PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SER:VIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO XIV -N. r-6 Gennaio-Giugno r962 SALVATORE SCOCA Alle prime luci dell'alba del 10 maggio scorso, dopo breve violenta malattia, si spegneva Salvatore Scoca, Avvocato Generale dello Stato. Si chiudeva, cos, una vita intensa, operosa, tutta dedita al servizio dello Stato, al qua,le Egli diede, in molteplici campi di attivit, e attingendo i pi alti vertici della vita pub blica, le sue migliori energie. Nato a Calitri il 15 giugno 1894, era entrato in magistratura nel 1922;. e succes sivamente, nel 1925, era passato alla Avvocatura dello Stato. A Trieste, prima, a Roma in seguito, Salvatore Scoca aveva seguito tutta la carriera degli avvocati dello Stato: sostituto avvocato di prima classe nel 1935; Vice avvocato nel 1941, sostituto avvocato generale nel 1945, in tutti i settori .della multiforme attivit che vede impegnato lo tJtato nell'agone giurisdizionale, ed in particolare in quello tributario, pi degli altri a lui congeniale, Egli avm'a portato l'alto contributo del Suo ingegno, della Sua preparazione, dei Suoi Studi. Si che 'la nomina ad Avvocato Generale dello Stato, seguita il 16 ottobre 1946, segn il degno coronamento di questa Sua operosa attivit. E la Avvocatura dello Stato, superato rapidamente il travaglio del periodo bellico, trov in lui una guida sicura e consa pevole; ed il Corpo degli avvocati dello Stato arricchito di nuove giovani energie, si strinse attorno a Lui raccogliendo e non indegnamente, l'alta eredit di lavoro e di prestigio che sempre si tramandata durante la vita del nostro Istituto. Ma la attivit e l'op.era di Salvatore Scoca non si esaurirono nell'ambito della Avvocatura dello Stato che egli diresse con alto prestigio per 16 anni: dovunque, nel campo scientifico come in quello amministrativo e politico, Egli lascia vasta impronta. Docente di diritto finanziario, tenne l'insegnamento di Scienza delle finanze, Diritto finanziario e Politica economica presso l'Universit di Trieste dal 1926-27 al 1931-32; e poi anche presso la Facolt di giurisprudenza dell'Universit di Roma nell'anno accademico 1940-1941. Direttore, con Achille Donato Giannini e Carlo D'Amelio, della Rivista italiana di diritto :finanziario, e poi dal 1949 sotto l'alta guida di Luigi Einaudi e insieme con Giannini, Griziotti e Vanoni, della Rivista di diritto :finanziario e scienza delle finanze, contribu, con una serie di pubblicazioni, articoli, note a sentenze, al fiorire della scuola italiana di diritto finanziario. Fece parte di innumerevoli Commissioni ed organi collegiali, sempre ricercato per la profonda conoscenza dei problemi giuridici, da cui non andava mai disgiunto un naturale innato equilibrio nella ricerca di adeguate soluzioni. E si vuol qui ricordare la sua partecipazione al Consiglio del Contenzioso diplomatico, ed alla Commissione per la formazione dei testi unii delle leggi tributarie, che, sotto la Sua presidenza, ha licenziato gi il testo unico sulle imposte dirette, ed ha portato a termine la elaborazione di quello della legge sulla riscossione. Ilh&1ftBlliil& LE' Ilh&1ftBlliil& LE' -2 N Salvatore Scoca poteva rimanere insensibile al richiamo della vita politica nell'Italia rinata alle sue tradizioni democratiche: membro della Consulta nazionale, e poi nel 1946 dell'Assemblea Costituente, deputato al Parlamento per due legislature nel 1948 e nel 1953; Sottosegretario di Stato per il tesoro nel secondo Ministero Bonomi e per le finanze nel secondo Ministero De Gasperi; Ministro per la riforma della pubblica Amministrazione nel Gabinetto Pella; Presidente della Commissione finanze e tesoro della Camera, relatore di. numerosi disegni di legge (baster qui ricordare quella sulla istituzione per la Cassa per il Mezzogiorno, e l'altra concernente la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti degli Enti sovvenzionati dallo Stato), in tutti questi incarichi Salvatore Scoca port sempre un alto e concreto contributo di idee e di opere, contributo che trovava la radice prima oltre che nella sua solida preparazione scientifica e professionale, nella sua schietta sensibilit umana. La vita politica non Gli era stata, dunque, avara di soddisfazioni, ed altri meritati successi gli avrebbe verosimilmente riservato; pure, quando Gli fu chiesto di scegliere fra la vita politica e l'Avvocatura dello Stato, egli non ebbe perplessit: e rest alla guida dell'Istituto, in cui era vissuto ed aveva formato la Sua personalit; che Egli, a giusta ragione, considerava la Sua seconda famiglia; dai cui componenti era rispettato come il Capo autorevole, ma era soprattqitto amato per le Sue qualit di uomo. Perch la qualit peculiare di Salvatore Scoca, al di sopra di tutte le altre, e che meglio di ogni altra vale a testimoniare i Suoi meriti, era proprio la Sua sensibilit umana, il calore umano che aveva in S e, che lo portava a rendersi conto con prontezza delle necestJit, dei problemi, delle esigenze altrui, ad adoprarsi sempre perch queste esigenze potessero essere soddisfatte, quelle necessit lenite, quei problemi risolti. E quando ci avveniva, il pi soddisfatto non era chi aveva chiesto ed ottenuto, ma Lui che aveva dato. Alle eseqqtie, insieme con gli avvocati dello Stato convenuti da ogni parte d'Italia a portare il saluto estremo a chi per tanti anni era stato collega, amico e Capo; insieme con un Principe della Chiesa, con il Governo, le alte cariche dello Stato, parlamentari, magistrati e funzionari che ricordavano ed onoravano il cattolico di ferma fede, l'Alto servitore dello Stato, l'eminente uomo politico; convenne la gente della Sua Calitri: tanta gente, ragazzi, uomini e donne di ogni et, di ogni condizione sociale, soprattutto umile gente che intendeva certo onorare il parlamentare illustre, l'altissimo funzionario, ma che soprattutto veniva a rendere l'ultimo omaggio all'Uomo della stessa terra, che da questa non si era mai staccato, che era rimasto sempre a loro vicino, che, conoscendo e comprendendone bisogni sofferenze e necessit, si era con squisita bont incessante mente adoperato per alleviare quelli e queste. E chi ebbe con Lui consuetudini di vita ben pu comprendere come il saluto pietoso, commosso e commovente dell'umile gente di CaZitri sia stato quello pi caro al Suo cuore di Uomo schietto, semplice, buono. ;;:;:;;;;;;;;;::::: ANCORA SULL'INAMMISSIBILIT DEL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 1) Il ricorso straordinario al Oapo dello Stato tornato di recente alla ribalta in relazione ad alcune vertenze nelle quali si sono manifestate, nella maniera pi evidente e, diremmo, clamorosa, le gravi difficolt e le irriducibili incongruenze cui d luogo il tentativo di armonizzare questo secolare istituto con i principi fondamentali dell'ordinamento vigente della giustizia amministrativa (1). Torna quindi opportuno riprendere il discorso sulla attuale ammissibilit del ricorso straordinario: discorso cui diede l'avvio, in un .lucido scritto pubblicato in questa rivista, 1'.Agr (2) e che, da allora, si arricchito dei contributi di vari studiosi (3), ma che ancora non pu dirsi affatto chiuso, apparendo del tutto insoddisfacente la conclusione verso la quale sembrano convergere le opinioni della maggioranza della dottrina (4), dimostratasi favorevole, al pari della giurisprudenza, all'ammissibilit del ricorso straordinario, quantunque con adattamenti pi o meno estesi della sua disciplina al nuovo ordinamento costituzionale. (1) V., in particolare, Cons. Stato, Ad. plen., 25 gennaio 1961, n. 1, in questa cc Rassegna, 1961, 52, che, in un caso in cui la Corte dei Conti aveva rifiutato la registrazione di un decreto presidenziale di decisione su ricorso straordinario 0Illesso in conformit al parere dell'Adunanza generale, ha affermato l'obbligo giuridico del Ministro competente di proporre al Consiglio dei Ministri la registrazione con riserva. La decisione motivata in base a considerazioni che lasciano oltremodo perplessi. Cfr. la nota redazionale, ivi, e le osservazioni di JEMOLO, in >, 1950, IV, 89; CIARDULLI: op. cit.; NIGRO: Le decisioni amministrative, Napoli 1953, p. 85 ss.; NAI: Il ricorso straordinario al P1esidente della Repubblica, Milano, 1957; RoEHRSSEN: Il ricorso straordinario al Capo dello Stato: sopravvivenza o abolizione?, in Rass. lav. pubbl. >>, 1957, In realt, l'idea affacciata dall'.Agr, e poi ripresa e sviluppata dal Oiardulli (5), dell'incompatibilit radicale del ricorso straordinario con le norme e con i principi della Oostituzione repubblicana sembra resistere a tutte le critiche che, da varie parti, le sono state mosse. L'antichissimo istituto, cosi come si venuto definendo attraverso l'attivit legislativa e giurisprudenziale che, a partire dalla introduzione della gimisdizione amministrativa, lo ha inquadrato in schemi normativi sufficientemente precisi, non ha diritto di cittadinanza nel nuovo ordinamento costituzionale. Non si tratta semplicemnte di armonizzare con la legge fondamentale alcune delle norme o dei principi elaborati sotto il vigore dello Statuto albertino: l'elasticit degli istituti giuridici, la loro adattabilit a mutati presupposti istituzionali ha un limite, oltre il quale si rischia o di pregiudicare il valore assoluto dei principi costituzionali, o di snaturare completamente l'istituto, creandone, in sostanza, lllD. altro diverso per via di interpretazione. 687; ANDRIOLI: RicorBo straordinario al Presidente della Repubblica e tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, in Riv. infortuni e mal. profess. , 1954, I, 172; Bosco: Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Milano, 1959; BACHELET: Ricorso straordinario al Oapo dello Stato e garanzia giurisdizionale, in Riv. trim. dir. pubbl. '" 1959, 788; MORTATI: Sull'incostituzionalit dell'art. 23, ult. co., Statuto Reg. siciliana, in Giur. ost. >>, 1960, 321; ScBIAVINA: La proponibilit del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in >, 1960, 1469. (4) V., oltre tutti gli autori citati alla nota precedente (escluso il Ciardulli), ZANOBINI: Corso di diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1958, p. 102; VITTA: Diritto amminiBtrativo, vol. II, Torino, 1955, p. 436; LA ToRRE: Nozioni di diritto amministrativo, Roma, 1954, p. 280; FRAGOI.A: Manuale di diritto amministrativo, Napoli s.d., p. 292; SALEMI: La g-iustizia amministrativa, Padova, 1958, p. 46; GmccrARDI: La giustizia amministrativa, Padova, 1957, p. 133, n. 1; RAGNlSCO e RossANo: I ricorsi amministrativi, Roma, 1954, p. 313; BALLADORE PALLlERI: Diritto costituzionale, Milano, 1957, p. 161; BISCARETTI DI RUFFIA: Diritto costituzionale, Napoli, 1958, p. 382; VIRGA: Dfritto costituzionale, Palermo, 1955, p. 297; PERGOLESI: Diritto costituzionale, Padova, 1955, p. 193. Contra: LESSONA: La giustizia nell'ammini.strazione, Bologna, 1956, p. 66, n. 1; ANGELICI: Il giudizio di fronte alla Giunta Provinciale Amministrativa, .Padova, 1958, p. 37 ss. In senso dubitativo: GIANNINl: La giu-~ stizia amministrativa, Roma, 1959, p. 96 ss.; IACCARINO: In tem1i di ricorso straordinario, in Scritti giiwidici in onore di De Nicola, Napoli, 1957. (5) Op. cit. _ 4 I E questa appunto, a nostro avviso, l'alternativa cui inevitabilmente si trova di fronte chi, a tutti i costi, vuole conservare, pur sotto il vigore della nuova Costituzione, un istituto, come il ricorso straordinario, il cui fondamento non pu non riconoscersi intimamente legato ai presupposti del sistema costituzionale abrogato. 2) Il confronto fra il ricorso straordinario al Capo dello Stato e i principi della Carta costituzionale presuppone, ovviamente, che sia chiarita, in maniera precisa, la natura giuridica del primo. L'opinione ancor oggi dominante, fermamente difesa dal Consiglio di Stato, riconosce la natura amministrativa del ricorso e della decisione del Capo dello Stato, ma tende a farne qualcosa di singolare, di atipico, pur nell'ambito dell'attivit amministrativa, avvicinando sotto molti aspetti l'attivit decisoria del Capo dello Stato alla giurisdizione (6). N sono mancate in passato afferma (6) V.,,in particolare, Cons. Stato, Ad. plen., 25 gennaio 1961, n. 1, e 24 maggio 1961, n. 12, cit. Le conseguenze che la giurisprudenza del Consiglio di Stato trae da queste premesse sono note: sono state estese al ricorso straordinario la maggior parte delle regole che disciplinano lo svolgimento del ricorso giurisdizionale. Cos, si ammette la remissione in termine per errore scusabile; la sospensione del provvedimento impugnato; il ricorso per revocazione contro il decreto di decisione (fondato, quest'ultimo, su una pretesa norma consuetudinaria). Quanto agli effetti della decisione, la conseguenza estrema che si volle trarre dal parallelismo del ricorso straordinario col ricorso giurisdizionale (quella dell'applicabilit del rimedio previsto dall'art. 27 n. 4 del testo unico sul Consiglio di Stato in caso di inesecuzione del decreto di decisione) fu respinta, com' noto, dalla Cassazione (Sez. Unite 8 luglio e 2 ottobre 1953, in questa Rassegna, 1953, 278). (7) Cfr.: Cons. Stato, Ad. gen., 10 aprile 1909, n. 243, in Riv. amm. , 1909, 475. (8) MoRTATI: Sull'incostituzionalit, cit. Secondo questo autore, i] ricorso straordinario, come rimedio giurisdizionale, troverebbe la sua attuale giustificazione costituzionale nella VI Disp. Trans., atteso il carattere non perentorio generalmente assegnato al termine ivi previsto. Ma, se si riconosce la natura giurisdizionale del ricorso, non si pu negare il suo netto contrasto (per l'imperfezione del contraddittorio e per l'assenza di effettive garanzie di difesa) con l'art. 24, 2 co., Cost. V., in proposito, la nota redazionale in questa Rassegna, 1961, 55. ' (9) CODACCI PISANELLI: Analisi delle funzioni sovrane, Milano, 1946, p. 129, parla, a proposito del potere di decisione del ricorso straordinario, di una autodichia della Pubblica amministrazione, parallela all'autonomia e all'autarchia. Per la RIVALTA: Sull'applicabilit dell'articolo 27 n. 4 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054 ai decreti del Oapo dello Stato che decidono ricorsi straordinari, in Foro it. >>, 1952, III, 9, la decisione del Capo dello Stato avrebbe una duplice natura: amministrativa dal lato formale, giurisdizionale da quello sostanziale. Nello stesso ordine di idee sembra BENVENUTI, voce Autotutela, in <rebbe il principio stesso che costituisce il fondamento dell'istituto, l'attribuzione, cio, del relativo potere d'3cisorio al Capo dello Stato (10). Le poche norme equivoche e artificiose non possono ammettersi. La giurisdizionalit non un concetto ontologico, ma una qualificazione giuridica relativa, che si fonda su caratteri eminentemente formali (in senso ampio) della deci sione della lite. arbitraria, quindi, ogni scissione di fo!'Illa e sostanza. Cos, esattamente, NIG:ao: Le decisioni amministrative, cit., p. 14 ss.; CANNADA BAR Tor.I: voce Decisione amministrativa, in N ovissimo Di gesto Italiano. Trattandosi di qualificazioni relative, possibile, invece, tma divergenza fra la natura che il ricorso straordinario assume nell'ambito dell'organizzazione amministrativa (ammesso, il che dubbio, che questa organizzazione possa considerarsi come ordinamento giuridico) e quella attribuita ad esso nell'ordinamento general~. Quella posizione di parte che, come vedremo, deve assegnarsi all'organo decidente alla stregua dell'ordinamento generale, svanisce ove ci si ponga dal punto di vista dell'o:i:ganizzazione interna della pubblica ammini strazione e viene quindi meno l'ostacolo ad ammettere la natura giurisdizionale della decisione. Non si tratta, perci, di un'inammissibile divergenza fra forma e sostanza, ma di una ben, comprensibile non coincidenza di qualificazioni giuridiche facenti capo a ordinamenti distinti. Comunque, la netta separazione dei due punti di vista e la rigorosa esclusione, sul piano dell'ordinamento generale, di ogni elemento o qualificazione valevole solo nell'ambito dell'ordinamento particolare dell'Amministrazione, presupposto essenziale di una indagine che voglia attingere risultati sicuri. V., in pro posito, OTTAVIAN-O: Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune sue applicazioni, in Riv. trim. dir. pubbl. , 1958, 825; BACHELET: Rie. straord., cit., n. 6. (10) CIARDUI.LI, op. cit. Questo autore rinviene nella consuetudine il fondament.o del potere decisorio del Capo dello Stato nel cessato ordinamento. Il Bosco, op. cit., p. 82 ss., finisce col fare della consuetudine una specie di deus ex machina per la solu'~ione del.!e questioni pi dibattute in tema di. ricorso straordinari~ come quella dell'estensione dell'impugnativa giurisdizionale contro il decreto di decisione. Reputa inutile il ricorso alla consuetudine, dopo lo svolgimento legislativo d~,l 1907 in poi, BACHELET, op. cit., nota 8. -5 scritte sarebbero intervenute a disciplinare soltanto alcuni aspetti della proceura, lasciando immutato il nucleo centrale della disciplina consuetudinaria. Non ci sentiamo di aderire a questa tesi. L'attribuzione al Capo dello Stato del potere di decisione del ricorso straordinario pu dirsi fondata su una norma consuetudinaria solo dal punto di vista storico. Intervenuta la disciplina legislativa degli aspetti essenziali del procedimento, il ricorso alla consuetudine non ha pi ragion d'essere: l'esistenza di un potere decisorio del Capo dello Stato non ha bisogno di altro fondamento che quello costituito dal principio generale ricavabile dalle specifiche norme di procedura. E quindi (ci ci preme particolarmente sottolineare) tale potere sta o cade con queste norme: ove si dimostri la loro illegittimit costituzionale, non pu ritenersi che residui alcun principio consuetudinario idoneo a sorreggere ancora l'istituto del ricorso straordinario, salva l'esigenza di ricavare dai principi gene . rali una nuova disciplina del suo svolgimento pl,'ocedurale. ope"a questa i legislatore: l'interprete deve limitarsi ad esaminare la compatibilit delle norme scritte e dei principi da esse desumibili con il sistema della Costituzione. Ove il giudizio scaturisca esito negativo, altra conclusione non pu darsi che quella del radicale superamento e quindi dell'inammissibilit del ricorso straordinario. Neppure pu. dirsi, a nostro avviso, che la consuetudine sia intervenuta a completare la lacunosa disciplina procedurale del ricorso, introducendo nuove norme che lo avrebbero avvicinato al ricorso giurisdizionale. da tenere per fermo che alla giurispruenza non possono essere attribuiti poteri creativi di diritto. Non ipotizzabile una consuetudine formatasi attraverso ilriprodursi costante ed uniforme della stessa massima di decisione rispetto ad una pluralit indefinita di casi concreti. Si tratta soltanto di consuetudine interpretativa, ossia di una forma di uso che non pu esser 'posta sullo stesso 1.iano della c.d. consuetudine introduttiva o praeter legem. Ad essa pu riconoscersi solo un semplice rilievo di fatto, esclusa ogni efficacia vincolante dell'interpretazione usuale, per quanto costantemente seguita. Costituisce pertanto una petizione di principio il voler argomentare dalle regole che la giurisprudenza crede di poter applicare al ricorso straordinario per concludere circa la natura giuridica i questo. invece proprio l'indagine su questa natura che, deve costituire il criterio di valutazione dell'esattezza delle soluzioni giurisprudenziali. 3) Ci premesso, esaminiamo partitamente le norme positive, che, per quanto detto, devono costituire la base di ogni ragionamento sulla natura giuridica del ricorso straordinario e sulla sua compatibilit con i principi della Costituzione repubblicana. L'art. 16 del testo unico 26 giugno 1924, numero )054, contiene le norme fondamentali. Il primo comma, al n. 4, dispone l'obbligatoriet del parere del Consiglio di Stato (in Adunanza generale: art. 47, n. 3, Regolam. 21 aprile 1942, n. 444) . La simmetria dei due concetti solo apparente: la efficacia generalmente obbligatoria di determinate norme di condotta non infatti in relazione di dipendenza necessaria con una particolare posizione dell'organo da cui esse sono poste. Al contrario, l'efficacia propria degli atti giurisdizionali non pu ammettersi se non ove ricorrano quei caratteri formali che, lungi dal rappresentare semplici ga ranzie estrinseche, costituiscono l'espressione immediata e necessaria della giurisdizione, si identificano, anzi, con il concetto stesso di giurisdizione. Il decreto emesso su ricorso straordinario quindi, senza riserve, un atto amministrativo, cui sono senz'altro applicabili tutti i principi e le norme valevoli per gli altri atti della stessa specie. 5) La natura nettamente amministrativa del ricorso straordinario, mentre, da una parte, pu condurre ad una revisione radicale di molte massime fatte proprie dalla giurisprudenza, costituisce la premessa per intendere nel modo pi esatto la portata e la ragione delle poche norme scritte dettate in materia, e, soprattutto, della norma sulla c.d. alternativit del ricorso straordinario rispetto al ricorso giurisdizionale. La spiegazione che solitamente si d di questa norma non appare soddisfacente. Escluso, naturalmente, che possa trattarsi di una applicazione del principio cc ne bis in idem , che pu valere solo nell'ambito della giurisdizione e non suscettibile di estendersi a regolare rapporti fra attivit decisorie di natura diversa, sembra, ai pi, che l'alternativit trovi il suo (14) Sulle decisioni amministrative: GIANNINI: Accertamenti ammini8trativi e decisioni amministrative, in u Foro it. '" 1952, IV, 177; NIGRO e CANNADA BARTOLI, opp. citt. -7 fondamento, non in un principio giuridico, ma in mere ragioni di opportunit pratica. Dovendo esser sentito il parere del Consiglio di Stato in .Adunanza generale sul ricorso straordinario, ove fosse ammessa l'impugnazione dello stesso atto definitivo anche in sede giurisdizionale, i componenti di una sezione del Consiglio di Stato si troverebbero a dover pronunciare due volte sullo stesso oggetto, in sede giurisdizionale e in sede consultiva, come membri dell'Adunanza generale. Ci potrebbe dar luogo a conflitti pregiudizievoli per il prestigio dell'organo. Tali ragioni di opportunit appaiono, in realt, alquanto fragili (15). .Anche se deve ammettersi che .esse sono state tenute presenti dal legislatore, a nostro avviso deve riconoscersi che il vero fondamento dell'alternativit un altro, ben pi consistente e tale da conferire all'alternativit stessa una posizione sistematica di importanza centrale nella disciplina dell'istituto. Com' noto, il ricorso straordinario al re unico mezzo di difesa dei cittadini di fronte agli atti della pubblica autorit negli ordinamenti assolutistici -sopravvisse nell'ordinamento monarchico costituzionale soprattutto per l'importanza assunta da esso -come dagli altri ricorsi amministrativi, assistiti, peraltro, da minori garanzie in seguito all'abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo, che lasciava privi di tutela (15) Se esse fossero veramente rilevanti, in effetti, non si spiegherebbe come il legislatore non abbia escluso l'impugnabilit in sede giurisdizionale di tutti gli atti per i quali obbligatorio il parere dell'Adunanza get). erale. (16) Appare perci scarsamente meditata l'opinione del NIGRO: Le decisioni amministrative, cit., p. 87, il quale ritiene che, in virt dell'art. 113 Cost., non pos: aa escludersi l'impugnativa giurisdizionale, senza limiti di sorta, del decreto di decisione su ricorso straordinario. In tal modo, la scadenza del termine per il ricorso giurisdizionale contro l'atto definitivo non sarebbe definitivamente preclusiva, pot.endosi sempre, per via indiretta, proporre la questione di legittimit al Consiglio di Stato, attraverso, prima, la proposizione del ricorso straordinario e, poi, l'impugnativa del decreto di decisione. In definitiva, l'interessato che ha lasciato scadere il termine per il ricorso giurisdizionale dovrebbe .andare incontro ad una notevole perdita di tempo -che costituirebbe la sanzione della sua negligenza. In realt, in tal modo, l'intero sistema della giustizia .amministrtiva risulterebbe alterato, e proprio in quei principi che garantiscono le esigenze fondamentali di .certezza nei rapporti fra cittadino e pubblica Ammini :strazione. La conclusione logica da trarre dall'eliminazione del principio di alternativit non pu, perci, che esser quella della totale caducazione dell'istituto del ricorso straordinario. La possibilit illimitata di impugnare la decisione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale ammessa anche dal FRAGOLA: Questioni intorno al decreto presi denziale sul ricorso straordinario, in Giur. compi. cass. dv. 1953, V, 489, che tuttavia non mette in dubbio l'attuale ammissibilit del ricorso. giurisdizionale gli interessi legittimi lesi dall'azione amministrativa. Con la restaurazione, su nuove basi, della giurisdizione amministrativa, la ragione pratica che aveva sorretto l'istituto parve venir men:o, e da molte parti fu sollecitata l'abolizione del ricorso straordinario. Peraltro, in considerazione del favore che esso incontrava soprattutto per la semplicit di forme e per la minima costosit, il legislatore ritenne miglior partito conservare l'antico istituto accanto al nuovo ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Ci, peraltro, creava un grave problema di coordinamento sistematico. L'armonia logica del sistema, fondato sulla formazione dell'atto definitivo attraverso la serie dei ricorsi amministrativi alla autorit superiore o allo stesso organo e sull'impugnabilit di tale atto in sede gilirisdizionale entro un breve termine di decadenza, sembrava spezzata dall'inserimento di un possibile ricorso amministrativo al re, non legato a precisi limiti di tempo, contro lo stesso provvedimento definitivo. Fu quindi proprio una ineliminabile esigenza sistematica che indusse il legislatore ad . intro durre, da un lato, il termine di 180 giorni per la proposizione del ricorso