WL WL PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SERVIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO XII -:-N. 7-8-9-r~-u-12 LUGLIO-AGOSTO-SET.-OTT.-Nov.-DIC. 1960 QUESTIONE _DI COMPETENZA COSTITUZIONALE E GIURISDIZIONE STUDI IN ONORE DI GUIDO ZANOBINI L'art. 134 della Oostituzione attribuisce, fra l'altro, alla Oorte Oostituzionale la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. La VII disposizione transitoria, secondo comma, disponeva che, fino a quando non fosse entrata in funzione la Oorte Oostituzionale, la decisione delle controversie indicate nell'art. 134 avrebbe avuto luogo nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Oostituzione. Oon l'entrata in funzione dell~ Oorte Costituzionale, pertanto, le controversie indicate nell'articolo 134 e, fra queste, la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni devoluta alla competenza esclusiva della Corte, restandone preclusa, a nostro avviso, la cognizione, anche in via incidentale, a qualunque organo di giurisdizione, ordinario o speciale, ancorch dall'ordinamento preesistente fosse ad esso attribuita, con o senza limitazioni, in via principale o incidentale. Deve ritenersi, infatti, che l'articQlo 134, in relazione . al secondo comma della VII disposizione transit9tia, abbia abrogato o modificato le norme dell'ordinamento preesistente, che attribuivano all'autorit giudiziaria ed al Consiglio di Stato il potere dl conos_cere, in via incidentale o principale, del vizio d'incompetenza costituzionale, con l'ulteriore conseguenza ch'esso pu esser fatto valere esclusivamente dai soggetti costituzionali, che rivendicano la competenza, non dal cittadino a pretesa tutela di n suo diritto o interesse legittimo. In questo breve studio riteniamo di poter dimostrare non solo l'esattezza del nostro assunto, ma anche l'insussistenza di un preteso s-q.o contrasto con l'art. 113 della Costituzione. La questione, per quanto ci consta, fu prospettata per la prima volta alla Oorte di Cassazione nella causa Finanze-Comune di Canicatti ed altri, decisa con sentenza n. 4141/57 (in Rass. Avv. Stato, 1957; 188; in Giur. Oost., 1958, 1083 e in Foro It., 1958, I, 1137). In questa occasione la Corte, pur riconoscendo espressamente che il giudizio sui conflitti di attribuzione riservato, ai sensi degli artt. 134 Oost. e 39 e seg. legge 11 marzo 1953, n. 87, alla Corte Costituzionale, afferm nella specie la sua giurisdizione, perch escluse che sussistesse ildenun ciato conflitto e ci sotto un duplice profilo: subiettivo, perch la controversia aveva luogo non fra Stato e Rgione (Siciliana) ma fra enti diversi; obiettivo, perch era sorta non in seguito alla emanazione di un atto dello Stato o della Regione, ma in sede di rivendica di un bene detenuto da terzi, i qmtli si difendevano negando che proprietario di esso fosse ancora lo Stato ed affermando che, ai sensi degli artt. 32 e 33 S. S. Sic., ne era divenuta proprietaria la Regione siciliana. La questione, perci, ad avviso della Corte, non involgeva alcuna indagine sulla sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero alla Regione e, conseguentemente, esulava dalla competenza esclusiva della. Corte Oostituzionale. Nonostante queste premesse, la Corte decise che i beni del soppresso p.n.f. non erano stati trasferiti alla Regione siciliana, ai sensi degli artt. 32 e 33 S; S. Sic., e che, pertanto, ogni potere di amministrazione e disposizione di essi spettava allo Stato; La Corte decise, cio, una vera e propria questione di competenza costituzionale e, per di pi, in assenza dei legittimi contradittori. Successivamente si pronunzi la Corte Oostituzionale, la quale, con la sentenza 19 giugno 1958, n; 37 (in Foro it., 1958, I, 1061), decise, in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regione siciliana, una controversia obiettivamente identica alla precedente, avente come oggetto principale l'appartenenza dei beni del demanio marittimo (e quindi la titolarit dei relativi poteri amministrativi) allo Stato o alla' Regione. La questione fu, sotto diverso profilo, sottoposta all'esame della Corte di Cassazione in sede di ricorso avverso decisione del Oonsiglio di Stato, adito dalla Regione siciliana, la quale aveva impugnato un decreto interministeriale di sdemanializzazione di talune zone di spiaggia in Sicilia. Con la sentenza 3872/58 (in Rass. Avv. Stato, 1959, 19) la Corte di Cassazione a Sezioni Unite dichiar l'assoluto difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato sulla questione, la quale implicava la risoluzione di un conflitto di attribuzione frl:l Stato e Regione, a risolvere il quale, affermava la Corte, esclusivamente competente la Corte Costituzionale, ai sensi degli artt. 134 Oost. e 39 legge 11 marzo 1953, n. 87. -66 Questione in parte analoga era ktata decisa .in :senso. contrario d!,lilla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 3619/58 su ricorso del Ministero itei lavori pubblici contro la Regione Autonoma Valle d'Aosta e la Snia Viscosa S.p.A. Con questa sentenza, che sostanzialmente condividiamo, fa Corte escluse che nella specie sussistesse un conflitto di attrilfuzfone in base a due considerazioni, la prima delle quali soltanto, pel', , a nostro .avviso, esatta: l'art. 7 S.S.V.A., relativo alla concessione novantanovennale alla Regione delle acque pubbliche e~istenti nel suo territorio, che alla data del 7 settembre 1945 non fossero gi oggetto di concessione, non attuava un integrale trasferimento di pubblici poteri dello Stato alla Regione; la controversia rifletteva un oggetto concreto, l diritto alla' utilizzazione delle acque, che rappresentava un prius rispetto al conflitto di attribuzione. Questa seconda considerazione inesatta, come gi si dimostrato; esatta, invece, ~ la prima, perch effettivamente l'art. 7 S.S.V.A., che riproduce il contenuto dell'art. 1 del D.L.L. 7 settembre 1945, n. 546, non attua un trasferimento di-funzioni e di beni dallo Stato alla Regione, ma attribuisce a questa una posizione derivata, di diritto comune, quale quella del concessionario, sia pure a titolo gratuito e per novantanove anni. . Interveniva successivamente la sentenza 18 maggio 1959, n. 31 (in Rass. Avv. Stato, 1959, 51 e in Giur. Oost., 1959, n. 385, con nota contraria del Cassarino, fondata per sull'erroneo presupposto che fosse pacifica l'interpretazione degli artt. 32 e 33 S. S. Sic.) con la quale la Corte Costituzionale, dopo aver ravvisato nella controversia un vero e proprio conflitto di attribuzione costituzionale, riaffermava la propria esclusiva competenza a giudicare della appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione, come presupposto del legittimo esercizio delle potest amministrative relative a quel bene. Con la predetta sentenza la Corte precisava che in questa controversia non poteva parlarsi di disponibilit come sinonimo di propriet del bene; ma piuttosto di assegnazione alla Regione di beni o categorie di beni dello Stato in base alle norme contenute negli artt. 32 e 33 S. S. Sic., fatta in relazione alle funzioni pubbliche attribuite alla Regione, per cui ogni questione relativa non poteva essere risolta se non con riferimento alle rispettive sfere di competenza. Mentre per quanto attiene .alle controversie fra Stato e Regione, dunque, non v' contrasto fra la giurisprudenza della Corte Costituzionale e quella della Corte di Cassazione, a cui si sono adeguate prontamente le Corti di merito (App. Torino, 29 febbraio 1960, Regione Valle d'Aosta-Finanze, in Rass. Avv. Stato, 1960), qualche perplessit rimane relativamente ali~ controversie fra uno dei due soggetti costituzionali ed il terzo ovvero fra terzi, non potendo dirsi che la sentenza 26 ottobre 1957, n. 4141 (MAZZELLA: Sulla competenza a decidere le controversie tra Stato e Regione relative a beni demaniali e patrimoniali disponibili e indisponibili, in Rass. Avv. Stato, 1958, 79) sia stata del tutto superata dalla successiva 12 dfoembre 1958, n. 3872. Questa, infatti, neg la giurisdizione comune soprattutto sotto il profilo che la questione integrante un conflitto di attribuzione costituzionale, era stata dedotta in via principale e costituiva, perci, l'oggetto della decisione; la precedente sentenza, invece, aveva affermatcr-la giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria non tanto perch la controversia non si svolgeva fra soggetti costituzionali (Stato e Regione), quanto sotto il profilo che oggetto del giudizio era una questione di propriet e, pertanto, della questione di competenza costituzionale essa doveva decidere solo in via incidentale, ai fini dell'accertamento della propriet in capo aduno degli enti. Sotto questo profilo la questione di competenza costituzionale potrebbe insorgere anche in una controversia fra privati, ad esempio in materia di diritti derivanti da una concessione amministrativa, che si assumesse ex-adverso assentita dall'ente privo di competenza, onde la necessit di approfondire l'esame della questione, accertando se il procedimento stabilito per la risluzione dei conflitti di attribuzione non sia preclusivo di ogni altro anche, incidentale, e se dalle norme costituzionali, che ripartiscono la competenza amministrativa fra Stato e Regioni possano sorgere diritti soggettivi e interessi legittimi in capo ai privati cittadini. La questione, com' evidente, acquista molto maggior gravit in relazione alla giurisdizione del Consiglio di Stato, sia perch la questione di competenza ivi dedotta in via principale, sia perch trattasi di giurisdizione di annullamento, che finirebbe con l'essere concorrente con la giurisdizione della Corte Costituzionale, la quale in materia ha pienezza di effetti perch dichiara l'ente, cui spettano le attribuzioni in contestazione, e annulla l'atto emanato fuori dei limiti della competenza. Gl'inconveninti del sistema concorrente sono tali, che la sola loro enunciazione. sarebbe sufficiente a convincere dell'assurdit di una tale possibilit. In primo luogo, ove il riorso fosse proposto contemporaneamente dal privato al Consiglio .di Stato e dall'ente, diverso da quello, che ha emanato il provvedimento, alla Corte Costituzionale, lamentando il primo la lesione di un suo interesse legittimo e il secondo l'invasione della sua sfera di attribuzione sempre per effetto dello stesso provvedimento, potrebbe aversi contrasto di giudicato, con la ults.riore conseguenza che la pronunzia della Corte, avendo effetto erga omnes affermerebbe o negherebbe con effetti assoluti la competenza negata o i!iffermata dal Consiglio di Stato con effetti limitati a quel proVV-edimento ed eventualmente a quel soggetto ricorrente. Se, invece, il ricorso fosse proposto esclusivamente dal privato al Consiglio di Stato, essendo Stato e Regione concordi nella interpretazione della norma sulla ripartizione di competenza, la decisione di accoglimento provocherebbe essa stessa il conflitto di attribuzione costituzionale necessariamente e contro la stessa volont d-ei soggetti costituzionali, soli legittimati a proporlo. ~ evidente, infatti, che, in seguito alla decisione di annullamento del Consiglio di Stato, dovrebbe astenersi dal provvedere l'ente, che si ritiene, col pieno consenso dell'altro, competente e dovrebbe provvedete inv-ece quest'ultimo, essendo inconcepibile l'assoluta inerzia della Pubblica .Amministrazione, con l'ulteriore conseguenza che il primo ente dovrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale per il regolamento di competenza. Se vero che adducere inconveniens non est solvere argumentum, non men vera, per, l'assurdit delle conseguenze, cui si perviene affermando la giuri sdizione del Consiglio di Sta,to, in via principale, sulle questioni di competenza costituzionale. Non fuor di luogo osservare in proposito che dalle norme costituzionali attributive di competenza legislativa allo Stato ed alle Regioni non sorge alcun diritto soggettivo o