ANNO LXXII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2020 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Andrea Carbone, Maurizio Fiorilli, Giuseppe Gerardo, Michele Gerardo, Gessica Golia, Maurizio Greco, Antonio Mitrotti, Gaetana Natale, Nicole Piccozzi, Loredana Pileggi, Stefano Pizzorno, Salvatore Paolo Putrino Gallo, Massimiliano Stagno, Gustavo Visentini. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario TEMI ISTITUZIONALI Direttiva relativa al contenzioso in materia di accertamento del diritto al riconoscimento e alla corresponsione dell’integrale trattamento pensionistico, senza assoggettamento alle misure introdotte dall’art. 1, commi 260-268, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 e s.m.i., Circolare A.G. del 15 giugno 2020 n. 37 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D.P.C.M. 15 maggio 2020 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumete la rappresentanza e la difesa dell’Agenzia Regionale per il lavoro, la formazione e l’accreditamento (ALFA)”, Circolare A.G. del 2 luglio 2020 n. 42 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pareri di rimborso spese legali, Comunicazione di servizio A.G.A. del 7 luglio 2020 prot. 346365 n. 59. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D.P.C.M. 27 luglio 2020 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa del Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche ‘Enrico Fermi’”, Circolare A.G. del 18 settembre 2020 n. 51. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D.P.C.M. 27 luglio 2020 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’Ente autonomo regionale Teatro Massimo Bellini di Catania”, Circolare A.G. del 25 settembre 2020 n. 53. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Paolo Gentili, La Corte di giustizia sulla sentenza della Corte costituzionale tedesca; e i settanta anni dalla dichiarazione di Schuman . . . . . . . Gustavo Visentini, Lo scontro tra Corte tedesca e Corte europea e la vera posta in gioco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maurizio fiorilli, La qualificazione tributaria della indennità liquidata per la accertata responsabilità dello Stato per gli atti e le omissioni contrari al diritto europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gaetana Natale, Il Covid e la crisi pandemica: quali prospettive future per un diritto sostenibile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Maurizio Greco, Michele Gerardo, Funzione consultiva e responsabilità penale (Trib. Napoli, Sez. I pen., sent. 28 novembre 2019, dep. 21 gennaio 2020 n. 12933) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gessica Golia, Rideterminazine dei criteri di assegnazione di un aiuto di Stato: la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Cons. St., Sez. IV, ord. 4 dicembre 2019 n. 8299) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ›› 12 ›› 13 ›› 14 ›› 15 ›› 17 ›› 21 ›› 25 ›› 44 ›› 51 ›› 88 Wally ferrante, I procedimenti cautelari alla luce della normativa emergenziale da Covid-19 (art. 84 D.L. 18/20); un excursus della giurisprudenza sul sistema delle cautele antimafia nell’atto defensionale dell’Avvocatura (Cons. St., Sez. III, ord. 22 maggio 2020 n. 2870) . . . . pag. 104 Wally ferrante, Diniego di rinnovo di porto d’armi: l’automatismo preclusivo dell’art. 43 T.U.LP.S. e la rilevanza della declaratoria di riabilitazione (Cons. St., Sez. III, sent. 1 giugno 2020 n. 3452) . . . . . . . . . . . . ›› 111 Nicole Piccozzi, Una nota (ragionata) alla sentenza del TAR Calabria n. 841/2020: rapporti tra Stato e Regioni in tempo di Covid-19 (T.a.r. Calabria, Sez. I, sent. 9 maggio 2020 n. 841) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 120 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Gaetana Natale, L’arte come strumento di evoluzione dell’economia: le prospettive future . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 149 Giuseppe Gerardo, La disciplina dell’azione di classe italiana ex lege n. 31 del 2019 e comparazione tra la disciplina della class action nel diritto statunitense e l’azione di classe italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 170 Massimiliano Stagno, Il contrasto al finanziamento del terrorismo: un duro compromesso tra esigenze di tutela e garanzie di offensività e determinatezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 234 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Stefano Pizzorno, Covid-19 e ordinanze del Governo. In particolare, i decreti del Presidente del Consiglio quali strumento necessario per far fronte alla pandemia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 257 Lorenzo D’Ascia, Lo stato di emeregenza da COVID-19 e il diritto del- l’immigrazione, nella cornice della Convenzione europea dei diritti del- l’uomo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 268 Loredana Pileggi, Salvatore Paolo Putrino Gallo, La gestione delle emergenze sanitarie nell’ordinamento italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 282 RECENSIONI Antonio Mitrotti, L’interesse nazionale nell’ordinamento italiano. Itinerari della genesi ed evoluzione di un’araba fenice, Editoriale Scientifica, 2020. Presentazione di Augusto Cerri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 307 Andrea Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo. I. Situazioni giuridiche soggettive e modello procedurale di accertamento, G. Giappichelli Editore, 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 310 TEMIISTITUZIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 37/2020 oggetto: Direttiva relativa al contenzioso in materia di accertamento del diritto al riconoscimento e alla corresponsione dell'integrale trattamento pensionistico, senza assoggettamento alle misure introdotte dall'art. 1, commi 260-268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 e s.m.i. In considerazione della rilevanza, anche numerica, che sta assumendo il contenzioso promosso, sia innanzi alla giurisdizione contabile sia innanzi alla giurisdizione ordinaria, dai titolari di trattamento pensionistico superiore a euro 100 mila lordi su base annua, per l'accertamento del diritto al riconoscimento e alla corresponsione dell'integrale trattamento di quiescenza, senza i limiti introdotti alla rivalutazione automatica, né assoggettamento alla decurtazione di cui all'art. 1, commi 260-268, della Legge 30 dicembre 2018 n. 145, al fine di uniformare le linee difensive a tutela dell'Amministrazione, anche in relazione alle prospettate questioni di legittimità costituzionale delle norme contestate, si fornisce -con riguardo alle argomentazioni generalmente addotte al riguardo dai ricorrenti -la seguente direttiva per la trattazione dei pertinenti affari legali, che in ogni caso dovranno essere direttamente trattati, anche davanti agli organi giurisdizionali contabili, dall'Avvocatura dello Stato. Si premette che numerosi Giudici hanno già rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della legge in questione. La prima ordinanza di rimessione, emessa dalla Corte dei conti -Sezione giurisdizionale per il Friuli-Venezia Giulia (R.O. 213/19), sarà oggetto di discussione all'udienza del 20 ottobre 2020; nel relativo giudizio è stato depositato dall'Avvocatura Generale atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, il cui contenuto è alla base delle sotto indicate linee difensive. ******* 1. Sull'asserito diritto dei ricorrenti alla percezione integrale del trattamento previdenziale e sulla conseguente asserita illegittimità delle trattenute operate a titolo di "taglio" ex art. 1, comma 261 e ss., l. n. 145/2018. Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 261, 262, 263 e 265, della legge 30 dicembre 2018, n. 145. RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 Le prospettate questioni di legittimità costituzionale devono ritenersi destituite di fondamento. Per quanto concerne la riduzione dei trattamenti pensionistici di importo complessivamente superiore ai 100 mila euro, disposta per un periodo di cinque anni dall'art. 1, comma 261 e ss., della Legge n. 145/2018, si rileva che tale misura risulta simile a quella prevista, per il triennio 2014-2016, dall'art. 1, comma 486, della Legge n. 147/2013, la cui legittimità è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale. In tale occasione, la Corte, nel respingere, con la pronuncia n. 173 del 2016, le varie questioni sollevate, ha escluso la natura tributaria del contributo, operando lo stesso all'interno del circuito previdenziale e trovando giustificazione, in via del tutto eccezionale, nel periodo di grave crisi economico-finanziaria del sistema. Ora, come noto, il sistema previdenziale si regge dal punto di vista economico su un equilibrio fra contributi versati dai lavoratori in servizio e pensioni pagate a chi ha cessato il lavoro. In caso di squilibrio si può intervenire e si interviene anche a carico del bilancio dello Stato, ma non è irragionevole che il legislatore persegua prima di tutto quell'equilibrio. Esso, come è altrettanto noto, è pregiudicato o rischia di esserlo, all'attualità, a causa della restrizione della base contributiva su cui il sistema può far conto e dell'allungamento della vita media dei pensionati. Non è dunque irragionevole che il legislatore voglia assicurare l'equilibrio delle gestioni anche attraverso forme di imposizione straordinaria sugli assegni più elevati oggi corrisposti, frutto per lo più dell'applicazione agli interessati di un regime pensionistico nettamente più favorevole di quelli oggi (e domani) riconosciuti ai lavoratori più giovani. Lo potrebbe fare, astrattamente, intervenendo con riduzioni dei trattamenti pensionistici più elevati in atto, come sostanzialmente avviene quando blocca o riduce l'indicizzazione delle pensioni al costo della vita, "modulando" l'adeguamento nel tempo delle pensioni, necessario per evitare la perdita del valore reale delle stesse (cfr., ad es., sentenza n. 30 del 2004), in un'ottica di "concorso solidaristico al finanziamento di un riassetto progressivo" di altre pensioni, onde "riequilibrare il sistema a costo invariato" (sentenza n. 316 del 2010). Nella citata sentenza n. 173/2016 la Corte costituzionale ha, altresì, ritenuto che tale riduzione, pur comportando innegabilmente un sacrificio, quest'ultimo sia, comunque, sostenibile, in quanto tale riduzione è applicata solo sulle pensioni di importo più elevato nel rispetto di criteri di progressività. Non sussiste, infatti, nel nostro ordinamento un principio d'incondizionata tutela dell'affidamento nel trattamento pensionistico, soprattutto ove si consideri che i ricorrenti sono percettori di somme pensionistiche di notevole entità che sicuramente non privano gli interessati dei mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita. L'intervento normativo sulle pensioni più elevate, dunque, è pienamente conforme alle norme costituzionali che erroneamente si considerano violate e anzi, in sua assenza, si sarebbe creata una sorta di "zona franca" sottratta alla logica di contenimento dei costi degli apparati pubblici, resa necessaria e indifferibile dalla grave crisi economico-finanziaria, in contrasto con l’ineludibile esigenza di fornire un contribuito equamente distribuito, ispirato ai principi di solidarietà ed eguaglianza. Si tratta di una normativa espressione di un disegno organico, che -per effetto del comma 264 L. n. 145/2018 -coinvolge anche gli organi costituzionali dotati di autonomia normativa, egualmente impegnati nello sforzo di risanamento economico e di contenimento dei costi. Nonostante ciò, i ricorrenti dubitano della legittimità costituzionale della normativa richiamata, ma prospettano censure sorrette da argomenti che non resistono ad un esame più approfondito della complessa controversia. tEMI IStItuzIONALI Con riferimento alla prima questione proposta, come indicato dagli stessi ricorrenti, la Corte costituzionale si è già pronunciata con la predetta sentenza n. 173 del 2016 sull'art. 1, comma 486, della Legge n. 147 del 2013, il quale -in modo assai simile alla norma qui in esame -prevedeva che "a decorrere dal 1o gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS è dovuto un contributo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS, nonché pari al 12 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS. Ai fini dell'applicazione della predetta trattenuta è preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, è tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari elementi per l'effettuazione della trattenuta del contribuito di solidarietà, secondo modalità proporzionali ai trattamenti erogati. Le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo". La Corte in quella occasione ha affermato che un simile prelievo non è di per sé illegittimo e non riveste natura di imposta, perché esso non è acquisito allo Stato, né è destinato alla fiscalità generale, in quanto è prelevato dall'INPS e dagli altri Enti previdenziali coinvolti, che lo trattengono all'interno delle loro gestioni, con speciali finalità solidaristiche ed endo- previdenziali. La Corte ha ritenuto, altresì, trattarsi di un prelievo "inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale". La stessa Corte Costituzionale, in occasione della sentenza citata, ha, però, precisato che il prelievo si poteva ritenere legittimo a condizione che il legislatore non eccedesse precisi limiti, derivanti dal "combinato operare dei principi [ ... ] di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (art. 3 e 38 Cost.)", il cui rispetto è oggetto di uno scrutinio "stretto di costituzionalità che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà". Nel dettaglio, la Corte ha ritenuto che l'intervento dovesse "assicurare il rispetto di alcune condizioni, atte a configurare l'intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile". La prima condizione generale indicata era che il contributo dovesse operare all'interno dell'ordinamento previdenziale, "come misura di solidarietà forte", mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un'ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori endogeni ed esogeni (il più delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, suo impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico), che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all'intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato. Anche perché l'effettività delle condizioni di crisi del sistema previdenziale consentirebbe di salvaguardare il principio dell'affi RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 damento, nella misura in cui il prelievo non risulta sganciato dalla realtà economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli. La seconda condizione posta dalla Corte era che un contributo sulle pensioni dovesse costituire "una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza". Ancora, come affermato dalla Corte, il prelievo, per essere solidale e ragionevole e non contrastare con la garanzia costituzionale dell'art. 38 Cost. (agganciata anche all'art. 36 Cost., ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale: v. sentenza n. 116 del 2010), avrebbe dovuto "incidere sulle pensioni più elevate", parametro, questo, da misurare in rapporto al "nucleo essenziale" di protezione previdenziale assicurata dalla Costituzione, ossia la "pensione minima". Infine, per la Corte l'incidenza sulle pensioni "più elevate", per essere legittima, avrebbe dovuto "essere contenuta in limiti di sostenibilità e non superare livelli apprezzabili", per cui le aliquote di prelievo non possono essere eccessive e devono rispettare il principio di proporzionalità, che è esso stesso criterio, in sé, di ragionevolezza della misura. In definitiva, per superare lo scrutinio "stretto" di costituzionalità, e palesarsi come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), il contributo di solidarietà dovrebbe per come riassunto dalla stessa Corte in un preciso catalogo: 1) operare all'interno del complessivo sistema di previdenza; 2) essere imposto dalla crisi contingente e grave del sistema; 3) incidere sulle pensioni più elevate; 4) presentarsi come prelievo sostenibile; 5) rispettare il principio di proporzionalità; 6) essere comunque utilizzato come misura una tantum. Ciò chiarito, si deve ritenere che anche la normativa censurata con l'odierno ricorso supera lo "scrutinio stretto" di costituzionalità. Quanto al primo punto fissato dalla Corte, anche il prelievo in esame opera, indubbiamente, all'interno del complessivo sistema della previdenza, perché, in forza del comma 265 dell'art. 1 della Legge n. 145/2018, "presso INPS e gli altri enti previdenziali interessati sono istituiti appositi fondi denominati 'fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato' in cui confluiscono i risparmi derivati dai commi da 261 a 263. Le somme ivi confluite restano accantonate". Pur non essendo disciplinato l'uso delle somme così accantonate, resta il fatto che le stesse rimangono all'interno dell'INPS o degli altri enti previdenziali interessati e confluiscono in un fondo specifico, per restare qui accantonate, senza, quindi, possibilità di utilizzi diversi. In merito al secondo punto si deve ritenere ancora attuale l'esigenza di un supporto al sistema pensionistico, in un'ottica di sostegno previdenziale ai più deboli e di mutualità intergenerazionale, perché la situazione di grave crisi del sistema previdenziale italiano deriva dal- l'accresciuta longevità a fronte di un calo demografico e di un calo dell'occupazione che contrae il rapporto lavoratori/pensionati e che rende difficilmente sostenibile la spesa previdenziale, tanto più alla luce dell'ampio riconoscimento di trattamenti di quiescenza svicolati da un meccanismo contributivo, quali sono quelli colpiti dall'intervento normativo sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale. Non ha alcun rilievo il dato per cui il legislatore, nello stesso contesto normativo, ha ampliato la platea degli aventi diritto al trattamento di quiescenza (c.d. "quota 100"), con un intervento di favore rispetto al regime precedente, perché ciò se da un lato non dimostra in tEMI IStItuzIONALI alcun modo l'irragionevolezza dell'intervento che qui viene in considerazione, dall'altro semmai confermerebbe la destinazione del prelievo ad operare nell'ambito del sistema previdenziale con finalità solidaristiche, avendo consentito l'accesso al trattamento di quiescenza a soggetti penalizzati dalla riforma precedente. Circa i punti terzo, quarto e quinto indicati dalla Corte costituzionale come vincoli gravanti sul legislatore, si osserva che il prelievo in esame incide sulle pensioni più alte, è certamente sostenibile per i beneficiari di queste e rispetta il principio di proporzionalità. Infatti, la norma consente di operare il prelievo sui trattamenti superiori a 100 mila euro lordi annui, con riduzione di un'aliquota pari al 15 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per la parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000 euro, pari al 30 per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, pari al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e pari al 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro; mentre, in forza del comma 267 dello stesso art. 1, L. n. 145/2018, "l’importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non può comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua". di conseguenza, il meccanismo è tarato in modo tale da incidere solo sulle pensioni più elevate, in misura proporzionalmente crescente al crescere del trattamento, evitando che i trattamenti incisi, comunque, scendano sotto la misura di 100.000 euro l'anno. Quindi, in concreto, non subiscono contrazioni i trattamenti fino a 100 mila euro lordi annui e, per quelli superiori, la contrazione viene ad incidere con percentuali crescenti al crescere del trattamento e solo sugli importi che superano le singole soglie: con l'effetto che il prelievo è, esemplificativamente, pari: ad euro 4.500 lordi annui per il primo scaglione nel- l'importo massimo (di euro 130.000), garantendo, quindi, un trattamento pari a 125.500 euro lordi annui; ed è pari ad euro 17.500 euro lordi annui nell'importo massimo per il secondo scaglione (di euro 200.000), garantendo, quindi, un trattamento pari a 182.500 euro lordi annui: importi che paiono tali da far ritenere sostenibile il prelievo. Quanto, infine, al sesto punto fissato dalla Corte, in primo luogo, non si può affermare che si sia in presenza di una proroga o di un'estensione del precedente prelievo, perché quello ha operato per il triennio decorrente dal 1° gennaio 2014, mentre il prelievo qui in esame opererà per la durata di cinque anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge n. 145 del 2018, ossia dal 1 gennaio 2019, con l'effetto che per gli anni 2017 e 2018 non vi è stato alcun prelievo. Inoltre, la disciplina pregressa era diversa, anche in relazione alle aliquote di prelievo e agli importi su cui erano destinate ad operare, applicandosi a trattamenti "superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS" e con aliquote "pari al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS, nonché pari al 12 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS ". In generale, dunque, l'estensione temporale dell'intervento non è tale da poter indurre ad affermare che non resti un prelievo eccezionale e che si traduca in un meccanismo ordinario e stabile di alimentazione del sistema di previdenza. Le disposizioni in parola rispettano il parametro della temporaneità del prelievo, come delineato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 173/2016, n. 69/2014, n. 166/2012, in quanto la decurtazione del trattamento pensionistico si applica per cinque anni. d'altra parte non è configurabile alcuna continuità con le diverse misure adottate in precedenza dal legislatore, né omogeneità di contenuti. RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 L'intervento in esame appare giustificato dal principio di solidarietà che informa la Carta Costituzionale, nonché dalla necessità di un riequilibrio del sistema previdenziale che di quel principio costituisce espressione, applicandosi la riduzione esclusivamente a pensioni di importo elevato e unicamente sulla parte eccedente una determinata soglia. È coerente e certamente non irragionevole l'esclusione dal contributo di solidarietà dei pensionati degli enti previdenziali privatizzati e dei trattamenti pensionistici dei superstiti; inoltre, non c'è alcuna discriminazione rispetto ai cittadini che fruiscono di redditi complessivi di uguale entità, in quanto il prelievo forzoso ha funzione solidaristica all'interno del sistema previdenziale, come confermato dalla previsione normativa dell'accantonamento delle risorse risparmiate presso la gestione Inps. La soglia minima di intervento è più elevata rispetto alle precedenti misure restrittive ex L. n. 147/2013 e sono stati introdotti un maggior numero di scaglioni reddituali. La decurtazione patrimoniale non è definitiva e le risorse acquisite non sono destinate al finanziamento delle spese pubbliche. La durata quinquennale del prelievo e l'accantonamento dei risparmi presso l'Inps avvalorano questa tesi. Non è conferente né ammissibile il raffronto con il reddito di cittadinanza e con la riforma pensionistica c.d. quota 100. L'apporto recato dal prelievo in esame -pari a circa 416 milioni nel quinquennio -è di rilievo, ferma restando la non confrontabilità con gli oneri connessi agli altri interventi legislativi. Quanto alla paventata violazione del legittimo affidamento, si osserva che la Corte Costituzionale ha chiarito, da tempo, che la tutela del legittimo affidamento non impedisce al legislatore di emanare norme che modificano la disciplina dei rapporti di durata in senso sfavorevole per i destinatari, purché si tratti di disposizioni che non trasmodino in un regolamento irrazionale. La tipologia di contributi in argomento è ammessa purché gli stessi siano non arbitrari e non eccessivamente lesivi delle legittime aspettative del cittadino destinatario (sentenza n. 349 del 1985). Nel caso in esame, per quanto eccepito, tali connotati non sono sussistenti. 1.1. la Circolare attuativa inPS n. 62/2019, pubblicata il 7 maggio 2019, esclude dal taglio alle pensioni d'oro introdotto dalla legge di bilancio 2019 i trattamenti ottenuti con il cumulo contributivo. Con la Circolare 62/2019 pubblicata il 7 maggio 2019, l'Inps ha affrontato per la prima volta il tema del taglio alle pensioni d'oro introdotto dalla legge di bilancio del 2019, introducendo un'esenzione per i trattamenti ottenuti con il cumulo contributivo. Nella Circolare l'Inps premette che la Legge n. 145/2018 ha previsto un contributo di solidarietà dal 2019 al 2023 per tutte le pensioni che superino l'importo lordo annuo (rata di tredicesima inclusa) di 100.000 euro. Per determinare il valore complessivo delle pensioni oggetto del taglio saranno considerati tutti i trattamenti pensionistici diretti (dunque, sia la pensione di vecchiaia sia quella anticipata, ma anche quelle supplementari) fruiti dallo stesso beneficiario e liquidati a carico delle gestioni Inps. Il taglio parte dal 15% (per i primi 30.000 euro eccedenti i 100mila) e arriva al 40% per la quota eccedente i 500.000 euro. La Circolare rammenta, poi, che per fare scattare il contributo di solidarietà è necessario che le pensioni computate contengano almeno una quota afferente al sistema di calcolo retributivo, in quanto l'articolo 1, comma 263, della Legge n. 145/2018, fa salve dal taglio anche le pensioni «interamente liquidate con il sistema contributivo». Per questo motivo, la Circolare Inps esclude dal taglio i trattamenti in totalizzazione (anche se, in realtà, non sempre queste tEMI IStItuzIONALI pensioni sono liquidate con il sistema contributivo), le pensioni o le quote di pensione a carico della gestione separata, così come quelle ottenute con il "vecchio cumulo" del d.lgs. n. 184/1997 per pensioni contributive. Ciò che appare rilevante è la menzione del cumulo contributivo della Legge n. 228/2012 che, dal 2017, consente di cumulare contributi accantonati anche presso le casse dei liberi professionisti. Nella Circolare il taglio delle pensioni d'oro appare completamente neutralizzato per qualsiasi trattamento liquidato in cumulo, anche qualora la pensione in esame fosse interamente liquidata con il sistema retributivo e non contenesse alcun contributo afferente a una cassa professionale, come se la pensione in cumulo, in base alla Legge n. 228/2012, rappresentasse una sorta di genere a sé stante e, pertanto, immune dalle peculiarità delle gestioni Inps, ivi incluso il contributo di solidarietà. tale interpretazione appare fortemente innovativa anche rispetto alla prassi, già consolidata, da parte dell'Inps, di applicare il trattamento peggiorativo previsto dall'articolo 1, comma 707, della Legge n. 190/2014, per la quota accantonata dal 2012 delle pensioni integralmente retributive, anche nel caso fossero richieste in cumulo. La Circolare comprende anche tutti gli assegni frutto di cumulo, ottenuti come sommatoria di contributi versati in gestioni diverse. È il caso di chi, per esempio, ha cumulato contributi sia da dipendente privato che da dipendente statale. Ma anche di chi ha costruito parte della pensione con il metodo contributivo con una cassa separata dall'Inps, anche se supera la soglia dei 100 mila euro. Questo indirizzo che, circoscrivendo la platea dei destinatari del prelievo conferma ulteriormente la proporzionalità dell'intervento del legislatore, si fonda proprio -spiega l'Inps sul menzionato dettato normativo, che fa riferimento, per la riduzione, esclusivamente ai trattamenti pensionistici diretti a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle Gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e della Gestione separata. 1.2. Sull'impatto economico della normativa censurata, in relazione agli artt. 81 e 97 della Costituzione. Non si può non tenere conto degli effetti finanziari delle disposizioni censurate e della circostanza che l'impatto di cui tenere conto risulterebbe aggravato dalla necessità di restituire i contributi (anche ai pensionati degli organi costituzionali, Presidenza della Repubblica, Senato, Camera e Corte Costituzionale). A seguito della riforma costituzionale intervenuta con Legge costituzionale n. 1 del 2012, l'art. 81 Cost. è stato riscritto, a partire dalla disposizione del nuovo comma 1, secondo la quale "Lo Stato assicura l'equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico", ed è stato inserito, all'inizio dell'art. 97 Cost., un nuovo comma 1, dove si stabilisce che "le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'Ordinamento dell'Unione Europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico". In questo modo, la tendenziale e progressiva riduzione delle spese pubbliche si è trasformata, da una esigenza legata a specifiche e transitorie fasi negative del ciclo economico- finanziario, in un dato strutturale e in un elemento caratterizzante del sistema costituzionale. di ciò si trova già un significativo riscontro nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, dove si afferma che "il nuovo sistema di finanza pubblica disegnato dalla legge cost. RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 n. 1 del 2012 ha ... una sua interna coerenza e una sua completezza, ed è pertanto solo alla sua stregua che vanno vagliate le questioni di costituzionalità sollevate nei confronti della legge" e che "l'attuazione dei nuovi princìpi, e in particolare di quello della sostenibilità del debito pubblico, implica una responsabilità che, in attuazione di quelli "fondanti" (sentenza n. 264 del 2012) di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle generazioni future" (Corte Cost. sentenza n. 88 del 2014). L'introduzione, nel testo costituzionale, dei nuovi principi sull'equilibrio fra entrate e spese nei bilanci pubblici e la sostenibilità del debito pubblico, introdotti con la Legge cost. n. 1 del 2012, induce, dunque, ad affrontare in termini diversi dal passato la questione del- l'estensione temporale di interventi normativi che vadano ad incidere sui trattamenti retributivi o previdenziali del pubblico impiego globalmente considerato o di terminate categorie di dipendenti pubblici. L'esigenza di ancorare le indispensabili azioni di razionalizzazione della spesa pubblica al rispetto del principio di eguaglianza e di quello, connesso, di solidarietà, costituisce un dato da tempo chiaramente messo in evidenza dalla Corte Costituzionale: nella sentenza n. 296 del 1993, ad esempio, si richiama 1'"imperativo costituzionale comportato dal principio di eguaglianza per il quale il legislatore è tenuto a distribuire i sacrifici derivanti da una politica economica di emergenza nel più totale rispetto di una sostanziale parità di trattamento fra tutti i cittadini" e si rammenta che il "rispetto del dovere costituzionale di distribuire in modo eguale il carico dei sacrifici imposti dall'emergenza, costituisce una componente essenziale di un disegno di politica economica destinato, nel complesso dei suoi elementi e delle sue fasi, a trasformare profondamente la situazione di grave squilibrio finanziario esistente nel settore pubblico". Non meno significativa è anche l'affermazione secondo la quale "non è senza rilievo il fatto che il legislatore... possa modificare in modo sfavorevole, in vista del raggiungimento di finalità perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare l'affidamento nella sicurezza giuridica (sent. n. 6 del 1994 e sent. n. 282 del 2005), là dove, ovviamente, l'intervento possa dirsi non irragionevole" (Corte cost., sentenza n. 74 del 2008). A sua volta, la sentenza n. 310 del 2013 dichiara che superano "il vaglio di ragionevolezza" norme "mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica -sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono". Non potranno, pertanto, non considerarsi il rilevante impatto economico delle norme censurate, le necessità finanziarie che soddisfano e l'esigenza, anche nel nostro caso, di assicurare un equilibrato bilanciamento di tutti i valori costituzionali compresenti. Il nuovo sistema di finanza pubblica, disegnato dalla Legge costituzionale n. 1 del 2012, ha una sua interna coerenza e una sua completezza ed è, pertanto, solo alla sua stregua che devono essere vagliate le questioni di costituzionalità prospettate dai ricorrenti nei confronti delle citate norme della L. n. 145/2018. 2. Sull'asserito diritto dei ricorrenti alla percezione integrale del trattamento previdenziale senza il blocco di rivalutazione ex l. n. 145/2018. Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, in relazione al parametro degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. Con riferimento alla seconda questione, concernente la limitazione introdotta alla riva tEMI IStItuzIONALI lutazione automatica dei trattamenti pensionistici, si deve, preliminarmente, osservare che la norma censurata non realizza un blocco del sistema di indicizzazione delle pensioni, ma introduce una mera limitazione alla sua piena operatività, stabilendo che essa operi in misura percentualmente decrescente al crescere del trattamento pensionistico. Questo rilievo è importante perché con la sentenza n. 70 del 2015, citata dai ricorrenti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma che sospendeva il sistema di indicizzazione di tutte le pensioni, non già che si limitava a ridurne l'efficacia, per di più solo per le pensioni più elevate e con effetti proporzionali di sterilizzazione crescente al crescere dell'importo del trattamento. La Corte Costituzionale, su analoghe questioni di costituzionalità sollevate in relazione al blocco della rivalutazione automatica delle prestazioni pensionistiche stabilita temporaneamente dal legislatore, si è già espressa con la sentenza n. 250/2017 e con l'ordinanza n. 96/2018, in senso favorevole a interventi di contenimento della spesa pensionistica attuati dal legislatore. Nella sentenza n. 250 del 2017, parimenti richiamata dai ricorrenti, la Corte ha ritenuto "che manovre correttive attuate dal Parlamento ben possono escludere da tale adeguamento le pensioni "di importo più elevato" (richiamando la propria ordinanza n. 256 del 200 1) e che "nel replicare, in più occasioni, una tale scelta, che privilegia i trattamenti pensionistici di modesto importo, il legislatore soddisfa un canone di non irragionevolezza che trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni di importo più alto rispetto agli effetti dell'inflazione". Nella medesima sentenza n. 250 del 2017, infine, la Corte ha ricordato, in relazione al blocco della perequazione stabilito per due anni dalle norme denunciate (art. 1, comma 1, d.L. n. 65/2015, conv. in L. n. 109/2015), che esso "diversamente da quello (di pari durata) previsto dal previgente comma 25 del D.L. n. 201 del 2011, non incide su trattamenti previdenziali "modesti" -elemento cui questa Corte, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione, aveva attribuito specifico rilievo, ma soltanto su trattamenti pensionistici di importo medio-alto, quali sono da considerare quelli di importo complessivo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS". Ancora più significativamente, infine, la Corte Costituzionale, nella stessa sentenza 250 del 2017, si è confrontata anche con quelle norme che riconoscono la rivalutazione automatica, per alcuni trattamenti pensionistici (quelli superiori a tre volte e fino a sei volte il trattamento minimo INPS), ma in misura decrescente all'aumentare dei trattamenti; rispetto alla citata previsione normativa (del tutto analoga a quella oggi in scrutinio), la Corte ha affermato che "il riconoscimento della perequazione in misura progressivamente decrescente al crescere del- l'importo complessivo di tali trattamenti [...] si differenzia dal precedente blocco della perequazione" e che una simile soluzione risponde ai parametri costituzionali "della proporzionalità e dell'adeguatezza dei trattamenti di quiescenza", perché assicura "ai trattamenti pensionistici una salvaguardia dall'erosione del potere d'acquisto che aumenta gradualmente al diminuire, con la riduzione del loro importo, anche della loro capacità di resistenza alla stessa erosione", concludendo che deve essere "ribadita la discrezionalità che spetta al legislatore nel bilanciare l'interesse dei pensionati alla difesa del potere d'acquisto dei propri trattamenti con le esigenze finanziarie dello Stato" e che "le misure percentualmente decrescenti della perequazione riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, a trattamenti pensionistici medi (quali devono considerarsi, per quanto detto, quelli superiori a cinque volte e pari o inferiori a sei volte il minimo INPS), o, ancorché modesti, tuttavia pur sempre superiori RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 a tre e a quattro volte il trattamento che costituisce il "nucleo essenziale" della tutela previdenziale (sentenza n. 173 del 2016) non sono irragionevoli", in quanto "non sono tali da poter concretamente pregiudicare l'adeguatezza dei trattamenti, considerati nel loro complesso, a soddisfare le esigenze di vita". tutte queste valutazioni tanto più, all'evidenza, sono applicabili a un intervento normativo, come quello oggetto dell'attuale ricorso, che solo per i "trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS' prevede "una riduzione dell'indicizzazione, crescente proporzionalmente al crescere del trattamento, con l'effetto che la rivalutazione è riconosciuta nella misura del 97 per cento per i trattamenti complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (ma superi a tre volte il trattamento minimo), nella misura del 77 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 52 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 45 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a nove volte il trattamento minimo INPS.". Inoltre, si precisa che il meccanismo di perequazione, di cui all'art. 1, comma 260, della Legge 145/2018 (legge di bilancio 2019), valido per il periodo 2019-2021, è stato modificato dall'art. 1, commi 477 e 478, della Legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020), secondo le modalità di seguito indicate: • il comma 477 interviene sulla disciplina transitoria valida per il periodo 2020-2021; in particolare, la misura della perequazione viene stabilita al 100% per le pensioni il cui importo complessivo sia pari o inferiore a 4 volte il trattamento minimo Inps (anziché pari o inferiore a 3 volte, come indicato nella legge di bilancio 2019); • il comma 478 prevede, in materia di perequazione, a decorrere dal 2022, l'applicazione di una nuova disciplina, non più basata, come ora, sulla applicazione della medesima aliquota sul trattamento pensionistico complessivo, ma sulla rivalutazione per singole fasce di importo della pensione. tali fasce d'importo saranno, pertanto, rivalutate al 100% per la parte che va fino a 4 volte il trattamento minimo, al 90% per la fascia d'importo che va da 4 a 5 volte il trattamento minimo e al 75% per la parte superiore a 5 volte il trattamento minimo. Anche in ordine alla legittimità delle disposizioni recate dalla legge di bilancio 2020 si rammenta l'orientamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato non fondate questioni concernenti fattispecie analoghe a quella in esame, ritenendo non irragionevole la scelta di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all'aumentare dell'importo complessivo del trattamento pensionistico, laddove ciò avvenga in un'ottica di bilanciamento degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie (cfr., Corte Cost., sentenza n. 250 del 2017 e Corte Cost., ordinanza n. 96 del 2018). Analogamente, la CEdu, con specifico riferimento alle fasce di rivalutazione previste dal d.L. n. 65/2015, ha riconosciuto la legittimità della misura, in quanto idonea a realizzare un'operazione di ridistribuzione a favore delle pensioni di basso livello, preservando al contempo la redditività del sistema di sicurezza sociale per le generazioni future (decisioni n. 27166/2018 e n. 27167/2018). In conclusione, non si può mettere in dubbio la legittimità della misura in argomento, posto che la disposizione in parola contrae il meccanismo perequativo delle pensioni, attra tEMI IStItuzIONALI verso la previsione di un numero più elevato di aliquote in relazione ai diversi scaglioni di reddito da un lato e di percentuali di perequazione più favorevoli rispetto alla disciplina vigente nel periodo 2014/2018. ******** tanto premesso per quanto concerne, allo stato, le linee difensive generali per la trattazione degli affari, si fa riserva di eventuali ulteriori integrazioni e aggiornamenti che si rendessero necessari anche in relazione all'andamento del contenzioso. L'AVVOCAtO GENERALE dELLO StAtO Gabriella Palmieri Sandulli RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 42/2020 oggetto: D.P.C.M. 15 maggio 2020 recante "autorizzazione all'avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'agenzia regionale per il lavoro, la formazione e l'accreditamento (alFa)". Si comunica che con d.P.C.M. del 15 maggio u.s., in fase di pubblicazione in Gazzetta ufficiale, l'Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'Agenzia regionale per il lavoro, la formazione e l'accreditamento (ALFA), nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L'AVVOCAtO GENERALE Gabriella Palmieri Sandulli tEMI IStItuzIONALI Avvocatura Generaledello Stato CoMuniCazione Di Servizio n. 59/2020 oggetto: Pareri di rimborso spese legali. Alcune Amministrazioni hanno di recente richiesto, prendendo spunto da specifici casi, quale sia, in relazione alla singola richiesta di rimborso spese legali, l'Avvocatura dello Stato competente a rendere il relativo parere. In thema, si ricorda che, anche al fine di evitare possibili contrasti valutativi sull'an e sul quantum della richiesta, si è sempre ritenuto che la competenza consultiva spetti all'Avvocatura nel cui distretto è intervenuta la pronuncia che ha definito l'intero giudizio, come tale legittimante la richiesta di rimborso. Con la presente circolare, si ribadisce quanto sopra richiedendo puntuale osservanza. Si rimane disponibile per eventuali chiarimenti. L'AVVOCAtO GENERALE AGGIuNtO Avv. Carlo Sica RASSEGNA AVVOCAtuRA dELLO StAtO -N. 1/2020 Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 51/2020 oggetto: D.P.C.M. 27 luglio 2020 recante "autorizzazione all'avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa del Museo Storico della Fisica e Centro Studi e ricerche ‘enrico Fermi’". Si comunica che con d.P.C.M. del 27 luglio u.s., in fase di pubblicazione in Gazzetta ufficiale, l'Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa del Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche ‘Enrico Fermi’”, nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L'AVVOCAtO GENERALE Gabriella Palmieri Sandulli tEMI IStItuzIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 53/2020 oggetto: D.P.C.M. 27 luglio 2020 recante "autorizzazione all'avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’ente autonomo regionale Teatro Massimo Bellini di Catania". Si comunica che con d.P.C.M. del 27 luglio u.s., in fase di pubblicazione in Gazzetta ufficiale, l'Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’Ente autonomo regionale teatro Massimo Bellini di Catania, nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L'AVVOCAtO GENERALE Gabriella Palmieri Sandulli ContenzioSoComunitarioedinternazionaLe La Corte di giustizia sulla sentenza della Corte costituzionale tedesca; e i settanta anni dalla dichiarazione di Schuman (*) In tempi di dibattito giustamente acceso sull’Europa, è una coincidenza (che dimostra la tesi vichiana/hegeliana secondo cui nella storia non ci sono coincidenze ma sempre una ragione nascosta), che i settanta anni dalla dichiarazione di Schuman (9 maggio 1950) cadano quando la Corte costituzionale tedesca ha affermato, in sostanza, che il primato dell’ordinamento dell’Unione, anche se avvalorato dall’interpretazione che ne dà la Corte di giustizia, è subordinato alla conformità di questa interpretazione ai tratti caratteristici dei diversi ordinamenti costituzionali degli Stati membri, come interpretati dalle rispettive corti costituzionali. Il principio dell’integrazione non viene negato, ma certo è sottoposto ad una robusta sollecitazione, da cui è probabile che esca un po’ diverso da come lo abbiamo inteso finora. Allego, allora, due documenti di oggi: il comunicato della Corte di giustizia sulla sentenza tedesca (1), e il manifesto che l’AIGE (2), legata all’Av (*) Segnalazione 8 maggio 2020, avv. St. Paolo Gentili. (1) Corte di giustizia dell’Unione europea COMUNICATO STAMPA n. 58/20 Lussemburgo, 8 maggio 2020 Comunicato stampa a seguito della sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio 2020 La direzione della Comunicazione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha ricevuto numerose domande riguardanti la sentenza emessa dalla Corte costituzionale tedesca il 5 maggio 2020 vertente sul programma PSPP della Banca centrale europea (BCE). I servizi dell’istituzione non commentano mai una sentenza di un organo giurisdizionale nazionale. In linea generale, si ricorda che, in base a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, una sentenza pronunciata in via pregiudiziale da questa Corte vincola il giudice nazionale per la soluzione rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 vocatura fin dalla sua fondazione nel 1957 da costanti rapporti di collaborazione nello studio del diritto europeo, diffonderà alla stampa per ricordare la dichiarazione di Schuman. Nelle due cause pregiudiziali oggi concluse in sede nazionale dalla sentenza della Corte tedesca, avevamo indicato una possibile via d’uscita. A fronte della dura messa a punto che emerge dal comunicato odierno della Corte di giustizia, mi sono tornate in mente alcune tesi che le sottoponemmo nelle due cause C-62/14 e C-493/17. Forse, in via preliminare, avrebbe dovuto accogliere la nostra eccezione, sollevata entrambe le volte, di irricevibilità dei quesiti della c. cost. tedesca: non è una vera domanda pregiudiziale quella proposta con riserva di valutare la vincolatività della risposta della corte di g. a seconda del contenuto della sentenza di questa. Ma la corte preferì il compromesso, e adesso ci troviamo con le istituzioni europee potenzialmente tenute a rispondere entro termini perentori alle richieste di giustificazioni avanzate da ventisei corti costituzionali nazionali. È chiaro che, prima o poi, la corte di g. dovrà regolare questo traffico, ma ormai i buoi sono usciti dalla stalla. Non c’entrano i controlimiti invocati anche dalla nostra c. cost. nel caso Taricco e Taricco bis, come qualcuno ha sostenuto in questi giorni. I controlimiti stanno nel quadrante “diritti fondamentali” della costituzione; non certo nel quadrante “organizzazione costituzionale”, dove invece sta la pretesa della corte tedesca di sindacare la sentenza della corte di g.: il criterio di sindacato sarebbe infatti la conformità della sentenza al principio di organizzazione costituzionale tedesco (e non solo) secondo cui il bilancio statale, con le spese pubbliche e il livello di deficit che stabilisce, può essere votato solo dal parlamento nazionale, sicché le decisioni delle istituzioni europee non possono mai produrre effetti sul bilancio nazionale non previamente votati dal parlamento. Da noi questo non è mai stato sostenuto, e anzi la nostra corte cost. ha sempre affermato che l’art. 11 della Costituzione è una base sufficiente per della controversia dinanzi ad esso pendente (1). Per garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, solo la Corte di giustizia, istituita a tal fine dagli Stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione. Eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere infatti l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto (2). Al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione (3). Solo in questo modo può essere garantita l’uguaglianza degli Stati membri nell’Unione da essi creata. L’istituzione si asterrà da qualsiasi altra comunicazione a questo proposito. (1) Sentenza della Corte del 14 dicembre 2000, Fazenda Pública (C-446/98, punto 49). (2) Sentenza della Corte del 22 ottobre 1987, Foto-Frost (C-314/85, punti 15 e 17). (3) Sentenza della Corte del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C-212/04, punto 122). CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE consentire di ratificare con legge ordinaria e non costituzionale i trattati europei, anche quando contengano limitazioni di sovranità. È una tesi oggi consolidata, ma in passato contrastata da voci anche au (2) aSSOCIAZIONE iTALIANA GIUrISTI eUrOPEI L'inevitabilità di essere parte dell'Unione Europea 70 anni dopo la Dichiarazione Schuman 9 maggio 2020 Esattamente 70 anni fa l'allora Ministro degli esteri francese Robert Schuman pronunciò a Parigi il discorso passato alla storia, appunto, come Dichiarazione Schuman. Come Schuman ebbe ad avvertire nella sua allocuzione, "L'Europe ne se fera pas d'un coup, ni dans une construction d'ensemble: elle se fera par des réalisations concrètes créant d'abord une solidarité de fait". Da quell'idea germogliò un anno più tardi la costituzione della CECA, con l'Italia tra i suoi sei membri fondatori: la prima di una serie di istituzioni europee sovranazionali che sarebbero poi diventate l'attuale Unione. L'Europa vive oggi giorni molto difficili, confrontata com'è alla sfida della pandemia a livello globale. Lo shock economico innescato dall'emergenza sanitaria ha esacerbato gli egoismi nazionali e innalzato barriere, letteralmente e metaforicamente, tra gli Stati membri dell'UE, rimettendo in questione valori europei che ritenevamo definitivamente acquisiti, quali la coesione e la solidarietà. Ma il virus che tormenta l'umanità in questo periodo non avrà la meglio sulla nostra Unione, e anzi può e deve contribuire a rafforzarla. Di fronte alle difficoltà presenti, l'Associazione Italiana dei Giuristi Europei ritiene che si debba riaffermare con fermezza l'importanza del processo di integrazione europea, che ha garantito 70 anni di pace e di straordinario progresso sociale ed economico, e sviluppare un'affectio societatis europea autentica e solida. La nostra Unione ha vissuto molti momenti di crisi, ma è sempre riuscita a superarli, approfondendo il proprio ambito e riuscendo a passare da una comunità economica ad una unione, che intende mettere al suo centro il cittadino: di crisi in crisi, di piccolo passo in piccolo passo, l'integrazione europea è avanzata e diventata quasi irreversibile. Secondo la lungimirante intuizione di Jean Monnet del 1976, "L'Europe se fera dans les crises et elle sera la somme des solutions apportées à ces crises". Mai come adesso ci è chiara l'indispensabile funzione delle nostre istituzioni, unico argine al risorgere di egoismi nazionali, che potrebbero distruggere la costruzione europea faticosamente eretta nel corso dei decenni passati. I Trattati, il Parlamento, la Commissione, la Corte di giustizia e la Banca centrale europea sono gli strumenti essenziali per temperare gli egoismi e le prevaricazioni dei singoli Stati. Temperamento che deve realizzarsi in seno al Consiglio, Camera degli Stati, e al Parlamento dei rappresentanti eletti del popolo europeo, e che può essere rafforzato grazie ai diritti che i Trattati riconoscono ai cittadini europei. Anche la soluzione di questa crisi non può che essere trovata a livello europeo. Le istituzioni dell'Unione si sono mosse nella giusta direzione, fra mille contrasti e opposizioni. Sosteniamole in questo sforzo, rafforziamole con il nostro supporto, e aiutiamole a fare un ulteriore balzo in avanti nel processo di integrazione preconizzato da Schuman e Monnet. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 torevoli. Sarà interessante vedere se questo dibattito riprenderà (personalmente non me lo auguro: le questioni serie dell’integrazione europea sono evidentemente altre). Quanto, poi, al merito della questione degli acquisti di titoli pubblici nazionali da parte della BCE, le sentenze della corte di giustizia finirono per ammettere che la BCE nei suoi interventi sul mercato secondario dei titoli pubblici nazionali incontra in sostanza limiti quantitativi, determinabili alla stregua del principio di proporzionalità. Ed infatti è su questo punto che oggi la corte tedesca interroga la BCE. Ma questo significa consegnare un’arma formidabile alla speculazione al ribasso, che non attacca un titolo di Stato solo se non sa se e in quale momento e a quale livello quantitativo cesserà il sostegno al titolo stesso: già ammettere la possibilità di un limite giuridico, sia pure incertus quando (come sarebbe quello derivante dalla proporzionalità), all’intervento di sostegno, costituisce un invito alla speculazione ribassista a tentare la carta. In entrambe le cause spiegammo bene alla corte di g. il pericolo insito nell’accettare il compromesso costituito dal limite quantitativo “leggero” basato sulla proporzionalità (a fronte di quello “pesante”, costituito addirittura da un plafond di intervento predeterminato al momento del varo del programma di acquisti, come voleva la corte tedesca nelle ordinanze di rinvio); ma neanche da questo orecchio la corte ci ha sentito. Di compromessi a volte si campa, ma più spesso si muore. Comunque, per chi volesse tirarsi un po’ su il morale europeistico, il manifesto dell’AIGE sulla dichiarazione di Schuman a me sembra un testo molto bello ed equilibrato. Mi permetto di invitare soprattutto i più giovani a rifletterci sopra. Perdonate la lunghezza. Paolo Gentili CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE Lo scontro tra Corte tedesca e Corte europea e la vera posta in gioco Gustavo Visentini* Non è pensabile l’esistenza dell’euro senza riconoscere alla Bce la competenza di prestatore di ultima istanza ma l’evoluzione dei tempi spinge a ripensare lo stesso sistema monetario e soprattutto a rispondere al quesito centrale sulla concezione dell’Europa: semplice coordinamento tecnico o integrazione sociale? La Corte costituzionale tedesca si è di recente pronunciata in contrasto con la Corte di giustizia europea e su questo vale la pena di riflettere. Per la Corte europea l’acquisto sul mercato secondario di titoli di debito degli Stati nazionali non viola l’art. 123 del Trattato, che vieta alla BCE di finanziare gli Stati; che sì vieta l’acquisto di titoli di debito, ma se diretto, cioè in sede di emissione; che perciò ne consente l’acquisto sul mercato secondario, funzionale alla stabilità monetaria. Per la Corte tedesca l’effetto di finanziamento dello Stato, prodotto dall’acquisto sul mercato, cessa di essere secondario qualora, per la dimensione e la continuità delle operazioni, si consolida in modalità elusiva del divieto di finanziamento diretto: l’acquisto non è proporzionale all’obiettivo; è in frode all’art. 123. Sul piano tecnico l’argomentazione della Corte europea è ineccepibile. Il giudizio cade sulla singola operazione in controversia; valida se per le quantità e le modalità dell’acquisto rispetta le condizioni che ne fanno un intervento di stabilità monetaria, con precise indicazioni affinché l’ineliminabile finanziamento dello Stato emittente resti contenuto ad effetto indiretto. Effetto contingente dal momento che cessa il finanziamento con la rivendita dei titoli nel perseguire l’obiettivo primario: per l’emittente la precarietà del finanziamento impedisce che vi possa fare affidamento; perciò il finanziamento è valutato dalla Corte proporzionale all’obiettivo primario. Il giudizio della Corte resta circoscritto alla validità della decisione di acquisto che ha sollevato il contenzioso. Mentre ricadono sulla responsabilità della BCE la corretta esecuzione della decisione di acquisto, così come l’eventuale deviazione dalle sue competenze per la ripetizione degli acquisti nel tempo. Questioni di responsabilità che possono essere sollevate su eccezione degli interessati. Su di esse even (*) Prof. Avv., già Professore ordinario di Diritto commerciale presso la Facoltà di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli e Docente di Teoria generale del diritto presso la medesima Facoltà. Articolo già edito sulla rivista FIRSTonline - 29 agosto 2020. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 tualmente la Corte potrà essere chiamata a giudicare, ma in questi casi il conflitto non sarebbe sull’acquisto dei titoli, ma sul comportamento della Banca, denunciato dall’interessato come abusivo. È da questa prospettiva che va intesa la decisione della Corte tedesca. Se guardiamo con l’occhio della politica delle istituzioni, la BCE ha operato da prestatore di ultima istanza per riparare all’indebitamento, non soltanto pubblico, che ha prodotto la grave depressione del 2008; nuovamente è chiamata ad intervenire nell’attuale crisi dovuta alla pandemia; sarà chiamata a sostenere l’indebitamento europeo che si è reso necessario per sovvenzionare le economie nazionali in crisi. Ne è evidenza l’ampliamento del bilancio della Banca in conseguenza degli interventi che si protraggono fisiologicamente, come accade per la Fed e per le banche centrali in generale. Per la Corte tedesca l’art. 123 inibisce alla Banca di operare come prestatore di ultima istanza. Nel confronto delle due decisioni, al di là dell’abilità tecnica dell’argomentazione della Corte europea, si prospetta l’antinomia tra il divieto dell’art. 123 e la creazione dell’euro; meglio, tra la configurazione della BCE nell’assetto delle istituzioni europee e la volontà politica di creare con l’euro la nuova moneta europea: di sostituire l’euro alle monete nazionali. Può darsi un ordinamento monetario stabile senza riconoscere alla banca centrale la competenza di prestatore di ultima istanza? È l’antinomia che cogliamo sottostante alla decisione della Corte europea, risolta a favore della BCE. Non è possibile che il legislatore europeo abbia creato l’euro senza il supporto della banca centrale nella competenza di prestatore di ultima istanza. Preso atto che la creazione della moneta unica è decisione politica fondamentale, con essa va resa coerente la disciplina monetaria; ad essa va piegata l’interpretazione delle singole disposizioni, per evitare che la prevalenza del disposto particolare porti alla dissoluzione della decisione fondamentale; in altre parole ad evitare che la prevalenza della lettera dell’art. 123 porti alla caduta dell’euro come moneta comune per il prodursi di gravissima depressione nelle economie europee, di cui, appunto, l’euro è ora la moneta. Invece la Corte tedesca avvia a questa seconda alternativa: la possibile eliminazione degli Stati insolventi, se non la dissoluzione dell’euro. Perché l’antinomia nel sistema monetario europeo? Lo dobbiamo all’ideologia, che si è imposta dagli anni ’80 a partire dagli Usa, della centralità del mercato nell’organizzazione dell’economia. Il mercato va sottratto alle politiche di intervento dello Stato, che va relegato al compito minimo di ordinare gli strumenti per lo svolgimento di transazioni di esclusiva pertinenza dei protagonisti per l’assetto dei loro interessi, nelle decisioni e nelle responsabilità: appunto, di esclusiva pertinenza del mercato. L’ideologia CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE si è imposta nella costituzione della BCE, investita dell’esclusiva funzione tecnica della stabilità della moneta (euro) al servizio delle transazioni private. Allo Stato è sottratta la banca centrale nella sua originaria e tradizionale funzione di prestatore negli squilibri di bilancio; nella sua funzione, successivamente acquisita, di strumento monetario per correggere le fasi di depressione dell’economia e per promuovere investimenti nelle carenze del mercato. Le crisi sono affare privato che il mercato assorbe nel ritornare all’equilibrio secondo la sua naturale propensione: come per ogni ideologia, si argomenta la verità del dogma sulla natura delle cose. L’ideologia ha imposto l’art. 123; giustifica, nella funzione di agenzia tecnica, la spiccata indipendenza della BCE; ci spiega anche la istituzione dell’euro nonostante la pluralità degli Stati aderenti, asserviti al vincolo di bilancio come qualunque altro protagonista del mercato: non è lo Stato che crea la moneta attraverso la sua banca centrale, ma è questa, la BCE, che crea la moneta all’esclusivo servizio del mercato, vincolando gli stati nazionali. È ideologia che soltanto nelle istituzioni europee ha trovato così piena formulazione; la Fed non risponde a questa idea, né nel- l’esperienza della conduzione monetaria, né nell’indipendenza dal Presidente e dal Congresso. La crisi degli anni ’08, ancora in corso, ora la crisi da pandemia, ne rendono evidente l’inconsistenza sul piano dell’esperienza. È un’idea che potrebbe realizzarsi soltanto con ingenti costi economici e perciò sociali per la distruzione di risorse peraltro disponibili; è posto artificialmente un vincolo per l’intervento politico nell’affrontare crisi, che sono ineliminabili nella dinamicità delle società; vincolo ben più consistente dell’allora ancoraggio della moneta all’oro. L’evoluzione delle cose -accompagnata dalla giurisprudenza e dagli indirizzi politici che vanno emergendo ai livelli degli Stati aderenti, e di conseguenza al livello delle istituzioni europee -ricolloca la BCE nella tradizionale funzione di banca centrale prestatore di ultima istanza, per la capacità di creare moneta secondo le esigenze delle politiche economiche che esprimono le società attraverso le loro istituzioni democratiche. Ma proprio per questo da più parti, a ragione, è riproposta la questione dell’indipendenza della banca centrale, non più giustificata nelle attuali condizioni. Gli interventi del prestatore di ultima istanza possono richiedere di distinguere gli Stati e le entità da sostenere; ad es. è emersa la richiesta che nelle operazioni di acquisto sul mercato di titoli privati la Bce debba privilegiare gli emittenti che orientano la produzione verso il verde. La Banca non può fare politica se non sotto la responsabilità di istituzioni politiche di dipendenza democratica. Per altro verso la politica monetaria, sottratta agli Stati, ordinata in federale, implica la solidarietà nella gestione. Dunque, per rimediare non basta ricondurre la Banca alle dipendenze di istituzioni politiche UE. va ripensato, reinventato, il sistema monetario per rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 farlo adeguato alle nuove esperienze federali. Da un canto, svincolata dall’oro, da ogni altra parità, la creazione di moneta è divenuta libera: the Age of Magic Money; the Deficit Myth. D’altro canto, va orientata la solidarietà implicita nella politica monetaria comune. Ma vi è di più. L’ideologia non si esaurisce nel dibattito dottrinale tra Friedman e Keynes, tra monetaristi e interventisti, tra neoliberali e socialisti, tra Stato minimo e Stato sociale. La dottrina è ripresa dalla politica, che la riconfigura nella consistenza di contrapposti assetti d’interessi: si dispiega negli Usa nella evidente contrapposizione dei repubblicani e dei democratici (almeno sino alla presidenza Trump). Nella prospettiva dello Stato minimo, il capitale, la finanza, nella globalizzazione si sottraggono alla regolamentazione statale, si appropriano della creazione monetaria. In Europa la vicenda è diversa per la presenza degli Stati sociali. L’alternativa politica si riflette nella concezione dell’UE: coordinamento tecnico o integrazione sociale? Tra l’Europa tecnica, privilegiata dal capitale globale, o l’Europa politica che, nel- l’economia globale, soltanto così può essere investita dei problemi sociali del territorio. Il dibattito ai vertici politici ha radici nella divisione dell’opinione pubblica: lo abbiamo colto nella vicenda greca. Le recenti vicende stanno portando a questa seconda alternativa, a modifica dell’originaria impostazione: si spiegano le difficili trattative; si spiega l’uscita dell’Inghilterra già contraria all’integrazione sociale. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE La qualificazione tributaria della indennità liquidata per la accertata responsabilità dello Stato per gli atti e le omissioni contrari al diritto europeo Maurizio Fiorilli* 1. La qualificazione tributaria del risarcimento dovuto per la lesione di un diritto soggettivo riconosciuto dall’ordinamento europeo da parte di uno Stato membro dipende dai Trattati istitutivi della Unione Europea e dal principio di territorialità proprio della fiscalità nazionale. Le competenze dell’Unione Europea si fondano sul principio di attribuzione (art. 5 TUE), ne consegue che essa agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per la realizzazione degli obiettivi da questi stabiliti. Il comportamento dello Stato membro nelle materie di competenza del- l’Unione Europea è qualificato come antigiuridico in base ai principi e alle norme dell’ordinamento europeo (art. 4, comma 3 TUE). Il trattamento giuridico delle fattispecie di responsabilità dello Stato membro per violazione delle norme di diritto primario o secondario europeo di conseguenza è attratto (ratione materiae) nell'ambito di applicazione del diritto europeo. Ne segue che nel caso di accertata violazione del diritto europeo che comporti un risarcimento del danno l’ordinamento dello Stato membro deve assicurare una congrua riparazione del pregiudizio inferto. 2. La responsabilità dello Stato membro non è assimilabile a quella derivante da un accordo internazionale. E ciò, in quanto l’accordo internazionale crea obblighi reciproci fra gli Stati contraenti, ma non attribuisce direttamente ai privati diritti o gli impone degli obblighi. I Trattati che hanno istituito le Comunità europee, ed ora l’Unione europea, hanno comportato la attribuzione di competenze statali “per conseguire i loro obiettivi comuni” (art. 1 TUE) ad un ente internazionale costituendo un ordinamento giuridico internazionale di nuovo tipo (art. 5 TUE). La Corte di Giustizia nella sentenza 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend & Loos (1) ha sottolineato che “Lo scopo del Trattato CEE, cioè l’instaurazione di un mercato comune il cui funzionamento incide direttamente sui soggetti della Comunità, implica che esso va al di là di un accordo che si limitasse a creare degli obblighi reciproci tra Stati contraenti. Ciò è confermato dal Preambolo del Trattato il quale, oltre a menzionare i Governi, fa richiamo (*) Già vice Avvocato Generale dello Stato. (1) racc. 1963 00003. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 ai popoli e, più concretamente ancora, dalla instaurazione di organi investiti istituzionalmente di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri sia dei loro cittadini. va poi rilevato che i cittadini degli Stati membri della Comunità collaborano, attraverso il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale, alle attività della Comunità stessa. Oltracciò, la funzione attribuita alla Corte di Giustizia dall’articolo 177 (ora art. 267 TFUE), funzione il cui scopo è di garantire l’uniforme interpretazione del Trattato da parte dei giudici nazionali, costituisce la riprova del fatto che gli Stati hanno riconosciuto al diritto comunitario una autorità tale da poter essere fatta valere dai suoi cittadini davanti a detti giudici. In considerazione di tutte queste circostanze si deve concludere che la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale a favore del quale gli Stati hanno rinunciato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”. Pertanto, a differenza di quanto avviene generalmente nel quadro della cooperazione giuridica internazionale, le norme e provvedimenti amministrativi adottati dalle Istituzioni europee raggiungono o sono suscettibili di raggiungere i soggetti interni degli Stati membri senza bisogno di o indipendentemente dal- l’intermediazione del diritto nazionale. Invero, in molti dei settori attribuiti alla competenza della Unione Europea, si pensi al settore della concorrenza (artt. 101-106 TFUE) o a quello degli aiuti di Stato (artt. 107-109 TFUE), tale competenza non è solo normativa, ma anche di amministrazione diretta in capo ai privati (cittadini europei o persone giuridiche ad essi parificati): spetta in altri termini alle stesse Istituzioni dell’Unione la gestione di una data materia ed il controllo sul rispetto delle relative norme da parte degli amministrati. La diretta efficacia del diritto dell’Unione europea sulle situazioni giuridiche soggettive dei singoli si accompagna strettamente ad un’altra caratteristica fondamentale di questo diritto, consistente nella supremazia delle sue disposizioni su quelle dell’ordinamento giuridico nazionale (2). La norma giuridica (2) Sentenza 15 luglio 1964, in Causa C-6/64, Flaminio Costa (racc. 1964 01141) “ [..] A differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare ... Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che provengono da fonti comunitarie e, più in generale, lo spirito o i termini del Trattato hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un tale ordinamento giuridico da essi accettato a condizioni di reciprocità un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordinamento comune ... La preminenza del diritto comunitario trova conferma nell’art. 189 (ora 288 TFUE) a norma del quale i regolamenti sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Questa disposizione che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento legislativo che prevalesse sui testi comunitari …”, conf. Sentenza del 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal (racc. 1978 00629). CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE nazionale, sia essa antecedente o successiva, contrastante cede dinanzi a quella europea e non può essere quindi applicata dai giudici nazionali nell’ambito di una controversia giudiziaria in cui un parte abbia invece ritenuto di invocarla. La responsabilità dello Stato membro per la violazione del diritto riconosciuto al singolo dall’ordinamento europeo si inquadra ed è disciplinata in tale ordinamento (3). I Trattati (TUE e TFUE ) in relazione all’obbligo di leale collaborazione tra Unione e Stati membri hanno per un verso previsto l’obbligo degli Stati membri di risolvere eventuali controversie sulla interpretazione e sull’applicazione dei Trattati nel quadro e secondo procedure previste dal sistema, rendendo così quest’ultimo, anche su tale versante, tendenzialmente chiuso e autosufficiente; dall’altro hanno istituito procedure finalizzate ad assicurare il corretto funzionamento del sistema lasciate alla iniziativa e/o alla partecipazione della Commissione e dei cittadini. La responsabilità dello Stato membro, che ha carattere unitario (4) in quanto non rileva per l’ordinamento europeo la imputabilità interna della violazione, è accertata dalla Corte di Giustizia nei ricorsi per inadempimento promossi dalla Commissione (artt. 258 e 260 TFUE). (3) I parametri per valutare la conformità del diritto interno ai risultati imposti dall'ordinamento europeo, sono stati enunciati dalla Corte di Giustizia nella risoluzione delle questioni pregiudiziali concernenti: 1) l'ambito della responsabilità dello Stato per gli atti e le omissioni del legislatore contrari al diritto europeo; 2) i presupposti della responsabilità; 3) la possibilità di subordinare il risarcimento all'esistenza di una colpa; 4) l'entità del risarcimento; 5) la delimitazione del periodo coperto dal risarcimento (sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93). I detti parametri sono stati precisati secondo i principi di seguito elencati: a) anche l'inadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto europeo; b) il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorché la norma comunitaria, non dotata del carattere self-executing sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto fra tale violazione ed il danno subito dai singoli, fermo restando che è nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla imputazione (interna) della responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e, comunque, non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; c) il risarcimento del danno non può essere subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa; d) il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all'ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. In ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante; e) il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia che accerti l'inadempimento. (4) Sentenza 30 settembre 2003, Köbler, in causa C-224/01, racc. 2003 I-10239: “ […] 32. Se nell’ordinamento giuridico internazionale lo Stato la cui responsabilità sorgerebbe in caso di violazione di un impegno internazionale viene considerato nella sua unità, senza che ne derivi la circostanza che la violazione da cui ha avuto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo, tale principio deve valere a maggior ragione nell’ordinamento giuridico comunitario, in quanto tutti gli organi dello Stato, ivi compreso il potere legislativo, sono tenuti, nell’espletamento dei loro compiti, all’osservanza delle prescrizioni dettate dal diritto comunitario e idonee a disciplinare direttamente la situazione dei singoli”. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 La responsabilità dello Stato membro è fondata sui principi della primauté del diritto europeo (5) e di leale collaborazione tra Stati membri. 3. La responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto europeo nell’esercizio della funzione legislativa è contestata da una parte della dottrina mediante l’apodittico richiamo al principio dell’assoluta discrezionalità del legislatore. La tesi si fonda sul principio della libertà nei fini della funzione legislativa, in quanto espressione del potere politico; da ciò conseguirebbe l’insindacabilità da parte della Corte di Giustizia dell’esercizio di tale potere e l’inconfigurabilità di un diritto del singolo al legittimo esercizio di tale potere. Ciò che viene opposto al principio della responsabilità dello Stato per l’attività legislativa è un limite di tipo costituzionale che richiama la cosiddetta dottrina dei “controlimiti” (6), elaborata dalla giurisprudenza costituzionale italiana e da quella tedesca, secondo cui le norme europee ricadono nel controllo esclusivo di costituzionalità delle Corti costituzionali nazionali. La nozione volontaristica del potere politico che questa teoria invoca, con il riferimento ad una discrezionalità libera ed assoluta del legislatore, si pone in stridente contrasto non solo con il trasferimento di competenze su un complesso di materie alle Istituzioni europee (7), ma anche e soprattutto con la stessa idea di “costituzione rigida” che caratterizza il costituzionalismo contemporaneo, secondo la quale il potere non è più concentrato in un onnipotente (5) Il percorso interpretativo diretto ad affermare il principio della “primauté” del diritto europeo, è stato portato a compimento con la sentenza Simmenthal (sentenza del 9 marzo 1978, in causa C106/ 77). Questa sentenza precisa che, in forza del principio della preminenza del diritto europeo, le disposizioni del Trattato e gli atti delle Istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l'effetto non solo di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione del diritto interno degli Stati membri contrastante con la legislazione nazionale preesistente, ma anche -in quanto dette disposizioni e detti diritti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell'ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri -di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi siano incompatibili con sentenze o con norme europee. (6) La teoria dei “controlimiti” è stata elaborata come argine rispetto a possibili violazioni dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili da parte delle fonti degli ordinamenti sovranazionali e internazionale, oltre che del diritto concordatario e delle leggi costituzionali e di revisione. Di recente la Corte Costituzione ha utilizzato l’istituto in una fattispecie relativa alla norma consuetudinaria internazionale, entrata nell’ordinamento in base all’art. 10 Cost., dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione per atti iure imperii (sentenza n. 238 del 2014) e alla legge di esecuzione del Trattato di Lisbona nella parte in cui, in violazione del controlimite di cui all’art. 25 Cost., renderebbe efficace nell’ordinamento italiano la sentenza interpretativa della Corte di giustizia Ue sul caso Taricco, decisione con cui il giudice europeo ha inteso orientare i giudici italiani verso la disapplicazione delle norme sulla prescrizione nel processo penale nei casi in cui le stesse non garantiscano efficacemente la sanzione delle frodi fiscali in relazione agli interessi finanziari dell’Ue ai sensi del principio posto nell’art. 325 TFUE. (7) TESAUrO G., Responsabilità degli Stati per violazione del diritto comunitario, in Tutela giurisdizionale dei diritti nel sistema comunitario, Bruxelles 1997, 306 ss. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE legislatore, ma è diffuso in una pluralità di poteri separati ed in rapporto di reciproco bilanciamento e controllo, al punto che, secondo la letteratura più recente (8), è la stessa idea di “sovrano” ad essere superata nell’ambito dello Stato costituzionale. Il far dipendere poi la conclusione negativa in punto di responsabilità civile dall’inesistenza di un diritto soggettivo all’esercizio del potere legislativo, vuol dire assumere la concezione della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale come lesione di diritti soggettivi; concezione che è stata tuttavia definitivamente superata dalla giurisprudenza di legittimità con l’approdo alla lettura dell’art. 2043 c. civ. nei termini della clausola generale del “danno ingiusto”. La responsabilità del legislatore per la violazione del diritto europeo presuppone la legittimità del comportamento tenuto dall’organo dal punto di vista del diritto interno. La validità dell’atto (legge o atto normativo) non è posto così in discussione: anzi, sono proprio la sua efficacia giuridica e la sua obbligatorietà a fondare la responsabilità dello Stato dal punto di vista dell’ordinamento europeo. Non è dunque in questione la validità dell’atto di diritto interno, ma la liceità della condotta tenuta dallo Stato, considerato nella sua unità dal punto di vista dell’ordinamento europeo. Ciò significa che fra ordinamento europeo ed ordinamento nazionale non si stabilisce un rapporto di tipo gerarchico, nel senso che l’uno definisca i criteri di validità dell’altro, ma un rapporto di liceità in luogo di quello di validità dell’atto, nel quale rilevano i comportamenti allorquando esso sia effettivamente entrato nel diritto positivo e nella consequenziale semplice perdita di applicabilità del diritto interno. Il primato del diritto europeo, presentato dalla giurisprudenza europea come “disapplicazione” dell'atto interno non conforme all’ordinamento europeo, non si traduce in una invalidità o in un annullamento, ma nella “preferenza” del diritto europeo quando esso sia effettivamente entrato nel diritto positivo e nella consequenziale semplice perdita di applicabilità del diritto interno (9). L’integrazione fra i due ordinamenti non discende da una norma fondamentale europea che condizioni la validità del diritto nazionale, ma dal riconoscimento dell’efficacia dell'ordinamento europeo quale fonte di diritto interno (10). Tanto trova conferma nel fatto che, allorché la Corte Costituzionale italiana ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nazionale conflig (8) FIOrAvANTI M., Stato e Costituzione, in Lo Stato moderno in Europa, 2002. (9) CArTABIA -WELLEr, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, pp. 173 ss. (10) MENGONI v., Note sul rapporto fra fonti di diritto comunitario e fonti di diritto interno degli Stati membri, in LIPArI (a cura di) Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1998, pp. 26 ss. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 gente con la norma europea, quest’ultima non ha assunto direttamente la veste di parametro del giudizio, ma è stata configurata quale norma interposta rispetto alla costituzione formale (11). La attribuzione interna della responsabilità unitaria dello Stato al legislatore nazionale, sia in carenza che nell’esercizio della funzione legislativa, è da qualificare non iure sul piano sovrannazionale, ma non su quello interno. La sentenza Francovich, che per prima ha riconosciuto la responsabilità dello Stato-legislatore per carenza, rinvia alla disciplina interna dei singoli Stati membri le condizioni dell'azione riparatoria. Ed è proprio in tale ambito che lo Stato conserva, anche nelle intenzioni della Corte di Giustizia, la propria “limitata sovranità”, subordinata, peraltro, anzitutto al principio che le condizioni previste dal diritto nazionale per far valere questo tipo di responsabilità non possono essere meno favorevoli rispetto a quelle interne imposte per azioni analoghe (regola del trattamento nazionale) e tali condizioni non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (regola dello standard minimo europeo). Sta di fatto che, al di fuori di tale duplice limite, indispensabile per assicurare una soglia minimale di effettività alla tutela riconosciuta, il giudice europeo omette di indicare a quali condizioni sostanziali e formali e secondo quali criteri debba essere garantita la tutela dei singoli e come possa esserlo in tutti gli Stati membri in modo, se non uniforme, almeno omogeneo (12). Inizialmente la regola è stata utilizzata dai giudici nazionali -evidentemente restii, specie quelli di vertice, ad accostare il concetto di fatto illecito alla attività legislativa -per circoscrivere le ipotesi di responsabilità dello Stato-legislatore ai soli casi immediatamente riferibili alla citata sentenza Francovich. La giurisprudenze più recente (13), a partire dalla sentenza delle SS.UU, del 17 aprile 2009, n. 9147, ha qualificato il c.d. “illecito del legislatore” come derivante dalla violazione di un’obbligazione ex lege di natura indennitaria, aderendo così alla tesi, secondo cui sussisterebbe un autentico obbligo legale per lo Stato membro di predisporre i mezzi necessari per garantire gli obiettivi di tutela posti dal diritto europeo. Tale impostazione prende le mosse dalla considerazione che lo Stato membro si obbliga nei riguardi dell’ordinamento comunitario al conseguimento di un risultato; e ciò perché «stante il carattere autonomo e distinto tra i due ordinamenti, comunitario e interno, il comportamento del legislatore è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell'ambito dell’ordinamento comunitario, ma non alla stregua dell'ordina (11) CELOTTO A., Le “modalità”di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme interne: spunti ricostruttivi, in Riv. Ital. Dir. Publ. Comunitario, 1999, p. 1482. (12) TIZZANO, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri nell’Unione Europea, in Foro Ital. 1995, Iv, 13 c. 27. (13) Cass. Civ., Sez. III, 11 novembre 2011 n. 23568; idem, 9 febbraio 2012 n. 1917. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE mento interno, secondo principi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costituzione». Naturale conseguenza della soluzione accolta dalle SS.UU. civili è che la responsabilità dello Stato membro nei confronti dell’Unione è assimilabile alla responsabilità interna di natura contrattuale ai sensi dell'articolo 1218 c. civ. ed è assoggettata alle relative regole; e ciò ad eccezione del profilo del termine di prescrizione, dal momento che la legge di stabilità per il 2012 ha stabilito che il diritto al risarcimento dei danni patiti per effetto della tardività, omessa o erronea attuazione di direttive comunitarie è soggetto al termine prescrizionale breve di cinque anni previsto dall'articolo 2947 c. civ. a far data dal momento in cui si è verificato il fatto dal quale derivavano i diritti. 4. Nella ipotesi in cui la attività amministrativa abbia violato il diritto europeo e sia fonte di un danno, la responsabilità indennitaria dello Stato rappresenta un correttivo alla tutela assicurata ai singoli dall’azione di annullamento dell’atto amministrativo (14). (14) La responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto europeo da parte di una pubblica amministrazione è stata accertata, la prima volta, dalla Corte di Giustizia con decisione 23 maggio 1996, in causa C-5/94, The Queen v. Ministry of Agriculture. La controversia riguardava il diniego di un provvedimento di autorizzazione per l’esportazione di animali da macello in Spagna. Il Ministry of Agriculture aveva violato le norme europee che vietano le restrizioni quantitative all’esportazione (art. 30 TCE), poiché aveva negato la autorizzazione alla esportazione alla società Hedley Lomas, pur non avendo il potere di assumere una scelta discrezionale in merito. La Corte ha condannato lo Stato a ristorare il danno cagionato, mettendo in evidenza, in particolare, come l'autorità pubblica disponeva nel caso di specie di un potere discrezionale molto ridotto. Un caso analogo, ma con la specificazione che si trattava di una norma comunitaria che non lasciava spazio alla discrezionalità amministrativa, è stato deciso dalla Corte di Giustizia con sentenza 2 aprile 1998 in causa C-127/95, Norbrook Laboratories Ltd., relativa all'autorizzazione al commercio di farmaci per uso veterinario. L’art. 5, secondo comma, della direttiva 81/851, relativa ai medicinali veterinari, in combinato disposto con le altre disposizioni di tale direttiva e con la direttiva 81/852, relativa alle norme e ai protocolli analitici, tossico-farmacologici e clinici in materia di prove effettuate su medicinali veterinari, consentiva all’autorità competente di richiedere informazioni e documenti solo se espressamente elencati in tale disposizione, come precisati nell’allegato della direttiva 81/852. Il Ministero della agricoltura inglese aveva richiesto alla Norbrook Laboratoriesa Ltd., produttrice di un farmaco ad uso veterinario, richiedente la autorizzazione alla immissione in commercio, informazioni ulteriori rispetto a quelle richieste dalla predetta direttiva integrata e, non avendole ricevute, aveva negato la autorizzazione. La Corte, adita con una domanda pregiudiziale interpretativa, ha precisato che la domanda di rilascio di un’autorizzazione di immissione sul mercato di un medicinale veterinario deve soddisfare tutte le condizioni previste dall’art. 5 della direttiva 81/851 perché l’autorizzazione possa essere rilasciata e, di conseguenza, l’autorità competente non è autorizzata a dispensare il richiedente dal fornire un’informazione o un documento previsti dal detto art. 5, anche se risulti che l’ottenimento di tale informazione è praticamente impossibile in un caso concreto, e non può chiedere ulteriori informazioni. E ciò, in quanto le direttive 81/851 e 81/852, per quanto riguarda le informazioni e i documenti richiesti nell’ambito di una domanda di autorizzazione, sono conformi agli artt. 30-36 del Trattato. Da un lato, infatti, l’armonizzazione delle procedure nazionali in materia di rilascio di un’autorizzazione ha proprio lo scopo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei medicinali veterinari; dall’altro, anche se le rigorosissime condizioni imposte dalle direttive di cui trattasi comportano di per sé alcune restrizioni, non sembra che esse non siano giustificate dalla tutela della salute, che è l’obiettivo fondamentale di tali direttive. La rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 La peculiarità della fattispecie è data dal fatto che il giudizio di responsabilità non è aggiuntivo alla tutela demolitoria, ma interviene in via quasi sostitutiva nei casi in cui quest’ultima non sia più utilmente esperibile (15). Dall’accertamento dell’illegittimità dell’azione amministrativa per violazione del diritto europeo possono invero, in base a regole peculiari diverse da quelle ordinarie, scaturire conseguenze non solo demolitorie dell’atto illegittimo, ma anche riparatorie dei danni subiti dal soggetto passivo. Emerge così una forma di tutela differenziata, poiché a una diversità di rapporti giuridici corrisponde una diversità di tutela giurisdizionale. La richiesta di tutela, che di norma viene soddisfatta principalmente mediante l’azione costitutiva, nelle ipotesi di violazione del diritto europeo diventa più articolata, poiché organizzata in diverse forme rimediali, come il risarcimento in forma specifica o per equivalente, tese ad assicurare la piena riparazione del diritto del ricorrente. Il relativo regime diverge da quello ordinario. La ragione di tale mutamento può essere individuata anche nel fatto «che è socialmente ed economicamente in contrasto con il principio di proporzionalità, quale anche delineato nell’ordinamento europeo, che l’annullamento debba costituire l’unica statuizione che il giudice amministrativo può adottare in sede di giudizio di legittimità » (16). La tutela dei diritti di fonte europea richiedono l’adozione di una logica rimediale completa, tipica dei modelli processuali di piena giurisdizione (cioè non limitata all’annullamento dell’atto). E ciò, in quanto la protezione dei di- Corte ha conseguentemente concluso che uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni che il richiedente di un’autorizzazione all’immissione in commercio abbia subìto a causa di richieste di informazioni e a causa di condizioni che violano le direttive 81/851 e 81/852, nel caso in cui la norma di diritto comunitario violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione sia grave e manifesta ed esista un nesso di causalità diretto tra tale violazione e il danno subìto dai singoli. Con questa riserva, è nell’ambito delle norme nazionali relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato da una violazione del diritto comunitario ad esso imputabile, fermo restando che le condizioni stabilite dalla normativa nazionale in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. (15) Il tema dei rapporti fra la tutela demolitoria (tradizionale) e tutela risarcitoria a fronte del- l'azione amministrativa illegittima é di grande attualità nel dibattito scientifico italiano. Anche nel Codice del processo amministrativo (decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104) ai sensi dell'articolo 34 il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, può disporre le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato. Oltre a ciò si prevede che la pronuncia di annullamento non è adottabile quando l'eliminazione dell'atto non è utile ai fini del conseguimento del bene della vita da parte del ricorrente. Il giudice è, dunque, autorizzato a limitarsi all'accertamento dell'illegittimità per consentire il ristoro del danno, parallelamente si inibisce l'annullamento di atti che hanno esaurito i loro effetti e si consente di convertire un'azione di annullamento in un'azione di accertamento. Secondo questa logica la sanzione dell'annullamento non è più indefettibile, poiché solo una delle sanzioni dell'illegittimità. (16) S. GIACHETTI -G. GIACHETTI, Occupazione in carenza di potere, riparto di giurisdizione e concezione “a matrioska” del provvedimento amministrativo, in Foro amm. CdS, 2006, 1093. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE ritti riconosciuti dal diritto europeo è garantita mediante il ricorso a diverse sanzioni giuridiche. In primo luogo, la tutela eliminatoria (o caducatoria); in secondo luogo, la tutela integratoria (o restituttoria), con la quale si richiede il conseguimento del bene di cui si è stati spogliati; in terzo luogo, la tutela risarcitoria, sotto varie forme. Alcune di esse colpiscono l’atto, a causa della sua difformità dallo schema normativo, altre colpiscono l’amministrazione, in quanto autore dell’azione illegittima, quando vi sia una illiceità a cui si ricollega il risarcimento del danno. Se è vero che la violazione del diritto europeo conduce all'invalidità del provvedimento amministrativo, è altrettanto vero che in tale ipotesi si evidenzia una sorta di discrezionalità sanzionatoria. La illegittimità della azione amministrativa può, dunque, dare vita a diverse conseguenze a seconda dei casi e della fonte violata. Si conferma in tal modo il principio che l’invalidità non riguarda un atto giuridico da considerare nella sua staticità, ma si appunta sul potere e sulle norme che ne vincolano lo svolgimento, inteso come situazione che si esplica per la produzione di effetti giuridici conseguenti agli atti che costituiscono il suo esercizio. 5.1. Il giudice nazionale, avendo come compito quello di applicare il diritto, compreso il diritto europeo, assume incontestabilmente un ruolo essenziale nell’ordinamento giuridico europeo. La sua posizione costituzionale, all’incrocio di due diversi sistemi giuridici (nazionale e europeo), gli consente di fornire un rilevante contributo all'applicazione effettiva del diritto europeo e, in definitiva, allo sviluppo del processo di integrazione europea. Il compito del giudice nazionale si articola intorno ad un duplice obbligo: quello di fornire un’interpretazione ed un’applicazione del diritto interno che siano conformi alle esigenze del diritto europeo e qualora una siffatta interpretazione conforme non sia possibile, di disapplicare le norme nazionali incompatibili con il diritto europeo; nonché, in mancanza di una tale possibilità, di sollevare una questione di interpretazione del diritto europeo innanzi alla Corte di Giustizia (art. 267 TFUE). E ciò in quanto il Trattato ha posto l’obbligo di interpretazione conforme del diritto europeo primario (le disposizione del Trattato) (17) e derivato (in particolare le direttive). La sentenza del giudice può assumere un duplice rilievo: costituire la fonte della responsabilità dello Stato membro per la violazione degli obblighi derivanti a suo carico dalla appartenenza alla Unione Europea; ovvero costituire il mezzo per assicurare la piena tutela del diritto riconosciuto al singolo dal diritto europeo. Il quesito al quale si deve dare risposta nel caso di responsabilità dello Stato per l’illecito europeo nel- l’esercizio del potere giudiziario è, quindi, se la norma interna applicata per (17) Sentenza 4 febbraio 1988, in causa C-157/86, Murpphy, punto 11. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 la decisione della fattispecie in giudizio consentisse o meno una interpretazione orientata al diritto europeo. Nel caso di risposta positiva, la lesione del diritto europeo deve essere imputata al giudice. La lesione può essere verificata unicamente attraverso il puntuale esame della motivazione della sentenza in relazione alle risultanze istruttorie di causa, alla luce delle norme o dei principi europei applicabili nella fattispecie in giudizio. Il solo limite che si impone al giudice nazionale, nell'ambito di questo esercizio di interpretazione conforme, è di non imporre a un singolo un obbligo previsto da una direttiva non trasposta (art. 288 TFUE) o di determinare o di aggravare, sulla base della direttiva e in assenza di una legge emanata per la sua attuazione, la responsabilità penale di coloro che ne trasgrediscono le disposizioni (18). Quanto all'obbligo di disapplicare il diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, la Corte nella sentenza Simmenthal (19), basandosi sui principi dell'applicabilità diretta e del primato del diritto comunitario, ha posto il principio che «il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza (in quanto organo di uno Stato membro), le disposizioni di diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (20). Da tale giurisprudenza si ricava che il giudice nazionale deve assicurare la tutela immediata dei diritti che ai singoli derivano dall’ordinamento europeo. Questa esigenza della immediatezza nella tutela dei diritti conferita ai singoli dal diritto europeo risponde ad un duplice obiettivo di effettività: effettività della tutela e, di conseguenza, effettività della norma giuridica stessa (21). (18) Sentenza 26 settembre 1996, in causa C-168/95, Arcaro, punto 42, ove si fa riferimento alla sentenza 8 ottobre 1987, in causa C-80/86, Kolpinghuis Njmegen, punti 13 e 14. (19) Sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal, in causa C-106/77, racc. 1978 00629. (20) Punto 24 in connessione con il punto 16. Elementi in tal senso si potevano già vedere nella sentenza 19 dicembre 1968, in causa C-13/68, Salgoil. (21) Sulla scia della sentenza Simmenthal, la Corte ha dichiarato nella sentenza Factortame (sentenza 19 giugno 1999, in causa C-213/89), che il giudice nazionale deve eliminare qualsiasi ostacolo di diritto nazionale che gli impedisca di disporre, se necessario, provvedimenti provvisori destinati a tutelare diritti che i singoli asseriscono derivare dal diritto europeo. Il principio è stato riaffermato in una fattispecie di azione pregiudiziale relativo alla compatibilità con il diritto europeo di una disposizione di common law che disponeva la non sospendibilità provvisoria di un provvedimento giurisdizionale. La Corte, ha così motivato “20. (..) considerato che è incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario qualsiasi disposizione facente parte dell'ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all'atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino, anche temporaneamente, alla piena efficacia delle norme comunitarie (vedasi la già citata sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal, CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE 5.2. La problematica relativa ai presupposti della responsabilità nell’esercizio della funzione giurisdizionale è stata esaminata dalla Corte di Giustizia con la sentenza 30 settembre 2003 in causa C-224/01, Köbler (22). La Corte, considerata la specificità della funzione giurisdizionale nonché le legittime esigenze della certezza del diritto e la circostanza che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce, per definizione, l’ultima istanza dinanzi alla quale i soggetti possono far valere i diritti che il diritto europeo conferisce loro, ha chiarito che tale responsabilità può sussistere solo nel caso eccezionale che questi abbia violato in modo manifesto il diritto europeo vigente. Al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato. Fra questi, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, la posizione adottata eventualmente da un’istituzione comunitaria, nonché la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE (ora, art. 267, terzo comma, TFUE) (cfr. sentenza Köbler, cit., punti 54-55). 6. La violazione dell’obbligo dello Stato membro di “adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione” (art. 4, co. 3 TUE) può determinare la lesione di diritti soggettivi attribuiti dal- l’ordinamento europeo ai cittadini (23). punti 22 e 23 della motivazione). 21. Va aggiunto che la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe del pari ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull'esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario. Ne consegue che in una situazione del genere il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale che sola osti alla concessione di provvedimenti provvisori. 22. Questa interpretazione trova conferma nel sistema istituito dall'art. 177 del Trattato CEE, il cui effetto utile sarebbe ridotto se il giudice nazionale che sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte sulla sua questione pregiudiziale non potesse concedere provvedimenti provvisori fino al momento in cui si pronuncia in esito alla soluzione fornita dalla Corte. 23. La questione pregiudiziale va pertanto risolta dichiarando che il diritto comunitario dev'essere interpretato nel senso che il giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia vertente sul diritto comunitario, qualora ritenga che una norma di diritto nazionale sia l'unico ostacolo che gli impedisce di pronunciare provvedimenti provvisori, deve disapplicare detta norma”. (22) racc. 2003 I-10239. (23) “33 [..] sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro. 34. La possibilità di risarcimento a carico dello stato membro è particolarmente indispensabile qualora, come nel caso di specie, la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 Il diritto al risarcimento è riconosciuto dal diritto europeo se siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica europea violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata (24) e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato membro e il danno subito dai soggetti lesi. L’obbligo dello Stato membro di risarcire i danni per la lesione dei diritti riconosciuti dall’ordinamento europeo ha natura extra-contrattuale (25). E ciò, in base alla considerazione che, stante il carattere autonomo e distinto tra i due ordinamenti (europeo e interno), il comportamento dello Stato, e in conseguenza dei suoi organi interni (legislativo, amministrativo, giudiziario), è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell’ambito dello ordinamento europeo, ma non alla stregua dell’ordinamento interno, secondo principi fondamentali riconosciuti dalla stessa Costituzione. Sulla base del principio della “non applicabilità” della normativa nazionale (sia precedente che successiva) contrastante con quella europea, che non implica fenomeni né di caducazione, né di abrogazione della norma statale confliggente con quella comunitaria, il trattamento giuridico delle fattispecie di responsabilità dello Stato per violazione delle norme di diritto primario o secondario europeo è attratto (ratione materiae) nell’ambito di applicazione del diritto europeo, in modo che al giudice è demandato il controllo dell’adeguamento dell’ordinamento interno a quello europeo; adeguamento che diviene così automatico, dovendo la normativa interna cedere il passo a quella europea ove risulti essere con questa contrastante. alla condizione di un’azione da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano fare valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario. 35. Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili e inerente allo stesso trattato” (Sentenza 19 novembre 1991, Andrea Francovich e a. c. Italia, cause riunite C-6/90 e C-9/90, racc. 1991 I-05357.) (24) Il criterio determinante per stabilire se si sia in presenza di una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma superiore intesa a tutelare i singoli è il margine di discrezionalità di cui dispone lo Stato membro nella trasposizione dell’atto normativo europeo o di applicazione dell’atto normativo europeo con efficacia diretta. Tra le norme superiori intese a tutelare i singoli la giurisprudenza ha annoverato il principio di non discriminazione (Tribunale, 6 marzo 2003, Dole Fresh Fruit International, in causa T-56/00), quello di proporzionalità (Tribunale, 6 dicembre 2001, Emesa Sugar, in causa T-43/98), quello di parità di trattamento (Tribunale, 27 giugno 1991, Stahlwerler, in causa T-120/89), nonché il dovere di diligenza (Tribunale 24 ottobre 2000, Fresh Marine Company, in causa T-178/98) e il principio del legittimo affidamento (Tribunale 6 dicembre 2001, Emesa Sugar, in causa T-43/98). (25) Sentenza 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheu S.A., in cause riunite C-46/93 e C-48/93, racc. 1996 I-01029, “ […] i presupposti del sorgere della responsabilità dello Stato per danni cagionati ai singoli in conseguenza della violazione del diritto comunitario non debbono essere diversi, in mancanza di specifica giustificazione, da quelli che disciplinano la responsabilità della Comunità in circostanze analoghe. Infatti la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario non può variare in funzione della natura, nazionale o comunitaria, dell’organo che ha cagionato il danno”. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE 7. Di recente, la Corte di Cassazione ha optato per ricondurre tale illecito nell’ambito della obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica (SS.UU 17 aprile 2009 n. 9147). E ciò, sul presupposto che nell’ambito del rimedio risarcitorio occorre distinguere tra la disciplina sostanziale stabilita dal diritto dell’Unione e quella procedurale rimessa ai diritti nazionali. Le condizioni fissate dalla normativa nazionale in materia di risarcimento dei danni per la violazione del diritto dell’Unione non possono essere meno favorevoli di quelle che regolano gli analoghi rimedi disponibili in ordine alle situazioni di diritto interno (principio di equivalenza), né comunque tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettività). Le SS.UU. nella sentenza n. 9147/2009 motivano le proprie conclusioni come segue: “4.5. … Esiste però un altro orientamento giurisprudenziale che, all’esito dell’analisi del fenomeno giuridico, esclude che il danno derivante dalla mancata attuazione nei termini prescritti di una direttiva Cee, attuazione dalla quale sarebbe derivata l’attribuzione ai singoli di diritti dal contenuto ben individuato sulla base della direttiva stessa, secondo il principio precisato dalla sentenza della Corte di Giustizia Cee 19 novembre 1991, cause 6-90 e 990 e ribadito nella successiva sentenza 14 luglio 1994, causa 91-92, costituisca la conseguenza di un fatto imputabile come illecito civile (art. 2043 cod. civ. e segg.) allo Stato inadempiente (cf., in particolare, Cass. 5 ottobre 1996, n. 8739; 11 ottobre 1995, n. 10617; 19 luglio 1995, n. 7832). Ciò in base alla considerazione che, stante il carattere autonomo e distinto tra i due ordinamenti, comunitario e interno, il comportamento del legislatore è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell’ambito dell’ordinamento comunitario, ma non alla stregua dell’ordinamento interno, secondo principi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costituzione. 4.6. Sulla base del principio della “non applicabilità” della normativa nazionale (sia essa la precedente che successiva) contrastante con quella comunitaria -che non implica fenomeni né di caducazione, né di abrogazione della norma statale configgente con quella comunitaria, il trattamento giuridico del caso di specie è attratto (ratione materiae) nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, in modo che al giudice è demandato il controllo dell’adeguamento dell’ordinamento interno a quello comunitario, adeguamento che diviene così automatico, dovendo la normativa interna cedere il passo a quella comunitaria ove risulti essere con quest’ultima contrastante. Ne segue che, per risultare adeguato al diritto comunitario, il diritto interno deve assicurare una congrua riparazione del pregiudizio subito dal singolo per il fatto di non avere acquistato la titolarità di un diritto in conseguenza della violazione dell’ordinamento comunitario. 4.7. …. 4.8. Sulla base del descritto complesso di principi e regole, va data continuità all’indirizzo della giurisprudenza da ultimo richiamata, secondo cui i rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 profili sostanziali della tutela apprestata dal diritto comunitario inducono a reperire gli strumenti utilizzabili nel diritto interno fuori dello schema della responsabilità civile extracontrattuale e in quello dell’obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che il giudice deve determinare in base ai presupposti oggettivi sopra indicati, in modo che sia idonea a porre riparo effettivo ed adeguato al pregiudizio subito dal singolo. La qualificazione in termini di obbligazione indennitaria, del resto, consente di assoggettare allo stesso regime giuridico sia il caso, come quello in esame, di attuazione tardiva di una direttiva senza alcuna previsione di riparazione del pregiudizio per l’inadempimento, sia quello dell’intervento specifico, preordinato alla disciplina risarcitoria (come è avvenuto, ad esempio, con il D.lgs n. 80 del 1992, art. 7, comma 2, in tema tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, su cui la citata Cass. n. 8110 del 2002). E ciò, in linea con il principio secondo cui la qualificazione della situazione soggettiva dei privati deve farsi con esclusivo riferimento ai criteri dell’ordinamento giuridico interno (cfr. Cass. Sez. un., 27 luglio 1993, n. 8385), imponendo l’ordinamento comunitario soltanto il raggiungimento di un determinato risultato. 4.9. In conclusione, per realizzare il risultato imposto dall’ordinamento comunitario con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria, rivolto, in presenza del requisito di gravità della violazione ma senza che operino i criteri di responsabilità per dolo o colpa grave, a compensare l’avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danno soltanto l’espressione monetaria dell’utilità sottratta al patrimonio”. I giudici della Suprema Corte hanno successivamente chiarito che le SS.UU. non avevano inteso escludere l’antigiuridicità della violazione del diritto dell’Unione sul piano del diritto interno (violazione della legge di ratifica del Trattato), bensì evidenziare la mera assenza del requisito della fattispecie aquiliana (Cass. civ., 18 aprile 2011 n. 10813; 17 maggio 2011 nn. 1081410816; 9 febbraio 2012 n. 1917). In conclusione, per realizzare il risultato imposto dall'ordinamento europeo con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del c.d fatto illecito dello Stato (indipendentemente dalla imputabilità interna) di natura indennitaria, rivolto, in presenza del requisito di gravità della violazione, senza che operino i criteri di imputabilità per dolo o colpa, a compensare l’avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danaro soltanto l'espressione monetaria dell'utilità sottratta al patrimonio. 8. Conformemente ai principi generali comuni alla maggior parte dei pro CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE venti degli Stati membri, la giurisprudenza europea ha precisato che sono risarcibili sia il danno patrimoniale sia il danno non patrimoniale, quest'ultimo quantificabile anche in equità. Il danno risarcibile comprende di regola sia il danno emergente che il lucro cessante. Il giudice europeo, e quindi anche il giudice nazionale, adito dal soggetto leso dall’inadempimento dello Stato membro, è competente a imporre qualsiasi forma di risarcimento conforme ai principi generali comuni agli Stati membri in materia di responsabilità extracontrattuale, incluso, se appare conforme a tali principi, il risarcimento in natura, eventualmente anche sotto forma di ingiunzione di fare o di non fare. Si deve, infine, tenere conto della svalutazione monetaria successiva all'evento dannoso che permette al danneggiato di vedersi rimborsati gli interessi compensativi. Il giudice nazionale adito liquida tali interessi al tasso nazionale. Quanto alla decorrenza, gli interessi compensativi sono comunque da tenere distinti dagli interessi moratori, i quali decorrono dalla sentenza che accerta la responsabilità dello Stato membro. In conclusione, nella liquidazione del danno imputabile allo Stato membro si deve tener conto di tutti gli elementi valutabili in relazione al caso concreto. Il risarcimento del danno non può essere subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere adeguato. Spetta all’ordinamento interno dello Stato membro stabilire i criteri di liquidazione dei danni, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. Sulla base del descritto complesso di principi e regole, i profili sostanziali della tutela apprestata dal diritto europeo inducono a reperire gli strumenti utilizzabili nel diritto interno al di fuori dallo schema della responsabilità civile extra-contrattuale e nell’ambito di quello dell’obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che il giudice deve determinare in base ai presupposti oggettivi sopra indicati, in modo che sia idonea a porre riparo effettivo ed adeguato al pregiudizio subito dal singolo. La qualificazione in termini di obbligazione indennitaria, del resto, consente di assoggettare allo stesso regime giuridico sia il caso di attuazione tardiva di una direttiva senza alcuna previsione di riparazione del pregiudizio per l'inadempimento, sia quello dell'intervento legislativo specifico, preordinato alla disciplina dell’obbligazione risarcitoria. E ciò, in linea con il principio secondo cui la qualificazione della situazione soggettiva dei privati deve farsi con esclusivo riferimento ai criteri del- l’ordinamento giuridico di riferimento (Cass., SS.UU., 27 luglio 1993, n. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 8385), imponendo l'ordinamento europeo soltanto il raggiungimento di un determinato risultato. In conclusione, per realizzare il risultato imposto dall’ordinamento europeo con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del cd. “fatto illecito dello Stato” (indipendentemente dalla imputabilità interna) di natura indennitaria, rivolto, in presenza del requisito di gravità della violazione, ma senza che operino i criteri di imputabilità per dolo o colpa, a compensare l’avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danaro soltanto l’espressione monetaria dell’utilità sottratta al patrimonio. 9. Il problema che si pone è, quindi, la legittimazione dei singoli Stati membri alla qualificazione fiscale di tale risarcimento che presenta un carattere di estraneità rispetto all’ordinamento nazionale. La qualificazione tributaria dell’indennizzo da corrispondere al soggetto leso secondo il diritto italiano discende dalla distinzione tra la nozione di “patrimonio” e di “reddito”. E ciò, in quanto il “patrimonio” designa l’insieme delle attività e delle passività possedute da un determinato soggetto a una certa data; il “reddito” misura l’aumento di ricchezza del soggetto in un determinato lasso di tempo. In altri termini, il “patrimonio” si presenta come un concetto statico, mentre il “reddito” ha natura dinamica, essendo espressione del confronto fra le situazione economica del soggetto esistenti in due diversi momenti temporali, che poi delimitano il c.d. periodo di imposta. L’art. 1 del TUIr -al pari dell’art. 72 TUIr -non fornisce una definizione di “reddito” in base a criteri economici, ma in base a categorie normativamente delimitate. I redditi appartenenti a ciascuna categoria provengano tendenzialmente tutti da una fonte produttiva, che può essere costituita da un’attività oppure da un capitale. In sostanza, è possibile ritenere che il vigente sistema impositivo adotti fondamentalmente il criterio di tassazione del reddito inteso come “prodotto”, vale a dire come nuova ricchezza derivante da un’attività produttiva esercitata dal soggetto passivo (26). Le indennità risarcitorie assumono rilevanza tributaria solamente nei casi in cui il risarcimento abbia una funzione sostitutiva di un reddito astrattamente sussumibile nelle categorie tipizzate nel comma 1 dell’art. 6 TUIr (o art. 72 (26) Un parte della dottrina, a fronte alle incertezze interpretative della scienza finanziaria connesse all’individuazione di un concetto unitario di reddito ai fini tributari, ha sottolineato la scarsa utilità di ogni tentativo volto a ricondurre tale nozione ad una delle categorie elaborate dalla scienza economica (“prodotto”, “entrata”, “spesa”), preferendo intendere reddito né più né meno ciò che il legislatore ha stabilito essere tale attraverso disposizioni ad hoc (c.d. tesi “nominalistica”). CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE TUIr). La disposizione si fonda su una concezione di reddito quale incremento del patrimonio e, secondo la maggior parte della dottrina, consente di escludere dalla tassazione quei proventi che costituiscono una mera reintegrazione del patrimonio già posseduto, che non comporta alcun incremento di ricchezza. In tal senso, quindi, il legislatore tributario ha fatto propria la distinzione civilistica tra danno emergente (ovvero volto ad una reintegrazione patrimoniale) e lucro cessante (diretto invece a reintegrare una perdita di redditi), attribuendo rilevanza reddituale ai soli risarcimenti corrisposti a fronte di quest’ultimo. La indennità sostitutiva della sottrazione di un valore economico (sottrazione di un bene immobile, mobile, di un diritto a valenza economica, del pagamento di una imposta illegittima) costituisce dal punto di vista fiscale una “reintegrazione” patrimoniale e non un “incremento patrimoniale”. La norma che qualificasse la reintegrazione economica del patrimonio come “reddito” violerebbe l’art. 1 del Protocollo 1 CEDU, in quanto è fermo indirizzo giurisprudenziale che la nozione di “bene” (in inglese possession) ha una portata autonoma che sicuramente non si limita alla proprietà di beni materiali: taluni altri diritti e interessi che costituiscono attivi possono anche essere considerati “diritti di proprietà” e dunque “beni” ai fini di tale disposizione (sentenza 20 novembre 1995, Pressos Naviera S.A. e altri). In definitiva, il reddito che costituisce il presupposto dell’IrPEF e del- l’IrES è quel reddito che il legislatore tributario considera tale, ispirandosi al principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53, comma 1, della Costituzione nell’individuazione della base economica del dovere del concorso alle pubbliche spese. Da tale precisazione deriva anche la necessaria limitazione della portata del presupposto dell’IrPEF o dell’IrES, che dovrà ritenersi ancorata alla definizione legislativa, pur ispirata alla nozione economica, ma non potrà utilizzare la nozione economica di reddito ai fini dell’individuazione dell’area della rilevanza impositiva. Per cui, come potranno individuarsi fattispecie qualificate dal legislatore come reddito pur in mancanza di una base economica, così dovrà prendersi atto che, in altre circostanze, una situazione espressiva, dal punto di vista economico, di un reddito, non è rilevante ai fini dell’IrPEF o IrES. La somma liquidata al soggetto leso nel proprio diritto riconosciuto dall’ordinamento europeo in conseguenza dello inadempimento dello Stato membro deve essere qualificato come “reintegrazione” della perdita di un “bene” e deve essere ritenuto come credfito di valore fiscalmente neutro, e tali debbono essere ritenuti anche gli interessi da corrispondere per la ritardata reintegrazione. Il sistema impositivo italiano non dà rilievo, in via generale, a tali fenomeni monetari, non consentendo di sottrarre dall’imposta, in via permanente, gli incrementi di reddito puramente nominali. A tal fine si interviene, invece, con appositi provvedimenti normativi per dare rilievo alle conseguenze del rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 l’inflazione i quali, solitamente, consistono in leggi di rivalutazione monetaria dei beni aziendali, che subordinano la rivalutazione dei beni d’impresa a rigorosi limiti temporali, tipologici e quantitativi. Non può, dunque, essere soggetta a tassazione la “rivalutazione” monetaria della indennità risarcitoria di illecito europeo, non costituendo “ontologicamente” una sopravvenienza attiva né una plusvalenza. Gli interessi liquidati sull’indennizzo in forma monetaria dovrebbero essere considerati come “reddito” secondo la lettera della seconda parte dell’art. 6, comma 2 del TUIr, secondo cui «gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati». Senonchè, il dictum davvero uno dei più infelici, interpretato alla luce del disposto dell’art. 53 della Costituzione, afferente all’imponibilità proporzionale alla capacità reddituale, evidenzierebbe -nell’interpretazione più affidabile, dottrinale, giurisprudenziale e dell’Agenzia delle Entrate che ad essa si è adeguata -come debbano essere considerati “redditi imponibili” i soli redditi risarcitori di “lucro cessante”, in quanto afferenti a “redditi perduti” nella maturazione o nella corresponsione futura; pertanto sarebbero da considerare estranei alla nozione fiscale di reddito i risarcimenti che reintegrano, tramite l’equivalente monetario, una lesione patrimoniale o non patrimoniale, strutturante un danno attuale (cd. danno emergente) e non il mancato guadagno futuro. In forza di tale disposizione gli interessi moratori e quelli per dilazione di pagamento, dovendo anch’essi coprire una lesione patrimoniale ed essendo qualificati come accessori della fattispecie reddituale individuata dalla fonte del credito non potrebbero essere soggetti a tassazione. 10. Sulla questione della rilevanza fiscale della indennità risarcitoria di illecito comunitario, non risultano nè precedenti giurisprudenziali né risoluzioni ministeriali. La ricostruzione giuridica della fattispecie conduce a qualificare il danno subito dai contribuenti come “danno emergente” che, come noto, consiste nella perdita economica che il patrimonio del creditore ha subito per colpa della mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore (nel caso il rimborso dell’indebito tributario). Deve trattarsi di una perdita di utilità già presenti nel patrimonio del danneggiato e fattispecie tipiche in tal senso possono rinvenirsi nel disvalore economico provocato, tra l’altro, nella temporanea impossibilità di godere del bene. L’insegnamento giurisprudenziale è fermo nel ritenere che: “In tema di liquidazione del danno, la locuzione “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 c. civ. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, ma include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il vincolum iuris, nel quale l’obbligazione si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare” (Cass. n. 4718/2016). A titolo di ulteriore argomentazione, sotto il profilo analogico, si possono richiamare la risoluzione n. 153/E del 18 dicembre 2017 (relativa alla qualificazione fiscale delle somme corrisposte a seguito di stipula di accordi transattivi da parte di una banca in liquidazione con i propri soci investitori), n. 106/E del 22 aprile 2009 (relativa alla qualificazione fiscale delle somme corrisposte ad un dipendente a titolo transattivo per l’anticipata risoluzione dei rapporti di collaborazione intrattenuti a titolo di risarcimento danni patrimoniali connessi alla perdita di “immagine” e di “opportunità”) e n. 155/E del 22 maggio 2002 (relativa alla qualificazione fiscale del contributo assistenziale a favore delle vittime delle persecuzioni naziste). Le predette risoluzioni confermano il principio che “.. laddove il risarcimento erogato voglia indennizzare il soggetto delle perdite subite (il c.d. danno emergente), ed abbia, quindi la precipua funzione di integrazione patrimoniale, tale somma non sarà assoggettata a tassazione. Infatti, in quest’ultimo caso assume rilevanza assoluta il carattere risarcitorio del danno alla persona del soggetto leso e manca una qualsiasi funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi: pertanto gli indennizzi non concorreranno alla formazione del credito delle persone fisiche per mancanza del presupposto impositivo”. In caso di ripresa tributaria della indennità percepita dal danneggiato a titolo di risarcimento per l’illecito comunitario commesso da un organo nazionale (legislativo, giudiziario o amministrativo) si potrà configurare la necessità di sollevare una questione pregiudiziale interpretativa innanzi alla Corte di Giustizia motivata con la predetta interpretazione degli Uffici tributari per violazione del principio di “equivalenza”. rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 il Covid e la crisi pandemica: quali prospettive future per un diritto sostenibile Gaetana Natale* Necessitas non habet legem, dicevano i latini, volendo significare che nel momento di estrema necessità, le categorie giuridiche devono adeguarsi al bisogno di sopravvivenza dell’uomo. Ma nel caso della pandemia da coronavirus, sembrano non del tutto peregrine le tesi di alcuni scienziati secondo le quali la nascita e la diffusione del coronavirus rNA sarebbero avvenute proprio per colpa dell’uomo: è questa la teoria di Jane Goodhall, esperta mondiale di etologia che da oltre 50 anni studia le relazioni tra ambiente, essere umani e virus. La ricercatrice ha più volte invitato tutti alla massima attenzione per quella che vede come la più grande minaccia all’esistenza dell’umanità, ovvero la distruzione della biodiversità. È questa la tesi anche della Società Italiana di Medicina Ambientale S.I.M.A. che con riguardo alla zoonosi, rischio zoonotico o spillover, (termine che indica il cd. salto di specie dal virus all’uomo), propone l’approccio One Health Evolution, basato sull’“understanding the factors that control the dynamies of interacting species”. In altri termini, alterando gli ecosistemi, con la distruzione massiccia di foreste pluviali, con l’emissione incontrollata di ossido di carbonio, con colture ed allevamenti intensivi, gli animali vengono spinti ad un maggior contatto con l’uomo. Con tali modalità i coronavirus, che hanno un’“elevata plasticità d’ospite”, (cioè genomi in grado di adattarsi con grande facilità fino a superare le “barriere di specie” con mutazioni definite antigenic drift e i più decisivi antigenic shift) hanno vita facile e posso tranquillamente saltare da una specie all’altra come è successo con il Sars-Cov-2, (erroneamente chiamato comunemente Covid 19 che è, invece, la malattia), un virus rNA, tendente a modificarsi rapidamente, originato dalla nostra invasione nel territorio di vita dei pipistrelli nel wet market di grandi dimensioni in una città cinese Wuhan di oltre 6 milioni di abitanti fortemente connessa al resto del mondo globalizzato. Con la distruzione degli ecosistemi il rischio zoonotico degli spillover sembra destinato ad aumentare, spingendoci verso periodi interpandemici sempre più lunghi ed incontrollati. Più del 60 % delle malattie infettive emergenti (EIDS Emercency Infections Desesas) identificate dal 1940 hanno avuto un’origine zoonotica e tra (*) Avvocato dello Stato, Consigliere Giuridico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno. Il presente scritto costituisce la lezione tenuta dall’Autrice il 28 settembre 2020 presso l’Università degli Studi di Salerno per il Corso Sistemi giuridici comparati. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE queste i due terzi derivano da animali selvatici (Jones et al. 2008). Si pensi a quelli che hanno causato la Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome nel 2002) e la Mers (Middle East Respiratory Syndrome emersa nel 2012). Era proprio il 2012 quando David Quammen, scienziato e divulgatore del National Geographic scriveva il libro “Spillover: l’evoluzione delle pandemie”, sostenendo che i virus pandemici, (che secondo un processo naturale di riequilibrio ritornano nel reservoir, ossia nel loro serbatoio di origine), sono l’inevitabile risposta della natura all’assalto dell’uomo agli ecosistemi e all’ambiente. Il virus influisce sul nostro concetto di identità: siamo davvero una specie animale legata in modo indissolubile alle altre nelle nostre origini e nella nostra evoluzione. Emblematica è la celebre frase del filosofo Josè Ortega y Gasset che a tal riguardo affermava: “Yo soy y mis circumstancia”, io sono io e ciò che mi sta intorno, io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso. Ciò è ancora più chiaro se riflettiamo sulla stessa derivazione etimologica di “ambiente”, parola derivante dal latino che significa “ambire”, “girare intorno”. Già nel 1962 Rachel Louise Carson, biologa e zoologa americana, scrisse “Primavera silenziosa” che ebbe molto successo negli USA, fino ad essere ritenuto il manifesto del movimento ambientalista moderno. È al suo appassionato impegno che si deve la crescita di una diffusa sensibilità ecologista tanto da essere riconosciuta come la madre dell’ambientalismo, pietra miliare nella storia dell’ecologia. Fu, infatti, la prima a prevedere con forte anticipo sui tempi gli effetti delle tecniche in agricoltura, la prima a denunciare pubblicamente e con appassionata forza i danni inferti alla natura dall’uso indiscriminato di insetticidi chimici (vedi ddt e l’odierno glifosfato) e composti organici di sintesi, dal fenomeno della deforestazione e dall’incontrollato intervento dell’uomo sull’ambiente secondo l’equazione differenziale Lootka- Volterra, preda-predators models. Sullo stretto legame tra virus e ambiente sembra soffermarsi di recente anche la prof.ssa Ilaria Capua, virologa che dirige l’One Health Centre Excellence in Florida. Nel suo recente libro “Il dopo” ella considera la comparsa del Sars Covid 2 uno stress test in grado di misurare le fragilità del nostro sistema. Questo patogeno dalle dimensioni infinitesimali ha messo l’umanità intera di fronte al disequilibrio creato nel rapporto con la natura, alla riscoperta della propria dimensione terrena e della caducità che le è connaturata, all’arbitrarietà dell’organizzazione sociale che si è data, delle sue scale di valori, del concetto stesso di salute pubblica. Uno dei motti di Ilaria Capua è “Every cloud has a silver lining”, ogni nuvola ha una cornice di argento. Anche una pandemia, con la sua drammaticità, può insegnarci qualcosa: per esempio, che dobbiamo modificare il nostro atteggiamento nei confronti della natura e della biodiversità, ponendoci come guardiani anziché invasori. La pandemia in corso ci ha imposto di ripensare il nostro modello di svi rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 luppo sulla base di tre concetti basilari: la transizione digitale, la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale. In questo Great Reset, ossia in questa “giuntura critica” di grande riassetto del concetto di sviluppo (secondo l’espressione di Daniel Kelemen), o “punto di svolta” (James Mahoney), che ruolo deve svolgere il giurista? in che modo il diritto può costituire la leva e lo strumento dinamico di evoluzione lungimirante del futuro sistema produttivo che concili la salute con il progresso? Cercherò di dare delle risposte a tale domanda con la piena consapevolezza, essendo un Avvocato dello Stato, che la norma giuridica è il necessario strumento operativo con cui rendere concreta e realistica una visione sostenibile di sviluppo futuro a tutela soprattutto della Next Generation. Non è un caso che con tale termine si sia denominato il Recovery Fund proposto dalla Commissione Europea, di recente negoziato sulla base del pilastro essenziale del Facility Resilience basato sia su loans sia su grants in aid, accanto al programma Sure e al processo di capitalizzazione della Bei, nonché all’importante attività di politica monetaria cd. quantitative easing (facilitazione quantitativa) della BCE nel programma PEPP (Pandemic Emercency Purchase Programm) che prescinde per la prima volta dalla regola del Capital Key (regola che stabilisce la proporzionalità dell’aiuto della BCE rispetto alla quota di partecipazione di un paese al capitale della Banca Centrale Europea). È prevalsa la regola del “Whatever it takes”, introdotta dal Presidente Draghi nel 2012 in un contesto economico che si profila ancora più drammatico rispetto al passato. Il virus ha segnato sul piano strettamente euro-unitario uno “spillover giuridico”, ossia un passaggio evolutivo dell’Unione Europea verso una tendenziale unione di bilancio con la sospensione della “general escape clause” (ossia, la sospensione del patto di stabilità), con la possibilità di emettere in futuro titoli del debito comune europeo (obbligazioni triplo A) attraverso strumenti finanziari da reperire sul mercato con la contestuale riduzione dei rebates dei Paesi frugali (ossia la riduzione del loro contributo al bilancio pluriennale europeo). L’Europa ha dimostrato nell’attuale crisi pandemica di sapersi evolvere, di considerare essenziale la solidarietà in un momento di crisi economica simmetrica, valorizzando l’elemento della unità sanitaria tesa a realizzare il c.d. momento Hamilton: ne è prova l’accordo Inclusion Vaccine Alliance, basato essenzialmente sul contratto che la Commissione europea ha stipulato con il colosso Astrazeneca per la sperimentazione del vaccino sviluppato dall’Università di Oxford con il contributo della società Irbm di Pomezia. Di recente la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato la costituzione di un’“Agenzia Europea per la ricerca bio-medica e per la gestione delle crisi pandemiche”, ponendo in luce la necessità di un’azione coordinata europea volta a creare quella unità sanitaria che trova la sua base giuridica negli artt. 122 e 168 del TFUE. CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE La pandemia ha colpito oggi 30 milioni di persone con oltre 900 mila morti, mettendo in risalto la fragilità del nostro modello di sviluppo globale, come ha sottolineato di recente lo scorso 21 settembre 2020 l’ex premier portoghese Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, in occasione dei 75 anni dell’ONU, richiamando la necessità mondiale di resuscitare il cd. Multilateralismo sulla base dello slogan People, Planet, Prosperity. L’economia globale a fine 2021 perderà 16 mila miliardi di dollari a causa degli effetti della pandemia secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale che prevede in tale anno il maggior crollo del Pil globale del dopoguerra. L’Agenda G20 a guida italiana da dicembre dovrà rendere attuabili i 17 obiettivi dell’Agenda Onu 2030 sullo sviluppo sostenibile, ma dovrà necessariamente tener conto delle debolezze strutturali delle Nazioni Unite dovute essenzialmente oggi alle divisioni interne nel Consiglio di Sicurezza tra Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti sono usciti dall’Accordo sul clima di Parigi e dall’Accordo Onu sul nucleare iraniano, ripristinando le sanzioni unilaterali con una posizione che non è in perfetta sintonia con la diplomazia internazionale. Si ricorderà che le Nazioni Unite nacquero dopo il fallimento delle Società delle Nazioni, travolta dai totalitarismi e dagli orrori della guerra mondiale. Eleanor Roosevelt chiamò quel sogno dei paesi uniti < la nostra grande speranza per un futuro di pace>. Le parole di roosevelt volte a realizzare la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite che significato assumono oggi in un mondo globalizzato? Per rispondere a tale quesito bisogna chiarire bene il concetto di globalizzazione. Se partiamo dagli studi di Anthony Giddens, sociologo e politologo britannico, la globalizzazione non è un singolo processo, ma un “sistema di processi” che non interessa solo la sfera economica con la creazione di un mercato globale basata sulla cd. “finanziarizzazione dell’economia” e sul “new global electronic money”, ma che investe anche la sfera sociale, politica e culturale, realizzando la cd. radicalizzazione della post-modernità o tarda modernità. Per Giddens la globalizzazione è un termine che descrive un fenomeno reale che fa delle interconnessioni e delle contaminazioni un aspetto cruciale della sua struttura. Non identifica la globalizzazione con il neoliberismo, costituendo quest’ultimo solo una sua declinazione. Nel suo libro pubblicato nell’anno 2000 “Runawayworld: how Globalization is reshaping our lives”, egli sostiene che la globalizzazione non sia solo un fenomeno macrosociale che interessa solo i grandi sistemi (i mercati finanziari, gli Stati, etc.), ma le sue conseguenze riguardano anche la vita dei singoli con scambio del cd. globale con il locale. Egli giunge a definire la globalizzazione come uno strumento concettuale per definire quell’insieme di processi sociali, economici, politici e culturali che influenzano la vita di ognuno sebbene sia difficile per chiunque comprendere pienamente tutti i loro sviluppi ed effetti. Emblematica è quella che Giddens definisce “reverse colonization”, per descrivere tutti quei casi in cui i paesi in via di sviluppo hanno rASSEGNA AvvOCATUrA DELLO STATO -N. 1/2020 imposto determinate condizioni in paesi più ricchi. Si pensi alle difficoltà riscontrate dai Paesi del Nord nelle trattative commerciali con il WTO (World Trade Organization) dove il Brasile ha visto recentemente riconosciuto dal- l’istituzione multilaterale del commercio la legittimità delle sue richieste nei confronti degli USA. vi è allora da chiedersi: che ruolo hanno oggi gli Stati e gli organismi sovranazionali nel regolare il fenomeno della globalizzazione, la loro incisività implica necessariamente una rimodulazione della loro struttura e delle loro funzioni? Nella sua monografia pubblicata nel 2012 “Turbolent and Mighty Continent: what future for Europe” (Turbolento e potente continente: quale futuro per l’Europa), Giddens sostiene che la rimodulazione della struttura e delle funzioni della Commissione Europea e della BCE sia essenziale per la sopravvivenza dell’Unione Europea. Ne è stata prova la funzione di “stance” di mantenimento dell’inflazione nel limite del 2% svolta dalla BCE con la sua politica monetaria ex art. 127 del TFUE, anche se la Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe con la nota sentenza dello scorso 5 maggio aveva contestato il mancato rispetto del principio di proporzionalità nel programma straordinario di intervento finanziario PSPP (Public Sector Purchase Programme, (Programma di Acquisto del Settore Pubblico, altrimenti noto come QE-quantitative easing). Tanto tuonò che non piovve: in realtà il quotidiano Der Spiegel del 31 luglio ha dato notizia che il Ministro delle Finanze della Germania, Olaf Scholz, ha inviato una lettera alla Corte Costituzionale Federale tedesca in cui sono stati confermati la bontà della condotta della BCE in punto di QE e il coinvolgimento anche per il futuro della Bundesbank nel programma di acquisto dei titoli di Stato delle singole Nazioni del- l’Unione. Ancora una volta è prevalso il criterio del riequilibrio tra le Corti Costituzionali Nazionali e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, messo in crisi dal caso Taricco, ma saggiamente recuperato dato il contingente momento di crisi economica. La rimodulazione delle funzioni invocata da Giddens ha investito anche la Commissione organo esecutivo che nell’ambito dei vari programmi di supporto all’economia come il programma Sure procederà ora anche alla raccolta di fondi sui mercati internazionali dei capitali per conto dell’UE e li concederà come prestiti back-to-back agli Stati membri che faranno richiesta di prestito. Alla luce della descrizione di tale evoluzione dell’ONU e dell’Unione Europea, si può dedurre che parlare oggi di diritto globale e sostenibile, significa porre l’accento su principi di sintesi valoriale che costituiscono il punto di convergenza delle azioni degli Stati: uno di tale principio di sintesi valoriale è costituito senz’altro dalla tutela degli Human Rights, la tutela dei diritti fondamentali della persona. La questione della territoriality si è posta più volte innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali ed ha determinato la ricerca del cd. link giurisdizionale per radicare CONTENZIOSO COMUNITArIO ED INTErNAZIONALE l’applicabilità della Convenzione, al di fuori dei confini degli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione. Il diritto sostenibile è un diritto che radica un sistema integrato di tutele sulla base del principio di solidarietà e del rispetto dei diritti umani. La crisi pandemica ha posto il giurista di fronte ad una grande sfida: usare le norme nazionali e sovranazionali per orientare lo sviluppo tecnologico verso un futuro green che ponga l’uomo e la sua salute sempre al centro di ogni processo evolutivo. Contenziosonazionale Funzione consultiva e responsabilità penale Tribunale di napoli, prima Sezione penale, SenTenza 28 novembre 2019, dep. 21 gennaio 2020, n. 12933 Maurizio Greco* Michele Gerardo* Sommario: 1. introduzione -2. dati fattuali -3. aspetti preliminari: il parere nel diritto amministrativo -4. (segue) aspetti preliminari. responsabilità penale connessa alla emanazione di un parere -5. profili di interesse giuridico -6. l’oggetto della consultazione giuridica -7. Criteri di assegnazione degli affari contenziosi e consultivi -8. modalità di espletamento della consulenza - 9. imputazione giuridica dei pareri. 1. introduzione. La sentenza che si annota riveste un particolare rilievo con riguardo al tema della responsabilità penale dell’avvocato dello Stato nell’esercizio della funzione consultiva. All’uopo al fine di lumeggiare i dati di fatto e di diritto si riporta altresì il testo della memoria difensiva redatta in vista della discussione. 2. dati fattuali. Nel caso di specie l’Avvocatura dello Stato, in via istituzionale, ha reso un parere in materia di procedura di gara pubblica (rectius: un procedimento selettivo concorrenziale ai sensi degli artt. 36 e ss. cod. navig.). A fronte dei quesiti posti -tre particolari aspetti della gara -l’Organo Erariale ha reso il parere. Parere sottoscritto dall’avvocato estensore e dall’avvocato distrettuale. (*) Avvocati dello Stato. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Sulla gara si è aperto un procedimento penale. Nella fase delle indagini preliminari, tra gli altri, è stato indagato l’avvocato dello Stato estensore del parere. L’ipotesi accusatoria è che l’avvocato dello Stato estensore, in collusione con altri indagati, avrebbe reso un parere di comodo finalizzato a consentire l’aggiudicazione in favore di un dato concorrente, che non avrebbe avuto titolo; parere in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale. Tanto sulla base di un quadro investigativo, come confermato poi nel dibattimento, inficiato da errori e dalla assoluta assenza di evidenze probatorie. Nella fase delle indagini, l’avvocato dello Stato ha chiesto di essere sentito dal Pubblico ministero, prima della conclusione delle indagini preliminari, per evidenziare la dinamica dei fatti. L’interrogatorio spontaneo si è svolto e l’indagato ha illustrato i dati rilevanti. A seguito della notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, l’avvocato dello Stato ha presentato due memorie difensive al pubblico ministero (in una delle quali dava conto dell’intervenuta pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la n. 9 del 2014, che riguardava proprio la procedura in questione e confermava il contenuto del parere reso dall’Avvocatura dello Stato). Nonostante ciò, al termine delle indagini il Pubblico ministero ha formulato la richiesta di rinvio a giudizio -tra gli altri -dell’avvocato dello Stato, estensore del parere. All’udienza preliminare la difesa (all’epoca assunta da due legali del libero Foro) dell’avvocato dello Stato, ormai imputato, ha illustrato con ampia argomentazione l’assenza di evidenze incriminatrici. Al termine dell’udienza preliminare, il G.I.P. con decreto ha disposto il giudizio -tra gli altri -nei confronti dell’avvocato dello Stato, estensore del parere. Nel dibattimento dinanzi al Tribunale, prima della conclusione del giudizio il Tribunale con sentenza ha assolto ex art. 129 c.p.p., l’avvocato dello Stato estensore del parere per non aver commesso il fatto. Tanto, sulla scorta sia della richiesta del pubblico ministero che della difesa dell’imputato assunta, in dibattimento, dall’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 44 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. Nel corso del dibattimento si sono tenute 29 udienze, nelle quali l’imputato - avvocato dello Stato - è sempre stato presente. 3. aspetti preliminari: il parere nel diritto amministrativo. Prima di illustrare i profili di interesse giuridico della sentenza che si annota è necessario esaminare i caratteri dell’atto “incriminato” nel processo penale, ossia i caratteri del parere, ed altresì la problematica della responsabilità penale connessa alla emanazione di un parere. Il parere è un atto amministrativo adottato da un organo consultivo della pubblica amministrazione esprimente un giudizio -alla stregua di norme tec CONTENzIOSO NAzIONALE niche (giuridiche, sanitarie, ingegneristiche, chimiche, ecc.) -su un oggetto, costituito da circostanze fattuali e dal contesto regolatorio, suscettibile di una univoca valutazione oppure di varia valutazione. univoca valutazione laddove la materia è connotata da elevata tecnicità e complessità; varia valutazione nel caso che l’obiettivo avuto di mira si può conseguire per strade diverse (1). Il giudizio espresso dall’organo consultivo è un elemento conoscitivo che dovrà essere tenuto presente dall’amministrazione al momento della adozione del provvedimento. Serve a lumeggiare la scelta dell’amministrazione decidente. Questo è un connotato essenziale; tanto che ove venga omesso il parere non è possibile la sanatoria ex post, non potendo essere soddisfatta la fondamentale funzione. vi è un atto a funzione prodromica che deve necessariamente essere esercitata prima che si formi nell’organo agente la determinazione volitiva, che il parere concorre a determinare; sicché vi è la necessità logica che il parere preceda il provvedimento. L’organo consultivo della pubblica amministrazione è quello che, in base ad una norma giuridica, ha in attribuzione la funzione di esprimere un parere su un aspetto dell’attività delle amministrazioni pubbliche: attività sia di diritto pubblico (nell’ambito di un procedimento amministrativo), che di diritto privato (nell’ambito di un procedimento negoziale, ad esempio in tema di transazioni). vi sono organi consultivi che rendono giudizi alla stregua di norme giuridiche (Avvocatura dello Stato, Consiglio di Stato, ecc.), alla stregua di norme ingegneristiche, ecc. A seconda che l’amministrazione procedente sia obbligata o meno a richiedere il parere, questo si distingue in obbligatorio o facoltativo. Il parere obbligatorio va necessariamente richiesto; l’omissione genera una violazione di legge, con invalidità derivata del provvedimento finale. un esempio di parere obbligatorio è il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato ex art. 18 D.L. 25 marzo 1997 n. 67, convertito, con modificazioni, nella L. 23 maggio 1997, n. 135 (2) sulle istanze di rimborso delle spese di patrocinio legale nei giudizi di responsabilità nei confronti di dipendenti pubblici. Il parere facoltativo non va necessariamente richiesto. È l’amministrazione (1) Sui pareri, ex plurimis: F. FRANChINI, voce parere, in novissimo digesto italiano, vol. XII, uTET, 1965, pp. 396-397; G. CORREALE, voce parere (dir. amm.), in enc. del diritto, vol. XXXI, 1981, Giuffré, pp. 676-685. (2) “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'avvocatura dello Stato. le amministrazioni interessate, sentita l'avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”. Sulla materia: M. GERARDO, il rimborso delle spese di patrocinio legale nei giudizi di responsabilità nei confronti di dipendenti pubblici ai sensi dell’art. 18 del d.l. 25 marzo 1997 n. 67 in questa rassegna, 2018, 3, pp. 207-236. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 procedente a reputare necessario, per la completezza dell’istruttoria, acquisire un parere. In ossequio al principio di non aggravamento del procedimento ex art. 1, comma 2, L. n. 241/1990, tanto può avvenire solo per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria. un esempio di parere facoltativo è la consultazione legale richiesta dalle Amministrazioni ex art. 13 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (3) all’Avvocatura dello Stato. una volta acquisito il parere -obbligatorio o facoltativo che sia -l’amministrazione è tenuta a valutarlo in sede di decisione, fermo restando che il giudizio espresso nel parere non è vincolante, perché l’amministrazione è comunque libera di disattenderlo, assumendone la responsabilità e fornendo una adeguata giustificazione del dissenso. Fanno eccezione alla regola da ultimo enunciata i cd. pareri vincolanti, i quali vincolano -in virtù di disposizione di legge -l’amministrazione attiva a decidere nel quid indicato nel parere. All’evidenza qui non vi è un “vero” parere ma una codecisione. L’acquisizione del parere genera un subprocedimento, articolantesi nei seguenti momenti: -richiesta di parere, con l’articolazione dei quesiti. Ciò determina l’oggetto sul quale deve esprimersi l’organo consultivo; - rilascio del parere; - acquisizione del parere. L’art. 16 della L. n. 241/1990 delinea la disciplina del subprocedimento, con l’obiettivo di rendere celere l’iter -in funzione, quindi, della semplificazione dell’azione amministrativa -delineando termini massimi, con previsione di prescindere dal parere ove non rilasciato nei termini. Questo il testo: “1. gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni […], sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. 2. in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'espressione del parere. in caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che l'organo adito (3) “l'avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle amministrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d'accordo con le amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle amministrazioni: prepara contratti o suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio”. CONTENzIOSO NAzIONALE abbia rappresentato esigenze istruttorie, l'amministrazione richiedente procede indipendentemente dall'espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente comma. 3. le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. 4. nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, i termini di cui al comma 1 possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate. […]”. Il periodo del subprocedimento di rilascio del parere sospende il termine del procedimento principale. Deve, infatti, ritenersi che i termini possono essere sospesi durante il periodo per acquisire da un soggetto estraneo all’amministrazione procedente qualsivoglia atto istruttorio necessario al procedimento. Questa ipotesi non è testualmente prevista in alcuna disposizione, ma esigenze logiche impongono di applicare, per analogia, la disciplina di cui al comma 7 dell’art. 2 della L. 7 agosto 1990, n. 241 (4). Il parere, in quanto atto endoprocedimentale, non è impugnabile. I suoi vizi, se si ripercuotono sul provvedimento finale, devono essere fatti valere impugnando quest’ultimo. Per i principi generali della giustizia amministrativa, il vizio dell’atto consultivo non è immediatamente lesivo delle situazioni giuridiche soggettive del soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; manca, quindi, la condizione del- l’azione dell’interesse ad impugnare. va precisato, tuttavia, che il principio della non immediata impugnabilità degli atti di carattere endoprocedimentale è stato talvolta temperato dal giudice amministrativo. In particolare, è stato evidenziato che tale regola incontra un’eccezione nell’ipotesi in cui gli atti endoprocedimentali siano suscettibili di incidere immediatamente sulla posizione giuridica dell’interessato, come nel caso degli atti di natura vincolata (questo accade per i cd. pareri conformi), idonei in quanto tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, oppure degli atti interlocutori, laddove idonei a determinare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato (5). (4) “Fatto salvo quanto previsto dall'art. 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'art. 14, comma 2”. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 4. (segue) aspetti preliminari. responsabilità penale connessa alla emanazione di un parere. Il parere è, come visto, un atto amministrativo. Nella sua emanazione, a seconda della fattispecie concreta, si può incorrere, tra gli altri, nei delitti delineati nel Capo I del Titolo II del Libro II del Codice penale (artt. 314-335bis: “dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”) ed altresì -a titolo di concorso -nei delitti delineati nel Capo II del Titolo II del Libro II del Codice penale (artt. 336-356: “dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione”). Sicché, la persona fisica componente l’organo consultivo che -riceva una mercede per rendere un parere risponderà per corruzione ex artt. 318-319 c.p.; -renda un parere, costringendo taluno a dare o promettere danaro, abusando della sua qualità o dei suoi poteri risponderà per concussione ex artt. 317 c.p.; -renda il parere abusando del suo ufficio risponderà del reato ex art. 323 c.p. Molto rilevante è la problematica della responsabilità penale per la emanazione di un parere nel corso di un procedimento sfociante in un provvedimento che integra - quest’ultimo - una fattispecie criminosa (es. corruzione). A stretto rigore il ruolo del parere nel procedimento amministrativo non condiziona il provvedimento finale. Sicché -con l’eccezione del parere conforme -non si dovrebbe mai rispondere per l’emanazione di un simile parere, atteso che farebbe difetto il nesso di causalità, il contributo causale ex art. 40 c.p., atteso che il parere potrebbe essere sempre motivatamente disatteso dal destinatario. La giurisprudenza -giustamente -è di contrario avviso. Reputa, difatti, che ove il parere abbia avuto una qualche influenza nella adozione del provvedimento finale risponde del reato -in concorso -il soggetto che ha emanato il parere. Beninteso: ciò in presenza di tutti i requisiti della fattispecie incriminatrice, primo fra tutti l’elemento psicologico del dolo o, nei casi previsti dalla legge, della colpa. 5. profili di interesse giuridico. Delineati gli aspetti prodromici, si osserva che il caso di specie riveste un particolare interesse giuridico per almeno quattro profili -involgenti la funzione consultiva dell’Avvocatura dello Stato -oggetto di disamina tanto nella memoria difensiva, che nella sentenza. (5) In tal senso ex multis: Cons. St., vI, 20 luglio 2011, n. 4393; Cons. St., Iv, 4 febbraio 2008, n. 296; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 26 gennaio 2012, n. 865. CONTENzIOSO NAzIONALE 6. l’oggetto della consultazione giuridica. Il primo aspetto rilevante è l’oggetto della consultazione, all’esito della richiesta di parere. L’organo consultivo risponde rispetto a quello che viene richiesto dal- l’amministrazione ausiliata. Il parere è, in ogni caso, reso secondo parametri di diritto, sulla base delle indicazioni di fatto fornite dall’amministrazione richiedente che sono necessariamente assunte a presupposto dell’opinione giuridica espressa ove non emergano elementi di contrasto o contraddizioni nella stessa richiesta di parere. Il procedimento consultivo -o subprocedimento, a seconda delle evenienze -inizia con la richiesta di parere. La richiesta contiene i quesiti posti all’organo consultivo. Il parere, nel riscontrare la richiesta, deve avere ad oggetto i temi oggetto della richiesta. Sicché, ad esempio, ove su una gara d’appalto -procedura strutturalmente complessa, con varie fasi -sorge un dubbio e viene richiesto un parere per lumeggiare il dubbio, l’organo consultivo dovrà rispondere sul tema posto. Nella richiesta di parere, l’istante allegherà il bando, l’aggiudicazione, il contratto. L’organo consultivo non deve -rectius: non potrà -controllare la regolarità dell’intera gara, in assenza di una traccia su cui lavorare. Anche nel procedimento consultivo opera il principio della domanda. Tanto viene statuito, nella sua essenzialità, dal citato art. 13 del R.D. n. 1611/1933 secondo cui “l'avvocatura dello Stato provvede […] alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni […]”. Diversamente, l’organo consultivo si arrogherebbe un compito che non gli compete: quello sindacatorio. La sentenza annotata riconosce tale dato, evidenziando che alcuna censura può essere mossa all’organo legale per la mancata valutazione di un -rectius: di uno degli svariati, indeterminati, aspetti -aspetto del procedimento in assenza di specifico quesito al riguardo. 7. Criteri di assegnazione degli affari contenziosi e consultivi. Il secondo dato rilevante attiene ai criteri di assegnazione degli affari tra i quali gli affari consultivi -nello specifico ufficio (Avvocatura Generale e Avvocature Distrettuali). Il giudicante riconosce, in coerenza con quanto rappresentato dalla difesa dell’imputato, la discrezionalità del capo dell’ufficio nella assegnazione degli affari. La eventuale articolazione degli uffici in sezioni, ciascuna trattante specifiche materie e con avvocati ivi addetti -all’attualità presso l’Avvocatura Generale e presso l’Avvocatura dello Stato di Napoli -non comporta ritagli di competenza interna. Di conseguenza il capo dell’ufficio, rectius: l’Avvocato Generale e l’Avvocato Distrettuale, ha piena discrezionalità nelle assegnazioni, affidando l’affare contenzioso o consultivo ad avvocato di sezione o fuori sezione. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 8. modalità di espletamento della consulenza. Altro aspetto rilevante è l’analisi delle modalità di espletamento della consulenza. Il giudicante -alla luce delle risultanze dibattimentali -prende atto delle molteplici modalità, comunque funzionali all’interesse pubblico, con le quali può essere resa la consultazione. Modalità che tengono conto della evoluzione e degli sviluppi collegati con la modernizzazione, efficienza ed efficacia del- l’azione amministrativa: consulenza per le vie brevi, assistenza post consultazione (delibazione della bozza del provvedimento conseguenziale al giudizio consultivo), sessioni periodiche dedicate all’esame delle criticità amministrative con consulenza preventiva all’azione amministrativa. 9. imputazione giuridica dei pareri. ultimo aspetto rilevante è la imputazione giuridica dei pareri. Il parere non viene reso dall’Avvocato dello Stato estensore, ma dall’Avvocatura dello Stato, a mezzo dei suoi rappresentanti. Orbene, l’organo al quale imputare la consultazione è l’Avvocato Distrettuale (presso le Avvocature Distrettuali) e l’Avvocato Generale e/o i vice Avvocati Generali (presso l’Avvocatura Generale). Tanto, in conseguenza delle competenze legislativamente determinate, come ampiamente esposto nella memoria difensiva. va infine rilevato che -sempre in tema responsabilità penale collegata alla redazione di un parere -si è autorevolmente osservato che allorché un’amministrazione dello Stato richiede un parere “si rivolge all’avvocatura dello Stato e non al singolo avvocato dello Stato, e che il parere viene reso all’amministrazione richiedente non dal singolo avvocato dello Stato che lo redige o dall’avvocato generale o vive avvocato generale che lo sottoscrive, ma dall’avvocatura dello Stato, previo esperimento di un procedimento complesso che passa attraverso fasi specifiche di competenza funzionale di più organi interni distinti l’uno dall’altro: assegnazione -redazione -esame di coordinamento -(eventuale intervento del comitato consultivo) -sottoscrizione” (6). (6) Così: O. FIuMARA, E. FIGLIOLIA, il procedimento di formazione dei pareri dell’avvocatura dello Stato, in questa rassegna, 2003, nn. 2-3, p. 3. CONTENzIOSO NAzIONALE TRIBuNALE DI NAPOLI R.G. 35402/08 NR - 14931/14 RG Prima sezione penale - Coll. A udienza del 14 novembre 2019 MEMORIA DIFENSIvA per l’avvocato dello Stato P.D.v. rapp. e difeso ex artt. 44 T.u. 1611/1933 e 9 L. 103/1979 dall’Avvocatura Generale dello Stato e dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli presso cui domicilia in Napoli alla via Diaz, 11 PREMESSO l’avv. P.D.v. è stato tratto in giudizio -unitamente ad altri coimputati -per rispondere del “reato p. e p. dagli artt. 81 c.p., 110, 353 comma 2 c.p., perché in concorso e previo accordo tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, d. quale presidente dell’autorità portuale di napoli, istigatore, esecutore ed organizzatore delle condotte criminose, p. quale dirigente della predetta autorità, nonché quale componente della Commissione giudicatrice per la gara relativa all’“assentimento in concessione delle aree e di uno specchio acqueo prospiciente il lato interno del molo martello nel porto di napoli per l’ormeggio di un bacino galleggiante di proprietà privata per svolgere attività di riparazione navale” […], u., l.d.F. e p. quali amministratori di fatto e/o di diritto nonché dirigenti della società “nuova meccanica navale srl” partecipante alla gara sopra indicata e beneficiaria delle collusioni, p.d.v. quale avvocato dello Stato che predisponeva, per l’autorità portuale, un parere di comodo per consentire alla “nuova meccanica navale” di essere dichiarata aggiudicataria della gara in virtù dell’esclusione dalla stessa della palumbo spa da parte del- l’autorità portuale causa un vizio di forma (pacificamente ritenuto irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa e, comunque, del tutto simile -se non di minor rilievo -rispetto ad un vizio di forma analogo che riguardava l’offerta della “nuova meccanica navale”) colludendo tra loro, turbavano il regolare andamento della gara al fine di favorire l’aggiudicazione della stessa alla citata “nuova meccanica navale srl” che, prima riceveva dalla Commissione un elevato punteggio nella valutazione (discrezionale) della prima offerta inerente al cd. “piano d’impresa” e, poi, una volta che l’offerta complessiva della “nuova meccanica navale srl” veniva superata dalla concorrente “palumbo spa” che otteneva, nella seconda offerta, cd. economica, un punteggio più elevato (la palumbo offriva all’autorità portuale un canone concessorio più che doppio rispetto a quello offerto dalla nuova meccanica navale srl”) veniva comunque dichiarata aggiudicataria della gara con provvedimento del d. che -sulla base del parere dell’avvocatura sopra indicato -sovvertendo il provvedimento provvisorio della commissione di gara, escludeva la palumbo spa dalla gara e dichiarava aggiudicataria la “nuova meccanica navale srl”. ********* L’accusa appare essere sfornita di qualsivoglia fondamento come dimostrato nel corso del- l’istruttoria dibattimentale per quanto appresso si riassume. DATI FATTuALI 1) Procedura relativa all’“assentimento in concessione delle aree e di uno specchio acqueo prospiciente il lato interno del molo martello nel porto di napoli per l’ormeggio di un bacino galleggiante di proprietà privata per svolgere attività di riparazione navale”. La normativa in materia prevede che le concessioni marittime ultraquadriennali vengano rilasciate dal Comitato Portuale, giusta art. 9, L. 28 gennaio 1994, n. 84 nel testo vigente al RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 l’epoca dei fatti, tenendo conto delle regole del codice della navigazione (artt. 36-37 c.n.; art. 18 regolamento c.n.). Nel caso di specie, in presenza di una sollecitazione di un privato, istanza della Nuova Meccanica Navale, si ebbe l’avvio, ai sensi dell'art. 36 c.n., a rilasciare una concessione; all’uopo venne pubblicato un avviso per poter sollecitare domande concorrenti. Con la deliberazione 43 del 21.12.2010, il Comitato Portuale conferì mandato al Presidente dell'Autorità Portuale, L.D., di “procedere alla definizione procedimentale delle istanze pendenti richiamate in premessa, previa determinazione dell’applicabilità o di procedura di gara oppure di procedimento selettivo concorrenziale nel rispetto dei principi comunitari cui va uniformata l’azione amministrativa…”. Le istanze riguardavano la concessione demaniale per le aree e per lo specchio d'acqua poste in prossimità del Molo Martello nel Porto di Napoli. L'avviso fu pubblicato il 26.01.2011. Con la delibera numero 147 del 23.03.2011, il Presidente D., atteso l’elevato tecnicismo nella materia, provvide a nominare una commissione composta da quattro membri, da tecnici esperti della materia per scegliere il privato che doveva costruire il bacino galleggiante. Il Presidente dell’Autorità Portuale -autolimitandosi -in funzione della trasparenza affidò quindi l’istruttoria (a tanto non era tenuto, giusta la normativa in materia) ad una commissione ad hoc i cui lavori sfociarono nell’individuazione di date risultanze alla stregua di prefissati criteri (cd. aggiudicazione, assegnazione provvisoria: i termini sono impropri atteso che si descrive l’esito di una attività istruttoria). In data 18.05.2011, all’esito dell’istruttoria -con l’esame delle offerte (busta A, busta B, busta C) delle due società partecipanti (Nuova Meccanica Navale e Palumbo), la Commissione assegnò provvisoriamente (rectius: terminò i propri compiti, individuando, date le risultanze) alla società Palumbo. A verbale, il P., in rappresentanza della società Nuova meccanica Navale ebbe a fare riserva di impugnazione dell’aggiudicazione stessa (le vicende del procedimento e il contenuto delle buste con le varie mancanze emergono dagli atti acquisiti al procedimento e dalle escussioni procedimentali; tra queste ultime ex plurimis: escussione del teste F. all’udienza del 02.02.2016: pp. 18-27 del verbale; escussione del teste D.M. all’udienza del 03.05.2016: pp. 16-20 e pp. 37-39 del verbale [tra l’altro si evidenzia: “DICh. D.M. -nel bando era prevista a pena di esclusione tassativamente l’obbligo a carico dei concorrenti di inserire in ogni busta la fotocopia del documento di riconoscimento di colui che sottoscriveva l’offerta tecnica, l'offerta economica etc. etc..” pp. 19-20 del verbale]; escussione del teste L.P. all’udienza del 10.05.2018: pp. 9-15 del verbale; esame dell’imputato P. all’udienza del 13.06.2019: pp. 25-40 del verbale; esame dell’imputato D.v. all’ udienza del 12.09.2019: pp. 6-7 del verbale). In ordine alla Busta A (Richiesta di partecipazione) delle due società partecipanti (Nuova Meccanica Navale e Palumbo), il verbale della Commissione rilevava che mancavano i documenti di riconoscimento per i direttori tecnici sia dell’una che dell’altra ditta e concludeva, evidenziando che tale vizio non era previsto a pena di esclusione dal bando (ed essendo, comunque, comune ad entrambi). La Commissione rilevava, altresì, la mancanza del documento per il fideiussore della soc. Palumbo, evidenziando, anche in questo caso, che non vi era una previsione di esclusione nelle prescrizioni del bando. Dal carteggio acquisito al procedimento e all’esito dell’istruttoria dibattimentale (dichiarazione dell’imputato P. all’udienza dibattimentale del 10.01.2019: pp. 10-13 del verbale) emerge pianamente che le prescrizioni del bando (art. 5, Busta A, comma 3A /m quater pag. CONTENzIOSO NAzIONALE 8), sul punto, rimandavano per le dichiarazioni (del direttore tecnico) all’art. 46 del DPR 445/00 che, letteralmente, è riferito alle “dichiarazioni sostitutive di certificazione” che, stando alla norma, non postulavano l’allegazione del documento di riconoscimento, diversamente dalle “dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà” previste dall’art. 47 che, invece, rinviando all’art. 38 del DPR 445/00, dovevano essere corredate da fotocopia del documento di riconoscimento. La prescrizione violata da entrambi i partecipanti nella busta A) (per la sola figura del direttore tecnico) non era connotata dalla previsione del bando a pena di esclusione. In ordine alla Busta B (Piano Industriale -Offerta Tecnica) dei due partecipanti, il verbale della Commissione rilevava la mancanza di un documento allegato alla dichiarazione del legale rappresentante Palumbo, la quale veniva notata, perché prevista a pena di esclusione nel bando (art. 5, Busta B, comma 4, ult. capoverso, pag. 10); tuttavia tale violazione del bando non veniva sanzionata dalla commissione con la doverosa esclusione, ma superata. Analogamente per la Busta C (Offerta Economica) (art. 5, Busta C, pag. 10), dove si verificava la stessa situazione e la Commissione ripeteva la stessa verbalizzazione effettuata per la busta B). La differenza tra i vizi conseguiva dall’applicazione della lex specialis: si trattava di violazioni apparentemente simili, ma sancite in modo assolutamente diverso, in quanto solo quelle previste a pena di esclusione dal bando - come nel caso della busta B) e C) - avevano un rilievo tale da determinarne l’esclusione, anche perché riferite ad una figura diversa (il legale rappresentante e non il direttore tecnico). Il vizio di forma di Nuova Meccanica Navale di cui alla busta A) non era, quindi, analogo a quello della società Palumbo con riferimento alla busta B) perché riguardava un requisito non richiesto a pena di esclusione dal bando e cioè la fotocopia del documento di identità del direttore tecnico (non previsto affatto, quindi nemmeno, a maggior ragione, a pena di esclusione, in quanto si rientrava in un caso di autocertificazione e non, come nella busta B), di dichiarazione sostituiva di atto di notorietà del legale rappresentante). Le violazioni, nella quale è incorsa la sola Palumbo, nelle buste B) e C) erano diverse ed erano previste espressamente e tassativamente a pena di esclusione nell’avviso. La Commissione avrebbe dovuto, quindi, escludere la società Palumbo all’atto dell’apertura della busta B). Alla busta C) non si sarebbe dovuti proprio arrivare. Dall’esame dell’imputato P. all’udienza del 20.01.2019 si rileva: “IMPuTATO, P. -[…] il problema grosso va sulla busta b, perché nella busta b dove sta scritto espressamente dal bando “a pena di esclusione” non c’era il documento del legale rappresentante della palumbo. PuB- BLICO MINISTERO -e quindi lei lo fece rilevare? IMPuTATO, P. -assolutamente l’ho fatto rilevare ed i signori si incontrarono, la Commissione si riunì, e dopo un po’ uscirono con questo giudizio molto all’acqua di rosa, “per noi non è rilevante dato che sta già nella busta a”. “ma scusa, sta scritto sopra al bando di gara. allora di che cosa parliamo? allora scrivete un altro bando, fate un’altra cosa”. PuBBLICO MINISTERO -lei ha fatto mettere a verbale questo? IM- PuTATO, P. -Sì, loro l’hanno scritto e si è chiusa la seduta” […] PuBBLICO MINISTERO -della mancanza del documento. IMPuTATO, P. -la prima cosa, devo dirle la verità, chiamai il nostro legale che poi ci segue per tutte queste pratiche, che è l’avvocato enrico Soprano. lui disse: “dario, va bene, l’importante è che loro la mettono a verbale, poi vediamo”. PuBBLICO MINISTERO -un eventuale ricorso, immagino? IMPuTATO, P. -Certo, per valutare un eventuale ricorso, naturalmente” (pagg. 10-11 del verbale). Dall’esame dell’imputato P. all’udienza del 13.06.2019 si rileva altresì: “DIFESA, Avv. GuIDA -ammiraglio, chiedo scusa, con chiarezza, RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 quindi all'esito dei lavori della Commissione e quindi della aggiudicazione provvisoria fatta a palumbo ci fu una riserva espressa del rappresentante della nuova meccanica navale? IM- PuTATO, P. -Sì. DIFESA, Avv. GuIDA -può dire questa riserva cosa prevedeva? Fu messa a verbale questa riserva? IMPuTATO, P. -È certo. DIFESA, Avv. GuIDA -Cosa diceva questa riserva? IMPuTATO, P. -Che “la nuova meccanica navale si riserva di tutelare i propri interessi nelle sedi opportune con particolare riguardo alla ammissibilità, alla compatibilità” e quindi avrebbe fatto ricorso e opposizione. DIFESA, Avv. GuIDA -Cioè, su cosa esprimeva riserva? IMPuTATO, P. -Sulla decisione della Commissione presa in precedenza di continuare ad ammettere la società palumbo anche se non aveva presentato la fotocopia del documento di identità nella offerta economica. DIFESA, Avv. GuIDA -Quindi immediatamente la nuova meccanica navale mise a verbale la propria riserva che avrebbe fatto ricorso. C’era qualche altra riserva, per caso? non è che erano due le riserve, ammiraglio […] DIFESA, Avv. GuIDA -mi pare che fossero due le riserve. IMPuTATO, P. -“la nuova meccanica navale si riserva di tutelare i propri interessi…” questo è quello che ha scritto il rappresentante della meccanica navale p. “... la meccanica navale si riserva di tutelare i propri interessi nelle sedi opportune, con particolare riferimento a: ammissibilità all'offerta economica presentata dalla palumbo S.p.a. priva del documento d'identità del legale rappresentante previsto espressamente dall'articolo 5 del bando a pena di esclusione. alla compatibilità della concessione da rilasciare con quelle già in essere dal medesimo scopo rilasciate alla palumbo S.p.a. espressamente previste dal- l'articolo 4”. DIFESA, Avv. GuIDA -Quindi erano due le riserve? IMPuTATO, P. -Queste erano, due, sì. DIFESA, Avv. GuIDA -perfetto. Quindi, concluso questo verbale cosa accadde? IMPu- TATO, P. -vengono trasmessi gli atti al presidente. DIFESA, Avv. GuIDA -il presidente cosa fece? IMPuTATO, P. -intanto, era anche facile, vide che c'era, come dire, una promessa, minaccia, di opposizione se… e quindi iniziava la possibilità di azioni di diffida, magari non solo amministrative come ricorso ma anche di livello personale come responsabilità. DIFESA, Avv. GuIDA -perché? IMPuTATO, P. -il risarcimento del danno. DIFESA, Avv. GuIDA -Quindi il presidente era preoccupato di questa riserva perché non c'era solamente una problematica del rispetto delle norme amministrative ma c'era addirittura una responsabilità, un'ipotesi di... come dire, di aver danneggiato, cagionato un danno all'autorità portuale in questi termini… IMPuTATO, P. -esatto. DIFESA, Avv. GuIDA -... e quindi, cosa pensò di fare, se lei lo sa, se partecipò, se ebbe ad interloquire con il presidente? IMPuTATO, P.-Si parlò di questo fatto e ritenne di consultarsi con l'avvocatura dello Stato. (pagg. 39-40 del verbale). L’Ammiraglio D., anche a seguito dei rilievi di illegittimità subito sollevati dalla Nuova Meccanica Navale in sede di aggiudicazione provvisoria -prima di approvare i lavori della Commissione e rimettere gli atti al Comitato Portuale in vista del rilascio della concessione -investì della problematica relativa alla correttezza della aggiudicazione provvisoria con riferimento alla regolarità della valutazione operata dalla Commissione con riguardo alla Busta B) l’Avvocatura dello Stato. 2) Iter del rilascio del parere di cui al capo di imputazione. L’avv. P. D.v. è avvocato dello Stato in servizio presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli all’epoca dei fatti rilevanti. L’avv. D.v. -come confermato sia in sede di interrogatorio investigativo, reso prima della conclusione delle indagini preliminari al PM, dott.ssa Antonella Fratello (pag. 2 del relativo verbale), che in sede di esame e controesame dibattimentale (udienza 12.09.2019; pag. 5 del verbale) -ha conosciuto, tra i vari coimputati, il solo Ammiraglio D., probabilmente nel giugno 2011, in Avvocatura distrettuale dello Stato, in via Diaz in Napoli. CONTENzIOSO NAzIONALE L’Avvocato Distrettuale F., per ragioni istituzionali, aveva una pregressa conoscenza con l’Ammiraglio D. (come confermato dall’avv. F. in sede di esame testimoniale all’udienza 12.09.2019, pag. 11 del verbale). Il capo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, all’epoca dei fatti rilevanti, G.F., chiamò D.v. nella propria stanza e gli presentò, in presenza di altre persone (probabilmente c’era anche il collega avvocato dello Stato, F.v., l’Ammiraglio D., il quale, in modo molto amareggiato, espose una situazione di proprio isolamento rispetto all’ufficio da lui diretto. In particolare fece riferimento ad una situazione conflittuale con il proprio dirigente di staff e responsabile dell’ufficio legale interno dell’Autorità, A.D.M. Tale disagio, a quanto è dato oggi leggere nelle varie denunzie presentate dall’avv. D.M., era reciproco e nasceva già dal 2009, vale a dire da quando D. era diventato Presidente dell’Autorità Portuale. Nel corso di quel breve incontro, l’Avvocato Distrettuale anticipò all’avv. D.v. che probabilmente gli avrebbe assegnato una richiesta di parere in relazione ad una procedura, motivando l’assegnazione con il fatto che l’avv. D.v. era uno tra gli avvocati dello Stato con maggiore esperienza in materia di contratti pubblici. Tale circostanza è stata confermata da F. nell’interrogatorio testimoniale reso in data 12.09.2019 (pag. 13 del verbale). Né D. né F. fecero cenno al merito e al contenuto della richiesta di parere; pertanto l’avv. D. v. lasciò la stanza dell’Avvocato Distrettuale, senza conoscere alcunchè della questione. Dall’esame testimoniale dell’avv. F., all’udienza del 12.09.2019, si rileva: “DIFESA, Avv. GuIDA -un’ultima precisazione, vengo viceversa all’incontro nel suo ufficio con l’ammiraglio d. ed in particolare al momento in cui le parlò dell’esito di questa vicenda amministrativa per la concessione del molo martello. ma le riferì che lui preferiva una ditta rispetta all’altra, le chiedeva di rendere un parere con un risultato predefinito? TESTIMONE, F. -Ci mancherebbe altro che qualcuno si permettesse di una cosa del genere, voglio dire, il problema è… DIFESA, Avv. GuIDA -mi deve perdonare la domanda, avvocato, ma noi celebriamo il processo anche per questo. TESTIMONE, F. -voglio dire, lui mi disse che aveva molti dubbi sull’assoluzione che gli prospettava l’ufficio legale, ma devo dire era un normale dubbio… indicò questa divergenza di opinione tra lui e l’ufficio legale, ma no, (inc.) del problema, ufficio legale, difesa emersa nel corso… DIFESA, Avv. GuIDA -Sì, era già merso, io le… TESTIMONE, F. -no, è emerso dopo, nella riunione successiva, perché il primo incontro fu in avvocatura, il secondo incontro fu all’ente portuale” (pag. 16 del verbale). In data 24.06.2011 (prot. 148/P dell’Autorità Portuale e prot. 76214 in entrata dell’Avvocatura dello Stato) pervenne in Avvocatura la richiesta di parere da parte dell’Autorità Portuale di Napoli. La richiesta arrivò in busta: sulla busta l’intestazione recava la dicitura “avvocatura distrettuale dello Stato - c.a. avvocato g.F. - avvocato distrettuale”. La richiesta di parere non poteva arrivare direttamente all’avv. D.v., in quanto in Avvocatura dello Stato, tutto ciò che arriva dall’esterno, atti giudiziari o corrispondenza, passa prima dal- l’Avvocato Distrettuale che ha il compito istituzionale di valutare la questione e assegnarla ad un Avvocato o Procuratore dello Stato (cfr. dichiarazione teste M., pag. 17, udienza 12.09.2019). In sede di assegnazione l’Avv. F. scrisse, sul frontespizio della richiesta di parere, il nominativo dell’Avvocato assegnatario (“Avv. D.v.”) e la data dell’assegnazione (“24/vI”); quindi l’ufficio Archivio predispose il fascicolo, attribuendogli il n. 7244/11. Dopo di ciò il fascicolo arrivò all’avv. D.v. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Detta richiesta di parere fu, in ogni caso, curata dall’avv. D.v. in modo routinario e senza alcun tipo di condizionamento né da parte dell’avvocato distrettuale, né, tanto meno, da parte dell’esterno, come ha evidenziato l’istruttoria dibattimentale. una volta redatto e sottoscritto quale avvocato estensore, il parere, questo fu sottoposto all’Avvocato Distrettuale, al quale compete la funzione di indirizzo dell’ufficio e la manifestazione della volontà all’esterno (cfr. dichiarazione teste M., pag. 18, udienza 12.09.2019). L’Avvocato Distrettuale, dopo aver condiviso il parere ed aver anche aggiunto una frase, lo sottoscrisse quale Capo dell’ufficio e unico soggetto legittimato ad esternare il parere. Detto parere fu inviato, al fine di recapitarlo al destinatario, all’ufficio del protocollo della posta in partenza (dell’Avvocatura). Tutto quanto sopra è stato confermato dall’avv. F., in sede di interrogatorio come teste il 12.09.2019 (pagg. 13-14 del verbale). Il parere -protocollato in data 30.06.2011 con nota prot. 78708 -fu ritirato a mani dall’Autorità Portuale, modalità che era stata richiesta dall’Ammiraglio D. sia a F. che a D.v. In ogni caso dopo la firma del parere da parte dell’Avvocato distrettuale, l’avv. D.v. si disinteressò del fascicolo e non seppe mai -in realtà -le modalità con le quali il parere stesso fu ritirato. Comunque ed in ogni caso, il ritiro a mano della corrispondenza è una modalità oramai diffusa in Avvocatura, in quanto spesso, per ragioni di riservatezza o di celerità, viene chiesto appunto dai destinatari il ritiro a mani della corrispondenza (si veda il caso dell’Agenzia delle Entrate che ha sede addirittura nello stesso edificio in Napoli alla via Diaz, n. 11, in cui si trova l’Avvocatura dello Stato) (cfr. dichiarazione teste F., pag. 14, udienza 12.09.2019). Si è prodotto elenco delle “raccomandate a mani” dal 2010 al 2014 (All. 10 del Foliario con documenti prodotto all’udienza del 16.06.2015). La modalità di ritiro può essere dettata dall’urgenza o dal fatto che il legale rappresentante dell’Amministrazione voglia, per ragioni di riservatezza, leggere per primo il parere. Nel caso di specie, D. chiese di poter ritirare il parere a mani, invece che riceverlo per fax (come è successo per altra corrispondenza riguardante lo stesso fascicolo), essendo delicata la questione e voleva, presumibilmente, leggere per primo il parere. Sulla vicenda si ebbero due telefonate del 24.06.2011 tra l’Ammiraglio D. e l’avv. D.v.: -una progr. 2353 del 24.06.2011 alle 11.49 in cui il D. avvisava l’avv. D.v. che aveva mandato delle schede in aggiunta alla documentazione allegata alla richiesta di parere; -la seconda sempre del 24.06.2011 progr. 2356 delle 13.45 con la quale il D. chiedeva all’avv. D.v. di avvertirlo quando il parere sarebbe stato pronto, in quanto avrebbe voluto ritirarlo di persona. Si deve sottolineare, a questo proposito, che l’avv. D.v., una volta consegnato il parere da lui firmato, all’Avvocato Distrettuale F., non si curò di avvertire l’Amm. D. né alcuna altra persona dell’Autorità Portuale, né si curò di come sarebbe stato trasmesso il parere (cfr. esame D.v., pag. 8, udienza 12.09.2019). Il parere arrivò in Autorità Portuale in data 01.07.2011 (con protocollo n. 162/P) come si evince dagli atti di causa. 3) Sui criteri di assegnazione dei fascicoli. Giova precisare che l’assegnazione degli affari contenziosi e consultivi (così chiamati) presso l’Avvocatura dello Stato avviene su base assolutamente discrezionale da parte del soggetto competente (Avvocato Distrettuale presso le Avvocatura Distrettuali ed Avvocato Generale o vice Avvocati Generali presso l’Avvocatura Generale). Non esistono presso l’Avvocatura dello Stato criteri cd. “tabellari”. CONTENzIOSO NAzIONALE Solo una decina di anni fa l’Avvocatura Generale dello Stato si è suddivisa in sezioni (ognuna delle quali tratta alcune amministrazioni), ma tale suddivisione presenta un carattere di facilitazione del lavoro e non ha alcuna natura cogente. vale a dire l’Avvocato Generale e l’Avvocato Distrettuale hanno piena discrezionalità nelle assegnazioni, affidando l’affare contenzioso o consultivo ad avvocato di sezione o fuori sezione (cfr. dichiarazione teste M., pag. 18, udienza 12.09.2019). Le Avvocature Distrettuali non hanno tali suddivisioni e nemmeno Napoli aveva tale articolazione. È stato proprio l’avv. G.F. ad attivare, nell’anno 2010, presso l’ufficio di Napoli (che è la distrettuale più grande d’Italia) l’articolazione in tre sezioni. Peraltro l’Autorità Portuale non era inserita in nessuna sezione (cfr. Allegato 4 del Foliario con documenti prodotto all’udienza del 16.06.2015); a maggior ragione, quindi, l’assegnazione era assolutamente libera e discrezionale da parte dell’Avvocato Distrettuale, che non aveva nemmeno articolazioni funzionali da tener presenti. Tale modalità è stata confermata anche dall’avv. D.v. in sede di esame, e dagli avvocati F. e M. -avvocati distrettuali presso la sede di Napoli, rispettivamente, nel periodo 2010-2013 e 2013-2014 -in sede di esame testimoniale all’udienza del 12.09.2019 (rispettivamente pag. 13 e pag. 18 del verbale). 4) Sulle modalità di espletamento della consulenza. Ordinariamente le Amministrazioni con nota scritta formulano richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato la quale riscontra nello stesso modo quanto richiesto, ossia per iscritto. Tanto è avvenuto nel caso di specie. L’Avvocatura dello Stato, da vent’anni a questa parte, ha sviluppato il modello di “assistenza procedimentale” alle amministrazioni difese e si è andata sempre più rendendo informale il proprio modus operandi, in quanto i rapporti con le Amministrazioni statali sono sempre più assimilabili a rapporti con clienti, i quali richiedono assistenza mediante posta elettronica, fax, cellulari di servizio, consulenza in via breve, etc. Così come è normale osservare una certa riservatezza per situazioni più delicate. Sulle descritte modalità di consultazione -preannuncio di parere, consulenza in via breve, integrazione e correzione delle bozze di atti e provvedimenti -ci si riporta alla testimonianza dell’avv. F. (pp. 12-13 del verbale del 12.09.2019) e dell’avv. M. (pp. 17-18 del verbale del 12.09.2019). L’Avvocatura dello Stato assiste l’Amministrazione secondo le regole di buona amministrazione anche prima dell’adozione del provvedimento, cercando di contribuire a creare un buon provvedimento (non per questo inattaccabile, ma magari con una miglior tenuta di legittimità). Sia l’avv. D.v. che l’avv. F., in sede di esame hanno ribadito che tali prassi sono sempre più diffuse. In particolare l’avv. F. ha parlato di alcune giornate prestabilite in cui la Soprintendenza ai Beni Culturali e la Prefettura di Napoli portavano “pacchi” di provvedimenti da sottoporre all’Avvocatura, in via assolutamente informale, al fine di avere un conforto di legittimità prima di procedere all’adozione degli stessi. Coerente con le descritte modalità di consultazione è lo scambio di posta elettronica del 06/07.07.2011, quando l’Autorità Portuale ha chiesto -all’avvocato incaricato dell’affare presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, avv. D.v. -un ausilio legale sulla bozza di provvedimento da loro predisposto in conseguenza del parere reso -e sul quale D.v. ha apportato alcune modifiche (invero più formali che sostanziali, in rosso), restituendo lo schema sempre con lo stesso mezzo. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 In particolare ha rimarcato l’AvvISO espresso nel parere dall’Avvocatura (quindi, sottolineando il fatto che l’Avvocatura si era espressa con un atto ufficiale, un parere e non con una consulenza in via breve) e ha chiarito meglio la parte dispositiva. Fatti, tra l’altro, nemmeno contestati nel capo di imputazione. 5) Sulle relazioni (rectius: non relazioni) conoscitive tra l’avv. D.v. e gli ipotizzati concorrenti. Si precisa che i partecipanti alla gara erano e sono, ancora oggi, assolutamente sconosciuti al- l’avv. D.v., che non ha mai conosciuto né prima del parere, né durante la stesura del parere, né dopo lo stesso i legali rappresentanti della Palumbo e della Nuova Meccanica Navale. Non conosce, pertanto, a parte D. e P., alcuno degli altri imputati. Il rapporto tra l’Avvocatura dello Stato ed i suoi appartenenti, l’Autorità Portuale di Napoli ed i suoi rappresentanti si svolse in piena ed esclusiva dialettica istituzionale, così come ha accertato l’istruttoria dibattimentale. Tanto è emerso pianamente da tutte le dichiarazioni, né l’Accusa sul punto ha portato alcun elemento di segno diverso: -l’Ammiraglio D. nella memoria di dichiarazioni spontanee (pag. 5) afferma di avere conosciuto l’avv. D.v. solo in occasione dell’incontro del giugno 2011 nella stanza dell’Avvocato Distrettuale e che intrattenne rapporti con l’Avvocato Distrettuale; -l’imputato P. dichiara che l’Ammiraglio D., in questa come in altre vicende con risvolti legali, aveva un rapporto istituzionale e personale con l’Avvocato Distrettuale F. (pagg. 4142 del verbale del 13.06.2019); - l’imputato P. dichiara di non conoscere l’avv. D.v. (pag. 33 del verbale del 10.01.2019); -il testimone F. dichiara che la telefonata di cui al progressivo 2350 del 24.06.2011 si è svolta tra l’Ammiraglio D. (chiamante) e l’avv. F. (chiamato), correggendo la precedente trascrizione (erronea) che individuava il chiamato nell’avv. D.v. (udienza dibattimentale del 05.04.2016, pagg. 106-107 del verbale). Tale telefonata attesta esclusivamente che i rapporti istituzionali per l’Avvocatura dello Stato sulla vicenda li aveva e curava solo l’Avvocato Distrettuale (“Avv. GRECO -[…] Senta, avete accertato che contatti aveva avuto l’ammiraglio d. con l’avvocato F.? e in particolare oggi lei ha fatto riferimento ad una telefonata del 24 giugno 2011, riferendo questa telefonata intervenuta con l’avvocato d.v., mentre a me risulta che è il d. che chiama l’avvocato F. P.M. -avvocato, quale è la telefonata? avv. greCo progressivo 2350. Se le può essere utile, la citate anche nell’informativa. diCH. F. -no, ha ragione, evidentemente ho sbagliato. avv. greCo -Quindi è d. che chiama F. diCH. F. -perché così abbiamo messo proprio la nota. pre- SidenTe -no, chiariamo bene, tenuto conto che d.v. è imputato, la telefonata numero? dica. diCH. F. -la telefonata 2350 del 29 giugno 2011 delle ore 11.09, è questa? avv. greCo -no, del 24 giugno. diCH. F. -del 24 giugno 2011. avv. greCo -dobbiamo essere precisi, data e soggetti. diCH. F. -[…] del 24 giugno delle ore 11.09 in uscita dal cellulare in uso a d., il 329/......., d. chiama l’avvocato, e noi in nota abbiamo detto avvocato F. della avvocatura dello Stato. avv. greCo -esatto. preSidenTe -dobbiamo dare atto che nell’informativa è riportato corretto. avv. greCo -Corretto, è F., è giusta, la telefonata è giusta, c’è anche la trascrizione della telefonata. preSidenTe -la telefonata è avvenuta con l’avvocato F., d. ha avuto la telefonata con l’avvocato F. e non con l’avvocato d.v.? avv. greCo -esattamente. diCH. F. -e la segretaria riferisce che gli recapiterà una busta chiusa con tutto quello che ha chiesto sulla faccenda. avv. greCo -Quindi, d. dice a F. che la sua segretaria? diCH. F. -gli recapiterà in busta chiusa tutto quello che ha chiesto e della faccenda lo sanno solo lui e p. CONTENzIOSO NAzIONALE perché degli altri non si fida. avv. greCo . Quindi parla con F. di questo. perché degli altri non si fida. Questo è il contenuto della telefonata tra d. e F. preciso, benissimo”. Quindi, pertanto, risulta acclarato che non c’e’ stato alcun contatto tra l’avv. D.v. e chicchessia prima della richiesta di parere, essendo cosi evidente che non vi poteva essere alcun accordo per ottenere un parere di comodo, in quanto vi sono stati esclusivamente rapporti istituzionali tra i capi degli uffici. È bene ribadire e ripetere ancora una volta quanto sul punto ha risposto a precisa domanda l’avv. F., all’udienza del 12.09.2019: “DIFESA, Avv. GuIDA -un’ultima precisazione, vengo viceversa all’incontro nel suo ufficio con l’ammiraglio d. ed in particolare al momento in cui le parlò dell’esito di questa vicenda amministrativa per la concessione del molo martello. ma le riferì che lui preferiva una ditta rispetta all’altra, le chiedeva di rendere un parere con un risultato predefinito? TeSTimone, F. -Ci mancherebbe altro che qualcuno si permettesse di una cosa del genere…(cfr. pag. 16 verbale). 6) Stato del procedimento al momento della richiesta e del rilascio del parere. Al momento della richiesta e del rilascio del parere ed altresì al momento della adozione del provvedimento che teneva conto del parere dell’organo Legale (annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in favore della Società Palumbo ed aggiudicazione alla Nuova Meccanica Navale) la procedura non si è mai conclusa, in quanto quella che in gergo viene chiamata aggiudicazione, era solo una individuazione all’esito di una istruttoria che doveva poi passare al vaglio del Comitato portuale, unico organo in grado di deliberare su concessioni oltre i 4 anni (e qui parliamo di una concessione trentennale), secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 3 lett. g) della L. n. 84/1994. vuol dirsi che la attività dell’Organo legale -asseritamente illegittima secondo la Pubblica Accusa - è intervenuta in una fase endoprocedimentale. La procedura, comunque, fu istruita dall’Autorità Portuale per portarla in Comitato Portuale a novembre del 2012 e nella seduta del 15.11.2012, il Comitato espresse parere positivo al- l’aggiudicazione con delibera n. 31/2012. Detta aggiudicazione, nella realtà, pur dopo il parere positivo del Comitato Portuale (che ai sensi dell’art. 9, comma 3, lettera g) della L. 84/1994 “delibera…su proposta del presidente per le concessioni di durata superiore ai quattro anni…”), non vi è mai stata: la concessione non è mai stata aggiudicata. 7) Sul merito del parere. È bene precisare come la richiesta di parere verteva unicamente ed esclusivamente sulla verifica di ritualità della Busta B) e della Busta C). La richiesta di parere non aveva ad oggetto la verifica di ritualità della Busta A. Questi i quesiti sottoposti all’esame dell’Avvocatura: “….dall’esame della documentazione (verbali della seduta) -allegati da 4 a 10 -lo scrivente ha rilevato mancata coerenza, illogicità e sproporzione nella attribuzione dei punteggi, in particolare tra i differenziali di punteggio attribuito dai membri della commissione e nell’ambito del punteggio attribuito ai due concorrenti per la stessa voce. inoltre ha rilevato che, benchè l’avviso di gara prevedesse all’art. 5 busta c) che l’offerta sottoscritta dal rappresentante del concorrente fosse corredata da fotocopia di un documento valido di identità a pena di esclusione, verificatosi il caso, la commissione ha comunque determinato di non escludere il concorrente, risultato poi essere quello preferito dalla commissione stessa”. “…Con nota n. 271 del 9 giugno 2011 -allegato 11 -è stata invitata la commissione ad applicare il criterio di selezione, sopra richiamato, inserito nell’avviso pubblico, in base al RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 quale “nel caso vi siano più concorrenti che hanno ottenuto il punteggio più alto, verrà aggiudicata la procedura a quello che non possiede altre concessioni nel porto di napoli….”. “…la commissione con nota n. 281 in data 15 giugno 2011 -allegato 12 -ha rimesso gli atti esprimendo l’avviso che trattasi di aspetto discrezionale valutativo volto al perseguimento della proficua utilizzazione della concessione ed a tutela della concorrenza e, quindi, rientrante nelle competenze del titolare del provvedimento finale”. “…premesso quanto sopra si prega codesta avvocatura, esaminata la documentazione allegata, di voler confortare questa amministrazione nei dubbi evidenziati al fine di una corretta applicazione del primo comma dell’articolo 37 del codice della navigazione”. Il plico conteneva esclusivamente i seguenti documenti: A) Richiesta di parere; 1) Delibera del CP n. 43/2010; 2) Bando o avviso pubblico; 3) Delibera n. 147/10; 4 a 10) verbali della Commissione di gara; 11) Nota del RuP al Presidente della Commissione di gara; 12) Nota del RuP al Presidente dell’AP con allegato l’ultimo verbale della Commissione; 13) Schede di confronto per singole voci sui differenziali di punteggio dei membri della Commissione (documento aggiunto in un secondo momento). Nell’esprimere il proprio giudizio, l’Avvocatura dello Stato ha tenuto nel doveroso rilievo che ciò che deve orientare la procedura: il bando, la lex specialis, sempre ed esclusivamente nel- l’ambito di quanto richiesto dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 13 R.D. 30.10.1933 n. 1611. Peraltro, nel caso di specie, il bando è frutto di una decisione di autovincolarsi da parte del- l’Amm.ne Portuale per un affidamento che poteva avvenire anche direttamente, quindi parliamo di un “di più’ (come evidenziato nella memoria difensiva prodotta al TAR Campania, a firma dell’Avv. F. dove si fa espressamente menzione del fatto che la procedura in questione, essendo regolata dal codice della navigazione, recepiva solo i principi del codice dei contratti e non applicava in modo pedissequo le regole espresse dalle norme del codice stesso). La differenza tra i vizi viene imposta chiaramente dalla lex specialis: si tratta di violazioni simili, ma sancite in modo assolutamente diverso, in quanto solo quelle previste a pena di esclusione dal bando -e nel caso di specie riguardavano le Buste B e C -hanno un rilievo tale per la Commissione da determinare l’esclusione. Quindi il vizio -asseritamente “pacificamente ritenuto irrilevante” in base al capo di imputazione -era previsto dal bando a pena di esclusione e ritenuto dalla giurisprudenza appena precedente, coeva e successiva (in particolare dall’Ad. Plen, n. 9/2014) assolutamente diverso e più grave di quello di cui alla busta a). Su tali basi il parere reso dall’Avvocatura dello Stato, alla luce della lex specialis -non poteva non rilevare che i vizi previsti dall’AvvISO a pena di esclusione, andavano sanzionati, appunto, con l’esclusione, già all’atto dell’apertura dell’offerta tecnica (Busta B), senza nemmeno arrivare a quella economica (Busta C). D’altronde la sent. Ad. Plen n. 9/14 lo dice espressamente a pag. 25: “…trattasi di conseguenze discendenti dall’applicazione di consolidati principi (espressi da quest’adunanza e che si confermano in toto, cfr. Cons. St, ad. plen., n. 14/2011, n. 9/11, n. 1/03 e ord. n. 1/98), secondo cui il bando: 1) è un atto amministrativo generale, d’indole imperativa, recante il compendio delle regole (ed in particolare quelle afferenti alle cause di esclusione), cui devono attenersi sia i concorrenti che l’amministrazione; 2) è costitutivo di effetti eventualmente anche derogatori rispetto alla disciplina introdotta dalle fonti CONTENzIOSO NAzIONALE di rango primario o regolamentare e come tale non disapplicabile da parte dell’amministrazione e del giudice amministrativo, potendo essere oggetto solo di specifica impugnativa; 3) deve essere interpretato secondo il criterio formale (testuale ed oggettivo), con esclusione di letture ermeneutiche in chiave soggettiva ed integrativa, e con l’applicazione automatica e vincolata dell’esclusione laddove previsto dalla normativa di gara”. L’Organo Legale ha agito -applicando il quadro normativo pertinente -in base a ciò che le è stato prospettato e richiesto (si ribadisce, a tale proposito, l’art. 13 T.u. 1611/33 secondo cui: “l’avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legale richieste dalle amministrazioni...”). 8) Condotta conseguenziale dell’Autorità portuale dopo il rilascio del parere: adozione del provvedimento di non approvazione dell’“aggiudicazione provvisoria” disposta dalla Commissione aggiudicatrice in favore della Palumbo S.p.A. assegnazione della concessione alla società Nuova Meccanica Navale. Il Presidente dell’Autorità Portuale adottava la delibera n. 390 in data 8.07.2011 con cui non veniva approvata l’“aggiudicazione provvisoria” disposta dalla Commissione aggiudicatrice in favore della Palumbo S.p.A. -per mancanza del documento di riconoscimento del legale rappresentante della Palumbo s.p.a. nella Busta B) e nella Busta C) -e veniva assegnata la concessione alla società Nuova Meccanica Navale (art. 7 punto 8, del bando in presenza di un’unica offerta valida). Anche tale assegnazione ha una valenza meramente procedimentale in quando è l’atto terminale posto in essere dal Presidente dell’Autorità Portuale in attuazione del mandato ricevuto dal Comitato Portuale con la sopracitata deliberazione n. 43 del 21.12.2010. Sulla base di tale atto il provvedimento concessorio definitivo va poi rilasciato dall’Autorità competente, ossia dal Comitato Portuale, venendo in rilievo una concessione ultraquadriennale (art. 9, comma 3, lett. g) L. n. 84/1994). 9) Contenzioso dinanzi al giudice amministrativo avverso il provvedimento di non approvazione dell’ “aggiudicazione provvisoria” in favore della Palumbo S.p.A. assegnazione della concessione alla società Nuova Meccanica Navale. A smentire l’assunto accusatorio, ove ve ne fosse ancora bisogno, vale, altresì, tutta la vicenda processuale che è scaturita dal provvedimento adottato dal Presidente dell’Autorità Portuale, vicenda il cui esito conferma l’esattezza giuridica del parere e soprattutto dimostra che anche logicamente e giuridicamente non possa parlarsi di parere di “comodo”. E valga il vero. a) ricorso al TAR Con ricorso notificato in data 29.07.2011, la “Palumbo S.p.A.” impugnava la determinazione dell’Autorità Portuale di Napoli dell’8.07.2011, n. 390, con cui era stata esclusa, concludendo per l’accoglimento del ricorso ed il risarcimento dei danni. La lite veniva decisa con sentenza n. 1888/12 (All. 14 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 16.06.2015 che per comodità si rideposita [all. 1A]), i cui stralci principali si riportano: “in base ad una linea interpretativa più volte manifestata dal superiore giudice amministrativo (cfr., in generale, C. Stato, sez. vi, 27 aprile 2011 n. 2478) le clausole del bando di gara possono ritenersi illegittime se impongono adempimenti manifestamente illogici o sproporzionati (in senso analogo Consiglio di Stato sez. iii, 12 maggio 2011, n. 2851, secondo cui “le clausole della lex specialis, ancorchè contenenti comminatorie di esclusione, non possono essere applicate meccanicisticamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, e devono essere valutate alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico ef RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 fettivo e rilevante, deve essere accordata la preferenza al favor partecipationis”; T.a.r. puglia lecce, sez. iii, 13 gennaio 2011, n. 15 secondo cui “nella materia dei contratti pubblici, le formalità prescritte dal bando di gara sono dirette ad assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’amministrazione e la parità di condizioni tra i concorrenti; dette formalità, pertanto, ove poste a pena di esclusione dalla gara, devono rispondere al comune canone di ragionevolezza, in stretta relazione con i richiamati principi. ne deriva che l’inserimento di clausole che prevedono la sanzione dell’esclusione deve essere giustificata da un particolare interesse pubblico, evitando il mero formalismo non legato a finalità di interesse pubblico e oneri procedimentali inutili ed eccessivi” (nella fattispecie è stato ritenuto che la clausola del bando di gara che imponeva la contestuale disponibilità di più forme di ricezione concernenti le comunicazioni di gara domicilio, fax e posta elettronica certificata si ponesse in contrasto con la previsione generale di cui all’art. 79, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, il quale individua mezzi alternativi e non cumulativi di comunicazione). nel caso di specie, l’adempimento imposto, vale a dire l’allegazione di una fotocopia del documento di identità, non è né illogico né sproporzionato non illogico, atteso che essa giova a verificare l’attribuibilità dell’offerta al soggetto offerente e, soprattutto, la sua impegnatività; non sproporzionato, atteso la minimalità della prescrizione imposta, presidiata con la clausola di esclusione proprio per rimarcare l’interesse della amministrazione al rispetto della prescrizione stessa e la allettata diligenza nel rispettarla. Tale prescrizione soddisfa, pertanto, l’interesse pubblico volto alla certezza della imputabilità dell’offerta, per cui non può dirsi come irragionevolmente posto a restrizione della massima concorrenza, ma come onere da osservare, nel rispetto della par condicio. Ciò trova conferma nella circostanza che la giurisprudenza ha ritenuto in fattispecie analoga legittima l’esclusione, anche a seguito della novellata disciplina di cui all’art. 46 comma 1 bis del d.lgs. 146/03 (che ha ristretto il novero delle clausole da porre a pena di esclusione prevedendo che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. dette prescrizioni sono comunque nulle”), in quanto “ai sensi dell’art. 46, comma i bis, c. contr. pubbl. (aggiunto dall’art. 4, comma 2, lett. d) d.1. 13 maggio 2011 n. 70, conv. in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, 1. 12 luglio 2011 n. 106) in materia di partecipazione alle gare pubbliche, la mancata allegazione della fotocopia di un valido documento d’identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreta proprio la fattispecie prevista dalla novella normativa innanzi citata, integrando un’ipotesi di “incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali”. Conseguentemente, pure ove si tratti di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, è legittima l’esclusione dalla gara disposta nei confronti del soggetto offerente laddove risulti una incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali” (T.a.r. roma lazio sez. i bis, 06 dicembre 2011, n. 9597). pertanto a maggior ragione deve ritenersi nell’ipotesi de qua legittima la prescrizione del CONTENzIOSO NAzIONALE disciplinare di gara, nella cui osservanza si è disposta, con l’atto gravato, l’esclusione della ricorrente, in quanto pubblicato prima dell’entrata in vigore della novellata e più restrittiva disciplina. deve, infatti, ritenersi che l’allegazione della copia fotostatica del documento non costituisca elemento estrinseco rispetto alla sottoscrizione dell’istanza o della dichiarazione, bensì elemento centrale della stessa dichiarazione di volontà, poiché concorre a dare legale scienza contezza e certezza che la sottoscrizione è autentica, ovvero è stata apposta proprio da colui che ne appare l’autore (Tar puglia, bari, sez. i, 9 gennaio 2004, n. 29, confermata da Consiglio di Stato sez. v, 7 novembre 2007 n. 2761). né rileva il riferimento, addotto da parte della società ricorrente, alla prescrizione dell’art. 38 Codice contratti pubblici, atteso il chiaro tenore letterale della prescrizione dell’avviso di gara, inequivocabilmente posta a pena di esclusione, costituente lex specialis e da ritenersi non illegittima, alla stregua di quanto innanzi illustrato. il chiaro ed univoco tenore letterale della lex specialis non lasciava, dunque, spazio alcuno alla possibilità di ovviare al tassativo rigore della disposizione, ad esempio mediante la produzione del richiesto documento ad altri e diversi fini e non consentiva, quindi, che il criterio formale potesse recedere a fronte di un’opzione ermeneutica, che privilegiasse l’indagine finalistica o teleologica sull’effettiva valenza della prescrizione, da un punto di vista sostanziale, e sull’eventuale necessità della sua pedissequa osservanza. poiché, pertanto, l’accertata violazione della riportata prescrizione comportava -quale conseguenza ineludibile cui l’amministrazione non poteva sottrarsi, proprio a tutela dell’affidamento e nel rispetto del principio della par condicio degli aspiranti -l’esclusione dalla procedura delle concorrenti inadempienti, risulta evidente la legittimità dell’operato dell’autorità portuale che con la impugnata delibera non ha approvato l’aggiudicazione provvisoria disposta dalla commissione giudicatrice, stante la necessità dell’esclusione della società ricorrente. l’operato dell’autorità portuale deve peraltro ritenersi legittimo anche sotto il profilo del rispetto dei principi di diritto comunitario in materia di evidenza pubblica, atteso che il rispetto delle condizioni di gara è posto a salvaguardia della trasparenza della procedura di gara e della par condicio dei concorrenti, valori questi che si pongono primari anche nel diritto comunitario. la questione della legittimità dell’esclusione disposta in danno della ricorrente principale, rilevando la infondatezza preclusiva della doglianza avverso l’esclusione della parte ricorrente principale, rende inammissibili, per difetto di legittimazione al ricorso, sia le ulteriori doglianze proposte con il ricorso principale, che quelle proposte con i ricorsi per motivi aggiunti. la legittimità della esclusione rende priva di pregio anche la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente, che non può pertanto che essere rigettata per mancanza di danno ingiusto”. In sintesi, il TAR nel merito dichiarava assolutamente legittimo il provvedimento adottato dal Presidente dell’Autorità Portuale di Napoli (e con esso, quindi, il parere dell’Avvocatura dello Stato). b) Appello La sentenza innanzi indicata veniva impugnata dalla società Palumbo. In data 1.8.2012 il Consiglio di Stato, vI sezione, con ord. 3017/12, respingeva la domanda cautelare proposta da Palumbo, affermando: “ritenuto che non sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza cautelare, tenuto conto delle cause di esclusione dalla procedura concorsuale, tassativamente previste dal bando” (All. 15 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 16.06.2015). RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 c) Ordinanza di rimessione n. 2681/2013 del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato fissava il merito per la discussione dell’appello il 19.03.2013. All’esito dell’udienza, con ordinanza n. 2681 la sezione rimetteva all’Adunanza Plenaria con ordinanza di rimessione n. 2681 del 19.03.2013 del Consiglio di Stato in cui si affermava quanto segue: “rileva invece il principio di tassatività oggi codificato dal comma 1-bis del- l’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006. in relazione a tale profilo vi sono certamente elementi per ritenere che tale previsione abbia una portata non innovativa, ma interpretativa; per ritenere, in altri termini, che il legislatore, in presenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla reale portata del dovere di soccorso istruttorio nell’ambito delle procedure di gara, abbia voluto prendere posizione a favore dell’interpretazione ispirata ad un maggiore sostanzialismo, chiarendo, a fronte di una prassi amministrativa e di una interpretazione giurisprudenziale di segno prevalentemente contrario, che alla stazione appaltante è precluso imporre nel bando prescrizioni ed adempimenti ulteriori a quelli ordinariamente previsti sulla base della legge e del regolamento” (All. 2 alla presente memoria). d) Adunanza Plenaria n. 9/2014 e sent. n. 4662/14 del Consiglio di Stato. L’Adunanza Plenaria ha statuito ed affermato che la soluzione indicata nel suddetto parere dell’Avvocatura dello Stato è quella che discende dall’applicazione alla fattispecie dell’insegnamento pacificamente espresso da sempre dal Consiglio di Stato: l’Adunanza Plenaria non esita a definire e qualificare tale insegnamento “autentico diritto vivente improntato ad una esegesi ed applicazione rigorosa del potere di soccorso” (così, a pag. 11, 2° periodo del par. 4.3 della sentenza dell’Adunanza Plenaria). Da tale preliminare rilevazione discendono i seguenti corollari: -risulta totalmente smentito dal Supremo Consesso giurisdizionale amministrativo, l’assunto -su cui si fonda il capo d’imputazione -secondo cui il parere in questione reso dall’Avvocatura dello Stato con il contributo dell’avv. D.v. costituisca un “parere di comodo”; -risulta, altresì, in palese contrasto con il ‘diritto vivente’ quale attestato dall’Adunanza Plenaria l’altra affermazione che si legge nel capo di imputazione secondo cui il “vizio” che inficiava l’offerta della spa Palumbo sarebbe un vizio “pacificamente ritenuto irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa”; -nella specie la esclusione dalla gara della indicata spa Palumbo era doverosa e l’unica conforme a legge e al ‘diritto vivente’; -aggiudicare la gara alla spa Palumbo costitutiva -essa sì -condotta contraria a legge, suscettibile di essere apprezzata in sede di responsabilità (anche per danno erariale). L’Adunanza Plenaria fa chiarezza anche su un’altra affermazione svolta dalla Procura nel capo di imputazione: laddove si accusa l’Avvocatura (e l’avv. D.v., in particolare) di non avere rilevato che l’offerta dell’altra concorrente (Nuova Meccanica navale srl) presentava “un vizio di forma analogo” rispetto a quello inficiante l’offerta della spa Palumbo: secondo la Procura, il vizio di quest’ultima offerta doveva ritenersi “del tutto simile -se non di minore rilievo” di quello che connotava l’offerta della nuova Meccanica s.r.l., la quale aveva omesso di allegare una fotocopia del documento di identità del direttore tecnico a corredo della dichiarazione di costui di possedere i vari requisiti generali. L’Adunanza Plenaria ha in contrario evidenziato ed accertato che “in base alla lettera delle disposizioni della legge di gara contenute negli artt. 3 -requisiti di ordine generale per la partecipazione alla procedura -e 5 -modalità di presentazione della domanda di concessione -al direttore tecnico non era imposto, a pena di esclusione, di corredare la dichiarazione di possesso dei vari requisiti generali con una fotocopia del documento di identità”. Tale preci CONTENzIOSO NAzIONALE sazione è stata effettuata dall’Adunanza Plenaria proprio per sottolineare la differenza di disciplina dettata dal bando con riguardo alle ‘mancanze’ documentali che erano state dedotte e segnalate con riferimento a ciascuna delle due offerte presenta dalle ditte Nuova Meccanica srl e Palumbo spa: per la mancata produzione della fotocopia del documento del direttore tecnico, di cui alla busta a), il bando non comminava espressamente l’esclusione, mentre tale esclusione era dettata espressamente con riguardo alle buste B e C, stante che nell’art. 5, sezione busta B, ultimo periodo, sezione busta C, n. 4 era specificato che “l’offerta tecnica dovrà essere sottoscritta dal legale rappresentante del concorrente o da suo procuratore (in tal caso deve essere allegata la relativa procura) e dovrà essere corredata da fotocopia d un valido documento di identità a pena di esclusione”. L’Adunanza Plenaria ha anche precisato -a pag. 28 -che “il bando: i) è un atto amministrativo generale, d’indole imperativa, recante il compendio delle regole (ed in particolare quelle afferenti alle cause di esclusione), cui devono attenersi sia i concorrenti che l’amministrazione; ii) è costitutivo di effetti eventualmente anche derogatori rispetto alla disciplina introdotta dalle fonti di rango primario o regolamentare e come tale non disapplicabile da parte del- l’amministrazione e del giudice amministrativo, potendo essere oggetto solo di specifica impugnativa; iii) deve essere interpretato secondo il criterio formale (testuale ed oggettivo), con esclusione di letture ermeneutiche in chiave soggettiva ed integrativa, e con l’applicazione automatica e vincolata dell’esclusione laddove previsto dalla normativa di gara” (All. 15 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 10.03.2015 e All. 16 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 16.06.2015). In data 12.09.2014 il Consiglio di Stato, sez. vI, con sent. n. 4662 (All. 17 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 16.06.2015), nel definire il giudizio, confermava definitivamente la legittimità dell’esclusione della Palumbo. 10) vicende giurisdizionali dinanzi al Giudice civile successive al provvedimento di non approvazione dell’ “aggiudicazione provvisoria” in favore della Palumbo S.p.A. ed assegnazione della concessione alla società Nuova Meccanica Navale. Nell’anno 2011 la società Palumbo s.p.a. ha convenuto davanti al Tribunale di Napoli, quale giudice civile, l’Autorità Portuale di Napoli, l’Amm. L.D. e il dott. F.L.P. e -sulla base del- l’assegnazione definitiva alla società Nuova meccanica Navale come sopradescritta -ha chiesto la condanna al risarcimento del danno nei confronti dei convenuti. Il Tribunale, esaminando i fatti di causa ed acclarata la legittimità della condotta dell’amministrazione anche in ordine alla esclusione della società Palumbo per i vizi relativi alle Buste B e C (in coerenza con le conclusioni del parere dell’Avvocatura dello Stato), ha rigettato le domande con sentenza n. 8054/2016 (sentenza già prodotta all’udienza del 05.04.2018 e che si rideposita con la presente memoria all’All. 3). 11) Sul patrocinio dell’Avvocatura dello Stato e rapporti con l’Autorità Portuale. In ordine al patrocinio delle Autorità Portuali da parte dell’Avvocatura dello Stato si osserva quanto segue. In virtù del DPCM del 4.12.1997, oltre che in conformità a quanto previsto nel provvedimento della PCM pubblicato in G.u. 05.02.1998, l’Autorità Portuale di Napoli è autorizzata ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 43 R.D. 30.10.1933, n. 1611. Il patrocinio autorizzato previsto dal citato DPCM -e di cui gode l’Autorità Portuale di Napoli -sottostà alla disciplina contenuta nell’art. 43 T.u., commi 3 e 4 dove è espressamente precisato che una volta che l’ente pubblico sia autorizzato ad avvalersi dell’Avvocatura dello Stato “la rappresentanza e la difesa nei giudizi… sono assunte dalla avvocatura dello Stato in via RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni” e “Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. La giurisprudenza è pacifica nel dire che per gli Enti e le Amministrazioni autorizzate ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ai sensi della citata norma, la rappresentanza e difesa in giudizio da parte di quest’ultima costituisce la regola che deve sempre essere seguita e che -al di fuori dei casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le Regioni -per potere affidare il patrocinio ad avvocato del libero foro è necessario adottare preliminarmente una apposita delibera motivata e sottoporla all’Organo di vigilanza. Si tratta di insegnamento pacifico che si è formato sin dai primi anni successivi all’entrata in vigore della legge 103/1979 (Cass. SS.uu. n. 4512 del 05.07.1983 in rass. avv. Stato 1983, I, 699; Cass. Sez. civ. III n. 21296 del 14.10.2011 che richiama Cass. SS.uu. n. 13659/06, Cass. 28478/05, Cons. Stato n. 332/07). La mancanza anche di uno solo dei requisiti sopra citati determina la nullità della costituzione (Cass. Civ. sent. n. 1057/87) ed il difetto di ius postulandi è rilevabile anche d’ufficio (oltre a Cass. SS.uu. n. 4512/83 si veda anche Cass. Civ. sez. III n. 21296 del 14.10.2011 che richiama Cass. 29.10.1974 n. 3283; Cass. Civ. nn. 21296/11, 18506/12). Del resto l’avv. D.v. è oggi imputato proprio nella qualità di avvocato dello Stato per aver reso un parere all’Autorità Portuale di Napoli. La circostanza che l’Ammiraglio D. abbia ritenuto, in applicazione dei citati atti, di avvalersi dell’Avvocatura dello Stato è stata contrastata dai propri uffici (si vedano in proposito le varie denunce da parte del legale del servizio interno all’Autorità portuale culminate con un atto di diffida nel 2013, dopo che una sentenza del Tar del Lazio ha messo in discussione il fatto che il DPCM del 14 dicembre 1997 avesse valenza per tutte le Autorità Portuali). Occorre ribadire che l’intero periodo in cui G.F. è stato Avvocato Distrettuale dello Stato di Napoli (giugno 2010 -gennaio 2013), l’Avvocatura ha acquisito in via organica ed esclusiva il patrocinio delle università statali, dell’ARCADIS (Agenzia regionale difesa suolo), del- l’ARPAC, dell’ADISu “Federico II” e dell’Autorità Portuale. La fonte normativa del patrocinio per cui l’Avvocatura, dal 2011 sino a metà 2013, ha difeso l’Autorità Portuale, pressocchè organicamente, è un DPCM del 1997, in base al quale molte Autorità Portuali si rivolsero all’Avvocatura dello Stato: a ciò fece seguito una circolare della PCM dell’8.02.1998 che estese a tutte le Autorità il patrocinio dell’Avvocatura. Il Consiglio di Stato con ord. 5484/09, Iv sezione, ha rilevato che il predetto decreto fa stato per tutte le Autorità portuali e che, anzi, le Autorità Portuali che volessero discostarsi dal patrocinio dell’Avvocatura dello Stato devono motivare l’eventuale affidamento di patrocinio a liberi professionisti. Inoltre, in materia, l’Avvocatura Generale dello Stato era intervenuta di recente con un parere portato in Comitato consultivo, cioè il massimo Consesso tecnico giuridico presso l’Avvocatura Generale dello Stato dove vengono discusse le questioni di “massima” e in quella sede si era espressa per la piena ammissibilità del patrocinio autorizzato a tutte le AP, sulla scorta del DPCM del 04.12.1997 e della circolare esplicativa dell’8.02.1998. Con nota n. 161082 dell’11.04.2013 diretta all’Autorità Portuale di Genova e al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, l’Avvocatura Generale ha ribadito che l’istanza per ottenere il patrocinio autorizzato di cui parlava il TAR del Lazio, sez. III, nella sentenza n. 4640/09 è stata poi successivamente smentita da altra sentenza del Consiglio di Stato, sez. vI, n. 647 del 9.02.2010 che ha statuito che “per il patrocinio autorizzato non occorre mandato né deliberazione”. CONTENzIOSO NAzIONALE Il carattere di organicità si rifarebbe, pertanto all’originaria previsione del DPCM confermato dalla circolare, tanto da ritenere detto patrocinio escludente sia rispetto ai liberi professionisti che dello stesso ufficio legale interno (cosa poi ribadita di recente dal Direttore generale del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti). Pertanto l’organicità ed esclusività opererebbe a tutto campo, in virtù del fatto che l’Avvocatura dello Stato entrerebbe in un rapporto di immedesimazione organica con l’Ente. In tal modo l’ufficio legale interno potrebbe patrocinare direttamente solo nei casi in cui, con delibera motivata, decida di discostarsi dal patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (prevalentemente nel caso in cui vi siano conflitti di interesse, per esempio perché l’Avvocatura difende lo Stato contro l’Autorità Portuale). Sul punto si è espresso precedentemente il Comitato consultivo con parere prot. n. 332607 del 24.10.2011 per Autorità di Piombino. Si rappresenta, altresì, che con carteggio dell’anno 2013, vi è stata una richiesta di conferma di patrocinio ex art. 43 T.u. 30.10.1933, n. 1611 alla PCM e al MIT, nonchè all’Avvocatura Generale, inoltrata dall’Amm. D. con nota n. 311 del 6.12.2013 (All. 4 alla presente memoria); detta richiesta fu accolta con parere favorevole dell’Avvocatura Generale dello Stato (con nota n. 37147 del 27.01.2014 - All. 5 alla presente memoria). La citata richiesta di concessione istituzionale del patrocinio fu inoltrata “ad abundantiam”, vale a dire pur non essendo l’Amm. D. tenuto a ciò. Dagli atti prodotti in uno alla memoria di opposizione alla costituzione di parte civile del- l’Autorità Portuale -depositata all’udienza del 21.04.2015 -si evince con chiarezza che l’Autorità, sul territorio nazionale, si è avvalsa e continua ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (1). Codesto Tribunale sulla vicenda dei caratteri del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Autorità Portuale di Napoli, con ordinanza del 16.05.2015 -decisoria, tra l’altro, nel senso della ammissibilità della costituzione di parte civile dell’Autorità Portuale di Napoli, contestata da questa difesa per carenza di ius postulandi -ha espresso un diverso avviso rispetto a quanto prospettato innanzi, ritenendo che l’Autorità Portuale di Napoli sia carente tanto del patrocinio obbligatorio ex lege (art. 1 R.D. n. 1633/1933), quanto del patrocinio facoltativo (art. 43 R.D. n. 1633/1933) dell’Avvocatura dello Stato. COROLLARI GIuRIDICI Riepilogati i dati di fatto rilevanti, agevoli sono le conseguenze giuridiche. 1) Alcunché dell’ipotesi accusatoria ha trovato conferma nel procedimento penale a carico dell’avv. D.v. Le emergenze processuali hanno evidenziato che l’avv. D.v. ha svolto in modo corretto e diligente i compiti affidatigli, con la pertinente interlocuzione con il proprio superiore gerarchico (l’Avvocato Distrettuale) e il funzionale rapporto con l’amministrazione patrocinata (Autorità Portuale) mirante ad una consultazione completa, rapida, efficiente, sinergica ed anche eco( 1) Non infirma la suddetta conclusione la circostanza che il Consiglio di Stato abbia accolto il ricorso proposto dall’Autorità Portuale di venezia: la sentenza in questione (CdS sez. Iv n. 3238/14) ha effetti limitati alla predetta ricorrente, in quanto la ragione dell’accoglimento di quel ricorso si fonda sull’accertamento -tempestivamente dedotto ed eccepito da quell’Autorità -di circostanze fattuali attinenti esclusivamente alla sfera di quell’Autorità (che lamentava di non essere stata coinvolta nel procedimento di adozione del cit. DPCM). L’Autorità Portuale di Napoli non ha impugnato tale DPCM: sicchè esso nei suoi confronti è divenuto inoppugnabile ed è tuttora efficace. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 nomica (atteso che il rilascio dei pareri in favore degli enti patrocinati è a titolo gratuito secondo la disciplina in materia, come, peraltro, confermato dall’avv. F. nella escussione testimoniale del 12.09.2019: pag.15 del relativo verbale). va da ultimo evidenziato che la consultazione è stata altresì efficace atteso che la stessa era esatta e corretta nelle conclusioni, conforme alla normativa di riferimento e coerente con il quadro giurisprudenziale in materia. L’avvocato che rende un parere può anche giungere a delle conclusioni che siano vittoriosamente contestate in sede giudiziaria, ciò specie quando la materia è ondivaga. Per ciò solo non commette un illecito, salvo il ricorrere di condotte criminali qui insussistenti perché risulta provata l’assenza di qualunque preventivo accordo che avrebbe dovuto coinvolgere per primo anche l’Avvocato Distrettuale che ha assegnato la richiesta di parere, lo ha condiviso, integrato e firmato (cfr. testimonianza F., pag. 12 - udienza 12.09.2019). Il tutto rientra nell’id quod plerumque accidit, nella normale dialettica giuridica. Analogo ragionamento si può fare per il giudice che emana la sentenza, ove questa venga ribaltata in appello. Nel caso di specie, peraltro, come evidenziato, la consultazione è stata efficace con conclusioni confermate in svariate sedi giurisdizionali. Conclusioni, va detto, in un certo senso obbligate; difatti: alla luce della normativa di riferimento e del quadro giurisprudenziale in materia, le dette conclusioni -alla stregua di quanto richiesto dall’Amm.ne -non potevano che condurre alla valutazione di illegittimità della offerta della società Palumbo, come ampiamente descritto innanzi. L’avv. D.v. doveva essere ringraziato per la diligenza e competenza posta nella consultazione. Diversamente ha opinato la pubblica accusa nella confezione del capo d’imputazione. Difatti, sulla base: -di un erroneo inquadramento giuridico della vicenda (tra cui le regole sul perfezionamento del parere), -di una istruttoria approssimativa (valga per tutte la problematica della telefonata n. 2350, dal contenuto peraltro istituzionale, del 24.06.2011 erroneamente ascritta all’avv. D.v., laddove l’interlocutore era l’avv. F.), -di una non esatta individuazione del momento procedimentale nel quale è intervenuto il parere, -di una erronea ricostruzione della giurisprudenza prevalente nella materia delle esclusioni dalle gare, -di una teorizzata ed indimostrata collusione tra l’avv. D.v. ed i restanti protagonisti della vicenda (le emergenze processuali hanno evidenziato la ineccepibilità della condotta), l’avv. Del vecchio è chiamato dal PM a rispondere della imputazione di turbativa d’asta. L’avvocato dello Stato P.D.v., civil servant, con quasi trent’anni di carriera e di riconoscimenti professionali, da sei anni a questa parte si trova coinvolto nelle aule giudiziarie, imputato di un reato gravissimo, attesa la qualità rivestita di Avvocato dello Stato nell’espletamento del- l’attività consultiva, laddove la piana ricostruzione dei fatti rilevanti evidenzia l’assoluta estraneità dello stesso a qualsivoglia condotta illecita. 2) Segue. Alcunché dell’ipotesi accusatoria ha trovato conferma nel procedimento penale a carico dell’avv. D.v. In specie: perfezionamento del parere. Come innanzi evidenziato, il parere coinvolto nel procedimento penale venne sottoscritto dall’avv. D.v. nella qualità di Avvocato estensore e dall’Avvocato Distrettuale F. nella qualità di capo dell’ufficio. Tanto in conformità alle norme ed atti amministrativi regolanti il procedimento di rilascio dei pareri; alla stregua di tali regole il momento perfezionativo, con il quale si esterna il parere (rectius: esiste giuridicamente è la sottoscrizione del Capo dell’ufficio). CONTENzIOSO NAzIONALE I rapporti istituzionali con l’esterno così come la funzione di indirizzo sulle questioni giuridiche la teneva e l’ha tenuta l’Avvocato distrettuale e non certo l’avv. P.D.v., avvocato dello Stato, ma che fa parte del ruolo dei venticinque avvocati dello Stato in servizio a Napoli. Per cui il Presidente dell’Autorità Portuale come qualsiasi altra Autorità venne ricevuta dal- l’Avvocato Distrettuale e intrattenne rapporti istituzionali con lui. Pertanto la richiesta di parere fu assegnata dall’Avvocato Distrettuale che discrezionalmente decise a chi affidare la pratica e il parere fu firmato dall’Avvocato Distrettuale dello Stato, che ne ha assunse la paternità, condividendolo e, in parte, integrandolo (cfr. dichiarazione testimoniale F., pag.12 - udienza del 12.09.2019). L’Avvocatura dello Stato, essendo organo impersonale, manifesta all’esterno la propria volontà con la sottoscrizione da parte dei vertici dell’Istituto, quindi tramite l’Avvocato Generale dello Stato e i vice Avvocati Generali dello Stato in Roma e tramite gli Avvocati distrettuali presso gli uffici distrettuali. In base agli artt. 9 e 18 della L. 3 aprile 1979, n. 103 è l’Avvocato distrettuale dello Stato che impegna la volontà dell’Avvocatura all’esterno. In particolare l’art. 18 statuisce che: “l'avvocato distrettuale, dello Stato: vigila e soprintende, nell'ambito dell'avvocatura distrettuale, all'espletamento delle funzioni di istituto ed all'organizzazione e funzionamento degli uffici e dei servizi; assegna agli avvocati e procuratori in servizio presso l'avvocatura distrettuale gli affari contenziosi e consultivi, in base ai criteri stabiliti dal comitato consultivo; assicura il coordinamento e l'unità di indirizzo dell'attività contenziosa e consultiva dell'avvocatura distrettuale, promuovendo l'esame e la decisione collegiale delle questioni giuridiche di maggiore rilievo, nonchè l'informazione e collaborazione reciproca tra gli avvocati e procuratori……”. Pertanto è necessaria la condivisione ed appropriazione giuridica del parere da parte del Capo dell’ufficio, che, nel caso di specie, vi è stata, come specificato dall’avv. F., il quale ha chiarito che, nel sottoscrivere il parere, ha interloquito con l’avv. D.v., intervenendo anche sul testo del parere medesimo: “… mi ricordo che aggiunsi pure qualcosa alla fine del parere, una frase finale la modificai, mi sembra di ricordare e facemmo questo parere…” (esame testimoniale F., pag. 12 - udienza del 12.09.2019). Ciò a testimonianza della piena condivisione del parere e della linearità dell’azione dell’Avvocatura dello Stato tutta. Inoltre, va rilevato che solo dal 2002 (Circolare n. 13/2002 dell’Avvocato Generale dello Stato e comunicazione di servizio n. 34/02 dell’Avvocato Distrettuale dello Stato di Napoli) in avanti compare la firma per esteso dell’avvocato dello Stato estensore del parere, mentre in precedenza tutta l’attività consultiva dell’Avvocatura dello Stato era sottoscritta unicamente dall’Avvocato Distrettuale. Ciò è stato confermato anche dal teste avv. S.M. nell’udienza del 12.09.2019: “preSidenTe -la responsabilità di chi è? TeSTimone, m. -la responsabilità è dell’avvocato distrettuale, la firma dei parerei di tutti gli atti anche di quelli che non sono pareri, tranne le difese, per le difese c’è il visto, ma per ciò che riguarda il parere e le note, la responsabilità e la titolarità è dell’avvocato distrettuale. devo aggiungere che fino agli anni 90’, non esisteva una firma congiunta del parere, il parere usciva solo a firma dell’avvocato distrettuale o dell’avvocato generale, negli anni 90’, per fare emergere nei curricula anche queste attività consultive rese dai singoli avvocati, si è diramata dall’avvocatura generale, una circolare con la quale si consentiva, fermo restando la responsabilità all’esterno dell’avvocatura distrettuale e dell’avvocato distrettuale, si consentiva di individuare anche l’avvocato che aveva predisposto il parere… preSidenTe Quindi è a firma congiunta il parere? TeSTimone, m. -il parere esce a firma congiunta, ma da RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 un po’di tempo a questa parte, cioè a partire dagli anni 90’, fermo restando che questa seconda firma, non è quella che fa assumere valenza al parere, perché la sola firma del singolo avvocato, non è idonea a imputare l’atto all’avvocatura dello Stato” (pp. 18-19 del verbale). In particolare la Circolare n. 13/2002 dell’AGS ribadisce come sia assolutamente necessaria la firma dell’Avvocato Distrettuale per le “espressioni di parere su questioni di diritto o di opportunità o di adozione di opzioni decisionali in punto di linee difensive..”. Tale circolare risulta poi essere stata confermata più volte negli anni sino ai giorni nostri (All. 5 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 16.06.2015). Tenuto conto di quanto ascritto nel capo di imputazione (predisposizione di un parere di comodo) appare, quindi, incomprensibile attribuire il parere di comodo ad un semplice avvocato dello Stato che non ha poteri di assegnazione, che non ha rapporti istituzionali e di rappresentanza con l’esterno, che non ha avuto contatto con i coimputati e che si è limitato a redigere il parere (rectius proposta di parere), di fatto siglandolo e sottoponendolo all’Avvocato Distrettuale (F.) che lo ha condiviso (integrato/modificato) e sottoscritto. 3) Segue. Alcunché dell’ipotesi accusatoria ha trovato conferma nel procedimento penale a carico dell’avv. D.v. In specie: circa l’ individuazione del momento procedimentale nel quale è intervenuto il parere. Il capo di imputazione riporta poi una scansione temporale del tutto inesatta: in quanto sembra che l’avvocato D.v. partecipi a tutto il procedimento di gara, prima valutando l’offerta tecnica (il piano d’impresa) e poi sovvertendo la parte economica che era inizialmente andata a vantaggio di Palumbo. Si trascura un particolare e cioè che il parere venne chiesto quando l’assegnazione (“aggiudicazione provvisoria”) a Palumbo era già avvenuta. Le offerte erano già state valutate dalla Commissione e l’Avvocatura con il proprio parere sostenne che, all’atto dell’OFFERTA TECNICA (vale a dire quella che secondo il capo d’accusa avvantaggiava la Nuova Meccanica Navale) si doveva procedere all’esclusione di Palumbo, perché già in quella busta (la busta b) Palumbo non aveva allegato il documento di identità all’istanza del legale rappresentante. Quindi, alla luce del bando, all’offerta economica (qualunque fosse stata) non bisognava proprio arrivarci, in disparte poi il fatto che nemmeno nella busta c), cioè quella dell’offerta economica vi fosse il documento di riconoscimento del legale rappresentante di Palumbo, richiesto anche lì a pena di esclusione (ricordiamo che il TAR Campania, nella sentenza n. 1888/12 citata, statuisce: “…... nel caso di specie, l’adempimento imposto, vale a dire l’allegazione di una fotocopia del documento di identità, non è né illogico né sproporzionato non illogico, atteso che essa giova a verificare l’attribuibilità dell’offerta al soggetto offerente e, soprattutto, la sua impegnatività; non sproporzionato, atteso la minimalità della prescrizione imposta, presidiata con la clausola di esclusione proprio per rimarcare l’interesse della amministrazione al rispetto della prescrizione stessa e la allettata diligenza nel rispettarla. Tale prescrizione soddisfa, pertanto, l’interesse pubblico volto alla certezza della imputabilità dell’offerta, per cui non può dirsi come irragionevolmente posto a restrizione della massima concorrenza, ma come onere da osservare, nel rispetto della par condicio”. Ed ancora sempre nella medesima decisione TAR (cfr. pag. 20) : “…… RISULTA EVIDENTE LA LEGITTIMITÀ DELL’OPERATO DELL’AUTORITÀ PORTUALE CHE CON LA IMPUGNATA DELIBERA NON HA APPROVATO L’AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA DISPOSTA DALLA COMMISSIONE GIUDICATRICE, STANTE LA NECESSITÀ DELL’ESCLUSIONE DELLA SOCIETÀ RICORRENTE. L’OPERATO DELL’AUTORITÀ PORTUALE DEVE PERALTRO RITENERSI LEGITTIMO….” (All. 14 del Foliario con documenti depositati all’udienza del 16.06.2015) [maiuscolo, neretto, sottolineato a cura dei redattori]. CONTENzIOSO NAzIONALE 4) Segue. Alcunché dell’ipotesi accusatoria ha trovato conferma nel procedimento penale a carico dell’avv. D.v. In specie: circa la giurisprudenza prevalente nella materia delle esclusioni dalle gare. Il capo di imputazione coinvolgente l’avv. D.v. evidenzia che il vizio di forma rilevato nel bando -ed attenzionato nel parere -è ritenuto pacificamente irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa. Tanto è palesemente erroneo alla stregua di quanto ricostruito nel quadro fattuale e giurisprudenziale. Sia il parere (che richiamava già una serie di decisioni sul punto) e sia la sentenza del Tar Campania n. 1888/12, intervenuta tra le parti, che si è pronunciata proprio sul provvedimento dell’Autorità Portuale hanno confermato che quel vizio non era irrilevante ed anzi andava sanzionato con l’esclusione della Palumbo. Conferma si è avuta poi con la sentenza n. 9/14 del Consiglio di Stato che, in Adunanza Plenaria, ha addirittura definito l’orientamento seguito nel parere e nel successivo provvedimento, come “diritto vivente”. Tanto evidenzia che l’affermazione di cui al capo di imputazione secondo cui il vizio in esame è “pacificamente ritenuto irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa” è assolutamente erronea. Palese risulta la correttezza delle valutazioni dell’Avvocatura sullo specifico quesito posto dall’Autorità Portuale, in quanto la Palumbo andava esclusa, come statuito in tutti i gradi di giudizio (civili e amministrativi) e confermato, da ultimo, dalla sentenza n. 4662/14 del Consiglio di Stato, passata in giudicato, che ha definitivamente ritenuta legittima l’esclusione della Palumbo dalla gara, ritenendo necessaria l’allegazione documentale che era del tutto mancante nelle buste b) e c). 5) Segue. Alcunché dell’ipotesi accusatoria ha trovato conferma nel procedimento penale a carico dell’avv. D.v. In specie: circa l’esistenza del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato nei confronti dell’Autorità Portuale. Come evidenziato innanzi, codesto Tribunale sulla vicenda dei caratteri del patrocinio del- l’Avvocatura dello Stato in favore dell’Autorità portuale di Napoli con ordinanza del 16.05.2015 -decisoria, tra l’altro, nel senso della ammissibilità della costituzione di parte civile dell’Autorità Portuale di Napoli, contestata da questa difesa per carenza di ius postulandi atteso che l’Autorità si è costituita con il patrocinio di un avvocato del libero foro e non a mezzo dell’Avvocatura dello Stato -ha ritenuto che l’Autorità Portuale di Napoli è carente tanto del patrocinio obbligatorio ex lege (art. 1 R.D. n. 1633/1933), quanto del patrocinio facoltativo (art. 43 R.D. n. 1633/1933) dell’Avvocatura dello Stato. Orbene applicando tale principio di diritto alla fattispecie del rilascio del parere per il quale è imputato l’avv. D.v. agevole è il corollario: se l’Autorità Portuale non gode del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, l’avv. D.v. -che ha reso un parere quale membro dell’Avvocatura dello Stato -ha reso un parere inesistente, di nessuna rilevanza giuridica, come tale ininfluente sulla procedura. Ricorre, quindi, un’ipotesi di scuola di reato impossibile (art. 49 c.p.), ulteriore titolo per il quale l’avv. D.v. va mandato assolto. va precisato che per questo Organo legale, per quanto ampiamente esposto nel quadro fattuale, sussiste il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Autorità Portuale di Napoli. CONCLuSIONI Alla stregua di tutto quanto ricostruito, attesa la piana assenza di responsabilità in capo all’avv. D.v., si RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 ChIEDE che l’adito Tribunale, in via immediata, pronunci l’assoluzione dell’avv. D.v. ai sensi dell’art. 129 c.p.p. Documenti come da indice. Napoli, 3 novembre 2019 Maurizio Greco Avvocato dello Stato Michele Gerardo Avvocato dello Stato tribunale di napoli, Prima sezione penale, sentenza 28 novembre 2019, dep. il 21 gennaio 2020 n. 12933 -pres. v. Bove, est. P. Cirillo - Procedimento a carico di D.v.P., imputato. (...) MotiVi Della DeCisione 1. i fatti contestati. D.v. P. è chiamato a rispondere, in concorso con altri soggetti, del reato di turbata libertà degli incanti, nella fattispecie aggravata ex art. 353 comma 2 c.p., perché, in occasione di una gara relativa alla concessione delle aree e dello specchio acqueo prospiciente il lato interno del Molo Martello nel Porto di Napoli, quale Avvocato dello Stato, avrebbe predisposto un “parere di comodo”, per favorire una delle due società partecipanti alla gara (la “Nuova Meccanica Navale s.r.l.”), contribuendo così a turbare il regolare andamento della procedura. Secondo l’ipotesi accusatoria, la condotta del D.v. si sarebbe inserita in un ampio disegno criminoso, mirante a consentire alla “Nuova Meccanica Navale s.r.l.” di aggiudicarsi la gara, grazie all’esclusione dalla procedura della società che si era aggiudicata in via provvisoria la gara (la “Palumbo S.p.A.”); esclusione da raggiungersi dando rilievo ad un vizio di forma dell’offerta presentata dalla “Palumbo S.p.A.”, che -a parere dell’accusa -sarebbe pacificamente ritenuto irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa e, in ogni caso, analogo ad altro riscontrabile nell’offerta della Nuova Meccanica s.r.l. Nell’ambito di tale disegno, di particolare rilievo sarebbe stato il contributo del D.v. che, con il suo “parere di comodo” avrebbe fornito adeguata “copertura giuridica” alla tesi della rilevanza del vizio dell’offerta presentata dalla “Palumbo S.p.A.”; vizio posto dal Presidente dell’Autorità Portuale, D.L., anche lui concorrente nel reato, a fondamento del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria della gara in favore della Palumbo S.p.A. Il D.v. avrebbe operato in concorso con altri soggetti coinvolti a vario titolo nella procedura: D.L., in qualità di Presidente dell’Autorità Portuale di Napoli; P.S., quale dirigente della predetta autorità e quale componente della commissione aggiudicatrice; […] u.A., L.D.F.P e P.D., quali amministratori di fatto e o diritto nonché dirigenti della Nuova Meccanica Navale s.r.l. 2. l’istruttoria dibattimentale. va premesso che il fatto contestato al D.v. è stato oggetto di una più ampia indagine, riguardante l’attività dell’Autorità Portuale di Napoli, i cui esiti sono confluiti originariamente, in un unico processo, avente ad oggetto altri diciassette capi di imputazione, ciascuno dei quali riferibile a presunti episodi criminosi completamente distinti da quello contestato al D.v. L istruttoria dibattimentale, pertanto, si è estesa anche a vicende che non riguardano minimante la posizione del D.v. e che, chiaramente non saranno analizzate e valutate nell’ambito della presente sentenza. CONTENzIOSO NAzIONALE Gli esiti dell’istruttoria di maggior rilievo in relazione alla posizione di D.v. P. -in base alla documentazione prodotta dalle parti e alle dichiarazioni rese dai testi (e in particolar modo a quelle rese dal maresciallo F.F.) - possono essere riassunti nel modo che segue. La procedura di gara indicata nell’imputazione traeva origine dalla deliberazione n. 43 del 21 dicembre 2010, con la quale il Comitato Portuale conferiva mandato al Presidente dell’Autorità Portuale, D.L., di definire i procedimenti pendenti a seguito della presentazione di istanze di concessione delle aree e dello specchio d acqua siti in prossimità del Molo Martello; istanze che erano state presentate, tra il 2007 e il 2010, da svariate società. Con il provvedimento n. 25 del 28 gennaio 2011, il Presidente D. deliberava lassentimento in concessione delle aree e dello specchio acqueo prospiciente il lato interno del Molo Martello, da destinare all’ormeggio di un bacino galleggiante per lo svolgimento di attività di riparazione navale. Il D. nominava L.F. (funzionario dell’ufficio demanio dell’area istituzionale dell’Autorità Portuale) responsabile unico del procedimento e autorizzava l’ufficio appalti ad avviare la procedura selettiva a evidenza pubblica. Con la deliberazione n. 147 del 23 marzo 2011, il D., confermato L. quale responsabile unico del procedimento, visto l’elevato tecnicismo della materia, nominava una commissione aggiudicatrice composta da quattro tecnici […]. In data 29 marzo 2011, si teneva la prima seduta pubblica della commissione, che dava atto di aver accertato il rispetto dei termini di scadenza per la presentazione delle domande e di aver verificato la riconducibilità delle offerte a due società: la Nuova Meccanica Navale s.r.l. (legalmente rappresentata da u.A.) e la Palumbo S.p.A. (legalmente rappresentata da P.A.). Nel corso della prima seduta pubblica, la commissione procedeva alla verifica dell’integrità dei plichi presentati dalle due società, ciascuno dei quali si articolava in tre buste contraddistinte dalle lettere a), b) e c): la prima contenente la domanda di partecipazione e i dati della società che l aveva presentata; la seconda il progetto industriale (offerta tecnica); la terza l’offerta economica (canone concessorio proposto). La commissione, verificata la presentazione nei termini delle domande e aperte le buste, rilevava diversi vizi di forma. Il primo vizio riscontrato nella busta a), comune ad entrambe le offerte, consisteva nella mancata allegazione della copia del documento d’identità del direttore tecnico; il secondo, rilevato nella busta b), riguardava solo la Palumbo S p A e consisteva nella mancanza del documento del legale rappresentante della stessa (P.A.). La commissione riteneva che il primo dei due vizi, quello comune ad entrambe le offerte, era irrilevante ai fini della partecipazione alla gara e non previsto dal bando a pena di esclusione dalla gara. La commissione riteneva irrilevante anche l’altro vizio, che riguardava solo l’offerta presentata dalla Palumbo S.p.A., sebbene il mancato inserimento nella busta b) del documento in questione fosse espressamente sanzionato dall’art. 5 del “bando” a pena di esclusione dalla gara. A sostegno di tale valutazione, la commissione osservava che l’omissione riguardava “una documentazione tecnica e non certificativa di stati e qualità personali” e che, in ogni caso, la fotocopia del documento d’identità del P. era comunque presente nella busta a). Nella prima seduta riservata del 7 aprile 2011, a cui non prendevano parte le società partecipanti alla gara, la commissione elaborava i criteri da applicare per la valutazione delle due offerte tecniche, procedendo poi all’esame dei piani di impresa contenuti nella busta b). In due sedute riservate, tenutesi il 13 aprile e il 3 maggio del 2011, veniva assegnato un punteggio per i diversi parametri di valutazione del piano di impresa. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Nella quarta e nella quinta seduta riservata, la commissione valutava le offerte tecniche delle due società partecipanti. Durante la seconda seduta pubblica, in data 18 maggio 2011, in presenza dei delegati della Nuova Meccanica Navale s.r.l. e della Palumbo S.p.A., la commissione comunicava i punteggi attribuiti alle due società per i piani d impresa presentati. Seguiva l’apertura delle buste contraddistinte dalla lettera c), contenenti le offerte economiche: nella busta della Palumbo S.p.A. mancava, ancora una volta, la fotocopia della carta d’identità del legale rappresentante, che l’art. 5 del bando richiedeva anche per la busta c) a pena di esclusione. La commissione, tuttavia, riteneva ancora una volta irrilevante l’omissione, in quanto il documento risultava comunque inserito nella busta a). Conseguentemente riteneva di non escludere la Palumbo S.p.A. e, dopo aver proceduto al calcolo dei punteggi assegnati, dichiarava la Palumbo S.p.A. aggiudicataria provvisoria della gara per aver realizzato un punteggio superiore a quello dell’altra società. Nel corso della seduta del 18 maggio 2011, P.D. (intervenuto in rappresentanza della Nuova Meccanica Navale s.r.l.) dichiarava che avrebbe tutelato nelle sedi opportune gli interessi della società da lui rappresentata, lamentando la mancanza del documento di identità del legale rappresentante nell’offerta economica presentata dalla Palumbo S p A nonché la possibile incompatibilità della concessione da rilasciare alla Palumbo S.p.A. con quelle già rilasciate in favore della medesima società (su tali punti formalizzava espressa riserva). Con nota n. 271 del 9 giugno 2011, il responsabile unico del procedimento chiedeva al presidente della commissione […] un approfondimento sui “criteri di preferenza” sanciti nell’art. 4 dell’avviso di gara, che prevedeva espressamente, per il caso in cui vi fossero più concorrenti ad aver ottenuto il punteggio più alto, l’aggiudicazione in favore del partecipante che non possedesse altre concessioni nel Porto di Napoli. Nella successiva seduta riservata, la commissione confermava che il vincitore della gara rimaneva la Palumbo S.p.A., rinunciando ad ulteriori valutazioni in ordine all’ applicazione del predetto “criterio di preferenza”. Il Presidente D., dopo aver ricevuto i verbali della commissione e aver letto la specifica riserva che P.D. aveva fatto verbalizzare nel corso della seduta pubblica, decideva di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato, onde verificare la correttezza dell’aggiudicazione provvisoria e prevenire eventuali ricorsi e richieste di risarcimento danni. Con nota n. 148/P del 24 giugno 2011, il Presidente D. ricostruiva sommariamente le varie fasi della procedura e invitava l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, nella persona dell’Avv. F.G., a esprimere un parere su alcuni profili critici dello svolgimento della gara: 1) l’omessa produzione della fotocopia di un valido documento di identità del legale rappresentante di una delle società concorrenti, richiesta dall’art. 5 dell’avviso di gara a pena di esclusione della procedura; 2) mancata coerenza, illogicità e sproporzione nell’attribuzione dei punteggi di cui all’art 4 dell’avviso di gara; 3) esatta portata del criterio di preferenza, sempre sancito nell’art 4 dell’avviso di gara, che prevedeva, per il caso in cui vi fossero più concorrenti ad aver ottenuto il punteggio più alto, l’aggiudicazione in favore del partecipante che non possedesse altre concessioni nel Porto di Napoli. L’Avvocato Distrettuale, F.G., individuava nell’avv. D.v.P. la figura più adatta a istruire la pratica (cfr. dichiarazioni di F.G., verbale d’udienza del 12.9.2019, p. 13: “ho scelto d.v. perché in quel periodo stava scrivendo un libro sul nuovo Codice degli appalti, studia quella roba…) e gli assegnava il fascicolo in base alla sua discrezionale valutazione; tale modalità di assegnazione del fascicolo era corrispondente alla prassi normalmente seguita in tali casi CONTENzIOSO NAzIONALE dalle avvocature distrettuali (cfr. sul punto le dichiarazioni del teste M.S., che ha prestato servizio in svariate avvocature distrettuali: verbale d’udienza del 12.9.2019, pp. 17-18). L’Avvocatura dello Stato, con la nota n. 78708 del 30 giugno 2011, sottoscritta dall’Avvocato Distrettuale, F.G., e dall’avvocato estensore, D.v.P., evidenziava che l’aggiudicazione provvisoria disposta dalla commissione doveva considerarsi illegittima, in quanto la Palumbo S.p.A. ai sensi dell’art 5 dell’avviso di gara, doveva essere esclusa dalla procedura per l’omesso inserimento, nelle buste b) e c), della fotocopia del documento d’identità del legale rappresentante. Per completezza l’ Avvocatura affrontava anche le altre criticità rilevate dal D. Quanto all’attribuzione dei punteggi, l’Avvocatura rilevava che rientrava nella discrezionalità amministrativa l’individuazione degli elementi di valutazione dell’offerta e dei relativi parametri; tale scelta non era sindacabile a meno di manifesta irrazionalità della scelta o palese travisamento dei presupposti di fatto. Quanto, infine, al criterio di preferenza previsto dall’art. 4 dell’avviso di gara, l’Avvocatura rilevava che esso non era in concreto applicabile in quanto le due società avevano conseguito punteggi differenti; queste ultime, peraltro, risultavano entrambe concessionarie di beni demaniali nel Porto di Napoli. Con la delibera n. 390 dell’8 luglio 2011, avente ad oggetto le determinazioni finali in ordine alla procedura in questione, il Presidente D. non approvava l’ aggiudicazione provvisoria disposta dalla commissione perché l offerta della Palumbo S.p.A. era affetta da vizi espressamente sanzionati dal “bando” con l’esclusione dalla gara (mancata allegazione nelle buste b e c della copia fotostatica del documento di identità del legale rappresentante); con il medesimo atto assegnava la concessione alla Nuova Meccanica Navale s.r.l. Avverso la delibera n. 390 dell’8 luglio 201l, la Palumbo S p A proponeva ricorso al T.A.R., che, con sentenza n.1888/12, dopo aver dichiarato la legittimità del disciplinare di gara, nella parte in cui prevedeva a pena di esclusione dalla gara l’allegazione nell’offerta economica e nell’offerta tecnica del documento del legale rappresentante della società, rigettava il ricorso, dichiarando la legittimità dell’operato dell’Autorità Portuale che, con la delibera in questione, non aveva approvato l’aggiudicazione provvisoria disposta dalla commissione giudicatrice. La sentenza del T.A.R. veniva in parte riformata dal C. di S. con la sentenza n. 4662/14, che, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Palumbo S.p.A., annullava l’intera procedura di gara. Con la suddetta sentenza, il C. di S. ribadiva che la società Palumbo S.p.A. era stata legittimamente esclusa dalla gara per la riscontrata mancata allegazione del documento di identità del legale rappresentante, requisito previsto a pena di esclusione dal bando di gara. Sul punto il C. di S. affermava che “la clausola in questione rispetta, anche in considerazione del sacrificio minimo imposto al concorrente (la mera allegazione di una fotocopia del documento d’identità del soggetto che ha sottoscritto l’offerta) e dell’interesse con essa perseguito dal- l’amministrazione (la certezza dell’autenticità della sottoscrizione) i principi di ragionevolezza, proporzionalità e pertinenza, individuati dalla tradizionale giurisprudenza come limiti al potere dell’amministrazione di imporre, in sede di bando, adempimenti ulteriori da rispettare a pena di esclusione”, rilevando altresì che, “in presenza di clausole che contemplano prescrizioni a pena di esclusione, non è ammissibile il c.d. soccorso istruttorio, in quanto l’invito alla regolarizzazione costituirebbe una palese violazione della par condicio...”. Il C. di S., tuttavia, accoglieva parzialmente l’appello, con riferimento ad un motivo di ricorso in ordine al quale il T.A.R. (per considerazioni di carattere procedurale non condivise dal C. di S.) non si era pronunciato nel merito: l’eccesso di potere per disparità di trattamento. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Il giudice dell’impugnazione affrontava nel merito tale motivo di ricorso e lo riteneva fondato, poiché “il presidente dell’autorità portuale, pur avendo contezza dai verbali che anche la nuova meccanica navale s.r.l. non aveva allegato alla dichiarazione del proprio tecnico, resa ai sensi dell’art 38 d.lgs. n.163 del 2006, la copia fotostatica del relativo documento d’identità, ha chiesto all’avvocatura dello Stato un parere con riferimento alla sola eventuale esclusione della palumbo S.p.a.”. Il C. di S. riteneva “eclatante” la disparità di trattamento in concreto verificatasi, in considerazione del fatto che l’amministrazione, nel richiedere il parere all’Avvocatura sull’omessa produzione del documento da parte della Palumbo S.p.A., non aveva esteso la richiesta anche all’analoga dimenticanza nella quale era incorsa la Nuova Meccanica Navale s.r.l.: “in definitiva, la stazione appaltante, nel formulare il quesito all’ avvocatura, avrebbe dovuto non limitarlo alla posizione della palumbo S.p.a. ma allargarne l’oggetto al fine di estendere il giudizio di validità all’altra concorrente...”. La vicenda in esame veniva portata all’attenzione anche del giudice civile. La Palumbo S.p.A., invero, citava in giudizio davanti al Tribunale di Napoli l’Autorità Portuale di Napoli nonché D.L. (presidente dell’Autorità) e L.P.F. (r.u.p.) per vederli condannare al risarcimento dei danni da lei subiti in ragione della mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria. Il Tribunale di Napoli -Decima Sezione Civile -rigettava la domanda poiché riteneva “provato dalla documentazione che il bando fosse pienamente legittimo, nella parte in cui prevedeva l’obbligo di allegazione del documento di identità del responsabile dell’impresa a pena di esclusione, e che l’amministrazione avesse fatto corretta applicazione delle norme del bando di gara, estromettendo l’impresa palumbo per il vizio dell’offerta da essa presentata”. 3. la valutazione degli esiti dell’istruttoria dibattimentale. Essendo questi gli esiti dell’istruttoria, il Collegio ritiene che non sia stata dimostrata la fondatezza dell’ipotesi accusatoria formulata a carico di D.v.P. L’impianto accusatorio a carico dell’imputato, invero, si fondava su un presunto “parere di comodo” che sarebbe stato formulato dal D.v. per fornire “copertura giuridica” all’esclusione della Palumbo S.p.A. dalla gara, in modo tale da consentire l’aggiudicazione della concessione in favore dell’unica altra società partecipante: la Nuova Meccanica Navale s.r.l. In particolare, il D.v., nel parere in questione avrebbe dato rilievo a un vizio pacificamente ritenuto irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa. Orbene, dall’istruttoria espletata, è emerso che il vizio a cui ha dato rilievo il D.v. era costituito dalla mancata allegazione, nelle buste b) e c), del documento d’identità del legale rappresentante della Palumbo S.p.A. Ebbene tale vizio, diversamente da quanto sostenuto nella contestazione, non era affatto ritenuto irrilevante dalla giurisprudenza amministrativa. Invero, come espressamente affermato dal T.A.R. e dal C. di S., chiamati a pronunciarsi proprio sulla procedura amministrativa in questione, la clausola di esclusione dalla gara in caso di mancata allegazione del documento di riconoscimento del rappresentante legale era legittima, perché ragionevole sotto il profilo logico, in quanto finalizzata a verificare se l’offerta fosse attribuibile al soggetto offerente, e proporzionata, “data la minimalità della prescrizione imposta”. Da entrambe le sentenze emesse dai giudici amministrativi, inoltre, emerge con evidenza che la conseguente esclusione della Palumbo S.p.A., una volta accertata la violazione della clausola in questione, era inevitabile. Occorre evidenziare che i principi espressi dal T.A.R. e dal Consiglio di Stato, nell’ambito CONTENzIOSO NAzIONALE del procedimento avente ad oggetto la delibera di esclusione dalla gara della Palumbo S.p.A., seguivano il solco già tracciato dalla prevalente giurisprudenza, che aveva affermato che la mancata allegazione del documento di riconoscimento del sottoscrittore dell’offerta determina un’ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali (cfr. T.A.R. Lazio, Sez I bis, 6 dicembre 2011 n. 9597), costituendo tale allegazione un elemento integrante della stessa dichiarazione di volontà che consente di attestare l’autenticita della sottoscrizione da parte dell’autore (cfr. C. di S., Sez. v, 7 novembre 2007 n. 2761). Come detto, da entrambe le sentenze emesse dai giudici amministrativi che si sono pronunciati sul ricorso presentato dalla Palumbo S.p.A., emerge con evidenza che: era legittima la clausola del bando che imponeva alle società di allegare all’offerta il documento del loro legale rappresentante; l’esclusione della Palumbo S.p.A., una volta accertata la violazione della clausola in questione, era inevitabile. La circostanza che il C. di S. (sentenza n 4662/2014) abbia annullato l’intera procedura per la presenza di vizi afferenti alle offerte di entrambe le società non rileva con specifico riferimento alla valutazione della penale rilevanza della condotta del D.v., che si era pronunciato esclusivamente in ordine ai tre specifici quesiti posti all’Avvocatura dello Stato con la nota n. 148/P del 24 giugno 2011, che non riguardavano presunti vizi dell’offerta della Nuova Meccanica Navale s.r.l. Al riguardo va evidenziato che il C. di S., sostanzialmente, ha annullato l’intera procedura proprio perché l’Autorità Portuale, nel richiedere il parere all’Avvocatura sull’omessa produzione del documento da parte della Palumbo S.p.A., non aveva esteso la richiesta anche all’analoga dimenticanza nella quale era incorsa la Nuova Meccanica Navale s.r.l.: “in definitiva, la stazione appaltante, nel formulare il quesito all’avvocatura, avrebbe dovuto non limitarlo alla posizione della palumbo S.p.a. ma allargarne l oggetto al fine di estendere il giudizio di validità all’altra concorrente…”. La mancata valutazione dei vizi dell’offerta della Nuova Meccanica Navale s.r.l., dunque, non può essere imputata all’Avvocatura alla quale non era stato posto alcun specifico quesito al riguardo. Il parere dell’Avvocatura dello Stato, in definitiva, risultava perfettamente conforme alla giurisprudenza amministrativa, come riconosciuto anche dalla sentenza del Tribunale di Napoli -Decima Sezione Civile -che in ragione di tale considerazione ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla Palumbo S.p.A. Risulta, dunque, evidente l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria, secondo la quale, invece, si sarebbe trattato di un “parere di comodo”, che avrebbe dato rilievo a vizi ritenuti pacificamente irrilevanti dalla giurisprudenza amministrativa. Quanto ai vizi dell’offerta della Nuova Meccanica Navale s.r.l., che secondo la contestazione sarebbero stati analoghi a quelli dell’offerta della Palumbo S.p.A., come visto, la loro mancata valutazione non può essere imputata al D.v., perché tale valutazione non rientrava nei quesiti posti dall’Autorità Portuale all’Avvocatura dello Stato. Queste sole considerazioni basterebbero a escludere la penale responsabilità del D.v. in ordine al reato a lui ascritto. Per mera completezza, va rilevato che, secondo l’ipotesi accusatoria, la redazione del presunto “parere di comodo” avrebbe costituito parte di un più ampio disegno criminoso, mirante a consentire alla “Nuova Meccanica Navale s.r.l.” di ottenere la concessione, grazie all’esclusione dalla procedura della società che si era aggiudicata in via provvisoria la gara (la “Pa RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 lumbo S.p.A.”). Il D.v. avrebbe operato in concorso con altri soggetti coinvolti a vario titolo nella procedura: D.L., in qualità di Presidente dell’Autorità Portuale di Napoli; P.S., quale dirigente della predetta autorità e quale componente della commissione aggiudicatrice; […] quali componenti della suddetta commissione; u.A., L.D.F.P. e P.D., quali amministratori di fatto e/o diritto nonché dirigenti della Nuova Meccanica s.r.l. Orbene, la pubblica accusa non ha affatto dimostrato la sussistenza di un accordo collusivo tra il D.v. e gli altri presunti concorrenti nel reato; né, dall’istruttoria espletata, è emerso che tra questi ultimi e l’odierno imputato sussistessero rapporti che andassero oltre la normale dialettica istituzionale. In ordine ai suoi rapporti con i presunti concorrenti nel reato, l’imputato, in sede di esame ha dichiarato che aveva conosciuto l’Ammiraglio D. nel giugno 2011, quando gli era stato presentato dall’Avvocato Distrettuale, nel corso di una riunione negli uffici dell’Avvocatura dello Stato. In quell’occasione gli era stato anticipato che, in virtù della sua competenza nel settore della contrattualistica pubblica, gli sarebbe stata assegnata una richiesta di parere avanzata dall’ Autorità Portuale. Le modalità di assegnazione del parere e di formazione del fascicolo avevano seguito l’iter ordinario. Aveva proceduto allo studio degli atti con una certa urgenza, vista la scadenza dei termini in relazione all’aggiudicazione provvisoria. Nel redigere il parere assegnatogli, aveva ritenuto preminente e assorbente il vizio di forma rispetto agli altri due quesiti postigli e aveva risolto la questione alla luce della giurisprudenza amministrativa dominante sul punto, con una soluzione poi confermata anche dal Consiglio di Stato, pronunciatosi a seguito del ricorso presentato dalla Palumbo S.p.A. Completato il lavoro, aveva consegnato il parere all’Avv. F. che l’aveva corretto e vi aveva apposto la propria firma. Le dichiarazioni dell’imputato trovano riscontro in quelle rese dall’Avv. F.G. Il teste, con riferimento al parere richiesto dall’Autorità Portuale, ha riferito che aveva chiamato a partecipare alla riunione col D. due avvocati: il v., che si occupava di affari penali, e il D.v., che si occupava specificamente di procedure ad evidenza pubblica, appalti e materie similari. Aveva deciso di affidare la questione al secondo, in ragione della sua competenza specifica. ha precisato che il parere preparato dal D.v. era stato da lui leggermente corretto: “mi ricordo che aggiunsi qualcosa pure alla fine del parere, una frase finale la modificai, mi sembra di ricordare”. Il F. ha negato con decisione che il D. gli avesse mai chiesto di rendere un parere che favorisse una concorrente rispetto all’altra. Dalle dichiarazioni rese dall’avv. F. emerge anche che egli aveva partecipato ad alcune riunioni presso la sede dell’Autorità Portuale (alle quali era presente anche l’avv. Del Mese, dell’ufficio legale interno) nel corso delle quali aveva rappresentato che l’Autorità Portuale poteva essere assistita in giudizio dall’Avvocatura dello Stato senza dover corrispondere alcun compenso; vantaggio che non vi era stato in precedenza nei casi in cui l’ente si era avvalso del patrocinio di avvocati esterni del libero foro. Dalle conversazioni intercettate si trae conferma che l’interlocutore principale dell’Autorità Portuale è stato proprio l’Avvocato Distrettuale, F.G.; per contro non si rinvengono conversazioni di particolare rilievo tra il D. e il D.v., dalle quali poter desumere la prova della presunta collusione. CONTENzIOSO NAzIONALE Sul punto deve essere precisato che conversazione telefonica n. 2350 del 24 giugno 2011 ore 11.09 (che peraltro non appare neanche di particolare rilievo), diversamente da quanto sostenuto in un primo momento dal teste F. non è riconducibile al D.v. Invero, lo stesso F., successivamente, si è corretto, precisando che si trattava di una conversazione intervenuta tra il D. e il F. Si tratta peraltro di una conversazione dal contenuto poco significativo, nel corso della quale i due interlocutori si soffermavano sulle modalità di trasmissione all’Avvocatura della documentazione necessaria per istruire la pratica. Quanto alle comunicazioni a cui ha fatto riferimento il teste F., intervenute tra il P. e il D.v. successivamente al rilascio del parere, va rilevato che esse sembrano riconducibili alla prassi, cui ha fatto riferimento l’avv. F. (oltre che lo stesso D.v.), secondo cui l’Avvocatura dello Stato fornisce la sua assistenza anche per la revisione da parte dell’amministrazione del provvedimento consequenziale al parere. Il F. ha precisato che, già da anni, attraverso comunicazioni di carattere informale con gli Avvocati dello Stato, le amministrazioni (tra le quali anche la Prefettura di Napoli, il Ministero dei Beni Culturali, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) ricevono tempestivamente consigli sul corretto esercizio della propria attività al fine di prevenire eventuali ricorsi al T.A.R. In conclusione, dall’istruttoria dibattimentale non sono emersi elementi di rilievo dai quali poter desumere che le relazioni tra il D.v. e gli altri soggetti a vario titolo intervenuti nella procedura di gara si siano svolti al di fuori di una normale dialettica istituzionale. va, sotto altro profilo, evidenziato che, vista la struttura gerarchica dell’Avvocatura dello Stato, l’atto attraverso il quale si sarebbe concretizzato il contributo causale fornito dal D.v. alla consumazione del reato a lui contestato, in realtà, è formalmente imputabile all’unico soggetto che ha il potere di manifestare ed impegnare all’esterno la volontà dell’istituzione: l’Avvocato Distrettuale. Dall’istruttoria, invero, è emerso che, sebbene dagli anni ‘90 si sia diffusa la prassi per cui anche l avvocato che ha istruito la pratica e predisposto il parere appone la sua firma in qualità di estensore, la responsabilità dell’atto è sempre riferibile solo all’Avvocato Distrettuale, che con la propria firma ne sancisce appartenenza all’Avvocatura dello Stato (cfr. dichiarazioni del teste M.S. verbale d udienza del 12.9.2019, pp. 18-19). Orbene, è fin troppo agevole evidenziare che, senza il necessario contributo del F. (neppure ipotizzato dall’accusa) sarebbe stato ben difficile per il D.v. fornire effettivamente il proprio contributo alla consumazione del reato. In conclusione, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, il Collegio ritiene che l’accusa non abbia fornito la prova della penale responsabilità di D.v.P., in ordine al reato a lui ascritto P.Q.M. visto l’art 129 c.p.p.; assolve D.v.P. dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto. visto l’ art 544 c.p.p.; fissa il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione. Napoli, 28 novembre 2019. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Rideterminazione dei criteri di assegnazione di un aiuto di stato: la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea noTa a ConSiglio di STaTo, Sez. iv, ordinanza 4 diCembre 2019 n. 8299 Gessica Golia* Sommario: 1. la vicenda -2. disciplina comunitaria degli aiuti di Stato -2.1. (segue) gli aiuti di Stato non notificati alla Commissione -3. il ruolo dei giudici nazionali -4. mera ridistribuzione di un aiuto di Stato: quid iuris? 1. la vicenda. Con l’ordinanza in commento il Consiglio di Stato ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’unione Europea al fine di stabilire se un regolamento, che modifica talune modalità applicative di un aiuto di Stato precedentemente disposto, debba essere qualificato, esso stesso, come un aiuto di Stato, e, di conseguenza, se sia da considerarsi illegittimo per mancata notifica alla Commissione europea. Precisamente, per agevolare il mercato nazionale del biodiesel, lo Stato italiano aveva emanato tre diversi programmi di intervento, previa la necessaria approvazione della Commissione Europea (v. infra), corredati da appositi decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze recanti le relative modalità applicative. Successivamente, il Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 812 e 1120 del 2012 (cui seguiva la sentenza di ottemperanza n. 998/2014), disponeva l’annullamento di talune disposizioni dei decreti attuativi inerenti i criteri di assegnazione (nello specifico: la quantità di biodiesel immessa in consumo e la capacità produttiva dell’impianto) (1), sicché, di conseguenza, il MEF adottava un nuovo regolamento, il D.M. n. 37/2015, rimodulando i coefficienti censurati secondo le indicazioni provenienti da Palazzo Spada. Anche tale decreto veniva impugnato innanzi al Tar Lazio, segnatamente, eccependone l’illegittimità per la mancata notifica alla Commissione, trattandosi - secondo la tesi del ricorrente - di un vero e proprio aiuto di Stato. Al contrario, l’Amministrazione resistente illustrava che il nuovo regolamento, ben lungi dall’introdurre un nuovo regime di aiuti di Stato, incide esclusivamente sulle modalità applicative dell’agevolazione già costituita, andando a rideterminare, ora per allora, i criteri di assegnazione oggetto delle pronunce del Giudice Amministrativo. (*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro (avv. St. Ermelinda Biesuz). (1) Le sentt. nn. 812 e 1120 del 2012 hanno annullato, rispettivamente, l’art. 4 co. 2 del D.M. 253/2003 e l’art. 3 co. 4 del D.M. 156/2008. CONTENzIOSO NAzIONALE Ed invero, il decreto de quo non estende l’ambito soggettivo (sono rimasti immutati i beneficiari dell’agevolazione); né l’ambito oggettivo dell’aiuto, ma sostanzialmente modifica i criteri di riparto del beneficio. Il Tribunale adito, con sentenza n. 8482 del 26 luglio 2018, rigettava il ricorso rilevando come il D.M. gravato non avesse introdotto un nuovo aiuto di Stato, ma si fosse limitato a rideterminarne taluni coefficienti: in altre parole, i giudici di prime cure hanno ritenuto che, in esecuzione delle predette pronunce del Supremo Consesso, il riesercizio del potere regolamentare da parte dell’Amministrazione fosse pienamente legittimo, e tale da colmare il vuoto normativo che altrimenti sarebbe derivato dall’annullamento dei criteri operato in sede giurisdizionale. La sentenza veniva appellata innanzi al Consiglio di Stato, il quale, con l’ordinanza n. 8299/2019, in considerazione del monopolio interpretativo del diritto eurounitario, ha sospeso il giudizio disponendo il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFue alla Corte di Giustizia dell’unione Europea, affinché sia questa a stabilire se il decreto ministeriale per cui è causa costituisce o meno aiuto di Stato, in quanto tale soggetto all’onere di previa notifica alla Commissione europea. Per un’ottimale comprensione della pronuncia in commento si rende necessaria una breve esposizione della disciplina degli aiuti di Stato, ponendo l’accento sui rapporti tra la Commissione Europea e gli Stati Membri, con particolare riferimento al ruolo delle Autorità Giudiziarie nazionali in presenza di aiuti illegittimi. 2. la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato. La disciplina comunitaria degli aiuti di Stato si riconduce nell’alveo del- l’art. 3 lett. b) TFuE, in forza del quale l’unione Europea ha competenza esclusiva nella “definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno”. Dunque, tale disciplina costituisce uno dei pilastri del funzionamento del mercato europeo, poiché finalizzata ad una migliore allocazione delle risorse pubbliche ed alla parità di trattamento delle imprese. Il paradigma normativo di riferimento è dato dagli articoli 107, 108 e 109 TFuE, cui si aggiungono le disposizioni che estrinsecano i principi della materia ai settori nevralgici del mercato unico: art. 42 (in materia di produzione e commercializzazione di prodotti agricoli), art. 93 (in materia di trasporti) e art. 106 (in tema di Servizi di interesse economico generale, c.d. SIEG) dello stesso Trattato. A mente dell’art. 107 par. 1 TFuE, l’aiuto di stato può essere definito come una agevolazione, sotto qualsiasi forma, concessa senza corrispettivo dallo Stato (in senso lato: nel senso di risorse statali) ad un numero determinato di soggetti che svolgono attività economica su un determinato mercato, con RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 ferendo loro un vantaggio in grado di incidere sugli scambi interni, quindi di falsare o minacciare di falsare la concorrenza. L’agevolazione de qua non necessariamente deve sostanziarsi in una prestazione positiva, ben potendo trattarsi anche di rinunce dello Stato ad un introito, quali aiuti indiretti, agevolazioni fiscali e altri strumenti che comunque alleviano gli oneri dell’impresa (2). Da tale sommaria definizione è possibile enucleare i criteri che devono sussistere cumulativamente per poter qualificare una misura come aiuto di Stato: provenienza pubblica del beneficio (state origin,o imputability); esistenza di un vantaggio economicamente apprezzabile per l’impresa, derivante dalla gratuità dell’intervento statale (advantage); selettività delle imprese beneficiarie (selectivity) (3); pregiudizio agli scambi tra gli Stati Membri e alla concorrenza. Per giurisprudenza comunitaria costante (4), gli aiuti non vengono distinti a seconda della loro causa o degli scopi perseguiti, bensì solo in funzione dei loro effetti (c.d. principio dell’irrilevanza dei motivi): in altre parole, lo scopo degli interventi non vale a sottrarli alla loro qualificazione come aiuti, rilevando, a tale fine, non già la ragione che ha indotto lo Stato membro ad adottare la misura, bensì l’effetto che la stessa produce sulla concorrenza e sul commercio intraeuropeo. Orbene, l’art. 107 TFuE, da cui deriva la definizione appena sviscerata, pone il generale principio di incompatibilità con il mercato interno (i.e.: divieto) degli aiuti concessi dagli Stati, ad eccezion fatta di quegli aiuti che, in deroga a tale generale principio, vengono dichiarati compatibili con il mercato interno dalla Commissione. Il controllo della Commissione, dunque, rappresenta il perno della disciplina degli aiuti di Stato: solo un organo indipendente, infatti, è in grado di valutare i danni causati al funzionamento del mercato comune dagli aiuti pubblici degli Stati membri, operando in modo da canalizzare l’intervento pubblico verso obiettivi compatibili con gli interessi comunitari. Per completezza, si aggiunge che il controllo della Commissione si estende anche agli aiuti provenienti da Paesi extraeuropei in forza di quanto disposto dall’ordinamento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: nel (2) In proposito, si consideri, ex multis, la sentenza CGuE, Seydaland, 16 dicembre 2010, C239/ 09, con la quale la CGuE così argomenta: “la nozione di aiuto non comprende soltanto prestazioni positive, come sovvenzioni, prestiti o assunzione di partecipazione al capitale delle imprese, ma anche interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che di regola gravano sul bilancio di un’impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, hanno la stessa natura e producono identici effetti”. (3) Può esservi una selettività materiale, che fa riferimento a taluni settori economici, o una selettività geografica, che circoscrive il beneficio ad una parte del territorio dello Stato (è il caso degli aiuti regionali). (4) Cfr., ex plurimis, sent. 3m italia Spa, 29 marzo 2012, C-417/10; british aggregates, 22 dicembre 2008, C-487/06. CONTENzIOSO NAzIONALE caso in cui tali aiuti siano ritenuti incompatibili, la Commissione agisce innanzi agli organi dell’Organizzazione stessa (panels e appellate bodies), i quali possono dichiarare gli aiuti incompatibili con le norme OMC (5). Per altro verso, vi sono casi in cui non è previsto alcun controllo della Commissione, ma gli aiuti si intendono senz’altro compatibili: è il caso del c.d. principio de minimis; delle c.d. esenzioni di categoria, nonché delle deroghe di cui all’art. 107 par. 2 TFue. Il principio de minimis è il logico corollario del requisito del pregiudizio alla concorrenza e agli scambi tra gli Stati: come si evince dalla lettera dell’art. 107 TFuE, è agevole intuire che la valutazione di compatibilità con il mercato dell’unione, evidentemente, perde la sua ragion d’essere con riguardo agli aiuti che non abbiano un impatto sensibile sulla concorrenza (6). Le esenzioni di categoria, invece, sono stabilite dalla stessa Commissione, la quale, ai sensi dell’art. 109 TFuE, può adottare appositi regolamenti che dichiarino compatibili determinate categorie di aiuti. Ancora, il legislatore comunitario ha previsto un sistema di presunzione di compatibilità, che si snoda in una duplice direzione: da un lato, l’art. 107 par. 2 TFuE prevede delle deroghe che operano de jure, ossia aiuti che si considerano sempre compatibili (quali gli aiuti a carattere sociale per i consumatori, o quelli concessi a fronte di calamità naturali); dall’altro, vi sono le deroghe di carattere discrezionale (di cui all’art. 107 par. 3 TFuE), rimesse appunto alla valutazione della Commissione. Nella prassi della Commissione si possono individuare ormai dei veri e propri criteri che orientano la valutazione, i c.d. principi di compatibilità, tra cui, in particolare, spiccano il principio della trasparenza e il principio della contropartita. Il principio della trasparenza è connesso con gli obblighi informativi posti a carico degli Stati, ed impone di effettuare la valutazione alla luce di tutti gli elementi indicati dallo Stato membro; il principio della contropartita, invece, impone di bilanciare l’interesse nazionale con l’interesse europeo: in particolare, l’aiuto potrà ritenersi compatibile quando non sia possibile realizzare diversamente l’obiettivo comune in funzione del quale è stabilita la deroga. L’art. 108 TFuE pone in capo allo Stato membro l’obbligo di notifica alla Commissione dell’aiuto di Stato che si intende erogare, onde consentire il preventivo controllo di compatibilità con il mercato interno. Nelle more, prima che la Commissione dichiari l’aiuto compatibile, lo Stato membro non può dargli esecuzione o erogarlo (c.d. clausola sospensiva o stand still). (5) È quanto avvenuto, ad esempio, nel caso degli aiuti DS 353 concessi alla boing dalla NASA e dal Ministero americano della Difesa (la Commissione vinse anche in appello). (6) Ad esempio, in materia di aiuti di durata triennali, si considerano de minimis gli aiuti di importo inferiore a 200.000 €. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 La disposizione in parola ha effetto diretto: essa, cioè, è idonea a creare direttamente diritti e obblighi in capo ai singoli; sicché la sua violazione può essere sollevata dinanzi ai Tribunali nazionali, i quali, quindi, ben potranno impedire di mettere in atto la misura illegittima perché non notificata. Dunque, si può osservare che il legislatore comunitario ha previsto sostanzialmente un rapporto esclusivo tra la Commissione e lo Stato, ma attribuendo ai soggetti concorrenti, beneficiari e non, il ruolo indiretto di fonte di informazioni, che si estrinseca nel potere di presentare denunce alla Commissione, o di adire i Tribunali nazionali. La Corte di Giustizia ha stabilito che non possono ricevere nuovi aiuti di Stato le imprese già beneficiarie che non siano in regola con gli obblighi di restituzione: si tratta della c.d. regola deggendorf (7), codificata in Italia dal- l’art. 46 della L. n. 234/2012. verificare il rispetto di tale regola compete alle amministrazioni concedenti. Oltre che il controllo ex ante sugli aiuti nuovi, la Commissione esercita altresì un esame permanente degli aiuti esistenti, già regolarmente notificati e autorizzati, che si basa da un lato, su di un sistema di Relazioni annuali degli Stati Membri, dall’altro, sulle denunce e segnalazioni da parte delle imprese che ritengono di essere state svantaggiate dalle erogazioni concesse ai concorrenti. All’esito della procedura di controllo (8), la Commissione può adottare una decisione positiva o negativa, dichiarando, rispettivamente, l’aiuto compatibile o incompatibile con il mercato interno, nonché una decisione condizionale, dichiarando il provvedimento compatibile con il mercato interno e quindi attuabile a condizione che lo Stato interessato adotti determinate misure. Nel caso in cui, pur intervenendo la decisione negativa, la misura fosse stata già precedentemente irrogata, il beneficiario è tenuto alla sua restituzione (salva impossibilità di cui si dirà infra), pena l’apertura di una procedura di infrazione di cui all’art. 258 TFuE. Dal punto di vista del diritto nazionale, si evidenzia altresì che la violazione delle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato è suscettibile di integrare una violazione dell’art. 2598 c.c., in tema di concorrenza sleale (9). (7) Il nome deriva dalla sentenza della CGuE che ha posto tale principio: sent. 15 maggio 1997, C-355/95 P, deggendorf gmbH e a. c. Commissione e altri. (8) La procedura di controllo della Commissione consta di due fasi: la prima fase (indagine preliminare) consiste in un esame preliminare e sommario che deve esaurirsi entro 2 mesi dalla notifica, decorsi i quali l’aiuto si intende implicitamente autorizzato, e sarà sottoposto al regime degli aiuti esistenti. All’esito della prima fase, se l’aiuto è risultato manifestamente compatibile, la Commissione adotta una decisione senza sollevare obiezioni, altrimenti, avvia con decisione l’indagine formale, che deve concludersi nei successivi 18 mesi. (9) In particolare, ci si riferisce all’art. 2598 co. 1 n. 3) c.c. a tenore del quale “compie atti di concorrenza sleale chi … si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. CONTENzIOSO NAzIONALE In particolare, rileva in questa sede la sorte degli aiuti di Stato adottati in violazione dell’obbligo di notificazione alla Commissione. 2.1. (segue) gli aiuti di Stato non notificati alla Commissione. Gli aiuti di Stato non notificati alla Commissione in violazione dell’art. 108 TFuE non sono considerati di per sé incompatibili con il diritto comunitario, ma, al contrario, nel caso in cui la Commissione venga a conoscenza di un aiuto non notificato, deve comunque procedere alla verifica della sua compatibilità, adottando, se ritiene, nelle more della procedura, una decisione di recupero provvisorio, ed ingiungendo lo Stato inadempiente a sospendere l’aiuto de quo e a trasmettere tutta la documentazione necessaria all’esame. La verifica deve essere effettuata conformemente ai testi normativi in vigore all’epoca in cui l’aiuto è stato concesso. Molto spesso la Commissione viene a conoscenza di tali aiuti non notificati grazie alle denunce presentate da soggetti interessati (normalmente: concorrenti delle imprese beneficiarie) (10). Dalla decisione di incompatibilità deriva l’obbligo per lo Stato di procedere alla sospensione delle erogazioni ancora in corso e al recupero (immediato) (11) delle somme illegittimamente erogate, con tanto di interessi (efficacia ex tunc). Non sussiste l’obbligo di recupero solo in caso di impossibilità assoluta, con ciò intendendo -come ha chiarito la stessa Commissione (12) -l’assenza di qualsiasi bene da pignorare/recuperare, o la prescrizione decennale (13). Al contrario, la decisione di incompatibilità della Commissione avente ad oggetto un aiuto esistente non comporta l’obbligo di recupero di quanto già erogato sino all’apertura della procedura formale di controllo (efficacia ex nunc). La decisione di recupero della Commissione può essere contestata solo innanzi ai giudici comunitari, non già davanti ai Tribunali nazionali. Se lo Stato non applica la decisione, la Commissione può citarlo innanzi alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 108 par. 2 TFuE (14); se l’inadem (10) La Commissione si impegna ad esaminare le denunce entro 12 mesi dal loro ricevimento; in caso di ritardo l’interessato può rivolgersi all’ombudsman. (11) vi sono due termini: entro 2 mesi dall’entrata in vigore della decisione lo Stato dovrà informare la Commissione delle misure adottate o previste; entro i successivi 2 mesi (dunque 4 mesi in totale dalla decisione) lo Stato dovrà eseguire la decisione stessa, salvo proroga concessa dalla Commissione per giustificazioni oggettive (cfr. Comunicazione relativa all’effettiva applicazione delle decisioni di recupero di aiuti illegali e incompatibili, in GuuE del 15 novembre 2007, par. 43). (12) ibidem. (13) Sul punto, appare interessante richiamare la decisione 19 dicembre 2012, SA 20829, sul regime fiscale dell’ICI a favore degli enti ecclesiastici e delle società sportive dilettantistiche, con cui la Commissione ha rinunciato al recupero in quanto le Autorità italiane avevano dimostrato l’impossibilità di identificare i beneficiari degli aiuti in questione e di calcolare oggettivamente l’aiuto stesso per la mancanza di dati, di talché un’ingiunzione di recupero sarebbe risultata impossibile in termini oggettivi e assoluti. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 pienza persiste la Commissione può emettere un parere motivato e, successivamente, potrà richiedere alla CGuE l’irrogazione di una penale, quantificata in base alla gravità e alla durata della violazione e all’effetto deterrente. La mancata attività di recupero coattivo degli aiuti dichiarati incompatibili già erogati può portare la Commissione ad attivare la procedura di infrazione di cui all’art. 258 TFuE. Lo Stato Italiano, ai sensi dell’art. 43 della L. n. 234/2012, ha diritto di rivalsa nei confronti degli enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’unione Europea. Sul punto, si segnala che recentemente la v sezione del Consiglio di Stato, con sentenza numero 4962 del 15 luglio 2019, ha chiarito -richiamando diversi precedenti della Corte di Giustizia (15) -che la valutazione di compatibilità espressa dalla Commissione a sanatoria in un periodo successivo può comportare effetti nei rapporti tra lo Stato e la Comunità europea, la quale eventualmente può rinunciare alla comminatoria di ulteriori sanzioni nei confronti dello Stato inadempiente, ma non vale a sanare, con effetto ex tunc, l’illegittimità del beneficio attribuito in base a una normativa e ad atti preventivamente notificati alla Commissione stessa, in quanto la decisione della Commissione ha carattere costitutivo del beneficio. Il Supremo Consesso ha osservato che tale interpretazione risponde anche ad una logica deterrente e antielusiva: diversamente le norme europee sarebbero sostanzialmente prive di efficacia. Ancora, sembra opportuno richiamare un altro rinvio pregiudiziale alla CGuE in subiecta materia proveniente dall’Autorità Giudiziaria italiana: il Tar Sardegna, sezione I, con ordinanza n. 353 del 17 aprile 2019, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per stabilire se il recupero degli aiuti di stato attuati in violazione della c.d. decisione condizionale possa essere deciso autonomamente dal singolo Stato membro, ovvero se occorra pur sempre una preliminare decisione di recupero della Commissione; stesso dicasi al fine di stabilire il tasso di interesse da applicare. 3. il ruolo dei giudici nazionali. Come si è in parte accennato, anche i giudici nazionali giocano un ruolo essenziale nell’applicazione della disciplina in materia di aiuti di Stato, ed infatti: “al pari della Commissione, i giudici nazionali possono interpretare la nozione di aiuto di Stato” (16). (14) Ad esempio, è quanto avvenuto al nostro Paese pochi anni fa: con sent. 6 ottobre 2011, su ricorso della Commissione, la CGuE ha dichiarato l’Italia inottemperante alla decisione del 25 novembre 1999 della Commissione che le ordinava il recupero degli aiuti di Stato illegali e incompatibili concessi a talune imprese site a venezia e Chioggia. (15) CGuE sent. 21 novembre 1991, C-354/90, FnCe c. Stato Francese; sent. 5 ottobre 2006, C-368/04; Transalpine olletung in osterreich gmbH e altri c. Finanzlanesdirektion fur Tirol e altri. (16) Cfr. Comunicazione della Commissione cit., § 2.1.1., punto 10. CONTENzIOSO NAzIONALE Nell’ambito dei diversi compiti attribuiti alla Commissione e ai giudici nazionali, viene in rilievo la distinzione tra illegalità e incompatibilità del- l’aiuto. Come si è detto, in forza dell’effetto diretto delle predette disposizioni del Trattato, le Autorità giudiziarie nazionali sono chiamate a tutelare i diritti dei singoli lesi dall’esecuzione illegale dell’aiuto derivante dalla mancata notifica alla Commissione dell’aiuto stesso, ovvero dalla violazione della clausola di standstill (17), la quale, parimenti, fa sorgere direttamente diritti individuali azionabili in capo agli interessati (18). Più precisamente, in Italia, la L. n. 234/2012, per le controversie in materia di aiuti di Stato, prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 49); precisando che avverso i provvedimenti adottati in violazione dell’art. 108 par. 3 TFuE è possibile proporre ricorso innanzi al Tar competente per territorio (art. 50). In particolare, i giudici nazionali possono disporre: la sospensione del pagamento dell’aiuto illegale; il recupero dell’aiuto illegale; il recupero degli interessi dovuti per la durata dell’aiuto stesso; il risarcimento dei danni a concorrenti e a terzi interessati; l’adozione di misure provvisorie contro gli aiuti illegali. Il giudice nazionale è tenuto ad ordinare il recupero integrale dell’aiuto che risulti illegale -indipendentemente dalla sua compatibilità -ordinando contestualmente il recupero degli interessi dal momento in cui la somma è stata messa a disposizione del beneficiario. La mancata emanazione da parte del giudice di un ordine di recupero può essere giustificata solo dalla sussistenza di un “fatto specifico e concreto [che] abbia suscitato legittime aspettative da parte del beneficiario” (19). Preme rammentare che l’ordine di recupero del giudice nazionale -garantito dagli strumenti giuridici dell’ordinamento interno -assicura una certa celerità, quando invece gli esiti di una denuncia alla Commissione sono ben più lenti ed incerti, atteso che la Commissione dovrà in ogni caso procedere alla verifica della compatibilità dell’aiuto di Stato illegalmente erogato, mentre il giudice nazionale compie una valutazione circoscritta alla mera legalità dello stesso (20). Non è escluso che le due procedure si sovrappongano: in tal caso l’obbligo del giudice di ordinare il recupero dell’aiuto di Stato illegale viene meno nel momento in cui la Commissione dichiari l’aiuto compatibile con il mercato interno. (17) Cfr. Comunicazione della Commissione cit., § 2.1.3., punto 21, lett. a). (18) Cfr. Comunicazione della Commissione cit., § 2.2., punto 24. (19) Cfr. Comunicazione della Commissione cit., § 2.2.1., punti 28-34. (20) Da ultimo, Trib. Salerno sez. lav., 17 luglio 2019, n. 1693 ha ribadito che i giudici nazionali non sono competenti a statuire sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato unico europeo. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Ciò che non viene meno, invece, anche in tale ipotesi, è l’obbligo di disporre il recupero degli interessi relativamente alla durata della violazione (21). Inoltre, il giudice nazionale è chiamato a pronunciarsi sulle domande di risarcimento danni intentate contro l’Autorità che ha emanato l’aiuto di Stato (22). Orbene, tali azioni si rivelano particolarmente proficue per il ricorrente/concorrente del beneficiario, poiché consentono di ottenere una compensazione finanziaria diretta per la perdita subita. Esse dipendono dal- l’ordinamento giuridico nazionale, non vi sono basi giuridiche comunitarie, sicché le tutele variano considerevolmente tra gli Stati membri. È possibile chiedere il risarcimento dei danni non solo a fronte di un aiuto incompatibile, ma anche a fronte di un aiuto meramente illegale; con ciò comprendendosi altresì le violazioni della clausola sospensiva. Infatti, il diritto al risarcimento dei danni sorge anche in relazione al semplice vantaggio temporale goduto dal beneficiario di un aiuto illegale (ancorché poi scoperto, esaminato ed approvato dalla Commissione prima della sentenza del giudice nazionale) secondo il solco tracciato dalle sentenze Francovich e brasserie du pecheur, a tenore delle quali, com’è noto, gli Stati membri sono tenuti a compensare le perdite e i danni agli individui causati da violazioni del diritto comunitario di cui siano responsabili. Tale responsabilità sussiste ricorrendo congiuntamente i seguenti presupposti: la legge violata conferisca diritti agli individui; la violazione sia sufficientemente grave; esista un nesso di causalità diretta tra la violazione dell’obbligo che incombe sullo Stato e i danni subiti dalle parti lese. Nella materia in esame tali presupposti sono integrati in quanto: l’art. 108 par. 3 TFuE è pacificamente invocabile dagli individui, come si è ripetutamente affermato; la sua violazione è da considerarsi sufficientemente grave poiché l’obbligo di notifica risponde altresì ad esigenze di certezza del diritto. Anche le misure provvisorie adottate dal giudice nazionale possono rivelarsi particolarmente utili, nei casi di aiuti appena versati o di imminente erogazione. Ad esempio, in caso di parallela pendenza della procedura amministrativa innanzi alla Commissione, il giudice nazionale potrà ordinare il versamento dei fondi in questione su un conto bloccato in attesa dell’esito della valutazione di compatibilità della Commissione: dunque in caso di decisione negativa, il giudice ordinerà la restituzione delle somme; in caso di decisione positiva ordinerà il trasferimento dei fondi stessi al beneficiario, fermo restando però il recupero degli interessi. I giudici nazionali possono disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di (21) Infatti, se l’aiuto fosse stato notificato il pagamento sarebbe avvenuto successivamente, sicché il beneficiario sarebbe stato verosimilmente costretto a reperire i fondi sul mercato dei capitali, pagando gli interessi al tasso di mercato. (22) v. Comunicazione della Commissione cit., § 2.2.4. CONTENzIOSO NAzIONALE giustizia ex art. 267 TFuE, ovvero possono anche chiedere alla Commissione semplici pareri, relativamente a questioni dubbie di fatto o di diritto, emerse nel corso del procedimento (quali, ad esempio, la natura d’aiuto di una misura, ovvero l’applicabilità di un regolamento di esenzione). Da ultimo, si evidenzia che il giudice nazionale può altresì sospendere un provvedimento amministrativo di recupero dell’aiuto (quale misura cautelare) solo se nutra seri dubbi sulla validità dell’atto della Commissione e se provveda all’immediato rinvio pregiudiziale alla CGuE, sempre che l’impresa ricorrente rischi seri ed irreparabili danni. Infatti, è pur vero che l’annullamento di un atto amministrativo di esecuzione di un ordine di recupero di aiuti di Stato contrasta con l’esigenza di esecuzione immediata ed effettiva del- l’aiuto stesso, ma, nondimeno, la Commissione ha evidenziato come il controllo svolto dal giudice nazionale sulla legittimità di un atto amministrativo diretto a recuperare l’aiuto incompatibile sia in linea con il principio europeo della tutela giurisdizionale effettiva (23). 4. mera ridistribuzione di un aiuto di Stato: quid iuris? Dalla qualificazione da parte della Corte di Giustizia adita del provvedimento impugnato come nuovo aiuto di Stato discenderebbe l’illegalità insanabile dello stesso, con tutte le conseguenze sopra esposte. In conclusione, delineata la disciplina applicabile alla vicenda in esame, giova ancora focalizzare l’attenzione su due aspetti, sui quali la sentenza in commento non prende una netta posizione. Nel procedimento in parola si inserisce un’ulteriore circostanza che potrebbe rivelarsi non indifferente: dalla documentazione versata in atti è emerso che la Commissione Europea aveva aperto un’indagine sul D.M. 37/2015, su richiesta di una parte privata che sosteneva la medesima tesi del ricorrente. Nell’ambito di tale indagine la Commissione inviava rituale richiesta di informazioni al Ministero concedente, il quale, con apposita documentazione, spiegava la medesima tesi esposta nel giudizio in commento. Da ciò si deduce, quindi, come la Commissione fosse certamente a conoscenza dell’esistenza e del tenore del D.M. gravato, e ciò potrebbe indurre a ritenere che se la Commissione avesse ravvisato nel decreto un nuovo aiuto di Stato, avrebbe avviato le misure volte al ripristino della legalità, il che, allo stato, non pare sia avvenuto. Soprattutto, l’aspetto da chiarire, che potrebbe rivelarsi dirimente, è quello di stabilire se davvero -come sostenuto dall’appellante -debba essere preventivamente comunicata alla Commissione qualunque modifica dell’aiuto di Stato: risolvendo in senso positivo tale questione -per come genericamente (23) Cfr. CGuE sent. 11 maggio 2011 C-305/2009, Commissione c. repubblica italiana, punti 43-48. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 dedotto dal ricorrente -diverrebbe del tutto irrilevante il ‘calibro’ dell’intervento concretamente realizzato dal decreto de quo. A ben vedere, non esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale in tal senso, atteso che, come rilevato dal Collegio, i precedenti richiamati dallo stesso appellante (24) si riferiscono ad atti costitutivi degli aiuti o estensivi degli stessi a nuove categorie di beneficiari, tipologia che non appare sovrapponibile al provvedimento su cui si controverte, la cui peculiarità consiste -si ribadisce -nell’essersi limitato, in esecuzione di un giudicato, a rideterminare, ora per allora, i criteri di assegnazione di un aiuto di Stato, dunque incidendo sulle mere modalità applicative dell’aiuto, senza estendere il profilo soggettivo o oggettivo, né la durata temporale dello stesso. Consiglio di stato, sezione Quarta, ordinanza 4 dicembre 2019 n. 8229 -pres. A. Anastasi, est. G. Castiglia -Eco Fox s.r.l. (avv.ti G. Bonaccio, S. Cortiglioni, M.E. Cortiglioni) c. Fallimento Mythen s.p.a. (avv. O. Grandinetti), Ministero dell’Eonomia e delle Finanze + altri (avv. gen. Stato). premessa. 1. Con successivi provvedimenti legislativi lo Stato italiano, per agevolare l’avviamento di un mercato nazionale del biodiesel, ha disposto tre diversi programmi di interventi di durata pluriennale. 2. Questi hanno ricevuto l’approvazione preventiva della Commissione uE, necessaria per trattarsi di aiuti di Stato. 3. In attuazione dell’art. 21 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 e delle sue successive modificazioni e poi dell’art. 22 bis, il Ministero dell’economia e delle finanze ha adottato con propri decreti i regolamenti recanti le modalità di applicazione dell'accisa agevolata sul prodotto. 4. Con sentenze 16 febbraio 2012, n. 812, e 28 febbraio 2012, n. 1120, la Iv sezione del Consiglio di Stato ha annullato, rispettivamente, l’art. 4, comma 2, del d.m. n. 256/2003, e l’art. 3, comma 4, del d.m. n. 156/2008. Le disposizioni annullate riguardavano entrambe i criteri di assegnazione ai produttori di biodiesel dei quantitativi di prodotto esenti dall'accisa. 5. È seguita una sentenza di ottemperanza (sez. Iv, 4 marzo 2014, n. 998). 6. Con decreto ministeriale 17 febbraio 2015, n. 37, il MEF ha adottato un nuovo regolamento, con il quale ha riformulato le disposizioni annullate. il giudizio di primo grado. 7. La società Eco Fox s.r.l. ha impugnato il d.m. n. 37/2015. 8. Con sentenza 26 luglio 2018, n. 8482, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II, respinta un’istanza di riunione con altri giudizi, ha del pari respinto il ricorso, compensando fra le parti le spese di giudizio. Con riguardo agli undici motivi di doglianza, intesi a censurare sotto molteplici profili la vio( 24) Corte di Gustizia, G.C., 27 giugno 2017, C-74/16; Trib. I grado, sez. vIII, 11 giugno 2009, T-301/02. CONTENzIOSO NAzIONALE lazione di legge (nazionale ed euro-unitaria) e l’eccesso di potere, il Tribunale regionale ha ritenuto non sussistere: I) la violazione delle garanzie partecipative nell’emanazione del regolamento (e in specie dell’art. 7 della legge n. 241/1990). Queste andrebbero interpretate in modo non formalistico; la ricorrente sarebbe stata comunque al corrente del procedimento, resosi necessario a seguito delle sentenze -pronunziate all’esito di giudizi cui la ricorrente stessa avrebbe partecipato come controinteressata -di parziale annullamento dei precedenti regolamenti ministeriali in materia, adottati con d.m. n. 256/2003 e n. 156/2008 (Cons. Stato, sez. Iv, n. 812/2012 e n. 1120/2012), nonché della sentenza di ottemperanza n. 998/2014, con la quale la Iv sezione del Consiglio di Stato ha ordinato all'Amministrazione di dare esecuzione alle sentenze richiamate; il riesercizio del potere regolamentare sarebbe vincolato nell’an; II) il difetto di attribuzione dell’organo dello Stato (MEF) ad adottare un aiuto di Stato, rientrante invece nelle attribuzioni della Commissione uE o, comunque la mancata previa notifica agli organi sovranazionali competenti a stabilire la compatibilità dell’aiuto con la disciplina euro-unitaria. Il d.m. n. 37/2015 non istituirebbe un nuovo programma di aiuti di Stato ma, senza modificarne la durata, disporrebbe ora per allora nuovi criteri in sostituzione di quelli annullati dal giudice nazionale. Il TAR ha anche respinto la domanda di rinvio pregiudiziale alla CGuE, articolata dalla parte su tre distinte questioni; III) la violazione del giudicato per errata interpretazione o applicazione delle sentenze del Consiglio di Stato n. 812/2012 e n. 1120/2012 e la violazione dell’art. 2909 c.c., nel senso che non vi sarebbe un giudicato cui prestare ottemperanza perché il giudizio di compatibilità comunitaria degli aiuti di Stato sarebbe riservato agli organi euro-unitari e nessun vincolo potrebbe derivare dalle decisioni dei giudici nazionali. Dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione 10 settembre 2013, n. 20698 -resa su ricorso con il quale era stato denunziato l’eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato ai danni del legislatore deriverebbe la riaffermazione della piena giurisdizione del GA e l’effetto di cosa giudicata proprio delle sentenze ricordate; l’attività provvedimentale si conformerebbe ai giudicati, come anche risulterebbe dalle premesse del decreto impugnato; Iv) in via subordinata al riconoscimento della valenza di giudicato, la violazione e falsa applicazione delle sentenze n. 812/2012 e n. 1120/2012 e la violazione di legge sotto diversi profili, nel senso che il d.m. n. 37/2015 avrebbe reintrodotto un aiuto di Stato a termini scaduti senza la previa notifica ai competenti organi dell’uE. Come detto, le disposizioni impugnate non avrebbero stabilito un programma di aiuti di Stato, ma rideterminato, ora per allora, alcuni coefficienti di assegnazione delle quote di biodiesel fiscalmente agevolato a seguito dell’annullamento dei criteri precedenti; v) nella medesima via subordinata, il vizio di ultrapetizione rispetto alle sentenze citate, nella misura in cui il nuovo regolamento attribuirebbe alla controinteressata un beneficio maggiore di quello dalla stessa rivendicato sul piano sostanziale. Le sentenze del Consiglio di Stato sarebbero chiare nel disporre una riedizione del potere regolamentare per riconoscere, ora per allora, una diversa quantificazione del biodiesel sottoposto ad aliquota agevolata e non -come invece sostenuto - un risarcimento in forma specifica; vI) la violazione del principio di legalità, dell’art. 11 delle preleggi, del principio del buon andamento della PA, nonché il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, a seguito della violazione della regola della irretroattività dell’azione amministrativa, che troverebbe applicazione anche per le fonti regolamentari, per avere il nuovo regolamento disposto non il solo risarcimento per equivalente a favore del soggetto vittorioso nei due giudizi, ma riaperto in RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 tegralmente i termini per la riassegnazione di tutte le esenzioni. Al di fuori dell’ambito penale, il principio di non retroattività non avrebbe carattere assoluto e, in materia tributaria, deroghe sarebbero costituzionalmente legittime in quanto non irrazionali, proporzionate e giustificate dall’esigenza di salvaguardare le finanze statali. Annullate con efficacia ex tunc le disposizioni previgenti, il riesercizio del potere regolamentare non avrebbe potuto non determinare una rideterminazione delle quote agevolate già assegnate. Il decorso del termine di prescrizione per le assegnazioni già effettuate sarebbe stato interrotto dai numerosi giudizi in cui la ricorrente avrebbe preso parte come parte formale e dagli atti adottati dall’Agenzia delle dogane per il recupero dell’imposta, oggetto di contenzioso avviato dalla medesima società; vII) la lesione dell’affidamento nei confronti dei provvedimenti con cui erano state assegnate le quote di biodiesel agevolato sulla base dei criteri poi annullati. La tutela del legittimo affidamento richiederebbe, oltre la buona fede di chi lo invoca, una situazione di certezza giuridica della disciplina vigente, laddove i decreti ministeriali succedutisi nel tempo sarebbero stati oggetto di plurimi contenziosi, cui la ricorrente avrebbe partecipato. Inoltre nessun legittimo affidamento potrebbe scaturire da atti amministrativi annullati con sentenza passata in giudicato, con le quali il GA avrebbe ordinato all’Amministrazione di provvedere nuovamente; vIII) la violazione del parere espresso dalla Sezione consultiva degli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza del 27 marzo 2014 (l’ultima memoria depositata si riferirebbe invece ai pareri 26 marzo 2004, n. 2680, e 20 dicembre 2004, n. 11602), che avrebbe rilevato la mancata allegazione al testo dell’analisi tecnico normativa (ATN) e dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), e mancata notifica alla Commissione uE. In disparte tale profilo, esaminato e respinto sub II), e il richiamo ai pareri del 2004, cronologicamente inconferenti, le omissioni rilevate sarebbero sintomatiche di una istruttoria non ottimale, ma non potrebbero determinare il vizio di un atto con la caratteristica della novella di testi precedenti, emanato a seguito di numerosi giudicati amministrativi; IX) la riproposizione dei criteri del regolamento annullato, con l’unica differenza di avere riaperto i termini per la concessione del beneficio, e X) l’effetto distorsivo della concorrenza prodotto dal riferimento ai dati storici della produzione, vale a dire a un parametro risultante non dalla logica di libero mercato, ma dai precedenti programmi di aiuto annullati dal GA. I criteri in questione (quantità di biodiesel immessa al consumo nell’anno precedente e capacità produttiva) non sarebbero stati di per sé ritenuti irragionevoli dal Consiglio di Stato, che nel regolamento del 2003 avrebbe censurato la loro modulazione (nella misura rispettiva dello 0,6 e dello 0,4) e la doppia valutazione del grado di utilizzo, con conseguente peso eccessivo del dato storico della produzione immessa al consumo. I regolamenti successivi, e in particolare quello impugnato, avrebbero posto rimedio alla illegittimità (da ultimo, entrambi i parametri sarebbero dello 0,5), nel non irragionevole intento di porre sullo stesso piano le imprese capaci da subito di immettere nel mercato il biocarburante con quelle dotate di rilevante capacità produttiva. Come già detto, sarebbe infondata l’assunto della riapertura dei termini per la concessione dell’aiuto; XI) l’invalidità derivata rispetto alle note con cui il MEF ha richiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine al regolamento. Il motivo sarebbe inammissibile perché oscuro e generico. il giudizio di appello. 9. La società ricorrente ha interposto appello avverso la sentenza, ribadendo la tesi di fondo che il d.m. n. 37/2015 disporrebbe un nuovo aiuto di Stato con efficacia di proroga di quello annullato e, nello specifico, formulando otto motivi di ricorso. Per resistere all’appello, si sono costituiti in giudizio l’Amministrazione delle finanze e altre CONTENzIOSO NAzIONALE Amministrazioni dello Stato, nonché il Fallimento Mythen s.p.a., (d’ora in poi: il Fallimento), il quale considera il ricorso in parte inammissibile e in toto comunque infondato nel merito. In vista dell’udienza pubblica di discussione, la società appellante ha depositato una memoria. All’udienza pubblica del 15 maggio 2019 il Fallimento ha depositato copia della sentenza n. 5749/2019 resa dal TAR per il Lazio, II sezione, che ha ordinato all’Agenzia delle entrate e dei monopoli di provvedere, in applicazione del d.m. n. 37/2015 qui impugnato, alla rideterminazione delle quote fiscalmente agevolate di biodiesel spettanti alla ricorrente per le annualità 2006-2020. 10. Con ordinanza 21 maggio 2019, n. 3242, la Sezione ha disposto istruttoria per “acquisire dall’Amministrazione una relazione che dia conto del se, e in quali tempi, i regolamenti adottati con i decreti ministeriali 25 luglio 2003, n. 256, e 3 settembre 2008, n. 156, siano stati notificati ai competenti Organi dell’unione europea, nonché, sotto il profilo di specie, di ogni altro elemento utile alla decisone”. Il MEF ha depositato una relazione corredata di alcuni allegati. 11. Le parti hanno discusso i risultati dell’acquisizione istruttoria, traendone conclusioni opposte. Il Fallimento osserva che dalla relazione dimostrerebbe la conoscenza, da parte della Commissione europea, dell’esistenza e del contenuto del d.m. n. 37/2015 per avere aperto un’indagine sull’asserito aiuto illegale su richiesta di una parte privata, che avrebbe prospettato la medesima tesi ora sostenuta nel corso del presente giudizio. Se avesse ritenuto che il regolamento impugnato costituisse un aiuto di Stato non autorizzato, la Commissione avrebbe adottato le misure necessarie al ripristino della legalità euro-unitaria violata. La società appellante rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dalle controparti, i precedenti regolamenti sarebbero stati notificati ai competenti Organi dell’unione, cosicché anche l’impugnato d.m. n. 37/2015 avrebbe dovuto essere oggetto di notifica in diretta applicazione della pertinente normativa euro-unitaria. Ne chiede dunque l’annullamento o la disapplicazione. Le parti si sono scambiate memorie di replica. Quanto alla tesi sviluppata dal resistente circa la conoscenza da parte della Commissione dell’esistenza e del contenuto dell’atto impugnato, la società appellante sostiene che l’Amministrazione non avrebbe fornito informazioni in merito al procedimento richiamato e alla decisione finale, rimanendo così inadempiente all’ordine disposto dal Collegio. Il Fallimento ha replicato che, secondo la normativa euro-unitaria di settore, a fronte della denuncia presentata da un soggetto privato la Commissione non sarebbe tenuta ad adottare una decisione finale, potendo limitarsi a inviare all’esponente il proprio parere preliminare, come nel caso di specie sarebbe avvenuto. 12. All’udienza pubblica del 28 novembre 2019, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione. la domanda di pronuncia pregiudiziale. 13. Con il secondo motivo dell’appello, la società rinnova la censura di violazione di svariate disposizioni e decisioni euro-unitarie nonché dell’art. 117 Cost. e di norme nazionali: il regolamento impugnato costituirebbe un aiuto di Stato nuovo, il precedente essendo stato annullato con effetti retroattivi, o comunque modificativo dell’aiuto preesistente, che -a norma dell’art. 108, comma 3, TFuE, come interpretato dalla Corte di giustizia uE -avrebbe comunque richiesto la previa notifica alla Commissione europea. Dalla istruttoria disposta dalla Sezione è emerso che -contrariamente a quanto assunto dalle RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 parti resistenti -i regolamenti adottati con i d.m. n. 256/2003 e n. 156/2008 sono stati portati a conoscenza della Commissione europea. Come risulta dalla tecnica normativa adoperata, cioè quella della novellazione dei testi precedenti, i primi due articoli del d.m. n. 37/2015 non hanno inteso estendere la durata degli aiuti già disposti, ma hanno modificato i criteri di attribuzione dei benefici innovandone la disciplina ora per allora. È inequivoco in questo senso il successivo art. 3 del regolamento, a norma del quale “Fermi restando i dati storici in base ai quali ciascuna ditta ammessa a partecipare ai programmi e risultata destinataria di quote agevolate di biodiesel, per le annualità 2006, 2007, 2008 e 2009 le assegnazioni del medesimo prodotto sono rideterminate alle stesse ditte tenuto conto dei criteri individuati rispettivamente negli articoli 1 e 2”. La parte appellante sostiene che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, qualunque modifica di un aiuto di Stato dovrebbe essere preventivamente notificata alla Commissione europea. Tuttavia, non pare che i precedenti richiamati al riguardo siano decisivi in quanto, al di là delle affermazioni di principio, sembrano riferirsi ad atti costitutivi degli aiuti (Corte di giustizia, grande sezione, 27 giugno 2017, in causa C-74/16) o estensivi degli aiuti stessi a una nuova categoria di beneficiari (Trib. I grado, sez. vIII, 11 giugno 2009, in causa T-301/02). Appare inoltre che la Commissione, su denuncia di un controinteressato, ha avuto conoscenza del regolamento adottato con d.m. n. 37/2015, senza avviare alcuna iniziativa al riguardo nei confronti dell’Italia. Questa circostanza potrebbe essere significativa del fatto che la Commissione non abbia considerato il regolamento come istitutivo di un nuovo aiuto di Stato ai sensi della normativa euro-unitaria. Il Collegio dà atto della previsione del § 13 della Comunicazione della Commissione relativa all'applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali (2009/C 85/01), secondo la quale “qualora nutrano dubbi in merito a un aiuto di Stato, i giudici nazionali possono chiedere il parere della Commissione in base alla sezione 3 della presente comunicazione”. Aggiunge tuttavia il § 13 che “ciò non pregiudica la possibilità o l'obbligo del giudice nazionale di chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione ai sensi dell'articolo 234 del trattato CE” (ora art. 267 TFuE). 14. Pertanto, in considerazione del monopolio interpretativo del diritto euro-unitario che i Trattati assegnano alla Corte di giustizia e della natura di Giudice di ultima istanza rivestita dal Consiglio di Stato, il Collegio -ai sensi dell’art. 267 TFuE -sospende il presente giudizio per investire la Corte di giustizia dell’unione europea della domanda di pronuncia pregiudiziale nei termini che seguono. “dica la Corte di giustizia dell’unione europea se -in relazione agli artt. 107 e 108 TFue, al regolamento (Ce) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, e successive modificazioni, al regolamento (Ce) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004 e alle eventuali ulteriori pertinenti disposizioni del diritto euro-unitario -costituisca aiuto di Stato, come tale soggetto all’onere di previa notifica alla Commissione europea, un atto normativo secondario quale il regolamento adottato con il d.m. n. 37/2015 qui impugnato che, in diretta esecuzione di sentenze del Consiglio di Stato recanti il parziale annullamento dei regolamenti precedenti già comunicati alla Commissione, abbia inciso “ora per allora” sulle modalità di applicazione dell'accisa agevolata sul biodiesel modificando retroattivamente i criteri di riparto del beneficio fra le imprese richiedenti senza estendere la durata temporale del programma di agevolazioni fiscali”. 15. Ogni ulteriore determinazione nel rito, sul merito e quanto alle spese va rinviata alla definizione della controversia. CONTENzIOSO NAzIONALE P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), viste le Raccomandazioni al- l’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, adottate dalla Corte di giustizia dell’unione europea (2019/C 380/01): a) rimette alla Corte la questione pregiudiziale esposta in motivazione sub § 14; b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme al- l’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa; c) dispone, in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’unione europea, la sospensione del presente giudizio; d) riserva alla sentenza definitiva ogni ulteriore pronuncia nel rito, sul merito e quanto alle spese. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 i procedimenti cautelari alla luce della normativa emergenziale da Covid-19 (art. 84 D.l. 18/20); un excursus della giurisprudenza sul sistema delle cautele antimafia nell’atto defensionale dell’avvocatura (*) ConSiglio di STaTo, Sezione Terza, ordinanza 22 maggio 2020 n. 2870 L’ordinanza in rassegna ha rigettato l’eccezione avversaria di nullità dell’ordinanza impugnata per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio in quanto emessa, in data 9 aprile 2020, in assenza della richiesta congiunta delle parti ex art. 84 D.L. 18/20. Si trascrive integralmente la memoria difensiva dell’Avvocatura. CT 9118/20 avv. Ferrante AvvOCATuRA GENERALE DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIuRISDIzIONALE SEzIONE III - R.G. 3373/20 - uDIENzA 21.5.2020 MEMORIA DIFENSIvA Per il MINISTERO DELL’INTERNO (C.F. 97149560589) -u.T.G. Prefettura di Cosenza, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 (per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) C O NT R O (OMISSIS) nella qualità di legale rappresentante delle società (OMISSIS), come in atti rappresentate e difese E NEI CONFRONTI DEL COMuNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, come in atti rappresentato e difeso * * * Con il ricorso al TAR Calabria -Catanzaro ritualmente notificato, la parte ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa sospensione del provvedimento interdittivo antimafia emesso dalla Prefettura di Cosenza il 15.1.2020, prot. n. (OMISSIS) nonché delle due ordinanze del Comune di (OMISSIS) di chiusura delle due attività di somministrazione di alimenti e bevande svolte dalle due società odierne appellanti e di tutti i provvedimenti presupposti, connessi e conseguenziali. Il TAR, con ordinanza (OMISSIS), ha respinto l’istanza cautelare. L’appello avversario è infondato e va respinto per i seguenti motivi in FATTO L’informazione antimafia interdittiva impugnata, che ha colpito le società (OMISSIS) con (*) Segnalazione avv. St. Wally Ferrante. CONTENzIOSO NAzIONALE sedi legali in (OMISSIS), prende le mosse dalla circostanza che coniuge dell’amministratore unico e proprietaria di quote (OMISSIS) è (OMISSIS), il quale, sulla base degli approfondimenti effettuati dalla Direzione Investigativa Antimafia, risulta avere, sin dal 2012 (cfr. nota della D.I.A. del 21.12.2018 all. 2 in atti, pag. 3), “una continua ed assidua frequentazione con “elementi di spicco e fiancheggiatori della cosca dominante in (OMISSIS), al cui vertice di colloca (OMISSIS), con il quale, in particolare nel periodo da luglio ad oggi, la predetta frequentazione si infittisce”. La sentenza n. (OMISSIS) della Corte d’Appello di Catanzaro, in data 24 novembre 2010, nell’attestare l’esistenza di una consorteria criminale in (OMISSIS), ha ricordato: “Il sodalizio, originariamente denominato come “cosca degli (OMISSIS)” il cui vertice è stato assunto da (OMISSIS) con l’appoggio dei più potenti gruppi criminali cosentini, ha mantenuto dal 1999 al 2007 il controllo delle principali attività criminali nel territorio di (OMISSIS)...”. Dalle risultanze investigative, è emerso il ruolo centrale di (OMISSIS) nella direzione e gestione dell’attività delle società appellanti mentre ne è ufficialmente legale rappresentante il coniuge; inoltre, contrariamente a quanto affermato da controparte -che mira a rendere non significativi i numerosissimi episodi di frequentazione dello stesso (OMISSIS) con soggetti appartenenti alla cosca dominante in (OMISSIS) e, finanche, con il capo cosca risulta che lo stesso ne abbia assunto addirittura il ruolo di “accompagnatore e braccio destro” e comunque di “persona di fiducia” (cfr. Nota della Guardia di Finanza -Tenenza di (OMISSIS) all. 3 in atti). A fondamento dell’informativa antimafia sono stati posti quindi i seguenti elementi indiziari: il pacificamente riconosciuto ruolo centrale di (OMISSIS) nella direzione e gestione dell’attività connessa alle società; i numerosissimi episodi di frequentazione dello stesso (OMISSIS) con soggetti appartenenti alla cosca dominante in (OMISSIS) e, finanche, con il capo cosca, sino ad assumerne il ruolo di “accompagnatore e braccio destro”; la circostanza che gli accertamenti antimafia svolti negli ultimi anni abbiano fatto emergere quanto gli esponenti di ‘ndrangheta siano presenti nel tessuto economico -commerciale di (OMISSIS), proprio a partire dalla persona giudiziariamente indicata come capo cosca, (OMISSIS). DIRITTO 1) sull’eccezione preliminare: In limine, le appellanti eccepiscono che l’ordinanza impugnata sarebbe stata emessa in violazione dei principi a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio in quanto sarebbe stata pronunciata in assenza di richiesta congiunta di trattazione delle parti ai sensi dell’art. 84, comma 2 D.L. 18/2020. L’eccezione è infondata. Come ricordato dalle stesse appellanti, è stato depositato un primo decreto presidenziale del 22 febbraio 2020, n. 86 di accoglimento dell’istanza cautelare; successivamente, l’istanza cautelare è stata respinta con decreto presidenziale del 25 marzo 2020, n. 145 emesso ai sensi dell’art. 84, comma 1 D.L. 18/20; a seguito di istanza di revoca del predetto decreto, è stata nuovamente accolta l’istanza cautelare con decreto presidenziale n. 163/20 ed, infine, con l’ordinanza dell’8 aprile 2020, n. (OMISSIS) qui impugnata l’istanza cautelare è stata definitivamente respinta. Sostenere che siano stati violati il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio appare all’evidenza smentito dal susseguirsi di provvedimenti cautelari che hanno consentito alla controparte ogni possibile attività difensiva nel pieno rispetto del contraddittorio. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Peraltro, non appare applicabile alla fattispecie il primo periodo del citato comma 1 dell’art. 84 D.L. 18/20 che prevede la richiesta congiunta di passaggio in decisione di tutte le parti costituite bensì il terzo periodo dello stesso comma in base al quale “nei procedimenti cautelari in cui sia stato emanato decreto monocratico di accoglimento, totale o parziale, della domanda cautelare la trattazione collegiale in camera di consiglio è fissata, ove possibile, nelle forme e nei termini di cui all’art. 56, comma 4 c.p.a., a partire dal 6 aprile 2020 e il collegio definisce la fase cautelare secondo quanto previsto dal presente comma, salvo che entro il termine di cui al precedente periodo [due giorni liberi prima dell’udienza] una delle parti su cui incide la misura cautelare depositi un’istanza di rinvio”. Non essendo stata depositata istanza di rinvio da alcuna delle parti, correttamente l’istanza cautelare è stata decisa in sede collegiale. Del resto, diversamente opinando, si avrebbe l’incongruente conseguenza che la parte che ha ottenuto un decreto cautelare monocratico a sé favorevole possa cristallizzarlo non depositando la domanda congiunta di decisione collegiale. 2) sul primo motivo di appello: Con il primo motivo di appello, la controparte censura, sotto diversi profili, l’asserita illogicità manifesta, il presunto travisamento dei fatti e la pretesa insufficiente motivazione in ordine alla valutazione dei presupposti del provvedimento impugnato. Il motivo è infondato. Giova rammentare, in proposito, che con le sentenze del Consiglio di Stato del 3 maggio 2016, n. 1743 e del 9 maggio 2016, n. 1846, è stato chiarito che “è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né -tanto meno -occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante”. È stato inoltre precisato, per quanto qui interessa, che “occorre invece valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso. per questo gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione”. Detto orientamento è stato confermato con le successive sentenze del Consiglio di stato n. 1296/17; 1980/17; 2314/17; 3171/17; 3576/17; 4781/17; 5143/17 e da ultimo con la sentenza del 30 gennaio 2019, n. 758 che ha ricostruito la materia alla luce della più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, della CEDu, dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e delle Sezioni unite della Corte di Cassazione. L’interdittiva oggetto del presente ricorso è stata adottata proprio alla luce di tali consolidati principi. Nel caso in esame, l’informativa impugnata si fonda su una pluralità di elementi che, valutati complessivamente, inducono a ritenere non irragionevole il giudizio del Prefetto circa il pericolo che l’impresa odierna appellante sia esposta al condizionamento mafioso. CONTENzIOSO NAzIONALE La verifica spettante al Prefetto si deve basare su un quadro indiziario in cui assumono rilievo preponderante i fattori da cui trarre la conclusione che non sono infondati i sospetti che comportamenti e scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo attraverso cui le organizzazioni criminali intendano infiltrarsi negli appalti delle pubbliche amministrazioni. L’Amministrazione, dunque, gode di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento discrezionale, nella ricerca e nella valutazione dei fatti sintomatici di eventuali connivenze o collegamenti di tipo mafioso. Il sistema delle cautele antimafia, per costante giurisprudenza, non mira all’accertamento di responsabilità, ma si colloca come forma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia di sicurezza, rispetto a cui assumono rilievo fatti e vicende economico-imprenditoriali. Pertanto, le informative prefettizie non richiedono “un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazione di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico ed indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo” (ex multis Consiglio di Stato III Sezione, 23 febbraio 2012 n. 1068); inoltre, “gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi, attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata” (C.d.S. n. 1068/2012 e C.d.S. III Sezione n. 1329 del 5 marzo 2013), non dovendosi pertanto provare “l’intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il pericolo di ingerenza” (C.d.S. III Sezione n. 2352/2011). Del resto, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione Terza n. 3299 in data 20 luglio 2016, nel richiamare la sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016 ribadisce “gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono infatti forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono ad un preciso inquadramento, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso”.... “Quello voluto dal legislatore, ben consapevole di questo, è dunque un “catalogo aperto” di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso. Tra queste situazioni sintomatiche non tipizzate dal legislatore, ..., figura anche “l’assunzione esclusiva o prevalente, da parte di imprese medio -piccole, di personale avente precedenti penali gravi o comunque contiguo ad associazioni criminalità” ed inoltre “consentire, infatti, che la propria attività esecutiva sia affidata a soggetti contigui o affiliati alle cosche non può far ragionevolmente escludere che anche le decisioni e la vita stessa dell’impresa siano affidati ad una direzione esterna, per il tramite di uomini di fiducia posti dalle cosche all’interno del- l’impresa” onde per cui “la mafia non si serve necessariamente, infatti, dei soli amministratori o dei soci di una società per condizionare l’impresa e strumentalizzarla ai propri scopi, ben potendo avvalersi di soggetti che nell’impresa svolgono una qualsivoglia mansione poiché suo scopo non è solo -o non sempre -la scalata delle gerarchie societarie, ma il controllo delle attività economiche più lucrose con ogni mezzo e con ogni uomo idoneo allo scopo, con una flessibilità di forme interne che sfugge e intende sfuggire, per non attirare controlli esterni, alle “armonie prestabilite” del diritto societario “ne deriva quindi che, sul piano qualitativo, il condizionamento mafioso (ovvero “controllo del territorio” con la creazione di un clima di paura o di omertà) può derivare anche dalla presenza di soggetti che non svolgano ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi”. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Alla luce di tali principi, le deduzioni avversarie appaiono del tutto infondate. Innanzitutto, la circostanza che (OMISSIS) è stato detenuto dal 20 dicembre 2007 al 3 marzo 2018 non appare affatto contrastare con gli accertamenti svolti dalla D.I.A. che, con nota del 21 dicembre 2018, ha evidenziato una continua ed assidua frequentazione di (OMISSIS) con “elementi di spicco e fiancheggiatori della cosca dominante in (OMISSIS), al cui vertice di colloca (OMISSIS), con il quale, in particolare nel periodo da luglio ad oggi, la predetta frequentazione si infittisce”. La frequentazione di (OMISSIS), coniuge della legale rappresentante delle società appellanti (OMISSIS), con il capo clan è dunque riferita al periodo luglio-dicembre 2018, periodo in cui lo stesso non era più detenuto. Inoltre, gli episodi in base ai quali è stato ricostruito il ruolo gestorio di fatto di (OMISSIS) dell’attività facente capo formalmente alla moglie non sono stati smentiti dalle appellanti che non hanno potuto negare il ruolo svolto dallo stesso in ben due occasioni, per le trattative di cessione dell’azienda sita in via (OMISSIS) poi non andate in porto (p. 17 dell’appello) e per l’affitto dell’azienda sita in via (OMISSIS) (p. 18 dell’appello). Nessun travisamento, né alcuna illogicità sono quindi riscontrabili nel provvedimento interdittivo antimafia ex adverso impugnato, che si appalesa pienamente legittimo. 3) sul secondo motivo di appello: Il secondo motivo di appello, attinente alla legittimità delle due ordinanze del Comune di (OMISSIS) di chiusura dell’attività, è infondato, per quanto di interesse dell’amministrazione resistente, nella parte in cui si deduce una presunta contraddittorietà tra le ordinanze comunali e l’informazione prefettizia atteso che, al contrario, quest’ultima costituisce il presupposto delle prime che ne sono la diretta conseguenza. 4) sul periculum in mora: Quanto al periculum in mora, si evidenzia che al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare (8 aprile 2020) e della proposizione dell’appello (20 aprile 2020) e sino al 18 maggio 2020 l’attività di (OMISSIS) sarebbe stata comunque preclusa dai provvedimenti governativi per il contrasto del contagio dovuto all’emergenza COvID-19. Inoltre, l’ordinanza del Consiglio di Stato dell’8 marzo 2019, n. 1230 ha precisato che “sul piano del periculum in mora, nella comparazione tra gli opposti interessi deve prevalere quello, irrinunciabile e improcrastinabile, alla sterilizzazione delle influenze mafiose nell’attività imprenditoriale e, in ogni caso, nell’economia legale”. Analoga motivazione è rinvenibile nell’ordinanza del Consiglio di Stato del 9 maggio 2019, n. 2223: “deve ritenersi prevalente, nella comparazione tra i contrapposti interessi, quello pubblico ad evitare l’infiltrazione mafiosa nell’economia legale”. Si richiama inoltre la giurisprudenza in materia che ritiene “prevalente l’interesse pubblico a prevenire possibili implicazioni con la criminalità organizzata” chiarendo che “le ragioni di una tale interpretazione della normativa muovono dalla natura dell’accertamento antimafia e dall’esigenza di tutelare in via preferenziale la trasparenza e l’immunità dal settore dei pubblici appalti da fenomeni invasivi, anche interposti, da parte della criminalità organizzata” (Cons. di Stato, sez. v, n. 6076/2011). ha ritenuto “prevalente l’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, che presiede ai poteri interdittivi antimafia” anche Cons. Stato, sez. III, ord. 14 novembre 2013, n. 4495, atteso che “è evidente il profilo negativo per l’interesse pubblico nel- l’avere rapporti contrattuali con imprese esposte a rischi di condizionamenti mafiosi (principio che si pone come regola dell’agire amministrativo)” . Tutto ciò premesso, l’amministrazione in epigrafe, come in atti rappresentata e difesa, CONTENzIOSO NAzIONALE ChIEDE che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale voglia respingere l’appello perché infondato, con il favore delle spese. Roma, 19 maggio 2020 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Consiglio di stato, sezione terza, ordinanza del 22 maggio 2020 n. 2870 -pres. F. Frattini, est. P.A.A. Pulitatti -(OMISSIS) n.q. di legale rappresentante della società (OMISSIS) (avv. B. Carratelli) c. Ministero dell’Interno (avv. gen. St.), ufficio territoriale del Governo di Cosenza (n.c.), Comune di (OMISSIS) (avv. N. Missineo). Ritenuto, preliminarmente, di dover ritenere infondato il motivo di appello concernente la violazione del diritto di difesa, poiché l’art. 84, comma 2, del D.L. n. 18/2020, in presenza di Decreto presidenziale di accoglimento, non richiede la richiesta congiunta delle parti di mandare in decisione l’istanza cautelare, ma prevede che “il collegio definisce la fase cautelare secondo quanto previsto dal presente comma (sulla base degli atti), salvo che entro il termine di cui al precedente periodo (2 gg. liberi prima della camera di consiglio) una delle parti su cui incide la misura cautelare depositi un'istanza di rinvio”; Ritenuto che dagli atti istruttori (rapporti della Tenenza della Guardia di Finanza di (OMISSIS) del (OMISSIS) e del (OMISSIS), rapporto DIA del (OMISSIS)) emergono indizi plurimi e concordanti a carico di (OMISSIS) che fanno ritenere “una continua ed assidua frequentazione con elementi di spicco e fiancheggiatori della cosca dominante in (OMISSIS)” (cfr. sentenza n. (OMISSIS) della Corte d’Appello di Catanzaro, in data (OMISSIS)) e che non può escludersi un ruolo centrale dello stesso nella direzione e gestione dell’attività delle società in epigrafe, sebbene ufficialmente legale rappresentante sia la coniuge, cosicché appare attendibile il giudizio di pericolosità formulato con l’informativa antimafia impugnata; Ritenuto che la certificazione antimafia è stata legittimamente richiesta dal Comune di (OMISSIS) al fine di verificare il possesso dei requisiti al fine di rigettare la SCIA e le autorizzazioni amministrative richieste in relazione alle attività commerciali (veridicità dell’autodichiarazione circa la non sussistenza di cause di decadenza ex art. 67 codice antimafia, ovvero applicazione di misure di prevenzione) ex artt. 84, comma 3, e 91 cod. antimafia; Ritenuto, ancora, che l'art. 89, comma 2, del D.lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l'autocertificazione resa dell'interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all'art. 67, riguarda anche "attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione” (cfr. sez. III, 20 gennaio 2020, n. 452); Considerato che per tali ragioni non sussiste il richiesto fumus boni iuris per l’accoglimento dell’appello cautelare; Ritenuto, infine, di dover condannare la parte appellante alle spese della presente fase cautelare, liquidandole come da dispositivo; P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), respinge l'appello (Ricorso numero: 3373/2020). RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Condanna la parte appellante alle spese della presente fase cautelare, liquidandole in euro 3.000, oltre accessori di legge, in favore delle Amministrazioni resistenti, in parti uguali. La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le appellanti e le altre parti private. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020. CONTENzIOSO NAzIONALE Diniego di rinnovo di porto d’armi: l’automatismo preclusivo dell’art. 43 t.U.l.P.s. e la rilevanza della declaratoria di riabilitazione (*) ConSiglio di STaTo, Sezione Terza, SenTenza 1 giugno 2020 n. 3452 La favorevole sentenza del Consiglio di Stato del 1° giugno 2020, n. 3452 ha respinto l’appello avversario, in materia di diniego di rinnovo di porto d’armi, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 109/2019 che, in fattispecie del tutto analoga di soggetto condannato per furto e poi riabilitato, ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1 TuLPS in relazione all’art. 3 Cost. nella parte in cui attribuisce automatica efficacia preclusiva al rilascio della licenza di porto d’armi alla condanna per determinati reati ritenuti sintomatici dell’inaffidabilità del soggetto nell’uso delle armi, quali il furto. Il Consiglio di Stato ha inoltre ritenuto legittimo il provvedimento di diniego di rinnovo della licenza -considerando irrilevante il precedente erroneo rilascio della licenza in presenza della medesima condanna -in base al principio del tempus regit actum, atteso che il provvedimento impugnato è stato emesso prima dell’intervenuta riabilitazione e prima dello stesso d.lgs. n. 104/2018 che -nel modificare il secondo comma dell’art. 43 TuLPS -ha attribuito una possibile rilevanza, ai fini del rilascio della licenza, alla dichiarazione di riabilitazione. Si riporta integralmente la memoria defensionale. CT 21479/19 avv. Ferrante AvvOCATuRA GENERALE DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIuRISDIzIONALE SEz. III - R.G. 4284/2019 - uDIENzA 21.5.2020 MEMORIA DIFENSIvA Per il MINISTERO DELL’INTERNO (C.F. 97149560589) in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 C O NT R O (OMISSIS), come in atti rappresentato e difeso * * * Con ricorso al T.A.R. Calabria ritualmente notificato, il ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione, il decreto del Questore di Cosenza di rigetto del (*) Segnalazione avv. St. Wally Ferrante. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 rinnovo del porto d’armi per uso tiro a volo del 22.4.2016 (OMISSIS), nonché gli atti connessi, presupposti e conseguenziali. Il TAR, con la sentenza del 31.10.2018, (OMISSIS), ha respinto il ricorso. L’appello avversario è infondato per i seguenti motivi in FATTO Il Sig. (OMISSIS) presentava istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di fucile uso tiro a volo. Nel corso dell’istruttoria all’uopo espletata è emerso che, nei confronti del richiedente, in data 16.12.1999, è stata emessa una sentenza da parte della Corte d’Appello di Catanzaro -divenuta irrevocabile il 20.10.2000 -con conseguente condanna a giorni 20 di reclusione ed al pagamento di € 30,99 (Lire 60.000) di multa. Il ricorrente si è reso responsabile del reato di tentato furto aggravato in concorso (artt. 625 nr. 7 e 62 bis c.p.); inoltre è emerso che lo stesso richiedente, in data 09.06.1997, è stato deferito in stato di libertà alla competente Autorità Giudiziaria da parte dei Carabinieri di (OMISSIS), a seguito di querela, successivamente rimessa dalla controparte, poiché ritenuto responsabile di minaccia e lesioni personali. Dunque, alla luce di quanto sopra, veniva data comunicazione di avvio del procedimento amministrativo diretto all’eventuale diniego del rilascio del titolo richiesto, mediante atto notificato all’interessato per il tramite della Stazione Carabinieri di (OMISSIS). Dopo la notifica dell’avvio del procedimento, il ricorrente non presentava memorie difensive o altri scritti e, pertanto, l’istanza del Sig. (OMISSIS) veniva respinta con il decreto impugnato nel presente giudizio. DIRITTO 1. Con il primo motivo di appello, controparte censura la decisione del TAR nella parte in cui, a fronte della contestazione di un reato ostativo al rilascio del porto d’armi ai sensi dell’art. 43, comma 1, lett a) TuLPS, ha motivato in relazione alla valutazione di tipo prognostico che deve effettuare l’amministrazione, nell’ambito dei propri poteri discrezionali, in merito alla possibilità che l’istante sia capace di abusare delle armi e in ordine all’assenza del requisito della buona condotta. La censura è inammissibile (prima ancora che infondata) per carenza di interesse a censurare detta statuizione del TAR. Infatti, se è pacificamente riconosciuto dalla legge (art. 10, art. 11, comma 2, art. 43, comma 2 TuLPS) e dalla giurisprudenza il potere dell’amministrazione di valutare il pericolo di abuso del titolo e l’assenza della buona condotta (che può anche prescindere dalla commissione di reati) a maggior ragione, tale valutazione può e deve esser fatta qualora venga commesso un reato ostativo ai sensi dell’art. 43, comma 1, lett. a) dello stesso TuLPS, quale il furto, che viene considerato dal Legislatore come necessariamente sintomatico di tale pericolo di abuso. La censura è comunque infondata. Nessun vizio di motivazione è infatti ravvisabile nella sentenza del TAR laddove fa riferimento al potere dell’amministrazione di vietare la detenzione di armi in assenza del requisito della buona condotta atteso che nel provvedimento impugnato si fa espressa menzione del fatto che la “sentenza di condanna influisce sul prerequisito della buona condotta, essenziale ai fini del rilascio di un titolo in materia di armi”. 2. Con il secondo motivo di appello, il ricorrente lamenta la risalenza del reato per il quale ha subito condanna, si duole della mancata considerazione dell’avvenuta riabilitazione CONTENzIOSO NAzIONALE e lamenta il fatto che il precedente penale per tentato furto aggravato in concorso e il deferimento per minaccia e lesioni personali siano stati considerati solo in sede di rinnovo della licenza di porto d’armi e non anche per il rilascio pur essendo precedenti a quest’ultimo. Tutte le censure sono destituite di fondamento. va ricordato che, per giurisprudenza consolidata, “le condanne di cui all’art. 43, comma 1, lett. a) del R.D. n. 733/1931 costituiscono causa automatica ostativa al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi, anche in caso di estinzione del reato e di riabilitazione, a nulla rilevando il lungo tempo trascorso dalla commissione del fatto” (Cons. Stato, sez. III, 9 novembre 2016, n. 4656; id., 20 ottobre 2016, n. 4390, id., 14 ottobre 2016, n. 4262; id., 5 luglio 2016, n. 2992; id., 31 maggio 2016, n. 2312; 18 maggio 2016, n. 2019; TAR Marche, 5 dicembre 2016, n. 700; id., 3 novembre 2016, n. 617). Il criterio dirimente che ha portato la Questura a negare il rinnovo del porto d’armi al ricorrente si basa sulla revisione critica del giudizio di affidabilità precedentemente reso. Il fatto che l’Amministrazione locale di pubblica sicurezza abbia in precedenza rilasciato il titolo non radica il diritto ad ottenere il rinnovo del porto d’armi tenuto conto che la revisione del giudizio di affidabilità è avvenuta in attuazione della Circolare del Ministero dell’Interno del 28 novembre 2014, n. 557/LEG7225.00, deputato ad adottare linee di indirizzo applicabili a livello nazionale nella tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, proprio alla luce di gravissimi fatti di sangue che sono stati compiuti con le armi e di cui era stato autorizzato il porto. In questa chiave interpretativa, la Questura di Cosenza ha ritenuto che il Sig. (OMISSIS), anche in forza dei precedenti penali e di polizia esistenti a suo carico, non desse garanzia piena e incondizionata di affidabilità a portare le armi. La Questura ha pertanto doverosamente dato attuazione alla suddetta Circolare, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato. Il recente parere del Consiglio di Stato n. 01620/2016 relativo alla obbligatorietà di negare o revocare le licenze di porto d’armi a soggetti che hanno subito condanne per reati ostativi, previsti dagli artt. 11 e 43 T.u.l.p.s., è stato recepito dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza nella richiamata Circolare. Con detto atto di indirizzo, il Ministero dell’Interno, confidando nella puntuale osservanza delle indicazioni contenute nello stesso, ha evidenziato i principi di diritto affermati dal Consiglio di Stato sottolineando, in particolare, che “a chi è stato condannato per i reati previsti come preclusivi dal citato art. 43, non può essere rilasciata, e dev’essere revocata se sia stata rilasciata, la licenza di porto d’armi senza che possa aver rilievo la conseguita riabilitazione”. Infatti, il giudizio di affidabilità richiesto dalla legge per dare la possibilità ad un soggetto di portare armi è sicuramente diverso da quello necessario alla concessione della riabilitazione. La riabilitazione riguarda solo gli aspetti penali e le vicende connesse, tant’è che, e non è un caso, il Consiglio di Stato ha precisato, nel parere sopra citato, che anche in presenza di riabilitazione, la Pubblica Amministrazione ha i1 dovere di revocare o negare il rilascio del titolo autorizzativo, in quanto la riabilitazione estingue soltanto gli effetti penali della condotta e non già quelli previsti da norme speciali, come gli artt. 11 e 43 T.u.l.p.s. Tali principi sono stati poi confermati dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale con le sentenze sopra richiamate. 3. Con il terzo motivo di appello, il ricorrente chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1 TuLPS per asserita violazione dell’art. 3 Cost. Anche tale motivo è infondato. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Come noto, la Corte costituzionale ha da tempo chiarito che «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il “buon uso” delle armi stesse»; e ha osservato, altresì, che dalla «eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli a situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti» (sentenza n. 44 del 1993). Con recente pronuncia, emessa in fattispecie del tutto analoga di soggetto condannato per furto e poi riabilitato, la Corte costituzionale, con la sentenza del 20 marzo 2019, n. 109, ha dichiarato in parte inammissibile e in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 1 tUlPs in relazione all’art. 3 Cost. affermando che “proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che -entro il limite della non manifesta irragionevolezza -mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica (su tale dovere, ex plurimis, sentenze n. 115 del 1995, n. 218 del 1988, n. 4 del 1977, n. 31 del 1969 e n. 2 del 1956): beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi. non può, di conseguenza, ritenersi manifestamente irragionevole una disciplina, pur particolarmente severa come quella ora all’esame, che sancisce un divieto assoluto di concessione della licenza di porto d’armi anche nei confronti di chi sia stato condannato per furto e abbia ottenuto la riabilitazione, dal momento che tale delitto comporta pur sempre una diretta aggressione ai diritti altrui, che pregiudica in maniera significativa la sicurezza pubblica e al tempo stesso rivela una grave mancanza di rispetto delle regole basilari della convivenza civile da parte del suo autore”. Le questioni di legittimità costituzionale dedotte debbono quindi ritenersi manifestamente infondate. 4. Con il quarto motivo di appello, la controparte deduce, in subordine, ove si dovesse ritenere infondato il motivo sub 1, l’insufficente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto congruo il giudizio di non affidabilità compiuto dal- l’amministrazione. Anche tale motivo è infondato. A ben vedere, il ricorrente risulta condannato in concorso con altre persone nel delitto di tentato furto. È stato inoltre denunciato per minaccia e lesioni personali. In tale condotta, prescindendo dal venir meno dell'accertamento giurisdizionale della sua responsabilità penale, per revoca della querela, emerge in modo evidente il pericolo di abuso delle armi. Tali precedenti dimostrano un’attitudine non occasionale a comportamenti devianti che non possono indurre a ritenere sussistente l’affidabilità piena dell’istante. CONTENzIOSO NAzIONALE Il provvedimento impugnato deve ritenersi pertanto pienamente legittimo e conforme alla normativa e alla giurisprudenza di settore. Tutto ciò premesso, l’amministrazione in epigrafe, come sopra rappresentata e difesa ChIEDE che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, voglia respingere l’appello perché infondato, con il favore delle spese. Roma, 20 aprile 2020 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Consiglio di stato, sezione terza, sentenza 1 giugno 2020 n. 3452 -pres. F. Frattini, est. P. De Berardinis - (OMISSIS) (avv. F. D’Elia) c. Ministero Interno (avv. gen. St.). FATTO Con ricorso al T.A.R. per la Calabria -Catanzaro, R.G. n. (OMISSIS) il sig. (OMISSIS) ha impugnato il decreto del Questore di Cosenza Div. P.A.S.- Cat. (OMISSIS) del 22 aprile 2016, contenente il rigetto della sua istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo, chiedendone l’annullamento. L’appellante lamenta che, dopo aver ottenuto la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo nel 2008, si è visto respingere dal Questore di Cosenza l’istanza di rinnovo con il provvedimento impugnato. Quest’ultimo si è basato sull’esistenza, a carico del richiedente, di una sentenza di condanna, divenuta irrevocabile il 20 ottobre 2000, a giorni 20 di reclusione ed € 30,99 di multa per il delitto di tentato furto aggravato in concorso (art. 625, n. 7, c.p.), nonché sul deferimento del medesimo richiedente all’autorità giudiziaria eseguito il 9 giugno 1997 dal Comando Carabinieri di (OMISSIS) (CS) per i reati di minaccia e lesioni personali, a seguito della proposizione di querela, successivamente rimessa. La condanna per furto -sottolinea il decreto questorile -è ostativa al rilascio della licenza di porto d’armi ai sensi dell’art. 43, primo comma, lett. a), del r.d. n. 773/1931, cd. T.u.L.P.S. A supporto dell’impugnazione il ricorrente ha dedotto, con un unico motivo, i vizi di eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà estrinseca della motivazione. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Cosenza, ribadendo l’assunto -contenuto nel decreto del Questore -circa l’automatismo preclusivo derivante dalla condanna per furto, ai sensi dell’art. 43 del T.u.L.P.S. Con sentenza n. (OMISSIS) del 31 ottobre 2018 il Tribunale adito ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. In particolare, il T.A.R. ha giudicato legittimo il diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo, richiesto dall’interessato, per essere costui privo del requisito della buona condotta, in ragione della suvvista condanna per tentato furto aggravato in concorso. Avverso detta sentenza il sig. (OMISSIS) propone appello con il ricorso in epigrafe, chiedendo che la stessa sia riformata e che, pertanto, venga accolto il ricorso da lui presentato in primo grado. A supporto dell’impugnazione, l’appellante formula i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 43 T.u.l.p.S., in quanto il T.A.R. avrebbe oltrepassato la motivazione del decreto impugnato, riconducendo la fattispecie all’ambito applicativo dell’art. 43, secondo comma, T.u.L.P.S.; 2) eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà estrinseca della motivazione, RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 poiché l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 43 T.u.L.P.S., fatta propria dalla più recente giurisprudenza, porterebbe ad escludere che tale norma abbia l’automatismo preclusivo che il decreto impugnato ha preteso di riconnettervi; 3) nel caso in cui il Collegio ritenesse tuttora vigente l’automatismo preclusivo dell’art. 43, comma 1, T.u.L.P.S., il sig. (OMISSIS) ha chiesto che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione per violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; 4) motivazione insufficiente e contraddittoria, in quanto, da un lato, la sentenza impugnata si porrebbe in contraddizione con i principi da essa stessa richiamati; dall’altro, il T.A.R. non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione le circostanze del caso concreto. (...) Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, depositando memoria difensiva e concludendo per la reiezione dell’appello. In data 6 aprile 2020 il sig. (OMISSIS) ha presentato istanza per l’autorizzazione al deposito tardivo di un documento e, in specie, della declaratoria di riabilitazione emessa a suo favore il 22 ottobre 2019 dal Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro. All’udienza del 21 maggio 2020, svoltasi con le modalità di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Forma oggetto dell’appello la sentenza del T.A.R. Calabria -Catanzaro, Sez. II, n. (OMISSIS) del 31 ottobre 2018, con cui è stato respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante, sig. (OMISSIS), nei confronti del decreto del Questore di Cosenza recante rigetto dell’istanza di rinnovo del porto di fucile per uso tiro a volo. Il diniego questorile, emesso il 22 aprile 2016, richiama a proprio fondamento l’art. 43 T.u.L.P.S., il quale, alla lett. a) del primo comma, prescrive il divieto di porto d’armi per quanti abbiano riportato una condanna per taluni delitti non colposi, tra cui il furto: ciò -nel testo dell’art. 43 T.u.L.P.S. in vigore al tempo dell’adozione del diniego -senza lasciare spazio alla discrezionalità valutativa della P.A. e senza che potessero rilevare l’estinzione del reato o la riabilitazione. Nel senso dell’automatismo preclusivo da riconoscere alla condanna subita dal sig. (OMISSIS) -aggiunge il provvedimento -depone una circolare del Ministero dell’Interno del 28 novembre 2014, la quale ha recepito il parere del Consiglio di Stato, Sez. I, n. 3257/2014 del 16 luglio 2014, reso sulla corretta interpretazione del citato art. 43. Sul punto si ricorda sin da subito che una diversa soluzione, volta ad attribuire una possibile rilevanza alla dichiarazione di riabilitazione, è stata successivamente introdotta dal d.lgs. n. 104/2018, che ha in tal senso modificato il secondo comma dell’art. 43 T.u.L.P.S. La sentenza di primo grado -sintetica nel suo apparato motivazionale -si è fondata sul consolidato indirizzo, secondo cui il rilascio del porto d’armi ha natura eccezionale, sicché l’esame delle relative richieste, rimesso all’Autorità di P.S., deve essere improntato a particolare rigore circa il giudizio di totale affidabilità nell’uso delle armi. Il diniego si giustifica non solo per la capacità di abusare delle armi, ma anche per la mancanza del requisito della buona condotta, in relazione alla commissione di fatti anche estranei alla gestione delle armi, che comunque rendano il soggetto non meritevole di ottenere o di mantenere la licenza di polizia: e tale è la situazione del sig. (OMISSIS), in quanto gravato da una condanna definitiva per tentato furto aggravato in concorso. CONTENzIOSO NAzIONALE Con il primo motivo di appello il richiedente censura la sentenza del T.A.R. per avere essa ricondotto -erroneamente, a suo avviso -la fattispecie esaminata al secondo comma dell’art. 43 T.u.L.P.S. (che prevede la possibilità per la P.A. di ricusare la licenza di porto d’armi a chi non può provare la buona condotta e non dà affidamento di non abusare delle armi), mentre il provvedimento impugnato l’ha ricondotta alla lett. a) del primo dell’art. 43 cit. (che elenca il furto tra i reati ostativi al rilascio della licenza). Con il secondo motivo il sig. (OMISSIS) ripropone censure ed argomentazioni già formulate nel ricorso di primo grado e precisamente: 1) la tenuità del reato per cui egli è stato condannato (tentato furto di grappoli d’uva), dimostrata, del resto, dalla misura della condanna (20 giorni di reclusione ed € 30,99 di multa); 2) il carattere risalente della vicenda (la denuncia è stata fatta 19 anni prima del ricorso); 3) la circostanza che la condanna fosse già nota all’Autorità di P.S. al tempo del rilascio del porto d’armi e tuttavia non fosse stata considerata ostativa al suddetto rilascio, mentre in sede di diniego di rinnovo la P.A. non avrebbe spiegato le ragioni del suo “revirement”; 4) il fatto che la denuncia per minaccia e lesioni personali non sia mai sfociata in un procedimento penale; 5) l’utilizzo delle armi da parte sua per anni dopo la condanna penale, con il ché egli avrebbe dato la prova in concreto di non abusarne. Con il terzo motivo egli richiama le ordinanze del T.A.R. Toscana, Sez. II, 16 gennaio 2018, n. 56 e del T.A.R. Friuli venezia Giulia, Sez. I, 11 giugno 2018, n. 190, che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 T.u.L.P.S.; invoca, poi, un recente indirizzo giurisprudenziale, che, muovendo da taluni precedenti di questa Sezione, offre un’interpretazione costituzionalmente orientata del predetto art. 43, volta ad escludere l’esistenza di un automatismo assoluto nel caso di condanna per uno dei reati indicati dalla norma e ad ancorare la valutazione della P.A. sul diniego di porto d’armi a vicende che, per la loro collocazione temporale, esprimano con concretezza ed attualità l’inaffidabilità della persona. In alternativa all’adesione a tale ultima impostazione, l’appellante chieda che sia sollevata questione di costituzionalità dell’art. 43 T.u.L.P.S., per gli stessi profili già evidenziati dal T.A.R. Toscana e dal T.A.R. Friuli venezia Giulia nelle ordinanze sopra riportate. Infine, con il quarto motivo lamenta che il T.A.R., nel trarre le conclusioni circa la meritevolezza o meno dello stesso richiedente di ottenere il rinnovo del porto d’armi, non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione le circostanze del caso concreto. In data 6 aprile 2020 l’appellante ha depositato il decreto del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro del 17 ottobre 2019 (dunque successivo al diniego impugnato), che dichiara la sua riabilitazione dalla condanna penale riportata. L’Avvocatura dello Stato produce memoria con cui eccepisce l’integrale infondatezza del- l’appello, richiamando in particolare la sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 20 marzo 2019, che ha respinto la questione di costituzionalità dell’art. 43, primo comma, lett. a), del T.u.L.P.S. sollevata dal T.A.R. Toscana e dal T.A.R. Friuli venezia Giulia. Così riportate le posizioni delle parti, ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e debba, pertanto, essere respinto. In particolare, non può essere accolto il primo motivo di appello, giacché -contrariamente a quanto in esso sostenuto -la sentenza impugnata non reca alcun riferimento al secondo comma dell’art. 43 T.u.L.P.S., essendosi essa incentrata sulla mancanza, in capo al richiedente, del requisito della buona condotta. Al riguardo ritiene il Collegio che sia stato lo stesso Legislatore, con l’aver attribuito nella lett. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 a) del primo comma dell’art. 43 cit. alla condanna per furto efficacia preclusiva al rilascio della licenza di porto d’armi, ad aver individuato in tale condanna un’ipotesi ex lege di assenza della buona condotta: il tutto in base ad un legittimo esercizio della discrezionalità legislativa. ha osservato, in proposito, la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 109/2019: “proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che -entro il limite della non manifesta irragionevolezza -mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica (su tale dovere, ex plurimis, sentenze n. 115 del 1995, n. 218 del 1988, n. 4 del 1977, n. 31 del 1969 e n. 2 del 1956): beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi. non può, di conseguenza, ritenersi manifestamente irragionevole una disciplina, pur particolarmente severa come quella ora all’esame, che sancisce un divieto assoluto di concessione della licenza di porto d’armi anche nei confronti di chi sia stato condannato per furto e abbia ottenuto la riabilitazione (qui la Corte costituzionale si riferisce al dettato normativo antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 104/2018) dal momento che tale delitto comporta pur sempre una diretta aggressione ai diritti altrui, che pregiudica in maniera significativa la sicurezza pubblica e al tempo stesso rivela una grave mancanza di rispetto delle regole basilari della convivenza civile da parte del suo autore”. E le argomentazioni ora esposte, incentrate sulla gravità insita nel delitto di furto e sulla valutazione di assenza della buona condotta che il Legislatore riconnette alla condanna per tale delitto -valgono a dimostrare l’infondatezza, altresì, del secondo e del terzo motivo d’appello. Infatti, dette argomentazioni -che supportano la legittimità dell’automatismo preclusivo stabilito dal Legislatore -superano sia la tenuità del reato commesso dal sig. (OMISSIS), sia la circostanza che, errando, la P.A. non abbia considerato la condanna per tale reato come ostativa al rilascio dell’autorizzazione di polizia, ma solo al suo rinnovo, sia l’utilizzo in concreto che delle armi abbia fatto l’interessato dopo il rilascio del titolo. Né rileva di per sé il carattere risalente della condanna, potendo piuttosto riconoscersi rilevanza giuridica, nei limiti di seguito precisati, all’intervenuta riabilitazione ottenuta dal reo. A questo riguardo, mette conto osservare che: a) la modifica normativa del secondo comma dell’art. 43 T.u.L.P.S., che consente alla P.A. di tener conto dell’intervenuta riabilitazione, è stata introdotta, come detto, dal d.lgs. n. 104/2018, entrato in vigore il 14 settembre 2018 e, quindi, è posteriore al provvedimento impugnato, emanato il 22 aprile 2016; b) la riabilitazione ottenuta dal sig. (OMISSIS), essendo stata dichiarata nell’ottobre 2019, è a propria volta posteriore al diniego impugnato, quindi in base al principio “tempus regit actum” essa è irrilevante ai fini della valutazione della legittimità del medesimo. Ai fini della corretta applicazione del principio “tempus regit actum”, è infatti necessario che la legittimità di un provvedimento amministrativo sia valutata al momento della sua adozione (cfr. ex multis, C.d.S., Sez. Iv, 30 luglio 2019, n. 5395 e 22 gennaio 2019, n. 532; Sez. III, 22 novembre 2017, n. 5443); CONTENzIOSO NAzIONALE c) ove l’interessato presenti una nuova istanza di rilascio del titolo, l’Autorità di P.S. dovrà valutare stavolta la riabilitazione, alla stregua del nuovo art. 43, secondo comma, T.u.L.P.S., come modificato dal d.lgs. n. 104/2018. Da ultimo, è infondato il quarto motivo, poiché l’automatismo preclusivo derivante dalla condanna per furto non consente di attribuire alle circostanze del caso concreto -per come rappresentate e per quanto enfatizzate dall’appellante -quella valenza che egli pretende di riconnettervi. In conclusione, l’appello è infondato e deve, perciò, essere respinto. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. (...) P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale -Sezione Terza (III^), così definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ed all’art. 10 del Regolamento (uE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità dell’interessato, manda alla Segreteria di procedere ad oscurare le generalità nonché qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020, tenutasi, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, mediante collegamento da remoto in videoconferenza. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Una nota (ragionata) alla sentenza del taR Calabria n. 841/2020: rapporti tra stato e Regioni in tempo di Covid-19 noTa a Tribunale amminiSTraTivo regionale per la Calabria, Sezione prima, SenTenza 9 maggio 2020 n. 841 Nicole Piccozzi* Il presente contributo analizza la sentenza del Tribunale amministrativo regionale che ha annullato, su ricorso del Governo, l’ordinanza amministrativa emanata dal Presidente della Regione Calabria. vengono in particolare esaminate le seguenti questioni: il microsistema delle fonti che si è sviluppato per fronteggiare la situazione emergenziale, la questione di costituzionalità in merito al d.l. n. 19/2020 e la natura giuridica dei provvedimenti emanati dal Presidente del Consiglio per far fronte all’emergenza Coronavirus. Ci si occupa, infine, del principio di leale collaborazione e dell’operatività del principio di precauzione nel contesto emergenziale. Sommario: 1. premessa. il microsistema delle fonti disegnato dai decreti-legge n. 6/23 febbraio 2020 e n. 19/25 marzo 2020 -2. la questione oggetto di giudizio e le ragioni di illegittimità dell’ordinanza impugnata -3. le questioni di costituzionalità sollevate dalla regione Calabria -4. la natura del d.p.C.m 26 aprile 2020 -5. i principi oggetto della controversia - 6. Conclusioni. 1. premessa. il microsistema delle fonti disegnato dai decreti-legge n. 6/23 febbraio 2020 e n. 19/25 marzo 2020. L’emergenza sanitaria da Covid-19 è una situazione del tutto inedita per il nostro ordinamento. Pertanto, si è resa necessaria l’adozione di un sistema ad hoc (1) volto a gestirla ed è nata la necessità di individuare con chiarezza non solo gli strumenti di cui il Governo dispone per gestire una simile crisi (decreti-legge, ordinanze di necessità, D.P.C.M.) ma anche gli strumenti che possiedono le autorità periferiche (Regioni e Comuni) per fronteggiare l’emergenza (2). (*) Laureanda in Giurisprudenza presso l’università degli Studi di Trieste. Lo sviluppo dell’articolo è stato curato dal Prof. Gian Paolo Dolso, Professore associato di Diritto costituzionale presso l’università degli Studi di Trieste e dal Dott. Antonio Mitrotti, già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato e Dottore di ricerca in Diritto pubblico comparato presso l’ università degli Studi di Teramo. (1) Attraverso l’emanazione dei decreti-legge n. 6 e n. 19 del 2020 è stato concepito un “sistema di produzione del diritto” per far fronte all’emergenza, che si è posto in rapporto con il precedente quadro ordinamentale dedicato alle emergenze in generale: il d.lgs. n. 1/2018, la legge n. 833 del 1978, le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 112/1998 ed il d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico sugli enti locali). CONTENzIOSO NAzIONALE In particolare, il propagarsi dell’epidemia ha spinto i Presidenti di Regione ed i Sindaci ad emanare ordinanze (3) allo scopo di dettare misure specifiche per ciascuna realtà territoriale. Queste ordinanze sono state emanate ai sensi dell’art. 32 (4), comma 3 della Legge n. 833 del 1978, che istituisce il Servizio sanitario nazionale (5) e conferisce al Presidente della Giunta regionale e ai sindaci la possibilità di emanare ordinanze contingibili ed urgenti nelle materie di igiene e sanità pubblica. Inoltre, il potere di emettere ordinanze sindacali contingibili ed urgenti trova la propria legittimazione negli artt. 50 e 54 del T.u.E.L. (Testo unico degli Enti locali) adottato con D.Lgs. n. 267/2000 (6). L’art. 50 prevede questa possibilità nei casi di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica”, ma anche in relazione alle “necessità urgenti”. Invece, secondo l’art. 54 “il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato, provvedimenti anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”. In questo contesto, composto da più provvedimenti, il criterio di priorità è stato dato dal primo provvedimento governativo emesso per fronteggiare l’emergenza: il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020, recante “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19” (successivamente quasi integralmente abrogato dal D.L. n. 19 del 25 marzo 2020, fatti salvi gli artt. 3, comma 6-bis e 4). (2) Ci si trova così di fronte ad un universo vastissimo di interventi, che è impossibile da valutare compiutamente a causa del numero cospicuo di provvedimenti emanati per far fronte alla crisi. Sotto questo profilo, varie riviste online hanno allestito osservatori di vario genere sull’emergenza. Tra le quali si possono indicare, a titolo esemplificativo, le sezioni dedicate all’emergenza da Federalismi.it, osservatoriosullefonti.it, biodiritto.org, etc… (3) Sul punto, L. MAzzAROLLI, Sulle fonti del diritto in tempi di virus -parte ii -la “guerra delle ordinanze”, in Quaderni amministrativi, 2020. (4) Ai sensi dell’art. 32 (Funzioni di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria): “il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni. La legge regionale stabilisce norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria, ivi comprese quelle già esercitate dagli uffici del medico provinciale e del veterinario provinciale e dagli ufficiali sanitari e veterinari comunali o consortili, e disciplina il trasferimento dei beni e del personale relativi. Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale. Sono fatte salve in materia di ordinanze, di accertamenti preventivi, di istruttoria o di esecuzione dei relativi provvedimenti le attività di istituto delle forze armate che, nel quadro delle suddette misure sanitarie, ricadono sotto la responsabilità delle competenti autorità. Sono altresì fatti salvi i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell'ordine pubblico”. (5) Il Servizio sanitario nazionale, nell'ordinamento giuridico italiano, identifica il complesso delle funzioni, delle attività e dei servizi assistenziali gestiti ed erogati dalle Regioni italiane. (6) Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 227 del 28 settembre 2000. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Questo decreto-legge rappresenta la fonte del diritto che dovrebbe fondare la lunga catena di atti adottati successivamente. Il Governo ha ritenuto necessaria l’adozione del suddetto decreto-legge e ha previsto agli artt. 1 e 2 che le “autorità competenti” sono autorizzate «ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologia ». Poi, all’art. 3, comma 1 ha indicato le forme attraverso le quali le misure di contenimento possono essere adottate: «uno o più decreti del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Salute, sentito il ministro dell'interno, il ministro della difesa, il ministro dell'economia e delle Finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonché i presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale». Segue il comma 2, che prevede, in assenza dei D.P.C.M. di cui sopra e nei casi di estrema necessità ed urgenza, che «le misure di contenimento possano essere adottate dal ministro della salute, dai presidenti di regione e dai sindaci, ai sensi del- l’art. 32 della l. 23 dicembre 1978 n. 833, dell’art. 117 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 (7) e dell’art. 50 del T.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali». Questo inciso è particolarmente problematico. In sostanza, le misure possono essere adottate, rispettivamente, dal Ministero della Salute, dal Presidente della Regione e dal Sindaco. Dunque, è prevista una sorta di “delega in bianco” (8), che lascia un’ampia discrezionalità in capo ai destinatari. Si delinea così il sistema delle fonti: le misure di contenimento dell’emergenza devono essere disposte con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (D.P.C.M.); unicamente nel caso in cui, in una determinata materia, si prospettino casi di estrema necessità ed urgenza e non vi sia una previsione da parte del d.l. n. 6/23 febbraio prima e del d.l. n. 19/25 marzo poi, allora possono essere emanate ordinanze contigibili ed urgenti da parte delle Regioni e dei Comuni. In altri termini, assume prevalenza la disciplina nazionale dettata dai de- creti-legge e dai vari D.P.C.M. e solo in via sussidiaria e per misure non già regolamentate possono essere emanante ordinanze regionali e comunali. (7) Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 116 del 21 maggio 1998. (8) Sul punto, M. BELLETTI, la “confusione” nel sistema delle fonti ai tempi della gestione del- l’emergenza da Covid-19 mette a dura prova gerarchia e legalità, in osservatorio aiC, 3, 2020, pp. 188 -189; R. RuSSO, la delega in bianco nella giurisprudenza costituzionale, in osservatorio aiC, 2015; R. RuSSO, Quando una legge di delega può definirsi “in bianco”?, in rivista aiC, 1, 2019; M. CALAMO SPECChIA, principio di legalità e stato di necessità al tempo del “Covid-19”, in osservatorio aiC, 3, 2020; v. DI CAPuA, il nemico invisibile. la battaglia contro il Covid-19 divisa tra Stato e regioni, in Federalismi.it, 2020, p. 10. CONTENzIOSO NAzIONALE In realtà, le autorità regionali e comunali hanno prodotto una gran quantità di ordinanze per fronteggiare le criticità emerse nei rispettivi territori (9). Queste ordinanze si sono intrecciate e sovrapposte ai provvedimenti nazionali, finendo per compromettere la strategia unitaria di gestione della crisi e creando incertezza e problemi interpretativi. Pertanto, il Governo, per risolvere le criticità emerse a livello territoriale e locale con il d.l. n. 6 del 23 febbraio 2020, è intervenuto con l’emanazione del d.l. n. 19 del 25 marzo 2020, che ha cercato di costruire degli ‘argini’ all’esercizio dei poteri d’ordinanza, stabilendo che le Regioni ed i Comuni potranno sì emettere ordinanze, ma soltanto per uno dei vari motivi indicati dal suddetto decreto e mai in contrasto con le leggi nazionali ed i D.P.C.M. Il decreto-legge n. 19 rappresenta così la base giuridica del potere di ordinanza regionale e sindacale di carattere contingibile e urgente, fissando i limiti, gli ambiti di intervento, le finalità del relativo potere ed i tempi di durata dei provvedimenti. In tal modo, nel contesto emergenziale, le Regioni possono emettere ordinanze contingibili e urgenti nella materia di tutela della sanità pubblica, al verificarsi di specifiche situazioni di aggravamento sopravvenute del rischio sanitario nel proprio territorio, negli ambiti individuati nell’art. 1, comma 2 (10) del suddetto decreto-legge. Per quanto riguarda l’articolazione delle competenze, il decreto-legge n. 19 cerca di razionalizzare e regolare il rapporto tra Stato e Regioni, prevedendo espressamente all’articolo 2 che, nell’emanazione degli atti, il Presidente del (9) Per una visione schematica delle ordinanze emanate dalle autorità periferiche durante l’emergenza sanitaria da Covid-19 si rimanda alla Tabella relativa alle leggi e alle ordinanze regionali, in regioni.it, http://www.regioni.it/protezione-civile/2020/04/20/coronavirus-tabella-relativa-alle-leggie- alle-ordinanze-regionali-aggiornata-al-20-04-2020-608461/. (10) In particolare, “ai sensi e per le finalità di cui al comma 1, possono essere adottate, secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, una o più tra le seguenti misure … “tra cui: il divieto di entrare o di allontanarsi dal comune o dall’area interessata (lett. a) e b)); la sospensione di manifestazioni, di iniziative, di eventi e di ogni forma di riunione, in luogo pubblico o privato, a prescindere dal carattere culturale, ludico, sportivo e religioso (lett. c)); sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, compresa quella universitaria (lett. d)); chiusura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi di cultura (lett. e)); sospensione dei viaggi d’istruzione scolastica (lett. f)); sospensione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale (lett. h)); applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva (lett. h)); previsione dell’obbligo da parte degli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità, di comunicare tale circostanza al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio, che provvee a comunicarlo all’autorità sanitaria competente per l’adozione della misura di permanenza domiciliare fiduciaria (lett. i)); chiusura di tutte le attività commerciali, con esclusione di quelle relative alla vendita di beni di prima necessità (lett. j)); chiusura o limitazione degli uffici pubblici, esercenti attività di pubblica utilità e servizi pubblici essenziali (lett. l)); limitazione all’accesso o sospensione dei servizi del trasporto delle merci o delle persone fisiche (lett. m)), adozione delle modalità di svolgimento del lavoro agile (lett. n) e o))”. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Consiglio dei Ministri deve preventivamente sentire i Presidenti delle Regioni, nel caso in cui il provvedimento interessi solo una o alcune delle Regioni oppure il Presidente della Conferenza delle Regioni nel caso in cui il provvedimento sia di interesse nazionale. Inoltre, è previsto che le misure di contenimento devono essere adottate in primis con i D.P.C.M. e, solo al ricorrere di determinate condizioni, con ordinanze regionali e/o comunali. Invece, l’art. 3, comma 1 stabilisce la possibilità per le Regioni ed i Comuni di prendere decisioni soltanto più restrittive in caso di «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso» mantenendosi però «esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Questo articolo ha lo scopo di mettere ordine e di porre dei limiti puntualmente definiti al potere d’ordinanza regionale. Queste norme sono state adottate al fine di porre rimedio alla situazione di incertezza dovuta al proliferare di ordinanze regionali e locali. Da un lato, infatti, il potere di adozione viene concentrato nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri, che dovrebbe, in questo modo, mantenere la “regia” dell’operazione di gestione emergenziale, e dall’altro, si prevede che il relativo esercizio, da parte delle Regioni e dei Comuni, avvenga nel rispetto del principio di leale collaborazione. In questo problematico rapporto tra centro e periferia è certamente emblematica la sentenza n. 841/2020 del TAR Calabria, in cui il tribunale amministrativo è stato chiamato a decidere circa il ricorso presentato dal Governo avverso l’ordinanza n. 37 del 29 aprile 2020 della Presidente della Regione Calabria, Jole Santelli. 2. la questione oggetto di giudizio e le ragioni di illegittimità dell’ordinanza impugnata. Il TAR Calabria è stato adito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’annullamento dell’ordinanza della Regione Calabria che, al punto n. 6, consentiva la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto (11). Tale ordinanza risultava in contrasto con il D.P.C.M. del 26 aprile 2020 (12) e, perciò, la Presidenza del Consiglio dei Ministri l’ha impugnata dinanzi al Tar sollevando tre ordini di motivi: 1) l’ordinanza violerebbe l’art. 2, comma 1 e l’art. 3, comma 1 del d.l. (11) Si rimanda al testo completo dell’ordinanza: https://www.regione.calabria.it/website/portalmedia/ 2020-04/ordinanza-p.g.r.-n.-37_2020.pdf. (12) Per il testo completo del D.P.C.M. del 26 aprile 2020 si rimanda alla gazzetta ufficiale: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/04/27/20a02352/sg. CONTENzIOSO NAzIONALE n. 19 del 25 marzo 2020 e sarebbe stata emanata in carenza di potere per incompetenza assoluta. Occorre precisare che l’art. 2, comma 1 del d.l. n. 19 del 25 marzo 2020 attribuisce la competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del Covid-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al Presidente del Consiglio dei Ministri. Invece, l’art. 3, comma 1 dispone che le Regioni possono adottare ulteriori misure ad efficacia locale «esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale ». Si prospetta così un potere integrativo da parte delle Regioni, che però è sottoposto alle seguenti condizioni: deve trattarsi di interventi destinati ad operare nelle more dell’adozione di un nuovo D.P.C.M; gli interventi devono essere giustificati da situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario proprie della Regione interessata; infine, deve trattarsi di misure “ulteriormente restrittive” delle attività sociali e produttive esercitabili nella regione. Dal seguente quadro emerge che spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del Covid19, mentre alla Regione Calabria è dato intervenire solo nei limiti delineati dal d.l. n. 19. Dunque, la Regione si è posta in evidente contrasto con quanto disposto dal D.P.C.M. del 26 aprile. 2) l’ordinanza sarebbe priva di un’adeguata motivazione, non sarebbe stata supportata da una valida istruttoria e sarebbe illogica ed irrazionale. Si precisa che non è stato adottato un metodo scientifico valido nella valutazione del rischio epidemiologico e che non emergono condizioni tali da giustificare l’abbandono del principio di precauzione. 3) l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere, evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione. In particolare, sarebbe mancata ogni tipo di interlocuzione con il Governo. Invece, la Regione Calabria ha posto, nelle sue difese, la questione pregiudiziale di giurisdizione (13) ed ha affermato che la controversia consisterebbe in un conflitto di attribuzioni. Dunque, sarebbe devoluto alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost. ha affermato anche che «l’ordinanza impugnata troverebbe fondamento nell’art. 32, comma 3 della l. n. 833 del 1978» e che «sarebbe pienamente informata ai principi di adeguatezza e proporzionalità espressamente richiamati dall’art. 1, comma 2 del d.l. n. 19 del 2020, i quali richiedono di modulare i provvedimenti volti al contrasto del- l’epidemia al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio». (13) Si rimanda alla lettura dell’art. 8 (Cognizione incidentale e questioni pregiudiziali) del codice del processo amministrativo, secondo il quale «Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale. Restano riservate all'autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell'incidente di falso». RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Tuttavia, il Tribunale ha rigettato l’eccezione di giurisdizione ed i giudici amministrativi hanno riconosciuto il proprio jus decidendi sulla base di tre osservazioni: 1) Il provvedimento emanato dal Presidente della Regione Calabria ha natura di ordinanza contingibile ed urgente in materia di igiene e sanità pubblica. Dunque, si tratta di un esercizio del potere amministrativo che è ovviamente attribuito al giudice della funzione pubblica. 2) Le ragioni di illegittimità dedotte dalla parte ricorrente, riguardanti i confini delle attribuzioni assegnate ai diversi poteri dello Stato, non sono sufficienti ad attribuire alla controversia un tono costituzionale. 3) Non va esclusa la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo, anche se fosse possibile attivare il conflitto di attribuzione d’innanzi alla Corte costituzionale. Inoltre, sempre secondo il Tar Calabria, l’ordinanza regionale calabrese non può trovare fondamento nell’art. 32 della L. n. 833 del 23 dicembre 1978 (istituzione del Servizio sanitario nazionale), la quale disciplina, al comma 3, il potere del Presidente della Regione di emanare ordinanze contingibili e urgenti in materia di igiene e sanità pubblica. Ma tale disposizione risulta derogata dalla disciplina dettata dal d.l. n. 19/25 marzo 2020 all’art. 3, comma 3 che stabilisce i limiti al potere di ordinanza del Presidente della Regione, i quali valgono per tutti gli «atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente». Inoltre, l’emergenza sanitaria ha carattere nazionale ed impone l’intervento da parte del Governo centrale. In conclusione, il TAR accoglie i tre motivi di ricorso (14) sollevati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: 1) Il primo motivo relativo alla carenza di potere per incompetenza assoluta trova pieno accoglimento, in quanto le condizioni previste dall’art 3, comma 1 del d.l. n. 19/2020 non sono dimostrate. 2) Il secondo motivo è accolto, in quanto manca un’adeguata istruttoria tale da giustificare l’abbandono del principio di precauzione. 3) Il terzo motivo è accolto in quanto si lamenta violazione del principio di leale collaborazione, elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere. Perciò, il TAR annulla l’ordinanza nella parte in cui, al punto n. 6, dispone che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria «è consentita la ripresa delle attività di bar, ristoranti, pasticcerie, pizzerie, agriturismi con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto», in contrasto con quanto disposto dal D.P.C.M. 26 aprile 2020. Il TAR giunge così a dichiarare l’illegittimità dell’ordinanza della Presidente della Regione Calabria e ne dispone l’annullamento, in quanto le Regioni (14) ivi, pp. 5 - 6. CONTENzIOSO NAzIONALE possono intervenire solo nei termini delineati dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 19/2020, non integrati nel caso di specie. 3. le questioni di costituzionalità sollevate dalla regione Calabria. Dall’esame, nella sentenza, delle posizioni delle parti (Regione Calabria e interventori) emergono due distinte questioni che tendono a chiamare in causa, sotto diversi profili, la Corte costituzionale: la prima è relativa alla (sostenuta) necessità di adire la Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni; la seconda ha ad oggetto la decisione sulla prospettata eccezione di legittimità costituzionale in via incidentale. La prima questione riguarda un’eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione sollevata dalla Regione Calabria, la quale afferma che la controversia, consistendo in un conflitto di attribuzioni, avrebbe dovuto essere devoluta -secondo la prospettazione della Regione -alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost. (15). Tuttavia, dall’esame, nella sentenza, delle questioni pregiudiziali e preliminari, emerge che il Tar Calabria ha respinto la questione pregiudiziale sollevata dalla Regione Calabria circa il “tono costituzionale” (16) della controversia e ha affermato di essere dotato di giurisdizione sulla base delle seguenti argomentazioni: 1) il provvedimento emanato dalla presidente dalla regione Calabria ha natura di ordinanza contingibile ed urgente in materia di igiene e sanità, nel quadro della disciplina dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978. Dunque, trattandosi di esercizio di potere amministrativo, il sindacato giurisdizionale deve essere naturalmente attribuito al giudice della funzione pubblica, cioè il giudice amministrativo. 2) il fatto che le ragioni di illegittimità dedotte dalla parte ricorrente siano inerenti anche ai confini delle attribuzioni assegnate ai diversi poteri dello Stato non è sufficiente ad attribuire alla controversia un tono costituzionale. In particolare, il Tar richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale «il tono costituzionale del conflitto sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali» (17). Inoltre, è stato chiarito (18) che «non basta che nella materia in questione vengano in gioco competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione, perché la controversia assuma un tono costituzionale». (15) La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica [ed i Ministri] a norma della Costituzione. (16) La nozione di “tono costituzionale” del conflitto è stata coniata da Carlo Mezzanotte. Sul punto, C. MEzzANOTTE, le nozioni di “potere” e di “conflitto” nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in giurisprudenza italiana, 1979, p. 113. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Sulla base di queste considerazioni il Giudice amministrativo conclude nel senso che la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo è legittimamente esperibile. Infatti, il Tar Calabria precisa di avere giurisdizione a decidere, dal momento che la via del conflitto di attribuzione non è, nel caso, da ritenersi costituzionalmente obbligata. La seconda questione riguarda l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata sul d.l. n. 19 del 25 marzo 2020 (19). In particolare, secondo le parti resistenti, il decreto sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost.; con l’art. 117, comma 3 Cost. (20) e con l’art. 120, comma 2 Cost. (21) in quanto demanderebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione. Il TAR Calabria non ha ritenuto che ricorressero gli estremi per sospendere il giudizio e sollevare davanti alla Corte Costituzionale questione di legittimità del d.l. n. 19 del 25 marzo 2020, sulla base delle seguenti considerazioni: a) la restrizione alla libertà di iniziativa economica è predeterminata dalla legge. In particolare, l’art. 41 Cost. (22) prevede che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Dunque, il contenuto del provvedimento (ordinanza n. 37 del 29 aprile 2020) adottato sulla base del d.l. n. 19/25 marzo 2020 risulta predeterminato dal de( 17) ex plurimis, Corte cost. 14 febbraio 2018 n. 28; Id. 15 maggio 2015 n. 87; Id. 28 marzo 2013 n. 52. In particolare, sul rapporto tra giudizio amministrativo e giudizio per conflitto di attribuzioni si rimanda a G. zAGREBELSky, v. MARCENò, giustizia Costituzionale, Il Mulino, 2012; G. zAGREBELSky, manuale di diritto costituzionale, uTET, 1987; v. CRISAFuLLI, lezioni di diritto costituzionale, CEDAM, 1984. (18) Cfr., ad esempio, Corte Cost. 29 ottobre 2019 n. 224. Nel caso la Corte costituzionale, pronunciandosi su un ricorso per conflitto di attribuzione tra Regione e Stato, avente ad oggetto una sentenza definitiva del giudice amministrativo che aveva annullato il rifiuto regionale dell’intesa in ordine al procedimento di rilascio di un permesso di ricerca di idrocarburi, ha avuto modo di dichiarare l’inammissibilità del conflitto per carenza del c.d. “tono costituzionale”. (19) Cfr. il d.l. n. 19 del 25 marzo 2020, in gazzetta ufficiale: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/25/20g00035/sg. (20) In particolare, l’art. 117, comma 3, Cost. stabilisce che “sono materie di legislazione concorrente quelle relative alla tutela della salute; protezione civile etc ... Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. (21) L’art. 120, comma 2 Cost. stabilisce che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”. (22) L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. CONTENzIOSO NAzIONALE creto stesso, il quale rende possibile la «limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande». Pertanto, alla discrezionalità dell’autorità amministrativa è demandata la sola individuazione dell’ampiezza di tale limitazione in ragione dell’esame epidemiologico. Infatti, «è la legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la commisurazione dell’estensione di tale limitazione». b) lo Stato aveva la competenza legislativa ad adottare il d.l. 19/2020. Questo è vero sulla base sia dell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che attribuisce allo Stato competenza esclusiva in materia di ‘profilassi internazionale’, sia dell’art. 117, comma 3 Cost., che gli attribuisce competenza concorrente in materia di ‘tutela della salute’ e ‘protezione civile’. c) Il d.l. n. 19/25 marzo ha riconosciuto in capo al Presidente del Consiglio il potere di individuare le misure necessarie in concreto per affrontare l’emergenza sanitaria, trovando giustificazione nell’art. 118, comma 1 Cost. (23). Nello specifico, poiché si tratta di un’emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali deve essere operata a livello unitario nel rispetto del principio di sussidiarietà. In particolare, il Tar Calabria (25) precisa che «è noto che la Corte costituzionale ha ritenuto (26) che (23) In base al quale “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Provincie, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. (25) Cfr. T.A.R. Calabria, sez. I, 9 maggio 2020, n. 841 in giustizia amministrativa: https://www.giustiziaamministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?noderef=&schema=tar_ cz&nrg=202000457&nomeFile=202000841_20.html&subdir=provvedimenti. (26) Sin dalla sent. n. 303 del 1 ottobre 2003 con cui la Corte ha teorizzato per la prima volta la c.d. chiamata in sussidiarietà. La Corte ammise la possibilità̀ per il legislatore statale di “attrarre” in sussidiarietà, alla propria competenza legislativa, oltre che amministrativa, la disciplina di determinati oggetti, a tutela di esigenze unitarie e previa intesa fra Stato e Regioni. Orbene, in quella fattispecie, il nuovo meccanismo operava in realtà con riferimento ad una questione di “interesse generale/nazionale” (provvedimenti legislativi relativi alla disciplina di procedimenti amministrativi finalizzati all’individuazione, localizzazione e realizzazione di infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale) e concerneva una normativa che investiva materie di competenza esclusiva statale e concorrente, senza “toccare” l’ambito (ben più delicato) delle materie di competenza residuale, rispetto alla quale, infatti, la Corte scelse di non pronunciarsi (“è estranea alla materia del contendere la questione se i principi di sussidiarietà e adeguatezza permettano di attrarre allo Stato anche competenze legislative residuali delle regioni”, par. 2.3 del Considerato in diritto). Successivamente però, con la sentenza 13 gennaio 2004 n. 6, la Corte chiarirà che la chiamata in sussidiarietà di funzioni (anche) legislative, poichè motivata da “istanze unitarie”, prioritarie, può (deve) riguardare anche le materie oggetto di potestà legislativa concorrente e residuale. L’allocazione a livello statale delle funzioni di competenza regionale anche residuale ha poi trovato conferma nella giurisprudenza successiva (cfr., da ultimo, sentenza n. 278/2010). Specificatamente, sulla sentenza n. 6/2004, si rimanda a O. ChESSA, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto, in le regioni, 4, 2004, 941 ss. Inoltre, le argomentazioni riportate nella sentenza n. 303/2003 costituiscono il punto di riferimento per tutte le elaborazioni concettuali successive sul tema. Numerosissimi i RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa (27), purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di collaborazione tra Stato e regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa» (28). Inoltre, si esclude anche che, nel caso di specie, siano stati attribuiti al- l’amministrazione centrale poteri sostitutivi non previsti dalla Costituzione. In particolare, l’art. 120, comma 2 Cost. (29) disciplina il potere sostitutivo del Governo, stabilendo che «il governo può sostituirsi a organi delle regioni, delle Città metropolitane, delle provincie e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali» (30). Dunque, non vi è stato alcun intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione legislativa (31). Pertanto, sulla base delle considerazioni appena riassunte, il Giudice amministrativo ha escluso che le prescrizioni del citato decreto violino la Costituzione e ha affermato che non è necessaria la rimessione alla Corte costituzionale. Dunque, conclude per il rigetto dell’eccezione di costituziona commenti della dottrina che ha attentamente analizzato la decisione, traendo spunto per le più diverse riflessioni, dati i numerosi temi ivi affrontati. Tra i tanti, cfr. S. BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, in le regioni, 1, 2004; F. CINTIOLI, le forme dell’intesa e il controllo sulla leale collaborazione dopo la sentenza n. 303 del 2003, in Forum di Quad. Cost., 31 ottobre 2003. (27) Il principio di legalità dell’azione amministrativa stabilisce che la pubblica amministrazione trova nella legge i fini della propria azione e i poteri giuridici che può esercitare e non può esercitare alcun potere al di fuori di quelli che la legge le attribuisce. È espressione del principio democratico e della supremazia della volontà popolare. Tale principio è accolto dalla Costituzione italiana all'art. 23 stabilendo che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”; all'art. 42, comma 3 dicendo che “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge,e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale”; all'art. 97 dove stabilisce che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell’amministrazione". Inoltre, l’art. 1 della legge n. 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo) stabilisce che “l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge secondo le modalità fissate dalla stessa legge, nonché in base ai principi individuati dall'ordinamento comunitario”. (28) Sul punto si rimanda alla sent. n. 278, Corte cost. 22 luglio 2010. (29) L’articolo è stato riformulato dalla L. Cost. n. 3/2001, attuata attraverso la Legge “La Loggia” (L. n. 131/2003, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) pubblicata nella gazzetta ufficiale n. 132 del 10 giugno 2003. (30) La disciplina dell’esercizio di questo potere sostitutivo del Governo per le finalità indicate nella stessa disposizione, è recata dall’art. 8, l. n. 131/2003 (cd. Legge “La Loggia”). (31) Come supra specificato. CONTENzIOSO NAzIONALE lità, ritenendo la questione di illegittimità costituzionale prospettata dalla Regione manifestamente infondata. 