straordinario, e, dall'altro, a sancirne l'alternativit con il ricorso giurisdi zionale. Pertanto ( questa la conclusione che ci premeva fissare) il principio dell'alternativit, non che essere un'appendice trascurabile della disciplina del ricorso straordinario, fondata su meri motivi di opportu nit pratica, costituisce il cardine su cui si fonda tutto l'istituto. Chiedersi, quindi, se il ricorso straordinario sia compatibile con l'attuale ordina mento costituzionale significa chiedersi, anzitutto e soprattutto, se possa armonizzarsi con i principi della Carta costituzionale la regola dell'alternati vit. Tutto l'istituto del ricorso straordinario sta o cade con tale regola. Non quindi possibile pensare che il ricorso straordinario possa continu':lire ad esistere anche nel nuovo ordinamento costituzionale, eliminando soltanto la regola dell'alternativit. Ci significhe rebbe scardinare il sistema della giustizia ammi nistrativa. Basta, infatti, considerare la norma che, sempre affermata rigidamente (a volte, anzi, in maniera esagerata) dalla giurisprudenza, costituisce il pi importante corollario dell'alternativit: l'asaog gettabilit del decreto di decisione sul ricorso straordinario al sindacato giurisdizionale per soli vizi relativi alla forma e al procedimento, escluso ogni motivo attinente al contenuto, il cui esame implicherebbe un nuovo giudizio del Consigli di Stato sull'oggetto del ricorso straordinario. Se questa norma dovesse ritenersi incostituzionale, e tuttavia si ritenesse sempre ammissibile il ricorso straordinario, si arriverebbe, in pratica, a togliere ogni significato alla fissazione del rigido. termine di decadenza per la proposizione del ricorso giuri sdizionale. La presentazione del ricorso straordinario avrebbe l'effetto di riaprire il termine scaduto, data la possibilit di sottoporre al Consiglio di Stato, sotto Li i~~&fili@ F1W?EE77f'"' 7 7 T =;;'? -8 specie dell'impugnazione del decreto di decisione, quella stessa questione che, ormai, in via diretta sarebbe improponibile. E, se si tien conto del fatto che il termine pel' il ricorso giurisdizionale ha la funzione di garantire la certezza dei rapporti e il regolare svolgimento dell'azione amministrativa, che sarebbe paralizzata da una possibilit indefinita di impugnazione degli atti illegittimi, ci si rende conto dell'inammissibilit della soluzione. O si riforma l'intero sistema della giustizia amministrativa, oppure la caducazione del principio di alternativit del ricorso straordinario con il ricorso giurisdizionale non pu non travolgere con s l'intero istituto del ricorso straordinario (16). Recentemente si tentato di sfuggire a questa alternativa, attribuendo all'impugnativa gimisdizionale della decisione del ricorso straordinario effetti necessariamente limitati quanto all'incidenza sull'atto definitivo gi impugnato con il ricorso stesso (17) Il fondamento della tesi sta in un particolare e penetrante modo di intendere il carattere di cc decisione del decreto emesso su ricorso straordinario. Per tutti gli altri ricorsi amministrativi, pacifico che la decisione >, 1961, I, 1347. Si tratterebbe di un atto di giudizio, come tale necessariamente estraneo e superiore all'atto che ne oggetto. L'impugnativa giurisdizionale si porrebbe quindi in funzione di garanzia della legittimit (anche sostanziale) della decisione, come tale,. e non potrebbe invece avere per oggetto la legittimit dell'originario provvedimento. Si tratterebbe,. in definitiva, di un mero iudicium rescindens, cui. non potrebbe tener dietro il iudicium rescissorium. L'esito dell'impugnativa potrebbe essere semplicemente l'annullamento della decisione in quanto viziata o errata, e non una nuova decisione sulla questione di legittimit dell'atto originario. La tesi, a nostro avviso, non pu avere altro fondamento che quella natura giurisdizionale o para-giurisdizionale della decisione del ricorso straordinario, che sopra abbiamo escluso (19). Se tale decisione , come certamente , un meroatto amministrativo, la sua posizione rispetto all'atto impugnato non pu essere quella di un atto di giudizio, espressione di una funzione di giustizia volta esclusivamente alla tutela dell'interesse del ricorrente. L'Amministrazione, nel decidere il ricorso straordinario, non si pone super partes, non si limita a comporre, in conformit al diritto, un conflitto di interessi, ma, attraverso tale composizione,. persegue il soddisfacimento di quello stesso interesse pubblico che costituisce la causa dell'atto impugnato. L'Amministrazione, cio, agisce, anche nella decisione del ricorso straordinario, come parte, come portatrice di interessi propri, che si tratta di soddisfare nel modo migliore e pi corretto (20). La decisione, perci, essendo volta solo (19) Cos, infatti, esplicitamente la decisione dell'Ad~ plen. citata alla nota precedente. La posizione del BAOHELET appare ambigua. Da un lat,o, infatti, egli riafferma in maniera netta il caratterl di atto amministrativo della decisione del ricorso straordinario e respinge tutte le fumose costruzioni basate sulla scissione fra qualifica formale amministrativa e carattere sostan- zialmente giurisdizionale (v., in particolare, lo scritto cit. alla n. precedente); dall'altro, invece, nel sostenere la tesi riassunta nel testo, sembra cadere in quegli stessi errori di prospettiva, in quelle confusioni fra la. posizione del ricorso straordinario nell'ordinamento generale e il suo modo di essere all'i,riterno dell'organizzazione amministratfoa che, con tanta efficacia, individua e respinge in linea di principio. L'accentuazione del carattere di giudizio del decreto di decisione finisce infatti col riproporre una pretesa natura singolare, sui generis, di questo atto, che pur si riconosce amministrativo. Significativa l'analogia cui il B. costretto a ricorrere fra: il sindacato giurisdizionale della decisione del ricorse> straordinario e il sindacato esercitato dalla Cassazione, sulle sentenze delle corti di merito e delle giurisdizioni. amministrative speciali (v. Rie. straord., cit., n. 6,. nota 83). (20) Contra: Ad. plen. 24 maggio 1961, n. 12, cit.. Il ricorso straordinario sarepbe deciso dall'Ammini-strazione non come parte, ma come autorit imparziale. E la garanzia dell'imparzialit sarebbe nel parere del Consiglio di Stato, parzialmente vincolante, salvo intervento del Consiglio dei Ministri. Non si avverte, ra ~m: ~m: -9 indirettamente alla tutela degli interessi individuali, mentre il suo fine tipico, la sua causa, resta l soddisfacimento dell'interesse pubblico che oggetto dell'atto impugnato, non pu non accedere a quest'ultimo, non assorbirlo, sostituendolo completamente. La situazione, cio, esattamente la stessa che si determina nel ricorso gerarchico, n in contrario potrebbe valere il carattere di definitivit assegnato alla decisione di quest'ultimo. Si tratta, invero, di una qualificazione del tutto relativa e inidonea ad escludere (in via, appunto, straordinaria) un riesame amministrativo dell'atto (21). Solo una decisione giurisdizionale, nella quale l'applicazione della legge al caso concreto non ~trumentale rispetto al perseguimento di un interesse di parte, pu dirsi estranea, superiore all'atto amministrativo che ne costituisce l'oggetto. Una. decisione amministrativa, appunto perch non pu che essere intesa al perseguimento dello stesso fine dell'atto che ne oggetto, assorbe necessariamente quest'ultimo, lo sostituisce, ponendosi come provvedimento concreto e non come atto di giudizio inteso solamente alla soluzione del conflitto di interessi. L'impugnativa giurisdizionale della decisione del ricorso straordinario, se estesa anche al merito; al contenuto della decisione stessa, implica perci necessariamente il sindacato sulla legittimit dell'atto originario, assorbito >> dal decreto presidenziale. L'annullamento di un decreto che abbia rigettato il ricorso straordinario non pu che significare annullamento dello stesso atto impugnato col ricorso. La tesi che combattiamo, negando quest'ultima conclusione, o finisce col togliere ogni contenuto di pratica utilit alla piena garanzia giudsdizionale, ammessa per mero ossequio formale ai principi costituzionali, ovvero costretta a ricorrere a macchinose e inammissibili costruzioni, quali una pronuncia di rinvio allo stesso Oapo dello Stato perch emetta una nuova decisione ovvero la riapertura dei termini per la proposizione di un nuovo ricorso straordinario (22). L'evidente assurdit di simili conseguenze ultime la migliore prova, riteniamo, dell'inesattezza della premessa. In conclusione, > dell'irresponsabilit regia, certo non pu affermarsi in via assoluta che, in ogni caso, gli atti controfirmati dal Ministro fossero espressione di un suo autonomo potere di deliberazione e che l'intervento del re fosse tipicamente rivolto ad una mera funzione di simbolo. Il semplice fatto della necessit della contro firma ministeriaie non perci minimamente decisivo (35). Senza dubbio, il decreto reale controfirmato dal Ministro doveva considerarsi (come deve considerarsi oggi il decreto presidenziale (36) quale atto (34) GIANNINI: La giustizia amministrativa, cit., p. 97; A:MORTH: Lineamenti dell'organizzazione amministrativa italiana, Milano, 1950, p. 22; BAOHELET, op. cit., n. 3. La decisione dell'Ad. plen. 25 gennaio 1961, n. 1, cit., attribuisce invece a! Ministro solo funzioni istruttorie e di impulso processuale, escluso ogni suo potere decisorio. ,. . (35) Come invece sembra ritenere il BAOHELET, cit. (36) BALLADORE PALLIERI: Dir. cast., cit., p. 169; SANDULU:: Il Presidente della Repubblica e la funzione arrvmi-nistrativa, in Scritti giuridici in onore di Carnelutti '" vol. IV, Padova 1950, p. 215 ss. -12 complesso: ciascuno dei due organi (Capo della Stato e Ministro) concorreva con la sua volont alla formazione dell'atto (37). Il problema dell'identificazione dell'organo titolare del potere esercitato per mezzo dell'atto si risolve perci nell'identificazione della volont prevalente nella sua formazione. Negli atti complessi c.d. ineguali (38), infatti, l'atto emanato col concorso di distinte volont deve ritenersi compreso nella sfera di competenza dell'organo alla cui volont la legge d valore prevalente, mentre il concorso degli altri organi assume il semplice valore di un presupposto. Orbene, non sembra dubbio che, nel procedimento di decisione del ricorso straordinario al re, era la volont di quest'ultimo che assumeva valore decisivo. Il Ministro competente, istruito il ricorso e ottenuto il parere del Consiglio di Stato, fungeva da mero tramite di trasmissione di tale parere al re. Non poteva neppur dirsi che ad esso competesse la veste di proponente, essendo escluso ogni suo potere di determinare il contenuto del provvedimento (39). Al Ministro competeva soltanto il potere, ove non ritenesse opportuno seguire il parere del Consiglio di Stato, di sottoporre la questione al Consiglio dei Ministri. Con ci non pu dirsi si verificasse la devoluzione al Consiglio del potere di decisione del Ministro (40). In realt, l'intervento del Consiglio dei Ministri aveva carattere consultivo e non deliberativo, al pari di quello del Consiglio di Stato (41). Ci risulta dal confronto fra la disposizione dell'art. 14, 2 co., del testo unico sul Consiglio di Stato (quando il provvedimento sia contrario al parere del Consiglio di Stato, deve farsi constare dal decreto reale che stato pure udito il Consiglio dei Ministri ) e quella dell'art. 25, 20 co., del testo unico sulla Corte dei Oonti, per la quale la registrazione con riserva condizionata alla 1isoluzione del Consiglio dei Ministri che l'atto o decreto debba aver corso n. Non sembra che l'argomento letterale sia superabile: l'ipotesi in esame appare perci estranea alla previsione generica dell'art. 1, n. 7, regio decreto 14 novembre 1901, n. 466 (per il quale sono sottoposti al Consiglio dei Ministri tutti gli affari per cui debba provvedersi mediante decreto reale con precedente parere del Consiglio di Stato, quante volte il Ministro competente non intenda uniformarsi a tale parere). Qui non c' devoluzione al Consiglio dei Ministri di un potere deliberativo, che (37) Contra: PORTA: Natura del decreto reale che decide il ricor.~o straordfoario, in Giur. it. , 1941, III, 113, il quale ritiene che, mancando nella specie una vera proposta del Ministro, non possa parlarsi di atto complesso. La controfirma assumerebbe il semplice valore di un visto esterno all'atto, che resterebbe espressione della sola volont del Capo dello Stato. (38) ZANOBINI: Cor8o, cit., vol. I, p. 256. (39) Cos PORTA, op. cit. (40) FRANCHINI: Il pa;rere nel diritto ammfr1iistrativo, vol. II, Milano 1954, p. 87. . (41) Conf. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 1955, n. 461, in (( Riv. amm. , 1956, II, 133. non spetta al singolo Ministro, ma al Capo dello Stato. In definitiva, nel sistema previgente, il re provvedeva sul ricorso str:;i,9rdinario., confortando la decisione o con il parere del Consiglio di Stato o con quello del Consiglio dei Ministri. L'iniziativa spettante al Ministro competente di sollecitare il parere di quest'ultimo collegio non poteva vincolare la decisione regia. Nulla vietava che il re, nell'emanazione della decisione, si conformasse all'avviso del Consiglio di Stato, malgrado il contrario parere del Ministro e del Consiglio dei Ministri (42). Ci sufficiente a far ritenere effettiva, sostanziale l'attribuzione al re del potere di decisione. E, invero, se l'organo decidente fosse il Ministro, non si vede proprio come potrebbe concepirsi un'attivit consultiva del Consiglio dei Ministri nei suoi confronti, ossia nei confronti di uno dei suoi membri (43). Si deve quindi riconoscere che, al momento dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la decisione del ricorso straordinario rientrava nella sfera di competenza propria del sovrano; il suo intervento non aveva una semplice funzione di rivestimento simbolico di un atto deliberato dal Ministro competente, ma, al contrario, era l'intervento del Ministro che doveva considerarsi accessorio e secondario. Il problema della possibilit di attribuire un simile potere al Presidente della Repubblica, nel nuovo ordinamento, sussiste pertanto anche per chi ritenga che sia senz'altro da escludere che la Costituzione ponga limiti all'attribuzione di funzioni meramente formali al Capo dello Stato. E il problema, deve aggiungersi, non di semplice competenza. Non sostenibile la tesi per cui, ove fosse riconosciuta l'incompatibilit dell'attribuzione di decidere il ricorso straordinario con la posizione costituzionale del Presidente della Repubblica, dovrebbe ritenersi trasferito il potere stesso al Governo, in virt della competenza generale in materia amministrativa che di questo propria (44). La trasformazione del ricorso al re in ricorso al governo implicherebbe, non un semplice trasferimento di competenza, ma una modificazione radicale della struttura dell'istituto. La portata dell'intervento del Ministro competente e del Consiglio dei Ministri sarebbe tutt'altra da quella prevista dalla legislazione in materia e dovrebbe perci crearsi tutto un nuovo sistema di rrocedura. Deve quindi concludersi che, allo stesso modo del principio dell'alternativit con il ricorso giurisdi (42) Cfr. MORTATI: Sull'incostituzionalit, cit., nota 15. (43) Il BACHELET, op. cit., pur riconoscendo che l'intervento del Consiglio dei Ministri ha natura consultiva. (nota 7), attribuisce egualmente al Minist.ro ilpot~rdecisorio. (44) SANDULLI: Sull'ammissibil, ct. La tesi stata, in passato, sostenuta dal MORTATI: Corso di ist#uzioni di diritto pubblico, Padova, 1949, p. 408. -13 zionale, l'attribuzione del potere decisorio al Capo dello Stato costituisce un cardine del ricorso straordinario, per cui, caduta tale attribuzione, non pu non cadere l'intero istituto. 11) La decisione del riccrso straordinario era dunque espressione di un potere proprio del re, era un atto di iniziativa sovrana. Il suo fondamento era nella disposizione dell'articolo 5 dello Statuto albertino: cc .Al Re solo appartiene il potere esecutivo '' Riconosciuta, infatti, la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa dell'atto, il potere di decisione non poteva ritenersi attribuito al re se non nella sua veste di Capo dell'esecutivo. Del resto, i principi della monarchia costituzionale non sembrano consentire soluzione diversa: il potere di decisione non poteva fondarsi su una pretesa funzione sovrana del re, come tale, esplicantesi al di sopra e al di fuori dell'ordinamento amministrativo (45). Comunque, a prescindere da ci, chiaro che solo la configurazione di una competenza generale del re nel campo amministrativo (fosse essa espressione della sua veste di Capo dell'esecutivo, ovvero di Capo dello Stato) poteva giustificare l'attribuzione ad esso di un potere di iniziativa, quale quello che si esercitava nella decisione del ricorso straordinario. Con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il presupposto caduto. .Al Presidente della Repubblica non pi. riconosciuta la qualifica di capo dell'esecutivo, n gli attribuita una competenza amministrativa di carattere generale (spettante, invece, al Governo). Gli atti amministrativi alla cui formazione il Presidente concorre non possono ch 'essere tipici: costituiscono un numero chiuso non suscettibile di estensione per via analogica. Si tratta di vedere se l'elencazione di questi atti contenuta nella Costituzione possa essere integrata, con l'aggiunta di altri provvedimenti specifici, dalla legge ordinaria. La risposta sembra non possa essere che negativa. Gli interventi del Presidente della Repubblica nel campo amministrativo non potrebbero essere estesi oltre i limiti segnati dalla Costituzione senza modificare l'equilibrio delle competenze da questa sancito (46). La previsione costituzionale di determinati atti amministrativi attribuiti al Presidente della Repubblica potrebbe considerarsi rivolta semplicemente a rivestire della garanzia costituzionale alcune soltanto delle competenze presidenziali, solo se fosse sostenibile che l'intervento del Presidente nell'amministrazione trovi fondamento in una competenza di carattere generale, che invece non pu che escludersi di fronte alla norma dell'articolo 95 Cost. Del resto, anche se fosse vera, in principio, la tesi opposta, non potrebbe non fissarsi un preciso limite alla potest del legislatore ordinario di ampliare la sfera degli atti amministrativi di competenza presidenziale. In proposito, opportuno richiamare una di stinzione che, nell'ambito di questi atti, fatta dalla migliore dottrina. La norma dell'art. 89 Cost. (nessun atto del Presidente della Repubblica valido se non controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilit ll) sembra attribuire in ogni caso la competenza a delibetare l'atto al' Ministro , limitando l'intervento del Presidente della Repubblica a una mera funzione simbolica, di suggello formale (47). Sembrerebbe, cio, che debbano ormai escludersi, in modo assoluto atti rientranti, in senso sostanziale, nella competenza del Capo dello Stato, atti, cio, la cui deliberazione possa ad esso spettare. In realt, l'esame completo delle norme costitu zionali che prevedono competenze presidenziali convince della fallacia di questa conclusione. Esistono due specie ben distinte di atti presidenziali (48). Alcuni (ad es., la nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri) rientrano prevalentemente nella competenza del Capo dello Stato, che ne ha l'iniziativa, mentre il Ministro si limita a controfirmarli. .Altri, invece (ed la regola), rientrano nella competenza del Ministro, sono da questi deliberati, ma devono ricevere anche l'ssenso del Presidente della Repubblica (49) e devono essere da questi firmati. Orbene, l'attribuzione, mediante legge ordinaria, al Presidente della Repubblica di un atto del secondo tipo potrebbe forse con~iderarsi legittima, in quanto non avrebbe il valore di spostare l'ordine costituzionale delle competenze, restando sempre attribuita al governo la potest delibe-1 rativa, l'iniziativa della formazione dell'atto (50). Oertamente, per, il legislatore ordinario non potrebbe mai attribuire al Presidente della Repubblica un atto del primo tipo, non contemplato dalla (45) Sul punto, cfr. CI.A.EDULI.I, op. cit. (46) Cos AaRo', op. cit. Contra: SANDULLX: Sull'ammissibilit, cit. (47) Cosi: A. GIANNINI: Il Presidente della Repubblica, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoia, vol. IV, Bolo. gna, 1953, p. 227 ss.; A:MORTH: op. loc. cit. (48) La distinzione delineata con molta chiarezza dal BALLADORE p ALI,mRI,. op. cit., p. 169 ss. La questione ampiamente trattata dal GuGLmun: I cofiitti di attri buzione tra i poteri d(!,llo Stato, in La Corte Costituzionale (Raccolta di studi), Roma, 1958, p. 463 ss. (49) Tale assenso ha ima portata sostanziale, rap.. presenta un vero e proprio concorso di volont e non un mero suggello formale. La ftmzione dell'intervento presidenziale deve ritenersi essere quella di un controllo della rispondenza all'interesse oggettivo e generale dello. Stato degli indirizzi della maggioranza al potere. V. BALIJADORE PALLIERI, op. cit., p. 168; BARILE: I poteri del Presidente della Repubblica, in Riv. trim. dir. pubbl. " 1958, 295. (50) In questo senso la recentissima sentenza della Corte Costituzionale 19 aprile 1962, n. 35, che ha ritenuto giustificato l'intervento del Presidente della Re~ pubblica nell'emanazione di provvedimenti ammini--~ strativi di particolare rilievo, non contemplati dalla Costituzione, in quanto l'intervento stesso non sia richiesto come partecipazione determinante alla formazione dell'atto. -14 Costituzione. Devolvendo al Capo dello Stato un potere autonomo di iniziativa nel campo amministrativo, si verrebbe infatti, senza alcun dubbio ad infrangere i confini segnati dal costituente ~Ile competenze degli organi supremi. In particolare l'attribuzione del potere di decisione del ricors~ straordinario tche non prevista dalla Costituzione) avrebbe l'effetto di snaturare la figura del Oapo dello Stato, attribuendogli quella veste di organo supremo dell'Amministrazione, che come abbiamo visto, spettava al re, ma nett~mente esclusa dalla Costituzione repubblicana. Il potere regio (potere autonomo, proprio del re) di decidere il ricorso straordinario non pu quindi perpetuarsi nel regime repubblicano. Esso non pu attribuirsi a nessuno degli organi contemplati dalla Costituzione: non al Presidente della Repubblica, che non pu assumere competenze am.: ininistrative non previste nella Carta costituzionale, e neppure al Governo, dato che, com.e abbiamo risto, l'attribuzione a questo finirebbe col creare un istituto del tutto nuovo, sconvolgendo la strut~ ura del ricorso quale definita dalla legislazione mtervenuta sotto il vigore dello Statuto albertino. * * * 12) Gravi ed insuperabili sono quindi, ad onta della prassi invalsa, i motivi di inammissibilit del ricorso straordinario nel nuovo ordinamento costituzionale. N, certo, pu valere contro di essi il fatto che alcune reggi successive alla Costituzione (51) fac ciano riferimento al ricorso straordinario com.e ad un istituto vigente. chiaro che queste stesse leggi devono ritenersi inficiate dal vizio di inco stituzionalit che affetta l'istituto da esse regolato in qualche particolare. .Apparentemente, un argomento pi solido sem bra potersi trarre dall'art. 23, 40 co., dello Statuto della Regione siciliana, per il quale i ricorsi am ministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato . Com' noto lo Statuto siciliano (approvato con decreto luogotenenziale 15 maggio 1946, n. 455) stato convertito in legge costituzionale ai sensi e per gli effetti dell'arti colo 116 della Costituzione (1. cost. 26 febbraio 1948, n. 2, art. l ). Sembrerebbe quindi indiscuti bile la legittimit di un istituto presupposto da una norma costituzionale, che ne d una regolamenta zione particolare per un'ipotesi specifica. In realt, anhe l'art. 23 non offre alcun argo mento favorevole alla legittimit del ricorso stra ordinario (52). (51) Art. 7, legge 21 dicembre 1950, n. 1018, che istituisce una nuova tassa di ricorso. (52) Sulla questione, v. CIARDULLI, op. cit. .Anzitutto, si deve notare che, se, effettivamente, il ricorso al Presidente della Regione lo stesso ricorso straordinario, con il solo mutamento dell'organo decidente, il contrasto-che, come abbiamo visto, esiste fra l'istituto generale e la Costituzione, non che essere eliminato dall'art. 23, comporterebbe l'illegittimit di questa norma e quindi la sua caducazione. ~e norme dello Statuto hanno infatti grado inferiore a quelle contenute nella Costituzione: il loro limite inderogabile fissato dall'art. 116 Cost., che stabilisce in maniera precisa il loro possibile contenuto nella determinazione di frme e condizioni particolari di autonomia. L'attribuzione di efficacia costituzionale alle norme dello Statuto (come, del resto, risulta dalla lettera stessa della legge costituzionale, n. 2 del 1948) non pu quindi estendersi a quelle disposizioni che risultino in contrasto con i principi della Costituzione (53). Rientra nello stesso concetto dell'autonomia 'che l'ordinamento di un ente autonomo non possa ispi rarsi a principi contrastanti con quelli che reggono l'ordinamento sovrano, da cui trae il proprio fon damento. Stabilito, pertanto, che il ricorso straordinario al Capo dello Stato non pu conciliarsi con i pr~cipi della Qostituzione, l'attribuzione della re lativa competenza ad un organo regionale (operata prima dell'entrata in vigore della Costituzione) deve ritenersi travolta dall'eliminazione radicale dell'istituto. E quindi la successiva recezione dello Statuto nell'ordinamento costituzionale non pu essersi estesa alla norma dell'art. 23, ormai defini tivamente caducata fin dal momento dell'entrata in vigore della Costituzione. Peraltro, sembra pi esatto ritenere che il ri corso al Presidente della Regione sia un istituto del tutto diverso dal tradizionale ricorso straordi nario e che quindi