interesse legittimo in .capo al pdvato, il quale pu solo, in occasione di un giudizio civile, penale o amministrativo, eccitare il giudice perch promuova la questione di legittimit costituzionale della legge, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. .Analoga facolt gli era stata riconosciuta dalla Commissione speciale della Camera dei Deputati la quale, nel formulare l'art. 35-33 del testo approvato dal Senato e 37 del testo definitivo della citata legge 11 marzo 1953, n. 87, aveva espressamente previsto che il ricorso per la risoliizione dei conflitti di attribuzione fosse proposto anche da altri soggetti diversi dagli enti in conflitto, che la Corte avesse ritenuto legittimti, cio, da quei soggetti, pubblici e privati, direttamente interessati all'atto e indirettamente interessati alla risoluzione della question di competenza. Il Parlamento non approv una tale estensione, ma significativa la circostanza che si era pensato di legittimare al ricorso il terzo,. ma non si era mai dubitato che giudice esclusivo della questione di competenza fosse la Corte CostituziOnale (in Rass. Avv. Stato, 1950, p. 162). .A nostro avviso la giurisdizione comune va esclusa proprio alla stregua di quell'art. 113 Cost. che si invoca a sostegno di, essa e che deve essere interpretato sistematicamente e in relazione a tutte le altre norme della Costituzione. Gli argomenti addotti dai sostenitori della opposta tesi e fatti propri dal Consiglio di Stato (IV, 9 giugno 1959, n. 663, ne Il Consiglio di Stato, 1959, fase. maggio-giugno, p. 771) e dal Consiglio di Giustizia .Amministrativa per la Regione siciliana (9 dicembre 1959, n. 147) non sono affatto convincenti. Certamente ultronea l'affermazione contenuta nel~a citata decisione del Consiglio di Stato, peraltro perspicuamente motivata, ove si afferma che l'art. 113 della Costituzione garantisce senza limitazioni la difesa giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei cittadini, che si pretendono lesi dagli atti della P . .A. L'affermazione esatta solo per quanto attiene agli interessi legittimi, mentre nessuna tutela garantita agl'interessi semplici, anzi, tenendo conto della rigidit del sistema costituzionale anche per quanto attiene alla ripartizione delM competenze fra i Poteri dello Stato, questa tutela dovrebbe considerarsi esclusa e, conseguentemente, soppressa ogni giurisdizione di merito (L'obbligo della P . .A. di conformarsi al giudicato , in Rass. Avv. Stato, 1953, p. JO). Comunque; pacifico che l'art. 113 della Costituzione, in relazione anche al precedente art. 103, garantisce la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi, onde la necessit di accertare se attinge tale consistenza l'interesse dl cittadino alla osservanza delle norme costituzionali sulla competenza. Dire, poi, che la giurisdizione amministrativa e quella costituzionale si pongono su piani diversi ed a tutela di sfere d'interessi diverse dire cosa esatta, ma del tutto irrilevante ai fini della questione, che ne occupa. .Anzi, proprio la constatazione dei piani diversi su cui muovono la giurisdizione comune e quella costituzionale doveva rendere particolarmente accorti nell'escludere interferenze, che sono inammissibili fra piani diversi. L'esempio da tener presente, per le evidenti analogie, che presenta, quello della giurisdizione internazionale rispetto alla giurisdizione interna, che si muovono su piani diversi ed appunto per ci non presentano interferenze fra loro. Come si ritiene che .le norme internazionali, appartenenti ad un ordinamento diverso, non sono fonte di diritti soggettivi n d'interessi legittimi in capo ai privati cittadini, cos deve ritenersi che non lo siano le norme costituzionali sulla competenza, che non tutelano, neppure in via occasionale, interessi privati. .A noi sembra, perci, che la questione vada affrontata in radice, esaminando accuratamente proprio quella sfera d'interessi, a tutela della quale si pone la giurisdizione amministrativa, al fine di accertare s'essa comprenda anche l'interesse alla ripartizione fra Stato e Regione della competenza in conformit delle norme costituzionali. In poche parole a noi sembra che la questione, logicamente preliminare, da decidere se sussista un diritto o un interesse legittimo del cittadino alla osservanza delle norme costituzionali sulla competenza o se, invece, ad essa il cittadino non abbi:;t un interesse di mero fatto. Questa indagine, che molto spesso si trascura con la conseguenza, a nostro avviso gravissima, di trasformare la giurisdizione amministrativa in giurisdizione di diritto obiettivo, che provvede, su denunzia di chi abbia un interesse ad agire, al controllo di legittimit degli atti amministrativi, nella specie essenziale. Occorre, cio, accertare se le no~me costituzi~na~i sulla ripartizione di competenza fra Stato e Reg10m, attribuiscano alla posizione giuridica soggettiva del privato una protezione diretta od occasionale, che il presupposto del potere giurisdizionale, o se, invece, l'interesse del privato, confondendosi con quello generale della collettivit, considerato esclusivamente dalla norma, manchi di qualsiasi rilevanza tutelabile in sede giurisdizionale. Esaminata sotto questo profilo, la questione non pu avere altra soluzione che quella da noi sostenuta. Riteniamo, infatti, che non possa neppure dubitarsi del fatto che le norme costituzionali sulla competenza siano dettate esclusivamente con riguardo alla sfera d'interessi dello Stato e della Regione senza alcun riferimento alla . situazione giuridica soggettiva di altri enti o individui, che non neppure occasionalmenteprotetta da quelle norme. -68 - A differenza di quelle disposizioni della Oostituzione, che si riferiscono alle situazioni soggettive dei privati cittadini, le norme sulla competenza riguardano solo gli enti, fra cuj la competenza stessa ripartita. Oonferma di questo assunto tratta, a nostro avviso, proprio dai lavori preparatori, della legge 11 marzo 1953, n. 87, durante i quali fu dibattuta la questione e fu escluso il conferimento al privato interessato di un qualsiasi potere di azione. Resta, perci, escluso ogni interesse legittimo del cittadino alla osservanza delle norme costituzionali, che ripartiscono. la competenza amministrativa fra Stato e Regioni, con la conseguenza ulteriore che anche sotto questo riflesso deve essere negata la giurisdizione del Oonsiglio di Stato e che, comunque, non sussiste alcun contrasto fra il nostro assunto, che questa giurisdizione nega, e l'art. 113 della Oostituzione, che riguarda la tutela giurisdi_zionale dei diritti e degli interessi legittimi dei privati cittadini, fr cui non compreso l'interesse all'osservanza delle norme costituzionali sulla competenza. Il Per l'evidente parallelismo, che sussiste fra que sta ipotesi e il conflit~o di attribuzione tra i poteri dello Stato, disciplinati anch'essi dall'art. 134 della Oostituzione e dalle norme contenute nel capo III della legge 11 marzo l953, n. 87, riteniamo che debba negarsi la giurisdizione comune anche per quanto attiene all'eventuale violazione di norme costituzionali, che ripartiscono la competenza tra i vari poteri dello Stato. GIUSEPP~ GUGLIELMI A VVOOATO DELLO STATO I TERM.INI PER L'ACCERTAMENTO E PER LA ISCRIZIONE A RUOLO DELLE IMPOSTE DIRETTE <*> Il Governo della Repubblica, dalla legge 5 gennaio 1956, n. 1, contenente <: rmazione da questo subito per effetto dell'attuazione dell'opera pubblica, poich il giudice ordinario non pu disporre la rimozione o la modificazione dell'opera disposta ed eseguita dalla Pubblica Amministrazione nell'esercizio della sua insindacabile attivit discrezionale, e neppure pu prefiggere alla amministrazione un termine per lo inizio e per lo espletamento della procedura di espropriazione, o per il trasferimento convenzionale del diritto di propriet, in tal caso, mentre l'ente occupante verrebbe a trovarsi nella possibilit di protrarre indefinitivamente la situazione illegittima da esso stesso creata, i proprietari resterebbero privati del con tenuto sostanziale del diritto di propriet. A tali ingiuste conseguenze si ovvia riconoscendo ai privati il diritto di ottenere, dinanzi all'autorit giudiziaria ordinaria, la condanna dell'.Amministrazione alla corresponsione, a titolo di risarcimento del danno, del valore corrispondente alla privazione del b:me illegittimamente ed irreparabilmente da essi sofferta (Oass. sentenze n. 3309 del 1955, 3125 del 1952). N l'Amministrazione avr motivo di dolersi di essere esposta a pagare somma maggiore di quella che avrebbe pagato .sotto forma di indennit di espropriazione, la quale non ha per oggetto la integrale riparazione di tutti i danni eventualmente sofferti dal privato in dipendenza dell'esproprio, perch essa dovr imputare a se stessa se, avendo trascurato di far ricorso alla procedura d'espropriazione, non consegue il vantaggio che avrebbe ricavato da quella procedura. Ben diversa la situazione che si presenta qualora, sia pure in pendenza del giudizio per risarcimento dei danni, promosso dal proprietario, intervenga il decreto di espropriazione del bene occupato abusivamente. Anche in tal caso, come hanno precisato queste Sezioni Unite con la ricordata sentenza n. 3204 del 1959, il decreto di espropriazione non ha efficacia di sanatoria per l'illegale situazione pregressa, perch vale sempre il principio, secondo il quale il momento di trasferimento del bene espropriato coincide con la data del decreto di espropriazione. Tuttavia detto decreto spiega tutta la sua efficacia costitutiva per l'avvenire in relazione a tutti gli effetti che la legge sull'espropriazione per pubblico interesse vi riconnette: non solo quindi dalla data del decreto si overa il trapasso della propriet del bene in capo all'ente occupante, ma tale trapasso coordinato -in aderenza allo schema legislativo -con una controprestazione a carico del predetto ente, ilcui ammontare rappresentato dall'indennit di esproprio fissata nel decreto, ovvero, in caso di opposizione, da parte degli organi speciali previsti dalle leggi sull'espropriazione. Tale affermazione trova, nel piano teorico, la propria giustificazione nel principio, gi affermato, della funzione specifica della indennit di espropriazione. Per ritenere che la competenza del giudice ordinado adito per la liquida~ zione del danno da occupazione abusiva assorba l'efficacia della procedura di esproprio nella parte relativa alla determinazione della indennit, bisognerebbe poter affermare che, malgrado l'intervenuto decreto, ed anche quando non venga in discussione lo stesso potere di espropriazione, persista il carattere abusivo dell'occupazione del bene da parte dell'ente espropriante. Pich, al contrario, il decreto di esproprio, operando il trapasso di propriet del b:me, fa cessare quel carattere abusivo, ne discende che, dalla data di quel decreto, viene a mancare anche la ragione di ulteriori danni per il proprieta'i e la_ competenza del giudice ordinario a valutare le istanze di danni per il periodo successivo al decreto di espropriazione. Una pronuncia da parte del giudice ordinario, sia pure sotto l'apparenza di un risarcimento dei danni, sulle conseguenze econo .....:... 80 ~ miche del decreto di esproprio, al di fuori dello schema dell'indennit di espropriazione, si risolverebbe in una nuova valutazione di quel valore di scambio del bene espropriato che deve essere, invece, fissato esclusivamente secondo i criteri predeterminati delle leggi sull'espropriazione e dagli organi dalle stesse leggi previsti. Intervenuto, dunque in pendenza del giudizio per danni intentato dal privato il decreto di espropriazione del bene gi indebitamente occup~to in pregiudizio del privato medesimo, .il giudice deve contenere la liquidazione del danno esclusivamente in relazione al periodo precedente al decreto di esproprio ed il criterio che deve presiedere alla liq"Q.idazione non unico, ma pu variare a seconda della concreta fattispecie. Di regola quel danno consister nella mancata percezione, da; parte del proprietario, del reddito che egli avrebbe potuto ricavare dal bene. Nulla vieta, peraltro, che qualora il proprietario dimostri che, in conseguenza dell'oc- cupazione, da lui illegittimamente sofferta egli non potette realizzare concrettl occasioni per la vendita del bene o altrimenti conseguire finanziamenti o trarre altri benefici, il giudice di merito liquidi, a titolo di danno, la perdita che in concreto il proprietario abbia subito, e tale perdita, nella ipotesi limite, potr anche essere pari all'importo che, tenuto conto degli eventuali vincoli gi esistenti sull'immobile (ad esempio in conseguenza di piano regolatore) il proprietario avrebbe potuto ricavare dal bene, prima dell'intervenuto decreto di espropriazione, qualora non fossero state eseguite le opere di trasformazione. In tal caso, come intuitivo, il proprietario, se avesse realizzato il valore del bene attraverso la vendita, non avrebbe potuto realizzare altro utile, onde dall'ammontare del danno, liquidato secondo gli indicati criteri, anqrebbe comunque detratto l'importo dell'indennit fissata nel decreto di espropriazione o nella eventuale contestazione giudiziale. Il danno da occupazione abusiva delle aree, dunque, potr essere anche rappresentato, anzich dal mancato reddito, dalla differenza tra il valore venale e l'indennit di espropriazione, ma ci non gi perch tale determinazione sia in re ipsa, ma unicamente allorch la prova dell'esatto ammontare sia fornita dal creditore, che non ha potuto disporre in concreto del bene, per esserne stato impedito dall'occupazione abusiva (art. 2043 e 2697 e.e. Ove, anche in mancanza di dimostrazione dei danni effettivamente conseguiti dal proprietario, per effetto di tale occupazione, il giudice ordinario gli attribuisse, in aggfunta all'indennit ed ai frutti non percetti, la differenza tra il valore venale del bene e l'indennit stessa, come si invoca dalla societ ricorrente, tale liquidazione urterebbe contro i principi dianzi ricordati e si ridurrebbe, in ultima analisi, nell'annullamento del decreto di espropriazione nella parte relativa all'indennit per la privazione del bene, ad opera di organo diverso da quello cui la determinazione demandata per legge, creandosi, in tal modo, un ingiustificato conflitto. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2 della legge 20 marzo .1865, n. 2248, ali. E, sull'abolizione del contenziono amministrativo, dell'art. I C.p.c. e dell'art. II della legge 24 marzo 1932, n. 355, che approva il piano regolatore della citt di Roma, e lamenta omessa pronuncia e omessa motivazione su di. un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 1 e 5 C.p.c.). Si assume che, avendo la Societ Costruzioni fatta opposizione al decreto di espropriazione deducendo il difetto assoluto del potere di espropriazione (per le ragioni indicate nel coevo ricorso per regolamento di giurisdizione), la Corte di merito, che ha disatteso la domanda principale di risarcimento del danno, basandosi sul decreto di espropriazione emanato nelle m0re del giudizio, non avrebbe potuto, a rigore, fare a meno di pronunciarsi sulla dedotta illegittimit del su citato provvedimento, da cui dipendeva l'efficacia della pronuncia di espropriazione. Anche tale motivo infondato e la dimostrazione coincid con quanto questa Corte _ha posto a fondamento della motivazione della contemporanea sentenza che rigetta il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione. Sebbene risponda al vero che la societ ricorrente ebbe a chiedere, nel giudizio di merito, in via subordinata, la dichiarazione di inefficacia del decreto presidenziale di approvazione della variante del piano, la Corte di merito mai avrebbe potuto dichiarare illegittimo il decreto prefettizio di espropriazione, precisamente in forza degli articoli 4 e seguenti della legge abolitiva del contenzioso amministrativo invocati nel , ricorso. Invero il decreto prefet~izio di espropriazione stato emanato in forza della variante al piano regolatore di Roma, .disposta con D.P.R. 3 aprile 1948, con la quale si destinavano a strade le aree della Societ, Costruzioni, ma la pretesa illegalit della variante avrebbe potuto essere fatta valere solo dinanzi al giudice amministrativ,o. Ci per il principio, pi volte affermato e ricordato nell'altra sentenza emessa tra le stesse parti, per cui, in tema di potere di espropriazione per pubblico interesse, deve ritenersi che l'esistenza della legale dichiaraziane di pubblica utilit un presupposto dell'esercizio del potere previsto dallo art. 834 C.c. a tutela del diritto di propriet, onde la sua inesistenza, di fatto o giuridica, pu essere dedotta davanti al giudice ordinario per far valere la conseguente illegittimit del decreto di espropriazione, che sia stato tuttavia emanato, al fine del risarcimento del danno; mentre se la dichiarazione esiste (e, nella specie, esiste), ma illegittima (per incompetenza relativa, violazione di legge o eccesso di potere), essendosi tuttavia verificata, data la sua esistenza, la.sua funzione di tutela del diritto, ma essendo violato soltanto un limite previsto per la tutela dell'interesse pubblico e dell'interesse legittimo, l'illegittimit pu essere fatta valere davanti al giudice amministrativo (Sezioni Unite, n. 3583 del 1959; 3457 del 1958; 173 del 1957). .A. tali esatti criteri si sostanzialmente ispirata la Corte di merito che, nel rispettare ie corQ..Pe::_ tenze dell'autorit giudiziaria oridnaria e di quella amministrativa, non incorsa in alcuna omissione di pronuncia o di motivazione su punti decisivi della controversia. Il ricorso della Societ Costruzioni va pertanto rigettato con le sonseguenze di legge . -81 IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Riscossione -Dichia razione di fallimento post mortem -Creditori del fallito -Preferenza sul credito per imposta di suc cessione. IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Liquidazione -Dichia razione di fallimento post m 0rtem -Deduzione del passivo -In base ai criteri e alle prescrizioni di cui alla legge sulla imposta di successione. (Corte di. . Cassazione, Sezione I, sent. 4 agosto' 1960, n. 2292 - Pres.: Fragali; Est.: Del Conte; P. M.: Trott~ (conf.); Amministrazione delle Finanze c. Andreanelli e fallimento Andreanelli e Frabboni). I vantaggi che gli artt. 2758 e 2772 O.e. attribuiscono ai creditori separatisti, di fronte ai credito dello Stato per imposta di successione devono ritenersi estesi, in base all'art. 11 della le~ge fallimentare, ai creditori del fallito post mortem. . Nel caso di fallimento post mortem la consistenza della eredit ai fini della imposta di successione deve valutarsi secondo le speciali norme tributarie stabilite dagli artt. 45 e 50 legge 30 dicembre 1923, . n. 3270, con la deduzione cio del passivo da attuarsi s?ltanto nei termini, nei tempi e nei modi da queste rigorosamente prescritti. Con la sentenza riportata la Cassazione decide che nel caso di fallimento post mortem, la consistenz~ della eredit ai fini della imposta di successione deve 1!alutarsi secondo le speciali norme tributarie stabilite dagl~ artt. 45 e 50 legge 30 dicembre 1923, n. 3270 (1), e cio con la deduzione delle passivit solo nei termini, nei tempi e nei modi da queste rigorosamente prescritti, e senza tenere conto delle risultanze della procedura concorsuale e quindi non in base unicamente alle attivit residuate all'erede a seguito aella chiusura del fallimento. Ed anche evidentemente in vista della importanza della decisione il Foro Itallano, con ammirevole sollecitudine, ne cura la divulgazione inserendola nel fascicolo pubblicato il 20 seitembre, e quindi a distanza di appena un mese dal suo deposito, ma con sorpresa omette di segnalare, nelle sempre accurate note di richiamo ai precedenti, che la pronunzia, nel rinnegare l'opinione contraria erroneamente sostenuta con pervicace costanza da oltre un trentennio, segna una decisa svolta nella elaborazione giurisprudenziale, col prestare di nuovo adesione alla interpretazione fatta gi propria con tanta. esattezza dalla Cassazione di Roma nelle sen-. (1) Cfr. anche ultimamente il disegno di legge n 879 d'iniziativa del senatore Bussi, dal titolo Modifica dell'art. 4 della legge 12 maggio 1949, n. 206, contenente n?rme per ~a deduzione di passivit agli effetti dell'imposta di suc?es.~ione: c~m .la J?roposta diretta ad equiparare ap.e . dtch1~raz1on~ r1lasc1ate da pubbliche arnministraz, 10m, .ag;h e~ett1 del~a dol:'.umentazione necessaria per 1arn:n1ss10ne ~detrazione d1 passivit per la liquidazione dell'imposta d1 successione, le dichiarazioni di debito rilasciate dal servizio per gli elenchi'nominativi dei lavoratori e per i contributi unificati in agricoltura e dalla 9assa. nazionale i~piegati agricoli e forestali, approvato il 9 giugno 1960 m sede deliberante dalla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, e quindi trasmesso al Senato con il n. 1296. tenze 4 maggio 1889 (in Foro It., 1889, I, 1263), 4 e 18 febbraio 1902 (in Foro It., 1902, I, 349 e 696). Con inizio dalla sentenza 16 novembre 1931 (in Foro It., 1932, I, 169) la Cassazione h infatti insegnato che la dichiarazione di fallimento del commerciante defunto non equiparabile a tutti gli ef/etti alla separazione del patrimonio del defunto da quello dell'erede, in quanto non sussiste per la dichiarazione la necessit della iscrizione .del credito sopra ciascuno degli immobili, n ad essa applicabile la disposizione eccezionale dell'ultimo capoverso dell'art. 1962 O.e. (ora art. 2758 e 2772), che antepone al credito privilegiato dello Stato per la tassa di successione le ragioni dei creditori del defunto che abbiano esercitato il diritto alla separazione dei patrimoni. Ma il diritto dello Stato per la riscossione della tassa di successione, pur godendo del privilegio sui beni ereditari, va esercitato contro l'erede. E, conseguentemente, nel caso di fallimento dichiarato post mortem, la Finanza non pu pretendere il pagamento della tassa dalla massa fallimentare, ma soltanto dall'erede qualora, chiuso il fallimento, sia venuto in possesso di qualche attivit, in quanto da ritenersi intuitivo che, ove non abbia a verificarsi alcun trasferimento di beni dal defunto all'erede, venga a mancare addirittura la materia tassabile. E nel detto orientamento si insiste nella maggior parte delle pronuncie successive, nonch dalle stesse decisioni della Commissione Centrale delle Imposte insegnandosi .che la imposta di successione rientra nella categoria dei tributi indiretti e si giustifica con la presunzione dell'aumentata capacit patrimoniale del contribuente per effetto della successione nell'eredit, e quindi presuppone un incremento patrimoniale per l'erede, un suo arricchimento mediante un effettivo trapasso di beni. Ed infatti per questo che la legge fissa l'imponibile al netto delle passivit e con varie disposizioni sospende i termini della denuncia ed il paO'amento dell'imposta quando all'accettazione dell'er:dit non corrisponde alcun trasferimento di beni (artt. 53, 58, 64 legge sulle successioni). E da tanto si crede quindi di dover dedurre che se l'incremento patrimoniale viene a mancare perch interviene il fallimento ad attuare la separazione del patrimonio del de cuius da quello dell'erede per destinare il primo a soddisfare i creditori del defunto, vien meno la stessa materia tassabile od almeno essa si riduce a quelle attivit che eventualmente potranno residuare a favore dell'erede alla chiusura del fallimento, con la conseguenza che l'imposta debba essere commisurata al solo supero dell'attivo . . Ben diversa era stata invece .l'opinione a pi riprese espressa dalla Cassazione di Roma, secondo cui nei rapporti con la Finanza anche nella eredit aocettata con beneficio d'inventario non sono detraibili i debiti che non risultano provati nei modi.prescritti dalla legge, e la detrazione dei debiti per la liq~dazione della tassa di successione deve sempre farsi con le norme stabilite dall'art. 54 della legge del registro, anche quando si tratti della successione di un fallito, s che non sono detraibili i debiti non giustificati a quel modo, sebbene regolarmente ammessi al passivo del fallimento nella verificazione dei crediti. Con la sentenza che riportiamo la Cassazione, rinnegando gli immediati precedenti di giurisprudenza, si dichiara di nuovo sostenitrice de~la oramai lontana opinione della Cassazione di Roma, e di questo suo ravvedimento d una irrefutabile dimostrazione che lascia perplessi sul come si sia potuto cos a lungo perseverare nell'errore. Con meravigliosa lucidit si osserva dal Supremo Collegio che invero, il fatto che il fallimento post mortem accerta uno stato d'insolvenza indubbiamente anteriore o contemporaneo alla morte, confermato dalla successiva verifica dei crediti, e quello che l'erede, spogliato dei beni dal fallimento, nulla in sostanza apprende dalla eredit se non l'eventuale residuo, sono argomen~ i che potrebbero aver valore soltanto se il sistema tributario italiano non fosse, come risaputo, ispirato spesso a deviazioni anche gravi dai principi di diritto comune, determinate dall'esigenza di tutelare .l'Erario contro il pericolo di frodi fiscali, e se, in particolare, a tal fine, la legge tributaria non contenesse delle norme che stabiliscono tassativamente quali sono le passivit detraibili in materia d'imposta di successione, nonch infine se fosse esatto il presupposto che tale imposta colpisce soltanto l'effettivo aumento di ricchezza dell'erede. . sufficiente al riguardo osservare che, per lo art. 45 della legge sull'imposta di successione, sono ammessi in deduzione a.all'asse ereditario solo i debiti certi e liquidi, risultanti da sentenza passata in giudicato, purch la data di pronuncia sia anteriore all'apertura della successione; in modo che, se pure la esistenza di un debito sia accertata con sentenza passata in giudicato, ove questa sia stata emessa posteriormente all'apertura della successione, il debito stesso non pu essere ammesso in deduzione. La imposta, in tal caso, colpisce un incremento di ricchezza che, secondo i principi di diritto comune, non esiste, perch escluso da una sentenza passata in giudicato. Ed a fortiori non potrebbe avere rilevanza ai fini fiscali l'accertamento di un debito risultante dalla verifica fallimentare, ove tale accertamento si riferisce ad un debito non deducibile secondo la legge tributaria. Il rigore di questa legge. nei riguardi delle deduzioni delle passivit rende evidente che l'imposta non commisurata all'effettivo aumento di ricchezza dell'erede, ma alle attivit ereditarie, diminuite delle sole passivit accertate in conformit ai criteri stabiliti dalla legge medesima. Del resto, l'art. 1 della legge sulla imposta di successione contiene una norma generale che conferma esplicitamente tale interpretazione, quando stabilisce che le trasmissioni della propriet, dell'usufrutto, dell'uso o godimentO di beni o di altro diritto, che si verificano per causa di morte, sono soggette alla imposta di successione, per il loro ammontare netto dalle passivit, secondo le norme stabilite dalla presente legge . Inoltre, se fosse esatto che l'imposta di successione colpisce solo l'effettivo aumento di ricchezza dell'erede e che, quindi, nel caso di separazione operata dal fallimento post mortem, l'imposta debba essere applicata in base soltanto all'eventuale residuo conseguito dall'erede, l'istesso dovrebbe dirsi anche in ogni altra ipotesi di separazione, e quindi anche nel caso di separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede. Ma allora la norma degli articoli 2758 e 2772 O.e. non avrebbe ragion d'essere, perch, dovendo l'imposta di successOne avere esistenza soltanto dopo il soddisfacimento dei creditori separatis;ti, non vi sarebbe alcuna possibilit che il privilegio per l'imposta possa danneggiare costoro. Se invece la norma ha il fine di evitare che i suddetti creditori possano ricevere pregiudizio dal credito privilegiato dello Stato per l'imposta di successione, ci implica che la liquidazione dell'imposta stessa deve avvenire anche in tal caso nei termini e con le modalit stabilite dalla legge tributaria, indipendentemente dall'esito della procedura volta a soddisfare le ragioni dei creditori del defunto. Infine, va osservato che la legge sulla imposta di successione, quando ha voluto che, ai fini della liquidazione dell'imposta, si dovesse tener conto delle risultanze della. procedura fallimentare, lo ha previsto espressamente, come ha fatto nell'art. 31, con il quale ha stabilito che la presunzione della esistenza dei gioielli, danaro e mobilia, in deter minate percentuali, non si applica quando dall'in ventario fallimentare risulti invece la loro inesi stenza, ovvero un valore minore o maggiore. Quanto poi alla circostanza che, nella specie, la eredit era stata accettata col b3neficio d'inven tario, si osserva che essa non ha alcuna influenza sul criterio da applicare per valutare le passivit ereditarie, criterio che anche in tal caso resta quello stabilito dalle norme tributarie. Invero, nonostante l'accettazione col beneficio d'inventario, il chiamato alla eredit, pur non essendo tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni pervenutigli, senz'altro erede, cio titolare di tutti i diritti derivanti dalla eredit e debitore di tutte le relative obbligazioni, con effetto dalla data dell'apertura della succes sione: onde il fallimento, posteriormente interve nuto, non elimina l'applicabilit a quella data delle norme tributarie. Del resto, la legge tributaria all'art. 70, stabilendo che l'erede beneficiato tenuto a pagare l'imposta di successione soltanto con le attivit a lui pervenute , rende evidente che ci che perviene all'erede misura della sua responsabilit, non della sua obbligazione, e che l'accertamento dell'ammontare della imposta indi pendente dall'entit delle attivit pervenute allo erede. Se infatti l'imposta dovesse ragguagliarsi ad esse, la disposizione sarebbe superflua, in quanto, in tal caso, necessariamente l'ammontare dell'im posta non potrebbe mai superare il valore delle attivit stesse, e si dovrebbe ritenere priva di un contenuto efficiente l'apposita norma diretta ad escludere l'obbligo dell'erede di pagare l'imposta con il suo patrimonio. La disposizione trova invece la sua giustifica zione nel fatto che, essendo possibile cb:e l'imposta, accertata con la deduzione delle sole passivit pr= viste dalla legge; superi il valore delle attivit residuate all'erede, questi in tal caso; senza la norma speciale, potrebbe essere chiamato a rispon dere con il suo patrimonio, dato che, secondo i prin --83 .... cipi di diritto comune, la limitazione della sua recategorie creditorie viene a cessare ipso jure con sponsabilit intra vires hereditatis riguarda soltanto il fallimento, perch questo produce esso stesso una i debiti ereditari e non si estende anche all'imposta separazione ana].Pga a quella civile, e tutti i creche un debito suo proprio e. non dell'eredit. ditori considera alla stessa stregua, per l'esistenza La sentenza dedica per anche la sua attenzione della par conditio. ad altra questione, e cio quella sulla portata ed effiE non pu ritenersi che il legislatore, con la norma cacia del privilegio fiscale che assiste la .imposta di in questione, abbia inteso invece annullare ogni successione, nel caso di fallimento post mortem in effetto della separazione, perch nessuna giustificarelazione alle ragioni dei creditori del fallito. zione potrebbe avere una par conditio attuata col Per gli artt. 2758 e 2772 O.e. i crediti dello Stato privare dei vantaggi della separazione i creditori per i tributi indiretti hanno privilegio sui mobili e che l'hanno esercitata. Il ritenere che in seguito al sugl.i immobili ai quali il tributo si riferisce; ma il fallimento tutti i creditori si giovino dei benefici privilegio, per quanto riguarda la imposta di succesdella separazione, fa s che essi sono posti nella sione, non ha effetto in pregiudizio dei creditori che medesima condizione di favore, senza distinzione hanno esercitato il diritto di separazione dei beni di sorta, con la conseguenza che, anche nel caso di del defunto da quelli dell'erede. E la Cassazione, eredit confusa, hanno tutti la preferenza nei conaderendo alla pi recente opinione giurisprudenziale, fronti dei creditori dell'erede, i quali concorrono ribadisce la esistenza di una identit di effetti -soltanto sul residuo delle attivit fallimentari, e in precedenza invece negata -tra separazione del con l'altra conseguenza che il privilegio dello Stato patrimonio del defunto da quello dell'erede e falliper l'imposta di successione inopponibile al falliment post mortem, per cui, mentre la prima produce mento e rester, pertanto, sospeso fino alla chiusura l'effetto di sottrarre i beni del defunto .dal concorso della procedura concorsuale, quando potr farsi dei creditori dell'erede, e rende inopponibile ai valere sul residuo spettante all'erede. creditori separatisti il privilegio per l'imposta di Si conclude quindi dalla Suprema Oorte affersuccessione, cos il secondo implica l'esclusione del mando che il coordinamento degli artt. 2758 e 2772 concorso dello Stato, che per l'imposta di succesO. e. con l'art. 11 della legge fallimentare deve attuarsione creditore dell'erede, e la inopponibilit al si nel senso che restano estesi a tutti i creditori i fallimento del privilegio relativo all'imposta stessa. vantaggi che i citati due articoli attribuiscono ai E che separazione civile e fallimento post mortem, creditori separatisti. avendo entrambi lo stesso scopo di mantenere Ed anehe per queste ulteriori affermazioni eonteintatta a favore dei creditori del de cuius la garanzia nute in sentenza. abbiamo qui motivo di vivo compiacostituita dal suo patrimonio, producano effetti eimento, per avere la identica tesi gi noi sostenuto, . identici nei riguardi dei creditori stessi, opinione ma con nessuna autorit, nello studio su La dedu- al dire sempre della Cassazione -largamente zione delle passivit dall'asse ereditario ai fini della accettata in dottrina, e fu gi espressa dal relatore liquidazione della imposta di successione, pubblidella Commissione per l'abrogato codice di commer- cato or non molto nella Rivista trimestrale di Dicio, osservando che siccome lo scopo della dichia- ritto e Procedura Civile (1959, 1436). razione di fallimento identico a quello attribuito Ma la enuneiazione del prineipio, eos eome ripordall'art. 2055 O.e. alla separazione dei patrimoni, tato peraltro con esat,tezza dal Foro Italino, nel non pu dubit~rsi che identici siano pure gli effetti senso che il privilegio fiscale per l'imposta di succesin relazione alla massa dei creditori (verb. n. 765). sione inopponibile ai creditori del fallito post Anzi, si affermato, finanche, che la differenza fra mortem, senza aleuna precisazione o limitazio~e, i due istituti consiste soltanto nel fatto che, mentre laseia aisolutamente perplesso l'interprete in quanto, la separazione operata dal fallimento si verifica per poter corrispondere al vero, avrebbe dovuto essed'ufficio a favore di tutti i reditori del de cuius re statuito e formulato nel senso ehe godono di prelanel termine di un anno e subordinatamente alla zione e preferenza nei confronti del credito dello Stato prova dello stato d'insolvenza, la separazione civile per imposta di successione i soli debiti del fallito ehe effettuata nel termine di tre mesi a favore solsiano stati anche ammessi in deduzione dall'attivo tanto dei creditori che l'hanno domandata e senza in sede di liquidazione dell'imposta. essere subordinata alla prova anzidetta. . La Cassazione, con molta precisione, rimedia alla L'ultimo comma dell'art. 11 della legge fallimentare, inesattezza giuridica della Corte di merito (App. con lo stabilire che con la dichiarazione di fallimento Bologna, 22 maggio-1958, in Foro It., 1959, I, cessano di diritto gli effetti della separazione dei beni 1198), che con ulteriore perseveranza neli'errore aveva ottenuta dai creditori del defunto, al dire della aneh'essa deciso nel senso che in caso di fallimento Cassazione, rende evidente che il legislatore ha post mortem l'imposta di successione dovuta dalinteso evitare la coesistenza delle due procedure, l'erede sull'eventuale supero attivo conseguito dopo attribu.endo in via generale alla dichiamzione di la liquida?mo di aver dimostrato, rimasto contratto, la fonte giuridica dei rapporti fra il Demanio e il Comune di Bari un negozio giuridico bilaterale che non poteva derogare all'art. 94 della legge di registro, il quale espressamente sanziona la nullit di ogni patto ad esso contrario. L'approvaziQne, ancornh data con legge, formale, non pu supplire e sanare la carenza di potest di entrambe le parti contraenti a derogare all'art. 94 L. R. Questa deroga poteva solo essere consentita dalla legge sostanziale, come si riscontra nelle varie leggi di autorizzazione a contrattare in deroga alle leggi. vigenti Oome risulta dalla surriportata memoria,. non avevamo dedotto la illegittimit costituzionale della legge 15 maggio 1954, n. 261; ma la sua anomalia ; confermata, peraltro, dalla attuale prassi legislativa, che nel senso. di autorizzare non approvare, particolari contratti dello Stato, soprattutto al fine di accertarne il contenuto e la portata. Prendiamo atto che la Cassazione, abbandonando la pi antica tesi, ha ritenuto che il contratto rimasto atto negoziale e che le sue clausole per effetto della sua approvazione con legge, non sono divenute norme giuridiche (onde li irrilevanza dell'argomentazione relativa all'art. 113 Oost.). Ma alla stregua di questa premessa e dell'altra -anch'essa a nostro avviso esatta -circa la natura formale della legge di approvazione del contratto, ci sembra che si sarebbe dovuto pervenire ad opposta conclusione. La legge formale non contiene norme giuridiche e, quindi, nella specie non sussisteva cclcna norma giuridica che derogasse o consentisse la deroga -:.._ e la norma ovviamente doveva essere espressa -allo art. 94 L.R.; che norma di ordine pubblico. G. G. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE DI MERITO . ASSEGNAZIONE ALLOGGI COSTRUITI COL CON TRIBUTO DELLO STATO -Mancata occupazione nel termine dell'art. 98 del T. U. 28 aprile 1938, n. 1165 -Decadenza. (Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica -Decisione 7 gennaio 1960 -Pres.: ed est.: Bozzi Carlo -Coop. ed. Parva Domus di Pavi e dott. Emilio Acacia. La mancata occupazione dell'alloggio cooperativo nel termine stabilito dall'art. 98 del T. U. 28 aprile 1938, n. 1165 importa la decadenza dall'assegnazione. ' Tutte le ragioni che si intendano far valere a giustificazione della mancata occupazione devono essere proposte con ricorso alla Commissione di Vigilanza, sempre nel termine stabilito a pena di decadenza . .. La pronuncia della Commissione non ha precedenti editi in questa Rassegna. La riportiamo, quindi, integralmente; La Cooperativa Edilizia Parva Domus di Pavia, con lettera 22 giugno 1955, diretta al Ministero dei Lavori pubblici, Div. 16a bis, e per conoscenza all'ente mutuante, Cassa di Risparmio delle provincie Lombarde, comunic la domanda del proprio socio, dott. Emilio .A.dacia, tendente ad ottenere l'autorizzazione ad affittare l'apparta- mento assegnatogli dalla Cooperativa medesima. Dagli accertamenti eseguiti anche a mezzo del Nucleo Carabinieri del Ministero risult che: 1) l'appartamento in questione era stato consegnato al dott. .Acacia il 20 marzo 1953; 2) che l'appartamento stesso non era mai stato occupato dall'assegnatario; 2) che questi in data 21 luglio 1951 (e cio circa due anni prima dell'assegnazione dell'alloggio) era stato trasferito a Sondrio, in qualit di V. Intendente di Finanza; 4) che tuttavia lo stesso dott. .Acacia, era ancora iscritto anagraficamente a Pavia, Viale Nazario Sau'ro, n. 1; 5) che l'appartamento era stato ceduto in affitto a tale sig. Chiampo Giuseppe, dal 10 luglio 1955. .Alle conseguenti contestazioni del Ministero, il dott. .Acacia -Intendente di Finanza a Cremona ha controdedotto, per il tramite della Cooperativa, il 2 marzo 1956, facendo presente che, nell'impossi bilit di occupare l'alloggio perch risiedeva in altra citt per motivi di servizio, aveva ritenuto di potersi avvalere -conseziente la Cooperativa ....,.. del disposto dell'art. 111 del T. U. approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, senza presentare il ricorso di cui all'art. 98 dello stesso T. U. e chiedeva, perci, benestare all'affitto dell'alloggio stesso, riservandosi l'uso di una stanza. Nelle sedute del 5 ottobre 1959 e del 7 gennaio 1960, la Commissione sospese ogni pronuncia in merito alla posizione del suddetto assegnatario, disponendo un supplemento di istruttoria. Dagli atti e dagli elementi successivamente acquisiti risultato che il dott. .Acacia era in servizio a Pavia al momento della iscrizione a socio della Cooperativa Edilizia Parva Domus (14 gennaio 1951) e quindi aveva ilrequisito della residenza, prescritto a termini dell'art. 11 ultimo comma, della legge 10 marzo 1952, n. 113 per conseguire l'assegnazione dell'alloggio in questione. risultato altres confermato che, sebbene anagraficamente ancora in data 6 novembre 1959 residente con la famiglia a Pavia, via Nazario Sauro n. 1, il dott. .Acacia era stato da tempo trasferito in servizio in altra citt e che al momento della formale assegnazione dell'alloggio sociale (20 marzo 1953) trovavasi in servizio a Cremona, come Intendente di Finanza titolare. D'altra parte il dott. .Acacia non si avvalse del mezzo offertogli dalla norma contenuta nell'art. 98 del T. U. 28 aprile 1938, n. 1165 per ottenere una proroga del termine stabilito nello stesso articolo per l'occupazione dell'alloggio. Non pu, pertanto, non incorrere ora nella sanzione della decadenza. Malgrado la questione sia stata esaminata e decisa in varie occasioni, non sembra, tuttavia, inopportuno riepilogare le ragioni, che, in coerenza con la costante giurisprudenza, determinano la Commissione a confermare le precedenti decisioni, alle quali, l'attuale, naturalmente, si riporta. Decisioni che, si soggiunge, sono il punto di arrivo di un orientamento giurisprudenziale, che, se non ha avuto modo di manifestarsi in un tempo relativamente recente, in casi identici all'attuale, per difetto di specifico ricorso, o per mancato esercizio di ufficio della potest di vigilanza, trova peraltro--riscontro in un .deciso e coerente orientamento giurisprudenziale: si consideri, infatti, che fino a qualche anno fa, non si era verificato un caso cla ~ -90 moroso come quello che ha dato origine alla decisione in data 4 giugno 1959, sulla Cooperativa Edilizia La Tartaruga II. Parlare di termini di decadenza, come fa l'art. 98 del T. U., e rinviare poi l'accertamento ad epoca successiva, anche di anni, significherebbe, ad avviso della Commissione, non soltanto snaturare, togliendogli la propria forza, l'istituto della decadenza, ma soprattutto, determinare incertezze e perplessit, che mortificherebbero l'esercizio della vigilanza, rendendo questa assai spesso inutile. La legge esige che, entro 30 giorni dalla consegna, l'alloggio sia, a pena di decadenza, occupato dall'assegnatario. Unica eccezione il ricorso espressione, questa, che univocamente designa il concetto di istanza, come stato inteso costantemente nella consuetudine amministrativa, e come logicamente appare, ove si voglia dare un concreto significato al precetto -alla Commissione di Vigilanza: ricorso, cio, istanza, diretta ad ottenere, naturalmente per giustificati motivi, fa proroga dell'occupazione: questi motivi debbono essere tempestivamente accertati dalla Commissione di Vigilanza, e soltanto da questa, che espressione dell'Autorit governativa centrale, debbono essere riconosciuti validi. Non ammissibile, in materia tanto delicata -in cui in gioco il pubblico denaro -ritenere che l'assegnatario possa esimersi dall'inoltrare ri corso, cio dal domandare l'esclusione dalla decadenza, quando egli si ritenga dispensato dalla presunta certezza di una causa ostativa della occupazione. La norma non contiene solamente -e tanto basterebbe, data la sua chiarezza -un pre . ciso formale e tassativo precetto, ma risponde a un'indefettibile esigenza, ch scaturisce dalla legislazione, in materia di edilizia statale e sovvenzionata: a) la certezza, innanzi tutto, dei rapporti giuridici. Un accertamnto, fatto a distanza di tempo, spesso di anni, accertamento eventuale, perch, nei casi, fino ad oggi esaminati, esso ha avuto luogo soltanto su denunzia o su ricorso di terzi, con conseguente decadenza, non potrebbe non avere effetto retroattivo. Ci si troverebbe, cos, spesso, dinanzi a situazioni giuridiche sopravvenute, spesso irretrattabili: rapporti successori, sopravvenuti nei confronti degli assegnatari, ovvero di chi deve sostituirsi ad essi; stipulazione di un contratto di mutuo individuale, ecc. situazioni, tutte, queste, che renderebbero .estremam13nte difficile, se non addirittura ostacolerebbero, l'esercizio del potere di vigilanza, e il ristabilimento del diritto violato. Si avrebbe, insomma, la figura di un assegnatario putativo, che da escludere proprio per il tassativo precetto, che pone a carico dell'assegnatario stesso l'occupazione e il ricorso alla Commissione; b) una volta rimessa la valutazione alla parte, cio all'assegnatario, non si vede la ragione perch il rinvio, cio il successivo accertamento, dovrebbe essere limitato al solo trasferimento, e non dovrebbe anche essere esteso ad altre cause ostative (malattia, abitazione in alloggi di ~ervizio, ecc.). Si pensi ad una malattia, debitamente accertata e documentata, da valutare e da accertare a distanza di anni: ci la Commissione ha escluso, pur quando stato dimo strato, con quasi certezza, che . l'assegnatario, al momento della consegna, era impossibilitato ad occupare l'alloggio: vedi decisione del 16 aprile 1959 (Coop. Margherita di Roma). Si pensi al caso di alloggio, cos detto di servizio, caso frequentis simo: vedi decisioni in data 30 aprile 1959, sulla Cooperativo Ed. Certezza di Verona. In questo caso dovrebbe rinviarsi ad epoca successiva l'ac certamento del carattere dell'alloggio e dell'obbli gatoriet di abitare l'alloggio stesso. Tutti questi accertamenti, debbono, invece, esser fatti proprio per l'esigenza della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche ad esso connessa, nei 30 giorni; c) ma anche nel caso concreto, .cio nel caso di trasferimento, un'indagine sempre necessaria, indagine che deve essere tempestivamente fatta nel termine stabilito dalla legge, a pena di decadenza. Basterebba considerare che soltanto in questo periodo, e non a distanza di anni, pu con sicurezza accertarsi: 1) se il trasferimento sia effettivo o non si tratti di comando o di missione; 2) se l'assegnatario abbia ottenuto eventuali proroghe al trasferimento, come spesso avviene; 3) se egli abbia trasferito nella nuova sede la famiglia, ovvero se questa sia rimasta nella citt in cui trovasi l'alloggio assegnato; 4) se, risiedendo all'estero o e~sendo imbal'cato, o essendo comunque stato trasferito, l'assegnatario abbia conservato il precedente alloggio nella vecchia sede. In questo caso egli avrebbe l'obbligo di occupare il nuovo trasferendovi i suoi mobili e lasciando libero il vecchio alloggio (spesso a fitto bloccato o di propriet dell'INOIS) o dell'Istituto .Autonomo Case Popolari): vedi decisione del 10 marzo 1960 (Coop. Ed. Sirio di Roma) .. Gli enunciati inconvenienti a cui altri potrebbero aggiungersi servono a dimostrare l'esigenza pratica, che il precetto formale trovi integrale approvazione per consentire alla Commissione e al Ministero l'esercizio dei fondamentali poteri nella vigilanza a che il pubblico denaro, che prelevato dalle tasche dei cittadini, sia speso per i fini pubblici, ai quali esso destinato. P. Q. M. La Commissione dichiara la decadenza del dott. Emilio .Acacia dall'assegnazione dell'alloggio conseguito presso la Coop. Ed. Parva Domus di Pavia. Con questa decisione, e con le altre richiamate nel testo, la Commissione di vigilanza ha affrontato il problema del collegamento tra la norma: dell'art-:.. 