volta esaurita la destinazione pubblica, di riprendere la primitiva interezza, funzionalit ed efficienza. E .si pu convenire con i resistenti che l'occupazione temporanea, in particolare, istituto generalissimo del nostro ordinamento giuridico, previsto in molte leggi speciali anche all'infuori della ipotesi contemplata dell'art. 64 della legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359; e che, secondo le esigenze che l'occupazione destinata a soddisfare, pu valere la durata della sospensione o compressione del diritto dominicale. La difesa della Societ Garrone ricorda poi che il Consiglio di Stato, in una decisione dell'8 aprile 1941, numero 236 della V Sezione, ha riconosciuto la conformit del tipo di occupazione previsto dall'arti-' colo 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n 1741 ai principi del nostro ordinamento. Il Collegio osserva per che i ricorrenti non contestano la costituzionalit dell'istituto della occupazione prevista dall'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741. E se nel 1941 il Consiglio di Stato ha riconosciuto che tale speciale forma di occupazione non contrastava con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, da ricordare che a quel tempo una questione di incostituzionalit di norme aventi valore di legge, come quella di cui trattasi, non si poneva neppure, non avendo lo statuto .Albertino, allora vigente, quel .carattere di rigidit che stato conferito alla attuale Costituzione repubblicana. Il problema si riduce quindi alla esatta interpretazione della norma contenuta nell'art. 19 del regio decreto-legge del 1933 n. 1i41 per stabilire .con precisione la facolt che essa conferisce allo occupante ed i conseguenti limiti che possono -essere imposti al diritto del proprietario, tenendo tuttavia presente che, fin dove lo consentono la lettera e lo spirito della norma medesima, essa deve e>sere interpretata conformemente ai prineipi affermati nell'art. 42 della Costituzione. noto, infatti, che di fronte ad una Costituzione non fle~sibile, i principii da essa posti investono l'intero ordinamento legislativo e funzionano come criteri di ermeneutica delle norme delle leggi or dinarie, di modo che se una norma, per ipotesi, si presta a diverse interpretazioni, di cui ciascuna produce effetti di maggiore o minore empiezza ed intensit, la interpretazione da scegliersi quella pi aderente al principio costituzionale, se ci sia possibile senza violentare la parola e la volont della legge, cio senza far dire alla legge quello che non ha detto e non ha sicuramente inteso dire. E, senza aderire al noto metodo della interpretazione storico-evolutiva delle leggi, e pur certo che il canone ermeneutico sopra indicato vale anche per le leggi emanate anteriormente alla nuova Costituzione, per l'ovvio fenomeno di adattamento dell'ordinamento gi in atto ai principi della nuova Carta costituzionale, di modo che, se una legge precedente consentiva un'interpretazione ed una applicazione pi larghe, oggi queste devono circoscriversi in pi rigorosi limiti fin dove -ripetesi -lo permetta la dizione del precetto legislativo, che altrimenti dovrebbe considerarsi incostituzionale. Una volta definita la portata della disposizione di legge nel quadro dei principii costituzionali, se si ritiene che la norma, dopo la precisazione del suo contenuto e dei suoi effetti, non contrasti con tali principii, il problema, evidentemente, si sposta dal piano legislativo a quello esecutivo e deve essere risolto nella sede competente non pi mediante l'indagine l'accertamento della illegittimit dell'atto amministrativo. Ci premesso, necessario aggiungere subito che la interpretazione pi sicura di una norma quella meglio rispondente al tipo di istituto che essa stessa contempla nella specie all'istituto della occupazione , che trova certamente posto nel nostro ordinamento costituzionale, ma che risponde a determinati requisiti naturali, tradizionalmente fissati dalla legge, individuati e delimitati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Si distingue l'occupazione che ha soltanto funzione strumentale ed accessoria ai fini della esecuzione di un'opera dichiarata di pubblica utilit (art. 64 e seg. della legge 25 giugno 1865, n. 2359); l'occupazione d'urgenza nei casi di forza maggiore per imprescindibili ed indifferibili esigenze pubbliche (art. 71 e seg. della sterna legge del 1865) ed infine l'occupazione gi inizialmente predisposta per la espropriazione definitiva del bene (contemplata in particolare dall'art. 73, comma 2, della legge del 1865; ma ormai numerose leggi speciali dichiarano urgenti ed indifferibili intere e determinate categorie di opere, consentendo una immediata occupazione dei beni altrui, in attesa del perfezionamento del procedimento di espropriazione). Carattere comune a tutte le specie di occupazione la temporaneit: il bene, per motivi di interesse generale o per ragioni di assoluta urgenza, viene sottratto al possesso ed al godimento del proprietario per un periodo che deve sempre essere determinato e salvo il diritto ad un congruo indennizzo. Nella specie, l'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 dispone testualmente: L'occupazione del suolo pubblico o privato necessario per l'impianto di stabilimenti di la.vorazione ovvero per il collocamento di serbatoi di olii -102 minerali, di lubrificanti o di carburanti in genere, o di distributori automatici, considerata di pubblica utilit agli effetti dell'art. 64 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 per tutta la durata della concessione . da rilevare che viene dichiarata di pubblica utilit non l'opera principale, cio lo stabilimento di lavorazione ma l'occupazione temporanea (per la durata della concessione) del suolo necessario ai fini ed agli effetti ivi specificati. Per definire l'esatta portata della norma fondamentale il riferimento esplicito che essa fa all'art. 64 della legge del 1865, n. 2359: riferimento che qualifica in modo inequivocabile l'occupazione prevista nell'M't. 19 predetto come appartenente alll); categoria delle occupazioni provvisorie, con carattere strumentale ed accessorio rispetto ad uno stabilimento di lavorazione di oli minerali e carburanti liquidi, sembra pertanto da escludeni che l'area occupata possa essere destinata all'impianto stesso dello stabilimento principale, che oltretutto alla fine della concessione, non potrebbe facilmente essere demolito o asportato; mentre l'area pu servire come previsto dall'art. 64 della legge del 1865, per stabilirvi in via provvisoria manufatti accessori dello stabilimento ed in particolare depositi di combustibili liquidi, che non abbiano il carattere della permanenza e della inamovibilit in modo che allo scadere della concessione, il proprietario possa essere reintegrato nel possesso del terreno senza che di questo sia irrimediabilmente mutata la natura e la destinazione. L'unica differenza dal tipo della occupazione temporanea previsto nell'art. 64 della legge fondamentale consiste nella eccezione ed abnorme durata di tale speciale occupazione; che non limitata al periodo necessario alla costruzione ( allo impianto , come dice con una certa contraddizione la norma stessa) dello stabilimento, ma pu essere protratta per tutta la durata della concessione. Non sembra, invero, che la lettera dell'art. 19 consenta di riferire la durata della concessione (normalmente ventennale, ma prorogabile) alla sola dichiarazione di pubblica utilit e non alla occupazione ; che sintatticamente il soggetto della intera proposizione, a prescindere dall:;i, considerazione che perdurando la prima, la seconda pu farsi sempre coincidere con essa ex lege. La durata dell'occupazione per l'intero periodo della concessione comporta che le opere da eseguire sull'area occupata, pur avendo carattere provvisorio, accessorio e strumentale, possano ritenersi necernarie non solo per l'impianto, ma anche per l'esercizio dello stabiliment'o di lavorazione. Ma appunto per l'eccezionale sacrificio che si richiede al proprietario occorre insistere sul carattere temporaneo e provvisorio delle opere: se invece queste consisterebbero in impianti per loro natura permanenti ed inamovibili 'e tali da sacrificare in maniera definitiva e totale il diritto del proprietario, chiaro che allora il soggetto interernato dovrebbe ricorrere al procedimento dell'espropriazione e non potrebbe giovarsi dell'occupazione per fini che sono ad essa estranei istituzionalmente. Solo in questi limiti e con tali effetti l'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 pu ritenersi non difforme dal principio affermato nell'art. 42 della Costituzione. Una diversa opinione, che non tenesse presente l'esplicito riferin;i,l'.lnto all'art. 64 della legge del 1865 n. 2359, sarebbe contraria al dettato della legge e porrebbe veramente la questione della costituzionalit della norma. D'altro canto, logico ed giusto che nella determinazione dell'indennizzo, come esplicitamente previsto nel secondo comma dell'art. 68 della medesima legge del 1865, sia tenuta nel debito conto l'eccezionale durata della occupazione, oltre che della perdita dei frutti e della diminuzione del valore del fondo. N sussiste, ovviamente, alcuna antinomia tra l'art. 19 predetto e l'art. 41 della Costituzione che garantisce la libert dell'iniziativa privata: tale norma costituzionale deve essere posta in correlazione con il secondo e terzo comma dell'articolo 42: ed ovvio che ogni volta che la legge pone limiti alla propriet privata per assicurarne la funzione sociale o ne consente addirittura la espropriazione per motivi di interesse generale (e si visto che la costituzionalit dell'istituto della espropriazione assume valore assorbente rispetto all'occupazione temporane\t avendo portata ed efficacia molto maggiore), l'iniziativa privata soffre una grave costrizione (che pu portare sino al massimo sacrificio nel caso dell'esproprio) nel pubblico interesse. Uguale considerazione da farsi circa il precetto contenuto nell'art. 3 della Costituzione: l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non implica che l'attivit di alcuni di essi non possa essere considerata con maggior favore dal legislatore, in quanto meglio rispondente ai fini di interesse generale, di cui soprattutto deve preoccuparsi lo Stato, e che pertanto questa suprema necessit richieda talvolta, nelle forme stabilite dalla stessa Costituzione, il sacrificio -tuttavia debitamente remunerato -dell'intererne di un cittadino a favore di un altro, quando E.ia imposto dalle esigenze sociali ed economiche della collettivit. Infine salvo anche il principio stabilito nell'articolo 24 della Costituzione, poich l'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 non toglie al proprietario colpito dal provvedimento di occupazione, ivi previsto, la