nessun argomento a favore del secondo possa esser tratto dalla disciplina del pri mo (54). Comunque, quale che sia la ricostruzione esatta di questo speciale ricorso, indubitabile che la natura della norma che lo contempla impone la necessit di verificarne la legittimit costituzio nale e che costituirebbe un'inammissibile inversione logica il voler trarre da essa argomenti per la solu zione della questione di legittimit costituzionale dell'istituto generale che essa sembra presup porre. MARCELLO CONTI PROCURATORE DELLO STATO (53) Cfr. Corte Cost. 27 febbraio 1957, n. 38; MoRTATI: Sull'incostituzionalit dell'art. 23, ult. co., Statuto Reg. sic., cit. (54) Cos BACHELET, op. cit., nota 11. Contra: LANDl: Profili e problemi della giustizia amministrativa in Sicilia, Milano, 1951, p. 78 ss. NOTE DI DOTTRINA LUIGI MoNTES.A.NO : Processo civile e pubblica amministrazione in Trattato del processo civile , diretto da Francesco Carneletti, Napoli, 1960. la prima vlta, a quanto ci risulta, che un trattato di diritto processuale civile dia tanto rilievo alla posizione della P . .A. nei processo civile, sia per quanto attiene alla tutela dei diritti soggettivi nei suoi confronti, sia per ci che riguarda la realizzazione delle sue pretese fuori del processo. Ci per noi motivo di vivo compiacimento anche se non condividiamo le premesse, da cui parte l'Autore, e la maggior parte delle conseguenze cui perviene. Il tema, che l'Autore si propone di dimostrare, la insussistenza di quelle, che, da circa un secolo, .sono definite le peculiari limitazioni delle potest, processuali civili riguardo all'attivit amministrativa e che la maggior parte della dottrina e la giuri. sprudenza riconducono al principio della divisione _dei poteri. L'Autore, pur accettando i risultati, cui pervenuta la giurisprudenza, ne ricerca un diverso fondamento e perviene alla conclusione che non si tratta di effetti processuali, ma di particolari applicazioni delle norme sulla tutela giurisdizionale dei diritti o conseguenze processuali della sostanziale imperativit inerente ai provvedimenti dell'autorit, cosi trasportando sul terreno sostanziale quelli, che finora sono stati ritenuti effetti processuali. Egli in sostanza tenta di dare un'originale ed autonoma interpretazione degli artt. 4, 5, 7 e 8 della legge 20 mar. 1865, n. 2248, allegato E, che prescinda dal travaglio secolare della dottrina e della giurisprudenza, le quali su queste e poche altre norme hanno creato il vigente ordinamento amministrativo. La funzione storica dell'art. 4, secondo l'Autore, si sarebbe esaurita nella precisazione che, :attribuendosi al giudice la tutela dei diritti, non gli si trasfrivano anche le funzioni amministrative gi attribuite ai Tribunali del contenzioso ed agli -Organi contenziosi della P.A. e, conseguentemente, -che al cittadino, il quale avesse esaurito le vie giudiziarie, fosse ancora consentito esperire i vecchi rimesi amministrativi per la eliminazione dell'atto illegittimo. Per quanto attiene all'art. 5 l'Autore, prendendo spunto anche da recenti studi sul giudizio di costituzionalit delle leggi (che, per la verit, ha ad oggetto sia l'atto legislativo con riferimento alle disposizioni costituzionali, che ne regolano la for inazione, sia la norma in esso contenuta, in rela zione alle disposizioni sostanziali della Costituzione) afferma che la disapplicazione si riferisce alle norme contenute nell'atto, non all'atto ed esclude, quindi, che il giudice, per disapplicare-l'atto-norma, debba pronunciare sull'atto. La disapplicazione implicherebbe un giudizio incidentale sulla legittimit dell'atto, una pregiudiziale amministrativa nel processo civile, che, secondo l'Autore, il giudice potrebbe decidere incidenter tantum e s.enza che si formi giudicato sulla legittimit dell'atto. Il principio accolto dall'Autore contrasta, a nostro avviso, con il sistema vigente, che solo eccezionalmente attribuisce all'autorit giudiziaria ordinaria (in: sede penale) il potere di decidere incidenter tantum una controversia amministrativa (artt. 20 e 21 C. p. c.). L'art. 295 C. p. c., infatti, prevede la sospensione del processo civile in attesa che il giudice competente decida la controversia amministrativa. La disapplicazione, come riteniamo di avere altra volta dimostrato, non implica una pronunzia, neppure incidenter tantum, sulla legittimit, ma solo sulla estrinseca legalit dell'atto amministrativo (Rassegna 1952, p. 37-40; ivi 1953, p. 125). L'Autore, che dichiara di aderire alla teoria della responsabilit indiretta della P.A., nega, poi, che a questa siano applicabili i principi della colpa aquiliana. La responsabilit della P.A. sarebbe, perci, fondata sulla perdurante efficacia dell'atto illegittimo, che legittimamente sacrificherebbe il diritto del privato; essa, perci, sarebbe sostanzialmente in ogni caso responsabilit da atto legittimo. Questa responsabilit, per, l'Autore esatta mente ricollega non a qualsiasi lesione (violazione) di norme; ma solo alla illegittimit dell'atto nella parte, in cui dispone un sacrificio patrimoniale. Conseguentemente resta escluso che il giudice or dinario possa, sia pure incidenter_ tantum, accertare l'eccesso di potere, che non attiene mai alla parte del provvedimento, che sacrifica il diritto del pri vato. Sulle orme dello Scialoia, sostanzialmente am mette una doppia tutela, ponendo come criterio di discriminazione della giurisdizione la causa potendi, con la conseguenza che un prov:vedimento, il quale, come atto imperativo non mai lesivo del- l'altrui diritto, potrebbe essere impugnato al Con siglio di Stato per violazione delle norme, che lo regolano (c.d. norme di azione) e potrebbe dar :mmm -16 luogo ad azione giudiziaria, per la parte, in cui disposto il sacrificio patrimoniale. evidente la conseguenza: se il risarcimento chiesto per un vizio dell!atto, che non incide sul diritto soggettivo, il giudice rigetta la domanda, non declina fa, giurisdizione. I tradizionali limiti della giurisdizione nei confronti della P . .A.. si tra ducono, cos, in necessari riflessi processuali della soggezione del cittadino alla potest sovrana della P . .A.. ed alla imperativit degli atti amministrativi, ancorch illegittimi. L'Autore,. esamina poi, diffusamente i casi di applicazione dell'art. 4 legge 20 marzo 1865, allegato E, n. 2248, che restringe alla eliminazione di una obiettiva incertezza, la quale d luogo a sentenza dichiarativa, ed all'accertamento di una turbativa ad un diritto assoluto del cittadino o di un inadempimento, che dnno luogo solo a sentenza di condanna a risarcimento del danno. Passando, poi, ad esaminare le singole azioni esperibili contro la P . .A.., l'Autore esclude che vi siano limiti alla giurisdizione, per ravvisare solo effetti processuali conseguenti a posizioni di diritto sostanziale, quali, ad esempio, l'infungibilit di ogni prestazione della P . .A.., l'insussistenza di diritti di fronte. al merito amministrativo, l'insussistenza di norme, che concedano in astratto, la tutela invocata dall'attore. .Anche a proposito delle decisioni di annullamento l'Autore accoglie i risultati della giurisprudenza, sostituendovi il fondamento razionale: da queste decisioni non sorge diritto a risarcimento (salva l'ipotesi dei diritti affievoliti, per i quali dovuto un indennizzo, ma su basi diverse) perch non eliminano in radice la situazione creata dall'atto annullato, ma impongono un ;procedimento regolato da norme di azione. In conclusione, secondo l'Autore, il giudice civile sempre incompetente a pronunciare in via principale l'illegittimit dell'atto; ma sempre competente a pronunziare il risarcimento del danno conseguente a tale illegittimit, sia che questa debba da lui essere accertata incidenter tantum, sia che sia stata accertata dal giudice amministrativo. Questi, a sua volta, sempre competente a pronunciare l'illegittimit dell'atto, anche se abbia leso un diritto soggettivo, ed incompetente per i danni. Per quanto attiene all'esecutoriet degli atti amministrativi l'Autore, pur di negare una qualsiasi deroga al divieto della ragione fattasi ed al principio generale della necessaria verificazione giurisdizionale delle pretese (in verit meno generale di come spesso si dica) a:ffrma che esso un effetto della imperativit, requisito sostanziale dell'atto, e rappresenta l'attuazione di situazioni assolute, la realizzazione di un interesse con l'esercizio di potest sostanziale, che gli coordinata. Ora, anche ammesso, per seguire l'esempio dell'Autore, che l'atto di requisizione dia la piena disponibilit della cosa requisita, resta sempre il fatto che la P . .A.. si impossessa di essa senza la previa verifica giurisdizionale della pretesa e senza un'esecuzione giudiziaria, il che senza dubbio una deroga ai principi generali. Coerentemente alle premesse, l'.Autore nega che fra autorit giudiziaria e P . .A.. possa sussist.ere un "conflitto di attribuzione. Le norme contenute nella legge del 1877 e nel vigente codice di rito attribuirebbero alla Corte di Cassazione il potere di accertare una particolare infondatezza della domanda a causa dei poteri attribuiti alla P.A., la improponibilit risolvendosi nella carenza assoluta. di diritto nei confronti della P . .A.. La Cassazione, quale giudice del conflitto~ avrebbe la potest di pronunziare su una particolare infondatezza della domanda e la competenza giudiziaria andrebbe riferita a tale potest con la conseguente duplicit di effetti delle sentenze: ritenendo infondata la questione (di giurisdizione) la Corte negherebbe la propria competenza e riconoscerebbe quella del giudice di merito; accogliendola, invece, deciderebbe competenza e merito, dichiarando infondata la domanda a causa dei poteri della P . .A.. L'Autore, sempre coerente alle premesse, esclude. infine, che la P . .A.. possa denunziare il conflitto di attribuzioni con l'.Autorit giudiziaria alla Corte Costituzionale. Su questo punto, peraltro, riteniamo che sia sufficiente riportarsi a quanto avemmo occasione di scrivere nella Raccolta di studi, sulla Oorte Costituzionale (vedasi anche LUCIFREDI voce Oonfiitto di Attribuzione, in Enciclopedia del diritto , IV, p. 284; contra: Manca e Berruti} voce Oonfiitto, in Novissimo Digesto italiano, II, p. 46). RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE -Giudizi incidentali di legittimit -Leggi provvedimento -Giudizio sulla rilevanza -Possibilit 0di diversa pronunzia. (Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 22 dicembre 1961 - Pres.: Cappi; Rel.: Cassandro), Il giudizio sulla rilevanza della questione incidentale di costituzionalit spetta esclusivamente al giudice a quo. Tuttavia non da escludere che nei gradi suc< 1essivi di giudizio una diversa pronunzia sulla rilevanza comporti, come sua conseguenza, l'inefficacia della sentenza della Oorte che sia stata pronunciata in base al precedente giudizio. Questa sentensa rappresenta la pi autorevole delle conferme della esattezza della tesi sostenuta su questa Rassegna, 1961, ,pagg. 35 segg. n meccanigmo giudiziario per l'introduzione della questione di legittimit costituzionale . quello che : concepito per le leggi-norma, deve di necessit funzionare anche nell'ipotesi che la controversia costitu: i:ionale sorga a p1oposito di una legge-provvedimento. D'altra parte, non pu la Oorte Oostituzionale confiscare i poteri del Giudice del processo c.d. princ,'pale e decidere, essa, delle quegtioni di diritto soggettivo, la cui soluzione in un senso determinato costituisce la premessa necessaria per la rilevanza -dice la sentenza annotata ~o per la stessa esistenza -oserebbe dire il commentatore -della questione di legittimit costituzionale. Meno che mai, poi, si pu pensare che 1tn'ipotesi da lavoro in ordine alla questione di fondo dibattuta nel p1ocesso principale (com' quella che si concreta nell'ordinanza di masmissione degli atti), per il puro e semplice fatto di essere stata tenuta a base di una pronuncia di legittimit costituziori4le, tra.sformi la sua natura in quella di una certezza assiomatica: in altri termini, che un'ordinanza si trovi rivestita del valore che proprio della sentenza passata in cosa giudicato. E' forza, pertanto, concludere che il carattere ipotetico e provvisorio dell'mdinanza che ha introdotto il giudizio di legittirnit co.~tituzionale si riverbma nella gentenza che tale giudizio conclude. Se le ulteriori mete che il processo principale verr a raggiungere dopo la conclusi9ne dell'episodio di legittimit costituzionale confermeranno l'ipotesi che sta a base dell'Ordinanza di trasmissione, la sentenza della aorte costituzionale spiegher tutti gli effetti che le sono propri. Se l'ordinanza si rilever frutto di un apprezzamento erroneo, e comunque inesitto, la sentenza costituzionaler egterit caducata. La Oorte costituzionale, nella pronunzia che qui si esamina, riconduce it fenomeno sopra descritto all'apprezzamento della rilevanza della question~ di legittimit costituzionale. Si vera sunt exposita, la questione di legittimit costituzionale rilevante ai fini del decidere, e la pronuncia dell'Alta Sede del sindacato degli atti legislativi efficace. Diversamente, la sentenza costituzionale rimane priva di efficacia. Orediamo che, per q1w,nto dubbi di carattere astrattamente teorico questa costruzione giuridica possa suscitare, non ci sia altra via per ricondurre la particolarit in esame nelle linee generali del processo costituzionale, come sono tracciate dalle leggi vigenti. Ohe, poi, sia necessario istituire delle regole ad hoc per il sindacato delle leggi provvedimento, ove si ritenga necessario per il futuro fa1e ancora ricorso a questo tipo di atti, altro discorso, in ordine al quale dovrebbe regnare la concordia. F.A. CORTE COSTITUZIONALE -Ricorso per conflitti di attribuzione e impugnazione di leggi in via principale -Cessazione della materia del contendere. (Corte costituzionale, 14 febbraio 1962, n. 3 -Pres.: Cappi; Rel.: Manca). La cessazione della materia del contendere pronunzia, che attiene all'oggetto della controversia e non al processo, come la rinunzia. La pronunzia sulla competenza presuppone la permanenza del contrasto e, quindi, dell'interesse alla pronunzia stessa, che non sussistono quando sia venuto meno l'oggetto della controversia. L'annullamento em-tunc del provvedimento, che ha dato origine al ricorso, travolge anche l'affermazione di competenza contenuta nelle sue premesse e fa cessare la materia del contendere. Prendiamo atto della decisione, che ha risolto una delicata questione d'ordine processuale e che, perci, rappresenta un alwo punto fermo nella disciplina del processo costituzionale. L'affmmazione che la pronunzia di cessata mate1ia del contendere attiene al merito ed implica l'accertamento della cessazione del conflitto per riconoscimento, sia pure implicitn,. della incompetenza dell'ente, che ha emanato l'atto, sodd-i-sja pienamente l'interesse dell'ente ricorrente. Dato l'interesge, che presenta la questiune, riteniamo opp01tuno rip01tare integralmente la motivazione della sentenza. 3 iWfNFRfffRT iWfNFRfffRT -18 1) La difesa dello Stato,. anche nell'attuale conctroversia, dedue che nei giudizi per conflitto di attribuzione non si possa dichiarare cessata la materia del contendere. Vi osterebbero, si assume, le disposizioni dell'art. 27 ultimo comma delle norme integrative e dell'art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Per quanto riguarda peraltro l'ultimo comma dell'art. 27 (relativo ai conflitti di attribuzione), con la sentenza di questa Corte n. 74 del 1960, si gi rilevato che la rinunzia cui esso si riferisce incide esclusivamente sul processo e, qualora sia accettata, ne produce l'estinzione, mentre la dichiarazione che cessata la materia del contendere costituisce pronunzia attinente all'oggetto della controversia, e perci non trova impedimento nella norma citata. N, d'altra parte, la formulazione letterale di questa, (che riproduce quella dell'art. 25 ultima parte, riguardante i giudizi di legittimit costituzionale proposti in via principale), in quanto non ammette altra causa di estinzione del processo diversa dalla rinunzia, contrasta con tale interpretazione, come insiste nel rilevare l'Avvocatura dello Stato. La norma infatti deve essere intesa come tem peramento del divieto contenuto nel precedente art. 22, relativo ai giudizi di legittimit costituzio nale promossi in via incidentale, e che esclude, dato il carattere particolare di tali giudizi, pi volte posto in lue dalla giurisprudenza di questa Corte, che in essi possano applicarsi gli istituti processuali della sospensione, della interruzione, e dell'estinzione, neppure quando, per qualsiasi causa, silli venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'autorit giurisdizionale. Temperamento che si spiega e si giustifica con la considerazione che i giudizi di legittimit costituzionale in via principale e quelli per conflitto di attribuzione, sono promossi soltanto su istanza degli organi costituzionalmente qualificati, ai quali si coeren temente rin:iessa la valutazione circa l'opportunit, di fronte a situazioni sopravvenute, di desistere dal giudizio prima dell'emanazione della sentenza. Dal coordinamento delle ricordate norme risulta chiarito il significato, e ne discende la conferma che esse operano esclusivamente nell'ambito del processo. Nelle medesime pertanto non si pu ricompren dere, come si gi ritenuto nella sentenza sopra ricordata, anche la dichiarazione deila cessazione della. materia del dibattito la quale, a differenza della rinunzia al processo, importa, da parte del l'organo giudicante, un'indagine circa il merito della contestazione. 2) Neppure giova alla tesi sostenuta dalla difesa dello Stato, il richiamo all'art. 38 della legge del 1953, n. 87 sopra citato. Questo stabilisce bens quale debba essere la statuizione della Corte nel caso in cui sia chiamata a risolvere nn conflitto di attribuzione, disponendo che deve dichiarare a quale degli organi costituzionali spetti il potere in contestazione, con il conseguente annullamento, se sia stato emanato, dell'atto viziato da incompetenza. palese peraltro che questa disposizione presuppone sussistente una situazione di contrasto, che la Corte costituzionale deve dirimere, ma non esige che, ad una siffatta statuizione, si debba, secondo che si assume, addivenire anche quando sia accertato che venuto meno l'oggetto stesso della controversia, e, in conseguenza, come pure ha rilevato questa-Corte nella sentenza n. 7 4 del 1960, sopra ricordata, anche l'interesse da parte del ricorrente ad ottenere una pronunzia sull'appartenenza del potere, ipotesi questa che si appunto verificata nella specie. 3) L'Avvocatura dello ::Stato obietta che, sebbene il decreto emesso dal Presidente della Regione il 20 giugno 1961, abbia eliminato l'atto (cio i1 precedente decreto del Presidente della Regione del 31 maggio 1961) che aveva dato luogo al ricorso, non ha tuttavia espressamente riconosciuto l'incompetenza della Regione siciliana a provvedere in materia di giuoco d'azzardo. Onde, si assume, la permanenza dell'interesse alla risoluzione del conflitto, tuttora in atto, con il riconoscimento dell'esclusiva competenza dello Stato. peraltro da rilevare che, se anche nella motivazione del decreto del 20 giugno 1961 si accenna soltanto all'opportunit di porre nel nulla il precedente decreto, nel dispositivo viene precisato che quest'ultimo provvedimento annullato, con effetto dal giorno della sua emanazione. Con quell'effetto cio che proprio dell'annullamento ew tumc e che, nella specie, importa una invalidazione, la quale investe nella totalit il precedente provvedimento, comprese le premesse del medesimo, contenenti affermazioni circa la competenza della Regione in materia di giuoco d'azzardo, in contrasto con quanto ha gi ritenuto questa Corte con le sentenze n. 58 del 26 novembre 1959 e n. 23 del 12 maggio 1961. Ne deriva pertanto che, in base al decreto del 20 giugno 1961 (non impugnato dallo Stato), venuto meno l'oggetto del giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri~ e che perci, in conformit della richiesta della difesa della Regione, si deve dichiarare cessata la materia del contendere in relazione al decreto del 31 maggio 1961 ora impugnato, decreto al quale non si data alcuna esecuzione. 4) Diverso da quello in esame il caso prospettato dall'Avvocatura dello Stato di un ricorso relativo ad un atto con efficacia immediata, o limitata nel tempo, e venuta a cessare nel corso del giudizio in questa sede. Poich, nel caso anzidetto, si tratterebbe non gi dell'annullamento dell'atto~ oggetto dell'impugnazione, ma di esaurimento degli effetti dell'atto medesimo, di guisa che resterebbe aperto il dibattito circa la spettanza del potere e permarrebbe quindi l'interesse della parte --rieor--rente ad ottenere la decisione di questa Corte, ai sensi dell'art. 38 della legge n. 87 del 1953, con l'eventuale annullamento dell'atto emanato, di cui l'effetto cessato. -19 CORTE COSTITUZIONALE -Decreti legislativi delegati -Legge di delega -Proroga -Approvazione in Commissione -Illegittimit costituzionale. (Corte costituzionale, 10 aprile 1962, n. 32 -Pres.: Cappi; Rel.: Ambrosini). La legge, che, dopo la scadenza del termine fissato dalla legge delega, fissa un nuovo termine per l'esercizio, da parte del Governo, della potest legislativa delegata, deve considerarsi anche essa legge di delegazione e deve, pertanto, essere sottoposta alla procedura normale di esame e di approvazione diretta della CJimera, ai sensi dell'art. 72 della Costituzione. Con questa sentenza, di cui si riporta integralmente la motivazione, 7.a Corte conferma la sua precedente giurisprudenza sul controllo di costituzionalit del procedimento di formazione delle leggi nei limiti fissati dalle disposizioni della Costituzione e delle altre leggi costituzionali (vedasi sentenza n. 9, del 3 marzo 1959 in questa Rassegna, 1959, p. 11). Le tre cause, trattate congiuntamente all'udienza, possono essere decise, data l'identit dell'oggetto, con unica sentenza. Comprensiva ed assorbente, di fronte alle questioni di legittimit costituzionale proposte con l'ordinanza del Tribunale di Belluno e con quella del Tribunale di Roma, la questione proposta dalla Corte d'appello di Roma, che, a differenza delle precedenti, non riguarda articoli specifici del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina fiscale della lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti emanato col decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1954, n. 1217, ma investe tutto il Testo unico con la legge del 29 ottobre 1954, n. 1073, in base alla quale esso Testo unico venne emanato. Sull'eccezione pregiudiziale, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, di irrilevanza, ai fini della definizione del processo penale a carico dell'imputato, della questione di legittimit costituzionale proposta dalla Corte d'appello di Roma, va ricordato ehe massima costante di questa Corte, confermata da ultimo nella sentenza n. 78 del 22 dicembre 1961, che il giudizio sul1a rilevanza spetta esclusivamente al giudice a quo, e che quindi non compete alla Corte se non controllare che il giudizio sia stato formulato e motivato. Ora, nell'ordinanza in esame, la rilevanza della proposta q.estione di legittimit costituzionale appare adeguatamente valutata, non solo perch la Corte d'appello ne ha indicato chiaramente i motivi, ma anche perch a tale conclusione arrivata accogliendo, malgrado l'opposizione del Pubblico Ministero, l'istanza del difensore dell'imputato, che, nel sollevare la questione, aveva messo espressamente in rilievo cc che il giudizio non pu essere. definito indipendentemente dal1a risoluzione della questione di legittimit costituzionale sollevata . Priva di fondamento quindi l'eccezione pregiudiziale del1a .Avvocatura dello Stato. Ugualmente infondata l'eccezione di inammissibilit che la .Avvocatura dello Stato ha pro spettato nella difesa orale, adducendo che il Testo unico impugnato deve ritenersi di carattere compilatorio e di perfezionamento tecnico, e che perci non ha il valore di atto avente forza di legge e conseguentemente non pu formare oggetto di giudizio di legittimit costituzionale. Ma da osservare in contrario che, a parte ogni questione sul valore in genere dei vari tipi di testi unici, non vi ha dubbio che il Testo unico impugnato ha carattere legislativo, sia per la forma, perch emanato nella forma di decreto legislativo in base alla delega disposta dall'art. 3 della legge 29 ottobre 1954, n. 1073, sia per la sostanza, data l'ampiezza della delega in virt della quale il Governo fu facultato ad emanare il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina fiscale della lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti, apportando alle disposizioni stesse le modificazioni necessarie per il loro coordinamento e la loro migliore formulazione, nonch per il perfezionamento tecnico delle misure di vigilanza e di controllo . Nel merito, dei due motivi addotti dalla Corte d'appel1o di Roma per proporre la questione di legittimit costituzionale del Testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1954, n. 1217 e della legge del 29 ottobre 1954, n. 1073, in base alla quale tale Testo unico fu emanato, d'uopo esaminare in precedenza il motivo che investe all'origine la legittimit di questa legge in riguardo al procedimento della sua formazione. La legge del 1954, n. 1073, che, dopo la scadenza del termine prefissato per l'emanazione del testo unico previsto nell'art. 3 della legge delega del 20 dicembre 1952, n. 2385, fissa un nuovo termine entro il quale il Governo pu esercitare la potest delegatagli, deve considerarsi anch'essa avente il carattere di legge delega. Come tale, il relativo disegno di legge doveva essere sottoposto alla procedura prescritta dall'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione, che per taluni disegni di legge di particolare importanza, tra i quali quelli di delegazione legislativa, prescrive che deve sempre essere adottata la procedura normale di esame e di approvazione diretta della Camera . Orbene, nel caso in esame, questa procedura non fu seguita. Infatti, come risulsa dal Bollettino 8ommario e Bollettino delle Commissioni della Camera dei Deputati del 13 ottobre 1954, n. 203 (pag. I, col. I), il suddetto disegno di legge fu approvato dalla IV Commissione permanente (Finanze e Tesoro) della Camera <riino caso, e ci ha maggior rilievo, i risultati del -controllo-sono riferiti, tramite il Presidente della (lorte, al Parlamento; nel secondo, invece, si sau- Tiscono nell'ambito dell'ente. L'identit .sostanziale delle norme, comunque, mai escluderebbe l'incompetenza della Regione e, quindi, la illegittimit costituzionale della disposizione di legge regionale. " 6) In ordine alla questione di legittimit clilstituzionale dell'art. 3 legge 21 marzo 1958, n. 259, t!olleva,ta in via incidentale dalla Regione, non possiamo che ripetere quanto avemmo occasione di scrivere nelle deduzioni dell'll settembre 1961, non mancando, per, di rilevare come la Oorte si :aia gi occupata, sia pure in via incidentale, della -questione a; proposito del potere generale di annullamento. Anzi, nelle varie sentenze sull'argomento "(24 dl 1957, 23 e 58 del 1959, 73 del 1960) la Orte pose in rilievo, per negare che si fosse verificato il trasferimento dell'attribuzione dallo Stato alla Regione, proprio l'intervento del Oapo dello Stato, -0he non previsto espressamente dall'art. 87 Oost. La questione -si gi detto - del tutto irriievante potendo e dovendo il sollevato conflitto di :attribuzione essere risolto alla stregua degli arti- coli 100 Oost., 14 e 17 S.S. Sic., ed manifestamente infondata. Nessuna norma costituzionale, peraltro, vieta che la legge ordinaria attribuisca al Presidente della Repubblica il potere di intervenire, nella esplica: zione dell'attivit amministrativa, in ipotesi diverse -da quelle indicate nell'art. 87 Oost. e ci a pre; acindere dalla considerazione che l'art. 3 legge :21 marzo 1958, n. 259 riguarda l'esercizio di atti- vit regolamentare, di esecuzione. Su questo punto la dottrina concorde, pur .considerando diversamente i poteri del Oapo dello Stato. Il SANDULLI (Il Presidente della Repubblica e la .funzione Amministrativa in cc Riv. .A.mm., 1950, I, 149 e in part. 162), dopo aver constatato che il Presidente partecipa sia pure in modo non uniforme e spesso in ruolo di per s non efficiente, :all'azione di tutti i Poteri dello Stato e avere escluso che il Presidente possa essere considerato Oapo .del Potere esecutivo, espressamente afferma: Oi non toglie tuttavia che la competenza del Presi- dente in ordine alla funzione amministrativa Certament pi estesa di quella prevista dall'arti colo 37 Oost. A tale norma, infatti, non va sotto . questo profilo, riconosciuto altro valore se non .quello di aver coperto di garanzia costituzionale .alcune delle competenze presidenziali. Nulla vieta che la legislazione ordinaria preveda .altri casi di partecipazione del Presidente alla funzione amministrativa, n una legge di tal genere potrebbe configurarsi in contrasto con l'art. 95 <()ost. . Negli stessi sensi si esprime il MARCHI, (Il Capo dello Stato, in !Om:=:tm~.