9 del T. U. 1938 n. 1165, che commina la decadenza per la mancata occupazione dell'alloggio cooperativo nei trenta giorni dalla assegnaZione-consegna, e la situazione che si venuta a determinare, riguardo ai requisiti per l'attribuzione degli alloggi, parti colarmente per effetto della m'difica all'art. 95 dello stesso T. U. introdotta con l'art. 11 della legge 1 .marzo 1952, n. 113 circa il requisito della residenza riferito in via alternativa al momento della iscrizione o a quello della prenotazione, non pi al momento della assegnazione, come, invece, stabiliva l'art. 95 lettera b) del vecchio testo. A questo ambito di norme appa1tiene la specie decisa con la pronuncia in esame. da a'tJvertire, peraltro, che il problema di carattere pi generale, in quanto concerne il collegamento dell'art. 98 con l'art. 97 nel nuovo testo dell'art. 12 della legge 1 marzo 1952, n. 113, nonch in genere con tutte le situazioni nelle quali gli assegnatari degli alloggi cooperativi abbiano ragioni da far valere nei riguardi della occupazione dell'alloggio nel termine stabilito a pena di decadenza. Dice, dunque, la Commissione di vigilanza: che l'obbligo imposto dall'art. 98 all'assegnatario di occupare l'alloggio nei trenta giorni vale per tutti indistintamente gli assegnatari; cio scaturisce, per cos dire, automaticamente dalla redazione del relativo verbale. .Ogni ragione di far valere nei riguardi dell' a.nzidetto obbligo (trasferi1nenti, richieste di proroga, ecc.) deve (nel senso, naturalmente, che incombe all'interessato l'onere relativo) essere esposta alla Commissione di V ivilanza mediante il ricorso espressamente previsto nello stesso art. 98 30 comma, inciso. In mancanza di ricorso, la decadenza si applica anche ai casi nei quali il requisito della residenza non pi richiesto ai fini della validit dell'attribuzione dell'alloggio. La soluzione . data dalla Commissione di Vigilanza, sorretta dalle ragioni di ordine generale elencate nella perspicua ed ampia motivazione (in particolare dai principi sulla decadenza, inquadrata nei principi generali sull'edilizia popolare ed eeonomica) trovano, a nostro avviso, riscontro anche sul piano meramente esegetico. L'art. 98, coesiste, nello stesso T. U., con gli artt. 95 e 97 modificato dalla legge 1 marzo 1952 b. 113; e se coesiste ed scritto, anzi dopo, certamente si riferisce a tutte le assegnazioni di alloggio, quale che sia la condizione degli assegnatari in -relazione al termine di decadenza che, per testuale disposizione di legge, comincia a decorrere dalla data del verbale di assegnazione, per tutti indistintamente. Questa decadenza puo essere esclusa solo col ricorso, ove, peraltro, la Commissione ritenga la validit della causa addotta per la esclusione, dopo gli accer tamenti di sua competenza e non di competenza della parte interessata (residenza diversa per. ragioni di ufficio, alloggio di servizio, malattia, ecc.). Contenuto nel ricorso po essere, sotto questo .aspetto; qualunque istanza od esposto dll'interessato diretta a far valere le case di esclusione dalla deca denza. Non adempiendosi all'onere del ricorso, la deca denza interverr inevitabilmente in applicazione del l'art. 98 che non puo avere altro significato e portata che quelli illustrati nel testo della decisione. Noto, infine, che nel caso analogo, anche se non identico, della contestazione circa l'impossibilit della oecupazione per l'assoluta inabitabilit dell'alloggio, il 91 Consiglio di Stato, con la decisione 27 aprile 1960, n. 269 della VI Sezione, ha confermato la decadenza per non essere stata fatta la contestazione stessa col ricorso previsto dall'art. 98. E la soluzione, a nostro avviso, non puo che essere identica nella due ipotesi. L. TRACANNA CESSIONE DI CREDITI -Accettazione d2 parle dell'Amministrazione appaltante -Cauzione ; non compresa. (Corte d'Appllo di Bologna 17 giugno 1960 -Pre3.: Nardella; E3t.: Sbrocca -Ministero LL. PP. -Banca Popolare di Cremona). Debitrice della somma, versata dall'appaltatore a titolo di cauzione per l'esatta .esecuzione di opere pubbliche, la Cassa DD.PP., non l'Amministrazione appaltante, pertanto, le cessioni e i pignoramenti della cauzione debbono essere eseguiti nei confronti di quella e non di questa Amministrazione . Per una pi agevole comprensione della questione, .molto delicata e di particolare importanza per l' .Am ministrazione dei lavori pubblici, riteniamo oppor tuno riportare in parte qua la motivazione della sentenza: .Invero, le disposizioni, che regolano il contratto di pubblico appalto, stabiliscono che il deposito delle somme corrispondenti alle cauzioni prestate dall'appaltatore non deve essere effettuato presso l'Amministrazione appaltante, ma presso un organo dell'Amministrazione del Tesoro, dotato di particolare autonomia patrimoniale e di bilancio, quale la Cassa Depositi e Prestiti che, rispetto a tali operazioni, adempie per legge alle funzioni di un istituto bancario (T. U. 2 gennaio 1913, n. 453, D. L. Lgt. 23 marzo 1919, n. 1058, Istruzioni per il servizio dei Depositi approvate con D.M. 22 novembre 1954, Capitolato Generale di Appalto per l'esecuzione delle opere pubbliche approvato con D.M. 28 maggio 1955). Di guisa che, accanto al rapporto costituitosi tra l'Amministrazione appaltante e l'appaltatore ed avente per oggetto la prestazione della cauzione, un altro se ne instaura tra l'appaltatore stesso e la Cassa, che riceve in deposito il numerario o i titoli che integrano la cauzione. Quest'ultimo rapporto, di cui sono soggetti si ripete -da un lato l'appaltatore depositario e dall'altro la Cassa depositaria, riflettendo un deposito creato a garanzia dell'esatto adempimento del contratto di appalto, in funzione della esecuzione di tale contratto, nel senso che il deposito vincolato a favore dell'Amministrazione appaltante, la quale potr procedere all'incameramnto totale o parziale della cauzione per l'inadempimento degli obblighi dell'appaltatore, con il pas saggio della somma relativa dalla Cassa del Tesoro dello Stato, mentre in caso diverso dovr emettere il decreto di svincolo, che ha il valore giuridico di una contestazine che il contratto stato adem MW&&&TIF ~Jfliii;I1110ffilllRiilli'illHWi~~-~~~~ -92 piuto e che nessun ostacolo sussiste, da parte del l'appaltante, a che la Cassa restituisca il deposito a chi dimostra di averne diritto. La Cassa, anche di fronte al decreto anzidetto, non dovr fare luogo senz'altro alla restituzione, ma dovr previamente acertarsi se sussistano impedimenti alla restituzione medesima, quali pignoramenti, cessioni, sequestri, ecc. sulle somme versate a titolo di cauzione, resi noti all'Istituto depositario. E che codesto Istituto debba avere formale conoscenza dei provvedimenti che sono di ostacolo alla restituzione, affinch essi siano efficaci nei suoi confronti, si desume tanto dal D. L. Lgt. 23 marzo 1919, n. 1058 quanto all(} Istruzioni approvate con D.M. 22 novembre 1954, pi sopra citati, secondo i quali tali provvedimenti debbono essere fatti a termini di legge e regolarmente notificati a quello Ufficio dalla Cassa Depositi e Prestiti, presso cui esiste l'iscrizione del deposito, potendo tuttavia, salvo casi eccezionali previsti dalla legge, la notificazione essere sostituita, per ci che riguarda la cessione dei depositi, dalla presentazione dell'Ufficio medesimo dell'originale o di una copia autentica dell'atto, e costituendo in tale ipotesi accettazione la deliberazione di voltura al nome . del cessionario. Si deve, pertanto, concludere che debitrice ella somma depositata a titolo di cauzione, nei contrat_ ti di pubblico appalto, soltanto la Cassa Depositi e Prestiti, nei cui confronti l'appaltatore depositante pu vantare il credito relativo, e che la cessione del deposito, per essere efficace verso la Cassa, deve essere a questa notificata o da questa accettata, a seguito della presentazione dell'atto e della deliberazione di voltura. In contrario non vale osservare, come fa la impugnata sentenza, che l'Amministrazione appaltante sarebbe in colpa per avere emesso il decreto di svincolo, non ostante l'avvenuta accettazione della cessione, che comprendeva, oltre ai crediti derivanti .all'appaltatore del contratto di appalto, anche la cauzione depositata a garanzia dell'adempimento medesimo. Infatti, poich le norme per la efficacia delle cessioni o degli altri impedimenti prescrivono che gli atti o provvedimenti relativi siano notificati o presentati all'ente depositario della cauzione, come si poc'anzi ricordato, e poich pacifico che tali norme non sono state nella specie osservate, nessun illecito a titolo di colpa pu ravvisarsi nel comportamento della .Amministrazione appaltante. Lo svincolo da questa autorizzato a favore di chi di ragione, cio di chi, appaltatore, o creditore o concessionario. dell'appaltatore, dimostrasse alla Cassa depositaria, il proprio diritto alla restituzione della cauzione, perfettamente conforme a legge, poich, da un lato, i terzi sono tenuti a tute.lare i propri diritti sulla cauzione stessa direttamente nei confronti della Cassa che ne debitrice: dall'altro, la accettazione della cessione da parte dell'Amministrazione appaltante non poteva ovviamente riferirsi che ai crediti vantati dall'appaltatore nei confronti della medesima. Da ultimo, neppure vale invocare, come fa la Banca appellata, l'applicabilit al caso di specie della norma. dell'art. 1173 O.e., riflettente la restituzione del deposito avvenuta anche nell'interesse di un terzo. Terzo interessato del deposito sarebbe, invero, l'Amministrazione dei lavori pubblici, a cui favore sarebbe dettata la norma; ond'essa non potrebbe essere invocata dalla banca cessionaria del depositante, poich la .Amministrazione nulla eccepisce in ordine alla legittimit della restituzione . GIURISDIZIONE -Pretesa dei cittadini prigionieri di guerra in U.S.A. per la prestata cooperazione -Diritti soggettivi. Limiti. (Trib. di Milano, 18 marzo 19JO -.Pres.: Stefano; Est. : Uberto -Ranzoni c. Difljlsa .e Tesoro). Per effetto dell'Accordo, stipulato il 14 gennaio 1949 con il Governo degli U.S . .A., nonch dei comunicati e delle istruzioni diramate dal Ministero della Difesa, lo Stato itliano si accollato, ex art. 1273 O.e., i debiti che il Governo U.S . .A. aveva nei confronti dei cittadini italiani, prigionieri di guerra cooperatori, i quali, pertanto, hanno verso lo Stato Italiano un diritto soggettivo per . fetto, che pu essere fatto valere innanzi all'autorit giudiziaria ordinaria. La responsabilit del Ministero del Tesoro limitata alle somme dovute dagli U.S . .A. in base alle norme da essi applicate, ancorch non conformi a quelle della Convenzione di Ginevra del 21 luglio 1959. Per una pi esatta conoscenza della questione, riportiamo integralmente la motivazione della sentenza, che, per quanto riguarda la questione di giurisdizione, contraria alla giurisprudenza formatasi relativamente ad analoghe ipotesi, alla quale ci riportiamo (Rassegna 1959, 1). Il signor Virginio Ranzoni allega che durante la seconda guerra mondiale serv nell'esercito italiano, cadde prigioniero dell'esercito am@icano e fu in tale qualit portato negli Stati Uniti; qui accett di collaborare e lavor come addetto alla spedizione di merci dal 5 marzo 1944 al 25 settembre 1955. Secondo l'attore, in base alla convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929, sul trattamento dei prigionieri di guerra, i prigionieri collaboratori avevano di:r:itto, a compenso del loro lavoro, a:.a stessa paga dei militari americani, ossia dollari 2,10 al giorn. Valendosi di una facolt attribuita dalla detta Convenzione, il governo d~gli Stati Uniti deliber di operare sulla paga dei prigionieii collaboratori una trattenuta di dollari 1,30 al giorno onde cdstituire un fondo per l'indennizzo dei danni di guerra, lasciando a disposizione dei prigionieri il residuo O.i dollari 0,80. Successivamente, prosegue il Ranzoni, il governo degli Stati Uniti rinunci nei confronti dell'Italia a ogni indennizzo per danni di guerra, e venne con il governo italiano ad accordi, -93 con i quali il governo italiano si accoll i debiti degli Stati Uniti verso i prigionieri di guerra italia~, mentre il governo degli Stati Uniti ad esso versava una congrua somma. .Afferma il Ranzoni che l'azione da lui esercitata in questo processo comporta adesione all'accollo, dichiara di liberare il debitore originario e trae la conclusione che lo Stato italiano obbligato a pagargli la differenza fra quanto egli doveva ricevere dagli Stati Uniti, dollari 2,10 per ogni giorno di lavoro, e quanto ha effettivamente ricevuto, dollari 0,80, per ogni giorno di lavoro, in tutto dollari 568, o la somma equivalente in lire italiane. Fra il governo degli Stati Uniti e il governo italiano sono stati in effetti stipulati accordi concernenti il pagamento dei crediti dei cittadini italiani gi prigionieri di guerra degli Stati Uniti. Il 14 agosto 194 7 fu firmato un Memorandum d'intesa. diretto appunto al regolamento delle spettanze dei cittadini italiani gi prigionieri di guerra degli Stati Uniti o in condizione analoga. A una determinazione delle procedure da seguire si addivenne con scambio di lettere del 18 febbraio 1948 fra ;il Ministro del Tesoro della Repubblica e il rappresentante degli Stati Uniti in Roma. Con questi accordi lo Stato italiano si assunse di provvedere alla soddisfazione dei crediti dei suoi cittadini verso gli Stati Uniti, contro versamento da parte degli Stati Uniti di una somma in dollari. In relazione a tali accordi fu indirizzato agli interessati il comunicato Stampa e radio del Ministro della difesa, prodotto dalla parte convenuta (documento n. 3) con l'indicazione di adempimenti in vista del pagamento dei crediti. Il 28 febbraio 1948 il Ministero della difesa-esercito diram la circolare, avente per oggetto la liquidazione finale dei rilievi di conto dei prigionieri di guerra gi in mano Statunitense prodotta dalla parte convenuta (documento n. 4). I rapporti fra gli Stati Uniti e lo Stato italiano nella materia furono definitivamente regol.ati con l'accordo del 14 gennaio 1949. prodotto dalla parte convenuta (documento n. 1); Si dice nell'articolo 1: Gli impegni contempla.ti dal presente Accordo includono: a) somme guada gnate da cittadini italiani nella loro qualit di prigionieri di guerra o di personale assimilato o di internati civili, le quali siano state ufficialmente riconosciute sotto forma di certificati di credito o mandati di pagamento militare stilati in dollari e rilasciati ai predetti cittadini italiani a titolo di ricevuta di tali somme; b) somme guadagnate da cittadini italiani nella loro qualit di prigionieri di guerra, o di personale assimilato o di internati civili durante il.loro periodo di detenzione da parte del Governo degli Stati Uniti d'America o chi per esso, ai quali non furono rilasciati mandati di paga mento militari o certificati di credito e che dopo il loro rimpatrio non furono rimborsati delle somme suddette n direttamente dalle autorit Americane n da Banche italiane per conto del Governo degli Stati Uniti d'America (omissis) . L'art. 2 dice: Per quanto riguarda gli impegni ed i claines verificati di cui ai paragrafi 1-a e 1-b del presente accordo, nonch gli impegni ed i. claines non veri ficati dal Governo degli Stati Uniti d'America, tale Governo verser al Governo italiano, entro 10 giorni dalla firma del presente accordo, la somma di 22 mil\}>ni di dollari, la quale; unitamente al pagamento parziale di dollari 4.382.241,03 effettuato il 2 aprile 1948 ed ai pagamenti t)ffettuati precedentemente a tale data dal Governo degli Stati Uniti d'America direttamente a persone in possesso di impegni, costituit completa liberazione del Governo degli Stati Uniti d'America da tutti i tipi di impegni e di claines di cui ai paragrafi 1-a e 1-b del presente accordo. Nell'articolo 4 si dice: Il Governo Italiano conviene che quanto sopra concordato in merito agli impeg~ ed ai claines di cui ai paragrafi 1-a, 1-b e 1-c del presente Accordo costituisce piena e completa liberazione del Governo degli Stati Uniti d'America da ogni e qualunque impegno o claines da parte o per conto di cittadini italiani (o loro aventi causa) gi detenuti dal Governo degli Stati Uniti d'America o chi per esso, in possesso di impegni o claines , dei tipi di cui ai paragrafi 1-a, 1-b e 1-c del presente Accordo. Il Governo italiano terr esente il Governo degli Stati Uniti da ogni responsabilit derivante dai suddetti claines . Nell'art. 5 si dice: Il Governo italiano si impegna a sollecitare in ogni possibile modo lo spoglio; l'accertamento e la liquidazione di tutti i claines formanti oggetto del presente Accordo. A tal fine, il Governo degli Stati Uniti d'America (omissis) agevoler il Governo italiano nell'accertamento della validit dei claines di cui ai paragrafi 1-a e 1-b (omissis). Le convenute amministrazioni, resistendo alla domanda del Ranzoni, sostengono che l'accordo fra lo Stato Italiano e gli Stati Uniti, di cui sopra, ha effetti nell'ambito del diritto internazionale, mentre nell'ordinamento dello Stato, non essendo intervenuto nessun atto legislativo . interno per la sua esecuzione, privo di effetto, si che la pretesa dell'attore non vi trova fondamento. L'attore invece, come si visto, configura l'accordo fra lo Stato italiano e gli Stati Uniti quale accollo di debiti, in suo favore prduttivo del diritto contro lo Stato italiano, qui fatto valere. Il Tribunale ha gi avuto occasione, decidendo una controversia analoga a quella dedotta in questo giudizio, di affrontare e risolvere la questione degli effetti dell'accordo fra lo Stato italiano e gli Stati Uniti entro l'ordinamento italiano. Pu ammettersi, si osservato, che l'accordo internazionale, in s considerato e in quanto non reso esecutivo in Italia con apposita legge, sia fonte di diritti e di obblighi solo per gli Stati contraenti; ma da rilevare che il Governo italiano, in vista della esecuzione dei patti col Governo degli Stati Uniti, diffuse un comunicato diretto a informare gli interessati dei patti stessi e della procedura da seguire, per ottenere la soddisfazione dei crediti, e diram istruzioni agli organi della Pubblica Amministrazione, cui era stata affidata la cognizione delle pratiche. di liquidazione dei crediti di cui trattasi. Tali fatti hanno __ avuto per conseguenza il costituirsi, fra i cittadini e lo Stato, ed entro l'ordinamento dello Stato, di un rapporto giuridico ex art. 1273 O.e., gli obblighi derivanti dall'accordo internazionale essendo ormai -94 stati assunti dallo Stato anche nei confronti dei cittadini. Questi hanno in conclusione verso lo Stato italiano, nei limiti degli impegni a,sunti dallo Stato italiano in seguito all'accordo con gli Stati Uniti, un diritto soggettivo secondo il diritto dello Stato stesso, che pu essere fatto valere innanzi alla autorit. giudiziaria dello Stato. Occorre per segnare il limite degli obblighi che lo Stato italiano si assunto. Come risulta chiaramente dal tenore dell'accordo con gli Stati Uniti, lo Stato italiano si impegnato a pagare ai suoi cittadini, gi. prigionieri di guerra degli Stati Uniti o in condizione analoga, i crediti in loro favore maturati secondo le norme ad essi applicate dagli Stati Uniti, non ancora soddisfatti dagli Stati Uniti stessi; nell'atto del 14 gennaio 1949 si parla infatti di somme guadagnate da cittadini italiani ecc., ci si riferisce manifestamente a somme di cui gli Stati Uniti, in base al trattamento da essi fatto si prigionieri di guerra e alle persone in condizione analoga, si ritengono debitori. , Non rilevante, ai fini della determinazione degli obblighi assunti dallo Stato italiano, la risoluzione della questione, se le somme guadagnate dai cittaidini italiani, prigionieri di guerra degli Stati Uniti o in condizione analoga, corrl.spondano a quelle che essi avrebbero dovuto guadagnare in forza della convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929 richiamata dal Ranzoni, se gli Stati Uniti abbiano applicato ai prigionieri di guerra e alle persone in condizione analoga un trattamento conforme a quella convenzione e si siano riconosciuti debitori di quanto in forza di quella convenzione avrebbero dovuto dare. da pensare che la conformit. del trattamento fatto dagli Stati Uniti ai cittadini italiani prigionieri di guerra, o in condizione analoga, alla convenzione di Ginevra sia stata vagliata dal governo italiano nel corso delle tratti:t.tive che sfociano nell'accordo di cui sopra; una tale valutazione, in ogni modo, come si detto senza rilievo ai fini della decisione da prendere in questa sede. Emerge dalla documentazione della parte convenuta che ilgoverno italiano, allo scopo di accertare le spettanze dei cittadini italiani gi. prigionieri di guerra degli Stati Uniti, rivolse al governo degli Stati Uniti una richiesta di informazioni sul trattamento ad essi fatto: e il governo degli Stati Uniti rispose con nota del 6 luglio 1954. Si ricava da tale nota che nell'aprile del 1942 fu disposto per prigionieri di guerra impiega,ti in lavori, diversi da quelli connessi con l'amministrazione, la direzione o la manutenzione dei campi di prigionia, un compenso di ottanta centesimi di dollari al giorno; nel 1944 il compenso previsto fu modificato in maniera di permettere ai prigionieri che lavorassero a cottimo di guadagnare fino a dollari 1,20 al giorno; in aggiunta a quanto sopra e fino al 1 giugno 1945 fu concessa a ogni prigioniero la, somma di dollari 3 al mese per l'acquisto di articoli da toilette e simili; dopo il1giugno1945 non si continu nel pagamento di questa somma ai prigionieri che lavoravano, mentre la si ridusse a 1 dollaro per i prigionieri che non lavoravano 'per mancanza di lavoro e la si lasci a 3 dollari per i prigionieri che non lavoravano per; mancanza di fisica attitudine al lavoro. Stabilite, queste premesse, e venendo al particolare caso del Ranzoni, si deve concludere che la pretesa da lui avanzata coritrria o sia solamente tenuto al pagamento delle tasse relative lti beni ad esso devoluti (n. 30). 2) Se l'osservanza della regola del salve et repete sia condizionata alla possibilit di conoscenza del debito delle disposizioni transitorie. dettate per .gli artt. 182 di imposta (n. 30). I.G.E. NOTIFICAZIONE -ART. 143 c. P. c. --l} Quali siano i presupposti per l'applicazione dell'art. 143 C.p.c., che regola la notificazione di atti a persone di residenza dimora e domicili~ sconosciuti (n. 89). .CONTRATTI DI ASSICURAZIONE MARITTIMA. 