facolt di tutelare i propri diritti ed intererni legittimi con tutti i mezzi che l'ordinamento gimidico pone a sua disposizione. Precisata la portata dell'art. 19 del regio decretolegge, n. 1741del1933, e ritenendosi, per le considerazioni sopra esposte, infondata la pretesa sua incostituzionalit, da osservare tuttavia che se esso permetterne veramente l'applicazione che ne stata data dal decreto impugnato, il dubbio sulla sua costituzionalit sussisterebbe con piena ragione, poich ridunebbe a nulla pi che un flatus vocis il diritto del proprietario, senza che questi poterne in alcun caso opporsi, e venendo compensato con un'indennit del tutto fosufficiegte __ a riparare il suo sacrificio. Ma se, come si detto, l'art. 19 deve interpretarsi secondo i criteri che la lettera e lo spirito della norma consentono a lume dei precetti costituzio -103 nali, chiara la fondatezza del secondo motivo di ricorso, circa la illegittimit del decreto ministeriale impugnato. Secondo l'art. 42 della Oostituzione, intangibilit e garanzia della propriet da un lato, indennit (che non pu non essere giusta, cio commisurata al sacrificio imposto), dall'altro sono termini correlativi che si completano a vicenda. Occorre quindi compiere, sempre tenendo presente il precetto costituzionale, un processo di identificazione del potere esercitato dall'autorit e dal sacrificio concretamente imposto al proprietario al fine di stabilire se il provvedimento dia luogo ad una semplice occupazione, anche se prolungata nel tempo ovvero si risolva nel massimo sacrificio e pertanto dia vita, in concreto ad una vera espropriazione, afftnch si abbia una occupazione occorre, in altri termini, che il sacrificio del proprietario sia riconducibile ad uno dei possibili modi, nei quali soltanto il bene pu essere utilizzato da altri senza che ne sia snaturata la essenza. Se cos non fosse, allora bisognerebbe ricorrere all'istituto della espropriazione che rappresenta l'unico mezzo adeguato e consentito dalla norma costituzionale per la realizzazione del fine pubblico che richiede il sacrificio totale e permanente della propriet privata. In questo senso ha effettiva validit il precetto costituzionale che garantisce la propriet: la garantisce, cio, sotituendo alla perdita sostanziale del bene un giusto indennizzo, che quello corrispondente all'espropriazione per motivi di pubblico interesse, secondo un particolare procedimento, che offre al proprietario i mezzi per difendere il proprio diritto e per prendere la piena reintegrazione patrimoniale del pregiudizio economico subito. Ora, quando, come nel caso concreto, l'immobile viene occupato per venti anni (e certamente oltre, per effetto delle immancabili proroghe della concessione) e viene utilizzato, snaturandone l'attuale fisionomia e destinazione. (ville padronali con parco annesso che, per esplicita ammissione della Pubblica Autorit, debbono essere totalmente distrutte per far posto all'ampliamento dello stabilimento della Soc. Garrone) la norma applicata (art. 19 del R.D.L., n. 1741 del 1933) non quella idonea, in quanto non di semplice occupazione di suolo si tratta, ma di trasformazione totale del bene; il quale perde le sue fondamentali, essenziali caratteristiche e la sua attuale funzione economica. La durata dell'occupazione, anche se corrispondente a quella della concessione, pu non alterare la fisionomia del bene; ma se attraverso la distruzione di opere esistenti, il bene viene ad assolvere una funzione economica completamente diversa, -funzione che non potrebbe pi risorgere nel momento della restituzione al proprietario, allora si fuori della ipotesi dell'occupazione. N vale richiamarsi all'ampio concetto di cc suolo n dato dalla giurisprudenza anteriore alla Oostituzione; se vero, infatti, che l'espressione non va limitata al puro e semplice terreno, ma comprensiva dei beni che su di esso insistono e, altres, vero che quando il bene non soltanto viene cc occupato , ma, attraverso l'occupazione, viene totalmente trasformato, si ha non pi una occupazione, ma un cambiamento totale e definitivo della natura del bene; in tal caso si viene a realizzare, attraverso l'occupazione, un fine amministrativo che, proprio in base al principio costituzionale della garanzia della propriet, deve essere perseguito soltanto mediante il procedimento espropriativo, previa dichiarazione di pubblica utilit dell'opera. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI D E L L E C O R T I D I M E. R I T O ESECUZIONE FORZATA -Pignoramento presso terzi -Quote l.G.E. dovute ai Comuni -lmpigno rabilit. (Tribunale di Catania, 30 maggio 1962 Est.:-~ Alessi; S.I.F.A.C. -Finanze -Comune di Ramacca). La mancata o contestata dichiarazione del terzo pignorato determina l'insorgere, nel processo esecutivo, di un processo di cognizione, al quale partecipano, quali litisconsorti necessari, il terzo pignorato, il creditore e il debitore di costui. L'Amministrazione delle finanze, terza pignorata, legittimata ad eccepire l'impignorabilit del credito. Le quote I.G.E. dovute ai Comuni hanno carattere di entrate tributarie, originariamente destinate al soddisfacimento dei fini pubblici dell'ente impositore, e per_c:ii sono impignorabili. Riportiamo integralmente la chiara motivazione della sentenza, non mancando di rilevare, per, che, a nostro avviso, mancavano i presupposti del pignoramento, perch non sussisteva un credito, inteso in senso civilistico, del Comune verso lo Stato. Una parte del provento dell'I.G.E., da versare ai Comuni, ai sensi della legge 2 luglio 1952, n. 703, ripartito, infatti, fra i Comuni che eccedono il primo limite delle sovrimposte fondiarie, proporzionalmente alla popolazione residente. Come e,sattamente osserva il Tribunale di Catania, la legge 2 luglio 1952, n. 703 ha modificato il sistema di partecipazione dei Comuni all'I.G.E. riscossa nei rispettivi territori, sostituendo al criterio strettamente territoriale un criterio fondato sulle caratteristiche economiche dei Comuni. Nell'effettuazione del riparto non pu negarsi un potere discrezionale attribuito al Ministero delle Finanze, i provvedimenti del quale, comunque, hanno natura costitutiva. Per queste considerazioni non pu, a nostro avviso, affermarsi che il Comune abbia, quanto meno prima del provvedimento di determinazione della quota, un diritto soggettivo di credito verso lo Stato, con la ulteriore conseguenza che, mancando il debito, inteso civilisticamente, manca il presupposto per il pignoramento presso terzi. Nell'ordine logico preliminare ad ogni altra la questione relativa alla chiesta revoca dell'ordinanza collegiale 17 luglio 1961, con la quale venne ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante citazione in giudizio del Comune di Ramacca, debitore escusso. Tale istanza della societ SIFA.O , la quale sostiene che, nella specie, non si versi in una ipotesi di litisconsorzio necessario, priva di consistenza giuridica e, pertanto, devesi rigettare. noto, come concorde dottrina e giurisprudenza insegnano, che si ha litisconsorzio necessario non solo quando tale necessit prevista da una spressa disposizione di legge, ma anche in tutte quelle ipotesi connesse a particolari situazioni di diritto sostanziale (rapporto giuridico inscindibilmente comune a pi persone) o processuale, che richiedono unica decisione con effetti giuridici per tutte le parti, si ch la sentenza sarebbe inutiliter data se non venisse pronunziata nei confronti di tutti i soggetti interessati. Il litisconsorzio necessario persegue, infatti, il triplice fine di evitare giudicati contraddittori, attuare l'economia dei giudizi ed adeguare il processo alle caratteristiche del rapporto sostanziale comune a pi soggetti e quindi inscindibile. Alla stregua di detti criteri, non v'ha dubbio che, nella specie, si versi in una ipotesi di litisconsorzio necessario per il creditore pignorante, il terzo pignorato ed il debitore escusso. Invero il pignoramento presso terzi si esegue con atto notificato personalmente al terzo e al debitore, atto che deve contenere, tra l'altro la citazione dei due soggetti a' comparire davanti al pretore del luogo di residenza del terzo a:ffinch questi faccia la dichiarazione (artt. 543, 547 C.p.c). La citazione non instaura, per, un giudizio nei confronti del terzo, il quale viene citato a comparire non quale soggetto passivo in una domanda, ma soltanto per specificare di quali cose e di quali somme sia debitore e si trovi in possesso; e pertanto duplice la :finalit del processo, quella che si realizza immediatamente con la nomina del terzo a sequestratario, e quell_a di provocare la dichiarazione che pu essere positiva o mancare del tutto o esser contestata. Nel primo caso non sorge alcuna necessit di accertare giudizialmente l'esistenza di credito o delle cose del debitore, perch il terzo medesimo ne ammette l'esistenza, e ci consente l'acquisizione del credito e del bene oggetto della esecuzione ai fini dell'assegnazione o della vendita per l'assegnazione della somma ricevuta (artt. 552, 553 0.p.c.). Nel caso invece di ma:ra.cata o contestata dichiarazione viene ad inserirsi nel precessoesecutivo un giudizio di cognizione circa la sussistenza del debito pignorato o la detenzione di cose pignorate, al quale partecipano, come litisconsorzi necessari, il terzo pignorato, il creditore pro -105 cedente ed il debitore di costui (v. Cassazione 31 luglio 1958, n. 2797). Non bisogna dimenticare, infatti che con la notificazione dell'atto iniziale di pignoramento tanto il terzo quanto il debitore esecutato hanno perduto il diritto di disporre del credito pignorato e che il giudizio di cognizione, incidente nella esecuzione, tende ad una pronuncia giurisdizionale di accertamento (art. 549 C.p.c.). Scendendo all'indagine di merito, sostiene anzitutto la SIFAC che l'amministrazione finanziaria non sia legittimata a proporre l'eccezione di impignorabilit delle somme dovute al Comune di Ramacca a titolo di quote I.G.E., e ci sotto il profilo della mancanza di interesse. Tale tesi, per, priva di fondamento giuridico. comunemente ammesso in dottrina e in giurisprudenza che le contestazioni che pu sollevare la dichiarazione del terzo possono essere di forma e di merito e che fra esse rientrano indubbiamente le questioni che si pongono intorno all'applicazione degli artt. 514-515, 516 e 545 C.p.c., relative cio alla pignorabilit o meno dei beni. Orbene, nella specie, l'Amministrazione finan ziaria nel rendere la dichiarazione di terzo, ha dedotto la impignorabilit delle somme, dando vita con tale sua contestazione ad uno dei giudizi di opposizione, cui si riferisce l'art. 615 C.p.c. Detto articolo, invero, se al comma 1, definisce l'opposizione all'esecuzione come quel rimedio con cui si contesta il diritto della parte istante a pro cedere ad esecuzione fo.rzata (diretta