=""""'"""":O?.""=""~""~""==""'"=====-~=-,==w.:w.:z:w===~~~..w~============ ad opera dell'art. 3 della Costituzione, di tutte le limitazioni inerenti alla qualifica di libici, sonodivenuti cittadini optimo iure. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: La questione, sottoposta per la prima volta all<> esame di questa Corte suprema, consiste nell<> stabilire quale sia, a seguito della legge che ha date> esecuzione al trattato di pace, lo 8tatus civitatisdi quei cittadini italiani libici che per avere il loro domicilio nel territorio nazionale e non in Libia all'epoca della costituzione del Regno Unito di IJibia (7 ottobre 1951) non hanno acquistato ai sensi delle leggi emanate in detto Regno. la cittadinanza libica. ' Non essendovi alcuna norma legislativa che espr~s~amente regoli la situazione di . detti soggetti, m astratto potrebbero prospettarsi tre-solu-zioni: che essi debbano considerarsi apolidi (tes sostenuta dall'Amministrazione ricorrente) o cittadini italiani optimo iure; ovvero tuttora' cc citta -27 clini italiani libic.i (tesi queste ultime due, sostenute subordinatamente l'una all'altra dal resistente Rascid Kemali). La decisione della corte di .Appello di Napoli, che ha ritenuto il Kemali cittadino italiano, in effetti esatta, e la sentenza impugnata deve essere quindi tenuta ferma, anche se con qualche integra;zione e chiarimento nella motivazione. La Oorte di merito, infatti, ha ritenuto che la soluzione del problema consistesse nell'interpretare l'art. 19 del trattto di pace sottoscritto il 10 gennaio 1947 (reso esecutivo in Italia con decreto legge 28 novembre 194 7, n. 1430) che disciplina appunto la nazionalit e il cambio di cittadinanza dei cittadini italiani a seguito dei mutamenti territoriali imposti dal trattato e che stabilisce che i cittadini domiciliati il 10 giugno 1940 nei territori ceduti dall'Italia, nonch i loro figli nati dopo la detta data, diventeranno cittadini dello Stato cessionario, con il conseguente obbligo di detto Stato di emanare apposite leggi al fine di regolare la situazione dei soggetti interessati (n. I) e con l'ulteriore obbligo di consentire che i cittadini italiani che si trovino in dette condizioni, e la cui lingua usuale l'italiano, possano optare entro un anno per la cittadinanza italiana (n. 2). La Oorte ba ritenuto applicabile la norma in questione anche ai cittadini italiani libici ed anche con riferimento alle colonie alle quali l'Italia dichiar di rinun.7iare (art. 23 del Trattato di pace). A questo secondo pu:nto ha riferimento il primo motivo del ricorso dell'Amministrazione dell'Interno: con il quale si afferma che le disposizioni dell'art. 19 sono applicabili solo ai territori ceduti !l,rte del l'Italia e degli Stati cui in definitiva sarebbe stata attribuita la sovranit su quelle ex colonie. In realt, costituito il Regno Unito di Libia, l'Italia concluse un accordo con il nuovo Stato (stipulata in Roma il 2 ottobre 1956 e reso esecutivo in Italia con la legge 17 agosto 1957, n. 843) in cui fra l'altro si regolarono alcune questioni di natura economica e :finanziaria sorte da quella che fu definita << successione di sovranit fra i due Stati i> nel territorio libico (art. 9), ma non quelle relative alla cittadinanza dei libici. Per queste invece, una legge dello Stato libico (pubblicata il 25 aprile 1954) stabili che venisse considerato cittadino libico chiunque fosse nato in I1ibia, e fosse residente in Libia alla data del 7 ottobre 1951, ma nessuna disposizione interna della R~pubblica italiana ha regolata la sorte di quei cittadini italiani libici ii che per essere (come il Kemali) residenti in Italia, non furono compresi fra coloro che avevano acquistato la cittadinanza del nuovo Regno Unito di Libia. -In difetto di una precisa disposizione al riguardo, quindi, la questione deve essere risolta in base all'analogia ed ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato (art. 12 preleggi); onde, essendo evidente l'analogia di situazione fra territori ceduti ii e territori per cui era avvenuta rinunzia, perfettamente legittima l'applicazione ai secondi, in tutto ci che non regolato da apposita norma, delle disposizioni contenute nel trattato di pace (decreto legge 28 novembre 1947, n.1430) relative ai territori ceduti. Tale procedimento interpretativo del resto, fu altra volta ammesso da questa Corte suprema: la quale (con la sentenza 12 settembre 1952, n. 2900) applic sia pure in materia diversa (societ) una disposizione del Trattato di pace (art. 12 dell'allegato XIV) riguardante espressamente le societ aventi la sede sociale nel terri torio ceduto ii ad una societ avente la sede sociale in Libia, territorio per il -quale era avvenuta l'unilaterale rinunzia i~ di cui all'art. 23 del Trattato. Del resto l'applicazione dell'art. 19 nella presente controversia non veniva neanche direttamente in questione1dal momento che detto articolo regolava la sorte solo dei cittadini italiani domiciliati nei territori ceduti; e non potendo neanche quindi parlarsi (come in un punto della motivazione fa la sentenza impugnata) di diritto di opzione a favore della. cittadinanza italiana nei confronti del Kemali che per risiedere in Italia, non si trovava nelle condizioni di cui al ripetuto art. 19. In realt, come esattamente nota in altro punto la stessa sentenza, per i cittadini italiani libici ii cos come per tutti gli altri cittadini (ammesso che i primi potessero considerarsi cittadini e non sudditi italiani, del che si dira in appresso), la questfo:rie no:q_ si poneva neppure se essi fossero domiciliati nel territorio metropolitano cio in territorio non ceduto n rinunziato, essi restavano (come naturale) cittadini italiani, senza bisogno di alcuna manife stazione di volon~ (opzione). Entro tali limiti, e -28 soltanto a tale scopo veniva in discussione solo una delle disposizioni contenute nell'art. 19 del ';rrattato di pace: la norma per la quale i soggetti ivi considerati perderanno la loro cittadinanza italiana al momento in cui diverranno cittadini dello Stato subentrante (e quindi, se non avranno acquistato altra cittadinanza resteranno italiani); norma secondo la quale il Kemali, che non ha acquistato la cittadinanza libica; ha conservato la nazionalit italiana. Non vi bisogno del resto, nella controversia in esame, neanche di ricorrere all'applicazione analogica di detta norma, costituendo essa una particolare manifestazione di un ;principio generale del nostro ordinamento giuridico (tradotto in norma legislativa, fra l'altro, negli artt. 8 n. 1 e 2, 10 comma 3, 11 comma 1, 12 comma 20 della legge fondamentale sulla cittadinanza italiana, 13 giugno 1912, n. 555) secondo il quale (salvo casi di indegnit o di incompatibilit espressamente previsti dalla legge: ad esempio art. 8 n. 3 della legge citata) la cittadinanza italiana non si perde se non a1 momento dell'acquisto di nazionalit. diversa. E ci, a sua volta in applicazione dell'altro principio fondamentale, comune ad ogni ordinamento di un moderno Stato di diritto, per cui l'apolidia uno stato eccezionale, perch ogni persona umana ha diritto per quanto possibile ad uno status civitatis: principio fondamentale formulato anche nell'art. 15 della dichia; razione universale dei diritti umani, approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale dichiarazione non ha solo per la nostra legislazione interna, un valore programmatico, essa infatti costituisce un principio generale, che deve ritenersi accolto nel nostro ordinamento non solo ex art. 10 della costituzione (come ha ritenuto la corte di merito) ma anche in virt dell'espresso riconos13imento, se anche indiretto, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, che ha dato piena ed intera esecuzione all'analoga Convenzione per. la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali, sottoscritta dai Governi degli Stati membri del Consiglio di Europa il 4 novembre 1950 (la quale, a sua volta, nel preambolo, si richiama alla Dichiarazione dell'O.N. U. del 1948). Si deve perci concludere che principio generale del nostro ardinamento giuridico che un cittadino italiano non possa essere privato dello status civitatis e ridotto alla condizione di apolide, senza una espressa disposizione di legge: la quale, nel caso dei cittadini italiani libici che per essere domiciliati. in Italia, non sono divenuti cittadini del nuovo Stato di Libia, manca assolutamente. Ci, s'intende, sempre che il Kemali dovesse essere considerato cittadino italiano: che cio la particolare cittadinanza italiana libica ; fosse una vera e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari limitazioni nel godimenso di alcuni diritti, specialmente politici. ci che contesta l'Amministrazione resistente; la quale (in una delle censure formulate nel secondo motivo del ricorso) afferma che quella << cittadinanza fu una lnstra esteriore, concessa ai libici per motivi politici e che in definitiva, i libici erano sudditi e non cittadini italiani. Anche su questo punto per la decisione impugnata esatta. Essa ha ritenuto che la cittadinanza italiana libica -che garantiva ai libici il godimento di tutti i diritti civici non riservati ai cittadini metropolitani -costittrisse uno stus di cittadinanza italiana speciale, non un rapporto simile alla sudditanza, rapporto che come noto, prescinde dal passesso di uno status derivante dall'organico collegamento del singolo al territorio dello Stato. da osservare, infatti, che ai libici la cittaidinanza fu per la prima volta concessa, non dal regio decreto legge 3 dicembre 1934, n. 2012 (cui si riferiscono la sentenza impugnata e le parti), ma nell'immediato primo dodoguerra, e precisamente con il D.L.L. (lo giugno 1919, n. 931 (relativo all'ordinamento della Tripolitania) ed il regio decreto legge 31 ottobre 1919, n. 2401 (relativo all'ordinamento della Cirenaica). Questi provvedimenti disponevano (art. 1 dei due decreti) in relazione rispettivamente ai tripolitani ed ai cirenaici che essi sono considerati cittadini italiani, parlando cos semplicemente di cittadinanza italiana sia pure imponendo poi a detti cittadini particolari limitazioni. I cittadini di cui flill'art. 1 conservavano infatti il proprio statuto personale e successorio e godevano (art. 5) dei diritti fondamentali di libert e di inviolabilit del domicilio e della propriet nonch del diritto di concorrere alle cariche civili e militari di cui agli ordinamenti locali ed il diritto elettorale attivo e passivo per gli organi rappresentativi coloniali (art. 5 n. 4 e 6) del diritto di esercitare la professione liberamente anche in Italia (n. 5), e perfino di alcuni diritti politici nel territorio metropolitano, quale il diritto di petizione (di cui all'art. 57 dello Statuto Albertino) al parlamento nazionale (art. 5 n. 7). Non poteva non parlarsi, in tali condizioni, di una vera e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari limitazioni, essendo attribuito ai libici perfino l'esercizio di diritti politici nel Regno, esercizio che l'elemento caratteristico dello statu11 civitatis di una condizione, cio, che ricorda singolarmente la latinitas dell'ordinamento romano classico. ben vero che, dopo l'iilstaurazione del regime fascista, quell'ordinamento ispirato a principi largamente liberali nei confronti delle popolazioni della Libia venne in parte mutato, si che con la legge 26 giugno 1927, n. 1013, nonch con la successiva legge gi ricordata del 1934, n. 2012 (gli art. 29 a 38 della prima, riguardanti la cittadinanza libica, sono identici agli artt. 33 a 42 della legge del 1934) si parl di <> ponendo cosi in rilievo che la distinzione era di natura sostanziale ad esempio, l'art. 4 del codice penale del 1930. D'altra parte, lo stato di cittadino italiano non pu ritenersi escluso per il solo fatto che per i libici era limitato, nei confronti dei cittadini metropolitani, l'esercizio dei diritti politici: che la legislazione dell'epoca presenta numerosi esempi di discriminazioni nei confronti di alcune categorie di soggetti, dei quali pure non pu porsi in dubbio lo status di cittadini italiani. Ed slifficiente ricordare (oltre che la cosiddetta piccola cittadinanza senza il godimento dei diritti plitici, di cui ai decreti legge 10 settembre 1922, n. 1387 e 14 giugno 1923, n. 1418) la condizione in. cui vennero a trovarsi i cittadini italiani di stirpe ebraica dopo i noti provvedimenti razziali >> del 1938-1939; essi cosi come i cittadini libici erano ammessi al" l'esercizio professionale solo a favore degli appartenenti alla medesima stirpe; e, a differenza degli arabi libici, i quali per lo meno godevano dell'esercizio de~ diritti politici in quattro provincie del Regno furono privati in toto dell'esercizio di quei diritti, pure rimanendo cittadini italiani. Si deve concludere quindi, che lo status del Kemali fosse quello di cittadino italiano, sia pure con particolari limitazioni a motiv9 della stirpe . alla quale appartiene; e che di conseguenza al momento della rinunzia dell'Italia alla colonia libica, non fu privato dello status civitatis, non avendo acquistato (poich domiciliato in Italia) la cittadinanza del nuovo Regno Unito di Libia; e in difetto di qualsiasi norma legislativa che consenta di ritenere che egli sia stato ridotto alla con.. dizione di apolide. Resta da esaminare, a questo punto, per quali motivi un cittadino italiano libico >> residente in Italia, debba essere oggi considerato cittadino italiano optimo iure. L'Amministrazione ricorrente, infatti afferma che il trattato fil pace rum avrebbe potuto procedere alla promozione >> del Kemali da cittadino italiano libico a cittadino italiano tout-court, perch esso non avrebbe potuto interferire nella pi gelosa sfera della sovranit nazionale, quale quella dell'attribuzione della cittadinanza. Ma la asserita conversione >> in cittadinanza metropolitana della cittadinanza libica effetto diretto proprio della legislaziane italiana del dopoguerra, una volta ammesso, come deve essere ammesso, che la cittadinanza italiana libica>> inte~ grasse uno status di vera e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari limitazioni. Ci non soltanto per la constatazione evidente (su cui soltanto si sofferma la sentenza impugnata) che la speciale cittadinanza suddetta non pu pi sussistere dopo la perdita dei territori libici, essendo strettamente collegata, e presupponendo l'ordinamento coloniale; ma per il motivo assorbente che la legislazione italiana del dopoguerra ha soppresso tutte le limitazioni al libero esercizio dei diritti civili e politici imposto in precedenza ad alcune categorie di cittadini. Oi aV-Venuto, infatti non soltanto in virt dell'art. 15 del trattato di pace (il quale divenuto legge italiana a seguito dell'atto legislativo che vi ha dato piena ed intera esecuzione) che, consacrando l'impegno dell'Italia a prendere le misure necessarie per assicurare a tutte le persone soggette alla sua giurisdizione pari godimento dei diritti e delle libert senza distinzione di razza, lingua o religione, costituisce evidentemente un principio cui ispirata la successiva legislazione in materia; ma proprio per l'attuazione di tale principio nel piano legislativo interno. Nel quadro delle leggi speciali che sop pressero le discriminazioni fra i cittadini per motivi razziali attuate nell'ultimo periodo del regime fascista (leggi riguardanti la refutegrazione nei loro diritti dei cittadini ebrei, decreto legislativo, 3 agosto 1947, n. 1906 che abrog le norme relative ai meticci >> etc.) il principio fu consacrato in via generale nell'art. 3 della costituzione del 1947 peti il quale << tutti i cittadini hanno pari .dignit sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali . Norma che per la sua struttura pu-essere immediatamente applicata, e che ha avuto per effetto l'abrogazione di tutte le precedenti disposizioni che creavano disparit fra i cittadini, e ponevano limitazioni ai loro diritti in relazione alla stirpe di appartenenza. Si deve perci ritenere che, dal citato art. 3 siano state abrogate le limitazioni inerenti alla qualifica di libici dei cittadini italiani nativi della Libia, e questi con l'entrata in vigore della Costi tuzione, siano divenuti, alla pari degli .a,ltri citta dini, cittadini optimo iure. Tale va tuttora consi--.- derato il Kemali che come si detto, non ha pe'' duto la nazionalit italiana, non avendo acquistato dopo la costituzione del Regno Unito di Libia, la cittadinanza del nuovo Stato. -30 Oome facile vedere dalla lettura della sentenza, l'argomento fondamentale a sostegno della decisione della Corte Suprema quello che attiene ad una pretesa incompatibilit tra l'art. 3 della Costituzione e le norme della legge ordinaria 9 gennaio 1939, n. 70 che stabilivano particolari limitazioni allo status civitatis dei c.d. cittadini italiani libici. Se cos , evidente che, a parte ogni considerazione sulla esattezza della decisione, questa, comunque, non poteva rientrare nella competenza della Corte di Cassazione, dato che, come noto, ormai jus receptum che ogni questione. sulla incompatibilit di norme di legge ordinaria con norme costituzionali, in quanto questione di legittimit costituzionale, devoluta al giudizio esclusivo della Corte Costituzionale. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Giudicato sulla. giurisdizione. (Corte di cassazione, Sezioni Unite, Sen tenza, n. 2061/61 -Pres.: Oggioni; Est.: Danzi; P.M.: Pepe (conf.) -Bellinzaghi c. Ministero dell'Interno). La questione di giurisdizione non pi proponibile o rilevabile nel corso del giudizio, qualora una prece!fente sentenza non pi impugnabile abbia statuito sul punto esplicitamente, dichiarando la giurisdizione del giudice adito. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: L'Amministrazione resistente, pur non avendo proposto ricorso incidentale sul punto relativo alla giurisdizione, ha eccepito preliminarmente con il controricorso il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda del Belin zaghi. Osservano in proposito le Sezioni U:ri.ite che all'esame di tale eccezione, osta, nella specie, la preclusione del giudicato giacch la sentenza de nunziata, prima di statuire sul merito, ha affron tato ex professo la questione della giurisdizione, affermando che la controversia involgeva la re sponsabilit della P.A. per omissioni addebitabili al Questore di Como ed esulava pertanto dalla previsione dell'art. 1 lettera e) della legge 9 gen naio 1951, n. 10 che richiede il previo esperimento della procedura amministrativa, solo per l'inden nizzo dei danni, immediati e diretti, causati da atti non di combattimento, dolosi o colposi delle Forze Armate alleate. Tale preclusione opera infatti anche nei riguardi della eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sia che la giurisdizione sia stata affer mata decidendo anche il merito, sia che siasi pro nunziato, con sentenza non definitiva, solo sulla giurisdizione se, in questa seconda ipotesi, siano decorsi inutilmente i termini per la impugnazione ordinaria. Queste Sezioni Unite (sent. 22 luglio 1960, n. 2084), superando i contrasti verificatisi nella precedente giurisprudenza, della Suprema Corte, hanno ritenuto che la questione di giurisdi zione non pi proponibile o rilevabile nel crso del giudizio, qualora una precedente sentenza non pi impugnabile abbia statuito sul punto esplici tamente, dichiarando la giurisdizione del giudice adito. Hanno cio affermato che la proponibilit, o rilevabilit d'ufficio, del difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo a norma dell'art. 37 del codice di rito, incontra suttavia un limite insormontabile nella preclusione del giudicato formale e che tale giudicato si costituisee indipendentemente dalla decisione sul merito qualora la soluzione positiva della questione di giu. risdizione sia avvenuta con sentenza non pi soggetta ad impugnazione. I contrasti giurisprudenziali cui accenna la sentenza in rassegna trovano la loro manifestazione soprattutto nella sentenza n. 1254/52 delle stesse Sezioni Unite riportata con nota in questa Rassegna 1952, pag. 142 . . Sulla questione. si veda per una esauriente disamina la Relazione dell'Avvocatura per gli anni 1956-1960, voi. II, n. 38. La sentenza in esame conferma chiaramente ohe il giudicato sulla giurisdizione pu formarsi in base a pionunzia del giudice di merito solo se questa abbia deciso sulla questione di giurisdizione in modo espli9ito. E' esclusa perci la possibilit del giudicato implicito; ed escluso, in conseguenza, che possa verificarsi l'ipotesi gi criticata in relazione alla questione di legittimazione passiva in questa Rassegna 1961, pag. 107 e segg. COMPROMESSO ED ARBITRI -Opere pubbliche Lodo arbitrale -Rinunzia preventiva al gravame Eccezione di incostituzionalit -Manifesta infondatezza. OPERE PUBBLICHE -Appalti -Revisione dei prezzi -Potere della P. A. -Delimitazione -Fattispecie. (Corte di cassazione, Sezioni Unite, Sentenza, n. 907 / 60 -Pres. Cataldi; Est.: Di Maio; P.M.: Colli (conf.) -Comune di Roma c. Impresa Mercuri). Deve ritenersi manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzonale delle norme di cui agli artt. 49 del capitolato generale per gli appalti delle opere dipendenti dal ministero dei lavori pubblici, approvato con decreto ministeriale 28 inaggio 1895 e, 829, ultimo comma, codice procedura civile, che prevedono la rinuncia preventiva delle parti all'impugnativa del lodo arbitrale, giacch le norme stesse non escludono o limitano la tutela giurisdizionale, ma solo consentono all'autonomia privata (come nella simigliante ipotesi dell'art. 360, in cui permesso alle parti di omettere l'appello) di rinunciare preventivamente alla impugnazione della sentenza arbitrale (al fine di eliminare la possibilit del sorgere di nuove con troversie) quando si tratti del rimedio con il quale si contesti unicamente il merito della pronuncia arbitrale. La competenza dell'autorit amministrativa~ in -materia di appalti di opere pubbliche, ai sensi del D.L.C.P.S., n. 1501 del 1947 limitata alla revi. sione dei prezzi pattuiti con le pubbliche amminL strazioni in dipendenza di aumenti o di diminu. -31 :zioni sul costo dei materiali o della mano d'opera veri:fcatisi durante la esecuzione dei lavori, anche -per effetto di circostanze non prevedibili e tali da ia ipotesi, che non interessa, e dal contrasto della seconda con norme costi7uzionali, di cui diremo in seguito, occorre, a nostro avviso, preliminarmente accertare e dimostrare, con congrua motivazione e validi 'argomenti giuridici (cosa che, finora, non ci sembra sia stata fatta), se l'ultima parte de.ll'art. 829 Oodice procedura civile sia applicabile agli arbitrati per le opere pubbliche e, soprattutto, se l'intera disciplina dell'arbitrato, data dal codice di rito, non abbia abrogato l'art. 49 del capitolato generale per le opere pubbliche, il quale, .laddove dichiara il lodo non impugnabile, si pne in evidente contrasto con l norme di ordine pubblico contenute in particolare nell'art. 829. Su questo punto non pare possano sorgere d1,bbi. Una volta escluso il carattere di giurisdizione spe ciale, tutto il giudizio arbitrale per le opere pubblicher a nostro avviso, non poteva sottrarsi alla disciplina dell'arbitrato, interamente e compiutamente prevista nel nuovo codice di rito. E d'altra parte, la stessa;. giurisprudenza, ammettendo, nonostante che l'articolo 49 dichiari il lodo non soggetto ad appello n a cassa sione, l'azione di nullit, ha ritenuto caducata la. norma regolamentare per contrasto con la successiva;. norma di legge, per di piu d'ordine pubblico. Quel che non si comprende come non sia stata ritenuta applicabile l'ultima parte dell'art. 829 Oo dice procedura civile, operando una parziale conser vazione e conversione del piu volte citato art. 49 O.G. L'art. 829 Oodice procedura civile, u.p., che norma d'ordine pubblico, processuale, esclude l'azione .di nullit per errores in indicando solo quando le parti abbiano dichiarato il lodo non impugnabile. At.., tribuisce, cio, all'auto""omia delle parti contraenti il potere di rinunciare preventivamente al rimedio~ che consenta il riesame di merito del lodo.; ma P, necessario che si tmtti di dichiarazione, di mani festazione, cio, dell'autonomia contrattuale. Ora, a prescindere dalla considerazione che i"l ri chiamo, contenuto nella sentenza 22 aprile 1960t m. 907, all'art. 360 Oodice procedura civile, secondo comma, non del tutto appropriato perch in questa ultima ipotesi, come si argomenta espressamente dal combinato disposto dagti artt. 339, 10 comma 3601 20 comma e 366, ultimo comma, la rinuncia all'ap-" pello sucessiva, non preventiva, ed il ricorso per Oassazione ammesso anche per gli errores in udicando, resta il fatto che la non impugnabilit dei lodo deve essere contrattualmente stabilita, dichiaratar cio, d'accordo fra le parti e con riferimento ad un. determinato contratto. . L'art. 49 del Capitolato Generale, che, si ripete,. la giurisprudenza consolidata della Oorte di Gassa+ iione qualifica regolamento, non pu essere ridotto e convertito n pu, comunque, sostituire la espressa dichiarazione, contrattuale, di non impugnabilit del. lodo voluta dalla legge. E ci a prescindere dalla considerazione che la P.A. non potrebbe preventiva mente rinunzia1e al diritto alla tutela giurisdizio nale, rimettendosi ad un giudizio di equit. Riteniamo, quindi; in primo luogo che l'ultima parte dell'art. 829 Oodice. procedura civile non sia applicabile ai lodi in materia di opere pubbliche, che le parti non hanno dichiarato e, secondo, noi,. non potevano dichiarare non impugnabile. Questa considerazione ci esimerebbe da ogni ulteriore indagine sulla legittimit costituzionale di una norma,. che consente la rinuncia preventiva alla azine di nullit, sia pure per i soli vizi di merito, la rinunzia, cio, ad un diritto, che non ancora sorto_, perch sorge so'l<> con la p1onuncia degli arbit~~ . La norma contenuta nell'ultima parte dell'!J,r# -_ 0 colo 829 Oodice procedura civile non pu dirsi, a. nostro avviso, senz'altro non in contra.sto con l'articolo 24 della Oostituzione e, quando si verta in materia di pubblici appalti, con il successivo articolo 113. -33 .,..,... L'art. 4 dispone che tutti posson agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, l'art. 113 ammette sempre contro gli atti della P.A. la tutela giurisdi zionale. Ora, se si esclude e finch si esclude che gli arbitri sono organi di giurisdizione ed esercitano attivit giurisdizionale, deve ritenersi che in materia di pubblici appalti la tutela giurisdizionale ha inizio solo con la azione di nullit. Escluderla o limitarla a taluni vizi del lodo significa negare che la P.A. possa agire in giudizio, cio, davanti al Gfodice, per la tutela dei propri diritti e significa escludere, per il privato, la tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. (in questi sensi vedasi anche BA.CHE LET, in Foro Amm., 1961, n. 1347, il quale, a proposito ilel ricorso straordinario al Capo dello Stato, esattamente osserva che limitare la tutela giurisdisione agli errores in procedendo equivale ad escluderla, frustrando il precetto costituzionale). Ohe l'attivit degli arbitri non sia attivit giurisdizionale , d'abtra parte, evidente (cons. BIAMONTI: .Arbitrato in Enc; del diritto, Giuffr, II, 899 e segg.; OARNACINI: .Arbitrato rituale, in Nuovissimo dig. It. ))' Utet I, parte seconda, 874 e seguenti). . Se l'iter logico e sillogistico della pronuncia arbitrale sostanzialmente analogo a quello che caratteYizza la decisione del giudice, non compete peraltro all'arbitro il complesso di compiti e di poteri che caratterizzano la funzione giurisdizionale, (per quanto riguarda l'istruttoria si pensi in modo particolare all'obbligatoriet del giuramento nella prova testimoniale, non riohiesta per l'analogo mezzo istruttorio dell'arbitrato rituale, o all'esercizio delle attivit che competono all'arbitro con riferimento alle varie specie di consulenze tecniche); e come l'attivit arbitrale sia del tutto subordinata a quella superiore dell'autorit giudiziaria ordinaria: se non venga pronunciato il decreto pretorio di esecutoriet oppure in sede di impugnativa. venga accolta la quaerela nullitatis, l'arbitrato perde invero ogni sua validit ed efficacia e risorge, nei riguardi della controversia gi affidata agli arbitri, la piena competenza della Autorit Giudiziaria ordinaria. Non neppure da trascurare il fatto, anche se esso vale solo come sintomo, che sotto it profilo penale non si voluto ricondurre l'arbitro nella categoria dei pubblici ufficiali e neppure in quella degli incaricati di un pubblico servizio. Tali ordini di considerazioni sembrano contrastare la pretesa natura giurisdizio nale dell'arbitrato, almeno intesa nei sensi in cui la funzione giurisdizionale normalmente rappresentata. La stessa giurisprudenza (dell'orientamento della quale si deve tener quel conto che imposto dalle decisive conseguenze che ne derivano in pratica nei 1apporti umani controversi), che accede alla teoria mista (Cass. Sez. Un. civ. 9 maggio 1956, n. 1505 in Foro it. 1956, I, 847 e segg.: trattasi,. com' noto, di autorevole pronuncia che stata fatta oggetto di annotazioni vivamente elogiative da parte della dott1'ina: cons. ad es. ANDRIOLI: Procedura arbitrale e regolamento di giurisdizione in Foro it., col. cit.), esclude in termini non equivoci che il procedimento arbitrale abbia il carattme di processo giurisdizionale, pitr rilevando, nella fusione del lodo e del decreto preto rile, un atto di giurisdizione che colorisce a poste: riori il procedimento suddetto, attribuendogti retroattivamente gli effetti che sono propri del processo giurisdizionale, con la conseguente norm~le retroattivit della pronuncia al momento della instaurazione della domanda. Ben pi grave il contrasto dell'art. 829 Codice procedura civile, u. p., con l'art. 111 della Costituzione. Il precetto dell'art. 111 Cost., il quale dispone che contro le sentenze, di qualunque giudice, sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, il quale, cio, costituzionalizza il principio, secondo il quale la Corte di Cassazione la suprema regolatrice, che assicura l'uniforme interpretazione ed applicazione delle norme di diritto, evidentemente. violato. A che una C01te di cassazione, cui costituzio-. nalmente att1ibuiio il potme di cont1ollate l'esatta applicazione della legge in tutte le controversie e di garantire, cos, tutti i cittadini e, con essi e prima di essi lo Stato, dagli arbitri dei giudici, ordinari o speciali, volontari o obbligatori? I Collegi arbitrali per le opere pubbliche, i quali pure giudicano cause di valore 1ilevante, restano esonerati dalla osservanza della legge sostanziale e il precetto dell'art. 111 della Costituzione nei loro riguardi complet,amente frustrato perch azza Corte di Cassasione non arriver mai la questione sostanziate. Dire che l'art. 111 osservato, perch il ricorso pieno ammesso contro la sentenza, che pronunzia sulla azione di nullit, significa violarne la lettem e, soprattittto, lo spirito frustrando l'esigenza, da tempo sentita, della unit della giurisdizione e della applicazione della legge in modo uniforme. Se il lodo non censurabile pe1 motivi di merito, se l'errat,a applicazione della legge da parte ilei Collegi arbitrali non pu essere dedotta in appello, ci significa che non potr neppute essere dedotta in Cassazione con la aber1ante conseguenza che il sempre dell'a1't. 111 non trova applicazione nei riguardi dei Collegi arbi~ trali. L'import,anza, non solo teorica, della questione e l'esigenza che sia alfine assicurat,a la giustizia, formale e sostanziale, a entrambe le parti contraenti anche nel delicato canipo dei pubblici appalti ci fa spera1e in un riesame da parte della Corte di cassa. zione, che eviterebbe un. altrimenti indispensabile intervento legislativo nella materia. (1) GIUSEPPE GUGLIELMI (1) Quando questa nota era in corso di stampa abbiamo appreso che il Ministro dei lavori pubblici, nella seduta del 28 giugno 1962, annunziato al Senato, in occasione della discussione dello stato di previsione della spesa del Ministro dei lavori pubblici per lresercizio finanziario io luglio 1962 -30 giugno 1963, che il nuovo - Capitolato Generale preveder espressamente la impugnabilit dei lodi arbritali anche per la violazione delle norme di diritto sostariziale. La questione potr, cosi, con siderarsi definitivamente risolta nei sensi da noi sostenuti. -34 .IMPOSTE E TASSE -Imposta di R.M. -Reddito rica vato dall'U.N.U.C.I. dal rilascio delle tessere di riconoscimento, dei libretti ferroviari e dei distintivi -Tassabilit. (Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza, n. 2128/61 -Pres.: Verz; Est.: Del Conte; P.M.: Criscuoli (conf.)-U.N.U.C.I. c. Min. Finanze). L'UNUOI un ente pubblico, i eui scopi istitu: zionali rientrano tra le finalit dello Stato ed hanno natura eminentemente sociale ed assistenziale, con -esclusione di ogni fine dilucro. Tuttavia, l'attivit -consistente nel rilascio delle tessere di riconoscimento, dei libretti e degli scontrini per le riduzioni ferroviarie e dei distintivi, dietro un corrispettivo -0he supera di gran lunga il costo del servizio, ha un suo autonomo carattere economico prevalentemente speculativo, distinto dalle attivit, proprie dell'ente, necessarie per il raggiungimento delle sue finalit istituzionali. Non pu, quindi, escludersi l'esistenza di un reddito, n attribuirsi a tale corrispettivo un ,cti,rattere tributario, sulla considerazione che gli utili ricavati da tale attivit siano destinati d::lill'Ente alla realizzazione delle sue finalit assistenziali e sociali, perseguite per conto dello Stato. Pertanto, accertata l'esistenza di un utile, da parte dell'UNUOI, e cio di un reddito derivante da un'attivit di carattere prevalentemente lucra tivo, deve ritenersi che tale reddito sia senz'altro tassabile, ai fini dell'imposta di R.M. indipenden temente dagli scopi perseguiti dal soggetto pro duttore e dalla concreta destinazione ed erogazione dell'utile stesso dopo la sua acquisizione al soggetto medesimo. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con l'unico motivo di ricorso, si deduce la vio lazione degli artt. 3 lettera e del testo unico, 24 agosto 1877, n. 4021, 62 regio decreto, 11 luglio 1907, n. 560 e dagli artt. 3 e 4 dello Statuto del l'UNUOI, e si sotiene che in relazione ai versamenti eseguiti dai soci per il rilascio delle tessere di rico noscimento e dei libretti e scontrini ferroviari, non esiste un reddita tassabile, in qnanto l'UNUOI un ente pubblico che non ha scopi di lucro, ma fini esclusivamente assistenziaii svolti per conto dello Stato, ed i predetti versamenti, al pari delle quote di iscrizione, hanno il c~rattere di eontributi, che essa riscuote nell'esercizio di un potere tributario, delegatole dallo Stato, per destinarli alla realizza zione delle suddette finalit. La doglianza infondata. Innanzi tutto va dichiarato che la norma di cui al secondo comma dell'art. 62 del Regolamento 11 luglio 1907, n. 560, invocata dalla ricorrente, .non introduce nel sistema dell'imposta di R.M. .na epenzione speciale di carattere soggettivo a favo -re delle societ costituite senza scopo industriale ... se si limitano ad erogare le contribuzioni dei soci in Opere o atti filantropici, scientifici, letterari, di mero consumo o diletto, ed in generale in operazioni non produttive di reddito ,,, ma in sossanza applica .soltanto come del resto insito nel suo carattere meramente regolamentare i principi fondamentali della legge sull'imposta di R.M. stabilendo che se non vi produzione di reddito non vi obbligo di dichiarazione e non si fa luogo quindi ad imposizione, mentre se sussiste un reddito, la dichiarazione, come si precisa nella seconda rarte dello stesso comma, deve essere fatta anche dai suddetti enti, che sono perci in tal caso sottoposti ad imposizione. Tanto premesso, si osserva che deve ritenersi nella specie la esistenza di un reddito, in quanto, se esatto che l'UNUOI un ente pubblico, i cui scopi istituzionali rientrano tra le finalit dello Stato ed hanno natura eminentemente sociale e assistenziale, con esclusione qnindi di ogni fine di lucro, tuttavia, l'attivit in questione, consistente nel ri].ascio delle tessere di riconoscimento, dei libretti e scQ:ntrini per le riduzioni ferroviarie e dei distintivi, dietro un corrispettivo che supera di gran lunga il csto del servizio, ha un suo autonomo carattere conomico prevalentemente speculativo, distinto dall'attivit proprie dell'Ente e necessarie per il raggiungimento delie anzidette sue finalit istituzionali. In contrario, non ha pregio, n per escludere la esistenza di un reddito, n tanto meno per attribuire al menzionato corrispettivo un carattere tributario, il rilievo che gli utili ricavati da una tale attivit siano in definitiva destinati dall'Ente alla realizzazione delle sue finalit assistenziali e sociali e che dette finalit questo prosegua in luogo e per conto dello Stata. Accertata, infatti, l'esistenza di un utile derivante da una attivit di carattere prevalentemente lucrativo, esso senz'altro tassabile, indipendentemente dagli scopi perseguiti dal soggetto produttore e dalla concreta destinazione o erogazione dell'utile stesso dopo la sua acquisizione al soggetto medesimo. Sostanzialmente poi diversa la natura dei suddetti versamenti delle quote che sono dovute una tantum per i'iscrizione obbligatoria all'UNUOI nella misura stabilita dalla legge e che non attengono menomamente ad una attivit speClativa dell'Ente. Il ricorso va pertanto rigettato con tutte le conseguenze di legge. IMPOSTE E TASSE-Successione -Imposta complemenfare di registro -Contestazione al momento dell'apertura della successione -Non deducibilit dall'asse ereditario. (Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza, n. 2536/61 -Pres.: Lonardo; Est.: Fresa~ P.M.: Toro (conf.)-Riccac. Amministrazione Finanze). Il debito d'imposta complementare di registro non sorge con la stipulazione dell'atto e neppure con la sua registrazione, ma, nell'iP.c;it~si che la pretesa dell'amministrazione espressa nell'acce.rii3_-_ mento sia eontestata, soltanto quando la contesta- zione stessa sia definita in uno dei modi rituali, ne consegue che tale debito, per mancanza del requisiso della certezza, non pu essere ammesso in deduzione dall'asse ereditario, ai sensi degli arti -35 -coli 45 o 50 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3270, qualora, nel momento dell'apertura della successione sia ancora in corso la contestazione dell'accertamento. Si t?ascrive la motivazione in diritto della sentenza: Con unieo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 45 e 50 del regio decreto :30 dicembre 1923, n. 3270, in relazione all'art. 32 dello stesso decreto e all'art. 15 del decreto legge 7 agosto 1936, n. 1639. In particolare deducono stesso patrimonio sociale rappresentato dall'equivalente monetario delle navi requisite e perdute. Questo un punto da esaminare, se, cio, ili passaggio di riserve a capitale realizzi un incremento del patrimonio sociale mediante un effettivo apporto di una nuova ricehezza; ma ci viene negato anche da coloro i quali ritengono che tale operazione importi un arricchimento a favore degli azionisti, determinato dallo smobilizzo delle riserve con l'attribuzione di un eccezionale dividendo ai soci, che si esprime nella distribuzione gratuita di nuove azioni o nell'aumento di valore di quelle vecchie. Invero le riserve sono formate dall'accantonamento parziale degli utili, che costituiscono un fonda indisponibile per i soci, essendo conservati nel patrimonio sociale per fronteggiare eventuali future evenienze; esse sono una parte del patrimonio sociale, che si compone appunto di capitale e di riserve. Pertanto la deliberazione di aumento del capitale mediante imputazione ad essa della. parte disponibile delle riserve (art. 2442), (anche il formine imputare designa l'utilizzazione di un bene che gi appartiene al patrimonio del disponente), non importa affatto un incremento del patrimonio sociale mediante un effettivo apporto di una nuova ricchezza, poich, invece, il valore economico del patrimonio rimane immutato e risultano modificati soltanto gli elementi che lo compongono. Si pu ammettere che il passaggio .di riserve a capitale realizzi un vantaggio a favore dei soci,. quanto meno sotto l'aspetto della disponibilit immediata di una quota per effetto dello smobilizzo della riserva; ma si deve sicuramente negare che a ci corrisponda un incremento del patrimonio sociale nel suo complesso o che comunque ci. -37 concreti uri. apporto effettivo, da parte degli azionisti, di una nuova ricchezza, che vada ad aumentare il capitale considerato isolatamente, come >elemnto distinto dal patrimonio sociale nel su complesso. Se il chiarimento fornito dalla nota marginale all'art. 114 deve essere inteso nel senso che tassabile un n~ovo apporto di ricchezza che, aggiuIgen dosi a quello gi fornito dai soci alla societ, ne aumenti il patrimonio, in tal caso valgono le considerazioni sopra esposte, le quali portano a riscontrare nel passaggio delle riserve a capitale una operazione contabile che si svolge nell'ambito della societ, la quale un soggetto distinto dai soci, senza determinare un incremento del suo patrimonio, cb.e resta immutato. Se, poi, la dieposizione s'intende nel senso che - rilevante, ai fini dell'imposizione, l'apporto incidente soltanto suil'elemento capitale, non si riscontrano, tuttavia, le altre condizioni per l'applicazione della norma al caso in esame, in quanto l'aumento del capitale si realizza in dipendenza della corrispondente diminuzione delle riserve, cio di un bene che gi appartiene all'ente, e non mediante un apporto ab extra, da parte degli azionisti. Si deduce in contrario che la deliberazione d'imputazione delle riserve a capitale si attua attraverso pi atti economici distinti e collegati, cio un ripartizione eccezionale di dividendi prelevati dalla riserva ed un nuovo conferimento da parte degli azionisti che va ad aumentare il capitale, aumento cui corrispondono le nuove azioni o il maggior valore di quelle vecchie. Senonch tale configurazione complessa ed artifidosa non corrisponde al significato del termine imputazione di cui all'art. 2442 Oodice civile, il quale designa l'assegnazione ed il passaggio immediato di un valore da uno ad un altro titolo, che si attua nell'ambito della sfera giuridico-patrimoniale dell'ente disponente, relativamente ad un bene che gli appartiene, senza entrare nella disponibilit effettiva dei soci. N siffatto modo d'intendere la deliberazione assembleare, come diretta ad attuare un doppio passaggio di valori, integra l'ipotesi prevista dalla legge tributaria, la quale, nel richledere un nuovo apporto di ricehezza che viene ad aggiungersi a quello precedentemente fornito alla societ , esige un apporto effettivo di ricchezza, un nuovo rifornimenta i> di beni alla societ, in aggiunta a quelli gi versati, da parte di soggetti ad essa estranei, mentre invece in realt, nel caso in esame, l'aumento del capitale si attua mediante una diminuzione delle riserve e non mediante versamenti da parte dei soci. Il solo prece(f,ente in termini della Corte suprema costituito dalla sentenza n. 1472 del 1956 che contiene sull'interpretazione della nota marginale all'art. 114 tariffa in materia di a.umento di capitale mediante utilizzazione delle riserve (v. in Foro it. 1956, I, 1470) affermazioni nettamente contrarie a quelle formulate nella presente sentenza. LEGGI -Repubblica sociale italiana -Zona delle Prealpi -Conservazione degli organi dell'amministrazione italiana -Possibilit di presentare una domanda di riconoscimento di fondazione alla prefettura competente. LEGGI -Repubblica sociale italiana -Riconoscimento di persona giuridica -Natura amministrativa - Convalidabilit ex D.L.L., n. 249 del 1944. (Corte di cassazione, Sezione II, Sentenza, n. 2162/61 -Pres.: Lorizio; Est.: Danzi; P.M.: Toro (conf.) -Ministero Interno c. Buffa). Il regime di occupazione instaurato dai tede11chi nella c.d. zona delie Prealpi, per quanto pi intenso ed assorbente di qnello esteso al rimanente territorio italiano del quale essi avevano il controllo, non aveva inteso escludere, n aveva escluso di fatto, nella zona medesima, ogni potest degli organi dello Stato italiano, come risulta dal riconoscimento senza riserve della repubblica sociale. Tale potest, pur essendo soggetta a limiti e controlli da parte delle autorit occupanti, continu ad esplicarsi anche in detta zona nel quadro delle legislazione italiana ed a mezzo della preesistente struttura amministrativa dello Stato italiano che aveva conservato i suoi uffici ed i suoi organi pur nella veste illegittima, ma di fatto operante, della repubblica sociale italiana. pertanto da escludere che, sul piano giuridico fosse da considerare impossibile, nella zona suddetta, il compimento dell'atto iniziale del procedimento amministrasivo per il riconoscimento di una fondazione, atto che ha valore di mera denuncia, idonea a sollecitare l'attivit della pubblica amministrazione (la quale pu anche procedere di u:qcio al riconoscimento a norma dell'art. 2 delle disp. att. codice civile), e che avrebbe potuto essere ugualmente presentato alla prefettura, che aveva continuato a funzionare sotto la direzione del commissario _:.. prefetto di nomina germanica, e che, a norma dell'art. 94 del regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99, era l'organo competente a riceverlo ed a promuovere l'emissione del riconoscimento. Il riconoscimento delle persone giuridiche rientra tra i compiti di organizzazione propri dell'azione amministrativa e si attua, dopo un'indagine sulla legalit ed opporunit del nuovo ente, con un decroto del Capo dello Stato (o del prefetto a tala fine delegato dal Governo); tale decreto ha, quindi, natura di un normale atto amministrativo e come tale, se emanato dal governo della repupplica sociale italiana, suscettibile di convalida a norma del D. L. L. 5 ottobre 1944, n. 249. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza relativamente alle massime sopra riportate. La tesi della impossibilit giuridica non conciliabile con l'indirizzo giurisprudenziale -seguito da questa Suprema corte (sent. 18 giugno 1953, n. 1829 e altre successive) ed al quale si correttamente uniformato il giudice di rinvio. A questo proposito opportuno ricordare che il regime di occupazione istaurato dai tedeschi nella cosi detta -38 Zona delle Prealpi, per quanto pi intenso ed assorbente di quello esteso al rimanente territorio italiano del quale essi avevano il controllo, non aveva inteso escludere, n aveva escluso di fatto, nella zona medesima ogni potest degli organi dello Stato italiano, come risulta dal riconoscimento senza riserve della repubblica sociale. Tale potest, pur essendo soggetta a limiti e controlli da parte delle autorit occupanti, continu ad esplicarsi anche in detta zona nel quadro della legislazione italiana ed a mezzo della preesistente struttura amministrativa dello Stato italiana che avevf.li conservato i suoi uffici ed i suoi organi pur nella veste illegittima, ma di fatto operante, della repubblica soeiale italiana. Qnesto rilievo che trova la, migliore conferma nel numero e nella natura dei provvedimenti emanati da tale governo di fatto proprio per ia zona delle Prealpi, sufficiente per escludere che, sul piano giuridico, fosse da considerare addirittura impossibile il compimento dell'atto iniziale del proeedimento amministrativo per il riconoscimento della fondazione. Tale atto, come gi stata messo in luce dalla sentenza di annullamento, ha infatti valore di mera denuncia, idonea a sollecitare l'attivit della P . .A. (la quale, per quanto riguarda le fondazioni, pu procedere anche d'ufficio al loro riconoscimento a norma dell'art. 2 delle disposizioni di attuazione del codice civile) e non pertanto soggetto ad alcun rigore formalistico . .Accertata la persistenza dell'organo .amministrativo (prefettura) cui avrebbe dovuto essere presentata l'istanza, non pu ravvisarsi valido motivo di impossibilit nel fatto che la 1:1tessa non era indirizzabile in quel momento al Luogotenente generale del Regno, cio al Capo dello Stato legittimo. anzitutto da rilevare in proposito che tale intestazione non costituisce un requisito formale indispensabile alla validit della richiesta se questa, ha, come si detto, lo scopo precipuo di stimolare l'azione amministrativa e il contenuto sostanziale di una denuncia il cui aspetto essenziale soltanto quello di portare a conoscenza dell'autorit amministrativa Ja disposizione testamentaria relativa alla istituzione della fondazione. Ma deve altresi considerarsi che l'istanza avrebbe ugualmente raggiunto il proprio effetto se ne fosse stata imposta l'intestazione al Capo della repubblica sociale, come espressione del governo di fatto. Sotto questo profilo specifico si obietta dai ricorrenti che la migliore riprova della dedotta impossibilit giuridica sarebbe fornita dal rilievo che un'istanza cosi indirizzata non sarebbe stata comunque idonea a promuovere un valido riconoscimento della fondaziOne perch il relativo decreto, se emesso dal Capo della Repubblica sociale, sarebbe stato privo di efficacia giuridica, essendo tale sanzione prevista dall'art. 1, n. 1 dei D.L.L. 5 ottobre 1944, n. 249 per tutti gli atti di governo della Repubblica sociale, compresi quelli riferentisi alla zona delle Prealpi. Tale obiezione per inaccoglibile, non potendo convertirsi nel suo presupposto che quello di includere tra gli atti di governo il decreto di riconoscimento di una fondazione. Ed invero, secondo la teoria della causa oggettiva, che oggi quella dominante, sia in dottrina, che in giurisprudenza.,. atto politico pu considerarsi soltanto quello cheha appunto per oggetto di provvedere ai supremi interessi dello Ssato, tanto nei riflessi interni, ehe in quelli internazionali, cosicche ia sua causa venga a coincidere can tale esigenza di difesa e di conservazione. Il riconoscimento delle persone giuridiche rientra invece tra i campiti di organizzazione propri dell'azione amministrativa ed esso si attua, dopo una indagine sulla legalit ed opportunit del nuovo ente, con un Decreto del Capo dello Stato (o del Prefetto a tale fine delegato dal Governo), cio con un normale atto amministrativo che soggetto, come tutti gli atti di tale categoria, al sindacato di legittimit. Ora proprio in forza dello stesso D.L.L. 5 ottobre 1944, n. 249, sono stati convalidati tutti i provvedimenti egli atti amministrativi emanati dal gaverno della Repubblica sociale e non contemplati nella categoria a enumerazione degli atti privi di efficacia giuridica. Qest'ultimo rilievo esaurisce veramente l'argomento mostrando l'inconsistenza della tesi della impossibilit giuridica. A sostegno del ricorso l' A vvooatura Generale aveva; sostenuto quanto segue: Illogicit e contraddittoriet della motivazione -Omessa pronuncia su punto decisivo: art. 360, n. 5 Codice procedura civile -Violazione e falsa. applicazione dell'art. 9 regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99, in relazione all'art. 33 legge 17 luglio 1890, n. 972 ed all'art. 12 Codice civile: art. 360~ n. 3 codice procedura civile. .A guardare bene il fondo delle cose, la Corte di .Appello. di Brescia di fronte al problema della consegna tempestiva dell'istanza di riconoscimento della fondazione alla pubblica autorit, doveva. indagare quanto meno su tre punti: Primo: se esistesse l'Organo consegnatario (Prefetto); Secondo: se quest'Organo rappresentasse legalmente l'Organo destinatario (Re), ovvero fosse inserito in altro diverso ordinamento; Terzo: se -data la situazione della zona, soggetta ad un regime, per il quale il meno che si possa dire che si trattava d'un ordinamento di fatto -l'emanazione di un atto del genere di quello che veniva richiesto rientrasse nella categoria di quelli che l'autorit di fatto pu -secondo le vedute giuridiche comuni -validamente emet tere. La Corte di merito si fermata al punto di affer mare la presenza in looo del Commissario Prefetto, rilevando che, bene o male, uno sportello, al quale consegnare il foglio in bollo conteneii.t l'istanza di riconoscimento, era aperto. - Ha trascurato invece il punto essenziale: guar dare -cio -a chi l'istanza predetta. doveva. essere indirizzata: in altre parole come il foglio in bollo doveva essere intestato. ::4 :i ::4 :i -39 - Giacch non occorre copia di argomenti giuridici per dimostrare che un atto consegnato al Commissario Prefetto di Trento (in ragione della carica da questo personaggio rivestita: art. 94 Reg. cit.) non poteva essere diretto altro che al Capo della sedicente Repubblica Sociale Italiana, nel cui ordinamento tale Commissario Prefetto si inseriva (Pe non addirittura alle Autorit d'occupazione germaniche, dato lo stato di pre-annessione in cui si trovava allora il Trentino). A.d ogni modo -e certamente -non al Re, n al Luogotenente. E ci non solo per la difficolt (scil. impossibilit) del fatto in s (basti riandare con la mente alla situazione dell'epoca); non solo perch la stessa giuridica esistenza, pi ancora che l'autorit, dell'ordinamento del Regno del Sud con annesso Sovrano, JJuogotenente ecc., si trovava.no ad essere non tanto contestate, quanto negate in radice dal predetto ordinamento di fatto, ma principalmente per l'insusl.'listenza di quel nesso di dipendenza e di rappresentanza tra Prefetto e (Governo del) Re che il presupposto per il funzionamento dell'articolo 94 del Regolamento del 1890. Quindi, il;riconoscimento della fondazione avrebbe dovuto essere richiesto al Capo della Repubblica Sociale Italiana. Ma non crediamo vi sia qualcuno che non veda quanto ripugni ad una sana concezione giuridica la richiesta di un atto di allegeance ad un ordina mento ed ad un'aut9rit, entrambi segnate dal crisma dell'illegittimit, perch -agli effetti dell'ordinamento giuridico legittimo i> -un ~itto sia mantenuto. Eppure, questo dice in definitiva la sentenza bresciana, se considerata nelle sue conseguenze ultime: se tu vuoi oggi far valere la tua pretesa al lascito De Buffa, dovevi nel marzoapriie 1945 rivolgere una istanza ad un'Autorit, gi allora definita illegittima, riconoscendo a questa poteri ed attribuzioni sovrane >>. E ci crediamo che basti per quanto concerne l'aspetto soggettivo del fenomeno esaminato. Ancora pi interessante -se possibile - l'aspetto oggettivo. La domanda di riconoscimento, se presentata all'epoca pretesa dalla Corte d'appello di Brescia, (marzo-apriie 1945) avrebbe eccitato l'emanazione di un provvedimento dichiarato nullo di pieno diritto dall'art. 1 decreto legislativo luogotenenziale 5 ostobre 1944, n. 249, gi in vigore alla epoca medesima. E, siccome la validit di un procedimento amministrativo si valuta -di regola -in base all'atto finale dello stesso, crediamo non sia eccessivamente audace ritenere che la domanda, intesa a ottenere un atto nullo di pieno diritto (e di nullit insanabile), sia di per s giuridicamente invalida. Il riconoscimento di una persona giuridica come atto inteso ad inserire ed a rendere operante nell'ordinamento giuridico un nuovo soggetto, con caratteristiche pubbliche -non un comune atto amministrativo speciale, ma un atto di Governo n. Lo ha riconosciuto, in pratica, la Corte costituzionale nella sentenza 9 marzo 1959, pronunziando sul ricorso 27 maggio 1958 proposto dalla Regione Siciliana per conflitto di attribuzionai. circa il .decreto del Presidente della Repubblica 2T novembre 1957, n. 1444, con il quale veniva eretta. in ente morale la Cassa scolastica di una Scuole media statale. JJa Oorte dic:.iarava , la competenza dello Stato in re subiecta proprio per la particolare natura dell'atto di conferimento della personalit giuridica. E, del resto, di atti del Governo del Re parla,. ad esempio, l'art. 33 della legge sulle istituzioni di beneficenza l 7 luglio 1890, n. 972, che bene si adatta al caso in esame. Ora, se qui si di fronte ad un atto di governo,, opera la nullit fulminata dall'art. 1 decreto legislativo luogotenenziale ottobre l 944, n. 249, che equipara gli atti di governo alle leggi ed ai regolamenti della Repubblica Sociale Italiana. In conseguenza, la Corte di Brescia con il pretendere che la domanda fosse fatta sotto l'imperi0> della Repubblica Sociale, viene a dire in sostanza. ce la ]fondazione avrebbe dovuto con un propri<> atto (per noi, invalido, ma che pu anche immaginarsi valido: ci non decisivo) provocare l'emanazione di un atto nullo di pieno diritto. USUCAPIONE-Cause di sospensione dipendenti dallo stato di guerra -Inapplicabilit. (Cassazione -26. gennaio 1962, n. 139, Sezione II -Pres.: Lorizio~ Est.: Serra; P.M.: Trotta (conf.) -Susanna (avv. Morvillo) c. Barra (avv. Leone). Conferma appello, Napoli, 30 giugno 1959. Se per l'art. 1166 Oodice civile (come per l'analoga norma dell'art. 2121 Ood. c. del 1865) non hanno efficacia, nella usucapione ventennale dei diritti immobiliari, rispetto al terzo possessore,. le cause di sospensione tra l'altro dipendenti da una condizione soggettiva del titolare del diritto,. come quella del militare in guerra (art. 2942, n. 2: Ood. c.), collegata all'impossibilit o somma difficolt di esercizio del diritto, a maggior ragione siffatto principio deve operare nella ipotesi in cui meno si pone l'esigenza di tutela dei soggetti interessati, contro il corso deila prescrizione, per esseresoltanto considerata in relazione alla stato di guerra, in cui si trova la generalit dei cittadini o non pure alla qualit di militare in guerra. In tema di usucapione ventennale di diritti immobiliari, pertanto, non sono applicabili, nei' confronti del terzo possessore, le norme di sospensione dei termini di prescrizione di cui ai decreti' legge 3 gennaio 1944, n. 1 e 24 dicembre 1944, numero 392 (cause di sospensione dipendentid allo, stato di guerra). * * * La massima, pubblicata sui Massimarfo _del fore italiano 1962, col. 40, ci ha sorpresi e pi ancora, _ ci ha sorpresi la circostanza che la nota richiama la conforme sentenza 12 novembre 1958, n. 1700,' trascurando del tutto la successiva sentenza, difforme, (23 marzo 1959, n. 897, Oass. II, Pres.: I =U:Ff??f???J?F & ;[[Ll&MM=bi 1&ta :omeppa; Est.: Flore; P.M.: Mazza conforme), pub blicata sullo stesso Massimario 1959, col. 164 e, per esteso, in Giustizia civile, _1959; I, 814. ' Questa sentenza, che stata seguita da altre "Conformi (Cass. II, 16 giugno 1959, n. 1853, Pres.: Fibbi; Est.: Restaino; P.M.: Gentile; conforme, in "Mass. Foro it. 1959, col. 347; Cass. II, 18 febbraio 1961, n. 360, Pres.: Varallo; Est.: Pedroni; P.M. Colonnese, conforme, ivi, 1961, col. 80; Cass. II 29 agosto 1961, .Pres.: Fibbi; Est.: Rapisarda; P.M.: Toro, conforme, ivi, 1961, col. 5i5) si era dat carico della incertezza della giurisprudenza ed aveva proceduto ad un attento e meditato riesame della questione, pervenendo ad una soluzione, che ben poteva e, a. nostro arvviso, doveva costituire giurisprudenza consolidata. Ci auguriamo, pertanto, che la Corte regolatrice consolidi la sua giurisprudenza in una materia cosi delicata, rendendo veramente certo il diritto ed evitando disparit di trattamento. CONSIGLIO DI STATO DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto del Trattato di Pace -Valutazione -Classificazione secondo categorie generali -Legittimit Discrezionalit tecnica -Valutazione -Secondo le risultanze catastali -Legittimit. (Consiglio di Stato, Sezion(il IV, dee. n. 9/62 -Pres.: Bozzi; Est.: CucciaSbis ed altri c. Ministero Tesoro). L'Ufficio tecnico erariale, nel procedere alla valutazione dei beni italiani confiscati all'estero in applicazione del Trattato di pace, legittimamente ha fatto riferimento a classificazioni generali che l'Amministrazione non era tenuta a rendere di pubblica ragion. L'apprezzamento compiuto dall'Ufficio Tecnico erariale, ai fini della liquidazione dell'indennizzo, delle caratteristiche dei beni confiscati all'estero in base al Trattato di pace, costituisce valutazione di carattere tecnio-discrezionale non sindacabile in sede di giudizio di legittimit. Legittimamente si procede alla liquidazione dello indennizzo di beni rustici confiscati all'estero in applicazione del Trattato di pace tenendo conto delle risultanze ca.tastali, ove gli interessati non dimostrino che queste non erano rispondenti alla realt in conseguenza di migliorie apportate ai fondi. Trascriviamo la motivazione in diritto della deci8ione. Il ricorso infondato. Col prino e col terzo motivo, che stante la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente, si censura il provvedimento impugnato per eccesso di potere, sotto il profilo del travisamento dei fatti e di errore nell'iter logico. I ricorrenti, premesso che i criteri adottati dall'Amministrazione er il classamento e l'apprezzamento dei beni confiscati dal Governo iugoslavo nell'Istria in danno dei cittadini italiani, appaiono arbitrariamente rigidi, essendosi parificati cespiti diversi per natura intrinseca, e che, inoltre, tali criteri non sono stati resi pubblici a mezzo di circolari o normali, con normazione delle guarentigie degli interessati deducono: a) i fabbricati sono stati valutati in base ai dati catastali e non in base alla realecubatura, per le quali i ricorrenti fanno riferimento allaperi zia, all'atto notorio e alle mappe da essi prodotti; b) quelli fra detti fabbricati, che hanno carattere signorile sono stati classificati come fabbricati di tipo mediocre; e) le parti!}elle agricole sono state considerate senza tenere conto dei miglioramenti agrari apportati; d) le scorte, morte e vive, non possono (alla luce della documentazione depositata dai ricorrenti) non ritenersi adeguate alla importanza della azienda agricola; e) i boschi denunciati non sono semplici boschi cedui, ma costituiscono nel loro insieme una pineta di notevole valore panoramico turistico. Osserva il Collegio che la premessa del ragionamento dei ricorrenti in radice inattendibile, in quanto intacca i principi del metodo estimativo, che, come noto, consiste nel riconoscimento della appartenenza del bene ad una delle classi formate con beni analoghi di prezzo noto, sulla base di un parametro comune a tutti i beni; con che soltanto possibile conferire oggettivit al giudizio di stima. Ne da tali principi si sono discostati gli Uffici tecnici per la valutazione dei beni confiscatinelle zone istriane. Infatti, sia peril classarriento di tali beni, sia per la determinazione dei prezzi unitari (da applicare con riferimento al mercato del 1938, come prescritto dalla legge 8 novembre 1956, n. 1325) sono stati compiuti, come ha precisato l'Avvocatura Generale dello Stato, indagini e studi accurati, utilizzando la collaborazione dei tecnici degli uffici erariali di Trieste e di Gorizia, e consultando presso gli archivi degli uffici medesimi un abbondante materiale costituito da monografieprezziari, stime per espropri, valutazioni per tra, sferimenti di propriet soggetti a registro, ecc. .A volere seguire la tesi dei ricorrenti si sarebbe dovuto, invece adottare un parametro specifico per la valutazione dei loro beni. Una soluzione del genere, se dovesse prevalere, sarebbe veramente aberrante non soltanto in rapporto ai principi della metodologia estimativa, ma anche nei riguardi della tutela dei diritti degli stessi interessati, i qual -solo dall'adozione di criteri generali ed obbiettivi, pu essere veramente garantita, e ci tanto pi quando, come nella fattispecie, si tratta di terri -41 tori sconvolti dalla guerra, nei quali, alle grandi difficolt frapposte dall'anormale situazione, ha dovuto supplire la consumata esperienza e la scrupolosa diligenza del personale incaricato delle valutazioni. Quando alla doglianza relativa alla mancata pubblicazione dei criteri -base per le operazioni di stima, i ricorrenti mal si appongono in quanto si tratta di norme interne, stabilite dall'Amministrazione nell'esercizio del potere di autolimitazione della propria attivit; quindi le norme stesse, non rivestendo carattere giuridico, non dovevano essere pubblicate. Interessante e convincente decisione su questioni di notevole rilievo economico, che conferma la esattezza del comportamento dell' .Amministrazione e la legittimit del procedimento seguito anche in tutti i casi di applicazione della legge n. 1054 del 1950, che si fonda sugli stessi principi della legge n. 1325 del 1956. DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per ef fetto del Trattato di Pace -Zona B Territorio di Tri este -Indennizzo -Legge n. 269 del 1958 -Pretesa incostituzionalit ex art. 81 Cost. -Manifesta infondatezza -Pretesa incostituzionalit ex art. 42 cost. Manifesta infondatezza -Pretesa incostituzionalit ex artt. 25, 27, 100, 102 Cost. -Manifesta infonda tezza -Pretesa incostituzionalit ex art. 3 Cost. Manifesta infondatezza. DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto del Trattato di Pace -Zona B, territorio di Trieste -Indennizzo -Valutazione riferita al 1938 Legittimit. (Consiglio di Stato, Sezione IV, dee. n. 51/62 -Pres.: Bozzi C.; Est.: Urciuoli-Fragiacomo c. Ministero Tesoro). manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit della legge 18 marzo 1958, n. 269, concernente l'indennizzo dei beni italiani abbandonati nella zona B del Territorio di Trieste, dedotta sotto il profilo del contrasto con l'art. 81 Oost., in quanto la legge non indicherebbe la spesa necessaria e i fondi disponibili. manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit. della legge 18 marzo 1958, n. 269 concernente l'indennizzo dei beni italiani abbandonati nell~ zona B del Territorio di Trieste, dedotta sotto il profilo di manifesta violazione dell'art. 42 Oost. non potendosi identificare l'ipotesi dell'indennizzo dei beni confiscati da Stati esteri con quella di espropriazione per la pubblica utilit contemplata dalla disposizione costituzionale invocata. La procedura per gli indennizzi previsti per i beni abbandonati nella zona B del Territorio di Trieste dalla legge 18 marzo 1958, n. 269 non costituisce un giudizio speciale e il relativo procedimento si conclude con un provvedimento amministrativo, impugnabile, nei limiti della giurisdizione di legittimit, dinanzi al Oonsiglio di Stato; pertanto manifestamente infondata la pretesa incostituzionalit della legge predetta sotto il dedotto profilo del contrasto con gli artt. 27prim comma, 25 secondo comma, 100 e 102 Oost. manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit della legge 18 marzo 191')"8, n. 269 dedotta sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Oost., in quanto sarebbe stato praticato ai profughi della zona B un trattamento difforme meno favorevole rispetto a quello usato per la liquida zione dell'indennizzo di beni situati in altri s~ati. Legittimamente l'.Amministrazione, nel pr-ocedere alla liquidazione degli indennizzi previsti dall legge 18 marzo 1958, n. 269 per i beni abbandonati nella zona B del Territorio di Trieste fa riferimento ai valori del 1938. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. Per meglio definire e circoscrivere i termini della controversia, giova anzitutto ricordare che il Trattato di Pace non contemplava alcuna tutela per i beni dei non optanti, mentre, per quanto riguardava quelli degli optanti, prevedeva che dovesse applicarsi lo stesso trattamento riservato ai cita dini iugoslavi. Proprio allo scopo di non lasciare esposti i non optanti alla applicazione unilaterale delle leggi sulla r!forma agraria, sulla nazionalizzazione, sulla espropriazione ecc., il Governo italiano addivenne alla stipulazione, con il Governo della Repubblica Jugoslava, dell'accordo 23 maggio 1949, in forza del quale il Governo Jugoslavo avrebbe dovuto indennizzare i beni di propriet di cittadini italiani, situati nel territorio ceduto alla Jugoslavia a termini del Trattato di Pace o sul vecchio territorio iugoslavo, e che erano stati nazionalizzati, sulla base dei prezzi in vigore su libero mercato nell'anno 1938, moltiplicati per un coefficiente di rivalutazione da determinare. Per i beni che erano stati confiscati era invece previsto il pagamento, da parte della Jugoslavia, di una somma foriettaria (da determinare) mentre, per quelli cos detti liberi si prevedeva l'acquisto, sempre da parte del Governo Jugoslavo al prezzo stabilito per i corrispondenti beni nazionali. Una commissione mista italo-ugoslava doveva compilare la lista dei beni da ammettere all'indennizzo, procedere alla classificazione di tali beni per categorie omogenee, stabilire per ciascuna categoria un prototipo, attribuire un adeguato valore a tale prototipo e rapportare, infine, il valore dei singoli beni a quelli delle categorie e prototipi corrispondenti. Per dare immediata attuazione a tale accordo, che fu ratificato solo molto tempo dopo (e precisamente con legge 10marzo1955, n. 121) con la legge 5 dicembre 1948, n. 1064, fu disposto che i titolari di beni, diritti e interessi italiani del territorio ceduto alla Jugoslavia e nell'antico territorio Jugoslavo, sottoposti alla nazionalizzazione, all::niforma agraria, o a qualsiasi misura di carattere generalee particolare concernente la propriet Jugoslavia, erano tenuti a presentare denuncia di tali beni al Ministero del Tesoro entro il 15 dicembre dello stesso anno. -42 L'art. 4 di tale legge prevedeva che ai titolari dei beni e diritti di cui sopra sarebbe stato liquidato un indennizzo nei limiti in cui esso sar liquidato dal Governo ugoslavo in esecuzione dell'accordo suddetto. La liquidazione degli indennizzi, concordati con il Governo Jugoslavo, agli aventi diritto, doveva essere fatta da una apposita Commissione interministeriale, presieduta da un alto magistrato. La pratica attuazione dell'accordo del 1949 non relizz per le previsioni dei :firmatari e non corrispose alle aspttative degli aventi diritto: infatti, la Commissione mista che doveva procedere alla stima beni, non riusc di fatto ad assolvere il suo -0ompito, per le notevoli difficolt che ad ogni passo doveva superare, stante le quasi materiale impossibilit di raggiungere un'intensa fra le due deiegazioni sul valore dei beni, la scelta dei proto tipi, ecc. In una siffatta situazione, si rese necessaria l'emanazione di un'altra legge (legge 31 luglio 1952, n. 1131) che consentisse la concessione, agli aventi diritto, di anticipi per un totale di 15 miliardi d lire; nella determinazione dell'importo dei singoli anticipi, si doveva tenere conto sia del valore del bene abbandonato che delle condizioni economiche degli aventi diritto, in modo da favorire i meno abienti. Alla copertura della spesa si provvide mediante trattenuta di 10 miliardi sul conto riparazioni alla Jugoslavia e mediante esborso del Tesoro per la parte residua. La corresponsione di tali acconti, che furono poi liquidati della Commissione Interministeriale sopra citata, su stime di valore autonomamente eseguite dai competenti Uffici tecnici italiani, aveva per attenuato solo in parte lo stato di disagio dei -0ittadini che avevano abbandonato i loro beni in territorio Jugoslavo e che si trovavano ancora nella materiale impossibilit di iniziare un'attivit in Italia. D'altra parte, i lavori della Commissione mista prevista dall'accordo del 1949 si erano praticamente arenati, perdurando la impossibilit di superare le difficolt di cui si sempre parlato e di conseguenza era venuta meno anche la possibilit, pratica oltre che giuridica, che la Commissione Intermiuisteriale assolvesse il compito che la legge del 1949 le avesse affidato, consistente nella liquidazione dell'indennizzi sulla base delle valutazioni fatte dalla Commissione mista' In una siffatta situazione, il Governo italiano ritenp.e opportuno addivenire alla stipulazione di un nuovo accordo con la Repubblica Jugoslava, per definire le anzidette questioni, olti,:e a tutte le altre rimaste ancora insolute e che rischiavano con tinuamente di turbare, se non proprio compro mettere, i rapporti di buon vicinato fra i due Paesi. Questo accordo, che fu concluso il 18 dicembre 1954 e reso esecutivo con decreto delPresidente della Repubblica 11 marzo 1955, n. 210, modi:fi- 0ava sostenzialmente le precedenti pattuizioni, abbandonando il criterio della valutazione dei singoli beni e quindi dell'indennizzo ai singoli proprietari. Con lo stesso atto, il Governo ugoslavo mise a disposizione dell'Italia la somma complessiva di 70 milioni di dollari, pari a 45 miliardi di lire, con la quale dovevano essere t1;t.citati tutti gli aventi diritto all'anzi detto totolo. Nella impossibilit di effettuare una valutazione analitica dei singoli beni, si era quindi ritenuto opportuno addivenire ad una valutazione globale che consentisse di porre fine, nel migliore, pi sollecito e conveniente dei modi, alle numerose questioni cui aveva dato luogo l'accordo del 1949. Per procedere alle definizioni delle singole pra tiche, in base al nuovo accordo, e per consentire alla Commissione interministeriale di portare a termine i suoi lavori con l'urgenza del caso, si ritenne opportuno, ed a tanto si provvide con la legge 8 novembre 1956, n. 1325, stabilire delle aliquote rigide per la liquidazione degli indennizzi, che dovevano essere calcolati sulla base dei valori attribuiti ai singoli beni nel 1938, moltiplicati per i seguenti coefficienti di maggiorazione: a) 35 sino al valore di L. 200.000 lire; v) 20 sul valore eccedente le 200.000 e sino a L. 2.000.000. Sui valori eccedenti i due milioni di lire veniva invece applicato il coefficiente risultante dal residuo delle somme disponibili dopo la liquidazione di cui alle lettere a) e b). In attesa della determinazione di tale coefficiente il Ministero del Tesoro poteva tuttavia, concedere acconti in base ad un coefficiente di maggiorazione non superiore a 5. Si sviluppava e si completava cos il sistema gi previsto per la concessione degli anticipi, nella considerazione che il valore globale dei beni abbandonati superasse ampiamente l'importo messo a disposizione della Jugoslavia e che, in una siffatta situazione, dovessero essere preferiti i meno abienti, nello spirito della legge 31 luglio 1952, n. 1131, pur assicurando la definizione della posizione di tutti gli aventi diritto. Le citate disposizioni non poterono per trovare applicazione nei confronti dei beni abbandonati nella cos detta zona B) dell'ex Territorio !Jibero di Trieste, che secondo il Trattato di Pace, doveva rappresentare uno Stato cuscinetto fra l'Italia e la Jugoslavia. Com' noto, tale zona, continu invece, ad essere occupata militarmente dalla Jugoslavia, fino a quando, con l'accordo di Londra del 5 ottobre 1954, non furono riconosciuti a tale Paese il diritto alla Amministrazione civile della zona B) ed all'Italia i pieni diritti su Trieste. Le trattative, immediatamente intraprese con la Jugoslavia, per la concessione di indennizzi per i beni abbandonati dagli italiani che si erano allon