ANNO LXXII - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2020 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Fausto Capelli, Giuseppe Coccia, Enrico De Giovanni, Monica De Vergori, Vito Forte, Michele Gerardo, Marco La Greca, Mariarosaria Mastromonaco, Adolfo Mutarelli, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Fabio Ratto Trabucco, Carlo Sica. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario In ricordo di Antonio Catricalà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato, avv. Gabriella Palmieri Sandulli, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2021. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato, avv. Gabriella Palmieri Sandulli, in occasione della cerimonia di presentazione della “Relazione sull’attività della Giustizia Amministrativa” per il 2020 -Inaugurazione Anno Giudiziario 2021 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 4 Adempimenti di cui al Protocollo d’intesa tra la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e l’Avvocatura Generale dello Stato, Circolare A.G.A. del 21 gennaio 2021 prot. 39237 n. 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 6 Protocollo d’intesa tra la Fondazione Teatro di San Carlo di Napoli e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, Circolare A.G. del 3 febbraio 2021 n. 9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 8 D.P.C.M. 26 gennaio 2021 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’ERSU di Enna, Circolare A.G. del 11 febbraio 2021 n. 10. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 11 Rimborso spese di difesa in esito a giudizi di responsabilità amministrativo -contabile dinanzi alla Corte dei Conti, Circolare A.G.A. del 16 febbraio 2021 prot. 103724 n. 11. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 12 Marco La Greca, I registri e gli indirizzi PEC (rectius i domicili digitali) rilevanti per l’Avvocatura dello Stato ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche (T.a.r. Lazio, Sez. I ter, ord. 25 gennaio 2021 n. 932; Cass., Sez. I civ., sent. 3 febbraio 2021 n. 2460) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 14 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Adolfo Mutarelli, La Corte di Giustizia e il “crollo della Baliverna”, a proposito della sentenza “Lexitor” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 27 Wally ferrante, La registrazione all’anagrafe di un figlio con doppia maternità: dopo la Corte costituzionale, la parola alla Corte di giustizia (C. giust. Ue, causa 490/20) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 49 Wally ferrante, In tema di protezione internazionale e ricongiungimento familiare (C. giust. Ue, causa 279/20) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 61 Wally ferrante, Inammissibilità della domanda di protezione internazionale già accolta da altro Stato membro e diritto all’unità familiare (C. giust. Ue, causa 483/20) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 70 CONTENZIOSO NAZIONALE Piero Vitullo, Mariarosaria Mastromonaco, Vincoli paesaggistici definitivi e sopravvenuti (La perdurante validità delle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico e limiti della rilevanza del c.d. prospective overruling nella giurisprudenza amministrativa; la sopravvenienza del vincolo e limiti della sua applicabilità al procedimento autorizzatorio in corso) (T.a.r. Molise, Sez. I, sent. 14 marzo 2019 n. 104; Cons. St., Sez. VI, sent. 3 dicembre 2018 n. 6858) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Enrico De Giovanni, Sulla rimborsabilità delle spese di difesa, ex art. 18 l. 135/97, a favore del dipendente assolto da imputazioni per fatti e comportamenti in potenziale “conflitto di interessi” con l’Amministrazione ›› 105 Monica De Vergori, L’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato tenuto a rendere il parere richiesto ai sensi dell’art. 18 dl n. 67/1997: il riparto interno di competenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 117 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Vito forte, Protezione, conservazione e tassazione delle dimore storiche private: sistemi a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 121 Giuseppe Coccia, Il finanziamento al sedicente Stato Islamico attraverso l’utilizzo dei servizi informali per il Trasferimento dei Valori. Il caso “Hawala” ed il motivo della sua potenzile maggiore diffusione a seguito della sconfitta militare subita sul territorio dal Califfato . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 171 fabio Ratto Trabucco, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in ambito urbanistico-edilizio tra costi procedimentali e diritto alla riservatezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 190 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gianni De Bellis, Il potere di autotutela tribuataria (Quinto laboratorio sul processo tributario dedicato agli “Istituti deflattivi”) . . . . . . . . . . . ›› 203 Michele Gerardo, I pubblici servizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 214 Gaetana Natale, Vaccinazioni anti-covid: il dialogo necessario tra medicina e diritto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 269 RECENSIONI fausto Capelli, Un percorso tra etica e trasparenza per riformare la democrazia in Italia, Rubbettino Editore, 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 291 fausto Capelli, L’attesa: chi la subisce e chi la domina per progredire . ›› 292 Pensionamento, Massimo Salvatorelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Errata corrige . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . In ricordo di Antonio Catricalà (*) Ieri è stata una giornata molto triste, tanto che nessuna parola mi è sembrata adeguata per esprimere l’incredulità e il dolore e allora meglio il silenzio. La tragica scomparsa di Antonio Catricalà è arrivata come un vento gelido. Questa mattina ho ricordato Antonio in apertura della seduta del CAPS. Per noi era e sarà sempre Antonio. Molti l’hanno conosciuto sin dall’ingresso in Avvocatura e il reciproco legame di stima e di affetto non si è mai spezzato anche quando è diventato Consigliere di Stato e ha ricoperto importantissimi incarichi istituzionali e politici. Non ha mai dimenticato il nostro Istituto nel quale ha mosso i primi passi della Sua prestigiosissima carriera. Perché questo è stato sempre Antonio: un Servitore dello Stato nella più nobile accezione del termine e un Uomo dalle eccezionali doti intellettuali, intelligentissimo, colto, saggio ed equilibrato, disponibile ad ascoltare, doti sempre unite a una grande signorilità, al rispetto verso gli altri, un Esempio da seguire. Maestro di Diritto e Maestro di Vita indimenticabile. Addio Antonio che la Luce Ti illumini e che la terra Ti sia lieve. Gabriella Palmieri L'Associazione Unitaria degli Avvocati e Procuratori dello Stato si associa alle parole del- l'Avvocato Generale in ricordo di Antonio Catricalà, esempio altissimo di servitore dello Stato, di cultura e intelligenza fuori dal comune, un maestro e un amico degli Avvocati dello Stato e del nostro Istituto. Angelo Vitale Presidente AUAPS (*) E-mail Palmieri Gabriella - giovedì 25 febbraio 2021. TemiisTiTuzionali Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2021 Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Autorità Civili, Militari e Religiose, Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, Signor Procuratore Generale, prendo la parola in questa solenne Cerimonia per porgere il saluto del- l’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 2. Nella sua approfondita e ampia relazione il Primo Presidente ha riferito in modo analitico sui risultati raggiunti dalla Suprema Corte nell’anno 2020, frutto del grandissimo impegno profuso dai Magistrati e da tutto il Personale amministrativo, ai quali vanno il nostro più sentito apprezzamento e la nostra più viva gratitudine. La sinergia fra i diversi attori dell’attività giudiziaria si sviluppa, sul piano strettamente giurisdizionale, nel reciproco impegno per una celere ed efficace definizione del notevole contenzioso pendente. È proseguita, infatti, la collaborazione con la Corte anche per quel che riguarda le udienze tematiche e le cause pilota, utili meccanismi finalizzati a una riduzione del contenzioso e a una giurisprudenza stabile, preziosi strumenti di governo del processo, che valorizzano il ruolo nomofilattico del Giudice di legittimità. Meccanismi di deflazione e proficua collaborazione utilizzabili, invero, non solo per la materia tributaria, ma anche in altre materie, come la protezione internazionale, e in altre ipotesi di contenziosi di grande rilievo numerico. 3. Sui dati del contenzioso dell'Avvocatura dello Stato relativi all’anno RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 2020 si riverberano con evidenza gli effetti dell'emergenza sanitaria che ha caratterizzato gran parte dell'anno, con una riduzione del numero di affari nuovi del 21% rispetto al dato del 2019, ha raggiunto comunque la ragguardevole cifra di 45.000 affari. Anche nelle Avvocature distrettuali si è avuta una contrazione degli affari nuovi, seppure in misura inferiore, pari circa al 13%. Ha prodotto effetto la c.d. “sospensione covid” dei termini processuali, di 64 giorni, che, infatti, corrisponde a circa il 18% su base annua. L’impegno costante e la piena collaborazione degli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale amministrativo hanno consentito di trasformare la situazione emergenziale in un fattore di accelerazione della digitalizzazione e della dematerializzazione, sperimentando modelli virtuosi di gestione dell’attività professionale e di riorganizzazione del lavoro condivisa anche con le Associazioni sindacali di categoria. È diminuito, quindi, in modo significativo l’utilizzo del cartaceo e si è determinato un significativo incremento dell'attività telematica: l’Avvocatura dello Stato ha eseguito 67.000 depositi telematici nel civile, con un incremento percentuale del 30% rispetto all’anno 2019. Infine, il dato delle notifiche via PEC di atti giudiziari è salito alla cifra record di oltre 21.000. Per quanto riguarda gli esiti dei giudizi in Corte in cui è parte l'Avvocatura dello Stato, si conferma una percentuale di successo nelle cause patrocinate nella media superiore al 60%; rimandando, per la brevità dettata dalla sobrietà di questa Cerimonia, alla più ampia disamina che sarà contenuta nella Relazione annuale sul contenzioso dell’Avvocatura dello Stato che sarà presentata nei prossimi mesi, ripristinando una delle più nobili e significative tradizioni dell’Istituto. 4. Nella seconda parte dell'anno la collaborazione con la Corte di cassazione si è concretizzata anche con la sottoscrizione dei due Protocolli di Intesa, con la Procura Generale e il CNF. Il primo, riguardante il contenzioso pendente, prevede l'invio degli atti del giudizio in formato PDF via PEC. L’Avvocatura dal 14 novembre scorso utilizza una specifica funzione appositamente sviluppata e da tale data ha inviato oltre 1500 PEC: l'invio medio degli atti in Corte si è ora attestato intorno agli 800 al mese, pari a circa 40 invii telematici giornalieri. Altrettanto importante in prospettiva futura il Protocollo per il processo telematico in Cassazione, al quale l’Avvocatura dello Stato partecipa mediante la sperimentazione di depositi telematici, che, se devono tenere conto degli aspetti tecnici e organizzativi, soprattutto per una struttura complessa come il nostro Istituto, rappresentano il punto di arrivo al quale tendiamo senza riserve di sorta. tEMI IStItuzIoNALI trasfondiamo la nostra esperienza maturata anche nel contenzioso sovranazionale, che si svolge, in particolare, innanzi alla Corte di giustizia e al tribunale della ue e innanzi alla CEDu, per il quale il processo telematico è già operativo da molti anni, fornendo, perciò, il nostro fattivo contributo per l’ottimizzazione dei procedimenti applicativi in chiave di collaborazione istituzionale nella sua più ampia accezione. 5. Anche quest’anno concludo questo mio intervento certa di poterLe confermare, Signor Presidente della Repubblica, che l’Avvocatura dello Stato e tutti i suoi Componenti continueranno a profondere il massimo impegno per essere sempre all’altezza delle rilevanti funzioni loro assegnate. Grazie per l’attenzione. Roma, 29 gennaio 2021 Palazzo di Giustizia, Aula Magna RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 Cerimonia di presenTazione della “relazione sull’aTTiviTà della giusTizia amminisTraTiva” per il 2020 inaugurazione dell’anno giudiziario 2021 della g.a. Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Autorità Civili, Militari e Religiose, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signor Presidente Aggiunto, sono onorata di prendere la parola in questa Cerimonia per portare il saluto dell’Istituto che ho il privilegio di dirigere. La tradizionale e consolidata reciproca collaborazione istituzionale, della quale ringrazio Lei, Signor Presidente, tutti i Magistrati e il Personale amministrativo, è stata la chiave di volta per affrontare in modo proficuo l’emergenza epidemiologica. Dal confronto sui provvedimenti normativi dettati per lo svolgimento delle udienze da remoto sono emerse soluzioni condivise, poi tradotte in Protocolli operativi, sperimentando con successo, il dialogo costruttivo con gli Avvocati come metodo da non circoscrivere temporalmente alla fase emergenziale. Peraltro, in linea di continuità con quanto da Lei affermato in occasione della Cerimonia del Suo insediamento e della Relazione sull’attività della giustizia amministrativa per l’anno 2019, considerando la proficua collaborazione tra Magistratura e Avvocatura funzionale all’espletamento dell’esercizio del- l’attività giudiziaria in chiave di efficienza, di imparzialità e di affidabilità. L’emergenza sanitaria, grazie all’impegno costante degli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale amministrativo, è divenuta un fattore di accelerazione della digitalizzazione, peraltro già in fase avanzata, e della consequenziale riorganizzazione dei processi di lavoro, condivisa con le Associazioni sindacali di categoria, in un’ottica di efficienza e di efficacia dell’attività defensionale. L’Avvocatura dello Stato ha eseguito nel 2020 oltre 70.000 depositi telematici, con un incremento percentuale pari allo 0,66, significativo in una contingenza temporale, quale quella pandemica, caratterizzata, invece, da una generale flessione del contenzioso. Dai predetti dati emerge l’intensità dell’impegno dell’Avvocatura dello Stato, unita alla considerazione circa l’importanza e la centralità degli ambiti e delle materie che la vedono quotidianamente impegnata davanti al Giudice Amministrativo. tEMI IStItuzIoNALI In particolare, con la brevità correlata alla sobrietà di questa Cerimonia, va menzionato il peculiare contenzioso fra Stato e Regioni nella delicata materia riguardante le modalità di gestione dell’emergenza epidemiologica. Contenzioso trattato, in collaborazione con le Avvocature Distrettuali, sia in sede cautelare, sia in sede di merito, e funzionale alla corretta individuazione degli ambiti di rispettiva competenza nell’adozione delle misure volte al contenimento dell’emergenza da CovID-19; culminato nel giudizio pendente innanzi alla Corte costituzionale, deciso in fase cautelare con la storica ordinanza n. 4/2021, che ha statuito che la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. q), Cost., e che sussiste l’interesse pubblico a una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, sospendendo l’efficacia dell’intera legge regionale. Come è continuato senza sosta l’impegno innanzi alle giurisdizioni sovranazionali, Corte di giustizia e tribunale della ue e CEDu, anche con udienze da remoto o, in alternativa, con la risposta scritta ai quesiti formulati dalla Corte, essendo sempre viva la necessità di confrontarsi con la normativa europea e la tutela uniforme dei diritti che essa impone agli Stati Membri, ancora più decisive nell’attuale fase emergenziale. In linea anche con l’attenzione del Consiglio di Stato verso le nuove questioni connesse all’evoluzione tecnologica, come l’utilizzo dell’algoritmo nell’ambito di un procedimento amministrativo al fine di valutarne la legittimità, l’Avvocatura dello Stato ha chiesto uno stanziamento specifico nell’ambito del PNRR per l’implementazione dei modelli di intelligenza artificiale e per la predisposizione di una banca dati professionale avanzata con i dati relativi alle precedenti difese svolte, per assicurare, da un lato, una più efficace collaborazione con le Amministrazioni patrocinate; e, dall’altro, con l’uso di algoritmi predittivi e di tecniche di machine learning, per ottimizzare la strategia processuale, a partire dai dati, anche in chiave deflattiva del contenzioso. Concludo questo mio intervento confermando che l’Avvocatura dello Stato e tutti i suoi Componenti continueranno come sempre a profondere il massimo impegno nello svolgimento degli importanti compiti loro assegnati. Grazie per l’attenzione. Roma, 2 febbraio 2021 Palazzo Spada RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 5/2021 oggetto: Adempimenti di cui al Protocollo d’intesa tra la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e l’Avvocatura Generale dello Stato. Con circolare n. 49/2019 è stata comunicata l'intervenuta sottoscrizione del Protocollo d'intesa tra la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e l'Avvocatura Generale dello Stato, avente ad oggetto le modalità di esplicazione del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato in favore della Società. Il patrocinio legale della Cassa depositi e prestiti rappresenta per il nostro Istituto un impegno professionale di certa rilevanza anche alla luce del crescente ruolo recentemente attribuito alla medesima. Per garantire l'adempimento degli oneri informativi assunti dall'Avvocatura dello Stato con il citato Protocollo d'intesa, il cui testo è stato pubblicato in forma integrale unitamente alla circolare, si ritiene opportuno richiamare quanto ivi previsto all'art. 3 che di seguito si riporta. "L’Avvocatura informa CDP dei significativi sviluppi delle controversie in corso dalla stessa curate, assicurando il tempestivo invio degli atti difensivi propri e delle controparti, dando pronta comunicazione dell'esito dei giudizi e trasmettendo, su richiesta di CDP, informative periodiche sul rischio di soccombenza e sulle perdite potenzialmente derivanti dai contenziosi, tali da consentire l'adempimento degli obblighi di legge in materia di informative di bilancio e di vigilanza. In caso di pronunce giudiziali sfavorevoli per CDP l'Avvocatura rende tempestivamente il proprio parere in ordine alla impugnabilità della decisione stessa”. Gli incaricati degli affari in cui è parte Cassa depositi e prestiti S.p.a. sono, pertanto, invitati a trasmettere a quest'ultima, unitamente agli atti delle controparti, gli atti difensivi redatti e, premessa una sintetica descrizione della controversia, indicare il valore della controversia, precisare se siano state proposte domande riconvenzionali con il relativo importo e se siano stati chiamati in causa soggetti con i quali la Società ha stipulato una polizza assicurativa e, infine, valutare il rischio di soccombenza alla luce della seguente classificazione: rischio probabile, rischio possibile ovvero rischio remoto. In merito, si evidenzia che il rischio di soccombenza probabile si presenta qualora se ne ammetta l'accadimento in base a motivi seri o attendibili ma non certi, ossia se l'accadimento è credibile, verosimile o ammissibile in base a motivi ed argomenti abbastanza sicuri (sulla base dell'interpretazione delle disposizioni applicabili o in caso di consolidata giurisprudenza sfavorevole alla posizione della Cassa); rischio di soccombenza possibile si presenta se non è agevole prevedere l'esito della controversia ossia se il grado di realizzazione e di avveramento dell'evento futuro è inferiore al probabile (sulla base dell'interpretazione delle disposizioni applicabili o in caso di questioni nuove); rischio di soccombenza remoto si presenta se ha scarse possibilità di verificarsi, ossia, nei casi in cui potrà accadere molto difficilmente (sulla base dell'interpretazione delle disposizioni applicabili o in caso di consolidata giurisprudenza favorevole alla posizione della Cassa). tali valutazioni potranno, se ritenuto opportuno, essere modificate in sede di successiva trasmissione degli atti relativi all'affare o con apposita interlocuzione con la Società. Si invita, altresì, a comunicare i rinvii alle udienze successive precisando se sia verosimile ritenere che la causa si possa concludere nell'anno di riferimento. tEMI IStItuzIoNALI tanto si ritiene necessario per consentire a Cassa depositi e prestiti l'adempimento degli obblighi di legge in materia di informative di bilancio e di vigilanza. Si confida nella consueta collaborazione. l'avvocato generale aggiunto Carlo sica RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 9/2021 oggetto: Protocollo di intesa tra la Fondazione Teatro di San Carlo di napoli e l’Avvocauta Distrettuale dello Stato di napoli. Si comunica che con il rinnovato protocollo d’intesa sottoscritto in data 28 gennaio 2021 tra l’Avvocatura Distrettuale di Napoli e la Fondazione teatro di San Carlo di Napoli, che si acclude alla presente, sono state definite le modalità di esplicazione del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore della Fondazione stessa. L'AvvoCAto GENERALE Gabriella Palmieri Sandulli proToCollo d'inTesa tra avvocatura distrettuale dello stato di napoli e Fondazione Teatro di san Carlo in napoli -Considerato che lo Statuto della Fondazione teatro di San Carlo in Napoli (di seguito denominata solo "Fondazione"), approvato ai sensi dell'art. 10 del Decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367 ed adeguato alle previsioni dell'art. 11 del Decreto-Legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 ottobre 2013, n. 112, nel disciplinare l'organizzazione ed il funzionamento della Fondazione prevede all'art. 22 che la Fondazione stessa può avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (di seguito denominata solo "Avvocatura"), salvo che non intenda rivolgersi a legali del libero foro con decisione motivata del Sovrintendente; -Considerato che la Fondazione può avvalersi della consulenza e del patrocinio legale dell'Avvocatura, ai sensi dell'art. 1, comma 3, del Decreto-legge n. 345/2000, convertito in Legge n. 6 del 2001, e dell'art. 43 R.D. n. 1611/1933, e che detto patrocinio è da tempo prestato con reciproca soddisfazione delle parti firmatarie del presente protocollo; -Considerata, a tal riguardo, l'ammissibilità (già espressa in precedenti occasioni dal Comitato Consultivo dell'Avvocatura Generale dello Stato) di un eventuale strumento in deroga di carattere generale ed esclusivo del patrocinio, da assumersi per una serie predeterminata di controversie che, in ragione della loro natura e modesta importanza economica, meglio potrebbero essere affidate e seguite da avvocati del libero foro; -Considerato che, per continuità difensiva, è opportuno che le controversie già affidate ad avvocati del libero foro siano seguite dai rispettivi difensori fino alla loro definitiva definizione; -Considerato il proficuo e fertile esito del rapporto intercorso con il protocollo d'intesa sottoscritto il 15 giugno 2016 tra la Fondazione e l'Avvocatura, che ha avuto scadenza in data 31 dicembre 2020 e che entrambe le parti intendono rinnovare tEMI IStItuzIoNALI tra avvocatura distrettuale dello stato di napoli e Fondazione Teatro di san Carlo in napoli si conviene quanto segue: attività Consultiva 1-La Fondazione provvede alla proposizione di quesiti e richieste di pareri che involgono questioni particolari o interpretative di carattere generale. assistenza e rappresentanza in giudizio 2 -L'Avvocatura fornisce ogni assistenza richiesta al fine di assicurare nel modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici. 3 -ove un atto introduttivo di giudizio sia notificato direttamente alla Fondazione, la stessa provvede ad investirne l'Avvocatura con il più ampio margine rispetto alle scadenze, fornendo una completa e documentata relazione in fatto e in diritto, quale necessario supporto per l'efficace difesa delle ragioni della stessa Fondazione. Al fine di rendere praticabile operativamente un percorso di immediata e diretta comunicazione, anche informale, in sede di richiesta verrà precisato il nominativo del funzionario responsabile del procedimento, con le modalità per la sua immediata reperibilità (telefono, fax, e-mail); analogamente l'Avvocatura provvederà a segnalare alla struttura richiedente il nominativo dell'Avvocato incaricato dell'affare e le suindicate modalità di immediata reperibilità. Qualora gli atti introduttivi del giudizio, o di un grado di giudizio, vengano notificati presso l'Avvocatura, sono da quest'ultima prontamente inviati alla Fondazione con ogni relativa richiesta istruttoria. 4 -L'Avvocatura provvede a tenere informata la Fondazione dei significativi sviluppi delle controversie in corso dalla stessa curate, dando comunque pronta comunicazione dell'esito del giudizio con la trasmissione di copia della decisione. ove si tratti di pronuncia sfavorevole per la Fondazione suscettibile di gravame, l'Avvocatura rende tempestivamente il proprio parere in ordine alla impugnabilità della decisione stessa. 5 -A richiesta della Fondazione, l'Avvocatura può assumere, ai sensi dell'art. 44 del R.D. n. 1611 del 1933, la rappresentanza e la difesa di dipendenti della stessa Fondazione nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 6 -I rapporti economici fra le parti resteranno regolati dall'art. 21 R.D. n. 1611/1933. Sostanzialmente l'Avvocatura provvederà al diretto recupero nei confronti delle controparti e al successivo incameramento delle competenze ed onorari di giudizio, posti a carico dei soccombenti per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione. Resta inteso che la Fondazione è tenuta a sostenere in via preventiva le spese vive necessarie (contributo unificato, imposta di registro, ecc.) all'instaurazione e gestione della lite. 7 -L'incarico della trattazione degli affari legali riguardanti la Fondazione sarà, compatibilmente con le esigenze d'Istituto dell'Avvocatura e le esigenze di servizio del personale togato, affidato a uno o due avvocati dello Stato in servizio che verranno indicati dall'Avvocato Distrettuale con separata nota; i suddetti Avvocati assicureranno l'espletamento di tutti gli incombenti necessari ed opportuni in sede contenziosa e consultiva e potranno essere contattati anche per le vie brevi presso i recapiti che gli stessi forniranno. 8 -Restano escluse dal patrocinio ex lege dell'Avvocatura tutte le controversie nelle quali sia ravvisabile da parte dell'Avvocatura un conflitto di interesse tra la Fondazione e lo Stato, ivi RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 comprese quelle di natura tributaria instaurate, o da instaurare, dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali nelle quali siano ravvisabili conflitti anche virtuali di interessi fra le posizioni della Fondazione e gli uffici Finanziari tutelati e rappresentati ex officio dal- l'Avvocatura dello Stato; restano altresì escluse le controversie di natura meramente esecutiva e le controversie civili, che in ragione della limitatissima rilevanza, sia per l'oggetto che per il valore potranno essere, previa decisione motivata del Sovrintendente, affidate e seguite da avvocati del libero foro; per tutte tali controversie la Fondazione si riserva di individuare avvocati del libero foro cui affidare la rappresentanza processuale e l'assistenza necessaria alla difesa dei propri interessi. 9 -L'Avvocatura e la Fondazione si impegnano a segnalare reciprocamente tutte le difficoltà operative eventualmente insorte nella gestione dei rapporti oggetto del presente protocollo, allo scopo di provvedere -nello spirito della migliore collaborazione -al superamento delle stesse. 10 -La presente convenzione ha durata fino al 31 dicembre 2024 e potrà essere in ogni momento modificata e integrata d'intesa fra le parti; potrà essere risolta da entrambe le parti, con le conseguenze di legge, con preavviso formale di tre mesi o per intervenuta diversa disciplina normativa. Napoli, 28 gennaio 2021 avvocatura distrettuale dello stato di napoli Fondazione Teatro di san Carlo l'avvocato distrettuale il sovrintendente angelo d'amico stéphane lissner tEMI IStItuzIoNALI Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 10/2021 oggetto: D.P.C.M. 26 gennaio 2021 recante "Autorizzazione all'Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'erSU di enna". Si comunica che con D.P.C.M. del 26 gennaio u.s., in fase di pubblicazione in Gazzetta ufficiale, l'Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'ERSu di Enna nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L'AvvoCAto GENERALE Gabriella Palmieri Sandulli RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 11/2021 oggetto: rimborso spese di difesa in esito a giudizi di responsabilità amministrativo -contabile dinanzi alla Corte dei Conti. la presente circolare attiene al rimborso delle spese di difesa ai sensi dell'art. 18 del decreto-legge n. 67 del 1997, convertito dalla legge n. 135 del 1997, nei giudizi per responsabilità amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei Conti. La questione rinviene dall'interpretazione dell'art. 10 bis, comma 10, della legge n. 248 del 2005 di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 203 del 2005 che recita: “Le disposizioni dell'articolo 3, comma 2bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'articolo 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 91 del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza”. tale disposizione aveva visto diverse interpretazioni, sia giurisprudenziali sia delle amministrazioni sia dell'Avvocatura dello Stato, sino alla sentenza n. 19195/13 della Corte di Cassazione - Sez. Lavoro. tale sentenza ha affermato (per vero sottovalutando l'ultimo periodo della norma surri ° portata) il seguente principio di diritto: “Dopo l'entrata in vigore dell'art. 10 bis, co. 10 d.l. n. 203/05 (convertito con modificazioni in legge n. 248/05), in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei Conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare a carico dell'amministrazione di appartenenza l'ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest'ultimo di chiedere in separata sede al- l'amministrazione medesima la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile ... ... Non può ammettersi neppure una sopravvivenza integrativa del rimborso extragiudiziale a fronte di un'eventuale incongrua liquidazione delle spese ad opera del giudice contabile”. tale principio di diritto ha trovato apparente conferma nell'art. 31 del D.Lgs. n. 174 del 2016 dal cui dato testuale potrebbe sembrare che il Legislatore, facendo duplice riferimento alla “liquidazione” delle spese da parte del giudice contabile, abbia precluso ogni ulteriore liquidazione, ivi compresa quella da effettuare in occasione della richiesta ex art. 18 citato. Sulla scorta di questa impostazione, l'Avvocatura dello Stato si è adeguata e ha da quel momento negato le richieste di rimborso delle spese di difesa in esito a giudizi contabili, anche se talune pronunce di tAR e del Consiglio di Stato si muovevano in senso difforme accogliendo i ricorsi giurisdizionali proposti dagli interessati. tEMI IStItuzIoNALI Le richieste di rimborso, in realtà, hanno continuato ad essere avanzate dagli interessati e trasmesse dalle amministrazioni talora con motivazioni in favore dei richiedenti, anche alla luce della circostanza che le liquidazioni operate dal Giudice contabile si attestavano su una somma tra € 500,00 ed € 1.500,00. È, successivamente, intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 189/2020, depositata in data 31 luglio 2020, nel cui ultimo periodo si afferma: “Al riguardo va rilevato che -ferma restando la regolamentazione da parte del giudice contabile delle spese del relativo giudizio -deve essere distinto il rapporto che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile da quello che si instaura fra l'incolpato, poi assolto o prosciolto, e l'amministrazione di appartenenza, relativamente al rimborso delle spese per la difesa. Sia la giurisprudenza ordinaria, sia quella amministrativa, infatti, hanno riconosciuto che tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenze 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014)”. Dunque, a tenore di tale sentenza, le spese di difesa relativamente ai giudizi contabili conclusi con il proscioglimento del dipendente sono rimborsabili ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, indipendentemente dall'importo liquidato dal Giudice contabile (ovviamente detraendo tale importo dal quanto ritenuto congruo). Le amministrazioni hanno reiterato le loro richieste di rimborso in favore dei propri dipendenti paventando, in caso di mantenimento della posizione negativa, ricorsi al Giudice da parte degli interessati, con inerenti condanne anche alle spese del giudizio. Conseguentemente, a seguito di confronti istituzionali, si è concluso nel senso della possibilità di applicazione dell'art. 18, già citato, anche ai giudizi per responsabilità amministrativo- contabile, ovviamente conclusi favorevolmente per il soggetto interessato. va, pertanto, modificato il precedente orientamento dell'avvocatura dello stato e va affermato che, anche rispetto a tali giudizi, è consentita -nel rispetto dei requisiti fissati dal ripetuto art. 18 -la valutazione e liquidazione, nel limite ritenuto congruo, delle spese di difesa nei giudizi per responsabilità contabile-amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti. l'avvoCaTo generale aggiunTo avv. Carlo sica RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 i registri e gli indirizzi peC (rectius i domicili digitali) rilevanti per l’avvocatura dello stato ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche RIfLeSSIoNI A TRIbuNALe AMMINISTRATIvo ReGIoNALe PeR IL LAzIo, SezIoNe PRIMA TeR, oRDINANzA 25 GeNNAIo 2021 N. 932 e A CASSAzIoNe, SezIoNe PRIMA CIvILe, SeNTeNzA 3 febbRAIo 2021 N. 2460 Marco la Greca* Il tar per il Lazio, con l’ordinanza in rassegna, ha rilevato la nullità della notifica del ricorso all’Avvocatura dello Stato, verosimilmente (la ragione non è stata esplicitata) in quanto l’indirizzo di destinazione (roma@mailcert.avvocaturastato. it) non era presente, ai sensi dell’art. 16 ter del DL 179/2012, negli indirizzi pubblici validi ai fini delle notificazioni e comunicazioni telematiche. Lo stesso tar ha peraltro ritenuto scusabile l’errore in cui è incorso il notificante (per l’effetto concedendo termine per rinnovare la notifica), in considerazione del fatto che il predetto indirizzo “è indicato dallo stesso sito Internet dell’Avvocatura”. Per individuare l’indirizzo da utilizzare ai fini delle notificazioni a mezzo PEC, tuttavia, si dovrebbero consultare non i siti internet delle Amministrazioni, ma i registri pubblici di cui al citato articolo 16 ter del DL 179/2012 (nei quali l’Avvocatura è presente unicamente con il diverso indirizzo avente struttura ags/ads.siglaprovincia@mailcert.avvocaturastato.it); tanto ciò che è vero che l’articolo 3 bis, comma 5, lettera f), della legge n. 53/1994, prevede espressamente che la relazione di notifica rechi anche “l’indicazione del- l’elenco da cui” l’indirizzo del destinatario “è stato estratto”. Il tar non considera, poi, che il sito internet di ogni Pubblica Amministrazione deve indicare tutti gli indirizzi PEC di riferimento dell’Amministrazione stessa. Il sito del- l’Avvocatura dello Stato non si sottrae a questo obbligo e, nell’indicare i vari indirizzi, ha anche cura (attenzione non frequente) di precisare funzione e utilizzo di ciascuna tipologia di essi, fornendo i relativi riferimenti normativi. Nello specifico, la pagina internet dedicata agli indirizzi PEC dell’Avvocatura dello Stato distingue tra “Corrispondenza relativa ad attività legale”, “Corrispondenza relativa ad attività amministrativa” e “Notificazioni (Processo Civile, Penale, Amministrativo, Contabile e Tributario)”. Cliccando sull’unico link intitolato alle notificazioni, si accede alla schermata che riporta gli indirizzi validi a detti fini, preceduti dalla specificazione che si tratta di “Indirizzi (*) Avvocato dello Stato, Responsabile per la transazione al digitale. l’ordinanza n. 932/2021 T.a.r. lazio, I ter, è stata segnalata dall’avv. Stato Alberto Giua, mentre la sentenza n. 2460/2021 Cass., Sez. I civ., dall’avv. St. luigi Simeoli. tEMI IStItuzIoNALI censiti nel registro denominato , previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011, e nel registro di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012, entrambi dichiarati dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012”. Pare dunque all’estensore della presente nota che l’errore in cui è incorso il notificante non sia affatto scusabile, e particolarmente non lo sia per la ragione indicata dal tar, non solo perché il notificante dovrebbe consultare i registri pubblici e non i siti internet, ma anche perché il sito dell’Avvocatura dello Stato, a ben vedere, reca indicazioni complete e chiare. A ingenerare un po’ di confusione, per il vero, sono a volte le disposizioni di legge (e non di rado la stessa giurisprudenza); si consideri che, in base all’articolo 16 ter del DL 179/2012, uno dei registri validi ai fini delle notifiche via PEC è il “Registro delle PA”, previsto all’articolo 16, comma 12, dello stesso DL 179/2012, mentre non lo è “l’indice PA” (per esteso “Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni”), anche detto “IPA”, previsto dall’articolo 6 ter del Cad. La somiglianza terminologica è stata molte volte fonte di equivoci, ai quali non si sottrae, per certi versi, e come più avanti si proverà a evidenziare, nemmeno la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2460/2021. Per completezza, anche se può introdurre un ulteriore elemento di apparente complicazione, è bene precisare che “l’IPA”, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 28 del DL 76/2020, assurge ora a valore di pubblico elenco, in via sussidiaria, per le amministrazioni che non abbiano adempiuto all’obbligo di comunicare il proprio indirizzo PEC (o, per dirlo con la terminologia aggiornata, il proprio domicilio digitale) al Registro delle PA. L’Avvocatura dello Stato, tuttavia, è tra le poche PA che hanno da tempo adempiuto ai propri obblighi di comunicazione, essendo regolarmente censita sul predetto registro sin dalla sua istituzione (risalente all’anno 2014). tornando alla notificazione in questione, occorre ancora considerare che in base all’articolo 44, comma 4, del CPA, il Giudice amministrativo può concedere termine per rinnovare la notifica nulla solo se ritiene che “l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”. Disposizione, a sommesso avviso di chi scrive, improvvidamente severa che conduce spesso il Giudice amministrativo, per mitigarne la portata, a cercare una ragione di scusabilità anche qualora non sussistente. In tale prospettiva, il tar, non potendo certo valorizzare come causa di non imputabilità l’ignoranza della legge, ha attribuito al sito dell’Avvocatura dello Stato una responsabilità che obiettivamente non ha. È certamente spaicevole fare da “capro espiatorio”, vedendosi attribuire, pur di fronte alle precise indicazioni contenute nel sito, la responsabilità di un errore che è invece attribuibile alla superficialità del ricorrente. Al tempo stesso, bisogna anche rilevare che la nullità rispetto a quell’indirizzo è stata comunque rilevata e che una giurisprudenza più “lasca” rispetto al citato articolo 44, comma 4, del CPA, potrebbe anche avere una utilità di carattere generale. RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 venendo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 2460/2021, si osserva che le relative conclusioni, condensate nel principio di diritto, sono corrette, venendo ivi indicati tutti i registri validi ai fini delle comunicazioni e notificazioni via PEC (non viene menzionata, evidentemente non trovando applicazione nel caso di specie, la modifica introdotta dal citato articolo 28 del DL 76/2020) ed essendo espressamente stabilita l’equipollenza tra Reginde e Inipec (nel senso che entrambi sono dichiarati registri validi ai fini delle notificazioni e comunicazioni via PEC). E però le stesse conclusioni, combinate con la parte motiva, si definiscono nella loro reale portata, foriera di possibili e pericolosi equivoci. È forse utile premettere che nella vicenda vengono in rilievo, direttamente o indirettamente, e sebbene la Corte non sembri esserne del tutto consapevole, quattro registri: 1) l’indice delle p.a. (il cosiddetto “ipa”, ora “Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni”), previsto dall’art. 6 ter del Cad: in base all’articolo 16 ter del DL 179/2012, esso non è un registro valido ai fini delle notifiche PEC (se non in via sussidiaria nell’ipotesi sopra ricordata e che non riguarda l’Avvocatura dello Stato); l’indirizzo che ha utilizzato il notificante nel caso trattato dalla sentenza della Corte di cassazione (perugia@mailcert.avvocaturastato.it) è proprio quello risultante da questo elenco; 2) l’indice inipec, previsto dall’art. 6 bis del Cad, rubricato “Indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti”: in base all’art. 16 ter del D.L. 179/2012, esso è un registro valido ai fini delle notificazioni e comunicazioni processuali; in questo registro l’Avvocatura non è presente; 3) Il reginde, previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011: in base all’art. 16 ter del D.L. 179/2012, esso è un registro valido ai fini delle notifiche PEC; su questo Registro l’Avvocatura, come detto, è censita con l’indirizzo che rispetto alla sede di Perugia è ads.pg@mailcert.avvocaturastato.it. 4) il registro delle p.a. (da non confondere con il registro di cui al punto 1), previsto dall’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012: in base all’articolo 16 ter del DL 179/2012, esso, al pari del REGINDE, è un registro valido ai fini delle notifiche PEC; a differenza del REGINDE, però, questo registro è riservato alle P.A. intese come parti ed in questa veste l’Avvocatura indica il proprio indirizzo, nel caso in cui dovesse essere destinataria di una notifica come parte (anziché come difensore); ad ogni buon conto questa distinzione teorica è priva di rilevanza concreta dal momento che pure su questo registro, per semplificare i rapporti processuali con le controparti e ridurre al minimo la possibilità di loro errore, l’Avvocatura dello Stato ha indicato lo stesso indirizzo presente sul REGINDE, ovvero, e sempre per restare al caso di specie ads.pg@mailcert.avvocaturastato.it. tEMI IStItuzIoNALI In relazione ai registri appena ricordati, la Corte commette un primo errore nel confondere i registri di cui ai punti 3 e 4, ovvero il REGINDE e il Registro delle PA. L’errore si manifesta dove la Corte, dopo avere riferito dell’istituzione del registro di cui all’articolo 16, comma 12, del DL 179/2012, nel quale le “amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 30.3.2001” avrebbero dovuto comunicare “un indirizzo di posta elettronica certificata… presso il quale ricevere le comunicazioni e notificazioni loro dirette”, conclude nel senso che “L’elenco di tali indirizzi di posta elettronica certificata” sarebbe “denominato Re.G.Ind.e”, mentre invece è il Registro delle PA. Sin qui, però, si tratterebbe di un errore certo grave, dal punto di vista della ricostruzione normativa generale, e però ancora tutto sommato innocuo rispetto alla posizione specifica dell’Avvocatura dello Stato. Il vero problema per l’Avvocatura risiede, ad avviso di chi scrive, in questo: nella ricostruzione in fatto si dà atto che la notifica è stata eseguita all’indirizzo perugia@mailcert. avvocaturastato.it, ovvero l’indirizzo di cui al punto 1, che la Corte stessa sembra ritenere essere stato tratto da Inipec. Ciò non è possibile, perché in quel registro, come già segnalato, l’Avvocatura dello Stato non è censita. L’equivoco è verosimilmente sorto, così come accadde nella sentenza della Cassazione n. 3709/2019 (1) (citata nella sentenza in commento unitamente alla relativa ordinanza di correzione, ma con estremi errati), perché la controparte aveva tratto l’indirizzo da IPA, dichiarando però di averlo tratto da Inipec. ora: che l’Avvocatura dello Stato non sia presente nell’indice Inipec può sempre essere dedotto, argomentando, in primo luogo, dalla stessa denominazione del registro, riferito alle imprese e ai professionisti (categorie alle quali di certo non può ricondursi l’Avvocatura dello Stato), e, ulteriormente, dalla regola di alimentazione del registro disciplinata dall’articolo 6 bis del Cad, secondo cui il registro in questione riceve le relative comunicazioni dal registro delle imprese, dai collegi e dagli ordini professionali (ovvero registri ed enti che nulla hanno a che vedere con l’Avvocatura dello Stato); occorrendo, inoltre, si può anche documentare il fatto, con l’immagine della relativa schermata, che l’Inipec non restituisce risultati qualora si cerchi l’Avvocatura dello Stato. Il vero problema, però, si torna a ripetere, è che combinando il fatto, per come narrato nella sentenza, con il principio affermato, potrebbe sostenersi che ad avviso della Corte gli indirizzi con struttura nomeprovincia@mailcert.avvocaturastato.it (nel caso di specie era perugia@mailcert.avvocaturastato.it, in quello dell’ordinanza del tar era roma@mailcert.avvocaturastato.it), in quanto estratti da Inipec, siano indirizzi validi. (1) In questa Rassegna, 2019, vol. 3, pp. 149 ss., MARCo LA GRECA, Qualche precisazione sui registri validi ai fini delle comunicazioni e notificazioni a mezzo PeC alla Avvocatura dello Stato. RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 La Corte non ha purtroppo percepito, e perciò non ha mai affermato, che quell’indirizzo non è presente su Inipec ma su Indice IPA, ovvero su un registro non valido ai fini delle comunicazioni e notificazioni via PEC. tanto ciò è vero che la Corte ha accolto proprio il primo motivo di ricorso, con cui si denunziava la sentenza impugnata -secondo quanto riferisce la Corte stessa per avere “erroneamente dichiarato la nullità della citazione introduttiva del gravame”. La parte assumeva insomma di avere correttamente notificato. In sede di giudizio di rinvio forse ci potrà essere margine per chiarire la questione, anche perché, almeno espressamente, la Corte non si è pronunciata nel senso della validità di quella notifica, ma purtroppo sarà questa sentenza, con tutto il suo pericoloso precipitato, a circolare tra gli operatori e a diffondere ulteriori incertezze, quando non erronei convincimenti e distorte prassi applicative. In conclusione: è auspicabile ci possa essere presto l’occasione per far affermare, in una materia che certo non ha bisogno di contributi atti a favorire la confusione, la correttezza del dato giuridico-fattuale circa i registri e gli indirizzi PEC (o domicili digitali che dir si voglia) rilevanti per l’Avvocatura dello Stato ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche, che, si ripete, sono solo due: Reginde e Registro delle PA (non Indice delle PA). Come ripetuto, la materia, già di suo insidiosa, viene resa ancora più complicata da decisioni che non sempre dedicano ad essa l'attenzione che invece sarebbe necessaria. Tribunale amministrativo regionale per il lazio, sezione prima Ter, ordinanza 25 gennaio 2021 n. 932. (...) Considerato che il ricorso è stato notificato all’indirizzo PEC “roma@mailcert.avvocaturastato. it” che non corrisponde all’indirizzo presso il quale devono, invece, essere notificati all’Avvocatura Generale dello Stato gli atti giudiziari (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it); - che l’Amministrazione non si è costituita; -che, ravvisando il Collegio la sussistenza di un errore scusabile nell’individuazione dell’indirizzo di posta elettronica dell’Avvocatura dello Stato, trattandosi di indirizzo pec indicato dallo stesso sito Internet dell’Avvocatura; Ritenuto di assegnare a parte ricorrente il termine di giorni 20 per la rinnovazione della notifica del ricorso introduttivo del giudizio, decorrente dalla comunicazione, in via amministrativa, della presente ordinanza; P.Q.M. Il tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima ter) dispone la rimessione in termini per la notifica del ricorso introduttivo del giudizio, assegnando a parte ricorrente il termine di venti (20) giorni per provvedere all’incombente di cui in parte motiva, decorrente dalla comunicazione, in via amministrativa, della presente ordinanza. (...) tEMI IStItuzIoNALI Cassazione civile, sezione i, sentenza 3 febbraio 2021 n. 2460. FAttI DI CAuSA Con ordinanza del 17.2.2017 il tribunale di Perugia rigettava l'opposizione proposta da t.M. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la domanda di riconoscimento della tutela, internazionale e umanitaria, formulata dal richiedente. Con la sentenza impugnata, n. 333/2018, la Corte di Appello di Perugia dichiarava la nullità della citazione in appello con la quale il t. aveva proposto gravame avverso la decisione di prima istanza, poiché l'atto era stato notificato ad un indirizzo di posta elettronica certificata dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato diverso da quello indicato nel Re.G.Ind.E. (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici) ed il ricorrente aveva, in prima udienza, espressamente rifiutato il termine per provvedere alla rinnovazione della notificazione dell'atto di impugnazione. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il t. affidandosi a cinque motivi. Il Ministero dell'Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Il ricorso, originariamente chiamato nell'adunanza camerale della prima sezione civile di questa Corte del 5.11.2019, è stato rinviato in udienza pubblica con ordinanza interlocutoria n. 3093/2020. RAGIoNI DELLA DECISIoNE Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione ed erronea applicazione dell'art. 291 c.p.c. e dell'art. 11 del R.D. n. 1611 del 1933, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente dichiarato la nullità della citazione introduttiva del gravame. La censura è fondata. La Corte umbra dà atto che il t. aveva notificato per via telematica l'atto di citazione in appello all'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso l'indirizzo di posta elettronica certificata perugia@mailcert.avvocaturastato.it diverso da quello ads.pg@mailcert.avvocaturastato.it risultante dal Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (Re.G.Ind.E.) gestito dal Ministero della Giustizia. Inoltre, la decisione impugnata dà atto che, alla prima udienza, la difesa del- l'appellante aveva "rifiutato il termine per il rinnovo della notifica al Ministero, che la Corte avrebbe potuto concedere ex art. 291 c.p.c., affermando di ritenere valida ex art. 11 R.D. n. 1611/33 la notifica effettuata e chiedendo perciò la dichiarazione di contumacia del Ministero" (cfr. pag. 2). Su tali premesse di fatto, la Corte territoriale ha ritenuto nulla la notificazione dell'atto introduttivo del gravame, sul presupposto che, ai sensi dell'art. 17, comma 4, del D.M. n. 44 del 21/2/2011 (regolamento emanato in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. n. 82 del 7/3/2005 e successive modificazioni, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, del D.L. n. 193 del 29/12/2009, convertito in Legge n. 24 del 22/2/2019), l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal Re.G.Ind.E. sia l'unico indirizzo presso il quale sia consentito eseguire notificazione di atti per via telematica. Il ricorrente contesta l'interpretazione fornita dalla Corte territoriale, richiamando una pronuncia del tribunale di Milano e sostenendo che la notificazione dell'atto di appello all'Avvocatura Distrettuale dello Stato avrebbe dovuto essere considerata valida, a nulla rilevando da quale elenco sia stato estratto l'indirizzo di posta elettronica certificata utilizzato, purché si tratti di un elenco pubblico. Secondo il ricorrente, peraltro, l'elencazione dei pubblici registri RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 contenenti gli indirizzi di posta elettronica certificata presso cui sarebbe possibile eseguire le notificazioni in via telematica non avrebbe abrogato la domiciliazione presso l'Avvocatura dello Stato prevista, in via generale, dall'art. 11 del R.D. n. 1611 del 1933, che dunque si aggiungerebbe a quella di cui all'art. 3 bis della Legge n. 53 del 1994. Inoltre, il registro INIPEC (acronimo per Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica certificata) sarebbe un pubblico elenco, tenuto conto di quanto disposto dall'art. 16 ter, comma 1, del D.L. n. 179 del 18.10.2012, convertito in Legge n. 221 del 7.12.2012, e dall'art. 6 bis del D.Lgs. n. 82 del 7.3.2005 (cd. Codice dell'Amministrazione Digitale), nonché dell'art. 149 bis, commi 1 e 2, c.p.c. e dell'art. 3 bis, comma 1, della Legge n. 53 del 21.1.1994. Sul tema delle notificazioni eseguite mediante posta elettronica certificata si è assistito, negli ultimi anni, ad un vivace dibattito giurisprudenziale. Questa Corte ha affermato, innanzitutto, che in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell'introduzione del cd. "domicilio digitale" (corrispondente all'indirizzo di posta elettronica certificata che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza, secondo le previsioni di cui all'art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni in Legge n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni in Legge n. 114 del 2014), la notificazione dell'atto di appello vada eseguita all'indirizzo p.e.c. del difensore costituito risultante dal Re.G.Ind.E., pur se esso non sia stato indicato negli atti dal difensore medesimo, sicché è nulla la notificazione che sia stata effettuata -ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934 -presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest'ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14914 del 08/06/2018, Rv. 649318; Cass. Sez. 6-2, ordinanza n. 14140 del 23/05/2019, Rv. 654325; Cass. Sez. 1, ordinanza interlocutoria n. 1411 del 18/01/2019, non massimata). È stato al contempo ritenuto che, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, anche dopo l'introduzione del "domicilio digitale" resta valida la notificazione effettuata -ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934 -presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, nel caso in cui il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio (Cass. Sez. 3, ordinanza n. 1982 del 29/01/2020, Rv. 656890). Si è inoltre affermato che qualora la parte, pur avendo eletto domicilio ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934, abbia indicato nei propri atti un indirizzo di posta elettronica certificata, senza circoscrivere la portata di tale indicazione alle sole comunicazioni, sussiste l'obbligo di procedere alle successive notificazioni nei confronti della stessa parte esclusivamente in via telematica; con conseguente inidoneità della notificazione della sentenza d'appello eseguita presso il domiciliatario, anziché presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione (Cass. Sez. 6-2, ordinanza n. 10355 del 01/06/2020, Rv. 657819). I richiamati precedenti condividono il presupposto di fondo, rappresentato dalla prevalenza del cd. "domicilio digitale" su ogni altra forma di domiciliazione prevista dalla legge, a meno che l'interessato non abbia dichiarato espressamente di voler eleggere domicilio, oltreché presso il suo recapito digitale, anche presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario di fronte al quale penda la lite, ovvero nel caso in cui la notifica presso il domicilio digitale non sia stata in concreto possibile a causa dell'inaccessibilità dell'indirizzo di posta elettronica per causa tEMI IStItuzIoNALI imputabile al destinatario (come, ad esempio, nel caso della cd. "casella piena": Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 3164 del 11/02/2020, Rv. 657013). Il Collegio condivide tale orientamento, al quale intende dare continuità. va, dunque, ribadito che, a seguito dell'istituzione del cd. "domicilio digitale", le notificazioni indirizzate alla parte che ne possegga uno, o che comunque ne indichi uno nell'ambito di un processo civile, devono essere eseguite con preferenza presso di esso. Per quanto invece attiene agli elenchi di indirizzi di posta elettronica certificata da cui le parti possono estrarre i recapiti utilizzabili ai fini della notificazione degli atti processuali, questa Corte ha in alcune occasioni affermato che l'unico registro a cui è possibile far riferimento sarebbe il Re.G.Ind.E. In particolare, secondo la pronuncia Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3709 dell'08/02/2019, non massimata (seguita poi da Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 24160 del 27/09/2019, egualmente non massimata) il "domicilio digitale" previsto dall'art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, in Legge n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, a sua volta convertito, con modificazioni, in legge n. 114 del 2014, corrisponderebbe esclusivamente all'indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato abbia indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest'ultimo, sia stato inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (Re.G.Ind.E.) gestito dal Ministero della Giustizia. Solo questo indirizzo sarebbe qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo p.e.c. riferibile -a seconda dei casi alla parte personalmente o al difensore, che sia diverso da quello inserito nel Re.G.Ind.E., sarebbe nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC). La citata pronuncia richiama, quali precedenti conformi, Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 30139 del 14/12/2017, Rv. 647189 e Cass. Sez. 6-L, ordinanza n. 13224 del 25/05/2018, Rv. 648685. Nel primo caso, la notifica dell'atto di appello era stata eseguita presso la cancelleria ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934 senza ricorrere ai recapiti p.e.c. risultanti dai registri INIPEC e Re.G.Ind.E., nel secondo caso, invece, la notificazione a mezzo p.e.c. era stata eseguita a un indirizzo diverso da quello risultante dal Re.G.Ind.E., ancorché indicato dalla parte nella sua comparsa di risposta. In entrambe le ipotesi (sulla seconda delle quali, cfr. anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 83 del 04/01/2019, Rv. 652449), la notifica è stata ritenuta nulla, sul presupposto che l'unico "domicilio digitale" consentito sia quello risultante dal Re.G.Ind.E. Alla stessa conclusione è pervenuta Cass. Sez. 6-L, ordinanza n. 9562 del 05/04/2019, non massimata, secondo la quale, per i soggetti censiti all'interno del Re.G.Ind.E., l'unico indirizzo utilizzabile ai fini della notificazione degli atti giudiziari sarebbe quello inserito in detto registro e non anche quello eventualmente presente in altri registri PEC, anche qualora gli stessi siano ricompresi nell'ambito dell'art. 16-ter del D.L. n. 179 del 2012. Pertanto, in tema di notificazione a mezzo p.e.c., ai sensi del combinato disposto dell'art. 149 bis c.p.c. e dell'art. 16 ter del D.L. n. 179 del 2012, introdotto dalla Legge di conversione n. 221 del 2012, l'indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell'atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (Re.G.Ind.E.), unicamente quello risultante da tale registro. Ne consegue, ai sensi dell'art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario. Ancor più recentemente si sono pronunciate, sempre nella stessa direzione, Cass. Sez. 61, ordinanza n. 24110 del 27/9/2019, non massimata, in una fattispecie in cui non risultava da quale registro, diverso dal Re.G.Ind.E., fosse stato estratto l'indirizzo utilizzato in concreto RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 dalla parte per la notificazione dell'atto di impugnazione; nonché la già citata Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 24160 del 27/9/2019, del pari non massimata, in un caso in cui l'atto di impugnazione era stato invece notificato presso un indirizzo di posta elettronica certificata estratto dal registro INI-PEC. L'ultima decisione, tuttavia, è stata corretta d'ufficio, ai sensi di quanto previsto dall'art. 391 bis c.p.c., con ordinanza (Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 29479 del 15/11/2019, non massimata), che ha eliminato il riferimento, ritenuto erroneo, alla inidoneità oggettiva dell'estrazione dell'indirizzo p.e.c. dal registro INI-PEC. tale ordinanza di correzione richiama, in motivazione, la sentenza delle Sezioni unite n. 23620 del 2018 (Cass. Sez. u, Sentenza n. 23620 del 28/09/2018, Rv. 650466), la quale ha affermato che, in seguito all'introduzione del "domicilio digitale" -previsto dall'art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 114 del 2014 -va ritenuta valida la notificazione eseguita presso l'indirizzo di posta elettronica certificata che il difensore è tenuto, ai sensi dell'art. 6 bis del D.Lgs. n. 82 del 2005, a comunicare al proprio ordine professionale di appartenenza, e che quest'ultimo è a sua volta obbligato ad inserire, sia nei registri INI-PEC, sia nel Re.G.Ind.E. di cui al D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia. valorizzando il ruolo di coordinamento tra i due registri, INI-PEC e Re.G.Ind.E., assicurato di fatto dagli ordini professionali, le Sezioni unite sono pervenute ad una soluzione che ha sostanzialmente sancito l'equivalenza dei due registri, quantomeno per quel che concerne le notificazioni da eseguire, in forma elettronica, nei confronti degli appartenenti ai predetti ordini. Il Collegio condivide quest'ultima interpretazione e ritiene pertanto che -a seguito dell'istituzione del cd. "domicilio digitale" di cui all'art. 16 sexies del D.L. 179 del 2012 e successive modificazioni ed integrazioni -quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità possa procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'articolo 6 bis del D.Lgs. n. 82 del 2005 (tra cui, va annoverato anche l'INI-PEC), nonché dal Re.G.Ind.E. gestito dal Ministero della Giustizia. La notificazione degli atti processuali presso la cancelleria, dunque, costituisce oggi una ipotesi eccezionale, essendo stata tale modalità di notifica sostituita, in linea generale, proprio dall'istituzione del "domicilio digitale", nell'accezione appena prospettata, e dunque con riferimento alle risultanze di tutti i registri ufficiali di cui alle norme in precedenza richiamate. Nella pur farraginosa disciplina di settore, del resto, si rinvengono numerosi indizi che confermano l'esattezza dell'interpretazione già sposata dalle Sezioni unite di questa Corte, fondata sulla sostanziale equipollenza tra le risultanze dei diversi registri, INI-PEC e Re.G.Ind.E. In particolare, l'art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012 -modificato dall'articolo 1, comma 19, lettera b), della Legge n. 228 del 2012, e successivamente dall'articolo 47, comma 1, del D.L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 114 del 2014 -ha previsto, al fine di generalizzare il ricorso alla notificazione e comunicazione degli atti per via telematica, l'obbligo, per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 30.3.2001, e successive modificazioni, di dotarsi e di comunicare al Ministero della Giustizia, entro il 30.11.2014, con le regole tecniche adottate ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del D.L. n. 193 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 24 del tEMI IStItuzIoNALI 2010, un indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal D.P.R. n. 68 del 2005, e successive modificazioni, presso il quale ricevere le comunicazioni e notificazioni loro dirette. L'elenco di tali indirizzi di posta elettronica certificata (denominato Re.G.Ind.E.), formato dal Ministero della giustizia, è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati. tale norma, però, non sancisce espressamente un privilegio di esclusività del predetto registro, rispetto agli altri. D'altro canto, l'art. 6 bis del D.Lgs. n. 82 del 2005 (c.d. Codice dell'amministrazione digitale), per favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, e le imprese e i professionisti in modalità telematica, ha previsto l'istituzione del pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicili digitali (INIPEC) delle imprese e dei professionisti, tenuto presso il Ministero per lo sviluppo economico e realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi p.e.c. costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali. Anche questo registro, così come il Re.G.Ind.E., è tenuto e gestito da un organo centrale dello Stato, ed in esso confluiscono esclusivamente informazioni provenienti da organismi qualificati a fornirle. Nessuna sostanziale differenza, pertanto, si rinviene tra i due registri INI-PEC e Re.G.Ind.E., né sotto il profilo della provenienza delle informazioni in essi contenute, che appare analogamente qualificata, né per quanto attiene all'aspetto delle modalità di gestione e tenuta dei due elenchi, che in entrambi i casi è assicurata da una amministrazione centrale dello Stato, con modalità idonee ad assicurare la necessaria sicurezza delle informazioni ritraibili da ambedue le fonti di cui si discute. Dal canto suo, l'art. 16 ter, comma 1, del D.L. n. 179 del 2012, modificato dall'art. 45-bis, comma 2, lettera a), numero 1), del D.L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 114 del 2014, e successivamente sostituito dall'art. 66, comma 5, del D.Lgs. n. 217 del 2017, ha previsto che, a decorrere dal 15.12.2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6 bis, 6 quater e 62 del D.Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall'articolo 16, comma 12, dello stesso decreto, dall'articolo 16, comma 6, del D.L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia. Anche in questo caso, dunque, la norma non solo non prevede alcuna differenza tra i due diversi registri, INIPEC e Re.G.Ind.E., ma addirittura li equipara espressamente. Ancora, l'art. 149 bis, comma 2, c.p.c. (modificato dall'art. 16, comma 2, del D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, in Legge n. 221 del 2012) prevede che l'ufficiale giudiziario, ove proceda ai sensi del primo comma, debba trasmettere copia informatica dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da elenchi pubblici o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni. Anche in questo caso, nessun privilegio di esclusività, a favore dell'uno o dell'altro dei predetti registri, è contenuto nella norma in esame, che fa riferimento esclusivamente alla natura pubblica dell'elenco da cui è attinto l'indirizzo di posta elettronica certificata utilizzato ai fini della notificazione. Infine, l'art. 3 bis della Legge n. 53 del 1994 dispone che la notificazione con modalità telematica si esegua a mezzo di posta elettronica certificata presso l'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere dunque eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, ancora una volta senza alcuna distinzione tra l'uno o l'altro di detti elenchi. RASSEGNA AvvoCAtuRA DELLo StAto -N. 3/2020 In definitiva, in base ai convergenti dati normativi ed all'insegnamento delle Sezioni unite, deve affermarsi il seguente principio di diritto: "A seguito dell'istituzione del cd. "domicilio digitale" di cui all'art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 18.10.2012, convertito con modificazioni in Legge n. 221 del 7.12.2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 24.6.2014, convertito con modificazioni in Legge n. 114 dell'11.8.2014, le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari, in materia civile, sono ritualmente eseguite -in base a quanto previsto dall'art. 16 ter, comma 1, del D.L. n. 179 del 2012, modificato dall'art. 45-bis, comma 2, lettera a), numero 1), del D.L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 114 del 2014, e successivamente sostituito dall'art. 66, comma 5, del D.Lgs. n. 217 del 13.12.2017, con decorrenza dal 15.12.2013 -presso un indirizzo di posta elettronica certificata estratto da uno dei registri indicati dagli artt. 6 bis, 6 quater e 62 del D. Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall'articolo 16, comma 12, dello stesso decreto, dall'articolo 16, comma 6, del D.L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia e, quindi, indistintamente, dal registro denominato INI-PeC e da quello denominato Re.G.Ind.e.". La Corte di Appello ha dunque errato, nel caso di specie, a ritenere nulla la notificazione dell'atto di impugnazione, che il ricorrente aveva eseguito presso un indirizzo di posta elettronica certificata dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato estratto dal registro INI-PEC. Peraltro, la Corte distrettuale è incorsa in ulteriore errore, laddove, a fronte di una notificazione ritenuta nulla, non ha provveduto ad ordinarne la rinnovazione, ai sensi di quanto previsto dall'art. 291 c.p.c. Costituisce infatti ius receptum che la notifica dell'atto introduttivo di un giudizio che sia stata eseguita direttamente all'Amministrazione dello Stato e non presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato (nei casi nei quali non si applica la deroga alla regola di cui all'art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611) non può ritenersi affetta da mera irregolarità o da inesistenza, bensì -secondo quanto disposto dalla citata norma -da nullità, ed è quindi suscettibile di rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c. ovvero di sanatoria, nel caso in cui l'Amministrazione si costituisca (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5212 del 27/02/2008, Rv. 602142; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18849 del 15/09/2011, Rv. 618790; Cass. Sez. L, Sentenza n. 5853 del 08/03/2017, Rv. 643276; Cass. Sez. 2, ordinanza n. 24032 del 30/10/2020, Rv. 659396). Analogamente, è nulla, e non meramente irregolare, né inesistente, la notificazione eseguita erroneamente presso l'Avvocatura Generale dello Stato, anziché presso quella Distrettuale del luogo in cui ha sede l'ufficio giudiziario davanti al quale è proposta l'azione o l'impugnazione (Cass. Sez. 1, ordinanza n. 28267 del 04/11/2019, Rv. 656038; Cass. Sez. 6-1, ordinanza n. 19826 del 26/07/2018, Rv. 650196). Del pari, è nulla la notificazione eseguita presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anziché presso quella Generale, quando la norma preveda che la notifica debba eseguirsi presso quest'ultima (Cass. Sez. u, ordinanza interlocutoria n. 608 del 15/01/2015, Rv. 633916; Cass. Sez. 2, ordinanza interlocutoria n. 22079 del 17/10/2014, Rv. 632870). In tutti i predetti casi, il giudice è tenuto ad ordinare la rinnovazione della notificazione nulla (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10457 del 26/11/1996, Rv. 500792; Cass. Sez. u, Sentenza n. 4573 del 06/05/1998, Rv. 515156; Cass. Sez. 1, ordinanza interlocutoria n. 15062 del 30/06/2006, Rv. 590945; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2442 del 02/02/2011, Rv. 616503), anche in difetto di istanza di parte, poiché, trattandosi di questione attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, ad inderogabili disposizioni d'ordine pubblico processuale, essa è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, con il tEMI IStItuzIoNALI solo limite derivante dall'eventuale formazione del giudicato su di essa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17189 del 06/08/2007, Rv. 600208). Da quanto precede deriva che, a tutto voler concedere, la Corte di Appello, avendo ravvisato la nullità della notificazione dell'atto di impugnazione, avrebbe dovuto ordinare all'odierno ricorrente di procedere alla rinnovazione della notificazione, assegnando all'uopo un termine perentorio. L'adempimento dell'incombente entro il predetto termine, o comunque la rituale costituzione in giudizio dell'Amministrazione destinataria della notificazione, debitamente rappresentata e difesa, avrebbero comportato la sanatoria ex tunc del vizio (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 53 del 05/01/2000, Rv. 532714; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1774 del 03/03/1999, Rv. 523784). Al contrario, la mancata ottemperanza all'ordine di rinnovo della notificazione del- l'atto di appello nel termine perentorio fissato ai sensi dell'art. 291 c.p.c. avrebbe causato l'inammissibilità del gravame, ove l'adempimento fosse stato totalmente omesso, ovvero la sua estinzione, in caso di esecuzione fuori termine (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23587 del 03/11/2006, Rv. 594612; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13637 del 30/05/2017, Rv. 644465). Da quanto precede discende l'accoglimento del primo motivo del ricorso, con conseguente assorbimento di tutti gli altri. La decisione va dunque cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Perugia, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità PQM la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Perugia, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, in data 11 dicembre 2020. ContenziosoComunitarioedinternazionaLe La Corte di Giustizia e il “crollo della Baliverna”, a proposito della sentenza “Lexitor” Adolfo Mutarelli* SommarIo: 1. Premessa -2. Lapidario confronto ermeneutico tra i dati normativi -3. Direttiva e diritto vivente -4. Criteri a base della prova di resistenza -5. Possibili argini alla retroattività -6. Preesistenza di disciplina ad elevata protezione del consumatore -7. Certezza del diritto e legittimo affidamento - 8. Conclusioni e auspici. 1. Premessa. Dopo oltre un anno dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019, C-383/18 (c.d. Lexitor) non si intravede ancora un possibile esito dell’ampio e articolato dibattito in ordine alle ricadute nel nostro ordinamento. È apparso tuttavia subito chiaro «l’impatto devastante sui bilanci delle banche e delle società finanziarie» (1) che deriva dalla ritenuta applicabilità degli effetti della decisione sui rimborsi anticipati dei contratti di finanziamento stipulati (ante Lexitor) a fronte di cessioni del quinto. Si stima che l’onere restitutorio si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi di Euro (e ciò già al netto di quanto le Banche sono tenute a rimborsare ai sensi dell’art. 125-sexies T.U.B.). La problematica è particolarmente intricata e scivolosa per cui appare opportuno premettere un excursus, seppur pindarico, sull’evoluzione della disciplina su cui ha impattato la sentenza Lexitor. La direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, stabilisce all’art. 16 par. 1 che «il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli de (*) Già Avvocato dello Stato. (1) Tratto da: “Plus-Il Sole 24ore”, 14 dicembre 2019. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 rivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto a una riduzione del costo totale del credito che comprende gli interessi e i costi dovuti per la durata del contratto». La direttiva viene recepita negli ordinamenti degli Stati membri con diversificate intonazioni interpretative, tutte, peraltro, autorizzate dal carattere polisemico della riportata disposizione. Nel nostro ordinamento la direttiva è stata recepita con il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che introduce nel D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 395 (c.d. Testo Unico Bancario, di seguito e più brevemente T.U.B.) l’art. 125-sexies che al primo comma prevede che «il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto». A distanza di oltre 10 anni dalla direttiva (e a poco meno di dieci dal suo recepimento con il D.lgs. 141/2010) interviene la Corte di Giustizia Europea che, con la decisione in esame, stabilisce che «L’art. 16, paragrafo 1 della direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio dev’essere interpretato nel senso che il diritto del Consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato include tutti i costi posti a carico del consumatore». La Corte precisa altresì come la disposizione della direttiva «deve essere interpretata non soltanto sulla base del suo tenore letterale, ma anche alla luce del suo contesto nonché con gli obiettivi della normativa di cui essa fa parte» (§ 26). Con ogni probabilità, consapevole del carattere non prevedibile della lettura offerta della direttiva rispetto alle norme di recepimento della stessa negli Stati membri, la Corte, con assoluta trasparenza, riconosce che la disposizione dell’art. 16 citato si presta a essere interpretata «tanto nel senso che essa significa che i costi interessati dalla riduzione del costo totale del credito sono limitati a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto oppure a quelli che sono presentati dal soggetto concedente il credito come riferiti ad una fase particolare della conclusione o dell’esecuzione del contratto, quanto nel senso che essa indica che il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto» (§ 24), evidenziando altresì come la stessa sia stata trasposta in almeno quattro diverse formulazioni nell’ordinamento degli Stati Membri (§ 25). In tal senso peraltro anche le conclusioni dell’Avvocato Generale che, dopo aver osservato che la previsione si prestava «ad almeno quattro interpretazioni » (cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale presentate il 23 maggio 2019, § 42-46), rilevava che, pertanto, «gli Stati membri possono tra l’altro scegliere di recepire questa disposizione o, se del caso, di interpretare il loro CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE diritto nazionale in conformità con l’una o l’altra delle interpretazioni» con l’ulteriore precisazione che la suddetta disposizione enuncia solo «i principi che gli Stati membri devono rispettare» (ivi, § 32). 2. Lapidario confronto ermeneutico tra i dati normativi. Il confronto tra la disposizione della direttiva e l’art. 125-sexies T.U.B. rivela che quest’ultimo non costituisce mera trasposizione della direttiva; ciò in quanto il tenore letterale delle due previsioni non è, ictu oculi, sovrapponibile e ora, alla luce della sentenza Lexitor, le stesse possono ritenersi addirittura tra loro confliggenti. Mentre infatti l’art. 125-sexies contiene il riferimento agli interessi e ai costi dovuti per la vita residua del contratto, non così la direttiva che non contiene il termine “residuo”, e che fa criptico riferimento agli interessi e ai costi dovuti per la durata del contratto. Tuttavia va ribadito che la denunciata evidente inconciliabilità tra le ricordate disposizioni (con il conseguente diverso rilievo normativo-economico) è risultato evidente solo in virtù della lettura postuma offerta dalla sentenza Lexitor. C’è a questo punto da chiedersi quale sia la disciplina applicabile nel nostro ordinamento: quella della direttiva, alla luce della non prevedibile lettura offerta dalla Lexitor, che conduce alla restituzione, in ipotesi di rimborso anticipato, dei costi up front e recurring (la cui differenziazione non rimarrebbe, di fatto, né più né meno che distinzione storicamente sepolta) ovvero quella dell’art. 125-sexies T.U.B. (nella consolidata lettura ante Lexitor) che comporta la restituzione dei soli costi recurring. Prima di analizzare i riflessi problematici della discrasia delle disposizioni comparate, è bene avvertire che la soluzione di questo dilemma bipolare comporterà che sull’altare della Lexitor si bruceranno (o meno) risorse per circa 10 miliardi di oneri restitutori. Ancora nel buio, viceversa, l’individuazione del soggetto su cui graveranno in via definitiva. 3. Direttiva e diritto vivente. È agevole osservare che, ai sensi dell’art. 288 TFUE, le direttive (a differenza dei regolamenti e dei Trattati che hanno efficacia diretta sia verticale che orizzontale) hanno (con eccezione di quelle self executing) esclusivamente efficacia verticale. In altre parole vincolano solo gli Stati membri che alle stesse sono tenuti a dare attuazione. Costituisce mera conferma di quanto precede il rilievo che la direttiva 2008/48/CE prevede all’art. 32 (significativamente rubricato come “Destinatari”) che «Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva». Connotato delle direttive è, pertanto, quello di vincolare nel risultato gli Stati membri cui sono dirette (nella maggior parte dei casi, tutti gli Stati) lasciando ampio apprezzamento nell’individuazione della scelta della forma e dei mezzi necessari. Gli Stati membri sono, pertanto, vincolati solo nell’an ma liberi nel quomodo. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 Appare opportuno subito chiarire che alla direttiva in esame non può riconoscersi natura self executing in quanto non è sufficientemente dettagliata nei propri contenuti e non specifica in alcun modo il perimetro dei diritti attribuiti al consumatore. È cioè assente ogni dettaglio per la sua concreta e immediata efficacia orizzontale con la conseguenza che non appare idonea ad incidere nella sfera giuridica del cittadino. Essa richiedeva, pertanto, per assumere efficacia orizzontale, il necessario recepimento da parte degli Stati membri, avvenuto per l’Italia con il ricordato D.Lgs. 141/2010. Può subito osservarsi che la sentenza Lexitor può incidere solo e immediatamente sulla lettura della direttiva (non self executing), non certo sulla norma di recepimento il cui dettato, ove confliggente, involge il rapporto dinamico tra ordinamenti non risolubile da parte del giudice ordinario con la mera affannosa e forzata ricerca di armonizzazione delle letture delle due disposizioni (possibile solo ove tra loro riconosciute non inconciliabili). L’obbligo di interpretazione conforme si arresta, infatti, per pacifica giurisprudenza, laddove venga postulata una lettura della direttiva contra legem rispetto al diritto nazionale (2). Il principio dell’interpretazione conforme, diversamente opinando, si trasformerebbe in un grimaldello utilizzato non per realizzare l’armonizzazione tra gli ordinamenti, bensì per attuare un sindacato diffuso di legittimità comunitaria della legislazione nazionale (3). Deve ancora precisarsi che l’ermeneusi orientata ad una lettura (possibilmente) conciliativa tra le richiamate disposizioni verrà condotta nel rispetto dei canoni normativi degli ordinamenti comparati. Nel nostro ordinamento vige il primato dell’interpretazione letterale essendo solo sussidiaria quella teleologica. La giurisprudenza monolitica è infatti orientata nel senso che: «È bene rammentare che l'attività ermeneutica, in consonanza con i criteri legislativi di interpretazione dettati dall'art. 12 preleggi, deve essere condotta innanzitutto e principalmente, mediante il ricorso al criterio letterale; il primato dell'interpretazione letterale è, infatti, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui all'intenzione del legislatore, secondo un'interpretazione logica, può darsi rilievo nell'ipotesi che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contraria interpretazione. alla stregua del ricordato insegnamento, l'interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro formulazione tecnico giuridica » (4). Ne consegue che il cittadino non può che attenersi alla disciplina italiana e non alla disciplina desumibile da direttive non self executing (peraltro, nel caso in esame, dal pacifico tenore gravemente polisemico). (2) Ex plurimis: Corte di Giustizia, 15 aprile 2008, C-268/06. (3) Così: F. PoLLACChINI, Cedu e diritto dell’Unione Europea nei rapporti con l’ordinamento costituzionale interno, parallelismi e asimmetrie alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale, in www.giur.cost.org. (4) Testualmente da Cass. S.U., 5 luglio 1982, n. 4000 e, di recente Cass., 4 ottobre 2018, n. 24165. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE Si consideri inoltre che sino alla sentenza Lexitor la lettura dell’art. 125-sexies T.U.B. era unanimemente orientata nel senso di ritenere rimborsabili i soli costi recurring (e non up front). Anzi può draconianamente affermarsi che, stante il chiaro tenore letterale della norma, il problema non risultava concretamente dibattuto negli orientamenti giurisprudenziali, amministrativi e dell’ABF (5). Del resto la Banca d’Italia, quale organo di vigilanza (sia con riferimento all’art. 125-sexies che al previgente art. 125 T.U.B.) ha costantemente ritenuto che il diritto del consumatore ad una riduzione del costo totale del credito in sede di rimborso anticipato è limitato ai soli interessi e costi non ancora maturati al momento dell’estinzione del finanziamento (c.d. costi recurring), con esclusione, quindi, dei costi riconducibili ad attività o servizi espletati in vista e al momento della conclusione del contratto (cosiddetti costi up front). In tal senso (già) militava, del resto, la delibera CICr 8 luglio 1992 che, all’art. 3, primo comma, prevedeva che «il consumatore ha sempre la facoltà dell’adempimento anticipato; tale facoltà si esercita mediante versamento al creditore del capitale residuo, degli interessi e altri oneri maturati fino a quel momento e, se previsto dal contratto, di un compenso comunque non superiore all’1% del capitale residuo» (6). In tal contesto normativo si collocano altresì le Comunicazioni della Banca d’Italia del 10 novembre 2009 e del 7 aprile 2011 con cui l’Autorità di vigilanza sollecitava gli intermediari a «definire correttamente -in linea con le nuove disposizioni sul credito ai consumatori -la ripartizione tra commissioni up-front e recurring, includendo nelle seconde le componenti economiche soggette a maturazione nel tempo». Sintonico anche il monolitico orientamento dell’ABF, ripetutamente confermato anche dal Collegio di Coordinamento, secondo cui, nel caso di estinzione anticipata del finanziamento, doveva essere rimborsata al cliente la sola quota delle commissioni e dei costi assicurativi non maturati nel tempo (c.d. recurring). In tal senso anche la giurisprudenza arbitrale che, considerata come scontata la rimborsabilità dei soli costi recurring, appariva, come la giurispru (5) In tal senso Collegio Coordinamento ABF, 11 novembre 2016, n. 10003 secondo cui «La norma, in sé autosufficiente, enuncia quindi la regola che il criterio e la base di calcolo degli importi da retrocedere devono essere determinati e applicati oggettivamente […] l’estinzione anticipata implica l’automatico effetto della restituzione degli importi corrispondenti ai [soli] servizi non resi». (6) Da ultimo proprio con riferimento a tale delibera il Tribunale di Milano, 23 gennaio 2020, n. 694, motiva il rigetto della domanda di rimborso di costi up front in fattispecie ante Lexitor. Ed ancora il Tribunale di Torino 22 marzo 2019 n. 1410 secondo cui «i costi da ridurre sono quelli definiti come “recurring” poiché maturano nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale e sono corrisposti a titolo di copertura dei rischi di credito e delle spese per la gestione degli incassi. Da tali costi si differenziano quelli c.d. “Up front” che non sono ripetibili e che sono sostenuti nella fase delle trattative e della formazione del contratto come le spese di istruttoria e di stipulazione»; cfr. anche il Tribunale Napoli 22 novembre 2019, n. 10489 che, con riferimento agli oneri di intermediazione, ancor più radicalmente osserva «si tratta certamente di attività già svolta interamente prima che il rapporto venisse anticipatamente estinto, ed il relativo costo non va rimborsato nemmeno pro quota». rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 denza ordinaria, più attenta a verificare se la distinzione con i costi up front fosse ab initio contrattualmente chiara e trasparente (7). L’excursus proposto consente quindi di rilevare come la predetta univoca interpretazione giurisprudenziale (conforme, peraltro, alla prassi amministrativa e alle disposizioni dell’organo di vigilanza nonché agli orientamenti dell’ABF) costituiva, in ordine all’interpretazione dell’art. 125-sexies citato, un vero e proprio consolidato “diritto vivente”. Il delineato assetto spiega come la giurisprudenza che si è interessata dell’impatto della Lexitor abbia prevalentemente negato l’applicabilità della stessa, seppur con un articolato panorama di motivazioni. In tal senso si è osservato come la decisione Lexitor «non sposta i termini della presente decisione » (8) dal momento che la stessa «interpreta la direttiva 2008/48/CEE e non l’art. 125 T.U.B. applicabile in questo caso» (9) ed altresì che «la direttiva 48/2008/CE, art. 16, par. 1, ha comunque efficacia verticale con ciò intendendosi che l’interessato può far valere solo nei confronti dello Stato una ritenuta imperfetta attuazione della direttiva, mentre essa non ha efficacia orizzontale tra privati, con conseguente impossibilità, per il giudice, di procedere alla disapplicazione della normativa italiana» (10). Da ultimo e più radicalmente si è osservato che «Le sentenze della Corte di Giustizia europea non vincolano, com’è noto, il Giudice Nazionale, sicché, in concreto il significato residuo da attribuirsi ad esse è quello di offrire una possibile interpretazione della norma comunitaria per, appunto, l’interprete del singolo Paese» (11). Quando il Tribunale di vicenza esamina la norma concreta dell’art. 16 Direttiva, non può che prendere atto del fatto che il suo contenuto sostanziale non è stato trasposto nell’ordinamento nazionale, né, dall’altra parte, risulta che la Direttiva UE 2008/48 sia self executing (e ciò senza contare che, in linea più generale, una direttiva non può essere immediatamente applicabile nei rapporti tra privati). In altre parole si è in presenza di una sentenza non vincolante, in relazione ad una norma che non ha cittadinanza e non è applicabile nell’ordinamento italiano. Né è privo di rilievo notare che lo stesso Collegio di Coordinamento ABF, privo di poteri paranormativi, ha correttamente ritenuto che «non potendo rinvenirsi al momento una utile disposizione normativa suppletiva, sia pure secondaria » non resta, al momento, che affidarsi al «ricorso dell’ integrazione “giudiziale” secondo equità (art. 1374 c.c.) per determinare l’effetto imposto (7) Coll. Arbitrale roma, 11 settembre 2015, in Nuova Giur. Civ. 2015, p. 1127, con nota di E. rUFFo. (8) Tribunale di Napoli, 22 novembre 2019, n. 10489. (9) Tribunale di Napoli, 10 marzo 2020, n. 2391. (10) Testualmente da Giudice di Pace di roma, 28 agosto 2020, n. 13888. Ed ancora in tal senso Giudice di Pace di Como, 13 ottobre 2020, n. 538. (11) Tribunale di vicenza, 13 novembre 2020, n. 1907. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE dalla rilettura dell’art. 125-sexies T.U.B., con riguardo ai costi up front, effetto non contemplato dalle parti né regolamentato dalla legge o dagli usi» (12). Poiché l’equità integrativa è la giustizia del caso concreto, ogni valutazione al riguardo competerà, pertanto, ai singoli Collegi territoriali ABF che decideranno «tenendo conto della particolarità della fattispecie». 4. Criteri a base della prova di resistenza. Da quanto precede emerge con solare evidenza l’univocità interpretativa dell’art. 125-sexies T.U.B (rimborsabilità dei soli costi recurring) e, quindi, il palese contrasto con la lettura Lexitor della direttiva 2008/40/CE (rimborsabilità costi up front e recurring). Ed è altresì evidente che la prova di resistenza, al fine di verificare se la interpretazione della norma come recepita nel nostro ordinamento rientri o meno nel cono d’ombra di interpretazione della direttiva (nella lettura postuma offerta dalla Lexitor), l’ermeneusi deve essere effettuata tenendo conto del dato letterale e degli orientamenti interpretativi consolidatisi sulla stessa. Nel caso di specie, alla luce anche del primato letterale nell’interpretazione, il “diritto vivente”, come sopra illustrato, è stato ab initio monolitica- mente schierato a favore di un’ermeneusi dell’art. 125-sexies T.U.B. che circoscrive la rimborsabilità ai soli costi recurring dettati, cioè, in funzione della vita residua del contratto. Ne consegue l’inconciliabilità tra le disposizioni a confronto. Conflitto rinvenibile sia nel dettato letterale sia nei divaricanti riflessi applicativi. Del tutto fuorviante sarebbe, viceversa, operare il confronto tra l’art. 125sexies T.U.B e la disposizione dell’art. 16 cit. della direttiva, come letta alla luce della sentenza Lexitor, in quanto tale modus operandi condurrebbe sempre e inevitabilmente a conformare la lettura della norma come recepita a quella offerta dalla Corte di Giustizia (nel caso di specie, ad oltre dieci anni di distanza). verrebbe per tal via meno il proficuo dialogo tra ordinamenti negandosi (già) in astratto l’esistenza di qualsiasi, pur possibile, contrasto normativo. Il delineato conflitto tra norma interna di recepimento e direttiva non è peraltro superabile con il potere riconosciuto al giudice ordinario di disapplicazione delle norme interne a favore di quelle unionali, in quanto l’esercizio, di tale potere è circoscritto alle sole norme aventi efficacia diretta nel nostro ordinamento e non involge le norme non aventi efficacia diretta (quale appunto la direttiva in esame non self executing) (13). (12) Collegio di Coordinamento ABF, 19 dicembre 2019, n. 26525. (13) L’illustrato contrasto andrebbe risolto dalla sola Corte Costituzionale (Corte Cost. 14 dicembre 2017, n. 269. In tal senso, ex plurimis: Corte Cost. 24 giugno 2010 n. 227 e Corte Cost. 30 marzo 2012, n. 75) che, stante l’oscurità della Direttiva riconosciuta nella stessa sentenza Lexitor, potrebbe fare buon uso del principio dell’efficacia differita nel tempo delle proprie decisioni al fine di «realizzare una transizione tra il vecchio e il nuovo regime il più possibile rispettosa delle situazioni soggettive già venute ad esistenza» rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 Allo stato, pertanto, nessun diritto sembra fruttuosamente azionabile dal consumatore nei confronti delle Banche e degli intermediari finanziari in relazione ai contratti in essere ante sentenza Lexitor. L’art. 125-sexies T.U.B. è tuttora vigente e l’eventuale errato recepimento non potrebbe mai ricadere sulle Banche che hanno osservato un comportamento compliant rispetto al “diritto vivente” quale derivante dall’univoca interpretazione della norma di recepimento e rispetto a cui alcun inadempimento è configurabile. In ogni caso le stesse potrebbero invocare, per andare esenti da responsabilità, il legittimo affidamento. Del resto, ancora di recente, la Corte di Giustizia ha precisato che la direttiva non recepita o recepita male nel nostro ordinamento non può creare obblighi a carico del singolo e non può essere fatta valere nelle controversie tra privati (14). opinare diversamente significherebbe riconoscere al- l’Unione europea il potere di istituire con effetto immediato obblighi a carico dei singoli «mentre tale competenza le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti» (15). Potrebbe al più intravedersi la responsabilità dello Stato per erroneo recepimento della direttiva. Ed infatti, ancora di recente, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha ribadito che il diritto dell’Unione, «in particolare dell’art. 288 TFUE, deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di una controversia tra singoli, non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare le disposizioni nazionali nonché una clausola contenuta, conformemente a queste ultime, in un contratto di assicurazione e che la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto unionale (per mancato, tardivo o errato recepimento) potrebbe tuttavia invocare la giurisprudenza scaturita dalla nota sentenza Francovich (16) per ottenere, eventualmente, da parte dello Stato membro il risarcimento dei danni» (17). Ma, invero, lo Stato si trova nei confronti della lettura della Lexitor nella medesima posizione delle Banche, in quanto, a sua volta, attesa la riconosciuta polisemia della direttiva, potrebbe invocare il proprio legittimo affidamento (18) e, quindi, l’errore scusabile nel recepimento (19). (G. zAGrEBELSky, Il controllo da parte della Corte Costituzionale degli effetti temporali delle sue pronunce, in Quaderni costituzionali, 1989, p. 69) disponendo la «gradualità nel dispiegarsi e nell’imporsi dei valori costituzionali» di equo bilanciamento (S.P. PANUNzIo, Incostituzionalità «sopravvenuta», incostituzionalità «progressiva» ed effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, in AA.vv., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, in atti del seminario svoltosi in roma, Palazzo della Consulta, il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989, 279). (14) Corte di Giustizia, 7 agosto 2018, C-122/17. (15) Corte di Giustizia, 14 luglio 1994, C-91/92. (16) Corte di Giustizia, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90. (17) Corte di Giustizia, 24 gennaio 2012, C-282/10 ed ivi riferimenti. In dottrina: F. CICCArIELLo, La responsabilità del legislatore tra vecchi e nuovi miti, in www.judiucm.it (18 marzo 2018); E. CALzo- LAIo, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno. Una prospettiva comparata, Milano, 2004, p. 4; si veda, altresì, M.M. WINkLEr, Francovich colpisce ancora: una nuova condanna dello Stato per ritardato (ed errato) recepimento di una direttiva europea, in resp. civ. prev., 2011, p. 923. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 5. Possibili argini alla retroattività. Anche al di là dei motivi ostativi all’applicabilità della Lexitor, sembra opportuno verificare, in seconda battuta, la praticabilità di percorsi preclusivi della retroattività dell’art. 125-sexies T.U.B. in versione Lexitor. va pertanto, seppur nell’economia del presente scritto, indagato da un lato se l’art. 125-sexies T.U.B., nella sua consolidata interpretazione, non integri, in uno alla previgente disciplina di protezione del consumatore, il risultato teleologico perseguito dalla Lexitor, ovvero, dall’altro, se l’efficacia retroattiva della Lexitor inevitabilmente comporti anche una simmetrica lettura retroattiva dell’art. 125-sexies T.U.B. 6. Presistenza di disciplina ad elevata protezione del consumatore. Sotto tale profilo dovrebbe valorizzarsi la considerazione che la sentenza Lexitor trova il suo dichiarato presupposto nella circostanza che, stante la molteplicità di possibili esiti interpretativi del dettato letterale della Direttiva 2008/48/CE, deve far premio l’interpretazione teleologica della stessa orientata a tutela del consumatore (§§ 26-33). La Corte precisa altresì che, diversamente opinando, il professionista sarebbe libero di qualificare i costi up front in modo tale da (teoricamente) azzerare i costi recurring. Di qui la tranciante lettura di «costo totale del credito» ritenuta dalla Corte comprensiva di «tutti i costi posti a carico del consumatore». risulta chiaro che la corretta lettura della sentenza Lexitor postula la comparazione della Direttiva 2008/48/CE con gli ordinamenti dei singoli Stati membri. In altri termini l’efficacia teleologica della Lexitor impone, quale condicio iuris della sua applicazione retroattiva, la preliminare verifica se il singolo ordinamento (nel caso di specie quello italiano) non presenti già una disciplina che tuteli compiutamente il consumatore da quella che la Lexitor prefigura in astratto come (virtualmente possibile) pratica di arbitrio nella disciplina dei costi da parte dei professionisti del credito. Non può sfuggire che in Italia un tale arbitrio del professionista del credito sia escluso (o, almeno, fortemente compresso) in radice da tutte le norme poste a tutela del consumatore. In tal senso, oltre agli artt. 121-ter e 125-sexies T.U.B. che disciplinano la conoscibilità dei costi, militano le disposizioni della Banca d’Italia in ordine alla stessa determinazione e quantificazione proprio dei costi up front e recurring. In proposito le disposizioni della Banca d’Italia, in abito di organo di (18) Sul ruolo del principio del legittimo affidamento nel diritto unionale e degli stati membri sin rinvia a M. BACCI, L’evoluzione del principio del legittimo affidamento nel diritto dell’unione e degli stati membri, in www.masterdirittoprivatoeuropeo.it, 6, 2015. (19) In ipotesi di condanna lo Stato potrebbe far valere la propria posizione nei più ampi rapporti politico-istituzionali con l’Unione. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 vigilanza, prevedono che «i contratti di credito indicano in modo chiaro e conciso il diritto del consumatore al rimborso anticipato previsto dall’articolo 125-sexies, comma 1, del T.U.B. e la procedura per effettuarlo nonché, in presenza delle condizioni ivi stabilite, il diritto del creditore a ottenere, ai sensi dell’articolo 125-sexies, comma 2, del T.U.B., un indennizzo a fronte del rimborso anticipato e le relative modalità di calcolo», chiarendo ulteriormente che «nei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio e della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione anticipata includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti, per la parte non maturata dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore» (20). Dall’organico puntuale sostrato normativo (qui del tutto ellitticamente richiamato) emerge evidente lo stretto collegamento tra la trasparenza contrattuale, ex ante, e la tutela del consumatore anche ex post in sede di ripetibilità dei costi anticipati in caso di scioglimento parimenti anticipato del contratto. In senso ulteriormente confermativo milita la Comunicazione del Governatore di Banca d’Italia del 10 novembre 2009 (“Cessione del quinto dello stipendio e operazioni assimilate: cautele e indirizzi per gli operatori”), nella quale è stato sottolineato che «relativamente all’estinzione anticipata, la Banca d’Italia ha stigmatizzato la prassi, seguita dagli intermediari, di indicare cumulativamente, nei contratti e nei fogli informativi, l’importo di generiche spese, non consentendo quindi una chiara individuazione degli oneri maturati e di quelli non maturati». Si aggiunga che al cliente-consumatore il nostro ordinamento offre, a costi praticamente irrisori, la garanzia dell’ABF, che (quale organismo preposto per la risoluzione alternativa delle controversie tra banche e consumatori) assicura la più scrupolosa osservanza, da parte degli istituti di credito e degli intermediari finanziari, di tutte le disposizioni di rango primario e secondario. Nella riferita prospettiva sorgono non poche perplessità sulla possibilità che la Lexitor possa produrre effetti retroattivi nel nostro ordinamento che, a differenza di quello polacco fonte del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, possedeva e possiede una compiuta disciplina (già) efficacemente e teleologicamente orientata alla tutela del consumatore. Del resto sembra riduttivo pensare che la mera tutela patrimoniale postuma del consumatore esaurisca l’ubi consistam della tutela, laddove il suo humus andrebbe più incisivamente rintracciato e rinsaldato nella legislazione di tutela in sede precontrattuale e contrattuale, momento in cui si avverte più marcatamente (20) Disposizioni di vigilanza 29 luglio 2009 e s.m.i. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE l’esigenza protettiva di garantire la parità di armi tra le parti contraenti. Diversamente il complesso delle norme di tutela che presidia il momento contrattuale si rileverebbe di fatto poco significativo essendo sufficiente prevedere unicamente che, in caso di estinzione anticipata, l’intermediario finanziario deve rimborsare tutto e le relative modalità (ad es. pro rata temporis, curva degli interessi ecc.), sollevando quest’ultimo dalla montante marea di oneri informativi, di trasparenza precontrattuale e contrattuale per l’ipotesi di esercizio di estinzione anticipata. Si trasformerebbe cioè da tutela della libertà contrattuale del contraente debole a mera tutela recuperatoria. Potrebbe pertanto ritenersi che la tutela garantita dall’art. 125-sexies T.U.B assicura, alla luce del diritto vivente e della complessiva preesistente disciplina, una elevata tutela del consumatore del tutto analoga a quella perseguita (anche) dalla Lexitor, il cui rilievo applicativo va, evidentemente, calato e coniugato con il variegato contesto normativo dei singoli Paesi membri. In tale chiave ermeneutica si potrebbe infatti ritenere quanto mai opportuno l’intervento “recuperatorio” assicurato dalla Lexitor ove riferibile a Paesi a bassa o inefficace tutela contrattuale del consumatore con effetti compensativi della carente tutela ivi assicurata in sede precontrattuale e contrattuale al consumatore (21). 7. Certezza del diritto e legittimo affidamento. Anche a voler ritenere applicabile la sentenza Lexitor (e quindi, la Direttiva 2008/48/CE), non per questo dovrebbe ritenersi inevitabile riconoscere efficacia ex tunc alla nuova interpretazione dell’art. 125-sexies T.U.B. La Corte di Giustizia, infatti, ha già più volte affermato che «secondo costante giurisprudenza, il principio della certezza del diritto, che ha per corollario quello della tutela del legittimo affidamento», informa di sé l’intero ordinamento unionale (quale principio generale ex art. 6 § 3 TUE) e quindi «esige che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati » (22), con la conseguente necessità -per il giudice nazionale -di disapplicare «una normativa nazionale [che] riduca [un] termine di prescrizione senza preavviso e in modo retroattivo» (23). (21) In tal senso cfr.: Tribunale di Mantova, ord. 30 giugno 2020 secondo cui «la sentenza della Corte di Giustizia UE dell’11 settembre 2019 (c.d. Lexitor) [...] non appare attagliarsi al sistema normativo italiano che, rispetto a quello polacco, è certamente molto più garantista per il cliente avendo esattamente disciplinato i diritti restitutori in caso di estinzione anticipata, con l’art. 125 sexies TUB. La normativa nazionale non fa alcun riferimento ai costi iniziali sostentui dal cliente e la circostanza non appare né una dimenticanza né una eccessiva sproporzione a svantaggio del cliente. Gli unici costi che possono essere oggetto di domanda di rimborso, come peraltro recita l’art. 125 sexies TUB, sono quelli che non dovrà più sostenere avendo rimborsato anticipatamente il debito. Peraltro, la decisione resa dalla Corte di Giustizia nel 2019 non può trovare applicazione, anche perché resa su norma polacca dal tenore evidentemente difforme da quello cristallizzato nell’art. 125 sexies TUB nel quale il legislatore nazionale si è fatto onere di disciplinare quali siano le conseguenze del rimborso anticipato». rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 Ed è evidente che quanto vale per la perdita di un credito non può non valere, a maggior ragione, per gli obblighi di pagamento: una diversa interpretazione, imprevedibile rispetto a quella vigente alla stipula del contratto, che escludesse quegli obblighi di pagamento non potrebbe perciò ritenersi applicabile. In particolare, se deve essere disapplicata una disposizione di legge nazionale retroattiva che pregiudichi in modo imprevedibile i privati facendo loro perdere un credito, lo stesso deve dirsi degli effetti retroattivi di un’imprevedibile interpretazione di una disposizione nazionale (art. 125-sexies, comma 1, TUB), per la cui applicabilità lo stesso giudice nazionale potrebbe quindi pronunciare solo per il futuro (24). Tali principi sono stati declinati anche dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento alla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui «le norme giuridiche sulle quali si fonda la privazione della proprietà dovrebbero essere sufficientemente accessibili, precise e prevedibili nella loro applicazione» (25). La lettura retroattiva della Lexitor sarebbe inammissibile da parte del giudice italiano stante l’ambiguità del tenore della direttiva 2008/48/CE (riconosciuta dalla stessa sentenza Lexitor) e l’assenza sin qui di qualsivoglia contestazione di infrazione nella (personale) trasposizione della Direttiva da parte di tutti gli Stati membri. Inoltre, ove la direttiva venisse applicata con vis retroattiva, si realizzerebbe una discriminazione tra i vari Stati membri in cui vigono diversificati regimi e termini di prescrizione (26), anche per i rimborsi della specie (27), con rilevanti, ingiustificati e differenziati effetti sugli assetti bancari (Stato per Stato); ciò senza contare il correlativo e conseguente differenziato impatto sulle economie di ciascun Paese membro. 8. Conclusioni e auspici. Alla luce di tutto quanto precede sembra ragionevole conclusione ritenere (22) Corte di Giustizia, 7 giugno 2005, C-17/03. (23) Corte di Giustizia, Sez. III, 12 dicembre 2013, C-362/12. (24) Sul rilievo che compete al Giudice nazionale valutare se sia stato rispettato il legittimo affidamento dei destinatari sulle disposizioni nazionali: Corte di Giustizia, Sez. III, 18 dicembre 2014, C599/ 13, punto 54. (25) Corte EDU, Sez. II, 5 marzo 2019, Uzan et a., § 197; Corte EDU, Sez. I, 11 ottobre 2018, osmanyan and amiraghyan, § 52; Grande Camera della stessa Corte, 25 ottobre 2012, Vistiņš and Perepjolkins, § 97; Corte EDU, Sez. I, 20 maggio 2010, Lelas, § 76. (26) A. MUTArELLI, Prescrizione e decadenza nel diritto civile, in M. GErArDo -A. MUTArELLI, Ed. Giappichelli, Torino, 2015, p. 6, nota 12 in cui si dà atto che alcuni Stati, intervenendo sui termini di prescrizione dei diritti in via generale «hanno stabilito termini più brevi rispetto alle altre legislazioni continentali». Né deve sottovalutarsi che, ove venisse configurata la responsabilità dello Stato per mancato o scorretto recepimento il termine di prescrizione si ridurrebbe a cinque anni (ove applicato l’art. 4 della L. 12 novembre 2011, n. 183) realizzandosi per tal via una disparità di regime di tutela del risparmiatore tra responsabilità dello Stato o, in alternativa, dell’intermediario finanziario. (27) Le banche tedesche, ceche, slovacche godono di un termine triennale di prescrizione, le francesi godono del termine di prescrizione quinquennale. viceversa le banche italiane sono esposte al termine decennale di prescrizione. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE che, rebus sic stantibus, nessuna responsabilità per inadempimento del sistema bancario e finanziario sia seriamente configurabile non solo per le perplessità che ruotano intorno all’immeditata applicabilità degli effetti retroattivi della Lexitor nel nostro ordinamento ma anche per carenza di legittimazione passiva del sistema bancario nel suo complesso cui certo non può in nessun modo imputarsi l’errata trasposizione della direttiva in esame. Dal canto suo lo Stato, dinanzi al riconosciuto ambiguo dettato della direttiva recepita, potrebbe a buon diritto invocare il legittimo affidamento riposto sul tenore letterale della direttiva e, comunque, sul rigoroso piano dell’applicazione dei principi del- l’illecito civile, l’inesistenza della violazione “grave e manifesta” in cui, per parte della dottrina (28), sembra doversi esaurire l’elemento psicologico proprio della responsabilità in subiecta materia (29). Si aggiunga che la responsabilità dello Stato nell’attività di recepimento non costituisce effetto automatico di ogni tipo di inadempimento (mancato, ritardato o inesatto) avendo la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia (30) precisato che devono ricorrere, oltre ai requisiti previsti dalla sentenza Francovich, l’ulteriore requisito della “violazione sufficientemente caratterizzata” in cui, tra l’altro, rileva l’eventuale scusabilità dell’errore in sede di recepimento, l’eventuale concorso delle istituzioni comunitarie nonché il carattre intenzionale della vilazione da apprezzarsi alla luce del margine di discrezionalità riservata allo Stato membro. Nel caso di specie la mancanza di chiarezza e di precisione della direttiva violata (in realtà del tutto polisemica come risconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia) rende assai arduo configurare a carico dello Stato una violazione “grave e manifesta” fonte di responsabilità. Tuttavia è chiaro che, in ogni caso, la partita intorno alla responsabilità dello Stato si giocherebbe, in ultima analisi e di rimbalzo, sul diverso profilo politico-istituzionale dei rapporti tra Stato e Unione (tenuto anche conto che analoghe problematiche sono sicuramente sorte negli ordinamenti degli altri Stati membri che hanno recepito la direttiva con intonazioni identiche o simili). risulta pertanto legittimamente auspicabile un nuovo rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia (art. 267, 2° comma, TFUE) (31). Tale (28) C.M. BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, vol. v, II ed., Giuffrè, 2012, p. 640. (29) In ordine al dibattito sul rapporto tra natura aquilina ovvero di obbligazione ex lege, di natura indennitaria della responsabilità dello Stato e prescrizione mi sia consentito, per brevità, il rinvio a M. GErArDo, Prescrizione e decadenza, in M. GErArDo -A. MUTArELLI, Giappichelli, 2015, p. 274 e ss. nonchè a W. FErrANTE, Prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario, in rass. avv. Stato, 2009, III, p. 135. (30) Corte di Giustizia, 5 marzo 1996, nei procedimenti riuniti C-46/93 e C-48/93 (più nota come sentenza Brasserie). (31) Corte di Giustizia, 11 giugno 1987, C-14/86 ha confermato l’orientamento secondo cui «secondo la costante giurisprudenza della Corte, l’efficacia vincolante che le sentenze pregiudiziali hanno nei confronti dei giudici nazionali non osta a che il giudice nazionale destinatario di una siffatta sentenza si rivolga nuovamente alla Corte qualora lo ritenga necessario per la decisione della causa principale. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 rinvio potrebbe essere richiesto affinché la Corte si pronunci su: a) se la sentenza Lexitor possa ritenersi inapplicabile laddove, come per l’ordinamento italiano, sia esistente una disciplina che, nel suo complesso, già assicura una elevata protezione del consumatore; b) se la riconosciuta polisemia della direttiva 2008/48/CE e una recezione nell’ordinamento rivelatasi (solo a distanza di dieci anni) non conforme all’unanime interpretazione giurisprudenziale e prassi possa valere ad escludere, in virtù dei principi fondamentali unionali della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, l’ammissibilità di una lettura retroattiva conforme dell’art. 125-sexies T.U.B. (32); c) se l’efficacia retroattiva della sentenza Lexitor comporti un differenziato impatto economico nei diversi Stati con alterazione della concorrenza, atteso che negli Stati membri i termini di prescrizione sono di varia durata (da 3 anni per la Germania, 5 anni per la Slovacchia, a 10 anni per l’Italia) e se, quindi, non possa ritenersi economicamente discriminatoria la retroattività della sentenza nella parte in cui determina effetti economici imprevedibilmente e ingiustificatamente diversificati per ciascun Paese. In quella sede (33), peraltro, proprio al fine di evitare effetti pregiudizievoli derivanti dalla naturale retroattività delle proprie decisioni, potrebbe chiedersi alla Corte di verificare la ricorrenza di “gravi inconvenienti” e “buona fede” alla luce dei quali possa ritenersi legittima un’interpretazione non retroattiva del decisum della sentenza Lexitor. Il nuovo rinvio può essere giustificato qualora il giudice nazionale… sottoponga alla Corte una nuova questione di diritto, oppure qualora egli le sottoponga nuovi elementi di valutazione che possano indurla a risolvere diversamente una questione già sollevata» (in tal senso anche ord., 5 marzo 1986, C-69/85). Nelle “raccomandazioni della Corte di Giustizia all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” (G.U. EU. 8 novembre 2019) si è altresì ribadito che «Un rinvio pregiudiziale può, segnatamente, risultare particolarmente utile quando dinanzi al giudice nazionale è sollevata una questione di interpretazione nuova che presenta un interesse generale per l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, o quando la giurisprudenza esistente non sembra fornire i chiarimenti necessari in un contesto di diritto o di fatto inedito». (32) Con specifico riferimento al nostro ordinamento sia consentito il rinvio a A. MUTArELLI, Novella interpretativa sulla prescrizione in tema di operazioni bancarie in conto corrente: “cronaca di una morte annunciata”, in www.Lexitalia.it, n. 4/2011, ove ho osservato che «il legislatore è abilitato a emanare norme di interpretazioni autentiche solo in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione, di contrasti giurisprudenziali nonchè quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore. Quanto precede nel rispetto del “principio dell’affidamento dei consociati alla certezza dell’ordinamento giuridico” con la conseguente illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che proponga una soluzione ermeneutica non prevedibile e del tutto eclettica rispetto a quella consolidatasi nella prassi». In tal senso in giurisprudenza, Tar Lazio -roma, III, 14 dicembre 2010, n. 36532, in Foro amm., Tar 2010, p. 3919; Corte Cost., 30 gennaio 2009, n. 24 in Giust. Civ., 2009, I, p. 825; Consiglio di Stato, Sez. vI, 27 dicembre 2007, n. 6664, in Foro amm. CDS 2007, I, 3521; Corte Cost., 7 luglio 2006, n. 274, in Giust. Civ., 2006, I, 2283; Corte Cost., 22 novembre 2000, n. 525, in Foro It., 2000, I, 3397. (33) Non si ritiene ammissibile il rinvio pregiudiziale solo sull’applicabilità del controlimite alla retroattività che è, viceversa, applicabile solo dalla sentenza che statuisce sull’interpretazione della norma oggetto di rinvio: Corte di Giustizia, 28 settembre 1994, C-57/93; Corte di Giustizia, 16 luglio 92, C-163/90. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE E infatti nel tempo la Corte ha sviluppato un controlimite all’efficacia retroattiva delle proprie sentenze allorché ricorrano due concorrenti condizioni: “gravi inconvenienti” e “buona fede” (34). Entrambe le condizioni di irretroattività sembrano configurabili nel caso di specie. Secondo la giurisprudenza della Corte i gravi inconvenienti sono infatti configurabili allorché (35) la retroattività delle proprie decisioni comporti, come nel caso di specie, gravi ripercussioni economiche (che nel presente contesto temporale si sommano all’emergenza economica causata dalla pandemia in atto) determinate dal numero considerevole di rapporti sorti (in buona fede) sulla base della normativa nazionale erroneamente interpretativa del diritto unionale (nel caso di specie ampiamente di ambigua lettura). Si aggiunga che il diversificato regime di prescrizione dei rimborsi tra gli Stati membri comporterebbe, peraltro, un non ragionevole impatto economico in particolare per l’Italia, che assicura il termine prescrizionale di dieci anni (il più lungo in assoluto) (36) con ingiustificata discriminazione economica tra gli Stati membri a seconda del regime di prescrizione applicabile. Quanto al requisito della buona fede, lo stesso risulta ampiamente provato da quanto sopra illustrato e dalla concorde interpretazione decennale (nel senso dell’esclusione dei costi up front) offerta dalla unanime giurisprudenza, dalle disposizioni dall’organo di vigilanza, dagli orientamenti dell’ABF e dalla prassi e, soprattutto, dalla polisemia della direttiva (come riconosciuto nella stessa sentenza Lexitor). In presenza delle predette condizioni (ricorrenti, ad avviso di chi scrive, nel caso di specie), la Corte potrebbe sterilizzare temporalmente gli effetti del proprio decisum, escludendo l’efficacia retroattiva della propria decisione; ciò, forse, anche nella consapevolezza che l’impeachment trae origine dalla Direttiva 2008/48/CE la cui riconosciuta ambiguità, se finirà per gravare sugli Stati membri, non è, comunque, politicamente loro riferibile. Tutto ciò nell’auspicata certezza che l’Europa, a differenza del Paese del Barone rampante (37), sia un Paese in cui si verificano sempre sia le cause che gli effetti. (34) Corte di Giustizia, 12 febbraio 2000, C-378/98; Corte di Giustizia, 8 aprile 1976, C-43/75. (35) Giurisprudenza consolidata cfr.: Corte di Giustizia, 28 settembre 1994, C-57/93, punto 21; Corte di Giustizia, 12 ottobre 2000, C-372/98, punto 42. (36) A. MUTArELLI, Prescrizione e decadenza nel diritto civile, in M. GErArDo -A. MUTArELLI, cit., 2015, p. 6 nota 12. (37) riferimento tratto da I. CALvINo, Il Barone rampante, Ed. Mondatori, 2020, p. 188, in cui si legge «Viviamo in un Paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti». rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 Corte di Giustizia, Prima sezione, sentenza 11 settembre 2019, causa C-383/18 -Pres. J.-C. Bonichot, rel. C. Toader -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd rejonowy Lublin‑Wschód w Lublinie z siedzibą w Świdniku (Tribunale circondariale di Lublino ‑Wschód in Lublino con sede in Świdnik, Polonia) -Lexitor sp. z o.o. c. Spółdzielcza kasa oszczędnościowo -kredytowa im. Franciszka Stefczyka, Santander Consumer Bank S.A., mBank S.A. «rinvio pregiudiziale -Tutela dei consumatori -Contratti di credito ai consumatori -Direttiva 2008/48/CE -Articolo 16, paragrafo 1 -rimborso anticipato -Diritto del consumatore ad una riduzione del costo totale del credito corrispondente agli interessi e ai costi dovuti per la restante durata del contratto» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU 2008, L 133, pag. 66). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di tre controversie che oppongono la Lexitor sp. z o.o. (in prosieguo: la «Lexitor»), rispettivamente, alla Spółdzielcza kasa oszczędnościowo -kredytowa im. Franciszka Stefczyka (in prosieguo: la «Skok»), alla Santander Consumer Bank S.A. (in prosieguo: la «Santander Consumer Bank») e alla mBank S.A. (in prosieguo: la «mBank»), in merito alla riduzione del costo totale di crediti al consumo a motivo del rimborso anticipato di questi ultimi. Contesto normativo Diritto dell’Unione Direttiva 87/102/CEE 3 L’articolo 8 della direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU 1987, L 42, pag. 48), che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/48 con effetto all’11 giugno 2010, così disponeva: «Il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata gli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, in conformità alle disposizioni degli Stati membri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito». Direttiva 2008/48 4 I considerando 7, 9 e 39 della direttiva 2008/48 enunciano quanto segue: «(7) Per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo è necessario prevedere un quadro comunitario armonizzato in una serie di settori fondamentali. visto il continuo sviluppo del mercato del credito al consumo e considerata la crescente mobilità dei cittadini europei, una legislazione comunitaria lungimirante, che sia adattabile alle future forme di credito e lasci agli Stati membri un adeguato margine di manovra in sede di attuazione, dovrebbe contribuire alla creazione di un corpus normativo moderno in materia di credito al consumo. (…) (9) È necessaria una piena armonizzazione che garantisca a tutti i consumatori della Comunità di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno. (…) (…) CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 43 (39) Al consumatore dovrebbe essere concessa la facoltà di adempiere ai suoi obblighi prima della data concordata nel contratto di credito. In caso di rimborso anticipato, parziale o integrale, il creditore dovrebbe poter esigere un indennizzo per i costi direttamente collegati al rimborso anticipato, tenendo conto anche di eventuali risparmi per il creditore. Tuttavia, per determinare il metodo di calcolo dell’indennizzo, è importante rispettare alcuni principi. Il calcolo dell’indennizzo per il creditore dovrebbe essere trasparente e comprensibile per i consumatori già nella fase precontrattuale e in ogni caso durante l’esecuzione del contratto di credito. Inoltre, il metodo di calcolo dovrebbe essere di facile applicazione per i creditori e il controllo dell’indennizzo da parte delle autorità responsabili dovrebbe essere agevolato. (…)» 5 L’articolo 3 di detta direttiva recita: «Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: a) “consumatore”: una persona fisica che, nell’ambito delle transazioni disciplinate dalla presente direttiva, agisce per scopi estranei alla sua attività commerciale o professionale; (…) g) “costo totale del credito per il consumatore”: tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte; (…)». 6 L’articolo 16 della direttiva in parola, intitolato «rimborso anticipato», dispone quanto segue: «1. Il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. 2. In caso di rimborso anticipato del credito, il creditore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito, sempre che il rimborso anticipato abbia luogo in un periodo per il quale il tasso debitore è fisso. L’indennizzo non può superare l’1% dell’importo del credito rimborsato in anticipo, se il periodo che intercorre tra il rimborso anticipato e lo scioglimento previsto dal contratto di credito è superiore a un anno. Se il periodo non è superiore a un anno, l’indennizzo non può superare lo 0,5% dell’importo del credito rimborsato in anticipo. 3. Non può essere preteso nessun indennizzo per il rimborso anticipato: a) se il rimborso è stato effettuato in esecuzione di un contratto d’assicurazione destinato a garantire il rimborso del credito; b) in caso di concessione di scoperto; [o] c) se il rimborso ha luogo in un periodo per il quale il tasso debitore non è fisso. 4. Gli Stati membri possono prevedere che: a) il creditore possa esigere detto indennizzo soltanto a condizione che l’importo del rimborso anticipato superi la soglia stabilita dalla legislazione nazionale. Tale soglia non supera l’importo di 10 000 EUr in dodici mesi; b) il creditore può eccezionalmente pretendere un indennizzo maggiore se è in grado di rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 dimostrare che la perdita subita a causa del rimborso anticipato supera l’importo determinato ai sensi del paragrafo 2. Se l’indennizzo richiesto dal creditore supera la perdita da questi effettivamente subita il consumatore può esigere una corrispondente riduzione. In tal caso la perdita consiste nella differenza tra il tasso di interesse inizialmente concordato e il tasso di interesse al quale il creditore può prestare la somma rimborsata anticipatamente sul mercato al momento del rimborso anticipato e tiene conto dell’impatto del rimborso anticipato sui costi amministrativi. 5. L’indennizzo non supera l’ammontare degli interessi che il consumatore avrebbe pagato durante il periodo che intercorre tra il rimborso anticipato e la data concordata di scioglimento del contratto di credito». 7 L’articolo 22 della medesima direttiva, intitolato «Armonizzazione e obbligatorietà della direttiva», stabilisce: «1. Nella misura in cui la presente direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite. (…) 3. Gli Stati membri provvedono inoltre affinché le disposizioni adottate per dare esecuzione alla presente direttiva non possano essere eluse attraverso l’impiego di forme particolari di contratti, in particolare includendo prelievi o contratti di credito che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva in contratti di credito la cui natura o finalità consenta di evitare l’applicazione della direttiva stessa». Diritto nazionale 8 L’ustawa o kredycie konsumenckim (legge relativa al credito ai consumatori), del 12 maggio 2011 (Dz. U. n. 126, posizione 715), nella versione applicabile alle controversie di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge sul credito al consumo»), traspone la direttiva 2008/48 nell’ordinamento giuridico polacco. 9 Ai sensi dell’articolo 5, punto 6, della legge suddetta, la nozione di «costo totale del credito » si intende come comprensiva di tutti i costi che il consumatore è tenuto a pagare nel quadro del contratto di credito, in particolare gli interessi, le spese, le commissioni, le imposte ed i margini, di cui il creditore è a conoscenza, nonché i costi relativi ai servizi accessori, segnatamente i premi assicurativi, se il loro pagamento è obbligatorio per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, escluse le spese notarili che sono a carico del consumatore. 10 Ai sensi dell’articolo 49, paragrafo 1, della legge summenzionata, in caso di rimborso dell’intero credito prima della data concordata nel contratto, il costo totale del credito è ridotto nella misura dei costi corrispondenti al periodo di durata residua del contratto, anche qualora il consumatore li abbia sostenuti prima di tale rimborso. Procedimento principale e questione pregiudiziale 11 Le tre controversie di cui al procedimento principale, riunite dal giudice del rinvio, traggono origine dalla conclusione di contratti di credito al consumo tra un consumatore, ai sensi dell’articolo 3, lettera a), della direttiva 2008/48, e, rispettivamente, la Skok, la Santander Consumer Bank e la mBank. Ciascuno dei contratti di credito prevedeva il versamento all’istituto bancario interessato di una commissione il cui importo non dipendeva dalla durata del contratto stesso, vale a dire, rispettivamente, 1 591,35 zlotys polacchi (PLN) (380 EUr circa), PLN 4 845 (1 150 EUr circa) e PLN 3 070,40 (730 EUr circa). CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 45 12 Dopo aver proceduto al rimborso anticipato degli importi dei loro crediti, i consumatori hanno ceduto alla Lexitor, società di diritto polacco che offre servizi giuridici ai consumatori, i diritti di credito che essi vantavano verso gli istituti bancari in virtù del rimborso anticipato. 13 Successivamente, la Lexitor, nella sua qualità di cessionaria dei crediti, ha chiesto alla Skok, alla Santander Consumer Bank e alla mBank il rimborso di una parte dell’importo delle commissioni versate dai consumatori, maggiorata degli interessi di mora. 14 Poiché gli istituti di credito non hanno accolto tali richieste, la Lexitor ha presentato dinanzi al giudice del rinvio, in data 8 gennaio 2018, 29 dicembre 2017 e 26 febbraio 2018, tre ricorsi intesi ad ottenere la condanna, rispettivamente, della Santander Consumer Bank, della Skok e della mBank al pagamento di una parte di dette commissioni, corrispondente alla durata residua dei contratti di credito, nonché al versamento degli interessi di mora. 15 Le convenute nel procedimento principale hanno proposto opposizione contro le ordinanze di ingiunzione di pagamento emesse dal giudice del rinvio. 16 Il giudice del rinvio si chiede se, in una situazione come quelle in discussione nel procedimento principale, il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato di quest’ultimo, contemplato all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, riguardi anche i costi che non dipendono dalla durata del contratto. A tale titolo, esso sottolinea che, se taluni giudici polacchi hanno risposto in senso negativo a tale quesito, sulla base della legge sul credito al consumo, un altro giudice ha invece dato una risposta affermativa, fondandosi su un’interpretazione di tale legge alla luce dell’articolo 16 della direttiva sopra citata. 17 Il giudice del rinvio ritiene che tale articolo debba essere interpretato nel senso che la riduzione del costo totale del credito include i costi che non dipendono dalla durata del contratto. A suo avviso, tale interpretazione permetterebbe di tutelare gli interessi del consumatore e garantirebbe l’equilibrio tra le parti. Il soggetto concedente il credito potrebbe, in caso di rimborso anticipato del credito, riutilizzare l’importo rimborsato per concedere un nuovo credito e beneficiare così di una nuova commissione. oltre a ciò, la soluzione contraria rischierebbe di tradursi in una prassi nella quale i soggetti mutuanti applicherebbero unicamente costi formalmente indipendenti dalla durata del contratto di credito, al fine di evitare che questi siano interessati dalla riduzione del costo totale del credito. 18 Sulla scorta di tali circostanze, il Sąd rejonowy Lublin‑Wschód w Lublinie z siedzibą w Świdniku (Tribunale circondariale di Lublino‑Wschód in Lublino con sede in Świdnik, Polonia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte il seguente quesito pregiudiziale: «Se la disposizione contenuta nell’articolo 16, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, lettera g), della direttiva [2008/48], debba essere interpretata nel senso che il consumatore, in caso di adempimento anticipato degli obblighi che gli derivano dal contratto di credito, ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, compresi i costi il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito in questione». 19 Il giudice del rinvio ha altresì chiesto il trattamento accelerato della causa ai sensi del- l’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Tale domanda è stata respinta con ordinanza del presidente della Corte del 17 settembre 2018, Lexitor (C‑383/18, non pubblicata, EU:C:2018:769). sulla questione pregiudiziale 20 In via preliminare, occorre precisare che il fatto che le controversie di cui al procedimento rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 principale vedano quali parti in causa unicamente dei professionisti non costituisce un ostacolo all’applicazione della direttiva 2008/48. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 24 delle sue conclusioni, l’ambito di applicazione di questa direttiva non dipende dall’identità delle parti della controversia di cui trattasi, bensì dalla qualità delle parti del contratto di credito. orbene, nel caso di specie, i crediti pecuniari che costituiscono l’oggetto delle controversie di cui al procedimento principale sono derivati da tre contratti di credito al consumo conclusi tra tre consumatori e le tre parti convenute nelle cause riunite nel procedimento principale, e sono stati ceduti alla parte ricorrente nelle tre controversie suddette dopo il rimborso anticipato dei contratti di credito al consumo in parola. 21 Con il suo quesito, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 debba essere interpretato nel senso che il diritto ad una riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include anche i costi che non dipendono dalla durata del contratto. 22 L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, letto alla luce del considerando 39 di quest’ultima, prevede il diritto per il consumatore di procedere al rimborso anticipato del credito e di beneficiare di una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. 23 Per quanto riguarda la nozione di «costo totale del credito», l’articolo 3, lettera g), di detta direttiva la definisce come riguardante tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il soggetto concedente il credito è a conoscenza, escluse le spese notarili. Tale definizione non contiene dunque alcuna limitazione relativa alla durata del contratto di credito in questione. 24 A questo proposito, come risulta in particolare dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dalle osservazioni presentate sia dalle parti convenute nel procedimento principale sia dalle altre parti interessate nella presente causa, la menzione della «restante durata del contratto», che compare all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, potrebbe essere interpretata tanto nel senso che essa significa che i costi interessati dalla riduzione del costo totale del credito sono limitati a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto oppure a quelli che sono presentati dal soggetto concedente il credito come riferiti ad una fase particolare della conclusione o dell’esecuzione del contratto, quanto nel senso che essa indica che il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto. 25 Un’analisi comparativa delle diverse versioni linguistiche dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 non permette di stabilire la portata esatta della riduzione del costo totale del credito prevista da tale disposizione. Infatti, da un lato, le versioni in lingua neerlandese, polacca e rumena di tale disposizione suggeriscono una riduzione dei costi correlati alla restante durata del contratto («een verlaging van de totale kredietkosten, bestaande uit de interesten en de kosten gedurende de resterende duur van de overeenkomst », «obniżki całkowitego kosztu kredytu, na którą składają się odsetki i koszty przypadające na pozostały okres obowiązywania umowy»e«o reducere a costului total al creditului, care constă în dobânda și în costurile aferente duratei restante a contractului »). Dall’altro lato, le versioni in lingua tedesca e inglese della disposizione di cui sopra CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 47 sono caratterizzate da una sicura ambiguità e fanno pensare che i costi correlati a tale periodo residuo servono come indicazione per il calcolo della riduzione («das recht auf Ermäßigung der Gesamtkosten des Kredits, die sich nach den Zinsen und den Kosten für die verbleibende Laufzeit des Vertrags richtet»e«reduction consisting of the interest and the costs for the remaining duration of the contract»). La versione in lingua italiana della medesima disposizione evoca, al pari della versione in lingua francese, interessi e costi «dovuti» («dus») per la restante durata del contratto. Infine, la versione in lingua spagnola dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 prescrive una riduzione che includa i costi che corrispondono alla restante durata del contratto («una reducción del coste total del crédito, que comprende los intereses y costes correspondientes a la duración del contrato que quede por transcurrir»). 26 Tuttavia, conformemente ad una consolidata giurisprudenza della Corte, la disposizione suddetta deve essere interpretata non soltanto sulla base del suo tenore letterale, ma anche alla luce del suo contesto nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2019, Bundesverband der verbraucherzentralen und verbraucherverbände, C‑649/17, EU:C:2019:576, punto 37). 27 Per quanto riguarda il contesto, occorre ricordare che l’articolo 8 della direttiva 87/102, che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/48, stabiliva che il consumatore, «in conformità alle disposizioni degli Stati membri, (…) deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito». 28 Dunque, occorre constatare che l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di «equa riduzione» quella, più precisa, di «riduzione del costo totale del credito» e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare «gli interessi e i costi». 29 Quanto all’obiettivo della direttiva 2008/48, una consolidata giurisprudenza della Corte ha riconosciuto che questa mira a garantire un’elevata protezione del consumatore (v., in tal senso, sentenza del 6 giugno 2019, Schyns, C‑58/18, EU:C:2019:467, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata). Questo sistema di protezione è fondato sull’idea secondo cui il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di negoziazione che il livello di informazione (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, radlinger e radlingerová, C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 63). 30 Al fine di garantire tale protezione, l’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 2008/48 impone agli Stati membri di provvedere affinché le disposizioni da essi adottate per l’attuazione di tale direttiva non possano essere eluse attraverso particolari formulazioni dei contratti. 31 orbene, l’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione di costi può includere un certo margine di profitto. 32 Inoltre, come sottolineato dal giudice del rinvio, limitare la possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il soggetto concedente rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 il credito potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto. 33 Inoltre, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 53 e 55 delle sue conclusioni, il margine di manovra di cui dispongono gli istituti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna rende, in pratica, molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto. 34 occorre aggiungere che il fatto di includere nella riduzione del costo totale del credito i costi che non dipendono dalla durata del contratto non è idoneo a penalizzare in maniera sproporzionata il soggetto concedente il credito. Infatti, occorre ricordare che gli interessi di quest’ultimo vengono presi in considerazione, da un lato, tramite l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, il quale prevede, a beneficio del mutuante, il diritto ad un indennizzo per gli eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito, e, dall’altro lato, tramite l’articolo 16, paragrafo 4, della medesima direttiva, che offre agli Stati membri una possibilità supplementare di provvedere affinché l’indennizzo sia adeguato alle condizioni del credito e del mercato al fine di tutelare gli interessi del mutuante. 35 Infine, occorre rilevare che, nel caso di un rimborso anticipato del credito, il mutuante recupera in anticipo la somma data a prestito, sicché quest’ultima diventa disponibile per la conclusione, eventualmente, di un nuovo contratto di credito. 36 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore. sulle spese 37 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/Cee del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE La registrazione all’anagrafe di un figlio con doppia maternità: dopo la Corte costituzionale la parola alla Corte di giustizia (CorTE DI GIUSTIZIa DELL’UNIoNE EUroPEa, oSSErVaZIoNI DEL GoVErNo ITaLIaNo IN CaUSa C-490/20, PromoSSa CoN orDINaNZa DEL 2 oTToBrE 2020 DaL aDmINISTraTIVEN SaD SoFIa-GraD - BULGarIa) 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: 1. Se l’articolo 20 TFUE e l’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati nel senso che non consentono alle autorità amministrative bulgare, presso le quali è stata presentata una domanda di certificazione della nascita di un bambino con nazionalità bulgara avvenuta in un altro Stato membro dell’Unione, che è stata attestata da un certificato di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di loro, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino, di rifiutare il rilascio di un certificato di nascita bulgaro con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 2. Se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE e l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati nel senso che la salvaguardia dell’identità nazionale e dell’identità costituzionale degli Stati membri dell’Unione significa che questi ultimi dispongono di un’ampia discrezionalità con riferimento alle disposizioni per l’accertamento della filiazione. In particolare: -se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE debba essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di richiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino; -se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE in combinato disposto con l’articolo 7 e l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta debba essere interpretato nel senso che è imprescindibile ponderare, da una parte, l’identità nazionale e l’identità costituzionale di uno Stato membro e, dall’altra, l’interesse superiore del bambino nell’intento di bilanciare gli interessi, tenuto conto del fatto che attualmente non sussiste un consenso né dal punto di vista dei valori né da quello giuridico sulla possibilità di far registrare come genitori in un certificato di nascita persone dello stesso sesso, senza precisare ulteriormente se uno di loro, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. In caso di risposta positiva a tale domanda, come si possa realizzare concretamente detto bilanciamento di interessi. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 3. Se le conseguenze giuridiche della Brexit siano rilevanti per la risposta alla prima questione in quanto una delle madri, che è indicata nel certificato di nascita rilasciato in un altro Stato membro, è cittadina del regno Unito, l’altra madre è cittadina di uno Stato membro dell’Unione, se si considera in particolare che il rifiuto di rilasciare un certificato di nascita bulgaro del bambino rappresenta un ostacolo per il rilascio di un certificato di identità del bambino da parte di uno Stato membro dell’Unione e, di conseguenza, rende eventualmente più difficile il pieno esercizio dei suoi diritti come cittadino dell’Unione. 4. Se, in caso di risposta affermativa alla prima questione, il diritto dell’Unione, in particolare il principio di effettività, obblighi le competenti autorità nazionali a discostarsi dal modello per la redazione di un certificato di nascita, che è parte costitutiva del diritto nazionale vigente. esposizione dei fatti di causa 2. La questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale amministrativo Bulgaro riguarda la conformità agli artt. 20 e 21 TFUE nonché agli artt. 7, 24 e 45 della Carta di Nizza della legislazione Bulgara, che preclude il rilascio, da parte del Comune di Sofia, di un certificato di nascita di un minore, nato in Spagna nel 2019 ed ivi soggiornante, dal quale risultino come madri due persone dello stesso sesso, una cittadina bulgara, anch’essa soggiornante in Spagna, e una cittadina britannica che hanno contratto matrimonio nel regno Unito. 3. Nel certificato di nascita rilasciato in Spagna, risultano, quali genitori, due persone di sesso femminile: la cittadina bulgara, designata come "madre A", e la cittadina del regno Unito, indicata come "madre". 4. La cittadina bulgara ricorrente ha richiesto alle competenti autorità bulgare il rilascio di un certificato di nascita del minore, sulla base dell'estratto del certificato di nascita di cui sopra. 5. Il Comune di Sofia, competente per la registrazione, ha assegnato alla ricorrente un termine per la presentazione delle prove della discendenza genetica del bambino rispetto alla sua madre biologica. 6. Tale informazione non è stata fornita in quanto, ad avviso della ricorrente, non vi è obbligo in tal senso alla luce della pertinente normativa vigente in Bulgaria. 7. Conseguentemente, il Comune di Sofia ha rifiutato di redigere il certificato di nascita. 8. La legislazione bulgara prevede, come quella italiana, che si considera madre chi ha partorito il nato; entrambe le normative non prevedono il matrimonio tra persone dello stesso sesso (quella bulgara non contempla nemmeno forme di unione civile da cui derivino effetti giuridici) e, analogamente, non prevedono il riconoscimento di una filiazione da parte di persone dello stesso sesso. 9. Contro il rifiuto di rilasciare il certificato di nascita recante l’indica CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE zione di due madri è stato presentato ricorso al tribunale amministrativo al fine di ottenere un ordine a carico del Comune di Sofia di redigere detto certificato. 10. Le ragioni dell'amministrazione si basano sul fatto che non sussistono dati sufficienti sulla discendenza del bambino in relazione alla madre biologica e che la legislazione bulgara vigente non consente la registrazione di due genitori entrambi di sesso femminile (o entrambi di sesso maschile) nel certificato di nascita di un bambino, atteso che in Bulgaria è attualmente inammissibile il matrimonio tra persone dello stesso sesso, per cui non è neppure possibile registrare due genitori dello stesso sesso nell'atto di nascita, in quanto ciò contrasterebbe con l'ordine pubblico. 11. Secondo la parte ricorrente, invece, in base alle norme di diritto internazionale privato vigenti in Bulgaria e in base alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia, in questo caso, non potrebbe essere sollevato il limite dell'ordine pubblico. 12. Inoltre la decisione impugnata costituirebbe un'interferenza illecita nella vita privata della richiedente, così come nel diritto, suo e della cittadina britannica, alla vita privata e familiare, nella misura in cui è stata richiesta una prova sulla discendenza biologica del figlio. normativa dell’unione. 13. L’art. 20 del TFUE istituisce la cittadinanza dell’Unione e stabilisce che “è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”. 14. L’art. 21 del TFUE prevede che “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi”. 15. Ai sensi dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, c.d. Carta di Nizza, “ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”. 16. L’art. 9 della Carta di Nizza dispone che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio” (enfasi aggiunta). 17. L’art. 24 della Carta di Nizza sui diritti del bambino prevede che “1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3. ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 18. A norma dell’art. 45 della Carta di Nizza, recante libertà di circolazione e di soggiorno, “1. ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. 2. La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro”. 19. L’art. 4, paragrafo 2 del TUE stabilisce che “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro” (enfasi aggiunta). risposta al primo quesito 20. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia di chiarire se gli articoli 20 (cittadinanza dell’Unione) e 21 (diritto di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri) TFUE e gli articoli 7 (rispetto della vita privata e familiare), 24 (diritti del fanciullo) e 45 (libertà di circolazione e stabilimento) della Carta dei diritti fondamentali impediscano alle autorità amministrative bulgare di rifiutare il rilascio del certificato di nascita di un bambino nato in un altro Stato membro dell'Unione, per il quale le autorità di questo Stato hanno registrato due madri, senza precisare quale delle due sia la madre biologica, adducendo (le autorità bulgare) quale motivo ostativo la mancata indicazione, da parte della richiedente, della madre biologica. 21. Il giudice del rinvio ritiene che il caso ricada nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione in quanto il minore è figlio di un cittadino del- l'Unione che soggiorna legalmente nel territorio di un altro Stato membro ed ha quindi anche motivo di invocare il diritto alla libera circolazione. 22. Il rifiuto di rilasciare un certificato di nascita, necessario per ottenere un documento di identità, influirebbe sull'esercizio di tale diritto. 23. Le ragioni del rifiuto si fondano nella concezione della famiglia tradizionale, radicata nella Costituzione bulgara, e che trova espressione nel codice del diritto di famiglia, che prevede che la madre del bambino sia la donna che lo ha partorito, anche nel caso di "procreazione artificiale". 24. La legge nazionale, coerentemente con tale impostazione, prevede che l'ufficiale di stato civile deve redigere l'atto di nascita inserendo alcuni dati tra i quali la "discendenza accertata". A tal fine, vengono predisposti, dalle competenti autorità, modelli di atti dello stato civile che impongono, senza possibilità di operare una scelta diversa, di indicare la "madre" e il "padre", sicché in questo caso non sarebbe tecnicamente possibile rilasciare il certificato. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 25. Tuttavia, il giudice si interroga sulla proporzionalità dell'impatto di questo rifiuto sull'interesse del minore all'esercizio dei suoi diritti di cittadino europeo. Sul punto il giudice rileva che "questo rifiuto non ha alcun effetto giuridico sulla cittadinanza bulgara del bambino". 26. Il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa al primo quesito. 27. Si reputa infatti che l’articolo 20 TFUE e l’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati nel senso che non ostino al rifiuto da parte delle autorità amministrative bulgare -presso le quali è stata presentata una domanda di certificazione della nascita di un bambino con nazionalità bulgara avvenuta in un altro Stato membro dell’Unione, che è stata attestata da un certificato di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di loro, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino -di rilasciare un certificato di nascita bulgaro con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 28. La questione posta dal tribunale del rinvio, come chiarito dallo stesso, non risulta essere stata ancora affrontata, nei medesimi e peculiari termini, dalla Corte di giustizia. 29. Essa essenzialmente verte sulla possibilità di affermare l'esistenza di un diritto ad ottenere la registrazione di un atto di nascita di un minore recante l’indicazione di due madri, tacendo sulle circostanze che hanno portato alla sua nascita e, in particolare, all'esistenza di un legame biologico o quantomeno "intenzionale", nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita o anche di maternità surrogata (non essendo specificato, come dato atto dal giudice bulgaro, se sia stato fatto ricorso a tale pratica), tra le persone che si dichiarano genitori e il nato. 30. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte EDU, pur riconoscendo alla coppia omosessuale il diritto al rispetto della vita privata, anche familiare, ed includendo in tale nozione anche il diritto al rispetto della decisione di diventare genitore e del modo di diventarlo (cfr. Corte EDU, 16 gennaio 2018, Nedescu c. romania; 27 agosto 2015, Parrillo c. Italia; 28 agosto 2012, Costa e Pavan c. Italia), ha escluso la possibilità di ravvisare un trattamento discriminatorio nella legge nazionale che attribuisca alla procreazione medicalmente assistita finalità esclusivamente terapeutiche, riservando alle coppie eterosessuali sterili il ricorso alle relative tecniche (cfr. Corte EDU, sent. 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia), ed ha riconosciuto che in tale materia gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento, soprattutto con riguardo a quei profili in relazione ai quali non si riscontra un generale consenso a livello Europeo (cfr. Corte EDU, sent. 3 novembre 2011, S.H. c. austria). 31. Quanto poi all'interesse del minore, la Corte EDU, pur osservando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione è destinato inevita rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 bilmente ad incidere sulla vita familiare del minore, ha escluso la configurabilità di una violazione del diritto al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la possibilità di condurre un'esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie (cfr. Corte EDU, sent. 26 giugno 2014, mennesson e Labassee c. Francia). 32. Tali principi non sembrano essere stati contraddetti dal recente parere della Grande Camera della Corte EDU del 10 aprile 2019. 33. Invero, al di là del valore giuridico non vincolante del suddetto parere ai sensi del Protocollo 16, soprattutto per paesi come la Bulgaria e l’Italia che non lo ha ratificato, non pare che lo stesso abbia una portata innovativa rispetto alla precedente giurisprudenza in materia della stessa Corte. 34. Non sembra, in particolare, che la Corte EDU abbia ridotto il margine di apprezzamento riservato agli Stati contraenti, essendosi limitata ad argomentare ulteriormente in ordine al rapporto tra l'articolo 8 CEDU e il superiore interesse del minore ribadendo, come già detto nella sentenza del 26 giugno 2014 resa sui casi menesson e Labassée c. Francia, che gli Stati contraenti non sono tenuti a riconoscere un rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione, ma a prevedere una via legale effettivamente percorribile, alternativa al riconoscimento dell'atto di nascita, nell'ambito della quale possa essere valutato in concreto ed anche a distanza di tempo rispetto alla nascita, se tale legame meriti di essere riconosciuto nel superiore interesse del minore. 35. La Corte EDU ricorda, in tale occasione, che il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore committente di maternità surrogata non sempre può essere considerato di per sé nell'interesse del minore e richiama espressamente il caso Paradiso e Campanelli c. Italia (sentenza della Grande Camera del 24 gennaio 2017). 36. Non pare pertanto potersi ricavare dal citato parere un effettivo ribaltamento dei principi enunciati nei casi menesson e Labassée quanto ai margini di apprezzamento degli Stati contraenti e quanto alla conformità all'articolo 8 della Convenzione del rifiuto di riconoscere e trascrivere l'atto di nascita con riferimento alla filiazione tra genitore non biologico e minore. risposta al secondo quesito 37. Con il secondo quesito, il giudice del rinvio chiede se l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali (diritto a contrarre matrimonio e a costituire una famiglia) e l'articolo 4, paragrafo 2 TUE (rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri), consentano agli Stati membri di chiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino e se si debbano bilanciare, da un lato, l'identità nazionale e costituzionale dello Stato membro e, dall'altro, l'interesse superiore del minore considerando che in Bulgaria non vi è, al momento, una visione valoriale o giuridica condivisa in ordine alla possibilità stessa di registrare come genitori due persone dello stesso sesso, e senza che sia precisato se una di loro, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 38. In caso di risposta positiva a tale domanda il giudice chiede alla Corte di indicare i criteri in base ai quali condurre, in concreto, questo bilanciamento di interessi. 39. Il Governo italiano ritiene di rispondere positivamente al quesito. 40. Come si è visto, l’art. 9 della Carta di Nizza rinvia alle legislazioni nazionali per la disciplina del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. 41. Dal canto suo, l’art. 4, paragrafo 2 TUE sancisce il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale. 42. In tale contesto, non può che sostenersi un’interpretazione delle citate norme unionali che salvaguardi il margine di apprezzamento riservato agli Stati membri in una materia eticamente sensibile quale quella oggetto del giudizio, nel rispetto dei valori costituzionali di ciascuno di essi. 43. Al riguardo, con la sentenza n. 221 del 2019, pronunciata proprio in un caso di filiazione da parte di una coppia omosessuale di sesso femminile, la Corte costituzionale italiana ha affermato la conformità al dettato costituzionale della legge n. 40/2004 nella parte in cui non consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie formate da due persone di sesso femminile. 44. In proposito, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza, ha affermato che l'infertilità "fisiologica" della coppia omosessuale non è affatto omologabile all'infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l'infertilità "fisiologica" della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. Si tratta di fenomeni chiaramente e ontologicamente distinti. L'esclusione dalla procreazione medicalmente assistita delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull'orientamento sessuale. 45. In questo senso, ricorda detta sentenza, si è, del resto, specificamente espressa anche la Corte europea dei diritti dell'uomo. Essa ha affermato, infatti, che una legge nazionale che riservi l'inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU: ciò, proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia). 46. Quanto al superiore interesse del minore, la Corte Costituzionale, nella citata sentenza, ha chiarito che di certo, non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 47. In questa prospettiva, l'idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae -due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile -rappresenti, in linea di principio, il "luogo" più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale. E ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch'esse, all'occorrenza, le funzioni genitoriali. 48. Nell'esigere, in particolare, per l'accesso alla procreazione medicalmente assistita la diversità di sesso dei componenti della coppia -condizione peraltro chiaramente presupposta dalla disciplina costituzionale della famiglia -il legislatore ha tenuto conto, d'altronde, anche del grado di accettazione del fenomeno della cosiddetta “omogenitorialità” nell'ambito della comunità sociale, ritenendo che, all'epoca del varo della legge, non potesse registrarsi un sufficiente consenso sul punto. 49. In proposito, va evidenziato che l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita costituisce un prius rispetto alla trascrivibilità di un atto di nascita di altro Stato membro o di paese terzo recante l’indicazione di due madri o di due padri, che costituisce un posterius. 50. Al riguardo, la Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 230 del 2020 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili e del D.P.r. n. 396 del 2000 sul- l’ordinamento dello Stato civile nella parte in cui non consentono l’indicazione nell’atto di nascita di un minore di due madri, di cui una biologica e l’altra “intenzionale”. 51. La Corte costituzionale, pur avendo posto in risalto la libertà e la volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori, ha riconosciuto che tale valore dev'essere bilanciato con altri valori costituzionalmente protetti, soprattutto quando, come nella specie, si discuta della scelta di ricorrere a tecniche che, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale. 52. Precisato inoltre che la possibilità, dischiusa dai progressi scientifici e tecnologici, di una scissione tra atto sessuale e procreazione, mediata dal- l'intervento del medico, pone il problema di stabilire se il desiderio di avere un figlio tramite l'uso delle tecnologie meriti di essere soddisfatto sempre e comunque, ovvero se sia giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate, soprattutto in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del nato, si ritiene che il compito di ponderare gli interessi in gioco e di trovare un equilibrio tra le diverse istanze, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi all’interno del tessuto sociale nel singolo momento storico, spetti in via primaria al legislatore di ciascuno stato membro, quale interprete della collettività nazionale. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 53. Alla luce di tali principi, si reputa quindi che legittimamente uno Stato membro possa richiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino. 54. Nel caso di specie, considerando che la legge bulgara considera madre colei che partorisce il bambino e che, ciononostante, la ricorrente si è rifiutata di indicare se una delle due madri risultanti dal certificato di nascita spagnolo sia la madre biologica del bambino e, in caso positivo, chi sia delle due, è possibile ipotizzare che la coppia abbia potuto far ricorso alla maternità surrogata, fatto che può essere valutato da ciascuno Stato membro ai fini della compatibilità con i principi di ordine pubblico. 55. Come detto, lo stesso giudice del rinvio afferma che non vi sono elementi agli atti per escludere che la coppia abbia fatto ricorso alla surrogazione di maternità, che in diversi Stati membri è vietata (in Italia è sanzionata penalmente, il che comporta in sé una valutazione da parte del legislatore nazionale tale da determinarne la contrarietà all’ordine pubblico). 56. La stessa Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 272 del 2017 ha espresso una valutazione di elevato disvalore di tale pratica, ritenuta tale da “offendere in modo intollerabile la dignità della donna e da minare nel profondo le relazioni umane”. 57. Anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione italiana (sentenza n. 12193/19) si sono occupate di vicenda analoga a quella oggetto del giudizio a quo (in quel caso si trattava di una coppia omosessuale maschile) e hanno ritenuto che, per stabilire quale sia in concreto il contenuto della nozione di ordine pubblico occorra prendere in considerazione sia i principi fondamentali dalla Carta costituzionale, sia quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, oltre che il modo in cui essi "si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti", e della interpretazione fornita dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria. 58. Costituisce "ordine pubblico" quell'insieme dei valori fondanti di un ordinamento in un determinato momento storico. 59. Secondo le Sezioni Unite, per verificare se contrasta con l'ordine pubblico il riconoscimento di un atto di nascita, formato all'estero, che sancisce un rapporto di filiazione tra un minore e un adulto che non ha con lui alcun legame biologico, a seguito di ricorso a surrogazione di maternità, occorre considerare che tale pratica è tra quelle espressamente vietate, in Italia, dalla legge n. 40/2004 e occorre chiedersi se questo divieto esprima uno dei valori fondanti dell'ordinamento interno. 60. Le Sezioni Unite, nella richiamata sentenza, rispondono positivamente a tale interrogativo, rilevando che la sanzione penale contro la pratica della maternità surrogata esprime la volontà del legislatore di contribuire alla tutela concreta di beni fondamentali come quello della "dignità umana" della gestante, e del sistema legale di adozione dei minori, governato da regole rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 particolari poste a tutela di tutti gli interessati e principalmente dei minori stessi. 61. Si tratta quindi di scelta che è il portato di un principio di ordine pubblico in forza del quale l'ordinamento nazionale pone un divieto all'ingresso di norme e provvedimenti stranieri che siano con esso contrastanti, a protezione della coerenza interna del sistema giuridico. 62. Questa nozione di ordine pubblico, secondo le Sezioni Unite, quindi, "non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili". 63. Il divieto di maternità surrogata, in assenza del quale il descritto assetto di tutela di interessi fondamentali verrebbe messo nel nulla da un mero accordo tra privati, non può pertanto ritenersi irragionevole, né contrastante con l'interesse superiore del minore, tutelato dall'articolo 3 della Convenzione di New york. 64. Tale orientamento, che ha negato la trascrivibilità di un atto di nascita recante come genitori due persone dello stesso sesso è stato da ultimo recepito dalla Corte di Cassazione italiana anche con riguardo alla filiazione di una coppia omosessuale di sesso femminile che non aveva fatto ricorso alla surrogazione di maternità (Cass. n. 8029 del 2020). 65. In tale sentenza la Corte di cassazione ha osservato che le sentenze n. 162 del 2014 e n. 96 del 2015 della Corte costituzionale, pur avendo comportato un ampliamento del novero dei soggetti abilitati ad accedere alla procreazione medicalmente assistita, hanno lasciato inalterate le coordinate di fondo della predetta legge, costituite dalla configurazione di tali tecniche come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimuovibile e dall'intento di garantire che il nucleo familiare scaturente dalla loro applicazione riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre. 66. Premesso che l'ammissione delle coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita richiederebbe la sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale, delle linee guida della relativa disciplina, ha rilevato che quest'ultima non presenta alcuna incongruenza interna, non essendo l'infertilità fisiologica della coppia omosessuale omologabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive. Pur confermando che nella nozione di formazione sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, rientra anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone del medesimo sesso, ha ricordato che, come già affermato nella citata sentenza n. 162 del 2014, la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli, ribadendo che il riconoscimento della libertà e volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori di sicuro non implica che tale libertà possa esplicarsi senza limiti. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 67. Alla luce di tali principi sembra dover essere concretamente realizzato il bilanciamento degli interessi in gioco. risposta al terzo quesito 68. Con il terzo quesito il giudice del rinvio chiede alla Corte se abbia rilevanza, nel caso concreto, il fatto che una delle madri registrate nel certificato formato in Spagna, abbia la cittadinanza del regno Unito e se pertanto il rifiuto di rilascio di un certificato di nascita da parte delle autorità bulgare costituisca un ostacolo al pieno esercizio dei diritti del bambino come cittadino del- l'Unione. 69. Il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa al quesito. 70. Invero, da quanto affermato dallo stesso giudice del rinvio pregiudiziale, il bambino acquisisce la cittadinanza bulgara in virtù dell’articolo 25, paragrafo 1 della Costituzione della repubblica di Bulgaria: è cittadino bulgaro chiunque abbia almeno un genitore di cittadinanza bulgara. Il mancato rilascio di un certificato di nascita bulgaro non integra un rifiuto della cittadinanza bulgara. Il figlio minorenne è per legge cittadino bulgaro, indipendentemente dal fatto che non gli sia stato rilasciato al momento alcun certificato di nascita bulgaro (punto 33 dell’ordinanza di rinvio). 71. Alla luce di tale precisazione del giudice nazionale, pare evidente l’irrilevanza del fatto che l’altra madre indicata nell’atto di nascita sia una cittadina britannica e che, per effetto della Brexit, la stessa non sia più una cittadina dell’Unione. 72. La cittadinanza dell’Unione del minore, derivante dalla cittadinanza bulgara della madre ricorrente comporta che nessuna violazione degli articoli 20 e 21 TFUE e degli articoli 7, 24 e 45 della Carta di Nizza possa ritenersi integrata nella fattispecie, come è confermato dal fatto che il minore sta legittimamente soggiornando in uno Stato membro (la Spagna) senza alcuna limitazione del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione. risposta al quarto quesito 73. Con il quarto quesito il giudice bulgaro chiede alla Corte se, in caso di risposta affermativa al primo quesito, il principio di effettività, imponga alle competenti autorità nazionali di discostarsi dal modello per la redazione di un certificato di nascita, che è parte costitutiva del diritto nazionale vigente. 74. Avendo risposto negativamente al primo quesito, il Governo italiano non ritiene di dover rispondere al quarto quesito. Conclusioni 75. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di rispondere negativamente al primo quesito, affermando che l’articolo 20 TFUE e l’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali del- l’Unione europea debbano essere interpretati nel senso che non ostino al rifiuto da parte delle autorità amministrative bulgare -presso le quali è stata presen rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 tata una domanda di certificazione della nascita di un bambino con nazionalità bulgara avvenuta in un altro Stato membro dell’Unione, che è stata attestata da un certificato di nascita spagnolo, nel quale due persone di sesso femminile sono registrate come madri, senza precisare ulteriormente se una di loro, e in caso affermativo quale, sia la madre biologica del bambino -di rilasciare un certificato di nascita bulgaro con la motivazione che la ricorrente si rifiuta di indicare chi è la madre biologica del bambino. 76. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di rispondere positivamente al secondo quesito, affermando che l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali e l'articolo 4, paragrafo 2 TUE consentono agli Stati membri di chiedere informazioni sulla discendenza biologica del bambino e di bilanciare, da un lato, l'identità nazionale e costituzionale dello Stato membro e, dall'altro, l'interesse superiore del minore, considerando che in Bulgaria non vi è, al momento, una visione valoriale o giuridica condivisa in ordine alla possibilità di registrare come genitori due persone dello stesso sesso, e senza che sia precisato se una di loro, e in caso affermativo quale, sia il genitore biologico del bambino. 77. Il Governo italiano propone infine alla Corte di rispondere negativamente al terzo quesito, affermando che le conseguenze giuridiche della Brexit sono irrilevanti per la risposta al primo quesito, atteso che la cittadinanza dell’Unione del minore, derivante dalla cittadinanza bulgara della madre ricorrente, garantisce allo stesso il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. 78. Avendo fornito risposta negativa al primo quesito, il Governo italiano non ritiene di dover rispondere al quarto quesito. roma, 30 novembre 2020 Wally Ferrante Avvocato dello Stato CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE in tema di protezione internazionale e ricongiungimento familiare (CorTE DI GIUSTIZIa DELL’UNIoNE EUroPEa, oSSErVaZIoNI DEL GoVErNo ITaLIaNo IN CaUSa C-279/20, PromoSSa CoN orDINaNZa DEL 26 GIUGNo 2020 DaL BUNDESVErwaLTUNGSGErICHT - GErmaNIa) 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: 1. Se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, debba essere interpretato nel senso che il figlio di un soggiornante avente lo status di rifugiato è un minorenne ai sensi di tale disposizione anche se, pur essendo minorenne quando il soggiornante ha presentato la sua domanda di asilo, aveva già raggiunto la maggiore età prima che al soggiornante fosse riconosciuto lo status di rifugiato e prima della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. 2. In caso di risposta affermativa alla prima questione: In un caso siffatto quali requisiti debbano soddisfare i vincoli familiari effettivi ai sensi dell’articolo 16, paragrafo l), lettera b), della direttiva 2003/86/CE. a) Se sia sufficiente il rapporto giuridico genitore-figlio od occorra anche un’effettiva vita familiare. b) Qualora occorra anche un’effettiva vita familiare: quale sia l’intensità necessaria a tal fine; se siano sufficienti, ad esempio, visite occasionali o regolari, o se occorra la coabitazione in un’abitazione comune o sia necessaria una comunità fondata sull’aiuto reciproco i cui membri hanno bisogno l’uno dall’altro. c) Se il ricongiungimento del figlio diventato nel frattempo maggiorenne, che si trova ancora nel paese terzo e che ha presentato una domanda di ricongiungimento familiare con un genitore riconosciuto come rifugiato, richieda la previsione che dopo l’ingresso la vita familiare sarà (ri)iniziata nello Stato membro secondo le modalità richieste ai sensi della questione sub 2b). esposizione dei fatti di causa 2. La questione pregiudiziale sollevata dal Giudice tedesco riguarda l’interpretazione dell’art. 4, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare. 3. La fattispecie concerne la richiesta di ricongiungimento di una cittadina siriana, orfana di madre e soggiornante in Turchia da diversi anni, con il padre al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato in Germania. 4. La figlia richiedente era minorenne al momento in cui il rifugiato ha rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 presentato la domanda di asilo ma ha raggiunto la maggiore età prima che a quest’ultimo fosse riconosciuto lo status di rifugiato e quindi anche prima della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. 5. Sulla base della normativa tedesca, la ricorrente non ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare con il padre difettando il requisito della minore età al momento della domanda di ingresso per ricongiungimento. 6. La normativa tedesca, come quella italiana (art. 29, comma 2 d.lgs. n. 286/1998), prevede che, ai fini del ricongiungimento, si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento. 7. La legislazione tedesca prevede anche la possibilità di chiedere il ricongiungimento con figli maggiorenni, ma solo in presenza di "difficoltà eccezionali" che nel caso concreto non emergevano. 8. Il Tribunale amministrativo avanti al quale è stato presentato ricorso, lo ha accolto, ordinando il rilascio del permesso di soggiorno in favore della ricorrente. 9. La decisione è basata sulla ritenuta applicabilità al caso in questione del principio affermato dalla Corte di giustizia con sentenza del 12 aprile 2018, causa C-550/16 secondo cui, nel caso opposto di ricongiungimento familiare dei genitori con un minore non accompagnato al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato, la minore età, nel silenzio della direttiva sul punto, deve essere posseduta al momento di presentazione della domanda di protezione internazionale, essendo fuorviante, e possibile fonte di abusi, prescrivere (come nel caso specifico faceva la legge olandese) che la minore età sussista al momento dell'avvio della procedura di ricongiungimento, e che il sopraggiungere, nel corso del procedimento, della maggiore età, determini la perdita del diritto al ricongiungimento. 10. Nella citata causa C-550/16, la domanda di ricongiungimento era stata presentata da persona entrata in territorio olandese come minore straniero non accompagnato il quale, avendo ottenuto lo status di rifugiato quando era divenuto maggiorenne, aveva esercitato il diritto al ricongiungimento con i genitori e con tre fratelli quando non era più minorenne. 11. Nel giudizio da cui trae origine la presente questione pregiudiziale, il tribunale di primo grado, nel decidere sul ricorso presentato dalla ricorrente, ha ritenuto che il principio affermato dalla Corte di Giustizia nella citata causa C-550/16 abbia, in sostanza, portata generale e debba trovare applicazione anche in caso di richiesta di ricongiungimento da parte del figlio, ormai maggiorenne, con il genitore riconosciuto rifugiato e regolarmente soggiornante nello Stato membro, purché il figlio fosse minorenne al momento della presentazione della domanda di protezione da parte del genitore. 12. L'amministrazione ha presentato ricorso contro tale decisione, conte CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE stando la pertinenza al caso concreto del principio affermato dalla Corte di giustizia con la citata sentenza del 12 aprile 2018, causa C-550/16 e sostenendo la conformità alla direttiva della legislazione tedesca. 13. La Corte amministrativa federale ritiene di non poter statuire sulle domande prima che la Corte di Giustizia abbia risposto ai quesiti contenuti nell'ordinanza di rinvio pregiudiziale. normativa dell’unione. 14. La direttiva 2003/86 fissa le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri. 15. I considerando 2, 4, 6, 8, 9 e 10 della direttiva 2003/86 sono così formulati: 16. “(2) Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a roma il 4 novembre 1950 e dalla Carta dei diritti fondamentali del- l’Unione europea”. 17. “(4) Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato”. 18. “(6) al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare”. 19. “(8) La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare”. 20. “(9) Il ricongiungimento familiare dovrebbe riguardare in ogni caso i membri della famiglia nucleare, cioè il coniuge e i figli minorenni” (enfasi aggiunta). 21. (10) “Dipende dagli Stati membri decidere se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente, figli maggiorenni non coniugati, (…)” (enfasi aggiunta) 22. Ai fini della risposta al primo quesito, si osserva che l’articolo 2 della direttiva 2003/86 così dispone: “ai fini della presente direttiva, si intende per: rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 (…) f) “minore non accompagnato”: il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri”. 23. L’articolo 4, paragrafo 1, lett. c) della direttiva 2003/86 prevede che: “1. In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all'articolo 16, gli Stati membri autorizzano l'ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari: (…) c) i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest'ultimo sia titolare dell'affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l'altro titolare dell'affidamento abbia dato il suo consenso”. 24. La direttiva, quindi, con specifico riferimento al ricongiungimento dei rifugiati, prevede che, in ragione della particolarità di questa categoria di soggetti regolarmente soggiornanti, gli Stati membri dovrebbero favorire il ricongiungimento delle famiglie in generale e, soprattutto, se esse comprendono minori e minori non accompagnati e dovrebbero evitare di imporre, a tal fine, gli stessi requisiti reddituali e le complessive condizioni di integrazione richiesti per qualsiasi altro straniero che non è giunto nel territorio dello Stato membro spinto dalla necessità di fuggire dal proprio Paese di origine. 25. Con riferimento al requisito della minore età, tuttavia, nessuna distinzione viene operata per il ricongiungimento con rifugiati. 26. Particolarmente rilevante è, per rispondere al secondo quesito, stabilire cosa si debba intendere per “vincolo familiare effettivo”. 27. A norma dell’art. 16, paragrafo 1, lettera b): “1. Gli Stati membri possono respingere la domanda d'ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare o, se del caso, ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno di un familiare in uno dei casi seguenti: (…) b) qualora il soggiornante ed il suo familiare o i suoi familiari non abbiano o non abbiano più un vincolo coniugale o familiare effettivo”. risposta al primo quesito 28. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia di chiarire se l'articolo 4, paragrafo 1 lettera c) della direttiva 2003/86/CE debba essere interpretato nel senso che, ai fini del ricongiungimento familiare, il requisito della minore età del figlio di un soggiornante che ha lo status di rifugiato, diventato maggiorenne prima del riconoscimento di detto status al genitore, debba essere valutato alla data di presentazione della domanda di asilo da parte del genitore. 29. Il giudice si interroga, in particolare, sulla trasponibilità dei principi affermati dalla Corte di giustizia con la sentenza del 12 aprile 20118, causa CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE C-550/16 (ritenuta dal giudice di primo grado come indicativa di un criterio interpretativo di portata generale) in considerazione della diversità della fattispecie su cui il giudice rimettente deve giudicare rispetto a quella che ha dato origine alla citata decisione della Corte di giustizia. 30. Nell'ambito della prima questione, si chiede di chiarire anche se il momento rilevante per la valutazione del requisito della minore età nel procedimento di ricongiungimento familiare con il rifugiato, debba essere determinato secondo criteri uniformi secondo il diritto dell'Unione o se possa essere determinato dal legislatore nazionale, considerati i margini di discrezionalità attribuiti agli Stati membri dalla direttiva sul ricongiungimento. 31. Il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa al primo quesito. 32. Si reputa infatti che l’art. 4, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/86/CE debba essere interpretato nel senso che il figlio di un soggiornante avente lo status di rifugiato deve considerarsi un minorenne ai sensi di tale disposizione solo se il requisito della minore età è posseduto non solo quando il genitore soggiornante ha presentato la domanda di asilo o gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato ma anche al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. 33. Nel silenzio della direttiva, si ritiene infatti che, legittimamente il legislatore tedesco, analogamente a quello italiano, abbia ritenuto di poter fissare in autonomia, in ragione della assenza di una specifica indicazione sul punto da parte del legislatore europeo, il momento nel quale il requisito della minore età deve essere posseduto e ha scelto di non attribuire rilevanza alla data di presentazione della domanda di protezione internazionale da parte del soggetto (genitore) che, dopo avere ottenuto lo status di rifugiato, esercita il diritto al ricongiungimento familiare bensì solo al momento di presentazione della domanda di ricongiungimento. 34. Inoltre, il particolare favore espresso dal legislatore dell'Unione nel- l'adozione di norme che agevolano la ricostituzione del nucleo familiare del rifugiato quando comprende un minore, sembra essere connesso alla piena realizzazione del superiore interesse del fanciullo, esigenza che potrebbe non essere ritenuta più preminente quando tale interesse non è ravvisabile e in particolare quando il procedimento di ricongiungimento viene avviato da (o nei confronti di) un figlio maggiorenne di un rifugiato che già da tempo vive autonomamente in un paese terzo, (la Turchia) diverso da quello di origine da cui è fuggito (la Siria). 35. Al riguardo, non sembra possibile estendere al caso di specie i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza del 12 aprile 2018, causa C-550/16 che si è occupata del caso opposto del minore non accompagnato che ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato e della richiesta di ricongiungimento dei suoi genitori in un momento in cui il minore ha nel frattempo raggiunto la maggiore età. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 36. La fattispecie esaminata dalla Corte di giustizia in detto precedente è diversa, sotto molteplici profili, rispetto a quella oggetto del procedimento principale nel presente rinvio pregiudiziale. 37. Deve infatti ritenersi che, in quel caso, la protezione speciale dei minori non accompagnati sia stata determinante per la decisione della Corte. 38. Come si evince infatti dal punto 44 della citata sentenza del 12 aprile 2018, causa C-550/16, “non solo la direttiva 2003/86 persegue, in generale, l’obiettivo di favorire il ricongiungimento familiare e di concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, in particolare ai minori …, ma l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a) della medesima mira nello specifico a garantire una protezione rafforzata a favore dei rifugiati che hanno lo status di minori non accompagnati”. 39. Il citato articolo, 10, paragrafo 3, lettera a) della direttiva 2003/86/CE infatti non prevede alcun margine di discrezionalità per gli Stati membri che sono tenuti ad autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado dei minori rifugiati non accompagnati, senza applicare le condizioni previste dall’art. 4, paragrafo 2, lettera a) della medesima direttiva (ovvero che gli ascendenti diretti di primo grado siano a carico del soggiornante e non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine). 40. Contro l’estensione della citata sentenza del 12 aprile 2018, causa C550/ 16, come correttamente osservato dal giudice del rinvio, si oppone il fatto che l’articolo 4, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2003/86/CE disciplina in generale il ricongiungimento familiare dei figli con cittadini di paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno. Il soggiornante non è quindi necessariamente un rifugiato. Tuttavia, il solo momento ipotizzabile uniformemente, per tutti i casi di specie, ai fini della valutazione della minore età pare essere quello della domanda di ricongiungimento familiare. Che la direttiva consideri tale momento come quello rilevante, per quanto riguarda i limiti di età, sembra essere confermato anche dal regime speciale di cui all’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2003/86/CE. Dalla direttiva non si può desumere esplicitamente che, (solo) ai fini del ricongiungimento familiare con rifugiati, occorra fare riferimento ad un momento diverso, significativamente anteriore (punto 20 dell’ordinanza di rimessione). 41. Tale tesi è peraltro anche sostenuta dall’avvocato generale hogan nelle sue conclusioni del 19 marzo 2020 nelle cause riunite C-133/19, C136/ 19 e C-137/19 (paragrafo 41). 42. Successivamente all’ordinanza di rimessione, è stata depositata la sentenza della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020, cause riunite C-133/19, C136/ 19 e C-137/19 che, in fattispecie del tutto analoghe, ha innanzi tutto premesso che quando l’articolo 4, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2003/86 indica che i figli minorenni devono avere un’età inferiore a quella in CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato, esso non precisa il momento a cui occorre fare riferimento per valutare se tale condizione sia soddisfatta, né opera, a quest’ultimo riguardo, un rinvio al diritto degli Stati membri (punto 28). 43. La Corte di Giustizia precisa, inoltre, nella citata sentenza, che se è vero che, conformemente a detta disposizione, è lasciato alla discrezionalità degli Stati membri il compito di determinare la maggiore età, non può essere loro concesso invece alcun margine di discrezionalità quanto alla fissazione del momento in cui occorre fare riferimento per valutare l’età del richiedente ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c) della direttiva 2003/86 (punto 29). 44. Fatte tali premesse, la Corte ha concluso che l’articolo 4, paragrafo 1, primo comma lettera c) della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che la data a cui occorre fare riferimento per determinare se un cittadino di un paese terzo o un apolide non coniugato sia un figlio minorenne, ai sensi di tale disposizione, è quella in cui è presentata la domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare per i figli minorenni, e non quella in cui le autorità competenti di tale Stato membro statuiscono su tale domanda, eventualmente dopo un ricorso avverso la decisione di rigetto di siffatta domanda (punto 47). 45. I principi ivi affermati ben possono valere anche per la fattispecie in esame. 46. Anche in tal caso, infatti, trattasi di cittadino di un paese terzo che beneficia dello status di rifugiato, che ha presentato la domanda di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare in nome e per conto dei suoi tre figli minorenni, divenuti maggiorenni nelle more del giudizio avverso il diniego del ricongiungimento. 47. In nessun punto della sentenza è stato ipotizzato di anticipare il momento rilevante per stabilire il possesso della minore età a quello di presentazione della domanda di asilo da parte del padre. 48. E ciò per il semplice motivo che il presupposto per presentare una domanda di ricongiungimento familiare è quello di essere titolare di un regolare permesso di soggiorno (che sia di rifugiato o di soggiornante ad altro titolo) che consenta di far valere il diritto all’unità familiare. 49. È evidente quindi che, nel caso del giudizio a quo, la ricorrente, figlia del cittadino di paese terzo al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato, essendo già divenuta maggiorenne prima della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare e addirittura prima che al padre fosse riconosciuto lo status di rifugiato non può giovarsi del requisito della minore età ai fini del ricongiungimento familiare proprio in ossequio al principio affermato dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020, cause riunite C-133/19, C-136/19 e C-137/19. rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 risposta al secondo quesito 50. Con il secondo quesito, il giudice tedesco chiede alla Corte di giustizia, nel caso di risposta positiva alla prima questione, di chiarire quali requisiti devono essere soddisfatti per ritenere che sussiste un vincolo familiare "effettivo" ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2003/86/CE, e in base a quali criteri l'effettività del vincolo debba essere verificato. 51. Il giudice rimettente osserva che il diritto al ricongiungimento familiare è finalizzato a ricostituire un'effettiva vita familiare, per cui un legame puramente formale di parentela non dovrebbe essere sufficiente a garantire tale diritto. 52. Al contempo, risulta difficoltoso stabilire quando un vincolo familiare possa dirsi "effettivo", considerata l'ampiezza del modo con cui tali rapporti si possono declinare, e pertanto il giudice tedesco chiede in che misura possa essere verificata la volontà di stabilire un'effettiva vita familiare tutte le volte che venga chiesto il ricongiungimento con parenti che si trovano in Stati diversi e se sia rilevante, in questa ottica, il fatto che il figlio che chiede il ricongiungimento abbia già raggiunto la maggiore età. 53. Il giudice ritiene possibile operare una presunzione in tal senso tutte le volte che la domanda ha ad oggetto il ricongiungimento con un figlio minore, mentre solleva dubbi sull'applicabilità di una simile presunzione quando il figlio non è più minorenne. 54. La questione dell'effettività dei vincoli sussistenti tra chi chiede il ricongiungimento e le categorie di congiunti per le quali è possibile inoltrare questa richiesta sorge, per quanto emerge dallo stesso art. 16 della direttiva 2003/86/CE, in relazione ai provvedimenti di revoca o rifiuto di rinnovo di un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di ricongiungimento o coesione familiare, oppure in tutti i casi in cui venga revocato il titolo di soggiorno a un cittadino di un paese terzo che abbia, in uno Stato membro, legami familiari. 55. Al riguardo, la fissazione di criteri per valutare l’effettività del vincolo familiare, ai fini di ottenere il ricongiungimento familiare, dovrebbe, in linea generale, prescindere dal dato meramente formale della sola parentela o del solo coniugio. In proposito, si ritiene che, se nel caso di minorenne, deve presumersi sufficiente il rapporto giuridico genitore-figlio, mentre in caso di figlio maggiorenne, occorre accertare un’effettiva vita familiare, intendendosi per tale, se non necessariamente un vincolo fondato sulla coabitazione, quanto meno un legame che presupponga una regolare frequentazione e una condivisione di affetti basati sul reciproco supporto morale e/o materiale. 56. L’effettività del vincolo presuppone inoltre che, dopo il ricongiungimento, la vita familiare sarà riiniziata nello Stato membro con tali modalità. Conclusioni 57. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di rispondere negativa CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE mente al primo quesito, affermando che l’art. 4, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/86/CE debba essere interpretato nel senso che il figlio di un soggiornante avente lo status di rifugiato deve considerarsi un minorenne ai sensi di tale disposizione solo se il requisito della minore età è posseduto non solo quando il genitore soggiornante ha presentato la domanda di asilo o gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato ma anche al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. 58. Nel caso in cui la Corte di giustizia dovesse dare risposta positiva al primo quesito, il Governo italiano propone alla Corte di rispondere al secondo quesito nel senso che, in relazione ai requisiti che debbono soddisfare i vincoli familiari effettivi ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2003/86/CE, in caso di minorenne, deve presumersi sufficiente il rapporto giuridico genitore-figlio mentre in caso di figlio maggiorenne, occorre accertare un’effettiva vita familiare, intendendosi per tale, se non necessariamente un vincolo fondato sulla coabitazione, quanto meno un legame che presupponga una regolare frequentazione e una condivisione di affetti basati sul reciproco supporto morale e/o materiale. L’effettività del vincolo presuppone inoltre che, dopo il ricongiungimento, la vita familiare sarà riiniziata nello Stato membro con tali modalità. roma, 28 novembre 2020 Wally Ferrante Avvocato dello Stato rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 inammissibilità della domanda di protezione internazionale già accolta da altro stato membro e diritto all’unità familiare (CorTE DI GIUSTIZIa DELL’UNIoNE EUroPEa, oSSErVaZIoNI DEL GoVErNo ITaLIaNo IN CaUSa C-483/20, PromoSSa CoN orDINaNZa DEL 29 SETTEmBrE 2020, DaL CoNSEIL D’ÉTaT - BELGIo ) 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale: Se il diritto dell’Unione europea, essenzialmente gli articoli 18 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli articoli 2, 20, 23 e 31 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, e l’articolo 25, paragrafo 6, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, osti a che, nell’attuazione della facoltà conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE, uno Stato membro respinga una domanda di protezione internazionale per inammissibilità a causa di una protezione già accordata da un altro Stato membro, qualora il richiedente sia il padre di un minore non accompagnato che ha ottenuto protezione nel primo Stato membro, sia l’unico genitore della famiglia nucleare presente al suo fianco, viva con lui e detto Stato membro gli abbia riconosciuto la potestà genitoriale sul minore. Se i principi di unità del nucleo e di rispetto dell’interesse superiore del minore non impongano, al contrario, che lo Stato in cui il figlio ha ottenuto protezione riconosca una protezione a tale genitore. esposizione dei fatti di causa 2. La questione pregiudiziale sollevata dal Giudice belga trae origine dal ricorso di un cittadino siriano che ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in Austria e che chiede la protezione internazionale anche in Belgio dove le sue due figlie, di cui una minorenne, hanno ottenuto il riconoscimento della protezione sussidiaria, alla luce del principio dell’unità del nucleo familiare e del rispetto dell’interesse superiore del minore. 3. La competente autorità belga ha dichiarato inammissibile la domanda, in base all'articolo 57/6, paragrafo 3 e punto 3, della legge nazionale in materia di "accesso al territorio, stabilimento, soggiorno e allontanamento degli stranieri". 4. La legislazione belga, infatti, analogamente a quella italiana (art. 29, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 25/2008), ha recepito l’art. 33, par. 2, lett. a) CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE della direttiva 2013/32/UE/ prevedendo che la Commissione territoriale dichiari inammissibile la domanda e non proceda all’esame qualora il richiedente sia stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione. 5. Il Consiglio per il contenzioso degli stranieri ha successivamente rigettato il ricorso contro la declaratoria di inammissibilità e tale decisione è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato che ha ritenuto di non poter decidere la controversia senza prima investire la Corte di giustizia del quesito posto con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale. normativa dell’unione 6. L’art. 18 della Carta di Nizza sancisce che il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del T.U.E. e del T.F.U.E. 7. L’art. 24 della Carta di Nizza sui “diritti del minore” prevede che: “1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. [ …] 2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. 3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. 8. L’art. 20 della direttiva 2011/95/UE (c.d. direttiva qualifiche), nel dettare disposizioni generali sul contenuto della protezione internazionale, prevede, al comma 5, che “5. L'interesse superiore del minore è la principale considerazione degli Stati membri quando attuano le disposizioni del presente capo che coinvolgono i minori”. 9. L’art. 23 della predetta direttiva, recante “mantenimento dell'unità del nucleo familiare” dispone: “1. Gli Stati membri provvedono a che possa essere preservata l'unità del nucleo familiare. 2. Gli Stati membri provvedono a che i familiari del beneficiario di protezione internazionale, che individualmente non hanno diritto a tale protezione, siano ammessi ai benefici di cui agli articoli da 24 a 35, in conformità delle procedure nazionali e nella misura in cui ciò sia compatibile con lo status giuridico personale del familiare. 3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano quando il familiare è o sarebbe escluso dalla protezione internazionale in base ai capi III e V. 4. Nonostante i paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono rifiutare, ridurre o revocare i benefici ivi menzionati, per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. 5. Gli Stati membri possono decidere che il presente articolo si applica anche agli altri congiunti che vivevano nel nucleo familiare al momento della partenza dal paese d'origine e che in quel momento erano completamente o principalmente a carico del beneficiario di protezione internazionale” (enfasi aggiunta). 10. L’art. 31 della predetta direttiva, recante “minori non accompagnati”, rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 al comma 5, stabilisce che: “5. Se a un minore non accompagnato è concessa la protezione internazionale e la ricerca dei suoi familiari non è ancora stata avviata, gli Stati membri procedono a rintracciarli quanto prima a seguito del riconoscimento della protezione internazionale, tutelando l'interesse superiore del minore non accompagnato. Se la ricerca è già stata avviata, gli Stati membri ove opportuno continuano la procedura di ricerca. […]”. 11. L’art. 25, paragrafo 6 della direttiva 2013/32/UE (c.d. direttiva procedure), recante “Garanzie per i minori non accompagnati”, stabilisce che: “6. L'interesse superiore del minore costituisce un criterio fondamentale nel- l'attuazione, da parte degli Stati membri, della presente direttiva. […]”. 12. L’art. 33 della predetta direttiva la cui rubrica recita “Domande inammissibili”, prevede che: “1. oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento (UE) n. 604/2013, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE, qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo. 2. Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se: a) un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale; […]” (enfasi aggiunta). risposta al quesito 13. Con l’unico quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia di chiarire se gli articoli 18 e 24 della Carta di Nizza, gli articoli 2, 20, 23 e 31 della direttiva 2011/95/UE (c.d. direttiva qualifiche) e l’articolo 25, par. 6 della direttiva 2013/32/UE (c.d. direttiva procedure) ostino, nell’attuazione della facoltà conferita dall’art. 33, par. 2, lett. a) della direttiva procedure, ad una legislazione, quale quella belga, che consente di dichiarare inammissibile una domanda di protezione internazionale in quanto già ottenuta in altro Stato membro, nella specie l’Austria. 14. Ciò qualora, come accaduto nella causa principale, il richiedente sia padre di un minore non accompagnato che ha ottenuto protezione nello Stato membro davanti al quale viene presentata la nuova domanda di protezione, sia l'unico genitore della famiglia nucleare presente e conviva con detto minore. 15. Come emerge dall'ordinanza di rinvio, il ricorrente premette che l'articolo 33, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2013/32/UE si limita a conferire agli Stati membri una mera facoltà di dichiarare inammissibile una (seconda) domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente che ha già ottenuto lo status da altro Stato membro. 16. Secondo il ricorrente, tale disposizione non sarebbe stata correttamente trasposta e interpretata dal legislatore del Belgio. 17. La scelta del legislatore belga di non consentire, in un caso come quello oggetto della causa principale, l'esame nel merito di una domanda di protezione internazionale, il cui scopo sarebbe quello di permettere al richie CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE dente di ricongiungersi in Belgio con un figlio minore che lì risiede regolarmente in quanto titolare di status di protezione sussidiaria, sarebbe in contrasto con il diritto dell'Unione in materia di protezione internazionale, con la Convenzione di Ginevra e con la Convenzione sui diritti dell'infanzia. 18. Il Governo italiano non condivide tale assunto e ritiene di dare risposta negativa al quesito. 19. Si reputa infatti che il citato l’art. 33 della c.d. direttiva procedure non possa essere interpretato nel senso di imporre agli Stati membri di esaminare nel merito una domanda di protezione internazionale, già accolta in un altro Stato membro, allo scopo non già di accordare una protezione contro il rischio di refoulement bensì di assicurare il diritto all’unità familiare e di tutelare il superiore interesse del minore. 20. Ciò non solo alla luce del chiaro tenore letterale della disposizione citata “Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se …” ma anche perché le eventuali esigenze di ricongiungimento familiare del rifugiato o del minore titolare di protezione sussidiaria possono essere garantite dagli articoli 23 e 31 della direttiva qualifiche, rispettivamente dedicati alla tutela dell’unità familiare e alla tutela del minore straniero non accompagnato. 21. L'articolo 33 della direttiva 2013/33/ UE pone precisi limiti agli Stati membri in ordine alla possibilità di dichiarare inammissibile, ossia senza esame di merito, una domanda di protezione internazionale. 22. Uno di questi casi (paragrafo 2, lettera a) ricorre quando il richiedente ha già presentato analoga domanda in altro Stato membro, ottenendo il riconoscimento del relativo status. 23. La previsione è conforme al "considerando" n. 43 secondo cui: “Gli Stati membri dovrebbero esaminare tutte le domande nel merito, valutare cioè se al richiedente di cui trattasi è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/ UE, salvo se altrimenti previsto dalla presente direttiva, in particolare se si può ragionevolmente presumere che un altro paese proceda all'esame o fornisca sufficiente protezione. In particolare, gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a valutare il merito della domanda di protezione internazionale se il paese di primo asilo ha concesso al richiedente lo status di rifugiato o ha altrimenti concesso sufficiente protezione e il richiedente sarà riammesso in detto paese” (enfasi aggiunta). 24. Scopo di questa previsione è, evidentemente, quello di conciliare interessi potenzialmente confliggenti quali, da un lato, il rispetto dei diritti fondamentali del richiedente e la sua effettiva condizione di sicurezza (in caso di ottenimento di uno status da parte di altro Stato membro vi è una presunzione di protezione contro l'espulsione), dall’altro, la discrezionalità che ciascuno Stato membro deve poter esercitare in relazione a una domanda di protezione rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 internazionale, potendo sussistere interessi propri dello Stato a valutarla nuovamente ed accoglierla, ovvero potendo prevalere l’intento di perseguire uno degli scopi fondamentali del Common European asylum System, quale quello di scoraggiare i cosiddetti movimenti interni, ossia gli spostamenti non autorizzati (e non necessari) dei cittadini di Paesi terzi finalizzati alla ricerca, secondo mere ragioni di convenienza, dello Stato membro in cui si reputa più conveniente stabilirsi o richiedere protezione. 25. Del resto, come si è visto, l’art. 23 della direttiva c.d. qualifiche prevede espressamente che gli Stati membri provvedono a che i familiari del beneficiario di protezione internazionale siano ammessi ai benefici di cui agli articoli da 24 a 35, quali il rilascio di un permesso di soggiorno (art. 24) e di documenti di viaggio (art. 25), l’accesso all’occupazione (art. 26) e all’istruzione (art. 27), l’assistenza sociale (art. 29) e sanitaria (art. 30), l’accesso all’alloggio (art. 32), la libera circolazione nel territorio dello Stato membro (art. 33) e l’accesso agli strumenti di integrazione (art. 34). 26. Pertanto, come correttamente messo in luce nell’ordinanza di rimessione, il principio dell’unità del nucleo familiare non mira a garantire ai familiari del beneficiario di una protezione internazionale la concessione di uno status derivato ma a consentire loro di usufruire dei vantaggi previsti dai predetti articoli da 24 a 35 della direttiva c.d. qualifiche. 