od indiretta), al comma 2, pone sullo stesso piano della opposi zione cos definita quella relativa alla pignorabilit dei beni, la quale non attinge alle condizioni di esistenza dell'azione esecutiva propriamente detta, sebbene alle condizioni dell'azione espropriativa. Avendo, quindi, l'Amministrazione proposto una opposizione all'esecuzione in senso proprio, disci plinata dall'art. 615 O.p.c., non vale sostenere (come fa la SIFAC nella comparsa conclusionale) che l'eccezione della impignorabilit dei beni pu es sere dedotta soltanto dal Comune di Ramacca, debitore escusso: invero come dottrina e giuri sprudenza concorde insegnano, attivamente legit timato ad opporsi all'esecuzione non semplice mente il debitore, ma anche il terzo pignorato nell'espropriazione mobiliare o il terzo proprieta rio, e cio chiunque tenuto a subire l'esecuzione in virt del titolo esecutivo. Superate tali questioni di carattere pregiudi ziale deve adesso il Collegio portare il suo esame sulla eccezione sollevata dall'Amministrazione fi nanziaria, relativa alla impignorabilit dei pro venti tributari degli enti pubblici. Sostiene l'Amministrazione finanziaria l'impossi bilit di sottoporre ad esecuzione forzata beni della pubblica amministrazione, mobili e immobili, com preso il denaro, destinato a soddisfare un pubblico esercizio, perch ci equivarrebbe a modificare gli atti della pubblica amministrazione volti alla uti lizzazione e destinazione di quei beni al soddisfa cimento del pubblico interesse. La tesi appare fondata. Ed invero, pur non po tendosi affermare n l'assoluta libert dell'esecu zione forzata sulle somme che si trovano nelle casse delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici minori, n l'assoluta immunit delle ste~se dall'esecuzione forzata, l'impignorabilit del denaro deriva dalla destinazione concreta ad un pubblico servizio. Con la destinazioM, infatti, vengono in conflitto gli interessi generali, cio istituzionali dell'ente pubblico, con quello dei privati, ed il conflitto deve essere risolto con la prevalenza dei primi (v. Cassazione 20 maggio 1952, n. 755). Il giudice ordinario non pu, in base alle norme fondamentali contenute nella legge abolitiva del contenzioso amministrativo (art. 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248 allegato E), sindacare il merito degli atti della pubblica amministrazione od in nessun caso revocarli o modificarli. E perci da tale principio discende che i beni destinati dalla pubblica amministrazione alla esecuzione di pubblici servizi non possono essere sottoposti a pignoramento, in quanto l'esecuzione forzata verrebbe a modificare la destinazione data al bene, che cos sarebbe impiegato per la soddisfazione dei creditori anzich per le esigenze del servizio pubblico. Alla luce dei richiamati principi, non vi pu essere quindi dubbio sulla impignorabilit delle somme dovute dall' amministrazione finanziaria dello Stato al Comune di Ramacca a titolo di quote I.G.E. Le quote I.G.E., infatti, hanno carattere di en trate tributarie, e per queste, la destinazione ai fini essenzialmente pubblici dell'ente impositore originaria, e costituisce la ragione precipua della loro imposizione, legittimata appunto dalla ne cessit di provvedere ai servizi, che l'ordinamento amministrativo affida all'ente pubblico. E se ori ginaria e connaturale alle relative entrate la finalit, non occorre evidentemente un ulteriore atto di destinazione specifica ad un determinato servizio pubblico, per renderle indisponibili (v. Cas sazione 7 marzo 1960, Foro It., I, 483; Cassazione 20 marzo 1952 n. 2087, Giur. completa; Cassazione Civ. 1952, III). N vale opporre, in contrario, come si sostiene dalla SIFAC ne1h comparsa conclusionale, che le quote I.G.E. dovute al Comune, rappresen tano una entrata ordinaria completamente al di fuori della attivit tributaria dell'ente locale, e che, come tali, non sono sottratte all'esecuzione forzata. Invero, le norme sulle quote I.G.E. da versarsi ai Comuni sono contenute nella legge 2 luglio 1952, n. 703, avente quale titolo Disposizioni in materia di finanza locale. Con gli artt. 1, 2 e 3 di detta legge si modific il sistema di partecipazione dei Comuni ai proventi dell'I.G.E. riscossa nei rispettivi territori, sostituendo al criterio stretta mente territoriale un criterio fondato sulle caratte ristiche economiche del Comune, e adottando all'uo po un sistema di partecipazione su scala nazionale.~ con l'art. 6 si autorizzarono i Comuni ai. i:t:nporre particolari tributi sulle acque gassate e con l'art. 7.. si stabil la devoluzione ai Comuni del gettito dei proventi erariali sugli spettacoli localmente riscossi, infine, con l'art. 20 vennero emanate altre norme per le imposte di consum, ecc. -106 Dal complesso di tali disposizioni di tutta evidenza che la legge 1952, n. 703 si riferisce e disciplina le entrate tributarie dei Comuni, in alcuni casi consentendo l'imposizione diretta (artt. 6 e 20), in altri casi stabilendo la devoluzione al comune nel cui territorio l'imposta riscossa (art. 7), in alcuni altri, infine, stabilendo una partecipazione al tributo svincolata dal criterio territoriale della riscossione. Ma sia che un tributo venga esatto dal Comune, sia che il ricavato venga ad esso interamente devoluto; sia che il Comune partecipi al provento della riscossione, si tratta, sempre, in ogni caso, di entrate aventi natura tributaria, in quanto effetto d9ll'asercizio, da parte dello Stato e dell'Ente pubblico, del potere pubblico di impero. Non quindi che lo Stato sia soggetto passivo di una imposizione tributaria comunale relativamente alle quote I.G.E. in questione: invece che la entrata tributaria non muta la sua natura se essa venga riscossa nei confronti dei privati dallo Stato, e poi parzialmente ripartita fra i comuni aventi diritto. Ma anche a negare in ipotesi la natura tributaria della somma assegnata ai Comuni per quote I.G.E., sta di fatto che detti versamenti hanno il loro titolo in un rapporto di diritto pubblico sono qualificate pubbliche le entrate, avuto riguardo unicamente al loro soggetto -e come tali sono impignorabili. Infatti i crediti derivanti da un rapporto di diritto pubblico, devono essere assimilati nece0 sariamente a quei beni che gli enti pubblici possiedono in tale loro veste (beni demaniali, pa,trimoniali indisponibili) e che non possono essere distolti dalla destinazione loro impressa per legge. In base alle esposte considerazioni, devesi quindi ritenere che le somme dovute dall'Amministrazione finanziaria al Comune di Ramacca a titolo di quote I.G.E. sono impignorabili. IMPOSTA DI REGISTRO -Agevolazioni fiscali Art. 17 legge 2 luglio 1949, n. 408 -Costituzior.e di usufrutto -Applicabilit. (Corte di Appello di Roma, Sezione I, Sentenza 20 maggio-16 giugno 1961 -Finanze c. Tafano). Le agevolazioni fiscali previste dall'art. 17 legge 2 luglio 1949, n. 408 sono applicabili non solo agli atti di compravendita delle case costruite ai sensi dell'art. 13, ma anche agli atti con i quali per tali case si costituisca usufrutto o se ne trasferisca la nuda propriet. Contro la sentenza stato proposto ricorso per cassazione, di cui si trascrive la motivazione in diritto; VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 17 DELLA LEGGE 2 LUGLIO 1949, N. 408. Poich la norma sopra indicata concede l'agevolazione fiscale ai trasferimenti di case la difesa della Amministrazione finanziaria aveva osservato che DAl linguaggio comune, giuridico e legislativo trasferire una cosa significa trasmettere la propriet, nn anche costituire o trasferire un diritto reale di godimento sulla cosa stessa. Da ci, dato il noto principio secondo il quale i termini tecnico-giuridici usati d-alle-leggi tributarie vanno, di massima, intesi nello stesso significato proprio del diritto comune, l'Amministrazione delle Finanze faceva discendere la conseguenza che l'agevolazione in discorso fosse applicabile a quei soli contratti con i quali si opera il trasferimento della propriet delle case. La Corte d'Appello ha riconosciuto che nel linguaggio comune trasferire una cosa significa trasferirne la propriet, ha per negato che tale espressione abbia il medesimo significato nel linguagg10 tecnico giuridico. Tale affermazine non sembra esatta. Invero il diritto di propriet il diritto reale massimo, dal contenuto pi ampio-, tale d.a non potersi ridurre ad una serie di elementi essenziali che attribuisce al titolare la piena signoria sulla cosa, onde indicandosi semplicemente la cosa pu espr:merd e si esprime ellitticamente (ma non a tecnicamente) il passaggio del diritto di propriet su una cosa. Altrettanto, per, non pu dirsi per gli altri diritti reali: questi hanno un contenuto pi limitato, parziario e frazionario (perci vengono detti diritti reali limitati su cosa altrui) onde non possono assolutamente identificarsi con la cosa che oggetto dei diritti stessi. Perci quando si parla di possesso, vendita, permuta o traEferimento di cosa si intende, e non soltanto nel linguaggio co111une, ma anche in quello rigorosamente tecnico giuridico, il posserno, la vendita, la permuta o il trasferimento del diritto di propriet sulla cosa, non certo di un diritto reale limitato sulla cosa stessa. La te:minologia sopra ricordata che trova le sue radici nella concezione romanistica, secondo la quale si identificava il diritto di propriet con il suo oggetto (v. ScIALOJA, Teoria della Propriet, vol. I, p. 302), mentre non si operava la stessa identificazione tra il diritto reale limitato ed il suo oggetto, usata dai nostri migliori giudici e giureconsulti e dal nostro legislatore i quali hanno perci attribuito .ad essa pieno valore tecnico giuridico. Codesta Ecc.ma Corte di Cassazione, con la sentenza, n. 2264 del 22 luglio 1958 ha affermato che le e3pressioni compravendite di appartamenti e trasferimento (degli stessi) hanno nel diritto tributario un preciso significato tecnico giuridico ed chiaro che esse sono state adoperate in tale significato cio per indicare i contratti tipid di compravendita aventi per oggetto il trasferimento di un diritto preesistente, in particolare il diritto di propriet e non anche i negozi costitutivi di diritti reali di godimento . Ed anche la Corte d'Appello di Roma, nella stessa sentenza che qui si impugna per contrapporre il termine trasferimento di cose aquello vendita di negozi di cui allo stesso art. 17 della i:egge 2 luglio 1949, n. 408 afferma che solo quest'ultimo deve intendersi avere per oggetto la propriet del negozio. Or non vero che la vendita abbia per oggetto soltanto la propriet di una cosa; essa, per --107 definizione (art. 1470 O.e.), pu avere per oggetto il trasferimento della propriet di una cosa o il trasferimento di un altro diritto ; perci la Corte di Appello per intendere il termine vendita di negozi nel senso del trasferimento di diritto di propriet ha dovuto, contraddicendosi, operare quella stessa identificazione tra cosa e diritto di propriet alla quale poco prima aveva negato qualsiasi validit tecnico giuridica. Cos pure i nostri migliori autori usano la stessa terminologia, come appare evidente da una indagine sia pure superficiale. Il BARASSI in Diritti reali e possesso, 1952, I, 407 scrive, ma in realt alienare una cosa vuol dire alienarla nell'integrit del suo alone giuridico . Il BARBERA in Sistema Istituzionale del Diritto Privato italiano, II ed., 1949, vol. I, pag. 212 scrive: alienare la cosa per l'intera propriet si dice semplicemente alienare o vendere "la cosa"; alienarla per l'usufrutto si dice alienare o cedere "l'usufrutto"; ed a pag. 266 aggiunge: si parla di "possesso di cosa" e semplicemente "posserno" per indicare un possesso il cui contenuto di esercizio corrisponde al contenuto del diritto di propriet e di "possesso di un diritto (come "possesso dell'usufrutto", possesso d'una servit , ecc.) per indicare un possesso il cui contenuto d'esercizio corrisponde al contenuto di un diritto d'usufrutto, di servit o altro diritto minore della propriet. Il 0ARIOTA FERRARA in Il negozio giuridico, p. 210: se la tradizione non in generale un negozio di Trasferimento delle cose mobili, lo almeno nella vendita e nelle altre disposizioni aventi per oggetto un genus . Il MEssINEO in Manuale di diritto civile e commerciale, vol. 2, tomo I, p. 310: il contratto traslativo di cosa determinata... costituisce il titolo dello acquisto della propriet ; vol. 2, tomo II, p. 491: nei contratti che abbiano ad oggetto il trasferimento (del diritto di propriet) di una cosa determinata, ovvero la costituzione o il trasferimento di un diritto reale vol. 3, tomo I, p. 58: oggetto della compravendita una cosa; meno frequentemente un diritto; p. 160: la permuta un contratto affine alla vendita, dalla quale si distingue perch in luogo di constare di uno scambio di cosa contro prezzo, consta di uno scambio (reciproco trasferimento della propriet) di cosa contro cosa. Il TORRENTE in Manuale di diritto privato, pagina 420: Le ragioni che si oppongono al Trasferimento delle cose fungibili mediante semplice consenso. La stessa terminologia, che identifica il diritto di propriet con la cosa che ne oggetto comunemente usata dal nostro legislatore. Frequentissimi ne sono gli esempi nello stesso codice civile: cos gli artt. 923, 1376, 1377, 1378, 1472, 1520 e 1537. Agli stessi risultati si perviene se l'indagine si rivolge a leggi che concedono agevolazioni tributarie: cos il D.L. 24 febbraio 1948, n. 114, art. 1, concede agevolazioni siffatte a le compravendite di fondi rustici, l'art. 10 della legge regionale siciliana 18 gennaio 1949, n. 2 alle compravendite di appartamenti; interpretando ambedue le norme codesta Ecc.ma Corte Suprema, con le sentenze 12settembre1957, n. 3479 e 22 luglio 1958, n. 2664 h affermato che queste si riferiscono esclusivamente agli atti con i quali sia trasferito.-il diritto di propriet. Non invece possibile rinvenire sentenze, pubblicazioni giuridiche o testi legislativi nei quali il termine possesso, vendita, permuta o trasferimento, direttamente riferito alla cosa sia inteso nel senso di possesso, vendita, permuta o trasferimento di un diritto reale limitato. Se perci, diversamente da quanto opinato dalla Corte d'Appello, non solo nel linguaggio comune, ma anche in quello pi rigorosamente tecnico-giuridico, l'esprernione trasferimento di cosa significa trasferimento del diritto di propriet sulla cosa stessa, anche l'art. 17 della legge 2 luglio 1949, n. 408 che concede agevolazioni tributarie ai trasferimenti di case deve essere interpretato (art. 12 disp. sulla legge in generale) nel senso che le agevolazioni stesse sono conceEse agli atti con i quali si trasferisca il diritto di propriet sulla casa, non anche un diritto reale limitato. Alla stessa conclusione porta, peraltro, l'applicazione di un altro elementare criterio di interprBtazione della legge indicato con il noto brocardo: lex ubi voluit dixit ubi noluit tacuit. Le ricordate leggi, nazionale 24 febbraio 1948, n. 114 e regionale 18 gennaio 1949, n. 2, furono successivamente modificate rispettivamente dalla legge nazionale 6 agosto 1954, n. 604 e regionale 28aprile1954, n. 11. La prima estese le agevolazioni tributarie a favore della piccola propriet contadina agli atti con i quali i coniugi ovvero i genitori e i figli acquistano separatamente ma contestualmente l'usufrutto o la nuda propriet; la seconda (art. 6) dopo aver confermato l'agevolazione tributaria al trasferimento di appartamenti (comma primo) estende l'agevolazione stessa all'attribuzione a diversi titolari della nuda propriet e dell'usufrutto . Simile espressa estensione non invece contenuta n nel testo stesso dell'art. 17 della legge 2 luglio 1949, n. 408, n in successive modificazioni della norma. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 9 DELLA LEGGE DI REGISTRO (R.D. 30 DICEMBRE 1923 N. 3269). La Corte d'Appello, peraltro, dopo aver, come si visto, negato in astratto che il termine trasferimento di casa significhi il trasferimento del diritto di propriet sulla casa stessa ha finito per contraddirsi perch ha ritenuto applicabile l' agevolazione disposta con l'articolo 17 legge 2 luglio 1949, n. 408 quando con unico atto, come nella specie, o con atti contestuali, sono trasferiti la nuda propriet e l'usufrutto, sia pure a persone diverse, poich nuda propriet e usufrutto. comprendono, insieme, tutto il complesso di diritti( titolarit ed esercizio) in che si compendia il diritto di propriet ci perch l'atto, essendo contestuale, deve considerarsi nel suo complesso, per i fini, test illustrati, della legge fiscale. Di -108 versa potrebbe essere la decisione, se il trasferimento della nuda propriet e la costituzione di usufrutto avvenisse in tempi, e con atti, diversi. La Corte d'Appello ha quindi ammesso che le agevolazioni in parola si applicano soltanto quando la casa sia trasferita nella integrit del suo alone giuridico, quando cio ne sia trasferita la propriet; ha per ritenuto che i presupposti della agevolazione sussistono anche quando l'integrale trasferimento avvenga con pi negozi, purch contestuali o anche solo contemporanei, pur se taluno di questi negozi, da solo considerato, per non operare il trasferimento stesso, non sarebbe meritevole dell'agevolazione. Ed allora il vizio che inficia la sentenza impugnata, pi che nella violazione dell'art. 17 della _ legge n. 408 del 1949, potrebbe individuarsi nella non meno palese violazione dell'art. 9 della legge di registro, per il quale se in un atto sono comprese pi disposizioni indipendenti o non derivanti necessariamente le une dalle altre, ciascuna di esse sottoposta a tassa, come se formasse un atto distinto . Che l'atto della cui registrazione si tratta contenga due disposizioni, quella relativa al trasferimento della propriet ad una persona e quella relativa all'attribuzione dell'usufrutto a persona diversa, sembra evidente. Ohe si tratti di disposizioni indipendenti e non necessariamente derivanti l'una dall'altra altrettanto palese posto che il trasferimento del!a propriet ben pu sussistere senza l'attribuzione dell'usufrutto ad altra persona n questa attribuzione pu ritenersi logica e necessaria conseguenza della disposizione con la quale si trasferisce la propriet. Del resto codesta Ecc.ma Corte Suprema, con la sentenza n. 2664 del 22 luglio 1958 aveva chiaramente insegnato che In tema di imposta di registro principio generale che il contestuale trasferimento a titolo oneroso, a favore di due soggetti diversi della nuda propriet e dell'usufrutto di uno stesso immobile, gi appartenente ad un . unico titolare (pieno proprietario) o a due diversi titolari (nudo proprietario ed usufruttuario) deve considerarsi come duplice trasferimento di diritti reali immobiliari, cio come atto contenente due disposizioni indipendenti, o meglio due negozi giuridici, ciascuno soggetto alla rispettiva imposta di registro come se formasse un atto distinto (art. 9 della legge di registro). Tale principio, generalmente ammesso, non pu essere derogato se non da una norma che disponga diversamente . La Corte d'Appello si rifiutata di applicare lo stesso criterio al caso di specie rilevando che la sentenza sopra richiamata fu pronunziata in sede di interpretazione di una norma diversa (la legge regionale siciliana 18 gennaio 1949, n. 2); ma tale rilievo inconferente posto che codesta Corte Ecc.ma aveva espressamente avvertito trattarsi di un principio generale che tale proprio perch trova applicazione anche al di l dello specifico caso deciso; ancor meno convincente l'argomentazione della Corte d'Appello quando ritiene di sottolineare una pretesa diversit dei principi ispiratori della norma interpretata dalla Corte di Cassazione: perch la legge regionale 18 gennaio 1949, n. 2 fu dettata proprio per incrementare la costruzione di case di civile abitazione cosi come la legge nazionale 2 luglio 1949, n. 408 aveva lo lo scopo di incrementare la costruzione di case di abitazione non di lusso. SCAMBI E VALUTE-Violazioni in materia valutaria e di scambi con l'Estero -Procedimento sanzionatorio -Pena pecuniaria -Prescrizione del diritto alla riscossione -Processo verbale di accertamento Natura -Effetto interruttivo -Provvedimento di sospensione del procedimento per connessione con processo penale in corso -Natura -Effetto sospensivo -(Art. 3 R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928; arti colo 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4; art. 3 C.p.p.; art. 159 C.p.; art. 2943 e.e.) (Corte d'Appello di Roma, Sezione I -Pres.: Felici Est.: Mazzacane; n. 1047/62 -11 aprile 1962-25 maggio 1962 -Ministero del tesoro c. Pica Emanuele e Ceriani Adolfo). 1) Il diritto alla riscossione della pena pecuniaria per infrazioni valutarie fatto valere attraverso un procedimento (R.D.L. 12 maggio 1938, n. 794 e R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) al quale partecipano vari organi che hanno il compito di accertare, dichiarare e soddisfare il diritto dello stato alla riscossione della pena pecuniaria. 2) Il processo verbale di accertamento della violazione, notificato al trasgressore, costituisce atto interruttivo della prescrizione posta in materia dell'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 richiamato dall'art. 3 del R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928, perch contiene la precisa manifestazione di volont dell'Amministrazione di esercitare il diritto alla riscossione della pena pecuniaria, che il Ministero del Tesoro andr a determinare, e porta a conoscenza della parte debitrice la pretesa creditoria sorta in dipendenza della trasgressione . 3) Il provvedimento amministrativo di sospensione del procedimento sanzionatorio per connessione con un processo penale in corso, costituisce oggetto di valutazione riservata agli organi del procedimento sanzionatorio predetto e lo stesso sospende il corso della prescrizione anche se non notificato al trasgressore nelle forme di rito. La sentenza cos motivata in diritto; (omissis) Osserva il Collegio che per l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (richiamato dall'articolo 3 del R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) la titolarit del diritto alla riscossione della pena pecuniaria per infrazioni valutarie spetta allo Stato ed.-fatta valere attraverso un procedimento (R.D.L. 12 maggio :1:938, n. 794 e R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) al quale partecipano vari organi che hanno il compito di accertare, dichiarare e soddisfare il diritto dello Stato alla 1iscossione della pena pecuniaria. -109 Il procedimento ha natura penalistica, come si evince dalle modalit di accertamento e di istruzione, dalle sanzioni previste (artt. 9 e 10 R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928), dalla irrogazione della pena, aggravata per circosttinze relative ai soggetti attivi delle infrazioni, dal riferimento al codice penale (art. 10 R.D.L. citato), dalla qualificazione della sanzione in pena pecuniaria . Deve rilevarsi inoltre che per il citato art. 17 della legge 7 gennaio 1929, nl 4 (richiamato dall'art. 3 R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) il diritto dello Stato alla riscossione delle pene pecuniarie si prescrive con il decorso di anni cinque dalla commessa violazione. Oi posto, osserva il Oollegio che le censure dell'appellante alla sentenza impugnata appaiono fondate. Non pu dubitarsi, invero, che la prescrizione, il cui termine nel caso concreto cominci a decorrere nell'ottobre 1947) (epoca della commessa violazione), fu interrotta dai verbali di accertamento 3 gennaio 1950 e 16 dicembre 1950, regolarmente consegnati ai trasgressori per le loro deduzioni difensive. Il processo verbale di accertamento costituisce l'atto con il quale ha inizio il procedimento che, a norma delle disposizion~ ricordate, attraverso la notifica, le deduzioni, l'interrogatorio degli interessati e il parere della Oommissione Oonsultiva, porta al Decreto del Ministero del Tesoro che fissa la misura della pena. Esso costituisce quindi una precisa manifestazione di volont dell'A.mministrq,zione diretta in modo non equivoco ad esercitare il diritto dello Stato per la riscossione della pena pecuniaria, portando a conoscenza della parte debitrice la pretesa creditO'ria sorta in dipendenza della infrazione. Oonsegue da ci che dal 16 dicembre 1950 ha avuto inizio un nuovo termine di prescrizione quinquennale, il quale si sarebbe compiuto alla data di notifica (8 agosto 1957) del decreto di condanna del Ministero del Tesoro, se esso non fosse stato sospeso. Infatti su parere della Oommissione Oonsultiva del 28 febbraio 1953, con provvedimento del Ministero del Tesoro del 18 febbraio 1953, portato a conoscenza degli interessati con nota del 23 febbraio 1953, il procedimento fu sospeso per la pendenza del processo penale a carico dell'ex. Mons. Pretner Oippico. Non pu dubitarsi, ad avviso del Oollegio, della efficacia sospensiva del predetto provvedimento, e per la prevalenza della giurisdizione penale (art. 3 O.p.p.) e per il disposto, richiamato dalla Amministrazione appellante, dell'articolo 159 O.p. (che prevede la sospensione della prescrizione nei casi di questone deferita ad altro giudizio) al quale lecito fare riferimento stante la rilevata natura sanzionatoria del procedimento per violazione valutaria. L'effetto sospensivo stato escluso dal Tribunale per il rilievo che non si sarebbe potuto ravvisare un rapporto di connessione fra il procedimento a carico del Oippico e le infrazioni valutarie addebitate al Pica ed al Oeriani, e perch la sospensione non sarebbe stata disposta con decreto debitamente notificato agli interessati. Il primo rilievo non esatto. Anzitutto la connessione risulta dal fatto che il Pica e il Oerioni commisero le infrazioni loro addebitate tramite il Oippico che si interess del trasfe riment<> all'estero di una parte dei dollari allo stesso consegnati (cfr. proc. verb. di accertamento) e dal fatto che fra le imputazioni a carico del O ippico vi era anche quella di truffa continuata in danno del Oeriani per il mancato accredita.mento .pre.sso una Banca estera di una parte dei dollari predetti. In secondo luogo l'esistenza della affermata connessione non pu essere esclusa in questa sede poich essa ha costituito oggetto di valutazione riservata agli organi del procedimento sanzionatorio. Inesatto, poi, anche il secondo rilievo. Nessuna disposizione prevede la notifica del provvedimento di sospensione, mentre certo che il decreto di sospensione del procedimento amministrativo fu comunicato regolarmente agli interessati con lettera 23 febbraio 1953 nella quale furono ripetuti tutti gli estremi del provvedimento stesso, compresa la motivazione. Pertanto, si ha che, sommando il periodo. intercorso fra la data del verbale 16 dicembre 1950 e quello della sospensione 23 febbraio 1953 con il periodo intercorso dalla sentenza 24 marzo 1956 (che ha definito il procedimento penale a carico del Oippico) al decreto ministeriale 8 agosto 1957, il periodo prescrizionale quinquennale previsto dall'art. 17 della citata legge n. 4 del 1929 deve ritenersi non compiuta. Per le esposte considerazioni l'appello deve essere accolto, , in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettata l'opposizione proposta dal Oerioni e dal Pica. (Omissis) A) Le massime sono esatte. Le stesse sono suffragate da considerazioni di vario genere, sulle quali la sentenza non si particolarmente soffermata. Le norme che regolano l'accertamento e la repressione delle violazioni in materia di valutazione e di scambi con l'Estero -R.D. 12 maggio 1938, n. 794 e 5 dicembre 1938, n. 1928 -affidano all'Istituto dei Oambi con l'Estero il compito di provvedere alla vigilanza ed ai controlli per la regolare osservanza delle disposizioni relative. Le stesse norme, inoltre, affidano alla Oommissione Oonsultiva, all'uopo istituita presso il Ministero del Tesoro, il compito di pronunciarsi in via consultiva sulle infrazioni accertate dall'Ufficio Italiano dei Oambi e da questo contestate ai trasgressori e quindi al Ministero del Tesoro il compito di determinare con proprio decreto,. udito il parere della Oommissione suddetta, la sanzione da applicare per le infrazioni accertate e contestate (art. 1 e 2, 6 e 8 del R.D.L. 1 maggiofl938, n. 794). Detta sanzione rappresentata da una pena pecuniaria (articolo 2 legge 5 dicembre 1938, n. 1928) che secondo le norme stesse (art. 3, secondo comma della legge 7 gennaio 1929, n. 4 richiamato dall'art. 3 della legge 3 dicembre 1938, n. 1928) determina una obbligazione civile a favore dello Stato. La repressione delle violazioni valutarie, pertanto, ._ si attua attraverso un procedimento amministrativo di carattere sanzionatorio, disciplinato in modo capillare, e si risolve nell'attuazione di un diritto di credito dello Stato il cui' accertamento e la cui realiz mzc:a======= -110 zazione necessariamente caratterizzata da: 1) consegna agli interessati della copia dei processi verbali delle operazioni compiute; 2) presentazione da parte degli interessati di deduzioni scritte in un termine decorrente dalla consegna suddetta (art. 4 del decreto citato); 3) rimessione degli atti alla Commissione Consultiva da parte dell'Ufficio Cambi, con annessa relazione illustrativa (art. 5); 4) attivit di detta Commissione ai fini della formulazione delle proposte sulla natura e sulla misura delle sanzioni applicabili da attuarsi attraverso l'esercizio dei poteri istruttori che vanno dalle integrazioni dell'accertamento all'audizione personale degli interessati; 5) attivit del Ministero del Tesoro attraverso l'emanazione di un decreto che ha efficacia di titolo esecutivo; 6) esecuzione di detto decreto da parte della Intendenza di Finanza competente per territorio con la procedura ingiunzionale del Testo unico 14 aprile 1910, numero 639 per la riscossione delle Entrate patrimoniali dello Stato (art. 7 e 11 del R.D. 5 dicembre 1938, n. 1928). Data, pertanto, la natu1'a civilistica della obbligazione di pagamento della pena pecuniaria, il diritto dello Stato si manifesta come un autentico diritto di credito e poich tale diritto, per espressa e tassativa disposizione di legge, si ottiene attraverso un procedimento del tutto particolare nel q14ale il ricorso al G. O. consentito soltanto in via di legittimit, a seguito del decreto che, con forza di titolo esecutivo la pena pecuniaria ha determinato, ai fini della prescrizione due datj di fatto non possono essere revocati in dubbio: l'uno per il quale il diritto sorto con la perpetrazione della violazione valutaria, per la sua natura civilistica, partecipa della disciplina stabilita dall'art. 2935 del Codice civile per la quale la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto pu essere fatto valere (actio nondum nata non praescribitur); l'altro per il qual6 l'attivit svolta dai vari organi chiamati all'attuazione della procedura sanzionatoria una attivit diretta a conservare ed a esercitare il diritto stesso attraverso un procedimento prescritto dalla legge in modo obbligatorio e, come avviene per ogni altro diritto di credito, idoneo, con i singoli atti in cui si manifesta, ad interrompere il decorso della prescrizione, (cfr. In termini Appello, Bologna 17 gennaio 1957, Oiocchini c. Amministrazione delle Finanze). Il principio non nuovo ed stato piu volte affermato dalla Corte di Cassazione in casi affini. In particolare per i provvedimenti di istruzione preventiva regolati dagli artt. 692 e segg. del C.p.c. (confronta Cassazione, Sezione prima, 4 agosto 1950, n. 2376, in Giur. OompL, Cassazione 1951, 11, pagg. 389 e segg.; id. 17 giugno 1957, n. 2293, in Giust. Civ. 1957, 1, 1495 e segg.); per il caso del ricorso al gratuito patrocinio (cfr. Cassazione 10 aprile 1956, d. 1043; id. 3 novembre 1959, n. 3249), richiedendosi soltanto che la parte sia resa edotta della pretesa del titolare del diritto di credito. Dal che l'indubbio carattere interruttivo del processo verbale di accertamento. Esso infatti; 1) contiene una precisa manifestazione di volont della Amministrazione di accertare e conservare il diritto dello Stato alla conservazione della pena pecuniaria rendendo edotta la parte debitrice della pretesa creditoria sorta in dipendenza della infrazione; 2) determina la previsione della pena pecuniaria sia pure nei limiti stabiliti dall'art. 2 del R.D.L., 5 dicembre 1938, numero 1928. B) Il provvedimento con il quale gli organi preposti al procedimento sanzionatorio delle violazioni valutarie, sospendono il procedimento stesso fino all'esito di un prooesso penale in corso del quale sia stata ritenuta la connessione con la violazione da sanzionare, la resultante della valutazione che gli organi preposti al procedimento predetto sono stati dalla legge chiamati ad eseguire in via esclusiva. Esso, pertanto, costituisce una estrinsecazione di attivit amministrativa che, ai fini del Sindacato dell'A.G.O. regolata dai principi che regolano la determinazione di attribuzione e di competenza fra P.A. e A.G.O. Il provvedimento stesso, per il principio della prevalenza della giurisdizione penale su quella civile, amministrativa e, per la materia in esame, amministrativa- sanzionatoria, posto in via generale e di principio dell'art. 3 del C.p.p., si ripercuote sul decorso della prescrizione, determinandone la sospensione. La Corte di Cassazione nella sentenza 31 marzo 1939 in Giustizia Penale 1940, IV, 89, n. 7, ha precisato infatti che l'art. 3 C.p.p. il quale stabilisce che il giudizio civile sospeso se viene iniziata l'azione penale e nel caso che la cognizione del reato infuisca sulla decisione della controversia civile, rappresenta un caso di sospensione legale della prescrizione, nei giudizi civili, sempre che il procedimento venga in realt sospeso. Di tale provvedimento va data notizia al trasgressore, ma non necessariamente sotto forma di notificazione. >> Nella procedura sanzionatoria delle trasgressioni valutarie disciplinata in maniera capillare, l'unico atto da emettersi in forma di decreto e da notificarsi alle parti, quello con il quale il Ministero del Tesoro fissa la misura della pena pecuniaria. Da ci consegue che, in mancanza di espresse disposizioni in contrario, spiega efficacia il principio fondamentale della libert di forma delle relative manifestazioni di volont ed in pmticolare degli atti amministrativi all'uopo emessi. L. OORREALE INDICE SISTEMATICO DELLE CONSULTAZIONI LA FOR!t!ULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE E' STATA DATA ACQUE PUBBLICHE CONCESSIONI DI ACQUE PUBBLICHE DISCIPLINARE. Se una societ che abbia firmato un disciplinare di concessione di acque pubbliche accettando anche la clausola concernente il passaggio allo Stato al termine della concessione. dei fabbricati della centrale (passaggio non previsto dall'art. 25 T.U. sulle AA.PP.), possa richiedere un provvedimento di rettifica degli atti di concessione con la esclusione dei predetti fabbricati dall'oggetto della devoluzione (n. 69). AERONAUTICA 'E AEROMOBILI AERO CLUB LOCALI. Se gli Aero Club locali siano da considerarsi enti pubblici ovvero persone giuridiche private (n. 10). AGRICOLTURA E FORESTE CONCESSIONI. I) Quali siano le modifiche apportate ,con la legge 12 dicembre 1960, n. 1596 al R.D.L. 18 giugno 1936, n. 1338 relativo alla concessione delle pertinenze idrauliche da adibire alla coltivazione del pioppo o di altre essenze arboree (n. 27). CONSORZI AGRARI. 2) Quale sia l'int.erpretazione dell'art. 30 D.L. 7 mag gio 1948, n. 1235 in relazione all'art. 1 dello stesso D.L. ed all'art. 2405 O.e. in ordine alla facolt dei Sindaci dei Consorzi Agrari Provinciali di partecipare alle riunioni dei Comitati Esecutivi (n. 28). MINIMA UNIT CULTURALE DETERMINAZIONE. 3) Se siano applicabili le norme degli artt. 846 e 847 e.e. per la determinazione della minima unit culturale (n. 29). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA COMITATO NAZIONALE PER LA CELEBRAZIONE lO 0ENTE NARIO DELL'UNIT D'ITALIA. 1) Se e quale indennit spetti, al momento della cessazione dall'impiego, al personale assunto diretta mente con contratto a tempo determinato (cio fino al termine delle manifestazioni celebrative) dal Comitato Nazionale per la Celebrazione 1 Centenario del, l'Unit d'Italia (n. 260). COMITA'l'O NAZIONALE PER LA PRODUTTIVIT. 2) Quale sia la natura giuridica del Comitato Nazionale per la Produttivit e come sia regolato il rapporto di impiego con i suoi dipendenti (n. 261). GESTORE GOVERNATIVO DELLE TERME DI SALSOMAG GIORE. 3) Se possa ravvisarsi un rapporto di impiego fra l'Amministrazione dello Stato e il gestore governativo delle Terme di Salsomaggiore (n. 262). 4) Se i gestori governativi cessati dall'incarico possano ottenere la corresponsione della indennit di anzianit relativa al periodo di servizio prestato (n. 262). U.l.C. -PERSONALE BENEFICI AI COMBATTENTI. 5) Se, ai sensi della legge 1 luglio 1955, n. 565 possano essere estesi ai dipendenti dell'Ufficio Italiano Cambi i benefici di natura combattentistica previsti dall'art. 207 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, anche per le promozioni a vice capo ufficio e vice-ispettore (n. 263). ANTICHITA E BELLE ARTI VINCOLI. Se, in base all'ultimo comma dell'art. 3 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, il Ministro della Pubblica Istruzione abbia il potere di ampliare l'elenco delle localit proposte per il vincolo da parte delle competenti commissioni (n. 47). APPALTO LAVORI DEL GENIO MILITARE. Quale sia l'interpretazione dell'art. 47 delle Condi zioni Generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare (n. 263). -112 AUTOVEICOLI E AUTOLINEE CIRCOLAZIONE STRADALE -PROVENTI CONTRAVVENZIO NALI. 1) Se la norma di cui all'art. 119 del R.D.L. 1740 del 1933 relativa alla devoluzione dei proventi contravvenzionali debba considerarsi abrogata e sostituita dalla norma di cui all'art. 139 D.P.R. n. 393 del 1959 (n. 63). 2) Se, conseguentemente, la devoluzione dei detti proventi contravvenzionali debba essere attribuita all'ANAS ovvero direttamente al pubblico erario (n. 63). PERSONALE DIPENDENTE DA AUTOLINEE EXTRAURBANE. 3) Se, ai sensi dell'art. 36 del contratto collettivo di lavoro 1961 per il personale operaio di aziende private esercenti autoservizi in concessione, nel caso di cessione di linee da una ad altra azienda, il rapporto di lavoro continua con il nuovo titolare (n. 64). 4) Nel caso affermativo, se al personale trasferito debbano essere applicate le norme che impongono un periodo di prova (n. 64). AVVOCATI E PROCURATORI ONERI DI SPEDALIT. 1) Se le Prefetture debbano costituirsi nei giudizi innanzi al Consiglio di Stato instaurati dagli enti mutualistici avverso decreti prefettizi concernent.i oneri di spedalit (n. 56). BORSA AGENTI D.I CAMBIO -PROFUGHI. Se possa essere accolta la richiesta avanzata da un cittadino italiano gi residente in Alessandria d'Egitto, tendente ad ottenere l'iscrizione nel ruolo degli agenti di cambio della Borsa Valori di Roma ai sensi dello art. 28 della legge 4 marzo 1952, n. 137 (n. 18). CACCIA E PESCA DIVIETO DI CACCIA .IN ZONE MILITARI. 1) Quale sia la procedura da seguire in ordine alla applicazione del divieto all'esercizio venatorio,, previsto dall'art. 28 del T.U. sulla caccia, nelle localit interessanti le difese dello Stato o dove, comunque, il divieto stesso sia richiesto da esigenze milit.ari (n. 20). REATI IN MATERIA DI CACCIA. 2) Se la inosservanza al decreto prefettizio che stabilisca il divieto temporaneo di caccia nelle zone della Provincia, possa concretare contravvenzioni in materia di caccia ai sensi dell'art. 12 del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016 (n. 21). 3) Se, conseguentemente, i cacciatori contravvenzionati possano presentare domanda di oblazione ai sensi dell'art. 77 del T.U. sulla caccia (n. 21). CAMBIALI IMPOSTA DI BOLLO. Quale sia il criterio per calcolare, ai fini della imposta di bollo, la durata di una cambiale emessa l'ultimo giorno di un mese di 30 o 28 o 29 giorni e con scadenza, a giorno fisso, nell'ultimo giorno di un mese di 31 giorni (n. 6). CIRCOLAZIONE STRADALE CIRCOLAZIONE STRADALE -PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. 1) Se la norma di cui all'art. 119 del R.D. 1740 del 1933 relativa alla devoluzione dei proventi contravvenzionali debba considerarsi abrogata e sostituita dalla norma di cui all'art. 139 D.P.R. n. 393 del 1959 (n. 4). 2) Se, conseguentemente, la devoluzione dei detti proventi contravvenzionali debba essere attribuita all'A.N.A.S. ovvero direttamente al pubblico erario (n. 4). COMPETENZA E GIURISDIZIONE ADEGUAMENTO F.ITTO ALLOGGI CASE POPOLARI. Quale sia la competenza del giudice ordinario in merito ai provvedimenti di adeguamento e perequazione dei canoni per le case economiche e popolari (numero 21). COMUNI E PROVINCIE APPALTATORI DELLE Il.CC. -RAPPORT.I CONTRATTUALI. 1) Se la delibera comunale relativa all'accordo con l'appaltatore delle II.CC., in ordine a variazioni dell'aggio del canone fisso, nei casi previsti dall'art. 80 T.U. F.L., debba essere assoggettata alla approvazione prescritta per gli atti di transazione, ai sensi dell'art. 98, n. 5, T.U. 3 marzo 1934, n. 383 ovvero allo speciale controllo prefettizio di merito di cui allo art. 285 Regolamento riscossione II.CC. (n. 96). INDENNIT DI MORA SUI RITARDATI VERSAMENTI. 2) Se i Comuni che hanno accettato il ritardato versamento delle rate del canone di appalto della riscossione delle imposte di consumo, senza richiedere il contestuale pagamento dell'indennit di mora prevista dall'art. 82 del T.U. della Finanza locale, possano ritenersi decaduti dal diritto di pretendere l'indennit. stessa (n. 97). ONERI DI SPEDALIT. 3) Se le Prefetture debbano costituirsi nei giudizi innanzi al Consigli di Stato instaurati dagli enti mutualistici avverso decreti prefettizi concernenti oneri di spedalit (n. 98). CONCESSIONI AMMINISTRATIVE CONCESSIONI DI ACQUE PUBBLICHE -DISCIPLINAREL . 1) Se una societ che abbia firmato un disciplinare di concessione di acque pubbliche accettando anche la clausola concernente il passaggio allo Stato, al Ter -113 mine della concessione, dei fabbricati della centrale (passaggio non previsto dall'art. 25 T.U. sulle acque pubbliche) possa richiedere un provvedimento di rettifica degli atti di concessione con la esclusione dei predetti fabbricati dall'oggetto della devoluzione (n. 67) CONCESSIONI PERTINENZE IDRAULICHE PER PIOPPICOL TURA. 2) Quali siano le modifiche apportate con la legge 12 dicembre 1960, n. 1596 al R.D.L. 18 giugno 1936, n. 1338 relativo alla concessione delle pertinenze idrauliche da adibire alla coltivazione del pioppo o di altre essenze arboree (n. 68). CONCORSI ASSEGNAZIONE ED ESECUZIONE DI OPERE D'ARTE. Se la legge 3 marzo 1960, n. 237, riguardante i concorsi nazionali per la assegnazione e l'esecuzione di opere d'arte, stabilisca che l'artista il cui progetto vincitore del concorso debba eseguire l'opera stessa (n. 6). CONTABILITA GENERALE DELLO STATO U.C.E.F.A.P. Se un atto di transazione stipulato tra il Commissario liquidatore dell'Ucefap e l'Azienda dei Servizi Annonari del Comune di Roma a definizione dei rapporti intercorsi fra i due Enti debba essere assoggettato al controllo preventivo previsto dalle norme sulla contabilit generale dello Stato (n. 186). CONTRABBANDO CONTRABBANDO TABACCHI IMMESSI AL CONSUMO. Quali siano i criteri da seguire per la determinazione dell'ammontare dei diritti evasi nel caso di contrabbando di tabacchi gi immessi al consumo sia di produzione nazionale sia di produzione estera (n. 36). CONTRATTI DI GUERRA CAUZIONE -RESTITUZIONE. Se il diritto alla restituzione della cauzione relativa ad un contratto di guerra non denunciato nei termini di cui all'art. IO del D.L. 25 marzo 1948, n. 674, sia colpito dalla decadenza prevista dall'art. 11 della legge stessa (n. 24). COSTITUZIONE PORTO DI NAPOLI -TASSE PER IMBARCO E SBARCO DI MERCI. Se p:>ssa farsi questione di legittimit costituzionale, per contrasto con l'art. 23 della Costituzione, dei decreti ministeriali in forza dei quali i Ministri per la Marina Mercantile e per il Tesoro procedono, ai fini del pagamento delle tasse per imbarchi e sbarchi di merci, alla classificazione dei porti in una o altra categoria (n. 12). DEMANIO FABBRICATI EX CONVENTUALI -ACQUISTO A NON DOMINO. I) Se i fabbricati ex conventuali soppressi nel Regno di Napoli con la legge 7 agosto 1809 siano a suo tempo passati in propriet dello Stato (n. 169). 2) Se l'acquisto a non domino fatto dagli aventi causa dal Comune (al quale era stato trasferito il solo uso dei fabbricati ex conventuali per pubblici servizi) abbia determinato, con il trascorso del tempo, l'usucapione a favore dei possessori e la conseguente estinzione del dominio dello Stato (n. 169). 3) Se la chiesa annessa agli ex fabbricati aperta al pubblico possa rientrare nella previsione dell'art. 29, lett. a) del Concordato con la Santa Sede e pertanto possa provvedersi al riconoscimento della sua personalit giuridica (n. 169). EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE ADEGUAMENTO FITTI ALLOGGI CASE POPOLARI. I) Quale sia la competenza del giudice ordinario in merito ai provvedimenti di adeguamento e perequazione dei canoni per le case economiche e popolari (n. 122). AGEVOLAZIONI FISCALI -LEGGE N. 659 DEL 1961. 2) Se, ai sensi del secondo comma dell'art. 1 della legge 19 luglio 1961, n. 659 sulle agevolazioni fiscali in materia di edilizia, la estensione delle agevolazioni riguardi soltanto gli ampliamenti di edifici la cui costruzione venne iniziata dopo la data di entrata in vigore della legge 2 luglio 1949, n. 408 (18 luglio 1949) ovvero concerna anche gli ampliamenti di edifici preesistenti a tale data (n. 123). CASE ECONOMICHE PER TERREMOTATI. 3) Se le ditte, dichiarate decadute dal diritto a contributo statale concesso per i fabbricati distrutti dal terremoto, abbiano titolo per ottenere l'assegnazione in propriet di un alloggio per terremotati, giusta lo art. 255 T.U. sull'edilizia popolare ed economica 28 aprile 1938, n. 1165 (n. 124). CESSIONI IN PROPRIET DEGLI ALLOGGI UTILIZZAZIONE DELLE SOMME. 4) Se l'art. 21 del D.P. 17 gennaio 1959, n. 2 che disciplina la utilizzazione delle somme ricavate dalla cessione in propriet degli alloggi e dei locali di tipo popolare ed economico, detti disposizioni diverse a seconda che si tratti di costruzioni effettuate a totale carico dello Stato, dai Comuni e dalle Provincie con il concorso dello Stato ovvero da altri enti autorizzati sempre con il concorso dello Stato (n. 125). 5) Se l'art. 21 sia stato modificato dall'art...I della__ legge 27 aprile 1962 nel senso di abolire l'autorizza. zione ministeriale per il prelievo delle somme versate nei conti correnti speciali aperti presso la Cassa DD.PP. (n. 125). -114 ENTE GESTIONE SERVIZIO SOCIALE CASE PER LAVO RATORI. 6) Quale sia la natura giuridica dell'Ente Gestione Servizio Sociale Case per lavoratori avente per scopo di promuovera e organizzare il servizio di assistenza sociale in favore delle famiglie dei lavoratori assegnatarie degli alloggi INA-Casa (n. 126), ELETTRODOTTI SPOSTAMENTO. Se l'Amministrazione Militare sia tenuta ad indennizzare l'esercente un elettrodotto per lo spostamento della conduttura a questi imposto per esigenze di carattere militare (n. 10). ENTI E BENI ECCLESIASTICI FABBRICATI EX CONVENTUALI ACQUISTO A NON DOMINO, 1) Se i fabbricati ex conventuali soppressi nel Re gno di Napoli con la legge 7 agosto 1809 siano a suo tempo passati in propriet dello Stato (n. 37). 2) Se l'acquisto a non domino fatto dagli aventi causa dal Comune (al quale era stato trasferito il solo uso dei fabbricati ex conventuali per pubblici servizi) abbia determinato, con il trascorso del tempo l'usucapione a favore dei possessori e la conseguente estinzione del dominio dello Stato (n. 37). 3) Se la chiesa -annessa agJi ex fabbricati aperta al pubblico possa rientrare nella previsione dell'art. 29, lett. a) del Concordato con la Santa Sede e pertanto p::issa provvedersi al riconoscimento della sua persomJit giuridica (n. 37). ESECUZIONE FISCALE INGIUNZIONI AMMINISTRATIVE. Se ed in quali limibi l'ingiunzione amministrath a vada equiparata al precetto e, come tale, divenga inefficace, se non si procede ad atti esecutivi nel termine di novanta giorni (n. 61). ESECUZIONE FORZATA ISTITUTI DI VENDITA GIUDIZIARIA. Quali siano i casi nei quali di applica l'art. 38 del Regolamento unico per gli Istituti di vendita giudiziaria (n. 28). ESPROPRIAZIONE PER P. U. DEPOSITI PER INDENNIT DI ESPROPRIAZIONE SVIN COLO. 1) Se la Cassa DD.PP. sia obbligata a dare esecuzione al decreto di svincolo del deposito della inden. nib di espropriazione emesso dall'Autorit giudizia. ria a seguito di accordi intervenuti fra espropriato ed espropriante (n. 171). PIANI DI RICOSTRUZIONE ESECUZIONE DA PARTE DELLO STATO PER CONTO DEL COMUNE. 2) Se gli Enti concessionari dei piani di ricostruzicne di cui all'art. 15 legge 27 ottobre 1951, n. 1402 siano legittimati passivamente nei giudizi relativi a provve dimenti di occupazione o di esproprio (n. 172). 3) Se il Ministero dei Lavori Pubblici abbia intererne ad intervenire in tali giudizi (n. 172). FALLIMENTO CREDITI PRIVILEGIATI INTERESSI. Se i crediti privilegiati continuino a produrre interessi anche dopo che sia intervenuta la dichiarazione di fallimento (n. 66). FERROVIE INVALIDI DI GUERRA COLLOCAMENTO AL LAVORO. 1) Se possano essere assunti presso le F.S. gli ima lidi di guerra che all'atto della domanda di assunziore non avevano ancora compiuto gli anni 45 quando il provvedimento di assunzione debba essere emam:to dopo il compimento di quell'et n. (334). 2) Se debbano escludersi dal beneficio della assun zione in servizio quegli invalidi che, provvisti di asrn gno rinnovabile al momento della presentazione della domanda, abbiano cessato di godere di tale assegno nelle.more della prolungata istruttoria (n. 334). SOTTOPASSAGGI CON UTILIZZAZIONE PROMISCUA. 2) Quali siano i criteri che debbono regolare la responsabilit dell'Amministrazione ferroviaria per l'uso dei sottopassaggi destinati ad uso promiscuo (n. 335). IMPIEGO PUBBLICO ASSEGNI FAMILIARI. 1) Se l'art. 4 della legge 10 novembre 1954, n. 1142 vada interpretato nel senso che la maggiorazione del 4 % per ogni figlio a carico spetti solo ai coniugati e non anche ai vedovi (n. 532). DIPENDENTI ENTI PUBBLICI INCIDENTI AUTOMOBI LISTIOI. 2) Quale sia la responsabilit dell'Amministrazione nel caso di incidenti stradali occorsi a dipendenti di un ente pubblico autorizzati dall'ente a servirsi di autovetture di loro propriet per ragioni di servizio (n. 533). GESTORE GOVERNATIVO DELLE TERME DI SALSOMAG GIORE. 3) Se possa ravvisarsi un rapporto di impiego fra la Amministrazione dello Stato e il gestor goveJ.'.!latLvo delle Terme di Salsomaggiore (n. 534). 4) Se i gestori governativi cessati dall'incarico possano ottenere la corresponsione della indennitl), di anzianit relativa al periodo di servizio prestato (n. 534). -115 IMPIEGATI CIVILI -DEPOSIZIONE QUALE TESTIMONIO INDENNIT DI MISSIONE. 5) Se l'art. 1 del R.D. 4459 del 1878 autorizzi la corresponsione dell'indennit di missione e di soggiorno nell'ipotesi in cui gli impiegati civili siano chiamati a testimoniare in giudizio sopra fatti relativi all'esercizio delle loro funzioni (n. 535). 6) Se tale indennit spetti ad un impiegato civile chiamato a deporre quale teste in un procedimento penale in ralazione a fatti inerenti all'esercizio delle sue funzioni di. ex appartenente all'Arma dei Carabinieri (n. 535). IMPIEGATI MILITARI -PIGNORAMENTI ALIMENTARI. 7) Se la ritenuta per pignoramenti alimentari a carico degli impiegati e pensionati militari dello Stato debba essere effettuata fino a concorrenza di un terzo o di un quinto dello stipendio (n. 536). IMPIEGATO DISTACCATO PRESSO ALTRA AMMINISTRAZIONE -PROCEDIMENTO DISCIPLINARE. 8) Se il procedimento disciplinare contro un impiegato cc distaccato presso altra Amministrazione, relativo ad infrazioni commesse durante il servizio cc distaccato>>, debba essere promosso dall'Amministrazione di appartenenza o da quella presso la quale egli presta servizio (n. 537). PERSONALE ADDETTO AL S,ERVIZIO DEI FARI E SEGNALAMENTI l)l:ARITTIMI. 9) Se dall'art. 68 dello Statuto degli impiegati dello Stato possa derivarsi l'abrogazione delle disposizioni che dispongono l'assicurazione contro gli infortuni di una parte del personale statale (n. 538). 10) Se permanendo l'obbligo dell'assicurazione sia ammissibile il cumulo dei due trattamenti (n. 538). UFFICI DI COLLOCAMENTO -PERSONALE NON DI RUOLO INVALIDIT. 11) Se il D.L. 15 aprile 1948, n. 381 e la successiva legge 6 febbraio 1951, n. 127 sul trattamento per il personale non di ruolo degli uffici di collocamento 'prevedano delle distinzioni tra l'infermit per causa di servizio e quella dovuta ad altre cause (n. 539). u.r.c. -PERSONALE -BENEFICI AI COMBATTENTI. 12) Se, ai sensi della legge 1 luglio 1955, n. 565 possano essere estesi ai dipendenti dell'Ufficio Italiano Cambi i benefici di natura combattentistica previsti dall'art. 207 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, anche per le promozioni a vice capo ufficio e vice ispettore (n. 540). IMPOSTA DI BOLLO CAMBIALI. Quale sia. il criterio per calcolare, ai fini dell'imposta di bollo, la durata d'una cambiale emessa l'ultimo giorno di un mese di 30 o 28 o 29 giorni e con scadenza, a giorno fisso, nell'ultimo giorno di un mese di 31 giorni (n. 21). IMPOSTA DI CONSUMO INDENNIT DI MORA SUI RITARDATI VERSAMENTI. Se i Comuni che hanno accettato il ritardato versamento delle rate del canone di appalto. dila riscossione delle imposte di consumo, senza richiedere il contestuale pagamento dell'indennit di mora prevista dall'art. 82 del T.U. sulla finanza locale, possano ritenersi decaduti dal diritto di pretendere l'indennit stessa (n. 11). IMPOSTA DI REGISTRO AGEVOLAZIONI FISCALI -REGIONI. 1) Se la legge nazionale 2 luglio 1949, n. 408, contenente benefici tributari per l'edilizia, debba applicarsi nella Regione Siciliana laddove questa abbia disciplinato con proprie leggi successive tutta la materia delle agevolazioni fiscali per le nuove costruzioni edilizie (n. 181). TRATTAMENTO TRIBUTARIO DEI DECRETI INGIUNTIVI. 2) Se la registrazione dei decreti ingiuntivi per i quali l'opposizione venga abbandonata ed il relativo giudizio cancellato dal ruolo, debba avvenire nei venti giorni dall'ordinanza di cancellazione oppure nei venti giorni successivi all'infruttuoso decorso dell'anno utile per la eventuale riassunzione del processo (n. 182). IMPOSTA SULL'ENTRATA ESTIMAZIONE SEMPLICE E COMPLESSA. 1) Se al fine di affermare o negare la giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria possa applicarsi la distinzione fra estimazione semplice ed estimazione complessa nelle azioni in materia di I.G.E. (n. 98). 2) Se l'esame dei presupposti relativi alle condizioni soggettive del (presunto) debitore d'imposta possa considerarsi giudizio di estimazione semplice (n. 98). IMPOSTE E TASSE AGEVOLAZIONI FISCALI -LEGGE N. 408 DEL 1949. 1) Se le agevolazioni fiscali previste con la legge 2 febbraio 1960, n. 35 sulle nuove costruzioni che abbiano inizio entro il 31 dicembre 1967 possano essere estese anche alle costruzioni effettuate sulla porzione di terreno che eccede il doppio di quella in un primo moment.o ricoperta (n. 349). PENE PECUNIARIE -CONDONO. 2) Se, ai sensi della legge 30 luglio 1959, n. 559, anche il condono delle pene pecuniarie dovute da amministratori di societ sia subordinato al pagamento del tributo dovuto dalla Societ (n. 350). PORTO DI NAPOLI -TASSE PER IMBARCHI E SBARCHI DI MERCI. 3) Se possa farsi questione di legittimit costituzionale, per contrasto con l'art. 23 della Costituzione, dei decreti ministeriali in forza dei quali i Ministri per -,.,... 116 la Marina Mercantile e per il Tesoro procedono, ai fini del pagamento delle tasse per imbarchi e sbarchi di merci, alla classificazione dei porti in una o altra categoria (n. 351). SPETTACOLI -DIRITTI ERARIALI. 4) Se -vigendo il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3276 -le contribuzioni in denaro erogate dai Comuni ad Enti o Societ private per l'organizzazione e l'esecuzione degli spettacoli indicati negli artt. 1 -4 del R.D. n. 3276 del 1923, costituiscono introiti lordi sul cui ammontare vanno liquidati i diritti erariali (n. 352). INFORTUNI SUL LAVORO PERSONALE ADDETTO AL SERVIZIO DEI FARI E SEGNALAMENTI MARITTIMI. 1) Se dall'art. 68 dello Statuto degli Impiegati dello Stato possa derivarsi l'abrogazione delle disposizioni che dispongono l'assicurazione contro gli infortuni di una parte del personale statale (n. 44). 2) Se permanendo l'obbligo dell'assicurazione sia ammissibile il cumulo dei due trattamenti (n. 44). INVALIDI DI GUERRA COLLOCAMENTO AL LAVORO. 1) Se possano ssere assunti presso le F.S. gli invalidi di guerra che all'atto della domanda di assunzione non avevano ancora compiuto gli anni 45 quando il provvedimento di assunzione debba essere emanato 1d,opo il compimento di quell'et (n. 16). 2) Se debbono escludersi al beneficio della assunzione in servizio quegli invalidi che, provvisti di assegno rinnovabile al momento della presentazione della domanda, abbiano .cessato di godre di tale assegno nelle more della prolungata istruttoria (n. 16). LAVORO PERSONALE DIPENDENTE DA AUTOLINEE EXTRAURBANE. 1) Se, ai sensi dell'art. 36 del contratto collettivo di lavoro 1961 per il personale operaio di aziende pri vate esercenti autoservizi in concessione, nel caso di cessione di linee da una ad altra azienda, il rapporto di lavoro .continua con il. nuovo titolare (n.. 33). 2) Nel caso affermativo se al personale trasferito debbano essere applicate le norme che impongono un periodo di prova (n. 33). LOCAZIONI SPESE PER SERVIZI ACCESSORI. Come disciplinata la ripartizione dell'onere delle spese per i servizi accessori inerenti alle locazioni di immobili urbani in regime di libera contrattazione, ove manchi una espressa clausola che regoli nel contratto I 'onere delle spese stesse (n. 115). MILITARI DI LEVA INCIDENTI AUTOMOBILISTICI. 1) Se il Ministero della Difesa possa chiedere la rivalsa delle spese mediche di cti.r-0 degenza, erogate a favore di un militare di leva rimasto infortunato in seguito ad incidente stradale, al responsabile dell'incidente stesso (n. 15). IMPIEGATI MILITARI -PIGNORAMENTI ALIMENTARI. 2) Se la ritenuta per pignoramenti alimentari a carico degli impiegati e pensionati militari dello Stato debba essere effettuata fino a concorrenza di un terzo o di un quinto dello stipendio (n. 16). MONOPOLI TABACCHI GREGGI. Quali siano le innovazioni portate dalla legge 21 aprile 1961, n. 342 e del regolamento 7 novembre 1961 nella materia concernente le controversie economiche (valutazione del prezzo del tabacco allo stato sciolto e delle tare per umidit) fra concessionari e coltivatori di tabacchi (n. 38). NOBILTA' ORDINI CAVALLERESCHI ED ONORIFICENZE CONSULTA ARALDICA. Se, in mancanza del provvedimento legislativo previsto dalla disposizione transitoria XIV della Costituzione per la soppressione della Consulta Araldica, residui ancora la competenza dell'Ufficio Araldico nella c. d. cognomizzazione " (n. 12). NOTIFICAZIONE ART. 140 C.P.C. 1) Quali siano i presupposti per l'applicazione al procedimento tributario dell'art. 140 C.p.c. che regola la notificazione in caso di irreperibilit, incapacit o rifiuto del destinatario o delle persone cui per legge pu essere consegnata la copia (n. 20). NOTIFICA PRESSO UFFICIO PUBBLICO. 2) Se debba considerarsi nulla la notifica di un decreto ingiuntivo effettuata nei confronti di un pubblico impiegato presso il Ministero dove esplica il suo lavoro (n. 21). 3) Se colui che ha richiesto la notifica possa avanzare delle pretese nei confronti del Ministero che ha omesso di consegnare l'atto all'interessato (n. 21).1 PROCEDIMENTO PENALE INCIDENTI AUTOMOBILISTICI -ISTRUTTORIA PR_ATI9HE_. Se il segreto istruttorio, previsto dall'art. 230 C.p.p., copra anche gli atti compiuti in relazione ad incidenti automobilistici quando si tratti di incidenti costituenti reato (n. 7). -- -117 - PROPRimTA. INDUSTRIALE CONCESSIONE DI BREVETTO. Se una societ che in un contratto di fornitura di cucine mobili campali al Ministero della Difesa abbia rinunziato, con apposita clausola, all'esercizio di qualsiasi diritto di privativa industriale del brevetto, possa richiedere al Ministero Industria e Conunercio la brevettazione delle suddette cucine mobili (n. 5). REGIONI REGIONE SICILIANA -AGEVOLAZIONI FISCALI. Se la legge nazionale 2 luglio 1949, n. 408, contenente benefici tributari per l'edilizia, debba applicarsi nella Regione Siciliana laddove questa abbia disciplinato con proprie leggi successive tutta la materia delle agevolazioni fiscali per le nuove costruzioni edilizie (n. 99). RESPONSABILITA' CIVILE DIPENDENTI PUBBLICI -INCIDENTI AUTOMOBILISTICI. 1) Quale sia la responsabilit dell'Amministrazione nel caso di incidenti stradali occorsi a dipendenti di un ente pubblico autorizzati dall'ente a servirsi di autovetture di loro propriet per ragioni di servizio (n. 198). INCIDENTI AUTOMOBILISTICI -ISTRUTTORIA PRATICHE. 2) Se il segreto istruttorio, previsto dall'art. 230 C.p.p., copra anche gli atti compiuti in relazione ad incidenti automobilistici quando si tratti di incidenti costituenti reato (n. 199). MILITARI DI LEVA -RIMBORSO SPESE CURE MEDICHE. 3) Se il Ministero della Difesa possa chiedere la rivalsa delle spese mediche di cura e degenza, erogate a favore di un militare di leva rimasto infortunato in seguito ad incidente stradale, al responsabile dell'incidente stesso (n. 200). RICOSTRUZIONE ESPROPRIAZIONE PER P.U. -ESECUZIONE DA PARTE DELL STATO PER CONTO DEL COMUNE. 1) Se gli enti concessionari dei piani di ricostruzione di cui all'art. 15 legge 27 ottobre 1951, n. 1402 siano legittimati passivamente nei giudizi Felativi a provve dimenti di occupazione o di esproprio (n. 13). 2) Se il Ministero dei Lavori Pubblici abbia inte resse ad intervenire in tali giudizi (n. 13). SOCIET CONSORZI AGRARI. Quale sia l'interpretazione dell'art. 30 D.L. 7 maggio 1948, n. 1235 in relazione all'art. 1 dello stesso D.L. ed all'art. 2405 C.c. in ordine alla facolt dei Sindaci dei Consorzi agrari provinciali di partecipare alle riunioni_:: dei Comitati esecutivi (n. 97). STRADE DISTANZE -VARIANTI STRADALI. 1) Se l'A.N.A.S. possa imporre ai proprietari di terreni vincoli di inedificabilit ai sensi dell'art; l, T.U. 8 dicembre 1933, n. 1740 in relazione a varianti stradali da costruire in applicazione della legge 7 febbraio 1961, n. 59 (n. 40). PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. 2) Se la norma di cui all'art. 119 del'R.D. 1740 del 1933 relativa alla devoluzione dei proventi contravvenzionali debba considerarsi abrogata e sostituita dalla norma di cui all'art. 139 D.P.R. n. 393 del 1959 (n. 41). 3) Se, conseguentemente, la devoluzione dei detti proventi debba essere attribuita all'A.N.A.S. ovvero direttamente al pubblico erario (n. 41). RIPE -OPERE DI SOSTEGNO. 4) Se l'A.N.A.S. proprietario della strada dopo aver adempiuto con esecuzione di ufficio, ai sensi dell'art. 20 del T.U. sulla circolazione, alle opportune opere di sostegno di una ripa rocciosa fiancheggiante la strada statale, abbia il diritto di ripetere le somme, erogate per i lavori eseguiti, dal proprietario della ripa stessa (n. 42). TERREMOTI CASE ECONOMICHE PER TERREMOTATI. 1) Se i privati danneggiati in seguito a terremoto i quali abbiano acquistato il diritto al contributo diretto o al sussidio governativo oppure al concorsp dello Stato nel mutuo di favore per l'acquisto di un alloggio economico, possano in cambio del contributo, sussidio o concorso dello Stato, acquistare le case costruite ai sensi dell'art. 26 T.U. 28 aprile 1938, n. 1165 (n. 17). 2) Se la propriet di altro alloggio nel comune colpito da terremoto, alloggio del quale il danneggiato non abbia la disponibilit giuridica, sia ostativa all'esercizio del diritto ad acquistare una delle case costruite dallo Stato (n. 17). 3) Se per i privati danneggiati dal terremoto devesi far riferimento per il requisito del domicilio a quello attuale del danneggiato o a quello che costui aveva all'epoca del terremoto (n. 17). DECADENZA DAL DIRITTO A CONTRIBUTO STATALE. 4) Se le ditte, dichiarate decadute dal diritto a contributo statale concesso per i fabbricati distrutti dal terremoto, abbiano titolo per ottenere l'assegnazione in propriet di un alloggio per terremotati giusta lo art. 255 T.U. sull'edilizia popolare ed economica 28 aprile 1938, n. 1165 (n. 18). TRANSAZIONI U.C.E.FA.P. Se un atto di transazione stipulato tra il Commissario Liquidatore dell'Ucefap e l'Azienda dei Servizi Annonari del Comune di Roma a definizione dei rapporti intercorsi tra i due Enti debba essere assoggettato al controllo preventivo previsto dalle norme sulla Contabilit generale dello Stato (n. 8).