tanati dalla Zona B), prima e sopratutto dopo la firma del suddetto accordo di Londra, non anda rono a buon fine. Pertanto, e non essendo dato prevedere quando la questione della sistemazione di tali rapporti potr trovare una soluzione concor data, il Governo propose un sistem provvisorio per la liquidazione dei danni subiti dai suadettV cittadini, che, con l'approvazione del Parlamento, fu poi recepito nella legge 18 marzo 1958, n. 269. Ai sensi delle disposizioni ivi contenute, l'indennizzo da corrispondere a favore dei cittadini titolari di -43 beni, diritti ed interessi situati nella zona B) dell'ex 'Territorio Libero di Trieste, rimasta sotto l'Amministrazione Jugoslava, calcolato sulla base del valore 1938 attribuito ai singoli beni, moltiplicato per un coefficiente di maggiorazione di 40, 20, 7 volte, a secondo che tale valore fosse inferiore rispettivamente a L. 1.200.000 e a L. 2.000.000 e, ,nell'ultimo caso, superiore ai due milioni di lire. Dell'indennizzo sono esclusi coloro che non avevano presentata la dichiarazione di rinuncia .alla residenza in Zona B) prima del 5 gennaio 1956. L'art. 3 prevede in particolare che per i beni non sottoposti a misure limitative della propriet emanate dalle autorit civili e militari Jugoslave) -cos detti beni liberi) la concessione dell'indennizzo subordinata alla condizione che i titolari si trovino nella impossibilit di fatto di esercitare i loro diritti sui beni abbandonati nella Zona B), cedano tali loro diritti allo Stato italiano e si impegnino di versare allo stesso le somme che abbiano a ricevere da chiunque in relazione a detti diritti. L'ampiezza di questa premessa, assolutamente necessaria per inquadrare la questione nell'ambito dei complessi rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia, -cui ha dato luogo, il Trattato di Pace, consente di esaminare agevolmente i singoli motivi di gravame -ed in particolare quelli che si riferiscono ad una :pretesa incostituzionalit di alcune delle disposi. zioni contenute nella legge n. 269 del 1958: A) la prima eccezione di incostituzionalit {viol. art. 81 della Costituzione) concerne come si visto, la mancata indicazione in tale legge della spesa necessaria e della somma disponibile. Al riguardo, si osserva che l'art. 9 della legge n. 269 prevede che all'onere derivante dal pagamento degli indennizzi si provveder con le dispo nibilit di bilancio, relative al pagamento degli -oneri dipendenti dal Trattato di Pace e dagli accordi internazionali concessi con il Trattato medesimo. A prescindere dalla circostanza che, nel bilancio del Ministero del Tesoro, risultano annualmente stanziati a tale fine appositi capitoli di spesa per notevoli importi, non si pu fare a meno di ricordare che non tutti i pagamenti di indennizzi per danni ai beni situati all'Estero danno luogo ede:ffettivo movimento di denaro. L'art. 5 dalla legge n. 1050 del 1954, provvede infatti, che per gli indennizzi di importo superiore ai cinque milioni di lire si debba far luogo alla consegna di appositi titoli del debito pubblico, anzich al pagamento in contan~i. Si osserva, d'altra parte, che il pagamento degli indennizzi all'anzidetto titolo non stato, nella legge n. 269 del 1959, predeterminato in una cifra -precisa, proprio allo scopo di non obbligare l'Amministrazione a dovere contenere l'ammontare globale dei pagamenti entro i limiti di una somma fissa, -con la conseguenza inevitabile di dover ridurre poi gli indennizzi in rapporto alla somma disponibile, determinata in via preventiva e, quindi, con criteri che non avrebbero potuto non essere estremamente prudenziali. Il sistema prescelto dal legislatore, quindi, oltre a non essere in contrasto con il precetto costitu zionale, si presenta se mai pi vantaggioso per gli aventi diritto, e, pertanto, le preoccupazioni manifestate dalla ricorrente, che cio la valutazione dei beni abbandonati nella zona B) sia stata fatta con criteri di estremo rigore percli il Tesoro doveva far fronte, con un unico stanziamento di bilancio ad un doppio, diverso impegno, cadono di fronte alla realt dei fatti, come sopra esposti e precisati. B) la seconda censura concerne una pretesa violazione dell'art. 42 della Costituzione e viene prospettata sotto il profilo del mancato pagamento, da parte dello Stato italiano, del giusto corrispettivo dei beni privati siti in Zona B), sul preupposto che tali beni siano stati espropriati per motivi di interesse generale. La confusione che la ricorrente fa, equiparando gli indennizzi per i beni confiscati da terzi Paesi e l'espropriazione per pubblica utilit, cos evidente da non meritare una specifica confutazione Quel che qui interessa rilevare che lo Stato non ha affidato, come si pretende dalla ricorrente alla Jugoslavia l'amministrazione civile della Zona B), legalizzando cos i provvedimenti che sarebbero stati abusivamente adottati nel precedente periodo di occupazione militare, ma ha solamente firmato il trattato di Londra del 1954, che modifica, per questa parte il Trattato di pace, ~conseguendo indiscutibilmente alcuni . sensibili vantaggi. Si rileva, d'altra parte, che il territorio della cos detta zona B) era stato da tempo sottratto alla sovranit italiana, prima, di fatto, in seguito all'occupazione militare da parte Jugoslava, e poi di diritto, in seguito al Trattato di Pace del 1947, alla cui stipulaziome, superfluo ricorda;rlo, l'Italia ha partecipato con la ridotta capacit di negoziazione, che viene normalmente concessa ai paesi debellati. O) Con il terzo motivo, si deducono pretese violazioni agli articoli 27 primo comm_~, 95 secondo comma 100 e 102 della Costituzione, in rapporto alla costituzione ed al modo di funzionamento dell'organo incaricato della liquidazione di tlia indennizzi. Al riguardo, sufficiente rilevare che la procedura amministrativa di liquidazione di detti indennizzi non costituisce un giudizio speciale; che il relativo procedimento si conclude con un atto amministrativo, regolarmente impugnabile dinanzi a questo Consesso, nei limiti in cui consentito il giudizio di legittimit, trattandosi di materia nella quale le pretese dei privati concretano soltanto un interesse legittimo, e non un diritto soggettivo. Ora, le limitazioni del sindacato, per quanto con cerne il merito di un atto amministrativo ampia mente discrezionale, non violano certo alcun precetto costituzionale. N si ritiene possano essere censurate in questa sede le ragioni di opportunit e di convenienza che hanno indotto il legislatore ad affidare ad un apposito organo collegiale, perfettamente inqua drato nel Ministero del Tesoro, il compito di pro -44 ---"" nunciarsi sulle singole richieste di indennizzo, adottando una procedura che in definitiva si rivelata quanto mai agile ed opportuna. Ohe, in caso contrario, ognuna delle .Amministrazioni competenti -secondo la natura del bene -avrebbe dovuto costituire un apposito servizio, disporre per. proprio conto tutte le necessarie istruttorie, procedere ad un'autonoma valutazione de ibeni e cos di seguito. Ma di tutta evidenza che una siffatta duplicazione di organi e di funzioni, oltre a rendere necessaria in ogni caso un'azione di coordinamento, non avrebbe certo influito favorevolmente sulla speditezza delle singole operazioni di liquidazione. .D) Oon il quarto motivo, si denuncia violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe stato praticato ai profughi della Zona B) un trattamento difforme e meno favorevole rispetto a quello usato per la liquidazione degli indennizzi per i beni situati in altri Paesi. .Anche questa censura pienamente smentita dai fatti, i quali dimostrano con tutta evidenza come la procedura per la liquidazione degli indennizzi a favore di titolari di beni siti in Zona B), contrariamente a quanto afferma la ricorrente, assicuri in definitiva un ristoro maggiore dei danni subiti ben pi largo, rispetto a. quello riservato ai titolari dei beni situati negli altri Paesi. Perch se vero che la legge 29 ottobre 1954, n. 1050, fa riferimento ai valori correnti alla data di entrata in vigore del Trattato di Pace (1947) del pari fuori contestazione che essa stabilisce anche che l'ammontare totale degli indennizzi non potr in alcun caso superare l'importo che, per tali beni, stato determinato forfettariamente in sede internazionale. L'indennizzo viene quindi contenuto nei limiti delle somme accreditate all'Italia nella valutazione dei complessi rapporti di debito e credito, che si erano venuti a stabilire, con i singoli Paesi, per effetto della applicazione del Trattato di Pace. Quali siano state in effetti le valutazioni dei beni italiani all'estero. nei casi in cui sono state definite le procedure, concordate, di accertamento e di valutazione cosa ben nota: sta di fatto, comunque, che tali valutazioni hanno soddisfatto solo in minima parte le aspettative e le pretese degli aventi diritto, tanto da rendere necessario in alcuni casi un intervento diretto del Tesoro italiano. La liquidazione degli indennizzi ai profughi della .Zona B) risulta,da quanto sopra esposto, pi favorevole anche rispetto al definitivo trattamento riservato ai cittadini che avevano abbandonato i loro beni nei territori passati alla Jugoslavia, per effetto del Trattato di Pace. E risulta, altresi pi favorevole persino rispetto al trattamento previsto, per il risarcimento dei danni di guerra per i beni siti nel territorio di Trieste, dall'art. 51 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, specie ove si tenga presente che, per effetto della nota disciplina vincolistica (blocco dei canoni di affitto e proroga di diritto dei contratti di locazione) in vigore fin dal 5 ottobre 1936, i valori degli immobili urbani non .avevano praticamente subito alcuna variazione in aumento, cos che i prezzi di mercato di tali beni non si discostavan parzialmente da quelli in vigore- nel lontano 1938. superfluo rilevare, per ultimo, che l'indennizzo accordato ad una sola categoria didanneggiati non pu comunque considerarsi ingiusto per il fatto di essere concesso in misura non equivalente al preteso danno, atteso che si tratta di un indennizzo stabilito in base a criteri di massima, applicabili nella stessa misura a tutti i danneggiati, il che esclude di per se -come giustamente rileva l'.Amministrazione -disparit di trattamento, ogni pretesa ingiustizia e incostituzionalit del sistema adottato. Il Collegio, per le ragioni suesposte, e considerato anche il carattere non definitivo degli indennizzi in questione, quale esplicitamente risulta., dall'art. 1 della legge n. 269, ritiene che le eccezioni di incostituzionalit sopra indicate siano manifestamente infondate, e, pertanto, non reputa. opportuno aderire alla richiesta della ricorrente di sospendere il giudizio e di rimettere gli atti alla. Corte Costituzionale. Quanto poi ai motivi di gravame che specificamente si riferiscono all'atto impugnato, si rileva. che: 1) il foglio n. 146679 del 23 settembre 1960, con il quale fu notificata all'interessata la liquidazione dell'indennizzo, conteneva una particolareggiata elencazione dei beni indennizzati, le misure di tali beni calcolate dal competente Ufficio tecnicoerariale ed il valore al 1938 attribuito ai medesimi. Non si vede, quindi, quale altra motivazione 0> indicazione ell'atto avrebbe dovuto o potuto. contenere; 2) non risulta dagli atti che vi sia stato alcun errore nel calcolo della cubatura dell'inunobile,. in quanto l'UTE incluse nelle stima anche la. soffitta esistente nell'edificio; 3) sul terzo motivo, si rileva preliminarmente che la stessa ricorrente, a pag. 40 della, memoria depositata il 26 ottobre u. s., ammette e riconosce che l'UTE ha provveduto alla compilazione di un prezzario, ricorrendo ai contratti di compravendita dell'epoca, alle stime effettuate dall'UTE di Trieste, sempre in quell'epoca, in sede di revisione dei contratti agli effetti della integrazione della tassa di registro, a varie monografie, ecc. La stessa ricorrente, dunque, ammette che le stime, ai valori del 1938, sono state fatte con piena cognizione di causa e sulla base di elementi assolutamente certi ed attendibili. Ma, obbietta, tutti codesti elementi servivano solo a stabilire i prezzi e non i valori dell'epoca, e~ richiamandosi alla ascesa del corso di alcuni titoli azionari nei primi del 1960, tenta di dimostrare la differenza esistente tra i concetti del valore e di prezzo. Per quanto sia ben noto che il prezzo altro non se non l'espressione in moneta correB:te del valore attribuito, in un certo momento, ad un determi-. nato bene, il Collegio, senza aver minimamente la pretesa di esaurire l'argomento, non pu fare a meno di considerare che i prezzi rilevati dall'UTE esprimevano e rappresentavano esattamente la -45 ,situazione dei valori di mercato all'anzidetta data, -non risultando in particolare -allora come ora alcun concreto e valido elemento che consenta di attribuire al giardino che circonda la villa gi di propriet della ricorrente il valore di suolo edificatorio. Si reputa aopportuno soggiungere, infine che il l'iferimento ai vaori del 1938, adottato per tutti indistintamente i beni siti nei territori passati alla Jugoslavia, risulta pienamente giustificato dalla circostanza che tale anno pu considerarsi l'ultimo in cui si sia avuta in tali zone una libera e normale formazione di prezzi di mercato, non influenzati cio dall'andamento delle vicende belliche o da altri fattori di natura extra -economica. E che, inoltre, una procedura di stima diversa da quella adottata non poteva essere seguita, atteso che solo in via eccezionale, e limitatamente alla concessione -dei contributi per il ripristino dei beni danneggiati per fatto di guerra, l'art. 27 della legge n. 968 del 1958 consente il computo dei valori Slla base dei -costi di ricostruzione dgli immobili distrutti, ma tale norma non stata richiamata dalla legge del .1953, che, d'altra parte, prevede solo la correspon: sione di indnnizzi e non anche di contributi, n, ilito, nei primi due commi, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito (di regola, cinque anni; due, se si tratta di danno prodotto dalla circolazione dei veicoli), dif!pone, nel terzo comma, che in ogni caso, se il fatto considerato dalla legge come. reato e per il reato stabilita una prescrizione pi lunga, questa si applica anche all'azione civile. Tuttavia, se il reato estinto per causa diversa dalla prescrizione o intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi d1be commi, con decorrenza dalla. data di estinzione del reato o dalla data in cui lro sentenza divenuta irrevocabile . Com' noto, l'interpretazione di questa dispos-izione,. in apparenza chiarissima, ha dato luogo a varie difficolt. Particolarmente interessante la questione affrontata nella sentenza sopra riprodotta. Accade piuttosto frequentemente, specie in casodi scontro fra veicoli, che dalla condotta colposa di un soggetto derivino pi eventi, alcuni dei quali (ad esempio, lesioni o morte di un'altra persona) integrino la fattispecie di un reato, mentre altri (distruzione o deterioramento di cose) rimangano penalmente indifferenti, dando luogo esclusivamente: alla sanzione privatistica del risarcimento del danno. In queste ipotesi, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno patrimoniale conseguente allelesioni o alla morte certamente soggetta alla disciplina dell'art. 294 7, 3 comma. Dubbio invece se la medesima disciplina possa applicarsi anche al risarcimento dei danni penalmente irrilevanti causati da quellastessa condotta che costituisce elemento del reato di lesioni o di omicidio colposo. La giurisprudenza, in passato alquanto incerta (1), sembra ormai essersi consolidata nel senso indicato dalla Oassazione nella sentenza 25 maggio 1957, n. 1905 (2)~ I principi accolti dalla Suprema O orte, e fatti propri integmlmente dalla sentenza annotata, possono cos riassumersi: di massima, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale inerente alloevento penalmente irrilevante si prescriverebbe nei termini normali previsti nei primi due commi del (1) Cfr., per l'applicabilit dell'art. 29433: App. Trento 1 marzo 1957, in Foro it. Rep. 1957, voce Prescrizione '" 96; App. Brescia, 25 maggio 1955, in Giust. civ. Rep. 1955, voce cit., 25. Oontra: Trib. Novara, 6 dicembre 1956, in Foro #. 1957, I, 1420; Trib. Genova, 24 gennaio 1955, in Foro pad. 1956, I, 800. (2) In Foro it. 1957, I, 1420. Cfr. anche: Cass. 4 maggio 1960, n. 992, in Giust. civ. 1960, I, 1348. Fra le sentenze di giudici di merito che si sono uniformate. all'indirizzo della Cassl}zione cfr.: Trib. Bologna,--11. .marzo 1958, in Arch. resp. civ. 1958, 242; Trib. Parma, 27 giugno 1958, in Temi 1959, 155; Trib. Genova, 13: aprile 1959, in Riv. it. dfr. proc. 'pen.. 1960, 329. Contra: App. Napoli, 13 maggio 1958, in Mon. trib. 1958, 912. -53 'art. 294 7. Non sarebbe infatti sufficiente, per la applicazione del terzo comma, la circostanza che q_uell'evento sia stato causato dalla medesima condotta dalla quale siano derivati anche altri effetti integranti una fattispecie criminosa. Ove per il danneggiato per l'illecito meramente civile sia lo stesso soggetto passivo del reato, la prescrizione del suo diritto al risarcimento di tutti i danni subiti, tanto q_uelli inerenti al reato, quanto quelli estranei alla fattispecie criminosa, sarebbe sempre soggetta alla disciplina dell'art. 2947, 3 comma. Questo indirizzo giurisprudenziale non sembra meritevole di approvazione. Intanto, si rileva a prima vista l'incongruenza e l'assoluta arbitrariet della distinzione che vorrebbe introdursi fra l'ipotesi in cui il soggetto passivo del reato e la persona danneggiata dall'illecito civile eoincidano e l'ipotesi inversa. La disciplina. dettata dall'art. 2947, 3 comma, non ammette discriminazioni quoad personam. Nella considerazione della legge non entra minimamente la persona del danneggiato. Unico elemento rilevante la qualificazione criminosa del fatto dannoso (salvo vedere cosa esattamente debba intendersi -per fatto ). Non perci consentito all'interprete di elevare a momento determinante dell'applicabilit o meno della norma circostanze relative a,d elementi diversi, del tutto estranei a ci ehe costituisce il fondamento e lo scopo della disposizione. Se si accoglie il principio dell'applicabilit dell'art. 294 7 alle sole ipotesi in cui il fatto costitutivo dell'obbligazione di risarcimento coincida totalmente con il fatto -reato, si deve coerentemente riconoscere, come ha sostenuto l'Avvocatura nella causa definita con l'annotata sentenza, che anche per i danni estranei al reato subiti dallo stesso soggetto passivo di questo non pu che applicarsi la prescrizione normale dell'art. 2947, 1 e 20 comma. La rigorosit logica di questa conclusione confermata, del resto, dalla stessa giustificazione proposta dalla Cassazione (e, sulle sue orme, dal Tribunale di Firenze) per la soluzione opposta (1): giustificazione fondata su argomenti di mera convenienza, che rappresentano un vero e proprio sovrapporsi delle vedute personali dell'interprete alla logica oggettiva della interpretazione. La ragione per cui la giurisprudenza indotta ad abbandonare la rigorosa conseguenzialit logica della tesi da essa accolta ci sembra evidente; si vogliono evitare conseguenze che urtano contro ovvie esigenze pratiche, si potrebbe dire, contro lo stesso senso comune. Ma ove l'applicazione rigorosa di una certa tesi porta a conseguenze inaccettabili, non ci si pu sottrarre a (1) Solo quando la stessa persona riceva dalla medesima attivit ant,igiuridica una lesione ad un suo bene individuale, che anche la legge penale ltutela, e nel contempo una lesione ad altro bene penalmente non protetto da ammettere che sia legittimata ad attendere l'esito del processo penale per far valere in un unico giudizio entrambe le pretese riparatorie, non potendo essere obbligata ad instaurare du giudizi sepa,' . ... , ' '. rati. queste con arbitrari distinguo ; si impone piuttosto un riesame del fondamento della tesi stessa. E, in realt, a noi sembra che l'interpretazione restrittiva dell'art. 2947 accolta in linea di massima dalla giurisprudenza non regga. Gli argomenti addotti a suo sostegno sono, invero, alquanto corrivi. Il presupposto per l'applicazione della norma, si dice, che il fatto sia considerato dalla legge come reato . Orbene, per fatto dovrebbe intendersi la sintesi della condotta colposa o dolosa e dell'evento. Da ci si argomenta che, nell'ipotesi in considerazione, sussisterebbero tanti fatti quanti sono gli eventi, e cio due; uno (condotta colposa piu lesioni personali o morte) costituente reato; e un altro (stessa condotta piu danni alle cose) costituente mero illecito civile. Soltanto il primo fatto rientrerebbe nella previsione dell'art. 2947, 3 comma; al secondo dovrebbe essere applicata invece la disciplina comune. Oome si vede, tutto il ragionamento riposa sulla base, piuttosto fragile, di una certa interpretazione dell'espressione fatto. ben noto, per, che poche parole come fatto assumono nel linguaggio giuridico tanti significati diversi e, a volte, contrastanti a seconda del contenuto e dello scopo delle singole disposizioni che ne fanno uso. Non quindi possibile stabilire aprioristicamente il valore di quell'espressione e trarne argomento per l'interpretazione dello art. 294 7. Solo una approfondita indagine del contenuto e degli scopi della norma possono condurci a delimitare con rigore i presupposti per la sua applicazione, cio ad intendere esattamente il significato dell'espressione fatto considerato dalla legge come reato;> (1). Anticipando la conclusfone cui crediamo si debba pervenire, a nostro avviso la previsione della legge si estende ad ogni ipotesi in cui tutti o alcuni soltanto degli elementi costitutivi del fatto produttivo dell'obbligazione di risarcire il danno siano, al contempo, anche elementi di una fattispecie criminosa. In altre parole, ci che occorre, a nostro parere, per l' applicazione dell'art. 294 7, 3 comma, che nel fatto , considerato dal punto di vista naturalistico, come un tutto unitario comprensivo della condotta e dei suoi efetti, siano presenti gli elementi di un reato, poco importando, poi, che questi elementi assorbano tutto intero il fatto cos inteso, o invece una sola parte di esso. Verificandosi questo presupposto, il diritt al risarcimento di tutti i danni inerenti al fatto sar soggetto alla prescrizione stabilita per il reato, tanto se si tratti dei danni afferenti allo stesso evento che rientra nella fattispecie criminosa, quanto se invece si tratti di danni penalmente irrilevanti. A questa conclusione. si arriva se si intende esattamente la ratio della norma. In proposito, non sembra soddisfacente l'opinione corrente, secondo la quale lo scopo perseguito dalla legge con l'accomunare la sorte della pretesa riparatoria del privato e della pretesa punitiva dello Stato andrebbe ravvisato nell'intento di evitare che l'autore di un reato, dichia,rato responsabile e condannato in sede penale, p.ossa restare esente dall'obbligo di (1) Cfr.: 0NDEI: Il concetto di fatto" nel diritto civile, in Foro pad. >>, 1956, I, 800; App. Napoli, 13 maggio 1958, cit. -54 risarcire il danno per l'avvenuto decorso del breve termine della prescrizione civile (1). In 'sostanza, si vorrebbe scorgere il fondamento della norma nello scopo di rafforzare la posizione del titolare di un diritto di risarcimento nascente da 1eato, quasi che costui fosse portatore, non solo di un interesse privato, ma anche di un interesse generale alla repressione dell'illecito. Sembra ravvisabile in questa tesi una lontana eco delle antiche e superate concezioni dell'azione ci'l'ile nascente dal fatto-reato come azione non perfettamente autonoma rispetto a quella penale, ma in questa racchiusa ;>, tanto da trarne una decisa colorazione penalistica (2). Il diritto moderno, come noto, ha decisamente ripudiato questo punto di vista; non sembra quindi possibile ritenere che, nell'adeguare la prescrizione del diritto al risarcimento a quella della pretesa punitiva, il legislatore sia stato guidato dalla considerazione del primo come dipendente o accessorio ri8petto alla seconda. Se si considera poi che la disciplina dell'art. 2947, 3 comma, applicabile anche all'azione di rescissione (art. 1449), non sembra possibile continuare a sostenere che il suo fondamento riposi su un preteso carattere persecutorio dell'azione civile 'per il risarcimento dei danni, carattere che certo non potrebbe attribuirsi anche all'azione di rescissione. Neppure appagante sembra l'opinione di chi scorge la ratio dell'art. 2947 nella necessit di tenere in vita l'azione civile risarcitoria fino a quando vi sia la possibilit di esercitarla in sede penale median te la costituzione di parte civile (3). Anzitutto, non si vede proprio perch la legge dovrebbe considerare necessario assicurare in ogni caso la possibilit della costituzione di parte civile nel processo penale, quando questa costituzione , nel nostro sistema, meramente eventuale e ,in essa il legislatore non scorge affatto qualcosa di indispensabile allo svol gersi del processo penale. In secondo luogo, ove il fondamento della norma fosse veramente quello indi cato, non si spiegherebbe perch, venuta meno la possibilit della costituzione di parte civile (ossia, una volta compiute per la prima volta le formalit di apertura del dibattimento nel processo di primo (1) Cfr.: AzzARITI-SCARPELLO: Della prescrizione e della decadenza, in Commentario del Ood. civ. a cura di Scialoja e Branca, Libro VI, Bologna-Roma 1953, pag. 625; Cass. 29 gennaio 1957, n. 313, in Giust. civ. 1957, I, 397; id., 4 maggio 1960, n. 922, cit. Singolare l'opinione del TORO (Prescrizione del diritto al risarcimento del danno e reato non punibile per man canza. di querela, in Giust. civ., 1957, I, 397), secondo il quale l'intento perseguito dalla legge sarebbe quello di evitare che il colpevole debba ancora pagare il suo debito verso la collettivit quando il decorso del tempo abbia estinso il debito verso la vittima del reato. Ma, se cosi fosse, facile obiettare, la legge avrebbe abbreviato il termine della prescrizione penale e non prolungato quello della prescrizione civile. (2) Su queste superate concezioni v. l'efficace sintesi di LIEBMAN: L'efficacia della sentenza penale nel processo civile, nel volume collettaneo L'efficacia del giudioato penale nel processo civile. Milano, 1960, pag. 11 ss. (3) Cos:, Trib. Parma, 27 giugno 1958, cit. grado: art. 93 0.p.p.), il diritto al risarcimento non. venga assoggettato alla piu breve prescrizione civile, ma ci accada soltanto allorch intervenga sentenza irrevocabile nel giudizio. penale. . . , Il vero fondamento della norma in discorso non pu essere individuato finch essa venga considerata isolatamente, trascurando i nessi sistematici che la legano a tutto quel complesso normativo che disciplina i rapporti fra giudizio penale e giudizio civile. Come stato acutamente osservato l'art. 2947, 30 comma, non che il corollario del teorema generale della pregiudizialit del giudicato penale (1). Il principio generale cui s'informa la nostra legge (artt. 25, 27, 28 O.p.p.) quello del vincolo del giudice civile agli accertamenti contenuti nella sentenza penale. Prescindiamo qui dalle note dispute teoriche circa la riconducibilit o meno del fenomeno al concetto della cosa giudicata. Oerto che, nel nostro sistema, il giudice civile tenuto a porre a base della propria decisione il giudizio di fatto compiuto dal giudice penale. E ci vale non solo per l'azione civile di risarcimento nascente dallo stesso fatto-reato (artt. 25 e 27), ma per ogni altra azione (anche di risarcimento) relativa ad un diritto il cui riconoscimento dipenda dall'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale (art. 28), ossia, relativa ad un diritto la cui fattispecie costitutiva comprenda elementi di fatto sottoposti anche alla cognizione del giudice penale, in quanto inerenti all'oggetto dell'imputazione. Per assicurare questo effetto vincolante degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice penale, la legg prescrive la sospensione necessaria del giudizio civile in tutti i casi in cui sia iniziata l'azione penale e la cognizione del reato influisca sulla decisione della controversia civile (art. 3 O.p.p.), ossia in tutti quei casi in cui il giudice civile, per decidere la causa, dovrebbe conoscere di fatti sottoposti alla cognizione del giudice penale. Nell'interpretazione dell'art. 3 O.p.p., la giurisprudenza giunta talvolta ad affermare che la sospensione del giudizio civile non opererebbe de iure, ma sarebbe rimessa all'apprezzamento discrezionale del giurice di merito (2). A noi sembra che debba farsi una distinzione: quando il fatto oggetto del giudizio penale abbia nel giudizio civile la sola rilevanza di un elemento di prova (ad esempio, se sia stata iniziata azione penale per falsa testimonianza contro un teste escusso nel processo civile) ai fini della sospensione evidentemente necessario un apprezzamento del giudice civile circa l'influenza di quell'elemento di prova sulla decisione della causa; ma se, invece, sia lo stesso fatto costitutivo del diritto oggetto del giudizio civile che, totalmente o per qualche suo elemento, sia soggetto alla cognizione del giudice penale, in qiianto rientrante in una fattispecie criminosa, la sospensione non pu non aver luogo in ogni caso, senza che vi sia margine per un apprezzamento d.iscrezionale del giudice. In questa seconda ipotesi, quirii; una oolta esercitata l'azbne civi7e, il processo non potrd che .. (1) ONDEI, op. cit. (2) Cfr.: Cass. 25 maggio 1957, n . 