27. Non è pertanto configurabile alcuna compromissione del superiore interesse del minore posto che il genitore dello stesso, pur non potendo ottenere lo status di rifugiato già riconosciuto in altro Stato membro, potrà comunque ottenere un permesso di soggiorno nello Stato in cui la figlia minore ha ottenuto la protezione sussidiaria, potrà vivere con la stessa, avere accesso al lavoro, alla protezione sociale e sanitaria, all’alloggio e ad ogni altro beneficio espressamente esteso ai familiari del titolare di protezione internazionale dai citati articoli da 24 a 35 della direttiva qualifiche. 28. Come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 4 ottobre 2018, causa C-652/16, ahmedbekova, punto 68, la direttiva 2011/95/UE non prevede un’estensione dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria ai familiari della persona alla quale tale status è concesso. Infatti, dal- l’articolo 23 di tale direttiva deriva che quest’ultima si limita a imporre agli Stati membri di adattare il loro diritto nazionale in modo tale che i familiari del beneficiario di un siffatto status, se non soddisfano individualmente le condizioni per il riconoscimento del medesimo status, possano aver diritto a taluni vantaggi, che comprendono in particolare il rilascio di un titolo di soggiorno, l’accesso al lavoro o all’istruzione e che hanno ad oggetto il mantenimento dell’unità del nucleo familiare. 29. Una diversa interpretazione imporrebbe allo Stato membro un onere che appare obiettivamente ingiustificato, consistente nell'esame di domande protezione già positivamente valutate da altro Stato membro. CoNTENzIoSo CoMUNITArIo ED INTErNAzIoNALE 30. Si osserva, inoltre, che le eventuali esigenze di ricongiungimento del rifugiato o del titolare di protezione sussidiaria dovrebbero essere tutelate con lo strumento apposito, ossia in base ai diritti conferiti a questa categoria di cittadini stranieri, regolarmente soggiornanti, dal capo vII della direttiva 2011/95/UE. 31. L'articolo 23 è specificamente dedicato alla tutela dell'unità familiare del titolare di protezione internazionale e l'articolo 31 alla tutela che deve essere accordata al minore straniero non accompagnato. 32. Dunque il diritto all'unità familiare e la tutela del superiore interesse del minore sono già compiutamente assicurati dalla direttiva qualifiche, senza che vi sia la necessità di forzare in via interpretativa la lettera dell'articolo 33 della direttiva procedure, gravando gli Stati membri di oneri che, anche alla luce dei principi ispiratori della direttiva stessa, appaiono sproporzionati. 33. Anche alla seconda parte del quesito, va quindi data risposta negativa, affermando che i principi di unità del nucleo familiare e di rispetto dell’interesse superiore del minore non impongono che lo Stato in cui il figlio ha ottenuto protezione riconosca una protezione a tale genitore, già titolare dello status di rifugiato in altro Stato membro. 34. Altrimenti, si creerebbe un contrasto non solo con il "considerando" 43 della direttiva procedure ma anche con la stessa funzione della procedura di asilo, diversa e distinta dalla ratio dei diritti di circolazione e di ricongiungimento sul territorio europeo, riconosciuti a titolari di protezione internazionale, anche nei casi, come quello oggetto della causa principale, caratterizzati dalla regolare presenza, in due diversi Stati membri di due cittadini di Paesi terzi (padre e figlia minorenne). Conclusioni 35. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di rispondere negativamente al quesito, affermando che gli articoli 18 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli articoli 2, 20, 23 e 31 della direttiva 2011/95/UE (c.d. direttiva qualifiche) e l’articolo 25, paragrafo 6, della direttiva 2013/32/UE (c.d. direttiva procedure) non ostino a che, nell’attuazione della facoltà conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE, uno Stato membro respinga una domanda di protezione internazionale per inammissibilità a causa di una protezione già accordata da un altro Stato membro, qualora il richiedente sia il padre di un minore non accompagnato che ha ottenuto protezione nel primo Stato membro, sia l’unico genitore della famiglia nucleare presente al suo fianco, viva con lui e detto Stato membro gli abbia riconosciuto la potestà genitoriale sul minore. I principi di unità del nucleo familiare e di rispetto dell’interesse superiore del minore non impongono che lo Stato in cui il figlio ha ottenuto protezione riconosca una protezione a tale genitore. Le eventuali esigenze di ricongiungimento familiare del rifugiato o del minore titolare di protezione sussidiaria rASSEGNA AvvoCATUrA DELLo STATo -N. 3/2020 possono essere garantite dagli articoli 23 e 31 della direttiva qualifiche, rispettivamente dedicati alla tutela dell’unità familiare e alla tutela del minore straniero non accompagnato. roma, 13 gennaio 2021 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Contenziosonazionale Vincoli paesaggistici definitivi e sopravvenuti (La perdurante validità delle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico e limiti della rilevanza del c.d. prospective overruling nella giurisprudenza amministrativa; la sopravvenienza del vincolo e limiti della sua applicabilità al procedimento autorizzatorio in corso) Commento a tribunaLe amministrativo regionaLe per iL moLise, sezione prima, sentenza 14 marzo 2019 n. 104; ConsigLio di stato, sezione sesta, sentenza 3 diCembre 2018 n. 6858 Piero Vitullo* Mariarosaria Mastromonaco** sommario: 1. La questione analizzata -1.2 premessa ricostruttiva -2. L’approccio giurisprudenziale di merito alla tematica -3. analisi della sentenza -3.1 premessa sulla natura del vincolo paesaggistico e sul rapporto di tale vincolo con i piani regolatori -3.2 Considerazioni sulla potestà di definizione del vincolo nella decisione del t.a.r. molise n. 104/2019 3.3 L’evoluzione giurisprudenziale sul tema del c.d. “prospective overruling”, inteso non solo in senso esclusivamente “processuale” -3.4 (segue) La sopravvenienza del provvedimento di imposizione del vincolo paesaggistico rispetto alle valutazioni inerenti ai procedimenti autorizzatori in corso di svolgimento: le concrete soluzioni applicative. 1. La questione analizzata. Il presente intervento mira a cogliere taluni spunti interpretativi sugli sviluppi applicativi scaturenti dalla nota sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 22 dicembre 2017, il cui orientamento è stato recepito e attuato da ultimo dal T.A.R. Molise con pronuncia n. 104 del 14 marzo (*) Avvocato dello Stato. (**) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 2019, oggetto della presente analisi. La questione affrontata, posta al vaglio della giurisprudenza amministrativa, inerisce all’indagine sui limiti di perdurante validità ed efficacia delle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico, formulate prima dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e non seguite nell’immediatezza da apposito decreto ministeriale di conclusione del relativo procedimento dichiarativo; proposte, riguardo alle quali la citata sentenza n. 13/2017 dell’A.P. ha già escluso gli effetti preliminari scaturenti dal vincolo provvisorio, correlato al- l’adozione delle proposte medesime. 1.2 premessa ricostruttiva. La quaestio facti sottesa alla fattispecie esaminata dalla sentenza n. 104/2019 trae origine dal ricorso al T.A.R. Molise, n. R.G. 382/2018, promosso dal Comune di Isernia e avente a oggetto la richiesta di annullamento, previa sospensione, del decreto n. 18/2018, con cui il Direttore regionale per i beni e le attività culturali del Molise, sulla base del D.Lgs 42/2004 e della Legge n. 1497/1939 e in esito alla pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 22 dicembre 2017, ha accolto ai fini paesaggistici la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico relativa al territorio del Comune di Isernia che, in conseguenza del predetto procedimento, avviato nel 2003, è stato interamente e definitivamente sottoposto a vincolo paesaggistico. Invero, a seguito di una prima proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico, l’intero territorio comunale era stato inserito negli elenchi compilati e non approvati, previsti dall’art. 144 comma 1 dell’allora T.U. dei beni culturali e approvato con D.Lgs n. 490/1999, a norma del quale il Ministero aveva la facoltà di integrare gli elenchi dei beni e delle località indicati all’art. 139 (le c.d. bellezze individue e bellezze d’insieme) su proposte del soprintendente competente. Lo stesso Comune di Isernia, di conseguenza, provvide alla pubblicazione su stampa locale e nazionale della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico, precedentemente inserita nei sopra richiamati elenchi. In seguito la Soprintendenza per i beni A.P.S.A.D., promuovendo l’iter procedurale delineato dall’allora vigente D.Lgs n. 490/1999, dinanzi al protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione regionale competente, esercitò la potestà concorrente e formulò, in via sostitutiva, una proposta dichiarativa in merito, con relativa trasmissione dell’avviso al pubblico per l’affissione della proposta in questione nell’albo pretorio isernino. Il T.A.R. Molise, in riferimento ai ricorsi proposti dalla Regione e dal Comune di Isernia, con le sentenze nn. 27 e 28 del 2004, annullò la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico gravante sull’intero territorio comunale, per la ragione formale rappresentata dalla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 della Legge n. 240/1990. ConTenzIoSo nAzIonALe Manifestando contrario avviso, il Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 7606/2009 e 7607/2009, accolse gli appelli ministeriali avverso le sopracitate sentenze, annullandone gli effetti e lasciando inalterata la proposta allora formulata di dichiarazione di notevole interesse pubblico afferente all’intero territorio comunale. In tale lasso temporale, sono sopravvenuti due decreti legislativi correttivi del D.lgs 42/2004 (Codice del Paesaggio), ossia il D.lgs 157/2006 e il D.lgs 63/2008, che hanno modificato: -l’art. 157, comma 1, integrato dalla lett. d-bis, che ha previsto la conservazione dell’efficacia, a tutti gli effetti, tra l’altro degli elenchi compilati o integrati ai sensi del D.Lgs 490/1999, nonché il successivo comma 2, alla cui stregua “Le disposizioni della presente parte si applicano anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione ai fini della dichiarazione di notevole interesse pubblico o del riconoscimento quali zone di interesse archeologico”; -l'art. 141, comma 5, il quale ora dispone che “se il provvedimento ministeriale di dichiarazione non è adottato nei termini di cui all'articolo 140, comma 1, allo scadere dei detti termini, per le aree e gli immobili oggetto della proposta di dichiarazione, cessano gli effetti di cui all'articolo 146, comma 1”. La prima modifica citata, inerente all’art. 157, in linea con l’assetto normativo previgente al citato codice, è parsa confermare che la disciplina di tutela trovi applicazione fin dalla pubblicazione della proposta nell'albo comunale, senza imposizione di termini di durata dell’efficacia della misura di salvaguardia e senza sanzioni decadenziali rispetto al tardivo esercizio del potere attinente all’emanazione del provvedimento finale. Dalle altre disposizioni invece sembra desumersi, in senso apparentemente dissonante rispetto alla confermata efficacia temporalmente illimitata della proposta di vincolo, come da art. 157, che l’art. 141, in relazione al precedente art. 139, abbia previsto che il decreto debba essere adottato entro il termine complessivo di 180 giorni, in pratica decorrenti dalla pubblicazione nell’albo pretorio della medesima proposta. Di qui il contrasto interpretativo tra la tesi propugnata dall’Amministrazione B.A.C. e l’assunto difensivo dei privati ricorrenti, valorizzante invece la previsione limitatrice e decadenziale del potere di approvazione del vincolo. Contrasto, composto dalla citata decisione dell’Adunanza Plenaria, con creazione di una sorta di argomentazione intermedia tra le due in raffronto, alla cui stregua è stato ritenuto, sì, inciso dalla ricordata correzione normativa l’esercizio del potere di vincolo, ma senza adesione all’assunto sulla decadenza dell’atto recante l’originaria proposta di vincolo (in tesi, antecedente al D.lgs 42/2004); di conseguenza l’Adunanza, ravvisando le condizioni per modulare la portata temporale delle proprie pronunce, con limitazione degli effetti pro RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 iettati al futuro, ha fissato la regola secondo cui il complessivo termine di efficacia di centottanta giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico, formulate prima dell'entrata in vigore del D.lgs 22 gennaio 2004 n. 42, decorre dalla data di pubblicazione della medesima sentenza, vale a dire il 22 dicembre 2017. Ciò premesso, nella concreta fattispecie in esame è avvenuto che il perfezionamento dell’iter successivo alla predetta proposta è stato conseguito soltanto nell’agosto 2018, a seguito della modifica normativa introdotta dal D.Lgs 63/2008 come interpretata dalla citata decisione dell’A.P.; e invero il competente Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio ha reputato necessario conferire impulso al procedimento di vincolo in questione, alla luce delle indicazioni cogenti fornite dal Supremo Consesso, riavviando il procedimento sostitutivo in esito al quale, dopo preavviso del 24 luglio 2018, è stato adottato apposito decreto di tutela paesaggistica del Segretariato regionale B.A.C., n. 28 del 2 agosto 2018. Con la disposizione finale approvativa della proposta di vincolo, pertanto, è stato assoggettato definitivamente a tutela paesaggistica l’intero territorio comunale di Isernia, in termini preclusivi per l’Amministrazione regionale dell’adozione di ogni ulteriore provvedimento in tal senso, di sua teorica spettanza. Con ricorso al T.A.R. Molise n. R.G. 382/2018 il Comune di Isernia, nel- l’impugnare principalmente tale D.D.R., oltre a lamentare la mancata comunicazione da parte del Ministero dell’avvio del procedimento stesso, allo scopo di consentire al Comune interessato la formulazione di osservazioni nella fase valutativa-decisionale del procedimento, tanto più necessaria a fronte dell’imposizione di un vincolo generalizzato e globale (1), diretto a condizionare qualsiasi intervento antropico e incidente su aree già urbanisticamente modificate con alterazione definitiva del paesaggio tutelando, ha argomentato sul profilo in disamina sostenendo essenzialmente che, a mente delle ultime modifiche legislative, sia prevista la decadenza dei vincoli de quibus una volta inutilmente spirato il termine di conclusione del procedimento, scaturente dalla sentenza n. 13/2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in virtù della (1) Appare opportuno rammentare che la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto allo Stato il potere di porre un vincolo paesaggistico sull'intero territorio di un comune (Cons. Stato, Iv, 6 dicembre 1985, n. 596; vI, 4 aprile 1997, n. 553; Iv, 20 marzo 2006, n. 1470; vI, 21 luglio 2011, n. 4429). Certamente (cfr. CdS, sez. vI, sent. n. 3540 del 27 giugno 2001), il provvedimento con il quale si impone un vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 sull'intero territorio di un comune, deve essere motivato sulla base di concreti e specifici indici dell'interesse paesistico dominante e non già con riferimento ad un mero rapporto di vicinanza delle aree più urbanizzate rispetto a quelle di più diretto ed immediato rilievo paesistico. Di conseguenza il decreto di vincolo non potrebbe imporre limiti su di un intero territorio comunale, qualora il provvedimento sia motivato con richiamo a ragioni e apprezzamenti che, per la loro genericità, potrebbero giustificare l'imposizione del vincolo in questione su qualsiasi territorio dello Stato. ConTenzIoSo nAzIonALe quale il vincolo preliminare per le proposte formulate prima dell’entrata in vigore del D.Lgs 42/2004 cessa allorquando il relativo procedimento non sia concluso entro 180 giorni, decorrenti dalla pubblicazione della citata sentenza del 22 dicembre 2017. nel caso di specie, dunque, per il ricorrente il D.D.R. di dichiarazione di notevole interesse pubblico del 2 agosto 2018 è stato emanato tardivamente e irrimediabilmente, in quanto successivo alla scadenza del 20 giugno 2018. 2. L’approccio giurisprudenziale di merito alla tematica. Il T.A.R. Molise, con sentenza n. 104 del 6 marzo 2019, definitivamente pronunciando sul ricorso de quo, lo ha respinto poiché infondato. In particolare, il Giudice di primo grado, non ravvisando alcuna violazione delle garanzie procedimentali, considerata l’avvenuta interlocuzione tra Ministero, Regione Molise e Comune di Isernia, e ritenute infondate le censure inerenti al difetto di istruttoria nonché generica e inammissibile la doglianza relativa all’inosservanza o violazione del Piano paesaggistico regionale e del P.R.G. comunale (2), in riferimento alla perdurante efficacia degli effetti del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico -formulate prima dell’entrata in vigore della novella al D.Lgs n. 42/2004 e non seguite da decreto ministeriale di conclusione del relativo procedimento dichiarativo -ha stabilito che la questione esaminata non concerneva “la sopravvivenza oltre i 180 giorni delle misure di salvaguardia scaturenti dalla proposta di vincolo paesaggistico, bensì la sopravvivenza oltre tale termine della proposta stessa, ancorché privata dei suoi provvisori effetti di salvaguardia”. Invero la citata sentenza, nell’allinearsi all’impostazione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2017, ha ribadito che il mancato esercizio nel termine di 180 giorni del potere autoritativo della Pubblica Amministrazione comporta non la decadenza della proposta bensì la semplice cessazione degli effetti di salvaguardia, in virtù del “compromesso” adottato dal legislatore, con cui si è stabilito che il potere impositivo del vincolo persiste anche successivamente alla scadenza del termine, determinando, tuttavia, la cessazione dell’effetto restrittivo provvisorio, derivante dal suo (iniziale) esercizio. Ciò posto, pur prendendo atto del fatto che la Direzione generale Mi.b.a.c. aveva riavviato e concluso il procedimento inerente al permanente vincolo paesaggistico e ambientale -sul presupposto che il competente Comitato tec (2) A tal riguardo il Tribunale amministrativo ha precisato che i vincoli paesaggistici operano su un piano diverso da quello delle previsioni urbanistiche, nonché da quello dei vincoli ambientali in senso proprio. essi non diventano vincoli meramente urbanistici e non devono essere recepiti nel P.R.G. o nei piani regionali, mantenendo la loro natura di vincoli dichiarativi a effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non dalla scelta discrezionale dell’Amministrazione, bensì dalle qualità intrinseche del bene tutelato che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 nico-scientifico per il paesaggio solamente in data 16 luglio 2018 avesse ravvisato la necessità di procedere alla definizione dei vincoli -il T.A.R. adito ha escluso la consumazione del potere ministeriale di portare a conclusione il procedimento in esame, in quanto sono decadute in data 22 giugno 2018 solo le previsioni di salvaguardia scaturenti dalla proposta stessa, proposta che ha conservato intatta la sua efficacia di atto di iniziativa del procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art. 136 comma 1 lett. c) e d) del d.Lgs 42/2004. Come tale, la proposta è stata legittimamente recepita e posta a fondamento del decreto finale di approvazione del vincolo. La sentenza testé analizzata non è stata impugnata dal Comune e pertanto è passata in giudicato. 3. analisi della sentenza. 3.1 premessa sulla natura del vincolo paesaggistico e sul rapporto di tale vincolo con i piani regolatori. Una preliminare considerazione appare opportuna in riferimento alla natura del vincolo paesaggistico e del suo rapporto con la pianificazione urbanistica (3), in quanto richiamati nella sentenza n. 104/2019. L’imposizione (mediante piani o provvedimenti puntuali) e l’applicazione dei vincoli paesaggistici ed ambientali sono disciplinate in virtù della potestà esclusiva statale prevista dall’articolo 117, comma 2 lettera s) della Costituzione e da normative organiche statali, quali il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs 42/2004; il T.U. ambientale D.Lgs 152/2006; la legge quadro 394/1991 sulle aree naturali protette. Le relative competenze amministrative spettano allo Stato ed alle Regioni, sebbene sia diffusa la pratica della subdelega o del conferimento dei poteri autorizzatori agli enti locali. orbene, così come precisato dalla sentenza oggetto della presente analisi, i vincoli paesaggistici e ambientali in senso proprio non divengono vincoli (meramente) urbanistici per il solo fatto di essere recepiti nel piano regolatore generale, ma mantengono la loro natura di vincoli dichiarativi a effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non da una scelta discrezionale dell’amministrazione, bensì da qualità intrinseche del bene tutelato, che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò li distingue (3) Per quanto concerne invece la pianificazione paesaggistica regionale, articolata in plurimi Piani Territoriali Paesistico-Ambientali di Area vasta (P.T.P.A.A.v.), va tenuto conto delle peculiarità della legislazione regionale del Molise, da cui si evince la persistente efficacia dei vincoli antecedenti, scaturenti sia dai decreti ministeriali dichiarativi dell’interesse pubblico che, per equiparazione -stando alla giurisprudenza fino a epoca recente dominante -, delle proposte impositive di vincolo paesaggistico provvisorio, per il tramite dell’art. 8 l. r. 24/1989; sul punto specifico, si veda T.A.R. Molise, sent. n. 733/2011, con l’aggiunta dell’effetto dichiarativo di vincolo insito nell’adozione degli stessi P.T.P.A.A.v. (cfr. art. 2, comma 2, l. r. 24/1989). ConTenzIoSo nAzIonALe nettamente dai vincoli urbanistici in senso proprio, i quali, seppur diretti a salvaguardare il paesaggio o l’ambiente, non si sottraggono all’alternativa tra temporaneità e indennizzabilità, qualora siano preordinati all’espropriazione o comunque rivestano carattere sostanzialmente espropriativo (4). La precisazione concorre a supportare l’assunto per cui la tutela del paesaggio e dell’ambiente non sono assimilabili nella materia urbanistica, di conseguenza i piani di tutela non sono confondibili e sovrapponibili; al riguardo la Suprema Corte ha più volte precisato che tali tutele concernono interessi pubblici distinti, sottoposti a tutela differenziata e sovraordinati rispetto a quelli sottesi al razionale assetto del territorio (5). (4) Cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179; T.A.R. Umbria, sent. n. 71 del 4 marzo 2009. (5) Cfr. sent. 5 maggio 2006, n. 182; 7 novembre 2007, n. 367 e 30 maggio 2008, n. 180. “Corollario è che nessuna valutazione di compatibilità urbanistica è idonea a sovvertire la pianificazione paesaggistica e la prioritaria necessità di sua tutela anche nella fattispecie in questione. Se ne desume la preminenza -come da ormai pacifico orientamento giurisprudenziale -da accordare alla disciplina di tutela paesistica rispetto alle prescrizioni regolanti l’attività urbanistico-edilizia, oggetto di normativa di cui sarebbe del tutto inappropriatamente invocato il rispetto; preminenza, che si ricava dall’art. 1 d.P.R. n. 380/2001, il quale, al comma 2, testualmente stabilisce che “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 [antecedente normativo del D.Lgs. n. 42/2004] … aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia” (si veda sul punto anche TA.R. Molise, ord. n. 47/2015; id., sent. 8 marzo 2011, n. 100: la tutela del paesaggio [ha] comunque portata generale e speciale considerazione di valore, rispetto a ogni forma di pianificazione degli interventi urbanistici, economici e infrastrutturali sul territorio, costituendo necessario presupposto per essi (cfr.: Cons. Stato Iv, 5 luglio 2010 n. 4244; idem v, 12 giugno 2009 n. 3770)”. Il Consiglio di Stato (sez. iV, 5 luglio 2010, n. 4246) ha definito l’ambito di operatività delle due discipline di settore, quella paesaggistica e quella urbanistica, rimarcando la loro reciproca autonomia, all’uopo rammentando “la giurisprudenza costituzionale ed amministrativa che fa emergere la natura sostanzialmente insindacabile delle scelte effettuate, giustificandola alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio ed all’ambiente (cfr. da ultimo Cons. st., sez. v, 12 giugno 2009, n. 3770; Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367)”, tenuto conto che “La ponderazione degli interessi privati, unitamente ed in coerenza con gli interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica ed ambientale, non deve essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto al privato … sia stato contenuto nel minimo possibile, perché tale giudizio si colloca all’interno della disciplina costituzionale del paesaggio (art. 9 Cost.) che erige il valore estetico-culturale a valore primario dell’ordinamento. da queste premesse si sono tratti i seguenti corollari: a) la tutela del paesaggio non è riducibile a quella dell’urbanistica, né può essere considerato vizio della funzione preposta alla tutela del paesaggio il mancato accertamento dell’esistenza, nel territorio oggetto dell’intervento paesaggistico, di eventuali prescrizioni urbanistiche che, rispondendo ad esigenze diverse, in ogni caso non si inquadrano in una considerazione globale del territorio sotto il profilo dell’attuazione delprimario valore paesaggistico; b) l’avvenuta edificazione di un’area immobiliare o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l’imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso; c) l’ambiente rileva non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio, comprensivo financo degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 Ciò, in aderenza alla ratio profonda del vincolo paesaggistico, che risiede nell’intento legislativo di preservare dalla trasformazione edilizia indiscriminata le località e i paesaggi di notevole interesse pubblico, presenti sul territorio nazionale. Una lettura costituzionalmente orientata della norma, ai sensi dell’art. 9 della Carta Costituzionale, impone la valorizzazione della tutela paesaggistica. Pertanto tale interesse pubblico è da considerarsi indubbiamente preminente rispetto agli altri interessi confliggenti (6). Infatti, l’art. 146 comma 1 del D.Lgs 42/2004, a tal riguardo, stabilisce che: “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”. Dunque l’Amm.ne comunale, in ossequio ai dettami normativi e in virtù del bilanciamento di interessi, più volte richiamato dalla giurisprudenza amministrativa, deve soprattutto tutelare il proprio territorio e il proprio patrimonio storico-culturale, predisponendo azioni mirate e necessarie, non generalizzate, riguardo sia alle nuove costruzioni sia agli interventi di lieve entità o di consolidamento, prefiggendosi come scopo la difesa del territorio comunale da interventi edilizi meramente speculativi. Infine, in riferimento all’art. 138 comma 1 del D.Lgs 42/2004, ai sensi del quale “La proposta è formulata con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono, e contiene proposte per le prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi”, le prescrizioni d’uso tendono ad assicurare la conservazione e valorizzazione dei caratteri distintivi delle aree oggetto di tutela. Viene in luce il confluire ineluttabile, nella materia del governo del territorio, delle esigenze di salvaguardia di valori costituzionali assoluti e non comprimibili quali il paesaggio, l’ambiente ed i beni culturali; di questa caratteristica vi è traccia nel più recente dibattito sulla evoluzione della stessa scienza urbanistica, di cui si coglie l’eco nella giurisprudenza che riconosce, nel presupposto della necessità di non consentire la totale consumazione del suolo nazionale, la possibilità che gli strumenti urbanistici non siano sostenuti dalle tradizionali linee guida di espansione demografica o edilizia ma, al contrario, da linee guida esclusivamente rivolte al recupero ed alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente (cfr. Cons. st., sez. iv, 12 marzo 2010, n. 1461)”. La questione può essere dunque riassunta nei seguenti termini (t.a.R. lazio RM, sez. ii quater, 14 dicembre 2010 n. 36581): “la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanisticacomunale, deve precedereedorientarelescelteurbanistico-edilizielocali. Perquantoattienealla tutela del paesaggio, le disposizioni paesaggistiche “… sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (cfr. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180)”. (6) Sul punto, ex multis, cfr. T.A.R. Molise, sent. n. 92/2016. ConTenzIoSo nAzIonALe va precisato, in tal senso, che il decreto che impone definitivamente il vincolo paesaggistico opera necessariamente un remand alla sede propria, rappresentata dalla pianificazione paesaggistica, di spettanza dell’Amm.ne regionale: infatti, ai sensi dell’art. 140 comma 2 del decreto sopra richiamato, “La dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”. 3.2 Considerazioni sulla potestà di definizione del vincolo nella decisione del t.a.r. molise n. 104/2019. La sentenza in esame conferma il criterio di bilanciamento degli interessi contrapposti, propugnato dall’A.P., pervenendo a un equo contemperamento tra le opposte istanze, mediante la riconosciuta conservazione della proposta iniziale di vincolo, da reputarsi intatta e pienamente efficace e utilizzabile, anche successivamente alla consumazione delle misure di restrittive di salvaguardia, in quanto sottoposte al regime decadenziale allorquando non confermate da un successivo provvedimento amministrativo, nei termini indicati dalla Plenaria n. 13/2017. In particolare, pur a fronte di norma generale recante la limitazione temporale del potere autoritativo della P.A., sancito dall’art. 141 comma 5 del Codice (in attuazione del principio generale ex art. 2 della L. n. 241/1990), la deroga operata dall’Adunanza Plenaria è stata intesa con elasticità e buon senso, in adeguata considerazione delle peculiarità della materia e dei sottesi interessi pubblici, incentrati sulla tutela del bene fondamentale/Paesaggio. La soluzione compromissoria sopra illustrata, consistente nel mantenimento della validità della proposta introduttiva di vincolo e nel riconoscimento della caducabilità solo degli effetti preliminari restrittivi da essa scaturenti, tra l’altro senza soluzioni di continuità qualora le Amministrazioni competenti si determinino positivamente al riguardo entro i 180 giorni dalla pubblicazione della sentenza dell’A.P. n. 13/2017, è stata applicata nel caso di specie con ragionevolezza, dal momento che la perdurante efficacia della proposta di vincolo, anche dopo il decorso del termine finale del 22 giugno 2018, ha legittimato la conseguente resistenza del potere della P.A. ai rilievi critici invocanti l’automatismo della sua consumazione in dipendenza della scadenza di quel termine; conclusione obbligata, quest’ultima, a fronte del rilievo sulla limitazione della decadenza alle sole previsioni di salvaguardia scaturenti dalla medesima proposta, con salvezza dell’imposizione definitiva del vincolo, per l’appunto in presenza di un potere permanentemente esercitabile e di un atto originario limitato non quanto all’attitudine propulsiva ma solo in relazione alla sua idoneità a produrre in via provvisoria effetti di vincolo. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 Ciò non significa la vanificazione del surrichiamato termine di 180 giorni e della sua perentorietà, e tantomeno l’aggiramento della pronuncia dell’Adunanza Plenaria, dal momento che è stato recepito che risultano incise solo le misure cautelative scaturenti dalla proposta, col corollario, tuttavia, che la persistentemente valida proposta esplica una residuale efficacia quanto al- l’attitudine a conferire impulso all’iter approvativo del vincolo, da ritenersi operativo semplicemente con effetto ex nunc in caso di travalicamento di quel termine, senza la possibilità per l’Amministrazione di evitare la soluzione di continuità della salvaguardia introdotta in via provvisoria rispetto al perfezionamento dell’atto finale approvativo del vincolo, ovverosia di consentire la saldatura degli effetti del vincolo provvisorio con quelli del vincolo definitivo; con ciò, esponendosi solo al rilievo dell’inopponibilità del vincolo a richieste di trasformazione edilizia del territorio comunale, intervenute successivamente al 22 giugno 2018 (termine inutilmente decorso) e definite prima del decreto finale di approvazione del vincolo medesimo, come tali da reputarsi non assoggettate ad autorizzazione paesaggistica e al parere vincolante del MIBAC (7). 3.3 L’evoluzione giurisprudenziale sul tema del c.d. “prospective overruling”, inteso non solo in senso esclusivamente “processuale”. La questione appena affrontata apre un’interessante prospettiva in ordine alla rilevanza nella materia in disamina del c.d. overruling, in senso esorbitante dai limiti del processo giudiziale. Come è noto, secondo la definizione giurisprudenziale il "prospective overruling" (istituto mutuato dal diritto anglosassone) è finalizzato a porre la parte al riparo da effetti pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) indotti da mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, in guisa tale da consentire all'atto compiuto con modalità e in forme ossequiose dell'orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al momento del compimento dell'atto, di produrre ugualmente i suoi effetti sostanziali; peraltro, per tradizionale affermazione soprattutto della giurisprudenza civile, non sarebbe invocabile nell'ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale di legittimità riguardi l'interpretazione del diritto sostanziale, che spetta comunque alla parte valutare. In significativa consonanza con la sentenza in commento del Tribunale periferico, innestatasi sul solco dell’impostazione qui propugnata della materia trattata, sono intervenute pronunce innovative del Consiglio di Stato, successive alla richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2017. (7) Il punto sarà approfondito all’apposito paragrafo 3.4 successivo. ConTenzIoSo nAzIonALe Su tale profilo specifico delle questioni affrontate si è infatti espressa anche la Sezione vI del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6858 del 3 dicembre 2018, in riferimento a un caso strutturalmente analogo (occasionato da una S.C.I.A. relativa a un intervento edilizio sempre nel Comune di Isernia, denegata in costanza del termine surricordato di 180 giorni), concernente la richiesta di declaratoria di nullità e inefficacia del medesimo vincolo paesaggistico, quale derivante dalla proposta di notevole interesse dell’intero territorio del Comune di Isernia, nonché del parere vincolante negativo espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Molise in merito a un’istanza di autorizzazione ex art. 146 D.Lgs n. 42/2004, in quanto “il territorio del Comune di isernia è sottoposto a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 157 d.Lgs 42/2004 con proposta di vincolo, affissa all’albo pretorio del Comune di isernia dal 15 aprile 2003 al 15 luglio 2003”. La sentenza riformata, n. 117/2018 del Tribunale amministrativo regionale del Molise, aveva inopinatamente accolto nel merito il ricorso proposto dalla società, ponendo a fondamento della propria decisione solo l’indirizzo già minoritario e fatto assurgere al rango di principio dall’Adunanza Plenaria n. 13/2017, secondo cui “il combinato disposto -nell’ordine logico -dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del d.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo -come modificato con il d.Lgs 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.Lgs 26 marzo 2008, n. 63 -cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni”. In proposito, il Giudice di prime cure -manifestando un avviso poi sostanzialmente mutato nella sentenza in commento -aveva precisato che tale principio è applicabile al caso vagliato, valorizzando la circostanza che il procedimento approvativo del vincolo, all’epoca non ancora definito ma prima della scadenza di quello -di 180 giorni -delineato dall’A.P. quale occasione estrema proprio per la conclusione da parte dell’Amministrazione B.A.C. del medesimo procedimento, aveva avuto inizio con una proposta emanata 11 anni prima rispetto al diniego impugnato. In buona sostanza il T.A.R. Molise ha ritenuto che il vincolo preliminare fosse già decaduto allorquando la società ha formulato richiesta di autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 146 D.Lgs n. 42/2004. Per quanto di interesse in riferimento al principio dell’overruling in discussione, il Tribunale amministrativo ha affermato che la “limitazione pro futuro degli effetti della sentenza interpretativa dell’adunanza plenaria equivale alla creazione di una norma transitoria, in funzione para-normativa, che non può vincolare il giudice di primo grado, in quanto recessiva rispetto al principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101 Cost.”. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 In particolare, il T.A.R. Molise ha ritenuto insussistenti i presupposti per la configurabilità del c.d. prospective overruling, in quanto l’esegesi inciderebbe su una norma sostanziale e non processuale di disciplina del procedimento amministrativo, tenuto conto altresì dell’insussistenza di effetti preclusivi del diritto di azione o di difesa derivanti dal mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale e, in concreto, dell’assenza di un “diritto vivente” sul punto controverso, dopo la rimessione all’Adunanza Plenaria del contrasto insorto all’interno del Consiglio di Stato. Andando di contrario avviso, il Giudice di seconda istanza, accogliendo l’appello proposto dall’Amm.ne statale, ha affrontato in modo differente e innovativo l’istituto del c.d. prospective overruling, puntualizzando le collimanti tesi dell’A.P. Infatti, la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha stabilito che l’esigenza di dare certezza al diritto applicato -alla base dell’art. 99 c.p.a. -deve essere bilanciata con la necessità di garantire forme naturali di evoluzione giurisprudenziale. Ciò premesso, il Supremo Consesso ha ritenuto che il Giudice di primo grado, pur non obbligato a seguire i principi dettati dall’Adunanza Plenaria, debba, tuttavia, evitare difformità, per incuriam, rispetto a tali principi. orbene, in determinate ipotesi, la medesima esigenza di certezza del diritto che muove all’enunciazione del principio, può indurre l’adunanza plenaria a stabilire che la propria decisione produca effetti unicamente ‘pro futuro’ -e quindi non solo per i giudizi pendenti -escludendone la retroattività, mediante il ricorso al c.d. prospective overruling, strumento di creazione pretoria, escogitato per mitigare gli effetti retroattivi di un repentino mutamento giurisprudenziale, proiettando eventuali effetti sfavorevoli della sentenza solo nel futuro. La prospective overruling, come hanno precisato i Giudici del Supremo Consesso, richiede la concomitante sussistenza di tre presupposti: 1) il nuovo orientamento giurisprudenziale deve incidere su una regola processuale e non sostanziale; 2) il nuovo indirizzo interpretativo deve essere imprevedibile ovvero far seguito ad altro orientamento consolidatosi nel corso del tempo, tale da considerarsi diritto vivente e quindi da indurre un ragionevole affidamento; 3) il mutamento dell’indirizzo interpretativo deve precludere il diritto di azione o di difesa. Tuttavia nella fattispecie astratta in disamina è stato ineluttabile commisurare la portata di tale istituto non solo alla decadenza delle misure cautelari di salvaguardia, ma anche alla conservazione di effetti innestatisi sulla proposta di vincolo, in quanto espressione della necessità di tutelare un valore fondamentale di rango costituzionale, quale appunto il Paesaggio, onde evitare il travolgimento irrimediabile e irreversibile dei procedimenti in corso e in attesa di conclusione. Con ciò, emergendo una circostanza “sostanziale” meritevole di protezione, mediante ridimensionamento della “naturale” retroattività, rispetto ai ConTenzIoSo nAzIonALe giudizi in corso, del revirement giudiziale sulla decadenza delle misure di salvaguardia, pur se l’applicazione della nuova interpretazione vada riferita a un istituto procedimentale (decadenza) operante in un contesto procedimentale amministrativo (8), parificabile a quello operante nel giudizio (decadenza processuale), in tal senso confermandosi l’allineamento della Sezione alla regolazione solo per il futuro degli effetti temporali dell’annullamento, dichiarato dall’Adunanza Plenaria, degli stessi atti ministeriali. Di conseguenza, pur reputando ammissibile il discostamento della decisione del T.A.R. n. 117/2018 dall’Ad. Plen. n. 13/2017, in ragione della limitata vincolatività, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., delle pronunce dell’Adunanza nei giudizi diversi da quello che l’ha occasionata, il Supremo Consesso ha smentito nel merito la prospettazione di primo grado sull’insussistenza, nel caso deciso dall’Adunanza, dei presupposti per l’applicazione dello strumento del prospective overruling. Ciò posto, è stato riconosciuto che le Soprintendenze hanno la facoltà di concludere legittimamente i procedimenti di vincolo avviati prima delle modifiche al Codice dei beni culturali e paesaggistici, con salvezza delle citate misure di salvaguardia (previste dall’art. 146 del Codice dei beni culturali), nel termine previsto ex lege di 180 giorni, decorrente dalla pubblicazione della sentenza della Plenaria. Diversamente opinando, i procedimenti pendenti verrebbero travolti dall’efficacia retroattiva dell’ipotetica decisione di annullamento, con cui venga sancita la decadenza, non solo dell’effetto preliminare di vincolo, ma anche dell’efficacia della proposta. Motivo, per cui non vi è stata alcuna consumazione del potere Mi- BaCt di concludere il procedimento in questione, proprio per la prevista salvezza dell’efficacia della proposta da cui è scaturito legittimamente il decreto impugnato, essendo decadute solamente le previsioni di salvaguardia scaturenti dalla stessa proposta, cessate a decorrere dalla scadenza del termine indicato di 180 giorni, fino alla definitiva imposizione del vincolo. Pertanto, la soluzione adottata dal Supremo Consesso si appalesa come indirizzata allo scopo di tutelare la parte pubblica potenzialmente soccombente anche dagli effetti sostanziali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) indotti dal mutamento d’indirizzo, in quanto derivanti da innovazione improvvisa dell’esegesi giurisprudenziale, anche se non afferente a norme processuali in senso stretto. (8) L’assunto trova corrispondenza in una sorta di obiter dictum desumibile dalla sentenza n. 1/2018 dell’Adunanza Plenaria, in tema di limiti applicativi dell’istituto in discussione, del prospective overruling:“nella fattispecie in esame non occorre applicare una norma processuale e nemmeno attinente al procedimento amministrativo, e, in ogni caso, non risulta che vi sia stato né un mutamento imprevedibile di orientamento in ragione anche degli indirizzi interpretativi seguiti nell’ambito della giurisprudenza della Corte di Cassazione né una incidenza negativa sul diritto di azione della parte appellata”. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 Indispensabile presupposto, in ogni caso, resta la consolidazione della communis opinio maturata nella giurisprudenza e nella dottrina in ordine al significato normativo da attribuire ad una determinata disposizione; ossia proprio, nell’accezione costituzionalistica, il “diritto vivente” (9). Ciò consente, dunque, all'atto compiuto in ossequio all'orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato -ma dominante al momento del compimento dell'atto - di produrre ugualmente i suoi effetti, almeno in parte. Il confine di operatività dell’istituto in esame, pertanto, può ritenersi spostato in avanti in termini compatibili con la soglia delineata e ribadita dal successivo arresto giurisprudenziale civilistico (10), da cui si desume che il medesimo istituto non appare invocabile essenzialmente nell'ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale di legittimità ampli facoltà e poteri che la parte non abbia esercitato per un'erronea interpretazione, in senso auto-limitativo, delle norme processuali, quindi, per apporto soggettivo non condizionato dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto l'effetto pregiudizievole in questione deriverebbe direttamente ed esclusivamente dall'errore interpretativo della parte. L'affidamento qualificato in un consolidato indirizzo interpretativo, meritevole di tutela mediante il prospective overruling, è quindi riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi, che assumono il valore di communis (9) Sul punto, si veda Consiglio di Stato, sez. vI, 1 aprile 2019, n. 2147, che ha affrontato ancora la possibilità di differimento nel tempo dell’efficacia dei principi di diritto enunciati dalle sentenze del- l'Adunanza plenaria nn. 11 e 13 del 2017. La medesima Sezione vI del Consiglio di Stato, in una fattispecie a ben vedere “opposta” a quella in disamina, ha avuto modo di puntualizzare che, in ordine alla possibilità di differire nel tempo gli effetti dei principi di diritto enunciati dalla sentenza dell'Adunanza plenaria, è necessario considerare che -in senso ostativo all'applicazione del c.d. prospective overruling -tale istituto non possa invocarsi per giustificare la perdurante applicazione di un orientamento interpretativo che non sia espressione di un diritto vivente, in quanto sviluppatosi in un arco temporale di pochi mesi e perché fondato su premesse processuali e conclusioni sostanziali che presentano profili di contrarietà a consolidati indirizzi giurisprudenziali di segno opposto, soprattutto allorché l'irretroattività della nuova esegesi abbia l'effetto di sacrificare la legittima aspettativa di un'amplia platea di soggetti controinteressati, producendo così effetti in danno degli stessi. Sui limiti di vincolatività delle pronunce dell’Adunanza plenaria, già con un’ordinanza di rimessione, il Supremo Consesso ha affermato che il vincolo nomofilattico previsto dall’art. 99 comma III c.p.a., rispetto a pronunce dell’Adunanza Plenaria, costituisce un mero vincolo processuale negativo. Pertanto, qualora una Sezione semplice del Consiglio di Stato non condivida il principio di diritto formulato dal- l’Adunanza Plenaria, non sarà tenuta ad applicarlo, né tantomeno, dar luogo a una mera allegazione del dovere di ottemperanza di tale vincolo interpretativo. Di conseguenza, laddove la sezione semplice pervenga a un risultato contrario, dovrà, mediante ordinanza interlocutoria motivata (in funzione di anticipatory overruling), sollevare la questione dinanzi all’Adunanza Plenaria, invocando un revirement del principio di diritto non condiviso, affinché la Plenaria stessa rimuova il precedente che crea il vincolo interpretativo de quo. Infatti il principio non condiviso, costituendo un mero vincolo interpretativo negativo, ha la finalità di impedire la sola applicazione, da parte della Sezione semplice, della pronuncia contrastante con il principio di diritto formulato dall’Adunanza Plenaria. (10) Cfr. Cassazione civile, SS.UU., 12 febbraio 2019, n. 4135. ConTenzIoSo nAzIonALe opinio tra gli operatori e gli interpreti del diritto, qualora connotati dai caratteri di costanza e ripetizione, a differenza della giurisprudenza di merito, la quale non può giustificare il predetto affidamento qualificato, atteso che alcune di esse non sono idonee ad integrare un vero e proprio "diritto vivente". In definitiva, il principio dell’overruling sembra aver acquisito, come condivisibilmente illustrato da Cons. Stato n. 6858/2018 con indirizzo ripreso dalla sentenza in commento n. 104/2019 (e in presenza di un consistente indirizzo giurisprudenziale e dottrinale definibile come “diritto vivente”), una prospettiva inedita, allargandosi verso orizzonti non più limitati agli angusti limiti processuali inerenti a “giudizi” instaurati e pendenti, per il fatto di aprirsi -con esegesi su base “analogica” -anche all’iter procedimentale amministrativo e agli effetti “sostanziali” in esso rilevanti (art. 157, art. 141 del Codice), ugualmente connotato dall’ordinata sequenzialità e funzionalizzazione di atti all’adozione di un provvedimento decisorio finale, idoneo a conferire tendenziale stabilità agli interessi esaminati; iter, ugualmente suscettibile dell’esposizione a sopravvenienze interpretative in grado di sovvertire l’equilibrio apparentemente consolidato dei contrapposti interessi in gioco all’interno del medesimo iter. D’altro canto, l’allargamento applicativo appare utile e apprezzabile, laddove si renda necessario l’esercizio di strumenti idonei a rimediare a vulnera di interessi incentrati su beni e valori di rango costituzionale fondamentale, come per il Paesaggio (art. 9 Cost.), che si manifesta quale componente qualificata ed essenziale dell’ambiente, nella lata accezione che di tale bene giuridico ha fornito l’evoluzione giurisprudenziale, anche di matrice costituzionale (11). nel caso di specie, l’indirizzo qui propugnato fa sì che il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale non danneggi l’Amministrazione statale, esponendola a decadenze sino ad allora imprevedibili stando all’orientamento giurisprudenziale dominante prima di A.P. n. 13/2017 (12), che incidono in senso penalizzante su poteri e facoltà già esercitati e teoricamente non più esercitabili, conservandole l’opportunità di gestire adeguatamente l’interesse pubblico coinvolto, senza eccessiva compressione di quello privato contrapposto. Una plausibile conclusione è dunque nel senso che i segnali provenienti dalla giurisprudenza soprattutto amministrativa -sia dai Tribunali territoriali (11) Tra le tante, Corte Cost. 14 novembre 2007, n. 378; CdS, vI, n. 1144/2014. (12) Se ne veda il riepilogo essenziale nell’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, sez. Iv, 12 giugno 2017, n. 2838, e in T.A.R. Molise n. 92/2016; CdS, sez. vI, sent. del 27 luglio 2015 n. 3663, id., 21 marzo 2005, n. 121; T.A.R. veneto, 29 aprile 2015, n. 473; T.A.R. Molise n. 730/2011; Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 1997 n. 262. Quanto alla giurisprudenza penale, Cass. pen., sez. III, 12 gennaio 2012 n. 6617 e 17 febbraio 2010 n. 16476. In senso contrario, Cons. Stato, sez. vI, 16 novembre 2016, n. 4746. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 che dal Supremo Consesso -depongono verso caute ma consapevoli e significative aperture all’applicazione estensiva dell’istituto, in termini rilevanti anche nell’interpretazione di norme procedurali amministrative e altresì deponenti per il sempre più consapevole uso del potere giudiziale di modulare nel tempo gli effetti dell’annullamento giurisdizionale, onde evitare l’eccessiva compromissione di interessi pubblici a protezione costituzionale. 3.4 (segue) La sopravvenienza del provvedimento di imposizione del vincolo paesaggistico rispetto alle valutazioni inerenti ai procedimenti autorizzatori in corso di svolgimento: le concrete soluzioni applicative. Appare infine meritevole di approfondimento la consequenziale questione pratica e applicativa, coinvolgente la problematica inerente alla rilevanza o meno del sopravvenuto provvedimento definitivo di imposizione del vincolo paesaggistico, in riferimento alle fattispecie procedimentali in corso di espletamento e valutazione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni previste per interventi di trasformazione del territorio oggetto di quel vincolo. In particolare, prima facie appaiono confacenti all’ipotesi in questione due principi forieri di soluzioni non completamente convergenti. Da un lato, il noto canone “tempus regit actum” sembrerebbe implicare l’applicabilità della regola sopravvenuta, scaturente dal provvedimento amministrativo di dichiarazione del vincolo de quo, alle procedure non ancora definite dell’iter destinato a culminare nell’atto autorizzatorio richiesto dal privato (13); generale corollario sarebbe, dall’altro lato, l’irrilevanza del vincolo sopravvenuto per i procedimenti già definiti, in conseguenza della posteriorità (e tardività, se non consumazione) del potere ministeriale di conclusione del relativo iter approvativo. Invero, il richiamato principio, scaturente dall’art. 11 delle Disposizioni preliminari al Codice Civile, si appalesa quale regola di ordine generale, applicabile a ciascuna branca del diritto, incluso quello pubblico, e dunque anche il procedimento amministrativo interessato dalla disciplina sopravvenuta verrebbe regolato dalle disposizioni in quel momento vigenti. L’assunto generale per cui, in difetto di una disciplina intertemporale, recante espressa previsione contraria di carattere retroattivo, la regola sopravvenuta vada applicata ai procedimenti in corso, nella fattispecie quindi determinerebbe l’applicabilità del sopravvenuto vincolo paesaggistico ai procedimenti non ancora definiti. In particolare, volendo far assurgere la fase decisoria dell’iter autorizza- torio a parametro di riferimento temporale della valutazione di irrilevanza (13) Con riguardo al caso specifico del procedimento di sanatoria paesaggistica, qualora la relativa istanza introduttiva venga presentata dopo l’entrata in vigore del vincolo, anche a fronte di abuso antecedente al vincolo, deve senz’altro ritenersi legittimo il diniego di autorizzazione paesaggistica: in tal senso, ad es., T.A.R. Molise, sentt. n. 313/2018 e 92/2020. ConTenzIoSo nAzIonALe dello jus superveniens, sulla base dei sopra indicati principi, nonché in forza di quanto esposto, la decisione finale adottata dall’Amministrazione procedente determinerebbe il momento di preclusione dell’applicazione del vincolo sopravvenuto all’istanza abilitativa. Apparentemente più restrittiva e selettiva l’impostazione che arretra alla fase istruttoria dell’iter autorizzatorio lo sbarramento temporale di rilevanza della regola sopravvenuta, dal momento che l’esaurimento di quest’ultima fase prima dell’insorgenza del vincolo determinerebbe l’inettitudine del vincolo stesso a incidere sul contenuto dell’emanando provvedimento, di guisa che quest’ultimo potrebbe prescindere dalla considerazione della determinazione approvativa finale che l’ha definitivamente introdotto; pertanto, come valorizzato dalla giurisprudenza amministrativa, laddove l’Amministrazione (nel caso di specie, dei B.A.C.) non abbia adottato il relativo provvedimento, il fatto sopravvenuto non avrebbe la capacità di incidere sul provvedimento finale ancora da adottare dall’autorità procedente, solo se attinente a una fase endoprocedimentale già conclusa (14). Specularmente, non potrebbe esservi margine di applicazione del vincolo paesaggistico sopravvenuto ai procedimenti pervenuti a fase istruttoria già espletata o conclusa (15). A questo punto, peraltro, vanno considerate nella fattispecie specifica in esame le compatibilità con la prescrizione di modulazione degli effetti della decisione giurisdizionale di annullamento, scaturente da A.P. n. 13/2017, dovendosi vagliare anche alla stregua di quest’ultima l’applicabilità del vincolo paesaggistico definitivo nel procedimento abilitativo in corso, tenendosi in conto la sua interferenza col tema dell’eventuale rilevanza da riconoscersi o meno al decorso del prescritto termine di 180 giorni, dettato per la conclusione ordinaria dell’iter di approvazione del vincolo. A tal proposito, non appare recepibile la soluzione (cfr. T.A.R. Molise n. 117/2018, riformata da Cons. Stato, sez. vI, n. 6858/2018), che esclude in limine l’applicabilità del vincolo sopravvenuto, in quanto insuscettibile di incidenza su qualsiasi iter in corso, e ciò perché, analogamente e specularmente alle surrichiamate impostazioni, parimenti si tradurrebbe nella disapplicazione (14) In generale, ex multis, T.A.R. Lazio RM, sez. I, 20 maggio 2005, n. 4014. (15) Come è noto, la procedura amministrativa è solita snodarsi in diverse fasi che, pur essendo tra loro coordinate, sono tuttavia dotate di una relativa autonomia. Ad esempio, in sede di valutazione e accertamento delle procedure di sanatoria, è possibile riscontrare la presenza di fasi istruttorie suscettibili di esaurimento e di irretrattabilità, consistenti in subprocedimenti riguardanti assensi, nulla osta e pareri di soggetti pubblici, conclusi univocamente dall’organo tecnico competente in sede autonoma e separata rispetto all’iter autorizzatorio condotto dall’Autorità procedente. Ciò posto, il c.d. jus superveniens, per esigenze di economia dell’azione amministrativa, potrebbe essere applicato a quelle sottofasi che, all’atto dell’entrata in vigore del vincolo, non siano state ancora realizzate. a contrario, da ciò è desumibile l’assunto per cui, qualora l’amministrazione si sia determinata compiutamente sulla richiesta, la fase istruttoria non risulterebbe ulteriormente suscettibile di nuova valutazione circa l’incidenza del vincolo sorto successivamente. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 generalizzata del canone sulla salvezza dei valori costituzionali in gioco, cui è strumentale la modulabilità per il futuro degli effetti della decisione di annullamento giurisdizionale, che è il tratto distintivo ed essenziale di A.P. n. 13/2017, in tal guisa elidendosi anche qualsiasi spazio vitale alla regola sopra illustrata del prospective overruling. Alla medesima conclusione si perverrebbe ugualmente qualora la sopravvenienza del vincolo fosse commisurata al momento di presentazione del- l’istanza avente a oggetto il rilascio del titolo edilizio (come in generale ad esempio in tema di sanatoria di abusi paesaggistici) per la realizzazione di interventi di trasformazione del territorio interessato dal vincolo sopravvenuto, istanza in tesi antecedente all’entrata in vigore del vincolo stesso. Invero, affermare ciò darebbe luogo al riconoscimento di un dirimente effetto di “prenotazione” insito nella presentazione della domanda amministrativa di abilitazione alla trasformazione del territorio, che resterebbe sempre, per definizione, insensibile alle sopravvenienze fattuali e regolamentari, ad onta della pendenza ed eventuale quiescenza del correlativo procedimento (16). Ciò posto, appare ineludibile che il suesposto principio vada bilanciato con la prescrizione distintiva della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 13/2017, affinché non entri in conflitto con la "regola" pro futuro da quest’ultima dettata, marcando la differenza tra l’ipotesi in cui l'atto finale di vincolo sia intervenuto entro i 180 giorni indicati nella pronuncia dell’A.P. (caso deciso dal Cons. Stato con sent. n. 6858/2018) e quella in cui l’atto di imposizione di vincolo venga adottato in seguito alla scadenza del predetto termine (ultra-termine, come nel caso deciso dal T.A.R. Molise, con sent. n. 104/2019). vero è che non appare sostenibile che il vincolo paesaggistico possa essere indiscriminatamente applicato in qualsiasi contesto procedimentale autorizzatorio, poiché altrimenti ciò darebbe luogo a un’evidente elusione dell’orientamento già minoritario e poi prevalso nella prospettiva recepita (16) Tale aspetto è pacificamente desumibile dalla giurisprudenza in materia di sanatoria di abusi paesaggistici, allorquando la presentazione della relativa istanza preceda temporalmente l’insorgenza del vincolo. Come è noto, la sussistenza del vincolo medesimo va rapportata al momento in cui viene proposta la domanda di permesso di costruire o di condono o di sanatoria, a tal ultimo riguardo non rilevando l’epoca della realizzazione dell’abuso o la data di presentazione dell’istanza di sanatoria, tenuto conto del fatto che la predetta valutazione funzionale risponderebbe all’esigenza di vagliare la compatibilità attuale dei manufatti realizzati abusivamente con il regime di tutela compendiato dal vincolo (sul punto, t.a.R. sicilia Pa, sez. ii, 23 maggio 2017, n. 1389). Invero, in relazione al rapporto tra istanza di sanatoria e autorizzazione paesaggistica, prescindendosi dal momento di introduzione del vincolo, ciò che rileva è la data di valutazione della domanda di sanatoria e non quella di antecedente realizzazione dell'opera o di presentazione della domanda, essendo irrilevante che il vincolo paesaggistico sia sopravvenuto rispetto alla commissione dell’abuso e alla data di presentazione della domanda di sanatoria (cfr. Consiglio di stato, sez. Vi, 9 ottobre 2014, n. 5025). In tale specifica ipotesi, dunque, si applicherebbe il vincolo, solo se insorto prima della presentazione della domanda ovvero del momento di sua valutazione, altrimenti la suddetta sopravvenienza non potrebbe avere alcun margine operativo. ConTenzIoSo nAzIonALe dall’A.P., il quale tende a evitare la perpetuazione degli effetti di atti provvisori, quali appunto le proposte di vincolo, senza che le stesse abbiano avuto un tempestivo impulso procedimentale, in tal guisa rendendo il sottostante procedimento autorizzatorio a priori insensibile al decorso del termine perentorio imposto per la consolidazione del vincolo preliminare. Per converso e specularmente, non si può parimenti sostenere che il vincolo non possa mai essere applicato, per la consumazione del potere di sua approvazione definitiva, in quanto è pur sempre riconosciuta all’azione amministrativa una sottesa, minima utilità, in ossequio al principio di conservazione dell’atto amministrativo, che consente, appunto, di evitare che l’attività svolta dalla P.A. si dispieghi in termini totalmente infruttuosi, specialmente quando abbia ad oggetto beni a valenza costituzionale e dunque rango primario. Di conseguenza, il principio dell'inapplicabilità del jus superveniens va contemperato con l'ambito oggettivo in cui si cala, ossia va correlato allo stadio di avanzamento del procedimento su cui va a incidere. Come sopra esposto, dunque, esso sarebbe applicabile in sede istruttoria, laddove la specifica fase endoprocedimentale non risulti già conclusa. Se ne desume che non appaiono applicabili in termini assoluti i sopra richiamati principi del “tempus regit actum” e di preconcetta irrilevanza del vincolo sopravvenuto, potendosi invece privilegiare la prospettiva additata dalle sentenze in commento, che consentono di cogliere spunti validi per delineare una differenza operante essenzialmente in punto di attitudine del vincolo a dispiegarsi o meno all’insegna del canone di retroattività più o meno marcata. In tal senso, laddove l'atto finale di recepimento della proposta di vincolo intervenga tempestivamente entro il termine dei 180 giorni indicati dall’A.P., in scadenza il 22 giugno 2018, sarà possibile ritenere la piena applicazione delle ordinarie regole codicistiche, che prevedono la possibilità di dispiegamento preliminare e immediato del vincolo mediante le c.d. clausole di salvaguardia, rendendolo così, di fatto, retroattivo, con saldatura dei relativi effetti con quelli provvisori promananti dalla proposta, avente quale scaturigine una sorta di rimessione in termini in favore dell’Amministrazione ministeriale, come delineata dall’Adunanza Plenaria. Qualora, invece, l’atto di imposizione del vincolo sia stato tardivo perché successivo alla scadenza del termine di 180 giorni e quindi al 22 giugno 2018, secondo quanto affermato dal Supremo Consesso, esso resterà valido ma non sarà opponibile a quelle domande, già proposte, pervenute a chiusura della fase istruttoria del relativo iter o subfase, senza perfezionamento di quest’ultimo. Ciò implicherebbe l’impossibilità per il vincolo paesaggistico di operare retroattivamente. Il materiale limite operativo (e discretivo tra le due delineate ipotesi di sopravvenienza del vincolo per perfezionamento dell’iter approvativo) è rappresentato, quindi, dallo stato di avanzamento del procedimento autorizzatorio. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 Conseguentemente, laddove la fase istruttoria sia stata chiusa senza vagliare la congruità della proposta di vincolo implicante nell’immediato la produzione preliminare delle misure di salvaguardia, suscettibili di decadenza qualora la conferma finale della proposta intervenga oltre i 180 giorni, l’atto impositivo di vincolo non sarà più applicabile al caso concreto; mentre, laddove la fase istruttoria non sia stata ancora conclusa, opererebbe in favore dell’Amministrazione procedente una sorta di deroga al principio del “tempus regit actum”, relativo alle fasi completate. La conclusione globalmente ricavabile, ai fini della soluzione del quesito inerente all’incidenza del vincolo sopravvenuto nei singoli procedimenti abilitativi, dai dettami impartiti dalla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria (passata indenne al controllo di legittimità), nonché di quelle, irrevocabili, della Sezione vI del Consiglio di Stato e del T.A.R. Molise, è dunque nel senso che l’applicazione del principio del “tempus regit actum” e della speculare deroga, in coerenza con i suesposti limiti, consente in ogni caso un minimo ampliamento dell’opportunità di tutela paesistica, per il fatto di garantire la qualificazione di interesse pubblico dei valori espressi dal territorio quando il relativo perfezionamento si sia sovrapposto al singolo iter autorizzatorio presupponente un concreto accertamento di compatibilità paesaggistica che non abbia raggiunto un certo grado di consolidazione, mentre la soluzione dell’irrilevanza assoluta del vincolo sopravvenuto, poiché incompatibile con l’esigenza di difesa estrema dei beni paesaggistici in relazione alla tutela costituzionale per essi apprestata, risulterebbe in radice inadeguata e incompatibile con quei valori, dunque meno equilibrata e pragmatica della linea dettata dalle medesime pronunce. tribunale amministrativo Regionale per il Molise, sezione Prima, sentenza 14 marzo 2019 n. 104 -pres. S.I. Silvestri, est. o. Ciliberti -Comune di Isernia (avv. A. Colesanti) c. Ministero per i beni e le attività culturali, Sovrintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio storico, artistico e demoantropologico del Molise, Commissione regionale per il patrimonio culturale e Regione Molise (avv. distr. Stato). FATTo e DIRITTo I -Questo T.a.r., a seguito di ricorsi della Regione Molise e del Comune di Isernia, con le sentenze nn. 27 e 28 del 2004, annullava la proposta ministeriale di dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio di Isernia, formulata nel 2003. Il Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 7606/2009 e 7607/2009, accoglieva gli appelli del Ministero avverso le sopracitate sentenze T.a.r., annullandone gli effetti e facendo così rivivere la proposta a suo tempo formulata dal Ministero per i beni e le attività culturali (Mi.b.a.c.) di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’intero territorio comunale. Sennonché, tale proposta non approdava ad alcun esito fino al 2 agosto 2018, data nella quale il relativo procedimento veniva concluso col decreto n. 28/2018 del Ministero per i beni e le attività culturali -Segretariato regionale ConTenzIoSo nAzIonALe per il Molise che, in applicazione del D.Lgs. n. 42/2004 e della legge n. 1497/1939, dichiarava il notevole interesse pubblico ai fini paesaggistici del territorio del Comune di Isernia, sottoponendo al vincolo l’intero territorio comunale. Il Comune insorge, col ricorso notificato il 17 ottobre 2018 e depositato il 12 novembre 2018, per impugnare i seguenti atti: 1) il decreto n. 28/18 del Ministero b.a.c. -Segretario regionale; 2) il verbale del Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio n. 9 del 16 luglio 2018; 3) la nota del Segretariato regionale per il Molise prot. n. 1786 del 24 luglio 2018; 4) la nota prot. n. 4976 del 10 aprile 2003 della Soprintendenza BAP-PSAD del Molise; 5) gli atti connessi. Il Comune deduce i seguenti motivi di diritto: 1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, della legge n. 1497 del 1939, del D.Lgs. n. 157/2006 e del D.Lgs. n. 63/2008 e della normativa in materia, falsa applicazione della sentenza n. 13 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2017, violazione dell'art. 13.3 delle Linee-guida della Regione Molise per il procedimento unico ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà manifesta; 2) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, della legge n. 1497 del 1939, del D.Lgs. n. 157/2006 e del D.Lgs.n. 63/2008 e della normativa in materia, violazione della legge n. 241/1990 e della normativa generale sul procedimento, eccesso di potere per violazione dei principi generali in tema di giusto procedimento e di affidamento, difetto assoluto di istruttoria; 3) eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti erronei ed erronea valutazione dei fatti, incongruenza, difetto di motivazione, illogicità manifesta, violazione della normativa pianificatoria vigente, del Piano paesaggistico regionale e del P.r.g. del Comune di Isernia. Si costituiscono congiuntamente il Ministero e la Regione intimati, per resistere nel giudizio. Con tre successive memorie, deducono l’inammissibilità per ne bis in idem, la tardività rispetto agli atti preparatori, nonché l’infondatezza del ricorso. Concludono per la reiezione. nella camera di consiglio del 5 dicembre 2018, il ricorrente Comune rinuncia all’istanza cautelare. All’udienza del 6 marzo 2019, la causa è introitata per la decisione. II - Il ricorso è ammissibile ma infondato. III -La tardiva impugnazione degli atti preparatori è del tutto inconferente, trattandosi di atti endo-procedimentali, privi di autonoma lesività. Iv -va disattesa l’eccezione di inammissibilità per il ne bis in idem, poiché l’odierno ricorso non riguarda la proposta del 2003 di apposizione del vincolo (oggetto delle sentenze del 2009 del Consiglio di Stato), bensì il sopravvenuto provvedimento del 2018 che conclude il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio di Isernia. Anche se il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ossia non solo le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, seppure non dedotte, costituiscono un presupposto logico indefettibile della decisione, nondimeno, qui non si fa questione della legittimità della proposta di vincolo formulata nel 2003, bensì della legittimità del vincolo apposto nel 2018 al territorio di Isernia, ancorché in conformità alla detta proposta. v -I motivi dedotti dal ricorrente Comune sono i seguenti: 1) la proposta del 2003 di sotto- posizione a vincolo avrebbe dovuto perdere di efficacia dopo i 180 giorni previsti dalla normativa vigente; 2) sarebbero state violate nel caso di specie le linee-guida previste dalla Regione Molise per il procedimento unico ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003; 3) il procedimento iniziato nel 2003 non è stato intervallato da istruttoria, incontri, comunicazioni o atti di partecipazione; 4) è stata ignorata la normativa del Piano paesaggistico regionale e del RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 P.R.G. del Comune di Isernia; 5) non si è tenuto conto della reale situazione dei luoghi oggetto del vincolo e, nel complesso, l’istruttoria svolta sarebbe inadeguata. vI - Il primo motivo del ricorso è da ritenersi inattendibile. La problematica delle proposte di vincolo è stata, a suo tempo, approfondita da questo T.a.r. con la sentenza n. 92 del 26 febbraio 2016, pervenendosi alla conclusione della perdurante efficacia degli effetti del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore della novella al D.Lgs. n. 42/2004 (dapprima con il D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 157, poi, segnatamente, con il D.Lgs. 26 marzo 2008 n. 63), anche se non siano state seguite dal decreto ministeriale di conclusione del procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico. Sennonché, sull’appello proposto avverso la predetta sentenza di questo T.a.r. n. 92/2016, la Iv sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 12 giugno 2017, n. 2838 ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria la quale, con sentenza 22 dicembre 2017, n. 13 è giunta ad affermare il principio di diritto secondo cui “il combinato disposto -nell’ordine logico -dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo -come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 -cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni”. L’Adunanza Plenaria, chiamata a pronunciarsi anche sulla questione degli effetti della propria pronuncia sulle proposte di vincolo pendenti in relazione a procedimenti mai conclusi, ha pure affermato l’ulteriore principio di diritto secondo cui «il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre dalla pubblicazione della presente sentenza». In parte disattendendo tale orientamento giurisprudenziale, questo T.a.r., con la sentenza del 5 marzo 2018 n. 117, ha accolto il ricorso di un privato avverso il rigetto della richiesta di autorizzazione, ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, motivato dalla sussistenza di un vincolo paesaggistico sul territorio di Isernia, ribadendo nella motivazione la valenza inderogabilmente retroattiva della esegesi di norme di carattere sostanziale, anche in presenza di un prospective overruling ed affermando, pertanto, l’avvenuta decadenza del vincolo preliminare connesso alla proposta del 2003. Peraltro tale sentenza è stata recentemente annullata dal Consiglio di Stato (Sez. vI, n. 6858 del 3 dicembre 2018). nondimeno, la questione qui presa in esame non riguarda la sopravvivenza oltre i 180 giorni delle misure di salvaguardia scaturenti dalla proposta di vincolo paesaggistico, bensì la sopravvivenza oltre tale termine della proposta stessa, ancorché privata dei suoi provvisori effetti di salvaguardia. L’originaria proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio comunale di Isernia risale al 2003 ed è stata esercitata mediante l’inserimento negli elenchi compilati di cui all’art. 144, comma 1, dell’allora T.U. dei beni culturali, approvato con D.Lgs. n. 490/1999, il quale stabiliva la facoltà del Ministero dei beni culturali di integrare, su impulso della Soprintendenza competente, gli elenchi dei beni e delle località indicati all’art. 139 (le cosiddette bellezze individue o bellezze d’insieme). In precedenza, il Ministero, con le note del 29 aprile 1996 e del 29 maggio 1996, aveva invitato la Regione Molise ad avvalersi delle proprie competenze, sottoponendo il territorio comunale alla tutela paesaggistica di cui all’allora vigente legge n. 1497/1939. Stante il protrarsi dell’inerzia regionale, la Soprintendenza per i beni paesaggistici, esercitando una potestà concorrente, ai sensi della procedura prevista dall’allora ConTenzIoSo nAzIonALe vigente D.Lgs. n. 490/1999, con la nota prot. n. 4976 del 10 aprile 2003, formulava in via sostitutiva la propria proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico. Questo T.a.r., a seguito dei ricorsi della Regione Molise e del Comune di Isernia, con le sentenze nn. 27 e 28 del 2004, caducava per illegittimità la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio di Isernia, sennonché il Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 7606/2009 e 7607/2009, accoglieva gli appelli del Ministero, annullando le sopracitate sentenze T.a.r. e facendo rivivere l’originaria proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio di Isernia. Pertanto, a seguito dei menzionati pronunciamenti del Consiglio di Stato, interveniva il parere del Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio, di cui al verbale del 16 luglio 2018, che conferiva nuovo impulso al procedimento di vincolo. Al preavviso ministeriale del 24 luglio 2018, faceva seguito il decreto di tutela paesaggistica n. 28/2018, pubblicato nell’albo pretorio il 10 agosto 2018, nonché nel B.U.R.M. n. 48 del 16 agosto 2018 e nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2018. La citata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2017 afferma che la decadenza dell’effetto preliminare di vincolo consente di far salva l’efficacia della proposta. In detta pronuncia si precisa, infatti, che l’effetto preliminare, ancorché trovi il suo presupposto nella proposta, è disposto dalla legge -precisamente dal combinato disposto dell’art. 139, comma 2, e dell’art. 146, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004 -e, nondimeno, l’art. 141, comma 5, dello stesso D.Lgs. n. 42/2004 (come sostituito dal D.Lgs. n. 63/2008) stabilisce che a decadere non è la proposta, ma è l’effetto preliminare. Anche se per “il principio introdotto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, e rafforzato dalle modifiche al medesimo, il potere autoritativo della pubblica amministrazione è circoscritto temporalmente”, tuttavia “in materia di tutela paesaggistica il legislatore ha adottato un compromesso, prevedendo che il potere impositivo del vincolo persiste anche dopo la scadenza del termine, ma cessa l’effetto restrittivo derivante dal suo (iniziale) esercizio”. Ciò in quanto “far cessare gli effetti della proposta di vincolo adottata nel passato non è meno logico che conservarli, tanto più che si tratta di un passato remoto: le proposte sono quelle anteriori al 2004 (entrata in vigore del Codice), mentre la cessazione del vincolo è stata prevista nel 2006 e poi nel 2008 (entrata in vigore delle modifiche)”. In conclusione, “le norme in questione intervengono, così, sul potere dell’amministrazione, diversamente conformandolo nel senso di far conseguire al suo mancato esercizio nel termine di 180 giorni, non la decadenza della proposta, ma la semplice cessazione degli effetti di salvaguardia” (cfr.: Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 2017 n. 13). Per tale ragione il Mi.b.a.c. (la cui Direzione Generale aveva chiesto di conoscere lo stato dei cosiddetti vincoli “non decretati”, tra cui quello del Comune di Isernia) ha riavviato e concluso il procedimento, sul presupposto che il competente Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio, in data 16 luglio 2018, aveva ravvisato la necessità di procedere alla decretazione dei vincoli. Ciò premesso, non si può ritenere che vi sia stata una consumazione del potere ministeriale di concludere il procedimento in esame, stante la salvezza della proposta pubblicata, essendo decadute in data 22 giugno 2018 solo le previsioni di salvaguardia scaturenti dalla proposta stessa. La proposta ha, pertanto, conservato intatta la sua efficacia di atto di iniziativa del procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c) e d) del D.Lgs. n. 42/2004. vII -Contrariamente a quanto genericamente dedotto dal ricorrente, non risultano violate, nel caso di specie, le linee-guida previste dalla Regione Molise per il procedimento unico ex RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003. Peraltro, non è ben chiaro nella prospettazione della censura, in che modo le dette linee-guida regionali avrebbero potuto o dovuto vincolare ovvero limitare l’azione ministeriale. vIII -Inattendibile è la censura che il procedimento iniziato nel 2003 non sia stato intervallato da istruttoria, incontri, comunicazioni o atti di partecipazione. vi è stata interlocuzione tra Ministero, Regione e Comune di Isernia, come risulta dal carteggio versato in atti dalla difesa erariale. Lo stesso contenzioso giurisdizionale al quale si è fatto cenno, sviluppatosi a partire dal 2003, ha consentito al Comune ricorrente di esprimere compiutamente i propri punti di vista sulla questione della sottoposizione a vincolo del proprio territorio comunale, di guisa che non può ritenersi in alcun modo violata la garanzia procedimentale. IX -Generica e inammissibile è la censura di inosservanza o violazione del Piano paesaggistico regionale e del P.R.G. del Comune di Isernia: non è ben spiegato dal ricorrente in che modo il vincolo ministeriale possa aver interferito in senso negativo o nocivo rispetto alla pianificazione paesaggistica regionale ovvero a quella urbanistica comunale. Con riguardo alla pianificazione regionale, va evidenziato che Mi.b.a.c. e Regione Molise hanno, peraltro, sottoscritto un protocollo d’intesa in data 25 gennaio 2018, per l’elaborazione del Piano paesaggistico regionale, ai sensi dell’art. 135, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché un successivo disciplinare d’attuazione datato 27 marzo 2018. va considerato poi che i vincoli paesaggistici operano su un piano diverso da quello delle previsione urbanistiche, nonché da quello dei vincoli ambientali in senso proprio. essi non divengono vincoli meramente urbanistici e non devono essere recepiti nel P.R.G. o nei piani regionali, mantenendo la loro natura di vincoli dichiarativi a effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non dalla scelta discrezionale dell’Amministrazione, bensì dalle qualità intrinseche del bene tutelato che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare (cfr.: T.a.r. Umbria I, 4 marzo 2009 n. 2071). X -Infondata, infine, è la censura di difetto di istruttoria. Il provvedimento impugnato fa seguito a una lunga e articolata fase istruttoria che ha tenuto, senz’altro, conto della reale situazione dei luoghi oggetto del vincolo. In particolare, ne hanno tenuto conto la relazione datata 10 aprile 2003 di inquadramento geo-morfologico della competente Soprintendenza ed il parere di cui al verbale n. 9/2018 del Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio. Regge, pertanto, alle censure del ricorso l’articolata motivazione del decreto n. 28/2018, a tenore della quale l’intero territorio del Comune di Isernia presenta notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c) e d) del D.Lgs. n. 42/2004. XI -Il ricorso, in conclusione, deve essere respinto, perché infondato. Si ravvisano giustificate ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, perché infondato. Compensa tra le parti le spese del giudizio. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019. ConTenzIoSo nAzIonALe Consiglio di stato, sezione sesta, sentenza 3 dicembre 2018 n. 6858 -pres. B. Lageder, est. o.M. Caputo -Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (avv. gen. Stato) c. edilcentro S.r.l.(avv. S. Di Pardo); Comune di Isernia, Regione Molise, non costituiti in giudizio. FATTo e DIRITTo 1. È appellata la sentenza del T.A.R. Molise, n. 117/2018, d’accoglimento del ricorso proposto dalla edilcentro Srl avverso il provvedimento (prot. 00013547 del 17 marzo 2014) di rigetto della richiesta di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 142/2004. Impugnazione estesa all’allegato parere negativo vincolante della Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici del Molise MBAC- SBAP-MoL UAMB 0006143 del 5 marzo 2014 C1. 34.19.07/1.851, e al preavviso di provvedimento negativo della Soprintendenza e ogni ulteriore atto preordinato consequenziale e/o comunque connesso. 2. nell’atto introduttivo la ricorrente ha premesso che: -in data 22 novembre 2013, la società edilcentro presentava al Comune di Isernia una SCIA, prot. n. 30369 avente ad oggetto la demolizione dell’immobile sito in via Leopardi nella zona di P.R.G. B73.2 (zone residenziali consolidate) e la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione; -il Comune di Isernia trasmetteva l’istanza alla Regione per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, sul presupposto dell’insistenza dell’immobile in un’area paesaggisticamente vincolata; -con provvedimento n. 0037328/13 del 19 dicembre 2013, il Direttore del Servizio Pianificazione e Gestione territoriale e Paesistica (Gestione paesaggio zona di Isernia) comunicava alla edilcentro srl che la Commissione Regionale per il Paesaggio aveva espresso parere favorevole all’intervento e contestualmente aveva trasmesso alla Soprintendenza per i beni Architettonici e paesaggistici del Molise l’istanza di autorizzazione ex art. 146 d.lgs. n. 42/2004 e la relativa documentazione. -la Soprintendenza con nota n. 0006143 del 5 marzo 2014 C1. 34.19.07/1.851 esprimeva parere negativo vincolante recepito dalla Regione con provvedimento n. 00013547 del 17 marzo 2014, in quanto “il territorio del Comune di Isernia è sottoposto a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 157 d.lgs. 42/2004 con proposta di vincolo, affissa all’Albo Pretorio del Comune di Isernia dal 15 aprile 2003 al 15 luglio 2003”. 3. Con ricorso n. 214 del 2014 proposto innanza al TAR Molise la edilcentro Srl chiedeva l’annullamento, previa sospensione cautelare, dei predetti provvedimenti, nonché l’accertamento e la declaratoria della nullità ed inefficacia “del vincolo paesaggistico derivante dalla proposta di dichiarazione di notevole interesse dell’intero territorio di Isernia presentata dalla Soprintendenza e pubblicata all’Albo Pretorio del Comune di Isernia dal 15 aprile 2003 al 15 luglio 2003”. 3.1. nelle more del giudizio, il Comune di Isernia comunicava alla ricorrente il provvedimento n. 12919 prot. 30369/3661- s.c.i.a. a firma del Dirigente del Servizio edilizia Privata dello sportello unico per l’edilizia del Comune di Isernia, recante l’inibizione della SCIA. 3.2. La edilcentro srl impugnava con motivi aggiunti il predetto provvedimento. 3.3. Il Ministero per i Beni e le Attività culturali si costituiva in giudizio e ribadiva la legittimità del suo operato. 3.4. Con ordinanza n. 71 del 2014 il TAR Molise respingeva la domanda cautelare. 4. Con la sentenza appellata n. 117/2018, il TAR Molise accoglieva il ricorso nel merito ponendo a fondamento della propria decisione il principio espresso dalla Adunanza Plenaria n. 13 del RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 2017, secondo cui “Il combinato disposto -nell’ordine logico -dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo -come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 -cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni”. 4.1. Principio che -precisavano i giudici di prime cure -sarebbe applicabile al caso di specie avente ad oggetto un procedimento iniziato con una proposta risalente ad 11 anni prima rispetto al diniego impugnato e mai concluso; sicché alla data di presentazione della richiesta l’autorizzazione paesaggistica il vincolo preliminare risultava ormai decaduto ed il bene immobile oggetto dell’intervento non più soggetto alla disciplina di tutela ex art. 146 d.lgs. n. 42/2004. 4.2. nondimeno il TAR si discostava dall’Adunanza Plenaria, laddove la pronuncia circoscriveva pro futuro l’operatività degli effetti del decisum: aderendo a tale impostazione, la proposta di vincolo relativa al Comune di Isernia avrebbe dovuto ritenersi assistita dalla perdurante efficacia del vincolo preliminare e quindi soggetta al potere di autorizzazione ai sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 42/2004 sino al 22 giugno 2018. 4.4. Il giudice di primo grado argomentava che “la limitazione pro futuro degli effetti della sentenza interpretativa dell’Adunanza Plenaria equivale alla creazione di una norma transitoria, in funzione para-normativa che non può vincolare il giudice di primo grado, in quanto recessiva rispetto al principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101 Cost.”, e ritenendo insussistenti nel caso de quo i presupposti elaborati dalla giurisprudenza ai fini della configurabilità del c.d. prospective overruling poiché “l’esegesi non incide su norma processuale ma su una sostanziale disciplina del procedimento amministrativo; l’innovazione non comporta effetti preclusivi del diritto di azione o di difesa; non si era formato un diritto vivente sul punto controverso (tanto che era stato necessario rimettere la questione alla Plenaria proprio per la presenza di un contrasto di giurisprudenza maturato in seno al Consiglio di Stato)”. 5. Avverso la suddetta sentenza propone appello il Ministero dei beni delle Attività culturali e del Turismo con ricorso n. 7778/2017 instando, previa sospensione dell’esecutività della sentenza gravemente compromissoria della tutela paesaggistica del territorio del Comune di Isernia, l’annullamento della pronuncia e, per l’effetto, il rigetto del ricorso introduttivo. Alla camera di consiglio del 15 novembre 2018 deputata alla cognizione della domanda cautelare la causa, previa segnalazione alle parti della possibile pronuncia di una sentenza breve, è stata trattenuta in decisone. 6. Preliminarmente va dato atto che sussistono i presupposti per la definizione del giudizio con sentenza ex art. 60 cod. proc. amm. Infatti, uniche cause ostative a tale definizione sono quelle, non sussistenti nel caso di specie, enunciate dalla disposizione del codice del processo ora citata, e cioè il difetto del contraddittorio e la non completezza dell’istruttoria, che spetta al collegio decidente apprezzare, nonché la dichiarazione della parte circa la volontà̀ di “proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione”. 7. Con il primo motivo di doglianza l’appellante critica la sentenza impugnata laddove si discosta dal principio espresso dalla Adunanza Plenaria, ritenendolo non vincolante. 7.1. Il Ministero dei beni delle Attività culturali e del Turismo osserva in particolare come, escludendo la vincolatività per il TAR di un principio di diritto espresso dall’Adunanza Plenaria nel- l’espletamento della funzione nomofilattica che le è espressamente attribuita per legge, si rischia ConTenzIoSo nAzIonALe di “perdere i caratteri propri di uno strumento volto a una sostanziale reductio ad unitatem”, trasformando esso stesso in una “potenziale fonte di interpretazioni variegate e divergenti, con evidente nocumento del canone di certezza giuridica cui l’istituto, al contrario, è volto”. 8. Il motivo non è fondato. 8.1. Il riconoscimento dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge -oggi scolpito nell’art. 3 Cost. -è uno dei principi fondamentali di un sistema democratico e traduce l’esigenza primaria di assicurare parità di trattamento ai cittadini in situazioni eguali. Tale obiettivo può raggiungersi unicamente in presenza di un diritto connotato da un sufficiente grado di certezza e richiede da un lato che le norme giuridiche siano scritte in modo inequivoco e dall’altro che le stesse siano interpretare in modo uniforme e senza oscillazioni. 8.2. L’evoluzione del sistema ha determinato, anche nei paesi di civil law, la necessità di rendere più efficace la funzione nomofilattica delle magistrature apicali. Con riferimento alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato tale funzione è stata rafforzata dalle norme contenute nell’art. 99 cod. proc. amm., in particolare nei commi terzo e quinto, che si pongono in continuità con le disposizioni degli artt. 363 e 374 cod. proc. civ. 8.3. Tali disposizioni hanno certamente modificato il peso del precedente costituito dalla pronuncia della Adunanza Plenaria la quale, da particolarmente autorevole in quanto proveniente dal massimo consesso della giustizia amministrativa, è divenuta in qualche modo vincolante per le sezioni semplici dei Consiglio di Stato. 8.4. Il vincolo del precedente espresso dall’Adunanza Plenaria non può ritenersi lesivo del principio di cui all’art. 101, comma 2, Cost., secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, poiché la Sezione del Consiglio di Stato, ove non condivida il principio espresso dalla Plenaria, non è tenuta a decidere in modo difforme dal proprio convincimento, dovendo invece interpellare la stessa Plenaria con ordinanza motivata. 8.5. Diversamente l’art. 99 cod. proc. amm. non spiega alcun effetto in via diretta nei confronti dei tribunali amministrativi regionali. 8.6. L’esigenza di dare certezza al diritto applicato che si pone alla base dell’art. 99 cod. proc. amm. deve essere infatti bilanciata con la necessità di garantire forme naturali di evoluzione giurisprudenziale. Il giudice di prime cure non sarà quindi obbligato a seguire il principio, ma dovrà evitare difformità per incuriam rispetto allo stesso. 8.7. nel caso di specie il TAR Molise fa espresso riferimento alla decisione della Adunanza Plenaria e se ne discosta motivatamente. Tale contegno appare quindi ammissibile. 8.8. nondimeno, non appaiono condivisibili le osservazioni svolte dal giudice di prime cure come correttamente evidenziato nell’ambito del secondo motivo di appello. 9. Con il secondo motivo di doglianza l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado che disapplica il principio di cui all’Ad. Plen. n. 13/2017, non ritenendo sussistenti, nel caso deciso dall’Adunanza, i presupposti per l’applicazione dello strumento del prospective overruling. 10. Il motivo è fondato. 10.1. Le pronunce dell’Adunanza Plenaria, specie nel caso in cui la stessa enunci un principio di diritto, hanno natura essenzialmente interpretativa e, analogamente alle sentenze di annullamento e a quelle di incostituzionalità, hanno efficacia nei giudizi in corso. 10.2. In taluni casi tuttavia, la medesima esigenza di certezza del diritto che muove all’enunciazione del principio può indurre l’Adunanza Plenaria a stabilire che la propria decisione produca effetti unicamente pro futuro, escludendone la retroattività mediante il ricorso al c.d. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 3/2020 prospective overruling, istituto creato nel diritto nordamericano degli anni trenta proprio per mitigare gli effetti della naturale retroattività dei revirement delle corti supreme. 10.3. A partire da Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2011 n. 15144 (e numerose altre successive, tra cui 21 maggio 2015, n. 10453; 17 dicembre 2014, n. 26541; 4 giugno 2014, n. 12521, 13 febbraio 2014, n. 3308 e, da ultimo, Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2017, n. 21194) si è costantemente affermato che, per configurare il c.d. prospective overruling, sia necessaria la concomitante presenza dei seguenti tre presupposti: 1) l’esegesi deve incidere su una regola del processo; 2) l’esegesi deve essere imprevedibile ovvero seguire ad altra consolidata nel tempo tale da considerarsi diritto vivente e quindi da indurre un ragionevole affidamento; 3) l’innovazione comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa. Tale impostazione è stata pedissequamente seguita anche dal giudice amministrativo (Cons. Stato, Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9 e Cons. Stato, sez. III, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138). 10.4. La Plenaria n. 13/17 ha ritenuto tuttavia di estendere la portata del prospective overrulling ad una decadenza procedimentale dell’Amministrazione (decadenza delle misure cautelari di salvaguardia). L’identità con la ratio sottesa alla decadenza processuale e l’inderogabile necessità di tutelare un valore costituzionale, qual è il paesaggio, inducono a ritenere che le Soprintendenze possano legittimamente concludere nel termine di legge di 180 gg. (decorrente dalla pubblicazione della sentenza della Plenaria) i procedimenti di vincolo avviati prima dei correttivi al codice dei beni culturali e mai conclusi, con salvezza delle misure di salvaguardia. Diversamente, i procedimenti in itinere sarebbero irrimediabilmente travolti dall’effetto retroattivo della pronuncia che ne ha accertato la cessazione. L’istituto del prospective overruling opera quindi in ordine alle norme sul procedimento (Ad. Plen. 1/18), perché anche nell’ambito del procedimento amministrativo (nel caso in esame, di conclusione del procedimento di vincolo), come in ambito processuale, la modifica del precedente orientamento non può che comportare che la parte (nella specie, l’Amministrazione) incorra in decadenze fino allora non prevedibili. 11. nondimeno, nella prospettiva di garantire sia il principio di effettività che quello del giusto processo di cui agli artt. 1 e 2 cod. proc. amm., l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo dovrà considerare la scansione cronologica del procedimento impositivo del vincolo protrattosi in un lasso di tempo tale da consolidare l’affidamento della ricorrente nell’esecuzione dell’opera progettata. Segnatamente -nel bilanciamento dei contrapposti interessi -dovrà tenere conto del parere favorevole che la Commissione Regionale per il Paesaggio aveva espresso sull’intervento; parere tempestivamente trasmesso alla Soprintendenza per i beni Architettonici e paesaggistici del Molise. 