2) Se una Societ assicuratrice che ha stipulato con le Amministrazioni dello Stato un contratto di assicurazione trasporti marittimi possa ottenere dalle Amministrazioni stesse la rivalsa dall'I.G.E. e dell'imposta sulle assicurazioni gi corrisposte (n. 90). IMPOSTE E TASSE RICHIESTA DI CERTIFICATI. -1) Se le richieste di certificati tributari rivolte da Agenzie all'Amministrazione Finanziaria debbano essere redatte in bollo (n. 335) 2) Se I'Am:r;ninistrazione possa esigere che le richieste di certificati fatti per tramite delle Agenzie sianofrmate dai contribuenti interessati in presenza di un funzionario dell'ufficio o di notaio o di altro pubblico ufficiale competent~ ad autent.icarne la firma (n. 335). Salme et repetri >>. -3) Se l'osservanza della regola del salme et repete sia condizionata alla possibilit di conoscenza del debito di imposta (n. 336). TRASPORTI MARITTIMI -IMPOSTA SULLE ASSICURA zIONI. -4) Se .una Societ assicuratrice che ha stipulato con le Amministrazioni dello Stato un contratto di assicurazione trasporti marittim,i possa ottenere dalle Amministrazioni stesse la rivalsa dell'I.G.E. e deli'imposta sulle assicurazioni gi corrisposte (n. 337). INVALIDI DI GUERRA ASSISTENZA NAZIONALE MUTILATI E INVALIDI DI GUERRA. -1) Se la legge istitutiva R. D. 19 aprile 1923 n. 850 abbia attribuito alla Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra la rappresentanza della intera categoria, ai fini della tutela degli interessi della stessa come tale nelle sedi competenti (n. 14). 2) Se, nell'ipotesi positiva, tale potere autorizzi altres l'Associazione ad agire in nome e per conto dei singoli c_omponenti la categoria rappresentata (n. 14). ISTRUZIONE SUPERIORE IMMOBILI DEMANIALI -PERMUTA. -Se, ai sensi dello art. 2 del R.D.L. 10 settembre 1923, n. 2000, gli immobili. dati in uso gratuito e perpetuo alle Universit e Istitti Superiori possano essere permutati con altri immobili (n. 13). LAVORO ART. 38 CONDIZIONI GENERALE PER L'APPALTO DEI LAVORI DEL GENIO MILITARE -MERCEDI AGLI OPERAI. 1) Se, ai sensi dell'art. 38 delle Condizioni Generali per l'appalto dei lavori del Genio militare, la facolt della Amministrazione di provvedere direttamente al paga mento delle mercedi di lavoro mediante prelievi sul prezzo dell'appalto sia concessa .all'Amministrazione solo nel corso dei lavori e sia preordinata al regolare svolgimento degli stessi (n. 26). ENTI PUBBLICI ECONOMICI. 2) Se debba trovare applicazione nei confronti dell'Istituto Nazionale per il Finanziamento della Ricostruzione la legge 14 luglio 1959, n. 741 sul minimo di trattamento per i lavoratori in rapporto allo inquadramento nella categoria professionale (n. 27) .. SERVIZIO DI MANOVALANZA. -3) Se la. Anuiiinisttazione statale abbia l'obbligo di ricorrere alle prestazioni delle Cooperative di facchini per le operazioni di carico e scarico che non faccia eseguire da personale proprio (n. 28). MEZZOGIORNO CASSA DEL MEZZOGIORNO. -1) ,Come debbano essere regolati i rapporti tra la Cassa del Mezzogiorno ed Enti di Riforma nel caso in cui la Cassa debba espropriare per l'esecuzione di opere pubbliche di sua competenza terreni gi espropriati per i fini' della riforma fondiaria (n. 14). GARE -CONTRATTI DELLO STATO -IMPRESE MERI DIONALI. -2) Se sia legittima una circolare la quale stabilisca che un'impresa meridionale che abbia ottenuto una aggiudicazione nelle gare riservate ai sensi della legge 3 ottobre 1950, n. 835, sia tenu~a a migliorare l'offerta per adeguarla al prezzo offerto dalla stessa impresa aggiudicataria in una gara nazionale (n. 15). NAVE E NAVIGAZIONE PASSAVANTI PROVVISORIO. -1) Se, ai sensi dello art. 152 Cod. Nav. il passavanti provvisorio abbia lo stesso valore dell'atto di nazionalit ,quando rilasciato per le navi gi immatricolate in Italia o all'estero (n.105) 2) Se il passavanti provvisorio abbia lo stesso valore dell'atto di nazionalit quando rilasciato per le navi acquistate all'estero e non ancora iscritte nelle matri cole (n. 105). NOTIFICAZIONE ART. 143 C. P. c. -Quali siano i presupposti per l'applicazione dell'art. 143 C. p. c. che regola la notificazione di atti a persone di residenza, dimora e domiciliO sconosciuti (n. 16). PENA PENE DETENTIVE -REMUNERAZIONE AI DETENUTI. 1) Quale sia a norma del Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena approvato con R. D. 18 giugno- 1931, n. 787, e del Codice penale, la ripartizione della remunerazione che spetta al. condannato deteni1to (n. 16). 2) Se il provvedimento con il quale ai sensi dello art. 125, 1 comma, reg. cit.-, il Ministro determina la 1-02 misura delle mercedi stabilendo le categorie dei lavoratori avuto riguardo alle specie del lavoro, alla capacit ed al rendimento del detenuto sia suscettibile di eccezione di incostituzionalit (n. 16). YENSIONI CUMULO DI PENSIONE ORDINARIA CON STIPENDIO PENSIONABILE. -1) Se in virt dell'art. 14 della legge 12 aprile 1949, n. 149, e dell'art. 14 della successiva legge 8 aprile 1952, n. 212 sia ammesso il cumulo tra il trttamento di quiescenza non privilegiato e quello di attivit di servizio (anche se pensionabile) purch i primo non ecceda l'importo di L. 60.000 mensili (n. 98). DETENZIONE DEL PENSIONATO. -2) Se, ai 'sensi del 1 comma dell'art. 94 della. legge 10 agosto 1950, n; 648, durante l'espiazione di qualsiasi pena restrittiva della libert personale, di durata superiore ad un anno, derivante da condanna, che non importi la perdit~ della pensione o dell'assegno gi conseguito dal militare o dal civile, gli assegni stessi siano soggetti allaritenuta della met (n. 99). 3) Se la norma del. 1 comma dell'art. 94 citata legge, debba essere applicata in tutti quei casi in cui si ha una effettiva detenzione continua di durata superiore ad lm anno per l'espiazione di una o pi pene indipendenter.ente dalla entit di ciascuna pena, ed indipendentemente dal provvedimento di cumulo (n. 99). 4) Se la ritenuta della inet della pensione debba essere commisurata, non alla pena irrogata, ma alla effettiva durata dello stato di detenzione (n. 99). PRESCRIZIONE DOMANDA DI REVISIONE PREZZI. -Se la domanda di revisione di prezzi in un contratto di appalto di 00. PP. abbia o meno l'effetto interruttivo previsto dallo art. 2945, 1 comma Codice civile (n. 37). PREVIDENZA ED AS.SISTENZA CONTRIBUTI DI PREVIDENZA. -Se debbono essere corrisposti gli interessi di mora richiesti dall'I.N.P.S. sui contributi di previdenza che le.. Gestioni Commissariali Governative di pubblici trasporti in concessione devono corrispondere a norma della legge 28 dicembre 1952, n. 4435 (n. 38). PREZZI DOMANDA REVISIONE PREZZI. -1) Se la domanda di revisione di prezzi in un contratto di appalto di 00. PP. a.bbia o meno l'effetto interruttivo prev!sto dallo art. 2945, 1 comma Codice civile (n. 46). RIMBORSO MAGGIORI ONERI PRODOTTI PETROLIFERI CARICHI ARRIVATI PRIMA DEL lO NOVEMBRE 1956. -2) Se siano applicabili J.e disposizioni del D. L. 22 novembre 1956, h. 1267 e successive modificazioni a quelle partite di olii minerali importate e nlj.zionalizzate posteriormente al Io novembre 1956 (n. 47). RIMBORSO MAGGIORI ONERI PRODOTTI PETROLIFERI - IMPORTAZtONE GASOLIO. -3) Se l'autorizzazione prescritt. a dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1415 quale presupposto per la rimborsabilit dei maggiori oneri relativi alla importazione di. gasoli' si identfchi con la normale autorizzazione richiesta dalle norme vigenti in materia di importazioni (n. 48). PROPRIETA INTELLETTUALE INVENZIONI EFFETTUATE DA AGENTI FERROVIARI. 1) Come si~no regolati i rapporti tra l'Azienda delle F. S. ed i propri agenti inventori (n. 19). . 2) Se la Convenzione Internazionale U.I.C.-0.R.E. concernente le invenzioni collegate ai lavori dell'O.R.E., effettuate da agenti delle Amministrazioni Ferroviarie nell'ambito delle loro funzioni, possa essere pienamente esecutiva in Italia (n. 19). "REGIONI REGIONE SICILCANA .:.. ZONA INDUSTRIALE DI MESSINA. -1) Quali siano i poteri di gestione che competono allo Stato, sulle base delle disposizioni contenute nell'art. 23 D. L. 11 gennaio 1925, n. 26, sulle opere pubbliche gi costruite in esecuzione del piano regolatore della zona industriale di Messina .(n. 88). REGIONE TRENTINO -ALTO ADIGE -TRASPORTI IN CONCESSIONE. -2) Se il potere di sorveglianza sulle funicolari aeree nelle Regioni Trentino e Alto Adige spetti allo Stato o alla Regione (n. 89). RICORSI AMMINISTRATIVI RICORSO STRAORDINARIO. -Se l'Amministrazione sia tenuta a rilasciare al ricorrente in via straordinaria copia del parere del Consiglio di Stato sulla base del quale stato deciso il ricorso (n. 5). RIFORMA FONDIARIA ASSEGNAZIONE DELLE TERRE AI CONTADINI -ESTRO MISSIONE. --1) Quali siano i casi nei quali, ai sensi della legge 12 maggio 1950, n. 230 per l'assegnazione ai contadini delle terre dell'Ente Maremma, l'assegnatario delle terre stesse possa essere estromesso dal fondo in via amministrativa (n. 5). RAPPORTI TRA LA CASSA DEL MEZZOGIORNO E G_LI ENTI DI RIFORMA FONDIARIA. -2) Come debbano essere regolati i rapporti tra la Cassa del Mezzogiorno ed Enti di Riforma nel caso in cui la Cassa debba espropri~e per l'esecuzione di opere pubbliche di sua competenza terreni gi espropriati per i fini della .riforma fondiaria (6). SEQUESTRO AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA -SEQUESTRO CON. SERVATIVO. -Se possa precedersi a sequestro conserva- tivo contro una societ per azioni so~topostaad ammini-. strazione controllata (n. 15). -31 -31 103 SERVITU' SERVIT MILITARI -DEPOSITO CARBURANTI. -1) Se la fascia di larghezza di ml. 100 dalla recinzione dell'opera militare, nella quale non possono tenersi depositi di materiale infiammabile, debba sussistere tra il perimetro esterno della recinzione e il confine del deposito ovvero tra quello ed i serbatoi che nel deposito sono compresi (n. 27). SERVIT MILITARI -INDENNl'l'. -2) Se l'indennit per l'imposizione della servit di un acquedotto militare debba essere concordata con il possessore del terreno, assegnatario dell'Ente Maremma con patto di riservato dominio o con l'Ente (n. 28f. ' SOCIETA' RAPPRESENTANZA LEGALE. -Se una disposizione statutaria di una societ per azioni iscritta all'albo degliesattori, la quale stabilisca che tale societ abbia pi di tm rappresentante legale, sia compatibile con le esigenze indicate nell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 104 (n. 92). STRADE PASSAGGI A LIVELLO. -Quali siano le interferenze tra le norme. del Nuovo Coc,]J.ce della Strada e le norme del Regolamento di Polizia F.'F'viaria in materia di passaggi a livello (n. 34). TRASPORTO MERCI IN TRANSITO -TARIFFE ECCEZIONALI. -1) Se la tariffa eccezioiiale n. 253 per le merci in transito che attraversano l'Italia tra due punti del confine ter restre, sia applicabile anche nel caso che la merce proveniente dall'estero sia imbarcata in un porto italiano su navi di nazionalit estera per esservi consumata durante la navigazione (n. 48). TRASPORTO FERROVIARIO. ---2) Se le norme stabilite dalle Condizioni e Tariffe delle F. S. per regolare l'atti vit dell'Amministrazione prima della stipulazione del contratto di trasporto siano norme o azione o norme di relazione (n. 49). 3) Se dalle stesse possano derivare a favore del cit tadino diritti soggetti perfetti tutelabili davanti alla autorit giudiziaria ordinaria (n. 49). 4) Se sia prponibile la domanda per risarcimento di danni conseguenti a rifiuto di trasporto da parte della Amministrazione in base al combinato disposto degli artt. I e 64 delle Condizioni e Tariffe, per la mancat,a presentazione del reclamo in via amministrativa (n. 49). TURISMO ENTI PROVINCIALI PER IL TURISMO. --1) Se, ai sensi .dell'art. 39 della Tariffa, All. A. al D. P. 25 giugno 1953, n. 492, gli Enti Provinciali del Turismo debbano provvedere a pagare l'imposta fissa di bollo di L. 100 per ogni foglio sui processi verbali originali delle deliberazioni, consiliari o presidenziali, soggetti al visto o alla approvazione dell'autorit tutoria (n. 14). 2) Se gli Enti Provinciali del Turismo siano tenuti a sottoporre al bollo del Tribunale i registri dei verbali e delle deliberazioni, consiliari o presidenziali (n. 14). STAZIONI DI CURA, SOGGIORNO E TURISMO. --3) Quali siano gli organi ai quali ai sensi del R. D. L. 15 apri le 1926, n. 765 siano sta,ti demandati il riconoscimento e la delimitazione dei territori per la costituzione di Azienda autonoma di cura, soggiorno e turismo (n. 15). 4) Se un'Azienda autonoma possa essere costituita per una sola parte del territorio di una stazione (n. 15). (8105913) Roma, 1961 -Istituto Poligrafico dello Stato -G. C.