1905, cit. A @::= ill A @::= ill -55 essere immediatamente sospeso attraverso il congegno dell'art. 3 O.p.p. Ed app1mto questo impedimento al libero cors del processo civile che giustifica la norma dell'art. 29471 3 comma. Se per il diritto soggettivo privato fosse stabilita una prescrizione piu breve di quella del reato, si avrebbe, infatti, questa assurda conseguenza; il tito lare del diritto sarebbe costretto, sotto pena di pre scrizione, a proporre la domanda, pur dovendosi, poi, immediatamente sospendere il processo. Sarebbe una grave incongruenza del sistema se la legge, da una parte, imponesse al titolare l'esercizio del diritto sotto pena di perderlo e, dall'altra, paralizzasse lo svolgimento del processo, imponendone la necessaria sospensione. L'art. 2947, 30 comma, stato dettato appunto per eliminare questi inconvenienti. La norma pu essere accostata a quella dell'arti colo 2935. Oome il decorso della prescrizione impe dito finch il diritto non pu essere esercitato, cos la legge si preoccupa di estendere il termine allCYrch il diritto pu s. esser fatto valere in giiidizio (nel senso che nessun impedimento sussiste alla proposizione della domanda.), ma il processo non pu liberamente svolgersi, a causa delle interferenze con la giurisdi zione penale. Se questo , quindi, il fondamento sistematico dell'art. 294 7, lo scopo della norma impone di estendere il suo campo di applicazione non solo al diritto fondato sullo stesso fattq-reato, ma anche al diritto tendente al risarcimento dei danni penalmente indif.. ferenti conseguenti ad una condotta che, per essere elemento costitutivo di un reato, soggetta alla cognizione del giudice penale, con effetto vincolante nel processo civile a norma dell'art. 28 O.p.p. Nessuna differenza tale da giustificare un diverso trattamento normativo esiste infatti fra i due casi; da una parte, si tratta sempre di sospensione neces saria del processo e mai di improponibilit della azione (1); dall'altra, la sospensione non pu non aver luogo necessariamente in tutti e due i casi, non potendo, nel nostro sistema, il giudice civile conoscere di fatti attinenti ad una fattispecie criminosa sotto posta alla cognizione del giudice penale, poco impor (1) Del tutto errato , a nostro avviso, quanto affermato nella citata sentenza della Cassazione 1905/1957: Quando la legge vieta l'esercizio dell'azione civile mentre in corso quella penale, fa univoco riferimento all'azione civile nascente dal reato, indissolubilmente legata al reato, non a quella che abbia il suo titolo nella colpa civile ... Solo riguardo all'azione che abbia per oggetto siffatta pretesa, ove si voglia esercitarla in sede separata, sorge, per effetto del divieto di legge di proporla o proseguirla finch pendente il giudizio penale, una situazione oggettiva di impossibilit giuridica, nella tando che nel giudizio civile vengano in discussione tutte le circost'anze di fatto integranti il reato, o alcune soltanto di esse. L'esercizio dell'azione civi.le .. libero. in tutti. e due i casi, ma, in tutti e due, il processo dovr essere immediatamente sospeso dopo il suo inizio attraverw il congegno dell'art. 3 0.p.p. Ricorre quindi la ratio dell'art. 2947, 30 comma: la norma non potr non essere applicata ad ambedue le ipotesi. In conclusione, tanto il diritto al risarciment<> fondato sullo stesso fattoreato, quanto quello fonjf,ato su di un fatto che interferisca con il reato, nel sens<> che presenti elementi comuni alla fattispecie di questo ultimo, devono ritenersi sottoposti, per la prescrizione, alla disciplina dell'art. 2947, 3 comma, le cui fina lit resterebbero frustrate ove si adottasse, invece,. una interpretazione restrittiva. da rilevare, infine, che l'aver rinvenuto la ratio della norma nella necessit di evitare la costri zione ad agire, sotto pena di prescrizione, allorch il processo deve necessariamente essere sospeso, con sente di fondare, altres, l'applicazione analogica. dell'art. 2947 al di fuori del campo della responsa bilit extracontrattuale, a tutti i casi in cui opera la sospensione necessaria del giudizio civile per essere i fatti che ne sono oggetto sottoposti alla cognizione del giudice penale (2). MARCELLO CONTI quale, in omaggio all'antico aforisma del cc contra non valentem agere , trova il suo presupposto e la sua " ratio la concessione di un pi lungo termine di pre. scrizione e di una diversa decorrenza di esso. In realt, l'azione civile fondata sullo stesso fatto reato non improponibile fino all'esito del giudizio penale: la situazione qnella, ben diversa, della sospen sione necessaria; n suesiste, pertanto, la voluta diffe renza fra le due ipotesi in considerazione. D'altronde, se il fondamento dell'art. 2947 stess6' veramente nel principio (< contra non valentem ager6' non currit praescriptio (v. anche App. Napoli 13 mag gio 1958, cit.), si tratterebbe di nirma superflna, es sendo sufficiente l'art. 2935. Proprio perch, nelle ipo tesi disciplinate dall'art. 2947, non si tratta di impro ponibilit dell'azione, il legislatore ha avuto bisogno di dettare una norma speciale (cos, esattamente, Cass. 29' gennaio 1957, n. 313, in Giust. civ. 1957, I, 397. Con fronta anche: Cass. 3 agosto 1942, in Sett. Cass., 1943, 177). (2) Onesta estensione analogica della norma in discorso ammessa, in principio, dalla stessa Cassazione (cfr. sent. 29 gennaio 1957, n. 313, cit.). Non si capisce proprio, pertanto, come la stessa Cassazione, in base a con~iderazioni di carattere prettamente formalistico, adotti criteri tanto restrittivi nel giudicare dell'ipotesi da cui abbiamo preso le mosse. 00 4w WfF" ::7nrrm =::rrr~n.... =Ml Li l@d& INDICE SISTEMATICO DELLE CONSULTAz10NJ L FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE STATA DATA ACQUE PUBBLICHE 1CASSA PER IL MEZZOGIORNO. Se competente a decidere le controversie per risarci mento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale di immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per la attuazione di opere relative all'acquedotto campano :sia il Trl.bunale ordinario o il Tribunale Regionale delle .Acque Pubbliche (n. 68). AGRICOLTURA E FORESTE :ISTITUTI DI CREDITO AGRARIO. Se gli Istituti di Credito Agrario abbiano diritto a Tivalersi nei confronti dei mutuatari, dell'I.G.E. pagata sulla quota interessi delle rate di ammortamento in con seguenza dei r:i::rntui concessi in esecuzione al disposto dell'art. 2 legge 25 luglio 1952, n. 991 (n. 26). ALBERGHI .AUTORIZZAZIONE PER LA DEMOLIZIONE. Se l'autorizzazione prevista dalla legislazione alber: ghiera sia necessaria anche per la demolizione dell'im: mobile vincolato (n. 14). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA NOTIFICAZIONE. 1) Quali siano le norme che regolano la notifica degli .atti di sequestro, di pignoramento o di opposizione, tendenti ad impedire lo svincolo ed il pagamento delle 'somme depositate presso la Cassa DD.PP. (n. 259). 2) In quali casi debbono trovare applicazione le norme ordinarie sulla notifica della citazione e degli altri atti .giudiziali alle Amministrazioni dello Stato, ai sensi del 'a rt. 11 T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (n, 259). APPALTO IMPRESE APPALTATRICI DI LAVORI -RISOLUZIONE VER TENZE, 1) Se l'imprenditore che intenda resistere al provve dimento di reiezione delle riserve debba notificare la domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione delle decisioni dell'Amministrazione (n. 211). 2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva impugnazione (n. 000). 3) Se la eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit Giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione ferroviaria (n. 261). REVISIONE PREZZI. 4) Se a seguito di revisione dei prezzi (D. L. 6 dicembre 1947, n. 1501, ratificato con modifiche dalla legge 9 maggio 1950, n. 329) il prezzo di appalto sia da maggiorare per l'intero suo importo o per la sola parte corrispondente ai lavori eseguiti in regime di prezzi ex correnti superiori a quelli contrattuali (n. 262). 5) Se per prezzi correnti alla data dell'offerta debba intendersi, quando la gara si sia svolta su prezzi offerti dalla Impresa, quelli contrattuali (n. 262) . ASSICURAZIONI ASSICURAZIONE CREDITI ALL'ESPORTAZIONE. Natura giuridica dell'assicurazione dei crediti all'esportazione e problemi relativi alla predisposizione di nuove condizioni generali di polizza in relazione alla legge 5 luglio 1961, n. 635 (n. 59). AUTOVEICOLI E AUTOLINEE VENDlTA DI CARBURANTE A PREZZI RIDOTTI. se sia legittima la vendita di carburante effettuata dai distributori dell'A.C.I., a favore di soci e di non soci, ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri distributori (n. 62). BORSA AGENTI DI CAMBIO -LIBRI OBBLIGATORI. Quali siano, ai sensi dell'art. 17, paragrafo III del R.D. 9 aprile 1925, n. 376 i libri obbligatori che debbono tenere gli agenti di cambio (n. 17). -57 CACCIA E PESCA PESCA SU ACQUE PRIVATE. Quali siano le norme che regolano l'esercizio della psca sulle acque pubbliche e nelle acque private, chiuse o comunicanti con acque pubbliche (n. 19). CIRCOLAZIONE STRADALE Se il conducente che intenda svoltare a sinistra debba o meno concedere la precedenza ai veicoli che seguono (n. 3). COMMERCIO VENDITA DI CARBURANTE A PREZZI RIDOTTI. Se sia legittima la vendita di carburante effettuata dai distributori dell'A.C.I., a favore dei soci e di non soci, ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri distributori (n. 18). COMPETENZA E GIURISDIZ:{ONE CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 1) Se competente a decidere le controversie per risarcimento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale d'immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano sia il Tribu:Q.ale ordinario o il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche (n. 19). SEQUESTRO CONSERVATIVO PENALE. 2) Quale sia il giudice competente per l'esecuzione delle disposizioni civili contenute nella sentenza penale di condanna (n. 20). COMPROMESSO ED ARBITRI IMPRESE APPALTATRICI DI LAVORI -RISOLUZIONE VERTENZE. 1) Se l'imprenditore che intenda resistere al provvedimento di reiezione delle riserve debba notificare la domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione delle decisioni dell'Amministrazione (n. 14). 2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva impugnazione (n. 14). 3) Se l'eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit. Giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione ferroviaria (n. 14). COMUNI E PROVINCIE PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. Se la legge n. 2134 del 1865 recante disposizioni e norme circa il riparto del prodotto delle pene pecuniarie e di altri proventi in materia penale sia ancora in vigore (n. 95). CONCORSI ASSUNZIONE CANDIDATI VINCITORI DI CONCORSO. 1) Se, tenuto conto della particolare norme, prevista. dall'art. 13, 2 comma, S.G.P., in l. concorso. di manovale i cui posti siano stati ripartiti fra i vari Comparti- menti F. S., possano approvarsi le singole graduatorie mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit. diverse in relazione alla data della rispettiva nomina. (n. 4). PROVE SCRITTE. 2) Se la comunicazione del diario delle prove scritte, prevista dal 30 comma dell'art. 14 dello Statuto giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato e dall'art. 6 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca condizione di validit. del concorso (n. 5). CONSIGLIO DI STATO GIUDICATO AMMINISTRATIVO. Se, a seguito della innovativa interpretazione di una legge in tema di pubblico impiego da parte del Consigliodi Stato in sede consultiva, l'Amministrazione sia tenuta a ricostruire di ufficio la carriera degli interessati pregiudicati dalla differente interpretazione prima adottata (n. 2). CONTABILIT GENERALE DELLO STATO RECUPERO CREDITI. Quale sia la procedura da seguire per il recupero dei crediti nei confronti di ex militari, nel contrasto fra il disposto di cui all'art. 215 del regolamento. sulla contabilit. dei corpi militari approvato con R.D. 10 febbraio 1927, n. 443 e quello di cui agli artt. 263 e seguenti del regolamento sulla contabilit. generale dello Stato (n. 185). COSTITUZIONE CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE. I) Se la dichiarazione di spettanza del potere inconstazione, contenuta nelle sentenze della Corte Costituzionale risolutive di conflitti di attribuzione, abbia. efficacia vincolante per ogni altra controversia in cui si discuta della spettanza di quel potere (n. 10). IMPOSTA SULL'ENTRATA. 2) Se sia costituzionalmente illegittima la norma del l'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, per la parte nella quale fissa il termine di sessanta giorni dalla notifica de1. decreto ministeriale o dell'ordinanza intendentizia per la proposizione dell'azione giudiziaria, in relazione all'art. 113, 10 comma, della Costituzione (n. 11). DANNI DI GUERRA SOCIETA A PARTECIPAZIONE STRANIERA. Se siano ammessi al risarcimento dei danni di guerra. gli enti e le societ. di nazionalit. italiana in cui sianorappresentati anche interessi stranieri (n. 210). - 58 DONAZIONI IMPOSTA SUL PATRIMONIO. Se, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 T. U. 9 mag gio 1950, n. 203 sull'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (che dispone il cumulo del patrimonio, per la determinazione dell'imposta, delle donazioni effettuate a favore del coniuge e dei discendenti, escluse quelle poste in essere per causa di seguito matrimonio ), l'esistenza di tale causa di seguito matrimonio debba potersi rilevare dallo stesso atto di donazione, o possa risultare anche aliunde (n. 33). EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE GESTIONE INA-CASA -GRADUATORIA ASSEGNAZIONE ALLOGGI, I) Se la Gestione INA-Casa, una volta divenuta definitiva la graduatoria per l'assegnazione degli alloggi, possa disporne l'annullamento di ufficio per vizi sussistenti al momento della approvazione ma accertati in epoca successiva (n. 121). 2) In caso di soluzione positiva quale sia l'organo competente per l'annullamento e quale la procedura da seguire (n. 121). ESECUZIONE FISCALE NOTIFICA INGIUNZIONE. I) Se la disciplina prevista dagli artt. 633 e segg. C.p.c. sia applicabile all'ingiunzione di cui al T. U. 14 aprile 1910, n. 639 (n. 60). 2) In particolare, se la notifica dell'ingiunzione fiscale debba essere eseguita nel termine previsto dall'art. 644 C.p.c. (n. 60). ESECUZIONE FORZATA PIGNORA.MENTO PRESSO TERZI. I) Se il terzo pignorato sia legittimato ad impugnare il provvedimento di assegnazione di cui all'art. 553 C.p.c. (n. 26). __ RESPONSABILITA PENALE. 2) Se la ilegittimit dell'esecuzione per impignorabilit.. dei beni vincolati escluda la sussistenza dei reati di cui agli artt. 328, 334 e 335 del Codice penale (n. 27). ESPROPRIAZIONE PER P. U. CASSA PER IL MEZZOGIORNO. I) Se competente a decidere le controversie per risarcimento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale d'immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano sia il Tribunale ordinario o il Tribunale Regionale delle Acque pubbliche (n. 167). - INACASA IN NAPOLI E PROVINCIA. 2) Se siano applicabili all'espropriazioni disposte nell'interesse della Gestione INA-Casa in Napoli e pro vincia le norme di cui al D.J,~L. 27 :feb'bFitio 19t9, n. 219, sancentila giurisdizione della Giunta specialeperle espropriazioni presso la Corte di Appello di Napoli (n.168). ,.;;;,.~ OCCUPAZIONE DI URGENZA -INDENNITA -RIMBORSO IMPOSTE. 3) Se per l'occupazione temporanea sia dovuta una indennit pari all'interesse legale sulla somma dovuta a titolo di indennit di espropriazione anche nel caso che i predetti interessi non corrispondano all'effettivo reddito del fondo (n. 169). 4) Se per l'occupazione temporanea sia dovuta la suddetta indennit anche nel caso che gli interessi non siano neppure sufficienti a pagare i tributi fondiari gravanti sul fondo stesso (n. 169). TERREMOTI. 5) Se nel caso di espropriazione per pubblica utilit promossa nei confronti di proprietari di immobili in Messina i quali non hanno accettato l'indennit offerta e non hanno concordato in via amichevole l'indennit, l'Ufficio del Genio Civile possa procedere alla stima dei beni da espropriare a sensi dell'art. I, .20 comma, della legge 9 giugno 1927, n. 1079 (n. 170). FERROVIE APPALTO ---COMPROMESSO ED ARBITRI. I) Se l'imprenditore che intenda resistere al provvedimento di reiezione delle riserve debba notificare la domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione delle decisioni all'Amministrazione (n. 331). ' 2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva impugnazione (n. 331). 3) Se l'eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione ferroviaria (n. 331). CONCORSI -ASSUNZIONE. 4) Se, tenuto conto della particolare norma, prevista dall'art. 13, 20 comma, S.G.P., in un concorso di manovale, i cui posti siano stati ripartiti fra i vari compartimenti F. S., possano approvarsi le singole graduatorie mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit diversa in relazione alla data dellarispettiva nomina (n. 332). CONCORSI -PROVE SCRITTE. 5) Se la comunicazione del diario delle prove scritte,prevista dal 30 comma dell'art. 14 dello Statuto giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato e dall'art. 6 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca condizione di validit del concorso (n. 333). 59 IMPIEGO PUBBLICO INSEGNANTI ELEMENTARI. I) Quale sia la prooedura da seguire per il recupero .a carico dei maestri elementari puniti per assenze arbitrs; trie, delle spese di supplenza e dell'eventuale visita fiscale (n. 527). GrrtDICATO AMMINISTRATIVO. 2) Se, a seguito della innovativa interpretazione di una legge in tema di pubblico impiego da parte del -Consiglio di Stato in sede consultiva l'Amministrazione sia tenuta a ricostruire di ufficio la carriera degli interesoaati pregiudicati dalla differente interpretazione prima .adottata (n. 528). ' PERSONALE FERROVIARIO -CONCORSI. 3) Se, tenuto conto della particolare norma, prevista -O.all'art. 13, 2 comma, S.G.P. in un concorso di manovale, i cui posti siano stati ripartiti fra i vari Compartimenti F.S., possano approvarsi le singole graduatorie mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive -Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit. diverse in relazione alla data della rispettiva nomina (n. 529). 4) Se la comunicazione del diario delle prove scritte prevista dal 3 comma dell'art. 14 dello Statuto giuri. dico del personale delle ferrovie dello Stato e dall'art. 6 -dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca condizione di validit. del concorso (n. 530). RECUPERO ASSEGNI ALIMENTARI. 5) Se per il recupero degli assegni alimentari corri: sposti a norma del D.L.C.P.S. Il maggio 1947, n. 363, in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza da parte di Enti diversi da quelli che hanno corrisposto gli .assegni sia necessario provvedere a mezzo di pignoramento presso terzi (n. 531). 6) Se la procedura prevista per il recupero degli asse ;gnialimentari corrisposti a norma del D.L.C.P.S. 11 maggio 1947, n. 363, debba adottarsi anche quando la cesoaazione del rapporto di impiego sia avvenuta per altra -causa, diversa dalla redazione del verbale di irriperibilit. previsto dalla legge 10 ottobre 1951, n. 1440 (n. 531). IMPORTAZIONE -ESPORTAZIONE AssICURAZINE CREDITI. I) Natura giuridica dell'assicurazione dei crediti al- 1'esportazione e problemi relativi alla predisposizione di nuove condizioni generali di polizza in relazione alla legge 5 luglio 1961, n. 635 (n. 24). IMPORTAZIONI A LICENZA. 2) Se l'applicazione del regime dell'importazione a licenza a merci acquistate, in epoca anteriore, sotto il vigore del regime dell'importazione a dogana possa costituire fonte di responsabilit. per l'Amministrazione (n. 25). RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETROLIFERI. 3) Se debba essere restituito all'Erario, a norma dell'art. 9 D.M. 25 gennaio 1957, il maggior onere liquidato, ai sensi della legge 27 dic~mbre 195.?i n. 1415, nelle materie prime impiegate nella fabbricazione dei prodotti petroliferi forniti allo Stato della Citt. del Vaticano (n. 26). IMPOSTA DI REGISTRO AUMENTO CAPITALE SOCIALE. Se il beneficio fiscale dell'imposta fissa di registro previsto dall'art. 5 della legge Il febbraio 1952, n. 74, per l'aumento di capitale conseguito con operazioni di rivalutazione monetaria sia applicabile anche quando il conseguente adeguamento della riserva legale sia realizzato con prelevamento da altri fondi di riserva per i quali non sussistano privilegi fiscali (n. 180). IMPOSTA DI R. M. INTERESSI DI MORA SU CONTRIBUTI DI PREVIDENZA. Se siano tassabili in R. M. gli interessi di mora per ritardato versamento dei contributi all'Istituto Nazionale di Previdenza del personale aziende private da parte della Soc. An. It. Esercizio Romana Gas (n. 21). I.G.E. CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 1) Se la Cassa per le Opere Straordinarie di pubblico interesse nell'Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) possa godere dell'esenzione I.G.E. prevista dall'art. 26 legge 10 agosto 1950, n. 646, per i materiali importati dall'estero e destinati alle opere eseguite dalla Cassa con il sistema dell'esecuzione diretta, anche se il regime tributario dei pxedetti materiali di importazione sia completamente regolato dal D.L. 14 dicembre 1947, n. 1598 (n. 95). CONTENZIOSO. 2) Se sia costituzionalmente illegittima la norma dell'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, per la parte nella quale fissa il termine di 60 giorni dalla notifica del decreto ministeriale o dell'ordinanza intendentizia per la proposizione dell'azione giudiziaria, in relazione all'arti colo 113, 10 comma, della Costituzione (n. 96). ISTITUTI .DI CREDITO AGRARIO. 3) Se gli Istituti di Credito Agrario abbiano diritto a rivalersi nei confronti dei mutuatari, dell'I.G.E. pagata sulla quota interessi delle rate di ammortamento in conseguenza dei mutui concessi inesecuzione al disposto dell'art. 2 legge 25 luglio 1952, n. 991 (n. 97). IMPOSTA SUL PATRIMONIO DONAZIONI. 1) Se, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 T.U. 9 maggio 1950, n. 203 sull'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (che dispone il cumulo del patrimonio -60 per la determinazione dell'imposta, delle donazioni effettuate a favore del coniuge e dei discendenti, escluse quelle poste in essere <