12. Conclusivamente, l’appello è fondato ai sensi della motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, deve essere respinto il ricorso di prime cure. 13. La particolarità della vicenda dedotto in giudizio giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, respinge il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione. Spese del doppio grado di giudizio compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2018. PAreridelComitAtoConSultivo Sulla rimborsabilità delle spese di difesa, ex art. 18 l. 135/97, a favore del dipendende assolto da imputazioni per fatti e comportamenti in potenziale “conflitto di interessi” con l’Amministrazione Parere del 25/11/2020-593661, al 54044/2019, avv. enrico de Giovanni L'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze solleva nuovamente, alla luce di recenti arresti giurisprudenziali, "la problematica, di ordine generale, relativa alla rimborsabilità delle spese di difesa, ex art. 18 l. 135/97, a favore del dipendente assolto da imputazioni per fatti e comportamenti in potenziale "conflitto di interessi" con l'Amministrazione. La richiesta prende spunto dalla domanda di rimborso di una dipendente del Ministero (omissis); si rimanda, al riguardo, alla nota della Distrettuale, che, per miglior comprensione del presente parere, si allega (1). (1) Nota 37643-23/10/2019, Cons. 2668/2019, Avv. Cortigiani: «Si sottopone nuovamente all'esame di codesto G.U. la problematica, di ordine generale, relativa alla rimborsabilità, delle spese di difesa, ex art. l8 L. 135/97, a favore del dipendente assolto da imputazioni per fatti e comportamenti in potenziale "conflitto di interessi" con l'Amm.ne. Con la nota che si allega la Dir. Gen. (omissis) ha inoltrato la domanda di rimborso della funzionaria in oggetto, imputata (insieme al marito, pure dipendente dell'Amm.ne) di peculato e truffa in relazione all'uso personale di alcune attrezzature di ufficio, nonché di truffa per la compilazione di fogli di presenza attestanti falsamente la presenza in servizio. La funzionaria è stata assolta -in appello -dalle imputazioni relative all'utilizzo personale di attrezzature di ufficio in parte "perché il fatto non sussiste" e in parte "per non aver commesso il fatto" e dalla imputazione relativa alla percezione di emolumenti non dovuti in parte per prescrizione e in parte perché il fatto non sussiste. In tutti i casi la Corte ha ritenuto gli elementi probatori acquisiti non sufficienti a supportare la condanna (ma, per una parte degli episodi contestati nemmeno tali da superare il constatato verificarsi della prescrizione). La Direzione ha segnalato come la domanda fosse stata inizialmente respinta, in sostanza per mancanza della connessione con il servizio dei comportamenti contestati, e che di converso, in sede di osservazioni, RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 la interessata ha lamentato che il procedimento aveva preso il via da un esposto anonimo presentato in conseguenza e "in odio" alla sua posizione all'interno dell'ufficio, richiamando la necessità di "soffermare l'attenzione sulla situazione nella quale può trovarsi un appartenente alla PA che viene segnalato in uno scritto anonimo allo scopo di essere screditato e diffamato per cause attinenti al servizio". Ora, le contestazioni di cui al capo A (salve le considerazioni espresse dalla interessata) potrebbero in effetti ritenersi attinenti ad una attività "privata", mentre per quelle di cui al capo B sembrerebbe più difficile negare la rimborsabilità, alla luce delle considerazioni esposte nel parere 17 maggio 2017 n. 252970 reso da codesto GU nell'affare 40117/16 a seguito di consultazione del Co.Co. Secondo tale parere l'intento perseguito con l'art. 18 risponde ad esigenze di equità sostanziale ed è mirato "alla tutela dei funzionari onesti, per cui non può essere esclusa la rimborsabilità in relazione a condotte inerenti al rapporto di lavoro che rispondano al concetto di "assolvimento di obblighi istituzionali". Ed in tale concetto, latamente inteso, rientrerebbero anche atti posti in essere dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro, quali domande, istanze, certificazioni e anche la ricezione di somme a titolo di retribuzione. Il parere stesso peraltro segnala come la questione sia "complessa e ogni soluzione appaia opinabile" e non manca di rilevare l'esistenza di precedenti giurisprudenziali (Cass. 2366/10) in senso restrittivo. Orbene, successivamente al suddetto parere sono sopravvenute decisioni sia del GA (Tar Lazio 10749/19), sia del GO (Cass. 25976/17 e anche Cass. 20561/18, Cass. 3026/19 sia pur relative a dipendenti di Enti locali) che recisamente escludono la rimborsabilità delle spese per giudizi derivanti da comportamenti che evidenzino un "conflitto di interessi" la cui sussistenza deve essere oggetto di una valutazione ex ante che prescinde dall'esito del giudizio penale e dalla formula di eventuale assoluzione" (Cass. 17874/18). Tali decisioni sono, tra l'altro, richiamate nella bozza di parere Cs 8533/19 discussa nella seduta del Co.Co. del 16 ottobre 2019. Resta pertanto aperta la questione sulla applicabilità dell'art. 18 anche a situazioni nelle quali i comportamenti contestati (e poi rivelatisi insussistenti) si pongano secondo una valutazione ex ante come contrastanti con l'interesse della Amm.ne di appartenenza, tanto da poter rendere in ipotesi possibile una costituzione di parte civile della Amm.ne stessa. Ovvero debba essere limitata a situazioni nelle quali, estremamente semplificando, dai fatti contestati potrebbe astrattamente discendere una chiamata della Amm.ne quale responsabile civile. Il che è, anche, come dire se la previsione dell'art. 18 si ponga come una forma di "difesa dell'interesse concreto della Amm.ne" alternativa ma non dissimile da quella prevista dall'art. 44 RD 1611/33, ovvero sia destinata a tutelare comunque la "tranquillità" del dipendente pubblico nello svolgimento non solo delle proprie attività istituzionali. Ma anche nell'ambito del rapporto contrattuale con l'Amm.ne, rapporto che comunque costituisce la cornice all'interno della quale l'attività istituzionale viene svolta. In tale ottica anche la suddetta "tranquillità" potrebbe essere vista come volta a favorire, sia pur indirettamente, l'interesse della Amm.ne che trarrebbe comunque utilità da tale tranquillità del dipendente nei confronti di denunce (in ipotesi in odio della sua posizione) che poi si rivelano infondate. Non senza rilevare che la posizione più restrittiva della giurisprudenza sembra più agevolmente inquadrarsi nell'ambito dell'art. 28 Cost., si osserva come argomenti di valutazione (sia in un senso che nel- l'altro) potrebbero trarsi dalla specifica normativa in materia di spese del giudizio svoltosi innanzi alla Corte dei Conti, normativa anche in ordine alla quale numerose volte codesto GU è intervenuto. Per un verso potrebbe sostenersi che la previsione del rimborso a favore del dipendente prosciolto all'esito di un giudizio per il quale la sussistenza -ex ante -di un conflitto di interessi con l'Amm.ne è connaturata al giudizio stesso (v. art. 3 c. 2 bis dl 543/96) sta a dimostrare che, appunto, la ravvisabilità ex ante di tale conflitto non è in assoluto di ostacolo alla rimborsabilità. Per l'altro potrebbe peraltro osservarsi che secondo la giurisprudenza conseguente alla modifica dell'art. 10 bis comma 10 del dl 203/05 "il rimborso giudiziale costituisce uno strumento strettamente processuale" (Cass. 19195/13) la cui applicazione spetta esclusivamente al giudice contabile, senza possibilità di una successiva richiesta di integrazione a carico della Amm.ne. Sulla base di tale giurisprudenza codesto GU (parere Cs 17910/15) ha escluso la possibilità di una liquidazione delle spese da parte della Avvocatura anche nel caso in cui il Giudice contabile -errando abbia omesso tale liquidazione. Se, dunque, in un ambito di palese conflitto di interessi il rimborso delle spese di giudizio affrontate dal PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO Si dirà qui, in sintesi, che le prime imputazioni avverso la dipendente riguardavano i reati di peculato e di truffa in relazione all'uso personale di alcune attrezzature d'ufficio (per i quali è intervenuta assoluzione perché il fatto non sussiste) mentre un'ulteriore imputazione concerneva il reato di truffa per la compilazione di fogli di presenza che attestavano falsamente la presenza in ufficio (con assoluzione con la formula "per non avere commesso il fatto"). Osserva l'Avvocatura fiorentina che le prime imputazioni potrebbero ritenersi "attinenti ad una attività privata", mentre le seconde, essendo relative ad atti posti in essere dalla dipendente in relazione al rapporto di lavoro, andrebbero rimborsate in applicazione dei principi esposti nel parere 17 maggio 2017 reso nell'affare 40117/16, su cui si era pronunziato il Comitato Consultivo. Poiché, prosegue il quesito, come sopra segnalato sono di recente sopravvenute decisioni che hanno escluso la rimborsabilità delle spese legali "in giudizi derivanti da comportamenti che evidenzino un conflitto di interessi la cui sussistenza deve essere oggetto di una valutazione ex ante che prescinda dal- l'esito del giudizio penale e dalla formula di eventuali assoluzioni (cass. 17874/18)" e tali decisioni sono, tra l'altro, richiamate nella bozza di parere CS 8533/19 discussa nella seduta del Co.Co. del 16 ottobre 2019, viene chiesto il riesame del sopra citato parere del 17 maggio 2017. L'Avvocatura Distrettuale pone in particolare evidenza la questione relativa al momento della valutazione (ex ante o ex post) della condotta del dipendente ai fini dell'applicazione dell'art.18 del D.L. 67/97, conv. con l. 135/97, in relazione alla problematica del conflitto di interessi. Sulla questione si svolgono le seguenti considerazioni, precisando fin da ora che parte della giurisprudenza che sarà esaminata concerne l'applicazione di disposizioni sul rimborso delle spese legali contenute in CCNL riferiti al personale dipendente di enti non statali: ma la sostanziale analogia di siffatte previsioni contrattuali con il contenuto del citato art. 18 del D.L. 67/97 rende i principi ivi richiamati pienamente applicabili anche ai pareri resi ai sensi della norma testè ricordata. *** dipendente prosciolto è da ritenere un istituto processuale rispondente al principio "victus victori in expensis condemnatur" (nel giudizio la Procura ha esercitato una azione nell'interesse della Amm.ne ed è rimasta soccombente), non altrettanto dovrebbe avvenire nel giudizio penale, ove l'azione del PM non è esercitata nell'interesse della specifica Amm.ne (e dove, anche ove vi fosse costituzione di p.c. non è prevista la condanna della parte civile alla rifusione delle spese di difesa dell'imputato). In definitiva sembra alla Scrivente che pur tenendo conto della possibilità, prospettata ma non dimostrata dalla interessata della denuncia consapevolmente infondata "in odio" al funzionario, l'avviso espresso con il parere Cs 40117/16 sia suscettibile di rimeditazione alla luce anche della giurisprudenza sopravvenuta e delle considerazioni che precedono. Si resta pertanto in attesa di conoscere se il suddetto parere verrà confermato o rivisto. L’Avvocato Distrettuale (Gianni cortigiani) RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 Si pone dunque la questione delle modalità e dei criteri di valutazione dell'esistenza o meno di una situazione di conflitto di interessi con l'Amministrazione che, ove sussistente, esclude la connessione delle condotte oggetto dell'imputazione con l'espletamento del servizio. Premesso che, una volta accertatane l'esistenza, non vi è dubbio che il conflitto di interessi escluda la rimborsabilità, in particolare va affrontato il problema se siffatta valutazione debba essere effettuata ex ante, sulla base della prospettazione accusatoria di cui ai capi di imputazione (in tal senso il quesito sembra intendere il concetto di valutazione ex ante), ovvero ex post, cioè sulla base di quanto accertato con la decisione che ha definito il giudizio. Si ritiene che la risposta al quesito come testè posto vada resa nel secondo senso, cioè nel senso che la valutazione debba essere effettuata ex post sulla base delle risultanze processuali consacrate nella decisione giurisprudenziale conclusiva e definitiva: e ciò per i seguenti motivi, alla cui esposizione seguirà un esame di alcune rilevanti decisioni della giurisprudenza civile e amministrativa. Si avranno, innanzi tutto, anche qui per richiamate le interessanti considerazioni svolte dall'Avvocatura distrettuale nel quesito, a sostegno ora del- l'una ora dell'altra tesi, che costituiscono utile approfondimento della questione. La ragione dell'opzione favorevole alla necessità di una valutazione ex post, cioè basata sulle effettive e definitive risultanze processuali anziché su una valutazione ex ante, basata sulle prospettazioni di cui ai capi di imputazione, va ricercata negli argomenti sottesi al ricordato precedente parere del 17 maggio 2017, n. 252970. Si era ivi sottolineata (premettendo che non sussisteva ancora un certo approdo giurisprudenziale), sulla base di una ricostruzione della volontà del legislatore, l'applicabilità dell'art. 18 anche alle condotte "inerenti al rapporto di lavoro... ove il comportamento del dipendente risulti lecito, corretto e, appunto, onesto". Il tutto ispirato a quella "esigenza di equità sostanziale e a tutela degli amministratori e funzionari onesti" esplicitata nella relazione illustrativa che accompagnò l'approvazione del più volte citato art. 18 in esame. Se questa era la finalità del legislatore -e tanto emerge con certezza dalla documentazione di accompagnamento alla norma -appare evidente che svolgere valutazioni ex ante, cioè basate sulla mera prospettazione accusatoria di cui ai capi di imputazione, impedisce ogni effettiva considerazione della reale condotta del dipendente (ove per "reale" si intende la condotta come definitivamente accertata in sede processuale), con l'effetto di non poter rimborsare per definizione le spese relative ad imputazioni riconducibili al rapporto di lavoro giacchè non si riesce ad immaginare quali azioni od omissioni penalmente rile PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO vanti concernenti, appunto, il rapporto di lavoro intercorrente con la P.A. datrice di lavoro possano non configurare un conflitto di interessi con la medesima. Peraltro, in via astratta, ogni reato commesso da un dipendente nell'esercizio delle proprie funzioni si pone in "conflitto di interessi" con la P.A., anche se soggetto passivo del reato è un soggetto terzo, giacché l'azione della medesima deve sempre svolgersi nel rispetto della legge e considerato che, in astratto, ai sensi dell'art. 28 Cost. l'amministrazione può essere chiamata a rispondere civilmente dei danni procurati al soggetto offeso dal reato e dunque ogni reato commesso da un pubblico dipendente può, in teoria, determinare un danno alla P.A. datrice di lavoro. In sostanza, dunque, si ritiene che si debba accedere ad una considerazione concreta dei fatti come accertati in giudizio, anziché ad una valutazione astratta della (solo) ipotizzata condotta in contrasto con gli interessi della P.A., giacché nella seconda ipotesi resterebbero frustrate le esigenze di "equità sostanziale" e di "tutela ... dei funzionari onesti" esplicitamente poste a base della ratio legis del citato art. 18; e siffatta violazione della ratio legis avverrebbe in relazione, si ripete, ad una mera ipotesi accusatoria, il che, peraltro, può anche apparire, in senso lato, come poco conforme al principio di presunzione di innocenza di cui all'art. 27 Cost., giacché finirebbe con il discriminare tra soggetti meritevoli, o non, di rimborso, in base ad un'accusa e non in base ad un accertamento definitivo del giudice. Resta ovviamente fermo il fatto che, al fine di scrutinare positivamente la rimborsabilità delle spese legali, la condotta tenuta dal dipendente -come accertata giudizialmente -, pur se non penalmente rilevante, andrà attentamente valutata per riscontrare se essa sia o meno rispondente al concetto di connessione con l'espletamento del servizio elaborata dalla giurisprudenza, e dunque si potrà ritenere applicabile il citato art. 18 solo quando risulti che l'agire incriminato sia strettamente strumentale al regolare e diligente adempimento dei compiti istituzionali di servizio e vi sia quindi coincidenza di posizioni e non si riscontri in concreto un conflitto di interessi con l'Amministrazione di appartenenza. Tanto ritenuto in via di massima, i quesiti posti nella nota che si riscontra meritano i seguenti ulteriori approfondimenti. Occorre ribadire, innanzi tutto, un concetto fondamentale, su cui la presente analisi continuerà a muoversi: l'accertamento, in sede di espressione del parere sulla rimborsabilità e quindi sulla concessione o meno del rimborso, deve muovere da una considerazione dei fatti oggetto del procedimento penale così come definitivamente accertati nella decisione che ha concluso il giudizio. È da questa "verità processuale" che occorre, necessariamente, partire per poi accedere, sul piano logico, ad una sussunzione, o meno, delle condotte accertate nell'ambito degli atti o fatti connessi con l'espletamento del servizio. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 In tal senso occorre ulteriormente ribadire, in modo netto, che il riferimento ad una valutazione "ex ante" non può in alcun modo determinare il fatto che vengano prese in considerazione le condotte meramente ipotizzate nei capi di imputazione: va, al riguardo, meglio chiarito cosa debba intendersi, per valutazione "ex ante", anche attraverso l'attenta lettura di alcuni precedenti giurisprudenziali. Si espone pertanto la seguente tesi: la valutazione "ex ante" consiste, nel presente caso, nel prendere in considerazione, ai fini del riscontro del- l'eventuale connessione con l'espletamento del servizio, le condotte del- l'istante (come fattualmente accertate in giudizio) al momento (anteriore, ovviamente, al giudizio stesso) in cui furono poste in essere: siffatte condotte, per dare luogo alla rimborsabilità devono (vedi C. Cassazione Sez. Lavoro sent. n. 20561/18) ricollegarsi "necessariamente all'esercizio diligente della pubblica funzione"; inoltre "occorre che vi sia un nesso di strumentalità tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto" (ibidem); pertanto al dipendente "non compete il rimborso delle spese legali qualora il giudice abbia evidenziato che i fatti ascrittigli esulavano dalla funzione svolta e costituivano grave violazione dei doveri d'ufficio" (ibidem) (enfasi aggiunta). Appare dunque chiaro che proprio la citata sentenza n. 20561/18, ricordata fra le altre dall'Avvocatura di Firenze, consente di affermare che la valutazione non può essere svolta in astratto sui fatti ipotizzati nei capi di imputazione, ma in concreto laddove "il giudice" (con ciò evidentemente indicandosi l'organo giudicante che ha emesso la decisione definitiva) abbia "evidenziato", cioè ritenuto nella decisione, che "i fatti ascrittigli" (al dipendente, ovviamente) si ponevano in conflitto di interessi con la P.A.; dunque il contrasto di interessi va accertato sulla base della ricordata "verità processuale" e non può a priori essere escluso, né ammesso, alla luce della mera astratta ascrizione del reato recata dal capo di imputazione. Siffatta impostazione appare pienamente seguita anche in più recente arresto della Suprema Corte in materia: ci si riferisce a C. Cass. Sez. L, sentenza n. 34457 del 24 dicembre 2019: "in tema di rimborso delle spese legali sostenute dal personale non dirigente di Poste italiane, ai sensi dell'art. 45 del c.c.n.l. del 2003, l'assenza di conflitto di interessi, che costituisce il presupposto per l'assunzione dell'onere di pagamento da parte datoriale, va valutata "ex ante" nel momento in cui è stata posta in essere la condotta generatrice di responsabilità, né è automaticamente esclusa in caso di assoluzione del dipendente, occorrendo accertare, sulla base di una autonoma ricostruzione fattuale della vicenda da parte del giudice di merito, che il dipendente abbia agito unicamente per finalità di espletamento del servizio, in esecuzione dei compiti di ufficio e, quindi, non in conflitto con il suo datore di lavoro, fermo restando che ai fini ricostruttivi della esistenza o meno di una situazione antagonista possono, comunque, assumere rilievo elementi acquisiti successi PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO vamente anche tratti dal provvedimento che ha definito il giudizio nel quale era coinvolto il lavoratore" (enfasi aggiunta). Si tratta, come sottolineato, della più recente decisione in materia della Suprema Corte, che appare idonea a superare precedenti diversi orientamenti. Sembra al riguardo sostenuta da diverso avviso la precedente C. Cass., I civ., ord. 2475/19, ove si legge, dopo il richiamo ad altri principi già esposti nel presente parere, che "ai fini del rimborso richiesto è necessario che il fatto reato oggetto dell'imputazione penale non configuri una fattispecie ontologicamente in conflitto con i doveri d'ufficio ne determini ipso facto la legittimazione dello stesso ente di costituirsi parte civile... se l'accusa è quella di aver commesso un reato che contempli l'ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi) il diritto al rimborso non sorge affatto, escludendo dunque che esso emerga solo nel momento in cui il dipendente sia stato, in ipotesi, assolto dall'accusa". L'ordinanza, quindi, sembra prendere in considerazione il solo capo d'accusa, l'imputazione astratta che, ove preveda l'ente pubblico quale parte offesa preclude il rimborso. Allo stesso orientamento aderisce sempre Cass. Civ. I Sez., ord. 3026/2019: ma va osservato che la motivazione dell'ordinanza consiste, in sostanza, in un ampio richiamo a C. Cass. S.U. sent. 13048/07: tuttavia il (testuale) richiamo contenuto in quella motivazione si arresta proprio nel punto in cui le Sezioni Unite, dopo aver affermato che "se l'accusa era quella di aver commesso un reato che vedeva l'ente locale come parte offesa, (e quindi in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorgeva affatto e non già sorgeva solo nel momento in cui il dipendente fosse stato, in ipotesi, assolto dall'accusa"; precisavano quanto segue: "ferma restando però la possibilità per quest'ultimo di dedurre non solo che il comportamento da lui tenuto, ed addebitatogli come fonte di responsabilità penale, non costituisse reato in danno dell'ente locale, ma che in realtà la sua condotta rappresentasse null'altro che l'espletamento del servizio o l'adempimento dei compiti d'ufficio; nel qual caso -che comunque non è dedotto nella specie -il conflitto di interessi sarebbe stato solo apparente e sarebbe comunque sorto l'onere dell'Amministrazione di farsi carico delle spese legali, ma pur sempre "sin dall'apertura del procedimento" (enfasi aggiunta). Dunque anche la sentenza delle S.U., richiamata di recente da C. Cass. ord. 3026/19, affermava in realtà la necessità di basare la valutazione sull'esistenza del conflitto di interessi non sulla (teorica) accusa (ove il "conflitto di interessi" potrebbe essere "solo apparente") ma sugli (effettivi) accertamenti processuali. Dunque, pur nella perdurante incertezza, sembra che anche presso la Suprema Corte sia ben solido l'orientamento "pragmatico", volto a valorizzare la "verità processuale" ai fini della valutazione della riconducibilità della con RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 dotta del dipendente al corretto espletamento del servizio: il che consente di sostenere la tesi in precedenza esposta nel presente parere. Per completezza, tuttavia, occorre dar conto, in questa sede, di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato in una serie di recenti (favorevoli) analoghe sentenze depositate in data 28 novembre 2019; si prenderà ad esempio la sentenza n. 8144/19 (che si allega in copia) (2). (2) «... L’appellante, dipendente dell’Arma dei Carabinieri, è stato sottoposto ad un processo penale, nel quale è stato imputato per il reato di insubordinazione con ingiuria, aggravata dalla presenza di più militari, per aver rivolto ad un superiore una frase, durante lo svolgimento dei preparativi per una festa dell’Arma. Con la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli n. 11 del 1° aprile 2008, egli è stato assolto ‘perché il fatto non sussiste’. Tale sentenza ha rilevato che: -la contestazione ha riguardato l’aver rivolto al superiore, alla presenza di più persone, una frase di natura ingiuriosa e irrispettosa, dopo essere stato da lui verbalmente rimproverato per aver dato in escandescenze; -è risultata una discordanza sulla effettiva pronuncia di tale frase, poiché due testimoni hanno dichiarato di averla sentita (il maresciallo Sa. Ca. e il brigadiere Ga. Cl.), mentre altri tre testimoni hanno escluso che sia stata pronunciata (il mar. Al. Ri. e i carabinieri Gi. Sa. e Mi. Ni.); -‘la discordanza tra le diverse testimonianze sul punto, tutte parimenti valutabili, lascia sorgere il legittimo dubbio sulla effettiva pronunzia da parte del maresciallo delle parole in contestazione’; -‘tuttavia, qualora si volesse ritenere che l’espressione sia stata effettivamente pronunziata, è necessario valutare se la stessa costituisca o meno reato’, ciò che la stessa sentenza ha escluso, essendo stato espresso ‘unicamente l’atteggiamento infastidito di un militare che si è sentito maltrattato dal suo comandante’…, ‘invero, l’espressione potrà anche essere scurrile e, perciò, da disapprovare, ma non contiene alcuna potenzialità offensiva degli attributi morali della personalità umana nei comuni rapporti sociali’, considerato che ‘la frase è priva di rilievo nell’ambito del codice penale comune’. Dopo la conclusione del giudizio penale, l’interessato ha chiesto alla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito nella legge n. 135 del 1997. Con l’atto di data 4 maggio 2010, il Ministero della difesa ha respinto l’istanza, rilevando che i fatti valutati in sede penale non erano connessi all’espletamento del servizio o con l’assolvimento di compiti istituzionali. 2. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS -(proposto al TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro), l’interessato ha impugnato il diniego e ne ha chiesto l’annullamento. 3. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS -, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese del giudizio, rilevando che l’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997 si applica quando sia ravvisabile ‘un rapporto di connessione tra la condotta tenuta e l’attività di servizio tale da comportare l’imputazione degli effetti dell’agire del soggetto dipendente direttamente all’Amministrazione’. 4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto. L’appellante -dopo aver richiamato i precedenti giurisprudenziali in materia -ha dedotto che i fatti contestati sarebbero ‘connessi al servizio svolto’, perché: -la contestazione in sede penale ha riguardato fatti connessi alle funzioni di militare in attività di servizio, svolte nella sede di lavoro e durante l’orario di lavoro, con un superiore anch’egli in servizio, e si è conclusa con l’esclusione di ogni responsabilità; -sarebbe stato violato il giudicato penale, che -all’esito di un ‘ingiusto processo penale’ -ha escluso che il fatto si sia verificato ed ha comunque escluso che, se anche si fosse verificato, sarebbe stata integrata la fattispecie contestata. 5. In data 19 febbraio 2019, il Ministero appellato si è costituito in giudizio ed ha chiesto che il gravame sia respinto. In data 22 ottobre 2019, l’Amministrazione ha depositato una memoria difensiva, con cui ha ribadito la PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO domanda di reiezione dell’appello. L’appellante in data 31 ottobre 2019 ha depositato una memoria di replica, con cui ha insistito nelle già formulate conclusioni. 6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato. 7. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997. “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'avvocatura dello Stato. le amministrazioni interessate, sentita l'avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”. Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionato’ all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194; Sez. vI, 21 gennaio 2011, n. 1713). L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché -quando sussistano tali presupposti -se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso -con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. Iv, 8 luglio 2013, n. 3593). Di per sé il parere -per la sua natura tecnico-discrezionale -non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio del- l’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. vI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. Stato, Sez. Iv, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722). Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori. 8. Per quanto riguarda i presupposti indefettibili per l’applicazione dell’art. 18, si è formata una univoca e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato. Tali presupposti sono due: a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente; b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali. 9. Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando -in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 -sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. Stato, Sez. Iv, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13; Sez. Iv, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.). L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. Iv, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. vI, 2005, n. 2041). 10. Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’). 10.1. Tale connessione sussiste -sia pure in modo peculiare -qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale). Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro -col rimborso delle spese sostenute -il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale -esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti -sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato. Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui. 10.2. A parte l’ipotesi del coinvolgimento del dipendente estraneo ai fatti, ma vittima di una illecita condotta altrui, quanto alla ‘connessione’ tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. Iv, 7 giugno 2018, n. 3427; Sez. Iv, 5 aprile 2017, n. 1568; Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali. L’art. 18 è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ del- l’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2; Cons. Stato, Sez. vI, 13 marzo 2017, n. 1154; Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406; Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190; Sez. Iv, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190). Invece, esso non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che: a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. Iv, 7 giugno 2018, n. 3427); b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasione’ dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026; Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297; Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379; Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718; Cons. Stato, Sez. v, 5 maggio 2016, n. 1816; Sez. III, 2013, n. 4849; Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro (Cons. Stato, Sez. v, 2014, n. 6389; Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato. c) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione (ad esempio quando, malgrado l’assenza di una responsabilità penale, sussistano i presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055; Sez. Iv, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. Iv, 2013, n. 1190; Sez. Iv, 2012, n. 423). Infatti, la ratio della regola del rimborso delle spese -per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO Tra le numerose affermazioni ivi contenute si legge che l'art. 18 in esame "non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che: a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d'ufficio b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali b) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto di interessi con l'amministrazione". Siffatta affermazione, se correttamente interpretata nel contesto dell'intera sentenza, non va intesa nel senso che sia sufficiente che nel capo di imputazione sia rappresentata una condotta con tali caratteristiche; l'espressione ge servizio -è quella di ‘evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio dovere’: occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2018, n. 2735; Sez. Iv, 11 aprile 2007, n. 1681) e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio (commesso per la qualità di dipendente dello Stato). 10.3. In materia non rilevano di per sé le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, proprio perché l’art. 18 sopra riportato ha indicato i presupposti -sostanziali e procedimentali -indefettibili per la spettanza del rimborso. 11. Tenuto conto dei principi sopra evidenziati, vanno integralmente confermate le statuizioni della sentenza appellata. La condotta contestata in sede penale non ha riguardato un atto o un comportamento posto in essere nel corso dello svolgimento del servizio e imputabile alla Amministrazione di appartenenza, bensì un comportamento del dipendente, per una espressione formulata nei confronti di un proprio superiore. Nella specie, i fatti accaduti hanno riguardato un alterco -effettivamente verificatosi -nel quale è stato coinvolto l’appellante. Pur se la sentenza penale ha prosciolto l’interessato (per aver rilevato al riguardo una ‘discordanza tra le diverse testimonianze sul punto, tutte parimenti valutabili’, e che ‘parole in contestazione’, sia pure ‘da disapprovare’, di per sé non costituiscono reato), tenuto conto dei principi sopra affermati nel punto 11.2. va condivisa la valutazione dell’Amministrazione, che ha rilevato come il comportamento oggetto della contestazione -conseguente alla animata discussione con il superiore -non può essere considerato connesso ‘con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali’, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997. 12. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’appello n. - OMISSIS -. Condanna l’appellante al pagamento di euro duemila a favore del Ministero appellato, per spese del secondo grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. (...) Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019, con l'intervento dei magistrati: Luigi Maruotti, Presidente, Estensore Oberdan Forlenza, Consigliere Daniela Di Carlo, Consigliere Alessandro verrico, Consigliere Nicola D'Angelo, Consigliere IL PRESIDENTE, ESTENSORE Luigi Maruotti» RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 nerica "contestazione in sede penale" non assume, infatti, il significato di "imputazione" ma ha il valore di indicare la concreta condotta, accertata dal giudice con la decisione finale, tenuta dall'imputato: con il risultato che ove la condotta, come accertata in via definitiva, e dunque valutata ex post, presenti uno dei descritti caratteri va esclusa la rimborsabilità ex art. 18. In sostanza, quindi, anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato non sembra porsi in contrasto con la tesi sopra esposta. Sul presente parere si è espresso in senso conforme il Comitato Consultivo dell'Avvocatura dello Stato in data 29 gennaio 2020. *** Fermo quanto sopra esposto e ritenuto, si ritiene infine utile sottolineare che l'avviso così formulato appare sostanzialmente confermato dalla recente sentenza del Consiglio di Stato n. 6554/2020, successiva all'espressione del parere del Comitato Consultivo, con cui, dopo aver riaffermato che "non è quindi sufficiente che la condotta posta in essere sia avvenuta "in occasione del servizio", ma è necessario che essa fosse finalizzata all'espletamento dello stesso" il Giudice Amministrativo afferma che devono "essere esaminate le concrete circostanze e la concreta condotta tenuta dal richiedente il rimborso" e quindi, nel caso in quel giudizio esaminato, trae le proprie conclusioni (favorevoli all'Amministrazione) "dalla lettura (in particolare, pagg. 15, 16, 17) della sentenza di assoluzione dal reato di corruzione dell'appellante emessa dalla corte d'appello di Milano" (enfasi aggiunte). Stante la natura di massima del presente parere si ritiene opportuno inviarlo per conoscenza a tutte le Avvocature distrettuali. L’Avvocato dello Stato L’Avvocato Generale Aggiunto Enrico De Giovanni Carlo Sica PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato tenuto a rendere il parere richiesto ai sensi dell’art. 18 dl n. 67/1997: il riparto interno di competenza Parere del 06/03/2020-142643/44, al 54161/2019, Proc. Monica de verGori È pervenuta presso questo Generale Ufficio la nota indicata in epigrafe con la quale codesta Avvocatura Distrettuale [di Genova, n.d.r.] -ricevuta la richiesta di parere sull'istanza rimborso delle somme a titolo di spese legali del (omissis) in relazione allo stralcio dal processo principale conclusosi con provvedimento di archiviazione del GIP di Massa -ha trasmesso l'intera documentazione fornita dalla Direzione Generale del Personale Militare del Ministero della Difesa all'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, ritenuta competente a pronunziarsi sulla richiesta in oggetto. Nella suddetta nota si legge, infatti, che "essendo quello richiesto un parere rientrante per legge in un procedimento amministrativo il cui eventuale provvedimento finale è soggetto alla giurisdizione amministrativa ed alla competenza territoriale del Tar Toscana, la competenza a pronunziarsi [appartiene] alla consorella avvocatura di Firenze". In altre parole, è stato individuato quale criterio di competenza interna quello collegato al Tribunale Amministrativo Regionale in ipotesi competente a decidere sul ricorso avverso il provvedimento di diniego del rimborso delle spese legali. La questione è posta all'attenzione stante la particolarità della fattispecie in analisi, in considerazione del fatto che il Tribunale di Massa, competente per le indagini preliminari, rientra nel distretto della Corte d'Appello di Genova. Tanto premeso, esaminata la questione pervenuta all'attenzione della Scrivente solo incidentalmente, al fine di fare chiarezza sul corretto riparto interno di competenza alla redazione del parere di cui all'art. 18 dl 67/1997 si svolgono le seguenti considerazioni, ritenute opportune in un'ottica di più proficua e celere espletamento della relativa funzione consultiva. * Preliminarmente si ricorda che il T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento del- l'Avvocatura dello Stato (R.D. n. 1611/1933) detta all'art. 13 la disciplina del- l'attività consultiva dell'Istituto, prevedendo che: "l'avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi; esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle amministrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d'accordo con le RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle amministrazioni; prepara contratti o suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio". È, altresì, opportuno richiamare, sempre in via preliminare, il contenuto dell'art. 44 del T.U. 1611/1933, ai sensi del quale: "l'avvocatura dello Stato assume la rappresentanza e la difesa degli impiegati e agenti delle amministrazioni dello Stato o delle amministrazioni o degli enti di cui all'art. 43, qualora le amministrazioni o gli enti ne facciano richiesta, e l'avvocato generale dello Stato ne riconosca la opportunità". * Quanto allo specifico compito dell'Avvocatura dello Stato tenuta a rendere, in sede consultiva, il parere richiesto ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, valgano le seguenti considerazioni. Come noto e come correttamente rappresentato dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, il parere di cui all'art. 18 del d.l. 67/1997 si inserisce all'interno di un complesso procedimento amministrativo che termina con l'adozione del provvedimento di accoglimento ovvero di diniego della richiesta di rimborso delle spese di lite sostenute da un soggetto investito di pubbliche funzioni in giudizi civili, penali o amministrativi nei quali è stato parte. Tale parere, connotato da ampia discrezionalità tecnica, attiene principalmente alla conformità della parcella professionale con le tariffe forensi tenuto conto dell'importanza e delicatezza dell'attività difensiva in relazione alla fattispecie concreta, e può essere soggetto al vaglio giurisdizionale per il controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti. È, inoltre, pacifico che il presupposto da cui nasce il diritto al rimborso condizionato alla emissione di un parere positivo, poi recepito dall'Amministrazione di appartenenza -è, quanto al procedimento penale, l'assoluzione (o l'archiviazione) innanzi ad un determinato Ufficio Giudiziario, rientrante in un circondario all'interno di un Distretto di Corte d'Appello. Infine, con specifico riferimento al riparto di giurisdizione ed alla possibilità di impugnare i provvedimenti di diniego, mentre nei casi di cui agli artt. 3 del d.lgs. 165/2001 [ipotesi che ricorre nella fattispecie pervenuta all'attenzione di questo G.U.] si ricade nell'ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. (ex art. 63, comma 4 d.lgs. 165/2001), con specifico riferimento al pubblico impiego c.d. privatizzato le relative controversie vengono pacificamente devolute alla giurisdizione ordinaria, trattandosi di diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, quale è il diritto del dipendente di essere tenuto indenne, in caso di assoluzione, dalle spese dei giudizi subiti per fatti connessi all'espletamento dei compiti di ufficio. PARERI DEL COMITATO CONSULTIvO * Alla luce delle preliminari considerazioni, si coglie l'occasione per confermare il precedente orientamento relativo al radicamento della competenza alla redazione del parere ex art. 18 del d.l. n. 67 del 1997 in capo alla Avvocatura Distrettuale dello Stato competente per il processo [civile, penale o amministrativo] a quo, dal quale sorge -come sopra evidenziato -il diritto al rimborso. L'espletamento della funzione consultiva spetta alla medesima Avvocatura competente alla trattazione del giudizio a quo, ovvero l'Avvocatura del competente distretto di Corte d'Appello nel quale rientra l'Ufficio Giudiziario che ha trattato la controversia. Difatti, non pare possibile ravvisare criteri di collegamento validi per lo "spostamento" di competenza presso altra e diversa Avvocatura dello Stato, in quanto ai fini della individuazione dell'Ufficio competente occorre fare riferimento al presupposto fattuale che comporta la nascita del diritto al rimborso delle spese che, come si è anticipato, discende dalla assoluzione (ovvero dall'archiviazione) nel procedimento giurisdizionale (civile, penale o amministrativo) che vede quale parte un soggetto investito di pubbliche funzioni, che ha sostenuto in concreto delle spese per la difesa. Né d'altro canto appare condivisibile l'individuazione dell'Ufficio competente sulla base di un fattore meramente prospettico, ovvero l'impugnazione dell'eventuale provvedimento di diniego, che -al momento della richiesta del parere di congruità - ha carattere squisitamente eventuale. Ragioni di univocità ed oggettività di individuazione del criterio di collegamento portano a disattendere l'individuazione in funzione della sede di servizio (criterio che radica la competenza giurisdizionale sulla impugnazione ex art. 413 c.p.c. e/o ex art. 13, comma 4 c.p.a.), trattandosi di fattore mutevole e non individuabile, con oggettiva certezza, al momento della formulazione della richiesta di parere. Conseguentemente, il criterio di riparto di competenza territoriale sulla base dell'autorità giudiziaria -si ripete -solo ipoteticamente competente alla trattazione della impugnazione non potrebbe essere certo se non proprio a seguito dell'esplicitazione delle ragioni di contestazione (a valle) del provvedimento amministrativo di recepimento del parere reso (a monte) dall'Avvocatura dello Stato. Sussistono, quindi, ragioni di uniformità che rendono più coerente l'individuazione di un criterio unitario di competenza territoriale nella trattazione sia in sede giudiziaria che consultiva -di fattispecie riconducibili al medesimo presupposto costitutivo (ovvero l'essere parte di un giudizio civile, penale o amministrativo per fatti e/o cause di servizio). Le considerazioni sin qui svolte trovano conferma nel contenuto della Circolare n. 31/2004 nella quale si legge che "a decorrere dal 1° luglio 2004 RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2020 il compito di emettere i pareri in argomento è attribuito alle avvocature distrettuali territorialmente competenti in relazione alla sede dell'ufficio giudiziario che ha emesso la sentenza passata in giudicato che legittima la richiesta di rimborso [...]". Anche il Comitato Consultivo con precedente parere n. 234673 del 29 maggio 2013 (CS 35495/2011 -Avv. Lumetti), richiamata la summenzionata Circolare n. 31/2004, ha evidenziato la necessità di individuare "per motivi di opportunità, un criterio oggettivo ed invariabile, immutabile che tenga in debita considerazioni le componenti relative a competenza, parere obbligatorio, provvedimento, Tar, sede di servizio" tale da garantire celerità ed efficacia dell'azione amministrativa, così concludendo: "la sede dell'organo giurisdizionale penale che ha emesso la sentenza deve essere pertanto individuata quale unico criterio certo possibile, non essendo esposto al rischio di cambiamenti, a differenza della sede di servizio". In conclusione, facendo specifico riferimento alla fattispecie in oggetto, considerato che il procedimento a quo si è svolto presso il GIP del Tribunale di Massa, rientrante nel distretto della Corte d'Appello di Genova, si ritiene conclusivamente che il parere ex art. 18 d.l. 67 del 1997 rientri nella competenza dell'Avvocatura Distrettuale di Genova. In relazione ai sopra evidenziati aspetti è stato sentito il Comitato consultivo, che si è espresso in conformità. il Procuratore dello Stato l’Avvocato Generale Aggiunto monica de vergori Carlo Sica LegisLazioneedattuaLità Protezione, conservazione e tassazione delle dimore storiche private: sistemi a confronto Vito Forte* SommArIo: 1. Premessa. La diffusione delle dimore storiche in ambito europeo -2. Uno sguardo oltre i confini nazionali: il sistema francese e il modello anglosassone -2.1. Tutela e conservazione delle dimore storiche private francesi -2.2. Il sistema di tassazione francese degli immobili storici di proprietà privata -2.3. Le misure fiscali ed economiche a sostegno dei proprietari di dimore storiche francesi -2.3.1. La Loi monuments Historiques -2.3.2. La Loi malraux -2.3.3. La Loi Aillagon -2.4. Il modello anglosassone: breve introduzione al diritto di proprietà immobiliare -2.5. Catalogazione e conservazione dei beni immobili d’interesse storico in Gran Bretagna -2.6. La tassazione immobiliare e le misure fiscali di sostegno ai proprietari di listed buildings -3. Il sistema italiano di protezione, conservazione e tassazione delle dimore storiche di proprietà privata -3.1. La tutela del patrimonio culturale privato. Le dimore storiche di proprietà privata tra vincoli e obblighi conservativi -3.2. Il sistema di tassazione italiano delle dimore storiche vincolate di proprietà privata -3.3. Protezione e conservazione degli immobili storici sottoposti a vincolo: quali misure a sostegno dei proprietari privati? - 4. Sistemi a confronto. Conclusioni. 1. Premessa. La diffusione delle dimore storiche in ambito europeo. in italia le dimore storiche private rappresentano una preziosa testimonianza d’arte, nonché una parte rilevante del patrimonio culturale nazionale (1). Secondo quanto emerge dal recente studio della Commissione europea “Heritage Houses for Europe”, in europa ogni anno si investono circa 5 mi (*) Ricercatore nell’ambito del progetto “Osservatorio Patrimonio Culturale Privato” della Fondazione Bruno Visentini. Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. St. Pietro Garofoli). (1) Cfr. Severini, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, in Giornale Dir. Amm., 2004, 5, p. 469. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 liardi di euro solo per garantire l’apertura al pubblico delle dimore storiche (pubbliche e private), le quali, nel 2018, hanno consentito di generare un fatturato di 335 miliardi di euro, nonché la creazione di ben 9 milioni di nuovi posti di lavoro (2). Lo studio realizza una prima mappatura pan-europea delle dimore storiche, analizzandone, in particolare, l’impatto socio-economico, alla ricerca di modelli di business innovativi in grado di supportarne la conservazione sostenibile. A tal fine, la Commissione analizza la situazione relativa agli immobili edificati con funzione abitativa, posseduti o gestiti da privati, il cui valore artistico, storico o architettonico è pubblicamente riconosciuto. Lo studio stima che oltre il 40% delle dimore storiche prese in considerazione appartiene esclusivamente a privati, i quali devono farsi carico delle spese di conservazione delle stesse, nonché della valorizzazione della loro eredità culturale verso le comunità di riferimento (3). tuttavia, oltre il 45% di suddetti immobili subisce una perdita a cui gli stessi proprietari devono far fronte, contribuendo con fondi personali; sicché è evidente la necessità per le istituzioni nazionali di prevedere adeguate misure di sostegno economico per questi ultimi (4). Dall’indagine, inoltre, sembrerebbe emergere che la concentrazione più elevata di dimore storiche private è riscontrabile in Francia (5.200), in italia (4.500) e in Gran Bretagna (1.650). Sul punto, occorre rilevare, però, che gli immobili mappati dalla Commissione europea, ai fini della propria analisi, sono riconducibili unicamente alle dimore storiche private iscritte alla European Historic Houses Association tra il 2018 e il 2019. tale precisazione si rende necessaria poiché il loro numero risulta essere di gran lunga maggiore all’interno dei singoli Stati membri (si pensi, ad esempio, che in italia le dimore storiche private sono più di 30.000 e rappresentano circa il 17% del capitale storico-artistico complessivo) (5). Pertanto, sono evidenti le ragioni sottese alla necessaria attenzione che il legislatore nazionale deve riservare alla protezione, alla conservazione, nonché alla tassazione delle dimore storiche private: quest’ultimo, infatti, atteso il loro pregio, il numero elevato, nonché gli ingenti costi di conservazione, deve favorirne, ad un tempo, sia l’efficiente e tempestiva manutenzione, scongiurandone eventuali alterazioni strutturali, che la valorizzazione in funzione del loro valore storico, artistico e architettonico. (2) Cfr. Commissione europea, Study of “Heritage Houses for Europe”, 2019. (3) Così CAPozzuCCA, Europa: le potenzialità delle dimore storiche, in ilsole24ore, 26 ottobre 2019. (4) nel 2018 la spesa media dei proprietari di dimore storiche per la conservazione delle stesse si aggirava intorno ai 50.000 euro. (5) Cfr. Monti -Cerroni, How the Widespread Presence of Historical Private real Estate Can Contribute to Local Development. revieW oF euroPeAn StuDieS, vol. 11, no 1, 2019, pp. 183-193. LeGiSLAzione eD AttuALità tanto premesso, il presente contributo intende, preliminarmente, analizzare il sistema francese di conservazione e tassazione degli immobili storici di proprietà privata, ponendone in risalto le numerose misure fiscali ed economiche a sostegno dei proprietari dei predetti, nonché quello anglosassone con particolare riferimento alla mappatura interna delle dimore storiche private classificate quali listed buildings -per poi comparare gli stessi con il sistema italiano di protezione, conservazione e tassazione degli immobili vincolati, rilevandone le criticità (6). 2. Uno sguardo oltre i confini nazionali: il sistema francese e il modello anglosassone. 2.1 Tutela e conservazione delle dimore storiche private francesi. L’esperienza francese è da sempre attenta alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale nazionale (7). La valorizzazione del patrimonio risponde alle priorità nazionali e la cultura è considerata quale contributo alla costruzione della cittadinanza (8). in Francia, gli edifici, la cui conservazione è di interesse pubblico dal punto di vista storico, artistico o architettonico, possono essere classificati come monumenti storici, ovvero “iscritti” all’Inventaire Supplémentaire des monuments Historiques (i.S.M.H.) (9). tale iscrizione rappresenta una forma di protezione per i beni (pubblici e privati) caratterizzati da un notevole interesse su scala regionale, contrariamente alla classificazione, che intende proteggere i soli monumenti d’interesse nazionale (10). Suddetti immobili a causa delle loro peculiari caratteristiche sono soggetti a disposizioni speciali in tema di conservazione; sicché per poter eseguire qualsiasi lavoro di manutenzione, riparazione, restauro o modifica i proprietari degli stessi sono chiamati a seguire uno specifico iter procedimentale fissato dalla legge in funzione della differente rilevanza dell’interesse culturale che ne ha giustificato la protezione. negli ultimi anni, il regime legislativo e quello regolamentare relativi alla circolazione ed alla conservazione dei monumenti storici francesi hanno subito (6) La decisione di comparare il sistema italiano con i due sistemi sopraindicati è stata presa sulla base della maggiore concentrazione che le dimore storiche presentano all’interno di suddetti Stati rispetto alle altre realtà europee, nonché in funzione dei modelli di sostegno fiscale ed economico ai privati che questi ultimi offrono ai fini della loro conservazione e valorizzazione. (7) v. Préambule de la Constitution du 27 octobre 1946. (8)v. https://www.culture.gouv.fr/regions/Drac-Bourgogne-Franche-Comte/VotreDrAC/ Patrimoines-etArchitec-ture/Valorisation-du-patrimoine. (9) v. Livre VI du Code du Patrimoine. (10) Gli edifici sono classificati o registrati, rispettivamente, secondo le disposizioni degli artt. L. 621-1 e L. 621-25 ss. del Code du Patrimoine. La “decisione di protezione” deve elencare le parti del- l’edificio sottoposte a vincolo, eccettuate le ipotesi in cui l’intero edificio risulti protetto. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 profondi cambiamenti, sviluppandosi verso un ruolo sempre più attivo dei proprietari privati delle dimore storiche classificate o iscritte. Spetta ormai a questi ultimi, infatti, definire i programmi di manutenzione o restauro delle proprie dimore storiche, scegliere l’appaltatore principale per l’esecuzione dell’opera, assicurare i necessari finanziamenti e sollecitare l’aiuto dello Stato e di eventuali altri partner (es. Fondation du Patrimoine) (11). Ai sensi dell’art. L. 621-9 del Code du Patrimoine, l’edificio classificato come monumento storico non può essere distrutto o spostato o essere soggetto a lavori di restauro o modifica senza autorizzazione rilasciata dal prefetto regionale (artt. r. 621-11 ss. Code du Patrimoine). tali lavori non sono soggetti a un permesso di costruzione, ma unicamente alla predetta autorizzazione. tra le opere che necessitano dell’autorizzazione prefettizia è possibile riscontrare il consolidamento, lo sviluppo, la riqualificazione, il risanamento nonché il restauro dell’intero immobile o di parti di esso (es. facciate), comprese quelle interne classificate, per cui è possibile altresì procedere ad una modifica della volumetria ed alla realizzazione di opere di finitura o decorazioni, lavori di carpenteria, imbiancatura e murali. L’autorizzazione è necessaria anche per effettuare installazioni temporanee con una superficie superiore a 20 m² e una durata superiore ad un mese su terreni classificati (ivi compresi i giardini storici). Al contrario, i lavori di manutenzione ordinaria e di riparazione non sono soggetti all’autorizzazione prefettizia (art. r. 621-11, co. 3, Code du Patrimoine). Prima di iniziare una delle opere ut supra su di una dimora storica privata classificata, il maître d’ouvrage (12) o il proprietario sono tenuti ad informare la Conservation régionale des monuments historiques (C.r.M.H.) (13) presso la Direction régionale des affaires culturelles (D.r.A.C.). L’adempimento di tale onere apre il processo di concertazione con l’Amministrazione, prodromico all’esecuzione dei lavori. La consulenza del D.r.A.C. durante lo sviluppo del programma di studio e nel corso della progettazione preliminare per un progetto complesso, consente di beneficiare di un controllo scientifico e tecnico a monte. La concertazione può continuare fino al progetto preliminare definitivo, che consente di presentare la richiesta di autorizzazione dei lavori. una volta rilasciata, l’autorizzazione dev’essere visibile all’esterno del- l’edificio per tutta la durata dei lavori (14). (11) Per un approfondimento, cfr. touzeAu -MouFLArD e verjAt, La protection des monuments historiques: Patrimoine immobilier, juris édition Dalloz, 2018. (12) Persona pubblica o privata per conto della quale vengono eseguiti lavori o lavori immobiliari. (13) La Conservation régionale des monuments historiques è responsabile, in applicazione delle norme dettate dal Code du Patrimoine, della protezione del patrimonio monumentale e mobile, della sua conservazione, manutenzione, restauro e valorizzazione. LeGiSLAzione eD AttuALità Le operazioni, oggetto di una specifica déclaration d'ouverture (art. L. 461-1 Code de l’urbanisme) (15) da inviare al municipio prima dell’inizio dei lavori, devono essere eseguite sotto il controllo scientifico e tecnico della Direction régionale des affaires culturelles. La scelta dell'architetto responsabile delle opere avviene ad opera del solo proprietario. tuttavia, per i lavori di restauro di edifici classificati, questa scelta deve essere compiuta tra gli architectes en chef des monuments historiques ovvero tra architetti francesi o stranieri con qualifica equivalente (v. artt. r. 621-26 - r. 621-28 Code du Patrimoine). Qualsiasi cambiamento nella natura e nella portata dell’opera autorizzata deve essere oggetto di una nuova specifica richiesta di autorizzazione. La verifica in loco della conformità dei lavori eseguiti all’autorizzazione rilasciata è obbligatoria per tutte le opere effettuate su edifici classificati come monumento storico protetto e viene condotta in collaborazione con il D.r.A.C. Al completamento dei lavori, il maître d’oeuvre deve presentare il dossier dei lavori eseguiti in quattro copie al maître d’ouvrage, che deve inviarne tre al Service Territorial de l’Architecture et du Patrimoine. Solo a seguito della consegna di tale documentazione il D.r.A.C. può provvedere a dichiarare la conformità dell’esecuzione dell’opera all’autorizzazione (16). il certificato di conformità delle opere consente il rilascio dell’attestazione del prefetto regionale che permette il pagamento del saldo di eventuali sussidi pubblici, nonché l’ottenimento delle deduzioni fiscali da parte dei proprietari privati delle dimore storiche protette sottoposte ai lavori (17). i lavori su un immobile iscritto all’Inventaire Supplémentaire des monuments Historiques, a differenza di quelli effettuati su edifici classificati come monumenti storici, sono soggetti ad una autorisation d'urbanisme (permesso di costruzione o dichiarazione di lavoro a seconda della natura dell’opera) (18). La consultazione preventiva ut supra per gli immobili storici iscritti non è obbligatoria, ma solo consigliata (19); tuttavia, per i lavori effettuati su tali edifici il maître d’ouvrage o il proprietario, prima di intraprendere l’opera, sono tenuti ad informare la Conservation régionale des monuments historiques presso la D.r.A.C. (14) v. art. r. 621-16 Code du Patrimoine. (15) La dichiarazione di apertura del cantiere è un documento che segnala l’inizio dei lavori al municipio. riguarda solo il beneficiario di un permesso di costruzione o di un permesso di sviluppo. (16) La dichiarazione di conformità dev’essere rilasciata dal D.r.A.C. entro 6 mesi dalla consegna della documentazione ut supra. (17) v. infra par. 2.2. (18) v. art. L. 421-1 Code de l’urbanisme. (19) Qualora l’interessato decida d’intraprendere la strada della consultazione preventiva, si applicherà in specie il procedimento di consultazione analizzato in relazione agli edifici storici classificati come monumenti storici. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 i lavori di riparazione e modifica di un edificio storico iscritto, ad eccezione di quelli di manutenzione ordinaria, sono soggetti a un permesso di costruzione, così come quelli di ristrutturazione che possono influire sullo stato o sull’aspetto della parte protetta dell’immobile o comprometterne la conservazione. Qualora i lavori necessitano della demolizione di una parte dell’edificio, è altresì obbligatoria una domanda di permesso di demolizione. Allo stesso modo, se le opere richiedono uno scavo e/o un’elevazione del terreno di oltre 2 metri e coprono un’area maggiore o uguale a 20.000 m², è necessario un permis d'aménager (20). Le opere non soggette al codice urbanistico, come la modifica di giardini storici, di converso, sono soggette alla déclaration préalable (dichiarazione preventiva) prevista dal Code du Patrimoine (21). La procedura ai fini dell’ottenimento di un’autorisation d'urbanisme è identica a quella che si applica alle altre costruzioni. tuttavia, la decisione che concede l’autorizzazione o la decisione di non opporsi alla déclaration préalable deve aver luogo in seguito all’accordo con il prefetto regionale (22). una volta rilasciata l’autorizzazione, prima del loro inizio, i lavori sono oggetto della déclaration d'ouverture de chantier (dichiarazione di apertura del cantiere), che dev’essere inviata sia al sindaco, che alla Conservation régionale des monuments historiques. La scelta dell'architetto responsabile delle opere appartiene al solo proprietario e i lavori vengono eseguiti sotto il controllo scientifico e tecnico del D.r.A.C. (23). Al termine dei lavori occorre procedere alla dichiarazione di completamento dei lavori, da effettuarsi presso il municipio che ha rilasciato l’autorizzazione. Come per gli edifici classificati come monumenti storici, la verifica di conformità delle opere su edifici iscritti all’i.S.M.H. è obbligatoria e viene eseguita in collaborazione il D.r.A.C. il certificato di conformità consente al prefetto regionale di rilasciare l’attestazione che consente il pagamento del saldo degli eventuali sussidi pubblici accordati, nonché l’ottenimento di deduzioni fiscali. Qualsiasi scoperta realizzata durante i lavori di un’immobile classificato o iscritto all’i.S.M.H., riguardante un nuovo elemento relativo alla storia, all’architettura o alla decorazione dell’edificio dev’essere immediatamente ri( 20) v. artt. r. 421-19 ss. Code de l’urbanisme. (21) v. artt. L. 632-1 ss. Code du Patrimoine. (22) Anche per i lavori da eseguirsi su immobili storici iscritti, il nome dell’architetto autore del progetto deve essere visibile sul terreno interessato dall’autorisation d'urbanisme. (23) Come per i lavori di conservazione di monumenti storici, qualsiasi cambiamento nella natura e nella portata dell’opera deve essere oggetto di una nuova richiesta di autorizzazione da parte del maître d’ouvrage o del proprietario. LeGiSLAzione eD AttuALità ferita al prefetto regionale, che decide le eventuali misure di salvaguardia da adottare. Ma vieppiù. Anche i lavori su un edificio situato vicino ad una dimora storica classificata come monumento storico o iscritta all’Inventaire Supplémentaire des monuments Historiques possono necessitare, in taluni casi e a determinate condizioni, dall’autorisation d'urbanisme. L’obbligo di ottenere la predetta autorizzazione si verifica quando: 1. l’edificio è annesso ad una dimora storica classificata, ovverosia è in contatto con quest’ultima; 2. l’edificio forma un ensemble cohérent con un monumento storico o contribuisce alla sua valorizzazione; 3. i lavori riguardano una parte non protetta di un edificio parzialmente classificato come monumento storico; 4. l’edificio è situato nel campo di visibilità di una dimora storica classificata o iscritta, ovvero a meno di 500 m. dalla stessa (24); 5. l’edificio è situato all’interno di un perimetro di protezione adattato o modificato, divenuto périmètres délimités des abords. L’autorisation d'urbanisme necessaria dipende anche dalla natura del lavoro. occorre, infatti, un permis de construire in caso di cambio di destinazione dei locali o aggiunta di una superficie superiore a 20 m², un permis de démolir in caso di demolizione, un permis d'aménager qualora le opere richiedono uno scavo e/o l’elevazione del terreno di oltre 2 metri o una déclaration préalable se i lavori modificano l’aspetto esteriore dell’edificio nonché nelle ipotesi in cui prevedono la creazione di una superficie o un ingombro tra 5 m² e 20 m². La procedura per ottenere il rilascio dell’autorizzazione, identica a quella delle altre costruzioni, è però caratterizzata dal preventivo accordo con l’Architecte des Bâtiments de France. i lavori che non sono soggetti a un permis o a una déclaration préalable, necessitano comunque dell’autorizzazione del prefetto del dipartimento, resa successivamente al parere dell’Architecte des Bâtiments de France. Da quanto analizzato, emerge chiaramente non solo l’attenzione riservata dall’ordinamento francese all’iter procedurale dei lavori di conservazione delle dimore storiche di proprietà privata al fine di evitare possibili alterazioni delle stesse che possano pregiudicarne il valore storico, artistico o architettonico; bensì anche la cautela che il legislatore d’oltralpe ha voluto adottare in relazione alle opere su beni situati nelle immediate vicinanze degli immobili storici protetti (classificati o iscritti). Prevedere una serie di casi tassativi in cui sono necessarie specifiche autorizzazioni per la realizzazione di lavori di manutenzione su immobili non qualificabili come monumenti storici consente in specie di evi (24) Deroghe dal perimetro protetto di 500 m. possono essere prese su proposta dell’Architecte des Bâtiments de France. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 tare, da un lato, possibili danni strutturali agli edifici protetti e, dall’altro, l’eventuale svalutazione del sito ove la dimora storica classificata o iscritta è ubicata. 2.2. Il sistema di tassazione francese degli immobili storici di proprietà privata. il sistema fiscale francese è improntato ai principi di uguaglianza, capacità contributiva e progressività, già enunciati nella Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789 (25), e prevede imposte nazionali e locali, in base alla destinazione del gettito. tale sistema per molti aspetti si presenta speculare a quello italiano, in particolare in riferimento alla tassazione delle persone fisiche, la quale, tuttavia, in relazione all’imposta sui redditi (Impôt sur le revenu), non avviene a livello individuale, bensì in base al foyer fiscal, ovverosia il nucleo familiare ai fini fiscali, che può risultare composto da una sola persona (non coniugata, divorziata o vedova), da una coppia coniugata, da persone (anche dello stesso sesso) legate da un’unione di fatto regolata da un patto civile di solidarietà (P.A.C.S.), nonché dalle persone a loro carico (26). La base imponibile dell’imposta sui redditi, pertanto, è costituita dalla somma dei redditi conseguiti dalle persone considerate facenti parte del foyer fiscal (art. 156 c.g.i.). Di talché, il reddito netto globale, rappresentato dal risultato del reddito lordo globale (revenue Brut Global) sottratte le spese deducibili, è costituito dall’insieme dei redditi dei singoli componenti del foyer fiscal, ascrivibili ai sensi dell’art. 1 A c.g.i., alle seguenti categorie: revenus fonciers (redditi fondiari); bénéfices industriels et commerciaux (redditi d’impresa); bénéfices de l'exploitation agricole (redditi agrari); traitements, salaires, indemnités, émoluments, pensions et rentes viagères (redditi da lavoro dipendente); bénéfices des professions non commerciales et revenus y assimilés (redditi da lavoro autonomo); revenus de capitaux mobiliers (redditi da capitale); plus-values de cession à titre onéreux de biens ou de droits de toute nature; nonché les rémunérations di cui al co. 2, punto 3 del medesimo articolo. in particolare, les revenus fonciers, a differenza di quanto accade nel sistema italiano, sono costituiti unicamente dai redditi derivanti dalla locazione d’immobili (ivi comprese le dimore storiche) e terreni (compresi i giardini storici) (27). non rientrano, però, in tale categoria i redditi derivanti dalla locazione (e sublocazione) d’immobili ammobiliati, dalla sublocazione d’immobili non ammobiliati, nonché i redditi da locazione generati da un’impresa commerciale o agricola (28). (25) Cfr. jeLLinek, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Milano, 2002. (26) Per un approfondimento, cfr. SAntoro, Scheda Paese -Francia, in Fisco oggi, 8 gennaio 2019. (27) Ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche non sono tassati i beni immobili non locati a disposizione del proprietario. LeGiSLAzione eD AttuALità orbene, le dimore storiche, attese le loro peculiari caratteristiche, sovente si prestano ad essere locate; tuttavia, a differenza di quanto accade in relazione ai beni immobili non classificati quali monumenti storici, i proprietari delle predette non possono beneficiare del regime micro-foncier (regime forfettario), applicabile al foyer fiscal avente un revenue fonciers brut global non superiore a 15.000 euro (29). in relazione a questi ultimi, infatti, trova applicazione unicamente il regime ordinario di tassazione dei revenus fonciers (c.d. régime réel), nonché i conseguenti benefici fiscali previsti dall’applicazione in specie della Loi monuments Historiques (v. infra par. 2.3.1.). invero, qualora le dimore storiche francesi di proprietà privata non dovessero essere qualificate come monumenti storici (30), il regime fiscale applicabile ai proprietari delle stesse risulterebbe comunque riconducibile al doppio binario tracciato dal Code Generale des Impôts (c.g.i.) in tema di tassazione dei revenus fonciers (art. 14 ss c.g.i.). Mentre il regime micro-foncier prevede un abbattimento forfettario del 30% del totale dei revenus fonciers bruts, consentendo l’integrazione del restante 70% con gli altri redditi percepiti dal foyer fiscal ai fini dell’imposta sul reddito, il regime ordinario di tassazione dei redditi ut supra comporta la possibilità di dedurre i costi e gli oneri sostenuti per la proprietà locata nonché, nell’ipotesi in cui il risultato dell’operazione risulti positivo, il computo di quest’ultimo ai fini del calcolo del revenu brut global, mentre, nel- l’ipotesi in cui risulti negativo, la deduzione del déficits fonciers dal totale (revenu Net Global), consentendo così una riduzione del quantum dell’imposta dovuta (31). il déficits fonciers derivante dalle spese deducibili -diverse dagli interessi sui prestiti -può essere dedotto dal revenu brut global del foyer fiscal per un ammontare complessivo non superiore, di regola, a 10.700 euro (32). Limite che, tuttavia, non trova applicazione in relazione alle spese sostenute dai proprietari di dimore storiche, seppur al verificarsi delle specifiche condizioni dettate dalla Loi monuments Historiques. (28) i redditi derivanti dalla locazione, nonché dalla sublocazione, di immobili ammobiliati sono riconducibili alla categoria dei bénéfices industriels et commerciaux (cc.dd. B.i.C.), mentre quelli derivanti dal subaffitto di immobili non ammobiliati ai bénéfices des professions non commerciales et revenus y assimilés (cc.dd. B.n.C.). (29) Cfr. Dereix -kiSLiG, Les investissements immobiliers & défiscalisation, Paris, 2020, pag. 22. (30) trattasi delle ipotesi in cui le dimore storiche non sono classificate come monumenti storici o iscritte all’i.S.M.H. (31) Cfr. LuBin, Fiscalité immobilière, Acquisition -Gestion -Vente -Imposition, editions Le Moniteur, 2013. (32) Qualora il déficits fonciers totale risulti superiore a 10.700 euro, l’eccedenza potrà essere riportata nei 10 anni successivi sul revenu foncier net positivo. il limite del déficits fonciers è innalzato a 15.300 euro nei casi tassativamente indicati dalla legge (v. Loi Périssol e Loi Cosse). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 Ciò posto, occorre rilevare che l’imposizione diretta sugli immobili francesi, riguardante anche le dimore storiche private, si articola principalmente in quattro tipologie di prelievo: la taxe d’habitation (art. 1407 ss c.g.i.), la taxe foncière (art. 1380 ss c.g.i.), la taxe d’enlèvement des ordures ménagères (art. 1520 ss c.g.i.), nonché l’impôt sur la fortune immobilière (art. 964 ss c.g.i.) (33). La taxe d’habitation è un’imposta riscossa annualmente dalle autorità locali, che grava sui proprietari, sui locatari o sugli occupanti a titolo gratuito (34) di un immobile adibito ad abitazione principale ovvero a residenza secondaria (35). Sono esonerati dal pagamento del tributo per l’abitazione principale i soggetti che soddisfano tre condizioni: 1) percezione dell’indennità di solidarietà per anziani (A.S.P.A.) o dell’indennità di invalidità supplementare (A.S.i.) (36), ovvero dell'indennità per adulti disabili (A.A.H.) (37), o in alternativa coloro che risultano essere disabili, oppure ultrasessantenni o vedovi di qualunque età non soggetti all’impôt sur la fortune immobilière; 2) l’importo del reddito imponibile per l’anno precedente non deve superare il limite di cui all’art. 1417-i c.g.i.; 3) gli interessati devono occupare l’immobile, come abitazione principale, da soli, con il coniuge o con il partner P.A.C.S., ovvero con persone a carico, con soggetti percettori di A.S.i. o A.S.P.A. o con una terza persona disabile (38). Sono interessati dalla taxe d’habitation gli immobili sufficientemente ammobiliati (art. 1407 c.g.i.) (39) , nonché le dépendances (art. 1409 c.g.i.) (40). Al contrario, gli edifici non abitabili -caratterizzati ad esempio dall’assenza di utenze e da nessun tipo di arredo -e non occupati devono ritenersi esclusi dall’ambito applicativo del tributo (41). Pertanto, i proprietari di dimore storiche non rientranti nelle predette categorie, nonché titolari d’immobili non (33) Cfr. PoMMier, Impôts locaux: «La France est une exception en Europe», in Le Figaro, 18 febbraio 2014. (34) Per un approfondimento sui soggetti passivi, cfr. Conseil d’Etat, 18 giugno 2016, n. 386200; Cassation, 5 dicembre 2018, n. 17-31.189. (35) La legge di bilancio francese del dicembre 2017 ha modificato il Code Generale des Impôts, prevedendo la progressiva riduzione della taxe d’habitation sulle residenze principali per l’80% dei contribuenti nell’arco del triennio successivo (il 30% nel 2018, il 65% nel 2019 e il 100% nel 2020). Per il restante 20% dei contribuenti il tributo sarà ridotto del 30% nel 2021, del 65% nel 2022, nonché del 100% nel 2023. (36) v. artt. L. 815-1 e L. 815-24 c.s.s. (37) v. art. L. 821-1 c.s.s. (38) i soggetti esentati dal pagamento della taxe d’habitation sono altresì esonerati dalla contribution à l’audiovisuel public (art. 1605 c.g.i.). essere esonerati dalla taxe d’habitation, tuttavia, non significa essere automaticamente esentati dal pagamento della taxe foncière e dalla taxe d’enlèvement des ordures ménagères. (39) Cfr. Conseil d’Etat, 14 giugno 1972, n. 79444. (40) Cfr. rM Ansquer, jo déb An du 27 mars 1985, n. 62720, p. 2364. (41) in tal caso, tuttavia, i proprietari sono tenuti a dichiarare periodicamente lo stato di suddetti immobili al Trèsor Public. LeGiSLAzione eD AttuALità abitabili, non arredati e non occupati, non possono ritenersi esenti dal pagamento della taxe d’habitation. L’aliquota fiscale varia in base alle caratteristiche della proprietà (es. dimensioni) e alla situazione personale del contribuente (es. foyer fiscal), risultante al 1° gennaio dell’anno d’imposta (42). La taxe d’habitation è calcolata sul valore locativo netto, pari al valore catastale dell’immobile diminuito, nel caso dell’abitazione principale, delle detrazioni obbligatorie (es. familiari a carico) ovvero di quelle facoltative (es. disabilità o handicap di uno dei componenti del nucleo familiare). A suddetto valore si aggiungono le aliquote previste dal Comune ove l’immobile è situato, o dall’amministrazione per i syndicats intercommunaux, nonché altre eventuali addizionali (es. G.e.M.A.P.i.) (43). La taxe foncière è una tassa locale sulla proprietà dei beni immobili, che prescinde dalle caratteristiche degli stessi. Quest’ultima grava esclusivamente sul proprietario dell’immobile e si applica sia sulla proprietà edificata (taxe foncière sur les propriétés bâties) che su quella non edificata (taxe foncière sur les propriétés non bâties). La differenza tra la taxe d’habitation e la taxe foncière riguarda il presupposto impositivo, nonché il soggetto passivo: mentre la prima è una tassa che grava su locatari e proprietari, riguardando l’abitabilità dell’edificio, la seconda è un tributo che colpisce unicamente il proprietario dell’immobile a prescindere dalla sua abitabilità. La base imponibile della taxe foncière sur les propriétés bâties è costituita dalla rendita catastale netta, corrispondente al 50% del valore locativo catastale al 1° gennaio dell’anno d’imposizione (art. 1388 c.g.i.). L’importo della tassa dovuta è determinato applicando al valore locativo, rivalutato secondo un coefficiente stabilito annualmente, le aliquote deliberate dai Comuni (44). Sono esenti dalla taxe foncière i proprietari di edifici rurali ad uso agricolo, di alloggi modesti situati nei D.o.M. (Domini d’oltre Mare), ovvero di locali che ospitano un’associazione di mutilati di guerra o sul lavoro oppure riconosciuti di pubblica utilità (45). Sono, inoltre, temporaneamente esenti per due anni i proprietari di nuove costruzioni, seppur a determinate condizioni (42) Cfr. SteCkeL -ASSouère, La taxe d’habitation, Collectivités locales, Encyclopédie juridique Dalloz, 3e édition, décembre 2017, no 7830, pp. 1-39. (43) v. art. 1530 c.g.i. (44) La taxe foncière sur les propriétés non bâties si applica a giardini (anche a quelli storici), boschi e parchi, serre, paludi e saline, campi da golf e strade di proprietà privata. il suo ammontare è determinato moltiplicando l'80% del valore locativo per i coefficienti determinati dalle autorità locali (art. 1396 c.g.i.). (45) non rientrano tra le proprietà imponibili neppure gli edifici di proprietà pubblica utilizzati per servizi pubblici che non generano reddito, edifici dediti al culto religioso, nonché quelli di proprietà di Stati esteri dedicati alle missioni diplomatiche. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 (art. 1383 c.g.i.) (46), nonché i soggetti che occupano come residenza principale nuove costruzioni di alloggi sociali (artt. 1385 ss c.g.i.) (47). Da un’attenta analisi della disciplina del tributo in oggetto, dunque, i proprietari di dimore storiche classificate “monumenti storici”, iscritte all’i.S.M.H., ovvero facenti parte del patrimonio nazionale possono ritenersi pacificamente qualificabili come soggetti passivi della taxe foncière sur les propriétés bâties. Ciononostante, occorre precisare che questi ultimi, a differenza dei proprietari d’immobili non classés, sono legittimati a dedurre quanto pagato dal revenu brut global (48). La taxe d’enlèvement des ordures ménagères (tassa sui rifiuti solidi urbani), concerne tutte le proprietà imponibili ai fini della taxe fonciere sur les propriétés bâties ed è calcolata sulla medesima base imponibile di quest’ultima. il tributo non dipende dal volume dei rifiuti prodotti ed è quindi dovuto dai proprietari anche in totale assenza di produzione degli stessi. Quando l’immobile viene locato, il proprietario ha il diritto di recuperare l'importo dell’imposta dall’inquilino (decreto n. 87 -713 del 26 agosto 1987). in questo caso, la tassa dev’essere incorporata da parte del proprietario nelle spese di locazione che il conduttore paga mensilmente (49). L’impôt sur la fortune immobilière (i.F.i.), a differenza delle precedenti, è un’imposta statale. Quest’ultima, introdotta dall’art. 31 della legge n. 20171837 del 30 dicembre 2017, ha sostituito l’imposta di Solidarietà sulla ricchezza (i.S.F.), in vigore in Francia dal 1982 (50). L’imposta riguarda esclusivamente i proprietari di un patrimonio immobiliare tassabile del valore complessivo superiore a 1,3 milioni di euro (art. 964 c.g.i.) (51); onde per cui è evidente la necessità di un’accurata analisi della stessa in relazione al peculiare tema delle dimore storiche di proprietà privata, il cui valore spesso risulta assai elevato. L’i.F.i. è calcolata sul valore netto del patrimonio immobiliare imponibile al 1° gennaio dell’anno fiscale, il quale a sua volta è computato sulla base del valore di tutte le proprietà direttamente e indirettamente possedute dal soggetto passivo dedotte le spese “giustificabili” sostenute per le stesse (art. 974-i c.g.i.) (46) L’esenzione si applica indipendentemente dall’uso dell’immobile (abitazione principale, secondaria, costruzione commerciale…) e si può ottenere anche per edifici ristrutturati. (47) in tal caso, l’esenzione può avere una durata variabile di 10, 15 anni o 20 anni. (48) v. Bulletin officiel des Finances Publiques-Impôts del 19 dicembre 2018, Boi-rFPi-SPeC-3020- 20-20181219, rFPI -revenus fonciers -régimes spéciaux -monuments historiques et assimilés -modalités de déduction - Immeuble ne procurant aucune recette imposable. (49) invero, l’unico soggetto responsabile dell'imposta nei confronti del fisco resta il proprietario dell’immobile. (50) Cfr. GoLiArD, Droit fiscal général, 4° edizione, Gualino editore, 2020, pag. 39. (51) una riduzione d’imposta è prevista solo per i patrimoni imponibili netti compresi tra 1,3 e 1,4 milioni di euro, il cui ammontare è pari a 17.500 euro. LeGiSLAzione eD AttuALità (52), come ad esempio i costi relativi alla loro acquisizione, le spese di riparazione, manutenzione, miglioramento, ricostruzione, ampliamento e restauro, le imposte sulla proprietà (es. taxe foncière). Le sue aliquote seguono uno schema progressivo per scaglioni (art. 977 c.g.i.). orbene, in relazione all’imposta in esame è necessario evidenziare che nel 2019, durante i dibattiti per la legge finanziaria 2020, nonostante il sostegno del Senato, l’Assemblea nazionale ha respinto un emendamento volto a garantirne la riduzione del 75% del valore per i proprietari di monumenti storici aperti al pubblico o che esercitano un’attività turistica o economica (53). Pertanto, ad oggi, i proprietari di dimore storiche classificate come monumenti storici o iscritte all’i.S.M.H., aventi un patrimonio immobiliare dal valore netto superiore a 1,3 milioni di euro, non possono ritenersi esenti dal pagamento dell’i.F.i., anche se esercenti attività d’impresa (54). tutti i tributi pocanzi analizzati, ad eccezione dell’ultimo, si basano sul valore locativo degli immobili, vale a dire l’affitto che questi produrrebbero normalmente se fossero locati. A tal proposito, tuttavia, occorre rilevare, per quanto riguarda i c.d. “alloggi con caratteristiche eccezionali” -categoria composta principalmente da monumenti storici -il governo francese, nonostante l’opposizione del Senato, ha recentemente votato un paragrafo (art. 146, C, 1 della legge finanziaria per il 2020) contenente due importanti novità, che il Consiglio Costituzionale ha dichiarato conformi alla Costituzione (55): la prima consistente nel nuovo calcolo del valore locativo di suddetti immobili (da effettuarsi in base al valore di mercato); la seconda riguardante l’applicazione di un’aliquota dell’8% al valore di mercato del bene, da parte delle autorità fiscali, ai fini del computo del valore locativo. L’imposizione indiretta sugli immobili francesi, di converso, è riconducibile principalmente ai droits de mutation a titolo oneroso e a titolo gratuito. in relazione ai proprietari di dimore storiche classès, tuttavia, è necessario sottolineare sin da subito l’applicazione in specie di un regime fiscale più favorevole (artt. 795 ss c.g.i.). in particolare, sono esentati dal (52) L’abitazione principale del contribuente beneficia di un abbattimento forfettario del 30% del suo valore di mercato, a condizione che la stessa non sia detenuta per mezzo di una S.C.i. (53) v. Assemblée Nationale XVe législature, session ordinaire de 2019-2020, deuxième séance du jeudi 17 octobre 2019 sul progetto di legge finanziaria 2020. (54) tuttavia, i beni immobili “professionali” sono esenti i.F.i., purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: l’immobile dev’essere utilizzato nel contesto di una professione industriale, commerciale, artigianale, agricola o liberale; l’attività in questione deve corrispondere all’esercizio effettivo di una vera professione e dev’essere esercitata direttamente dal proprietario, dal coniuge, dal suo partner di P.A.C.S., o dai figli minori sotto amministrazione legale; l’attività deve essere la professione principale del contribuente e il bene dev’essere necessario per l’esercizio della stessa. (55) Cfr. Conseil Constitutionnel, décision n. 2019-796 DC del 27 dicembre 2019. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 l’imposta in oggetto i soli trasferimenti a titolo gratuito di beni immobili storici qualificati come monumenti storici. Anche i beni mobili che ne costituiscono il complemento storico o artistico sono esenti dall’imposta (infra par. 2.3.1). 2.3. Le misure fiscali ed economiche a sostegno dei proprietari di dimore storiche francesi. esaminato il sistema di tassazione francese degli immobili, in particolare quello delle dimore storiche private, posto che circa il 49,4% dei 43.600 edifici francesi protetti come monumenti storici (14.100 classificati e 29.500 registrati) appartengono a proprietari privati (persone fisiche e giuridiche) e solo il restante 50,6% alle autorità locali e allo Stato (56), è necessario sottolineare l’importanza rivestita dalle misure di sostegno ai privati proprietari di tali edifici ai fini della loro conservazione e valorizzazione. in particolare, in assenza di specifiche misure di sostegno, le dimore storiche private protette (classificate o iscritte) risulterebbero esposte ad una potenziale incuria da parte dei loro proprietari, atteso che la loro conservazione è resa assai difficile a causa degli elevati costi di manutenzione. A tal fine, l’ordinamento francese predispone delle rilevanti misure fiscali ed economiche (57) a sostegno dei proprietari di queste ultime, rintracciabili, principalmente, nella Loi monuments Historiques, nella Loi malraux e nella Loi Aillagon. 2.3.1. La Loi monuments Historiques. La Loi monuments Historiques, introdotta in Francia nel 1913 e successivamente integrata nel Code du Patrimoine nel 2004 (58), offre ai proprietari di dimore storiche classificate o comunque registrate, a specifiche condizioni, rilevanti vantaggi fiscali; in particolare la possibilità di dedurre dal revenu brut global le spese sostenute per la conservazione dell’immobile in deroga al limite fissato dalla legge (59). i benefici fiscali scaturenti dall’applicazione di suddetta legge possono essere utilizzati da tutti i contribuenti, domiciliati a fini fiscali in Francia (art. 4 B c.g.i.), proprietari di edifici: classificati come monumenti storici; registrati all’Inventaire Supplémentaire des monuments Historiques (i.S.M.H.); rien (56) Dato aggiornato al 2015 (v. https://www.culture.gouv.fr/Sites-thematiques/monumentshistoriques/ Presentation/Les-monuments-historiques). (57) Dal punto di vista delle misure economiche è bene precisare che i lavori di conservazione delle dimore storiche classificate o iscritte possono essere oggetto di specifiche sovvenzioni statali o delle comunità territoriali, ovvero di aiuti finanziari da parte d’imprese (v. Loi Aillagon); tuttavia, i soggetti pubblici, a differenza dei privati, possono sovvenzionare gli stessi nel limite del 40% delle spese effettive sostenute dagli interessati (art. L. 621-29 Code du Patrimoine). (58) La disciplina in oggetto è stata da ultimo modificata dall’ordonnance du Président de la république relative aux monuments historiques et aux espaces protégés du 8 septembre 2005. (59) il limite attuale è di 10.700 euro. LeGiSLAzione eD AttuALità tranti nel patrimonio nazionale in ragione della “label” (etichetta) deliberata dalla “Fondation du Patrimoine” (art. L. 143-2 code du patrimoine) (60), previo parere favorevole del Service Départemental de l'architecture et du patri- moine; rientranti nel patrimonio nazionale, a causa del loro particolare carattere storico o artistico, previa approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze, ed aperti al pubblico (61). Qualora la classificazione ut supra dovesse riguardare unicamente alcune parti dell’edificio, il proprietario dello stesso non può però beneficiare delle agevolazioni fiscali in relazione a tutte le spese sostenute per la manutenzione dell’immobile, bensì può soltanto dedurre dal revenu brut global i costi sostenuti per la conservazione delle specifiche parti interessate dal vincolo. in linea generale i proprietari di dimore storiche classificate o registrate, a condizione d’impegnarsi a conservare l’immobile per un periodo di almeno 15 anni (art. 156 bis c.g.i.) (62), possono dedurre ai fini dell’i.r.: le spese di manutenzione e ristrutturazione affrontate, le tasse fondiarie, i premi assicurativi e i costi di promozione e pubblicità riguardanti l’immobile, nonché le spese di acquisto di apparecchiature informatiche per la gestione della biglietteria o per il monitoraggio delle movimentazioni di cassa. invero, al fine di determinare correttamente i vantaggi fiscali dei suddetti proprietari, occorre distinguere tre possibili scenari: proprietà di immobili che non generano entrate (neppure dalle visite) occupati dai proprietari; proprietà d’immobili non occupati, che però generano entrate; proprietà d’immobili occupati che generano entrate. in relazione al primo scenario prospettato il proprietario di una dimora storica classificata o iscritta può dedurre dal revenu brut global del suo foyer fiscal le spese di conservazione dell’immobile (riparazioni, ristrutturazione, migliorie, taxe fonciere sur les propriétés bâties, interessi sui prestiti per la ristrutturazione…) senza limiti, se l’immobile è aperto al pubblico (63), e nel limite del 50% del loro ammontare in caso contrario. nelle ipotesi in cui il proprietario non occupa l’immobile, ma quest’ul (60) il label è attribuito dalla Fondation du Patrimoine, fondazione istituita dalla legge n. 96-590 del 2 luglio 1996, al fine di favorire la conservazione e la valorizzazione degli immobili francesi particolarmente caratteristici del patrimonio e della cultura locale non tutelati dallo Stato come monumenti storici e appartenenti a proprietari privati. il label consente a questi ultimi di beneficiare di eventuali finanziamenti pubblici, nonché delle deduzioni fiscali previste dalla legge. il label, tra l’altro, è subordinato alla condizione che l’edificio sia visibile dalla pubblica via. (61) il proprietario dell’immobile, a partire dal 2009, per beneficiare delle agevolazioni della Loi monuments Historiques, non può più detenere indirettamente lo stesso per mezzo di una société civile immobilière (S.C.i.). (62) La condizione si applica anche per gli immobili acquistati prima del 1° gennaio 2009. (63) Gli edifici storici francesi possono considerarsi aperti al pubblico quando possono essere visitati per almeno 50 giorni all'anno, inclusi 25 giorni non lavorativi, nei mesi da aprile a settembre, o almeno 40 giorni nei mesi di luglio, agosto e settembre. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 timo genera comunque entrate, possono essere dedotte dai revenus fonciers, senza limiti, non solo le spese sopraindicate, ma anche quelle legate al “diritto di visita” (es. remunerazione del personale). Dai redditi derivanti dal diritto di visita i proprietari devono dedurre forfettariamente la somma di 2.290 euro se l’immobile possiede un parco o un giardino accessibile al pubblico e 1.525 euro in caso contrario. nell’ultima ipotesi delineata, invece, il proprietario, che occupa (a titolo di abitazione principale o secondaria) una dimora storica che genera entrate, può dedurre, integralmente, dai revenus fonciers le spese sostenute per la parte dell’immobile visitabile e al contempo può mantenere la deduzione forfettaria. Per la parte dell’edificio non visitabile, al contrario, l’interessato può dedurre le spese legate all’occupazione della sua proprietà sul revenu brut global. La Loi monuments Historiques, inoltre, esonera il proprietario di immobili classificati o registrati dal pagamento delle imposte di successione e donazione, a condizione che gli eredi, i legatari o i donatari sottoscrivano con i Ministeri della cultura e delle finanze un’apposita convenzione, con la quale i firmatari s’impegnano, in particolare, a rispettare le modalità di manutenzione della proprietà previste nell’accordo, nonché ad aprire i locali al pubblico per almeno 90 giorni da maggio a settembre (di cui 60 dal 15 giugno al 30 settembre). L’esenzione si estende anche ai parchi e ai giardini che circondano l’immobile, a condizione che questi ultimi risultino attrezzati per la visita, nonché ai beni mobili annessi, che ne costituiscono “l’estensione” storica o artistica. Allorquando una delle condizioni previste nella convenzione non viene rispettata, l’atto dispositivo è soggetto all’imposta sulle donazioni o sulle successioni sulla base del valore del bene nel giorno dell’inadempimento ovvero nel giorno in cui è stato stipulato l’accordo (se superiore). Anche la vendita, totale o parziale, dell’immobile comporta la tassazione dell’originario atto dispositivo. 2.3.2. La Loi malraux. La Loi malraux (loi n. 62-903 del 4 agosto 1962) si prefigge sin dalla sua promulgazione quale scopo precipuo la riqualificazione di aree urbane storiche degradate, e più in generale delle aree urbane di interesse del patrimonio, prevedendo importanti vantaggi fiscali per i soggetti che intraprendono un’attività di ristrutturazione o restaurazione di immobili situati in tali zone. La legge finanziaria del 2020 ha esteso il sistema malraux fino al 31 dicembre 2022, accordando ai contribuenti, che hanno intenzione di procedere al restauro d’immobili situati nelle aree sopraindicate, la possibilità di ottenere un’ingente riduzione d’imposta. tra i beneficiari della riduzione d’imposta, oscillante tra il 22% ed il 30%, a differenza di quanto previsto dalla Loi monuments Historiques, possono ri LeGiSLAzione eD AttuALità scontrarsi anche le persone fisiche socie di una société civile immobilière (64) non soggetta all’impôt sur les sociétés (art. 1655-ter c.g.i.), le quali, tuttavia, possono beneficiare del vantaggio fiscale in oggetto soltanto pro quota. inoltre, qualora l’immobile da ristrutturare è oggetto di comproprietà, ciascuno dei comproprietari può beneficiare della riduzione fiscale, calcolata proporzionalmente sulle spese ammissibili (65). Le operazioni di restauro devono avvenire nell’ambito di siti patrimoniali rimarchevoli (es. Zone de Protection di Patrimoine Architectural, Urbain et Paysager) (66) situati in quartieri storici degradati (indicati con decreto), ovvero coperti da un Plan de Sauvegarde et mise en Valeur (P.S.M.v.) o sottoposti ad un Plan de Valorisation de l’Architecture et du Patrimoine approvato (67). tali operazioni devono condurre al restauro completo dell’immobile -in quanto un restauro parziale dello stesso escluderebbe ex lege la possibilità di (64) Sulle S.C.i. v. artt. 1845 ss. code civil. (65) il contribuente, per godere dei benefici fiscali scaturenti dalla Loi malraux, deve allegare alla propria dichiarazione dei redditi per l’anno in cui chiede di beneficiare della riduzione d’imposta una nota, redatta secondo il modello stabilito dall’amministrazione -che deve riportare: la sua identità e il suo indirizzo; l’indirizzo dell’immobile oggetto di restauro, la menzione che quest’ultimo si trova, a seconda dei casi, in un settore protetto, in un quartiere degradato ovvero in una zona per la protezione del patrimonio architettonico, urbano e paesaggistico o in un’area per la valorizzazione dell’architettura e del patrimonio; la data dell’approvazione del piano di salvaguardia e miglioramento o della dichiarazione di pubblica utilità dell’operazione; la data di rilascio del permesso di costruire; l’assegnazione, per uso residenziale o non residenziale, degli edifici interessati prima e dopo il completamento dei lavori; l’ammontare del lavoro effettivamente effettuato (fattura) e la data o le date del suo pagamento; l’impegno di affittare, a seconda dei casi, l’immobile per la residenza principale dell’inquilino per almeno nove anni (successivi al completamento dei lavori); al termine dell’opera, la data di completamento dei lavori; nonché allorquando l’alloggio viene affittato, la data effettiva del contratto di locazione -nonché una copia di taluni documenti (la dichiarazione di pubblica utilità dell’operazione di restauro, a meno che questo documento non sia già stato prodotto per un anno precedente; il permesso di pianificazione, accompagnato dal parere dell’Architecte des bâtiments de France, a meno che questo documento non sia già stato prodotto per un anno precedente; le fatture delle società che hanno eseguito i lavori o, in caso di vendita di un edificio da ristrutturare, il contratto). Se i locali non vengono affittati al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno per cui è richiesto il beneficio della riduzione fiscale, il contratto di locazione dev’essere allegato alla successiva dichiarazione dei redditi durante la quale è firmato. in caso di cambiamento del locatario durante il periodo d’impegno, una copia del nuovo contratto d’affitto stipulato dev’essere allegata alla dichiarazione dei redditi per l’anno in cui è avvenuta la modifica. (66) Le Zones de Protection di Patrimoine Architectural, Urbain et Paysager sono sviluppate su iniziativa e sotto la responsabilità del comune, con l'assistenza dell’Architecte des bâtiments de France. tali aree sono delimitate a seguito di un'indagine pubblica ordinata del Prefetto regionale con l'accordo del Comune e previo parere della Commission régionale du patrimoine et des sites. Le Zones de Protection di Patrimoine Architectural, Urbain et Paysager possono essere stabilite in aree limitrofe a monumenti storici, ma anche in quartieri o siti da proteggere. La costruzione, la demolizione, la trasformazione o la modifica degli edifici inclusi nel perimetro di predette zone sono subordinate ad una speciale autorizzazione. (67) La riduzione d’imposta per le opere di restauro compiute in S.P.r. coperti da un Plan de Sauvegarde et mise en Valeur, ovvero in quartieri storici degradati è del 30%; mentre in tutti gli altri casi è del 22%. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 ottenere la riduzione d’imposta, eccettuate le ipotesi in cui talune parti del- l’edificio non necessitano di alcun intervento -e devono essere dichiarate di pubblica utilità (68). Le operazioni di restauro possono consistere in lavori di ripristino, di ammodernamento, nell’apporto migliorie, ma anche nell’eventuale demolizione di parte dell’immobile (seppur nei soli casi in cui è imposta dall’Amministrazione che delibera sul permesso di costruire ovvero è necessaria ai fini del- l’abitabilità dell’edificio). Le spese di restauro danno diritto alla riduzione d’imposta solo se sostenute successivamente alla domanda di permesso di costruire ovvero della déclaration de travaux (depositate a partire dal 1° gennaio 2017), in accordo con l’Architecte des bâtiments de France ed in conformità con la dichiarazione di pubblica utilità o con il P.S.M.v. (69), e sono prese in considerazione soltanto entro il limite di un massimale pluriennale di 400.000 euro (70) tra la data del permesso di costruzione e il 31 dicembre del terzo anno successivo (71). L’eventuale eccedenza annuale della riduzione fiscale può tuttavia essere riportata a nuovo. La riduzione d’imposta prevista dal sistema malraux non è cumulabile con altre riduzioni d’imposta (es. investissement locatif de tourisme). All’ingente vantaggio fiscale accordato dalla Loi malraux funge da contrappeso l’obbligo per il contribuente di procedere alla locazione dell’immobile ristrutturato come residenza principale (del conduttore) per un periodo minimo di 9 anni, entro i dodici mesi successivi alla data di completamento dei lavori di restauro. il conduttore non può essere una persona afferente al foyer fiscal del soggetto beneficiario della misura, né un ascendente o un discendente del proprietario dell’immobile o dei soci della S.C.i. La riduzione d’imposta è messa in discussione qualora l’impegno del locatore viene meno nel corso dei 9 anni (tranne nei casi in cui quest’ultimo è deceduto, è stato licenziato o è incorso in un’invalidità di 2° o 3° categoria) (72) (68) non occorre la dichiarazione di pubblica utilità nelle ipotesi in cui risulta approvato un P.S.M.v. (69) tra le spese prese in considerazione ai fini della riduzione d’imposta non rientrano soltanto quelle inerenti ai lavori di costruzione, bensì anche gli ulteriori oneri fondiari derivanti dalla proprietà dell’immobile (es. taxe foncière). (70) il limite del plafond è stato portato a 400.000 euro su base pluriennale dalla legge di bilancio francese del 2016. Per i lavori effettuati prima del 1° gennaio 2017 il plafond è di 100.000 euro annui. (71) Le spese che eccedono il limite in oggetto non sono prese in considerazione. (72) Gli assicurati riconosciuti invalidi, ai sensi dell’art. L. 341-3 del Code de la Sécurité sociale, sono classificati in una delle seguenti categorie: 1) invalidi capaci di lavoro subordinato; 2) invalidi assolutamente incapaci di eseguire qualsiasi occupazione; 3) invalidi che sono assolutamente incapaci di esercitare una professione e sono anche obbligati a ricorrere a un sostegno di terzi per compiere gli atti di ordinaria amministrazione. LeGiSLAzione eD AttuALità ovvero nei casi di “démembrement” del diritto di proprietà (73) (ad eccezione delle ipotesi in cui il démambrement è conseguente al decesso del locatario e il coniuge sopravvissuto decide d’impegnarsi a propria volta ad ottemperare alle obbligazioni assunte). Al momento della rivendita di qualsiasi proprietà, ad eccezione delle residenze principali, il venditore deve pagare le tasse sulla plusvalenza realizzata (tranne nelle ipotesi in cui risulti titolare dell’immobile da più di 22 anni per impôt sur le revenu, e da più di 30 anni per i prélèvements sociaux). Anche quando si vende un immobile, restaurato nell’ambito della Loi malraux, si applica il regime delle plusvalenze immobiliari. tuttavia, i lavori di restauro o ristrutturazione non sono inclusi, di regola, nel calcolo, atteso che tali spese sono già state prese in considerazioni ai fini della riduzione d’imposta prevista dal sistema malraux. Di talché non è possibile aggiungere queste ultime al prezzo d’acquisto dell’edificio. invero, qualora la vendita è conclusa nell’ambito di una vente d’immeuble à rénover (c.d. v.i.r.), il prezzo di costo dell’immobile viene calcolato includendo il costo di suddetti lavori (art. 150 vB c.g.i.), accordando così al venditore un ulteriore rilevante vantaggio fiscale. Sul punto, l’Amministrazione finanziaria francese in una risposta ministeriale pubblicata il 12 gennaio 2017 (74) affermava che non vi erano ostacoli affinché il contribuente potesse godere del doppio vantaggio fiscale derivante in specie dall’applicazione della Loi malraux. un’interpretazione, che, però, si scontrava con il dettato normativo dell’art. 150, co. 4, c.g.i., il quale prevede che il prezzo può essere aumentato delle spese di lavoro sostenute soltanto nelle ipotesi in cui le stesse non sono «déjà été prises en compte pour la détermination de l’impôt sur le revenu»; tanto da far tornare l’Amministrazione sui suoi passi. il 10 gennaio 2019, infatti, con la risposta ministeriale “Frassa” (75) si è ritenuto di escludere dal prezzo di costo dell’immobile acquistato nell’ambito di un v.i.r. le spese sostenute per i lavori di ristrutturazione già prese in considerazione ai fini della determinazione dell’imposta sul reddito (i.r.), eliminando il doppio vantaggio fiscale scaturente dall’applicazione della Loi malraux. Ciononostante, parte della dottrina francese ritiene comunque che gli investimenti effettuati nell’ambito di un v.i.r. nel sistema malraux debbano mantenere tutti i loro vantaggi (76). (73) il démambrement del diritto di proprietà consiste nel separare il godimento del bene dalla proprietà dello stesso (c.d. nuda proprietà). nel diritto francese “la propriété est le droit de jouir et disposer des choses de la manière la plus absolue, pourvu qu'on n'en fasse pas un usage prohibé par les lois ou par les règlements” (art. 544 code civil). (74) v. rép. Eblé: Sén. 12-1-2017 n. 21771. (75) v. rép. Eblé: Sén. 10-01.2019 n. 1409. (76) Cfr. jeAnne, VIr: détermination du prix d’acquisition, in WoLterS kLuWer FrAnCe -ACtuA- LitÉS Du Droit, 19 gennaio 2019. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 Alla luce di quanto sopraesposto, si possono quindi riscontrare diverse differenze tra la Loi malraux e Loi monuments Historiques, nonostante entrambe rappresentano efficaci misure a sostegno dei proprietari di dimore storiche: 1) Ai fini dell’ottenimento dei vantaggi fiscali, mentre con la Loi monuments Historiques i proprietari devono impegnarsi a conservare l’immobile per un periodo minimo di 15 anni, i soggetti che provvedono al restauro di un immobile situato in un’area da riqualificare devono impegnarsi, ai sensi della Loi malraux, a locare lo stesso per almeno 9 anni; 2) La Loi monuments Historiques non obbliga il proprietario a locare l’immobile; al contrario, il sistema malraux impone un periodo di locazione di almeno 9 anni; 3) il sistema di agevolazioni delineato dalla Loi monuments Historiques consente di dedurre i lavori di ristrutturazione effettuati dall’r.B.G. del foyer fiscal del contribuente, di regola, senza alcuna limitazione, mentre nel caso della Loi malraux, non solo le spese di ristrutturazione non sono deducibili dall’r.B.G. oltre il limite di 10.700 euro, ma le stesse sono prese in considerazione ai fini della riduzione imposta. Anche la ratio sottesa alle due normative è diversa. Le disposizioni riconducibili alla Loi monuments Historiques, ormai integrata nel Code du Patrimoine, si prefigge quale scopo ultimo quello di fornire ai proprietari d’immobili storici dei vantaggi fiscali per incentivarne la conservazione; al contrario, la ratio della Loi malraux consiste nel promuovere la riqualificazione di talune aree urbane storiche degradate, incentivando il restauro d’immobili (non necessariamente storici, ma semplicemente rientranti nel perimetro della zona interessata) anche per mezzo di S.C.i. 2.3.3. La Loi Aillagon. La legge n. 2003-709 del 1° agosto 2003, meglio nota come Loi Aillagon ovvero legge sul mecenatismo deducibile, rappresenta un’importante misura fiscale in favore dei “mecenati” (persone fisiche e società) ed economica a sostegno di taluni proprietari di dimore storiche classificate come monumenti storici o iscritte all’i.S.M.H., avente quale finalità ultima il sostegno di beni d’interesse generale ovvero l’acquisto di beni culturali dichiarati tesoro nazionale. Suddetta legge introduce un regime fiscale di favore nei confronti di privati e imprese che danno sostegno (finanziario, in natura o di competenze), a organismi riconosciuti d’interesse generale (artt. 200 e 238 bis c.g.i.), a titolo puramente liberale. Di talché è bene evidenziare sin da subito l’impossibilità per i privati (persone fisiche) proprietari di dimore storiche protette di godere dei benefici economici scaturenti dal c.d. mecenatismo deducibile, di seguito analizzati. numerosi risultano essere, allo stato, gli organismi d’interesse generale LeGiSLAzione eD AttuALità (come ad esempio fondazioni o associazioni riconosciute di pubblica utilità) titolari di dimore storiche (classificate o iscritte), anche d’ingente valore, che possono beneficiare delle misure previste dalla Loi Aillagon. tra questi, sovente, è possibile riscontrare anche organizzazioni che si prefiggono quale scopo precipuo proprio la valorizzazione del patrimonio storico-artistico francese (77). i benefici economici che i destinatari della donazione possono percepire dai “mecenati” possono essere di varia natura, a seconda della tipologia di mecenatismo scelto. La forma più conosciuta e più diffusa di mecenatismo è quello finanziario, che si basa su donazioni di denaro (in contanti, assegno, bonifico, o pagamento online) (78). Altre forme di mecenatismo praticate sono il mécénat en nature e il mécénat de compétences. nel primo caso, il donatore procede a fornire gratuitamente all’organizzazione d’interesse nazionale beni o servizi, mentre, nel secondo, si consente al beneficiario della donazione di usufruire delle capacità organizzative, gestionali e produttive del donante. Se il beneficiario ha diritto al patrocinio deducibile, la donazione o l’acquisto di beni culturali dichiarati tesoro nazionale comportano un conseguente beneficio fiscale per i donatori (persone fisiche e società), consistente in una riduzione d’imposta (79). La riduzione fiscale viene sottratta dall’importo dell’imposta sulle società o dell’imposta sul reddito (per le persone fisiche) dovuta dal donante per l’anno in cui ha realizzato i pagamenti. in particolare, le società (rectius i soggetti titolari di reddito di impresa), a partire dal 1° gennaio 2020, possono godere di una riduzione di imposta del 60% per la frazione della donazione inferiore o uguale a 2 milioni di euro, ovvero del 40% dell'importo per la frazione superiore a 2 milioni di euro, entro il limite di 10.000 euro o del 5 per mille del fatturato annuo al netto delle imposte (80). Se il plafond viene superato, è possibile riportare a nuovo l’eccedenza nei prossimi 5 esercizi successivi. Di converso, i “mecenati” privati, domiciliati in Francia (81), possono beneficiare di una riduzione di imposta pari al 66% dell’ammontare della donazione, nel limite annuale del 20% del reddito imponibile, e, se tale percentuale viene superata, la riduzione d’imposta può essere ripartita sui 5 anni successivi. (77) v. art. 238-bis, co. 1, lett. a, c.g.i. (78) La corresponsione della donazione non è sottoposta a t.v.A. (in italia i.v.A). (79) viceversa, qualora il beneficiario non ha diritto al patrocinio deducibile non potranno trovare applicazione i benefici fiscali previsti dalla Loi Aillagon. (80) il massimale si applica in relazione all’ammontare complessivo delle donazioni effettuate. (81) v. art. 4 B c.g.i. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 occorre precisare, da ultimo, che sono previste anche agevolazioni fiscali specifiche per le imprese che donano finanziando l’acquisto di un bene culturale riconosciuto trésor national o di grande interesse per il patrimonio nazionale a vantaggio di una collezione pubblica. in tal caso, la riduzione d’imposta equivale al 90% dell’importo della donazione, nel limite del 50% dell’imposta dovuta dal donante. Mentre, nelle ipotesi di acquisto di tesori nazionali, a determinate condizioni (82), l’impresa deduce il 40% dell’importo d’acquisto, nel limite del plafonnement global des avantages fiscaux (83). Ai fini dell’ottenimento dei predetti benefici fiscali, il destinatario della donazione deve rilasciare un’apposita ricevuta fiscale al “mecenate”, che dovrà allegarla alla propria dichiarazione dei redditi (84). 2.4 Il modello anglosassone: breve introduzione al diritto di proprietà immobiliare. Per poter comprendere il modello di tutela e tassazione degli immobili storici all’interno del sistema anglosassone, occorre esaminare, preliminarmente, il concetto di proprietà immobiliare sotteso a tale ordinamento. in linea generale, il diritto di proprietà nel sistema anglosassone non corrisponde, sotto il profilo logico-sistematico, all’idea di proprietà dei sistemi di civil law (85). La proprietà rappresenta un concetto separato dalla res che ne costituisce l’oggetto (86). Mentre i sistemi di civil law sono incentrati sul principio di unicità del titolo di proprietà (87) quelli di common law si caratterizzano per il fatto che la proprietà rappresenta un insieme di diritti sul bene, comportando l’affermazione dell’opposto principio di molteplicità dei titoli concorrenti sulla medesima res. Di talché, è possibile la coesistenza sul medesimo bene immobile di molteplici estates. in inghilterra e Galles, tutti i beni immobili appartengono alla Corona (82) La riduzione d’imposta nei casi di acquisto diretto di un trésor national è possibile solo se: la proprietà non è stata oggetto di un’offerta d’acquisto da parte dello Stato; la società richiede l’approvazione per l’acquisto diretto del bene; la società si impegna a richiedere la sua classificazione come monumento storico; la proprietà non viene venduta entro 10 anni dall’acquisto e viene depositata presso un museo in Francia, un servizio di archivio pubblico o una biblioteca, appartenente allo Stato o posta sotto il suo controllo tecnico, per almeno 10 anni. (83) Per la tassazione 2020 delle entrate del 2019, i benefici fiscali totali non possono prevedere una riduzione dell’importo dell’imposta dovuta superiore a 10.000 euro (art. 200-0 A c.g.i., da ultimo modificato dalla legge n. 2019-1479 del 28 dicembre 2019). (84) il destinatario della donazione deve provvedere a redigere la ricevuta sulla base del Formulaire n. 11580*04 du ministère chargé des finances. (85) Così BASSo, La proprietà inglese: profili logico-comparativi del possesso, in diritto.it, 10 novembre 2011. (86) Così CAStronovo e MAzzAMuto, manuale di diritto privato europeo, vol. 2, Milano, 2007, p. 26. (87) in relazione al sistema italiano, v. art. 832 c.c. LeGiSLAzione eD AttuALità (88) ed ogni “proprietario” dei predetti assume la sola posizione formale di possessore dell’estate in ragione di una concessione regia (89). esistono due tipi principali di estate in land (possesso fondiario): il freehold estate e il leasehold estate (90). il freehold estate è riconducibile al diritto reale maggiormente rilevante nell’ordinamento anglosassone, in quanto non presenta alcun limite temporale e può essere liberamente trasferito dal titolare (c.d. freeholder) per atto inter vivos, nonché mortis causa (91), rappresentando, de facto, il diritto più vicino a quello di proprietà -piena ed esclusiva -dei beni immobili degli ordinamenti di civil law. il leasehold estate, invece, consiste nella concessione del diritto al possesso esclusivo di un bene immobile per un periodo di tempo determinato (92), inferiore a quello che il cedente (freeholder) vanta sul medesimo bene (93). Allo scadere del termine, in assenza di rinnovo, il diritto del freeholder si riespande, consentendo a quest’ultimo di riacquisire il pieno possesso dell’immobile. Al leaseholder, di regola, sono riconosciuti gli stessi poteri del freeholder, nonché i medesimi diritti, ivi compresa la facoltà di stipulare un contratto di lease di durata inferiore al proprio contratto (c.d. sublease). il contratto stipulato tra il freeholder ed il leaseholder, invero, può sancire peculiari restrizioni in relazione al godimento del bene immobile. ne deriva, dunque, la possibilità per qualsiasi edificio ubicato su suolo anglosassone di essere soggetto ad una gerarchia di diritti: il medesimo immobile appartenente alla Corona, infatti, potrebbe essere allo stesso tempo oggetto di freehold, leasehold e sublease estate. nel complesso sistema delineato, le riparazioni alla struttura dell’edificio sono a carico del freeholder, così come le opere di conservazione sulle dimore storiche catalogate di proprietà di quest’ultimo (94), le quali, però, a differenza delle prime, devono essere effettuate dall’interessato nel rispetto dei regolamenti di pianificazione vigenti, nonché delle normative specifiche relative a tali immobili (es. Town and Country Planning Act del 1990). (88) tuttavia, l’appartenenza dei beni alla Corona rappresenta oramai un mero tecnicismo. (89) Cfr. zAMBeLLi, Inghilterra: il mercato immobiliare ad uso commerciale, in Immobili e proprietà, 2011, 2. (90) Sia il freehold estate che il leasehold estate sono stati riconosciuti dal Law Property Act del 1925. (91) il trasferimento, tuttavia, diviene efficace solo a seguito di registrazione del titolo nel Land registry. (92) Storicamente la maggior parte dei contratti di leasehold ha durata novantanovennale. non è insolito, però, che tali contratti presentino una durata di 999 anni. (93) Cfr. Woodfall's Law of landlord and Tenant. (94) v. infra par. 2.5. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 2.5. Catalogazione e conservazione dei beni immobili d’interesse storico in Gran Bretagna. il sistema britannico, al fine di realizzare una compiuta tutela dei beni immobili storici ovvero caratterizzati da un particolare interesse artistico, culturale o architettonico, prevede l’inserimento degli stessi in appositi elenchi sulla base di specifici parametri individuati dal Governo. Suddetto sistema di catalogazione si basa sulla fondamentale distinzione tra Ancient monuments e Historic Buildings. All’interno della prima categoria sono riconducibili le aree archeologiche, i monumenti e gli edifici antichi in condizioni tali da non prestarsi né ad usi abitativi né ad altro utilizzo (ivi comprese le costruzioni parzialmente o completamente sotto terra). viceversa, rientrano nella seconda categoria tutti gli edifici d’interesse storico ed artistico che si prestano ad una qualsiasi funzione o utilizzo (ivi comprese le dimore storiche di proprietà privata). tra gli Historic Buildings occorre poi distinguere gli scheduled buildings dai listed buildings: i primi rappresentano gli edifici di maggior pregio e antichi monumenti di rilevanza nazionale (95), nonché le aree archeologiche, già tutelati dall’Ancient Protect Act del 1882 e successivamente protetti dal- l’Ancient monument and Archeological Areas Act del 1979; mentre i secondi gli immobili storici rilevanti per la loro storia, nonché per le loro caratteristiche architettoniche, salvaguardati dapprima dal Town and Country Planning Act del 1947 e poi dal Town and Country Planning Act del 1990, oggi integrato dal Planning and Compulsory Purchase Act del 2004. il procedimento di scheduling, effettuato esclusivamente nelle ipotesi in cui si riscontri la rilevanza nazionale del sito o dell’immobile (96), assicura il rispetto delle esigenze di protezione dell’edificio da ogni potenziale opera di restauro o modifica che potrebbe arrecarvi danni strutturali, subordinandola allo “scheduled monument consent” (97). in assenza di tale autorizzazione, il soggetto che ha intrapreso i lavori si espone a rilevanti sanzioni amministrative e penali. Lo scheduling avviene, in inghilterra e Galles, ad opera del Secretary of State for the Department for Culture, media and Sport (D.C.M.S.) (98) e, in Scozia e irlanda del nord, rispettivamente dallo Scottish Government e dalla Welsh Assembly. (95) v. s1 (3) Ancient monuments and Archaeological Areas Act 1979. (96) il Segretario di Stato, periodicamente, predispone una serie di criteri in base ai quali viene valutato il ricorso allo scheduling (es. rarità, stato di conservazione, fragilità, rappresentatività e rilevanza del bene). v. s61 (7) Ancient monuments and Archaeological Areas Act 1979. (97) in inghilterra lo scheduled monument consent è rilasciato dal D.C.M.S. (98) Le domande di scheduling o descheduling di un monumento sono gestite dalla Historic Buildings and monuments Commission for England, che ha il compito di effettuare un’attenta valutazione delle caratteristiche dell’edificio (o del sito), nonché di procedere all’eventuale raccomandazione al D.C.M.S. LeGiSLAzione eD AttuALità La designazione non può essere effettuata in relazione ad un ecclesiastical building in uso ecclesiastico o ad un edificio in uso come abitazione, a meno che la persona che vi abita non sia impiegata come custode del sito (99). il listing, invece, è un procedimento di catalogazione che riguarda edifici riconosciuti e protetti in ragione del loro speciale interesse storico, culturale, artistico o architettonico (c.d. listed buildings) (100). Attualmente il numero complessivo di questi ultimi, in inghilterra, secondo Historic Buildings and monuments Commission for England è di circa 500.000 unità (101), di cui il 56,8% è rappresentato dalle dimore storiche ad uso residenziale (102). Si considerano listed buildigs tutti gli edifici inseriti nelle specifiche statutory lists tenute dalla Historic Buildings and monuments Commission for England in inghilterra (103), dalla Historic Environment Scotland in Scozia, da Cadw in Galles, e dalla Historic Environment Division del Department for Communities nell’irlanda del nord. in particolare, i listed buildings inglesi, così come i scheduled buildings, vengono scelti dal Secretary of State for the Department for Culture, media and Sport, in base a specifici criteri descritti dalla English Heritage. L’inserimento di suddetti edifici nella National Heritage List for England può avvenire sia d’ufficio che dietro apposita richiesta del proprietario, delle autorità locali, ma anche di associazioni private. La presentazione dell’apposita istanza d’iscrizione al D.C.M.S. determina l’apertura di un complesso procedimento (c.d. spotlisting), la cui durata è di circa sei mesi. in tale lasso temporale l’English Heritage svolge tutte le indagini ed i sopralluoghi necessari, i cui risultati sono sintetizzati in un apposito report, obbligatorio ma non vincolante, che dev’essere consegnato al D.C.M.S. in inghilterra e Galles, gli edifici sono classificati in base a gradi di valore: -Grado i, rappresenta il massimo grado d’interesse e ricomprende gli edifici di “exceptional interest”; -Grado ii*, ricomprende gli edifici particolarmente importanti “more than special interest”; -Grado ii, costituito da edifici di particolare interesse (104). Secondo Historic Buildings and monuments Commission for England solo il 2,5% dei listed buildings è di grado i, mentre il 5,8% degli stessi è di grado ii* ed il restante 91,7% di grado ii. (99) v. https://historicengland.org.uk/advice/hpg/has/scheduledmonuments. (100) Sul punto, cfr. Supreme Court, Dill vs Secretary of State for Housing, Communities and Local Government and another, 2020. (101) v. https://historicengland.org.uk/listing/what-is-designation/listed-buildings. (102) Secondo una recente ricerca effettuata da maintain our Heritage il numero complessivo delle dimore storiche ad uso residenziale, catalogate come listed buildings, si aggirerebbe intorno alle 284.000 unità. (103) L’elenco tenuto dalla Historic Buildings and monuments Commission for England è denominato “National Heritage List for England”. (104) il Grado iii è stato abolito nel 1970. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 in Scozia l’attuale base legislativa per il procedimento di listing è il Town and Country Planning (Scotland) Act del 1997. Lo schema di classificazione dei listed buildings non si declina in gradi, ma in categorie, redatte in funzione del periodo storico, del tipo e dello stile dell’edificio. Lo schema di classificazione è il seguente: -Categoria A (massima), costituita da “buildings of special architectural or historical interest which are outstanding examples of a particular period, style or building type”. -Categoria B, ricomprende “buildings of special architectural or historic interest which are major examples of a particular period, style or building type”. -Categoria C, include i “buildings of special architectural or historic interest which are representative examples of a period, style or building type” (105). in irlanda del nord, invece, il sistema di catalogazione si basa sull’elenco previsto dalla Section 80 of the Planning Act (N.I.) del 2011 (106). L’elenco è redatto in funzione del diverso interesse storico, artistico o architettonico rivestito dall’edificio, che ne comporta l’inserimento in uno dei seguenti gradi di listed buildings (107): -Grado A (massimo), include gli edifici di rilevana nazionale dell’irlanda del nord; -Grado B+, comprende edifici di alta qualità che presentano caratteristiche eccezionali superiori a quelle presentate dagli immobili classificati nel grado B1, ma non sufficienti per configurarli come edifici di classe A, atteso il loro “incomplete design, lower quality additions or alterations” (108); -Grado B1, costituito dagli edifici, aventi rilevanza locale, qualificabili quali buoni esempi di un particolare periodo o di un determinato stile (“a degree of alteration or imperfection of design may be acceptable”); -Grado B2, costituito da edifici speciali di rilevanza locale che soddisfano i requisiti minimi per l’attribuzione della qualifica di listed building previsti dalla Historic Environment Division del Department for Communities nell’Irlanda del Nord. orbene, a prescindere dal sistema di catalogazione utilizzato, un listed buldings non può essere demolito (109), ampliato o modificato in assenza del “Listed Building Consent” (110) della local planning authority (autorità locale di pianificazione) ovvero, in alcune specifiche ipotesi, dell’agenzia governativa centrale competente (in particolare per modifiche significative agli edifici più importanti) (111). i lavori di manutenzione dell’immobile che non influen (105) v. Town and Country Planning (Scotland) Act 1997. (106) Secondo il Department for Communities in irlanda del nord sono presenti circa 8.900 listed buildings. (107) v. Planning Policy Statement 6 Planning, Archaeology and the Built Heritage, D.o.E. NI, 2011. (108) v. Planning Policy Statement, op. cit. (109) nei casi in cui il Listed Building Consent è richiesto per demolire l’edificio storico protetto, ai fini di una riqualificazione dell’area interessata, il richiedente dovrà contestualmente richiedere un planning permission all’autorità locale per la nuova costruzione. (110) Cfr. PeLLizzAri, Il ruolo dei privati e la tutela del patrimonio culturale nell'ordinamento giuridico inglese: un modello esportabile?, in Aedon 1/2010. (111) invero, qualora i listed buildings risultano qualificabili come ecclesiastical building in uso di culto, in relazione agli stessi non trova applicazione la disciplina di controllo sopraindicata (Listed LeGiSLAzione eD AttuALità 147 zano il suo peculiare carattere storico, artistico o architettonico, tuttavia, sono esenti dalla predetta autorizzazione (112). nei casi in cui il privato non richiede l’autorizzazione non solo si espone ad una possibile (rectius probabile) richiesta, ove possibile, di remissione in pristino dello stato dei luoghi da parte dell’Amministrazione, bensì anche alle sanzioni penali previste in specie dalla normativa vigente. Allorquando la domanda di “Listed Building Consent” è respinta, ovvero sottoposta a condizione, dall’autorità di pianificazione locale, l’interessato può ricorrere all’autorità governativa centrale (in inghilterra il D.C.M.S.). il proprietario del listed building deve mantenere il proprio immobile in uno stato di ragionevole conservazione (113). Se un’autorità locale ritiene che un listed building non è adeguatamente conservato, può emettere nei confronti del proprietario un “repairs Notice” (Avviso di riparazione) ai sensi della Sezione 48 del Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990 (114). tale avviso deve specificare le opere che l’Amministrazione ritiene ragionevolmente necessarie per la corretta conservazione dell’edificio e deve contenere al proprio interno l’avvertimento di un eventuale Compulsory Purchase order nell’ipotesi di inottemperanza dello stesso (115). Qualora, entro due mesi, l’interessato non ottempera al provvedimento dell’autorità locale, quest’ultima emette un provvedimento di esproprio (Compulsory Purchase order) -in funzione del quale è previsto un indennizzo particolarmente modesto (minimum compensation) -che dev’essere presentato all’autorità governativa per la conferma. in inghilterra l’autorità governativa competente è il D.C.M.S, che provvede alla conferma del provvedimento dell’autorità locale al ricorrere di tre condizioni: il privato non deve aver adottato delle misure ragionevoli per preservare l’edificio, dev’essere opportuno preservare l’immobile e deve sussistere la necessità del suo acquisto per garantirne la conservazione. i proprietari di listed buildings possono, in alcuni casi, ottenere sovvenzioni o prestiti per realizzare le opere di conservazione sui propri immobili. i finanziamenti sono per lo più erogati dalla Historic Buildings and monuments Commission for England e dalle autorità locali, che, attraverso il loro Building Consent e, se del caso, planning permission) nelle ipotesi in cui l’organizzazione religiosa pertinente applica la propria procedura di autorizzazione equivalente. (112) Si pensi ai lavori di ordinaria manutenzione (es. aggiunta punto luce; sostituzione sanitari o lavabi; installazione zanzariere; riparazione grondaie…). (113) v. art. 47 Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990. (114) Avverso il repairs Notice non è prevista la possibilità di ricorrere in giudizio. (115) nello specificare suddette opere l’Amministrazione non ha l’obbligo di prendere in considerazione i mezzi finanziari del proprietario. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 operato, garantiscono la sostenibilità dei lavori di conservazione da parte dei proprietari di listed buildings. un peculiare sistema di finanziamento del patrimonio storico culturale britannico è rappresentato dall’Heritage Lottery Funding: un meccanismo che impegna circa 375 milioni di sterline da investire, ogni anno, in progetti sul patrimonio (116). L’Heritage Lottery Fund è gestito dal National Heritage memorial Fund, a cui è affidata la responsabilità di distribuire una quota del denaro raccolto attraverso la lotteria nazionale alle Good Causes collegate al patrimonio in tutto il regno unito (ivi compresi i progetti di conservazione e ristrutturazione di listed building) (117). 2.6. La tassazione immobiliare e le misure fiscali di sostegno ai proprietari di listed buildings. il sistema di tassazione degli immobili inglesi è profondamente difforme da quello francese, e più in generale da quelli di civil law. L’imposizione diretta sugli immobili britannici, riguardante anche i listed buildings, è riconducibile, in inghilterra, Galles e Scozia, alla Council tax; di converso, in irlanda del nord continua ad operare un sistema di tassazione locale degli stessi (c.d. domestic rate). La Council tax, introdotta dal Local Government Finance Act del 1992, non si configura come un’imposta patrimoniale, bensì quale tassa unica, imposta dal Borough (Comune) che amministra il territorio sui cui sorge l’immobile, per la fornitura dei servizi offerti da quest’ultimo alla comunità locale. La tassa, essendo legata alla fruizione di servizi, è a carico di chi utilizza la proprietà. Pertanto, nelle ipotese di lease (v. supra par. 2.4) è dovuta dal leaseholder e non dal freeholder. Ai sensi del Local Government Finance Act del 1992, il tributo dev’essere calcolato progressivamente sulla base del valore dell’immobile, tenuto conto del fabbisogno comunale per l’espletamento dei servizi locali (118). in taluni casi peculiari, tuttavia, sono previste delle ipotesi di esenzione, nonché di riduzione del tributo, anche discrezionali da parte dalle singole autorità locali (119). in particolare, a mero titolo esemplificativo, si precisa che sono esenti dall’ambito applicativo di suddetta tassa gli immobili occupati da leaseholder e freeholder con età inferiore o uguale a 18 anni, nonché gli edifici abitati da ministri di culto; mentre specifiche riduzioni sono accordate nelle ipotesi di occupazione dell’immobile da parte di un solo adulto (riduzione del (116) Dal 1994 i giocatori della lotteria nazionale hanno consentito di raccogliere circa 34 miliardi di sterline per progetti sul patrimonio storico-artistico in tutto il regno unito. (117) Per un approfondimento, v. https://www.heritagefund.org.uk/. (118) i coniugi e i conviventi sono condebitori del tributo. (119) A discrezione dell’ente locale si possono ottenere sconti (fino al 50%) per le seconde abitazioni, occupate o vuote (cfr. The Council Tax reduction Schemes (England) regulations del 2012). LeGiSLAzione eD AttuALità 25% della tassa), ovvero di persone disabili (attribuzione di una fascia inferiore a quella prevista ex lege). La tassa presenta degli scaglioni progressivi (120), costruiti in Scozia e in inghilterra utilizzando i prezzi di mercato riscontrati nell’Aprile 1991, mentre in Galles i prezzi di mercato rivalutati dell’Aprile 2003 (121). il governo centrale fissa il valore minimo e quello massimo di ciascun scaglione e l’ente locale l’ammontare d’imposta per ciascuna “fascia di valore” (c.d. council tax band). La Council tax varia in base al tipo di abitazione, alla zona in cui l’edificio è ubicato, nonché al numero di persone che occupano l’immobile. in irlanda del nord, al posto della Council tax, trova applicazione una “domestic rate” sulla proprietà immobiliare, destinata alla gestione dei sevizi locali e calcolata sul valore di mercato degli immobili (122). L’aliquota della tassa è data dalla somma di due componenti: la District rate, fissata annualmente dai singoli consigli ed utilizzata per pagare servizi come la raccolta, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti, la pulizia delle strade, dei parchi, nonché i community services (123); la regional rate, fissata dal governo centrale ed utilizzata per pagare servizi come istruzione e sanità (124). Specifiche agevolazioni sono previste in relazione ad immobili ad uso residenziale di proprietà d’individui a basso reddito, disabili e ultrasettantenni. inoltre, qualora l’immobile non è occupato, ammobiliato e neanche utilizzato come deposito, i proprietari possono essere esentati dal pagamento della tassa in oggetto. Ciò posto, è necessario precisare che, ad oggi, le autorità locali non hanno previsto specifiche ipotesi di esenzione o riduzione di entrambe le tasse sopraindicate per i proprietari di listed buildings; di talché, affinché questi ultimi possano ritenersi esenti dal pagamento di tali tributi dovranno necessariamente ricorrere le ordinarie ipotesi di esenzione e riduzione ut supra. Al contrario, specifiche misure fiscali di sostegno ai predetti proprietari sono state introdotte in relazione all’imposizione fiscale immobiliare indiretta. in particolare, mentre in relazione alla Capital gains tax (imposta sulle plusvalenze) trovano applicazione le comuni ipotesi di esenzione previste dalla legge in tema di vendita dell’abitazione principale, nonché di roll-over relief (120) in inghilterra gli scaglioni sono otto ed indicati da lettere (da “A” ad “H”). (121) Cfr. Entrate Tributarie Internazionali, report Gennaio -Settembre 2018, Ministero del- l’economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, Direzione Studi e ricerche economico Fiscali, ufficio iii, Bollettino 117, nov. 2018, p. 22 (122) il Land and Property Services è l’autorità responsabile del calcolo del valore della proprietà. Per le “non-domestic properties”, come aziende e uffici, la tassa è calcolata sul valore locativo delle proprietà. (123) tale componente rappresenta il 44% dell’imposta della domestic rate. (124) v. https://www.belfastcity.gov.uk/council/rates/whatarerates.aspx. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 (125), occorre rilevare, in riferimento alla Inheritance tax (tassa sulle successioni) (126), che i proprietari di taluni listed buildings possono beneficiare di precipui vantaggi fiscali. L’Inheritance tax è un tributo proporzionale (127) dovuto dagli eredi del de cuius sulle proprietà loro trasferite a seguito del decesso di quest’ultimo. non è previsto il pagamento di suddetta imposta nelle ipotesi in cui il valore delle proprietà del de cuius è inferiore a 325.000 sterline e, nei casi in cui il valore risulti superiore a tale soglia, allorquando l’eccedenza è lasciata a favore del coniuge, del partner unito civilmente, di un ente di beneficenza ovvero di una società sportiva dilettantistica (128). invero, si precisa che alcuni beni, a determinate condizioni, non formano oggetto di Inheritance tax. tra questi si riscontrano i “Buildings of outstanding historic or architectural interest” e gli “objects historically associated with an outstanding building”, a patto che il nuovo proprietario si impegni a garantirne un accesso ragionevole al pubblico, nonché ad assumere adeguate misure per la loro manutenzione, conservazione e riparazione. Di talché, è evidente, in assenza di una specifica disposizione legislativa sul punto, la possibilità di ricondurre taluni listed buildings alla prima categoria d’immobili (esente) sopraindicata, quantomeno in relazione agli edifici protetti classificati di i o ii*. La valutazione dell’outstanding historic or architectural interest rappresenta infatti una questione di giudizio, che consente agevolmente la riconduzione dei listed building di rilevanza nazionale, nonché dei scheduled monument, all’interno di tale ambito d’esenzione in ragione delle loro peculiari caratteristiche (v. supra par. 2.5). L’esenzione condizionale in oggetto trova applicazione anche in relazione alla successiva cessione della proprietà a causa di morte del destinatario, ovvero relativamente ad ogni ulteriore trasferimento o donazione dell’immobile di eccezionale interesse storico o architettonico, fintanto che il nuovo proprietario stipuli nuovi impegni di conservazione dell’edificio e di accesso al pubblico. in relazione alla Inheritance tax può trovare applicazione l’Acceptance in Lieu (129), un istituto di diritto tributario britannico che consente la cancellazione (totale o parziale) dell’imposta sulle successioni in cambio dell’acquisizione da parte di soggetti pubblici di opere di rilevanza nazionale. (125) Sul punto, tuttavia, occorre precisare che qualora l’immobile è oggetto di una private treaty sales tra un museo (ovvero un ente avente quale finalità la salvaguardia del patrimonio culturale inglese) ed un privato, sovente, in favore di quest’ultimo sono previsti notevoli vantaggi finanziari e fiscali (v. ss 25, 32, 230 Inheritance Tax Act del 1984). (126) tassa introdotta nel regno unito il 18 marzo 1986 con il Finance Act 1986 in sostituzione della Capital Transfer Tax. (127) L’aliquota dell'Inheritance tax standard è del 40%. (128) Qualora il de cuius lascia la propria casa ai figli (anche adottati) o ai nipoti la soglia sale a 500.000 sterline. (129) v. Parte ii, National Heritage Act del 1980. LeGiSLAzione eD AttuALità Al contribuente è riconosciuto il valore di mercato del bene assegnato alle istituzioni pubbliche del regno unito -inclusi musei, gallerie, archivi e biblioteche -in luogo dell’imposta dovuta. in tal modo, l’interessato è in grado di ottenere un valore maggiore per il bene “donato” rispetto a quello che lo stesso avrebbe potuto ottenere offrendolo all’asta al fine di raccogliere fondi per estinguere il proprio debito con l’erario (130). Attraverso il meccanismo dell’Acceptance in Lieu, tuttavia, il contribuente non ottiene soltanto una riduzione dell’importo dell’imposta dovuta, bensì anche l’incomputabilità del valore del bene ai fini del calcolo dell’imponibile, conseguendo di fatto un duplice vantaggio fiscale. Suddetto meccanismo, gestito dall’Art Council England, necessita del- l’approvazione, in inghilterra, del Secretary of State for Culture, media and Sport ovvero dei ministri competenti nei governi di Scozia, Galles e irlanda del nord (ove applicabile). Sebbene alcune offerte presentino condizioni o un desiderio di assegnazione, l’Amministrazione cerca di garantire che le opere acquisite tramite lo schema dell’Acceptance in Lieu siano distribuite in modo equo e ragionevole in tutto il regno unito. ordunque, da quanto analizzato, emerge chiaramente l’intento del legislatore britannico di incentivare meccanismi “pubblici” di finanziamento e sovvenzione delle opere di conservazione dei listed buldings (comprese le dimore storiche di proprietà privata) a discapito delle misure fiscali a sostegno delle predette. A differenza di altri ordinamenti, infatti, quello anglosassone presenta una politica di sostegno ai proprietari d’immobili storici “protetti” fortemente orientata ad una tutela diretta di tipo economico, piuttosto che ad una tutela indiretta di tipo fiscale basata su detrazioni e deduzioni. 3. Il sistema italiano di protezione, conservazione e tassazione delle dimore storiche di proprietà privata. 3.1. La tutela del patrimonio culturale privato. Le dimore storiche di proprietà privata tra vincoli e obblighi conservativi. il D.lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio), nel dare attuazione all’art. 9 della Carta Costituzionale, riafferma con forza l’obbligo dello Stato di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale -inteso in modo unitario, senza distinzioni di sorta -per preservare la “memoria della comunità nazionale e del suo territorio”, nonché per promuovere lo sviluppo della cultura. Le dimore storiche (rectius gli immobili d’interesse storico e artistico) devono essere ricomprese nel più ampio genus dei beni rientranti nel patrimo (130) il valore degli oggetti “donati” tramite il meccanismo dell’Aceptance in Lieu è limitato a 30 milioni di sterline. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 nio culturale costituzionalmente tutelato. La protezione e la conservazione di queste ultime, tuttavia, non è sempre (e solo) a carico dello Stato, atteso che sovente le stesse risultano di proprietà di soggetti privati chiamati a “garantirne la conservazione” (art. 30 D.Lgs. n. 42/2004). L’idea di una tutela statale esclusiva dei beni culturali, invalsa per lungo tempo all’interno del nostro paese, deve lasciare il posto ad un’idea nuova di protezione degli stessi, che vede la partecipazione attiva dei soggetti privati alle opere di manutenzione, conservazione e restauro di detti beni. una partecipazione che, però, dev’essere incentivata sempre più dal legislatore. L’attuale quadro normativo relativo ai beni culturali privati, prevede a carico dei proprietari, dei possessori e dei detentori di detti beni non solo obblighi peculiari di tutela e conservazione, scaturenti dalla dichiarazione d’interesse culturale di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 42/2004, bensì anche la necessità della preventiva autorizzazione statale ai fini della realizzazione di opere di demolizione, modifica e restauro sugli stessi (art. 21). Ai fini del riconoscimento dell’interesse culturale del bene -e conseguentemente dell’applicazione delle prescrizioni ut supra -il D.Lgs. n. 42/2004 prevede due distinte procedure: la prima relativa alle ipotesi in cui la res risulta di proprietà di regioni, province, comuni, altri enti pubblici, nonché di persone giuridiche private senza scopi di lucro (c.d. procedura di verifica dell’interesse culturale) (131); la seconda riguardante i beni culturali privati (132) (c.d. dichiarazione d’interesse culturale) (133). La procedura di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 42/2004 prevede che i beni mobili e immobili appartenenti ad enti pubblici e a persone giuridiche private senza scopo di lucro debbano essere sottoposte ad uno specifico “procedimento di verifica”, volto ad accertare la sussistenza dell’interesse culturale, in due ipotesi peculiari: 1. quando il bene oggetto di verifica risale ad oltre settanta anni; 2. quando la res è stata realizzata ad opera di un autore non più vivente. L’interesse culturale dev’essere riscontrato dai competenti organi ministeriali -d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono -sulla base degli indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero per garantirne l’uniformità della valutazione. in attesa dell’esito della verifica, in relazione a tali beni trova applicazione (ex lege), seppur provvisoriamente, la disciplina relativa alla tutela dei beni d’interesse culturale di cui alla Parte ii del D.Lgs. n. 42/2004. (131) v. artt. 10 co. 1, e 12 D.Lgs. 42/2004. (132) v. art. 13 D.Lgs. n. 42/2004. (133) Cfr. CASini, Il «nuovo» codice dei beni culturali e del paesaggio, in Giornale Dir. Amm., 2006, 10, p. 1067. LeGiSLAzione eD AttuALità Di converso, la dichiarazione dell’interesse culturale, sancita dall’art. 13 D.Lgs. n. 42/2004, consiste in una procedura volta a riconoscere la rilevanza storico-culturale di un determinato bene mobile o immobile privato (134). Quest’ultima è effettuata dal soprintendente, anche su motivata richiesta della regione, nonché “di ogni altro ente territoriale interessato”, il quale è chiamato a comunicare al proprietario, al possessore ovvero al detentore della res l’avvio del procedimento. La comunicazione, contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della res risultanti dalle prime indagini, nonché l’indicazione del termine, comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni, nelle ipotesi in cui il procedimento ha ad oggetto unità immobiliari, dev’essere inviata anche al comune e alla città metropolitana ove è ubicato il fabbricato. Al termine del procedimento la dichiarazione dell’interesse culturale è adottata dal Ministero e successivamente notificata al proprietario, al possessore o comunque al detentore del bene interessato (135). Qualora la dichiarazione insiste su di un bene immobile il provvedimento è trascritto, su richiesta del soprintendente, presso la conservatoria dei registri immobiliari. L’annotazione ha lo scopo di far valere il vincolo sul fabbricato con riferimento a qualsiasi futuro proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile (136). L’apposizione del vincolo comporta l’impossibilità per i proprietari privati dei beni culturali di demolirli, modificarli, ovvero adibirli ad usi non compatibili con il loro carattere storico-artistico senza l’autorizzazione del Ministero ovvero del soprintendente territorialmente competente. La realizzazione di qualsivoglia tipologia d’intervento sui beni culturali è sempre subordinata, ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. n. 42/2004, al preventivo rilasio dell’apposita autorizzazione statale (137). A tal proposito, occorre sottolineare come, allo stato, non sussiste alcuna soglia di rilevanza di detti interventi, atteso che la disposizione in oggetto si riferisce ad “opere ed interventi di qualunque genere”. tale formulazione consente di cogliere immediatamente la differenza con il “regime abilitativo” (134) il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse culturale, secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza, è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, comportando l'applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche proprie di peculiari settori scientifici, caratterizzati da ampi margini di opinabilità (ex multis Cons. Stato, Sez. vi, 14 ottobre 2015, n. 4747; 15 giugno 2015, n. 2903; 2 marzo 2015, n. 1000). Per un maggiore approfondimento sul tema, cfr. SABAto, La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in Giornale Dir. Amm., 2017, 1, p. 116. (135) La notifica avviene tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento. (136) La trascrizione si applica anche in relazione ai beni mobili registrati. (137) in relazione al procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia, v. art. 22 D.Lgs. n. 42/2004. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 (138) degli interventi da eseguirsi su beni interessati dai c.d. vincoli paesaggistici, per i quali, invece, il combinato disposto dell’art. 149 del D.Lgs. n. 42/2004 e dell’art. 2 del d.P.r. n. 31/2017 individua diversi interventi non soggetti ad alcuna autorizzazione. in relazione ai soli immobili vincolati è bene precisare che, di regola, l’autorizzazione occorrente per la realizzazione delle opere di manutenzione, conservazione e restauro è concessa dal soprintendente e non dal Ministero, atteso che l’autorizzazione di quest’ultimo risulta necessaria in specie unicamente nelle ipotesi di demolizione, anche con successiva ricostituzione, del bene vincolato (139). Solo nei casi di assoluta urgenza possono essere effettuati gli interventi provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato, seppur previa “immediata” comunicazione alla soprintendenza, cui devono essere comunque tempestivamente inviati i progetti degli interventi definitivi per la necessaria autorizzazione. i proprietari privati di dimore storiche, in ragione del vincolo scaturente dalla dichiarazione ex art. 13 D.Lgs. n. 42/2004, sono quindi chiamati a far fronte a tutte le spese di manutenzione necessarie per preservare la conservazione del loro immobile storico (art. 30, co. 3, D.Lgs. n. 42/2004), nonché a richiedere a tal fine l’autorizzazione di cui all’art. 21 D.Lgs. n. 42/2004. L’apposizione del vincolo, invero, consente a questi ultimi di beneficiare del sistema speciale di tassazione, nonché delle misure fiscali ed economiche di cui si dirà nei paragrafi successivi. Ma vieppiù. numerosi risultano essere, infatti, i proprietari di immobili sottoposti “indirettamente” a vincolo. il Codice dei beni culturali prevede la facoltà in capo al Ministero per i beni e le attività culturali di prevedere, nel rispetto dei criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità (140), specifiche limitazioni per i proprietari di immobili ubicati nelle vicinanze dei beni vincolati, volte ad evitarne la messa in pericolo dell’integrità strutturale, il danneggiamento della prospettiva o della luce, ovvero l’alterazione delle condizioni di ambiente e decoro (141). La ratio sottesa alla previsione legislativa consiste nell’evitare che i comportamenti del proprietario possano ledere irrimediabilmente un immobile meritevole di tutela costituzionale. (138) Così Di Leo, Attività edilizia su immobili interessati da vincolo di interesse culturale, in Diritto & diritti, 23 gennaio 2019. (139) v. art. 21, co. 4, D.Lgs. n. 42/2004. (140) Cfr. Cons. Stato, Sez. vi, 28 dicembre 2017, n. 6142; t.A.r. Puglia, Lecce, Sez. i, 24 marzo 2020, n. 347; t.A.r. Campania, napoli, Sez. viii, 24 aprile 2009, n. 2161. (141) Cfr. BeLLin, Gli immobili vincolati: aspetti fiscali e catastali, in Immobili e proprietà, 2018, 7, p. 446. LeGiSLAzione eD AttuALità La contiguità rispetto al bene vincolato non dev’essere intesa unicamente in senso fisico, né richiede una continuità stilistica o estetica fra le aree interessate, bensì può essere posta anche a tutela della “continuità c.d. storica fra il monumento e i fabbricati circostanti” (142). Le prescrizioni in oggetto, dunque, possono interessare anche immobili non situati nelle immediate vicinanze del bene culturale tutelato, purché ad esso accomunati dall’appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale (143). Queste ultime, inoltre, devono essere recepite dagli enti pubblici territoriali interessati nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici (144). i proprietari di immobili indirettamente vincolati, a differenza dei proprietari di dimore storiche sottoposte a vincolo diretto (rectius beni culturali), non solo sono chiamati a rispettare tali prescrizioni, ma non possono beneficiare neanche delle agevolazioni fiscali ed economiche predisposte dall’ordinamento ai fini della conservazione e della valorizzazione dei propri immobili (145). 3.2. Il sistema di tassazione italiano delle dimore storiche vincolate di proprietà privata. il legislatore italiano si è interessato per la prima volta in modo specifico al peculiare tema della tassazione dei beni immobili di interesse storico, artistico e architettonico -e più in generale della trattazione unitaria delle agevolazioni fiscali legate ai beni culturali -con la legge 2 agosto 1982, n. 512 (146). in particolare, con l’art. 1, introduceva l’ancora vigente art. 5-bis del D.P.r. 29 settembre 1973, n. 601, che esclude dalla formazione del reddito delle persone fisiche, nonché da quello delle persone giuridiche, ai fini delle relative imposte, “i redditi catastali degli immobili totalmente adibiti a sedi, aperte al pubblico, ai musei, biblioteche, archivi, cineteche, emeroteche statali, di privati, di enti pubblici, di istituzioni e fondazioni, quando al possessore non derivi alcun reddito dalla utilizzazione dell'immobile”, nonché “i redditi catastali dei terreni, parchi e giardini che siano aperti al pubblico o la cui conservazione sia riconosciuta dal ministero per i beni culturali e ambientali di pubblico interesse” (cc.dd. immobili con destinazione ad usi culturali) (147). Precipue norme fiscali agevolative erano altresì introdotte in relazione (142) Così t.A.r. Puglia, Bari, Sez. iii, 8 febbraio 2007, n. 370. (143) Cfr. t.A.r. emilia-romagna, Parma, Sez. i, 14 gennaio 2010, n. 18 (144) v. art. 45, co. 2, D.Lgs. n. 42/2004. (145) Cfr. Cass. 24 gennaio 2018, n. 1695. (146) Prima di tale data non è possibile riscontrare alcun intervento normativo unitario relativo al tema in oggetto. (147) La fruizione dell’agevolazione fiscale in oggetto, non è subordinata alla classificazione catastale del bene, ma piuttosto al suo utilizzo per fini culturali (cfr. Comm. trib. regionale Sardegna, Sez. i, 4 marzo 2014). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 all’imposta di registro per il trasferimento di immobili di interesse storico, artistico o architettonico e all’imposta di successione, nonché alle donazioni di beni culturali (148). Pochi anni dopo l’entrata in vigore di suddetta legge, il legislatore interveniva nuovamente in materia con l’art. 11, co. 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, prevedendo, ai fini i.r.P.e.F. e i.r.e.S., la determinazione del reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, “in ogni caso”, mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale era collocato il fabbricato. tale disposizione trovava applicazione sia nelle ipotesi in cui l’immobile non risultava locato, che nei casi di locazione a terzi dello stesso, comportando una rilevante agevolazione fiscale per i proprietari di dimore storiche locate, in quanto il loro fabbricato era tassato unicamente in funzione della rendita catastale e non dell’importo maggiore tra canone di locazione e rendita catastale rivalutata. i proprietari di immobili di interesse storico, artistico o archeologico locati, dunque, attraverso questo meccanismo, realizzavano un ingente risparmio di spesa, non vedendo tassato il proprio reddito derivante dalla locazione immobiliare. A tal proposito, tuttavia, occorre precisare che l’art. 11, co. 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 è risultato al centro di un fervente dibattito dottrinale e giurisprudenziale (149). La tesi erariale, appoggiata dalla dottrina minoritaria, prevedeva un’interpretazione restrittiva della norma, riconoscendo il regime agevolato in riferimento alle sole ipotesi in cui l’immobile non risultasse locato. viceversa, la dottrina maggioritaria, affermava l’applicazione del predetto regime a tutti gli immobili storici, compresi quelli concessi in locazione (150). La Suprema Corte, intervenendo sulla questione, pochi anni dopo la sua entrata in vigore, statuiva che la disposizione in esame rappresentava «l’esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione del reddito imponibile rispetto agli immobili di interesse storico artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe di estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore» (151), riconoscendo, de facto, il regime agevolativo sopraindicato anche per le dimore storiche locate (152). (148) v. artt. 4-8, della legge 2 agosto 1982, n. 512. (149) Cfr. LuneLLi, Attualità e prospettive nel trattamento tributario dei beni storici tutelati, in Fisco, 2013, 5 - parte 1, p. 654. (150) Cfr. CoStAnzo, Fisco e cultura: la tassazione degli immobili di interesse storico artistico e l’intervento dei privati a sostegno del patrimonio culturale, in rassegna dell’Avvocatura dello Stato, n. 4/2015, p. 274. (151) Cass., 18 marzo 1999, n. 2442. (152) Sulla base di suddetta sentenza anche l’erario mutava il proprio orientamento riconoscendo l’agevolazione in questione dapprima in relazione a tutti gli immobili storici, purché ad uso abitativo LeGiSLAzione eD AttuALità il regime “speciale” delineato dall’art. 11, co. 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 è stato altresì oggetto della questione di legittimità costituzionale promossa con ordinanza dell’11 novembre 2002 dalla Commissione tributaria Provinciale di torino (153). La Consulta, dopo un’attenta analisi degli obblighi conservativi gravanti sui proprietari di immobili storici vincolati, derivanti dalla tutela costituzionale accordata agli stessi dall’art. 9, co. 2 della Carta Costituzionale, dichiarava infondata la questione di legittimità costituzionale, affermando che «nessun dubbio può sussistere sulla legittimità della concessione di un beneficio fiscale relativo agli immobili di interesse storico o artistico, apparendo tale scelta tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni» (154). il regime di imposizione diretta delle dimore storiche di proprietà privata veniva successivamente riformulato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (c.d. “Decreto semplificazioni”), convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012 n. 44, che abrogava il previgente art. 11, co. 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (co. 5-quater), prevedendo una nuova modalità di tassazione dei redditi derivanti dal possesso di immobili di interesse storico o artistico vincolati (v. artt. 37, 90 e 144 t.u.i.r.) (155). Siffatto regime, ad oggi vigente, prevede, ai fini i.r.P.e.F., per i soli proprietari di immobili storici vincolati locati (156), la deduzione forfettaria dal reddito imponibile, determinato in misura pari al canone di locazione, del 35% di quest’ultimo anziché del 5% (art. 37, co. 4-bis, t.u.i.r.) (157); mentre, ai fini i.r.e.S., per le società, gli enti commerciali e gli enti non commerciali proprietari d’immobili storici non locati, non qualificabili quali beni strumentali per l’esercizio dell’attività d’impresa, la riduzione del reddito medio ordinario delle unità immobiliari del 50% (158) nonché la disapplicazione della maggiorazione di cui all’art. 41 del (cfr. Circolare 9/e del 14 marzo 2005), e successivamente a tutti i fabbricati, inclusi quelli ad uso diverso da quello abitativo (cfr. Circolare 2/e del 17 gennaio 2006). (153) L’ordinanza è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale della repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2003. (154) Cfr. Corte Cost. 28 novembre 2003, n. 346. (155) Cfr. zAnni, Il nuovo regime fiscale degli immobili di interesse storico artistico, in Il Fisco, 2012, 27, p. 4225. (156) il Codice dei beni culturali prevede che i locatori di unità immobiliari di interesse storico o artistico vincolati inviino, entro 30 giorni, alla Soprintendenza del luogo ove l’edificio è situato la denuncia del contratto di affitto (art. 59, D.Lgs. n. 42/2004). (157) Sul punto, occorre precisare che nelle ipotesi in cui il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5%, sia superiore al reddito medio ordinario, determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale per ciascuna categoria e classe, ovvero, per i fabbricati a destinazione speciale o particolare, mediante stima diretta, il reddito si determina in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione (v. art. 37, co. 4-bis, t.u.i.r.). (158) Cfr. FrAnCo, Gli investimenti in cultura: l’attuale normativa fiscale e le principali proble rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 t.u.i.r. (159), e, per gli edifici da essi locati, l’applicazione del medesimo vantaggio fiscale previsto per le persone fisiche (artt. 90, co. 1, e 144, co. 1, t.u.i.r.) (160). i proprietari (persone fisiche) di dimore storiche non locate, di converso, sono tenuti unicamente al pagamento dell’i.M.u., la quale sostituisce, oltre che la previgente i.C.i., anche l’i.r.P.e.F. e le relative addizionali sui redditi fondiari degli immobili non locati (art. 8 D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23) (161). La nuova disciplina del 2012 ha quindi eliminato il previgente criterio della rendita figurativa (162), ridimensionando, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, i benefici accordati ai proprietari di dimore storiche dal regime “speciale” delineato dall’art. 11, co. 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (163). Anche il nuovo regime fiscale, così come il precedente, è stato sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale. nello specifico, la Commissione tributaria Provinciale di novara con ordinanza del 1° dicembre 2015 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 8/2016, i serie speciale), sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 5-quater e 5-sexies del D.L. 16/2012, poi convertito, con modificazioni, nella legge n. 44/2012, in relazione agli artt. 3, 9, co. 2, e 53 della Carta Costituzionale. La Consulta, tuttavia, affermando che lo speciale regime fiscale agevolativo in essere per gli immobili storici o artistici era giustificabile «in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione» (164), dichiarava “nuovamente” infondata la questione (165). matiche, in AA.vv., L’intervento dei privati nella cultura -Profili economici, fiscali e amministrativi, cit., pp. 127 ss. (159) La locazione di un immobile abitativo storico-artistico, tuttavia, non esclude per il locatore la possibilità di optare per il regime facoltativo della “cedolare secca”, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’i.r.P.e.F. e delle addizionali, calcolata mediante l’applicazione di un’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti (art. 3 D.Lgs. 23/2011). (160) Si precisa che, nel caso in cui gli immobili vincolati risultino locati in regime di canone concordato, in aggiunta alla sopraindicata riduzione del 35% l’impresa può usufruire anche dell’ulteriore abbattimento del 30% sancito dall’art. 8 della legge n. 431/1998 (v. risposta all’interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-08349 presentata dal deputato Lo Monte martedì 30 ottobre 2012, seduta n. 711). (161) La proprietà di immobili non locati situati nello stesso Comune dell’abitazione principale determina l’obbligo di dichiarare un reddito ai fini i.r.P.e.F. pari al 50% della rendita catastale rivalutata del 5% aumentato di un terzo (art. 1, co. 717, D.L. n. 147/13). L’aggiornamento della rendita catastale degli immobili storici vincolati è effettuato mediante l’applicazione del minore tra i coefficienti previsti per i fabbricati (art. 190, co. 3, t.u.i.r.). (162) Cfr. risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 31 dicembre 2012, n. 114/e. (163) Cfr. CoStAnzo, Fisco e cultura: la tassazione degli immobili di interesse storico artistico e l’intervento dei privati a sostegno del patrimonio culturale, cit., p. 274. (164) Corte Cost. 4 aprile 2018, n. 72. LeGiSLAzione eD AttuALità Ciò posto, occorre rilevare che l’attuale sistema di tassazione diretta delle dimore storiche di proprietà privata vincolate -ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 -non si esaurisce con il pagamento dell’i.r.P.e.F. e del- l’i.r.e.S., atteso che i proprietari delle predette risultano altresì soggetti, al ricorrere di specifici presupposti, a due tributi locali: la nuova i.M.u. e la t.A.r.i. Prima dell’introduzione della nuova i.M.u. ad opera della legge di bilancio 2020 (art. 1, co. 738-783, legge 27 dicembre 2019, n. 160), il sistema dei tributi locali dovuti dai proprietari di unità immobiliari, ivi comprese le dimore storiche vincolate, risultava tripartito (i.M.u.; t.A.S.i.; t.A.r.i.). L’i.M.u. (imposta municipale unica), il cui presupposto d’imposta consisteva nel possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, non era dovuta per l’abitazione principale, salvo che si trattasse di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (166). Gli immobili storici e artistici vincolati, rientrando sovente all’interno delle categorie catastali sopraindicate -in particolare nella A/9 (“Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici”) (167) -non consentivano ai loro proprietari di beneficiare dell’agevolazione ut supra (168). Ciononostante, a questi ultimi, era riconosciuto un abbattimento della base imponibile del 50% ai sensi dell’art. 13, co. 3, lett. a), del D.L. n. 201/2011 (169). in tema di riduzione dell’i.M.u., inoltre, il legislatore prevedeva, a specifiche condizioni (170), una riduzione del 50% dell’imposta sull’abitazione concessa in comodato gratuito ad un parente di primo grado (v. art. 1, co. 10, legge n. 208/2015). tale agevolazione, non applicabile in relazione alle unità immobiliari classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, da quanto (165) il regime agevolativo introdotto per i beni immobili vincolati è stato più volte oggetto delle pronunce della Corte Costituzionale (ex multis Corte Cost. 28 novembre 2003, n. 346; 20 aprile 2016, n. 111; 4 aprile 2018, n. 72). Sul punto, cfr. CAPoLuPo, Legittima la reformatio in peius delle agevolazioni fiscali: il caso dei beni di interesse storico, in Fisco, 2019, 14, p. 1354. (166) v. art. 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201. (167) Ad ogni immobile vincolato di interesse culturale è attribuita una delle categorie previste nel quadro di qualificazione della zona censuaria di riferimento sulla base delle proprie caratteristiche intrinseche ed in funzione della propria destinazione d’uso. non può stabilirsi, dunque, una correlazione tra il riconoscimento di immobile vincolato ed una specifica categoria catastale (cfr. Circolare del 9 ottobre 2012 n. 5 - Agenzia del territorio - Direzione Centrale Catasto e cartografia). (168) erano soggetti passivi del tributo: il proprietario; l’usufruttuario; l’enfiteuta e il titolare del diritto di superficie; il titolare del diritto d’uso e di abitazione; il locatario finanziario; il concessionario di aree demaniali; l’amministratore per conto di tutti i condomini per i beni comuni censibili condominiali. (169) La base imponibile era uguale alla rendita catastale rivalutata del 5% e moltiplicata per il coefficiente specifico per ogni tipologia immobiliare. (170) La riduzione del 50% dell’imposta poteva essere ottenuta solo a condizione che il contratto di comodato gratuito venisse stipulato tra genitori e figli, ovvero tra parenti in linea retta entro il primo grado, e risultasse regolarmente registrato. inoltre, il comodante doveva possedere una sola abitazione in italia ed ivi risiedere anagraficamente, nonché avere la propria dimora abituale nello stesso comune in cui era situato l’immobile concesso in comodato. L’agevolazione continuava ad applicarsi, in caso di morte del comodatario, al coniuge di quest’ultimo, ma solo in presenza di figli minori. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 emergeva dalla Circolare M.e.F. n. 1/DF del 17 febbraio 2016, era cumulabile con quella per gli immobili storici di cui sopra (171). viceversa, l’amministrazione finanziaria affermava il divieto di cumulo in relazione all’agevolazione prevista per gli immobili vincolati dichiarati inagibili. Anche per la t.A.S.i. (tributo per i servizi indivisibili) (172), il cui presupposto impositivo consisteva nel possesso o nella detenzione, a qualsiasi titolo, di fabbricati e di aree edificabili, ad eccezione, in ogni caso, dei terreni agricoli e dell’abitazione principale, come definiti ai sensi dell’art. 13, co. 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (173), era prevista l’applicazione dell’abbattimento della base imponibile del 50%, dal momento che, ai sensi dell’art. 1, co. 675, della legge n. 147/2013, la sua base imponibile era la medesima dell’i.M.u. (174). Analogamente a quanto esaminato ai fini del pagamento della previgente i.M.u. da parte dei proprietari di dimore storiche vincolate, anche per la t.A.S.i. trovavano applicazione le agevolazioni, nonché le ipotesi di cumulo sopraindicate (175). La nuova i.M.u., invece, riunisce in un’unica imposta le previgenti i.M.u. e t.A.S.i. e presenta quale presupposto d’imposta unicamente il “possesso d’immobili” (176). Sulla scorta della previgente disciplina dei tributi pocanzi analizzati, il pagamento della nuova imposta è escluso in riferimento all’abitazione principale o assimilata, eccettuati i casi in cui si tratti di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9 (177). Per abitazione principale s’intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore (171) il cumulo consentiva un’ulteriore riduzione d’imposta. L’i.M.u. era calcolata, infatti, unicamente sul 25% della base imponibile. (172) Ex multis AuLentA, Tax expenditures negli enti territoriali, in rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, fasc. 4, 2015, p. 554. (173) Sulle differenze intercorrenti tra i.M.u. e t.A.S.i. cfr. Comm. trib. reg. Lombardia, sez. v, 15 marzo 2019, n. 1234. (174) Cfr. Circolare M.e.F. 1/DF del 17 febbraio 2016. (175) Cfr. vADeMeCuM A.D.S.i. -Aspetti normativi, fiscali e gestionali degli immobili storici, delle aziende agricole e del loro passaggio generazionale, a cura di tereSA PeruSini, in www.associazionedimorestoricheitaliane. it/normative, pp. 10 ss. (176) i soggetti passivi dell’imposta in oggetto a norma dell’art. 1, co. 743, legge 27 dicembre 2019, n. 160, sono i possessori di immobili, intendendosi per tali il proprietario ovvero il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi. Per gli immobili, anche da costruire ovvero in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, il soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto. in presenza di più soggetti passivi con riferimento ad un medesimo immobile, ognuno è titolare di un’autonoma obbligazione tributaria. nell’applicazione dell’imposta si tiene conto degli elementi soggettivi ed oggettivi riferiti ad ogni singola quota di possesso, anche nei casi di applicazione delle esenzioni o delle agevolazioni. (177) Sono esenti dall’imposta i proprietari degli immobili di cui all’art. 1, co. 758 e 759, legge 27 dicembre 2019, n. 160. LeGiSLAzione eD AttuALità e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente (178). Le pertinenze all’abitazione principale seguono lo stesso trattamento dell’immobile (179). L’aliquota di base per l’abitazione principale classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 -categorie all’interno delle quali sovente sono ricondotte le dimore storiche private vincolate -e per le relative pertinenze è pari allo 0,5%. tuttavia, il Comune, con deliberazione del consiglio comunale, può aumentarla dello 0,1% ovvero diminuirla fino all’azzeramento (180). Dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, 200 euro rapportati al periodo dell’anno durante il quale si protrae detta destinazione. Se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi “proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica” (art. 1, co. 749, legge 27 dicembre 2019, n. 160). Qualora l’immobile risulta d’interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche se rientrante nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9, trova comunque applicazione la previgente riduzione della base imponibile del 50% (art. 1, co. 747, lett. a, legge 27 dicembre 2019, n. 160). un immobile, ai fini dell’ottenimento della sopraindicata agevolazione, deve essere direttamente di interesse storico e culturale e non può acquisire tale caratteristica per via indiretta (181). La ratio sottesa al beneficio consiste infatti nel “contemperare l'entità del tributo con le ingenti spese che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili vincolati” (182); di talché l’agevolazione non può che trovare applicazione esclusivamente in relazione agli edifici sottoposti a vincolo diretto. inoltre, come previsto anche dalla disciplina previgente, la base imponibile è altresì ridotta del 50%, a specifiche condizioni, nelle ipotesi in cui l’abitazione è concessa in comodato gratuito ad un parente in linea retta entro il primo grado che la utilizza come abitazione principale, nonché allorquando il fabbricato è dichiarato inagibile o inabitabile e di fatto non utilizzato (183). Le due agevolazioni, tuttavia, non risultano cumulabili. La t.A.r.i., al contrario delle previgenti i.M.u. e t.A.S.i., non è stata (178) v. art. 1, co. 741, legge 27 dicembre 2019, n. 160. (179) Sul punto, si precisa che risultano agevolabili al massimo tre pertinenze, nella misura di una sola pertinenza per categoria (C/2, C/6 e C/7). (180) Per il calcolo della base imponibile dell’imposta relativa agli immobili rientranti nelle altre categorie catastali v. art. 1, co. 745, legge 27 dicembre 2019, n. 160. (181) v. supra par. 3.1. (182) Cfr. Cass. 24 gennaio 2018, n. 1695. (183) v. art. 1, co. 747, lett. b e c, legge 27 dicembre 2019, n. 160. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 abolita dalla legge di bilancio 2020, e rappresenta il tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, dovuto da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo unità immobiliari o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi (art. 1, co. 641, legge n. 147/2013). Al suo pagamento, pertanto, sono tenuti anche i proprietari di dimore storiche, i loro inquilini ovvero coloro che a qualunque titolo le detengono (184). tuttavia, in caso di detenzione breve dell’immobile di durata non superiore a sei mesi, la tassa non è dovuta dall’utilizzatore, ma resta esclusivamente a carico del proprietario, del titolare dell’usufrutto, dell’uso, dell’abitazione o del diritto di superficie (185). La t.A.r.i., consta di una quota fissa, che si calcola moltiplicando i metri quadrati dell’unità immobiliare per il numero di persone che la occupano, ed una quota variabile, stabilita con delibera comunale in base alla quantità di rifiuti prodotti in via presuntiva dagli occupanti (186). orbene, occorre osservare che, allo stato, in relazione al tributo in esame non esistono norme agevolative nazionali a favore dei proprietari di dimore storiche vincolate. A livello locale, invero, taluni comuni prevedono peculiari agevolazioni in relazione agli immobili storici vincolati (si pensi, ad esempio, al Comune di Lucca, il quale prevede che “la superficie delle abitazioni comprese in fabbricati vincolati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 e successive modifiche, è calcolata nella misura del 30%, limitatamente alla quota di superficie che eccede i 400 metri quadrati e fino a 600 metri quadrati, rimanendo non imponibile la superficie eccedente”) (187). esaurita la trattazione della tassazione diretta delle dimore storiche vincolate, è necessario procedere all’analisi delle peculiarità relative alla tassazione indiretta delle stesse. in relazione all’imposta di registro, dovuta, in specie, nelle ipotesi di cessione (188) del bene immobile vincolato a persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, l’art. 10 del D.Lgs. 23/2011, modificando la previgente disciplina applicabile al caso di (184) Sono escluse dalla t.A.r.i. le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili non operative e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. (185) in caso di pluralità di utilizzatori, questi ultimi sono tenuti in solido all'adempimento del- l’obbligazione tributaria. (186) Sui criteri di determinazione della superficie catastale ai fini t.A.r.i. cfr. interpello all’Agenzia delle entrate n. 306/2019, rubricato “Interpello art. 11, comma a), Legge n. 212/2000. Criteri di determinazione della superficie catastale di un immobile, ai fini del calcolo del Tributo Tari”, disponibile sul sito https://www.agenziaentrate.gov.it/. (187) v. art. 19, co. 1, lett. o), del regolamento per l’applicazione della tariffa corrispettiva per il servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati del Comune di Lucca. (188) Con il termine “cessione” si fa riferimento in specie a tutti gli atti a titolo oneroso, che trasferiscono la proprietà di fabbricati e trasferiscono o costituiscono diritti reali immobiliari di godimento. LeGiSLAzione eD AttuALità specie (189), prevede l’applicazione, a partire dal 1° gennaio 2014, di un’aliquota del 9% sul valore del fabbricato (art. 43 t.u.r.) (190). L’imposta ipotecaria e l’imposta catastale, addebitabili in funzione di suddetti atti di trasferimento immobiliare, ai sensi dell’art. 26 del D.L. 12 settembre 2013, n. 104, sono dovute nella misura fissa di 50,00 euro ciascuna. Di talché, è bene evidenziare che, rispetto alla normativa fiscale previgente prevista in tema di cessione d’immobili vincolati diversi dall’abitazione principale, l’attuale sistema di tassazione dei predetti non è caratterizzato da peculiari agevolazioni fiscali (191). Al contrario, in tema di imposte sulle successioni e sulle donazioni, il sistema di tassazione degli immobili vincolati, trasferiti mortis causa ovvero inter vivos, risulta caratterizzato da rilevanti agevolazioni fiscali in favore, rispettivamente, degli eredi, dei legatari, nonché dei donatari. Suddette imposte indirette sono dovute in misura differente a seconda che l’immobile risulti o meno già vincolato all’atto del trasferimento. in merito all’imposta di successione, le disposizioni cui far riferimento in relazione alla tassazione degli immobili vincolati presenti nell’asse ereditario sono gli artt. 12, 13 e 25 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (c.d. t.u.S.D.). in base al combinato disposto degli artt. 12 e 13 del t.u.S.D. sono esclusi dall’attivo ereditario, ai fini dell’imposta in oggetto, i beni già sottoposti a vincolo al momento dell’apertura della successione, a condizione che: 1) siano stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione previsti dalla legge; 2) l’erede o il legatario abbia presentato l’inventario dei beni culturali che ritiene non debbano essere compresi nell’attivo ereditario, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e del turismo, il quale deve attestare per ogni singolo bene la sussistenza del vincolo, nonché l’assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione (192); 3) nel quinquennio successivo all’apertura della successione, l’erede o il legatario non alieni in tutto o in parte suddetti beni, non muti, senza autorizzazione da parte delle autorità competenti, la destinazione degli immobili vin( 189) il sistema previgente prevedeva l’applicazione di un’aliquota ridotta al 3% nelle ipotesi di trasferimento di immobili di interesse storico, artistico e architettonico di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089 (v. previgente art. 1, nota ii, della tariffa, allegata al D.P.r. 26 aprile 1986, n. 131). (190) L’imposta, però, non può comunque risultare inferiore a 1.000,00 euro. (191) il trattamento fiscale degli immobili vincolati, invero, risulta il medesimo di quelli non vincolati. (192) Avverso il rifiuto dell’attestazione è possibile esperire ricorso gerarchico al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo, il quale decide sentito il Consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 colati, ovvero non provveda all’assolvimento degli obblighi prescritti dalla legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato. Qualora nell’attivo ereditario sono compresi immobili non ancora sottoposti a vincolo, pur presentando le caratteristiche di cui all’art. 10 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l’imposta dovuta dall’erede o dal legatario è ridotta del 50% (art. 25 t.u.S.D.), seppur alle medesime condizioni di cui sopra. in relazione agli atti di donazione, invece, trova applicazione l’art. 59, co. 1, lett. b), t.u.S.D., secondo cui gli immobili già sottoposti a vincolo al momento del trasferimento sono soggetti all’imposta “nella misura fissa prevista per l’imposta di registro” (a partire dal 1° gennaio 2014 pari a 200,00 euro), a condizione che sia presentata all’ufficio del registro l’attestazione di cui al sopracitato art. 13, co. 2, t.u.S.D. 3.3. Protezione e conservazione degli immobili storici sottoposti a vincolo: quali misure a sostegno dei proprietari privati? La realizzazione di opere di conservazione e valorizzazione su immobili storici vincolati può risultare estremamente dispendiosa per i proprietari degli stessi. A favore di questi ultimi, tuttavia, il legislatore prevede peculiari misure fiscali ed economiche, in grado di garantire le attività di manutenzione, protezione e restauro cui ex lege sono obbligati. Dal punto di vista fiscale, accanto alle agevolazioni analizzate nel paragrafo precedente, il legislatore prevede, ai fini i.r.P.e.F., la possibilità, per suddetti proprietari, di effettuare una detrazione pari al 19% delle spese relative alla manutenzione, alla protezione ed al restauro dei beni vincolati nella misura effettivamente rimasta a loro carico (193). Detrazione che può essere effettuata dal proprietario dell'immobile vincolato per l'intero importo, qualora il suo reddito complessivo non ecceda i 120.000 euro (194). il diritto di detrazione in oggetto sorge come contrappeso all’obbligo di conservazione dei beni vincolati gravante sui “proprietari privati, possessori o detentori” degli stessi ai sensi dell’art. 30, co. 3, D.Lgs. 42/2004 (195). La detrazione non incide sulla base imponibile, bensì direttamente sull’imposta, consentendo un risparmio quantitativo identico per tutti i contribuenti, anche se in proporzione più elevato per i contribuenti con redditi medio-bassi (196). (193) v. art. 15, co. 1, lett. g, t.u.i.r. (194) v. art. 15, co. 3 bis tuir, come modificato dall’art. 1, co. 629, legge 27 dicembre 2019, n. 160. (195) Sul punto, l’Amministrazione finanziaria con risoluzione Ade n. 10/e/2009 ha chiarito che anche il contratto di comodato può costituire un titolo astrattamente idoneo a qualificare il comodatario quale soggetto obbligato a porre in essere gli interventi conservativi di cui all’art. 30, co. 3, D.Lgs. n. 42/2004. (196) Così FrAnCo, Gli investimenti in cultura: l’attuale normativa fiscale e le principali problematiche, in AA.vv., L’intervento dei privati nella cultura -Profili economici, fiscali e amministrativi, cit., p. 113. LeGiSLAzione eD AttuALità il diritto alla detrazione viene meno nelle ipotesi in cui il proprietario del- l’immobile vincolato ne ha mutato la destinazione in assenza della preventiva autorizzazione statale (197), nonché nei casi in cui non ha assolto agli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato (198). Le spese sostenute, se non obbligatorie per legge, devono risultare “necessarie” da apposita certificazione, rilasciata dalla competente Soprintendenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, previo accertamento della loro congruità (199). tale certificazione, prevista dall’art. 15, co. 1, lett. g, t.u.i.r., è oggi sostituita da un’apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (200) relativa alle spese effettivamente sostenute per lo svolgimento degli interventi e delle attività cui i benefici si riferiscono (art. 40, co. 9, D.L. n. 201/2011), che unitamente alla documentazione delle stesse (es. copia fatture, computo metrico, planimetrie, eventuali autorizzazioni), nonché alla fotocopia del documento d’identità, dev’essere presentata alla Soprintendenza per gli opportuni controlli. i lavori da eseguirsi sul bene immobile oggetto di tutela, ai fini del godimento dell’agevolazione fiscale in oggetto, devono risultare preventivamente autorizzati, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 42/2004, dalla competente Soprintendenza. in assenza di tale autorizzazione gli interventi debbono considerarsi illeciti e non consentono alcuna detrazione, anzi comportano a carico del proprietario rilevanti sanzioni amministrative e penali. L’Amministrazione finanziaria con Circolare Ade n. 3/e/2016 ha chiarito che la detrazione fiscale ut supra è cumulabile con quella sancita dall’art. 16-bis t.u.i.r. prevista per gli interventi di recupero del patrimonio abitativo esistente. in tal caso, però, la detrazione in esame è ridotta del 50% (art. 16bis, co. 6, t.u.i.r.); sicché le spese sostenute per i lavori di manutenzione, protezione e restauro agli immobili vincolati potranno essere detratte solo per il 9,5%. La riduzione riguarda unicamente la parte di spesa per la quale si usufruisce contemporaneamente anche della detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio. Ciò consente, pertanto, la detrazione per le spese di ristrutturazione eccedenti il limite previsto dall’art. 16-bis t.u.i.r. nella misura del 19%. in tema di misure fiscali a sostegno dei proprietari di dimore storiche vincolate, occorre precisare, inoltre, che non trova applicazione in specie il c.d. Art bonus (201), consistente nel riconoscimento di un credito d’imposta (202) (197) v. supra par. 3.1. (198) v. art. 60, D.Lgs. n. 42/2004. (199) L’accertamento della congruità delle spese avviene d'intesa con il competente ufficio del territorio del Ministero dell’economia e delle finanze. (200) v. art. 47 del D P. r. 445/2000. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 a favore di coloro che effettuano erogazioni liberali per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali, atteso che tale peculiare agevolazione è riconosciuta unicamente in relazione ai lavori effettuati su beni pubblici (203). Al contrario, trova applicazione in relazione agli immobili vincolati il c.d. Superbonus 110%, introdotto dall’art. 119 del D.L. 34/2020 (c.d. Decreto rilancio), convertito con modificazioni dalla legge n. 77/2020, che consente al proprietario dell’edificio di fruire della detrazione del 110% delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, per specifici interventi di efficientamento energetico, antisismici, nonché di installazione di impianti fotovoltaici, autorizzati, a norma dell’art. 21 del D.Lgs. n. 42/2004, dalla competente Soprintendenza (204). La detrazione dev’essere ripartita in 5 quote annuali di pari importo, entro i limiti di capienza dell’imposta annua derivante dalla dichiarazione dei redditi. in alternativa alla fruizione diretta della detrazione in oggetto, il contribuente può optare per un contributo anticipato sotto forma di sconto ad opera dei fornitori dei beni o servizi (c.d. sconto in fattura) ovvero per la cessione del credito corrispondente alla detrazione (205). La cessione può essere disposta a favore: dei fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi; di istituti di credito e intermediari finanziari; di altri soggetti (es. persone fisiche esercenti attività di lavoro autonomo) (206). (201) L’Art bonus è stato introdotto con la legge n. 83/2014 ed è stato reso permanente dalla legge di stabilità 2016. (202) il credito d’imposta è riconosciuto nella misura del 65% per le erogazioni liberali per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici nei limiti, per le persone fisiche ed enti non commerciali, del 15% del reddito imponibile dichiarato; mentre, per le imprese, società ed enti commerciali, del 5 per mille dei ricavi dichiarati. il credito d’imposta è fruibile in tre quote annuali di pari importo (cfr. CAMiLLoCCi, Art bonus, sponsorizzazioni e forme di partenariato per la cultura e lo spettacolo, in Fisco, 2019, 9, 824). (203) Per un maggiore approfondimento sul tema in oggetto cfr. MArCHetti, Dimore storiche private: alcune brevi riflessioni su possibili misure volte al recupero del patrimonio storico-immobiliare, in CorDeiro GuerrA, PACe, verriGni, viotto (a cura di), Finanza pubblica e misure tributarie per il patrimonio culturale. Prime riflessioni, torino 2019. (204) Parimenti, può trovare applicazione a favore dei proprietari di immobili storici anche il c.d. Bonus facciate (art. 1, co. 219 -223 della legge 27 dicembre 2019, n. 160), consistente in una detrazione d’imposta del 90% per interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici di qualsiasi categoria catastale, compresi gli immobili strumentali. tuttavia, tale agevolazione fiscale non è cumulabile con la detrazione spettante ai proprietari di dimore storiche vincolate ai sensi dell’art. 15, co. 1, lett. g) t.u.i.r. (cfr. Circolare Ade n. 2/e del 14 febbraio 2020). Ciò posto, si precisa che il c.d. superbonus 110% ed il c.d. Bonus facciate, a differenza dell’agevolazione introdotta dall’art. 15, co. 1, lett. g) t.u.i.r., non rappresentano misure fiscali strutturali, in quanto risultano temporalmente limitate. (205) Sul punto, si precisa che i soggetti a cui è ceduto il credito possono, a loro volta, cedere lo stesso. (206) Per un approfondimento, v. https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/superbonus-110%25. LeGiSLAzione eD AttuALità nonostante la conclamata convenienza della misura fiscale, è bene precisare che inizialmente la stessa non poteva essere utilizzata dai proprietari di immobili appartenenti alle categorie catastali A/1 (abitazioni di lusso), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi storici e artistici), i quali rappresentano la maggioranza dei proprietari di dimore storiche private vincolate (207). Solo con il D.L. 14 agosto 2020, n. 104, è stata prevista la possibilità per i proprietari di fabbricati “aperti al pubblico” rientranti nella categoria catastale A/9 di usufruire dell’agevolazione in oggetto. Ad oggi, pertanto, seppur legittimamente utilizzabile ad opera dei proprietari privati di immobili storici, l’ambito applicativo del c.d. Superbonus 110%, ne rende estremamente difficoltoso l’utilizzo da parte dei predetti, atteso che restano esclusi dalla misura gli immobili “appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8, nonché alla categoria catastale A/9 per le unità immobiliari non aperte al pubblico” (art. 80, co. 6, D.L. 104/2020). Passando all’analisi delle misure economiche riconosciute ai proprietari privati di immobili vincolati è bene precisare che gli artt. 35 e 37 del D.Lgs. n. 42/2004 prevedono la possibilità per lo Stato di concorrere, almeno in parte, alle spese di restauro, recupero e valorizzazione di detti beni, erogando contributi in conto capitale ovvero in conto d’interessi sul mutuo contratto per la realizzazione dell’intervento (208). i proprietari di dimore storiche vincolate, ai fini dell’ottenimento dell’erogazione delle due tipologie di contributi sopraindicati, in sede di autorizzazione del progetto conservativo, presentato presso la Soprintendenza territorialmente competente (art. 21 D.Lgs. n. 42/2004), devono richiedere specificamente a quest’ultima l’ammissione ai contributi in oggetto. il soprintendente, pronunciandosi sull’ammissibilità dei contributi statali di cui agli artt. 35 e 37 del D.Lgs. n. 42/2004, si pronuncia anche sulla necessità dell’intervento conservativo ai fini della concessione delle agevolazioni tributarie previste dalla legge (209). i contributi in conto capitale consistono in contributi a fondo perduto in quota percentuale sull’importo ammissibile, calcolati sulla spesa effettiva rimasta a carico del proprietario, possessore o detentore dell’immobile vincolato (207) v. previgente art. 119, co. 15-bis, D.L. n. 34/2020, come modificato dalla legge n. 77/2020. (208) tali contributi, anche se tra loro cumulabili, devono essere richiesti distintamente, ciascuno secondo il proprio peculiare procedimento. L’erogazione degli stessi, inoltre, è stata sospesa nel periodo intercorrente dall’8 agosto 2012 al 31 dicembre 2018. Solo con la legge di bilancio 2018, il legislatore, decideva di ripristinare i contributi in esame, concedendo risorse, in relazione ai contributi in conto capitale di cui all’art. 35 D.Lgs. n. 42/2004, nel limite massimo di 10 milioni di euro per l’anno 2019 e 20 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, secondo modalità da definire con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. (209) v. art. 15, co. 1, lett. g), t.u.i.r. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 (rectius del bene culturale) che ha posto in essere l’intervento conservativo approvato dalla Soprintendenza. il Ministero, a norma dell’art. 35 del D.Lgs. n. 42/2004, ha facoltà di concorrere alla spesa sostenuta per un ammontare non superiore alla metà della stessa, ad eccezione delle ipotesi in cui l’intervento risulti di “particolare rilevanza” o venga realizzato su beni in uso o godimento pubblico. in tal caso, infatti, il contributo statale può concorrere alla spesa fino al suo intero ammontare. L’erogazione del contributo avviene a lavori ultimati e collaudati sulla spesa effettivamente sostenuta dal beneficiario. Sul punto, però, si precisa che i proprietari, i possessori, nonché i detentori di detti beni possono richiedere l’erogazione di acconti sulla base degli stati di avanzamento dei lavori regolarmente certificati (210). i contributi in conto interessi, invece, possono essere utilizzati dai proprietari, dai possessori ovvero dai detentori di beni culturali (in specie immobili storici e artistici vincolati) per far fronte agli interessi sui mutui o su altre forme di finanziamento accordati agli stessi dagli istituti di credito per la realizzazione degli interventi conservativi. Suddetti contributi sono concessi nella misura massima corrispondente agli interessi calcolati ad un tasso annuo di sei punti percentuali sul capitale erogato (211). tuttavia, qualora il prestito dovesse presentare un tasso variabile, il contributo è calcolato sviluppando il piano di ammortamento al tasso costante della prima rata. A differenza dei contributi in conto capitale, i contributi in conto interessi sono corrisposti direttamente dal Ministero all’istituto di credito secondo tempi e modalità stabilite in apposite convenzioni. una volta ottenuto uno dei contributi ut supra per la realizzazione di interventi conservativi, i beni culturali, oggetto di questi ultimi, devono essere resi accessibili al pubblico secondo le modalità stabilite, caso per caso, da appositi accordi o convenzioni fra il Ministero e i singoli proprietari (art. 38 D.Lgs. n. 42/2004) (212). tali convenzioni devono stabilire i limiti temporali dell’obbligo di apertura al pubblico, tenendo conto della tipologia degli interventi, del valore artistico e storico degli immobili e dei beni in essi esistenti. 4. Sistemi a confronto. Conclusioni. Comparando i tre sistemi di protezione, conservazione e tassazione delle (210) Qualora gli interventi non sono stati, in tutto o in parte, regolarmente eseguiti il beneficiario è tenuto alla restituzione degli acconti percepiti. (211) v. art. 37, co. 2, D.Lgs. n. 42/2004. (212) Gli accordi e le convenzioni aventi ad oggetto beni immobili qualificabili come “beni culturali” devono essere trasmessi, a cura del soprintendente, al comune e alla città metropolitana nel cui territorio si trovano gli stessi. LeGiSLAzione eD AttuALità dimore storiche di proprietà privata analizzati nei paragrafi precedenti, è evidente l’attenzione riservata dai diversi legislatori nazionali al peculiare tema della protezione dei beni immobili storici -vincolati, classès, listed -qualificabili quali beni culturali. ogni ordinamento, infatti, seppur con una diversa sensibilità, protegge i beni appartenenti al proprio patrimonio culturale a prescindere dalla titolarità pubblicistica o privatistica degli stessi. Ciò posto, occorre rilevare che, in relazione ai beni immobili privati vincolati, classès, listed, tutti e tre i sistemi esaminati intendono realizzare un modello di tutela basato sul connubio tra protezione e obblighi di conservazione dei privati, riconoscendo un ruolo sempre più attivo di questi ultimi nella tutela del patrimonio culturale nazionale. tutti gli ordinamenti, in particolare quello italiano, cercano di assicurare l’efficiente e tempestiva manutenzione dei beni immobili storici, riconoscendo peculiari obblighi di conservazione a carico dei loro proprietari; tuttavia, alcuni, più di altri, favoriscono l’adempimento di detti obblighi, riconoscendo efficaci misure sia fiscali che economiche a sostegno dei proprietari privati dei predetti. L’ordinamento francese, ad esempio, con la Loi monuments Historiques, la Loi malraux e la Loi Aillagon ha realizzato nel corso del tempo un efficiente sistema di tutele a favore dei proprietari di suddetti beni, in grado di controbilanciare la pressione fiscale generata dal sistema interno di tassazione sulla proprietà immobiliare (213). Di converso, seppur fortemente orientato alla tutela del patrimonio culturale privato, il sistema italiano prevede esigue misure fiscali di sostegno ai proprietari di dimore storiche vincolate, nonché ai cc.dd. mecenati privati delle stesse. tuttavia, è bene rilevare che quest’ultimo è l’unico, tra i tre esaminati, che, allo stato, prevede specifiche agevolazioni in tema di imposte dirette su beni immobili afferenti al patrimonio culturale privato (es. riduzione ai fini i.M.u. della base imponibile del 50%). il sistema inglese, invece, non solo non prevede peculiari agevolazioni in relazione alla Council tax dovuta per i listed buildings, ma presenta altresì un sistema di tutele in favore dei proprietari privati degli stessi perlopiù incentrato su misure economiche -piuttosto che fiscali -consistenti in sovvenzioni o prestiti per la realizzazione di opere di conservazione da eseguirsi su tali edifici (214). un aspetto che accumuna i tre sistemi è rappresentato dalla mancata previsione di agevolazioni fiscali ed economiche a favore di proprietari di immo (213) Sul punto, è bene precisare che la Francia e il regno unito nel 2018 presentavano entrate derivanti dalla tassazione sulla proprietà immobiliare più alte della media europea (2,6% del P.i.L.), rispettivamente del 4,7% e del 4,3% del P.i.L. (cfr. Cfr. Entrate Tributarie Internazionali, report Gennaio - Settembre 2018, Ministero dell’economia e delle Finanze, cit., p. 11) (214) Si pensi alla Heritage Lottery Fund (supra par. 2.5). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 bili storici “indirettamente” vincolati, i quali, in assenza di tutele, sono comunque chiamati a rispettare le specifiche prescrizioni dell’autorità amministrativa al fine di evitare un’eventuale lesione agli immobili meritevoli di tutela ad essi “contigui”. in conclusione, è possibile affermare, dunque, che l’analisi comparata dei sistemi ut supra non soltanto consente di cogliere le differenze intercorrenti tra gli stessi, bensì offre anche l’opportunità di riflettere, dal punto di vista prospettico, sulle eventuali misure da adottare per migliorare l’efficienza del- l’attuale sistema italiano di protezione, conservazione e tassazione delle dimore storiche di proprietà privata. LeGiSLAzione eD AttuALità il finanziamento al sedicente stato islamico attraverso l’utilizzo dei servizi informali per il trasferimento dei Valori Il caso “Hawala” ed il motivo della sua potenziale maggiore diffusione a seguito della sconfitta militare subita sul territorio dal Califfato Giuseppe Coccia* SommArIo: 1. Introduzione e quadro generale di riferimento -2. Importanza e ruolo di denaro contante e valori assimilabili in contesti non leciti nell’UE -3. I servizi informali di trasferimento valori: “Hawala” e similari -4. Una sentenza importante (Tribunale di Palermo, sentenza 22 marzo 2018, dep. 18 settembre 2018, n. 400, G.U.P. Ferro) -5. riflessioni sui principali vantaggi derivanti dell’utilizzo del sistema Hawala -6. L’uso di Hawala da parte dell’ISIS dopo la sconfitta militare -7. Brevi considerazioni finali -Bibliografia e Sitografia. 1. Introduzione e quadro generale di riferimento. il riciclaggio di denaro ed il finanziamento del terrorismo sono sfide rilevanti ed in evoluzione costante, tali fenomeni per essere opportunamente contrastati devono essere affrontati a livelli diversi; partendo da una prospettiva internazionale, passando per un’ottica in ambito regionale (unione europea, ad esempio) fino a giungere a soluzioni pragmatiche a livello di singolo Paese. un approccio in tale ottica è l’unico che può dare risultati davvero efficaci. i recenti attacchi terroristici e i ricorrenti scandali finanziari (vedi il caso Qatar) richiedono azioni vigorose e decise in questo settore. Ai nostri giorni, i flussi finanziari sono sempre più integrati e transfrontalieri per loro natura ed il denaro e gli altri valori equivalenti possono fluire rapidamente, in realtà sempre più spesso istantaneamente, da uno Stato all'altro consentendo alla criminalità organizzata ed ai fiancheggiatori del terrorismo di movimentare fondi in tutto il globo, abbattendo il rischio di essere individuati dalle Autorità preposte al contrasto di tali fenomeni. Quanto finora detto è valido ovviamente anche per lo Stato islamico e, secondo il pensiero dello scrivente, a maggior ragione in questo momento storico. L’organizzazione, infatti, a seguito della sconfitta militare sul territorio starebbe riorganizzandosi allo scopo di poter rispondere con un’azione con (*) ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza, esperto antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo. Costituisce il presente scritto l’elaborato finale dell’Autore al Master di II livello in Geopolitica e Sicurezza Globale - Università degli Studi di Roma La Sapienza (Edizione 2019 - 2020). un ringraziamento all’avv. Stato Maria vittoria Lumetti per l’invio dell’articolo alla rassegna (ndr). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 troffensiva in grado di colpire qualsiasi Paese. ovviamente tale azione non avverrà in campo aperto, con scontri diretti tra coalizione e miliziani, dove l’esito sarebbe già certo, ma secondo le classiche logiche dei fondamentalisti, ossia generando terrore nel mondo attraverso il ricorso ad attentati isolati ai danni di civili. è indubbio che per organizzare qualsiasi atto terroristico servano soldi, anche per il più semplice degli attentati è necessario un minimo di organizzazione e di tempo e in sostanza di denaro, che servirà per le più disparate attività logistiche, sia illecite che lecite (alloggi, spostamenti, noleggi, acquisti ecc). il finanziamento del terrorismo è un settore, da un punto di vista squisitamente operativo, non molto esplorato, atteso che solo di recente si è posta come fondamentale l’azione preventiva/repressiva rappresentata dal contrasto a tale fenomeno, visto inoltre che presenta pochi “poli esperienziali”, non solo da parte delle Forze di Polizia, ma anche da parte della Magistratura. Le indagini sinora condotte si erano orientate prevalentemente a definire l’appartenenza di un soggetto ad una determinata organizzazione terroristica (mutuando le tecniche investigative in uso per le associazioni di stampo mafioso), ovvero a prevenire il compimento di atti terroristici, senza dare particolare rilevanza all’aspetto inerente al finanziamento del fenomeno. ritenendo fondamentale presidiare tale settore operativo, sono state elaborate diverse analisi operative da parte delle diverse Amministrazioni preposte a presidio del sistema bancario e finanziario, rivolgendo l’attenzione investigativa nei confronti di soggetti -sia persone fisiche che persone giuridiche -a rischio di terrorismo, che hanno commesso violazioni alla normativa valutaria. Da quest’attività scaturiscono le riflessioni e le considerazioni che sono esposte di seguito. 2. L’importanza ed il ruolo del denaro contante e dei valori assimilabili in contesti non leciti nell’U.E. (1) Alcuni studi circa la valutazione del rischio hanno dimostrato che il denaro contante ed i valori ad esso assimilabili (oro, diamanti, etc.) rimangono il mezzo al quale si ricorre con maggiore frequenza per finalità di finanziamento del terrorismo, in quanto consentono agli attori di mantenere il massimo anonimato e di non essere facilmente identificabili. ecco perché l’analisi di tali aspetti è presente in quasi tutte le indagini in materia di Anti money Laundering e di Counter Financing Terrorism. nel quadro normativo impiantato dal succedersi delle varie direttive europee antiriciclaggio, valide per il tutto il territorio regionale dell’unione europea, ed attualmente incardinato sui con (1) Da relazione Commissione europea al Parlamento del 26 giugno 2017, non sono interessati i trasferimenti di denaro contante multifinalità in operazioni di aiuto umanitario con finanziamenti del- l'u.e. LeGiSLAzione eD AttuALità tenuti della recentissima v Direttiva (Direttiva u.e. 2018/843) che apporta fortunatamente dei bilanciamenti -novellando i Decreti Legislativi nr. 90 e 92 del 2017 -le operazioni in contanti e valori assimilabili non erano state adeguatamente sottoposte a controllo nel mercato interno a causa della mancanza di requisiti chiari ed univoci in termini di regolamentazione e verifiche. Gli Stati membri avevano quindi introdotto sistemi diversi per le segnalazioni delle operazioni in contanti sospette oppure limiti massimi diversificati sui pagamenti in contanti (ad esempio a Stati europei che avevano posto limiti relativamente bassi si contrapponevano Paesi che non avevano posto alcun limite al pagamento tramite denaro contante). è lampante che in assenza di requisiti totalmente comuni per tutti gli Stati membri, si possono sfruttare facilmente le differenze tra le diverse legislazioni. Analogamente il quadro normativo dell’u.e. per i controlli sui corrieri di denaro contante alle frontiere esterne dell'unione europea non garantisce adeguati livelli di attenzione, in particolare perché non tratta in modo esauriente prodotti assimilabili al denaro contante quali, ad esempio, i cc.dd. beni altamente “liquidi” -si pensi all'oro, ai diamanti o alle carte prepagate -che possono essere e rimanere completamente anonimi consentendo tuttavia un’elevata disponibilità di “fondo liquido” disponibile ed impiegabile molto rapidamente. ricordiamo ancora che i rischi derivanti dai commercianti di oggetti di valore elevato che accettano pagamenti in contanti per importi, in alcuni casi, pari o superiori a 15.000 euro sono considerati significativi a causa dell'esposizione a rischi intrinseci, nonché per lo scarso livello qualitativo/quantitativo di controlli. il fatto che tali operatori commerciali siano soggetti alle norme A.M.L./C.F.t. soltanto nella misura della nazionalità della controparte da cui accettano pagamenti in contanti di valore particolarmente elevato sembra possa portare all'inefficacia di tali norme. La sfida risulta essere persino più importante per quanto riguarda quelle attività economiche normalmente caratterizzate da elevato utilizzo di contante, le quali non sono strettamente soggette alle norme in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento al terrorismo a meno che non rientrino in particolari categorie caratterizzate da rischio particolarmente elevato. tali attività possono fungere da mezzo estremamente comodo per il riciclaggio di proventi in denaro contante derivanti da attività criminose e anche e soprattutto per i finanziatori del terrorismo, che non hanno tra l’altro il problema -tipico dei criminali -, di dover “ripulire” il denaro per poi reimpiegarlo, anzi in quest’ultimo caso spesso il denaro impiegato per sostenere il terrorismo è di natura originariamente lecita. La valutazione sottolinea altresì il fatto che anche i beni che offrono strumenti simili ai contanti (oro, diamanti ecc.) oppure quelli che denotano un determinato stile di vita e presentano un elevato valore, oltre ad essere facilmente rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 commercializzabili (ad esempio opere d'arte, automobili, gioielli, orologi) sono soggetti ad un rischio elevato, a causa dei controlli, purtroppo non sempre efficaci. Sono state, inoltre, espresse preoccupazioni specifiche riguardo al saccheggio e al traffico di antichità e di altri manufatti di particolare pregio; gli stessi possono servire utilmente come fonte per il finanziamento del terrorismo, in alternativa tali beni possono risultare interessanti quale metodologia per il riciclaggio di denaro proveniente da reato. tali somme potranno poi essere reinvestite in modo lecito per poter creare un circuito continuo di alimentazione delle casse dei soggetti vicini alle organizzazioni terroristiche. 3. I servizi informali di trasferimento valori: “Hawala” e similari. Giova, in via preliminare, per i discorsi che faremo in seguito, mettere bene a fuoco il funzionamento di Hawala e degli altri sistemi informali di pagamento. Accanto ai sistemi cc.dd. formali di trasferimento dei fondi, cioè a quelli che operano all’interno del sistema finanziario regolamentato, sussistono -da tempi anche remoti -dei sistemi “ufficiosi”, operanti totalmente al di fuori dal circuito ufficiale che consentono l’esecuzione di transazioni finanziarie caratterizzate da un elevato grado di opacità (2). tali sistemi informali di trasferimento fondi sono ritenuti possibili canali attraverso cui veicolare, anche a fini di riciclaggio/finanziamento del terrorismo, denaro “sporco” o meno; ad essi ci si riferisce anche come Alternative remittance Systems (sistemi alternativi di trasferimento fondi) (3), ma non di rado, per le dimensioni e le caratteristiche che vengono ad assumere in determinate realtà, essi sono altresì noti come Underground or Parallel Banking Systems (sistemi bancari sotterranei o paralleli). Gli Alternative remittance Systems, invero, si fondano su precisi fattori etnici, culturali e storici e, in alcuni casi, hanno origini remote che precedono di alcuni secoli lo sviluppo del sistema bancario occidentale. Spesso i sistemi informali di trasferimento di fondi hanno legami con le specifiche aree geografiche in cui si sono sviluppati, in relazione alle quali assumono differenti caratteristiche e denominazioni. Le forme più conosciute di tali sistemi informali sono per l’appunto Hawala, sviluppatosi in Asia meridionale e successivamente diffusosi in tutta l’area mediorientale; l’Hundi, in uso in india prima dell’avvento del sistema bancario convenzionale; il Fei-ch’ien, noto in Cina già alla fine del diciottesimo secolo; il mercato Nero del Peso, originario inizialmente in America latina e poi estesosi in tutto il continente americano (4). tali sistemi, da quanto emerge da altro studio dello scrivente in itinere (2) M. ConDeMi, F. De PASQuALe, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in Quaderni di ricerca giuridica, 2008, n. 60, pp. 187 ss. (3) An Analysis of the Hawala System, report n. 25803, Washington D.C., 2003. (4) ALeSSAnDro QuAttroCCHi, Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 2/2019. LeGiSLAzione eD AttuALità ed inerente l’analisi della prostituzione in strada o in appartamento quale “markers” della criminalità organizzata e delle interrelazioni tra le diverse mafie insistenti su un dato territorio, permettono alle prostitute -ma più spesso a chi le sfrutta -di trasferire, quasi senza rischi, il profitto del meretricio in qualsiasi angolo del mondo. in questo momento si riscontra, ad esempio, un incremento nell’uso del sistema per trasferire denaro verso il venezuela da parte delle prostitute, in numero sempre crescente in europa, originarie di quel Paese. nati dunque come fenomeni regionali, i meccanismi informali di trasferimento di fondi sono oggi presenti in ogni parte del mondo in virtù del loro utilizzo da parte delle comunità di immigrati, al fine di effettuare rimesse di denaro nei propri Paesi d’origine. La diffusione su larga scala dei sistemi informali sono, dunque, dovuti ad una molteplicità di ragioni, fra cui vanno annoverate - prime fra tutte - le seguenti: -rapidità con cui vengono movimentate le somme (tempi medi compresi tra 6 - 12 ore); -i costi particolarmente ridotti del servizio (all’incirca compresi tra il 2 ed il 5% delle somme movimentate); - la semplicità di funzionamento; -l’accessibilità anche in mancanza di un rapporto continuativo/regolamentato con l’intermediario; -la possibilità di raggiungere aree geografiche particolarmente remote in cui le banche tradizionali non operano ovvero dove sono presenti conflitti armati o situazioni di instabilità politica; -il totale anonimato delle transazioni, garantito dalla mancanza di obblighi di identificazione della clientela e di registrazione delle relative operazioni. tanto osservato in generale, il sistema di trasferimento di denaro basato sul “brokeraggio informale” e su relazioni non contrattuali Hawala, quanto al suo funzionamento pratico, prevede che il soggetto che intende trasferire una somma di denaro ad altro soggetto, di norma residente in un diverso Paese, contatta un broker intermediario (c.d. Hawaladar) e gli versa la somma da inviare; l’intermediario locale contatta quindi un suo omologo nel Paese ricevente, dandogli ordine di pagare al soggetto destinatario la somma indicata, trattenendo ovviamente una percentuale a titolo di commissione. La somma versata al destinatario verrà ripagata dal primo al secondo intermediario in un secondo momento, con tempi e mezzi variabili, secondo le circostanze (5). ti (5) ALeSSAnDro QuAttroCCHi, Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 2/2019. Cfr. G. oDDo, M. MAGnAni, r. SettiMo, S. zAPPA, Le rimesse dei lavoratori stranieri in Italia: una stima dei flussi invisibili del “canale informale”, in Questioni di Economia e Finanza, 2016, n. 332, p. 6. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 picamente, i due Hawaladar sono uniti in qualche forma di sodalizio e, più in generale, inseriti in una rete di mediatori e non essendoci tra gli stessi scambio di strumenti cambiari, le transazioni sono basate unicamente sulla fiducia e sull’onore. in aggiunta alle commissioni, i profitti dei mediatori si imperniano altresì sulla circostanza che gli stessi aggirano i tassi ufficiali di cambio. Generalmente poi i fondi entrano nel sistema di trasferimento Hawala con la valuta dello Stato di origine e lo lasciano nella valuta del Paese del destinatario sicché possono essere effettuati a tassi diversi dal cambio ufficiale. Per il fatto che nessuna somma è direttamente trasferita dal mittente al destinatario, il sistema è stato definito money Transfer Without money movement (6). Dato che i trasferimenti di fondi effettuati tramite il descritto canale sono, per le ragioni anzidette, del tutto informali essi si prestano a una facile elusione delle normative sulla tracciabilità dei flussi finanziari e statisticamente sono sempre più utilizzati per scopi criminali, in particolare per il riciclaggio di denaro ed il finanziamento di attività illecite, tra cui quelle terroristiche. Anche se inizialmente Hawala può svilupparsi come rete effettivamente destinata a soddisfare le esigenze di rimessa personali dei migranti, tale canale, costituendo un solido e costante corridoio di trasferimento di risorse economiche, si presta dunque facilmente ad essere infiltrato o acquisito dalle organizzazioni criminali/terroristiche, per essere dalle stesse gestito e utilizzato quale strumento di mobilizzazione finanziaria. il sistema Hawala (7) quindi, e gli altri servizi simili informali di trasferimento di valori, rappresentano una minaccia specifica, in particolare nel contesto del finanziamento del terrorismo, per i motivi appena esposti ed in particolare -a modesto parere dello scrivente per il caso specifico del finanziamento al terrorismo -per la mancanza della necessità di ripulire “dirty money” da reimmettere nel circuito dell’economia legale. Solitamente tutti gli operatori che prestano la propria attività quali intermediari nei servizi di pagamento, così come definiti all'articolo 4, paragrafo 3, della Direttiva Servizi di Pagamento (8) dovrebbero essere adeguatamente registrati e regolamentati. (6) Attraverso questo sistema viene trasferito il solo valore corrispondente al denaro, che esclusivamente a destinazione si tradurrà in contanti, a ciò alludendosi con l’espressione di uso comune secondo cui “Hawala can be used to send money without sending money”; cfr. j.F. WiLSon, Hawala and other informal payments systems: an economic perspective, in Address at the Seminar on Current Developments in monetary and Financial Law, 2002, p. 4. (7) i fornitori Hawala e altri fornitori di servizi simili si occupano del trasferimento e della ricezione di fondi o di valore equivalente e liquidano gli stessi tramite attività commerciali, denaro contante e compensazione netta nel corso di un lungo periodo di tempo. Ciò che li distingue da altri "trasmettitori di fondi" è il loro utilizzo di metodi di regolamento non bancari. (8) Direttiva (ue) 2015/2366 del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/Ce, 2009/110/Ce e 2013/36/ue e il regolamento (ue) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/Ce. LeGiSLAzione eD AttuALità tali fornitori dovrebbero quindi richiedere lo status di istituti di pagamento autorizzati oppure, nel rispetto di determinate condizioni, di istituti di pagamento registrati. Hawala e gli altri servizi informali di trasferimento di valori normalmente vengono qualificati come illegali in quanto non sono registrati e non soddisfano nessuno dei requisiti della Direttiva sui Servizi di Pagamento sopra indicata. Questo problema è aggravato dalla difficoltà di rilevare l'esistenza di detti servizi e spesso le operazioni finanziarie e di trasferimento dei valori sono raggruppate tra loro, compensate attraverso importazioni/esportazioni di beni e lasciano un flusso di informazioni a riguardo molto limitato, se non nullo. Si aggiunga a quanto detto che il processo di eliminazione dei rischi (derisking) può creare terreno fertile per i sistemi informali di pagamento in quanto i clienti respinti dai prestatori di servizi finanziari regolamentati potrebbero ricorrere ai servizi illegali di questo tipo. 4. Una sentenza importante (Tribunale di Palermo, sentenza 22 marzo 2018, dep. 18 settembre 2018, n. 400, G.U.P. Ferro). (9) Con la sentenza in titolo il Giudice dell’udienza preliminare di Palermo, decidendo nelle forme del rito abbreviato, un procedimento a carico di numerosi imputati, attinge in maniera innovativa e tendenzialmente inedita, allo strumentario del diritto penale dell’economia per arricchire le strategie di contrasto e le connesse risposte sanzionatorie al fenomeno dello “smuggling of migrants”. in particolare, applicando fattispecie incriminatrici poste a tutela della stabilità e del funzionamento del sistema finanziario, si colpisce il sistema informale di pagamento denominato Hawala, che le organizzazioni criminali, a modesto parere dello scrivente, operanti a livello internazionale utilizzano costantemente per trasferire le risorse finanziarie provento dei reati -o anche di provenienza lecita nel caso di finanziamento al terrorismo -al di fuori dei canali regolamentati e, quindi, del controllo statuale, rappresentato nel caso di specie dal prezzo pagato dai migranti per acquistare il viaggio dalle coste libiche a quelle italiane su natanti di fortuna. il presente lavoro, muovendo dalla fattispecie concreta e dalla soluzione interpretativa fatta propria dal giudice di prime cure ricostruisce, prima facie, i meccanismi operativi del sistema Hawala. L’organizzazione considerata, in definitiva, era in grado di trasferire, dietro lauto compenso, cittadini africani di diverse nazionalità dai Paesi d’origine verso le coste libiche; farli transitare, a bordo di natanti di fortuna, sulle coste italiane; far raggiungere ai migranti, frattanto allontanatisi dai centri di acco (9) ALeSSAnDro QuAttroCCHi, Diritto Penale Contemporaneo -Fascicolo del febbraio 2019 La rilevanza penale del sistema di pagamento “Hawala”. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 glienza, prima il Centro italia -in particolare roma -poi gli Stati del nord europa, procurando loro biglietti e passaporti falsi; movimentare ingenti somme di denaro, profitto della menzionata attività illecita, anche tramite il canale di intermediazione finanziaria informale detto Hawala. tanto premesso sulla vicenda di fatto che ha animato la pronuncia in commento, tralasciando i pur interessanti passaggi motivazionali relativi alla sussistenza del reato associativo (art. 416 c.p.) come anche del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12 d.lgs. n. 286/1998), l’arresto giurisprudenziale suscita particolare interesse per avere ritenuto la rilevanza penale del più volte citato sistema di pagamento, in forza delle considerazioni che ci si appresta ad esporre. A sei degli imputati, congiuntamente ad altri sei per i quali si è proceduto separatamente, la pubblica accusa ha contestato, in concorso tra loro ed avvinti dal vincolo della continuazione, i reati di cui agli artt. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997 (in relazione all’art. 15, comma 1, lett. c, l. n. 52/1996 ed all’art. 3, d.lgs. n. 374/1999), 132 d.lgs. n. 385/1993 (in relazione all’art. 106, d.lgs. n. 385/1993) e 4 l. n. 146/2006, per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, senza alcuna autorizzazione e senza essere iscritti negli appositi elenchi, albi e ruoli previsti dalla legge, esercitato abusivamente nei confronti del pubblico attività di intermediazione finanziaria ed in particolare per avere svolto attività di raccolta abusiva del risparmio e di abusiva intermediazione nel cambio monetario, attraverso il sistema denominato Hawala. Quanto alle imputazioni summenzionate va fin d’ora rilevato che l’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997, in materia di contrasto al riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, punisce (recte, puniva) l’esercizio di agenzia in attività finanziaria in assenza della prescritta iscrizione nell’elenco tenuto dalla Banca d’italia (10); l’art. 132 d.lgs. n. 385/1993 (d’ora in avanti “t.u.B.”) sanziona (10) Circa tale incriminazione, non pare superfluo ricordare che la l. n. 197/1991, prima legge antiriciclaggio in italia, partendo dall’assunto che il settore dell’intermediazione finanziaria costituisce un punto obbligato di passaggio per l’inserimento dei capitali illeciti nel mercato legale, ha disciplinato una serie di “presidi” atti ad ostacolare la commissione del fenomeno criminale. in generale, il sistema di prevenzione, oltre a fissare specifici divieti ed obblighi per i privati in materia di utilizzo del denaro contante e titoli al portatore, ha richiesto una collaborazione “attiva” e “passiva” da parte dei destinatari della disciplina antiriciclaggio, avendo riguardo alle informazioni da questi possedute o acquisite nel- l’ambito dell’ordinaria attività istituzionale o professionale svolta. il d.lgs. n. 56/2004, in attuazione della Direttiva n. 2001/97/Ce, ha poi riunito, in un’unica cornice normativa, tutti i destinatari degli obblighi antiriciclaggio, prima frammentariamente indicati all’art. 13 d.l. n. 625/1979, nonché nell’art. 1 d.lgs. n. 374/1999. in particolare, quest’ultimo provvedimento ha ampliato le categorie dei soggetti sottoposti agli obblighi previsti dalla Legge n. 197/1991, attraverso un aggiornamento dell’originaria tipologia di intermediari finanziari e l’inclusione di quei soggetti che, pur non operando nel campo finanziario, svolgono attività suscettibili di utilizzazione ai fini di riciclaggio. tra questi, i cosiddetti “operatori non finanziari”, cioè dediti, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 374/1999, alle attività ivi indicate e, tra esse, quella di “agenzia in attività finanziaria” (come prevista dall’articolo 106 del d.lgs. n. 385/1993), subordinata all’iscrizione nell’elenco costituito presso l’allora l’ufficio italiano Cambi. Per LeGiSLAzione eD AttuALità l’abusiva attività finanziaria svolta nei confronti del pubblico in assenza del- l’autorizzazione o dell’iscrizione negli appositi elenchi (11); infine, l’art. 4 l. n. 146/2006 disciplina l’aggravante della transnazionalità. La sentenza in commento prende le mosse quindi, dal reato di esercizio abusivo dell’attività finanziaria ex art. 132 t.u.B., il quale, nella versione vigente a seguito del d.lgs. n. 141/2010 (applicabile ratione temporis al caso di specie), sanziona l’esercizio senza autorizzazione nei confronti del pubblico di una o più attività finanziarie previste dall’art. 106, comma 1, t.u.B., vale a dire delle attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Al riguardo, il giudice di prime cure osserva che l’attività di “incasso e trasferimento di fondi” è riconducibile, per il suo stesso oggetto, ai “servizi di pagamento” disciplinati dall’art. 106 t.u.B., cui rimanda la norma sanzionatrice, art. 132 t.u.B., nonché l’art. 4, comma 1, del D.M. 6 luglio 1994, emanato dal Ministero del tesoro in ottemperanza di quanto disposto dall’art. 106, comma 4, lett. a), del medesimo t.u.B. Prosegue la pronuncia rilevando che anche l’allora ufficio italiano Cambi, nell’ambito delle proprie attribuzioni, con provvedimento dell’11 luglio 2002 ha definito l’attività di trasferimento di valuta come attività compresa nell’art. 106 t.u.B., in quanto “prestazione di servizi di pagamento”, in tutte le sue componenti, quali la trasmissione ed esecuzione di ordini di pagamento, la compensazione di debiti e crediti, la remissione e gestione di carte di credito, di debito o altri mezzi di pagamento, oltre il trasporto materiale di denaro contante o di valori (ad esempio, ad opera dei cd. trasporta valute). Sicché, conclude il giudice di prime cure, il “trasferimento di valuta” nel caso di specie integra una delle attività riservate da parte dell’art. 106 t.u.B., poiché consente all’operatore di intervenire attivamente sulla quantità e qualità della moneta raccolta, nonché sui tempi di regolamento della transazione richiesta. Per l’effetto, ogni attività, anche materiale, di incasso e di pagamento in assenza di autorizzazione contrasta con gli artt. 132 e 106 t.u.B., fuoriuscendo dalla nozione di “servizio di pagamento” esclusivamente l’attività di trasporto e consegna al creditore dei valori forniti dallo stesso debitore, perché la prestazione in tal caso è priva di contenuto finanziario e, quindi, non riservata agli intermediari autorizzati; il contenuto finanziario e la riserva di attività sussistono, invece, ogni qualvolta ricorra un’attività ulteriore svolta dall’intermediario rispetto a quella di semplice trasporto e consegna. nel caso in esame, sulla scorta dell’analisi critica del compendio probatorio raccolto, la sentenza giunge a ritenere che gli imputati, in via continua- un approfondimento sull’evoluzione della disciplina nazionale in materia di riciclaggio, cfr., per tutti, M. CArBone, P. BiAnCHi, v. vALLeFuoCo, Le nuove regole antiriciclaggio, Milano, 2017, pp. 199 ss. Si veda a proposito di quanto detto l’esito dell’operazione GDF di Ferrara del 15 dicembre 2019. (11) Cfr. r. BriCCHetti, Esercizio abusivo dell’attività finanziaria, in Libro dell’anno del diritto Treccani, roma, 2012. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 tiva, abbiano offerto al pubblico e ad un numero indeterminato di soggetti il servizio di raccolta di denaro e di cambio di valuta, nonché la gestione del successivo trasferimento all’estero, attività certamente vietate dalla legge bancaria indipendentemente dal mezzo virtuale, quale è Hawala, o materiale utilizzato per il trasferimento della moneta. 5. riflessioni sui principali vantaggi derivanti dell’utilizzo del sistema Hawala. Come evidenziato sopra, il fenomeno Hawala e, più in generale, quello dei sistemi di pagamento “informali” ha rilevanza e proporzioni globali (12); pertanto analizzarne i meccanismi di funzionamento assume importanza cruciale. il significato attribuito al termine Hawala è essenzialmente (oltre che letteralmente) quello di “trasferimento” (13), significatività forte che emerge dallo stesso fenomeno giuridico cui il termine corrisponde. il termine Hawala rappresenta le seguenti posizioni: - la circolazione della posizione di debito; - la circolazione della posizione di credito; - il sistema di pagamenti nel suo complesso. tale pluralità di significati corrisponde alla diversa realtà dei rapporti giuridici che lo compongono: - le relazioni fra utenti ed intermediari; -il rapporto fra gli stessi intermediari incaricati di trasferire il denaro dal pagatore al beneficiario. L’informalità di tale sistema di pagamento è data dalla sua capacità di funzionamento principalmente grazie alle relazioni interpersonali esistenti all’interno della relativa “rete” e alla conseguente fiducia personale intercorrente tra i membri della stessa. tale struttura è imperniata su vincoli familiari, para-familiari o tribali (14) che innescano meccanismi di solidarietà capaci di tenere insieme la rete di intermediari degli Hawaladar, garantendo la fiducia e la fidelizzazione degli utenti che a loro si rivolgono. è tuttavia fuorviante assumere che la fiducia sia originata solo ed esclusivamente dall’affidabilità delle persone e non anche dall’effettività delle regole che si traduce in efficienza del sistema Hawala: l’affidabilità degli intermediari è fondamentale ma è parte integrante del complessivo sistema connotato dall’effettività delle regole consuetudinarie e dal (12) Cfr. r. t.F. GeitHner -M.u. kLein, Foreword, in The World Bank -Committee on Payment and Settlement Systems, General Principles for International remittance Services, Basilea, 2007 (13) ALeSSAnDro QuAttroCCHi, Diritto Penale Contemporaneo -Fascicolo del Febbraio 2019 La rilevanza penale del sistema di pagamento “Hawala”. (14) Con riferimento alle origini dell’antico Hawala, cfr. AL-HAMiz, Hawala: a U.A.I. Perspective, in AA.vv., regulatory Frameworks for Hawala and other remittance Systems, Washington, 2005, p. 31. LeGiSLAzione eD AttuALità l’efficienza delle procedure adottate, anch’esse essenziali. è l’assoluta condivisione di tali regole che permette il saldo funzionamento del fenomeno: da essa deriva l’interconnessione di ciascuna delle reti di Hawaladar con le altre, le quali sono dunque tra loro interoperabili (15). L’esperienza, anche quella processual-penalistica rappresentata dalla sentenza poco sopra riportata, dimostra che il sistema Hawala funziona. tuttavia, poiché trattasi di sistema visceralmente imperniato sui rapporti fiduciari, la fiducia riposta nella rete Hawala da parte degli utenti si combina con la fiducia che organizzazioni illegali (criminali e terroristiche) ripongono nel sistema. Ciò che, di fatti, è accaduto nel caso di specie, laddove l’organizzazione criminale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ha asservito il canale di pagamento fiduciario ai propri scopi e, segnatamente, al finanziamento della propria struttura associativa. A livello internazionale si è ben consci di questo rischio, quanto meno in relazione all’asservimento del sistema Hawala al finanziamento delle organizzazioni criminali terroristiche (16). 6. L’uso di Hawala da parte dell’ISIS dopo la sconfitta militare. Partendo da questi presupposti cercheremo ora di capire se il sedicente Stato islamico utilizzi questo sistema, quanto venga utilizzato a seguito della disfatta militare e se lo stesso, potrebbe consentire in qualche modo, una riorganizzazione efficace ed una controffensiva -a qualsiasi livello -contro i nemici del Califfato nero. Bisogna innanzitutto partire da quelle che sono le fonti che permettono all’organizzazione terroristica di vivere, evolversi, diffondersi e combattere. La sua forza si fonda su diversi fattori economici di sviluppo caratterizzati dal fatto di essere molteplici, diversificati, ambigui e sotterranei. in connessione con alleanze variabili, tattiche e strategiche, sui territori di invasione -latu sensu intese -, l’i.S. è oggi una minaccia latente ad ampio spettro, in una fase di rimodulazione e rinnovanda alimentazione finanziaria. Da un punto di vista prettamente economico-finanziario una ricerca (17), pubblicata da rubettino e curata da Carlo De Stefano, elettra Santori e italo Saverio trento, illustra nei dettagli il lungo catalogo, in continuo aggiornamento, dei flussi finanziari del fondamentalismo islamico. nel corso della ricerca, partendo dalle banche che rispettano la Sharia, vengono passati in rassegna ed analizzati i principali fenomeni ed aspetti, tra loro sicuramente interconnessi, che portano ossigeno (15) Sistemi di pagamento interoperabili, «regolamento» e certezza delle regole, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010,1, pp. 575 ss. (16) Il contrasto del finanziamento al terrorismo internazionale, Padova, 2013, p. 29 e, con precipuo riferimento all’impiego dell’hawala, S. vitALe, Le strategie di contrasto al finanziamento del terrorismo alla prova dei diritti dell’individuo, in v. MiLiteLLo, A. SPenA. (17) Terrorismo, criminalità e contrabbando. Gli affari dei jihadisti tra medio oriente, Africa ed Europa, rubbettino, 2019. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 alle casse delle varie organizzazioni fondamentaliste, in particolare dell’islamic State: -il controllo diretto o indiretto di alcuni giacimenti di petrolio, di centrali elettriche e di gas; -i rapimenti di ostaggi; - i traffici di opere d’arte, di medicinali contraffatti e di droga; -il commercio illegale di idrocarburi, scovato anche dalla nostra Guardia di Finanza; -il traffico dei migranti, la tratta di esseri umani e il connesso traffico di organi; - il commercio illegale dei reperti archeologici; - il contrabbando di tabacchi; -il traffico di armi, soprattutto quello proveniente dai Balcani, meno redditizio ma più strategico. Bloccare tale finanziamenti significa poter “inceppare la macchina jihadista”, ha dichiarato il Prefetto vecchione, a capo del D.i.S., confermando che le principali fonti di finanziamento sono i gruppi di privati ed anche le associazioni caritatevoli. Sigarette e petrolio, però, non scherzano e i dati del Generale Giuseppe Arbore, comandante del iii reparto “operazioni” della Guardia di Finanza, lo spiegano: le Fiamme gialle sequestrarono, nel 2013, 120 tonnellate di sigarette, l’anno scorso 280 tonnellate in buona parte “illicit white”, cioè prodotte al di fuori dell’unione europea e destinate al mercato illecito dell’u.e. Anche il petrolio di contrabbando arriva in italia da canali clandestini e consente di vendere il carburante in tante stazioni a prezzi bassissimi. non va dimenticato che il Mediterraneo allargato ha tra il 65 e il 70 per cento delle risorse energetiche del mondo e, pur rappresentando circa l’uno per cento dei mari, nel Mediterraneo naviga il venti per cento della flotta navale globale. invece, sul fronte della lotta ai finanziamenti al terrorismo ed al riciclaggio, Arbore ha rivendicato un ruolo di avanguardia per l’italia: l’anno scorso ci sono state 1.280 segnalazioni con profili di rischio di finanziamento al terrorismo da parte dell’unità di informazione Finanziaria (u.i.F.) della Banca d’italia che hanno portato a circa 350 investigazioni, un’ottantina delle quali finite in inchieste. nella mole di dati analizzati dall’intelligence italiana e dalle Forze di Polizia - trasmessi al viminale - spiccano due elementi: -i foreign fighter italiani; - i detenuti monitorati nelle carceri che partecipano, tra le altre cose, a diffondere e a far conoscere il sistema che stiamo analizzando in queste pagine. il ministro dell’interno, ha dichiarato che sui 135 foreign fighters collegati con l’italia 48 sono morti in guerra e 12 sono rientrati in italia dei quali 5 sono in carcere e 7 monitorati dalle Forze dell’ordine. in base alla relazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per il 2018, invece, sono LeGiSLAzione eD AttuALità 506 i detenuti nel mirino su 12.775 di fede musulmana: 242 sono al primo livello, i più pericolosi, tra cui 62 in carcere per reati di terrorismo internazionale; 114 sono al secondo livello, coloro che hanno avuto atteggiamenti di vicinanza al jihadismo o hanno svolto attività di proselitismo; 150 al terzo livello, i detenuti i cui comportamenti vanno approfonditi ulteriormente. Questi dati vanno letti in combinato a quanto di seguito: l'accesso bancario limitato in alcune giurisdizioni porta, come conseguenza naturale, ad un maggior utilizzo di “m.V.T.S.” (18) non regolamentati. Sono accertati diversi esempi di terroristi e dei loro finanziatori che utilizzano Hawala principalmente, o altri fornitori di servizi simili (H.o.S.S.P.) (19) per trasferire fondi. Spesso gli emissari del broker Hawala si appoggiano a banche compiacenti in paradisi fiscali per emettere assegni circolari, rendendo quindi impossibile effettuare qualsiasi controllo sui passaggi di denaro e difficilissimo ricondurre le transazioni alla fonte originaria, a volte, anche banche ed intermediari finanziari con sede in europa. una recente operazione “anti-hawala” coadiuvata dall’europol ha portato all’arresto di 38 persone e al sequestro di 7 milioni di euro in contanti. Secondo una fonte interna della “Polizia europea” il gruppo, composto da broker e da spalloni per la movimentazione del denaro, era al servizio di diversi gruppi criminali/terroristici e movimentava/fatturava circa 2 miliardi di euro all’anno. “Con il sistema degli hawaladar, decine di milioni di persone costituiscono veri e propri spazi offshore, con circuiti economici paralleli che sfuggono ad ogni statistica”, spiega Giovambattista Palumbo, Direttore dell’osservatorio eurispes sulle Politiche fiscali. “Altro che paradisi fiscali, siamo di fronte -conclude il presidente di eurispes -a un’intera economia offshore che muove miliardi di euro, un flusso informale che non passa attraverso i canali bancari e che sfugge a qualsiasi forma di controllo o rilevazione” (20). oggi l’errore più grande sarebbe dare lo Stato islamico per sconfitto. “Nel momento in cui l’ISIS si è palesato con il controllo del territorio aveva già una forte disponibilità economica”, ammonisce Lorenzo Marinone -analista per il Centro Studi internazionali (Ce.Si). Come a dire, la sconfitta militare è buona cosa ma lo scenario attuale non è troppo diverso da quello di pochi anni fa, quando il Califfato urlava al mondo la sua natura parastatale. ed era questa la sua unicità, nessuna organizzazione terroristica era mai stata in grado di costruire un sistema di welfare così forte, uno Stato sociale e una rete di infrastrutture vaste ed al servizio dei militanti. una scelta strategica che, agli occhi (18) money or Value Transfer Services. (19) Hawala and other Similar Service Provider. (20) GiovAMBAttiStA PALuMBo, Direttore dell’osservatorio eurispes sulle Politiche fiscali. Da articolo su il Sole 24 ore. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 della popolazione sotto il suo controllo, poneva il Califfato al confine tra l’essere entità da temere e soggetto statale vero e proprio, perfetto per imporre tasse agli agricoltori, ai commercianti, ai veicoli in transito, fino ad arrivare a vere e proprie estorsioni ma da cui aspettarsi anche servizi primari quali elettricità e acqua. un gettito di denaro che nel 2015 il centro di ricerca i.C.S.r. stimava essere di circa 600 milioni di euro, addirittura più proficuo del contrabbando di petrolio. Buona parte di questo sistema fiscale si basava sulla Zakat, una tassa a cui, come da precetti del Corano, devono contribuire tutti i musulmani e che impone il devolvere parte dei propri profitti a organizzazioni religiose. “È una tassa sul guadagno, non sulla proprietà, e viene pagata per tutto ciò che eccede una determinata cifra calcolata in maniera diversa in tempi diversi e in contesti diversi”, spiega Luca Patrizi, docente di Storia e istituzioni dell’islam all’università di torino. in difficoltà economica durante il conflitto armato, l’isis è arrivato al punto di legittimare vere e proprie estorsioni attraverso la Zakat. non era però soltanto l’apparato burocratico, sotto forma di tasse ed estorsioni, a garantire enormi entrate allo Stati islamico. il controllo dei pozzi petroliferi, durato relativamente poco a seguito dell’avvio della campagna militare alleata, generava entrate enormi. La perdita del controllo di Mosul prima e raqqa poi, e di conseguenza dei giacimenti e delle raffinerie più importanti, costringe ora il Califfato a volgere lo sguardo verso altre fonti di finanziamento. Comprendere come cambierà l’economia del califfato significa capire quale forma prenderà quello che è ancora considerato il gruppo terroristico più ricco al mondo. “Una quantità non irrilevante di finanziamenti arrivava già da soggetti privati, localizzati principalmente nei Paesi del Golfo”, afferma l’analista del Ce.Si., “ed è lecito immaginare che avverrà un rafforzamento di questa linea di finanziamenti”. uno scenario più che plausibile e non nuovo, “già visto con Al-Qaeda dieci anni fa e ancora prima con i mujahedin afgani nella guerra contro i russi”, conclude Marinone. Questa tipologia di flussi di denaro crea non pochi grattacapi all’antiterrorismo internazionale poiché si tratta perlopiù di una miriade di trasferimenti di contante di piccole o medie entità, quasi impossibili da rintracciare e tra i metodi maggiormente utilizzati per il trasferimento di queste somme di denaro vi è proprio Hawala. Metteremo di seguito in evidenza i motivi per cui Hawala principalmente -e tutti gli altri fornitori di servizi simili -possa fornire, allo stato attuale, un supporto fondamentale per il finanziamento al sedicente Stato islamico, in questa fase così critica per lo stesso, dove le altre “entrate” sono compromesse a seguito della sconfitta militare subita sui territori occupati nella fase espansionistica. Al tracollo sul piano militare ne è seguito, logicamente, anche uno economico. LeGiSLAzione eD AttuALità Le ragioni più comuni che, a parere dello scrivente, possono incrementare l’utilizzo di Hawala da parte del “restaurando” i.S.i.S. sono le seguenti: trasmissione del denaro più economica: Hawala e gli altri fornitori di servizi simili di solito costano al massimo il 25-50% dell'addebito bancario equivalente a seconda della destinazione del trasferimento, i clienti ottengono, generalmente, tassi di cambio migliori dagli H.o.S.S.P. (21) rispetto alle banche tradizionali e ai money Transfer ufficiali perché operano avendo spese di gestione sostanzialmente più basse. trasmissione più rapida del denaro: Hawala e altri fornitori di servizi simili possono avere una vasta rete di controparti situate in Paesi specifici. La trasmissione del denaro può essere completata in poche ore o al massimo in due giorni, in caso di luoghi di destinazione dei fondi particolarmente isolati e privi di agevoli canali di comunicazione o vie di accesso -pensiamo a campi di addestramento di terroristi, a lupi solitari in missione o a covi di “dirigenti” delle cellule terroristiche nascosti in località particolarmente inaccessibili. nelle stesse posizioni, le banche possono richiedere diversi giorni o in alcuni casi, potrebbero non essere in grado o vedere fortemente compromessa e limitata la capacità di trasmissione di fondi. uno dei motivi che garantisce una rapida trasmissione di fondi è il fatto che spesso gli H.o.S.S.P. non trasferiscono le somme per ogni singola transazione (22) con il cliente, bensì ricorrono alla liquidazione netta/compensazione come fanno molti altri tipi di M.v.t.S. Preferenza culturale: gli H.o.s.s.P. esistono da molto tempo in alcune aree del Centro dell’Asia, Asia meridionale e Medio oriente, in alcuni casi da molto tempo prima dell'inizio del moderno settore bancario. Quindi può essere una tradizione culturale per le persone in queste aree per trasferire denaro attraverso Hawala tradizionale e altri fornitori di servizi simili. in molti Paesi sviluppati, tali canali sono utilizzati principalmente dai migranti a causa della facilità di accedere a tali sistemi piuttosto che a quelli bancari. inoltre vi è una condivisione di costumi, stili di vita, linguaggio ed anche diffidenza verso il mondo occidentale e negli usi e costumi dello stesso. accesso bancario nei Paesi di ricezione ed invio delle rimesse: (23) in alcuni dei Paesi di ricezione delle rimesse, i sistemi finanziari hanno (21) FAtF rePort oCtoBer 2013. (22) D.i.A. relazione secondo semestre 2017. (23) operazione di polizia giudiziaria denominata “Hawala.net”, conclusa, a Bari e a Catania, il 10 maggio 2017. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 un livello di sviluppo e di diffusione molto basso. in tali casi, solo Hawala ed eventuali altri fornitori di servizi simili hanno la capacità di fornire somme di denaro in luoghi lontani e remoti dove non esistono canali regolamentati. Paesi come il nepal, il Pakistan o alcuni Stati del nord Africa e del Medio oriente sono buoni esempi di tale situazione. ed in tutte queste regioni sono presenti formazioni combattenti vicino all’isis. Gli H.o.S.S.P. sono spesso anche l'unico canale attraverso il quale i fondi possono essere trasmessi in zone di conflitto armato, come in parti della Somalia, in Siria e in Afghanistan, giusto a titolo di esempio. Questi passaggi di rimesse sono il modo più “sicuro”, semplice ed economico per trasferire fondi in questi territori. Aggiungiamo, che in relazione agli Stati di invio delle rimesse, in cui il sistema bancario è sviluppato e l'accesso bancario è più agevole e/o garantito, Hawala è l’unico mezzo disponibile per gli stranieri in condizione di illegalità. tale status preclude loro di poter accedere alle banche e agli altri fornitori di servizi finanziari regolamentati, lasciando solo alternative limitate a costi-convenienti, come i fornitori di servizi non regolamentati per inviare rimesse alle famiglie rimaste nei Paesi di origine. Si sottolinea, tuttavia, che anche il residente legale ed i migranti regolarmente ospiti nel nostro Paese, e negli altri Paesi occidentali utilizzano ampiamente questi fornitori di servizi informali di pagamento per le altre ragioni che analizzeremo ora. Maggiore fiducia in Hawala ed in altri fornitori di servizi simili rispetto al sistema bancario: tale situazione si verifica essenzialmente nei Paesi in cui vi è una mancanza culturale di fiducia verso le banche ed il sistema finanziario tradizionale, in particolare questo fenomeno si riscontra nei cittadini di Stati in cui i clienti delle banche hanno perso le somme depositate quando si sono verificate crisi bancarie. La limitata comprensione o familiarità con servizi finanziari tradizionali a causa della mancanza di alfabetizzazione finanziaria può essere un altro motivo capace di spiegare questa mancanza di fiducia nei confronti degli istituti finanziari regolamentati. Alla fine le già accennate barriere linguistiche rischiano di essere un ostacolo significativo per le popolazioni immigrate. agevole evasione dei controlli valutari e delle sanzioni internazionali: Hawala e gli altri servizi simili permettono di aggirare agevolmente le restrizioni applicate alle operazioni -ad esempio i controlli di cambio oppure le sanzioni internazionali; è chiaro quindi che Hawala e gli altri canali informali di pagamento vengano utilizzati anche, se non principalmente -stante la propria natura -per aggirare i controlli valutari e/o le sanzioni internazionali per combattere il riciclaggio di denaro sporco ed il rischio di finanziamento del terrorismo. LeGiSLAzione eD AttuALità trasferire opacamente i fondi evolvendosi costantemente: i terroristi, quindi, utilizzerebbero Hawala e similari canali per trasferire fondi perché l’impegno e gli obblighi sono molto meno rigorosi rispetto a quelli richiesti dalle banche e dagli altri istituti finanziari regolamentati. inoltre tali sistemi di trasferimento sono meno accessibili alle Autorità, o quanto meno richiedono sforzi info-investigativi non indifferenti. Pertanto, quando ci sono somme da inviare -anche nei più remoti angoli del globo (zone desertiche, territori in balia di guerre, montagne quasi inaccessibili) -i titolari di tali fondi, sia di lecita che illecita provenienza, hanno tutto l’interesse ad accedere ai servizi prestati dagli Hawaladar, ben disposti a servirli trasferendo il denaro senza tracciarne in alcun modo il flusso o addirittura falsificando la scarna ed eventuale documentazione disponibile per rendere l’attività delle Autorità più difficile e complessa. Molte indagini di Polizia hanno infatti rivelato che hawaladars e fornitori di servizi simili non gestiscono sistemi “paperless”, come si potrebbe supporre, ma in realtà tengono dei “registri” -una species delle agende per contabilizzare il “nero”, tipiche degli anni ’70 -attraverso i quali riescono a tenere sotto controllo i flussi ed a comprovare la loro reputazione ed efficienza. tutto ciò a comprova del fatto che Hawala tradizionale e pura è in realtà un mito. Le esperienze investigative nazionali suggeriscono che le entità all'interno della rete adattino la loro struttura e i loro metodi per garantire che i corridoi di rimessa siano gestiti in modo efficiente. Dunque un sistema che si adegua, ed infatti è dimostrato che ormai tale struttura non è solo connessa al puro trasferimento di somme più o meno grandi -Hawala tradizionale pura -ma offre oggi anche altri servizi finanziari come il cambio valutario, prestiti a breve termine, garanzie commerciali, banco di pegni e addirittura, in alcuni Paesi, conservazione sicura dei fondi trasferiti. tutto questo comporta, tuttavia, che le transazioni gestite da Hawala possono essere economicamente competitive all'interno di corridoi ben definiti e specifici. La loro competitività è la più alta dove i clienti devono inviare denaro ad aree in cui i sistemi bancari tradizionali e le catene trovano difficile, costoso o ad alto rischio operare. Quando tali condizioni non sono soddisfatte, il costo di invio di fondi attraverso Hawala e altri fornitori di servizi simili potrebbe in realtà non essere così competitivo, ma questo in tale momento non dovrebbe interessare i gerarchi del califfato nero, oggi la preoccupazione maggiore è fare arrivare i soldi. ed in certi contesti solo Hawala può garantire questo risultato. Gli Hawaladar quindi, in concorrenza costante tra loro, cercano di accaparrare “clientela” tra i sostenitori del terrorismo costruendosi una “reputazione”, che ovviamente si può perdere facilmente in caso di problemi di trasmissione o ritardi. Quindi oltre che sulla “fiducia” tradizionale, oggi abbiamo un sistema che si è evoluto e che è quasi in grado di recensire i vari fornitori del servizio sulla base delle singole prestazioni erogate. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 Gli Hawaladar, tra l’altro, sempre più spesso individui relativamente rispettati all'interno della loro comunità di origine -quasi una sorta di colletti bianchi sui generis -sono oggi in realtà altamente visibili all'interno delle collettività che servono e può anche capitare che vi sia una certa “pubblicità” dei servizi offerti, ovviamente sempre limitatamente alle comunità di origine o quanto meno tra le etnie di appartenenza. 7. Brevi considerazioni finali. Questo breve e schematico lavoro vuole evidenziare chiaramente quanto Hawala e gli altri servizi di trasferimento valori simili possano essere fondamentali alla causa dell’isis, che oggi più che mai ha la necessità di reperire risorse dai sostenitori e finanziatori, a qualsiasi livello e da qualsiasi posto della terra. i flussi di ricchezza collegati al Jihad -e dunque all’i.S.i.S. che ha adepti ovunque -da ogni più remoto angolo del globo si muovono continuamente verso altrettanti punti del mondo. tali gettiti economici sono il frutto di ogni tipo di attività, lecita o illecita, ed è evidente che il modo migliore per “muovere” tanta ricchezza, per quanto detto sopra, sia per lo stato islamico probabilmente il sistema di rimesse che abbiamo analizzato in queste pagine. Hawala, tuttavia, non è da considerare una struttura infallibile e tantomeno deve considerarsi inespugnabile, la possibilità di minarne le capacità ci sono e non sono affatto blande. in sostanza bisognerebbe attaccare il sistema “infiltrandolo” e demolendolo dall’interno, analogamente a quanto accade in materia di stupefacenti e criminalità organizzata, in modo da farlo crollare su sé stesso. Questo ragionamento, sicuramente dirompente da un punto di vista normativo -alla stregua di quello fatto a suo tempo dal Presidente dell’A.n.A.C. raffaele Cantone per combattere in modo innovativo la corruzione -permetterebbe di far venire meno l’affidamento nel sistema fiduciario su cui si regge Hawala, scoraggiando di conseguenza l’affidamento del denaro alla rete. Bibliografia roBerto MuGAvero, rAnieri rAzzAnte, Terrorismo e nuove tecnologie, Pacini editore. rAnieri rAzzAnte, Finanziamento del terrorismo e antiriciclaggio, normativa di contrasto e prassi operativa, edizione nuova Giuridica. rAnieri rAzzAnte, Comprendere il terrorismo. Spunti interpretativi di analisi e metodologie di contrasto del fenomeno, Pacini editore. rAnieri rAzzAnte, radicalismo, migrazioni e minacce ibride. Analisi e metodologie di contrasto, Pacini editore. LeGiSLAzione eD AttuALità Sitografia www.crstitaly.it http://www.mediterraneaninsecurity.it http://www.airant.it/ https://antidroga.interno.gov.it/ http://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/index.html http://parlamento17.camera.it/156 http://questionegiustizia.it/speciale/2016/1/follow-the-money_sviluppi-recenti-delcontrasto- al-finanziamento-del-terrorismo-internazionale_15.php https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/chi-siamo/organizzazione/dis.html http://www.gdf.it/ rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 il diritto di accesso ai documenti amministrativi in ambito urbanistico -edilizio tra costi procedimentali e diritto alla riservatezza Fabio Ratto Trabucco* SommArIo: 1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi a livello locale -2. Il limite della riservatezza in ambito urbanistico -edilizio -3. Gli oneri per l’accesso ai fini di ricerca, visura e riproduzione degli atti -4. Una casistica di accesso e tutela in materia di atti urbanistico -edilizi. 1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi a livello locale. Costituisce elemento lapalissiano come la primigenia introduzione generalizzata del diritto di accesso documentale agli artt. 22 e seguenti della L. 7 agosto 1990, n. 241, in materia di procedimento amministrativo, è da sempre percepita come una profonda storica innovazione della pubblica amministrazione italiana in punto di trasparenza (1). tuttavia, giova rammentare come l’ambito dell’accesso agli atti degli enti locali, e di riflesso quindi anche i provvedimenti in materia urbanistico-edilizia nonché del settore degli appalti pubblici locali (2), erano già stati oggetto di specifica disposizione normativa. infatti l’art. 25, c. 1, L. 27 dicembre 1985, n. 816, riconosceva il diritto di tutti i cittadini a prendere visione dei provvedimenti degli enti locali, rinviando alle singole amministrazioni di stabilire, con proprio regolamento, la disciplina dell’esercizio di tale diritto. tale disposto è stato poi sostanzialmente trasfuso nel testo unico degli enti locali (*) esperto in ambito giuspubblicistico italiano e comparato, svolge attività di ricerca all’estero nel- l’ambito del diritto costituzionale comparato. Professore a contratto - università degli Studi di Padova. Articolo già èdito. (1) in tema d’accesso documentale, senza pretesa d’esaustività, cfr.: A. GireLLA, F. GireLLA, L’accesso ai documenti amministrativi nel comparto sicurezza, orvieto, intermedia, 2017; G. BAuSiLio, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi: profili giurisprudenziali, vicalvi, key, 2016; j. SCHWArze, Access to documents under European Union law, in rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2015, 2, 335-344; L. CALiFAno, C. CoLAPietro, Le nuove frontiere della trasparenza nella dimensione costituzionale, napoli, editoriale Scientifica, 2014; P. CAPuti jAMBrenGHi, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in S. CoGnetti, et al. (cur.), Percorsi di diritto amministrativo, torino, Giappichelli, 2014, 205-230; D. GiAnnini, L’accesso ai documenti, Milano, Giuffrè, 2013; C. CoLAPietro (cur.), Il diritto di accesso e la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi a vent’anni dalla legge n. 241 del 1990, napoli, editoriale Scientifica, 2012; P. BurLA, G. FrACCAStoro, Il diritto di accesso ai documenti della pubblica amministrazione, roma, Laurus, 2006. (2) Cfr. v. GAStALDo, Il diritto di accesso nel settore degli appalti pubblici e gli obblighi di trasparenza delle stazioni appaltanti, in Urbanistica e appalti, 2014, 10, 1005-1020. LeGiSLAzione eD AttuALità (tueL) di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con norme sostanzialmente analoghe a quelle generali della l. n. 241/1990, per cui l’art. 6 demanda agli statuti comunali, metropolitani e provinciali la definizione delle forme «dell’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi». A sua volta il successivo art. 10 stabilisce che «tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del Sindaco o del Presidente della Provincia». inoltre demanda ai regolamenti degli enti la disciplina dell’accesso agli atti amministrativi, del rilascio delle relative copie e delle modalità «per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino» ed impone in generale agli enti locali di assicurare l’accesso «alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione». La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato le seguenti peculiarità del diritto di accesso previsto dal tueL (ed in precedenza dalla legge sull’ordinamento degli enti locali, 8 giugno 1990, n. 142, cd. Legge Gava) rispetto a quello della l. n. 241/1990: a) legittimazione attiva: la l. n. 241/1990 consente a «chiunque» l’esercizio del diritto, mentre il tueL circoscrive la titolarità del diritto ai «cittadini»; b) interesse: la l. n. 241/1990 circoscrive l’accesso funzionalizzandolo al soddisfacimento di un interesse «per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti »; il tueL non pone limiti al riguardo, anche se la giurisprudenza ha negato che possa trattarsi di un’azione popolare, nel senso che la posizione del richiedente deve comunque differenziarsi da quella del quivis de populo; c) oggetto: la l. n. 241/1990 parla di «documenti amministrativi», di cui fornisce una definizione molto ampia ma ancorata ad un dato materiale («ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti»); il tueL si riferisce agli «atti amministrativi » ed alle «informazioni». è evidente che l’informazione è un bene immateriale che può trovarsi o meno incorporato in un documento; d) limiti: la l. n. 241/1990: a) prevede l’esclusione dell’accesso per i documenti coperti da «segreto o divieto di divulgazione altrimenti previsti dal- l’ordinamento»; b) esclude o differisce l’accesso per i documenti individuati da ciascuna amministrazione in relazione ad alcuni interessi tipizzati all’art. 24, c. 2, l. n. 240/1990; c) esclude l’accesso per gli «atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti» normativi o amministrativi generali; d) differisce l’accesso per i documenti «sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa». il tueL prevede: a) l’esclusione dell’accesso per gli atti «riservati per espressa indicazione di legge»; b) il differimento dell’accesso con provvedimento motivato del Sindaco e del Presidente della Provincia quando la divulgazione possa rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 pregiudicare «la riservatezza di persone, gruppi ed imprese, conformemente a quanto previsto dal regolamento dell’amministrazione locale»; e) modalità di esercizio: la l. n. 241/1990 individua alcuni elementi (obbligo di motivazione, richiesta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente, etc.) e demanda ai regolamenti governativi l’ulteriore disciplina; il tueL rinvia integralmente al regolamento dell’amministrazione locale, fornendo disposizioni solo riguardo al rimborso dei costi; f) rimborsi: la l. n. 241/1990 prevede che l’esercizio del diritto di accesso tramite visura sia gratuito, mentre il rilascio di copia subordinato al solo rimborso del «costo di riproduzione», salve le disposizioni in materia di bollo e gli eventuali «diritti di ricerca e visura» (art. 25, c. 1, l. n. 241/1990); il tueL rinvia al regolamento la determinazione dei «soli costi», e quindi rende rimborsabili tutte le spese vive (non solo quelle di riproduzione) sostenute. A fronte di un dato letterale così diverso, si è sostenuto che l’accesso disciplinato dalla norma generale sull’azione amministrativa avrebbe una natura diversa rispetto a quello previsto per gli enti locali, più agevolmente identificabile alla stregua di un diritto soggettivo in senso tecnico. tuttavia, sono assolutamente prevalenti le posizioni contrarie alla frammentazione nella ricostruzione dell’istituto dell’accesso: «[…] l’art. 10, d.lgs. n. 267/2000 […] stabilendo che “tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici”, ad eccezione di quelli riservati per legge o dichiarati tali da un atto del Sindaco o dal Presidente della Provincia allo scopo di tutelare la riservatezza delle persone dei gruppi o delle imprese, non da una propria configurazione del diritto di accesso, né regola l’esercizio di tale diritto. La disposizione stabilisce soltanto che non vi sono atti riservati, non accessibili, se non quelli da essa indicati. […] nulla tali disposizioni dispongono per quanto concerne la conformazione e l’esercizio del diritto di accesso. occorre fare riferimento, pertanto, anche per quanto riguarda gli atti dei comuni e delle province alla disciplina generale contenuta negli artt. 22 e seguenti del capo v della l. 241/1990. […] Quindi, anche per tali atti vale il dettato della norma ora citata secondo cui il diritto di accesso è riconosciuto unicamente a chi vanti un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. Anche per l’accesso agli atti dei Comuni e delle Province pertanto, allo scopo di collegarlo alla tutela di posizioni giuridiche soggettive, ad interessi, quindi, personali e concreti, si richiede un’istanza motivata. e appena il caso di rilevare, infine […] che un diritto di accesso agli atti dei Comuni e delle Province libero, ma «per i soli cittadini residenti» non sarebbe in linea con il principio di eguaglianza di tutti i cittadini» (3). Ancora, «[…] le norme che disciplinano l’esercizio del diritto di accesso ai documenti degli enti locali non hanno introdotto un istituto ulteriore rispetto (3) CdS, sez. v, 18 marzo 2004, n. 1412. LeGiSLAzione eD AttuALità a quello di cui alla legge sul procedimento amministrativo. va infatti osservato che il rapporto tra le discipline, recate rispettivamente dall’art. 10 del d.lgs. n. 267/2000, sull’ordinamento delle autonomie locali, in combinato disposto nel caso in questione con l’art. 72, Statuto Provincia di roma, e dal Capo v, l. n. 241/1990, sul procedimento amministrativo in materia di accesso a documenti amministrativi, entrambe ispirate al comune intento di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa va posto in termini di cooperazione, con la conseguenza che le disposizioni del citato Capo v penetrano all’interno degli ordinamenti degli enti locali in tutte le ipotesi in cui nella disciplina di settore non si rinvengano appositi precetti che regolino la materia con carattere di specialità. in particolare, l’art. 10, d.lgs. n. 267/2000, ha introdotto una disposizione per gli enti locali che si pone semplicemente in termini integrativi rispetto a quella, di contenuto generale, di cui alla l. n. 241/1990. tale conclusione risulta chiara dal tenore della disposizione in esame» (4). 2. Il limite della riservatezza in ambito urbanistico-edilizio. Appare evidente che nell’ambito edilizio-urbanistico vengono quasi sempre in rilievo interessi di soggetti terzi controinteressati al diritto di accesso in quanto potenzialmente lesi nel loro diritto alla riservatezza sia pure con riferimento a dati personali di natura più spesso comune (data e luogo di nascita, residenza, domicilio) e non anche sensibile. tuttavia, ne discende che in forza della riforma operata in materia di procedimento amministrativo con la l. 11 febbraio 2005, n. 15, dopo aversi ribadito che in tal caso «deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici», è stato opportunamente aggiunto che «nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui è strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». La giurisprudenza amministrativa ha, a sua volta, affrontato la vexata quaestio del rapporto tra l’esigenza di rendere accessibili i documenti e la necessità di tutelare adeguatamente la privacy dei soggetti ai quali si riferiscono i dati contenuti negli atti dei quali si chiede l’ostensione. La svolta è stata determinata dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy) come da ultimo integrato per l’effetto del regolamento ue n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, che ha natura modificativa ed integrativa della disciplina previgente, e non meramente compilativa. in buona sostanza, si può comunque ritenere che il legislatore (4) CdS, sez. v, 7 aprile 2004, n. 1969. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 abbia recepito e codificato l’elaborazione giurisprudenziale prevalente. in relazione all’esercizio del diritto di accesso, l’art. 59, d.lgs. n. 196/2003, come modificato dall’art. 5, c. 1, lett. a), d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, prevede che: «fatto salvo quanto previsto dall’articolo 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso». tale peculiare disciplina ha condotto la giurisprudenza a ritenere possibile, nel contemperare gli opposti interessi coinvolti, la limitazione dell’accesso alla sola presa visione, ed a omettere le parti di documento riferite a soggetti terzi. in ogni caso, i terzi titolari del diritto alla riservatezza sono soggetti contraddittori necessari nel procedimento amministrativo ovvero giurisdizionale, ex art. 25, c. 4, l. n. 241/1990. L’attuale approdo normativo è costituito dalla riformulazione degli artt. 22, 24 e 25 della l. n. 241/1990 da parte del legislatore del 2005. in riferimento al primo degli articoli citati, vengono definiti controinteressati «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». il nuovo art. 24, esclude dall’accesso i «documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi» che riguardino procedimenti selettivi (c. 1, lett. d)); la stessa norma, tra le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso che possono essere disciplinate dal regolamento governativo, prevede il caso in cui «i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono» (c. 1, lett. d)). La norma conclude con una serie di disposizioni che tentano di fare chiarezza nei rapporti tra accesso e riservatezza, “legificando” la disposizione già contenuta nell’art. 8 del previgente regolamento statale in materia d’acceso, d.P.r. 27 giugno 1993, n. 352, secondo cui «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici», ed aggiungendo che «nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». LeGiSLAzione eD AttuALità La nuova versione dell’art. 25 prevede, nell’ambito della tutela non giurisdizionale, una forma di coordinamento tra la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi e il Garante della privacy: «se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso». Come si vede, si tratta dell’inserimento di un parere obbligatorio ma non vincolante, peraltro acquisibile implicitamente con la fictio del silenzio-assenso. Le uniche differenze riguardano i termini assegnati alla Commissione per l’accesso (che ha quindici giorni di tempo per esprimere il suo parere, anziché i dieci assegnati al Garante) ed al Garante (la cui attesa del parere della Commissione interrompe il termine per la pronuncia, mentre il termine per definire il ricorso attivato presso la Commissione per l’accesso resta di trenta giorni). 3. Gli oneri per l’accesso ai fini di ricerca, visura e riproduzione degli atti. infine, una peculiare digressione in materia è opportuna in tema di oneri da pagare da parte del richiedente per l’accesso sotto forma di mera visura posto che la giurisprudenza è orientata ad affermarne la gratuità e stante riflessi in ordine ai diritti di ricerca sovente imposti a livello di enti locali minori. La disposizione dell’art. 25, l. n. 241/1990, pur non brillando sotto il profilo sintattico -posto che l’inciso, in funzione della costruzione della frase («il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo»), avrebbe richiesto l’uso della preposizione articolata «dei» (diritti di ricerca e visura) e non già dell’articolo determinativo «i» -è affatto chiara nel sancire l’assoluta gratuità dell’esame dei documenti. D’altro canto l’inciso «nonché i diritti di ricerca e visura» è contenuto nella suddetta proposizione, separata dall’altra, relativa all’esame dei documenti, da un segno d’interpunzione, un punto, che non consente di riferirne all’altra il contenuto. Al cospetto di un tenore letterale siffatto e privo di ogni equivocità non è consentito per la giurisprudenza, con un’operazione ermeneutica che si risolve in effetti in una vera e propria integrazione etero- testuale, tale da legare alla prima proposizione («L’esame dei documenti è gratuito ») una porzione della seconda («nonché i diritti di ricerca e visura»), sostenere che sia legittima la richiesta, anche per il solo esame della documentazione, dei cd. diritti di ricerca e visura. Peraltro, è evidente che l’amministrazione deve comunque sostenere, quali costi generali, il cui finanziamento ricade sulla fiscalità generale, le spese relative alla predisposizione di uffici e personale dedicati, tra l’altro, al riscontro delle istanze di accesso e non può pretendere di ripartirli pro-quota, nemmeno in forma forfetizzata, sui soggetti che esercitano l’accesso nella sola forma della visione, potendo, al limite esigere i diritti di ricerca e visura per i soli documenti di cui sia richiesta l’estra rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 zione di copia. una diversa opzione ermeneutica, in contrasto con la chiara lettera della disposizione, con i principi generali sull’interpretazione e con l’esigenza di non rendere gravoso l’esercizio del diritto di accesso nella forma della visione, di cui la legge stabilisce l’assoluta gratuità, finirebbe per comprimere in modo del tutto irragionevole e senza alcuna base normativa il diritto di accesso. ed in definitiva lo stesso esercizio di difesa giurisdizionale cui l’accesso sia finalizzato, onde non sarebbe comunque sostenibile in una chiave costituzionalmente orientata (5). Circa i costi di riproduzione, il regolamento statale in materia d’accesso ai documenti amministrativi, d.P.r. 12 aprile 2006, n. 184, rinvia alla potestà auto-organizzativa di ciascun ente, limitandosi a prevedere che i provvedimenti generali organizzatori di ogni amministrazione in materia d’accesso devono indicare l’ammontare dei diritti e delle spese da corrispondere per il rilascio di copie dei documenti di cui sia stata fatta richiesta, fatte salve le competenze del Ministero dell’economia e delle Finanze. in particolare, il dicastero de qua ha stabilito che solo per il rilascio di copie conformi all’originale sia dovuto il pagamento dell’imposta di bollo (6). in materia basti ricordare che, per le amministrazioni statali, si applica l’allegato 2 del decreto del Ministro dell’economia e delle Finanze del 5 gennaio 2012, n. 2571, per cui «il rilascio di copia di atti è subordinato al rimborso del costo di riproduzione mediante l’apposizione di marche da bollo (0,26 Euro per foglio fronte -retro) annullate con normale datario», disposizione che è stata ripresa anche da altre amministrazioni pubbliche, diverse dallo Stato, salvo differenti norme interne in forza della loro autonomia. tuttavia, e con particolare attenzione ad alcune discutibili prassi invalse negli enti locali minori, risulta opportuno sottolineare come il costo del diritto d’accesso non deve disincentivare l’utente. infatti, trattandosi di prestazioni imposte (per le quali opera la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.) la norma della l. 241/1990 avrebbe dovuto indicare anche un criterio di riferimento per la determinazione dei diritti. in mancanza, è certamente operante il principio generale di ragionevolezza e proporzionalità, in virtù del quale è certamente possibile contestare una eventuale fissazione che risulti eccessiva ed unicamente finalizzata a disincentivare gli accessi. Per esempio i casi di enti locali che, accanto al costo di riproduzione, esigono anche un elevato diritto fisso di ricerca del tutto svincolato dal numero e caratteristiche degli atti, di talché incongruo in presenza di limitata estrazione di copie. Peraltro, in punto di tutela, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha avuto modo di affermare che, l’eventuale lamentata eccessività dei costi di accesso, esula dalla propria competenza, in quanto non ine (5) CdS, sez. iv, ord. 14 aprile 2015, n. 1900. (6) Circolare Ministero dell’economia e delle Finanze, 28 luglio 1997, n. 213/S/uCoP/1997. LeGiSLAzione eD AttuALità rente il riconoscimento del diritto di accesso ma le modalità organizzative poste in essere dall’amministrazione per l’esercizio del diritto stesso (7), di fatto così escludendo un suo sindacato in un ambito che difficilmente potrebbe giungere alla decisione del Giudice amministrativo, stante gli inevitabili correlati non infimi costi di giustizia. Aspetto correlato è infine quello dei dinieghi strumentali, pretestuosi, in- conferenti e quindi con motivazioni manifestamente illegittime elevati da parte di enti locali facendo leva sulle carenze di risorse umane e strumentali del- l’amministrazione, più spesso un piccolo Comune. Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto anzitutto modo di pronunciarsi sull’eventualità che l’aggravio dell’attività d’ufficio in forza del ricevimento d’istanze d’accesso possa legittimare un diniego, anche per ragioni economiche, ovvero essere causa di responsabilità erariale per l’istante, scrutinando con rigore tale possibilità che in alcun modo può essere sussunta dall’amministrazione onde non corrispondere all’istanza d’accesso. Così, particolarmente, «l’esistenza di situazioni idonee ad escludere il rilascio di copie di un atto va valutata con particolare severità, evitando di mettere, a fondamento di un sostanziale diniego dell’accesso, dei meri profili di sostenibilità economica dei costi relativi; costi che peraltro sono comunque riversati sul soggetto richiedente, giusta l’art. 25, comma 1, della legge n. 241/1990» (8). Di talché i limiti organizzativi e di struttura non sono in alcun caso da considerare limiti oggettivi all’ostensione, come avvenuto nel concreto caso di accesso di soggetto privato ad elaborati grafici in materia urbanistico- edilizia non fotocopiabili dall’ente locale con mezzi propri. Da un lato per la impossibilità tecnica da parte del Comune di Dobbiaco di procedere alla copia delle planimetrie nel formato desiderato, stante la disponibilità di fotocopiatrici nei soli formati A3 ed A4; dall’altro, per l’esistenza di norma del regolamento comunale in materia d’accesso che impedisce l’asporto dei documenti dal luogo in cui essi sono dati in visione. 4. Una casistica di accesso e tutela in materia di atti urbanistico-edilizi. nell’atto dei provvedimenti degli enti locali relativi all’ambito urbanistico ed edilizio si registra un’ampia giurisprudenza a fronte di diniego d’accesso tipicamente formulato dal competente Comune, soggetto passivo del diritto d’accesso. La giurisprudenza ha anzitutto avuto modo di riconoscere l’accesso, stante la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, al proprietario di un terreno confinante con quello oggetto di lottizzazione onde acquisire copia dei relativi atti per ogni connessa tutela (9). (7) Decisione Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, 17 novembre 2016. (8) CdS, sez. iv, 10 aprile 2009, n. 2243. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 Parimenti, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha riconosciuto l’ostensione degli atti di accatastamento, variazione, nonché di ogni altra pratica catastale conservati presso l’Agenzia delle entrate-territorio da parte del soggetto proprietario adiacente onde verificare la conformità alle relative norme degli interventi ivi realizzati. infatti, la vicinitas, intesa come qualità di proprietario di unità immobiliare confinante con quella cui si riferisce la documentazione richiesta, radica in capo all’accedente un interesse diretto, concreto ed attuale (10). Similmente è stato anche riconosciuto l’accesso al soggetto che dimora in prossimità di una zona interessata da un insediamento produttivo, in quanto titolare di un interesse collegato alle condizioni dell’ambiente in cui vive e, quindi, rilevante per il suo benessere psicofisico (11). in materia di accesso agli atti di agibilità abitativa, secondo un recente indirizzo espresso dal Consiglio di Stato, è ammissibile e meritevole di tutela anche la domanda di accesso presentata dal proprietario dell’unità immobiliare soprastante tesa ad ottenere -ove esistente -copia del ridetto documento attinente l’unità sottostante, per la quale è stato autorizzato il cambio di destinazione d’uso (12). A sostegno dell’assunto, i Giudici amministrativi hanno osservato che il documento nella specie richiesto è espressamente previsto dalle vigenti disposizioni legislative recate dal testo unico sull’edilizia di cui al d.P.r. 6 agosto 2001, n. 380 (ma anche dalla normativa previgente al medesimo), che assoggetta a tale certificazione ogni organismo edilizio destinato ad un utilizzo che comporta la permanenza dell’uomo nelle strutture edilizie autorizzate, al fine di attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico (art. 24, c. 1, d.P.r. cit.). trattasi, perciò, di una certificazione assolutamente necessaria ai fini dell’uso legittimo e conforme dei locali per i quali viene assentita la realizzazione e la trasformazione; sicché della stessa certificazione è peraltro lecito e doveroso presumerne l’esistenza. Ciò posto, e traguardando la situazione del soggetto istante, il Collegio ha ritenuto che, in linea generale, la situazione sottesa alla domanda di accesso si configura come un vero e proprio diritto soggettivo meritevole di tutela quante volte la conoscenza degli atti oggetto della formulata richiesta, fatta eccezione per gli atti normativamente sottratti all’accesso, è strumentale all’esercizio di difesa dei propri interessi in sede giurisdizionale e/o in altra sede e comunque risulta rilevante ai fini del conseguimento da parte dell’interessato di un bene della vita (13). in ambito di patrimonio edilizio pubblico, un caso peculiare, risolto ne (9) tAr Lazio, roma, sez. i, 28 settembre 1992, n. 1182. (10) Decisione Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, 27 ottobre 2016. (11) CdS, sez. v, 21 ottobre 1998, n. 1529. (12) CdS, sez. iv, 9 febbraio 2012, n. 690. (13) Ex plurimis, CdS, sez. vi, 27 ottobre 2006, n. 6440. LeGiSLAzione eD AttuALità gativamente, attiene all’accesso ai documenti formati e detenuti dall’Agenzia territoriale per l’edilizia residenziale -ente strumentale comunale o regionale per la gestione del patrimonio abitativo destinato alle fasce deboli -, allorquando tale istanza sia elevata dall’occupante abusivo del medesimo immobile. i Giudici amministrativi hanno avuto modo di precisare che il soggetto detentore sine titulo non è titolare di una posizione giuridica che lo legittimi alla richiesta di accesso agli atti riguardanti l’immobile abusivamente occupato, quali nella disponibilità dell’Agenzia comunale per la gestione dell’edilizia residenziale (nel caso di specie l’A.t.e.r. del già Comune di roma, oggi roma Capitale). infatti, secondo il tAr capitolino, il soggetto istante «non gode di una posizione di diritto soggettivo rispetto all’immobile, considerato che una posizione del genere appartiene a chi è titolare di un contratto di locazione o è proprietario dell’immobile oppure si trova in una posizione di legame, giuridicamente riconosciuta, con chi è rispettivamente, conduttore o proprietario. Ma non gode nemmeno di una posizione di interesse legittimo, atteso che una posizione del genere, meno piena della precedente, può essere riconosciuta, comunque, a chi si trovi in un rapporto legittimamente instaurato con il bene del quale rivendica la tutela. La posizione del ricorrente è, al contrario, una posizione di mero fatto, in quanto l’immobile occupato non gli è stato attribuito sulla base di un titolo giuridicamente valido ma è stato da lui appreso abusivamente, senza che assuma rilievo la volontà manifestata, dal medesimo soggetto istante, di voler procedere alla regolarizzazione di un’indennità di occupazione, peraltro autonomamente fissata, in favore del proprietario » (14). Per suffragare ulteriormente il proprio orientamento, i Giudici richiamano un precedente penalistico di legittimità secondo cui «il carattere dell’indisponibilità giuridica che assiste gli alloggi dell’edilizia residenziale pubblica (erP), per cui gli stessi non possono formare oggetto di valida assegnazione in favore dei terzi se non nel rispetto dei modi e dei mezzi previsti a tale scopo dalla legge, influenza la posizione sostanziale dell’aspirante al godimento del bene immobile che non può efficacemente realizzarsi se non attraverso il rispetto delle norme di diritto sostanziale e strumentale che presidiano il procedimento di assegnazione degli alloggi» (15). Ciò posto, si osserva che nel caso in esame non vi è stata una valida procedura di assegnazione dell’alloggio occupato, sicché quest’ultimo non è in alcun modo legittimamente entrato nella sfera dell’accedente, se non in via di fatto: deve quindi dedursi che lo stesso istante non rivesta una posizione che lo legittimi a richiedere la documentazione in possesso dell’Agenzia territoriale per l’edilizia residenziale. infatti, basti ricordare che, secondo l’art. 22, c. 1, lett. b), della l. n. 241/1990, per «interessati» s’intendono tutti i soggetti privati, compresi (14) tAr Lazio, roma, sez. iii-quater, 22 marzo 2006, n. 2031. (15) Cass. pen., sez. ii, 13 maggio 1997. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2020 quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. nel caso in esame, appare perciò evidente e financo logico che tale situazione non sussiste per l’occupante abusivo di immobili pubblici. Ancora, in materia di edilizia pubblica si ricorda il riconoscimento della sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante all’accesso in capo al soggetto rimasto vittima di un incidente stradale a bordo di motociclo per la presenza di buca non visibile sul fondo della via comunale, circa l’ostensione degli atti relativi al contratto di manutenzione stradale, nonché a quelli relativi alla gara di appalto aggiudicata, onde esperire azioni giurisdizionali di tutela risarcitoria (16). Al contrario, è stata esclusa la legittimazione attiva per l’istanza di accesso presentata ad un ente locale da un’associazione privata di aziende di cartellonistica ed arredi pubblicitari onde ottenere copia dei documenti amministrativi relativi al monitoraggio ed al censimento di alcune strade provinciali nonché all’installazione di segnali stradali (17). inoltre, un particolare caso di accesso riguarda l’ostensione degli atti del procedimento di sanatoria edilizia ai soggetti interessati al medesimo, quali per esempio i proprietari confinanti alle aree ed alle opere sanate. Al riguardo, inoltre, si è posto anche il tema dell’eventuale differimento dell’accesso al termine del procedimento stesso. tuttavia, in un illuminante caso relativo all’accesso agli atti di un procedimento di condono edilizio di opere abusive su istanza del soggetto viciniore, cui l’amministrazione comunale aveva espressamente negato l’accesso motivando la pendenza del procedimento amministrativo, la giurisprudenza intervenuta in tema di differimento del diritto di accesso agli atti ha avuto modo di chiarire che «la possibilità di un differimento dell’accesso perché il procedimento è ancora in corso è in realtà solo incidentalmente prevista dalla disposizione» di cui all’art. 9, c. 2, d.P.r. n. 184/2006, lì dove, tra le possibili giustificazioni del ritardo, menziona quella di salvaguardare specifiche esigenze dell’amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti. Ma è del tutto evidente che «questa previsione normativa, lungi dall’introdurre e ammettere il preteso principio di inaccessibilità degli atti che si correlano ad un procedimento in itinere non ancora concluso; [...], ribadisce e riafferma il principio (opposto) stabilito dalla legge n. 241 del 1990, della normale accessibilità di tutti i documenti amministrativi, salve le motivate eccezioni», tra cui anche i casi di solo temporanea non accessibilità (differimento dell’accesso), «ma sempre che l’amministrazione dimo (16) tAr Campania, napoli, sez. v, 22 ottobre 2004, n. 15159. (17) tAr Puglia, Bari, sez. ii, 17 aprile 2009, n. 896. LeGiSLAzione eD AttuALità stri motivatamente, con specifico riferimento al singolo caso concreto, la necessità (non altrimenti realizzabile) di salvaguardare specifiche esigenze dell’amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa» (18). Per l’effetto, non appare possibile differire legittimamente al termine del procedimento l’accesso agli atti di una sanatoria edilizia pendente, posto che non sussistono ragionevoli esigenze amministrative che determinano un nocumento all’azione dell’ente interessato, come può essere tipicamente invece il caso dell’accesso agli atti di procedure concorsuali in corso di svolgimento. (18) tAr Campania, napoli, sez. v, 10 maggio 2007, n. 5870, nonché decisione del Difensore civico della regione Liguria, 1 marzo 2012. CONTRIBUTIDIDOTTRINA Il potere di autotutela tributaria (Riferimenti normativi: art. 2-quater, D.L. n. 564/1994 conv. dalla L. n. 656/1994; D.M. n. 37/1997 ) a cura di Gianni De Bellis* Com’è noto l’autotutela è un istituto che consente ad una pubblica Amministrazione di correggere i propri errori. Il legislatore ha concesso questo potere in quanto le p.a. hanno lo scopo di tutelare l’interesse pubblico, e proprio a tutela dell’interesse pubblico, oltre che al ripristino di una legalità violata, è pertanto finalizzato l’esercizio di tale potere. Tuttavia in campo tributario tale istituto assume caratteristiche peculiari, derivanti dal fatto che l’attività della p.a. (Amministrazione finanziaria) consiste nell’accertamento dei tributi nei confronti di tutti i soggetti (contribuenti) che secondo il legislatore devono “concorrere alle spese pubbliche” mediante il versamento delle imposte, come impone l’art. 53 Cost. Tale attività deve ritenersi non discrezionale, bensì vincolata ed infatti il rapporto d’imposta ha per oggetto diritti soggettivi e non interessi legittimi. A fronte del diritto dell’Amministrazione finanziaria ad esigere le imposte previste dalla legge, esiste il diritto del contribuente a non essere tenuto a corrispondere imposte maggiori di quelle al cui versamento è tenuto. L’autotutela tributaria può essere esercitata in favore della stessa p.a. (che (*) Vice Avvocato generale dello Stato. Costituisce il presente scritto, l’intervento dell’Autore in occasione del “Quinto laboratorio sul processo tributario” dedicato agli “Istituti deflattivi” tenutosi in Roma, 20 gennaio 2021, Corte Suprema di Cassazione, Aula Virtuale Teams. Le opinioni espresse nel presente lavoro rappresentano il pensiero dell’Autore e non necessariamente quello della Istituzione presso la quale presta servizio. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 provvede, ad esempio, ad annullare un proprio atto illegittimo per sostituirlo con altro atto privo di vizi) ovvero in favore del contribuente. In questa sede ci occuperemo soltanto di quest’ultima ipotesi, limitandoci ad evidenziare che mentre per l’autotutela a favore della p.a. il legislatore ha posto dei limiti (ad es. temporali, in quanto non è possibile la rinnovazione di un atto se nel frattempo è scaduto il termine di decadenza che la legge prevedeva), per l’autotutela a favore del contribuente non sono previsti limiti temporali, bensì di altra natura. In particolare, come si vedrà, l’autotutela richiesta a fronte di un atto definitivo è ammissibile non per meri vizi formali dell’atto (ormai consolidatisi con la sua mancata impugnazione), ma soltanto per vizi sostanziali, diretti cioè a far valere la mancanza dei presupposti alla base della pretesa tributaria. A differenza che negli altri settori della p.a., l’autotutela tributaria a favore del contribuente ha trovato storicamente difficoltà applicative; il motivo era evidente, in quanto l’annullamento di un atto impositivo definitivo (il cui credito magari era già stato pagato dal contribuente) provocava automaticamente un danno erariale, il che portava una assunzione di responsabilità non indifferente per il funzionario che decideva di adottare l’atto. A tale situazione ha posto fine il legislatore che, come vedremo, ha finalmente introdotto (dal 1994) una disciplina sufficientemente dettagliata (ed integrata anche dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria), che oggi consente l’esercizio di tale potere senza il rischio di una azione di responsabilità amministrativa da parte della Procura della Corte dei Conti (1). L’autotutela tributaria trova quindi il suo principale fondamento giuridico nell’art. 2 quater del D.L. 564/1994, il cui comma 1 prevede che “Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati”. In applicazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. n. 37/1997 il quale prevede -tra l’altro -all’art. 2 comma 1, che “L'Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia al- l'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione”. Non meno importante è infine la Circolare dell’allora Ministero delle Finanze 5 agosto 1998 n. 198, la quale ha cura di precisare che quando ne sussistono i presupposti (1) Invero una più scarna disciplina era contenuta già nell’art. 68 del D.P.R. n. 287/1992, in forza del quale “Salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell'Amministrazione finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell'atto”. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA “l'Ufficio procede all'annullamento: -anche se l'atto è divenuto ormai definitivo per avvenuto decorso dei termini per ricorrere; -anche se il ricorso è stato presentato ma respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di ordine formale (inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità, ecc.); - anche se vi è pendenza di giudizio; -anche se non è stata prodotta in tal senso alcuna istanza da parte del contribuente”. È importante chiarire che l’autotutela può atteggiarsi in modo diverso a seconda se intervenga in corso di giudizio ovvero riguardi un atto impositivo divenuto definitivo per omessa impugnazione. Nel primo caso l’autotutela potrà essere disposta (anche d’ufficio) per vizi di qualsiasi genere, sia formali che sostanziali. Nel secondo caso invece, i vizi formali non assumono più rilievo a causa della definitività dell’atto, mentre l’autotutela può essere disposta solo per “vizi sostanziali”, cioè per mancanza dei presupposti che legittimino la pretesa fiscale. A tale riguardo l’art. 1 comma 2 del citato D.M. 37/1997 ne fa un elenco indicativo: “a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell'imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione”. Come si vede, sono tutte ipotesi in cui il tributo non doveva essere richiesto. Le caratteristiche dell’autotutela tributaria sono tratteggiate nella sentenza n. 181/2017 della Corte Costituzionale, che ha precisato le analogie e le differenze rispetto alla storica autotutela che ogni p.a. può esercitare rispetto ai propri atti illegittimi. In particolare la Corte ha affermato che: a) l'autotutela tributaria conosce “una disciplina articolata e specifica, distinta da quella dell'autotutela amministrativa generale”; RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 b) secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, “l'autotutela tributaria -che non si discosta, in questo essenziale aspetto, dall'autotutela nel diritto amministrativo generale -costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente”; c) ed infine “Sul carattere non doveroso dell'autotutela tributaria, la ricostruzione della giurisprudenza della Cassazione fornita dal rimettente è dunque corretta: non esiste un dovere dell'amministrazione di pronunciarsi sull'istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d'altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 9 ottobre 2000, n. 13412), con la conseguenza che il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice”. Sulla base di tali presupposti la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità delle norme che disciplinano l’autotutela tributaria, sollevata dalla C.T.P. di Chieti sul presupposto che -secondo il diritto vivente -l’esercizio di tale potere non è obbligatorio, ma lasciato alla discrezionalità della p.a. Passiamo ora brevemente all’esame dei quesiti che erano stati formulati con il questionario e delle risposte ricevute (questionario specificatamente rivolto ai giudici tributari di merito e da questi compilato in base al proprio orientamento personale, n.d.r.). Scheda I - quesito 1 Il diniego di autotutela può essere impugnato davanti alle Commissioni Tributarie? a. sì sempre b. no, in quanto non è un atto impugnabile c. no, in quanto va impugnato davanti al Giudice Amministrativo Al primo quesito la grande maggioranza dei compilatori ha indicato la risposta a). In effetti questa è la posizione costante della giurisprudenza della Suprema Corte, la quale anche di recente ha ribadito che “il ricorso avverso il diniego di autotutela è certamente ammissibile”, anche se ha avuto cura subito dopo di precisare che tuttavia “il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria” (Cass. 18992/2019; nello stesso senso Cass. 23805/2020). CoNTRIbuTI DI DoTTRINA Scheda I - quesito 2 Il silenzio-rifiuto su una istanza di autotutela può essere impugnato davanti alle Commissioni Tributarie? a. sì sempre b. no, in quanto non è un atto impugnabile c. no, in quanto va impugnato davanti al Giudice Amministrativo Anche per questa domanda la risposta più votata è stata quella a). In effetti l’impugnabilità del silenzio rifiuto su istanza di autotutela è stata affermata da Cass. 20200/2020: “non è consentito al contribuente proporre ripetute istanze di autotutela avverso accertamenti tributari definitivi, e decidere quale impugnare innanzi al giudice, potendo essere proposto ricorso soltanto avverso il diniego espresso o tacito, a seguito della formazione del silenzio rifiuto, relativo alla prima istanza proposta, e soltanto invocando ragioni di interesse generale all'annullamento dell'accertamento definitivo, che si assume siano state trascurate dall'Amministrazione finanziaria". Ammettono l’impugnabilità del silenzio rifiuto anche Cass. 6030/2020, nonché 4989/2020 e 7616/2018 (v. però in senso contrario Cass. 7511/2016 secondo cui "in tema di contenzioso tributario, l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perchè, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo". A fronte di quello che appare un orientamento (della più recente giurisprudenza) ormai consolidato, vi è tuttavia l’affermazione della Corte Costituzionale (sentenza n. 181/2017 sopra citata) secondo cui “il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice” (2). Pur ammettendo tuttavia la più recente giurisprudenza l’impugnabilità del silenzio rifiuto, resta comunque la limitata utilità di un siffatto rimedio, dal momento che -secondo la consolidata posizione della Corte di Cassazione -non è possibile discutere del merito della pretesa, in quanto “il sindacato giurisdizionale sull'impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell'Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile (2) Per la verità la posizione della Corte Costituzionale appare essere più che altro ricognitiva della giurisprudenza della Corte di Cassazione, non ancora -com’è invece da ultimo -favorevole alla impugnazione anche del silenzio rifiuto di autotutela. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo" (Cass. 4989/2020, conforme a numerose altre pronunce). Scheda I - quesito 3 Il nuovo provvedimento emesso in via di autotutela dall'Amministrazione Finanziaria su istanza del contribuente può essere impugnato davanti alle Commissioni Tributarie? a. sì b. no c. no solo qualora l'atto precedente era già divenuto definitivo Anche in questo caso la risposta a) è stata la più votata. ed in effetti, una volta che l’Amministrazione si è determinata a pronunciarsi su di una istanza di autotutela non può che agire secondo legge e, se così non provvedesse, non potrà negarsi la possibilità al soggetto leso da tale nuovo provvedimento di impugnarlo in sede giurisdizionale. Ne consegue che -ad esempio -a fronte dell’accoglimento solo parziale di una istanza di autotutela, il contribuente potrebbe impugnare l’atto per dimostrare che l’accoglimento dell’istanza avrebbe dovuto essere integrale. Scheda I - quesito 4 Il giudicato di rigetto per motivi di rito di un ricorso avverso un atto impositivo è ostativo al successivo annullamento del medesimo atto in via di autotutela? a. sì b. no Al quesito n. 4 la risposta pressoché unanime dei compilatori è stata la b). In effetti è proprio l’art. 1 del D.M. 37/1997 a prevedere (al comma 2) che “Non si procede all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria”. e poiché l’autotutela su provvedimenti definitivi, come si è detto, può essere richiesta (e concessa) solo per motivi “sostanziali”, cioè di erronea tassazione, è evidente come una sentenza passata in giudicato che, ad esempio, abbia dichiarato il ricorso inammissibile -senza quindi pronunciarsi nel merito - non sia ostativa all’esercizio del potere di autotutela. A ben vedere però, la disposizione sopra citata afferma qualcosa in più. Nel momento in cui prevede che non si possa procedere in autotutela “per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole al- l'Amministrazione finanziaria”, in realtà la norma ammette l’autotutela anche quando vi sia stato un giudicato contrario (al contribuente) non di mero rito CoNTRIbuTI DI DoTTRINA ma sul merito; a condizione però che il motivo posto a base della richiesta di autotutela sia diverso da quelli formulati (e rigettati con sentenza definitiva) nel giudizio precedente. e quindi, per fare un esempio, a fronte di un giudicato che abbia ritenuto legittimo un avviso di accertamento impugnato solo per vizi formali (motivazione, mancato rispetto del contraddittorio, decadenza ecc.), ben potrebbe il contribuente chiedere l’annullamento dell’atto in autotutela dimostrando documentalmente l’esistenza dei costi che erano stati disconosciuti (sempreché tuttavia non si siano verificate decadenze ostative all’utilizzo dei documenti) (3). Si può dunque affermare che ai fini dell’esercizio del potere di autotutela tributaria il giudicato copre il solo “dedotto" e non anche il “deducibile” (come invece avviene in campo civile). CoNSIDeRAzIoNI CoNCLUSIve esaminando lo stato dell’arte in materia di autotutela tributaria, non si può fare a meno di notare che sussiste una singolare divergenza tra la disciplina normativa (primaria e secondaria) e la relativa prassi dell’Amministrazione finanziaria -decisamente orientate in favore del contribuente al fine di evitare ingiuste tassazioni -e la posizione della giurisprudenza (peraltro avallata dalla Corte Costituzionale) che appare invece molto restrittiva. In relazione alla prima, basti considerare il contenuto della “storica” Circolare 5 agosto 1998 n. 198 del Ministero delle Finanze (richiamata tutt’ora costantemente anche dall’Agenzia delle entrate) nella quale si afferma in modo netto: “Ai fini dell'esercizio concreto dell'autotutela, …. la legge non considera rilevante il comportamento (omissivo o non) tenuto dal contribuente o il tempo trascorso dall'emanazione dell'atto e neppure (salvo il caso di giudicato sostanziale) le eventuali vicende processuali cui l'atto sia andato incontro, ma solo l'esito del riesame svolto dall'ufficio che lo ha emanato; al quale è attribuito il solo e unico compito di verificare, in modo del tutto autonomo e indipendente da tali eventi o comportamenti, se l'atto è legittimo o meno. Se, a seguito di tale verifica, la pretesa tributaria risulta infondata in tutto o in parte, essa va ritirata ovvero opportunamente ridotta in modo da ristabilire un corretto rapporto con il contribuente, il quale non può essere chiamato al pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge. È appena il caso di soggiungere, a tale proposito, che l'annullamento del (3) Cfr. l’art. 32 comma 4 del D.P.R. n. 600/1973, secondo cui “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 l'atto travolge necessariamente ed automaticamente tutti gli altri atti ad esso consequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento determina automaticamente la nullità delle cartelle di pagamento emesse in base all'avviso stesso) e comporta l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse. Sarebbe infatti del tutto contraddittorio che l'amministrazione annullasse un atto in quanto lo riconosce illegittimo e infondato, e poi lasciasse che le procedure di riscossione proseguano indisturbate ovvero trattenesse le somme riscosse in forza di esso [..]. e se è vero, a stretto rigore, che l'ufficio ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l'atto viziato (mentre è certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l'ufficio eserciti tale potere), è tuttavia indubbio che l'ufficio stesso non possiede un potere discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o meno i propri errori. Infatti da un lato il mancato esercizio dell'autotutela nei confronti di un atto patentemente illegittimo, nel caso sia ancora aperto o comunque esperibile il giudizio, può portare alla condanna alle spese dell'amministrazione con conseguente danno erariale (la cui responsabilità potrebbe essere fatta ricadere sul dirigente responsabile del mancato annullamento dell'atto); dall'altro, essendo previsto che in caso di "grave inerzia" dell'ufficio che ha emanato l'atto può intervenire, in via sostitutiva, l'organo sovraordinato, è evidente che l'esercizio corretto e tempestivo dell'autotutela viene considerato dall'amministrazione non certo come una specie di "optional" che si può attuare o non attuare a propria discrezione ma come una componente del corretto comportamento dei dirigenti degli uffici e, quindi, come un elemento di valutazione della loro attività dal punto di vista disciplinare e professionale”. ebbene, a fronte di tale posizione dell’Amministrazione finanziaria -chiaramente orientata nel senso della obbligatorietà dell’autotutela, in presenza ovviamente dei relativi presupposti -la giurisprudenza è invece costante nel- l’affermare da un lato, che non esiste un obbligo di autotutela, che sarebbe invece sempre rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione (4); dall’altro che pur essendo consentito al contribuente adire il giudice tributario avverso il diniego espresso o tacito dell’autotutela, in tale sede si può discutere solo della legittimità del rifiuto e non anche della pretesa tributaria (pretesa la cui insussistenza tuttavia è proprio il presupposto che è alla base della richiesta di autotutela). In particolare, secondo la Corte di Cassazione “il sindacato giurisdizionale sull'impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annulla (4) Anche se la Corte di Cassazione fin da SS.uu. n. 16776/2005, ha affermato che la giurisdizione in tema di autotutela tributaria appartiene alla giurisdizione del giudice Tributario e non del giudice Amministrativo. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA mento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell'Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo" (Cass. 4989/2020, conforme a numerose altre). Ma quali dovrebbero essere le “ragioni di rilevante interesse generale” la cui presenza sola giustificherebbe un obbligo di autotutela? un soggetto che -ad esempio -ha omesso di impugnare un avviso di accertamento IVA e che richiede l’autotutela dimostrando di essere un lavoratore dipendente e che c’è stato un caso di omonimia, cosa altro dovrebbe dimostrare affinchè l’Amministrazione sia tenuta ad annullare il suo (insussistente) debito d’imposta? o ancora, a fronte di un avviso di accertamento non impugnato con cui un Comune richiede il pagamento di una IMu che era stata invece regolarmente pagata, quali “ragioni di rilevante interesse generale” il contribuente deve dimostrare per avere diritto all’annullamento dell’atto? In realtà quella “singolare divergenza” a cui ho sopra accennato, sembra trovare una giustificazione soltanto nel timore che un obbligo generalizzato di autotutela possa portare ad un incremento del contenzioso fiscale. Ciò emerge chiaramente dalla sentenza n. 181/2017 della Corte Costituzionale, che nel ritenere l’attuale normativa (come interpretata dalla giurisprudenza) compatibile con i principi costituzionali (in particolare con l’art. 53 Cost.) ha precisato: “Se questa Corte affermasse il dovere dell'amministrazione tributaria di pronunciarsi sull'istanza di autotutela, aprirebbe la porta (ammettendo l'esperibilità dell'azione contro il silenzio, con la conseguente affermazione del dovere dell'amministrazione di provvedere e l'eventuale impugnabilità dell'esito del procedimento che ne deriva) alla possibile messa in discussione dell'obbligo tributario consolidato a seguito dell'atto impositivo definitivo. L'autotutela finirebbe quindi per offrire una generalizzata "seconda possibilità" di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso contro lo stesso atto impositivo”. È vero che la stessa Corte ritiene che il legislatore potrebbe decidere diversamente: “La previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l'introduzione di limiti all'esercizio del potere di autoannullamento, ma non può certo dirsi costituzionalmente illegittima, per le ragioni sopra viste, una disciplina generale che escluda il dovere dell'amministrazione e, per quanto qui interessa, delle Agenzie fiscali di pronunciarsi sulle istanze di autotutela”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 Non è escluso però che alla previsione di una autotutela obbligatoria si possa già pervenire -senza dover attendere il legislatore -in via giurisprudenziale, tenuto conto del quadro normativo (e della inerente prassi dell’Amministrazione finanziaria) che risulta invero decisamente orientato in tal senso. Come spesso accade, non è da escludere che un mutamento di giurisprudenza potrà avvenire in presenza di casi limite, in cui la violazione del- l’art. 53 Cost. faccia emergere tutta la iniquità di un diniego (o mancato esercizio) di autotutela. Se poi si volesse inquadrare sistematicamente a livello concettuale l’obbligatorietà dell’autotutela (a favore del contribuente), si può sostenere che la sua posizione giuridica rispetto ad un atto impositivo è sia di interesse legittimo che di diritto soggettivo. Di interesse legittimo per quel che riguarda il rispetto dei requisiti formali dell’atto (sottoscrizione, motivazione, rispetto dei termini di decadenza ecc.). In conseguenza di ciò il contribuente nell’impugnare l’atto è vincolato al rispetto di un termine perentorio ed alla formulazione di precisi motivi di ricorso (con il conseguente consolidamento dei motivi non dedotti), mentre il giudicato di annullamento per tali vizi non preclude la reitera dell’atto da parte dell’Amministrazione (semprechè non siano decorsi termini di decadenza). In sostanza, è il meccanismo del giudizio di mera legittimità che si svolge davanti al g.A. e che in modo non dissimile opera nel giudizio tributario (dove sono al pari proponibili motivi aggiunti: art. 24 D.Lgs. n. 546/1992). Tuttavia rispetto al merito della pretesa tributaria la posizione giuridica del contribuente può ritenersi di diritto soggettivo (5). La conseguenza di tale natura si riflette nel giudizio tributario (che, come noto, è di tipo misto, cioè con cognizione di legittimità e di merito da parte del giudice) dove per far valere la inesistenza del proprio debito tributario non si è vincolati a precisi motivi di ricorso con l’indicazione specifica delle norme violate, con modalità quindi non dissimili (anche se non del tutto coincidenti) con le azioni a tutela dei propri diritti davanti al giudice ordinario. e, al pari nel giudizio civile, la sentenza che accolga il ricorso per motivi di merito è ostativa ad una reiterazione dell’atto impositivo da parte dell’Amministrazione (ancorchè non siano ancora scaduti i termini di decadenza). La natura di diritto soggettivo (come già rilevato, derivante direttamente dall’art. 53 Cost.) spiega allora la scelta del legislatore di consentire anche il superamento della definitività amministrativa, per imporre all’Amministrazione di non esercitare una pretesa fiscale priva di fondamento (affetta cioè da “vizi sostanziali”), ancorchè il contribuente non abbia proposto tempestivo ricorso. Quella definitività, per omessa impugnazione, impedisce di certo al contribuente (5) Ciò che è peraltro coerente con la natura vincolata dell’attività di accertamento dei tributi. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA di far valere eventuali vizi formali dell’atto (6), ma non gli vieta di richiedere (ed ottenere) un’autotutela che annulli un debito che non era mai esistito. Sempre la natura di diritto soggettivo consente di superare, come si è visto, anche un eventuale giudicato di rigetto della impugnazione dell’atto impositivo, con la sola limitazione della esistenza di un giudicato sostanziale sui medesimi motivi posti a base della richiesta di autotutela. In tali ipotesi infatti, l’esistenza di un diritto soggettivo è già stata negata da un giudice con sentenza definitiva e ciò esclude che l’Amministrazione debba (o possa) riconoscere il medesimo diritto. Tuttavia un limite all’esercizio dell’autotutela in favore del contribuente, potrebbe individuarsi nelle ipotesi di mutamento o incertezze della giurisprudenza. Non dovrebbe quindi ritenersi possibile richiedere l’annullamento di un atto impositivo non impugnato, nei casi in cui la pretesa fiscale sia infondata rispetto ad una giurisprudenza oscillante, ovvero non favorevole al contribuente nel momento in cui l’atto era stato emanato. Diversamente ogni mutamento (purtroppo non infrequente) della giurisprudenza apicale potrebbe dar luogo -questo sì -ad un incremento notevole del contenzioso. A tal fine potrebbe essere auspicabile l’introduzione di un termine espresso, analogo a quello (18 mesi) previsto nell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (7), per l’esercizio del potere di autotutela in favore del contribuente. (6) Ciò che dovrebbe far venir meno i timori di una proliferazione del contenzioso che, come noto, si fonda attualmente in modo prevalente su censure di legittimità formale dell’atto. un eventuale contenzioso sul diniego di autotutela invece, non potrebbe che riguardare il puro merito della pretesa. (7) L’art. 21-nonies al comma 1 prevede che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 I pubblici servizi Michele Gerardo* SoMMARIo: 1. Aspetti generali -2. Servizi pubblici essenziali -3. Servizi pubblici locali -4. Tipologia di servizi pubblici non economici. Servizi sanitari -5. Tipologia di servizi pubblici non economici. (segue) Servizi scolastici -6. Tipologia di servizi pubblici non economici. (segue) Servizi sociali -7. Tipologia di servizi pubblici economici. Gestione integrata dei rifiuti -8. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Servizio idrico integrato -9. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Trasporto pubblico locale. Trasporto aereo, marittimo e ferroviario -10. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Forniture elettriche -11. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Forniture di gas naturale -12. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Telecomunicazioni -13. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Servizio postale. Cenni - 14. Giurisdizione. 1. Aspetti generali. I pubblici servizi sono prestazioni materiali che vengono erogate al pubblico, ossia ad una collettività indeterminata di destinatari, secondo regole omogenee predeterminate, sussistendo un interesse pubblico costituito dallo scopo di soddisfare bisogni fondamentali della collettività (1). Il servizio consiste in una prestazione il cui oggetto consiste in un fare. Il fabbisogno del beneficiario del servizio viene realizzato mediante lo svolgimento di una attività materiale o immateriale; la prestazione dell’attività di servizi può comportare trasferimento di beni, ma quest’ultima evenienza integra un elemento secondario della fattispecie: centrale rimane la prestazione dell’attività, il facere del soggetto (2). La prestazione fondamentale di chi eroga il servizio è una operazione, una attività materiale o immateriale, a carattere non autoritario (3). I pubblici servizi vengono erogati: - dall’ente pubblico attributario dell’interesse pubblico -oppure, mediante atto unilaterale o convenzionale, da un altro soggetto che abbia determinati requisiti. L’ente pubblico attributario dell’interesse pubblico e/o l’autorità amministrativa indipendente competente, in questa evenienza, svolge una attività di vigilanza e di controllo. (*) Avvocato dello Stato. (1) Per un affresco generale: F. MeRuSI, Servizio pubblico, in Novissimo Digesto, vol. XVII, uTeT, 1970, pp. 215-221; S. CATTANeo, Servizi pubblici, in enc. del Diritto, vol. XLII, giuffré, 1990, pp. 355-374; g. DeLLA CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), in Il Diritto enciclopedia Giuridica, vol. XIV, Corriere della Sera Il Sole 24 ore, 2007, pp. 456-469. (2) L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, IV ed., Monduzzi, 2005, p. 154. (3) Per quest’ultimo aspetto: S. CATTANeo, Servizi pubblici, in enc. del Diritto, cit., p. 366. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA L’erogazione poi può avvenire in forma di impresa -e quindi almeno con copertura dei costi con i ricavi - o in forma sociale. Attesi i descritti caratteri le regole predeterminate sono almeno di rango legislativo, tenuto conto della riserva di legge ex art. 97, comma 2, Cost. La tipologia e le modalità di prestazione -direttamente o meno da parte dell’ente pubblico, in forma di impresa oppure in forma sociale -dei pubblici servizi dipende, quindi, da una scelta politica, veicolata nella legge espressione della volontà generale. uno Stato liberista potrà decidere di ridurre all’osso i pubblici servizi, limitandosi ad una mera regolazione e consentendo a privati la prestazione dei servizi. È l’esempio delle prestazioni sanitarie erogate negli uSA. uno Stato socialista amplierà il ventaglio delle prestazioni e, vieppiù, deciderà di erogarle direttamente. Da quanto descritto si evince che i caratteri dei pubblici servizi -come desunti dal sistema normativo (4) - sono i seguenti: a) Servizio qualificato dalla legge di pubblico interesse. Perché il servizio pubblico possa essere giuridicamente identificato è necessaria una previsione legislativa che lo contempli istituendolo e organizzandolo direttamente o rimettendo la relativa concreta istituzione, organizzazione o predisposizione all’Amministrazione pubblica. La legge deve comunque individuare l’Amministrazione titolare del servizio o l’Amministrazione cui compete l’organizzazione o la predisposizione del servizio stesso (5). La legge ascrive alla cura di uno o più individuati enti pubblici la prestazione del servizio, delineando altresì la disciplina, l’organizzazione della ma (4) In dottrina, nel tempo, si sono susseguite le concezioni soggettive ed oggettive per spiegare la vicenda. Per la concezione soggettiva -sviluppata agli inizi del ‘900 con la legge sulle c.d. municipalizzazioni (L. 29 marzo 1903, n. 103) -un servizio è pubblico allorché l’attività in cui esso si esplica sia riconducibile ad un ente pubblico, che lo dichiari tale in forza di un provvedimento legislativo o amministrativo, compiendo la scelta per la sua assunzione. Per la concezione oggettiva -sviluppata negli anni ’60 del ‘900 e valorizzante i dati somministrati dagli artt. 41, comma 3 e 43 Cost. -non è tanto il soggetto cui è affidata l’attività che si concretizza nel servizio, quanto la sua funzionalizzazione alla immediata e istituzionale soddisfazione dei bisogni collettivi e, in quanto tale, sottoposta ad una disciplina che garantisca il rispetto dei canoni fondamentali di eguaglianza, parità di trattamento, continuità e trasparenza. Per tali concezioni: F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, giappichelli, III edizione, 2014, pp. 634-643. Per L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 157 va accolta una nozione soggettiva del servizio pubblico, la quale “non deriva dalla natura del gestore (che può essere anche un privato), bensì: a) dalla imputabilità o titolarità del servizio all’Amministrazione pubblica, che ha assunto (istituito) il servizio o alla quale lo stesso è stato assegnato dal legislatore come compito da curare; b) dalle finalità alle quali il servizio risponde, perché se esse sono pertinenti alla soddisfazione di esigenze della collettività, emerge una corrispondenza biunivoca con i compiti dell’Amministrazione pubblica (posto il ruolo di essa nell’ordinamento); c) dalla presenza di un determinato tipo di organizzazione del servizio mirata ad assicurare specifiche modalità gestorie”. (5) L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., pp. 164-165. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 teria. In tal modo l’erogazione del servizio è per l’ente attributario un compito che deve essere pertanto, alle condizioni fissate dalla legge, doverosamente assunto e prestato. Il servizio, quindi, è uno dei compiti istituzionali dell’ente pubblico, connesso ad esigenze di benessere e di sviluppo socio-economico delle comunità rappresentate. Il carattere necessario di queste attività, senza il quale esse non sarebbero identificabili come servizi pubblici (o di interesse generale), comporta che esse debbano essere svolte in concreto, costantemente nel tempo, e senza soluzioni di continuità sul territorio; ossia, debbono avere una dimensione universale con riferimento ad un determinato contesto socio-territoriale e debbono essere accessibili in principio ad ogni consociato, rispettando il principio della parità di trattamento (universalità ed accessibilità delle attività di servizio pubblico) (6). b) Creazione di un ordinamento settoriale. Le attività di servizio pubblico si qualificano per il loro inserimento in un complesso organizzatorio di tipo pubblicistico prefigurato dalla legge e definito dall’amministrazione (7). La titolarità, la pertinenza istituzionale del servizio pubblico spetta alla P.A. La titolarità deriva dalla legge nelle ipotesi in cui tale fonte istituisca un servizio o ne preveda l’istituzione obbligatoria e lo affidi direttamente alla cura di una Amministrazione individuata; deriva, invece da un atto amministrativo qualora si tratti di un servizio pubblico che può essere facoltativamente assunto dalla Amministrazione interessata, ricorrendone i presupposti indicati dalla legge e secondo le forme di gestione tipizzate. In ordine all’affidamento della gestione si rileva che l’ente pubblico attributario dell’interesse pubblico della cura del servizio eroga le prestazioni o direttamente o indirettamente, a seconda delle previsioni legali. Direttamente mediante il proprio apparato amministrativo. Indirettamente mediante -soggetti controllati o legati da un nesso di strumentalità con il detto ente. Trattasi di soggetto (agenzie, aziende speciali, enti, società in house o controllate) “dedicato” alla missione di servizio pubblico, previsto nel modulo organizzatorio dell’Amministrazione titolare del servizio; - soggetti estranei all’ente pubblico. Tanto a mezzo di atto unilaterale (provvedimento di concessione od autorizzazione adottato dall’ente) o di atto convenzionale di diritto pubblico (come il contratto di servizio, in tema -ad esempio -di servizi pubblici locali (6) ex plurimis: V. CeRuLLI IReLLI, Lineamenti del diritto amministrativo, giappichelli, VI edizione, 2017, p. 234; e. CASeTTA, Manuale di diritto amministrativo, giuffré, XVI edizione, 2014, p. 639. (7) Conf. L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 147. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA a rilevanza economica (8) e di distribuzione del gas naturale) o ad evidenza pubblica (quale il contratto di concessione di servizi ex art. 3, comma 1, lett. vv, D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50) (9). L’atto convenzionale è lo strumento per disciplinare i rapporti tra amministrazione e soggetto esercente. L’ente pubblico attributario della cura del servizio dispone, in attuazione dei principi fissati dalla legge, di un potere regolatorio avente ad oggetto le tariffe al pubblico, la predeterminazione delle modalità del servizio con garanzia della parità di trattamento nei confronti degli utenti, controlli. L’esercente il pubblico servizio è sottoposto a peculiari regole, quali quelle sull’accesso ai documenti (art. 23 L. n. 241/1990). Nell’ipotesi della erogazione indiretta delle prestazioni la dottrina ha qualificato la fattispecie come ordinamento sezionale (10). A partire degli anni ’90 del secolo trascorso -per importanti settori di servizi -nella disciplina dell’ordinamento settoriale si sono inserite, in aggiunta all’ente attributario della cura del servizio, le autorità amministrative indipendenti, con un forte potere regolatorio. I compiti regolatori -dell’ente attributario della cura del servizio o delle autorità amministrative indipendenti - attengono alla disciplina: -dell’ingresso nel mercato. Sotto tale profilo, la regolazione serve, tra l’altro, a disciplinare l’accesso alle infrastrutture di rete, la loro interconnessione, l’accesso ai servizi forniti da altri operatori; -del servizio. Vengono in rilievo gli interventi diretti a determinare le condizioni economiche di offerta dei servizi (determinazione ex ante delle tariffe; controllo ex post della rispondenza dei prezzi ai costi effettivamente sostenuti), la pubblicità delle caratteristiche dei servizi offerti, la disciplina dei rapporti tra gli operatori; - della vigilanza sulla condotta degli operatori; (8) L’art. 113, comma 11, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 (TueL) enuncia: “I rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti”. (9) L’affidamento, nel caso di soggetti controllati o legati da un nesso di strumentalità con l’ente pubblico, per i principi generali in materia, può essere diretto senza dare luogo a procedure selettive. Invece, nel caso di soggetti estranei all’ente pubblico l’affidamento potrà avvenire all’esito di procedure selettive. (10) S. CATTANeo, Servizi pubblici, in enc. del Diritto, cit. p. 369: “Il meccanismo della imputazione del servizio pubblico a soggetti privati si fonda necessariamente sull’assoggettamento della loro attività ad uno speciale regime di diritto pubblico, che nella dottrina si è ritenuto potersi riconoscere nella configurazione dei cosiddetti ordinamenti sezionali, caratterizzati dall’esistenza di complessi di soggetti il cui agire è diretto e controllato attraverso poteri pubblici di governo del settore. Alla figura dell’ordinamento sezionale, oggetto di discussioni in dottrina, si è dato poi un significato ampio, tale da farne , cioè di quei programmi e controlli da determinarsi con legge, tramite l’art. 41 comma 3 cost. che prevede che l’attività economica pubblica o privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 - della erogazione dei servizi al pubblico; - della tutela dei fruitori del servizio (11). c) Tipologia del servizio pubblico: servizi a rilevanza non economica o servizi a rilevanza economica. Il modulo organizzatorio del servizio può essere, poi, non imprenditoriale (a rilevanza non economica o sociale) o imprenditoriale (a rilevanza economica). ossia: -erogazione con metodo non economico. L’attività di produzione del servizio non è imprenditoriale. L’ente attributario del servizio con proprie fonti provvede a coprire i costi del servizio per la parte non coperta dagli eventuali proventi degli utenti. L’erogazione con metodo non economico spesso si collega a prestazioni garantite dalla Costituzione, venendo in rilievo “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” almeno con riguardo ai livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.); -erogazione con metodo economico, con tendenziale copertura almeno dei costi con i ricavi. L’attività è quindi un’impresa, in un sistema nel quale vige il principio della libera concorrenza nel mercato di riferimento, con la potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. e) Cost. (“tutela della concorrenza” ). Viene in rilievo la nozione, unionistica ex art. 106 TFue (12), del servizio di interesse economico generale. Solo i servizi pubblici a rilevanza economica sono suscettibili di essere monopolizzati dai pubblici poteri. Difatti l’art. 43 Cost. menziona solamente le imprese come oggetto della riserva di determinate attività alla mano pubblica, laddove gli artt. 33, commi 1, 2 e 3, e 38, ultimo comma, Cost. escludono un monopolio pubblico per le prestazioni di servizi inerenti all’istruzione e all’assistenza, tipiche attività pertinenti alla sfera sociale (13). d) Principi in materia di servizi pubblici: -doverosità (arg. ex artt. 1679 e 2597 c.c.), continuità, universalità, parità di trattamento ed eguaglianza; -tipicità dei modelli di gestione. La tipicità dell’organizzazione dei servizi (11) Per tali aspetti: g. DeLLA CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), cit., pp. 463-466. (12) “1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi del- l'Unione. 3. La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni”. (13) Si rileva in dottrina che la Costituzione, con riguardo ai servizi a rilevanza sociale “abbina due scelte di fondo: la libertà dei privati e la necessaria presenza, accanto ad essi, di istituzioni pubbliche”: g. DeLLA CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), cit., p. 460. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA pubblici sta a significare che essi possono essere predisposti dalla P.A. nelle sole forme individuate dalla legge -in virtù dell’applicazione dell’art. 97, comma 2, Cost. -a tal fine. Il principio di tipicità evoca altresì quello dell’adeguatezza, che impone la scelta -discrezionale -del modello di gestione più appropriato in relazione alla situazione di fatto ed agli obiettivi che si intendono conseguire; -economicità (arg. ex art. 114, comma 4, D.L.vo n. 267/2000, secondo cui “L'azienda e l'istituzione conformano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo dell'equilibrio economico, considerando anche i proventi derivanti dai trasferimenti, fermo restando, per l'istituzione, l'obbligo del pareggio finanziario”); - accessibilità; -qualità, tutela e partecipazione. A tal fine l’art. 11, commi 1 e 2, D.L.vo 30 luglio 1999, n. 286 -iterato con l’art. 101 D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206 -prescrive: “1. I servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. 2. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi [le quali esplicitano i caratteri dei servizi offerti al pubblico], i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri. Per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e coordinamento adottati d'intesa con la conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”. e) Principi in materia di servizi a rilevanza economica: rispetto della libertà di concorrenza; separazione tra gestione della rete e gestione del servizio. opera il principio, di fonte europea, che le attività di servizio pubblico, laddove organizzate in forma di impresa (servizi di interesse economico generale: art. 106 TFue), debbano essere esercitate da soggetti imprenditoriali, anche pubblici, in concorrenza tra loro: esercitati quindi da una pluralità di imprese che contendono tra loro nell’ambito del mercato. ove affidati a privati occorre rispettare procedure concorsuali, salvo il ricorso alle società in house sussistenti i presupposti di legge. L’entrata nel settore è tendenzialmente libera. Vi è una specifica normativa (artt. 101 e ss. TFue; L. 10 ottobre 1990, n. 287) e appositi soggetti (Commissione europea e Autorità garante della concorrenza e del mercato) in RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 funzione della effettività del gioco della concorrenza. Strumentale alla libertà di concorrenza è poi la libertà di circolazione dei servizi (artt. 56-62 TFue). Le imprese sono soggette tuttavia agli obblighi di servizio pubblico imposti dall’autorità, attraverso l’attività di regolazione. In questi settori l’attività delle pubbliche Amministrazioni si riduce all’esercizio di poteri di regolazione, oltre che a quelli di controllo. Attraverso l’attività di regolazione, alle imprese esercenti il servizio vengono imposti obblighi di servizio pubblico, secondo la terminologia europea (ad es. art. 2 Regolamento Ce n.1370/2007 del 23 ottobre 2007 in materia di trasporti), intesi come quelli che l’impresa “ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni”. essi comprendono vari obblighi relativi all’espletamento del servizio nonché quelli di carattere tariffario. Tra essi il c.d. obbligo di servizio universale, inteso come quello di prestare un determinato servizio su tutto il territorio nazionale, a prezzi accessibili, e a condizioni qualitative simili indipendentemente dalla redditività delle singole operazioni (14). Allorché viene in rilievo un servizio pubblico economico è prevista la regola, di provenienza unionistica (15), della separazione tra gestione della rete -ossia l’infrastruttura mediante la quale è possibile esercitare il servizio -e gestione del servizio. Ciò per una efficiente resa del servizio nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Si richiede, quindi, che l’operatore che gestisce la rete sia diverso dall’operatore che gestisce il servizio. A fronte dell’unico gestore della rete, vi potranno essere più soggetti che erogano il servizio. Ad esempio, la rete ferroviaria è l’insieme dei binari e loro pertinenze (ponti, gallerie, stazioni, depositi, ecc.). Il gestore della rete può essere il proprietario, pubblico o privato che sia. ove il proprietario sia lo Stato, la rete avrà la qualità di demanio accidentale (art. 822, comma 2, c.c.). Il proprietario potrà gestire direttamente la rete oppure affidarne la gestione ad un terzo. La gestione della rete implica l’attività di manutenzione ordinaria e straordinaria. Separata dalla gestione della rete è la gestione del servizio ferroviario. Il gestore del servizio deve essere diverso dal gestore della rete. Vi potranno essere più gestori del servizio, i quali potranno usare la rete ferroviaria con le modalità concordate con il gestore della rete e/o con l’autorità regolatoria del settore, ad esempio per le tratte e gli orari. (14) Su tali aspetti ex plurimis: V. CeRuLLI IReLLI, Lineamenti del diritto amministrativo, cit., p. 236. (15) Ad es.: direttiva 2012/34/ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA f) Natura giuridica degli atti esplicativi del pubblico servizio. La prestazione del servizio, come innanzi esposto, consiste in una operazione (l’erogazione materiale dell’energia elettrica, l’attività di trasporto, la visita medica, ecc.). Nella vicenda sono presenti anche atti amministrativi, specie a livello di organizzazione della prestazione. È il caso, ad esempio, del piano sanitario nazionale. All’uopo si rileva in dottrina che il servizio pubblico è, in sostanza, un modello più o meno composito di attività amministrativa, distinguibile soprattutto per i connotati organizzativi (16). g) Prestazione del servizio alla generalità degli utenti. I beneficiari del servizio sono una data collettività -gli amministrati -indeterminabile a priori (17). Difettando tale carattere non ricorre un pubblico servizio; a tale stregua, ad esempio, non è un pubblico servizio l’attività di produzione e di distribuzione dei farmaci svolta dalle case farmaceutiche a favore solo di strutture ospedaliere e farmaceutiche (18). La situazione giuridica soggettiva al godimento del servizio -ossia: alla fruizione mediante la stipula di un contratto di utenza pubblica o l’adozione di un provvedimento di ammissione o una organizzazione amministrativa vincolativamente disegnata dalla legge -dipende dalla configurazione normativa, specie costituzionale: potrà essere di diritto soggettivo o di interesse legittimo. A tale stregua, e ad esempio, vi è un diritto soggettivo all’assistenza sanitaria (art. 32 Cost.) all’istruzione scolastica (art. 34 Cost.), all’assistenza sociale (art. 38 Cost.) e, in generale, ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” ex art. 117, comma 2, lett. m, Cost. L’art. 2 D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206 -rubricato “Diritti dei consumatori” - prescrive: “1. Sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni. 2. Ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti: a) alla tutela della salute; b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; c-bis) all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, (16) L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 146. (17) Conf. L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 147. (18) Conf. Cass. civ. S.u., 30 marzo 2000, n. 71. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 correttezza e lealtà; d) all'educazione al consumo; e) alla correttezza, alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali; f) alla promozione e allo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; g) all'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”. Nella individuazione della qualità delle prestazioni sono rilevanti: - gli atti di regolazione delle Authority -e le c.d. carte dei servizi pubblici adottate dal gestore, con le quali questi assume -in esecuzione di precetti legali -unilateralmente una serie di obbligazioni volte a garantire determinati livelli di qualità. Controversa è la natura giuridica della carta dei servizi pubblici. Secondo un primo orientamento, la carta si sostanzierebbe in un insieme di clausole unilateralmente predisposte dal gestore sulla base di schemi normativi e che, in base al meccanismo di cui all’art. 1339 c.c., andrebbero ad integrare il contenuto del contratto di utenza. Seguendo, invece, un’altra tesi, questo stesso processo di integrazione andrebbe piuttosto ricondotto allo schema predisposto dall’art. 1374 c.c. In quest’ultima ipotesi, quindi, la disciplina del rapporto contrattuale tra utente e gestore sarebbe quella risultante dalle condizioni generali di contratto -ove la fonte del rapporto sia un contratto -e dal contenuto della carta dei servizi, escludendo, però, l’operatività del meccanismo di sostituzione tra clausole previsto dall’art. 1339 c.c. (19). giusta l’art. 8, comma 1, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. L. 24 marzo 2012, n. 27, le carte di servizio, nel definire gli obblighi cui sono tenuti i gestori dei servizi pubblici, anche locali, o di un'infrastruttura necessaria per l'esercizio di attività di impresa o per l'esercizio di un diritto della persona costituzionalmente garantito, indicano in modo specifico i diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell'infrastruttura. Allorché la consistenza della pretesa alla prestazione sia di diritto soggettivo, la fruizione in concreto della stessa dipende dalla sussistenza di risorse finanziarie, tenuto anche conto delle regole sull’equilibrio del bilancio (artt. 81, 97 e 119 Cost.). Le prestazioni possono essere rese -indistintamente a tutti gli interessati, c.d. servizi indivisibili (si pensi al servizio radiotelevisivo). In questo caso non si instaura alcun rapporto giuridico specifico tra l’erogatore e il fruitore del servizio, ma le prestazioni sono rese a tutti gli utenti in virtù di legge: chiunque sia interessato può beneficiarne in quanto soggetto dell’ordinamento (uti civis). Il finanziamento dell’attività avviene per lo più in via indiretta, mediante le entrate tributarie non esattamente commisurate all’uso effettivo del servizio; (19) Su tali orientamenti: F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., p. 667. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA -ovvero ai singoli utenti che ne facciano richiesta, c.d. servizi divisibili o a domanda individuale (gas, energia e così via). Sussiste, qui, un rapporto giuridico specifico tra l’erogatore e l’utente, costituito su iniziativa di quest’ultimo: chi intende fruire del servizio deve attivarsi individualmente (uti singulus) al fine di ottenere, verso un corrispettivo, la prestazione desiderata, con conseguente stipula di contratto di utenza. Rientra in questa categoria la maggior parte dei servizi di carattere industriale e commerciale resi da Amministrazioni ed enti pubblici ovvero in regime di concessione: dalle poste alle telecomunicazioni, dai trasporti ai servizi a rete (20). Il servizio, per tutti gli utenti ovvero per alcune fasce di utenti, potrà essere erogato gratis o con pagamento di un prezzo che copra totalmente o parzialmente i costi. La fonte del rapporto può essere costituita da un contratto stipulato tra erogatore del servizio ed utente (ove vi sia un pagamento, questo integrerà il corrispettivo) oppure dalla legge o da un atto amministrativo -provvedimento di ammissione -in base alla legge (ove vi sia un pagamento, questo integrerà un tributo, e in specie una tassa). una volta stipulato il contratto o adottato il provvedimento di ammissione sorge un diritto soggettivo in capo all’utente, con la conseguenza che l’inadempimento del gestore, pubblico o privato, origina responsabilità contrattuale. Il contratto, c.d. contratto di utenza, fonte del rapporto, di solito, rientra in quelli per adesione, con applicazione della conseguente disciplina ex artt. 1341-1342 c.c. Attesi i principi in materia di servizio pubblico -dei quali vi è conferma negli artt. 2597 e 1679 c.c. -in capo al gestore vi è l’obbligo di contrarre, con divieto di discriminazione. una volta sorta l’obbligazione, essa è in generale retta dal diritto comune, salvo le deroghe legali specie con riguardo alla integrazione del contenuto del contratto di utenza in virtù degli atti di regolazione delle Authority e delle c.d. carte dei servizi pubblici. Ai sensi dell’art. 101, commi 2 e 3, D.L.vo n. 206/2005 il rapporto di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici ed agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi. Tutela dei fruitori del servizio. A tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei fruitori del servizio vi sono rimedi stragiudiziali e giudiziali. Tra i primi le singole normative di settore prevedono i reclami e procedure (20) ex plurimis: L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI MoNACo, F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 166. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 di conciliazione e arbitrato. Tra i secondi vi è il ricorso all’autorità giurisdizionale. Nozione penalistica di persona incaricata di un pubblico servizio. Infine si rileva che nel delineare i caratteri dei pubblici servizi alcun contributo può essere fornito dalla nozione della persona incaricata di un pubblico servizio di cui all’art. 358 c.p. (21), valendo essa nozione esclusivamente “Agli effetti della legge penale”. 2. Servizi pubblici essenziali. Nell’ordinamento giuridico vi è la categoria dei servizi pubblici essenziali, alla quale è collegata una diversificata disciplina. La Costituzione all’art. 43 (22) menziona i servizi pubblici essenziali -a carattere imprenditoriale, a rilevanza economica -che abbiano carattere di preminente interesse generale al fine di consentire una riserva di esercizio in capo allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, con esclusione della libertà di iniziativa economica attesa la chiusura del mercato. I servizi pubblici essenziali sono presi pure in considerazione dalla L. 16 giugno 1990, n. 146, attuativa di particolari aspetti dell’art. 40 Cost. con riguardo a limiti all’esercizio diritto di sciopero, ove, al primo comma dell’art. 1, si enuncia che “sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione”. 3. Servizi pubblici locali. La materia dei servizi pubblici locali spetta alla potestà legislativa residuale delle Regioni (art. 117, comma 4, Cost.), salve le interferenze delle materie trasversali (art. 117, comma 2, lett. e, Cost. sulla tutela della concorrenza legittimante la disciplina nazionale relativa alle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; art. 117, comma 2, lett. l, Cost. sull’ordinamento civile interferente sulle tariffe dei servizi pubblici (21) “Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”. (22) “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA locali; art. 117, comma 2, lett. s, Cost. sulla tutela dell’ambiente intersecante il servizio idrico integrato e la gestione dei rifiuti) e della chiamata in sussidiarietà (23). La gestione dei servizi pubblici locali spetta agli enti locali. L’art. 112 D.L.vo n. 267/2000 dispone che “1. Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. 3. Ai servizi pubblici locali si applica il capo III del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, relativo alla qualità dei servizi pubblici locali e carte dei servizi”. Il Consiglio dell’ente locale ha la competenza in materia di organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione (art. 42, comma 2, lett. e, D.L.vo n. 267/2000). Quanto alla provvista per l’erogazione dei servizi i principi sono fissati dall’art. 149, commi 7 ed 8, D.L.vo n. 267/2000 secondo cui -le entrate fiscali finanziano i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità ed integrano la contribuzione erariale per l'erogazione dei servizi pubblici indispensabili; -a ciascun ente locale spettano le tasse, i diritti, le tariffe e i corrispettivi sui servizi di propria competenza. gli enti locali determinano per i servizi pubblici tariffe o corrispettivi a carico degli utenti, anche in modo non generalizzato. Lo Stato e le regioni, qualora prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e delle province ovvero fissino prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione, debbono garantire agli enti locali risorse finanziarie compensative (24). I servizi pubblici locali si suddividono in servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica (25). Gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. La gestione delle reti (art. 113 D.L.vo n. 267/2000). L’ente locale, in base alla valutazione comparativa di tutti gli interessi (23) g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA (a cura di), Le materie di competenza regionale. Commentario, edizioni Scientifiche italiane, 2015, pp. 515, 517-521. (24) L’art. 3 D.L. 22 dicembre 1981, n. 786, conv. L. 26 febbraio 1982, n. 51 enuncia: “Per i servizi pubblici a domanda individuale, le province, i comuni, i loro consorzi e le comunità montane sono tenuti a richiedere la contribuzione degli utenti, anche a carattere non generalizzato. […] Fanno eccezione i servizi gratuiti per legge, i servizi finalizzati all'inserimento sociale dei portatori di handicaps, quelli per i quali le vigenti norme prevedono la corresponsione di tasse, di diritti o di prezzi amministrati ed i servizi di trasporto pubblico”. (25) Sulla problematica: g. gAMbARDeLLA, I servizi pubblici locali con particolare riferimento al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, in Rass. Avv. Stato, 2015, 4, pp. 175-230. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 pubblici e privati coinvolti, sceglie, discrezionalmente, la modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali reputata più idonea alle sue esigenze. L’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. L. 17 dicembre 2012, n. 221 prescrive: “Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet del- l'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”. All’uopo i servizi pubblici locali di rilevanza economica sono gestiti mediante a) affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano (società in house); b) procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione del gestore; c) affidamento a società mista all’esito di gara a doppio oggetto (per l’individuazione del socio ed il contestuale affidamento del servizio). Dal punto di vista organizzativo, l’art. 3 bis, comma 1, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, conv. L. 14 settembre 2011, n. 148 prescrive che a tutela della concorrenza e dell'ambiente, le regioni e le province autonome di Trento e di bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio e che la dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale (26). I rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti (27). (26) Il comma 1 bis precisa che “Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56”. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA L'ente locale può cedere in tutto o in parte la propria partecipazione nelle società erogatrici di servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento. Tale cessione non comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere. Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica può essere separata da quella di erogazione degli stessi. È in ogni caso, garantito l'accesso alle reti a tutti i soggetti legittimati all'erogazione dei relativi servizi. Qualora sia separata dall'attività di erogazione dei servizi, per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali gli enti locali, anche in forma associata, si avvalgono: a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano; b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica. In ogni caso in cui la gestione della rete, separata o integrata con l'erogazione dei servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza pubblica, i soggetti gestori provvedono all'esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione (27) L’art. 2, comma 461, L. 24 dicembre 2007, n. 244 precisa: “Al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l'universalità e l'economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula dei contratti di servizio gli enti locali sono tenuti ad applicare le seguenti disposizioni: a) previsione dell'obbligo per il soggetto gestore di emanare una "Carta della qualità dei servizi", da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, recante gli standard di qualità e di quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell'utenza, in forma specifica o mediante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza; b) consultazione obbligatoria delle associazioni dei consumatori; c) previsione che sia periodicamente verificata, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori, l'adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del servizio erogato fissati nel contratto di servizio alle esigenze dell'utenza cui il servizio stesso si rivolge, ferma restando la possibilità per ogni singolo cittadino di presentare osservazioni e proposte in merito; d) previsione di un sistema di monitoraggio permanente del rispetto dei parametri fissati nel contratto di servizio e di quanto stabilito nelle Carte della qualità dei servizi, svolto sotto la diretta responsabilità dell'ente locale o dell'ambito territoriale ottimale, con la partecipazione delle associazioni dei consumatori ed aperto alla ricezione di osservazioni e proposte da parte di ogni singolo cittadino che può rivolgersi, allo scopo, sia all'ente locale, sia ai gestori dei servizi, sia alle associazioni dei consumatori; e) istituzione di una sessione annuale di verifica del funzionamento dei servizi tra ente locale, gestori dei servizi ed associazioni dei consumatori nella quale si dia conto dei reclami, nonché delle proposte ed osservazioni pervenute a ciascuno dei soggetti partecipanti da parte dei cittadini; f) previsione che le attività di cui alle lettere b), c) e d) siano finanziate con un prelievo a carico dei soggetti gestori del servizio, predeterminato nel contratto di servizio per l'intera durata del contratto stesso”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 della rete esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, aggiudicati a seguito di procedure di evidenza pubblica, ovvero in economia. Qualora la gestione della rete, separata o integrata con la gestione dei servizi, sia stata affidata con procedure di gara, il soggetto gestore può realizzare direttamente i lavori connessi alla gestione della rete, purché qualificato ai sensi della normativa vigente e purché la gara espletata abbia avuto ad oggetto sia la gestione del servizio relativo alla rete, sia l'esecuzione dei lavori connessi. Qualora, invece, la gara abbia avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del servizio relativo alla rete, il gestore deve appaltare i lavori a terzi con le procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente. In ordine alla rete è prescritto che gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, salva la possibilità di conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile. Tali società pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società suddetta gli enti locali possono anche assegnare -qualora sia separata la gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi -la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare per l’erogazione del servizio. Alla scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla successiva gara di affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle società conferitarie sono assegnati al nuovo gestore. È vietata ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio. gli utenti del servizio pagano un corrispettivo denominato tariffa. La disciplina della tariffe dei servizi è contenuta nell’art. 117 D.L.vo n. 267/2000. Viene stabilito che gli enti interessati approvano le tariffe dei servizi pubblici in misura tale da assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione. I criteri per il calcolo della tariffa relativa ai servizi stessi sono: a) la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare la integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico-finanziario; b) l'equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito; c) l'entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio; d) l'adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato. La tariffa costituisce il corrispettivo dei servizi pubblici; essa è determi CoNTRIbuTI DI DoTTRINA nata e adeguata ogni anno dai soggetti proprietari, attraverso contratti di programma di durata poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli organizzativi prescelti. Qualora i servizi siano gestiti da soggetti diversi dall'ente pubblico per effetto di particolari convenzioni e concessioni dell'ente o per effetto del modello organizzativo di società mista, la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce i servizi pubblici. Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (art. 113 bis D.L.vo n. 267/2000). I servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a: a) istituzioni; b) aziende speciali, anche consortili; c) società in house. È consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti sopraindicati. gli enti locali possono procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate. 4. Tipologia di servizi pubblici non economici. Servizi sanitari. Si passeranno in rassegna le principali ipotesi di servizi pubblici non economici. Settore importantissimo è quello dei servizi sanitari (28), atteso che lo stesso è la principale delle voci di spesa pubblica. Tanto al fine di attuare l’art. 32, comma 1, Cost. secondo cui “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La materia della “tutela della salute” rientra in quelle di legislazione concorrente ex art. 117, comma 3, Cost. (29). Sicché la normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle regioni la regolamentazione di dettaglio, trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze (30). a) La disciplina della materia si rinviene, fondamentalmente, nella L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, e nella L. 30 dicembre 1992, n. 502. L’art. 1, comma 1, della L. n. 833/1978 enuncia che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale”. Dispo( 28) V. MoLASChI, Sanità, in Il Diritto enciclopedia Giuridica, vol. XIV, Corriere della Sera Il Sole 24 ore, 2007, pp. 30-40. (29) g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA (a cura di), Le materie di competenza regionale. Commentario, cit., pp. 583-593. (30) Conf. Corte Cost., 26 gennaio 2005, n. 30. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 sizione analoga si ha con l’art. 1, comma 1, D.L.vo n. 502/1992. La legislazione di dettaglio è contenuta nelle varie leggi regionali. Va precisato che i principi fondamentali fissati dal legislatore statale contenuti, in buona parte nel sopracitato decreto legislativo n. 502/1992 -sono di estremo dettaglio, lasciando “un margine molto esiguo, per non dire inesistente, all’attuazione regionale” (31), con il dubbio del mancato rispetto degli ambiti competenziali fissati dall’art. 117, comma 3 della Costituzione. emblematico in tal senso è il D.L.vo 4 agosto 2016, n. 171 in materia di dirigenza sanitaria, contenente varie norme con una eccessiva procedimentalizzazione, la quale, intuitivamente, si presenta incompatibile con la fissazione di un principio fondamentale della materia, appartenendo -per sua stessa natura -all’ambito della disciplina meramente attuativa rientrante nella sfera di competenza legislativa concorrente delle regioni (32). b) ordinamento settoriale. L’ente pubblico attributario della cura del servizio è la Regione, nell’ambito dei principi fondamentali delineati dallo Stato. Ciò è enunciato -iterando quanto già previsto dall’art. 11 L. n. 833/1978 nell’art. 2, comma 1, D.L.vo n. 502/1992: “Spettano alle regioni e alle province autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera”. Invece, giusta l’art. 3 della L. n. 833/1978 “Lo Stato, nell'ambito della programmazione economica nazionale, determina, con il concorso delle regioni, gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale. La legge dello Stato, […] , fissa i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini”. Per lo Stato l’articolazione competente in materia è il Ministero della Salute. Il quadro programmatorio viene stabilito con il Piano sanitario nazionale. L’art. 53 L. n. 833/1978 statuisce: “Le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali del servizio sanitario nazionale sono stabilite con il piano sanitario nazionale in conformità agli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e tenuta presente l'esigenza di superare le condizioni di arretratezza socio-sanitaria che esistono nel Paese, particolarmente nelle regioni meridionali. Il piano sanitario nazionale viene predisposto dal Governo su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale. Il piano sanitario nazionale è sottoposto dal Governo al Parlamento ai fini della sua approvazione con atto non legislativo […] Il piano sanitario nazionale ha di norma durata triennale e può essere modificato nel corso del triennio con il rispetto delle modalità di cui al pre (31) Così: A. PIoggIA, Le nomine dei vertici della sanità, in Giornale Dir. amm., 2016, 6, 733. (32) Sul punto: M. geRARDo, Il direttore generale degli enti del Servizio Sanitario. Compiti, natura giuridica del rapporto e relative vicende, in Rass. Avv. Stato, 2018, 2, pp. 180-181. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA sente articolo […] Le regioni predispongono e approvano i propri piani sanitari regionali entro il successivo mese di novembre”. giusta il comma 10 del- l’art. 1, D.L.vo n. 502/1992 il Piano sanitario nazionale, tra l’altro, indica: a) le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali nei confronti della salute; b) i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del Piano; c) la quota capitaria di finanziamento per ciascun anno di validità del Piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza; d) gli indirizzi finalizzati a orientare il Servizio sanitario nazionale verso il miglioramento continuo della qualità dell'assistenza, anche attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale; […] h) le linee guida e i relativi percorsi diagnostico- terapeutici allo scopo di favorire, all'interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza; i) i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti”. A cascata, rispetto al Piano sanitario nazionale, le regioni provvedono al- l'attuazione del servizio sanitario nazionale in base ai piani sanitari triennali, coincidenti con il triennio del piano sanitario nazionale, finalizzati alla eliminazione degli squilibri esistenti nei servizi e nelle prestazioni nel territorio regionale. I piani sanitari triennali delle regioni, che devono uniformarsi ai contenuti ed agli indirizzi del piano sanitario nazionale, sono predisposti dalla giunta regionale, secondo la procedura prevista nei rispettivi statuti per quanto attiene alla consultazione degli enti locali e delle altre istituzioni ed organizzazioni interessate. I piani sanitari triennali delle regioni sono approvati con legge regionale almeno 120 giorni prima della scadenza di ogni triennio. Ai contenuti ed agli indirizzi del piano regionale debbono uniformarsi gli atti e provvedimenti emanati dalle regioni (art. 55 L. 833/1978). I livelli essenziali di assistenza (c.d. LeA) comprendono le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni relativi alle aree di offerta individuate dal Piano sanitario nazionale (33). Tali livelli comprendono, giusta l’art. 1, comma 6, D.L.vo n. 502/1992: -l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro. Tale macroarea interessa la prevenzione nei suoi molteplici aspetti, intesa come insieme delle misure adatte ad impedire l’insorgenza di stato morboso; -l'assistenza distrettuale. Tale macroarea interessa tutte le prestazioni che vengono erogate sul territorio al fine di garantire l’assistenza primaria, il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con (33) La competenza alla determinazione dei LeA appartiene allo Stato (art. 117, comma 2, lett. m, Cost; art. 1, comma 2, D.L.vo n. 502/1992). Attualmente i LeA sono definiti con D.P.C.M. 12 gennaio 2017. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 le strutture operative a gestione diretta e l’erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale; -l'assistenza ospedaliera. Tale macroarea interessa l’attività di pronto soccorso ed i trattamenti erogati nel corso del ricovero ospedaliero in regime ordinario, inclusi i ricoveri di riabilitazione e di lungodegenza post-acuzie, il ricovero diurno (day hospital) e i trattamenti ospedalieri a domicilio (34). I soggetti che erogano le prestazioni -in base alla legislazione nazionale e regionale -sono le Aziende Sanitarie Locali-ASL (artt. 14-15 L. n. 833/1978; artt. 3 e ss. D.L.vo n. 502/1992), le Aziende ospedaliere-Ao (art. 4 D.L.vo n. 502/1992), Aziende ospedaliere universitarie-Aou (art. 39 L. n. 833/1978; art. 6 D.L.vo n. 502/1992), Istituti di ricovero e di cura a carattere scientifico- IRCCS (art. 42 L. n. 833/1978 e art. 4 D.L.vo n. 502/1992), i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, i farmacisti, le Istituzioni sanitarie di carattere privato (artt. 43-44 L. n. 833/1978). Le ASL, le Ao, le Aou e gli IRCCS sono enti pubblici sottoposti all’indirizzo e al controllo delle Regioni. I medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta sono liberi professionisti convenzionati con il pubblico ed erogano prestazioni assistenziali. In specie il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale ed i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni onerose di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale (art. 8, D.L.vo n. 502/1992). In tal modo l’ente pubblico, avvalendosi di liberi professionisti, garantisce i livelli essenziali di assistenza. Il fine è quindi quello di “garantire l'attività assistenziale per l'intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, nonché un'offerta integrata delle prestazioni dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, della guardia medica, della medicina dei servizi e degli specialisti ambulatoriali, adottando forme organizzative monoprofessionali, denominate aggregazioni funzionali territoriali, che condividono, in forma strutturata, obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit e strumenti analoghi, nonché forme organizzative multiprofessionali, denominate unità complesse di cure primarie, che erogano prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l'integrazione dei professionisti delle cure primarie e del sociale a rilevanza sanitaria tenuto conto della peculiarità delle aree territoriali quali aree metropolitane, aree a popolazione sparsa e isole minori” (art. 8, comma 1, lett. b bis, D.L.vo n. 502/1992). Viene così articolata una rete di medici e pediatri nella quale l’assistito può liberamente scegliere. Il modulo convenzionale trova applicazione anche in relazione all’assi (34) Su tali aspetti: R. bALDuzzI, g. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, il Mulino, 2013, pp. 341-362. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA stenza farmaceutica, che viene erogata per conto delle ASL dalle farmacie pubbliche e private convenzionate con il SSN (art. 8, comma 2, D.L.vo n. 502/1992). Le Istituzioni sanitarie di carattere privato contribuiscono, su base convenzionale onerosa -come i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta -ad assicurare i livelli essenziali e uniformi di assistenza. A termini dell’art. 8 bis, commi 2 e 3 , D.L.vo n. 502/1992 “I cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell'ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appositi accordi contrattuali. L'accesso ai servizi è subordinato all'apposita prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del Servizio sanitario nazionale. La realizzazione di strutture sanitarie e l'esercizio di attività sanitarie, l'esercizio di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale e l'esercizio di attività sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale sono subordinate, rispettivamente, al rilascio delle autorizzazioni di cui all'articolo 8-ter, dell'accreditamento istituzionale di cui all'articolo 8-quater, nonché alla stipulazione degli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies. La presente disposizione vale anche per le strutture e le attività sociosanitarie”. L’esercizio, ad opera delle istituzioni sanitarie di carattere privato, di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale si ha in virtù del c.d. accreditamento istituzionale: dai connotati legislativi -è rilasciato alle strutture autorizzate “subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti” -l’atto di accreditamento ha la natura di provvedimento di concessione di servizio pubblico (35). Il contributo del privato nei servizi sanitari costituisce un esempio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, ultimo comma, Cost. gli enti collettivi erogano le prestazioni sanitarie a mezzo di risorse umane facenti parte delle professioni sanitarie. Le professioni sanitarie sono quelle che lo Stato italiano riconosce e che, in forza di un titolo abilitante, svolgono attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Alcune professioni sanitarie sono costituite in ordini e Collegi, con sede in ciascuna delle province del territorio nazionale. Professioni sanitarie sono: farmacista, me (35) Su tale istituto, F. SPANICCIATI, Pubblico e privato dell’accreditamento sanitario, in Giornale Dir. Amm., 2016, 5, pp. 673 e ss., anche sulle varie tesi sulla natura dell’accreditamento: concessione di servizio pubblico attributivo di compiti pubblici e di natura discrezionale (orientamento prevalente in giurisprudenza: ex plurimis Cass., 25 gennaio 2011, n. 1740; Cass. S.u., 8 luglio 2005, n. 14335); autorizzazione sub specie di abilitazione tecnica connotata da automatismi tra requisiti e rilascio, atteso che si consente una attività sulla base di un accertamento tecnico; provvedimento di natura mista con elementi della concessione di servizio pubblico e dell'abilitazione tecnica idoneativa (Cons. Stato, 22 gennaio 2016, n. 207). RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 dico chirurgo, odontoiatra, veterinario, psicologo. Vi sono anche professioni sanitarie infermieristiche e ostetrici, nonché infermiere pediatrico; a queste si aggiungono le professioni sanitarie riabilitative, nonché professioni tecnico- sanitarie (di area tecnico-diagnostica e tecnico-assistenziale). Sicché, per esercenti le professioni sanitarie si intendono quei professionisti che, in virtù di un rapporto diretto con il paziente, svolgono prestazioni sanitarie. c) utenti del servizio. gli utenti del servizio sono tutti, cittadini e non, e vantano un diritto soggettivo alla erogazione delle prestazioni. Il servizio è gratuito. In dati casi può essere chiesto il pagamento di un contributo (c.d. ticket). L’erogazione delle prestazioni sanitarie ad opera di strutture sanitarie, pubbliche o private, trova fonte in un negozio giuridico intercorrente tra l’ente ed il paziente. Si parla in giurisprudenza del c.d. contratto atipico di spedalità e/o contratto di assistenza sanitaria che si perfeziona “per facta concludentia” con l’accettazione del paziente presso il nosocomio e ha un oggetto molto ampio, non limitato all’erogazione delle cure sanitarie, ma esteso anche “ad obblighi di protezione e accessori” (36). Corollario di ciò è che alle eventuali anomalie in sede di esecuzione si applica la disciplina sulla responsabilità contrattuale. ossia (richiamando gli aspetti più significativi): prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.; presunzione di inadempimento e di colpa ex art. 1218 c.c. Per i principi generali, venendo in rilievo la tutela di un interesse essenziale della persona, vi è -in favore del paziente danneggiato -il concorso del- l’azione aquiliana ex art. 2043 c.c. Vi è concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale quando -in relazione al medesimo fatto -coesistono le fattispecie dell’inadempimento e dell’illecito civile. una condotta di inadempimento contrattuale può dar luogo ad una responsabilità extracontrattuale quando consista in un fatto che pregiudichi contemporaneamente diritti derivanti dal contratto e diritti che, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto contrattuale, trovino il loro (36) Cass. S.u., 11 gennaio 2008, n. 577, la quale precisa che “Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 1698 del 2006; Cass. n. 9085 del 2006; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; Cass. 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316)”; precisa altresì “Così ricondotta la responsabilità della struttura ad un autonomo contratto (di ospedalità), la sua responsabilità per inadempimento si muove sulle linee tracciate dall'art. 1218 c.c., e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d'opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell'ente per fatto del dipendente sulla base dell'art. 1228 c.c.”. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA fondamento nel principio del neminem laedere (37). Ciò accade nel caso di lesione di diritti assoluti e primari erga omnes, quali il diritto alla vita, alla integrità ed incolumità personale, alla proprietà, all’onore. Il medesimo fatto lede al contempo sia diritti che hanno fonte in un preesistente vinculum iuris, sia diritti indipendenti da esso; vi sono cioè due distinti diritti in capo allo stesso soggetto. Il paziente danneggiato, oltrecché nei confronti della struttura sanitaria (a titolo contrattuale e extracontrattuale), ha azione altresì nei confronti del- l’equipe medica esecutrice della prestazione sanitaria dannosa. Il concorso di azioni è operativo anche in relazione alla tutela risarcitoria nei confronti del- l’equipe medica; difatti accanto alla (sicura) azione aquiliana per l’inosservanza del principio del naeminem laedere, il quadro giurisprudenziale si è assestato nel senso che il rapporto tra medico e paziente nella struttura sanitaria determina un “contatto sociale” idoneo a determinare l’applicazione degli effetti della responsabilità contrattuale, ancorché difetti una specifica fonte contrattuale (rapporti contrattuali di fatto) (38). La responsabilità da contatto sociale è un’ipotesi di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione che nasce dal “contatto sociale” tra due soggetti che non hanno posto in essere alcuna relazione contrattuale (39). Va tenuto presente che nel giudizio -instaurato dal danneggiato -avente ad oggetto l’azione risarcitoria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria nell’ambito di strutture private, “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave” (art. 2236 c.c.). Invece nel giudizio -instaurato dal danneggiato -avente ad oggetto l’azione risarcitoria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria nel- l’ambito di strutture pubbliche è sempre richiesta la colpa grave (art. 23 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). In ossequio al principio di cui all’art. 1294 c.c. -ed altresì all’art. 28 della Costituzione ove venga in rilievo una struttura sanitaria pubblica -vi è responsabilità solidale passiva della struttura sanitaria e dei componenti della equipe medica per il risarcimento del danno al paziente. Va evidenziato che con L. 8 marzo 2017 n. 24 è stata dettata una nuova disciplina sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie. Tra l’altro, il comma 3 dell'art. 7 della legge citata regolamenta la re (37) Sul concorso dei due tipi di responsabilità, ex plurimis: C.M. bIANCA, Diritto Civile, vol. V, II ed., giuffrè, 2012, p. 563. (38) Cass. S.u., n. 577/2008, cit., per la quale “anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale (Cass. 22 dicembre 1999, n. 589; Cass. 29 settembre 2004, n. 19564; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488; Cass. n. 9085 del 2006)”. (39) C.M. bIANCA, Istituzioni di diritto privato, giuffré editore, 2016, p. 550. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 sponsabilità dell'esercente la professione sanitaria e dispone: “L'esercente la professione sanitaria […] risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge”. Tale precetto è innovativo rispetto allo stato dell'arte in materia alla data di entrata in vigore della legge. Difatti viene meno -in questa evenienza con riguardo alla responsabilità dell'esercente la professione sanitaria -la teorica del “contatto sociale” e sussiste, in linea di principio, solo la responsabilità aquiliana. Il precetto de quo è espressione della volontà di indirizzare -attraverso il regime di maggior favore dell’art. 1218 c.c. -le pretese del danneggiato verso la struttura sanitaria (responsabile a titolo contrattuale e/o aquiliano), che è meglio in grado di scongiurare, attraverso una efficiente organizzazione, gli eventi avversi. Nella determinazione del danno risarcibile si tiene conto della entità della inosservanza delle leges artis in materia. Tanto allo scopo di attenuare la responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie rispetto alla situazione preesistente alla sua entrata in vigore. La legge tenta di risolvere le aporie sul contenzioso sanitario. Negli ultimi anni si è registrato un considerevole incremento del contenzioso in ambito sanitario. Ciò ha comportato un crescente ricorso alla c.d. medicina difensiva, ovvero alla prescrizione, da parte dei medici, di molteplici prestazioni diagnostiche e terapeutiche, spesso non necessarie per non dire potenzialmente pericolose per la salute. Si assiste addirittura al rifiuto, sempre da parte dei medici, ad effettuare interventi sanitari, ritenuti ad alto rischio, con conseguente venire meno di quel rapporto di fiducia che deve intercorrere tra il medico e il proprio paziente (40). 5. Tipologia di servizi pubblici non economici. (segue) Servizi scolastici. Altro settore rilevante è quello dei servizi scolastici. Le coordinate sono fissate negli articoli 33 e 34 della Costituzione. L’art. 33 dispone: “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole (40) Su tali aspetti: M. geRARDo, Responsabilità degli enti e degli esercenti le professioni per l’erogazione delle prestazioni sanitarie alla luce della legge 8 marzo 2017 n. 24 (c.d. “Legge Gelli”), in Rass. Avv. Stato, 2017, 3, pp. 157-177. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA statali. È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. L’art. 34 recita: “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. gli artt. 33 e 34 Cost. ostano all’instaurazione di un monopolio pubblico ex art. 43 Cost. per i servizi di istruzione (41). Spetta, in via esclusiva, alla legge dello Stato fissare le “norme generali sull'istruzione” (art. 117, comma 2, lett. n). È materia, invece, di legislazione concorrente l’“istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale” (art. 117, comma 3, Cost.) (42). a) La disciplina della materia si rinviene, fondamentalmente, nel D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297, recante il Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, nel D.L.vo 19 febbraio 2004, n. 59 recante norme generali relative alla scuola del- l'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, nel D.L.vo 17 ottobre 2005, n. 226 recante Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e nella L. 30 Dicembre 2010, n. 240, recante Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento. b) ordinamento settoriale. L’ente pubblico attributario, in via principale, della cura del servizio è lo Stato, tramite le articolazioni del Ministero del- l'Istruzione ed il Ministero dell’università e della Ricerca. Lo Stato, tra l’altro, è competente alla istituzione delle scuole statali materne, elementari e degli istituti di istruzione secondaria e artistica (artt. 53-63, D.L.vo n. 297/1994). Funzioni amministrative spettano anche alle Regioni (quale l’assistenza scolastica: art. 76, D.L.vo n. 297/1994), alle Province (quale la materia dell’ edilizia scolastica con riguardo alla istruzione secondaria superiore e alla formazione professionale: art. 85, D.L.vo n. 297/1994) ed i Comuni (quale la materia dell’edilizia scolastica con riguardo alla istruzione materna, elementare e media: art. 85, D.L.vo n. 297/1994). In ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale le scuole possono essere private o pubbliche. (41) e. CASeTTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 644. (42) Sul quadro delle competenze: g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA (a cura di), Le materie di competenza regionale. Commentario, cit., pp. 254-286. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 L’articolazione della scuola pubblica ed è la seguente: -Scuola dell'infanzia. Questa, non obbligatoria e di durata triennale, concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini, anche promuovendo il plurilinguismo attraverso l'acquisizione dei primi elementi della lingua inglese, e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza il profilo educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con la scuola primaria (art. 1 D.L.vo n. 59/2004); -Primo ciclo di istruzione (art. 4 D.L.vo n. 59/2004). Il primo ciclo d'istruzione è costituito dalla scuola primaria e dalla scuola secondaria di primo grado, ciascuna caratterizzata dalla sua specificità. esso ha la durata di otto anni e costituisce il primo segmento in cui si realizza il diritto-dovere all'istruzione e formazione. La scuola primaria, della durata di cinque anni, è articolata in un primo anno, raccordato con la scuola dell'infanzia e teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali. essa promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base, ivi comprese quelle relative all'alfabetizzazione informatica, fino alle prime sistemazioni logico-critiche, di fare apprendere i mezzi espressivi, la lingua italiana e l'alfabetizzazione nella lingua inglese, di porre le basi per l'utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale, dei suoi fenomeni e delle sue leggi, di valorizzare le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile (art. 5 D.L.vo n. 59/2004). La scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni, si articola in un periodo didattico biennale e in un terzo anno, che completa prioritariamente il percorso disciplinare ed assicura l'orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo. essa, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio e al rafforzamento delle attitudini all'interazione sociale; organizza ed accresce, anche attraverso l'alfabetizzazione e l'approfondimento nelle tecnologie informatiche, le conoscenze e le abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; è caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell'allievo; cura la dimensione sistematica delle discipline; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di CoNTRIbuTI DI DoTTRINA istruzione e di formazione; introduce lo studio di una seconda lingua del- l'unione europea; aiuta ad orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione (art. 9 D.L.vo n. 59/2004). Il passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado avviene a seguito di valutazione positiva al termine del secondo periodo didattico biennale. Il primo ciclo di istruzione ha configurazione autonoma rispetto al secondo ciclo di istruzione e si conclude con l'esame di Stato. Le scuole statali appartenenti al primo ciclo possono essere aggregate tra loro in istituti comprensivi anche comprendenti le scuole dell'infanzia esistenti sullo stesso territorio. -Secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione (art. 1, D.L.vo n. 226/2005). Il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione è costituito dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale. Con esso si persegue la formazione intellettuale, spirituale e morale, anche ispirata ai princìpi della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla collettività nazionale ed alla civiltà europea. Tutte le istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione sono dotate di autonomia didattica, organizzativa, e di ricerca e sviluppo. Al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione si accede a seguito del superamento dell'esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione. I percorsi liceali e i percorsi di istruzione e formazione professionale nei quali si realizza il diritto-dovere all'istruzione e formazione sono di pari dignità e si propongono il fine comune di promuovere l'educazione alla convivenza civile, la crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il saper essere, il saper fare e l'agire, e la riflessione critica su di essi, nonché di incrementare l'autonoma capacità di giudizio e l'esercizio della responsabilità personale e sociale curando anche l'acquisizione delle competenze e l'ampliamento delle conoscenze, delle abilità, delle capacità e delle attitudini relative all'uso delle nuove tecnologie e la padronanza di una lingua europea, oltre all'italiano e all'inglese. essi assicurano gli strumenti indispensabili per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Tutti i titoli e le qualifiche a carattere professionalizzante sono di competenza delle regioni e province autonome e vengono rilasciati esclusivamente dalle istituzioni scolastiche e formative del sistema d'istruzione e formazione professionale. essi hanno valore nazionale in quanto corrispondenti ai livelli essenziali. Il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane (art. 3, D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89). RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 I percorsi dei licei si concludono con un esame di Stato, secondo le vigenti disposizioni sugli esami conclusivi dell'istruzione secondaria superiore. Al superamento dell'esame di Stato conclusivo dei percorsi liceali è rilasciato il titolo di diploma liceale, indicante la tipologia di liceo e l'eventuale indirizzo, opzione o sezione seguita dallo studente. Il diploma consente l'accesso all'università ed agli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica, agli istituti tecnici superiori e ai percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore. Il diploma è integrato dalla certificazione delle competenze acquisite dallo studente al termine del percorso liceale (art. 11, D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89). L’articolazione del tipo di scuola e correlativi caratteri con riguardo alla scuola pubblica valgono anche con riguardo alla scuola privata, rectius: alla scuola non statale. A termini dell’art.1 bis D.L. 5 dicembre 2005, n. 250, conv. L. 3 febbraio 2006, n. 27, le scuole non statali di cui alla parte II, titolo VIII, capi I, II e III, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 -ossia: Scuola dell'infanzia, Primo ciclo di istruzione e Secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione -sono ricondotte alle due tipologie di scuole paritarie riconosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, e di scuole non paritarie. La parità è riconosciuta con provvedimento adottato dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 1 della citata legge n. 62 del 2000. Il riconoscimento ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico successivo a quello in cui è stata presentata la relativa domanda. Sono scuole non paritarie quelle che svolgono un'attività organizzata di insegnamento e che presentano le seguenti condizioni di funzionamento: a) un progetto educativo e relativa offerta formativa, conformi ai princìpi della Costituzione e all'ordinamento scolastico italiano, finalizzati agli obiettivi generali e specifici di apprendimento correlati al conseguimento di titoli di studio; b) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature conformi alle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza dei locali scolastici, e adeguati alla funzione, in relazione al numero degli studenti; c) l'impiego di personale docente e di un coordinatore delle attività educative e didattiche forniti di titoli professionali coerenti con gli insegnamenti impartiti e con l'offerta formativa della scuola, nonché di idoneo personale tecnico e amministrativo; d) alunni frequentanti, in età non inferiore a quella prevista dai vigenti ordinamenti scolastici, in relazione al titolo di studio da conseguire, per gli alunni delle scuole statali o paritarie. Le scuole non paritarie che presentino sopraevidenziate condizioni sono incluse in un apposito elenco affisso all'albo dell'ufficio scolastico regionale. Lo stesso ufficio vigila sulla sussistenza e sulla permanenza delle predette condizioni, il cui venir meno comporta la cancellazione dall'elenco. Le scuole non CoNTRIbuTI DI DoTTRINA paritarie non possono rilasciare titoli di studio aventi valore legale, né intermedi, né finali. esse non possono assumere denominazioni identiche o comunque corrispondenti a quelle previste dall'ordinamento vigente per le istituzioni scolastiche statali o paritarie e devono indicare nella propria denominazione la condizione di scuola non paritaria. Le scuole erogano le prestazioni scolastiche a mezzo del personale docente, direttivo ed ispettivo. Ancillare all’erogazione delle prestazioni scolastiche è personale amministrativo, tecnico e ausiliario. L’istruzione superiore è erogata dall’università, statali e non statali. A termini dell’art. 1 L. n. 240/2010: -le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell'ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica; -ciascuna università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità; -il Ministero competente, nel rispetto delle competenze delle regioni, provvede a valorizzare il merito, a rimuovere gli ostacoli all'istruzione universitaria e a garantire l'effettiva realizzazione del diritto allo studio. A tal fine, pone in essere specifici interventi per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che intendano iscriversi al sistema universitario della Repubblica per portare a termine il loro percorso formativo; -il Ministero competente, nel rispetto della libertà di insegnamento e del- l'autonomia delle università, indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVuR) per quanto di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale, nonché con la valutazione dei risultati conseguiti. -la distribuzione delle risorse pubbliche deve essere garantita in maniera coerente con gli obiettivi e gli indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti. gli organi delle università statali sono: 1) rettore; 2) senato accademico; 3) consiglio di amministrazione; 4) collegio dei revisori dei conti; 5) nucleo di valutazione; 6) direttore generale (art. 2, comma 1, L. n. 240/2010). Le articolazioni interne dei detti enti sono: i dipartimenti e le strutture di raccordo tra i dipartimenti (art. 2, comma 2, L. n. 240/2010). Le prestazioni di docenza sono erogate dai professori e dai ricercatori di ruolo (art. 6 L. n. 240/2010). RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 c) utenti del servizio. gli utenti del servizio sono tutti coloro, cittadini e non, che ne fanno richiesta. essi vantano un diritto soggettivo alla erogazione delle prestazioni, sussistenti i requisiti di legge (questi ultimi sono oggetto di mero acclaramento); ad esempio per iscriversi all’università occorre avere completato positivamente il Secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione. Il servizio relativo al Primo ciclo di istruzione è gratuito. A partire dal Secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione vanno pagate le tasse scolastiche. Ad esempio, negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore le tasse scolastiche sono: tassa di iscrizione; tassa di frequenza; tassa per esami di idoneità, integrativi, di licenza, di qualifica, di maturità e di abilitazione; tassa di rilascio dei relativi diplomi (art. 200 D.P.R. n. 297/1994). La legge prevede in date circostanze -tra cui: studenti meritevoli per il rendimento scolastico, studenti appartenenti a famiglie di disagiata condizione economica - la dispensa dal pagamento delle tasse. L’erogazione delle prestazioni scolastiche ad opera delle scuole, pubbliche o private, trova fonte in un provvedimento amministrativo dichiarativo il quale origina il rapporto scolastico fonte di diritti ed obblighi inter partes. 6. Tipologia di servizi pubblici non economici. (segue) Servizi sociali. La materia dei servizi sociali spetta alla potestà legislativa residuale delle Regioni (art. 117, comma 4, Cost.), salve le interferenze delle materie trasversali (art. 117, comma 2, lett. m, Cost. sui livelli essenziali delle prestazioni) e della chiamata in sussidiarietà (43). a) I servizi sociali sono finalizzati alla tutela e alla promozione del benessere della persona (44). La materia è regolata dalla L. 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che, all’art. 1, comma 2, precisa che per "interventi e servizi sociali" si intendono tutte le attività previste dall'articolo 128 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 112, ossia “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”. b) ordinamento settoriale. La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle re( 43) g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA (a cura di), Le materie di competenza regionale. Commentario, cit., pp. 31-33. (44) A. ALbANeSe, Servizi sociali (Dir. amm.), in Il Diritto enciclopedia Giuridica, vol. XIV, Corriere della Sera Il Sole 24 ore, 2007, pp. 469-474. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA gioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della legge n. 328/2000, secondo i principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali, dello Stato, delle regioni e degli enti locali (art. 1, comma 3, L. n. 328/2000), con la normativa di dettaglio contenuta negli artt. 6-9 L. n. 328/2000. Alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono ex art. 1, comma 5, L. n. 328/2000 soggetti pubblici e privati. Soggetti pubblici: - enti locali; -aziende pubbliche di servizi alla persona (artt. 5-15 D.L.vo 4 maggio 2001, n. 207 sul riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza-IPAb, a norma dell'articolo 10 della L. n. 328/2000) (45). Trattasi di istituzioni sottoposte alla vigilanza della Regione che svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali; possono anche svolgere indirettamente attività socio assistenziale mediante l'erogazione, ad enti e organismi pubblici e privati operanti nel settore, delle rendite derivanti dall'attività di amministrazione del proprio patrimonio e delle liberalità ricevute a tal fine. Soggetti privati: organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. L’art. 11, comma 5, L. n. 328/2000 precisa: -i servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'art. 1, comma 5, L. n. 328/2000 sono autorizzati dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti (45) Art. 6 D.L.vo n. 207/2001: “1. L'azienda pubblica di servizi alla persona non ha fini di lucro, ha personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica ed opera con criteri imprenditoriali. essa informa la propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, in questi compresi i trasferimenti. 2. All'azienda pubblica di servizi alla persona si applicano i princìpi relativi alla distinzione dei poteri di indirizzo e programmazione dai poteri di gestione. Gli statuti disciplinano le modalità di elezione o nomina degli organi di Governo e di direzione e i loro poteri, nel rispetto delle disposizioni del presente capo. 3. Nell'àmbito della sua autonomia l'azienda pubblica di servizi alla persona può porre in essere tutti gli atti ed i negozi, anche di diritto privato, funzionali al perseguimento dei propri scopi istituzionali e all'assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione regionale. In particolare, l'azienda pubblica di servizi alla persona può costituire società od istituire fondazioni di diritto privato al fine di svolgere attività strumentali a quelle istituzionali nonché di provvedere alla gestione ed alla manutenzione del proprio patrimonio. L'eventuale affidamento della gestione patrimoniale a soggetti esterni avviene in base a criteri comparativi di scelta rispondenti all'esclusivo interesse dell'azienda. 4. Gli statuti disciplinano i limiti nei quali l'azienda pubblica di servizi alla persona può estendere la sua attività anche in ambiti territoriali diversi da quello regionale o infraregionale di appartenenza”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 dalla legge regionale, che recepisce e integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali; -i comuni provvedono all'accreditamento e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate nell'àmbito della programmazione regionale. c) utenti del servizio. giusta l’art. 2 L. n. 328/2000 -hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all'unione europea ed i loro familiari, nonché gli stranieri, individuati ai sensi dell'articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all'articolo 129, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112; -il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di universalità. I soggetti di cui all'articolo 1, comma 3, sono tenuti a realizzare il sistema di cui alla presente legge che garantisce i livelli essenziali di prestazioni, ai sensi dell'articolo 22, e a consentire l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle prestazioni economiche di cui all'articolo 24 della presente legge, nonché delle pensioni sociali di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, e degli assegni erogati ai sensi del- l'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335; -i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali. I parametri per la valutazione delle menzionate condizioni sono definiti dai comuni, sulla base dei criteri generali stabiliti dal Piano nazionale. 7. Tipologia di servizi pubblici economici. Gestione integrata dei rifiuti. La disciplina dei rifiuti rientra nella materia della tutela dell’ambiente, spettante -quale competenza legislativa -in via esclusiva allo Stato (art. 117, comma 2, lett. s, Cost.). Ai sensi di questo articolo, deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, livelli minimi di tutela da intendersi come tutela adeguata e non riducibile secondo la Corte Costituzionale, restando ferma la competenza delle Regioni per la cura degli interessi ambientali. Le Regioni, nell’esercizio delle loro competenze sono tenute al rispetto della normativa statale, ma possono stabilire livelli di tutela più elevati per il raggiungimento dei propri fini in tema CoNTRIbuTI DI DoTTRINA di tutela della salute, valorizzazione dei beni ambientali, governo del territorio. A tal riguardo, precisa la Corte Costituzionale, se le competenze regionali incidono sull’ambiente, ciò avviene non nell’esercizio di competenze ambientali, ma nell’esercizio delle competenze loro attribuite dalla Costituzione (46). a) La gestione integrata dei rifiuti costituisce il complesso delle attività, ivi compresa quella di spazzamento delle strade, volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti, ossia di qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi. La disciplina della materia si rinviene nel D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, e in specie agli artt. 177-238. Per l’art. 177, comma 2, D.L.vo n. 52/2006 la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse. b) ordinamento settoriale. La materia della gestione dei rifiuti è di competenza dello Stato, delle regioni e degli enti locali (art. 177, comma 5, D.L.vo n. 52/2006; artt. 195-198). A grosse linee: -lo Stato svolge funzioni di indirizzo e coordinamento. L’Amministrazione competente è il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; -la Regione adotta, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti; regolamenta le attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi; approva i progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, e autorizza le modifiche degli impianti esistenti; autorizza l'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi; -la Provincia svolge le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale; -Il Comune concorre, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. La gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche denominati ATo, delimitati dal piano regionale di gestione dei rifiuti. L'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti spettava all’Autorità d'ambito, struttura dotata di personalità giuridica costituita -sulla base di legge regionale -in ciascun ambito territoriale ottimale, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti (art. 201, D.L.vo n. 52/2006). Le Autorità d'ambito territoriale sono state soppresse dall’art. 2, comma 186 bis, L. 23 dicembre 2009, n. 191, (46) Su tali aspetti, anche con riguardo alla giurisprudenza costituzionale: g. gAMbARDeLLA, I servizi pubblici locali con particolare riferimento al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, cit., p. 200. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 con previsione che le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità. Il soggetto individuato con legge regionale -che ha preso il posto del- l’Autorità d'ambito -aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, secondo la disciplina vigente in tema di affidamento dei servizi pubblici locali, nonché con riferimento all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rispetto delle competenze regionali in materia. gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali già esistenti al momento dell'assegnazione del servizio sono conferiti in comodato ai soggetti affidatari del medesimo servizio. I nuovi impianti vengono realizzati dal soggetto affidatario del servizio o direttamente ove sia in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente, o mediante il ricorso alle procedure di cui al D.L.vo n. 50/2016, ovvero secondo lo schema della finanza di progetto (art. 202, D.L.vo n. 152/2006). I rapporti tra l’affidante e i soggetti affidatari del servizio integrato sono regolati da contratti di servizio, da allegare ai capitolati di gara, prevedenti, tra l’altro: il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; la durata dell'affidamento, comunque non inferiore a quindici anni; i principi e le regole generali relativi alle attività ed alle tipologie di controllo, in relazione ai livelli del servizio ed al corrispettivo, le modalità, i termini e le procedure per lo svolgimento del controllo e le caratteristiche delle strutture organizzative all'uopo preposte; l'obbligo di riconsegna delle opere, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali strumentali all'erogazione del servizio in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione; i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dagli enti locali e del loro aggiornamento, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze (art. 203, D.L.vo n. 152/2006). La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento. La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale (art. 179, commi 1 e 2, D.L.vo n. 52/2006). In particolare, lo smaltimento dei rifiuti costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, previa verifica, da parte della competente autorità, della impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero. I rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti sia in massa che in volume. È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali ac CoNTRIbuTI DI DoTTRINA cordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano. Il divieto non si applica ai rifiuti urbani che il Presidente della regione ritiene necessario avviare a smaltimento, nel rispetto della normativa europea, fuori del territorio della regione dove sono prodotti per fronteggiare situazioni di emergenza causate da calamità naturali per le quali è dichiarato lo stato di emergenza di protezione civile (art. 182 D.L.vo n. 52/2006). L’art. 188 D.L.vo n. 52/2006 delinea la responsabilità della gestione dei rifiuti. Viene previsto che il produttore iniziale -vale a dire il soggetto la cui attività produce rifiuti -o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti. gli enti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto dei rifiuti a titolo professionale, conferiscono i rifiuti raccolti e trasportati agli impianti autorizzati alla gestione dei rifiuti. I costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale dei rifiuti, dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. Nella materia sono previsti vari provvedimenti abilitativi. Il più rilevante è l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (art. 208 D.L.vo n. 152/2006). Questa, in sintesi, la disciplina. I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini; i termini restano sospesi fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità. Per le installazioni di cui all'articolo 6, comma 13, D.L.vo n. 152/2006 l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce l'autorizzazione de qua. L'istruttoria si conclude entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda con il rilascio dell'autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa. L'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie ed è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile. In caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione: a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situa RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 zioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente; c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente. c) utenti del servizio. gli utenti del servizio sono tenuti al pagamento di un tributo per la gestione dei rifiuti urbani, costituito dalla tassa sui rifiuti (TARI), regolata dall’art. 1, commi 639, da 641 a 668, 704 e 705, L. 27 dicembre 2013, n. 147. La TARI è “destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore” (comma 639), con la precisazione che “In ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio” (comma 654). 8. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Servizio idrico integrato. La materia del servizio idrico integrato spetta alla potestà legislativa residuale delle Regioni (art. 117, comma 4, Cost.), salve le interferenze delle materie trasversali (art. 117, comma 2, lettere e, l, s, Cost. sulla tutela della concorrenza, sull’ordinamento civile e sulla tutela dell’ambiente) e della chiamata in sussidiarietà (47). a) Il servizio idrico integrato è costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. Tale servizio è destinato ad amministrare uno dei beni comuni per eccellenza, l’acqua, rispetto al quale vi sono esigenze di tutela dei diritti essenziali della persona particolarmente qualificate, come confermato dalla direttiva 2000/60/Ce del parlamento europeo e del consiglio del 23 ottobre 2000 -che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque -la quale nel considerando n. 1 enuncia: “L'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”. La disciplina della materia si rinviene nel D.L.vo n. 152/2006, e in specie agli artt. 141-176. b) ordinamento settoriale. Competenti nella materia in esame sono, ex art. 142 D.L.vo n. 152/2006: -lo Stato, a mezzo del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; -le regioni, le quali provvedono a disciplinare il governo del rispettivo territorio; -gli enti locali che, attraverso l'ente di governo dell'ambito, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma (47) Sulla problematica: L. MARTINez, Il governo delle risorse idriche tra competenze statali e territoriali, in Rass. Avv. Stato, 2012, 3, pp. 251-287. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo. Compiti regolatori nella materia spettano all’AReRA (Autorità di Regolazione energia Reti e Ambiente). L’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato è delineata nel- l’art. 147 D.L.vo n. 152/2006 nel seguente modo. I servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle Regioni, i quali possono essere modificati per migliorare la gestione del servizio idrico integrato. gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale partecipano obbligatoriamente all'ente di governo dell'ambito, individuato dalla competente regione per ciascun ambito territoriale ottimale, al quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche. L’ente di governo dell'ambito provvede alla gestione del servizio idrico integrato. All’uopo: -adotta il piano d'ambito, costituito dai seguenti atti: ricognizione delle infrastrutture; programma degli interventi, individuante le opere di manutenzione straordinaria e le nuove opere da realizzare; modello gestionale ed organizzativo, definente la struttura operativa mediante la quale il gestore assicura il servizio all'utenza e la realizzazione del programma degli interventi; piano economico finanziario (art. 149 D.L.vo n. 152/2006) (48); -provvede all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale. Il soggetto affidatario gestisce il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale. Al fine di ottenere un'offerta più conveniente e completa e di evitare contenziosi tra i soggetti interessati, le procedure di gara per l'affidamento del servizio includono appositi capitolati con la puntuale indicazione delle opere che il gestore incaricato deve realizzare durante la gestione del servizio (art. 149 bis D.L.vo n. 152/2006). Il rapporto tra l'ente di governo dell'ambito ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato è regolato da una convenzione predisposta dall'ente di (48) “Il piano economico finanziario, articolato nello stato patrimoniale, nel conto economico e nel rendiconto finanziario, prevede, con cadenza annuale, l'andamento dei costi di gestione e di investimento al netto di eventuali finanziamenti pubblici a fondo perduto. esso è integrato dalla previsione annuale dei proventi da tariffa, estesa a tutto il periodo di affidamento. Il piano, così come redatto, dovrà garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario e, in ogni caso, il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati” (comma 4 dell’art. 149). RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 governo dell'ambito sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico. Le convenzioni tipo, con relativi disciplinari, devono tra l’altro prevedere: il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni; le opere da realizzare durante la gestione del servizio come individuate dal bando di gara; l'obbligo del raggiungimento e gli strumenti per assicurare il mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione; il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti; i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall'ente di governo dell'ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze; l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti; l'obbligo di provvedere alla realizzazione del Programma degli interventi; l'obbligo di restituzione, alla scadenza del- l'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione (art. 151 D.L.vo n. 152/2006). Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare. Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato, ivi compresi gli oneri connessi all'ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale e/o in conto interessi, sono trasferite al soggetto gestore, che subentra nei relativi obblighi. Di tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l'invarianza degli oneri per la finanza pubblica. Il gestore è tenuto a subentrare nelle garanzie e nelle obbligazioni relative ai contratti di finanziamento in essere o ad estinguerli, ed a corrispondere al gestore uscente un valore di rimborso definito secondo i criteri stabiliti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (art. 153 D.L.vo n. 152/2006). Ciascun gestore di servizio idrico, per assicurare la fornitura di acqua di buona qualità e per il controllo degli scarichi nei corpi ricettori, deve dotarsi di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa, nelle reti di adduzione e di distribuzione, nei potabilizzatori e nei depuratori, ovvero stipula apposita convenzione con altri soggetti gestori di servizi idrici (art. 165 D.L.vo n. 152/2006). L'ente di governo dell'ambito, una volta operato l’affidamento, ha incisivi poteri di controllo e vigilanza. In specie ha facoltà di accesso e verifica alle infrastrutture idriche, anche nelle fase di costruzione. Nell'ipotesi di inadempienze del gestore agli obblighi che derivano dalla legge o dalla convenzione, CoNTRIbuTI DI DoTTRINA e che compromettano la risorsa o l'ambiente ovvero che non consentano il raggiungimento dei livelli minimi di servizio, l'ente di governo dell'ambito interviene tempestivamente per garantire l'adempimento da parte del gestore, esercitando tutti i poteri ad essa conferiti dalle disposizioni di legge e dalla convenzione. Perdurando l'inadempienza del gestore, e ferme restando le conseguenti penalità a suo carico, nonché il potere di risoluzione e di revoca, l'ente di governo dell'ambito, previa diffida, può sostituirsi ad esso provvedendo a far eseguire a terzi le opere, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di appalti pubblici. Qualora l'ente di governo dell'ambito non intervenga, o comunque ritardi il proprio intervento, la regione, previa diffida, esercita i necessari poteri sostitutivi, mediante nomina di un commissario ad acta (art. 152 D.L.vo n. 152/2006). c) utenti del servizio. gli utenti del servizio sono i beneficiari delle prestazioni erogate dal gestore di servizio idrico. All’uopo tra gestore di servizio idrico ed utente viene stipulato un contratto oneroso avente un oggetto complesso. La prestazione del gestore consiste nella fornitura di acqua e nel servizio di fognatura e depurazione. La prestazione dell’utente consiste nel pagamento della tariffa, costituente un corrispettivo di diritto privato per il servizio idrico integrato. La disciplina della tariffa è contenuta nell’art. 154 D.L.vo n. 152/2006 il quale così dispone: -la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'ente di governo dell'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Viene testualmente previsto che “Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo”; -il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua; -al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del canone nel- l'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate; -l’ente di governo dell'ambito, al fine della redazione del piano economico- finanziario, predispone la tariffa di base, nell'osservanza del metodo tariffario di cui all'articolo 10, comma 14, lettera d) (49), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e la trasmette per l'approvazione all'Autorità per l'energia elettrica e il gas; -la tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare; -nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le aziende artigianali, commerciali e industriali. Nella determinazione della tariffa si fa applicazione del principio, di derivazione comunitaria, di full cost recovery, cioè della previsione che la tariffa va calcolata in modo da coprire integralmente i costi (50), al fine di garantire la economicità della gestione, ossia la sua autosufficienza, e in accordo alla natura del servizio idrico integrato quale servizio pubblico di rilevanza economica (51). L’art. 162 D.L.vo n. 152/2006 regola la partecipazione, garanzia e informazione degli utenti. A tal riguardo: (49) “predispone il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinché siano pienamente attuati il principio del recupero dei costi ed il principio "chi inquina paga", e con esclusione di ogni onere derivante dal funzionamento dell'Agenzia; fissa, altresì, le relative modalità di revisione periodica, vigilando sull'applicazione delle tariffe, e, nel caso di inutile decorso dei termini previsti dalla legge per l'adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle autorità al riguardo competenti, come individuate dalla legislazione regionale in conformità a linee guida approvate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, provvede nell'esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all'autorità competente ad adempiere entro il termine di venti giorni”. (50) L’art. 9 della direttiva 2000/60/Ce enuncia: “1. Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare, secondo il principio «chi inquina paga»”. (51) Sulla problematica: F. SPANICCIATI, Il principio di copertura integrale dei costi nella tariffazione del servizio idrico integrato, in Giornale Dir. Amm., 2018, 3, pp. 213 e ss. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA -il gestore del servizio idrico integrato assicura l'informazione agli utenti, promuove iniziative per la diffusione della cultura dell'acqua e garantisce l'accesso dei cittadini alle informazioni inerenti ai servizi gestiti nel- l'ambito territoriale ottimale di propria competenza, alle tecnologie impiegate, al funzionamento degli impianti, alla quantità e qualità delle acque fornite e trattate; -il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le regioni e le province autonome, nell'ambito delle rispettive competenze, assicurano la pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi. A tal fine, le amministrazioni competenti curano la pubblicazione delle domande di concessione, contestualmente all'avvio del procedimento, oltre che nelle forme previste dall'articolo 7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, su almeno un quotidiano a diffusione nazionale e su un quotidiano a diffusione locale per le grandi derivazioni di acqua da fiumi transnazionali e di confine. Chiunque può prendere visione presso i competenti uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle regioni e delle province autonome di tutti i documenti, atti, studi e progetti inerenti alle domande di concessione, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di pubblicità degli atti delle amministrazioni pubbliche. 9. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Trasporto pubblico locale. (segue) Trasporto aereo, marittimo e ferroviario. Con riguardo al riparto di potestà legislativa tra Stato e Regioni ex art. 117 Cost. si osserva che i profili concernenti le modalità di affidamento e gestione dei servizi di trasporto pubblico locale rientrano nella materia "tutela della concorrenza" di potestà esclusiva dello Stato, mentre in generale il trasporto pubblico locale -come tutti i servizi pubblici locali -è oggetto di potestà residuale da parte delle regioni (52). Il trasporto pubblico regionale e locale è il complesso dei servizi di trasporto di persone e merci, che non rientrano tra quelli di interesse nazionale (53); essi comprendono l'insieme dei sistemi di mobilità terrestri, marittimi, (52) Conf. Corte cost., sentenza 8 giugno 2005, n. 222. (53) Per l’art. 3 D.L.vo n. 422/1997 “Costituiscono servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale: a) i servizi di trasporto aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito di una regione e dei servizi elicotteristici; b) i servizi di trasporto marittimo, ad eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito di una regione; c) i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano più di due regioni; d) i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, nell'ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale o infraregionale. a) La disciplina della materia si rinviene fondamentalmente nel D.L.vo 19 novembre 1997, n. 422, nelle leggi regionali di settore e nel Regolamento (Ce) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia (54). b) ordinamento settoriale. La competenza principale in materia spetta alle Regioni ed enti locali. Residuali sono le competenze dello Stato esercitate a mezzo del Ministero delle infrastrutture e trasporti. opera anche una Amministrazione indipendente, l'Autorità dei Trasporti, con compiti regolatori in funzione della promozione della concorrenza. In specie, l’Autorità ha il compito di definire regole generali riferite alle procedure di scelta del contraente per l'affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, tra cui definire gli schemi dei contratti di servizio esercitati in house da società pubbliche o a partecipazione maggioritaria pubblica, nonché per quelli affidati direttamente (art. 48, commi 6 e 7, D.L. 24 aprile 2017, n. 50, conv. L. 21 giugno 2017, n. 96). Allo Stato spettano le funzioni in materia di sicurezza e l’adozione delle linee guida e dei principi quadro per la riduzione dell'inquinamento derivante dal sistema di trasporto pubblico (art. 4 D.L.vo n. 422/1997). Lo Stato inoltre interviene al finanziamento del servizio del trasporto pubblico locale a mezzo del Fondo TPL il quale viene ripartito entro il 30 giugno di ogni anno con decreto ministeriale. Tale fondo è stato istituito dall’art. 16 bis D.L. 6 luglio 2012, n. 95, conv. L. 7 agosto 2012, n. 135. Alla Regione spettano: -i compiti di programmazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale (artt. 6 e 14 D.L.vo n. 422/1997). Nell'esercizio dei compiti di programmazione, le regioni: definiscono gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i piani di bacino; redigono i piani regionali dei trasporti e loro aggiornamenti tenendo conto della programmazione degli enti locali ed in particolare dei piani di bacino predisposti dalle province e, ove esistenti, dalle città metropolitane, in connessione con le previsioni di assetto territoriale e di sviluppo economico e con il fine di assicurare una rete di trasporto che privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo in parti- nazionali di percorrenza mediolunga caratterizzati da elevati standards qualitativi […]; e) i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari; f) i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti”. (54) Sulla materia: I.M. TRIoLo, Il trasporto pubblico locale: la qualificazione dell’attività in termini di servizio pubblico e il contratto di servizio, in Rass. Avv. Stato, 2016, 1, pp. 247-264. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA colar modo quelle a minore impatto sotto il profilo ambientale. Per la regolamentazione dei servizi di trasporto pubblico locale, con riferimento ai servizi minimi (55), le regioni, sentite le oo.SS. confederali e le associazioni dei consumatori, approvano programmi triennali dei servizi di trasporto pubblico locale, che individuano: la rete e l'organizzazione dei servizi; l'integrazione modale e tariffaria; le risorse da destinare all'esercizio e agli investimenti; le modalità di determinazione delle tariffe; le modalità di attuazione e revisione dei contratti di servizio pubblico; il sistema di monitoraggio dei servizi; i criteri per la riduzione della congestione e dell'inquinamento ambientale; -le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione inerenti i servizi ferroviari di interesse regionale e locale non in concessione a F.S. S.p.a. ed altresì i servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione a F.S. S.p.a. (artt. 6 e 8-9 D.L.vo n. 422/1997); -le funzioni e i compiti amministrativi in materia di servizi marittimi e aerei di interesse regionale (artt. 6 e 10 D.L.vo n. 422/1997); Agli enti locali, ex art. 7 D.L.vo n. 422/1997, spettano: -tutte le funzioni e i compiti regionali in materia di trasporto pubblico locale ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale, in coerenza con i principi di sussidiarietà, economicità, efficienza, responsabilità, unicità e omogeneità dell'amministrazione, nonché di copertura finanziaria, con esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime. Tanto in virtù di conferimento operato dalle Regioni a mezzo di legge; - le funzioni e i compiti non mantenuti allo Stato o alle regioni. Le modalità di affidamento del servizio di trasporto pubblico locale sono state definite a livello europeo dal regolamento (Ce) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, che stabilisce anche le condizioni alle quali le autorità competenti, se impongono o stipulano obblighi di servizio pubblico, compensano gli operatori di servizio pubblico per i costi sostenuti e/o conferiscono loro diritti di esclusiva in cambio del- l'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico. Il Regolamento prevede (art. 5) l'applicazione di tre possibili modalità di affidamento del servizio: la prima è la procedura di affidamento mediante gara, modalità che deve comunque essere ammessa dagli ordinamenti degli Stati membri; le altre due modalità, facoltative e che possono pertanto anche essere vietate dalle singole legislazioni nazionali, sono quella della gestione diretta (55) giusta l’art. 16, comma 1, D.L.vo n. 422/1997 “I servizi minimi, qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e i cui costi sono a carico del bilancio delle regioni, sono definiti tenendo conto: a) dell'integrazione tra le reti di trasporto; b) del pendolarismo scolastico e lavorativo; c) della fruibilità dei servizi da parte degli utenti per l'accesso ai vari servizi amministrativi, socio-sanitari e culturali; d) delle esigenze di riduzione della congestione e dell'inquinamento”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 (cioè la fornitura del servizio da parte delle stesse autorità locali competenti) e quella dell'aggiudicazione mediante affidamento diretto ad un soggetto distinto. La possibilità di affidamento diretto è però subordinata alla presenza di determinati requisiti: l'affidamento deve avvenire a favore di un soggetto giuridicamente distinto su cui l'autorità pubblica eserciti un controllo analogo a quello esercitato sulle proprie strutture (si deve trattare cioè di una società in house) e non ci deve essere un divieto da parte del legislatore nazionale. gli affidamenti diretti sono peraltro sempre consentiti (sempre fatto salvo il divieto da parte del Legislatore nazionale) al di sotto di determinate soglie di valore e dimensione del servizio. L’organizzazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale è delineata negli artt. 17-19 D.L.vo n. 422/1997. Alla stregua di tale normativa: -occorre che il gestore del servizio, in ossequio ai principi in materia di concorrenza, venga scelto all’esito di una gara; -possono essere previsti obblighi di servizi in capo al gestore. ossia: è necessario assicurare il servizio anche in tratte con costi che superano i ricavi -tanto al fine di garantire il diritto alla mobilità degli utenti -sicché i gestori sono obbligati al relativo servizio. ovviamente il costo deve poi essere sostenuto dall’ente pubblico affidante; - la gestione della rete deve essere separata dalla gestione del servizio. Va precisato che la disciplina modellata nel D.L.vo n. 422/1997 -specie in ordine alle modalità di affidamento del servizio -dopo tanti anni, stenta ancora ad affermarsi. Sono intervenute nel frattempo leggi e leggine che hanno consentito il mantenimento dello status quo, con affidamenti diretti, perpetuando monopoli od oligopoli. Ciò osservato in via generale, l’art. 18, in dettaglio così dispone: -l'esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati, è regolato mediante contratti di servizio di durata non superiore a nove anni. L'esercizio deve rispondere a principi di economicità ed efficienza, da conseguirsi anche attraverso l'integrazione modale dei servizi pubblici di trasporto. I servizi in economia sono disciplinati con regolamento dei competenti enti locali. Al fine di garantire l'efficace pianificazione del servizio, degli investimenti e del personale, i contratti di servizio relativi all'esercizio dei servizi di trasporto pubblico ferroviario comunque affidati hanno durata minima non inferiore a sei anni rinnovabili di altri sei, nei limiti degli stanziamenti di bilancio allo scopo finalizzati. All’evidenza la legge ha previsto il contratto di servizio quale strumento -di generale applicazione ed obbligatorio -per regolare l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale; -i servizi di trasporto pubblico ferroviario, qualora debbano essere svolti anche sulla rete infrastrutturale nazionale, sono affidati dalle regioni ai soggetti in possesso del titolo autorizzatorio di cui all'articolo 3, comma 1, lettera r) CoNTRIbuTI DI DoTTRINA (56), del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, ovvero della apposita licenza valida in ambito nazionale rilasciata con le procedure previste dal medesimo decreto legislativo n. 188 del 2003; -allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale, per l'affidamento dei servizi le regioni e gli enti locali si attengono ai principi dell'articolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481 disciplinante l’Autorità per i servizi di pubblica utilità -garantendo in particolare: il ricorso alle procedure concorsuali per la scelta del gestore del servizio sulla base degli elementi del contratto di servizio e in conformità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizio. La gara è aggiudicata sulla base delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, nonché dei piani di sviluppo e potenziamento delle reti e degli impianti, oltre che della fissazione di un coefficiente minimo di utilizzazione per la istituzione o il mantenimento delle singole linee esercite. Il bando di gara deve garantire che la disponibilità a qualunque titolo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziale per l'effettuazione del servizio non costituisca, in alcun modo, elemento discriminante per la valutazione delle offerte dei concorrenti. Il bando di gara deve altresì assicurare che i beni di cui al periodo precedente siano, indipendentemente da chi ne abbia, a qualunque titolo, la disponibilità, messi a disposizione del gestore risultato aggiudicatario a seguito di procedura ad evidenza pubblica; l'esclusione, in caso di mancato rinnovo del contratto alla scadenza o di decadenza dal contratto medesimo, di indennizzo al gestore che cessa dal servizio; l'indicazione delle modalità di trasferimento, in caso di cessazione dell'esercizio, dal precedente gestore all'impresa subentrante dei beni essenziali per l'effettuazione del servizio e del personale dipendente; l'applicazione della disposizione dell'articolo 1, comma 5, del regolamento 1893/91/Cee alle società di gestione dei servizi di trasporto pubblico locale che, oltre a questi ultimi servizi, svolgono anche altre attività; la determinazione delle tariffe del servizio in analogia, ove possibile, a quanto previsto dall'articolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481; relativamente ai servizi di trasporto pubblico ferroviario, la definizione di meccanismi certi e trasparenti di aggiornamento annuale delle tariffe in coerenza con l'incremento dei costi dei servizi, che tenga conto del necessario miglioramento dell'efficienza nella prestazione dei servizi, del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, di cui all'articolo (56) “r) «titolo autorizzatorio», il titolo di cui all'articolo 131, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, rilasciato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su richiesta delle imprese ferroviarie in possesso di licenza, che consente l'espletamento, sulla rete infrastrutturale nazionale, di tutte le tipologie di servizi di trasporto in àmbito nazionale ed internazionale, a condizioni di reciprocità qualora si tratti di imprese ferroviarie aventi sede all'estero o loro controllate ai sensi dell'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287”. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 19, comma 5, del tasso di inflazione programmato, nonché del recupero di produttività e della qualità del servizio reso. L’art. 27, comma 12 quater, D.L. 24 aprile 2017, n. 50, conv. L. 21 giugno 2017, n. 96 ha poi stabilito il principio di separazione delle funzioni di regolazione, indirizzo, organizzazione e controllo e quelle di gestione dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale. La norma stabilisce, in particolare, l'obbligo per l'ente locale o la regione affidante di avvalersi obbligatoriamente di un'altra stazione appaltante per lo svolgimento della procedura di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale qualora il gestore uscente, ovvero uno dei concorrenti, sia controllato o partecipato dall'ente affidante, ovvero sia affidatario del servizio in via diretta ovvero in house. In materia di scelta del contraente è intervenuto anche l'articolo 48, commi 4 e 5, del D.L. n. 50/2017, prevedendo che gli enti affidanti articolino i bacini di mobilità in più lotti, oggetto di procedure di gara e di contratti di servizio, tenuto conto delle caratteristiche della domanda. L'art. 48, commi 13 del D.L. n. 50/2017 dispone che i bacini di mobilità per i servizi di trasporto pubblico regionale e locale e i relativi enti di governo, siano determinati dalle regioni, sentite le città metropolitane, gli altri enti di area vasta e i comuni capoluogo di Provincia, nell'ambito della pianificazione del trasporto pubblico regionale e locale, sulla base di analisi della domanda che tengano conto delle caratteristiche socio-economiche, demografiche e comportamentali dell'utenza potenziale, della struttura orografica, del livello di urbanizzazione e dell'articolazione produttiva del territorio di riferimento. All’esito di procedura di evidenza pubblica viene stipulato il contratto di servizio disciplinato dall’art. 19 D.L.vo n. 422/1997 nel modo seguente: -i contratti di servizio assicurano la completa corrispondenza fra oneri per servizi e risorse disponibili, al netto dei proventi tariffari e sono stipulati prima dell'inizio del loro periodo di validità. Per i servizi ferroviari i contratti di servizio sono stipulati sette mesi prima dell'inizio del loro periodo di validità, al fine di consentire la definizione degli orari nazionali. -i contratti di servizio per i quali non è assicurata, al momento della loro stipula, la corrispondenza tra l'importo eventualmente dovuto dall'ente pubblico all'azienda di trasporto per le prestazioni oggetto del contratto e le risorse effettivamente disponibili sono nulli; -i contratti di servizio, tra l’altro, definiscono: il periodo di validità; le caratteristiche dei servizi offerti ed il programma di esercizio; gli standard qualitativi minimi del servizio, in termini di età, manutenzione, confortevolezza e pulizia dei veicoli, e di regolarità delle corse; la struttura tariffaria adottata ed i criteri di aggiornamento annuale; l'importo eventualmente dovuto dall'ente pubblico all'azienda di trasporto per le prestazioni oggetto del contratto e le modalità di pagamento, nonché eventuali adeguamenti conseguenti a mutamenti della struttura tariffaria; le modalità di modificazione del contratto CoNTRIbuTI DI DoTTRINA successivamente alla conclusione; le garanzie che devono essere prestate dal- l'azienda di trasporto; le sanzioni in caso di mancata osservanza del contratto; -i contratti di servizio pubblico devono avere caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio e prevedere un progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, rapporto che, al netto dei costi di infrastruttura, dovrà essere pari almeno allo 0,35 (57). Le regioni, le province e i comuni, allo scopo di assicurare la mobilità degli utenti, definiscono obblighi di servizio pubblico (58), prevedendo nei contratti di servizio, le corrispondenti compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, determinate secondo il criterio dei costi standard che dovrà essere osservato dagli enti affidanti nella quantificazione dei corrispettivi da porre a base d'asta previsti nel bando di gara o nella lettera di invito delle procedure concorsuali, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e di quelli derivanti anche dalla eventuale gestione di servizi complementari alla mobilità (art. 17 D.L.vo n. 422/1997). L’art. 27, comma 8 bis D.L. n. 50/2017 impone agli enti affidatari dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, di determinare le compensazioni economiche e i corrispettivi da porre a base d'asta sulla base dei costi standard. Il contratto di servizio, attesi i caratteri giuridici, integra un contratto ad oggetto pubblico e in specie un accordo amministrativo sostitutivo di cui all’art. 11 L. n. 241/1990, con carattere necessario atteso che costituisce l’unica modalità tipizzata di esercizio del potere amministrativo per la costituzione e disciplina del rapporto tra gestore e Amministrazione (59), sicché è impedito all'amministrazione di intervenire nella definizione dei relativi obblighi in via unilaterale, a mezzo di atti autoritativi quale il regolamento (60). espressione del principio della separazione della gestione della rete dalla gestione del servizio sono le seguenti disposizioni: -art. 8, comma 4 bis D.L.vo n. 422/1997 secondo cui la gestione delle reti e dell'infrastruttura ferroviaria per l'esercizio dell'attività di trasporto a mezzo ferrovia è regolata dalle norme di separazione contabile o costituzione di imprese separate; -l’art. 48, comma 2, D.L. n. 50/2017 per il quale “Agli enti di governo dei bacini possono essere conferite in uso le reti, gli impianti e le altre dota( 57) In virtù dell’art. 19, comma 5, D.L.vo n. 422/1997 "Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la soglia minima del rapporto di cui al precedente periodo può essere rideterminata per tenere conto del livello della domanda di trasporto e delle condizioni economiche e sociali”. (58) “Per "obblighi di servizio pubblico" si intendono gli obblighi che l'impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni” (art. 2, comma 1, Reg. (Cee) 26 giugno 1969, n. 1191). (59) Conf. TAR Piemonte, 10 giugno 2010, n. 2750. (60) Conf. Cons. Stato, 19 marzo 2018, n. 1746. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 zioni patrimoniali di proprietà degli enti pubblici associati. In tal caso gli enti di governo costituiscono società interamente possedute dagli enti conferenti, che possono affidare anche la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Al capitale di tali società non è ammessa la partecipazione, neanche parziale o indiretta, di soggetti privati”. Circa poi le leggi e leggine che hanno annacquato i principi sopraesposti, in ordine alle modalità di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale, si evidenzia quanto segue. L’art. 61 (61) L. 23 luglio 2009, n. 99 ha attenuato il principio dell'obbligo di affidamento dei servizi con procedure concorsuali, stabilito originariamente dall'articolo 18 del D.L.vo n. 422/1997, attraverso la facoltà, concessa alle autorità competenti, di aggiudicare direttamente i contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, attraverso un richiamo alle specifiche previsioni del regolamento (Ce) n. 1370/2007. Sicché si è consentito l'utilizzo di tutte e tre le modalità di affidamento previste dalla disciplina europea, concedendo espressamente alle autorità competenti, la facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, avvalendosi delle previsioni dell'articolo 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6, e dell'articolo 8, paragrafo 2, del regolamento (Ce) n. 1370/2007. c) utenti del servizio. gli utenti beneficiano del servizio con la stipula di un contratto di trasporto e -a fronte della prestazione -pagano un corrispettivo di diritto privato. gli stessi vantano un diritto soggettivo alla prestazione. Con riguardo, infine, al trasporto aereo, marittimo e ferroviario (62) si rileva quanto segue. Tale servizio va distinto dalle materie “porti e aeroporti civili” e “grandi reti di trasporto e di navigazione” oggetto di competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni ex art. 117, comma 3, Cost. (63), non involgendo, queste, gli aspetti del servizio pubblico (64). a) Trasporto aereo. La materia è disciplinata dal regolamento (Ce) n. 1008/2008 del parlamento (61) “Al fine di armonizzare il processo di liberalizzazione e di concorrenza nel settore del trasporto pubblico regionale e locale con le norme comunitarie, le autorità competenti all'aggiudicazione di contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, possono avvalersi delle previsioni di cui all'articolo 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6, e all'articolo 8, paragrafo 2, del regolamento (Ce) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007 […]”. (62) Per un quadro della materia: F.g. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., pp. 619-622. (63) Sul quadro competenziale: P. DI PALMA, Il trasporto aereo tra Stato e regioni, in Rass. Avv. Stato, 2014, 2, pp. 268-277, evidenziante che la materia “porti e aeroporti civili” riguarda le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale; P. DI PALMA, Problemi attuali del trasporto aereo nel nostro Paese, in Rass. Avv. Stato, 2018, 4, pp. 204-240. (64) g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA (a cura di), Le materie di competenza regionale. Commentario, cit., p. 221. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA europeo e del consiglio del 24 settembre 2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella comunità, il quale -tra l’altro -disciplina: -il rilascio delle licenze ai vettori aerei unionistici. All’uopo il regolamento fissa le condizioni -essenzialmente l’acclaramento dei requisiti di competenza e sicurezza -acché l’autorità competente di uno stato membro possa rilasciare la licenza di esercizio (quindi con autorizzazioni non discrezionali); -l’accesso alle rotte. All’uopo il regolamento sancisce la libertà di prestazione del servizio aereo intracomunitario: ossia, i vettori aerei comunitari possono prestare servizi intracomunitari e gli Stati membri devono astenersi dal subordinare il servizio a qualsivoglia permesso o autorizzazione. Il regolamento stabilisce altresì, principi generali per gli oneri di servizio pubblico e, in particolare, prevede che questi oneri possano essere imposti dagli Stati membri solo nella misura necessaria a garantire che su rotte antieconomiche -essenziali per lo sviluppo economico e sociale della Regione interessata siano prestati servizi aerei minimi rispondenti a criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima; -la determinazione del prezzo dei servizi aerei. Il regolamento fissa il principio della piena libertà tariffaria e sancisce che la relativa disciplina deve ispirarsi a canoni di accessibilità delle informazioni e non discriminazione. Quanto ai soggetti istituzionali nel settore del trasporto aereo, un ruolo centrale è rivestito dall’ente nazionale per l’aviazione civile -eNAC (ente pubblico soggetto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti), che è competente in materia di sicurezza, di tutela dei diritti dei passeggeri e dell’ambiente e di obblighi di servizio pubblico, e dall’eNAV s.p.a. (società nazionale per l’assistenza al volo, interamente partecipata dallo Stato), che è responsabile del controllo del traffico aereo, della navigazione terminale in aeroporto, nonché dell’assegnazione delle aerovie. b) Trasporto marittimo. La materia è disciplinata dal regolamento (Ce) n. 4055/1986 del Consiglio del 22 dicembre 1986 che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi ed altresì dal Regolamento (Cee) n. 3577/92 del Consiglio, del 7 dicembre 1992, concernente l'applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo). Valgono principi analoghi a quelli descritti in materia di trasporto aereo. A tutela della sicurezza e della concorrenza è stata istituita -con Regolamento (Ce) n. 1406/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2002 - l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (eMSA). c) Trasporto ferroviario nazionale e internazionale. La materia è disciplinata dalla direttiva unionistica n. 2012/34/ue del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico, attuata con D.L.vo 15 luglio 2015, n. 112, il quale disciplina: RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 -le regole relative all'utilizzo ed alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria adibita a servizi ferroviari nazionali e internazionali ed alle attività di trasporto per ferrovia delle imprese ferroviarie operanti in Italia (artt. 11-16 D.L.vo n. 112/2015). Poiché la rete ferroviaria, non essendo duplicabile, attiene ad un monopolio naturale, è prevista la separazione tra il soggetto gestore di essa ed i soggetti erogatori del servizio di trasporto. Il gestore della rete -ossia: Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., totalmente partecipata da Ferrovie dello Stato s.p.a., a sua volta totalmente partecipata dallo Stato -deve essere un soggetto indipendente dai fornitori del servizio ed è tenuto ad assegnare la capacità di infrastruttura ferroviaria nel rispetto dei criteri di equità, trasparenza e non discriminazione (65). Alle imprese ferroviarie è concesso, a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti, il diritto di accesso alla infrastruttura ferroviaria per l'esercizio del trasporto ferroviario di merci e dei servizi ad esso collegati e per l'esercizio dei servizi di trasporto ferroviario di passeggeri. I rapporti tra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale e lo Stato sono disciplinati da un atto di concessione e da uno o più contratti di programma. I contratti di programma sono stipulati per un periodo minimo di cinque anni, nel rispetto dei principi e parametri fondamentali di cui all'allegato II del D.L.vo n. 112/2015; -i criteri che disciplinano il rilascio, la proroga o la modifica delle licenze per la prestazione di servizi di trasporto ferroviario da parte delle imprese ferroviarie stabilite in Italia (artt. 4-10 D.L.vo n. 12/2015). I soggetti erogatori del servizio di trasporto, per accedere all’infrastruttura, devono ottenere una licenza da parte del Ministero delle infrastrutture e trasporti, il cui rilascio non è discrezionale, essendo subordinato al mero accertamento dei requisiti in materia di onorabilità, capacità finanziaria e competenza professionale, nonché di copertura della propria responsabilità civile stabiliti dalla legge. Tra i soggetti erogatori del servizio ricordiamo la società Trenitalia s.p.a., anch’essa totalmente partecipata da Ferrovie dello Stato s.p.a.; -i principi e le procedure da applicare nella determinazione e nella riscossione dei canoni dovuti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria ed anche nell'assegnazione della capacità di tale infrastruttura (artt. 17-21 D.L.vo n. 112/2015). Fermo restando il generale potere di indirizzo del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle imprese ferroviarie, l'Autorità di regolazione dei trasporti, fatta salva l'indipendenza del gestore dell'infrastrut (65) L’assegnazione della capacità di infrastruttura è regolata negli artt. 22-41 del D.L.vo n. 112/2015. CoNTRIbuTI DI DoTTRINA tura e tenendo conto dell'esigenza di assicurare l'equilibrio economico dello stesso, stabilisce i criteri per la determinazione del canone per l'utilizzo del- l'infrastruttura ferroviaria da parte del gestore dell'infrastruttura e dei corrispettivi dei servizi. Di seguito, il gestore dell'infrastruttura ferroviaria determina il canone dovuto dalle imprese ferroviarie per l'utilizzo dell'infrastruttura e procede alla riscossione dello stesso. Il gestore dell'infrastruttura provvede affinché l'applicazione del sistema di imposizione comporti canoni equivalenti e non discriminatori per le diverse imprese ferroviarie che prestano servizi di natura equivalente su una parte simile del mercato o di rete. 10. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Forniture elettriche. Il settore dell’energia elettrica, così come quello del gas naturale, è stato progressivamente, anche se non completamente, aperto al mercato concorrenziale per effetto della normativa unionistica. Per entrambi i settori si è realizzato il superamento dei regimi di riserva istituiti a favore di soggetti pubblici: il monopolio pubblico era gestito dall’enel e dall’eni (enti pubblici economici, poi trasformati nel 1992 in società per azioni) -rispettivamente nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale. Tale servizio -come quella delle forniture di gas naturale -coinvolge la materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia” oggetto di competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni ex art. 117, comma 3, Cost. a) La disciplina della materia si rinviene nel D.L.vo 16 marzo 1999, n. 79 e succ. mod., in attuazione delle direttive unionistiche recanti norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica (66). L’attività di distribuzione (ossia il trasporto di energia elettrica su reti in media e bassa tensione) per la consegna ai clienti finali, avendo carattere di monopolio naturale, è sottoposta ad un regime concessorio: il rilascio delle concessioni avviene mediante gara, le cui modalità sono determinate con regolamento dal Ministero dello sviluppo economico, sentita la Conferenza uni (66) L’attività di produzione di energia elettrica è libera (sono previste, comunque, procedure autorizzative per la costruzione dei relativi impianti). Libere sono anche le attività di importazione e di esportazione di energia elettrica. Le attività di trasmissione (ossia il trasporto di energia elettrica su reti ad alta e altissima tensione) e di dispacciamento (consistente nell’insieme delle funzioni per l’uso coordinato di impianti di produzione e delle reti), avendo carattere di monopolio naturale in quanto la rete elettrica non è duplicabile, sono affidate, in regime di concessione ex lege, ad un soggetto ad hoc, il gestore della rete, che attualmente è anche proprietario della rete stessa. Si tratta di Terna s.p.a. Il gestore della rete ha l’obbligo di connettere alla rete tutti i soggetti che ne facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio, e purché siano rispettate le regole tecniche e le condizioni determinate dall’AReRA, atte a garantire a tutti gli utenti la libertà di accesso alla rete a parità di condizioni, l’imparzialità e la neutralità del servizio (art. 3, commi 1 e 3, D.L.vo n. 79/1999). RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 ficata e l’AReRA. Le imprese distributrici hanno l'obbligo di connettere alle proprie reti tutti i soggetti che ne facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano rispettate le regole tecniche nonché le deliberazioni emanate dall'AReRA in materia di tariffe, contributi ed oneri (art. 9 D.L.vo n. 79/1999). Anche l’attività di vendita dell'energia elettrica è libera. Sicché tutti i clienti finali -domestici; non domestici; idonei, ossia con un consumo di energia elettrica superiore ad una certa soglia -hanno la facoltà di poter scegliere liberamente il proprio fornitore (art. 14 D.L.vo n. 79/1999). b) ordinamento settoriale. Il maggiore attore è lo Stato, titolare della potestà legislativa esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. e) Cost. nella materia della “tutela della concorrenza” e competente a fissare i principi fondamentali nella materia concorrente (art. 117, comma 3, Cost.) della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”. Per lo Stato le funzioni spettano al governo ed al Ministero dello sviluppo economico. Il governo determina gli obiettivi generali di politica energetica e indica le esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità di cui le autorità di regolazione devono tenere conto; esso stabilisce i criteri generali integrativi per la determinazione delle tariffe da parte dell’AReRA. Il Ministero dello sviluppo economico è invece competente, in via generale, a provvedere alla sicurezza e all’economicità del sistema elettrico nazionale: a tal fine svolge numerose funzioni di carattere tecnico, come ad esempio il controllo delle attività di manutenzione e sviluppo della rete elettrica. In materia svolge attività di regolazione e controllo l'Autorità di regolazione per rnergia reti e ambiente (AReRA). c) utenti del servizio. Il contratto di fornitura di energia elettrica è il contratto con cui una parte (il venditore) si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, a somministrare a favore dell’altra (l’utente consumatore) energia elettrica. È un contratto: consensuale che si perfeziona solo con il consenso delle parti: oneroso; a prestazioni corrispettive (l’energia viene erogata a seguito del pagamento delle bollette); di durata (nel senso che l’esecuzione del contratto si protrae nel tempo per soddisfare un bisogno del consumatore che si estende anche esso nel tempo). Ciascun utente, in sostanza, è libero di scegliere il venditore di energia che applica le migliori condizioni contrattuali e tariffarie in rapporto al proprio caso. 11. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Forniture di gas naturale. a) La disciplina della materia si rinviene nel D.L.vo 23 maggio 2000, n. 164 e succ. mod., in attuazione delle direttive unionistiche recanti norme comuni per il mercato interno del gas naturale (67). CoNTRIbuTI DI DoTTRINA L’art. 14, comma 1, D.L.vo n. 164/2000 stabilisce che “L'attività di distribuzione di gas naturale è attività di servizio pubblico. Il servizio è affidato esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni. Gli enti locali che affidano il servizio, anche in forma associata, svolgono attività di indirizzo, di vigilanza, di programmazione e di controllo sulle attività di distribuzione, ed i loro rapporti con il gestore del servizio sono regolati da appositi contratti di servizio, sulla base di un contratto tipo predisposto dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas ed approvato dal Ministero del- l'industria, del commercio e dell'artigianato”. b) ordinamento settoriale e c) utenti del servizio. Venendo in rilievo un settore energetico, vale sul punto quanto esposto per le forniture elettriche. 12. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Telecomunicazioni. La materia “ordinamento della comunicazione” è oggetto di competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni ex art. 117, comma 3, Cost. La materia coincide con il sistema delle comunicazioni considerato dalla L. 31 luglio 1997, n. 249, istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e riferita tanto al settore delle telecomunicazioni quanto a quello della radiotelevisione (68). a) La disciplina della materia si rinviene nel D.L.vo 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche). b) ordinamento settoriale. Il maggiore attore è lo Stato, titolare della potestà legislativa esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. e) Cost. nella materia della “tutela della concorrenza” e competente a fissare i principi fondamentali nella materia concorrente (art. 117, comma 3, Cost.) dell’“ordinamento della comunicazione”. (67) Con la indicata normativa si stabilisce la liberalizzazione del mercato interno del gas naturale. All’uopo l’art. 1, comma 1, D.L.vo n. 164/2000 enuncia che “le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere”; l’art. 8, commi 1 e 2 D.L.vo n. 164/2000 statuiscono: “L'attività di trasporto e dispacciamento di gas naturale è attività di interesse pubblico. Le imprese che svolgono attività di trasporto e dispacciamento sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano richiesta ove il sistema di cui esse dispongono abbia idonea capacità, e purché le opere necessarie all'allacciamento dell'utente siano tecnicamente ed economicamente realizzabili in base a criteri stabiliti con delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas”; invece l'attività di stoccaggio del gas naturale in giacimenti o unità geologiche profonde è attività sottoposta a riserva statale svolta sulla base di concessione, di durata non superiore a venti anni, rilasciata dal Ministero dello Sviluppo economico ai richiedenti che abbiano la necessaria capacità tecnica, economica ed organizzativa e che dimostrino di poter svolgere, nel pubblico interesse, un programma di stoccaggio rispondente alle disposizioni del D.L.vo n. 164/2000 (art. 11, comma 1, D.L.vo n. 164/2000). (68) Per tali aspetti: g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA (a cura di), Le materie di competenza regionale. Commentario, cit., pp. 312. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 In materia svolge attività di regolazione in parte il Ministero dello sviluppo economico e in parte l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgCoM). Per quanto riguarda la disciplina dell’accesso al mercato, è previsto che l’attività di fornitura delle reti o di servizi di comunicazione elettronica (telefoni, internet, ecc.) sia subordinata all’ottenimento di una unica autorizzazione generale, rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico in base ad una procedura modellata sull’art. 19 L. n. 241/1990, e quindi di carattere non discrezionale. Il Ministero è titolare di una generica funzione di vigilanza sull’adempimento degli obblighi che derivano dalle autorizzazioni generali e sul rispetto della normativa di settore. La restante funzione di regolazione è rimessa, fondamentalmente, all’AgCoM. c) utenti del servizio. Venendo in rilevo un servizio, gli utenti finali hanno il diritto ad un insieme minimo di prestazioni su tutto il territorio nazionale e con carattere di continuità (in particolare una connessione in postazione fissa alla rete telefonica pubblica, un efficace accesso e un elenco degli abbonati). 13. Tipologia di servizi pubblici economici. (segue) Servizio postale. Cenni. La disciplina della materia si rinviene nel D.L.vo 22 luglio 1999, n. 261 (Attuazione della direttiva 97/67/Ce concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio). 14. Giurisdizione. In ordine alla giurisdizione nelle controversie in materia di servizi pubblici occorre distinguere due casi: controversie tra utenti e gestori del servizio pubblico e controversie tra i gestori del servizio e l’amministrazione affidante. La cognizione delle controversie tra utenti e gestori del servizio pubblico spetta al giudice ordinario. Tanto sulla base delle ordinarie regole sul riparto di giurisdizione vendendo in rilevo un contratto con contrapposti diritti ed obblighi. Fa eccezione il caso del servizio di gestione dei rifiuti nel quale il corrispettivo è congegnato come tributo, sicché la controversia spetta alla cognizione delle Commissioni tributarie ex art.n2 D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546. Attesa la massività dei rapporti viene incentivata la definizione non contenziosa delle controversie; all’uopo le carte dei servizi dei soggetti pubblici e privati che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità contengono la previsione della possibilità, per l'utente o per la categoria di utenti che lamenti la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia, che avviene entro i trenta giorni successivi alla richiesta; esse prevedono, altresì, l'eventuale ricorso a CoNTRIbuTI DI DoTTRINA meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del soggetto inadempiente (art. 30 L. 18 giugno 2009, n. 69) (69). L’efficienza del servizio pubblico può altresì essere assicurata dalla c.d. class action pubblica ex D.L.vo 20 dicembre 2009, n. 198 rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. Il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori. Nel giudizio di sussistenza della lesione il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate. Il ricorso non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti rilevanti; a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari. La cognizione delle controversie tra i gestori del servizio e l’amministrazione affidante “in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità” spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. c) D.L.vo n. 104/2010. L’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in tema di servizi pubblici, deve considerarsi limitato alle controversie concernenti il titolo in base al quale i servizi sono erogati (invalidità (69) L’art. 11 D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 contiene normativa di dettaglio con riguardo alla tutela non giurisdizionale in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica. RASSegNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 3/2020 della concessione, mancanza dei requisiti per l’esercizio dei diritti che scaturiscono dall’autorizzazione generale). essa non include, da un lato, le dispute riguardanti l’organizzazione del servizio, che la giurisprudenza assimila alle azioni popolari, ammesse dall’ordinamento soltanto in casi eccezionali; non include neppure -come visto innanzi -le controversie relative alle prestazioni erogate al pubblico e ai singoli (70). (70) Per tali aspetti: g. DeLLA CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), cit., p. 468. ContrIbUtI DI DottrInA VACCINAZIONI ANTI-COVID: il dialogo necessario tra medicina e diritto (*) Natale Gaetana* nella drammaticità della pandemia da Covid-19 la ricerca scientifica, supportata da ingenti finanziamenti pubblici, è riuscita in tempi brevissimi a mettere a disposizione alcuni prototipi di vaccino che offrono la possibilità di un contenimento efficace alla diffusione del virus, un virus che, per la sua specificità e per la sua cd. plasticità d’ospite, ha messo in ginocchio l’economia dell’intero pianeta. “Ma di tutto il male la cosa più terrificante era la demoralizzazione da cui venivano presi quando si accorgevano di essere stati contagiati dal morbo. Ciò provocò la più vasta mortalità” (Thuc. II 47,2-48,3). Così si esprimeva tucidide nella sua opera “Guerra del Peloponneso”, opera in cui lo storico racconta la peste che devastò Atene durante il secondo anno della guerra del Peloponneso, nel 430 a.c. Le parole di tucidide, da cui si evince il clima di paura del contagio e della morte nel quale vivevano gli ateniesi, sono ancora attuali. La paura del virus ha generato una vera psicosi alimentata quotidianamente dai mass- media che rappresentano, volendo usare un termine enucleato dalla psicologia, la cd. euristica della disponibilità. Duemilacinquecento anni fa, come oggi, si dovette gestire l’emergenza, i bisogni economici e prevenire la disperazione e i disordini sociali. Il grande Pericle non ci riuscì e così iniziò il lento declino della civiltà ateniese. A quel tempo non vi erano, però, i vaccini, anche se tucidide osservò che coloro che sopravvivevano alla malattia infettiva sviluppavano una certa resistenza tanto che si occupavano di coloro che la contraevano successivamente (1). Era ancora lontano il con (* ) In calce all’articolo si pubblica il Piano Strategico Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19, Elementi di preparazione e di implementazione della strategia vaccinale (Ministero della Salute, Presidenza del Consiglio dei Ministri -Commissario Straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, Istituto Superiore di Sanità, age.na.s., AIFA -Agenzia Italiana del Farmaco). Aggiornamento del 12 dicembre 2020. (* ) Avvocato dello Stato, assegnata alla V sezione dell'Avvocatura Generale dello Stato, Sezione preposta alla difesa del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità e Aifa -Agenzia Italiana per il farmaco; Consigliere Giuridico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno. Si ringrazia la Dott.ssa Valentina Sabatino, praticante forense presso l'Avvocatura Generale dello Stato, per la redazione e correzione delle note. (1) D. Von EnGELhArDt, Il sollievo della sofferenza nella storia della medicina, in E. SGrECCIA, Storia della medicina e storia dell’etica medica verso il terzo millennio, Soveria Mannelli, rubbettino, 2000. rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 cetto di “memoria immunologica”: il termine vaccino (dal latino “vaccinus”, derivato da “vacca”) solo parecchi millenni dopo fu utilizzato per indicare sia il vaiolo dei bovini (vaiolo vaccino) sia il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino, impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano. Il principio dell’azione della vaccinazione risiede in meccanismi fisiologici che sfruttano principalmente il concetto di memoria immunologica. La scoperta della proprietà immunizzante della vaccinazione risale a Edward Jenner (1749-1823), medico e naturalista britannico, considerato il padre dell’immunizzazione (2). Egli dimostrò come una lieve infezione prodotta dal virus del vaiolo vaccino fosse in grado di proteggere da quella, molto più grave, prodotta dal virus del vaiolo umano. Successivamente, nel 1880, L. Pasteur scoprì che le colture del batterio del colera dei polli una volta esposte per un adeguato periodo di tempo all’ossigeno dell’aria si “indebolivano” e non era più in grado di provocare la morte del pollo in cui venivano iniettate, ma anzi l’animale diventava immune a eventuali successive vere infezioni da quel germe. Questa scoperta pose le basi per l’evoluzione dei vaccini vivi attenuati, come ad esempio oggi quello del morbillo. La storia della medicina potrebbe continuare con le scoperte di Alexander Fleming, Robert Koch, scoperte e studi che hanno portato alla completa eliminazione di malattie prima esistenti: il vaiolo è scomparso nel 1977 e dal 2002 il continente europeo è privo della poliomielite (3). Perché queste considerazioni? Ebbene la ragione risiede nel fatto che nell’attuale crisi pandemica occorre recuperare la fiducia nella scienza medica, attraverso un approccio di “oggettivizzazione di significato”, promuovendo un processo di responsabilizzazione sociale in un’ottica meta- individuale del diritto alla salute ex artt. 2 e 32 Cost. tale processo di responsabilizzazione deve basarsi sullo stato delle conoscenze scientifiche attuali con il rispetto del principio di autodeterminazione individuale che trovi le sue basi sui dati scientifici certi, così come riportati nelle più autorevoli riviste scientifiche secondo i criteri rigorosi dell’index quotation, peer review e impact factors. Dal punto di vista giuridico il vaccino deve inquadrarsi tra le misure volte al contenimento del virus, materia di profilassi internazionale, di attribuzione esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. q, perché è riservato a quest’ultimo “il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze scientifiche disponibili” (sent. Corte Cost. n. 5/2018 (4)). La materia va ad innestarsi nella (2) E. JEnnEr, On Vaccination Against Smallpox, United Kingdom, Dodo Press, 2009. (3) J. rUffIè, J.C. SoUrnIA, Le epidemie nella storia, roma, Editori riuniti, 1985. (4) La Corte Costituzionale, con la sent. n. 5 del 24 gennaio 2018, ha affermato il principio secondo cui il legislatore può adottare un atteggiamento diverso nei confronti di taluni trattamenti medici, nella specie delle vaccinazioni, purché si tratti di misure efficaci a salvaguardare la salute della popolazione. ContrIbUtI DI DottrInA complessa e delicata questione della sovrapposizione di competenze tra Stato e regioni, questione che trova un suo momento di sintesi nella seguente statuizione: la sanità è materia di legislazione concorrente, ma non sono ammissibili interventi in materia di vaccinazioni obbligatorie da parte delle regioni. Lo ha di recente ribadito il tar Lazio (sez. III quater, 2 ottobre 2020, n. 10047), annullando l’ordinanza della regione Lazio che imponeva l’obbligo della vaccinazione antinfluenzale stagionale per la categoria dei soggetti deboli over 65 anni, per il personale sanitario e sociosanitario e per le persone immunodepresse. Il dilemma allora si snoda su due concetti basilari: quello della raccomandazione e quello della prescrizione, binari lungo i quali può svilupparsi la discrezionalità legislativa nell’ambito della cd. “Ermessen”, ossia la valutazione comparativa degli interessi in gioco ispirata ai principi di precauzione e di proporzionalità. É l’antico dilemma tra Autorità e Libertà nella consapevolezza, come mettono in evidenza alcuni illustri costituzionalisti (5), che la pandemia rappresenta uno “stato di emergenza”, ma non uno “stato di eccezione”. Superando la diversità di pensiero tra Schmitt (6) e Kelsen (7) sul concetto di Costituzione, Grundnorm, lo stato di eccezione è il punto di non ritorno della legalità costituzionale, l’emergenza è, invece, il punto di consolidamento e di evoluzione della legalità costituzionale, lo stato di emergenza si dichiara “non per distruggere”, ma per “proteggere”: lo stato di emergenza è esso stesso fonte di produzione normativa. Si pensi a tal riguardo al concetto di “estado de alarma” che troviamo nella Costituzione spagnola (8). Se allora lo stato di emergenza pandemica, che non trova una sua puntuale previsione nella nostra Costituzione italiana (9), è dichiarato con lo scopo pre- Infatti, la scelta delle modalità attraverso le quali si deve assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive spetta alla discrezionalità del legislatore, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo. Seguendo tale disciplina, cfr. C. Cost., sent. 6 giugno 2019, n. 137; C. Cost., sent. 18 luglio 2019, n. 186; C. Cost., sent. 23 giugno 2020, n. 118; nonché le sentenze del Consiglio di Stato, cfr. Cons. St., sez. III, sent. 3 ottobre 2019, n. 6655 e Cons. St., sez. III, sent. 9 gennaio 2017, n. 27, ove il collegio ha determinato, per la scelta del vaccino e in virtù del principio di precauzione, la necessaria individuazione del rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili, e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura. (5) Cfr. M. LUCIAnI, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, Consulta online, 11 aprile 2020. (6) C. SChMItt, Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität, München- Leipzig, Duncker & humblot, 1934. (7) h. KELSEn, Essenza e valore della democrazia, bologna, Il Mulino, 1998, pagg. 68-69. (8) G. bAttArIno, Prime riflessioni su un criterio di distribuzione dei vaccini anti Sars-Cov2 costituzionalmente fondato, in Questione Giustizia.it, 24 novembre 2020. (9) Elemento sottolineato più volte da illustri costituzionalisti, vd. ad es. I.A. nICotrA, Stato di necessità e diritti fondamentali. Emergenza e potere legislativo, in AIC. Rivista, n. 1/2021; A. CELotto, Necessitas non habet legem? Prime riflessioni sulla gestione costituzionale dell'emergenza coronavirus, bologna, Mucchi Editore, 2020. rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 cipuo della “protezione della salute collettiva” da contemperare con gli interessi dell’attività economica di un Paese, (principio guida nel controllo parlamentare preventivo e successivo dei vari DPCM che hanno regolato tale periodo insieme alle numerose ordinanze della Protezione Civile, del Ministero della Salute e della regioni), allora il piano vaccinale dovrà essere attuato secondo il principio non della prescrizione obbligatoria, ma della cd. “raccomandazione rafforzata” (10), modulata sui principi di precauzione, proporzionalità e ragionevolezza. É questa la cd. Daubert trilogy (11), sviluppatasi dopo la sentenza Cozzini (Cass. Pen. IV, 17 settembre 2010, n. 43786). Secondo la Daubert trilogy sviluppatasi nella giurisprudenza americana una tesi scientifica è affidabile quando rispetta le seguenti condizioni: 1) Sottoposizione della tesi scientifica a test; 2) Pubblicazione della tesi in rivista soggetta a peer review (revisione tra pari); 3) Indicazione del tasso di errore noto o potenziale della tesi; 4) Generale accettazione della tesi da parte della comunità scientifica di riferimento. tutto l’impianto scientifico relativo al Coronavirus è incentrato sull’elaborazione e sulla condivisione dei dati, attività che ha visto la collaborazione recente anche dell’Accademia nazionale dei Lincei, per l’analisi del valore rt (Rate trasmission), elaborato con un metodo statistico consolidato incentrato sull’algoritmo Markov Chain Montecarlo. Secondo la sentenza Cozzini, l’affidabilità della tesi scientifica, secondo l’impostazione dell’epistemologia moderna (12), va valutata con i seguenti parametri: identità, autorità indiscussa e indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, finalità per cui il soggetto fa la ricerca, ampiezza, rigore, oggettività della ricerca, grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi, intensità della discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio, attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica, consenso che raccoglie nella comunità scientifica. Se spostiamo tali principi metodologici ai vaccini, è innegabile che i consistenti finanziamenti pubblici alle industrie farmaceutiche con temporanea limitazione del loro diritto di brevetto e la procedura di autorizzazione accelerata del rolling review da parte dell’EMA e dell’AIfA con concomitante esecuzione (10) G. CErrInA fEronI, Vaccino obbligatorio: «Raccomandare è giusto, ma imporre va contro i diritti», in Il Dubbio, 1 gennaio 2021. (11) «Il decisore politico non potrà tuttavia scegliere a caso tra l’una o l’altra teoria scientifica, ma potrà e dovrà distinguere tra scienza e pseudo-scienza individuando la tesi scientifica più affidabile avvalendosi dei parametri elaborati dalla giurisprudenza statunitense (Daubert trilogy) e nazionale (sentenza Cozzini, Cass. pen., IV, 17 settembre 2010 n. 43786)», r. DE nICtoLIS, Il processo amministrativo ai tempi della pandemia, in Il Diritto Amministrativo. Rivista giuridica, Anno XIII, gennaio 2021, n. 1. (12) K. PoPPEr, Conjectures and Refutations, London, 1969 (trad. it., bologna, 1972). ContrIbUtI DI DottrInA delle fasi dei clinical trials, (facendo tesoro dell’esperienza scientifica maturata per la Sars) accompagnata, però, dalla costante attività di farmacovigilanza e monitoraggio continuo degli effetti delle inoculazioni, ci porta a considerare la vaccinazione il risultato di un individuale percorso decisionale che deve rimanere ispirato al principio di autodeterminazione e di solidarietà sociale. “Non sarebbero auspicabili misure afflittive indirette incidenti sulla sfera giuridica dei soggetti non vaccinati come l’impossibilità di accedere ad ospedali, strutture socio-sanitarie o ad ambienti lavorativi, o anche solo sportivi, ludici o ricreativi che renderebbe di fatto “obbligatorio” il vaccino. Ciò non sarebbe compatibile con i principi costituzionali” (13). Si potrebbe obiettare che “in tema di vaccinazioni scolastiche si è scelta la strada della prescrizione e non della raccomandazione rafforzata puntando nel contempo sull’efficacia delle politiche sociali basate sulla persuasione critica per garantire e conciliare il diritto alla salute con il diritto all’istruzione” (Corte Cost. n. 5/2018 e Commissione speciale del CDS parere n. 2065 del 26 settembre 2017) (14). Ma la vaccinazione anti-Covid presenta delle peculiarità del tutto eccezionali. É la più grande vaccinazione di massa che sia mai avvenuta nella storia della medicina, una vaccinazione che viene praticata nel bel mezzo di una pandemia in una fase di continua evoluzione dei dati scientifici che impongono anche un onere di aggiornamento dei risultati della ricerca sui singoli cittadini che si trovano ad affrontare tra l’altro anche una crisi economica senza precedenti. A livello europeo la Commissione è stata promotrice di un’azione comune coordinata tra i vari Paesi, provvedendo alla stipula di contratti per la fornitura di vaccini con le grandi industrie farmaceutiche (15) (il 13, 5 per cento delle dosi acquisite andranno all’Italia), vietando nel contempo i parallel agreement dei singoli Stati. Si pone allora il problema dell’individuazione delle strategie, dei criteri etici e degli obiettivi che la campagna vaccinale anti-Covid deve perseguire (16). Qualche mese fa, sulla rivista Science, 19 epidemiologici, filosofi e giuristi hanno pubblicato un modello denominato “Fair Priority Model” (17). La “priorità equa” andrebbe perseguita individuando tre fasi: 1. ridurre le morti premature; 2. ridurre le conseguenze economiche e sociali gravi; 3. ritornare alla situazione ante-virus. La metrica importante più impiegata è quella degli anni attesi di vita persi, (13) G. CErrInA fEronI, op.cit. (14) Ibidem. (15) Commissione Europea, Coronavirus: la Commissione approva un terzo contratto per garantire l'accesso a un potenziale vaccino, Comunicato Stampa, bruxelles, 8 ottobre 2020. (16) In merito, la Commissione Europea ha cercato di delineare delle linee guida comuni per la somministrazione del vaccino anti-Covid, vd. CoM(2020) 680, del 15 ottobre 2020. (17) AA.VV., An ethical framework for global vaccine allocation, in Science, 11 settembre 2020. rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 ovvero brutalmente la tutela di un giovane viene anteposta a quella di un anziano, perché il primo ha più tempo di vivere. La priorità nei vaccini andrebbe, dunque, ai Paese capaci di ridurre più “anni persi” per dose di vaccino. In realtà, aldilà dell’aspetto etico che non può essere trascurato, le strategie vaccinali devono essere modellate sulle informazioni scientifiche in possesso relative alle specificità dei vaccini: se a livello scientifico è riconosciuto che il vaccino può solo evitare il peggioramento della malattia, appare opportuno, come risulta dal piano vaccinale italiano concordato in sede di Conferenza Unificata Stato-regioni, dare la priorità ai soggetti fragili e agli operati sanitari. Se, invece, le conoscenze scientifiche porteranno ad appurare che il vaccino è in grado di interrompere la trasmissibilità del virus, si dovrà prendere in considerazione la necessità di somministrare con priorità il vaccino anche a quelle categorie che diffondono la malattia. Una recente circolare del Ministero della Salute, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del 24 dicembre 2020 (18), regola la governance e gli aspetti operativi delle vaccinazioni, rinviando poi al piano per l’individuazione delle categorie target delle vaccinazioni. La recentissima Legge finanziaria del 30 dicembre 2020, n. 178, stabilisce infine, che il Ministro della Salute adotta con proprio decreto «avente natura non regolamentare», il piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sars-Covid2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale. Sul piano strettamente giuridico, si è messo correttamente in evidenza l’opportunità che il piano vaccinale venga regolato con legge ordinaria e non con un atto amministrativo generale (19). É opportuno, però, tener conto della situazione epidemiologica attuale che presenta dei profili logistici ed organizzattivi di non poca complessità che impongono una strategia di tipo “adattativo” e “reattivo” (reaction vaccination). nei giorni in cui viene scritto il presente articolo viene somministrato il vaccino Pfizer, vaccino definito a mrnA, cioè composto da rnA messaggero, incapsulato in sacche lipidiche cd. “liposomi”, che va conservato a meno 70 gradi centigradi. Come il vaccino Moderna approvato dall’EMA lo scorso 6 gennaio, tale vaccino non contiene il virus, ma una molecola chiamata appunto mrnA che ha le istruzioni per produrre la proteina Spike. Questa è una proteina che si trova sulla superficie del virus Sars-Cov2 di cui il virus ha bisogno per agganciarsi ai recettori ACE delle cellule, per poi entrare in essere e distruggerle. Quando una persona riceve il vaccino, alcune (18) Piano Strategico per la Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19, Ministero della Salute, n. 42164, 24 dicembre 2020. (19) Vd. n. roSSI, Il Diritto di vaccinarsi. Criteri di priorità e ruolo del Parlamento, in Questione Giustizia.it, n. 1/2021. ContrIbUtI DI DottrInA delle sue cellule leggeranno le istruzioni dell’mrnA e produrranno temporaneamente la proteina Spike. Il sistema immunitario della persona riconoscerà questa proteina come estranea e produrrà anticorpi, attivando i linfociti t (un tipo di globuli bianchi) per attaccarle. L’mrnA del vaccino non rimane nel corpo, ma viene scomposto ed eliminato subito dopo la vaccinazione. Per il cittadino comune non è facile cogliere le differenze con il vaccino Astrazeneca ancora in corso di valutazione messo a punto dall’Università di oxford in collaborazione con l’Irbm di Pomezia che invece, utilizza il metodo del vettore virale. Molti si chiederanno se sia meglio aspettare il vaccino italiano Reithera prodotto in collaborazione con lo Spallanzani che avrà l’indubbio vantaggio di essere conservato ad una temperatura tra i 2 e gli 8 gradi per 30 giorni e inoculato con una sola dose. L’approccio alla vaccinazione deve partire da un atto di responsabilità sociale con fiducia nella scienza medica e con la consapevolezza che il monitoraggio continuo degli enti regolatori porterà a chiarire senz’altro se il vaccino potrà essere somministrato ai minori di 16 anni, alle donne in gravidanza o in allattamento, se il vaccino protegge solo dalla malattia o anche dall’infezione, se sia in grado di prevenire la malattia asintomatica e a definire il limite temporale dell’immunità. Sappiamo con certezza che solo con la seconda dose (da somministrare dopo 21 giorni per il Vaccino Pfizer e 28 giorni per Moderna) dopo 10 giorni inizia il cd. “switch di classe”, ossia la produzione di anticorpi più affini ed efficaci, determinando una protezione al 95%. I vaccini anti-Covid approvati oggi nel mondo sono sette: tre cinesi, due russi, oltre ai due sopra citati di Pfizer-BioNtech e Moderna. La ricerca scientifica ha dimostrato di avere delle straordinarie potenzialità che si sono tradotte anche, non si può negare, in un potenziamento azionario delle grandi multinazionali farmaceutiche. occorre, però, nella fase di crisi in cui ci troviamo individuare delle priorità di analisi che non possono non investire in primis la tutela della salute in un’ottica di cd. “umanizzazione della medicina”. La vaccinazione anti-Covid deve seguire una logica “individualizzante”, incentrata sull’esposizione al rischio di contagio e sulle cd. fragilità. tale logica è rinvenibile in una recentissima sentenza del Tar Bari sez. II, 7 gennaio 2021, n. 39. In tale sentenza relativa agli obblighi vaccinali obbligatori e attività degli uffici del servizio sanitario pubblico viene affermato che le istituzioni scolastiche, gli uffici ASL preposti e i pediatri di libera scelta sono chiamati a cooperare nello scambio di dati utili e ad individuare i minori per i quali le vaccinazioni sono state regolarmente effettuate o omesse senza giustificazione o esonerati (anche temporaneamente) nelle previste ipotesi, avendo cura di dedicare una particolare attenzione ai soggetti minori portatori di disabilità o, comunque, soggetti “fragili” in relazione alla peculiare condizione di salute, onde appurare la modalità clinicamente più opportuna per l’adempimento dell’obbligo vaccinale che può anche comprendere, compor rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 tare l’esonero giustificato, temporaneo o assoluto della somministrazione di uno o più vaccini. In altri termini la vaccinazione deve modellarsi sulle esigenze del singolo: deve venire in rilievo non l’obbligo in quanto tale, ma la persona su cui va ad incidere. In medicina è frequente l’approccio terapeutico secondo cui deve considerarsi il malato e non malattia, dando prevalenza al concetto della cd. alleanza terapeutica. É noto che l’art. 2, comma 1, lett. a) del DPCM 12 gennaio 2017 (20), contenente la definizione dei livelli essenziali di assistenza (cd. LEA) di cui all’art. 1, comma 7, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, prevede, tra l’altro, nell’ambito della prevenzione collettiva e sanità pubblica, che il Servizio sanitario nazionale debba garantire, attraverso i propri servizi, nonché avvalendosi dei medici di medicina generale e dei pediatri convenzionati, le attività di sorveglianza, di prevenzione e di controllo delle malattie infettive, parassitarie, inclusi i programmi vaccinali. tale attività per le vaccinazioni anti- Covid, accentrate, data l’emergenza a livello governativo, deve essere rivolta a fornire in modo proattivo informazioni complete, obiettive e accurate con la finalità di favorire un’ampia adesione alla campagna vaccinale. A tal fine sarà necessario spiegare che le rigorose procedure di autorizzazione dell’UE non contemplano alcuna deroga alla sicurezza. occorrerà chiarire il concetto di “pressione qualitativa”, nel senso che il virus mrnA per sua natura è destinato a mutare, per cui in caso di mutazione bisognerà modificare la sequenza generica della proteina Spike generata dal vaccino, un’operazione semplice che richiede poche settimane, fermo restando che i vaccini approvati sono vaccini ad ampio spettro di azione. L’informazione capillare e diffusa è alla base del consenso informato: le iniziative istituzionali di AIfA, ISS e Ministero della salute sono molto importanti e meritevoli, ma sappiamo che sui social media viaggiano velocissime ben altre informazioni. L’attuale campagna vaccinale viaggia nella cd. “infosfera” di cui parla Luciano floridi, docente di filosofia ed Etica dell’Informazione a oxford, autore del libro “Pensare l’infosfera” (21). Egli ritiene che la post-modernità rifugga sempre più dalla dimensione reale per andare verso un’inarrestabile astrazione dal materiale. Siamo passati da una posizione ontologica assoluta, modellata su un mondo letto in termini aristotelici (primato delle cose) e newtoniani (primato dello spazio e del tempo) a quella epistemologica- relazionale, dominante nell’infosfera. Un costruzionismo di ispira (20) Il DPCM del 12 gennaio 2017, nell’art. 2, comma 1, lett. a) afferma che «1. Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche e in coerenza con i principi e i criteri indicati dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche e integrazioni, i seguenti livelli essenziali di assistenza: a) Prevenzione collettiva e sanità pubblica […]». (21) L. fLorIDI, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Milano, Cortina raffaello, 2020. ContrIbUtI DI DottrInA zione neo-kantiana definito come processo di modellizzazione (non copia platonica del modello) che dà forma alla realtà rendendola intelligibile. In questa realtà di “inforgs” può prevalere non la conoscenza, ma la pseudoconoscenza. La cd. Bildung, la cd. costruzione del proprio pensiero critico, il processo di formazione del proprio percorso decisionale può essere deviato dalla disinformazione e dalla circolazione di notizie false. Si ricorderà il noto caso del Dott. Wakefield nel 1998: tale medico inglese sostenne che il vaccino MMr provocasse un’infiammazione intestinale favorita da bassi livelli di IgA che rendeva possibile il passaggio in circolo di sostanze tossiche responsabili del- l’insorgenza di encefalopatia e autismo. tuttavia, le sue ricerche dimostrarono limitazioni ed arbitrarietà e i suoi articoli furono successivamente ritrattati dalla rivista scientifica che li aveva pubblicati (The Lancet) e l’autore fu radiato dall’ordine dei medici. Anche di recente nella regione Lazio sono stati presi dei provvedimenti disciplinari nei confronti di alcuni medici che si sono dichiarati contrari alla vaccinazione anti-Covid. L’Avvocatura dello Stato ha in questo senso dato il suo contributo tecnico professionale al rispetto della verità scientifica: nel difendere il Ministero della Salute nelle cause risarcitorie per danni da vaccinazioni obbligatorie, è riuscita in giudizio, attraverso l’invocata applicazione del principio di causalità adeguata, cd. “oltre il più probabile che non” declinato nei criteri cronologico, topografico, dell’efficienza qualitativa e della continuità fenomenica, a ottenere pronunzie (22) che hanno negato categoricamente il nesso di causalità tra vaccinazione ed autismo. É stato questo un esempio costruttivo del dialogo necessario tra medicina e diritto, quel momento di sintesi Aufhebung (23) che è auspicabile trovare nella complessa campagna vaccinale anti-Covid appena iniziata. roma, 9 gennaio 2021 Bibliografia AA.VV., An ethical framework for global vaccine allocation, in Science, 11 settembre 2020. ADInoLfI P., L'innovazione gestionale nelle aziende sanitarie. Dallo Scientific Health Management alla New Health Governance, Salerno, brunolibri, 2008. bAttArIno G., Prime riflessioni su un criterio di distribuzione dei vaccini anti Sars-Cov2 costituzionalmente fondato, in Questione Giustizia.it, 24 novembre 2020. brACCo M., Sulla vaccinazione contro il COVID-19. Competenze e destinatari, in Servizio studi del Senato, 12 gennaio 2021, n. 248. (22) Ex multis, Cass. Civ., sez. lav., sent. 11 settembre 2018, n. 22078; Cass. Civ., sez. lav., sent. 24 giugno 2020, n. 12446; Cass. Civ., sez. III, ord. 10 novembre 2020, n. 25272. (23) PAoLA ADInoLfI, L'innovazione gestionale nelle aziende sanitarie. Dallo Scientific Health Management alla New Health Governance, pagg. 259 ss., Salerno, brunolibri, 2008. rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 CELotto A., Necessitas non habet legem? Prime riflessioni sulla gestione costituzionale del- l'emergenza coronavirus, bologna, Mucchi Editore, 2020. CErrInA fEronI G., Vaccino obbligatorio: «Raccomandare è giusto, ma imporre va contro i diritti», in Il Dubbio, 1 gennaio 2021. DE nICtoLIS r., Il processo amministrativo ai tempi della pandemia, in Il Diritto Amministrativo. Rivista giuridica, Anno XIII, gennaio 2021, n. 1. fLorIDI L., Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Milano, Cortina raffaello, 2020. JEnnEr E., On Vaccination Against Smallpox, United Kingdom, Dodo Press, 2009. KELSEn h., Essenza e valore della democrazia, bologna, Il Mulino, 1998. LUCIAnI M., Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, Consulta online, 11 aprile 2020. nICotrA I.A., Stato di necessità e diritti fondamentali. Emergenza e potere legislativo, in AIC. Rivista, n. 1/2021. PoPPEr K., Conjectures and Refutations, London, 1969. roSSI n., Il Diritto di vaccinarsi. Criteri di priorità e ruolo del Parlamento, in Questione Giustizia.it, n. 1/2021. rUffIè J., SoUrnIA J.C., Le epidemie nella storia, roma, Editori riuniti, 1985. SChMItt C., Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität, München- Leipzig, Duncker & humblot, 1934. tUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, roma, Einaudi, 1997. Von EnGELhArDt D., Il sollievo della sofferenza nella storia della medicina, in SGrECCIA E., Storia della medicina e storia dell’etica medica verso il terzo millennio, Soveria Mannelli, rubbettino, 2000. Giurisprudenza C. Cost., sent. 23 giugno 2020, n. 118. C. Cost., sent. 18 luglio 2019, n. 186. C. Cost., sent. 6 giugno 2019, n. 137. C. Cost., sent. 24 gennaio 2018, n. 5. Cass. Civ., sez. III, ord. 10 novembre 2020, n. 25272. Cass. Civ., sez. lav., sent. 24 giugno 2020, n. 12446. Cass. Civ., sez. lav., sent. 25 ottobre 2018, n. 27101. Cass. Civ., sez. lav., sent. 11 settembre 2018, n. 22078. Cass. Civ., sez. lav., sent. 10 maggio 2018, n. 11339. Cass. Pen., sez. IV, sent. 17 settembre 2010, n. 43786. Cons. St., sez. III, sent. 3 ottobre 2019, n. 6655. Cons. St., sez. III, sent. 9 gennaio 2017, n. 27. Cons. St., parere 26 settembre 2017, n. 2065. C. App. Milano, sez. lav., 18 febbraio 2020, n. 152. tar bari, sez. II, sent. 7 gennaio 2021, n. 39. tar Lazio, sez. III quater, sent. 2 ottobre 2020, n. 10047. ContrIbUtI DI DottrInA Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19 PIANO STRATEGICO Elementi di preparazione e di implementazione della strategia vaccinale Aggiornamento del 12 dicembre 2020 InDICE 1. IntroDUZIonE 2. VALorI, PrInCIPI E CAtEGorIE PrIorItArIE 3. LoGIStICA, APProVVIGIonAMEnto, StoCCAGGIo E trASPorto 4. PUntI VACCInALI, orGAnIZZAZIonE DELLE SEDUtE VACCInALI E fIGUrE CoInVoLtE 5. SIStEMA InforMAtIVo 6. VACCInoVIGILIAnZA E SorVEGLIAnZA IMMUnoLoGICA 7. CoMUnICAZIonE 8. VALUtAZIonE DI IMPAtto EPIDEMIoLoGICo E MoDELLI DI VALUtAZIonE EConoMICA 1. IntroDUZIonE L'Italia, attraverso il Ministero della salute, ha seguito sin dalle prime battute le fasi che hanno portato alla messa a punto di vaccini che possono contribuire alla protezione di individui e comunità, al fine di ridurre l'impatto della pandemia. Appena è stato comunicato -da parte delle principati aziende produttrici -l'avvio dello sviluppo di candidati vaccini, il Ministero della Salute italiano ha ritenuto opportuno avviare interlocuzioni con altri partner europei, per procedere congiuntamente a negoziazioni che potessero assicurare la disponibilità di un numero di dosi necessario per l'immunizzazione dei cittadini dei Paesi coinvolti e di tutta l'Unione Europea, dal momento che i vaccini devono essere considerati beni di interesse globale, e che un reale vantaggio in termini di sanità pubblica si può ottenere solo attraverso una diffusa e capillare campagna vaccinale. La Commissione UE e gli Stati Membri hanno poi sottoscritto un accordo in base al quale i negoziati con le aziende produttrici sono stati affidati in esclusiva alla stessa, affiancata da un gruppo di sette negoziatori in rappresentanza degli Stati membri (tra i quali un italiano), e da uno Steering board che assume le decisioni finali, ove siedono rappresentanti di tutti gli Stati membri. Le trattative avviate si sono concentrate su un gruppo di Aziende che stanno sviluppando vaccini con diversa tecnologia. I negoziati hanno già portato alla sigla di alcuni accordi e l'Unione Europea, al momento, si è già assicurata circa 1,3 miliardi di dosi da parte di diverse Aziende. Queste dosi saranno di rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 stribuite agli Stati membri in proporzione alla numerosità delle rispettive popolazioni. La situazione di emergenza e la necessità di accelerare i tempi per poter avere a disposizione dei vaccini sicuri ed efficaci hanno reso necessario il ricorso a procedure del tutto innovative; per tale motivo, parallelamente alla realizzazione degli studi pre-clinici e di quelli clinici di fase I, II e III, si è avviata la preparazione della produzione su scala industriale, ai fini della distribuzione commerciale. Quest'ultima, peraltro, non può aver luogo prima che le Agenzie regolatorie (per l'Europa l'EMA) abbiano compiuto i necessari approfondimenti, atti a garantire la sicurezza e l’efficacia del prodotto -caratteristiche queste che non possono essere messe in alcun caso in secondo piano -e concesso quindi un'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC). L'Agenzia europea per i medicinali (EMA), onde contribuire all'accelerazione del processo senza venir meno al proprio fondamentale ruolo, sta procedendo con una procedura finalizzata, definita di "rolling review", che consiste nel valutare le singole parti dei dossier man mano che vengono presentate dalle aziende, anziché attendere l'invio di un dossier completo. tale procedura, senza inficiare la valutazione complessiva, abbrevia significativamente i tempi, e non si esclude che si arrivi a concedere una prima AIC già entro l'anno. Vista la possibile disponibilità di vaccini nel breve periodo, presso il Ministero della Salute è stato istituito un gruppo di lavoro intersettoriale per fornire al Paese un piano nazionale per la vaccinazione anti-SArS-CoV-2 ad interim, con l'intento di definire le strategie vaccinali, i possibili modelli organizzativi, compresa la formazione del personale, la logistica, le caratteristiche del sistema informativo di supporto a tutte le attività connesse con la vaccinazione, gli aspetti relativi alla comunicazione, alla vaccinovigilanza e sorveglianza, e ai modelli di impatto e di analisi economica. L'attuazione del piano è affidata al Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica CoVID-19. In questo documento viene presentata una sintesi delle linee di indirizzo relative alle azioni che sarà necessario implementare al fine di garantire la vaccinazione secondo standard uniformi nonché il monitoraggio e la valutazione tempestiva delle vaccinazioni durante la campagna vaccinale. ContrIbUtI DI DottrInA Tabella 1 -Stima della potenziale quantità di dosi di vaccino disponibili (in milioni) in Italia nel 2021, per trimestre (Q) e per azienda produttrice, in base ad accordi preliminari d'acquisto (APA) sottoscritti dalla Commissione europea e previa AIC. Vaccini (azienda) Q1 2021 Q2 2021 Q3 2021 Q4 2021 Q1 2022 Q2 2022 TOTALI Astra Zeneca 16,155 24,225 ----40,38 Pf/bt 8,749 8,076 10,095 ---26,92 J&J * -14,806 32,304 6,73 --53,84 Sanofi/GSK ** ----20,19 20,19 40,38 Curevac 2,019 5,384 6,73 8,076 8,076 -30,285 Moderna 1,346 4,711 4,711 ---10,768 TOTALE 28,269 57,202 53,84 14,806 28,266 20,19 202,573 media per mese 9,421 19,065 17,947 4,935 9,422 6,73 (milioni di dosi) * Se due dosi per regime vaccinale per J&J (altrimenti 1/2) ** Come da comunicazione Sanofì, si modificano i tempi di consegna conseguenti allo sviluppo e produzione del vaccino. Le tempistiche e le cifre sopra riportate, pari al 13,46% delle dosi acquisite a livello europeo, potranno essere soggette a variazioni in funzione dei processi di autorizzazione e assegnazione delle dosi. 2. VALorI, PrInCIPI E CAtEGorIE PrIorItArIE. La Costituzione italiana riconosce la salute come un diritto fondamentale del- l'individuo e delle comunità. Lo sviluppo di raccomandazioni su gruppi target a cui offrire la vaccinazione sarà ispirato dai valori e principi di equità, reciprocità, legittimità, protezione, promozione della salute e del benessere, su cui basare la strategia di vaccinazione. A tal fine è necessario identificare gli obiettivi della vaccinazione, identificare e definire i gruppi prioritari, stimare le dimensioni dei gruppi target e le dosi di vaccino necessarie e, in base alle dosi disponibili (che all'inizio del programma potrebbero essere molto limitate), identificare i sottogruppi a cui dare estrema priorità. Le raccomandazioni saranno soggette a modifiche e verranno aggiornate in rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 base all'evoluzione delle conoscenze e alle informazioni su efficacia vaccinale e/o immunogenicità in diversi gruppi di età e fattori di rischio, sulla sicurezza della vaccinazione in diversi gruppi di età e gruppi a rischio, sull'effetto del vaccino sull'acquisizione dell'infezione, e sulla trasmissione o sulla protezione da forme gravi di malattia, sulle dinamiche di trasmissione del virus SArSCoV- 2 nella popolazione nazionale e sulle caratteristiche epidemiologiche, microbiologiche e cliniche di CoV1D-19. è attivo un confronto sul piano anche con il Comitato nazionale di bioetica. nella fase iniziale di disponibilità limitata di vaccini contro CoVID-19, è necessario definire delle priorità in modo chiaro e trasparente, tenendo conto delle raccomandazioni internazionali ed europee. Attualmente l'Italia si trova nella fase di trasmissione sostenuta in comunità, per cui le indicazioni iniziali sono riferite a tale situazione epidemiologica. La strategia di sanità pubblica per questa fase si focalizzerà inizialmente sulla riduzione diretta della morbilità e della mortalità, nonché sul mantenimento dei servizi essenziali più critici. Successivamente, qualora uno o più vaccini si mostrino in grado di prevenire l'infezione, si focalizzerà l'attenzione anche sulla riduzione della trasmissione, al fine di ridurre ulteriormente il carico di malattia e le conseguenze sociali ed economiche. Al fine di sfruttare l'effetto protettivo diretto dei vaccini, sono state identificate le seguenti categorie da vaccinare in via prioritaria nelle fasi iniziali: • operatori sanitari e sociosanitari: Gli operatori sanitari e sociosanitari "in prima Linea", sia pubblici che privati accreditati, hanno un rischio più elevato di essere esposti all'infezione da CoVID-19 e di trasmetterla a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali. Inoltre, è riconosciuto che la vaccinazione degli operatori sanitari e sociosanitari in prima linea aiuterà a mantenere la resilienza del servizio sanitario. La priorità di vaccinazione di questa categoria è supportata anche dal principio di reciprocità, indicato dal framework di valori SAGE e rappresenta quindi una priorità assoluta. • residenti e personale dei presidi residenziali per anziani. Un'elevata percentuale di residenze sanitarie assistenziali (rSA) è stata gravemente colpita dal CoVID-19. I residenti di tali strutture sono ad alto rischio di malattia grave a causa dell'età avanzata, la presenza di molteplici comorbidità, e la necessità di assistenza per alimentarsi e per le altre attività quotidiane. Pertanto, sia la popolazione istituzionalizzata che il personale dei presidi residenziali per anziani devono essere considerati ad elevata priorità per la vaccinazione. • Persone di età avanzata. Un programma vaccinale basato sull'età è generalmente più facile da attuare e consente di ottenere una maggiore copertura ContrIbUtI DI DottrInA vaccinale. è anche evidente che un programma basato sull'età aumenti la copertura anche nelle persone con fattori di rischio clinici, visto che la prevalenza di comorbidità aumenta con l'età. Pertanto, fintanto che un vaccino disponibile sia sicuro e efficace nelle persone di età avanzata, considerata l'elevata probabilità di sviluppare una malattia grave e il conseguente ricorso a ricoveri in terapia intensiva o sub-intensiva, questo gruppo di popolazione dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per la vaccinazione. Le priorità potrebbero cambiare sostanzialmente se i primi vaccini disponibili non fossero considerati efficaci per gli anziani. Tabella 2 -Stima della numerosità delle categorie prioritarie (Fonte: ISTAT, Ministero della Salute, Regioni e Commissario Straordinario). CATEGORIE TOTALE operatori sanitari e sociosanitari * 1.404.037 Personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani */** 570.287 Anziani over 80 anni ** 4.442.048 OS + ANZIANI over 80 + ANZIANI PRESIDI RESIDENZIALI 6.416.372 CATEGORIE TOTALE Persone dai 60 ai 79 anni * 13.432.005 Popolazione con almento una comorbidità cronica */** 7.403.578 * / ** categorie non mutuamente esclusive. naturalmente, con l'aumento delle dosi di vaccino si inizierà a sottoporre a vaccinazione le altre categorie di popolazioni, fra le quali quelle appartenenti ai servizi essenziali, come evidenziato nella fig. 1, quali anzitutto gli insegnanti ed il personale scolastico, le forze dell'ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità, etc. nel corso dell'epidemia si potrà attuare una strategia di tipo adattativo, qualora venissero identificate particolari categorie a rischio o gruppi di popolazione rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 in grado di sostenere la trasmissione dell'infezione nella comunità, o nel caso in cui si sviluppassero focolai epidemici rilevanti in specifiche aree del Paese, destinando eventuali scorte di vaccino a strategie vaccinali di tipo "reattivo" (reactive vaccination). Figura 1 -Volumi di potenziali dosi disponibili e % di copertura della popolazione. Le fasi indicate (T) dipendono dai tempi delle autorizzazioni delle agenzie regolatorie. 100 % 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% Tutta la popola- Insegnanti e personale sco zione che non ha lastico rimanente. ancora avuto ac 90% Lavoratori di servizi essen cesso. ziali e dei setting a rischio. Carceri e luoghi comunità. Persone con comorbidità moderata di ogni età. Persone di 60 o più aa. Personeconcomorbiditàsevera,immunodeficienzae/o fragilità di ogni età. Gruppisociodemograficiarischiosignificatavi- mentepiùelevatodimalat- tia grave o morte. Insegnantiepersonalescolastico ad alta priorità. 15% 50% Operatori sanitari e sociosanitari. Ospiti lungodegenze. Persone di 80 o più aa. 5% T1T2 T3 T4 -Volume di dosi disponibili e copertura della popolazione - Fornitura limitata. Aumento della for-Fornitura dei vaccini in Fornitura dei vaccini e siti Strette priorità per la nitura dei vaccini. aumento e siti vaccinali vaccinali a regime. somministrazione. Organizzazione a regime (ampi spazi e omogenea dei siti centri vaccinali e studi vaccinali (ampi MMG). . spazi). ContrIbUtI DI DottrInA 3. LoGIStICA, APProVVIGIonAMEnto, StoCCAGGIo E trASPorto. Gli aspetti relativi alla logistica e alla catena di approvvigionamento (supply chain), stoccaggio e trasporto dei vaccini saranno di competenza del Commissario Straordinario per l'attuazione delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica CoVID-19 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. nella definizione dei piani di fattibilità e delle forniture di tutte le attrezzature/strumenti/materiale necessari sono stati considerati diversi aspetti, tra cui la catena del freddo estrema (-20/-70° C) per la conservazione di alcuni vaccini (vaccini a mrnA) o catena del freddo standard (tra i 2 e gli 8° C), il confezionamento dei vaccini in multi-dose e la necessità o meno di diluizione. Per i vaccini che necessitano di catena del freddo standard (trai 2°e gli 8°) si adotterà un modello di distribuzione "hub and spoke", con 1 sito nazionale di stoccaggio e una serie di siti territoriali di secondo livello. Per quanto riguarda invece i vaccini che necessitano di catena del freddo estrema, questi verranno consegnati direttamente dall'azienda produttrice presso 300 punti vaccinali, che sono stati condivisi con le regioni e le Province Autonome. Il confezionamento dei vaccini in multi-dose richiede l'acquisizione di un adeguato numero di siringhe, aghi e diluente (nei casi in cui non siano forniti direttamente dall'azienda produttrice del vaccino), eseguita sia tramite joint procurement europeo, sia attraverso la richiesta di offerta pubblica già emessa dagli uffici del Commissario per l'emergenza CoVID-19. A ciò si aggiunge la necessità di fornire il materiale ritenuto essenziale per lo svolgimento delle sedute vaccinali (DPI per il personale delle unità mobili, disinfettante, cerotti etc.), cui provvederà il Commissario Straordinario. La distribuzione dei vaccini, in particolare relativi alla catena del freddo standard, avverrà con il coinvolgimento delle forze armate che, in accordo con il Commissario Straordinario, stanno già pianificando vettori, modalità e logistica. 4. PUntI VACCInALI, orGAnIZZAZIonE DELLE SEDUtE VACCInALI E fIGUrE CoInVoLtE. La governance del piano di vaccinazione è assicurata dal coordinamento costante tra il Ministro della Salute, la struttura del Commissario Straordinario e le regioni e Province Autonome. In linea generale, la strategia vaccinale si articolerà in diverse fasi, il cui modello organizzativo dipenderà da diversi fattori, che includono la quantità di vaccino disponibile, la numerosità delle categorie target prioritarie per la vaccinazione, e aspetti logistici legati alla tipologia di catena del freddo (estrema / standard) necessaria per il loro trasporto e stoccaggio. rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 nella fase iniziale della campagna vaccinale si prevede una gestione centralizzata della vaccinazione con l'identificazione di siti ospedalieri o peri-ospedalieri e l'impegno di unità mobili destinate alla vaccinazione delle persone impossibilitate a raggiungere i punti di vaccinazione. Il personale delle unità vaccinali sarà costituito da un numero flessibile di medici, infermieri, assistenti sanitari, oSS e personale amministrativo di supporto. Si stima, al momento, un fabbisogno massimo di circa ventimila persone. A tal riguardo, si prevede di agire da un lato ricorrendo ad un cospicuo e temporaneo ricorso alle professionalità esistenti nel Paese, anche attraverso la pubblicazione di un invito a manifestare la disponibilità a contribuire alla campagna di vaccinazione, con l'attivazione di conseguenti modalità contrattuali definite ad hoc, nonché alla stipula di accordi con il Ministero dell'Università e della ricerca nell'ambito dei percorsi formativi delle scuole di specializzazione medica. Sul piano organizzativo, a livello nazionale, saranno definite le procedure, gli standard operativi e il lay-out degli spazi per l'accettazione, la somministrazione e la sorveglianza degli eventuali effetti a breve termine, mentre a livello territoriale verranno stabilite la localizzazione fisica dei siti, il coordinamento operativo degli addetti, nonché il controllo sull'esecuzione delle attività. A livello regionale e a livello locale saranno pertanto identificati referenti che risponderanno direttamente alla struttura di coordinamento nazionale e si interfacceranno con gli attori del territorio, quali i Dipartimenti di Prevenzione, per garantire l'implementazione dei piani regionali di vaccinazione e il loro raccordo con il Piano nazionale di Vaccinazione. Con l'aumentare della disponibilità dei vaccini, a livello territoriale potranno essere realizzate campagne su larga scala (waik-in) per la popolazione presso centri vaccinali organizzati ad hoc e, in fase avanzata, accanto all'utilizzo delle unità mobili, il modello organizzativo vedrà via via una maggiore articolazione sul territorio, seguendo sempre più la normale filiera tradizionale, incluso il coinvolgimento degli ambulatori vaccinali territoriali, dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, della sanità militare, e dei medici competenti delle aziende. 5. SIStEMA InforMAtIVo. Per la realizzazione delle attività del piano si sta predisponendo un sistema informativo efficiente ed interfacciabile con i diversi sistemi regionali e nazionali, per poter ottimizzare tutti i processi organizzativi e gestionali a partire dalle forniture, fino alla programmazione e gestione delle sedute vaccinali. Inoltre, dovranno essere garantite funzionalità omogenee su tutto il territorio nazionale, in particolare relativamente al sistema di chiamata attiva / prenotazione, alla registrazione e certificazione della vaccinazione, al sistema di recall, al calcolo puntuale (real time) delle coperture vaccinali e all'integrazione ContrIbUtI DI DottrInA con i sistemi regionali e nazionali di vaccinovigilanza e sorveglianza epidemiologica. Sarà quindi necessario implementare le risorse informative di cui dispone attualmente il sistema sanitario nazionale, anche attraverso la predisposizione di nuove piattaforme progettate ad hoc. In particolare, gli elementi necessari da integrare riguardano le modalità di gestione della relazione con i cittadini dal momento della chiamata attiva / prenotazione fino alla fase di somministrazione e sorveglianza, nonché il supporto alla catena logistica nella distribuzione dall'hub nazionale fino ai punti di somministrazione, con la tracciabilità e gestione in tempo reale della merce durante le singole fasi. Verrà infine implementata una piattaforma di reporting capace di tracciare e rendicontare tutte le attività che verranno realizzate. 6. VACCInoVIGILIAnZA E SorVEGLIAnZA IMMUnoLoGICA. In previsione della disponibilità di vaccini anti-Covid-19 che saranno offerti attivamente alla popolazione, è necessario predisporre una sorveglianza aggiuntiva sulla sicurezza dei vaccini stessi. Le attività di sorveglianza devono essere pianificate accuratamente, in termini sia di raccolta e valutazione delle segnalazioni spontanee di sospetta reazione avversa (farmacovigilanza passiva) che di azioni pro-attive attraverso studi/progetti di farmacovigilanza attiva e farmaco-epidemiologia. L'obiettivo fondamentale è quello di monitorare gli eventuali eventi avversi ai nuovi vaccini CoVID nel contesto del loro utilizzo reale, di identificare e caratterizzare prontamente eventuali nuovi rischi ancora non emersi, e di individuare eventuali problematiche relative alla qualità. L'AIfA, in aggiunta alle attività di farmacovigilanza che sono normalmente previste per farmaci e vaccini (basate sulle segnalazioni spontanee e sulle reti di farmacovigilanza già presenti), promuoverà l'avvio di alcuni studi indipendenti post-autorizzativi sui vaccini CoVID. L'AIfA si doterà inoltre di un Comitato scientifico che, per tutto il periodo della campagna vaccinale, avrà la funzione di supportare l'Agenzia e i responsabili scientifici dei singoli studi nella fase di impostazione delle attività, nell'analisi complessiva dei dati che saranno raccolti, e nell'individuazione di possibili interventi. La finalità è quella di disporre, anche attraverso una rete collaborativa internazionale, della capacità di evidenziare ogni eventuale segnale di rischio e, nel contempo, di confrontare i profili di sicurezza dei diversi vaccini che si renderanno disponibili, nonché nel fornire raccomandazioni. Sarà infine importante valutare la risposta immunitaria indotta dal vaccino in diversi gruppi di popolazione, in particolare su durata e qualità della risposta. A tal fine sarà condotta un'indagine sierologica su un numero rappresentativo rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 di individui vaccinati con i singoli vaccini utilizzati nel nostro Paese, con l'obiettivo di valutare la specificità della risposta immunitaria, la durata della memoria immunologica, e identificare i correlati di protezione. Il monitoraggio, coordinato dall'ISS, coinvolgerà un campione rappresentativo di vaccinati stratificati per area geografica, età, genere, e stato di salute. Gli esami saranno eseguiti immediatamente prima della vaccinazione (tempo zero) e a distanza di 1, 6 e 12 mesi. Le evidenze scientifiche raccolte saranno pubblicate ed utilizzate a fini informativi e valutativi. 7. CoMUnICAZIonE. è necessario fornire in modo proattivo informazioni complete, obiettive e accurate, con la finalità di favorire un'ampia adesione alla campagna vaccinale da parte della popolazione. A tal fine sarà necessario spiegare che le rigorose procedure di autorizzazione dell’UE non contemplano alcuna deroga alla sicurezza. nelle fasi iniziali, il numero complessivo di dosi di vaccino potrà essere limitato, e pertanto sarà essenziale spiegare le motivazioni che hanno portato alla scelta delle categorie che hanno accesso prioritario ai vaccini (es. operatori sanitari, anziani e individui più vulnerabili). In questa prima fase è di particolare importanza potenziare il focus sugli operatori sanitari, in quanto primi beneficiari del vaccino e, a loro volta, esecutori materiali della vaccinazione. A tal fine si dovrà, anche tramite uno specifico programma di formazione a distanza (fAD) a cura dell'ISS: 1) informare e formare gli operatori sanitari sulle caratteristiche dei vaccini CoVID; 2) aumentare la fiducia e l'adesione degli stessi nei confronti del vaccino in quanto destinatari prioritari; 3) migliorare la capacità dei professionisti sanitari di comunicare e interagire con le persone appartenenti alle altre categorie prioritarie al fine di sostenere la campagna vaccinale. La gestione della comunicazione istituzionale richiede l'identificazione di un'unità di coordinamento composta da rappresentanti del mondo medico- scientifico e delle Istituzioni, e che persegua i seguenti obiettivi: 1) sviluppare e diffondere messaggi chiave anche considerando le diverse fasce di età; 2) aggiornare costantemente i media tradizionali e web 2.0 al fine di prevenire un'informazione/comunicazione non puntuale; 3) sviluppare contenuti e strategie operative online e offline per rilevare e rispondere alla disinformazione in tempo reale (ad esempio, tramite accordi con i maggiori social media) e indirizzare la richiesta di informazione verso il sito del Ministero della Salute e/o un numero telefonico dedicato). ContrIbUtI DI DottrInA 8. VALUtAZIonE DI IMPAtto EPIDEMIoLoGICo E MoDELLI DI VALUtAZIonE EConoMICA. La pandemia causata da Sars-Cov2, oltre ad aver causato un carico di malattia e di decessi elevato, ha intuibilmente avuto ricadute economiche dirette e indirette, non solo sulla Sanità, ma anche sulla società e i settori economico- produttivi in Italia e nel resto del mondo. Il 17 giugno 2020, la Commissione Europea (CE) ha presentato una strategia comune per accelerare lo sviluppo, la produzione e la diffusione di vaccini efficaci e sicuri contro l'infezione SArS-CoV-2 e/o la malattia CoVID-19. In cambio del diritto di acquistare un determinato numero di dosi di vaccino in uno specifico periodo di tempo, la Commissione ha finanziato parte degli upfront costs sostenuti dai produttori e dalle case farmaceutiche. Il finanziamento fornito è stato concesso sotto forma di down-payment, mentre i vaccini verranno poi effettivamente acquistati dai singoli Stati membri a fine sperimentazione. Questi accordi hanno consentito di investire su un rapido sviluppo di un ampio numero di vaccini basati su diverse piattaforme, che altrimenti non avrebbe avuto luogo, considerato l'alto rischio di fallimento per le aziende produttrici. La letteratura scientifica ha fornito evidenze su come il beneficio netto del distanziamento sociale intermittente possa essere negativo da una prospettiva macroeconomica, soprattutto quando le perdite sono persistenti nel tempo. Inoltre, il beneficio netto dell'immunizzazione della popolazione decresce se l'introduzione della vaccinazione viene ritardata, o anche qualora l'immunizzazione naturale consegua a un processo di lunga durata, o infine se la protezione indotta dal vaccino sia breve. Alla luce delle ultime raccomandazioni Who, due criteri dovrebbero indirizzare la valutazione economica: l'utilizzo razionale delle risorse e l'equità. Pertanto, è innanzitutto necessario stimare il burden of disease di Covid-19, e in particolare il peso economico della malattia. Allo stesso tempo si rende necessario individuare le risorse necessarie per l'implementazione del Piano Vaccinale e quantificare economicamente l'impatto della vaccinazione sulla Sanità Italiana. L'analisi costo-efficacia avrà come profilo di valutazione l'analisi dei costi sanitari diretti e indiretti della pandemia Covid 19, l'analisi dei costi diretti e indiretti della vaccinazione, nonché l'analisi costo-efficacia della vaccinazione contrapposta alle sole misure di mitigazione di Sanità Pubblica. In tal senso sarà opportuno stratificare i dati epidemiologici per strati di età, genere, variabili socio-economiche e comorbidità. Inoltre, l'evidenza scientifica dovrà fornire prove a sostegno dell'equità come fine razionale per l'allocazione delle risorse. In particolare, i dati epidemiologici relativi alla diffusione di Sars-Cov-2 tra gruppi di popolazione svantag rASSEGnA AVVoCAtUrA DELLo StAto -n. 3/2020 giati o affetti da specifiche comorbidità devono essere utilizzati per stabilire se la discriminazione sociale possa influenzare significativamente gli outcome di salute e il raggiungimento della copertura vaccinale programmata. Variabili rilevanti, a tal fine, sono la condizione economica, sociale, lavorativa, culturale e geografica. In conclusione, al fine di una razionale allocazione di risorse limitate, la valutazione costo-efficacia offrirà, nell'immediato, una base razionale per supportare le scelte di Sanità Pubblica, e in prospettiva, uno strumento decisionale standardizzato per le future esigenze ed emergenze sanitarie. RECENSIONI Fausto Capelli (*), un percorso tra etica e trasparenza per riformare la democrazia in italia. (Rubbettino editoRe, 2020, pp. 236) L’accoglienza favorevole che è stata riservata al libro per salvare la democrazia in italia (Rubbettino, 2019) non ha impedito a qualche lettore, particolarmente esigente, di sollevare obiezioni su alcuni passaggi inseriti nella Parte quinta del libro contenente le proposte per migliorare il funzionamento del nostro sistema democratico. Si è pertanto pensato di approfittare del periodo di domicilio coatto, imposto dalla pandemia, per scrivere questo nuovo libro il cui primo obiettivo è sia chiarire, rendendoli più comprensibili, i passi sui quali sono sorte le perplessità, sia esporre in modo più semplice le tesi dell’Autore sulle soluzioni innovative da introdurre, cominciando con la descrizione del suo percorso intellettuale e professionale e terminando con una proposta, parimenti innovativa, su come cambiare il modo di far politica in Italia. Il secondo obiettivo è rendere edotti i lettori dell’enorme impatto esercitato dalla normativa europea sull’ordinamento giuridico italiano. Anche se l’applicazione delle norme comunitarie, nel corso degli ultimi quarant’anni, ha interamente cambiato il quadro giuridico-economico nel quale gli italiani operano, la stragrande maggioranza di essi non se n’è resa conto e non ne ha percepito né la vastità, né la profondità. L’ulteriore auspicio è pertanto che questo libro possa contribuire a diffondere la conoscenza delle problematiche europee all’interno del nostro Paese. (*) Professore di diritto dell'Unione europea, Collegio europeo/Università di Parma; Direttore della rivista "Diritto comunitario e degli scambi internazionali" e Condirettore della "Rivista giuridica del- l'ambiente"; Avvocato in Milano, specializzato in diritto dell'Unione europea e in diritto internazionale. RASSegNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 3/20120 L’attesa: chi la subisce e chi la domina per progredire (*) L’attesa disturba e inquieta numerosissime persone. Per la stragrande maggioranza è un fastidio perché viene percepita come una perdita di tempo. La quasi totalità la subisce come un ostacolo che impedisce di agire e di operare. Ciò si verifica qualunque sia il motivo dell’attesa: quando l’invitato è in ritardo, quando l’aereo non parte puntualmente o quando il treno non è in orario. In questi casi, chi deve attendere si indispettisce. Quali consigli possiamo offrirgli? Il primo lo possiamo ricavare da una geniale intuizione di Arthur Schopenhauer, il solo vero filosofo le cui opere possono essere lette tutte da cima a fondo con profitto (1). Altri consigli e suggerimenti si possono ricostruire facendo riferimento ai testi dei vari autori ripresi ne il libro aperto degli aforismi (2). Secondo Schopenhauer «Si può dividere la società in due categorie: quella delle numerosissime persone che diventano furiose se devono aspettare e quella composta dalle poche persone che trovano gradevole l’attesa perché offre loro la possibilità di riflettere ("meditare")». In tedesco, il verbo usato da Schopenhauer per "riflettere" è «nachdenken », composto da «denken ꞊ pensare» e dalla preposizione temporale «nach ꞊ dopo», alternativamente anche preposizione spaziale che significa sia «dietro » sia «verso» nel senso della direzione. Il tedesco, che non è una lingua spontanea ma costruita a tavolino, spiega dunque bene il processo mentale che si sviluppa in modo elementare e naturale quando «riflettiamo» ("meditiamo"). In effetti quando «meditiamo» noi non solo "pensiamo-dopo", ma anche "pensiamo-dietro" e "pensiamo-verso", per cui dobbiamo avere il tempo per farlo: ecco il valore dell’attesa sottolineato ed elogiato da Schopenhauer. Consentendo di riflettere e di meditare, l’attesa svolge dunque una straordinaria funzione formativa perché educa alla pazienza (3) che, non essendo (*) Scritto già èdito in diritto comunitario e degli scambi internazionali, fasc. 1-2/2019, pp. 255-258. (1) «Schopenhauer fece di tutto per essere letto, sia perché scrisse relativamente poco, se paragonato ad altri autori, sia perché usò uno stile, così bello e accattivante, che non ha l'eguale nella filosofia tedesca. Questo è un filosofo che si fa capire e che non trebbia mai paglia vuota. Non ha bisogno di interpreti, perché la sua prosa è così chiara ed essenziale, che il volerla filtrare sarebbe come voler ridistillare la grappa. Non s'incontrano mai, nei suoi libri, quelle lungagnate in chiave cabalistica e quegli orribili accozzi di parole tanto frequenti nei filosofi tedeschi e anche nei non tedeschi» (A. VeRReCChIA, introduzione, in A. SChoPeNhAUeR, Metafisica dell’amore sessuale, Milano, RCS Libri, 1997). (2) F. CAPeLLI (a cura di), il libro aperto degli aforismi, (www.capellilex.it), Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2015. (3) Dal latino patiens ꞊ che sopporta. ReCeNSIoNI 293 classificata tra le virtù cardinali e teologali, deve essere considerata, proprio per questo, il segno distintivo della persona saggia. Un elogio commovente dell’attesa, della pazienza e della saggezza si trova in questo splendido brano di Cesare Pavese: «diventare saggi vuol dire maturare come matura l'albero che non dà fretta al proprio sviluppo, ai propri rami e ai propri frutti e se ne sta fiducioso tra le tempeste ben piantato al suolo in attesa della primavera senza temere che, dopo la primavera, potrebbe non essere pronta a giungere l'estate. e l'estate, pazientemente attesa, giunge quando è il suo momento. nella saggezza, come nella vita, la pazienza è tutto». In questo brano Cesare Pavese evoca quella saggezza che era stata definita da thomas Paine «una pianta senza semi», perché geneticamente non riproducibile in quanto unicamente derivata da un processo di assimilazione interiore. È anche un frutto della paziente attesa: per François de La Rochefoucauld «La saggezza è per l’anima ciò che la salute è per il corpo» e per baltasar Graciàn «uno dei principi della saggezza è quello di non scomporsi mai». La saggezza deve anche governare la cultura (4). È pericoloso infatti separare la cultura dalla saggezza, perché la cultura, se rimane isolata, diventa mera erudizione. Questo aspetto è stato acutamente osservato da Somerset Maugham, autore di grande successo, secondo cui «La cultura non serve a nulla se non nobilita e forma il carattere. di regola genera erudizione e, molto spesso, vanità. Chi non ha visto il sorrisetto di sufficienza dello studioso quando corregge una citazione sbagliata o l'espressione infastidita dell'intenditore quando qualcuno ammira un quadro che egli non apprezza? Aver letto mille libri non è più meritevole di aver arato mille campi». Sull’erudizione (5) così si esprime in modo elegante il grande Schopenhauer: «L’erudizione sta al genio come le note al testo». Il giudizio di William hazlitt è invece drastico «Se volete avere un’idea della potenza del genio umano, leggete Shakespeare. Se volete avere un’idea dell’inutilità dell’erudizione umana, leggete i commentatori di Shakespeare». Per Schopenhauer il genio è sempre un autodidatta. Per William hazlitt l’erudito è uno che esce con buoni voti da una scuola regolare. Nulla più. Contro l’erudizione e contro gli eruditi diversi autori hanno proiettato i loro strali. Secondo Vittorio Alfieri questa è la definizione dell’erudito «buona memoria di suo e roba d’altri». oscar Wilde è stato più cattivo: «La conver (4) Il termine «cultura» deriva direttamente dalla parola latina cultura, che possiede, nella lingua originaria, il significato concreto e quello figurato propri della parola cultura mantenuti anche nella lingua italiana e può essere così inteso sia nel senso concreto di coltura, coltivazione, sia in quello figurato di cura, riguardo. Nella sua evoluzione il termine cultura è stato inteso come complesso di conoscenze ed esperienze rientranti nel patrimonio intellettuale e spirituale di una persona, così da diventarne la parte caratterizzante la sua identità. Con l’espressione «cultura animi», sia Cicerone sia orazio hanno inteso far riferimento all’educazione. (5) Dal latino erudire ꞊ istruire. RASSegNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 3/20120 sazione erudita o è un’ostentazione dell’ignorante o la professione del disoccupato intellettuale». Stanislaw J. Lec è stato altrettanto cattivo ma anche arguto «C’è in lui un vuoto enorme ricolmo di erudizione». Leo Longanesi è stato invece cattivissimo e addirittura con Benedetto Croce: «È uno che non capisce, ma non capisce con grande autorità e grande competenza». Dagli aforismi e dai brani appena riportati si desume che l’erudizione è la caratteristica predominante degli intellettuali, contro i quali vengono lanciate sferzate ed invettive anche feroci. Cominciamo con l’accusa terribile di Cicerone che sembra scritta ieri sul Corriere della Sera «Questi intellettuali progressisti dagli atteggiamenti narcisistici, alimentati da idealità venate da astrattezza utopistica, abituati ad esprimersi con sentenze come se vivessero nella Repubblica ideale di platone e non in mezzo alla confusione. incapaci di misericordia, insensibili ad ogni preghiera, implacabili: sanno tutto loro, non sbagliano mai, non si pentono mai e non cambiano mai opinione; tanto più spavaldi a parole, quanto più vigliacchi nel comportamento». A seguire, aggiungiamo alcune frecciate che aiutano a capire, sorridendo, il problema. Secondo ennio Flaiano «un intellettuale è un signore che fa rilegare e mette in mostra libri che non ha mai letto». Secondo Giuseppe pontiggia «Rileggere: verbo utilizzato (dagli intellettuali) per i classici che si leggono per la prima volta». Secondo William Hazlitt «L’intellettuale è uno che chiede la saggezza in prestito agli altri. non ha idee proprie e deve quindi vivere di idee altrui». Siamo quindi partiti dall’attesa, dalla pazienza, dalla saggezza e dalla cultura per arrivare a conoscere gli eruditi e gli intellettuali. Possiamo fermarci qui, ritenendo di aver assolto il nostro compito, senza necessità di infierire su altri soggetti come i rappresentanti della politica, della burocrazia e dei sindacati. Mettendo insieme gli aspetti negativi che emergono dai brani e dagli aforismi in precedenza riportati, ci rendiamo però conto di aver delineato, per contrasto, i tratti positivi di chi dovrebbe contribuire a far funzionare correttamente la democrazia. Purtroppo, il sistema democratico rappresentativo che abbiamo attualmente in Italia, trasformato in un sistema assembleare, non funziona più: il tragico fallimento dei partiti politici ne è la prova. Riteniamo quindi di avere un valido stimolo per affrontare anche questi aspetti e ci riserviamo di farlo quando si presenterà l’occasione opportuna (6). Fausto Capelli (6) Queste brevi considerazioni sull'attesa sono state redatte nel 2015 e l'occasione indicata nel testo si è presentata nel 2019 quando è stato possibile pubblicare con l'Editore Rubbettino il volume «per salvare la democrazia in italia -Cultura dell'etica e della legalità in un mondo dominato dalla politica e dall'economia». COMUNICATO DELL'AVVOCATO GENERALE (*) Domani lascia il servizio, dopo oltre 38 anni di prestigiosa presenza, l’Avv. Massimo Salva- torelli, Vice Avvocato Generale dello Stato. L’Avv. Salvatorelli ha onorato l’Avvocatura e il Paese con la Sua altissima professionalità, con il Suo continuo impegno e con le Sue elevatissime doti anche umane; acquisendo grandissima stima e unanime considerazione sia presso i Colleghi, per i quali ha rappresentato un costante punto di riferimento, sia negli ambienti giudiziari e del Foro, sia presso le Pubbliche Amministrazioni. Per questo e per avere accettato di continuare a presiedere il Gruppo di lavoro istituito per la predisposizione della Relazione annuale sull’attività dell’Avvocatura dello Stato un particolare e sincero ringraziamento. Al Collega e Amico vanno i saluti e gli auguri più affettuosi di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli ... Quando ho chiesto consiglio su qualche questione particolarmente spinosa ho trovato sempre risposte convincenti, illustrate con chiarezza non comune e accompagnate immancabilmente da un rassicurante sorriso. D’altra parte, le qualità umane e professionali di Massimo sono ampiamente conosciute non solo in Avvocatura, posso solo aggiungere che mi hanno sempre colpito la padronanza nell’argomentare in diritto, segno di una profonda cultura non solo giuridica, la capacità di creare un clima disteso tra i colleghi e con il personale amministrativo, smussando pazientemente ogni asperità e la particolare attenzione dedicata alla crescita professionale dei colleghi più giovani. Il tutto con un quotidiano impegno personale, spesso assai gravoso, che, dopo tante battaglie e molte soddisfazioni, testimonia il suo appassionato rigore nel perseguire “l’interesse della collettività” attraverso la stretta osservanza del principio di legalità cui deve ispirarsi l’azione dei pubblici poteri. Credo resti a noi l’impegno per preservare questi valori. Assai lodevole, dunque, mi pare l’iniziativa dell’Avvocato Generale di conservare il suo legame con l’Istituto che può essere anche un modo per tornare insieme a frequentare, spero al più presto, la biblioteca. In ogni caso, l’esperienza lavorativa può terminare l’amicizia rimane. Grazie, caro Massimo Pio G. Marrone (*) E-mail Segreteria Particolare - mercoledì 23 dicembre 2020. Errata corrige: Nel numero 2/2020 di questa Rassegna, l’annotazione a Cons. St., Sez. VI, ord. 24 settembre 2020 n. 5588 (pp. 180 ss.) erroneamente è stata attribuita all’avv. St. Paola Palmieri, affidataria della causa. L’annotazione è stata di esclusiva cura della redazione. g.f. Finito di stampare nel mese di marzo 2021 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma