~ ANNO VII N. 1-2 GENNAIO-FEBBRAIO 1954 ~ RASSEGNA MENSILE r ~ DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ ?~ PUBB:f...ICAZIONE DI SERVIZIO AZIENDE AUTONOME DELLO STATO E NATURA DELL'A.R.A.R. SOMMARIO. -1. Problema preliminare. -2. L'applicabilit dell'art. 2093 Codice Civile alle Imprese gestite dallo Stato. -3. Le aziende autonome e l'organizzazione ad impresa. -4. Struttura essenziale delle Aziende autonome. A.R.A.R. e G.R.A. -5. La rappresentanza. legale non pu confondersi con la personalit giuridica. -6. La mancanza di un patrimonio esclude la personalit giuridica. -7. Elementi esegetici che escludono la personalit giuridica. -8. Un preteso precedente giurisprudenziale. -9. La dottrina, la prassi: personalit giuridica clusioni. o organo dello Stato. -10. Con' 1. La sentenza n. 2218 del 9 luglio 1953 delle Sezioni Unite sulla natura dell'.A.R . .A.R. appare dominata, pur senza confessarlo espressamente, dalla pretesa impossibilit di concepire un'azienda autonoma dello Stato che presenti i caratteri dell'impresa ed operi nel settore della attivit economica in concorrenza con le imprese private: una azienda autonoma che per i contratti di impiego postuli l'applicazione dell'art. 2093 Codice civile con la soggezione potenziale al contratto collettivo e la correlata competenza del Giudice ordinario in sede di lavoro (1). Le Sezioni Unite appaiono avvinte all'idea che quando si tratti di un'.Azienda dello Stato, pur se autonoma o patrimoniale, non possano operarsi distinzioni tra la natura dell'impresa e i suoi contratti di lavoro, ma si debba riconoscere sempre la competenza del Consiglio di Stato. Per modo che quando tale competenza non vi sia per espresso disposto di legge o per palese natura del rapporto, . esse si trovano indotte a distaccare l'.Azienda dallo Stato e a farne un ente pubblico economico. E ci tanto vale che esse superano la dizione letterale delle leggi, la prassi amministrativa, la realt della situazione giuridica per giungere a definire una chiara Azienda statale come la G.R . .A. quale ente pubblico a s stante (2). (1) Sia poi tale competenza in rapporto al n. 1 dell'art. 429, anzich al n. 3 dello stesso articolo, cosi come stato ritenuto costantemente per quelle particolari imprese del Comune che sono le aziende municipalizzate prive di personalit giuridica (vedi per tale assenza della personalit giuridica: Cassazione, Sez. Un., 6 marzo 1931, in Foro It. 1931, I, 1163). (2) Vedi per la G.R.A., Sez. Un. n. 964 del 1953 in questa Rassegna, 1953, p. 188 con nota critica di dissenso. Si tratta di un atteggiamento spirituale inconscio, di una sensazione pi che di un proponimento, che tuttavia influenza profondamente la Corte Suprema nelle sue decisioni. In realt l'unanimit della Corte non al riguardo cos piena come appare. La sentenza di cui sopra per esempio risulta con conformi conclusioni del P. M., ma se ci vero per il dispositivo e cio per il riconoscimento della giurisdizione del Giudice ordinario per i rapporti di lavoro con l'.A.R . .A.R., non sembra vero per la motivazione. S.E. .Aula che rappresentava il P.M., infatti, se abbiamo esattamente interpretato le sue parole, espresse in udienza con la chiarezza, la profondit e il vigore consueti, il suo pensiero nel S'.:\nso che proprio alla giurisdizione del giudice ordinario dovesse arrivarsi applicando alla Stato per Imprese da esso esercitate (quale l'A.R. .A.R.) l'art. 2093 Codice civile e di conseguenza l'art. 429 Codice procedura civile. pertanto il pensiero dell'illustre giurista che rappresentava il P.M. che ci conforta nell'esamedel delicato problema, malgrado che la Corte, nella motivazione, abbia battuto una via diversa. 2. L'art. 2093 Codice civile, come noto, regola i contratti di lavoro delle Imprese pubbliche in due comma: il primo fa riferimento agli Enti pubplici inquadrati sindacalmente, cio agli enti pubplici che agiscono come vere e proprie imprese economiche, i c.d. enti pubblici economici; il secondo riguarda, invece le Imprese gestite da Enti pubblici non inquadrati, e non inquadrabili, sindacalmente. Esso dice testualmente: .Agli Enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate . Con tale disposizione, come pacifico, si vengono ad applicare i contratti collettivi agli Enti pubblici non economici per le imprese da essi esercitate: si vengono, cio, a parificare le imprese gestite da ente pubblico non econom~.co all'ente economico organizzato ad impresa: con un c_on~-cetto essenzialmente unitario di impresa pubblica (1). (1) Vedi Cass., Sez. II, 17 aprile 1952, n. 1038, in Riv. Giur. Lav. '" 1952, fase. 4 e 5 con nostra nota; vedi SIMI in questa Rassegna, 1950, 65. -2 Si tratta ora di vedere se nella espressione Enti pubblici possa e debba comprendersi lo Stato; questo l'unico probletna esegetico che deve risolversi. Tale problema pu esaminarsi dal punto di vista della terminologia giuridica e da quella delle ragioni sostanziali della disposizione: dal punto di vista della terminologia non sembra che possa negarsi allo Stato, che la massima entit pubblica, la qualifica di cc ente pubblico: la stessa consueta espressione legislativa e dottrinaria che contrappone lo Stato agli Enti pubblici minori o agli Enti pubblici diversi dallo Stato, con l'espressione minori o cc diversi mostra chiaramente come vi sia un ente maggiore che appunto l'altro termine della contrapposizione, cio lo Stato. Ma uscendo dalle discussioni terminologiche e riferendosi alla ratio legis, appare palese che l'articolo 2093 abbraccia anche lo Stato per le Imprese da esso esercitate. Esso, infatti vuole comprendere tutte le Imprese pubbliche come ha ritenuto lo stesso Supremo Collegio (1): l'elemento che lo informa la applicazione paritaria della legislazione del lavoro quando vi sia, comunque, per opera di un ente pubblico o di un privato, l'organizzazione ad impresa di cui all'art. 2082 Codice civile. l'elemento della organizzazione ad impresa, a prescindere dall'ente che gestisce l'impresa, quello che decisivo per l'art. 2093 Codice civile, e ci chiarito nella Relazione ministeriale al libro del lavoro dove precisato che rientra nel concetto dell'impresa anche quella pubblica e dove si fa riferimento, in primis ed espressamente allo Stato che in base alla Dichiarazione IX dell'allora vigente Carta del Lavoro era legittimato ad intervenire nella produzione anche sotto forma di gestione diretta. pur vero che la Relazione pone in luce come in genere lo Stato trovi pi conveniente organizzare le imprese, che intende assumere, nella forma privata della Societ per azioni cc nel qual caso dice la Relazione -non vi luogo a parlare di impresa pubblica , ma quando tale forma privata dell'impresa non stata scelta si rientra ovviamente nel concetto di impresa pubblica e trova applicazione l'art. 2093 Codice civile. L'art. 2093 Codice civile pertanto, come ha ritenuto in genere la dottrina che si occupata del problema, applicabile pienamente allo Stato (2), quando tra le varie forme di intervento nella economia prescelga, per ragioni di pubblico interesse, quella dell'impresa pubblica, mentre quando crea persone giuridiche private, di cui proprietario, il problema non sorge neppure. N vi sarebbe motivo per negare allo Stato la possibilit di gestire un'impresa sia per esercitare o rafforzare un'attivit utile alla generalit, sia per esplicare azione calmieratrice indiretta, sia per realizzare, nel migliore dei modi, un'ingente quantit di beni residuati di guerra immettendoli nel mercato a vantaggio della economia e soprattutto della ricostruzione. (I) Vedi sentenza cit. alla nota 3. (2) Vedi RIVA SANSEVERINO: Commentario al Codice civile, diretto da Scialoia, vol. V: Libro del Lavoro. 3. Qui il problema dell'A.R.A.R., come quello della G.R.A., e di altre entit ecqnomiche, si innesta nella evoluzione delle attivit dello Stato. Come la stessa sentenza delle Sezioni Unite pone in rilievo ad un certo :rp.omento .si rilevata in seno alla organizzazione statale cc una intrinseca incompatibilit tra l'attivit amministrativa vera e propria, diretta ad adempiere i compiti tradizionali dello Stato e l'attivita amministrativa richiesta da quelle funzioni' economiche e industriali che man mano lo Stato, o per esigenze sociali o per farne oggetto di pubblico monopolio e procurarsi indirettamente una fonte di tributo, si andato assumendo . Cosi sorta l'azienda autonoma, con un proprio particolare ordinamento, realizzando quel decentramento patrimoniale e di funzioni di cui parla la dottrina (1). Nulla da eccepire su tale esatta messa a punto dell'origine dell'azienda autonoma da parte della sentenza in esame, la quale fissa nel modo sopra trascritto le ragioni e l'atto di nascita della azienda autonoma statale, mostrando di avere chiara percezione della evoluzione dello Stato moderno svoltasi e conclusasi anteriormente alla seconda guerra mondiale se non alla prima. Ma l'evoluzione degli ordinamenti statali non si ferma n al 1900, n al 1924, n al 1939, l'evoluzione prosegue incessantemente ed opera del giurista, e soprattutto del giurista interprete sensibile della legge, di seguirne e identificarne, con la stessa vigile sensibilit, le tappe successive e gli orientamenti presenti. Ora lo Stato contemporaneo si muove indubbiamente verso forme di intervento nel campo economico dettate non tanto da necessit di monopolio, quanto da necessit sociali e da finalit in gran parte economiche, cio con particolari fini anche di utile economico, e soprattutto con forme nuove ignote al passato (Comitati U.N.R.R.A., Endimea, ecc.). In una recente memoria dell'Avvocatura (avv. Peronaci), stato posto in luce come anche per lo Stato il centro della ricchezza si sia staccato lentamente dal patrimonio immobiliare per passare a quello mobiliare, seguendo l'evoluzione della economia generale. perci logico, per non dire indispensabile, che accanto agli Istituti tradizionali si pongano nuove forme di organizzazione adatte alla economia moderna. E se l'evoluzione economica generale ha provocato modifiche nella propriet statale logico che essa provochi anche .modifiche nella struttura degli organi statali. La stessa Relazione ministeriale citata riconosceva, gi in regime corporativo, l'esistenza di tale evoluzione dello Stato e ne esaminava le vie: o l'Impresa privata di propriet dello Stato quale azionista (il c.d. azionariato di Stato) o l'Impresa pubblica gestita dallo Stato. Da tale seconda via prendono vita le particolari e pi snelle organizzazioni dell'A.R.A.R., della Q:. R.A. e di alcune gestioni extra. bilancio, che la dottrina -cos il Treves, il Sandulli, il Giannini (1) Vedi per esempio GRISOLIA: Teoria del decentramento amministrativo. Torino, 1929, p. 362 e segg. 3 -ha gi da tempo identificato come una categoL'unica particolarit di rilievo che, tanto per la ria nuova, e pi prossima all'impresa privata, di A.R.A.R. come per la G.R.A. il controllo affidato aziende autonome. a un Collegio di tre revisori in cui un consigliere Voler negare che motivi diversi da quelli origidella Corte dei Conti e un rappresentante del nariamente caratteristici delle Aziende autonome Ministero del Tesoro (vedi rispettivamente d.l. possano consigliare al legislatore di dar vita a n. 793 del 23 novembre 1945, D.L. n. 321 del questa nuova categoria di aziende autonome in 13 aprile 1948). cui vi una pi evidente organizzazione ad imQuanto ai fini, le aziende autonome, essendo presa non sembra possibile: come l'esigenza soorgani dello Stato, sia pur decentrati nel patrimociale pu far sorgere l'azienda autonoma, cos la nio e nelle funzioni, non hanno che fini propri pu far sorgere la necessit di utilizzare nel pubdello Stato, senza che si possa tracciare una deliblico interesse un cospicuo patrimonio lasciato mitazione dei loro fini che variano da azienda ad dagli alleati: i Centri autocarri; o la pu determiazienda ed hanno come unica caratteristica uninare la necessit di reperire, custodire e rimettere forme quella di essere appunto fini propri dello in circolazione i materiali residuati bellici nell'inStato. teresse e del Paese e delle finanze dello Stato con Ora sia la G.R.A. che l'A.R..A..R. anche come forme pi semplici delle normali burocratiche fini non evadono dallo schema.delle aziende auto( A.R.A.R.). nome (11) perch la loro finalit non che una Non sembra quindi sostenibile la tesi, del resto finalit dello Stato e il loro patrimonio che un appena adombrata, che possano ravvisarsi Aziende patrimonio dello Stato: la prima utilizza i Centri autonome solo quando concorrano determinati moautocarri dello Stato e coopera al servizio trasporti; tivi e finalit per la creazione dell'azienda, e non la seconda reperisce, custodisce e realizza un paquando le finalit, pur essendo sempre statali, siano trimonio dello Stato, senza mezzi e fini propri didiverse, e frutto di concezioni nuove. stinti da quelli statali, come meglio vedremo. Vi sono perci soltanto modifiche di struttura, 4. In realt la dottrina che ha studiato a fondo ma non tali da autorizzare lo sganciamento dallo il problema delle Aziende autonome non ha poStato di queste particolari Aziende: che per la tuto fissare elementi uniformi n nei fini o nelle loro organizzazione ad imprese hanno appunto forragioni della creazione, n nella struttura (1). Essa me pi agili di quelle tradizionali e pi prossime si limitata a chiarire come la . creazione della alle forme economiche e semplificate delle aziende azienda risponda a opportunit di decentramenti private. E proprio mentre si cerca di svecchiare dell'attivit statale, sia nel patrimonio, con la la vecchia bardatura burocratica tanto criticata, formazione di contabilit o bilancio separati, sia si vorrebbe negare la possibilit di forme nuove nella funzioni con particolare ordinamento. dettate da esigenze nuove che rappresentano anPu solo dirsi quanto alla struttura che tali che un vero e proprio esperimento nel campo del aziende sorgono presso un Ministero e in certo l'organizzazione statale. senso alle dipendenze di esso. In genere l'organo che le dirige un Consiglio di amministrazione, a 5. Dopo queste brevi considerazioni di inqua capo del quale sta un organo del Ministero (Minidramento del problema, passiamo all'esame della stro o Direttore generale) che ne ha la rappresensentenza delle Sezioni Unite sulla natura della tanza, e che composto di rappresentanti dei A.R.A.R., sentenza che ha gi suscitato critiche in vari Ministeri interessati (2). dottrina (12) e ne susciter certamente altre per Ora la G.R.A. ha appunto tali requisiti poich i motivi addotti su cui brevemente ci sofferme suoi organi sono il Ministro, il Direttore generale remo. della Motorizzazione, e il Comitato di gestione, Il problema della natura dell' A.R.A.R. poteva composto di rappresentanti dei Ministeri ed essa porsi da un punto di vista di interpretazione delle alle dipendenze n (3) appunto del Ministero dei leggi attraverso la loro attenta esegesi, punto di Trasporti. E l'A.R.A.R. ha una struttura analoga vista quanto meno preliminare ad ogni altro. Ma poich la legge precisa che istituita presso il poich la Corte Suprema ha ritenuto di non soffer Ministero della Ricostruzione (4), ed essa retta marsi in tale ind!tgine, la seguiamo in tale indi da un Consiglio di amministrazione in cui prevalrizzo pur ponendo in rilievo alla fine gli elementi gono funzionari statali. esegetici del testo di legge, insuperabile per l'in terprete e da essa trascurati. (1) Vedi per la dottrina sulle aziende autonome, La Corte Suprema, dopo aver detto che non ZANOBINI: Corso di Diritto amministrativo, Milano, 1949, elemento decisivo la denominazione di >, (4) Vedi art. 1 del D.L.C.p.S. 28 febbraio 1947, 1953, 153, in cui si dissente con chiare precisazioni n. 120. della sentenza delle Sez. Un. sulla natura dell'A.R.A.R. termini seguenti: cc ma in linea concettuale nulla impedisce che lo Stato con norme positive, possa rendere pi profonda (di quella normale delle Aziende autonome) questa separazione dell'Azienda dalla Amministrazione centrale conferendo all'azienda la personalit giuridica n, e precisa che non si concepisce nel nostro ordinamento una persona giuridica che sia nello stesso tempo anche organo dello Stato (1). La ricerca che consegue da tale impostazione, pur discutibile, come vedremo, era quella di vedere se vi erano le norme positive da cui derivava la personalit giuridica conferita all'Azienda. E difatti la Cassazione ravvisa tali norme nel conferimento della legale rappresentanza al Presidente del Consiglio di amministrazione. Rappresentanza legale e personalit giuridica sono la stessa cosa per questa sentenza al punto che l'esistenza della rap'presentanza implica, pur nel silenzio della legge, il conferimento della personalit giuridica. L'infondatezza di tale argomento palese e dispiace che esso si trovi in una sentenza del massimo organo di sapienza giuridica italiana. Non possibile confondere la rappresentanza legale che conferita anche al Presidente o al Direttore delle varie Aziende autonome e dei vari Ministeri e persino di organi locali dei Ministeri stessi (ad es. Provveditori), con la personalit giuridica che concetto ben diverso come la Cassazione e la dottrina hanno sempre insegnato sino ad oggi (2). Nessuno vuol sostenere che la Cassa Depositi e Prestiti abbia la personalit giuridica solo perch per legge il suo Direttore ne ha la rappresentanza legale. Se si rimuove tale grave e pericolosa n'ovit giuridica che rivoluzionerebbe tutto il nostro diritto pubblico, le argomentazioni successive perdono ogni base. Dice la sentenza per quale motivo non dovrebbe apparire incongrua la concessione della personalit giuridica: essa spiega quindi argomenti non per indicare che. stata conferita la personalit giuridica, ma per spiegare perch la si sarebbe conferita. Il conferimento, perci, rimane affidato alla tesi della coincidenza tra rappresentanza legale e perso nalit che non pu che essere disattesa. Comunque esaminiamo anche tali argomenti. Essi consistono in definitiva nell'affermare che la personalit giuridica stata data perch stato ritenuto pi idoneo ad esplicare un'attivit econo mica un ente pubblico anzich un'azienda autonoma. Ma palese che tale argomento nulla dice perch l'ordinamento dell'A.R.A.R. non lasciato ad un suo statuto ma dettato dalla legge e quindi il fatto che vi sia o meno la personalit giuridica non pu importare una differenza di funzionamen to (3). Esso d'altra parte si capovolge perch se (1) Vedi sul punto il n. 10 del presente studio. (2) Per la distinzione tra rappresentanza di organo e persona giuridica vedi ZANOBINI: Oorso di Diritto amministrativo, I, Milano, 1947, 104, e autori ivi citati; vedi pure la successiva nota n. 23. (3) Acutamente il GIANNINI: Lezioni di Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1950, 148 e segg. rileva che le aziende autonome, pur non avendo la personalit giuridica, conseguono gli .stessi effetti che conse guirebbe un ente dotato di piena personalit giuridica. non vi la personalit giuridica (che ripetiamo dovrebbe esservi solo per la norma sulla rappresentanza) vuol dire che il legislatore ha visto il problema diversamente e ha ritenuto pi opportuno organizzare una impresa. autonoma di stato che creare un ente pubblico autonomo. 6. Ulteriore conferma dell'insostenibile posizione assunta dalla sentenza si ha nei motivi con cui essa si libera di alcune obbiezioni alla sua tesi. Ammette la sentenza che l' A.R.A.R. manca di un patrimonio proprio (cio di uno degli elementi indispensabili perch vi sia la persona giuridica pubblica o privata (1), ma liquida l'obiezione col rilevare che I'A.R.A.R. cc non ha bisogno di un patrimonio (!) n proprio per il suo scopo. Siamo d'accordo che I'A.R.A.R. non ha bisogno di un patrimonio perch esso organo dello Stato e il suo patrimonio costituito dal patrimonio dello Stato che deve ricuperare, mentre i suoi utili vanno immediatamente e senza possibilit di altro impiego, al Tesoro (art. 6 D.L.C.p.S. 18 ottobre 1947, n. 1223) ma ci la migliore dimostrazione che non ha la personalit giuridica, la quale ha sempre presupposto l'elemento di un patrimonio distinto ed anzi tale solo in quanto vi sia appunto un patrimonio distinto. Se tuttavia, la Corte non si fosse fermata alla prima obiezione, che di per s era gi decisiva e avesse esaminato le altre, si sarebbe convinta che di personalit giuridica non poteva parlarsi. Oltre a non avere patrimonio, I'A.R.A.R. non ha scopo distinto da quello dello Stato. Manca, perci, anche il secondo dei requisiti di ogni persona giuridica. Non patrimonio e non scopo: cosa c' allora di distinto La struttura ~ Ma, come abbiamo veduto, la struttura essenziale dell' A.R.A.R. quella di una azienda autonoma: un Consiglio di amministrazione composto di rappresentanti di Ministeri, un Presidente che ha la rappresentanza legale dell'Azienda, l'istituzione di essa presso un Ministero. Perch mai tale struttura dovrebbe diventare indice della personalit giuridica ~ 7. E veniamo rapidissimamente agli argomenti esegetici. L'art. 1 del D.L.L. 29 ottobre 1945, n. 683, dispone: cc istituita presso il Ministero della Ricostruzione nell'interesse e per conto dello Stato, una azienda autonoma per il rilievo, la custodia, l'alienazione dei materiali residuati di guerra cedute daUe autorit alleate o abbandonate dai tedeschi in Italia o in altro modo acquistate n. Dunque istituita presso un Ministero, non semplicemente sotto la vigilanza di un Ministero, ma presso n, cio nel seno del Ministero, come le altre aziende. autonome, una nuov~ azienda autonoma n. Tale Azienda istituita nell'interesse e per conto dello Stato: essa cosi non ha un interesse proprio, f (1) Vedi per tutti MESSINEO: Diritto civile e comm., Milano, 1947, vol. I, 165 e segg. -5 ma deve semplicemente curare un interesse dello Stato. Ora se ci rifacciamo a tutta la dottrina che ha studiato la differenza e il legame tra gli interessi degli Enti pubblici e quelli dello Stato, ed ha posto in ci il carattere della pubblicit>> (1), ci appare palese che non ha senso un ente pubblico che non cura un interesse proprio, che non ha un interesse proprio, ma soltanto un interesse dello Stato. La medesimezza dell'interesse esclude la possibile distinzione, cos come la esclude la unicit del patrimonio. L'Azienda non ha patrimonio proprio, ma il suo patrimonio costituito dal patrimonio dello Stato senza bisogno non solo di atti di trasf erimento, ma con presa di possesso diretta rafforzata da poteri di imperio. Il bottino di guerra, i beni ceduti dagli alleati e tutti gli altri beni illeggittimamente detenuti dai privati non sono pi reperiti, fermati, acquisiti dai normali organi dello Stato, ma da questa Azienda che mano mano acquisisce i beni, e passa il ricavato di essi allo Stato immediatamente per una specie di cordone ombelicale (2). dunque nello stesso primo articolo della legge il richiamo preciso alla inesistenza di un interesse o scopo proprio e di un patrimonio proprio: questa Azienda autonoma non che una specificazione dello Stato che ha per interesse quello dello Stato per patrimonio quello dello Stato, e che versa senza indugio tutti i suoi utili allo Stato. 8. N deve illudere la pretesa concordia tra la sentenza della II Sezione in causa Monteleone contro A.R.A.R. (3) e la attuale. In realt la pretesa concordia tra la sentenza delle Sezioni Unite e quella della II Sezione non sussiste, se concordia vuol dire somiglianza o uniformit nell'iter logico del ragionamento. La sentenza della II Sezione considera l'A.R. A.R. come una azienda patrimoniale dello Stato e solo tende ad escludere tutte le Aziende patrimoniali (in contrasto con precedenti pronunce delle stesse Sezioni Unite) (4) dalla vera e propria organizzazione statale, e ci ai limitati fini della ammissibilit o meno di azioni possessorie nei confronti dell' A.R.A.R. Basta leggere la frase conclusiva della sentenza, e poi rileggerne attentamente il testo, per convincersene: se rivelano la situazione di preminenza che ha lo Stato considerato come la prima e pi forte persona giuridica, non fanno rientrare nella vera e propria organizzazione sta( 1) Vedi ROMANO: Gli intereBBi dei Boggetti autarchici e gli intereBBi dello Stato in Studi per Ranelletti, vol. II, Padova, 1931, 431. (2) Presso l'A.R.A.R. la Commissione per le rivendiche cui il S;C. ha riconosciuto carattere di Organo amminiBtrativo che decide dei reclami dei beni acquisiti dall'A.R.A.R. come patrimonio dello Stato. Vedi Cass., Sez. Un., sent. n. 67 del 52 in questa Rassegna 1953, 16, la quale precisa che la Commissione delibera in luogo dell'A.R.A.R. se la domanda debba essere accolta o l'A.R.A.R. debba resistere in giudizio (a difesa di un patrimonio dello Stato). (3) Vedi Cass. Sez. II, n. 2507 dell'll agosto 1951, in "Foro It. , 1952, I, 1222. (4) Vedi p. es. Sez. Un., 11 luglio 1951, Bavagnoli contro Terme di Salsomaggiore n. 1186, in Foro It. , 1952, I, 1068. tale n l'A.R.A.R. n le altre aziende patrimo niali dello Stato n, dove l'espressione altre n decisiva. Quindi niente concordia, ma anzi pieno contrasto; perch per le Sezioni Unite le .Aziende patrimoniali dello Stato hanno il carattere di organi statali e l' A.R.A.R. non azienda di Stato, mentre per la II Sezione l' A.R.A.R. un'azienda patrimoniale dello Stato e perch tale, e solo perch tale, non organo vero e proprio dello Stato. 9. La sentenza, quindi, rimane isolata nella giurisprudenza. N essa trova appoggio in dottrina. Perch, anzi, tutti coloro che hanno esaminato il problema hanno finito -cosi i pi illustri tra i giovani professori amministrativisti: Sandulli, Treves e indirettamente il Giannini M.S., cos i lavoristi v. Giuliano (1) -col porre in luce che si tratta di amministrazione autonoma dello Stato con particolare ordinamento e struttura. Non trova infine appoggio nella prassi amministrativa, nella quale anzi produrrebbe se confermata una vera rivoluzione. Perfino provvedimenti formali, quali il decreto del Ministro per le finanze 30 gennaio 1946, non avrebbero pi base, e le varie circolari relative al trattamento tributario dei residuati di guerra di importazione verrebbero a cadere. La prassi, infatti, confortata poi dal parere del Consiglio di Stato 27 gennaio 1948, n. 118, ha sempre considerata l'A.R.A.R. come una azienda autonoma di Stato. C' da aggiungere che sarebbe assurdo che lo Stato ponesse delle imposte su un suo patrimonio e non. consentisse ad una azienda, che non ha altro fine che quello di realizzare un patrimonio statale, godesse delle varie facilitazioni di esenzioni proprie degli organi statali. Anche in ci implicito il pensiero del legislatore che non poteva dettare norme di parificazione perch ovviamente considerava amministrazione dello Stato, questa azienda patrimoniale. Abbiamo veduto che l'A.R.A.R. non ha la personalit giuridica poich l'unico argomento addotto quello della rappresentanza che non pu essere seguito. Ma se avesse la personalit giuridica, non sarebbe ancora provato il distacco dell'A.R.A.R. dalla Amministrazione statale. Vi sono nello Stato aziende autonome che hanno anche la personalit giuridica e non pertanto sono organi dello Stato: tipici il Fondo per il culto e l'Azienda delle Foreste demaniali, e vi sono degli altri organi, quali il Consiglio nazionale delle Ricerche, per cui la legge prevede espressamente la conciliabilit tra la personalit giuridica e la qualit di organo dello Stato. Molto pi chiari ed imponenti gli esempi dei governi coloniali e dello stesso Governatorato Generale dell'Etiopia. Del resto la stessa Cassazione in altre occasioni ha ricordato tali principi (2). (1) Vedi SANDULLI: Op. cit., p. 135; TREVES: L'Im preBa pubblica, 81 e pasBim; GIANNINI: Op. cit. 148; vedi anche GIULIANO, in Giur. It. >>, 1950, 1, 2, 36. (2) Sulla compatibilit tra organo dello Stato e personalit giuridica vedi Cass. Sez. Un., Sent. n. 1488/52 in questa Rassegna 1953, 60 con nota critica. -6 Se anche vi fosse la. personalit giuridica., perci, il problema. resterebbe aperto perch si tratterebbe di vedere se una. azienda. con fini dello Stato e col patrimonio dello Stato possa. considerarsi distinta. da.ilo Stato stesso: ci sarebbe una. .forte analogia. tra. l'A.R.A.R. e l'Azienda. delle Foreste demaniali perch entrambi curerebbero e amministrerebbero un patrimonio dello Stato. * * * Oi sia.mo sofferma.ti a. lungo e dettagliata.mente sul problema. perch esso merita. attenta. considerazione non tanto per la. questione specifica. e limitata., pur rilevante, della. natura. dell' A.R.A.R., ma. per i principi genera.li sulla. attivit dello Stato nel campo economico e con organizzazione a.d impresa.. Esso merita. attenta. considerazione e riesame anche perch non si consolidino orienta.menti che superando il costante insegna.mento della. giurisprudenza. e della. dottrina., faccia.no coincidere, come nella. sentenza. esaminata., la. personalit giurid! ca. con la. rappresentanza. organica., cio le due configurazioni, ben distinte, della. soggettivit giuridica. (1). Confidiamo di aver posto in luce, anche se non tutti gli argomenti che attesta.no la. natura. di amministrazione stata.le a.ut delle norme internazionali nonch a realizzar il diritto rispondente, in un dato momento storico, all'entit dei conflitti di interessi fra gli Stati. Questo concetto , per cos dire, il substrato politico e pregiuridico sulla base del quale il Miele, fedele al suo metodo storico-giuridico, delinea la -11 trattazione dei fatti e degli atti giuridici internazionali, dei diritti soggettivi e degli interessi internazionali. A proposito degli atti giuridici internazionali, interessa porre in rilievo come accanto alle tradizionali distinzioni se ne vada delineando in dottrina una nuova: quella fra cc accordi e cc carte . La locuzione << carta , per la. prima volta usata a proposito dell'O.N.U., rispecchierebbe sia. la. mole che la. grande importanza deU'atto per l'organizzazione internazionale: in tal senso si pu ravvisare un :parallelismo con le carte costituzionali degli Stati, e ci quale frutto di quel procedimento di osmosi storico-giuridica di cui si fatto cenno pi sopra.. In tema di accordi internazionali, l' A. giustamente nota come la validit internazionale della ratifica , e (per analogia.) dell'atto di adesione nei c.d. cc trattati aperti , sia. condizionata, dall'attuale convincimento degli Stati (vedasi l'attualissimo caso -ancora. allo stato fluido e perci non citato nel libro che recensiamo -della ratifica del trattato della C.E.D. da parte degli Stati cosidetti cc occidentali ) al rispetto delle Costituzioni e, in particola.re, all'intervento degli organi rappresentativi della volont popolare. Trattasi, secondo noi, di una gi solida consuetudine inte:i:nazionale ispirata .dal principio di cc democratizzazione del diritto internazionale. Dati i noti effetti degli accordi internazionali tra le parti e di fronte ai terzi, l'A. si propone il problema -che, almeno sul terreno concreto, sembra ormai definitivamente risolto dall'attuale ordinamento internazionale -della soggezione dei terzi Stati ai poteri di tutela associata. Tale soggezione sarebbe conseguenza dell'universalit (quanto meno virtuale) propria della nuova organizzazione internazionale, che vuole la difesa contro l'aggressione da parte di qualsiasi Stato anche se non membro. In altri termini, pi che di deroga al principio generale dell'efficacia degli accordi internazionali nei confronti dei soggetti destinatari, si tratterebbe di una conseguenza propria del funzionamento dei sistemi di tutela associata. Altro problema di rilievo che il Miele si propone quello degli effetti della guerra sui trattati. Il problema importante anche per il diritto costituzionale, giacch si tratta di sapere se sia necessario procedere a nuove norme di adattamento o a conferma delle norme di esecuzione preesistenti o se queste siano di per s sempre in vigore: la questione si fa, in particolare, nel sistema italiano, per il c.d. ordine di esecuzione. La soluzione, in conformit dei prevalenti e diremmo -pratici orientamenti deUa dottrina, non pu essere (anche secondo il Miele) che quella della sospensione: ci, in base al principio consolidato che lo stato di guerra non annulla l'ordine giuridico del tempo di pace, ma semplicemente lo sospende in parte nei rapporti fra i belligeranti. Trattando dei diritti soggettivi internazionali, l'A. accanto ai diritti di personalit, pone su un piano di rilievo i diritti dell'autonomia che egli ripartisce, con criterio forse troppo analitico, in diritti. attinenti al c.d. dominio riservato; diritti all'esercizio di attivit extraterritoriale; diritti ad un trattamento dei propri organi esterni; diritti al l'immunit dalle giurisdizioni estere; diritti d'asilo. A proposito di dominio riservato, non si pu non condividere la considerazione del Miele, nel senso che il diritto intern11izionale Q$lierno, mentre da un lato ne proclama il rispetto, dall'altro lato tende ad cc impadronirsene . Trattasi, per, di tendenza che non ha ancora trovato una definizione sul piano formale. Cosi, ad esempio, la questione della c.d. internnazioalit del problema costituzionale, inquadrata nell'ambito della interdipendenza dei fattori politici e storici delle odierne forme degli Stati, si pu porre, per il momento, esclusivamente sul terreno politico. Il diritto di ogni Stato all'esercizio di attivit extraterritoriale e ad un trattamento dei propri organi esterni pone, come suol dirsi, sul tappeto la questione dei limiti delle immunit diplomatiche e consolari. Per gli agenti diplomatici consuetudinariamente riconosciuta un'ampia imm~nit dalla giurisdizione penale e civile, eccettuato, per quest'ultima, il caso delle azioni reali o possessorie relative ad immobili situati nello Stato di accreditamento. A titolo storico, vanno ricordate due sentenze della nostra Corte Suprema (20 aprile 1915 e 31 gennaio 1922) che, negando l'immunit diplomatica oltre la sfera ufficiale, sollevarono in passato l'unanime protesta del Corpo diplomatico accreditato presso il nostro Stato. (Sulla questione, vedansi le recenti sentenze 24 marzo 1953 e 13 luglio 1953 del Tribunale di Roma, con nota di richiami, in Foro It. , 1954, I, 136). Quanto all'immunit dello Stato dalle giurisdizioni estere, si osserva che essa non riconosciuta in relazione ad atti o fatti di diritto privato. Con riferimento all'Italia, opportuno ricordare che il D.L. 30 agosto 1925, n. 1621, convertito in legge 15 luglio 1926, n. 1263, subordina all'autorizzazione del Ministro della Giustizia l'esecuzione forzata sui beni degli Stati esteri. Fin qui si sono ricordati i diritti soggettivi internazionali. Ma neffordinamento internazionale si pu, com' noto, parlare anche di interessi protetti degli Stati in un significato non troppo lontano da quello del diritto interno. L'A. pone acutamente in rilievo che gli stessi sviluppi del diritto formale o strumentale relativo alla risoluzione pacifica delle controversie c.d .. cc politiche (quelle controversie, cio, insorte in dipendenza di una pretesa che non trova fondamento nel regolamento giuridico costituito e che pertanto tende ad evertere quest'ultimo) attestano la necessit in cui si trova l'attuale diritto internazionale di ammettere una indiretta tutela degli interessi. Trattando della responsabilit internazionale per fatti illeciti, il Miele, pur distinguendo fra responsabilit per fatto dell'organo e responsabilit per fatto d'individui, osserva giustamente che non v' posto per la responsabilit indiretta, giach in ogni caso trattasi di responsabilit dello Stato per fatto proprio in occasione della condotta di orga:aj. od in genere di individui, contraria, come si suol dire, al diritto internazionale. In tali casi, il singolo individuo non potr, di regola, essere tenuto responsabile internazionalmente del suo operato. Unica eccezione, ancora non del tutto defluita posi -12 tivamente, quella dei criminali di guerra ed a tale proposito I'A. si augura l'istituzione di un vero e pro prio tribunale internazionale permanente, neutrale e precostituito a qualsiasi pericolo di conflagrazione. Il Miele respinge la dottrina che, sulla base di un preteso realismo giuridico, afferma l'impossibilit della valutazione giuridica del ricorso alla guerra, e plaude alla pi recente dottrina che, pur continuando ad occuparsi del fenomeno bellico sul piano del diritto internazionale, lo ha relegato o fra le garanzie del diritto internazionale di pace o fra le sanzioni del diritto internazionale. Ci nonostante, egli segue la sistematica tradizionale, che fa un capitolo a s delle norme del diritto di guerra, premettendo che, oggigiorno, il ricorso alla guerra che non sia di autodifesa o di esecuzione degli obblighi di tutela associata (contenuti nella Carta dell'O.N.U.) illecito. sottile, ma sostanzialmente esatta, l'osservazione. che l'instaurazione dello stato di guerra, sul piano giuridico, ha come effetto, non tanto l'applicazione diretta del diritto di guerra, come usualmente si dice, bensi il preliminare effetto di colorare o caratterizzare le fattispecie o gli eventi posteriori, nella cerchia degli Stati fra i quali sorge lo stato di guerra, come di natura bellica in senso giuridico; ossia, fattispecie tali da essere sussunte dalle norme di guerra. Accurata ed aggiornata la trattazione dell'occupazione bellica con particolare riguardo ai poteri e ai doveri dello Stato occupante. L'A. considera anche il caso dell'occupazione armistiziale e ritiene che di tale natura debba essere considerata l'occupazione di Trieste, nel periodo dall'armistizio con l'Italia fino alla entrata in vigore (15 settembre 1947) del Trattato di pace Italia-Nazioni Unite. Con l'entrata in vigore di tale trattato, l'occupazione interalleata -non essendosi costituito, per la mancata applicazione del Trattato circa il governo del territorio internazionale, il c.d. Territorio Libero di Trieste -trova il suo titolo giuridico, secondo il Miele, nell'art. 21 del Trattato stesso, il quale prevede la cessione del territorio da parte dell'Italia condizionatamente alla effettiva erezione del Territorio internazionale: di qui, il permanere d'ell'occupazione alleata e (sebbene I'A. non lo dica esplicitamente) la sopravvivenza della sovranit italiana, anche se non effettuale. (Per lo stato della giurisprudenza interna in proposito, vedasi il voi.III della Relazione della Avvocatura Generale dello Stato 1942-1950). Gravi e delicati problemi sono quelli che si pongono (e per l'Italia si tratta, purtroppo, di recente esperienza) circa la validit da riconoscersi agli atti, specie amministrativi e giurisdizionali, dello Stato occupante. Come criterio generale di valutazione degli atti dell'occupante, l'A. propone, in conformit del prevalente orientamento, il principio della legittimit internazionale del singolo atto come condizione di validit del medesimo nell'ordinamento dello Stato occupato. (Sulla questione, con riferimento al nostro ordinamento e ai periodi di occupazione tedesca e alleata del nostro territorio, vedasi il cit. vol. III della Relazione dell' A vvocatura Generale della Stato). U. CORONAS VINCENZO SICA: La controfirma. Napoli, Jovene' 1953. 1. In tutti gli Stati moderni gli atti del Capo dello Stato sono controfirmati da un Ministro. A parere del Sica, la controfirma un mezzo tecnico per attuare le norme costituzionali determinanti la competenza del Capo dello Stato e del Governo e la relazione fra questi due organi, donde la conseguenza che essa pu assumere un valore diverso nei vari ordinamenti positivi. L'interpretazione corrente, per cui la controfirma esprime sempre la paternit effettiva dell'atto e l'assunzione di responsabilit politica di fronte alle Camere. se valida per l'ordinamento inglese, non lo altrettanto per gli altri ordinamenti positivi. In un regime costituzionale puro, in cui il Governo non responsabile di fronte alle Camere, la controfirma non pu avere il valore sopra accennato. Ma anche nell'ambito dei regimi parlamentari, essa pu assumere qualificazioni e sfumature diverse. Un sistema abbastanza affine al clich britannico era quello vigente nel Regno d'Italia. Il concetto inglese per cui al Re spetta il potere nominale, al Governo il potere effettivo, si traduce nella formula italiana per cui il Re titolare del potere, ma il Governo ne ha l'esercizio. I Ministri svolgono l'attiv'it di indirizzo politico e determinano il contenuto degli atti, che il Re fa propri con la firma. Ma formalmente il Re titolare del potere, e potrebbe egli stesso, almeno in casi particolari, assumersi la iniziativa di atti politici o comunque esercitare un controllo di merito sul contenuto proposto dai Ministri: solo una norma di correttezza costituzionale che induce il Re ad astenersene. Non vi dunque un netto limite giuridico fra competenza regia e ministeriale, per quanto la prassi tenda ad attribuire al Governo l'esercizio integrale del potere. Non vi articolazione vincolata di competenze. Vi al contrario una disarticolazione che consente l'alternarsi di situazioni diverse, che consente in concreto l'evoluzione su descritta (p. 222). Re e Ministro concorrono a formare un atto complesso, nel senso che lo stesso atto voluto e compiuto da due organi diversi. Ma la complessit, avverte il Sica, un genere comprendente varie specie. Quella cui dava luogo lo Statuto Albertino era una complessit disarticolata, in quanto l'ordinamento non descrive n fissa il ruolo o la posizione delle attivit elementari che danno vita all'atto complesso : vi era infatti una partecipazione indifferenziata dei Ministri e del Re alla formazione dell'atto (p. 223). Diversa la situazione nell'ordinamento attuale, in cui il Capo dello Stato non pi il titolare dei massimi poteri, il perno del sistema. Non vi pi un Governo del Re, ma un Governo della Repubblica: prima il Govern esercitava funzioni del Capo dello Stato; ora Governo e Capo dello Stato esercitano ciascuno funzioni proprie fissate dalla Costituzione. Il Governo ha il potere generale di indirizzo politico e amministrativo (art. 95); il Presidente della Repub- J -13 blica ha una serie di attribuzioni specifiche (per lo pi elencate nell'art. 87). Anche nel nuovo ordinamento gli atti del Capo dello Stato sono controfirmati da un Ministro e sono quindi atti complessi in quanto voluti e compiuti da due organi. Ma la complessit qui caratterizzata dalla articolazione rigida delle competenze, distribuzione vincolata di competenza agli organi costitutivi del sistema di governo>> (p. 228). 2. Il Sica mette peraltro in rilievo un secondo e importante elemento differenziale delle due Costituzioni. In quella del 1848 la preminenza nel sistema attribuita all'istituzione regia contrappposta all'organizzazione rappresentativa, che ha il suo centro nella Camera dei deputati. La evoluzione costituzionale italiana caratterizzata .. dall'espansione dell'organizzazione rappresentativa mediante il controllo della Camera bassa sul Governo, il quale da emanazione della Corona si trasforma in espressione della maggioranza di essa Camera. Il Governo assorbe allora tutto il potere del Re; gli atti del quale, eccettuati i pochi di regia prerogativa, sono in realt atti del Governo. La situazione si altera nel regime attuale, in cui anche il Capo dello Stato, quale eletto del Parlamento e rappresentante dell'unit nazionale))' fa parte dell'organizzazione rappresentativa. Mentre da un lato gli si tolta la preminenza di cui godeva l'istituzione regia, dall'altro non si sentito il bisogno di sottrargli ogni potere effettivo. Pertanto accanto agli atti il cui contenuto, come in regime monarchico, determinato dal Governo, la costituzione ha previsto atti di iniziativa presidenziale. Anche questa seconda peculiarit del nuovo sistema si riflette sulla controfirma. Poich mentre nel regime precedente essa aveva sempre lo stesso valore, nel senso che tutti gli atti reali erano in realt proposti e formulati dal Ministro controfirmante, il quale ne assumeva la responsabilit politica, nel regime attuale vi sono due categorie di atti presidenziali: quelli di indirizzo politico e amministrativo formulati dal Governo e quelli costituzionali determinati dal Presidente. Principali fra questi: la nomina del Presidente del Consiglio (che secondo il Sica andrebbe controfirmata dal Premier dimissionario), di un terzo dei giudici della Corte costituzionale e di cinque senatori, la convocazione straqrdinaria e lo scioglimento delle Camere, il messaggio, il veto sospensivo delle leggi, la grazia, nonch alcuni atti c.d. automatici, che il Presidente tenuto a compiere verificandosi certi presupposti (indire le elezioni, fissare la prima riunione delle Camere, promulgare le leggi). La distinzione fra le due categorie di atti importantissima ai fini del presente studio, poich negli atti di indirizzo politico o amministrativo la controfirma esprime l'esercizio di un vero (( potere determinante n: iniziativa, formulazione dell'atto e quindi responsabilit politica del Ministro; negli atti costituzionali la controfirma esprime l'esercizio di un mero cc potere costitutivo ))' che si sostanzia in un controllo di costitu zionalit da parte del Ministro, soggetto non alla responsabilit politica, ma solo a quella penale per alto tradimento o attentato alla co stituzione. Inversamente, la firma presiden7Jale realizza nella prima categoria di atti un puro controllo di costituzionalit, esclusa qualsiasi partecipa zione al merito; nella seconda l'esercizio di un vero potere determinante del contenuto dell'atto. L'inversione del rapporto Prsidente-Ministro non peraltro completa, sotto due profili. In primo luogo in entrambe le categorie di atti la firma presidenziale ha la funzione di attribuirli al Capo dello Stato rappresentante dell'unit nazionale, anzich al Governo, che non l'or gano pi elevato dello Stato e per giunta non rappresenta l'intera Nazione, ma solo la maggio ranza (maggioranza di oggi che pu diventare la minoranza di domani). Inoltre il Capo dello Stato sempre politica. mente irresponsabile dei propri atti, anche di quelli emessi di propria iniziativa. Secondo il Sica, la sua tesi non in contrasto con l'art. 89 della Costituzione: cc Nessun atto del Presidente della Repubblica valido se non controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilit n. La formula pecca di imprecisione, ma se indubbiamente sancisce l'obbligo della controfirma per tutti gli atti del Presidente, essa non dice che per tutti vi sia la proposta e l'assunzione di responsabilit del Governo. Come aveva gi rilevato il Vitta, la formulazione dell'art. 89 si spiega, oltre che con ragioni storiche, col fatto che gli atti di proposta governativa sono la grande maggioranza e costi tuiscono l'id quod plerumque accidit. 3. Una delle parti pi interessanti del libro l'indagine diretta ad individuare gli atti, il cui contenuto determinato dal Presidente della Repubblica. Per la nomina del Presidente del Consiglio, il messaggio e il veto sospensivo delle leggi, il potere determinante e la discrezionalit del Capo dello Stato intuitiva. Per altri non lo altrettanto, come testimoniano le diatribe svoltesi al proposito in sede politica. Varie ragioni inducono l'A. a ritenere di formulazione presidenziale la nomina di un terzo dei giudici della Corte costituzionale. La Corte organo di giustizia; deve esserne assicurata la imparzialit anche nell'eventualit che deve giu . dicare su accuse promosse contro Ministri e su conflitti fra il Governo e altri poteri dello Stato. Devono essere scelte persone qualificate non da meriti politici, ma da requisiti tecnici (magistrati, avvocati, professori). Deve essere sottratta la nomina di questi giudici alla maggioranza; un giudice legato alla maggioranza di oggi, durando in carica dodici anni, pu diventare avversario del Governo di domani: cc si avr allora una Corte costituzionale composta di rappresentanti _del}a minoranza, il che praticamente porterebbe ad una degenerazione dello istituto, trasformandolo molto facilmente in un organo politico di lotta e resistenza dell'opposizione contro il Governo >> (p. 170). -14 Il Sica fa rilevare che la sua interpretazione non pregiudicata dall'art. 4 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per cui il Capo dello Stato nomina i giudici con decreto controfirmato dal Presidente del Consiglio, dato che tutti gli atti del Capo dello Stato devono essere controfirmati. Anzi, in sede di approvazione della legge gli oratori sarebbero stati unanimi nel riconoscere che l'iniziativa della nomina spetti al Presidente della Repubblica, mentre sarebbero rimasti divisi solo sul punto se il Presidente del Consiglio possa partecipare al merito dell'atto o -come l'.A. ritiene -deve limitarsi ad un puro controllo di costituzionalit. Anche la nomina dei senatori a vita sarebbe atto di formulazione presidenziale, poich devono essere scelte persone qualificate da meriti sociali, scientifici ed artistici, e non politici e poich la potest di alterare il rapporto fra maggioranza e minoranza, sia pure per una frazione esigua di parlamentari, non pu essere demandata al Governo. Il potere di grazia spetta al Capo dello Stato, perch non materia politica e perch, incidendo sull'efficacia di atti giurisdizionali, se fosse attribuito al Governo vulnererebbe in un certo senso l'autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario. Ci non esclude peraltro l'importanza al riguardo dell'attivit preliminare della pubblica amministrazione, in ispecie del Ministero della Giustizia, come stabilito dalle leggi ordinarie. Ohe lo scioglimento delle Camere sia atto presidenziale e non governativo, si desume dalla lettera dell'art. 88: cc pu, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere . cc Pu , ossia esercita una facolt discrezionale, mentre quando un atto proposto dal Governo il Presidente, se non incostituzionale, deve firmare. cc Sentiti i loro Presidenti: lo stesso Capo dello Stato, e non il Governo, che deve consultare i Presidenti. Ma il Sica insiste sopra tutto sulla funzione dello scioglimento delle Camere nella vigente Costituzione, che non sarebbe pi quella di risolvere un conflitto politico fra le Camere e il Governo, bensi quella di risolvere una crisi provocata dall'inesistenza di una solida maggioranza nelle Camere. Nel nostro ordinamento, schiettamente parlamentare, sarebbe impossibile un conflitto fra Parlamento e Governo, perch questo l'espressione di quello: il Parlamento non si limita come nel vecchio ordinamento a minacciare un voto di sfiducia, ma deve fin dal primo momento dare la propria investitura con il voto di fiducia. invece possibile che nelle Camere non riesca a formarsi una maggioranza attiva. ed operante, donde una crisi di funzionamento del sistema, perch le Camere non potrebbero lavorare, n esprimere dal proprio seno un governo stabile. Lo scioglimento mirerebbe dunque, attraverso nuove elezioni, a mutare la composizione delle Camere, in modo da assicurarvi una maggioranza efficiente. cc Non risponde a fini politici, ma ad esigenze di struttura (p. 145): non spetta quindi al Governo, organo di indirizzo politico, ma al Presidente, organo di funzionamento del sistema. 4. La dimostrazione di queste tesi l'epilogo di una chiara e diffusa disamina della costituzione, e sopra tutto delle attribuzioni presidenziali e governative. Il Governo ha il potere politico. Il Presidente ha .una competenza propria, quale cc organo di funzionamento del sistema (p. 206), e in tale ambito compie atti di propria iniziativa. Gli inoltre attribuito un controllo di costituzionalit degli atti di governo. Il Governo, espressione della maggioranza, oggi in realt l'organo-guida del Parlamento, e persegue i suoi obiettivi non solo con atti politici ed amministrativi, ma anche con le leggi che induce il Parlamento a votare. Occorrono perci efficaci controlli degli atti della maggioranza: la nostra Costituzione d il potere alla maggioranza, ctma ad una maggioranza che sia e resti tale nel suo dialogo quotidiano con la minoranza (p. 236). La Corte costituzionale garanzia esterna al sistema. Il Presidente della Repubblica, con la sua alta e delicata funzione di controllo degli atti di governo e delle leggi, Ǐ l'estremo limite -l'ultimo -che agisca nel sistema per vincolare la maggioranza alla sua posizione strutturale, per impedire che la maggioranza si trasformi in dittatura (p. 239). Ci giustifica la facolt presidenziale non solo di rinviare le leggi, ma anche di rifiutare la firma degli atti di governo anticostituzionali; facolt che anche un dovere, poich altrimenti non si comprenderebbe la responsabilit del Presidente per alto tradimento e attentato alla Costituzione (art: 90). Negli atti di iniziativa presidenziale le parti si invertono, e il controllo di costituzionalit compiuto dal Governo, il quale ha pertanto il potere di rifiutare la controfirma. dunque possibile un conflitto fra i due organi, che secondo l'.A. non pu essere deferito alla Corte costituzionale, poich questa chiamata a dirimere i conflitti fra i cc poteri dello Stato, e il Presidente non un potere nel senso che questa parola assume nella costituzione, cio attivit dell'organizzazione statale nei riguardi della comunit dei cittadini : laddove la funzione del Capo dello Stato cc non supera ma si svolge nei limiti dell'organizzazione statale, non si indirizza alla comunit dei cittadini (p. 231, 240; contra BASCIDERI, B. d'E. e G.; La Costituzione italiana, Firenze, 1949, 463). Un conflitto fra Presidente e Ministro perci privo di rimedi giuridici e rende impossibile la emanazione dell'atto, di cui rifiutata la firma o la controfirma. Tale pericolo non deve peraltro spaventare. In primo luogo esso pu tradursi eccezionalmente in realt; in secondo luogo la non emanazione dell'atto ritenuto incostituzionale da un altissimo organo dello Stato non deve in via di principio ritenersi un danno, ma un vantaggio: cc la crisi o la par~li!'li sono e si pongono non come un dato negativo, m&. cQme. la situazione voluta per fermare eventuali attivit anticostituzionali (p. 244). Sull'istituto della controfirma si andato risvegiando l'interesse della dottrina (cfr. LETTIERI: La controfirma degli atti del Presidente della -15 Repubblica, Roma 1951; VITTA: Atti presidenziali e proposte ministeriali nella vigente Costituzione, in {{ Riv. .Amm. n, 1951, I, 297; RUINI: La controfirma ministeriale degli atti del Capo dello Stato, in Foro Padano 1951, IV, 17: le due ultime opere recensite dal Carbone in questa Rassegna, 1951, 157 e 1952, 134). Le conclusioni cui giunge il Sica in quest' aggiornata e completa monografia sembrano in linea di massima accettabili. Effettivamente esiste nel nuovo ordinamento costituzionale un'articolazione di competenze fra Capo dello Stato e Governo, che era ignota all'ordinamento precedente. Riteniamo per col Ruini che la situazione oon sia radicalmente mutata e che ancora oggi i rapporti fra Oapo dello Stato e Governo siano materia soprattutto di prassi e correttezza costituzionale. Il Sica ha forse contrapposto in modo troppo schematico i due ordinamenti succedutisi in Italia. I principi del sistema albertino non si possono enunciare citando articoli dello Statuto, che non fu applicato alla lettera neppure nel 1848 e diede subito luogo ad un regime schiettamente parlamentare. Quanto alla costituzione del 1947, la lettera certo pi aderente allo spirito e la molteplicit e sviluppo delle norme permette, con la semplice lettura, di cogliere pi f acilmente l'essenza del sistema. Ma non possibile ridurre in schemi perfetti e rigidi una realt ancora in gestazione, che solo un'adeguata vegetazione di norme scritte e non scritte potr realizzare (vedi per il governo di gabinetto le convincenti osservazioni del CARBONE: L'interpretazione delle norme costituzionali, Padova, 1951, 25 s. ). Sembra esatta l'opinione che una serie di atti previsti dalla costituzione siano di iniziativa del Capo dello Stato e non del Governo. Negare in blocco l'esistenza di tali atti sarebbe assurdo, poich per uno almeno di essi, la nomina del Presidente del Consiglio, inammissibile una proposta ministeriale; e perch l'iniziativa del Capo dello Stato intuitiva per altri atti, come il messaggio e il veto sospensivo di una legge. Il pericolo di una dittatura presidenziale addirittura inconcepibile in un ordinamento come il nostro, che affida i massimi poteri al Governo e al Parlamento. L'argomento potrebbe essere rovesciato, e sostenersi che se la costituzione d tutto il potere politico a questi due organi, non vi sarebbe posto per un'attivit politica del Presidente. Senonch l'autonoma attivit presidenziale non di indirizzo politico, ma diretta al funzionamento del sistema; essa comunque si giustifica con esigenze di equilibrio. Assai interessante nel lavoro del Sica la disamina dei vari atti del Capo dello Stato, e persuasiva la dimostrazione della di lui iniziativa nei riguardi dei c.d. atti costituzionali. Non convince peraltro la limitazione del potere di scioglimento delle Camere al caso di insistenza di un'efficiente maggioranza. Ci sar esatto per la Costituzione di Bonn, dove sancito da una norma espressa, non per la Costituzione italiana. N ~ sembra vero che nel nostro sistema sia impossibile un confiitto fra Governo e Camere, solo perch occorre fin dall'inizio il voto di fiducia: ben possibile che dopo il voto di fiducia un gruppo favorevole al Governo passi all'opposizione, trasf armandola in maggioranza. Ed anche altre crisi costituzionali sono concepibili. Non si pu dunque ridurre il potere di scioglimento a quell'unico caso. Lo stesso Guarino, che in precedenza lo aveva limitato al caso di confiitto fra Camera e Governo, ha dovuto ricredersi dopo lo scioglimento del Senato disposto nel 1953 in seguito ad una crisi politica non determinata da un suo confiitto col Governo (n dall'inesistenza di una maggioranza efficiente): I recenti avvenimenti dimostrano che non tutti i casi dell'esperienza si la sciano inquadrare negli schemi sopra segnati. La fantasia della realt pi ricca di quella degli scrittori n (Lo scioglimento anticipato del Senato, in cc Foro It. , 1953, IV, 89). Se si ritenesse possibile lo scioglimento delle Camere per confiitto col Governo, dovrebbe per ritenersi che il relativo atto, squisitamente politico, sia di iniziativa del Governo o almeno frutto di un accordo fra Governo e Capo dello Stato. Ci fa pensare che alla netta bipartizione del Sica fra atti di iniziativa presidenziale ed atti di iniziativa governativa, sia forse preferibile la' classificazione del Ruini, comprendente una categoria intermedia di atti, il cui contenuto pu essere determinato secondo i casi dall'uno o dall'altro organo; e che comunque la materia sia regolata non tanto da rigide norme giuridiche, quanto da norme pi elastiche di correttezza e opportunit. Passando agli atti di indirizzo politico e amministrativo, propri del Governo, sembra giusta la opinione del Sica che il Presidente possa rifiutarne la firma quando li ritenga anticostituzionali. Questo potere si giustifica con la posizione di garante della Costituzione assegnata al Capo dello Stato. Si ritiene tuttavia che esso potere sia discrezionale, e che non costituisca un preciso dovere, sanzionato dalla responsabilit di cui all'art. 90, se non quando l'atto violi la costituzione in modo grave e pericoloso per la struttura dello Stato. Nell'ambito di tale discrezionalit, il Presidente pu quindi concedere la sua firma, quando ritenga ci politicamente opportuno, p.e. quando il suo rifiuto possa apparire una presa di posizione a favore di una parte in quel dialogo fra maggioranza e minoranza, cui egli dovrebbe rimanere sempre neutrale. GIANCARLO OLMI RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Opera Nazionale Combattenti -Deliberazione del Collegio Centrale arbitrale sui trasferimenti in propriet -Natura di atto amministrativo -Inammissibilit del ricorso in cassazione. (Corte di Cass., Sez. Un., Sent. n. 2278/53 - Pres.: Acampora; Est.: Pepe; P. M.: De Martini Geronimo contro O.N.C. e Ministero Agricoltura). Hanno natura puramente amministrativa, e non giurisdizionale, le deliberazioni del Collegio centrale arbitrale presso l'Opera Nazionale Combattenti, con le quali si dichiara la sussistenza delle condizioni, richieste dall'art. 14 del regolamento allegato al R.D.L. 16 settembre 1926, n. 1606, per procedere ai trasferimenti in propriet dei fondi espropriati a favore dell'Opera stessa. , pertanto, inammissibile il ricorso in Cassazione proposto contro tali deliberazioni. 1. La questione presa in esame dal Supremo Collegio (vedi anche Lanza Branciforte contro O.N.C. e Ministero .Agricoltura e Foreste, in Foro It. , 1953, I, 779;. Tiralosi e Visacchi contro O.N.C. e Ministero .Agricoltura e Foreste; e altre) si presenta con carattere di novit, non risultando in materia precedenti specifici (vedi rif. Cons. Stato, Sez. VI, 27 agosto 1951, n .. 368, in Giur. Cass. Civ. n, 1951, III, 1266; Cons. Stato, Sez. IV, l novembre 1948, n. 470, in Giur. Cass. Civ.>>, 1948, III, 1001). I termini della questione sono i seguenti: ai sensi dell'art. 16 del Regolamento legislativo per l'ordinamento e le funzioni dell'Opera Nazionale Combattenti, approvato con R.D.L. 16 settembre 1926, n. 1606, il Collegio centrale arbitrale, costituito a norma dell'art. 30, dichiara la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 14 per il trasferimento di propriet e l'assegnazione in enfiteusi o in affitto >> di immobili suscettibili di opere, modifiche e costruzioni attinenti ai fini dell'attivit che l'Opera svolge nel campo agricolo. Il trasferimento in propriet e l'assegnazione in enfiteusi o in affetto vengono disposti (art. 17) successivamente con decreto del Capo dello Stato su proposta del Presidente del Consiglio di concerto con uno dei Ministri, indicati nell'art. 17, secondo le rispettive competenze. . In caso di pronuncia, favorevole alla richiesta dell'Opera -quella negativa, costituisce, di per s, rigetto della domanda -il provvedimento del Capo dello Stato pu essere di reiezione o di accoglimento della richiesta stessa; infatti, esso, non pare vincolato (v. art. 17) alla dichiarazione p.ositiva di sussistenza delle condizioni di legge da parte del Collegio centrale. Rettamente, a nostro avviso, la Suprema Corte ha affermato il carattere amministrativo e non giurisdizionale, o misto, del procedimento e dell'atto dichiarativo, di cui all'art. 16 del R.D.L. 16 giugno 1926. In materia si ravvisano opportune alcune osservazioni. 2. Nel nostro ordinamento positivo, nell'ambito dell'attivit amministrativa della Pubblica .Amministrazione, dato riscontrare una zona qualificata dal carattere contenzioso. dell'attivit medesima: ctlmpo, invero, solo di recente compiutamente esplorato e sistemato dalla dottrina, in relazione alle esigenze della vita giuridica e a perspicue affermazioni giurisprudenziali (GIANNINI, M. S.; Decisioni e deliberazioni amministrative, in cc Foro .Amm. , 1946, I, 154; IDEM: Sulle decisioni amministrative contenziose, in cc Foro .Amm. , 1949, I, 1, 316; IDEM: .Accertamenti amministrativi e decisioni amministrative, in cc Foro It. , 1952, IV, 169; N'GRO: Le decisioni amministrative, 1953). Nella nostra esposizione, richiamiamo, in particolare, l'attivit delle speciali commissioni in materia di assegnazione di terre incolte, di danni di guerra, di epurazione, di revindica di beni .A.R. .A.R. ecc. a) n D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 279, il D.L.L. 26 aprile 1946, n. 597, il D.L.C.p.S. 6 settembre 1946, n. 89 e il D.L.C.p.S. 27 dicembre 1947, n. 1710, avevano istituito e regolato apposite Commissioni, sedenti presso i Tribunali dei capoluoghi e competenti all'esame delle domande di concessione (e di decadenza) di terre incolte. Le Commissioni (LANDI: Concessione di terre incolte ai contadini, 1947, 'p. 46) accertavano e dichiaravano la sussistenza delle condizioni di legge richieste per far luogo alla concessione e de terminavano l'indennit, in caso di mancato accordo tra le parti, attraverso un p_r:ocedimento, ispirato al principio del contraddittorio e pro_mo_f!SO ad istanza di parte. La decisione negativa concretava, di per s, il rigetto della domanda ed era dichiarata impugnabile solo con ricorso (gerarchico) dell'Ispettorato com-lpartimentale al Ministero dell' .Agricoltura --e Foreste. -17 La pronuncia favorevole della Commissione vincolava il Prefetto all'emanazione del provvedimento prefettizio di concessione, la cui impugnabilit, esclusa dalla legge tranne che per la parte concernente l'indennit, stata riconosciuta in seguito dal Consiglio di Stato, dopo un'incerta elaborazione giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 303/48 Sez. V, 342/48; Sez. V, 255/49), susseguente alla entrata in vigore della Costituzione (art. 113). Parallelo era il procedimento di decadenza delle concessioni. Con legge 18 aprile 1950, n. 199, la funzione delle Commissioni di cui sopra stata limitata alla sola determinazione dell'indennit, mentre le funzioni, gi demandat.e a questa per l'accertamento della sussistenza delle condizioni richieste per la dichiarazione di decadenza, sono state trasferite ad .altre Commissioni sedenti presso le Prefetture, i cui pareri n, favorevoli o meno all'istanza di concessione o di decadenza, vengono sempre seguiti dal decreto prefettizio. Sotto l'imperio delle precedenti disposizioni, dopo qualche affermazione del carattere giurisdizionale delle CommissiOni e delle loro decisioni (Rep. cc Foro It. n, 1946, col. 24, n. 8; TORRISI, in cc Foro It. n, 194 7, III., 156: .Alcune questioni in tema di concessione), la prevalente dottrina e giurisprudenza ne hanno concordemente affermato il carattere amministrativo, senza, per, che fosse accertato definitivamente, il carattere della pronuncia, che la stessa legge qualificava a volte cc parere (art. 6 D.L.L. 279/1944), a volte cc decisione n (art. 5 stesso D.L.L. 279} e che la dottrina indicava ora come pareri, ora come accertamenti tecnico-amministrativi. In base alla nuova legge 199/1950, non sembra possano sussistere dubbi sulla natura amministrativa delle Commissioni istituite presso le Prefetture. b) In materia di epurazione, il D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159, aveva affidato a speciali Commissioni il compito della valutazine degli addebiti e della determinazione delle sanzioni (limitato dal successivo D.L.L. 9 novembre 1945, n. 702, alla sola dichiarazione di incompatibilit dell'impiegato). La pronuncia di detta Commissione, emessa a seguito di un procedimento pure ispirato al principio del contraddittorio, e variamente definita dal legislatore, aveva efficacia assolutamente vincolante per l'Amministrazione. Il carattere amministrativo delle Commissioni e delle loro decisioni, dapprima contrastato, stato poi costantemnte ribadito dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione. c) La speciale Commissione incaricata (D.L. C.p.S. 28 febbraio 1947, n. 119) dell'accertamento dei diritti di terzi sui beni pervenuti in possesso dell'A. R.A.R., ha, secondo la. prevalente dottrina, carattere amministrativo. (Vedi in questa Rassegna, 1953, 16). d} Come stato giustamente osservato (NIGRO, Op. cit.) anche carattere amministrativo va attribuito alle Commissioni per l'assegnazione degli alloggi I.N.A.-Casa (D.P. 22 giugno 1949, n. 340), le quali, decidendo sulle opposizioni prodotte avverso la graduatoria provvisoria, formano quella definitiva. Si ricordano ancora l'attivit della Pubblica Amministrazione diretta alla decisione dei ricorsi amministrativi, l'attivit dei consigli di disciplina, quali espressioni tra le pi salienti dell'attivit am ministrativa contenziosa. Riteniamo, per l'evidente analogia con gli organi sopra descritti, che anche il Collegio arbitrale cen trale, istituito presso l'O.N.Q. ai sensi. lell'art. 30 del R.D.L. 16 settembre 1926, n. 1606, nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 16 dello stesso decreto, abbia natura amministrativa ed esplichi, quindi, un'attivit amministrativa, culminante in atti (de cisioni) amministrativi, attraverso un procedimento ammihistrativo, di carattere contenzioso, ampia mente ispirato al principio del contraddittorio. Lo stesso legislatore riconosce (art. 30) che il detto Collegio esercita funzioni amministrative, oltre che giurisdizionali e l'attivit di cui all'art. 16 non pu qualificarsi che amministrativa. L'accertamento e la dichiarazione della sussistenza delle condizioni, richieste da,lla legge per farsi luogo al trasferimento di propriet o all'assegnazione in enfiteusi, mirano alla cura di interessi pratici e concreti dell' A mmini. strazione; le decisioni (recanti la pronuncia, positiva o negativa) sono atti amministrativi e non sentenze, con efficacia di giudicato, non importando, tra l'altro, la preclusione della. questione; lo stesso procedimento, se pure ispirato al principio del con traddittorio, non quindi giurisdizionale. 3. Il fenomeno della collaborazione giuridica tra la Pubblica Amministrazione e il privato (intesa la parola nella sua pi estesa accezione) nel procedimento di formazione dell'atto amministrativo non ha largo sviluppo nel nostro ordinamento, come dato facilmente di rilevare. Peraltro, osserva giustamente il Guieciardi, il prin cipio sostanzialmente accolto dal legislatore, ma che non stato mai praticamente tradotto nella realt degli istituti positivi, sembra essere l'opposto, ispi rato cio ad ampia, normale partecipazione del pri vato alla formazione dell'atto. Infatti, l'art. 3 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, cos di'Spone: cc Gli affari non compresi nell'articolo precedente, sa ranno attribuiti alle autorit amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate, provvederanno con decreti motivati, previo parere dei Consigli amministrativi che, nei diversi casi, siano dalla legge stabiliti . V', quindi, un principio che ammette, in via ordinaria e normale, la partecipazione attiva del privato, ma che, peraltro, come osserva il chiaro A. rimasto allo stato meramente progrmmatco. Comunque, un'esigenza, specialmente oggi vivamente sentita, che detto principio informi sempre pi gli istituti, s da caratterizzare il normale procedimento ammi nistrativo . . dato poi di rilevare l'ulteriore tendenza a che la collaborazione del privato s esplichi secondo i limiti e con le garanzie, proprie del contraddittorio. (MoRTATI, Istituzioni di Diritto pubblico, pag. 507). E sembra che nell'art. 3 della legge sul contenzioso amministra tivo questa forma d~ attivit trovi il suo addentellato: il carattere del contraddittorio qualifica "nche l'atto amministrativo ((( decreto motivato ))), che, in modo appropriato la dottrina definisce cc decisione . Si determina, in tal modo, l'attivit amministrativa c.d. contenziosa, diretta alla risoluzione di controversie con le formalit del contraddittorio. -18 4. L'attivit contenziosa (amministrativa) della Pubblica Amministrazione va distinta dall'attivit giurisdizionale. A criterio discretivo non va posta n la risoluzione di controversie n il carattere contenzioso del procedimento: questi ultimi sarebbero elementi propri della giurisdizione, come ritenuto dalla migliore dottrina. La distinzione pu formularsi tenendo presente l'essenza stessa delle due forme di attivit: quella giurisdizionale tende alla conservazione dell'ordine giuridico, l'altra alla realizazzione dei singoli interessi pubblici (ROMANO: Principi di Diritto amm., pag. 1-4). N, d'altra parte, detta attivit contenziosa assimilabile a quella dei tribunali del contenzioso amministrativo, esistenti nel sistema del 1859, atteso che essa si concreta in una attivit di amministrazione attiva, esplicata da organi che all'amministrazione attiva appartengono, e che non sono caratterizzati secondo un criterio organico di competenza, ma secondo l'ogetto della loro attivit o, meglio, secondo l'oggetto delle controversie portate al loro esame (LAVAGNA: Rass. dir.pubblico, 1947, III, 325 e segg.). Trattasi, dunque, di attivit amministrativa diretta alla risoluzione di controversie che si svolge secondo le regole del contraddittorio, da intendersi nell'accezione di cui all'art. 101 O.p.c. (NIGRO, op. cit.). L'estensione dell'oggetto delle controversie non , per, pacifica. Il Laiiagna (loc. cit.) sostiene trattarsi di controversie sulla validit degli atti della Pubblica Amministrazione, in altri termini sulla conformit degli atti amministrativi alle c.d. norme di azione; di controversie, cio le quali appaiono costituite non gi da contrasto di interessi, ma da una diversa valutazione della fattispecie per la tutela di un medesimo interesse, cio dell'interesse pubblico. Sotto altro profilo, il contenzioso amministrativo, nel suo pi ristretto concetto materiale, star ad indicare le sole controversie relative ad interessi semplici o legittimi, non anche quelle su veri e propri diritti soggettivi >i. L'affermazione non convince. Basta tener mente al sistema dei ricorsi amministrativi, attraverso i quali pu attuarsi la tutela di diritti subiettivi, per osservare come la suddetta limitazione non sia giu stificata. Si rileva, inoltre, che dette controversie, come si evince dagli esempi sub 2, rifiettono anche e sopratutto la conformit degli atti amministrativi alle c.d. norme di relazione, .interessanti la sfera giuridica degli altri soggetti. Le controversie, perci, abbracciano contrasti di interessi sia economici che giuridici. N , quindi, l'attivit contenziosa si limita, come assume il Lavagna, alla materia dei ricorsi ammini strativi e alla risoluzione di controversie sulla vali dit di atti o di provvedimenti gi emanati, abbrac ciando essa, invece, potenzialmente, tutto il canpo dell'attivit della Pubblica Amministrazione. La decisione , alla stregua delle suesposte con siderazioni, senza dubbio un atto amministrativo. Il Nigro (op. cit., p. 49) la classifica, secondo l'orientamento della dottrina germanica, tra gli accertamenti costitutivi. L'A. distingue, anzitutto gli accertamenti storici, operanti in un campo puramente logico, dagli accertamenti giuridici, i quali, pur muovendo dall'accertamento di determinati fatti, pongono una determinata situazione giuridica. Tra questi ultimi distingue ancora gli accertamenti meri, i quali realizzano le condizioni per la creazione di una situazione e accertamenti pienamente costitutivi i quali di per s creano detta nuova situazione. La distinzione corrisponde appunto a q'l!-ella tra. decisioni finali e non finali. Il Giannini (M.S.) rileva, invece, che le decisioni sono precipuamente manifestazioni di volont. Esse, nella azione volitiva amministrativa, determinano il contenuto della volizione, che, di regola, poi estrinsecata in un atto successivo: cio, possono formare l'atto terminale del procedimento, quando la determinazione del voluto (es.: pronuncia negativa) sia sufficiente a produrre l' e'ffetto giuridico, oppure vanno seguite dall'atto recante la volizione concreta. Nel secondo caso costituiscono un atto preliminare del procedimento oppure si fondono insieme all'atto che le segue in un atto complesso. Il Vitta (gli atti certificativi e le decisioni amministrative, in Giur. It. , 1924, IV, 97), infine, pur classificando le decisioni tra gli accertamenti, ritiene che si tratti di pronuncie dichiarative preliminari ad una manifestazione di volont. Or non dubbio che la decisione consista in una manifestazione di volont; per, la distinzione posta tra determinazione del voluto e volizione, se pur interessante nel processo psicologico di formazione dell'atto, non conferente nella specie, non avendo, in effetti rilevanza esterna. La decisione in s e per s, una volizione, recante, per, un accertamento di carattere costitutivo, in quanto crea una situazione giuridica nuova sulla base di precedenti dati di fatto; si presenta, perci, come un atto misto, quali di frequente si riscontrano nel nostro campo. Pu avere carattere finale, ed allora, nel procedimento di realizzazione della fattispecie, integra e conclude la fase costitutiva; pu, invece, essere strumentale agli effetti di un successivo atto, ed allora si pone nel pi ampio procedimento, in una posizione particolare ad integrare una fase del procedimento, che, in dottrina, stata indicata quale sub-procedimento. Nel primo caso, la decisione sar immediatamente impugnabile, nell'altro, pur costituendo una nuova situazione giuridica, concreter una effettiva lesione di interessi solo attraverso l'atto finale. La decisione, infine, si distingue dalla deliberazione -intesa, questa, nella pi comune accezione di atto collegiale o di forma del medesimo -in quanto nella deliberazione, la volont, di carattere meramente programmatico, si concreta, in genere in atti interni della Pubblica Amministrazione e non qualificata a dirimere controversie (GIANNINI M.S., in Foro It. , 1952, cit.: NIGRO, Op. cit.). R. LASOHENA GIURISDIZIONE -Pronuncia di decadenza dalla ca rica di sindaco per sopravvenuti motivi di ine leggibilit -Competenza dell'autorit giudiziaria ordinaria. (Corte di Cass., Sez. Un., i:!lent. n. 3188/53 - Pres.: Acampora; Est.: Ricciardelli; P.M.: DeMartini (conf.) -Cuccagna contro Prefetto di Perugia). La pronunzia di decadenza dalla carica di consigliere comunale congiunta a quella di Sindaco, a causa di sopraggiunti motivi di ineleggibilit, -19 I I spetta al Consiglio comunale, che vi procede su formale richiesta del Prefetto. In caso di omessa pronuncia nel termine di due mesi o di ricorso avverso la deliberazione del Con ~ siglio comunale, la controversia demandata alla cognizione della Giunta provinciale amministra i ~ tiva e la decisione di tale organo impugnabile, ai sensi della legge elettorale politica approvata con R. D. 2 settembre 1919, n. 1495, con ricorso I alla Corte di Appello, la cui sentenza ricorribile ~ per Cassazione. I I I Segnaliamo all'attenzione degli studiosi questa importante sentenza, che, modificando la precedente giurisprudenza (Cass. 15 marzo 1948, n. 399: Contenti- Mascia, in Riv. Amm. , 1948, 280), afferma alcuni fondamentali principi in una materia, nella quale si sente sempre pi viva l'esigenza di una legislazione organica, che renda possibile all'interprete ed al pratico l'individ1,azione delle norme in vigore. Nella specie l'Amministrazione aveva seguito la procedura che la Corte ha poi ritenuto corretta. Il Prefetto, cio, aveva chiesto al Consiglio comunale di Cannara la pronunzia di decadenza del sindaco, Feliciano Cuccagna, per sopraggiunti motivi di ineleggibilit. La richiesta del Prefetto fu respinta, donde il ricorso alla G.P.A. che pronunzi. la decadenza del Cuccagna, il cui ricorso alla Corte di Appello di Perugia fu respinto, donde il ricorso per Cassazione. All'udienza del 22 aprile 1952 il P.M., in considerazione della citata sentenza n. 399/48, chiese che il ricorso fosse rimesso alle Sezioni Unite per la risoluzione della questione di giurisdizione. La Corte, modificando la precedente giurisprudenza, ha ritenuto sussistere nella specie la giurisdizione della Corte di Appello, ma a tale conclusione pervenuta ritenendo abrogate le norme contenute nel comma 9 dell'art. 149 del T. U. 4 febbraio 1915, n. 148 e nell'art. 30 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839, per effetto del D.L.L. 7 gennaio 1946, n. 1 e dell'articolo 1 D.L.L. 10 febbraio 1946, n. 76, che hanno regolato ex novo la materia dell'ineleggibilit e della decadenza e che, quando hanno voluto richiamare in vigore le norme del T. U. 1915, lo hanno fatto espressamente (art. 4, 6 u.p. e 10 D.L.L. n. 1 del 1946). Dall'annotata sentenza si evince che il potere concesso al Prefetto dall'art. 30 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839, di pronunziare, invece del Governo, come disponeva il comma 9 dell'art. 149 del T. U.1915, la decadenza del Sindaco per sopravvenuti motivi di ineleggibilit, pi non esisterebbe. A tale conclusione, che la Corte non ha esplicitamente enunciato, ma che deriva logicamente dalle premesse, non riteniano di poter aderire. Per una migliore comprensione delle questioni necessario ricordare le varie norme che hanno regolato la materia. L'art. 146 del T. U. 1915 prevedeva alcuni casi di ineleggibilit a sindaco in aggiunta a quelli di ineleggibilit a consigliere. L'art. 147, comma 8, attribuiva al Prefetto il potere di annullare con decreto motivato la nomina del sindaco, che si trovasse in uno dei casi stabiliti dall'art. 146. In armonia con queste norme l'art. 149, comma 9, stabiliva che la qualit di sindaco si perde per le stesse cause, per le quali si perde la qualit _di con sigliere o per sopravvenienza di una delle cause di ineleggibilit indicate nell'art. 146. La decadenza doveva essere pronunziata dal consiglio comunale o in mancanza dal Governo. L'art. 30 R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839, modific questo ultimo punto; attribuendo il relativo potere al Prefetto invece del Governo. La legge 7 gennaio 1946, n. 1 all'art. 6 (art. 5 T. U. 5 aprile 1951, n. 203), nello stabilire le modalit per l'elezione del sindaco, dichiara applicabili i comma 6, 7, 8 e 9 del T. U. 1915. Non v' dubbio, perci, che il Prefetto possa annullare la nomina del Sindaco, che si trovi in uno dei casi di speciale ineleggibilit, gi previsti dall'art. 146 T. U. 1915 ed ora indicati nell'art. 7 del D.L.L. 7 gennaio 1946, n. 1 (art. 6 T. U. n. 203/1951). La legge del 1946 non riproduce, per, n richiama le norme contenute nell'art. 149 del T. U. 1915. Essa all'art. 9 (art. 9 del T. U. 1951, n. 203) stabilisce che la qualit di consigliere e di assessore si perde verificandosi uno degli impedimenti, delle incompatibilit o delle incapacit contemplate dalla legge. Sembrerebbe, perci, non prevista la decadenza del Sindaco. Ma il successivo art. 10 (art. 10, comma 1, del T. U. 203/1951) richiama espressament, per il regolamento delle attribuzioni e del funzionamento degli organi comunali, il T. U. 1915; ed in questo richiamo certamente compreso l'art. 149; e, a nostro avviso, esattamente il T. U. 203/1951 al comma 2 dell'art. 10 dispone che al Sindaco si applicano le disposizioni del citato T. U. 1915. vero che il T. U. del 1951 stato emesso in forza dell'art. 21 della legge 24 febbraio 1951 n. 84, che non attribuisce al Governo il potere di coordinare il D.L.L. n. 1 del 1946 col T. U. del 1915, bens di coordinare con la stessa legge n. 84 i DD. LL. LL. 1, 76 e 83 del 1946, ma il richiamo dell'art. 149 deve ritenersi contenuto nell'art. 10 del D.L.L. n. 1 dell'anno 1946. -Riteniamo, pertanto, che sia in vigore il citato articolo 149 e che la decadenza del Sindaco possa essere pronunziata dal Consiglio comunale o dal Governo (non dal Prefetto perch il rinvio fatto al T. U. del 1915 non modificato dal R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839). Da queste premes,se deriva la conseguenza che la decadenza dalla qualit di sindaco pu essere pronunciata dal Consiglio comunale o dal Governo. In quest'ultimo caso contro il provvedimento, eminentemente discrezionale, del Governo dato ricorso al Consiglio di Stato. Quando, invece, la decadenza sia pronunciata dal Consiglio comunale dovranno seguirsi le norme del contenzioso elettorale (art. 54 D.L.L. n. 1 del 1946 e 7 4 T. U. n. 203 del 1951). Riteniamo che la richiesta di decadenza possa essere fatta non solo dal Prefetto, ma da chiiinque vi abbia interesse, e che la pronuncia del Consiglio comunale abbia natura giurisdizionale (decisione e non deliberazione; cfr. Cass., I, 3 settembre 1947, n. 1565 in Riv. Amm. , 1948, 25). Questa soluzione, cui pienamente ..aderiamo, sembra sia stata adottata dalla Corte, che ha ritenuto.im.:: pugnabile la decisione comunale alla G.P.A., secondo le norme del contenzioso elettorale. Diversamente potrebbe opinarsi nel caso di decadenza pronunziata ex officio dal Consiglio comunale; -20 in tale ipotesi riteniamo che la pronunzia abbia natura amministrativa, come la deliberazione con la quale, nella prima seduta, si convalidano le elezioni o si dichiara l'ineleggibiltt di alcuni eletti. Entrambe le pronuncie, amministrative, sono soggette al controllo prefettizio (art. 3 legge 9 luglio 1947, n. 530) e possono essere impugnate, nel termine di trenta giorni, con ricorso giurisdizionale al Consiglio comunale (artt. 58, 65, 7 4, 76 T. U. 5 aprile 1951, n. 203), la cui decisione potr, poi, essere impugnata anche avanti la G.P.A. e, successivamente, avanti la Corte di Appello. 'La possibilit di esperire entrambe le procedure ci sembra indiscutibile quando si tratti di una causa di decadenza comune alle qualit di sindaco e di consigliere. La lettera e lo spirito dell'art. 149 in relazione alla legislazione recente ci autorizza a pervenire alla stessa conclusione nell'ipotesi che la causa di decadenza si riferisca esclusivamente alla qualit di Sindaco. A nostro avviso, per, il potere del Governo sussiste soltanto se il Consiglio comunale non provveda in senso positivo o negativo, entro un mese. La decisione, giurisdizionale, del Consiglio esclude il potere del Governo ed apre la via alla normale procedura del contenzioso elettorale. G. GUGLIELMJ IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA -Proventi giuoco d'azzardo nel Casin municipale di San Remo -Non sono entrate tributarie -Assoggettabilit. (Corte Cass., Sez. I, Sent. 1 giugno-17 ottobre 1953 -Est.: Di Liberti -Comune di San Remo contro Ammini trazione Finanze). I proventi che il Comune di San Remo ricava dall'esercizio dei giuochi d'azzardo nel Casin municipale non hanno natura di entrata tributaria. Detti proventi sono quindi soggetti all'Imposta generale sull'entrata. Il Supremo Collegio ha deciso in senso negativo l'interessante questione se i proventi che il Comune di San Remo ritrae dall'esercizio del giuoco d'azzardo nel Casin municipale abbiano o meno carattere tributario. La soluzione ci sembra ineccepibile: A) perch manca, nel caso, quella regolamentazione legislativa o pubblicistica che, ispirandosi al noto principio di legalit (gi consacrato nell'art. 30 dello Statuto ed ora trasfuso nell'art. 23 della Costituzione della Repubblica) ed anzi realizzando tale postulato, caratterizza ogni specie di tributo, comprese le cosiddette << privative fiscali ; B) perch non solo manca quella parte essenziale e fondamentale del rapporto giuridico tributario che costituita dalla obbligazione tributaria in senso stretto (debito dell'imposta) corrispondente all'esplicazione del potere d'imposizione da parte dell'Ente pubblico; ma manca persino una qualsiasi obbligazione giuridica, manca cio quel minimum indefettibile che contraddistingue qualsiasi tributo, anche di struttura anomala come le cosiddette << privative fiscali. C) perch neppure si pu ravvisare nell'esercizio del giuoco d'azzardo da parte del Comune di San Remo una concessione statale di una attivit a carattere monopolistico fiscale. Esaminiamo con pi ampiezza i predetti tre punti. Sub A). Com' noto, la determinazione dei casi nei quali il tributo dovuto, delle persone obbligate al pagamento, del suo ammontare; .dei modi e delle forme in cui il tributo stesso dev'essere accertato e riscosso: tutto ci, nello Stato moderno, regolato dall'ordinamento giuridico con disposizioni imperative, alla cui osservanza sono tenuti gli organi dello Stato non meno che le persone soggette alla sua potest. Da quelle disposizioni, perci, sorgono, fra lo Stato ed i contribuenti, reciproci diritti e doveri, che formano il contenuto di uno speciale rapporto, il rapporto giuridico tributario. La fonte del regolamento giuridico del tributo , pertanto, la legge ed il cosiddetto principio di legalit, che deve presiedere all'esercizio della potest imposizionale pubblica, forse la pi antica fra le guarentigie costituzionali dei diritti dei cittadini. Anche gli Enti pubblici minori (Comuni, Provincie ed ora anche Regioni) possono, com' noto, istituire tributi, ma soltanto quando siano autorizzati dalla legge e nei limiti da questa fissati. Abbiamo detto che anche i tributi dello Stato non possono essere imposti se non per legge, ma la legge ha un diverso contenuto nelle due ipotesi dei tributi statali e dei tributi degli altri Enti pubblici. Nella prima ipotesi, la legge la fonte diretta dell'obbligazione d'imposta; nella seconda, essa contiene l'autorizzazione esplicita (che tale debba essere l'autorizzazione, appare ovvio, trattandosi di materia tributaria) agli Enti suddetti, di imporre il tributo, lasciando al successivo provvedimento dell'ente la funzione di costituire la fonte dell'obbligazione di imposta. La norma legislativa, che autorizza esplicitamente l'ente alla imposizione, determina anche, pi o meno completamente, i termini e le modalit dell'imposizione stessa, per lo pi fissando dei limiti entro i quali si svolge poi la facolt regolamentare dell'ente, che ha funzione integrativa. delle norme legislative in quanto regola in concreto l'applicazione dell'imposta, ossia la pi minuta disciplina del tributo. A tale scopo, l'ente, se non un vero e proprio regolamento, deve almeno, secondo la legge (art. 56 n. 11 legge comunale e provinciale), emanare una deliberazione avente ad oggetto la istituzione e la disciplina del tributo, deliberazione che poi soggetta a vari controlli, Ora, nessuna regolamentazione, nessuna disciplina n legislativa n pubblicistica regola le prestazioni dei frequentatori delle sale da giuoco del Casin municipale di San Remo, e tanto meno le prestazioni in denaro (giuocate) dei privati utenti del giuoco o le vincite da corrispondersi dall'ente pubblico esercente il giuoco d'azzardo o comunque il rapporto di fatto che viene ad instaurarsi fra quest'ultimo e l'utente (giuocatore). N si dica che la disciplina legislativa o pubblicistica, la quale apprestabile per qu-alsiasi altra specie di tributo, non pu invece attagliarsi aa urr tributo di struttura anomala qual' l'esercizio del giuoco in condizioni di monopolio. Sarebbe agevole fare richiamo alla minuziosa disciplina legislati1Ja che governa i cosiddetti monopoli fisali ed in modo -21 ] ! ! particolare il lotto pubblico. Per quest'ultimo, basta tributario, ma neppure pu essere considerato rapconsultare la legge fondamentale del 19 ottobre 1938 porto giuridico (sia pure contrattuale). n. 1933, ed il regolamento (di ben 404 articoli) apIl rapporto medesimo , infatti, da parificarsi ad provato con R.D. 25 luglio 1940, n. 1077, per riun qualsiasi rapporto di giuoco, e come tale cade ~ ) scontrare come si sia dettagliatamente disposto sulsotto la disciplina della legge comune (art. 1933 e ~ I I l'ordinamento e sullo svolgimento del giuoco, considerato sia sotto il profilo delle prestazioni dell'utente (giuocate) che sotto quello delle vincite da corrispon-, dersi. dallo Stato quale esercente il >~ 1949, p. 166 -176) e riconfermato il principio che il dolo del funzionario, civile o penale, rompe il rapporto organico ed.esclude la riferibilit del fatto alla Pubblica Amministrazione (sulle varie questioni confronta Rass. Avv. >> 1949, p. 111-il2; Id. 1950, p. 129-131; Id. 1952, p. 145). Data l'importanza della questione trattata si ritiene opportuno riportare integralmente la chiara motivazione della sentenza: cc Censura l'Amministrazione, col primo mezzo, la Corte d'Appello per avere, esclusa nel fatto del Pellicciotti una responsabilit diretta della Pubblica Amministrazione, ritenuto la responsabilit indiretta della Amministrazione stessa ex art. 1133 Codice civile 1865 (art. 2049 Codice civile vigente). cc L'addebito fondato; Giurisprudenza ormai costante del Supremo Collegio esclude che la pubblica amministrazione possa rispondere dei fatti dannosi commessi dai suoi dipendenti nell'ambito delle mansioni loro affidate sulla base delle citate norme degli artt. 1153 Codice ciVile abrogato e 2049 Codice civile vigente concernenti la responsabilit dei padroni e dei committenti per i danni arrecati dai loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze cui sono adibiti. Giustamente si osserva, contro responsabilit cotale, che essendo essa fondata, in diritto privato, su una presunzione di colpa nella scelta della persona cui viene affidato l'incarico o nella vigilanza sulle medesime durante l'adempimento di esso (in eligendo o in vigilando), siffatta presunzione non applicabile nei confronti della Pubblica Amministrazione, che presceglie i propri funzionari con cautele predisposte dalla legge (concorsi ed esami) e ne controlla l'attivit con gli Uffici di sorveglianza dalla legge istituiti. cc La responsabilit di cui si tratta, della Pubblica Amministrazione va invece fondata sul moderno concetto della persona giuridica -cui lo Stato il massimo esemplare -esplicantesi nella proposizione che lo Stato (o l'ente pubblico in genere) non pu operare altrimenti per il raggiungimento delle sue finalit se non a mezzo dei suoi organi, che s'incarnano nelle persone fisiche (funzionari e collegi), che spiegano la loro attivit per i fini dell'Ente. In quanto tali persone agiscano nell'ambito della funzione di cui sono investite, si confondono e si immedesimano nella personalit dell'Ente, e l'atto-fatto di dette persone, anche se irregolare o viziato, si considera quale atto o fatto dell'Ente, che ne diviene pertanto direttamente responsabile. Onde l'attivit del fun zionario, sempre quando esplicata per i fini dell'Ente, attivit propria dell'Ente, anche se illecita ed anche se l'illecito si concreti in una colpa grave del funzionario, giacch anche quando la sua attivit sia viziosa o irregolare, il funzionario agisce nell'esercizio delle sue mansioni, nell'interesse, sia pure male inteso o male perseguito, della pubblica amministrazione. Donde segue che allorch il funzionario non agisca per le finalit dell'Ente pubblico, ma invece per soddisfare fini propri e personali, vien meno l'identit soggettiva tra la Pubblica Amministrazione e il funzionario e l'attivit di quest'ultimo non pu considerarsi propria dell'Ente. E ci pure quando il funzionario abbia agito abusando delle sue funzioni e queste altres gli siano servite quale mezzo per commettere l'illecito. In questi casi, la attivit del funzionario spiegata in collegamento con l'esercizio delle sue funzioni, non pi riferibile all'Amministrazione, di cui va esclusa la responsabilit. Non pi la Pubblica Amministrazione che attua i propri scopi per mezzo del funzionario, ma questo che si serve della sua funzione, manomettendola per suo interesse privato. Il fatto iUecito doloso rompe (vien detto con locuzione espressiva) il rapporto fra l'Ente pubblico ed i suoi funzionari e fa considerare l'azione come commessa fuori dell'ambito dell'attivit dell'Ente; responsabile perci rimane solo il funzionario che commise l'illecito. <> per commettere il fatto illecito sia da sola sufficiente a far sorgere una responsabilit (indiretta) della Pubblica Amministrazione, da aggiungere a quella della persona fisica (organo della Amministrazione) che ha compiuto l'illecito. Detta circostanza ha manifesto carattere estraneo agli scopi dell'Ente e non si scorge come possa fondarsi una responsabilit dell'Ente data l'insuperabilit, per l'Ente pubblico, della esclusione di una colpa in eligendo nella scelta dei suoi dipende.ti# e in vigilando sulla loro condotta. E la natura e gli scopi de_lla]?u]>blica Amministrazione rendono inapplicabile anhe il principio, esso pure di diritto privato, che chi si avvale dei suoi rappresentanti in utilibus debba rispondere anche in damnis. -24 Per quanto esposto, va accolto il primo mezzo dcl ricorso, con la conseguente cassazione, nella parte discussa della sentenza pronunciata. << Il secondo mezzo censura la Corte di merito di aver tratto argomento, ad ulteriore sostegno della responsabilit dell'Amministrazione, dal fatto che il Pellicciotti pag a s stesso i buoni illecitamente ottenuti. La Corte scorse, nel pagamento eseguito a persona diversa dal vero intestatario dei buoni, una violazione del regolamento che imponeva al ricevitore postale di accertare l'identit del vero titolare. E tal secondo abuso costituirebbe il vero atto produttivo del danno non decampantc dall'esercizio >, di cui all'art. 76 n. 2 del Trattato di pace, sia da intendersi soltanto quel territorio, che tale sia rimasto per effetto del Trattato o nell'espressione medesima vadano comprese anche quelle zone che, in seguito al trattato, abbiano cessato di appartenere all'Ita.lia (n. 54). -III) Se la dichiarata annessione di Curzola all'Italia per effetto del D.L. 18 maggio 1941, n. 452, sia sufficiente a qualificare l'isola come compresa in territorio italiano agli effetti dell'art. 76 n. 2 del Trattato di pace (n. 54). (1108019) Roma, 1954 Istituto Poliirrafico dello Stato -G. C.