4. la natura del d.p.C.m. 26 aprile 2020. La sentenza del TAR Calabria n. 841 (32) ha chiarito qual è la natura del D.P.C.M. del 26 aprile 2020: «non è un atto a carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale». La pronuncia ha fornito un prezioso orientamento in riferimento all’incerta natura giuridica dei D.P.C.M. in quanto durante il periodo dell’emergenza sanitaria da Coronavirus è sorto un nutrito dibattito, in dottrina, sulla natura di tali atti e sulla loro collocazione all’interno del sistema delle fonti (33). Nello specifico, il D.P.C.M. è stato oggetto di una puntuale analisi classificatoria: ci si è in particolare chiesti se si tratti di un “regolamento” o di un “atto amministrativo generale”? (34). va sottolineato che il D.P.C.M. è un decreto ministeriale (35) e, in quanto tale, può avere anche natura regolamentare ma a condizione che sussistano due requisiti: uno formale e l’altro sostanziale (36). Secondo il requisito formale, il decreto deve recare la dicitura di ‘regolamento’ ed adottare l’iter procedimentale previsto dall’art. 17, commi 3 e 4 della legge n. 400/1988 (37). (32) Si rimanda, in dottrina, ai preziosi commenti di E. GuARNA ASSANTI, il processo amministrativo e la giurisdizione (s)oggettiva. Considerazioni sulla sentenza n. 841/2020 del Tar Calabria, in amministrazione e Contabilità dello Stato e degli enti pubblici, n. 1-2-3/2020; F.F. PAGANO -A. SAITTA -F. SAITTA, il giudice amministrativo stoppa la ripartenza anticipata della regione Calabria: sul lockdown è lo Stato a dettare legge, in osservatorio aiC, n. 3/2020. (33) Sulla figura del D.P.C.M. si veda, per tutti, A. LuCARELLI, Costituzione, fonti del diritto ed emergenza sanitaria, in rivista aiC, 2, 2020, p. 565 ss.; u. DE SIERvO, emergenza Covid e sistema delle fonti: prime impressioni, in osservatorio sulle fonti, fascicolo speciale, 2020. (34) Per un minuzioso esame si rinvia a quanto brillantemente ricostruito da A. MITROTTI, Salus rei publicae e legalità alla prova dell’emergenza da Covid-19. inediti strumenti di gestione dei d.p.C.m., in ambiente e diritto, 3, 2020, pp. 17 ss.; G. DI COSIMO, Quel che resta della libertà di circolazione al tempo del Coronavirus, in osservatorio sulle fonti, fascicolo speciale, 2020; M. LuCIANI, il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in rivista aiC, 2, 2020, p. 121, il quale riconosce con sicurezza natura normativa “non regolamentare” a tali provvedimenti. (35) un decreto ministeriale (D.M.), nell'ordinamento giuridico italiano, è un atto amministrativo emanato da un ministro nell'esercizio della sua funzione e nell'ambito delle materie di competenza del suo dicastero. Attraverso la forma del decreto ministeriale possono essere poste tanto norme generali e astratte, quanto disposizioni particolari: nel primo caso un decreto ministeriale riveste natura di regolamento e costituisce quindi una fonte del diritto autonoma; nel secondo caso esso costituisce un mero atto amministrativo. Pertanto, nel caso in cui il decreto ministeriale contenga solo disposizioni particolari e discrezionali (per esempio: nomine di dirigenti ministeriali o di enti pubblici sottoposti all'autorità ministeriale), esso non costituisce una fonte del diritto, bensì un mero atto amministrativo, in particolare un atto di alta amministrazione. Inoltre, quando un decreto ministeriale è emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri prende la denominazione di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (D.P.C.M.). (36) La giurisprudenza amministrativa prende congiuntamente in considerazione i due criteri formale e sostanziale - per la verifica inerente alla natura regolamentare di un decreto ministeriale. (37) Rubricata “disciplina dell’attività di governo e ordinamento della presidenza del Consiglio dei ministri”. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 Invece, per quanto riguarda il requisito sostanziale, l’atto deve possedere i cosiddetti “caratteri intriseci” (38), ossia generalità, astrattezza ed innovatività (39). Nel caso di specie, i D.P.C.M. non presentano i caratteri dell’astrattezza e della generalità. Si esclude così che si tratti di “atti a carattere normativo” e non possono essere definiti “decreti regolamentari” per la mancanza dei requisiti sopra esposti. Inoltre, alcuni (40) hanno ricondotto la natura dei D.P.C.M. a quella delle “ordinanze di protezione civile”. Tuttavia, ciò sembra da escludere in quanto la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (41) ha disposto, al punto 2, che «per l’attuazione degli interventi di cui all’articolo 25, comma 2, lettere a) e b) del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, si provvede con ordinanze emanate dal Capo del dipartimento della protezione civile […]». Dunque, se il Presidente del Consiglio avesse voluto emanare ordinanze avrebbe potuto farlo per il necessario tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile e non (38) Cons. St., Sez. Sesta, sent. 30 novembre 2016, n. 5035, par. 5 del Considerato in diritto: «il criterio sostanziale valorizza la natura intrinseca dell’atto che, per essere normativo, deve avere i seguenti caratteri: i) generalità, intesa quale indeterminabilità a priori ed a posteriori dei soggetti ai quali l’atto si indirizza; ii) astrattezza, intesa quale indefinita ripetibilità ed applicabilità a fattispecie concrete; iii) innovatività, intesa quale capacità di concorrere a costituire o ad innovare l’ordinamento». (39) Sui caratteri della generalità, dell’astrattezza e della novità di una ‘fonte normativa’ è significativo il richiamo alle autorevoli ricostruzioni sviluppate brillantemente in v. CRISAFuLLI, lezioni di diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1984, pp. 26 ss.; L. PALADIN, diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1998, pp. 124 ss. Più di recente si confrontino (ex multis) le diffuse analisi ricostruite in L. BENvENuTI, interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2002; F. SORRENTINO, le fonti del diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2007; A. CERRI, prolegomeni ad un corso sulle fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2011; R. BIN, a discrezione del giudice. ordine e disordine: una prospettiva “quantistica”, Milano, Franco Angeli, 2013. (40) Sul punto, M. LuCIANI, il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Consulta online, 11 aprile 2020, secondo il quale «i DPCM sono ordinanze, “pur se nella forma tipica -per quel- l’organo -del decreto del Presidente del Consiglio». Inoltre, pare non ravvisare alcuna anomalia, sul rilievo che i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri trovino legittimazione nel Codice della protezione civile, in particolare nelle parti in cui esso individua nel Presidente del Consiglio l’autorità nazionale di protezione civile e il titolare delle politiche in materia (art. 3, comma 1, lett. a) e gli affida “poteri di ordinanza in materia di protezione civile” (art. 5, comma 1), ordinanze che possono essere adottate “in deroga a ogni disposizione di legge, pur nei limiti e con le modalità indicate nella deliberazione dello stato d’emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’unione europea” (art. 25, comma 1); l’ipotesi interpretativa in parola trova conforto, secondo l’Autore, anche nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 277 del 9 luglio 2008, che, in riferimento a ordinanze analoghe previste dalla legge istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione Civile e che possono essere emesse a seguito della dichiarazione di emergenza, e per far fronte ad essa, dal Presidente del Consiglio, afferma che “per l’attuazione dei predetti interventi di emergenza, possono essere adottate ordinanze […] in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto, tuttavia, dei principi generali dell’ordinamento giuridico […]”). (41) “dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Per una brillante disamina si rimanda a G.P. DOLSO, Coronavirus: nota sulla dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario, in ambientediritto.it, 1, 2020. CONTENzIOSO NAzIONALE nella ‘forma’ di D.P.C.M. Pertanto, i D.P.C.M. non possono essere qualificati come “ordinanze”. In conclusione, secondo il tribunale amministrativo, non può che trattarsi di “atto amministrativo generale” in quanto «presenta una pluralità di destinatari » (non determinabile ex ante) ed «esauriscono la loro efficacia con le singole applicazioni» (42). 5. i principi oggetto della controversia. Il TAR Calabria, nell’esame dei motivi di ricorso, ha approfondito i principi che giustificano la compressione dei poteri contingibili ed urgenti dei Presidenti delle Regioni, di cui all’art. 32 della legge n. 833 del 1978. Nello specifico, emerge la constatazione che l’ordinanza regionale sarebbe stata emanata in “violazione del principio di leale collaborazione”; mentre, di contro, la Regione Calabria sostiene, appoggiata da alcuni Comuni intervenuti a suo favore, che il D.P.C.M. del 26 aprile 2020, sottoponendo ad una disciplina unitaria tutto il territorio nazionale, non tenga conto delle peculiari esigenze fattuali in loco. Il giudice amministrativo calabrese attesta la mancanza di coordinamento tra i livelli di Governo, evidenziando che la condotta della Presidente della Regione sia sintomatica del vizio dell’eccesso di potere (43); in particolare, ha laconicamente rilevato che, nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa sia stata preceduta da una qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo. Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il D.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli di governo, e dunque la violazione, da parte della Regione Calabria, del dovere di leale collaborazione (44) tra i vari soggetti che compongono la Repubblica. La situazione emergenziale richiede il raggiungimento di un equilibrio tra le prerogative dello Stato, quale ente preposto alla gestione dell’emergenza, e quelle delle Regioni, quali enti territoriali maggiormente vicini alle esigenze della popolazione. Tuttavia, l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha posto in essere la necessità, da parte dello Stato, di intervenire su materie di (42) S. TARuLLO, manuale di diritto amministrativo, Bologna, zanichelli, 2017, p. 310. (43) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre 2001 n. 9. Sul punto, si rimanda a M. OCChIENNA, alle regioni quel che è dello Stato: il federalismo nella tutela del paesaggio [Nota a sentenza: Consiglio di Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9], in periodico di urbanistica e appalti, v. 6, 4, 2002; F. CORTESE, l'adunanza plenaria e la natura del potere ministeriale di annullamento 'ad estrema difesa del vincolo' paesistico: chiarimenti sulla disciplina del riesame nel contesto della 'sussidiarietà' [Nota a sentenza: Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9], in periodico diritto & formazione, v. 2, 4, 2002. (44) Principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo v della Costituzione. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 cui non ha la competenza esclusiva, come la sanità, per avere una normativa omogenea ed uniforme su tutto il territorio, evitando così che ciascuna Regione decida autonomamente ed in difformità rispetto alle altre. Lo Stato ha rinvenuto la competenza legislativa innanzitutto nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale », e poi nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile». Di conseguenza, si è venuto a creare un intreccio complesso nei rapporti tra Stato e Regioni e sono emerse diverse criticità con riguardo al principio di leale collaborazione, che rappresenta il pilastro al quale devono informarsi i rapporti Stato-Regioni. Infatti, è il loro principio ispiratore. È stato elaborato dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina (45) per poi essere positivizzato, solo dopo la riforma del Titolo v del 2001, nella Carta costituzionale. Però, il concetto di leale collaborazione (46) non è definito espressamente in Costituzione: vi è un riferimento espresso all’art. 120, comma 2, Cost. (47). Solitamente trova la sua espressione in quelle fattispecie in cui si verificano intrecci di competenze statali e regionali, che implicano una co-gestione degli interessi nazionali e regionali. In questo caso, il principio di leale collaborazione ha trovato qualche spazio di applicazione ed è stato assicurato attraverso il seguente schema: i prov (45) In dottrina, è opportuno menzionare, S. BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti fra Stato e regioni, Giuffrè, Milano, 1972. Si rinvia anche alla lettura di G. D’AuRIA, misure di politica economica generale, attrazione in sussidiarietà di funzioni regionali da parte dello Stato, leale collaborazione fra Stato e autonomie, in il Foro italiano, n. 10/2018, pp. 3010-3014. (46) Sul principio di leale collaborazione e sulla rilevanza che esso riveste quale vera condizione della regola sussidiaria si riportano alcuni passaggi significativi della giurisprudenza costituzionale. Corte cost. 14 ottobre 1996 n. 341definisce la leale collaborazione “un permanente fattore di composizione di un disegno autonomistico che è basato sì sulla distinzione e sull’articolazione delle competenze, ma anche, talvolta, sulla loro interferenza e sul loro reciproco legame”. Corte cost. 23 gennaio 2006 n. 31 ha affermato che il principio di leale collaborazione “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni”, dato che “la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti”. Quello della leale collaborazione costituisce un principio interpretativo generale delle norme sul riparto di competenza e più in generale delle relazioni istituzionali fra Stato e Regioni; cfr. anche Corte cost. 18 luglio 1997 n. 242. Sulla rilevanza del principio di leale collaborazione quale “strumento imprescindibile” nella regolazione dei rapporti tra Stato e Regioni si veda L. ANTONINI, M. BERGO, il principio di leale collaborazione e la remuntada delle regioni nei rapporti finanziari con lo Stato: brevi riflessioni a margine di alcune recenti sentenze della Corte costituzionale, in Federalismi.it, n. 12/2018, p. 2. (47) Il secondo comma dell’articolo 120 Cost. prevede i presupposti sostanziali per l’esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo, in assenza dei quali tale potere sarebbe inammissibile. Tale potere può essere, quindi, esercitato: nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. CONTENzIOSO NAzIONALE vedimenti diretti a regolamentare la materia (ovvero i D.P.C.M.) devono essere adottati “sentiti” i Presidenti di Regione coinvolti o il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, o su loro proposta, senza intese formalizzate che risulterebbero inconciliabili con le tempistiche indispensabili in periodi emergenziali. Tuttavia, nella gestione dell’emergenza da Covid-19, le seguenti forme di coordinamento inter-istituzionale non sono state sufficienti. In particolar modo, i provvedimenti del Governo avrebbero dovuto implicare una maggiore collaborazione con le autorità periferiche, anche attraverso lo strumento dell’intesa o della Conferenza Stato-Regioni e autonomie locali, in considerazione della loro maggiore conoscenza delle specificità delle singole aree e delle varie esigenze contingenti. Pertanto, l’amministrazione centrale avrebbe dovuto valutare più attentamente gli strumenti di raccordo, poiché, in assenza di uno spirito collaborativo, qualsiasi tentativo di dare una forma giuridica tra i vari livelli di governo rimane fine a sé stesso. Si è così sviluppato un ordinamento emergenziale di carattere duale e concorrenziale, in cui Stato e Regioni non riescono a coordinarsi facendo così venir meno il principio di leale collaborazione. Inoltre, dall’esame dei motivi del ricorso, non emergono condizioni peculiari tali da giustificare l’abbandono del principio di precauzione (48). Infatti, l’emergenza epidemiologica ha insegnato che il rischio non ha solo a che fare con la diffusione del virus, ma anche con le misure di contenimento e la dotazione sanitaria deputata a combatterlo. Si è così seguita una strategia coerente con tale sopracitato principio, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto di emergenza sanitaria. Si ricorda anche che “ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (49)”. (48) Per “principio di precauzione” si intende una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse. In particolare, è citato nell’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’unione Europea (uE). Il suo scopo è garantire un alto livello di protezione dell’ambiente grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio. Tuttavia, nella pratica, il campo di applicazione del principio è molto più vasto. La definizione deve anche avere un impatto positivo a livello internazionale, al fine di garantire un livello appropriato di protezione dell’ambiente e della salute nei negoziati internazionali. Infatti, tale principio è stato riconosciuto da varie convenzioni internazionali e figura in special modo nell'Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) concluso nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Inoltre, il suo ricorso è giustificato solo quando riunisce tre condizioni, ossia l'identificazione degli effetti potenzialmente negativi; la valutazione dei dati scientifici disponibili; l'ampiezza dell'incertezza scientifica. (49) Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019 n. 6655. Sul punto, si rimanda a L. DE vECChI, gare per la fornitura di vaccini e principio di precauzione: è legittimo porre in concorrenza al criterio del prezzo più basso due vaccini con coperture differenti, in net4market, 14 novembre 2019; L. FILIERI, un RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 6. Conclusioni L’emergenza da Coronavirus ha suscitato non pochi problemi in ordine alla distribuzione delle competenze tra i vari livelli di Governo e ha dato luogo a numerose incertezze applicative che, talvolta, sono sfociate anche in conflitti giudiziari, come il caso sopra analizzato. In particolare, appare pacifico come si siano progressivamente prodotti spazi di differenziazione (50): molte Regioni si sono distaccate rispetto alle linee guida dettate dagli organi tecnico-scientifici centrali, producendo conflitti (51) e generando confusione nell’ordinamento. Di conseguenza, l’ordinamento si è rivelato territorialmente “diviso” nel contrasto alla diffusione dell’epidemia. Tuttavia, questa divisione è stata in parte contenuta attraverso l’esercizio dal potere centrale, i cui provvedimenti hanno in qualche modo limitato l’incertezza generata dalla moltitudine di ordinanze regionali e locali, dimostrando che una regia nazionale per far fronte ad emergenze di questo genere è di certo opportuna. In conclusione, emerge, complessivamente, un’esigenza da parte del potere centrale di porre in essere misure omogenee per l’intero territorio nazionale, ma contemporaneamente anche la volontà, da parte delle autonomie locali, di provvedere con specifiche discipline, che possano tener conto delle esigenze dei territori, di cui, sicuramente, il livello di governo “più vicino” ha maggiore e più completa cognizione, il tutto nel rispetto del quadro generale di disciplina predisposto dalle autorità centrali. In aggiunta, si pone anche l’esigenza di introdurre rettifiche migliorative in grado di favorire la chiarezza e la fluidità dei rapporti tra i due livelli di gestione dell’emergenza. caso di “non” applicazione del principio di precauzione nella scelta del vaccino a minore copertura, in italiappalti, 2 novembre 2019. In particolare, “il principio di precauzione obbliga le Autorità competenti ad adottare provvedimenti appropriati al fine di scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi e prima che subentrino più avanzate e risolutive tecniche di contrasto. Per la sua applicazione, tuttavia, è presupposta l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura. Nel caso di specie, non è stata verificata una condizione di rischio indeterminato e incontrollabile tale da suggerire l’impiego alla massima intensità di tutti gli strumenti di contenimento del rischio”. (50) Per una attenta analisi riguardo al fenomeno della differenziazione durante l’emergenza sanitaria si rimanda a P. GIANGASPERO, note sparse sui rapporti tra Stato e regioni in materia di gestione dell’emergenza Covid 19, tra istanze di omogeneità e spinte alle differenziazioni territoriali, in Quaderni amministrativi, n. 3/2020. (51) A testimonianza della conflittualità in atto tra Stato e Regioni si prenda anche in considerazione il decreto n. 344 del Presidente del TAR Sardegna, Sez. I, che ha sospeso in via cautelare l’ordinanza (n. 43, 11 settembre 2020), che imponeva a tutti coloro che intendevano fare ingresso nel territorio regionale di presentare, all’atto dell’imbarco, l’esito di un test (sierologico o molecolare o antigenico rapido) effettuato nelle 48 ore precedenti. CONTENzIOSO NAzIONALE In particolare, si riscontra l’esigenza di dare attuazione all’art. 11 della Legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede l’integrazione con rappresentanti regionali della ‘Commissione parlamentare per le questioni regionali’, prevista dall’art. 126, comma 1, Cost. Inoltre, appare in questo contesto opportuno il rafforzamento del ruolo e della presenza di organi “misti”, quali la Conferenza Stato-Regioni e StatoCittà- Enti locali. Di più, il ruolo delle Conferenze potrebbe essere reso più efficiente attraverso una riorganizzazione delle molte sedi in cui è articolato e attraverso forme di consultazione più tempestive. Per esempio, attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali. Pare anche opportuno prevedere il rafforzamento del ruolo delle Regioni nella formulazione delle proposte relative ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale” che la Cost. -all’art. 117, comma 1 - affida alla competenza esclusiva dello Stato. tribunale amministrativo Regionale per la Calabria, sezione Prima, sentenza 9 maggio 2020 n. 841 -pres. G. Pennetti, est. F. Tallaro -Presidenza del Consiglio dei Minsitri (avv. distr. St. Catanzaro) c. Regione Calabria (avv.ti A. Di Porto, M. Manna, O. Morcavallo) + altri. FATTO e DIRITTO I – l’iter processuale 1. – Oggetto dell’odierno giudizio è l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37. Con tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 32, comma 3 l. 23 dicembre 1978, n. 833, sono state dettate misure per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COvID-19. In particolare, si controverte della legittimità del punto n. 6, con il quale è stato disposto che, sin dalla data di adozione dell’ordinanza, è consentita, nel territorio della Regione Calabria, la ripresa dell’attività di ristorazione, non solo con consegna a domicilio e con asporto, ma anche mediante servizio al tavolo, purché all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di carattere igienico sanitario. 2. – Ad impugnare l’ordinanza, chiedendone l’annullamento a questo Tribunale Amministrativo Regionale, è stata la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con ricorso notificato a mezzo PEC e depositato il 4 maggio 2020. ha resistito la Regione Calabria, la quale si è costituita nella medesima data. 3. – unitamente al ricorso è stata proposta domanda cautelare di sospensione degli effetti dell’ordinanza, nella parte impugnata, accompagnata dalla richiesta di decreto cautelare monocratico ai sensi dell’art. 56 c.p.a. In data 5 maggio 2020 il Presidente di questo Tribunale Amministrativo Regionale ha sentito informalmente e separatamente le difese delle amministrazioni. Esse, nell’interesse generale della giustizia, avuto riguardo oltretutto alla delicatezza dei temi trattati in ricorso, che toccano i rapporti fra Stato e Regioni dal punto di vista dei rispettivi RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 poteri di intervento nell’attuale drammatica fase epidemica in atto, hanno concordato sulla necessità di addivenire in tempi molto brevi a una decisione collegiale, eventualmente anche quale sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. Pertanto, l’Avvocatura dello Stato ha rinunciato all’istanza di tutela cautelare monocratica ai sensi dell’art. 56 c.p.a.; entrambe le parti hanno rinunciato ai termini a difesa di cui all’art. 55, comma 5 c.p.a. 4. – È stata dunque fissata la camera di consiglio del 9 maggio 2020. 5. – Al giudizio hanno inteso intervenire anche altre amministrazioni. In particolare, in data 6 maggio 2020 si è costituito, ad adiuvandum, il Comune di Reggio Calabria; al contrario, si sono costituiti ad opponendum nella medesima data del 6 maggio 2020 il Comune di Amendolara e nella successiva data del 7 maggio 2020 il Comune di Tropea. In data 7 maggio 2020 si è costituito ad opponendum anche CODACONS -Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori. In data 8 maggio 2020 si sono costituiti, in pretesa applicazione dell’art. 28, comma 1 c.p.a., alcuni operatori del settore della ristorazione, meglio individuati nell’epigrafe della sentenza. In vista della decisione la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Calabria hanno depositato memorie ad ulteriore supporto delle argomentazioni difensive utilizzate. 6. – Il ricorso è stato trattato collegialmente in data 9 maggio 2020 ai sensi dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod con l. 24 aprile 2020, n. 27, e, ricorrendone i presupposti, è stato deciso nel merito ai sensi dell’art. 60 c.p.a. ii – le posizioni delle parti 7. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dedotto l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, nella parte di interesse, sotto tre diverse prospettive. 7.1. – In primo luogo, essa violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19, e sarebbe stata emanata in carenza di potere per incompetenza assoluta. Infatti, l’art. 2, comma 1 dell’atto normativo citato attribuisce la competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del COvID-19 e le ulteriori misure di gestione del- l’emergenza al Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri decreti previo adempimento degli oneri di consultazione specificati. Per quel che rileva, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha provveduto con d.P.C.M. del 26 aprile 2020 che, con efficacia dal 4 maggio 2020 al 17 maggio 2020, dispone la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi. Come visto, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto disposto dal d.P.C.M., ha autorizzato anche la ristorazione con servizio al tavolo. Ma tale intervento integrativo non sarebbe consentito dalla normativa applicabile, in quanto l’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 prevede che le Regioni possano adottare misure di efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale», ma tale potere è subordinato a tre condizioni, e cioè che si tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di CONTENzIOSO NAzIONALE un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella regione. Né l’ordinanza impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978, e perché derogato dalla disciplina dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e perché l’emergenza sanitaria ha carattere nazionale, e dunque impone l’intervento da parte del Governo centrale. 7.2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza sarebbe priva di un’adeguata motivazione, non sarebbe stata supportata da una valida istruttoria, sarebbe illogica e irrazionale. In particolare, non emergerebbero condizioni peculiari che giustifichino, nel solo territorio della Regione Calabria, l’abbandono del principio di precauzione; non sarebbe stato adottato un valido metodo scientifico nella valutazione del rischio epidemiologico; si porrebbe a rischio la coerente gestione della crisi epidemiologica da parte del Governo. 7.3. – Infine, l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere, evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione. Invero, l’ordinanza sarebbe stata emessa in assenza di qualunque interlocuzione con il Governo. 8. – La Regione Calabria ha posto una questione pregiudiziale di giurisdizione e si è difesa nel merito. 8.1. – Pregiudizialmente ha dedotto che il ricorso è volto ad assumere che l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria invada una sfera di attribuzioni propria del Governo centrale, sottraendogli così la possibilità di esercizio di una propria prerogativa. La controversia assumerebbe, così, un tono costituzionale che attribuirebbe la giurisdizione alla Corte costituzionale, quale giudice dei conflitti di attribuzione ai sensi dell’art. 134 Cost. 8.2. – Nel merito, l’ordinanza impugnata troverebbe un sicuro fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 e sarebbe pienamente informata ai principi di adeguatezza e proporzionalità espressamente richiamati dall’art. 1, comma 2 d.l. n. 19 del 2020, i quali richiedono di modulare i provvedimenti volti al contrasto dell’epidemia al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio. Al contrario, a tali principi non si conformerebbe il d.P.C.M. del 26 aprile 2020, che sottopone a una disciplina unitaria tutto il territorio nazionale, senza tener conto delle differenze fattuali. Peraltro lo strumento normativo utilizzato dal Governo (un d.P.C.M.) sarebbe palesemente inadeguato perché la Costituzione non prevede la delegabilità dei poteri di decretazione d’urgenza di cui all’art. 77 Cost. 8.3. – Per altro verso, la regolamentazione dettata dal Presidente della Regione Calabria non sarebbe in contrasto con il contenuto del d.P.C.M. del 26 aprile 2020, essendo invece da interpretare quale disposizione di dettaglio della medesima, in funzione delle specificità della situazione epidemiologica presente nel territorio regionale ed in presenza di alcune “misure minime” da adottare a tutela della salute pubblica e del rischio di contagio. Il ricorso, dunque, non dovrebbe essere esaminato per difetto di interesse. 8.4. – Infine, l’ordinanza sarebbe supportata da un impianto motivazionale sufficiente, nel quale si dà atto che l’analisi dei dati prodotta dal Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie della Regione Calabria ha fatto rilevare, alla data del 27 aprile 2020, un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily time lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1 indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la regressione. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 9. – Gli interventori hanno arricchito il giudizio con le loro deduzioni. 9.1. – Il Comune di Reggio Calabria, invero, ha inteso condividere in tutto i contenuti del ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. 9.2. – Il Comune di Amendolara ha aderito all’eccezione di difetto di giurisdizione di questo giudice amministrativo in favore della Corte costituzionale e ha affermato l’infondatezza dei motivi di ricorso. ha aggiunto che il d.l. n. 19 del 2020, al quale non sarebbe aderente l’ordinanza del Presidente della Regione, sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41, 117, co. 3 e 120, co. 2, Cost. Partendo dal presupposto che l’ordinamento costituzionale italiano non prevede lo “stato di emergenza”, la normativa in questione sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost. in quanto demanderebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione. Peraltro, si tratterebbe di normativa non essenziale per affrontare l’attuale stato di emergenza, in quanto nell’ordinamento sono contemplate diverse ipotesi in cui è consentita l’emanazione di ordinanze contingibili e urgenti per affrontare situazioni urgenti. Sotto altro profilo, il d.l. n. 19 del 2020 priverebbe le Regioni della potestà normativa concorrente in materia di salute, prevista dall’art. 117 Cost. e rappresenterebbe esercizio di potere sostitutivo da parte dello Stato non previsto dall’art. 120 Cost. 9.3. – Il Comune di Tropea ha aderito anch’esso all’eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione. ha poi eccepito l’illegittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020, che rappresenterebbe un indebito esercizio di potere sostitutivo da parte dello Stato in violazione degli artt. 117, comma 5 e 120 Cost., e una violazione dei principi di sussidiarietà e leale cooperazione. Nel merito, l’ordinanza sarebbe giustificata dall’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 e sarebbe coerente con i principi di adeguatezza e proporzionalità, violati invece dalla decisione del Governo di predisporre una disciplina unitaria per tutto il territorio nazionale. L’ordinanza avrebbe alla base l’analisi dei dati epidemiologici regionali e, a ben guardare, nemmeno si porrebbe in contrasto con il d.P.C.M. del 26 aprile 2020, di cui è mera specificazione. 9.4. – CODACONS ha argomentato nel senso che la lite, qualificabile in termini di conflitto di attribuzioni, sarebbe devoluta ai sensi dell’art. 134 Cost. alla giurisdizione della Corte costituzionale, cui ha chiesto di trasmettere gli atti. 9.5. – Gli operatori della ristorazione, infine, si sono qualificati in termini di controinteressati e, costituitisi ai sensi dell’art. 28, comma 1, hanno domandato il differimento dell’udienza camerale con assegnazione di termini per poter esercitare correttamente il proprio diritto di difesa. Nel merito, hanno aderito alle tesi difensive della Regione Calabria. 9.6. – va infine notato che la Regione Calabria, nella memoria depositata in data 9 maggio 2020, ha lamentato di non aver potuto prendere posizione sui numerosi interventi che si sono succeduti e ha invitato il Tribunale a valutare se, rispetto a tale vulnus al diritto di difesa, si rendesse necessario o anche solo opportuno, un differimento della Camera di consiglio. iii – le questioni pregiudiziali e preliminari iii.1. – La questione di giurisdizione. 10. – È opinione del Tribunale di essere dotato di giurisdizione sul ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tale conclusione si basa su tre, concatenate osservazioni. CONTENzIOSO NAzIONALE 10.1. – È innegabile che il provvedimento emanato dal Presidente della Regione Calabria abbia natura di ordinanza contingibile e urgente in materia di igiene e sanità, nel quadro della disciplina dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978. Si tratta, dunque, di esercizio di potere amministrativo, sul quale il sindacato giurisdizionale è naturalmente attribuito al giudice della funzione pubblica, cioè il giudice amministrativo. 10.2. – Il fatto che le ragioni di illegittimità dedotte da parte ricorrente siano inerenti anche ai confini delle attribuzioni assegnate ai diversi poteri dello Stato non è sufficiente ad attribuire alla controversia un tono costituzionale. In proposito, si richiama la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale il tono costituzionale del conflitto sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis, Corte cost. 14 febbraio 2020; Id. 14 febbraio 2018, n. 28; Id. 15 maggio 2015, n. 87; Id. 28 marzo 2013, n. 52). È stato, in particolare, chiarito (da Corte cost. 29 ottobre 2019, n. 224) che non basta che nella materia in questione vengano in gioco competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione, perché la controversia assuma un tono costituzionale. La natura costituzionale delle competenze, infatti, così come il potere discrezionale che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude la sindacabilità nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti, quando essi trovano un limite «nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo» (Corte cost. 5 aprile 2012, n. 81 del 2012). Ebbene, il ricorso con il quale è stato innescato il sindacato giurisdizionale da parte di questo Tribunale Amministrativo Regionale fa valere la dedotta violazione, da parte del Presidente della Regione Calabria, dei limiti che dalla legge, e in particolare dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, derivano all’esercizio delle competenze in materia di igiene e sanità spettanti al Presidente della Regione Calabria. In questa prospettiva, l’atto è giustiziabile d’innanzi al giudice della funzione pubblica, giacché questo giudice non è chiamato a regolare il conflitto sulle attribuzioni costituzionali tra gli Enti coinvolti nella controversia, ma solo a valutare la legittimità, secondo i parametri legislativi indicati nei motivi di ricorso, dell’atto impugnato. 10.3. – In ogni caso, se pure si opinasse che nel caso di specie fosse attivabile, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il conflitto di attribuzione d’innanzi alla Corte costituzionale, ciò non esclude che sia legittimamente esperibile anche la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo. Secondo il costante insegnamento delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. un., 19 luglio 2013, n. 17656; in precedenza, Id. 20 maggio 1978, n. 2492; Id. 28 maggio 1977, n. 2184; Id. 13 dicembre 1973, n. 3379; Id. 10 novembre 1973, n. 2966), infatti, vi è diversità di struttura e finalità fra il giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione ed il sindacato giurisdizionale davanti al giudice amministrativo: il primo è finalizzato a restaurare l'assetto complessivo dei rispettivi ambiti di competenza degli Enti in conflitto; il secondo, viceversa, si svolge sul piano oggettivo di verifica di legalità dell'azione amministrativa, con l'esclusivo scopo della puntuale repressione dell'atto illegittimo. Ciò comporta la possibilità della loro simultanea proposizione, sicché deve escludersi che in tali ipotesi sussista difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Anche il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. vI, 27 dicembre 2011, n. 6834), dal canto suo, ha affermato che il soggetto legittimato ad impugnare l'atto autoritativo dinanzi al giudice amministrativo può valutare se sussistono i presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione, ovvero se avvalersi del rimedio di carattere generale della giurisdizione generale di le RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 gittimità. Tale conclusione risulta corroborata dalla considerazione per cui, mentre la Corte costituzionale può decidere le censure attinenti al riparto delle attribuzioni, il giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 113 Cost., può decidere su ogni profilo di illegittimità dell'atto, anche su dedotti aspetti di eccesso di potere, sicché, anche per esigenze di concentrazione, l’Ente in conflitto ben può scegliere se, anziché proporre due giudizi e devolvere alla Corte costituzionale l'esame dei profili sul difetto di attribuzione, sia il caso di proporre un solo ricorso al giudice amministrativo, deducendo tutti i possibili motivi di illegittimità dell'atto. iii.2 – Le condizioni dell’azione. 11. – Benché la Regione Calabria non abbia contestato la legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a ricorrere nel caso di specie al giudice amministrativo, la verifica delle sussistenza di tale condizione dell’azione deve essere operata d’ufficio. 11.1. – Il Tribunale ritiene, dunque, di dover esplicitare che sussiste la legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a impugnare un’ordinanza ex art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 del Presidente di una Regione in virtù delle funzioni ad essa attribuite con riferimento al rapporto tra il Governo e le Autonomie di cui la Repubblica si compone. 11.2. – Limitando l’esame ai rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, e senza alcuna pretesa di esaustività, si rileva che spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere e coordinare “l'azione del governo per quanto attiene ai rapporti con le regioni e le province autonome di Trento e di bolzano” (art. 5, comma 3, lett. b) l. 23 agosto 1988, n. 400), nonché di promuovere lo sviluppo della collaborazione tra Stato, Regioni e Autonomie locali (art. 4 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303). Per svolgere tali funzioni, il Presidente si avvale della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 2, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 303 del 1999), presso la quale è istituito un Dipartimento per gli Affari regionali (art. 4, comma 2 d.lgs. n. 303 del 1999). Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, che dal Presidente del Consiglio è presieduta e che deve essere consultata sui criteri generali relativi all'esercizio delle funzioni statali di indirizzo e di coordinamento inerenti ai rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti infraregionali (art. 12 l. n. 400 del 1988). Spetta, infine, al Presidente del Consiglio dei Ministri “promuove le iniziative necessarie per l'ordinato svolgimento dei rapporti tra Stato, regioni e autonomie locali ed assicura l'esercizio coerente e coordinato dei poteri e dei rimedi previsti per i casi di inerzia e di inadempienza” (art. 4, comma 1 d.lgs. n. 303 del 1999). 11.3. – In sintesi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri costituisce il fulcro del necessario coordinamento dell’attività amministrativa posta in essere dallo Stato e dalle Autonomie di cui la Repubblica si compone. In altri termini, in capo ad essa si sintetizzano i vari interessi alla cura dei quali le amministrazioni pubbliche, statali, regionali e locali, sono preposte. Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri è attribuito il compito di assicurare l’esercizio coerente e coordinato dei poteri amministrativi; cosicché è logica conseguenza ritenere che ad essa sia assegnato dall’ordinamento anche il potere di agire giudizialmente, in alternativa all’esercizio delle funzioni di controllo e sostitutive previsti dalla Costituzione, laddove l’esercizio dei poteri amministrativi avvenga in maniera disarmonica o addirittura antitetica. 12. – Sussiste anche l’altra condizione dell’azione, invero messa in dubbio dalla difesa della Regione Calabria, e cioè l’interesse ad agire. CONTENzIOSO NAzIONALE In effetti, allo stato risultano in vigore sia l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria oggetto di impugnativa, sia il d.P.C.M. del 26 aprile 2020. Benché sia stato negato in giudizio che il provvedimento regionale sia in contrasto con il d.P.C.M., di cui costituirebbe invece mera specificazione, osserva il Tribunale che il provvedimento impugnato ammette una nuova e diversa eccezione alla sospensione delle attività dei servizi di ristorazione. Dunque, l’ordinanza impugnata ha un contenuto parzialmente difforme dal d.P.C.M., rispetto al quale si pone in posizione di antinomia. Sicché, essendo effettivo ed attuale il contrasto tra i due provvedimenti, sussiste l’interesse all’odierna decisione. iii.3. – Sui controinteressati, gli interventori e la loro posizione processuale. 13. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha, in via prudenziale, notificato il ricorso a un potenziale controinteressato, identificato in un imprenditore titolare di un esercizio di ristorazione, il quale non si è costituito in giudizio. 13.1. – Tuttavia, è evidente che il provvedimento impugnato ha natura generale, sicché non sono individuabili controinteressati. Infatti, la figura del controinteressato in senso formale, peculiare del processo amministrativo, ricorre soltanto nel caso in cui l'atto sul quale è richiesto il controllo giurisdizionale di legittimità si riferisca direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già acquistato una posizione giuridica di vantaggio; per definizione, tale figura non è ravvisabile nei riguardi dell'atto generale, atteso che esso non riguarda specifici destinatari, che sia a priori che a posteriori non sono individuabili (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. vI, 15 dicembre 2014, n. 6153). Poiché, dunque, nel caso di specie il terzo destinatario della notifica è sostanzialmente estraneo alla presente controversia, la sua mancata costituzione non impedisce la definizione del giudizio. 13.2. – Le medesime considerazioni valgono con riferimento all’intervento degli operatori del settore della ristorazione. A fronte di un atto amministrativo generale, essi non rivestono ruolo di controinteressati, e il loro intervento, da riqualificare in termini di intervento adesivo ai sensi dell’art. 28, comma 2 c.p.a., non comporta alcuna specifica necessità di salvaguardia dei diritti della difesa, giacché, come infra sarà ricordato, essi debbono accettare lo stato e il grado in cui si trova il giudizio. 14. – Occorre dunque occuparsi degli interventi adesivi spiegati, onde verificarne l’ammissibilità. 14.1. – L’art. 28, comma 2 c.p.a. stabilisce che chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova. In via generale, si deve osservare che tale norma recepisce una consolidata tradizione pretoria, per cui l'intervento in giudizio va riconosciuto ammissibile anche in presenza di un interesse di mero fatto, dipendente o riflesso rispetto a quello delle parti. Gli intervenienti, tuttavia, sono tenuti a chiarire nell'atto di intervento e a dimostrare quale sia l'interesse che intendono tutelare (cfr. CGA 3 gennaio 2017, n. 1). 14.2. – Quanto all’intervento ad adiuvandum, è ammesso dalla giurisprudenza più recente anche da parte del cointeressato, purché non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni e vi abbia interesse, senza tuttavia potere ampliare il thema decidendum; l'intervento del cointeressato è, quindi, ammesso nei limiti della domanda già proposta, in conformità allo strumento azionato, il quale comporta per l'interveniente di accettare, ex art. 28 comma 2, c.p.a. RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 lo stato e il grado in cui il giudizio si trova (Cons. Stato, Sez. v, 30 ottobre 2017, n. 4973; cfr. anche TAR Campania - Napoli, Sez. III, 14 gennaio 2019 , n. 201). 14.3. – Alla stregua di tali criteri, si deve ritenere ammissibile l’intervento degli Enti locali e degli operatori del settore della ristorazione. Quanto al Comune di Reggio Calabria, intervenuto ad adiuvandum, esso ha espressamente dedotto che l’ordinanza di cui si discorre incide in maniera grave sul diritto alla salute dei cittadini di cui è Ente esponenziale e che l’auspicato accoglimento del ricorso comporterà un indiretto ma rilevante vantaggio nei confronti del Comune di Reggio Calabria. Tanto più che il Sindaco del Comune ha adottato in data 30 aprile 2020 l’ordinanza contingibile e urgente n. 44 con cui ha disposto l’applicazione, sul territorio comunale, esclusivamente delle misure adottate dal Governo. Anche il Comune di Tropea, intervenuto ad opponendum, ha illustrato gli interessi che hanno animato la sua iniziativa processuale, sebbene questi si pongano in una prospettiva ribaltata rispetto al Comune di Reggio Calabria. Infatti, il territorio su cui è costituito l’Ente ha forte vocazione turistica, sicché la chiusura forzata degli operatori della ristorazione per attenuare i contagi da COvID-19 ha avuto effetti devastanti sull’intero comparto economico, essendo state azzerate le presenze turistiche per i mesi di aprile e maggio. La conservazione del provvedimento impugnato rappresenta, in questo contesto, un vantaggio per la comunità di cui il Comune di Tropea è ente esponenziale, consentendo di riavviare le attività imprenditoriali. Le medesime considerazioni valgono per il Comune di Amendolara. L’interesse fattuale degli operatori della ristorazione alla conservazione dell’ordinanza regionale impugnata è, dal canto suo, evidentemente individuabile nella possibilità di riprendere le attività imprenditoriali. 14.4. – Al contrario, è inammissibile l’intervento del CODACONS -Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori. In effetti, esso ha depositato in giudizio il proprio Statuto, da cui si evince che persegue il fine di «tutelare con ogni mezzo legittimo, ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli interessi dei consumatori ed utenti […] tale tutela si realizza nei confronti dei soggetti pubblici e privati, produttori e/o erogatori di beni e servizi, anche al fine di contribuire ad eliminare le distorsioni del mercato determinate dalla commissione di abusi e di altre fattispecie di reati contro la p.a.». Ma non ha specificato quale interesse, sussistente in modo omogeneo in capo agli associati, l’intervento è inteso a tutelare. 15. – va infine esaminata la sollecitazione della difesa della Regione Calabria affinché il Tribunale differisca l’udienza camerale allo scopo di consentirle di prendere posizione sugli atti di intervento. Ebbene, poiché gli interventi spiegati, siano essi ad adiuvandum o ad opponendum, non hanno condotto a un ampliamento dell’oggetto del giudizio, in nessuno dei suoi aspetti, in quanto un simile ampliamento è vietato dall’ordinamento processuale, non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dell’amministrazione regionale, che ha avuto modo di argomentare su ciascuno dei motivi di ricorso proposti dalla Presidenza del Consigli dei Ministri. iv – esame dei motivi di ricorso. 16. – Si può finalmente passare all’esame dei motivi di ricorso. Nondimeno, il forte interesse che nell’opinione pubblica ha suscitato l’odierno giudizio giustifica alcune sintetiche considerazioni di carattere generale. CONTENzIOSO NAzIONALE Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi alle amministrazioni e, dunque, stabilire quale contenuto debbano avere, all’esito del bilanciamento tra i molteplici interessi pubblici o privati in gioco, i provvedimenti amministrativi. Tale principio, valido in via generale, è da affermare ancora con più forza quando, come nel caso di specie, il provvedimento amministrativo oggetto di sindacato sia stato adottato dal vertice politico-amministrativo, dotato di legittimazione democratica in quanto eletto a suffragio universale, di una delle Autonomie da cui la Repubblica è formata; e ad impugnarlo sia l’organo di vertice del potere esecutivo, anch’esso dotato di legittimazione democratica in quanto sostenuto dalla fiducia delle Camere. In questa prospettiva, l’operato dell’Autorità giurisdizionale, in questo caso del giudice amministrativo quale giudice naturale della funzione pubblica, è meramente tecnica, e finalizzata a verificare la conformità del provvedimento oggetto di attenzione al modello legale. 17. – Si è già accennato al § 7.1. al contenuto del d.l. n. 19 del 2020. L’art. 1 prevede, per quel che in questa sede rileva, che, allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COvID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate una o più misure che, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, possono prevedere, tra l’altro, la limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti. Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di emanare, con d.P.C.M., tali misure. L’art. 3, comma 1 consente alle Regioni di adottare misure di efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Ma ciò è possibile solo a condizione che si tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella Regione. Il comma 3 dell’art. 3, infine, precisa che «le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente». 18. – Il Tribunale ritiene che non ci siano gli estremi per sospendere il giudizio e sollevare d’innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità del decreto legge il cui contenuto è stato illustrato. 18.1. – Innanzitutto, va ricordato che l’odierna controversia riguarda esclusivamente la possibilità di svolgere, dal 4 maggio 2020 al 17 maggio 2020, l’attività di ristorazione con servizio al tavolo. In proposito, si osserva che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte anche con un atto di natura amministrativa. Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 tra la citata norma costituzionale e una disposizione legislativa che demandi al Presidente del Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus COvID-19. Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1 del d.l. n. 19 del 2020, il contenuto del provvedimento risulta predeterminato («limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande (...)»), mentre alla discrezionalità dell’Autorità amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della limitazione in ragione dell’esame epidemiologico. 18.2. – Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale». Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e«protezione civile». 18.3. – A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori osservazioni, che traggono le mosse dal duplice rilievo critico secondo cui l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020 comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà costituzionali dei cittadini e comporterebbe un’alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost. Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola possibilità di limitare o sospendere le attività di somministrazione al pubblico di cibi e bevande, il Tribunale ritiene di dover innanzitutto ribadire quanto già anticipato al § 18.1., e cioè che è la legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la commisurazione dell’estensione di tale limitazione. Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova giustificazione nell’art. 118, comma 1 Cost.: il principio di sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata al livello amministrativo unitario. 18.4. – Ma, una volta accertato che l’individuazione nel Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è conforme al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali la «tutela della salute» e la «protezione civile». È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278). Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i decreti sentiti -anche -i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclu CONTENzIOSO NAzIONALE sivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale. 18.5. – Quanto illustrato ai §§ che precedono esclude che si possa affermare che nel caso di specie siano stati attribuiti all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non previsti dalla Costituzione. L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il governo può sostituirsi a organi delle regioni, delle Città metropolitane, delle province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8 l. 5 giugno 2003, n. 131. Ma, come supra specificato, nel caso di specie non vi è stato un intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione legislativa. 18.6. – va conclusivamente affermato che le questioni di legittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020 sollevate appaiono manifestamente infondate, onde non occorre rimetterle alla Corte costituzionale. 19. – Il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale. Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice amministrativo, essendo piuttosto onere del soggetto interessato promuovere tempestivamente l’azione di annullamento. 20. – Giunti a questo punto, emerge chiaramente l’illegittimità dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria denunciata con il primo motivo di ricorso. Spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COvID-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie è indiscusso che non risultino integrati. Né l’ordinanza di cui si discute potrebbe trovare un fondamento nell’art. 32 l. n. 833 del 1978. Infatti, come correttamente messo in evidenza dall’Avvocatura dello Stato, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della Regione delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono, ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente». 21. – È fondato, nei limiti di seguito specificati, anche il secondo motivo di ricorso. Invero, l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione al servizio al tavolo, con il mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus COvID-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia. È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni alla circolazione extraregionale). Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di RASSEGNA AvvOCATuRA DELLO STATO -N. 1/2020 volta in volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni sociali. un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto, dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica. Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655), deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 5). È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste. 22. – va infine rilevata la fondatezza anche dell’ultimo motivo di ricorso. Sul punto, occorre ricordare come la violazione del principio di leale collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre 2001, n. 9). Nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo. Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo v della Costituzione. 23. – In conclusione, per tutte le ragioni esposte l’ordinanza, nella parte oggetto di impugnativa, deve essere annullata. La novità, la complessità, la delicatezza della tematiche trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese e competenze di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: a) dichiara inammissibile l’intervento di CODACONS -Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori; b) accoglie il ricorso e, per gli effetti, annulla l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, nella parte in cui, al suo punto 6, dispone che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di bar, pasticcerie, ristoranti, pizzerie, agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto»; c) compensa tra le parti le spese e le competenze di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ L’arte come strumento di evoluzione dell’economia: le prospettive future Gaetana Natale* Musae non dant panem, ossia l’arte e la cultura non costituiscono una fonte sicura di reddito e di ricchezza. Ma oggi è davvero così? Il mercato dell’arte in questi ultimi anni sta cambiando e crescendo notevolmente con un valore stimato ormai superiore ai 67 miliardi di dollari. È un’evoluzione che evidenzia diverse contaminazioni e connessioni anche con mondi solo apparentemente lontani e diversi come quello finanziario. Oggi l’arte si sta dimostrando come un asset di investimento sia diretto che indiretto, ponendo al giurista un quesito di fondo: fino a che punto la valorizzazione economica del bene culturale si può conciliare con la sua tutela e conservazione nel rispetto dell’art. 9 della nostra Costituzione? Per capire la complessità del fenomeno occorre esaminare alcuni fenomeni di questa nuova evoluzione dell’arte in territori finanziari, fino a poco tempo fa, quasi sconosciuti come, ad esempio, l’art lending. Questo strumento, che possiamo anche definire “prestito garantito dall’arte” è in Italia ancora embrionale, ma già individuabile nei servizi di art advisory della divisione wealth management delle banche più evolute che offrono strumenti finanziari innovativi. In un recente libro pubblicato lo scorso 28 gennaio 2020 da Andrea Concas intitolato “Professione arte: i protagonisti, le opportunità di investimento, le nuove sfide digitali” edito da Mondadori viene evidenziato un nuovo concetto di art entrepreneur che grazie alle nuove tecnologie può determinare un (*) Avvocato dello Stato, Consigliere Giuridico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 dinamismo culturale volto ad offrire diverse opportunità lavorative nel campo dell’arte. Si pensi alla start up Backers che supporta gli artisti, gli enti pubblici e privati nella produzione di opere d’arte o anche all’Art Rights, una piattaforma per la gestione e la certificazione delle opere d’arte con tecnologia blockchain e intelligenza artificiale. Si pensi anche alle nuove professioni che vengono a delinearsi nel mondo dell’arte per una loro valorizzazione economica, ad esempio il registrar. La sua definizione è contenuta nella Carta nazionale delle professioni museali di ICOM 2008: “Il registrar assicura dal punto di vista organizzativo la movimentazione delle opere, la relativa documentazione e le procedure che regolano, soprattutto in connessione ai prestiti. In particolare redige, documenta e organizza gli atti relativi all’acquisizione, al prestito, all’assicurazione, alla spedizione e alla sicurezza delle opere, segue l’iter inerente al trasferimento delle stesse all’esterno e all’interno del museo, è responsabile delle procedure di prestito in entrata, nel caso di mostre organizzate dal museo, collabora con il responsabile della sicurezza e della conservazione nello svolgimento dei propri compiti”. Negli Stati Uniti questa figura professionale è attiva dagli anni cinquanta e i professionisti attivi in tale settore sono riuniti nel Registrar’s Committee dal 1978, un comitato professionale riconosciuto dall’AAM (American Associations of Museums). In Gran Bretagna la figura del registrar nasce negli anni settanta e precisamente nel 1979 viene fondato lo UK Registrar’s Group, che conta attualmente circa trecento membri. Da qualche anno la figura del registrar esiste anche nei maggiori musei europei, soprattutto in Francia e Germania. In Italia questa figura professionale è appena nata e attualmente il Museo Egizio si è dimostrato all’avanguardia dotandosi di dipendenti che possano svolgere tali delicate mansioni. Non essendoci attualmente in Italia requisiti specifici per diventare registrar, molte delle funzioni relative alla movimentazione delle opere sono ancora affidate al direttore o al curatore del museo. Nel decreto del 10 maggio 2001 sull’Organizzazione e il Funzionamento dei Musei Statali tuttavia si auspicava un incentivo alla professione del registrar per facilitare gli scambi con i musei esteri, abituati a riferire ad un’unica persona per scambi e prestiti. Il registrar ha ruolo importantissimo, quello di controllare la tenuta della cosiddetta catena procedurale, evitando che ci siano anelli deboli come rischi per la sicurezza, la tutela e la conservazione delle opere (1). Il pensiero non può che correre alla nota vicenda dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci decisa dal TAR Veneto con sentenza del 16 ottobre 2019 n. 436 (2). Tale vicenda ha affrontato due questioni centrali del diritto dei beni (1) Vedi https://patrimonioculturale.unibo.it/frameblog/indexphp/15.2.218/registrar.professionemuseale by Martina Fabbri e “Professioni culturali; la figura del registrar” di Fabio Brotto in https//www.collezionedatiffany.com del 14 maggio 2019. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà culturali, ossia se a decidere se autorizzare i prestiti temporanei all’estero di opere d’arte sia competente il ministro o i dirigenti del ministero e quali siano i limiti del sindacato del giudice amministrativo sul provvedimento di autorizzazione (questione della cd “full jurisdiction”). In tale contenzioso il TAR Veneto nell’ambito della delibazione in sede cautelare, ha statuito che al Ministero deve essere riconosciuto e riservato l’ambito di valutazione politica sull’opportunità ed utilità di promuovere la collaborazione e gli scambi con singole istituzioni culturali straniere ex art. 66 del Codice dei Beni Culturali Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (articolo che fa riferimento al cd. scambio di “alto livello”) nel rispetto delle proprie competenze in materia di collaborazione internazionale, essendo stato stipulato nel caso di specie con la Francia il “Memorandum di intesa”, avente ad oggetto lo scambio temporaneo del disegno di Leonardo con dipinti di Raffaello. Viceversa spetta ai dirigenti del ministero, nell’ambito della cd. discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione definita dalla dottrina tedesca “Uberstimmterechbegriff” valutare se, in caso di prestito, sarebbero assicurate o assicurabili l’integrità e la sicurezza del bene; come anche compete ai dirigenti dei vari istituti o luoghi della cultura (art. 101 del Codice dei Beni Culturali) valutare se un certo bene costituisca o meno “il fondo principale di una determinata ed organica sezione di un museo” (nel qual caso ne è precluso il prestito) (3). In tale valutazione strettamente tecnica della protezione del bene nelle procedure di trasferimento all’estero (sulla quale il sindacato del giudice amministrativo non può che essere un sindacato intrinseco debole non di tipo sostitutivo per manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione e di istruttoria), certamente la figura del registrar può assumere un ruolo centrale all’interno di un polo museale. Ma se il registrar si occupa della sicurezza del bene artistico, l’art lender ne sviluppa le potenzialità economiche. La figura dell’art lender (4) è colui che permette al collezionista o al professionista di impegnare opere dal valore elevato, ma stabile sul mercato, in cambio di liquidità (liquidity), utilizzandone come un bene posto a garanzia (collateral) per l’ottenimento di un prestito finanziario. Molto ambito oggi è pure il ruolo dell’exhibition manager, a cui compete la gestione, definizione e messa in opera della regia complessiva di (2) Vedi S. AMOROSINO, “Il prestito al Louvre del disegno di Leonardo Da Vinci ‘L’Uomo Vitruviano’” in “Urbanistica e appalti”, 2019, 6, 746. (3) Vedi A. SIMONATI, “Commento all’art. 66” in AA.VV., “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2019, 564 ss.; S. AMOROSINO, “Diritto dei Beni culturali”, Milano, 2019, 191 ss.; sul concetto di discrezionalità tecnica, vedi R. ChIEPPA -R. GIOVAGNOLI, “Manuale di diritto amministrativo”, Milano, 2017, 330 ss. e 452 ss.; E. FOLLIERI, “La discrezionalità tecnica”, in AA.VV., “Diritto amministrativo”, a cura di F.G. SCOCA, Torino, 2015, 194 ss. (4) Vedi Byron Associati http:// www.byronassociati.it/,“Art Lending: l’arte di investire nell’arte” del 10 novembre 2019. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 un evento o di una mostra d’arte. Addentrandoci, invece, nel settore assicurativo, troviamo il risk manager fine art, figura che individua e analizza i potenziali rischi in cui può incorrere una raccolta d’arte pubblica o privata con il compito di limitarne l’esposizione ai sinistri valutando e individuando quali opere possono essere assicurate e quali no. Tra le professioni dell’arte definite 3.0 non si può non menzionare l’art trustee, colui che assume l’obbligo di amministrare i beni avuti in consegna a favore di un trust, un istituto giuridico che consente a una o più persone, detti settlor o disponenti, di trasferire beni e diritti della propria collezione di arte e non solo a favore di uno o più beneficiari. La nascita di tali figure professionali è sintomatica di una evoluzione del concetto di bene artistico che da una visione statica di tutela e protezione sta mutando in una visione dinamica della cultura artistica, volta a diventare un vero e proprio strumento di propulsione dell’attività economica. L’opera d’arte non viene più concepita come un bene fine a se stesso, ma diviene uno strumento indirettamente finanziario che può far ricavare dalla sua stessa natura un reddito fisso (additional capital). L’art lending sopra citata ad esempio ha visto la sua maggiore crescita negli Stati Uniti dove in ambito bancario si stima che sono stati concessi prestiti dagli istituti bancari per oltre 20 miliardi di dollari, garantiti da opere d’arte, mentre in Europa solo recentemente si sta notando un suo graduale incremento. A ben ragionare si può assolutamente affermare che l’art lending avrebbe proprio nel vecchio continente il suo habitat naturale dato che il mercato delle opere d’arte e tutti i suoi principali attori risiedono qui. Questo strumento, oltre a non comportare i tipici costi di transazione o le imposte sulle plusvalenze che si verificano in occasione di una vendita, ha il pregio di permettere al collezionista di continuare a possedere l’opera pur realizzando la liquidità necessaria per ulteriori investimenti. L’art lending può essere strutturato con finanziamenti a scadenza a breve o lunga, con un rapporto prestito/valore basso o elevato, pro soluto o pro solvendo. Esiste il caso in cui istituti finanziari mettono i titoli garantiti da beni artistici sul mercato, permettendo a privati, family office o altri gestori patrimoniali di investire indirettamente in opere d’arte con rendimenti proficui. In questo caso, i finanziamenti, a loro volta direttamente garantiti da collezioni, prendono il nome di cartolarizzazioni (5), realizzate attraverso strumenti separati a basso rischio di fallimento. Bisogna, però, considerare che come accade per le cartolarizzazioni di mutui cd. subprime (da cui è scaturita la grande crisi del 2008) chi acquista uno di questi titoli deve fare molta attenzione a conoscere in anticipo quali (5) Vedi https://patrimoniefinanza,com del 18.8.2019, “Art Lending e cartolarizzazione delle opere: un ponte tra Arte e Finanza per dare trasparenza al mercato”. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà opere d’arte sono comprese tra i collateral del titolo, il quale sarà regolarmente provvisto di codice ISIN internazionale e sarà scambiato in modo tale da permettere agli investitori di sottoscriverlo facilmente sul mercato, attratti come sono dal fatto che il rapporto rischio/rendimento di questi strumenti è direttamente collegato alle collezioni d’arte a cui sono esposti. Nei paesi orientali maggiormente industrializzati, il processo di avvicinamento tra il mercato dell’arte e mercato finanziario è già una realtà avanzata. Infatti, tra il 2009 e il 2011 sono nate in Cina delle borse valori specializzate nella compravendita di certificati rappresentativi di opere d’arte. In questo modo ogni collezionista/investitore ha potuto acquistare e vendere in borsa uno o più certificati, che corrispondono a un “pezzettino” delle opere presenti sul listino: così, anche i collezionisti che non possono permettersi di investire somme ingenti possono diventare comproprietari di opere d’arte e beneficiare dell’eventuale incremento di valore dei certificati quotati in borsa. Tale mercato, però, non è ancora perfettamente regolamentato sebbene il consiglio di stato Cinese e la Banca Popolare Cinese abbiano avviato un processo di regolamentazione con l’intento di tutelare gli interessi degli investitori. Alcune di queste borse valori, peraltro, sono partecipate da governi e dalle banche locali, e hanno rapidamente assunto la caratteristica di veri e propri centri culturali, come lo Shanghai Culture Assets and Equity Exchange. I fenomeni sopradescritti dimostrano con chiarezza che la tesi dei cd. puristi dell’arte, ossia di coloro che temono la contaminante del mondo artistico da parte del mondo dell’economia e della finanza cominci ad essere intaccata dalla concreta necessità di far compenetrare il bene artistico nel tessuto economico ed imprenditoriale di un paese al fine di una sua maggiore tutela e valorizzazione. In questo senso si è mossa di recente anche la legislazione fiscale, prevedendo, ad esempio in Italia il cd. Art bonus che permette a tutti di diventare mecenati e di tutelare l’eccezionale ricchezza del patrimonio culturale italiano, A chi effettua, infatti, erogazioni liberali a sostegno della cultura e dello spettacolo, l’Art Bonus riconosce un beneficio fiscale del 65%. Grazie a questa misura, introdotta nel 2014 dal MiBact, sono stati finora raccolti oltre 400 milioni di euro da 13mila benefattori. Alla luce di quanto sopra esposto, occorre valutare la compatibilità di tale visione dinamica e non certamente mercantistica del bene artistico con la previsione costituzionale dell’art. 9 Cost., avendo ben presente la distinzione tra attività di regolazione che compete alla sfera pubblica e attività di gestione che può ammettere una partecipazione privata (ex art. 115, comma 4 del Codice dei Beni Culturali Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42) nel rispetto del principio di sussidiarietà ex art. 118 Cost. L’art. 9 della Cost. recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il patrimonio storico e artistico RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 della Nazione”. Se è vero che nel testo della norma sono utilizzati due verbi: “promuove” riferito allo sviluppo della cultura e “tutela” riferito al patrimonio storico e artistico, non si può negare che lo sviluppo della cultura possa realizzarsi anche attraverso una “tutela dinamica” del patrimonio storico artistico che, nel rispetto della sua conservazione ed integrità, può assumere attraverso un adeguato change management il requisito della redditività nel pieno rispetto dell’art. 97 Cost. Se spostiamo l’analisi sul piano sovranazionale del diritto eurounitario, rinveniamo nella decisione dell’Unione Europea n. 864 del 2017 una nozione di governance partecipata e multilivello con diversi portatori di interessi per la valorizzazione dei beni culturali basata su un concetto di redditività non fine a sé stessa, ma volta a creare nuove opportunità di lavoro. Gli incassi dei musei sono aumentati di recente del 45% una percentuale doppia del turismo e la Banca D’Italia ha valutato un impatto di circa 30 miliardi di euro sul PIL. Ciò si è realizzato grazie ad una normativa di soft law costituita da linee di indirizzo del Ministero, dai vademecum dei direttori generali contenenti istruzioni prescrittive e propulsive oltre che ad una recente fioritura di quella che è definita “la letteratura grigia” dei funzionari (6), ossia di coloro che operando nel settore individuano le modalità concretamente operative per valorizzare i beni culturali attraverso una pluralità di strumenti che vanno dagli enti non profit delle fondazioni (si pensi all’esempio virtuoso della Fondazione dei musei civici di Venezia) ai contratti di sponsorizzazione. Sempre sul piano del diritto eurounitario occorre considerare che l’“eccezione culturale” delimita in maniera significativa la nozione di aiuto di Stato ex art. 107 del TFUE e di libera concorrenza (7). Occorre allora un superamento del concetto di arte come “vincolo di conservazione”: è, infatti, significativo che nel Codice dei beni culturali su 184 articoli, la maggior parte riguardino i vincoli e le sanzioni e 20 riguardino la valorizzazione. Ancora più significativo è il dato che nell’art. 9 bis del suddetto codice contenente l’elenco dei professionisti siano compresi storici dell’arte, archeologi, architetti, ma non giuristi ed economisti. L’economia non presenta caratteri di estrema idiosincrasia con il mondo dell’arte. Occorre riflettere sul dato che l’attuale Ragioniere Capo dello Stato Biagio Mazzotta sia stato un revisore dei conti in un museo, mostrandosi sempre contrario ai tagli verticali nel settore culturale. Occorre allora chiedersi quali possono essere i più idonei strumenti di valorizzazione dell’arte, considerato anche che il sistema dei Musei è un punto (6) Vedi A.L. TARASCO, “Diritto e gestione del patrimonio culturale”, Bari Roma, 2019. (7) Vedi F.G. ALBISINNI, “L’identità storico-culturale dei centri storici come eccezione culturale al principio di concorrenza” in “Giornale Dir. Amm.”, 2019, 3, 387, nota alla sentenza Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5157. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà nodale del rapporto tra Stato, Regioni e Comuni e che il cd. “talento sotterrato” può anche costituire una forma di danno erariale per lo Stato (8). Una prova concreta di quanto sia difficile il coordinamento di più soggetti coinvolti nel mondo dei musei è rappresentata dal parere del 10 dicembre 2018 n. 2838 reso dalla sezione consultiva del Consiglio di Stato sullo schema del regolamento approvato con d.m. 11 dicembre 1997 n. 507, recante “Norme per l’istituzione del biglietto d’ingresso ai monumenti, musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato” in materia di pagamento del biglietto di ingresso ai monumenti e ai musei. Gli obiettivi perseguiti erano: a) l’ampliamento delle giornate di libero accesso con razionalizzazione e diversificazione dei relativi periodi, attraverso una maggiore flessibilità dell’offerta basata sulle esigenze dei relativi bacini di utenza; b) la gestione del flusso degli utenti ai fini di una ordinata fruizione dei luoghi di cultura compatibile con la tutela dei beni culturali; c) la valorizzazione dei musei e dei luoghi della cultura meno noti, attraverso il miglioramento delle politiche di incentivazione della fruizione dei musei da parte della collettività; d) l’incremento dell’affluenza dei giovani tra i diciotto e i venticinque anni ai luoghi della cultura, attraverso la riduzione del costo del biglietto a due euro. Il Consiglio di Stato in tale occasione ha ricordato che la sua funzione in sede consultiva non è limitata alla verifica della legittimità delle norme proposte ma si estende ai profili di congruità e “fattibilità” degli interventi, alla efficienza ed efficacia dell’intervento normativo, in sostanza al merito dell’azione amministrativa, e alla coerenza delle disposizioni con altre norme dell’ordinamento. Ciò premesso, in tale caso la sezione consultiva ha ritenuto che il solo ricorso agli ordinari strumenti di coordinamento tra le diverse articolazioni del Ministero per i beni e le attività culturali in materia con le Regioni e gli Enti territoriali attraverso le Intese e il criterio della titolarità o disponibilità del bene non sono sufficienti ad assicurare un adeguato e tempestivo allineamento dei diversi uffici coinvolti in modo da definire un sistema di intervento che tenga conto e componga opportunamente le diverse finalità, istanze e peculiarità a livello centrale e locale. Sempre nell’ambito della sua attività consultiva è da ricordare il parere del 2 marzo 2018 n. 545 con il quale il Consiglio di Stato ha affermato che per effetto dell’abrogazione espressa dell’art. 126 del t.u.l.p.s., non deve ritenersi implicitamente abrogato anche il successivo art. 128, con il conseguente venir meno dell’obbligo di tenere un registro per coloro che esercitano l’attività liberalizzata del commercio di cose antiche. Il parere ha chiarito che la disposizione contenuta nell’art. 126, ora abrogata, non consentiva l’esercizio del commercio di cose antiche senza una preventiva dichiarazione all’autorità (8) La definizione è contenuta in A.L. TARASCO, “Il talento sotterrato. Il patrimonio culturale fra valorizzazione ed equilibrio dei bilanci pubblici”, in “Riv. Giur. Edil.”, 2018, 6. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 locale di pubblica sicurezza, regolando, quindi, le modalità di accesso all’attività che si è voluto rendere libera. La seconda disposizione contenuta nell’art. 128 ha, invece, la funzione di rendere possibile un controllo sulle attività svolte dai soggetti in essa indicati e quindi anche sulle attività di commercio compiute sulle cose antiche o usate. È, quindi, ben possibile che una attività commerciale, riguardante cose antiche o usate, possa essere oggi avviata ed esercitata senza possibili controlli all’accesso, ma che permanga il controllo sulle successive transazioni delle cose antiche o usate. Del resto è ben noto che il settore della vendita di beni antichi è particolarmente esposto a possibili azioni illecite. Il controllo sulle transazioni che è reso possibile attraverso l’annotazione delle stesse su un apposito registro, reso obbligatorio dall’art. 128 del t.u.l.p.s, rende così possibile l’attività di contrasto del mercato illegale di beni che hanno un valore artistico-culturale. Ulteriore elemento che conferma la permanenza nell’ordinamento della disposizione contenuta nell’art. 128 del t.u.l.p.s è costituita dal fatto che il D.lgs n. 42 del gennaio 2004, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 63 e ss.) e le relative disposizioni applicative (d.m. 15 maggio 2009 n. 95) che sono pacificamente vigenti, hanno inteso disciplinare nel dettaglio, con riferimento ai beni oggetto di tutela, le modalità per l’esercizio del controllo dello Stato sulle transazioni. Sono numerose le sentenze del Supremo Consesso amministrativo che in tema di beni di valore artistico riaffermano un ruolo centrale della autorità statale. Si ricorda come esempio la nota sentenza del 3 ottobre 2018 n. 5671 della sesta sezione riguardante i beni immobili soggetti a prelazione storico- artistica, chiarendo che il possesso ventennale ad usucapionem di tale bene non estingue il diritto di prelazione spettante allo Stato in base ad un precedente atto di alienazione non denunciato, se non sia stato esercitato secondo modalità confliggenti con il diritto di prelazione stesso. Premesso che tale diritto di prelazione ex art. 59 del D.lgs del 22 gennaio 2004 n. 42 non è quello disciplinato dal codice civile, in quanto configura un vero e proprio potere pubblicistico di tipo ablatorio (9), il Consiglio di Stato ha chiarito che, ai sensi dell’art. 1158 c.c. e seguenti, la proprietà di un bene si acquista a titolo originario in forza del possesso pubblico, pacifico, continuato e non interrotto del bene stesso per un periodo variabile, nella specie ventennale, trattandosi di un bene immobile. ha, però, puntualizzato che, nel silenzio della legge in proposito, non esiste una logica incompatibilità fra l’usucapione di un bene e l’eventuale permanenza sullo stesso di pretese altrui tra le quali il diritto di prelazione dello Stato. Il problema si pone per i beni immobili, per i quali non esiste una norma analoga all’art. 1153, comma 2 c.c., per cui la proprietà di un bene mobile acquistata in buona fede da chi non sia proprietario si acquista libera da diritti altrui sulla cosa che non risultino dal titolo. La proble (9) Vedi G.F. BASINI, “La prelazione artistica” in “Contratti”, 2019, 4, 462. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà matica cui si riferisce parlando di ammissibilità dell’usucapio libertatis, ovvero di presunta retroattività dell’usucapione (10), non ha trovato una compiuta analisi in giurisprudenza, affermando alcune sentenze che nel nostro ordinamento la usucapio libertatis non esisterebbe (Cass. civ., Sez. II, 27 marzo 2001 n. 4412) ed altre (Cass. civ., Sez. II, 28 giugno 2000 n. 8972) che l’usucapione avrebbe, invece, effetto retroattivo, e quindi le pretese altrui sul bene si estinguerebbero. Un’analisi più approfondita viene, invece, dalla prassi notarile, la quale sottolinea la necessità di risolvere caso per caso l’interrogativo, avuto riguardo da un lato alle caratteristiche del possesso esercitato e dall’altra alla natura della pretesa altrui che si vorrebbe estinta: l’estinzione si verificherà tutte le volte in cui, in generale, il possesso ventennale sia stato esercitato in modo confliggente con la pretesa in esame. Si fa l’esempio di una servitù di passaggio sul fondo usucapito che non si estingue se, nel periodo dell’usucapione, il titolare di essa ha potuto continuare a passare sul fondo interessato cosi come la servitù gli permette. Il Consiglio di Stato, applicando tale principio al caso concreto, conclude nel senso che mancano gli elementi per ritenere che il possesso ventennale, in sé non controverso, da parte dei ricorrenti appellanti, sia stato esercitato in modo confliggente con la prelazione dello Stato sul bene immobile di valore artistico-culturale sì da estinguerla. È una pronunzia che riafferma il principio della prevalenza dell’interesse statale alla conservazione dei beni di interesse culturale sulla libera circolazione di tali beni nel mercato. Come si possono allora conciliare questi due concetti, quello della tutela e quello della valorizzazione volta a garantire una redditività intrinseca del bene di valore artistico e culturale per finanziare sempre più costose spese di restauro conservativo e per offrire nuove opportunità di lavoro ai giovani. Una figura che occorre analizzare per poter ritenere possibile tale conciliazione è rappresentata dalle fondazioni e in genere dagli enti non profit, attualmente disciplinati dal Codice del Terzo settore (D.lgs 3 luglio 2017 n. 117). Si è sempre discusso se per qualificare un ente quale non profit che si inserisce tra la crisi dello Stato sociale (goverment failure) e la crisi dell’economia di mercato (market failure), fosse necessaria e sufficiente l’assenza di un lucro soggettivo -con apertura, dunque, anche agli enti connotati da una causa di mutualità interna -ovvero se occorresse l’ulteriore elemento del perseguimento di fini solidaristici (11). La nozione di ente “non profit” è stata per (10) Vedi S. NOBILE DE SANTIS, “Possesso ad usucapionem e beni culturali”, in “Nuova Giur. Civ.”, 2019, 3, 509. (11) Vedi P. SChLESINGER, “Categorie dogmatiche e normative in tema di «non profit organizations »”, in “Enti «non profit» in Italia”, a cura di PONzANELLI, Padova, 1994, 273 ss.; A. zOPPINI, “I RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 molti versi il tentativo di elaborare un concetto unificante rispetto all’altra nozione, quella di cd. Terzo settore che fino ad oggi era sostanzialmente una nozione di tipo sociologico. Il Terzo settore -è noto -è nozione che si è affiancata a quella di “Primo settore” relativo al Pubblico in generale ed a quello di “Secondo settore” relativo all’impresa privata. Così gli enti del terzo settore, pur perseguendo attività sociali senza scopo di lucro ed essendo sovente finanziati dallo Stato (o da altri enti pubblici) hanno operato secondo le regole del mercato e della concorrenza. Essi non costituiscono né istituzioni commerciali, perché diversamente da queste perseguono finalità altruistiche ed è precluso la divisione sia diretta che indiretta degli utili (non distribution constraint); né enti pubblici in senso stretto, difettando dei requisiti ontologici di questi. Nondimeno gli enti non profit instaurano frequenti rapporti di collaborazione con soggetti pubblici, presenti ed operando sul mercato come qualsiasi società lucrativa (12). Limitando il campo di indagine alle fondazioni così presenti nel mondo dell’arte, occorre richiamare autorevole dottrina (13) che definisce la fondazione “un figlio illegittimo della codificazione francese: essa non trova un riconoscimento esplicito, né definizione e disciplina del code civil che le dedica un fugace e indiretto richiamo nell’art. 910 “Les dispositions entre vifs ou par testament, au profit des hospices, des pauvres d’une commune, où d’establissement d’utilitè publique,n’auront leur effets qu’autant qu’elle seront autorisèes par une ordonnance royale”. Al momento della redazione del code civil il ripudio dell’istituto aveva trovato la sua giustificazione sia in ragioni ideologiche, quali l’autoritarismo napoleonico e l’ostilità dell’ideologia illuminista per i corpi intermedi tra il cittadino e lo Stato; sia nel programma politico volto a favorire la circolazione della ricchezza, che insieme alla abolizione dei fedecommessi -quali forme di conservazione e di trasmissione del privilegio e della ricchezza -alla imposizione di limiti temporali all’usufrutto, al- l’affermazione della tipicità dei vincoli di natura reale sui beni, aveva travolto la fondazione. Infine, una ragione di carattere tecnico-giuridico, quale la concezione unitaria del patrimonio aveva condotto alla manifesta ostilità della dottrina nei confronti dei patrimoni autonomi”. Del resto anche autorevole dottrina italiana (14) parla della fondazione soggetti: l’associazione Europea”, in “Trattato di diritto privato europeo”, a cura di LIPARI, II, Padova, 2003, 249; U. RESCIGNO, “Le formazioni sociali intermedie” in “Riv. dir. civ.”, 1998, I, 306; sulle non profit organizations e corporations vedi BERMANN, “The Lega Framework of Fondation in theUnited States”, in “Le fondazioni”, a cura di ALPA, Padova, 1988. (12) Vedi M. CEDOLIN, “Il cd. Codice del terzo settore d.lgs. 3 luglio 2017 n.117: un’occasione mancata?” in “Le Nuove Leggi Civili Commentate” Anno XLI, 1-40. (13) Vedi A. zOPPINI “Le fondazioni: dalla tipicità alle tipologie” in “Riv. dir. civ.”, 1991, I, 573. (14) Vedi F. GALGANO, “Delle persone giuridiche”, in “Commentario del cod.civ.”, a cura di A. SCIALOIA E G. BRANCA, I, “Delle persone e della famiglia” (art.11-35), Bologna-Roma, 1969; P. RESCIGNO, voce “Fondazione” (dir. civ.), in “Enc. del dir.”, vol. XVII, Milano, 1968, 790 ss.; ID., “Fondazione LEGISLAzIONE ED ATTUALITà come di «un dato sociale negativo, perché tendenzialmente sottrae beni alla normale circolazione giuridica e agli investimenti patrimoniali» (15). Se questo è vero, è altrettanto vero che nella fondazione sono state inserite di recente strategie di impresa che ne hanno mutato radicalmente la natura. Questo è stato possibile grazie all’elaborazione del concetto di neutralità delle forme giuridiche rispetto ai contenuti economici, l’Unternehmenstragerstiftung dell’esperienza tedesca, ossia l’impresa che abbia assunto la forma giuridica della fondazione, secondo un modello che può apparire da un lato l’approdo naturale di un processo di oggettivizzazione e pubblicizzazione dell’interesse sociale, dall’altro una modalità possibile di razionalizzazione e di stabilizzazione dell’attività imprenditoriale. In caso di fondazioni che operano nel settore artistico-culturale per le quali il sistema concessorio di riconoscimento della personalità giuridica disciplinata dal D.P.R. 361/2000 da parte del Prefetto richiede anche una previa valutazione del Ministero per i Beni e le Attività culturali, occorre considerare che le tipologie possono essere le più varie a seconda degli scopi che ciascuna fondazione si prefigge. Si possono trovare fondazioni aziendali, di famiglia, fondazioni scolastiche o universitarie, fondazioni liriche e musicali o fondazioni ecclesiastiche o di partecipazione (16). Queste ultime, le fondazioni di partecipazione, sono abbastanza recenti e si caratterizzano per una partecipazione fra soggetti pubblici e privati per la gestione di enti ospedalieri, istituzioni di formazione specialistica, nonché di istituzioni culturali. Riguardo a queste ultime un esempio caratteristico in Italia a livello nazionale è rappresentato dal FAI, il Fondo Ambiente Italiano che è nato sul modello del National Trust inglese nell’ambito delle charity corporations. È interessante, infatti, notare come questa istituzione abbia in un certo senso ricalcato gli scopi e gli obiettivi morali e culturali di istituzione inglese, ma configurandosi giuridicamente in un’altra tipologia di ente, quale quella della fondazione. Questo esempio mette chiaramente in luce come in Italia sia più forte e radicata l’esperienza delle fondazioni che possiedono una propria normativa di riferimento e una tradizione alle spalle a differenza dell’istituto del trust. Le fondazioni sono istituti che, nel corso del tempo, (si pensi alle Piae e impresa”, in “Riv. soc.”, 1967, 812 e ss.; ID., Negozio privato di fondazione e atto amministrativo di riconoscimento, in “Giur. it.”, 1968, I, 1, c. 1353 ss. (ora in “Persona e comunità”, II, [1967-1987], Padova, 1988, rispettivamente alle pp. 1 ss., 5 ss., 91 ss., cui si riferiscono le citazioni che seguono); G. ALPA (a cura di), “Le fondazioni, tradizione e modernità”, Padova, 1988; P. RESCIGNO, “Le fondazioni: prospettive e linee di riforma” in ID. (a cura di), “Le fondazioni in Italia e all’estero”, Padova, 1989, 469 ss. (15) Così C.M. BIANCA, “La norma giuridica - I soggetti”, in “Diritto civile”, Milano, 1984. (16) Maggiori informazioni sulle fondazioni presenti in Italia con i relativi censimenti e indagini sulle erogazioni si possono consultare sul sito del Centro di Documentazione sulle Fondazioni CDF all’indirizzo internet http:www.fondazioni.it. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 causae, Opere pie e Monti di Pietà promosse dalla Chiesa cattolica), hanno subito una forte evoluzione sia a livello di organizzazione che di espansione territoriale, passando da una semplice forma di mecenatismo ad una struttura giuridica ben definita. A livello di finanziamenti le fondazioni tendono non solo a trovare sponsorizzazioni saltuarie per singoli eventi, ma a creare forme di contributi duraturi sia da parte di privati che di enti pubblici, sostenendo forme di raccolta fondi per progetti sempre più ambiziosi e importanti. A livello economico, l’unico problema che rimane è quello della trasparenza, perché se le fondazioni bancarie dichiarano i propri fondi, le entrate e le diverse erogazioni annue, il resto delle fondazioni non solo non è tenuto a dichiarare tali informazioni, ma non li rende mai pubblici. Una fondazione può trovare origine sia dalla volontà di una persona fisica che di una persona giuridica, anche se le motivazioni possono essere le più varie e differenti. In Italia la maggior parte delle fondazioni trae origine da persone fisiche, siano essi singoli individui o gruppi familiari. A seguire si trovano le fondazioni che nascono da istituzioni non profit, come associazioni e comitati e quelle riconducibili a istituzioni pubbliche o imprese (17). Nel caso in cui una persona fisica possedesse una cospicua collezione di opere d’arte, alcune motivazioni che potrebbero spingerlo (tali da indurlo) a creare una fondazione potrebbero essere: -perseguire scopi filantropici finalizzati alla tutela e alla protezione del suo patrimonio artistico; - valorizzare il suo patrimonio artistico rendendolo fruibile al pubblico; -incentivare gli artisti emergenti attraverso concorsi e mostre o avvicinare e sensibilizzare la collettività verso il settore dell’arte attraverso seminari, convegni e altre attività educative; - ricercare anche vantaggi fiscali a tutela della propria collezione; -assumere una forma giuridica che consenta di accettare lasciti e donazioni da parte di privati, oppure di servirsi di attività di volontariato, col fine di sostenere nel migliore dei modi operazioni di manutenzione e conservazione che interessano i beni della collezione, aumentare e migliorare i servizi verso i cittadini e la possibilità di incrementare il patrimonio artistico attraverso nuove acquisizioni; -realizzare attività di fundraising per reperire nuovi fondi utili alla conservazione della collezione e per lo svolgimento delle attività collaterali. In questo senso la fondazione può essere intesa come uno strumento giuridico utile e flessibile, sia per singole persone che per persone giuridiche, per il perseguimento di scopi filantropici, per migliorare la propria immagine con (17) Vedi E. BORTPLUzzI DUBACh, “Lavorare con le fondazioni, Guida operativa”, Enciclopedia zanichelli, 2004, 65-71. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà attività culturalmente utili o perpetuare nel tempo una collezione di un familiare scomparso, tra l’altro mantenendo il nome di quest’ultimo. In qualsiasi caso gli scopi che il fondatore o i fondatori si sono prefissati e che si trovano nell’atto di fondazione devono mantenersi tali, a meno che non si richieda un cambiamento, entro i limiti del vincolo del fondatore, all’interno dell’atto da parte dell’autorità governativa. Questo perché una fondazione è prima di tutto un patrimonio vincolato al perseguimento di un certo scopo. Tradizionalmente entro il novero delle istituzioni di carattere privato riconosciute come persone giuridiche, alle associazioni, quali universitas personarum, ovvero pluralità di persone associate per il perseguimento di uno scopo comune, vengono contrapposte le fondazioni, concepite come universitas bonorum, dove l’elemento personale cede il posto all’elemento patrimoniale, elemento sul quale si incentra la definizione classica della fondazione, quale complesso di beni destinato al perseguimento di uno scopo. È proprio rispetto alla fondazione che si è posto storicamente il problema di enucleare in campo privatistico, il concetto di persona giuridica, di ammettere l’esistenza di un ente che, benché, privo di membri, potesse essere titolare di rapporti giuridici. Il concetto di fondazione quale autonomo soggetto di diritto cui attribuire la proprietà del patrimonio destinato ad uno scopo, compare per la prima volta agli inizi dell’Ottocento, ad opera di Savigny (cd. Teoria della finzione). Prima di allora, in epoca intermedia, la figura era delineata a prescindere dal concetto di persona giuridica: i beni destinati da una persona (il fondatore) ad uno scopo determinato erano concepiti o come beni appartenenti ai soggetti beneficiari della fondazione, collettivamente considerati, o come beni attribuiti in proprietà fiduciaria ai gestori, configurazione quest’ultima, peraltro, tuttora presente nei paesi di Common Law, ove la fondazione è considerata applicazione dell’istituto del trust (18). Si pensi al National Trust inglese, un istituto nato a Londra nel 1895, dalla volontà di tre persone, Octavia hill, Robert hunter e hardwicke Rawnsley, con l’intento inizialmente di salvaguardare i beni paesaggistici dai danni ambientali provocati dall’incontrollato sviluppo e il conseguente impatto causato dall’avvento dell’industrializzazione. Il National Trust è un ente benefico, nato su esigenze filantropiche e senza scopo di lucro ed è riconosciuto ancora oggi come uno dei più autorevoli enti per la tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Oggi il National Trust possiede più di 240 mila ettari di beni paesaggistici dislocati tra Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, che si dividono in riserve naturali, zone agricole e costiere e più di 700 miglia di linee costiere. Fra i beni che compongono l’istituto vi sono anche quelli di interesse artistico come i 200 edifici e giardini di interesse storico e culturale, nonché mobili antichi, opere d’arte e altri oggetti importanti dislocati fra le dimore storiche e i mo (18) Vedi F. CARINGELLA - L. BUFFONI, “Manuale di diritto civile”, Roma, 2018, 130. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 numenti di archeologia industriale accessibili al pubblico. Si tratta di una serie di beni paesaggistici e artistici, per i quali non solo viene garantita sicurezza, conservazione e valorizzazione, ma anche fruizione per il pubblico, poiché viene data la possibilità sia ai membri che alle altre persone di poterli visitare e ammirare. Infatti gli obiettivi principali del National trust sono la conservazione e la salvaguardia dei beni paesaggistici e culturali che si trovano sotto la sua tutela, la promozione turistica dei beni, la trasmissione culturale attraverso iniziative che coinvolgano il pubblico, come dibattiti e convegni, l’incremento della ricerca scientifica applicata alla cura dei beni artistici. L’istituzione conta più di 3 milioni e mezzo di membri che appoggiano il National Trust attraverso sia lasciti e elargizioni di tipo finanziario sia attraverso donazioni di collezioni e patrimoni artistici. Le maggiori entrate economiche sono, infatti, rappresentate dagli aiuti dei membri, ma il National Trust può anche contare sulla collaborazione e sull’aiuto di volontari provenienti da tutto il mondo, che oggi ammontano a quasi 43 milioni di persone. Proprio sull’esempio del National Trust inglese è stato costituito in Italia il FAI Fondo Ambientale Italiano, un ente senza scopo di lucro i cui scopi sono affini a quelli perseguiti dal trust in questione. La differenza sostanziale è nella forma giuridica, poiché il FAI si configura come una fondazione, un istituto diffuso e ben radicato in Italia, si pensi alla Fondazione Agnelli o alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena tra le oltre 4000 fondazioni oggi esistenti in Italia. Un esempio di come si possa conciliare attività turistica e tutela del patrimonio artistico attraverso il modello del trust è rappresentato sempre in Inghilterra dal Landmark Trust. Quest’ultima è un’importante organizzazione per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale nata in Gran Bretagna nel 1965 per volere di Sir John Smith e Lady Smith. La Landmark Trust è un ente senza scopo di lucro che si occupa di salvaguardare e promuovere una serie di beni, in particolare edifici e dimore storiche di vario tipo, site nel territorio della Gran Bretagna. Si occupa del recupero e del restauro delle proprietà più danneggiate riportandole in vita e mettendole anche a disposizioni per piacevoli vacanze. Infatti, tutti gli edifici sono fruibili da parte dei visitatori sia in orari prestabiliti, ma anche attraverso il loro affitto. Infatti, il Landmark Trust permette soggiorni a pagamento, che consentono parte del sostentamento e delle opere di restauro che gli edifici richiedono. Scopo primario è la conservazione del patrimonio sotto la sua tutela, insieme a finalità educative che si esplicano nei soggiorni dei quali le persone possono fruire. Un’esperienza abitativa in una dimora storica e di alto valore architettonico può contribuire a sensibilizzare le persone verso la storia e i beni artistici e, soprattutto, è un’occasione unica per volgere lo sguardo al passato. Negli Stati Uniti riscontriamo una gestione privata dei beni culturali che rappresenta un modello totalmente opposto alla gestione pubblica di Paesi LEGISLAzIONE ED ATTUALITà come l’Italia. La maggior parte dei musei americani sono istituzioni non profit giuridicamente ordinate secondo la formula giuridica del trust e governati da un Board of Trustees che rappresentano spesso i personaggi economicamente più forti della città e dello Stato. Essi detengono un potere decisionale su questioni come la politica culturale che il museo deve perseguire, gli acquisti e i metodi di finanziamento del loro museo, volontà, alle quali, molto spesso, anche il direttore del museo deve sottostare. I controlli sull’operato dei trustees e sugli statuti dei trust sono effettuati periodicamente e con severità dagli attorney generals, ovvero dall’amministrazione della giustizia, nell’interesse pubblico. Questa struttura privatistica dei musei è stata favorita anche dalle agevolazioni fiscali per coloro che sostengono la promozione e la valorizzazione di attività culturali. L’esempio che qui si vuole descrivere è quello del Paul Getty Trust, le cui origini risalgono all’istituzione del Paul Getty Museum, da parte del magnate del petrolio e collezionista Paul Getty nel 1953. Successivamente Paul Getty fece costruire un secondo museo a Malibù in California, una sorta di villa-museo, ispirata alle ville romane. Si tratta di una ricostruzione perfetta della Villa dei Papiri di Ercolano dove sono custodite alcune delle antichità greche e romane appartenenti alla collezione di Paul Getty. Tale villa insieme al Getty Center a Los Angeles rappresenta oggi uno dei centri culturali più importanti al mondo, gestito dal Paul Getty Trust, un’istituzione culturale e filantropica che opera a livello internazionale e che ha come scopo quello di promuovere la conoscenza e la salvaguardia del patrimonio artistico mondiale, in particolare verso il settore dell’arte visiva, riconoscendo nell’arte la capacità di ispirare e rafforzare i valori dell’umanità. Negli esempi sopra riportati che non sono certo esaustivi (si pensi anche al noto caso del Guggeinheim UK Charitable Trust) si nota quanto la filantropia e il volontariato siano due caratteristiche di queste istituzioni non profit. Ma occorre chiedersi se la filantropia sia conciliabile con una vera e propria attività di impresa e in che termini per una tutela effettiva dei beni culturali (19). Per filantropia si intende un comportamento caritatevole tipico delle persone altruistiche, un atteggiamento studiato attentamente in economia e che nasce da diverse aspirazioni, come quello di auto soddisfazione nei propri confronti, la volontà di mantenere una collezione a beneficio della collettività, sostenere opere di restauro o altro con un ritorno di immagine di sé stesso o della propria azienda. Gli esempi del National Trust o del Getty Trust sono di per sé esempi di filantropia che si servono a loro volta di atteggiamenti filantropici da parte di terzi. Tutte queste istituzioni, infatti, sostengono e promuovono donazioni e lasciti da parte dei privati nonché aiuto e collaborazione da parte di volontari. Per quanto riguarda l’Italia, il complesso delle imprese culturali da (19) Vedi A. BESANA, “L’arte in chiave economica”, Milano, 2003. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 quelle profit a quelle non profit come biblioteche, musei, compagnie teatrali, associazioni e fondazioni può contare su una filantropia privata per una percentuale che varia tra il 5% e il 15% delle risorse finanziarie necessarie. La realtà statunitense, invece, è ben diversa, soprattutto, per quanto riguarda i musei. Come negli esempi sopra riportati, quelli del Paul Getty Museum o del Solomon Guggenheim Museum, le entrate principali sono rappresentate da donazioni private e di imprese, circa il 30% delle risorse finanziarie totali. Esiste un’enorme differenza, infatti, tra la cultura americana privata e quella pubblica di paesi come l’Italia. L’idea che si possa conciliare la gestione privata con una regolazione pubblica non è del tutto peregrina: basti pensare alla Fondazione Italia sociale, istituita dall’art. 10 della Legge 6 giugno 2016. Tale Fondazione -operativa dal febbraio 2018 a seguito della nomina del Comitato di gestione -è una persona giuridica di diritto privato (la Pubblica Amministrazione nomina tre membri su 10 dell’organo di amministrazione) sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali e al controllo della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria. Per legge le risorse devono provenire prevalentemente da privati. Il pubblico ha conferito 1 milione in sede di avviamento e nel primo anno di attività la Fondazione ha già ricevuto 3 milioni di euro dai partecipanti privati. In quanto “fondazione di partecipazione” nel corso del primo anno si è progressivamente ampliata la base dei partecipanti comprendendo alcune importanti imprese come Banca Mediolanum, Fondazione Adriano Olivetti, Lottomatica. L’adesione comporta per le imprese l’impegno ad attivare una raccolta fondi permanente attraverso le proprie reti commerciali (clienti, utenti, fornitori) o i propri dipendenti, destinata ad alimentare uno specifico Fondo filantropico. Tale Fondazione si differenzia dagli altri enti filantropici presenti nel panorama nazionale (fondazioni di origine bancaria, fondazioni di impresa, fondazioni di comunità, fondazioni di famiglia), in quanto non ha vincoli territoriali e nasce per colmare una lacuna negli strumenti di sostegno finanziario al Terzo settore. Un’importante funzione di tale fondazione, messa a punto nel corso del 2019 e in fase di avviamento, riguarda la messa a disposizione di una serie di servizi per incentivare e facilitare la destinazione di donazioni e lasciti ad enti di terzo settore e altre organizzazioni di interesse sociale (scuole, ospedali, musei, istituzioni culturali). Sul modello delle fondazioni nazionali in Francia e in Belgio, tale fondazione offre servizi di consulenza e intermediazione filantropica rivolti a donatori che anziché creare delle proprie fondazioni individuali reputano più vantaggioso costituire sotto l’ombrello e le garanzie di Fondazione Italia Sociale dei fondi “donor advised”, quasi sul modello di un fondo strategico di investimento. In questo caso la Fondazione offre il servizio di gestione mentre le finalità sono fissate dal donatore. L’utilizzo dei servizi messi a disposizione dalla Fondazione presenta vantaggi in termini di costi, efficacia esecutiva e garanzia di durata nel tempo. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Tale Fondazione agisce anche come advisor delle istituzioni pubbliche per la gestione di risorse destinate a Terzo settore e per incrementare l’efficacia nel- l’utilizzo delle risorse pubbliche regionali, nazionale ed europee destinate ai progetti sociali. In partenariato con soggetti pubblici, inoltre, può sviluppare progetti istituzionali e gestire risorse pubbliche. È da precisare che se è vero che gli enti filantropici rientrano nel cd. Terzo settore, ai sensi dell’art. 4 del D.lgs n. 117/17, questo comporta, in presenza dell’esercizio di un’attività impresa ex art. 2082 c.c. (che oggi può essere svolta anche da enti non aventi natura societaria), l’applicabilità a tali enti delle norme di diritto societario secondo un principio di compatibilità funzionale. In tale ottica si muove la disciplina del Codice del Terzo settore, prevedendo, oltre ad un registro nazionale unico degli enti, l’applicabilità a tali enti di tutta la normativa in tema di scritture contabili e di modulistiche dei bilanci ex art. 7 del D.lgs n. 117/17. Se si consente ad una fondazione o associazione di esercitare attività di impresa, nel rispetto del principio della non distribution constraint, non si può non prevedere una trasposizione in termini di compatibile applicazione a tali enti delle norme di diritto societario volte al controllo e alla trasparenza dell’attività espletata soprattutto quando tale attività è finanziata da risorse pubbliche. La riprova di questa tendenziale equiparazione tra fondazione e società commerciale sotto il profilo dell’attività imprenditoriale concretamente esercitata è rinvenibile nell’art. 42 bis del codice civile introdotto di recente dal codice del terzo settore che testualmente recita: «Se non è espressamente escluso dall’atto costitutivo o dallo statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni… possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni. La trasformazione produce gli effetti di cui all’articolo 2498 c.c.». L’analisi fin qui svolta consente tre ordini di considerazioni : 1) la prima attiene alla ridefinizione del tipo normativo fondazione nell’ottica della neutralità delle forme giuridiche rispetto ai contenuti economici finalizzati alla tutela dei beni culturali; 2) la seconda alla qualificazione delle relazioni giuridiche legate al fenomeno del «mecenatismo» e della «sponsorizzazione»; 3) la terza al rapporto fra forme giuridiche e politiche culturali che tengano conto dell’evoluzione dell’economia. Riguardo al primo profilo occorre considerare che l’individuazione di un Idealtypus di fondazione -secondo la terminologia weberiana fatta propria da una dottrina tedesca -ambisce alla definizione di una immagine concettuale che depurata dalle specificità nazionali sia idonea a sussumere la molteplicità fenomenica. Si tratta di un modello euristico, ossia un Funktion typus, che viene a delinearsi rispetto al collegamento tra scopo e patrimonio (20). A que (20) Vedi h. KRONKE, “Stiftungstypus und Unternehmenstragerstiftung”, Tubingen, 1988. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 sto proposito, per consentire il passaggio da forme di sfruttamento statico a forme di sfruttamento dinamico del patrimonio il diritto anglosassone ha sviluppato la cd. cy-press rule, regola formatasi in seno alla Charity Commission, volta a consentire la modifica e l’adattamento alle mutate circostanze dell’attività del trust. Tale istituto non ha completamente attecchito nel nostro ordinamento, ma indubbiamente i suoi elementi di dinamismo gestionale sono penetrati anche nella fondazione che oggi può costituire uno strumento più flessibile per la tutela degli interessi di utilità sociale, tra cui rientrano senz’altro quelli legati alla tutela dei beni culturali. Riguardo al secondo profilo sopra delineato, occorre considerare che il progressivo inserimento della fondazione nella strategia di impresa porta a ripensare in senso critico anche il profilo della natura liberale dell’atto di dotazione verso l’ente, analisi che può svilupparsi in parallelo alla distinzione dei criteri discretivi tra mecenatismo e sponsorizzazione. È questo un aspetto su cui si è concentrata l’attenzione della dottrina italiana che, posto il carattere sinallagmatico del contratto di sponsorizzazione, in ciò ha identificato il momento differenziale rispetto al mecenatismo che andrebbe ricondotto alla categoria degli atti di liberalità (21). Nella sponsorizzazione l’evento di interesse sociale è un mezzo per il conseguimento di un obiettivo proprio dell’impresa, mentre per il mecenate il mezzo è l’impresa e la cultura il fine. Ossia il mecenate vuole promuovere la cultura attraverso il finanziamento privato, mentre lo sponsor, tramite il finanziamento alla cultura, persegue un interesse commerciale o pubblicitario d’impresa. Una distinzione quella tra mecenatismo e sponsorizzazione rilevante anche ai fini fiscali, in quanto la diversa considerazione delle spese in punto di detraibilità deriva dalla qualificazione delle erogazioni, se a titolo oneroso o gratuito. Ora è innegabile che nell’attuale contesto economico-finanziario connotato da una persistente crisi economica che impone tagli nei bilanci della PA assume una funzione di primaria importanza la ricerca di finanziamenti privati attraverso i quali valorizzare i beni del patrimonio culturale nazionale con un ruolo svolto proprio dalle autonomie locali che, detenendone una parte rilevante, possono avvalersi del nuovo contratto di sponsorizzazione reso più agile dal Codice dei contratti pubblici (22). In quest’ottica la sponsorizzazione assume un ruolo maggiormente propulsivo rispetto al mecenatismo, perché crea un’intima connessione e un legame per così dire più evolutivo tra arte e impresa. Mentre l’art. 120 del Codice dei Beni culturali stabilisce che oggetto della sponsorizzazione è ogni contributo di soggetti privati anche in beni e in servizi (21) Vedi M. BIANCA, “I contratti di sponsorizzazione”, Rimini, 1990. (22) Vedi S. GARDINI, “La sponsorizzazione dei beni culturali come paradigma dinamico di valorizzazione”, in “Il diritto dell’economia” 2016, 2, 591. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà erogato per progettare o attuare le iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale nazionale con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto delle attività del soggetto sponsorizzante, il Codice dei Contratti pubblici all’art. 151 del D.lgs 18 aprile 2016 n. 50 distingue tra sponsorizzazione pura, sponsorizzazione tecnica e sponsorizzazione mista. a) La sponsorizzazione pura. La sponsorizzazione pura ha per oggetto l’erogazione di solo denaro costituendo una tipologia di contratto attraverso il quale lo sponsor si impegna unicamente a finanziare le obbligazioni di pagamento dell’appalto dovute dall’amministrazione alle imprese che intervengono nell’esecuzione di lavori, opere, servizi o forniture. Considerato il carattere di contratto attivo, in quanto non comporta l’utilizzo di denaro pubblico, sin dalla sua comparsa la sponsorizzazione pura è stata sottratta all’applicazione delle norme contenute nel vecchio codice dei contratti (D.lgs n. 163/2006). A tal proposito l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVPC), ora Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha ritenuto che la sponsorizzazione pura, come tutti i contratti che comportano un’entrata per l’amministrazione, fosse sottoposta soltanto alle norme di contabilità di Stato, le quali, comunque, richiedono l’esperimento di procedimenti da svolgere nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento, trasparenza dell’azione amministrativa. L’art. 151, comma 1, D.lgs 18 aprile 2016 n. 50 contempla la sponsorizzazione pura che, quindi, entra a pieno titolo nell’area dei contratti pubblici, ma con una serie di semplificazioni procedurali che la differenziano in maniera sostanziale da tutta la complessa famiglia dei negozi giuridici nei quali sia parte una pubblica amministrazione. Difatti, il legislatore ha previsto che l’amministrazione procedente debba limitarsi a pubblicare l’avviso per la ricerca dello sponsor sul proprio sito istituzionale per un arco temporale non inferiore a trenta giorni consecutivi indicando in esso l’oggetto del finanziamento privato, l’importo, la durata del progetto e le occasioni di pubblicità garantite all’impresa finanziatrice. Decorso il predetto termine per la pubblicazione dell’avviso il contratto può venire liberamente negoziato nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori economici (imprese) che abbiano manifestato interesse, fermo restando l’applicazione dell’art. 80 del Codice dei contratti pubblici che analiticamente indica i motivi di esclusione delle imprese dalle procedure di evidenza pubblica. b) La Sponsorizzazione tecnica. La sponsorizzazione tecnica consiste in una forma di partenariato estesa alla progettazione e alla realizzazione di parte o di tutto l’intervento a cura e a spese dello sponsor. Questa tecnica è una sponsorizzazione in cui oltre ai lavori, le prestazioni RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 rese dallo sponsor potranno consistere in servizi e forniture strumentali ai primi, come ad esempio, i servizi di installazione e montaggio di attrezzature e impianti, forniture di arredi da collocare nei locali o in servizi e forniture autonomi, come i servizi necessari all’organizzazione di mostre all’interno di istituti di cultura pubblici quali i musei. Dal punto di vista della disciplina normativa la sponsorizzazione tecnica: -è soggetta all’applicazione dell’art. 151, Codice dei contratti pubblici, i cui principi hanno una portata di carattere generale; -per quanto concerne le modalità di svolgimento del procedimento per la scelta del contraente privato (soggetto sponsorizzante) trova applicazione l’art. 19 del predetto Codice. La stessa giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 31 luglio 2013 n. 4034) sostiene che quando la PA sottoscriva un contratto di sponsorizzazione che non comporti alcun onere finanziario, in quanto si traduce in un risparmio, l’accordo negoziale non è qualificabile come contratto passivo e in quanto tale non è assoggettabile alla disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici, pur restando applicabili i principi del trattato dell’unione Europea in materia di scelta della controparte e più in generale in tema di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. c) Sponsorizzazione mista. La sponsorizzazione mista risulta dalla combinazione della sponsorizzazione pura con quella tecnica e si connota per il fatto che lo sponsor può, ad esempio, curare direttamente e fornire la sola progettazione, limitandosi ad erogare il finanziamento per le lavorazioni previste nel contratto. Orbene, la duttilità di tali strumenti di finanziamento che vedono sempre più il coinvolgimento del privato nella gestione dei beni culturali, induce a fare una riflessione di fondo corrispondente al punto 3 sopra indicato, ossia il rapporto tra forme giuridiche e politiche culturali. Storicamente l’affermarsi della sovranità nazionale ha comportato l’identificazione tra le attività di mecenatismo che il sovrano realizzava per mezzo del patrimonio della corona e l’iniziativa pubblica volta alla promozione di attività culturali. Su queste basi si afferma un modello politico-ideologico dello Stato -inteso come apparato -quale unico depositario della gestione della politica culturale per lungo tempo dominante in Italia come, anche, e soprattutto, in Francia dove anzi esso è stato teorizzato da filosofi quali Comte o giuristi quali Duguit. Si tratta di un modello che è entrato in profonda crisi: la raggiunta consapevolezza della coesistenza di più opzioni culturali che accompagna una società pluralista e la forte richiesta sul piano della domanda culturale cui ha corrisposto insieme la riduzione del budget di spesa del settore necessitata da LEGISLAzIONE ED ATTUALITà esigenze di bilancio ha spinto a cercare un modello di social committment, ossia un modello che favorisca la compartecipazione dei privati sul piano della determinazione e sul piano del contributo economico alla gestione della politica culturale. Esemplare da questo punto di vista -anche se gli Stati Uniti come sopra esposto si pongono su una posizione di politica culturale affatto diversa da quella di matrice statualista -è stato l’Economic Recovery Tax varato dall’amministrazione Reagan che ha costituito un vero e proprio riconoscimento del mecenatismo di impresa. Si tratta di un mutamento politico-ideologico sostanziale: il privato è parte di un processo di co-decisione della politica culturale, anzi il modello «contrattualistico» nella sua dimensione più pura vuole essere uno strumento «efficiente», perché serve a favorire una risposta più immediata alla domanda dei consumatori del «prodotto culturale », provvedendo nel contempo alla sua tutela e alla sua valorizzazione. Non debbono, però, essere tralasciati i rischi di tale operazione: quando la proposta culturale è monopolizzata dai detentori delle forze di produzione essa perde inevitabilmente qualsiasi capacità critica e si conforma ai rapporti di forza esistenti nella società. Diversamente potrebbe essere se fosse data la possibilità, e fossero predisposti gli strumenti giuridici, perché tutti i cittadini partecipino alle scelte che attengono la proposta culturale. Lo Stato deve svolgere certamente un ruolo centrale nell’attività di controllo e di vigilanza dei beni culturali, provvedendo al recupero dei beni illegittimamente esportati e ricettati all’estero. Si tratta di un’attività che -come ha affermato l’Avvocato Generale dello Stato Gabriella Palmieri nel suo discorso di insediamento del 22 novembre 2019 -“grazie ad una felice sinergia con il Ministero dei Beni Culturali, con il Nucleo di tutela del patrimonio culturale dell’Arma dei Carabinieri e con i pool specializzati costituiti presso la Procura della Repubblica -ha dato negli anni scorsi risultati molto lusinghieri: cito il rientro in Italia del vaso di Eufronio ….e della Dea di Morgantina”. Accanto a questa attività di controllo e vigilanza connessa a quella di stretta regolazione del settore culturale di esclusiva competenza statale, occorre oggi modulare con schemi operativi flessibili, come quelli che si è cercato di descrivere sopra, anche l’attività gestoria dei beni di interesse artistico dei privati, nella consapevolezza che l’arte può costituire uno strumento di evoluzione del sistema economico di un paese nella misura in cui tale contaminazione sia sempre finalizzata a mantenere viva l’identità storica e culturale di una nazione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 La disciplina dell’azione di classe italiana ex lege n. 31 del 2019 e comparazione tra la disciplina della class action nel diritto statunitense e l’azione di classe italiana Giuseppe Gerardo* SoMMARIo: 1. Le azioni di classe in Italia. Disciplina contenuta nel codice di procedura civile all’esito della novella di cui alla l. 12 aprile 2019, n. 31. Aspetti generali -2. I protagonisti del procedimento -3. oggetto dell’azione di classe -4. I diritti tutelabili con l’azione di classe -5. Atto introduttivo del giudizio e fasi del procedimento -6. Prima fase del procedimento: giudizio di ammissibilità dell’azione -7. Seconda fase del procedimento: giudizio diretto all’accertamento della condotta plurioffensiva, ovvero di questioni comuni alla classe -8. Terza fase del procedimento: giudizio diretto all’accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti -9. L’adesione del componente la classe -10. Spese del procedimento 11. Adempimento del decreto di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda di adesione -12. Composizioni amichevoli della lite (rinunce e transazioni) -13. Efficacia soggettiva ed oggettiva del procedimento e consumazione dell’azione di classe -14. Finalità della azione di classe -15. Azione inibitoria collettiva -16. Comparazione tra la disciplina della class action nel diritto statunitense e l’azione di classe italiana. 1. Le azioni di classe in Italia. Disciplina contenuta nel codice di procedura civile all’esito della novella di cui alla l. 12 aprile 2019, n. 31. Aspetti generali. La legge 12 aprile 2019, n. 31 contiene la nuova disciplina dell’azione di classe -mediante una integrazione del codice di procedura civile (inserimento degli articoli da 840 bis a 840 sexiesdecies) -con sostituzione di quella contenuta nel D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del Consumo, nell’art. 140 bis (circa l’azione risarcitoria) e nell’art. 140 (circa l’azione inibitoria). Tale disciplina non è ancora entrata in vigore. Con questa modifica la tutela collettiva compie un significativo passo in avanti all’interno dell’ordinamento italiano, sostituendo e migliorando la disciplina contenuta nel Codice del Consumo. 2. I protagonisti del procedimento. a) Il giudice. Venendo in rilievo diritti soggettivi, la cognizione della lite -secondo le ordinarie regole del riparto di giurisdizione -spetta al giudice ordinario. Il primo comma dell’art. 840 ter prevede che la domanda avente ad oggetto l’azione di classe si propone con ricorso esclusivamente davanti alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede (*) Dottore in Giurisprudenza. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà la parte resistente. Nella nuova disciplina è confermata la competenza del Giudice ordinario. Tuttavia la controversia non spetta più alla cognizione delle sezioni ordinarie, ma ad una sezione specializzata, la quale opera in composizione collegiale. Analogamente alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo, il giudice ha un ruolo centrale, dotato di notevoli poteri, come si desume dai casi di intervento in momenti rilevanti del procedimento, soprattutto nella fase di ammissibilità dell’azione e nella fase istruttoria (nella quale ha notevoli poteri in ordine all’esibizione delle prove). b) Le parti. Le parti sono l’attore e il convenuto. L’attore è chi propone l’azione di classe. Il convenuto è il soggetto contro cui l’azione è rivolta sulla affermazione (attorea) che ha tenuto un comportamento illecito. Le parti del procedimento sono individuate nei commi 2 e 3 dell’art. 840 bis. Il comma 2 individua i soggetti che possono promuovere l’azione di classe. La titolarità dell’azione, in continuità con la disciplina contenuta nel Codice del Consumo, spetta alla classe, che agisce mediante un proponente che sia “in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei” dei suoi componenti, e non versi in una situazione di conflitto di interessi ex art. 840 ter, comma 4. L’attore fino alla nomina del rappresentante comune con la sentenza di accoglimento dell’azione di classe al termine della seconda fase, è l’unico soggetto abilitato ad agire e contraddire in sede processuale nell’interesse della classe, sia per quanto riguarda le questioni comuni che per quanto concerne quelle relative ai singoli aderenti che scelgano di supportare l’azione già durante il processo (1). Autorevole dottrina evidenzia che l’ordinanza di ammissione dell’azione di classe è costitutiva della classe come ente ai fini del processo, qualificandola come parte rappresentata dal ricorrente (2). La legittimazione attiva spetta a due tipologie di soggetti: a) ciascun componente della classe. La novità più rilevante -rispetto alla precedente disciplina -è data dall’eliminazione del requisito soggettivo della qualità di consumatore: la nuova azione di classe è proponibile anche da parte di soggetti che non agiscano nella qualità di consumatori, e in relazione a rapporti non di “consumo” (3); b) un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei diritti individuali omogenei, purché iscritte (1) In tal senso ANGELO DANILO DE SANTIS, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, Pisa, Pacini Giuridica, 2019, p. 131. (2) ANDREA GIUSSANI, La riforma dell’azione di classe, in Riv. dir. proc. 2019, 6, p. 1578. (3) MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, in Diritto bancario 10 settembre 2019, p. 3. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia. L’art. 196 ter disp. att. c.p.c. -inserito con l’art. 2 della L n. 31/2019 -contiene disposizioni relative all’elenco delle organizzazioni e associazioni legittimate al- l’azione di classe. Non vi è la diretta disciplina della tenuta dell’elenco, in quanto questa è rimessa ad un decreto che dovrà essere adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti. Con tale decreto sono stabiliti i requisiti per l’iscrizione nell’elenco delle organizzazioni o delle associazioni legittimate all’azione in esame, i criteri per la sospensione e la cancellazione delle organizzazioni e associazioni iscritte, nonché il contributo dovuto ai fini dell’iscrizione e del mantenimento della stessa (fissato in misura tale da consentire comunque di far fronte alle spese di istituzione, di sviluppo e di aggiornamento dell’elenco). Con il medesimo decreto sono stabilite le modalità di aggiornamento dell’elenco. È previsto che “I requisiti per l’iscrizione comprendono la verifica delle finalità programmatiche, dell’adeguatezza a rappresentare e tutelare i diritti omogenei azionati e della stabilità e continuità delle associazioni e delle organizzazioni stesse, nonché la verifica delle fonti di finanziamento utilizzate”. È evidente la funzione di filtro che viene rivestita dalla previsione dei detti requisiti, al fine di garantire la serietà, la solidità e la adeguata rappresentazione della classe, evitando organizzazioni o associazioni “gialle”, ossia finanziate o espressione di imprese e pubblici gestori potenziali destinatari di azioni di classe. A quest’ultimo riguardo l’indipendenza finanziaria dell’ente esponenziale da imprese e pubblici gestori, oltre a sussistere al momento dell’iscrizione nell’apposito elenco, deve permanere nel tempo. Alla stregua degli indicati requisiti dell’ente collettivo, è esclusa la legittimazione attiva di comitati costituiti ad hoc -ad iniziativa dei componenti della classe -i quali difetterebbero dei requisiti di stabilità e continuità richiesti per l’iscrizione nell’elenco ministeriale. La legittimazione autonoma degli enti esponenziali all’esperimento del- l’azione collettiva è -rispetto alla precedente disciplina -un’autentica novità. Nella disciplina consumeristica dettata dall’art. 140 bis del Codice del Consumo non era attribuito alle associazioni di categoria un autonomo diritto di azione: il singolo “componente della classe” poteva semplicemente farsi rappresentare in giudizio da tali organizzazioni. L’ampliamento della legittimazione ad agire -rispetto alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo -contribuisce senz’altro alla deterrenza rispetto a condotte dannose, ossia ad una delle finalità più importanti collegate all’esercizio delle azioni di classe. Difatti, quanto più diffusa è l’abilitazione nell’esercizio dell’azione di classe tanto più efficace si presenta la funzione complementare di enforcement privato che questa assolve, in aggiunta all’attività pubblica di controllo sulla correttezza degli operatori del mercato (4). LEGISLAzIONE ED ATTUALITà La nuova disciplina non contempla più la possibilità per il singolo “componente della classe” di agire “mediante associazioni” (art. 140 bis, comma 1, citato); in dottrina si rileva che non sembra preclusa al singolo la possibilità di conferire un mandato con rappresentanza a simili associazioni o organizzazioni ai fini dell’instaurazione di un’azione di classe ex art. 840 bis. Si tratterà, tuttavia, di un ordinario rapporto di mandato, con tutte le conseguenze sul piano processuale, anche in punto di capacità del rappresentante di stare in giudizio (5). I detti soggetti possono agire nei confronti dell’autore della condotta lesiva per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Il comma 3 individua i legittimati passivi: “L’azione di classe può essere esperita nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività”. Per la vecchia disciplina potevano essere convenuti anche i professionisti. Ciò non è previsto testualmente nella nuova disciplina. Deve ritenersi, tuttavia, che, in virtù dell’interpretazione sistematica, la legittimazione passiva spetti, nella nuova disciplina, anche ai professionisti. È noto che nell’ordinamento dell’Unione Europea, in materia di concorrenza, vi è un concetto lato di impresa; per impresa, specie in virtù dell’interpretazione della Corte di Giustizia, si intende qualsiasi persona fisica o giuridica che svolge una attività produttiva rivolta al mercato; in tale concetto vengono compresi -tra gli altri -i professionisti (6). Tale concetto lato può essere accolto anche nel nostro caso. Circa l’ambito soggettivo, va rilevato che nella disciplina precedente l’istituto dell’azione di classe riguardava solo la tutela dei consumatori e non aveva invece portata applicativa generale. In conclusione, con la nuova disciplina, si è ampliato l’ambito soggettivo -ed anche oggettivo come di seguito si illustrerà -delle situazioni protette dall’azione rispetto alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo. Il secondo ed ultimo periodo del comma 3 dell’art. 840 bis, stabilisce: “Sono fatte salve le disposizioni in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”. Il riferimento è alla c.d. azione di classe pubblicistica ex d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, il cui art. 1, comma 6, prevede espressamente che “il ricorso non consente di otte( 4) Così ANTONIO CARRATTA, La class action riformata -I nuovi procedimenti collettivi: considerazioni a prima lettura, in Giur. It., 2019, 10, pp. 2297 e ss. (5) Conf. ANDREA GIUSSANI, La riforma dell’azione di classe, cit., p. 1574 e MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., pag. 3. (6) Su tali aspetti: GIUSEPPE TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, VII edizione, Padova, CEDAM, 2012, p. 640. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 nere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti di cui al comma 1; a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari”. Tra le due azioni di classe non vi è, comunque, piena complementarietà, in ragione della diversità di presupposti soggettivi e oggettivi e di disciplina processuale (7). c) L’aderente all’azione di classe. In continuità con la disciplina contenuta nel Codice del Consumo, il componente la classe -diverso dall’attore -viene coinvolto nel procedimento solo con un proprio atto di adesione e non acquista la qualità di parte, come confermato dal comma 5 dell’art. 840 bis, secondo cui non è ammesso l’intervento volontario dei terzi ai sensi dell’articolo 105 c.p.c. La ratio della norma è volta a preservare il meccanismo dell’azione di classe come semplificazione del processo collettivo in processo di due sole parti. Da una parte la classe, rappresentata dal proponente, e dall’altro lato il resistente (8). Nuove -rispetto alla disciplina del Codice del Consumo -sono le modalità con le quali si ottiene l’eventuale adesione di altri soggetti appartenenti alla medesima classe nel caso dell’azione collettiva risarcitoria. Il procedimento di adesione non ha più una sola finestra temporale per le adesioni, ma due. Difatti, viene riproposta anche nella nuova versione la possibilità, già prevista dall’art. 140 bis c. cons., che l’adesione avvenga nel corso del processo collettivo, nel termine indicato dall’ordinanza che ha ammesso la domanda collettiva (art. 840 quinquies, 1° comma). Ma si introduce anche la possibilità, senza dubbio più conveniente per chi la eserciti, dell’adesione successiva alla pronuncia della sentenza di accoglimento (art. 840 sexies, 1° comma, lett. e). La scelta è stata dunque quella di mantenere l’istituto dell’opt-in, ma nel contempo di ammorbidirlo con la possibilità di aderire all’azione anche in una fase successiva alla sentenza che definisce il giudizio. Non è stato recepito, quindi, il modello statunitense dell’opt-out, ove, chiunque, in possesso dei requisiti indicati dalla Corte, entra a far parte della classe a meno che, ricevuta la notizia del suo inserimento, non decida di rimanerne fuori. Nella prassi si è rilevato che il meccanismo dell’opt-in spesso si è rivelato incapace di raggiungere una massa critica di aderenti che scelgano di entrare nell’azione. Laddove, invece, l’esperienza statunitense rivela che la chiave dell’efficacia, in quell’ordinamento, è proprio il sistema dell’opt-out, che si è dimostrato capace di vincere l’indifferenza dei danneggiati, che potrebbero non voler perdere tempo per avere piccolissimi risarcimenti, andando così a colpire gli enormi profitti che, in quel sistema economico, le grandi società (7) MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 3. (8) RICCARDO FRATINI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31 a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 144. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà della Top 500 Fortune lucrano perpetrando micro-illeciti che coinvolgono decine di milioni di consumatori o stakeholders (9). I soggetti diversi da quello che instaura l’azione di classe possono solo aderire al procedimento. L’adesione non determina l’acquisto della qualità di parte, con tutte le conseguenze in ordine agli oneri e poteri processuali. L’aderente non risponde delle spese di soccombenza. Lo stesso non può esercitare alcun potere processuale, incluso quello di proporre eccezioni o difese, né chiedere prove ulteriori rispetto a quelle già individuate e prodotte in allegato all’adesione stessa, non potendo nemmeno modificare o precisare le sue domande o conclusioni; non essendo egli parte del processo, le vicende personali dell’aderente non influiscono sulla procedura, non applicandosi, ad esempio, la disciplina dell’interruzione del processo (10). L’unico potere dell’aderente consiste nell’ampliare l’oggetto del giudizio in corso di causa dal punto di vista quantitativo. L’adesione comporta che l’effetto dei provvedimenti conclusivi delle fasi processuali si può estendere, a date condizioni, agli aderenti. La domanda di adesione produce gli effetti della domanda giudiziale (art. 840 septies). Come è noto, gli effetti della domanda sono di ordine processuale o sostanziale. Non dovrebbero prodursi effetti di ordine processuale, in quanto l’aderente non ha la qualità di parte processuale; l’unico effetto processuale dovrebbe essere quello della litispendenza ex art. 39 c.p.c. con riguardo alla proposizione in forma individuale dello stesso diritto oggetto della adesione all’azione di classe. Quindi, si producono principalmente gli effetti di ordine sostanziale, in primo luogo l’interruzione della prescrizione. d) Il rappresentante comune degli aderenti. Il rappresentante comune degli aderenti è un pubblico ufficiale (allo stesso si applicano le disposizioni relative al curatore fallimentare). Egli, nella fase del procedimento relativa all’accertamento e liquidazione dei diritti individuali, agisce nell’interesse degli aderenti nella veste di loro rappresentante esclusivo in virtù del potere conferito dall’aderente con l’atto di adesione ex art. 840 septies, lett. h). L’atto di adesione integra un mandato con rappresentanza, con potere di disporre dei diritti dell’aderente nella sede del progetto di liquidazione. Va precisato che il rappresentante comune degli aderenti è qualificabile anche quale rappresentante della classe degli stessi e che il mandato conferitogli è in rem propriam, dato che il rappresentante percepisce il compenso direttamente dal resistente ai sensi dell’art. 840 novies, comma 1, sottoposto, in esplicita deroga alla regola di cui all’art. 1723, comma 2, c.c., alla revoca (9) Per tali rilievi: RICCARDO FRATINI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 144. (10) In tali termini RICCARDO FRATINI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 146. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 anche senza giusta causa sia da parte dell’aderente, sia, ex art. 840 sexies, comma 2, da parte del giudice delegato (11). e) Il difensore. Le parti del giudizio -attore e convenuto -devono stare in giudizio col ministero o con l’assistenza di un difensore, secondo le regole ordinarie ex art. 82 e ss. c.p.c. L’aderente, invece, può effettuare l’adesione senza il ministero di un difensore. Nel tentativo di rendere efficace il rimedio dell’azione di classe, vi è sull’esempio della disciplina statunitense -una specifica disciplina in tema di spese processuali diretta a premiare il difensore. 3. oggetto dell’azione di classe. Analogamente alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo, l’oggetto dell’azione di classe è duplice: accertamento della responsabilità e condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni (art. 840 bis, comma 1), dovendosi tenere conto dell’art. 840 octies, comma 5, nella parte in cui è previsto che la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni si può riferire non solo a somme in denaro, ma anche a cose. 4. I diritti tutelabili con l’azione di classe. a) L’omogeneità delle situazioni giuridiche soggettive. Le situazioni tutelate sono individuate nel primo comma dell’art. 840 bis, che dispone: “I diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le disposizioni del presente titolo”. Circa il requisito della “omogeneità”, vi è continuità tra vecchia e nuova disciplina. L’omogeneità viene intesa come identità di an debeatur, ovvero degli elementi oggettivi dell’azione, mentre può differire la specificazione del quantum dovuto a ogni singolo consumatore (12). Per far parte della classe ed aderire all’azione, i diritti al risarcimento o alle restituzioni che i titolari vantano nei confronti dell’impresa o dell’ente devono derivare da un unico illecito con attitudine plurioffensiva o da illeciti uguali tra loro, ripetuti e numerosi, atti ciascuno a ledere i singoli soggetti, i diritti dei membri della classe (13). È altresì necessario che i membri della classe abbiano sofferto un pregiudizio il cui accertamento giudiziale possa essere condotto unitariamente, prescindendo totalmente da questioni individuali. In questo senso, ad esempio, i danni alla salute mal si attagliano ad essere tu (11) ANDREA GIUSSANI, La riforma dell’azione di classe, cit., p. 1593. (12) Sul punto: ELISABETTA CORAPI, in Liber amicorum Guido Alpa, Capitolo XXI, Appunti sul- l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della class action nella legge di riforma, CEDAM, 2019, p. 490. (13) ANDREA GIUSSANI, La riforma dell’azione di classe, cit., p. 1573. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà telati con l’azione di classe, poiché essi necessitano di un’indagine circa lo stato di salute iniziale di ciascun singolo danneggiato. L’azione di classe è, invece, adatta a far valere i diritti alle restituzioni che vantano una pluralità di soggetti in conseguenza dell’applicazione da parte di un’impresa di oneri non dovuti, ovvero in conseguenza della vendita di un bene o prodotto privo delle qualità promesse. È, infine, necessario l’accertamento del nesso di causalità tra condotta lesiva ed evento dannoso. Sicché l’azione di classe si risolve in una connessione impropria ex art. 103, comma 1, ultima parte, c.p.c. secondo cui più cause possono essere trattate congiuntamente in un unico processo “quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”, che nel caso di specie sono di fatto e di diritto (14). In continuità rispetto alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo, i diritti individuali omogenei, come si evince dal testo del primo comma, sono tutelabili, oltre che con l’azione di classe, anche con l’ordinaria azione individuale da parte dell’interessato. Ciò è confermato anche dal quarto comma dell’art. 840 bis c.p.c. il quale dispone: “In ogni caso, resta fermo il diritto all'azione individuale, salvo quanto previsto all'articolo 840-undecies, nono comma”. b) La generalità dei diritti tutelabili. La grande novità introdotta dalla L. n. 31/2019 è la portata generale dei diritti tutelabili, non più collegati alla tutela del consumatore. Nella nuova disciplina non vi è più -come nel comma 2 dell’art. 140 bis del Codice del Consumo -la precisazione delle tre le tipologie di situazioni giuridiche soggettive protette collegate, come detto, alla tutela del consumatore. Si rileva in dottrina che l’azione di classe si candida ad essere impiegata per fronteggiare tutti i tipi di “mass torts”, ad esempio permettendo alle persone che, per il fatto di abitare in un’area sottoposta a esalazioni tossiche ovvero a campi magnetici nocivi, abbiano risentito dei relativi pregiudizi (non necessariamente attinenti alla sfera della salute) di ottenere una decisione sulle loro istanze risarcitorie in un unico contesto, senza costringerle ad avanzare ciascuna la propria pretesa in tanti giudizi separati. Viene anche aperta la possibilità all’impiego della class action in tema di tutela dei diritti dei risparmiatori (15). In conclusione, con la nuova disciplina, si è ampliato l’ambito soggettivo ed oggettivo delle situazioni protette dall’azione rispetto alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo. (14) Per tali aspetti: ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 59-61. (15) Per tale rilievo: ELISABETTA CORAPI, in Liber amicorum Guido Alpa, Capitolo XXI, Appunti sull’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della class action nella legge di riforma, cit., p. 493. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Circa l’ambito soggettivo, va rilevato che nella disciplina precedente l’istituto dell’azione di classe riguardava solo la tutela dei consumatori e non aveva invece portata applicativa generale. Questo limite è stato superato dalla legge di riforma, che ha eliminato ogni riferimento a consumatori e utenti e, conseguentemente, ha spostato l’istituto dal Codice di Consumo e lo ha inserito nel codice di procedura civile alla fine del libro IV dedicato ai procedimenti speciali. L’unico vincolo che, invece, pone la nuova disciplina si trae dall’individuazione dei legittimati passivi, che sono costituiti ex art. 840 bis, comma 3, dalle imprese o dagli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. Restano, quindi esclusi dall’ambito di tutela del- l’azione di classe i diritti individuali omogenei lesi da soggetti diversi dalle imprese od enti, quali l’attacco informatico di un hacher, il phishing, lo smishing, ecc. (16). Circa l’ambito oggettivo, si rileva che le ipotesi di responsabilità oggetto dell’azione di classe comprendono anche tutte le ipotesi di responsabilità extracontrattuale e non soltanto, come nella precedente disciplina, quelle relative alle pratiche commerciali scorrette ed ai comportamenti anticoncorrenziali (17). Sicché, la nuova previsione della disposizione copre tutta l’amplissima area della responsabilità civile precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale in tutte le sue più svariate declinazioni e non si rivolge in via esclusiva ai consumatori, bensì anche ai professionisti, alle imprese, alle associazioni senza scopo di lucro, agli investitori, agli azionisti, ovvero a tutte quelle categorie di soggetti, persone fisiche o giuridiche, che in precedenza non avevano accesso alla tutela di classe, inclusi anche i lavoratori (18). Insomma, è tutelabile qualsivoglia categoria di diritti individuali omogenei di qualsiasi classe di soggetti. 5. Atto introduttivo del giudizio e fasi del procedimento. Ai sensi dell’art. 840 ter “La domanda per l’azione di classe si propone con ricorso esclusivamente davanti alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede la parte resistente”. L’azione di classe è un tipo di procedimento, un rito speciale, che diverge largamente dal modello ordinario. Il procedimento, a grandi tratti, è costituito (16) ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 44. (17) In tale senso: ELISABETTA CORAPI, in Liber amicorum Guido Alpa, Capitolo XXI, Appunti sull’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della class action nella legge di riforma, cit., pp. 483-484; MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 2. (18) ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 7. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà da tre fasi: giudizio di ammissibilità dell’azione; giudizio diretto all’accertamento della condotta plurioffensiva della parte imprenditoriale, ovvero di questioni comuni alla classe; giudizio diretto all’accertamento dei diritti individuali omogenei, ovvero di tutte le questioni personali dalla cui soluzione dipende la condanna al pagamento delle somme dovute a titolo risarcitorio e/o restitutorio. Nelle prime due fasi, in giudizio sono presenti ricorrente e resistente (parti in senso sostanziale e processuale e necessarie); nella seconda fase possono essere presenti anche gli aderenti all’azione (parti in senso solo sostanziale e meramente eventuali). Il legislatore precisa -con riguardo alla seconda fase che l’aderente “non assume la qualità di parte”, ma ha comunque il diritto di: (i) accedere al fascicolo informatico del giudizio; (ii) ricevere tutte le comunicazioni effettuate dalla cancelleria; (iii) offrire prove documentali, ivi compresa una forma di testimonianza scritta. Nella terza fase, invece, non è presente il ricorrente (unico soggetto in relazione al quale la sentenza che definisce il merito determina anche la misura del risarcimento o delle restituzioni dovute) e il ruolo d’impulso alla procedura viene affidato al rappresentante comune degli aderenti, nominato dal tribunale con la sentenza ex art. 840 sexies, il quale opera quale pubblico ufficiale, sotto la vigilanza del giudice delegato nominato con la sentenza (19). Rispetto alla vecchia disciplina, vi è una netta autonomia tra la fase diretta all’accertamento e quella diretta alla definizione delle pretese degli aderenti. In dottrina si rileva che l’articolazione del procedimento in tre fasi può costituire un fattore che ostacola la più ampia attivazione dell’azione di classe. Tale circostanza rende il procedimento molto defatigante in termini di tempo (20). 6. Prima fase del procedimento: giudizio di ammissibilità dell’azione. Tale fase è diretta a valutare l’ammissibilità dell’azione e si chiude con una ordinanza e segue le regole, per quanto non diversamente disposto, del rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. Vi è una specie di filtro. Si passa alla fase successiva solo se l’azione è ritenuta ammissibile. La forma e ammissibilità della domanda sono regolate dall’art. 840 ter. Viene previsto che il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, è pubblicato, a cura della cancelleria, nell’area pubblica del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della giustizia, in modo da assicurare l’agevole reperibilità delle informazioni in esso contenute. Entro il termine di trenta giorni dalla prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità della domanda, ma può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti (19) MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 7. (20) Così GIULIO PONzANELLI, La nuova class action, in Danno e resp., 2019, 3, pp. 306 e ss. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 ad un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo. La domanda è dichiarata inammissibile: a) quando è manifestamente infondata; b) quando il tribunale non ravvisa omogeneità dei diritti individuali tutelabili ai sensi dell’articolo 840 bis; c) quando il ricorrente versa in stato di conflitto di interessi nei confronti del resistente; d) quando il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio. Ai fini della ammissibilità della domanda il ricorrente deve dimostrare che la condotta è -quantomeno potenzialmente -plurioffensiva, talché vi sia una classe di soggetti accomunati dall’essere lesi dal medesimo illecito. Il Tribunale, nell’ordinanza di ammissibilità, fissa altresì un termine per l’adesione dei componenti la classe e definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l’inserimento nella classe. La valutazione della non manifesta infondatezza della domanda riguarda la prospettazione in diritto posta a fondamento della pretesa (ad esempio accertamento delle questioni pregiudiziali di rito o delle condizioni dell’azione); non riguarda anche la veridicità dei fatti costitutivi, a meno che questa non sia di per sé ragionevolmente esclusa dalle prove allegate agli atti introduttivi del giudizio (21). La valutazione della sussistenza di conflitto di interessi tra ricorrente e resistente mira a ridurre la possibilità di accordi collusivi tra attore e convenuto, volti, ad esempio, ad ottenere una pronuncia di rigetto, a seguito di una voluta cattiva conduzione della lite. Quando l’inammissibilità è dichiarata a norma della sopracitata lettera a) vi è una parziale portata preclusiva, perché il ricorrente può riproporre l’azione di classe quando si siano verificati mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. La disciplina è la stessa della ordinanza che rigetta nel merito la domanda cautelare (art. 669 septies, comma 1, c.p.c.). L’ordinanza non riguarda il solo rito, ma anche il merito della controversia (22). Più in generale, sembra potersi affermare che l’ordinanza che dichiara inammissibile un’azione di classe ha una limitata portata preclusiva, sicché venuto meno uno qualsiasi dei motivi di inammissibilità rilevati dal tribunale in prima istanza - l’azione di classe potrà essere riproposta (23). L’ordinanza che decide sull’ammissibilità è pubblicata, a cura della cancelleria, nell’area pubblica del portale dei servizi telematici, entro quindici (21) ANGELO DANILO DE SANTIS, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 92-95. (22) ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 47. (23) MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 7. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà giorni dalla pronuncia ed è reclamabile dalle parti davanti alla Corte di appello nel termine di trenta giorni dalla sua comunicazione o dalla sua notificazione, se anteriore. Sul reclamo la Corte di appello decide, in camera di consiglio, con ordinanza. In caso di accertamento dell’ammissibilità della domanda, la Corte di appello trasmette gli atti al tribunale adito per la prosecuzione della causa. Il reclamo avverso le ordinanze ammissive non sospende il procedimento davanti al tribunale. Con l’ordinanza di inammissibilità e con quella che, in sede di reclamo, conferma l’ordinanza di inammissibilità, il giudice regola le spese. La previsione del reclamo esclude che l’ordinanza possa essere modificata o revocata dal giudice che l’ha adottata. La legge non disciplina il regime dell’ordinanza della Corte di appello definitoria del reclamo. Autorevole dottrina ritiene che valgano i principi generali sulla ricorribilità in cassazione in via straordinaria avverso l’ordinanza che dichiara inammissibile l’azione di classe per manifesta infondatezza, atteso l’effetto (limitato) preclusivo della riproponibilità dell’azione. Ciò perché “l’ordinanza della Corte di appello appare definitiva, in quanto a seguito di essa non potrà più farsi valere in un successivo processo la medesima azione di classe se non in ipotesi in cui “si siano verificati mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto e di diritto” (art. 840 bis, 6° comma c.p.c.), e poiché il provvedimento appare decisorio, in quanto esclude in via definitiva il diritto all’azione di classe, l’ordinanza in questione dovrebbe essere ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.” (24). Rispetto alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo diversa è la natura giuridica del procedimento, che non è più di volontaria giurisdizione, ma è un rito sommario di cognizione ex artt. 702 bis e seguenti c.p.c. con elementi di specialità. La specialità emerge, ad esempio, sotto il profilo del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza che decide sulla ammissibilità dell’azione: il ricorso non è ammissibile nella disciplina del Codice del Consumo (in quanto la fase è inidonea al giudicato). Il ricorso per cassazione, nella nuova disciplina, deve ritenersi sempre ammesso, sia nel caso di ordinanza dichiarativa della inammissibilità che della ammissibilità dell’azione di classe. Ed è ammissibile nella disciplina della L. n. 31/2019 (in quanto la fase ha natura di cognizione ed è, quindi, idonea al giudicato). Al fine di garantire l’unitarietà del procedimento, una volta proposta una azione di classe -azione già naturalmente complessa circa l’ambito soggettivo -viene predisposta una apposita disciplina con l’art. 840 quater c.p.c. nel caso di pluralità delle azioni di classe (25). (24) Così GIULIANO SCARSELLI, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019 n. 31, cit.; in senso analogo ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 47-48. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 7. Seconda fase del procedimento: giudizio diretto all’accertamento della condotta plurioffensiva, ovvero di questioni comuni alla classe. Questa fase è volta ad accertare la condotta plurioffensiva. Come per la prima fase, anche in questo caso si passa alla fase successiva solo se la sentenza è di accoglimento. Fino alla pronuncia della sentenza si seguono le regole del rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702 bis e seguenti c.p.c., con degli elementi di specialità, tra cui la forma del provvedimento definitorio del procedimento, che non è un’ordinanza ma una sentenza. Non può essere disposto il mutamento del rito (art. 840 ter, comma 3). In questa fase del giudizio è possibile l’adesione dei soggetti componenti la classe. L’adesione, come si vedrà, è possibile anche in seguito (una sorta di seconda finestra). Viene delineato un procedimento, poi, per decidere in un’unica sede tutte le adesione, sia quelle proposte entro il primo termine che quelle proposte entro il secondo termine. L’art. 840 quinquies dispone che con l’ordinanza con cui ammette l’azione di classe, il tribunale fissa un termine perentorio, non inferiore a sessanta giorni e non superiore a centocinquanta giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza nel portale dei servizi telematici, per l’adesione al- l’azione medesima da parte dei soggetti portatori di diritti individuali omogenei e provvede in ordine alle domande risarcitorie o restitutorie proposte dal ricorrente, quando l’azione è stata proposta da un soggetto diverso da un ente collettivo. Si applica in quanto compatibile l’articolo 840 septies in ordine alle modalità di adesione all’azione di classe. L’aderente non assume la qualità di parte e ha diritto ad accedere al fascicolo informatico e a ricevere tutte le comunicazioni a cura della cancelleria. I diritti di coloro che aderiscono sono accertati secondo le disposizioni di cui all’articolo 840 octies -contenente la disciplina del progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti -successivamente alla pronuncia della sentenza che accoglie l’azione di classe. L’art. 840 quinquies precisa poi che il tribunale, omessa ogni formalità (25) “Decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell’area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all’articolo 840-ter, secondo comma, non possono essere proposte ulteriori azioni di classe sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente e quelle proposte sono cancellate dal ruolo. Le azioni di classe proposte tra la data di deposito del ricorso e il termine di cui al primo periodo sono riunite all’azione principale. Il divieto di cui al primo comma, primo periodo, non opera quando l’azione di classe introdotta con il ricorso di cui al predetto comma è dichiarata inammissibile con ordinanza definitiva né quando la medesima causa è cancellata dal ruolo ovvero è definita con provvedimento che non decide nel merito. Ai fini di cui al presente comma, i provvedimenti di cui al primo periodo sono pubblicati immediatamente nell’area pubblica del portale dei servizi telematici a cura della cancelleria. Quando una nuova azione di classe è proposta fuori dei casi di cui al secondo comma, la causa è cancellata dal ruolo e non è ammessa la riassunzione. È fatta salva la proponibilità delle azioni di classe a tutela dei diritti che non potevano essere fatti valere entro la scadenza di cui al primo comma”. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del giudizio. L’istruttoria è caratterizzata dai notevoli poteri ufficiosi del giudice diretti all’accertamento dei fatti costitutivi dell’azione; tanto sul presupposto che l’attore è la parte debole del rapporto processuale e che, pertanto, al fine di riequilibrare la posizione processuale delle parti e garantire la effettività dei diritti, è necessario un intervento in favore della parte attrice. Sotto questo profilo, due sono gli aspetti rilevanti. a) Carico delle spese della C.T.U. in capo al convenuto. La regola generale ex art. 8 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 è che l’anticipazione delle spese spetta alla parte che richiede il mezzo istruttorio. Ciò vale anche per le spese della C.T.U. ove richiesta -come di solito avviene -dall’attore. Le cause aventi ad oggetto le azioni di classe hanno fatti costitutivi complessi, sicché le spese della C.T.U. sono notevoli. Nel timore che l’anticipazione delle spese possa dissuadere l’attore ad agire è previsto che quando è nominato un consulente tecnico d’ufficio, l’obbligo di anticipare le spese e l’acconto sul compenso a quest’ultimo spettanti è posto, salvo che sussistano specifici motivi, a carico del resistente; l’inottemperanza all’obbligo di anticipare l’acconto sul compenso a norma del presente comma non costituisce motivo di rinuncia all’incarico. b) Incisivo ordine di esibizione. Vi è una specifica disciplina che deroga alle regole generali sull’ordine di esibizione delle prove di cui agli artt. 210 e seguenti e 118 c.p.c. e che ricalca pedissequamente la disciplina descritta in tema di esibizione delle prove di cui all’art. 3 d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3 in materia di antitrust private enforcement, salva la mancata previsione della soggezione del terzo agli ordini di esibizione contemplati nella disciplina del- l’azione di classe. È previsto che, su istanza motivata del ricorrente, contenente l’indicazione di fatti e prove disponibili dalla controparte sufficienti a sostenere la plausibilità della domanda, il giudice può ordinare al resistente l’esibizione delle prove rilevanti che rientrano nella sua disponibilità. Il giudice procede individuando specificamente e in modo circoscritto gli elementi di prova o le rilevanti categorie di prove oggetto della richiesta o dell’ordine di esibizione. La categoria di prove è individuata mediante il riferimento a caratteristiche comuni dei suoi elementi costitutivi, come la natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l’oggetto o il contenuto degli elementi di prova di cui è richiesta l’esibizione e che rientrano nella stessa categoria. Il giudice ordina l’esibizione nei limiti di quanto è proporzionato alla decisione e in particolare: a) esamina in quale misura la domanda è sostenuta da fatti e prove disponibili che giustificano l’ordine di esibizione; b) esamina la portata e i costi dell’esibizione; c) valuta se le prove di cui è richiesta l’esibizione contengono informazioni riservate, specialmente se riguardanti terzi. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Quando la richiesta o l’ordine di esibizione hanno per oggetto informazioni riservate, il giudice dispone specifiche misure a tutela della riservatezza. La parte nei cui confronti è rivolta l’istanza di esibizione ha diritto di essere sentita prima che il giudice provveda. Alla parte che rifiuta senza giustificato motivo di rispettare l’ordine di esibizione del giudice o non adempie allo stesso, il giudice applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 100.000, che è devoluta a favore della Cassa delle ammende. Salvo che il fatto costituisca reato, alla parte o al terzo che distrugge prove rilevanti ai fini del giudizio il giudice applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 100.000, che è devoluta a favore della Cassa delle ammende. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, se la parte rifiuta senza giustificato motivo di rispettare l’ordine di esibizione del giudice o non adempie allo stesso, ovvero distrugge prove rilevanti ai fini del giudizio di risarcimento, il giudice, valutato ogni elemento di prova, può ritenere provato il fatto al quale la prova si riferisce. La ratio della disciplina relativa all’ordine di esibizione è finalizzata a garantire l’accesso alla prova non disponibile in capo ai danneggiati, la cui esistenza, in controversie di massa, potrebbe non essere nota alla parte istante, al fine di colmare il divario informativo che contraddistingue le azioni di classe. In queste controversie la parte convenuta ha il potere di incidere su una pluralità di situazioni soggettive di vantaggio ed è dotata di mezzi e di conoscenze superiori a quelle di coloro che subiscono gli effetti dannosi della condotta o delle condotte seriali (26). Il tribunale accoglie o rigetta nel merito la domanda con sentenza, che deve essere pubblicata nell’area pubblica del portale dei servizi telematici entro quindici giorni dal deposito. L’art. 840 sexies dispone che, con la sentenza che accoglie l’azione di classe, il tribunale, tra l’altro: a) provvede in ordine alle domande risarcitorie o restitutorie proposte dal ricorrente, quando l’azione è stata proposta da un soggetto diverso da un’organizzazione o da un’associazione inserita nell’elenco di cui all’articolo 840 bis, secondo comma (ossia la domanda è stata proposta da un componente della classe). In questa ipotesi, il legislatore ha escluso la partecipazione del ricorrente alla terza fase del procedimento. A differenza di quanto previsto in generale per la classe, il ricorrente otterrà (in caso di accoglimento) una condanna specifica, vedendo quindi immediatamente soddisfatta la propria pretesa (27); (26) ANGELO DANILO DE SANTIS, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 113. (27) MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 11. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà b) accerta che il resistente, con la condotta addebitatagli dal ricorrente, ha leso diritti individuali omogenei; c) definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei di cui alla lettera b), specificando gli elementi necessari per l’inclusione nella classe dei soggetti di cui alla lettera e); d) stabilisce la documentazione che deve essere eventualmente prodotta per fornire prova della titolarità dei diritti individuali omogenei di cui alla lettera b); e) dichiara aperta la procedura di adesione e fissa il termine perentorio, non inferiore a sessanta giorni e non superiore a centocinquanta giorni, per l’adesione all’azione di classe da parte dei soggetti portatori di diritti individuali omogenei di cui alla lettera b), nonché per l’eventuale integrazione degli atti e per il compimento delle attività da parte di coloro che hanno aderito a norma dell’articolo 840 quinquies, primo comma; il termine decorre dalla data di pubblicazione della sentenza nell’area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all’articolo 840 ter, secondo comma; f) nomina il giudice delegato per la procedura di adesione; g) nomina il rappresentante comune degli aderenti tra i soggetti aventi i requisiti per la nomina a curatore fallimentare; Il rappresentante comune degli aderenti è pubblico ufficiale. Il giudice delegato può, dopo averlo sentito, revocare il rappresentante comune in ogni tempo con decreto. Alla luce di quanto esposto, occorre distinguere due possibili esiti, a seconda del soggetto che abbia instaurato il giudizio. a) Qualora l’azione sia stata proposta dal singolo componente della classe, il Tribunale provvede in ordine alle domande risarcitorie o restitutorie proposte dal ricorrente, ossia decide con sentenza definitiva sul diritto dedotto in giudizio dal ricorrente, pronunciando l’accertamento e la condanna dell’impresa o dell’ente resistente al risarcimento o alle restituzioni. b) Tale esito non è invece consentito nell’ipotesi in cui il giudizio sia stato instaurato da un’organizzazione o da un’associazione. In tale ipotesi, infatti, la lettera a) dell’art. 840 sexies sancisce che il Tribunale non può pronunciare una sentenza di condanna; l’oggetto del giudizio è individuato esclusivamente dalla lettera b) dell’art. 840 sexies, ai sensi del quale il Tribunale deve limitarsi ad accertare che il resistente, con la condotta addebitatagli dal ricorrente, ha leso diritti individuali omogenei. Il legislatore ha previsto, all’art. 840 quinquies, comma 1, che i diritti di coloro che aderiscono nel corso di questa seconda fase del giudizio “sono accertati secondo le disposizioni di cui all’articolo 840-octies, successivamente alla pronuncia della sentenza che accoglie l’azione di classe”, con ciò rendendo palese che l’accertamento dell’esistenza dei diritti individuali omogenei dei membri della classe esula dalla seconda fase ed è oggetto della suc RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 cessiva terza fase. Di conseguenza, l’accertamento di cui alla lettera b) del- l’art. 840 sexies è limitato all’accertamento della illegittimità della condotta del resistente che sia potenzialmente lesiva dei diritti appartenenti ai componenti della classe, salva l’ipotesi della sostituzione dell’aderente all’originario ricorrente che abbia conciliato la controversia con l’impresa ex art. 840 bis, ultimo comma, nel qual caso è possibile la pronuncia della sentenza di condanna (28). Il contenuto minimo ed indefettibile della sentenza di accoglimento consiste, quindi, nell’accertamento dell’esistenza di una condotta plurioffensiva del convenuto idonea a ledere i diritti individuali omogenei dei componenti della classe, con conseguente determinazione delle caratteristiche che questi devono avere per essere considerati oggetto di adesione. A tale contenuto si può aggiungere la condanna dell’impresa al risarcimento o alle restituzioni ove l’attore sia un componente della classe. Deve ritenersi che la sentenza in esame -per la parte in cui non pronuncia sulla domanda dell’attore che sia componente della classe -ha un contenuto equiparabile a quello di una condanna generica ex art. 278 c.p.c.: il tribunale “accerta che il resistente, con la condotta addebitatagli dal ricorrente, ha leso i diritti individuali omogenei” (art. 840 sexies, comma 1, lett. b), e “definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei … specificando gli elementi necessari per l’inclusione nella classe” (29). Di conseguenza, la sentenza è suscettibile di riserva d’impugnazione ex art. 340 c.p.c. Di diverso avviso, circa la natura giuridica della sentenza di accoglimento, è altra dottrina, la quale osserva che la sentenza in questione non definisce affatto il giudizio avente ad oggetto l’azione di classe ed è da considerare, a tutti gli effetti, per il suo contenuto composito, quale un ibrido, una sentenza interlocutoria: non è una sentenza definitiva perché non definisce il giudizio, che prosegue per la quantificazione e liquidazione delle somme; non può nemmeno definirsi una sentenza non definitiva, poiché ad essa non segue una sentenza definitiva e ad essa non possono applicarsi le regole della riserva di impugnazione di cui all’art. 340 c.p.c. (30). Ulteriore dottrina qualifica la sentenza in esame come definitiva anche rispetto alle pretese degli aderenti, ossia ritiene che si tratti di provvedimento assimilabile, ai fini della differibilità del gravame, a quello di condanna generica reso come sentenza definitiva (31). (28) Su tali aspetti ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 48-55. (29) Così MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 3. (30) Per tali rilievi: GIULIANO SCARSELLI, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019 n. 31, cit. (31) ANDREA GIUSSANI, La riforma dell’azione di classe, cit., pp. 1586-1587. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà L’art. 840 decies regola l’impugnazione della sentenza di accoglimento. Viene stabilito che gli atti di impugnazione della sentenza di cui all’articolo 840 sexies e i provvedimenti che definiscono i giudizi di impugnazione sono pubblicati nell’area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all’articolo 840 ter, secondo comma. Ai fini dell’impugnazione della sentenza non si applica l’articolo 325 c.p.c. sui termini brevi; è ammessa l’impugnazione della sentenza di classe nel solo termine lungo dell’art. 327 c.p.c.; ciò al fine di porre le parti nella migliore condizione per valutare, non tanto se proporre o meno l’impugnazione, quanto soprattutto se dar seguito alla soluzione transattiva prevista dall’art. 840 quaterdecies, comma 2; difatti, solo decorso il termine per aderire fissato da quest’ultima norma le parti saranno in possesso di tutti gli elementi per determinare la propria strategia processuale ed assumere condotte razionali: il contenuto della sentenza, il numero degli aderenti, nonché il contenuto delle domande di adesione. Sicché l’art. 840 decies, comma 3, deroga all’art. 702 quater c.p.c. relativo al rito sommario di cognizione, rito applicabile, in quanto compatibile, alla prima e alla seconda fase del procedimento di classe in virtù del richiamo contenuto nell’art. 840 ter. L’art. 702 quater prevede che il termine per proporre l’appello avverso il provvedimento definitorio del rito sommario di cognizione è di trenta giorni e decorre dalla comunicazione o dalla notificazione della ordinanza. Vi è la deroga attesa la specialità della previsione dell’art. 840 decies, comma 3, e tenuto conto che il termine di cui all’art. 702 quater risponde ad una finalità acceleratoria che è del tutto incompatibile con la ratio sottesa all’esclusione del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. (32). La legge non precisa quali siano le parti legittimate a proporre appello. Certamente potranno appellare il ricorrente e il resistente; residua il problema dell’appello degli aderenti. Nella logica del legislatore gli aderenti non possono appellare; il secondo comma dell’art. 840 decies attribuisce agli aderenti l’impugnazione per revocazione (quando ricorrono i presupposti previsti dal- l’articolo 395 c.p.c. o quando la sentenza medesima è l’effetto della collusione tra le parti), col che, implicitamente, si intende escludere il diritto degli stessi all’appello (33). (32) In tal senso ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 201-202. In senso contrario GIULIANO SCARSELLI, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019 n. 31, cit., secondo cui, tenuto conto che il procedimento di azione di classe, seppur “definito con sentenza” è “regolato dal rito sommario di cognizione” (art. 840 ter, terzo comma c.p.c.), deve ritenersi che la disposizione statuisce che la sentenza possa essere appellata solo ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c., con esclusione di ogni termine lungo e con esclusione del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (33) In tal senso: GIULIANO SCARSELLI, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019 n. 31, cit. ed altresì ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di B. SASSANI, cit., p. 207. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Nella legge non vi è la disciplina della sentenza allorché viene rigettata la domanda. Attesa tale carenza, si applicano i principi generali, ossia viene in rilievo una sentenza di accertamento mero negativo idonea a passare in giudicato ex art. 324 c.p.c. (cosa giudicata formale) ed ex art. 2909 c.c. (cosa giudicata sostanziale). 8. Terza fase del procedimento: giudizio diretto all’accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti. La terza fase del procedimento è rivolta all’accertamento dell’esistenza dei diritti individuali vantati dagli aderenti sulla scorta delle indicazioni contenute nella sentenza definitoria della seconda fase. ha ad oggetto altresì la quantificazione e liquidazione degli importi dovuti ai singoli aderenti e termina con un decreto. La fase è eventuale. Non solo essa si svolge solo qualora la precedente fase si sia conclusa con una sentenza di accoglimento, ma lo svolgimento della stessa è condizionata al deposito di istanze di adesione da parte dei componenti della classe. La stessa ricalca il procedimento di accertamento dello stato passivo disciplinato dagli artt. 92 e seguenti della legge fallimentare (34). Gli artt. 840 septies e seguenti disciplinano questa fase del procedimento. Il legislatore non precisa la natura giuridica di tale fase del procedimento. Deve ritenersi che questa fase è regolata dalle norme che disciplinano il processo ordinario di cognizione, alla luce del fatto che all’esito di tale fase il giudice delegato, con decreto motivato, accoglie o respinge la domanda di adesione (art. 840 octies, comma 5) e, quindi, decide sui diritti individuali omogenei degli aderenti con efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c. (35). L’art. 840 septies regola le modalità di adesione all’azione di classe. Trattasi della seconda finestra per aderire, secondo quanto stabilito nella sentenza di accoglimento ex art. 840 sexies lett. e). L’adesione all’azione di classe si propone mediante inserimento della relativa domanda nel fascicolo informatico, avvalendosi di un’area del portale dei servizi telematici. I soggetti portatori di diritti individuali possono aderire con un atto che non necessita di un difensore, che va predisposto secondo un modello fissato dal Ministero della Giustizia, che contiene necessariamente il conferimento al rappresentante comune degli aderenti del potere di rappresentare l'aderente e di compiere nel suo interesse tutti gli atti, sia sostanziali che (34) In tal senso ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 19, anche ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 59. (35) In tal senso ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 45 e ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 220. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà 189 processuali. La domanda deve contenere, a pena di inammissibilità, determinati requisiti, tra cui la determinazione dell’oggetto della domanda, l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda di adesione e il conferimento al rappresentante comune degli aderenti, già nominato o che sarà nominato dal giudice, del potere di rappresentare l’aderente e di compiere nel suo interesse tutti gli atti, di natura sia sostanziale che processuale, relativi al diritto individuale omogeneo esposto nella domanda di adesione. L’aderente può produrre dichiarazioni di terzi, capaci di testimoniare, rilasciate ad un avvocato che attesta l’identità del dichiarante secondo le disposizioni dell’articolo 252 c.p.c.; l’avvocato che procede a norma dell’art. 840 septies è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto. Le dichiarazioni dei terzi sono valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento. Con tale mezzo di prova è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’affidavit degli ordinamenti di common law. L’adesione diventa inefficace in caso di revoca del potere di rappresentanza conferito al rappresentante comune. L’inefficacia opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio. La revoca è opponibile all’impresa o all’ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità da quando è inserita nel fascicolo informatico. L’art. 840 octies regola il progetto di accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti. Il rappresentante comune, all’esito del contraddittorio con il resistente e gli aderenti, predispone il progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti e lo deposita nel fascicolo informatico. Il giudice delegato, con decreto motivato, quando accoglie in tutto o in parte la domanda di adesione, condanna il resistente al pagamento delle somme o delle cose dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento o di restituzione. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo ed è comunicato al resistente, agli aderenti, al rappresentante comune e ai difensori di cui all’articolo 840 novies, sesto e settimo comma. Al difensore di cui l’aderente si sia avvalso è dovuto un compenso. L’art. 840 undecies disciplina l’impugnazione del decreto. Contro il decreto definitorio della terza fase può essere proposta opposizione con ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale. L’opposizione ha carattere impugnatorio, con la conseguenza che, in assenza di una specifica disciplina, si applicano le regole generali riguardanti i mezzi di impugnazione (36) ed altresì quelle dell’appello. Deve ritenersi, infatti, che il giudizio di opposizione abbia una natura sostitutiva, in quanto l’oggetto dell’impugnazione è il medesimo della prima fase sommaria, ossia corrisponde alle domande a contenuto risarcitorio e restitutorio fatte valere in via di adesione (37). (36) In tal senso ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 221. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Il ricorso non sospende l’esecuzione del decreto, fatta salva la facoltà del tribunale di disporre diversamente su istanza di parte in presenza di gravi e fondati motivi. Esso deve contenere specifici requisiti, tra cui, l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’opposizione, con le relative conclusioni. Il presidente del Tribunale designa il relatore e fissa con decreto l’udienza di comparizione. Il giudice delegato non può far parte del collegio. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere comunicato ai controinteressati. Il resistente deve costituirsi almeno cinque giorni prima dell’udienza, depositando una memoria contenente l’esposizione delle difese in fatto e in diritto. L’intervento di qualunque interessato non può avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione della parte resistente, con le modalità per questa previste. Il ricorso può essere proposto dal resistente, dal rappresentante comune degli aderenti e dagli avvocati di cui all’articolo 840 novies, sesto e settimo comma, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento. Gli avvocati possono proporre motivi di opposizione relativi esclusivamente ai compensi e alle spese liquidati con il decreto impugnato. Nel difetto di comunicazione, il decreto è impugnabile nel termine lungo ex art. 327 c.p.c. I soggetti menzionati sono legittimati ad impugnare solo le statuizioni concernenti i rapporti sostanziali a loro riferibili. Ciò trova giustificazione nel fatto che, da un lato, il resistente, quale parte sostanziale passiva dei diversi rapporti, è sempre legittimato a impugnare laddove sia soccombente e, dall’altro, il rappresentante comune degli aderenti è legittimato ad impugnare non solo i capi del provvedimento che lo riguardano a titolo personale ma anche i capi, ben più numerosi, che, al contrario, attengono alla posizione degli aderenti. L’aderente non ha legittimazione all’opposizione. Ciò in quanto il rappresentante comune agisce in sua rappresentanza, in virtù del potere conferito con la domanda di adesione all’azione di classe ai sensi dell’art. 840 septies, comma 2, lett. h). Cosicché, se un aderente si vede respinta la domanda risarcitoria e il rappresentante comune non ritiene di dover opporre il decreto, il decreto di rigetto può diventare definitivo. Questo comporta che l’aderente perde l’azione individuale, atteso che l’azione individuale resta salva solo se l’aderente revoca l’adesione prima che il decreto diventi definitivo (art. 840 undecies, ultimo comma) (38). Sicché la revoca dell’aderente è intesa quale equo contrappeso alla sua incapacità di influire dal di dentro sulla conduzione della causa. (37) ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 223. (38) In tal senso: GIULIANO SCARSELLI, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019 n. 31, cit. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Dunque, stando alla legge, nell’ipotesi in cui l’aderente si sia vista respinta la domanda, egli deve accertarsi se il rappresentante comune intende interporre per lui opposizione al decreto oppure no; e, se no, l’aderente deve revocare l’adesione prima che il decreto diventi definitivo, perché altrimenti egli perde la possibilità di agire in via individuale in separato giudizio. Ora, un meccanismo di questo genere poggia sul termine dell’opposizione, nel senso che l’aderente, per evitare di perdere l’azione individuale, deve revocare l’adesione prima della scadenza del termine per l’opposizione. Il termine è fissato in trenta giorni “dalla comunicazione del provvedimento” (art. 840 undecies, secondo comma), e visto che il decreto è comunicato anche all’aderente (art. 840 octies, quinto comma), l’aderente è tenuto a prendere tempestivi contatti con il rappresentante comune e, se del caso, revocare entro trenta giorni l’adesione per evitare di perdere l’azione individuale. Va precisato che, per evitare la moltiplicazione delle opposizioni dei decreti di cui all’art. 840 octies, la legge ha previsto che tutte le opposizioni debbano essere decise in un unico procedimento in camera di consiglio dinanzi al medesimo ufficio giudiziario. I singoli aderenti, seppur non legittimati all’opposizione, vengono però definiti “controinteressati”, ed hanno in questo modo diritto a ricevere comunicazione del decreto che fissa l’udienza in camera di consiglio, e diritto altresì ad intervenire nel procedimento depositando memoria difensiva (art. 840 undecies, commi 5 e 6). Il Tribunale, in composizione collegiale, “conferma modifica o revoca il provvedimento impugnato” (art. 840 undecies, penultimo comma); ciò in coerenza con la natura sostitutiva del rimedio. L’aderente che intervenga nel giudizio di opposizione non perde la possibilità di revocare l’adesione prima della definitività del provvedimento che decide sulle opposizioni al fine di salvaguardare l’azione individuale. Non sono ammessi, di regola, nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti. Il tribunale provvede con decreto motivato, con il quale conferma, modifica o revoca il provvedimento impugnato. Il decreto che definisce l’opposizione, non essendo altrimenti impugnabile o revocabile ed accertando al contempo diritti soggettivi degli aderenti con efficacia di giudicato, stante il disposto dell’ultimo comma dell’art. 840 undecies, deve ritenersi ricorribile, in via straordinaria in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. da parte degli stessi soggetti legittimati a proporre l’opposizione (39). 9. L’adesione del componente la classe. Come innanzi descritto, la riforma prevede che si possa aderire all’azione in due distinti momenti del complesso procedimento: (39) ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 227. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 -nella fase immediatamente successiva all’ordinanza che ammette l’azione ex art. 840 quinquies (aderente preventivo). In questo caso, è lo stesso Tribunale, nell’ordinanza di ammissibilità, a fissare un termine per l’adesione e a definire i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l’inserimento nella classe. L’effettivo diritto ad aderire all’azione di classe è verificato solo dopo la sentenza che definisce il giudizio; -il Tribunale, poi, con la sentenza che accoglie l’azione, assegna un termine per l’adesione ex art. 840 sexies (aderente successivo). Quindi la legge, con la adozione di due diversi provvedimenti, assegna parimenti un termine ai terzi per aderire al procedimento e prescrive al giudice di definire i caratteri dei diritti individuali omogenei; ciò avviene la prima volta con l’art. 840 quinquies con riferimento all’ordinanza che ammette l’azione di classe, e avviene la seconda volta con riferimento alla sentenza di accoglimento dell’azione di classe nell’art. 840 sexies, lettere e) e c). In entrambe le disposizioni viene previsto che il Tribunale dà un termine perentorio, sempre non inferiore a sessanta e non superiore a centocinquanta giorni, per l’adesione all’azione medesima da parte dei soggetti portatori di diritti individuali omogenei, ed inoltre l’art. 840 quinquies asserisce che con l’ordinanza il giudice “provvede secondo quanto previsto dall’articolo 840 sexies primo comma, lettera c)” (ovvero provvede a definire i caratteri dei diritti individuali omogenei). Ciò sembra costituire una mera ripetizione; tuttavia le due disposizioni possono coordinarsi tra loro. Ed infatti, a seguito dell’ammissibilità dell’azione di classe, i soggetti portatori di diritti individuali omogenei possono già aderire al procedimento che prosegue per l’accoglimento o meno dell’azione. È chiaro che se l’azione di classe non viene accolta, anche l’adesione verrà meno, e resterà salvo il diritto di ognuno di far valere quel medesimo diritto nelle vie ordinarie. Con la sentenza che accoglie l’azione di classe, di nuovo, il Tribunale assegna un ulteriore termine per le adesioni da parte dei soggetti portatori di diritti individuali omogenei, e, a seguito di questo nuovo termine, nuovi soggetti potranno aderire, mentre quelli che avevano già spiegato atto di adesione con l’ordinanza di ammissibilità, potranno, se del caso, integrare gli atti e la documentazione anche alla luce delle precisazioni fatte in sentenza circa i caratteri dei diritti individuali omogenei e circa la documentazione che deve essere prodotta, rispetto alle precedenti indicazioni già contenute nell’ordinanza. Si tratta, così, più che di una ripetizione, di una doppia possibilità che la legge assegna ai titolari di diritti individuali omogenei, relativa a due diversi momenti della procedura. La scelta, in linea con l’orientamento europeo, è stata dunque quella di mantenere l’istituto dell’opt-in, ma nel contempo di ammorbidirlo con la pos LEGISLAzIONE ED ATTUALITà sibilità di aderire all’azione anche in una fase successiva alla sentenza che definisce la seconda fase del procedimento. Questa scelta non recepisce l’istituto dell’opt-out statunitense, nel quale chiunque in possesso dei requisiti indicati dalla Corte entra a far parte della classe a meno che, ricevuta la notizia del suo inserimento, non decida di rimanerne fuori. Il componente che aderisce al giudizio, sia in via preventiva ai sensi del- l’art. 840 quinquies, comma 1, sia successivamente all’accoglimento della domanda di classe ai sensi dell’art. 840 septies, non può agire in via individuale. Tanto è chiarito dall’art. 840 bis, comma 4, secondo cui “In ogni caso, resta fermo il diritto all’azione individuale, salvo quanto previsto all’articolo 840 undecies, nono comma”. Quest’ultima disposizione stabilisce che “L’aderente può proporre azione individuale a condizione che la domanda di adesione sia stata revocata prima che il decreto sia divenuto definitivo nei suoi confronti”. Tanto all’evidente fine di evitare una duplicità di azioni sulla stessa pretesa. 10. Spese del procedimento. L’art. 840 novies disciplina le spese del procedimento, con regole che vanno a deviare rispetto alla disciplina ordinaria, con l’introduzione del compenso c.d. quota lite, ossia la somma che l’impresa deve corrispondere al rappresentante comune degli aderenti e all’avvocato del ricorrente vittorioso. Viene stabilito che con il decreto che chiude la terza fase del procedimento il giudice delegato condanna altresì il resistente a corrispondere direttamente al rappresentante comune degli aderenti, a titolo di compenso, un importo stabilito in considerazione del numero dei componenti la classe in misura progressiva. Si prevede che all’aumento del numero degli aderenti si riduce la percentuale del compenso calcolata sul quantum globale riconosciuto agli aderenti. La percentuale oscilla dal 9% (quando gli aderenti sono da 1 a 500) allo 0,5% (quando gli aderenti sono oltre 1.000.000). È altresì dovuto il rimborso delle spese sostenute e documentate. L’autorità giudiziaria può aumentare o ridurre l’ammontare del compenso liquidato in misura non superiore al 50 per cento, sulla base dei seguenti criteri: a) complessità dell’incarico; b) ricorso all’opera di coadiutori; c) qualità dell’opera prestata; d) sollecitudine con cui sono state condotte le attività; e) numero degli aderenti. Con il medesimo decreto che chiude la terza fase del procedimento, il giudice delegato condanna altresì il resistente a corrispondere direttamente all’avvocato che ha difeso il ricorrente fino alla pronuncia della sentenza di accoglimento nell’an di cui all’articolo 840 sexies un importo ulteriore rispetto alle somme dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento e di restituzione. Il predetto importo viene liquidato a titolo di compenso premiale, con applicazione degli stessi criteri stabiliti per la liquidazione del compenso al rappresentante comune degli aderenti. Queste disposizioni si applicano anche ai RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 difensori che hanno difeso i ricorrenti delle cause riunite risultati vittoriosi. Tale incentivo economico ha la finalità di incoraggiare l’interesse alla proposizione delle azioni di classe. Parte della dottrina rileva che il sistema “premiale” appena descritto appare fortemente inopportuno, se non costituzionalmente illegittimo. Ciò quantomeno per due ragioni: 1) da un lato, nell’ordinamento italiano sono previsti dei limiti, anche deontologici, in forza dei quali appare inverosimile che il difensore del ricorrente possa farsi pubblico promotore dell’azione; 2) dall’altro, il riconoscimento di una legittimazione individuale iure proprio agli enti esponenziali rende comunque assai improbabile che le azioni di classe vengano promosse, organizzate e strutturate da uno studio legale, anziché da simili organizzazioni (40). 11. Adempimento del decreto di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda di adesione. L’adempimento al provvedimento che determina l’ammontare del danno può essere spontaneo o coattivo. L’art. 840 duodecies regola l’adempimento spontaneo. L’art. 840 terdecies -nella evenienza che non vi sia l’adempimento spontaneo -disciplina l’esecuzione forzata collettiva. Questa non è altro che un’esecuzione individuale promossa da un unico soggetto, il rappresentante comune, ai fini dell’adempimento del mandato conferitogli dagli aderenti, con obiettivi di semplificazione e di efficienza. Di collettivo vi è solo la pluralità degli interessi retrostanti. Non è, quindi, una procedura concorsuale (41). Le esecuzioni esperibili sono l’espropriazione forzata e l’esecuzione per consegna e rilascio. Difatti, ai sensi dell’art. 840 octies, comma 5, la condanna può avere ad oggetto il “pagamento delle somme o delle cose dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento o di restituzione”. È esclusa, quindi, l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare. Il titolo esecutivo è costituito dal decreto definitorio della terza fase, il quale può articolarsi in una pluralità di capi condannatori. Esula dall’azione esecutiva collettiva l’esecuzione fondata sugli accordi di natura transattiva di cui all’art. 840 quaterdecies, dal momento che questa disposizione non richiama l’art. 840 terdecies. L’esecuzione forzata è promossa dal rappresentante comune degli aderenti, che compie tutti gli atti nell’interesse degli aderenti, ivi compresi quelli relativi agli eventuali giudizi di opposizione. Il suo potere rappresentativo (40) Per tali rilievi: MANUELA MALAVASI, Partner, GIACOMO RICCIARDI, Associate, BonelliErede, La nuova class action: analisi delle principali disposizioni, cit., p. 12. (41) FABIO COSSIGNANI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 180-181. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà comprende l’intera gamma delle attività strumentali alla soddisfazione coattiva del credito, dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto fino alla ricezione del pagamento delle somme liquidate ovvero alla consegna o al rilascio delle cose oggetto dell’esecuzione in forma specifica. Non è mai ammessa l’esecuzione forzata del decreto su iniziativa di soggetti diversi dal rappresentante comune. All’evidenza, il legislatore prevede una legittimazione esclusiva in via esecutiva del rappresentante comune. Da ciò consegue che il suddetto rappresentante può sia intraprendere, nell’interesse degli aderenti, l’esecuzione, sia effettuare interventi ex art. 499 c.p.c. in procedure esecutive già intraprese da altri creditori del resistente. Alla stessa maniera, gli altri creditori dell’esecutato potranno intervenire nell’esecuzione collettiva promossa dal rappresentante comune. Tra questi, in primis, vanno compresi quelli il cui credito è incorporato dallo stesso titolo esecutivo azionabile nell’interesse degli aderenti: il rappresentante comune, in proprio, per il diritto al compenso ex art. 840 novies, comma 1, e gli avvocati dei proponenti ex art. 840 novies, commi 6 e 7, per il c.d. compenso premiale. Peraltro, con la esclusione dell’esecuzione -sia collettiva sia a mezzo di esecuzioni forzate individuali -ad istanza dei singoli aderenti, creditori per la tutela dei crediti contenuti nel decreto di cui all’art. 840 octies, comma 5, il legislatore della novella ha voluto evitare che dai singoli crediti (spesso di importo contenuto) vantati dagli aderenti derivino una serie di azioni esecutive singolari, che potrebbero avere ad oggetto beni diversi e/o comunque risultare difficilmente coordinabili tra loro. Devono essere trattenute e depositate nei modi stabiliti dal giudice del- l’esecuzione le somme ricavate per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora divenuti definitivi. Le disposizioni innanzi descritte non si applicano relativamente ai crediti riconosciuti con il decreto di cui all’articolo 840 octies, quinto comma, c.p.c. in favore del rappresentante comune e degli avvocati di cui all’articolo 840 novies, sesto e settimo comma, c.p.c. Il compenso dovuto al rappresentante comune è liquidato dal giudice in misura non superiore a un decimo della somma ricavata, tenuto conto dei criteri di cui all’articolo 840 novies, quarto comma. Il rappresentante comune non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato, salvo che per i procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale. Ai sensi dell’art. 840 quinquiesdecies la procedura di adesione si chiude: a) quando le ripartizioni agli aderenti, effettuate dal rappresentante comune, raggiungono l’intero ammontare dei crediti dei medesimi aderenti; b) quando nel corso della procedura risulta che non è possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese degli aderenti, anche tenuto conto dei costi che RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 è necessario sostenere. La chiusura della procedura di adesione è dichiarata con decreto motivato del giudice delegato, reclamabile a norma dell’articolo 840 undecies. Gli aderenti riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi. 12. Composizioni amichevoli della lite (rinunce e transazioni). L’art. 840 quaterdecies c.p.c. regola gli accordi di natura transattiva. Conciliazione intervenuta nella seconda fase del procedimento, ossia durante il giudizio diretto alla adozione della sentenza ex art. 840 sexies. L’accordo può aversi tra il ricorrente ed il resistente o tra gli aderenti ed il resistente. a) Accordi con il ricorrente. Viene stabilito che il tribunale, fino alla discussione orale della causa del giudizio diretto alla adozione della sentenza ex art. 840 sexies, formula, ove possibile, avuto riguardo al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. Ovviamente l’accordo si può realizzare anche a prescindere dall’impulso del giudice. L’accordo transattivo o conciliativo concluso tra le parti è inserito nel- l’area pubblica ed è comunicato all’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero al servizio elettronico di recapito certificato qualificato indicato da ciascun aderente, il quale può dichiarare di voler accedere all’accordo medesimo mediante dichiarazione inserita nel fascicolo informatico nel termine indicato dal giudice. Da tale norma si conferma che all’accordo non debbono partecipare gli aderenti. Ovviamente, se gli aderenti non partecipano, è previsto che la conciliazione non ha effetto nei loro riguardi. Questi possono agire con l’azione individuale a tutela dei loro diritti. La legge prevede altresì, in questa evenienza, un meccanismo di successione nella veste di parte ricorrente. Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 840 bis, nel caso in cui, a seguito di accordi transattivi o conciliativi intercorsi tra le parti, vengano a mancare in tutto le parti ricorrenti, il Tribunale assegna agli aderenti un termine, non inferiore a sessanta giorni e non superiore a novanta giorni, per la prosecuzione della causa, che deve avvenire con la costituzione in giudizio di almeno uno degli aderenti mediante il ministero di un difensore. In questa evenienza l’aderente diventa parte del giudizio, in sostituzione del- l’originario attore. Si rileva in dottrina, che il giudice, con ordinanza reclamabile, dovrà accertare che l’aderente -come il proponente -sia in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei dei suoi componenti e non versi in una situazione di conflitto di interessi (42). Nel caso in cui, decorso inutil (42) ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 39-40. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà mente tale termine, non avvenga la prosecuzione del procedimento, il tribunale ne dichiara l’estinzione. A seguito dell’estinzione, resta comunque salvo il diritto all’azione individuale dei soggetti aderenti oppure all’avvio di una nuova azione di classe. b) Accordi con gli aderenti. In virtù dell’autonomia privata è possibile la conclusione di un accordo tra il resistente e tutti o parte degli aderenti per la bonaria definizione delle pretese. Conciliazione intervenuta nella terza fase del procedimento, ossia dopo la pronuncia della sentenza ex art. 840 sexies. a) Accordi con gli aderenti. Dopo la pronuncia della sentenza ex art. 840 sexies definitoria della seconda fase del procedimento, il rappresentante comune, nell’interesse degli aderenti, può predisporre con l’impresa o con l’ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità uno schema di accordo di natura transattiva. Ciò per tutti o alcuni aderenti. Lo schema è inserito nell’area pubblica del portale dei servizi telematici ed è comunicato all’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero al servizio elettronico di recapito certificato qualificato indicato da ciascun aderente. Entro quindici giorni dalla comunicazione, ciascun aderente può inserire nel fascicolo informatico le proprie motivate contestazioni allo schema di accordo. Nei confronti degli aderenti che non formulano contestazioni a norma del presente comma, lo schema di accordo si considera non contestato. Entro trenta giorni dalla scadenza del termine da ultimo indicato, il giudice delegato, avuto riguardo agli interessi degli aderenti, può autorizzare il rappresentante comune a stipulare l’accordo transattivo. Circa i criteri in base ai quali concedere l’autorizzazione, in dottrina si rileva che è senz’altro indefettibile la valutazione dei presupposti di regolarità formale dell’atto e di conformità dello stesso alle norme imperative dell’ordinamento, “ma non è chiaro se, come accade negli Stati Uniti, debba anche verificarsi che il contenuto dell’accordo non sia eccessivamente difforme dall’attualizzazione del valore delle pretese degli aderenti, e non sia iniquamente discriminatorio nei confronti di alcuni aderenti” (43). Il provvedimento del giudice delegato è inserito nell’area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all’articolo 840 ter, secondo comma, ed è comunicato all’indirizzo di posta elettronica certificata ovvero al servizio elettronico di recapito certificato qualificato indicato da ciascun aderente nonché al ricorrente. Entro quindici giorni dalla comunicazione, l’aderente che ha formulato le contestazioni può privare il rappresentante comune della facoltà di stipulare l’accordo transattivo a cui le medesime contestazioni si riferiscono. (43) Così ANDREA GIUSSANI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 158. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 L’accordo transattivo autorizzato dal giudice delegato e stipulato dal rappresentante comune costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, c.p.c.. Il rappresentante comune certifica l’autografia delle sottoscrizioni apposte all’accordo transattivo. b) Accordi con il ricorrente. Il ricorrente può aderire all’accordo transattivo entro quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento del giudice delegato che autorizza il rappresentante comune a stipulare l’accordo transattivo; in tal caso, l’accordo transattivo costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale anche in suo favore. Le disposizioni sugli accordi di natura transattiva si applicano, in quanto compatibili, anche quando l’azione è promossa da un’organizzazione o un’associazione, e l’accordo può avere riguardo anche al risarcimento del danno o alle restituzioni in favore degli aderenti che abbiano accettato o non si siano opposti all’accordo medesimo. Anche in questo caso è previsto che all’accordo non debbono partecipare gli aderenti, ma il loro rappresentante. Ovviamente, se l’aderente che ha formulato le contestazioni abbia poi privato il rappresentante comune della facoltà di stipulare l’accordo transattivo a cui le medesime contestazioni si riferiscono, la conciliazione non ha effetto nei suoi riguardi. Questi può agire con l’azione individuale a tutela dei propri diritti. 13. Efficacia soggettiva ed oggettiva del procedimento e consumazione del- l’azione di classe. Efficacia soggettiva. I soggetti coinvolti nel procedimento che ha ad oggetto l’azione di classe sono l’attore, il convenuto e gli aderenti individuati nel decreto di accertamento delle domande di adesione ex art. 840 octies, comma 5, a meno che la domanda di adesione sia stata revocata prima che il decreto sia divenuto definitivo nei suoi confronti, oppure l’adesione sia dichiarata inammissibile o venga accertato che l’aderente non appartiene alla classe. In questa ultima evenienza l’aderente può proporre azione individuale. a) Efficacia soggettiva della sentenza definitoria della seconda fase. Il passaggio in giudicato della sentenza che accoglie la domanda collettiva, accertando che la parte imprenditoriale ha posto in essere la condotta che gli stata addebitata, ha efficacia per l’attore e per il convenuto. Non ha efficacia -ostandovi l’art. 2909 c.c. -nei confronti dei componenti la classe; tuttavia può essere fatto valere da tutti i componenti della classe, anche se non abbiano aderito nel corso della seconda fase nei confronti del resistente ai fini della determinazione del quantum. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Il passaggio in giudicato della sentenza che rigetta la domanda collettiva, accertando che la parte imprenditoriale non ha posto in essere la condotta che gli stata addebitata, ha anch’esso efficacia per l’attore e per il convenuto. Non vincola i componenti della classe che non abbiano ancora aderito all’azione. Non vincola neppure i componenti della classe che abbiano aderito all’azione prima della pronuncia della sentenza, atteso che gli stessi non sono coinvolti nell’accertamento contenuto nella sentenza (44). b) Efficacia soggettiva del decreto definitorio della terza fase. Il passaggio in giudicato del decreto emesso ai sensi dell’art. 840 septies, che pronunci sul merito della domanda proposta in via di adesione da un dato aderente, fa stato tra la parte imprenditoriale e lo specifico aderente. Gli effetti del procedimento non coinvolgono i componenti della classe che non abbiano aderito. Sul punto la disciplina contenuta nella L. n. 31/2019 è -nella sostanza - in continuità con quanto stabilito nel Codice del Consumo. Efficacia oggettiva. In continuità con la disciplina contenuta nel Codice del Consumo, il giudizio ha quale oggetto l’accertamento della fondatezza di un’unica domanda di classe. Oggetto del procedimento è l’accertamento dell’esistenza (con conseguente condanna del convenuto) o meno dei diritti soggettivi individuali azionati con la domanda introduttiva dal proponente o con separati atti di adesione dagli altri consumatori, salva la revoca. Per mezzo dell’adesione i crediti dei soggetti danneggiati vengono cumulativamente dedotti in giudizio e vincolati dal procedimento. Consumazione dell’azione di classe. Il corretto esercizio del potere di azione di classe conduce ad una definizione del procedimento che consuma il potere di azione. Gli effetti di consumazione del potere di azione di classe colpiscono tanto la classe attiva, ovvero il proponente e gli aderenti, quanto la classe passiva, ovvero i componenti della classe non aderenti che, nonostante la doppia finestra di pubblicizzazione dell’azione di classe, abbiano ritenuto di non aderire al giudizio. Circa la classe attiva, si rileva che l’adesione comporta -oltreché l’improponibilità di una autonoma azione di classe -la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, come (44) In tal senso ChIARA PETRILLO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 53 e ANDREA GIUSSANI, La riforma dell’azione di classe, cit., p. 1578. In senso contrario ANGELO DANILO DE SANTIS, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 119 secondo cui la sentenza di rigetto vincola coloro che abbiano aderito già nella fase di cognizione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 confermato dall’ultimo comma dell’art. 840 undecies, secondo cui “L’aderente può proporre azione individuale a condizione che la domanda di adesione sia stata revocata prima che il decreto sia divenuto definitivo nei suoi confronti”. Circa la classe passiva, si rileva che la pubblicità della proposizione del- l’azione di classe preclude ai componenti la classe la proposizione autonoma della stessa azione di classe, come confermato dall’art. 840 quater soprariportato. Il componente la classe può agire solo con l’ordinaria azione individuale. Si deve ritenere che, nel caso in cui il processo sull’azione di classe non si definisca con la sentenza che pronunci sul merito delle pretese del ricorrente oppure -con riguardo alle pretese degli aderenti -con il decreto che pronunci sul merito delle domande di adesione, l’azione di classe e le azioni individuali siano nuovamente proponibili. Sicché l’azione di classe -oltreché, ovviamente, le azioni individuali -è proponibile ex novo se il giudizio diretto all’accertamento dell’an si definisce con una sentenza processuale, idonea a passare solo in cosa giudicata formale ex art. 324 c.p.c., quale una sentenza che chiuda il giudizio in rito (dichiarazione di inammissibilità per carenza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione o per nullità, oppure dichiarazione di improcedibilità o di estinzione del processo). Tanto è confermato dall’ultimo comma dell’art. 840 bis, che dispone, tra l’altro, che “A seguito dell’estinzione, resta comunque salvo il diritto all’azione individuale dei soggetti aderenti oppure all’avvio di una nuova azione di classe”. Le azioni individuali, da parte degli aderenti, sono proponibili nel caso in cui non si giunga -nella terza fase del procedimento -alla adozione del decreto che pronunci sulle domande di adesione. 14. Finalità della azione di classe. Deve registrarsi continuità con la disciplina contenuta nel Codice del Consumo circa le finalità collegate alla proposizione dell’azione di classe. Con l’azione di classe si ha quale obiettivo a) la effettività della tutela giurisdizionale; b) la deterrenza rispetto a condotte dannose; c) l’economia processuale (45). a) Effettività della tutela giurisdizionale. La tutela collettiva risarcitoria, rispetto ad un giudizio individuale, dovrebbe conseguire in primo luogo lo scopo di innalzare il grado di effettività della tutela giurisdizionale. Ciò in una duplice direzione. (45) Così ROMOLO DONzELLI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 23. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà In primo luogo, sul piano giurisdizionale la tutela collettiva risarcitoria tende a consentire l’emersione di un contenzioso, che, in assenza di strumenti collettivi, ovvero mediante la tradizionale tutela individuale, rimane in genere latente. L’elemento che più di ogni altro caratterizza queste controversie è la forte disparità di posizione tra parte professionale e singolo individuo; difatti, realizzatosi l’illecito, il vantaggio economico globale, ovvero aggregato, che l’autore della condotta antigiuridica è in grado di conseguire è decisamente elevato, ma di contro il vantaggio economico che ciascun soggetto può ottenere da una eventuale vittoria è troppo esiguo per giustificare i costi che dovrebbe sobbarcarsi per affrontare il giudizio. In questo contesto, dunque, la tutela collettiva tende a compensare la posizione di svantaggio del singolo rispetto alla parte professionale, poiché l’accertamento collettivo delle diverse pretese sorte in conseguenza dell’illecito, compensa l’asimmetria ora indicata, in quanto rende più vantaggioso il giudizio abbattendone i costi relativi. In secondo luogo, l’azione collettiva può consentire di superare la diversità di forza processuale delle parti in liti che coinvolgono rilevanti beni giuridici, nelle quali la pretesa del danneggiato assume un valore significativo se non anche elevato. A fronte di questa situazione si realizza comunque un’asimmetria tra singolo e professionista in riferimento alle difficoltà di gestione della controversia e in riferimento alla conseguente incertezza circa l’esito del giudizio, sicché, anche in questa ipotesi, i soggetti lesi possono parimenti nutrire una scarsa propensione ad adire la via giurisdizionale. Ciò che determina il fenomeno ora indicato è la complessità delle questioni giuridiche appartenenti alla causa; complessità che può interessare questioni in punto di diritto, ma più frequentemente riguarda l’accertamento del fatto, come sovente accade in riferimento alla verifica della sussistenza del nesso di causalità materiale. Sussiste una disparità di forze tra il soggetto attivo e il soggetto passivo del rapporto. Il danneggiante possiede, infatti, un maggiore bagaglio di conoscenze rispetto al singolo soggetto pregiudicato, in quanto è naturalmente più informato riguardo agli aspetti tecnici e giuridici che interessano lo svolgimento della propria attività professionale ed in ogni caso ha maggiori possibilità economiche per acquisire le ulteriori conoscenze necessarie per affrontare la difesa in giudizio. Significative esemplificazioni di questa tipologia di controversie sono le cause riguardanti il danno da fumo o le controversie relative all’assunzione di medicinali nocivi o sostanze tossiche, nelle quali tra la causa e la produzione dell’evento dannoso può intercorrere un ampio lasso temporale che rende meno visibile la relazione sussistente tra i due elementi della catena causale, consentendo inoltre che ulteriori fattori possano concorrere nella produzione dell’evento. Se ben strutturata, nonché adeguatamente supportata sul piano degli incentivi e degli strumenti idonei ad acquisire le informazioni necessarie al processo, l’azione collettiva avrà, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 quindi, anche in queste ipotesi, il compito di riallineare le posizioni dei soggetti coinvolti nell’illecito. I diritti che con difficoltà avrebbero ricevuto tutela all’interno di giudizi individuali vedono accrescere le possibilità di ricevere la dovuta protezione all’interno del giudizio collettivo, con effetti positivi in termini di effettività della tutela giurisdizionale. b) Deterrenza rispetto a condotte dannose. La tutela collettiva può svolgere un ruolo di deterrenza. Difatti, aumentando le possibilità che eventuali illeciti vengano effettivamente sanzionati secondo le regole che l’ordinamento impone, si realizza un evidente effetto conformativo delle condotte materiali. In altri termini l’azione collettiva risarcitoria ha un effetto deterrente, che rafforza la precettività delle disposizioni sostanziali che tutelano gli interessi dei soggetti coinvolti. c) Economia processuale. La tutela collettiva risarcitoria risponde, poi, alla fondamentale esigenza di conseguire significativi risultati deflattivi del contenzioso giudiziale seriale. La trattazione e la decisione congiunta di una pluralità di controversie realizza, infatti, una efficienza processuale che fa preferire un giudizio collettivo unico ad infiniti giudizi individuali. 15. Azione inibitoria collettiva. L’azione inibitoria collettiva è disciplinata già dal Codice del Consumo (art. 140 D.Lgs. n. 206/2005). La nuova disciplina -contenuta nell’art. 840 sexiesdecies -è più completa. A tal fine si evidenzia: viene estesa la legittimazione attiva anche al singolo individuo, laddove nella precedente disciplina l’azione spettava solo alle associazioni dei consumatori e degli utenti; si applica la disciplina del procedimento in camera di consiglio; i diritti tutelati con l’azione inibitoria non sono più collegati alla tutela del consumatore, ma riguardano -in via generale -tutti i diritti spettanti in modo omogeneo ad una pluralità di persone; viene meglio disciplinata l’astraintes collegata all’accoglimento dell’azione, con l’applicazione della misura coercitiva generale del- l’art. 614 bis c.p.c. Per il resto, la disciplina non si discosta da quella contenuta nel Codice del Consumo. Legittimazione attiva. a) Singolo individuo Si prevede che chiunque abbia interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti, può agire per ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva. Il singolo individuo agisce iure proprio, in forza della affermata titolarità LEGISLAzIONE ED ATTUALITà di un diritto o di un interesse che egli ha sul piano sostanziale prima e a prescindere dalla previsione di cui all’art. 840 sexiesdecies. Si consente, quindi, al singolo individuo di ottenere un ordine di cessazione o divieto di reiterazione di condotte omissive o commissive riguardanti una pluralità di individui o enti: nell’agire per la propria situazione sostanziale, l’individuo ottiene una tutela inibitoria a proprio vantaggio, ma, una volta attuata, anche a vantaggio di tutti gli altri coinvolti dagli stessi comportamenti (46). b) Enti esponenziali. Le organizzazioni o le associazioni senza scopo di lucro, i cui obiettivi statutari comprendano la tutela degli interessi pregiudicati dalla condotta di cui al primo periodo, sono legittimate a proporre l’azione qualora iscritte nell’elenco di cui all’articolo 840 bis, secondo comma, c.p.c. Anche gli enti esponenziali agiscono iure proprio, ma grazie alla creazione di una loro situazione sostanziale da parte della norma stessa, sulla base dello scopo statutario e dell’iscrizione nell’elenco. Legittimazione passiva. L’azione può essere esperita nei confronti di imprese o di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. Rispetto alle disposizioni previgenti non vengono considerati i professionisti. Tuttavia, come già per l’azione di classe, si può intendere in senso lato il concetto di impresa ed includervi anche i professionisti. Procedimento camerale. La domanda si propone con le forme del procedimento camerale, regolato dagli articoli 737 e seguenti c.p.c., in quanto compatibili, esclusivamente dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo dove ha sede la parte resistente. Si applica l’articolo 840 quinquies, c.p.c. in quanto compatibile. Con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il tribunale può, su istanza di parte, adottare i provvedimenti di cui all’articolo 614 bis c.p.c. in tema di misure di coercizione indiretta, anche fuori dei casi ivi previsti. Con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il tribunale può, su richiesta del pubblico ministero o delle parti, ordinare che la parte soccombente adotti le misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate. Il giudice, su istanza di parte, condanna la parte soccombente a dare diffusione al provvedimento, nei modi e nei tempi definiti nello stesso, mediante utilizzo dei mezzi di comunicazione ritenuti più appropriati. (46) DAVIDE AMADEI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 230-234. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Caratteri del provvedimento definitorio del giudizio e sua impugnazione. Il legislatore non individua la forma del provvedimento definitorio del giudizio, ma fa riferimento solo al contenuto. Si ritiene in dottrina che la forma sia quella della sentenza, venendo in rilievo uno strumento a tutela dei diritti. È orientamento consolidato che -come eccezione alla regola secondo cui il provvedimento definitorio del procedimento di volontaria giurisdizione è inidoneo al giudicato -in date circostanze il provvedimento può passare in giudicato. Ciò si ha quando lo stesso pronuncia in modo definitivo su diritti soggettivi, come ad esempio quando pronuncia sulle spese (47). La sentenza definitoria dell’azione inibitoria rientra nei casi eccezionali in cui vi è l’idoneità al giudicato. Sicché, tale sentenza è irrevocabile ed immodificabile da parte del giudice che l’ha emessa (al contrario del decreto camerale ex art. 742 c.p.c.), è idonea alla stabilità della cosa giudicata ed è appellabile dinanzi alla Corte d’Appello nel cui distretto sta il tribunale delle imprese che ha deciso, e inoltre, trattandosi di provvedimento su diritti, potenzialmente definitivo, è ricorribile per cassazione (48). Rapporti con l’azione di classe. Il legislatore vuole tenere ben separata l’azione inibitoria da quella di classe. È stato previsto che “Quando l’azione inibitoria collettiva è proposta congiuntamente all’azione di classe, il giudice dispone la separazione delle cause”. Probabilmente si è immaginato e temuto che l’inibitoria potesse appesantire il procedimento di classe, se le due tutele fossero state richieste insieme ed il giudice avesse dovuto affrontarle entrambe nella stessa sentenza (49). 16. Comparazione tra la disciplina della class action nel diritto statunitense e l’azione di classe italiana. Uno sguardo d’insieme sulla disciplina della class action nel diritto statunitense (50) e dell’azione collettiva risarcitoria italiana (51) consente di ri (47) Sul punto GIAMPIERO BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III vol., IV edizione, Bari, Cacucci editore, 2017, p. 342. (48) DAVIDE AMADEI in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 237-238. (49) DAVIDE AMADEI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 241. (50) Per un primo quadro informativo: GEOFFREy C. hAzARD -MIChELE TARUFFO, La giustizia civile negli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 187-190; MIChELE TARUFFO, Diritto processuale civile nei paesi anglosassoni, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., VI, UTET, Torino, 1989, pp. 340 e ss.; ANDREA GIUSSANI, Studi sulle “class actions”, Padova, CEDAM, 1996; SARA ALICE PERERA, La class action negli Stati Uniti, Dipartimento di scienze giuridiche -CERADI -Centro di ricerca per il diritto d’impresa, LUISS Guido Carli, giugno 2007. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà levare immediatamente che i connotati della disciplina italiana sulla materia risentono del modello degli USA. Difatti, la proposizione di una azione collettiva, il filtro di ammissibilità, la decisione estesa -potenzialmente -alla classe, sono tecniche della nostra legislazione in materia che ricalcano il modello base. Ruolo delle azioni collettive nei sistemi processuali statunitense ed italiano. Le azioni collettive negli Stati Uniti sono presenti ormai da molti anni nell’ordinamento; già nel XIX sec. Joseph Story, padre della giustizia statunitense noto con il soprannome di Justice Story, ritenne ammissibile la class action, quale eccezione alla Necessary Parties Rule. La disciplina è regolata, attualmente a livello federale, dalla Rule 23 delle Federal Rules of Civil Procedure del 1938, ma essa è stata introdotta fin dal 1842. L’Equity Rule 48 prevedeva che qualora una lite coinvolgesse un ampio numero di parti, si potesse procedere senza che tutte fossero presenti, sulla base del principio di rappresentatività. Il giudicato non era però vincolante per gli assenti. Nel 1912 l’Equity Rule 38 andò a sostituire la precedente Rule 48. In questa nuova versione la class action non solo aveva effetto per coloro che vi avevano preso parte, ma anche nei confronti degli assenti (52). Vi sono, inoltre, norme speciali disciplinanti le azioni collettive in materie particolari, come le previsioni contenute nello Sherman Act del 1890, nel Securities Act del 1993 e nel Securities Exchange Act del 1934, nella section 27 del Private Securities Litigation Reform Act del 1995. Il fenomeno delle class actions costituisce uno dei punti fondamentali del sistema processuale nordamericano. Esso consente infatti, grazie alla flessibilità delle norme e alla creatività delle corti, di fornire efficaci forme di tutela alle varie situazioni a rilevanza sovraindividuale che emergono nei settori più vari della società; d’altra parte, e proprio per questa ragione, esso ha fatto emergere i limiti della concezione individualistica della giustizia civile, dando luogo ad un modello diverso di processo che rappresenta il momento evolutivo più rilevante dell’ordinamento statunitense (53). In Italia, diversamente dall’esperienza statunitense, l’introduzione delle azioni collettive nell’ordinamento giuridico è recente, con l’inserimento, nel 2007, dell’art. 140 bis nel Codice del Consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206). (51) Per un primo quadro informativo: ROMOLO DONzELLI, L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, Jovene, 2011; BRUNO SASSANI (a cura di), Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, cit. (52) Sugli sviluppi storici della class action negli U.S.A., in sintesi: SARA ALICE PERERA, La class action negli Stati Uniti, cit. (53) Su tali aspetti: MIChELE TARUFFO, Diritto processuale civile nei paesi anglosassoni, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., cit., pp. 340 e ss. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 La disciplina contenuta nel codice del consumo ha avuto una scarsa applicazione in giurisprudenza. A comprova di ciò, le sentenze della Corte di Cassazione sono, in un decennio di applicazione, appena una decina (54), intervenute -per la maggior parte -a dichiarare la inammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza-filtro. Le cause di tale insuccesso sono molteplici. In primo luogo la complessità e la novità del procedimento ha impedito una diffusa applicazione del rito. Si tratta, infatti, di un rito differenziato sostanzialmente nuovo nel nostro ordinamento giuridico, ispirato ad un modello, quello degli USA, collaudato da un paio di secoli in un ambiente giuridico diverso dal nostro sotto svariati aspetti, tra cui il meccanismo di selezione dei giudici, la presenza della giuria, l’esistenza di grandi studi professionali con attitudini imprenditoriali. Altra causa sono i notevoli costi che deve anticipare l’attore al fine di acquisire la complessa prova dei fatti costitutivi dell’azione, specie con consulenze di parte, in uno al carico dell’anticipazione delle spese della consulenza tecnica di ufficio. A ciò si aggiunga la circostanza che a poter proporre l’azione di classe è unicamente il singolo componente la classe e non anche un ente esponenziale degli interessi collettivi, che è solitamente solido finanziariamente. Ove quest’ultimo potesse agire, vi sarebbe evidentemente uno stimolo maggiore all’attivazione dell’azione di classe. Inoltre, ha inciso sull’insuccesso l’assenza di incentivi all’avvocato patrocinatore nell’azione di classe, congiunta alla circostanza che l’avvocato in Italia, in gran parte, lavora in modo individuale. Sono assenti, in sostanza, nel nostro Paese i grandi studi d’oltreoceano, con centinaia di avvocati, dotati di spiccata capacità imprenditoriale nell’individuare la convenienza -sul piano dei compensi ai componenti la classe e sul piano del compenso professionale -ad attivare l’azione di classe, procacciandosi gli adeguati finanziamenti. Sul punto autorevole dottrina evidenzia che “il sistema dell’azione di classe si può dimostrare efficiente soprattutto a causa delle implicazioni che comporta sul piano degli incentivi laddove si accompagni, anche se solo indirettamente, a un più sofisticato regime di responsabilità per le spese che, pur non necessariamente prevedendo che la parte attrice risponda per la soccombenza, soprattutto contempli che in caso di soccombenza del convenuto, ma solo in tal caso, la quantificazione degli onorari a suo carico sia incrementata in ragione (54) Cass. civ. Sez. III, sentenza 31 maggio 2019, n. 14886; Cass. civ. Sez. I, sentenza 15 maggio 2019, n. 12997; Cass. civ. Sez. III, sentenza, 23 ottobre 2018, n. 26725; Cass. civ. Sez. III, ordinanza 23 marzo 2018, n. 7244; Cass. civ. Sez. VI -3, ordinanza, 23 marzo 2017, n. 7504; Cass. civ. Sez. Unite, sentenza 1 febbraio 2017, n. 2610; Cass. civ. Sez. VI -3 ordinanza, 25 gennaio 2017, n. 1925; Cass. civ. Sez. I, sentenza, 21 novembre 2016, n. 23631; Cass. civ. Sez. Unite, ordinanza 30 settembre 2015, n. 19453; Cass. civ. Sez. Unite, ordinanza 30 settembre 2015, n. 19454; Cass. civ. Sez. III, ordinanza 24 aprile 2015, n. 8433; Cass. civ. Sez. I, sentenza, 14 giugno 2012, n. 9772. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà dell'ampiezza del gruppo interessato: tale meccanismo, infatti, assicura una più efficiente allocazione delle risorse giurisdizionali accentuando la rilevanza dell'apparenza di fondatezza della domanda nella scelta dell'iniziativa processuale” (55). In conseguenza del sostanziale fallimento della disciplina contenuta nel Codice del Consumo, più volte i vari governi succedutisi negli anni hanno proposto diverse modifiche normative (56), sfociate poi nella novella (57) operata con L. 12 aprile 2019, n. 31, finalizzata alla sostituzione della regolazione precedente, ampliandola e migliorandola. La novella operata con la legge n. 31/2019 non è ancora entrata in vigore (l’entrata in vigore è prevista per il 19 novembre 2020). Rispetto alla disciplina sostituita vi è -a grandi tratti -una continuità di impostazione. Ad esempio, non viene alterato il meccanismo dell’opt-in. Vi è, tuttavia, un miglioramento di disciplina, ancorché la dottrina -nei primi commenti - sottolinea comunque la insufficienza della stessa (58). In continuità con il Codice del Consumo, viene predisposto, per le controversie coinvolte nell’azione di classe, un rito speciale in ossequio al canone della c.d. tutela differenziata. Incidenza dell’ambiente giuridico sulla dinamica delle azioni collettive. Sia nel sistema americano sia in quello italiano, le azioni collettive si caratterizzano per la complessità del procedimento. Complessità soggettiva, in ragione dei soggetti coinvolti. Complessità anche oggettiva, in ragione delle fasi del procedimento. In tale contesto, il tipo di ambiente giuridico nel quale l’azione è esercitata è da ritenersi decisivo per il successo e per l’utilizzo dell’azione collettiva. Per ambiente giuridico si intende la posizione ed il ruolo del giudice e dei difensori. Circa il ruolo del giudice, molto differente il criterio di selezione dei giudici negli Stati Uniti ed in Italia. (55) Così ANDREA GIUSSANI, Le azioni di classe dei consumatori dalle esperienze statunitensi agli sviluppi europei, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1, 2019, pp. 160-161. (56) GIULIO PONzANELLI, La nuova class action, in Danno e resp., 2019, 3, pp. 306 e ss. (57) Mediante una integrazione del codice di procedura civile (inserimento degli articoli da 840 bis a 840 sexiesdecies). (58) In dottrina si rileva che la legge n. 31/2019 è una legge complessa, scritta in modo confuso, che come tale necessita di essere integrata con una serie di osservazioni e precisazioni; si rileva ancora che, essendo il codice di procedura civile composto di 840 articoli, non è chiara la ragione per la quale il legislatore abbia inserito nel codice gli articoli da 840 bis a 840 sexiesdecies, e non abbia semplicemente proseguito nella numerazione dall’art. 841 all’art. 855 (in tal senso: GIULIANO SCARSELLI, La nuova azione di classe di cui alla legge 12 aprile 2019 n. 31, in Judicium. In senso analogo ANTONIO Carratta, La class action riformata -I nuovi procedimenti collettivi: considerazioni a prima lettura, in Giur. It. 2019, 10, pp. 2297 e ss.). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 In Italia, come nella maggior parte dei paesi del mondo, il potere giudiziario è politicamente neutrale. I giudici vengono nominati con metodi non politici. Difatti, di regola, si può accedere alla carriera giudiziaria tramite concorso pubblico, al quale può partecipare solo chi è laureato in Giurisprudenza. Tanto emerge dai principi costituzionali (artt. 101, comma 2; 104, comma 1; 106, comma 1; 107, comma 1; 111, comma 2, Cost.) (59). I giudici, quindi, sono asettici rispetto al potere politico. Si è osservato che il giudice dovrebbe essere come la moglie di Cesare, ossia non deve essere neanche sospettato (60). Diversamente dall’ordinamento giuridico italiano, i metodi di nomina dei giudici negli Stati Uniti sono tipicamente politici. I controlli politici sulla nomina e la promozione dei giudici funzionano come limiti democratici dell’autonomia del potere giudiziario. La nomina dei giudici federali è prevista dalla Costituzione federale. I giudici della Corte Suprema federale sono nominati dal Presidente degli Stati Uniti e devono essere confermati dal Senato con una maggioranza di due terzi. La nomina dei giudici delle corti federali distrettuali e d’appello avviene secondo modalità analoghe (nomina del Presidente e conferma del Senato). Dunque, almeno teoricamente, il Presidente potrebbe nominare chiunque, senza tenere conto della qualificazione professionale. Nella realtà, vengono nominati giuristi che hanno svolto un’effettiva attività professionale pubblica o privata, raramente per meno di dieci anni. In quasi tutti i casi i giudici della Corte Suprema vengono nominati tra gli appartenenti al partito politico del Presidente. Tradizionalmente i giudici distrettuali vengono scelti tra i giudici e gli avvocati del distretto per cui avviene la nomina. La stessa tradizione vale in genere anche per le Corti di appello. Da quanto appena osservato, si evince dunque che la base della formazione professionale dei giudici è nella pratica del diritto, soprattutto nella qualità di avvocati e pubblici ministeri. La loro nomina è compiuta da organi politici che nelle loro scelte tengono conto di fattori politici. In pratica la possibilità di essere candidati per la nomina presuppone esperienza in politica o in attività pubbliche (61). (59) Sulle garanzie costituzionali della magistratura italiana ex plurimis: AUGUSTO BARBERA, CARLO FUSARO, Corso di diritto costituzionale, II edizione, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 484 e s.; TEMISTOCLE MARTINEz, Diritto costituzionale, III edizione, Milano, Giuffré, 1984, pp. 501 e ss.; ROBERTO BIN, GIOVANNI PITRUzzELLA, Diritto costituzionale, VIII edizione, Torino, Giappichelli, 2007, pp. 271 e ss.; GIAMPIERO BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, I vol., cit., pp. 63 e ss.; FRANCESCO P. LUISO, Diritto processuale civile, vol. I, VII edizione, Milano, Giuffré, 2013, pp. 38 e ss.; a cura di SABINO CASSESE, Istituzioni di diritto amministrativo, V edizione, Milano, Giuffré, 2015, pp. 666 e ss. (60) Per tale osservazione: VIRGILIO ANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. I, Napoli, Jovene, 1979, p. 213. (61) Sulla nomina politica dei giudici americani: GEOFFREy C. hAzARD -MIChELE TARUFFO, La giustizia civile negli Stati, cit., pp. 73-78. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà La maggiore politicità del giudice statunitense ha evidenti ricadute sulla effettività dell’azione di classe. Difatti, il giudice, a seconda del suo orientamento ideologico, sarà propenso a dare massimo impulso ai suoi poteri (ove condivida lo strumento della class action) oppure -viceversa -a rallentarne l’iter. Nel corso di circa due secoli di vita le class actions hanno avuto un successo straordinario, anche grazie alla sensibilità dei giudici che hanno accolto le istanze proposte. Si richiama sul punto il successo della injunctive class action, ossia la seconda categoria di class actions prevista dalla Rule 23 (b) (2), per la tutela dei civil rights contro le discriminazioni per ragioni, ad esempio, di sesso, razza, lavoro subordinato. Oppure la diffusione della damages class action, terza categoria di class actions prevista dalla Rule 23 (b) (3), per la tutela dei diritti dei consumatori a fronte delle condotte delle grandi imprese operanti in situazione di monopolio o di oligopolio. Ancora. Il ruolo e i poteri processuali del giudice nella specifica materia delle azioni collettive sono diversi nei sistemi giudiziari degli USA e dell’Italia. Negli Stati Uniti il ruolo del giudice -soprattutto nelle class actions -è notevole, essendo egli dotato di ampi poteri che utilizza frequentemente durante il corso del procedimento. I poteri che il giudice esercita nelle class actions sono indicati nella quarta sottosezione, ossia nella lettera d) della Rule 23. Nel nostro ordinamento, invece, il giudice non ha gli stessi poteri del giudice americano. Sono previsti poteri discrezionali (ad esempio in sede di filtro) e poteri ufficiosi (questi ultimi potenziati con la novella del 2019) maggiori che nel procedimento ordinario, ma non nella misura esistente negli USA. Si richiama un solo caso per tutti: il potere liquidatorio nei danni punitivi. I notevoli poteri processuali del giudice statunitense costituiscono -in uno alla sua sensibilità politica -una delle ragioni del successo e dell’importanza delle class actions negli Stati Uniti. Circa il ruolo dei difensori, si rileva che notevolmente diverso è il modo di esercizio della professione legale negli Stati Uniti e in Italia, con notevoli ricadute in tema di attivazione delle azioni di classe. Negli Stati Uniti la professione è spesso svolta da grandi studi legali (law firms), con centinaia di avvocati ed altresì con importanti finanziatori. Nel 1985 i venti studi legali più grandi degli Stati Uniti contavano una media di 374 avvocati; uno studio di cinquanta avvocati è considerato medio-piccolo negli Stati Uniti (62). Verosimilmente, i grandi studi legali, avendo a disposizione consistenti capitali da investire, sono gli unici che hanno la possibilità di sopportare le ingenti spese giudiziali necessarie per dare inizio ad una class (62) Per tali dati UGO MATTEI, Common Law. Il diritto anglo-americano, Torino, UTET, 1992, p. 312. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 action. A fronte del carattere imprenditoriale che assume la class action, è lo studio legale che assiste la classe ad assumere il ruolo di dominus, sostituendosi così, di fatto, al rappresentante di classe (lead plaintiff) nella conduzione del processo. Sicché al dato formale secondo cui la class action è promossa da un attore “adeguatamente rappresentativo”, si contrappone il dato sostanziale per il quale sono le grosse law firms a “reclutare” di propria iniziativa il class representative e a finanziare la lite. Dunque, nel caso specifico delle class actions, accade nella prassi che a sostenere le azioni di classe sono i grandi studi legali, le law firms, che anticipano tutte le spese del processo (e sono anche gli unici che possono farlo), assumendosi il rischio economico dell’iniziativa giudiziale. Ciò che spinge gli avvocati a rivolgere un grande interesse all’istituto delle class actions è il principio della contingency fee. La contingency fee è un parametro di liquidazione degli onorari che viene utilizzato nelle damages class actions. L’avvocato riceve una remunerazione, che gli viene liquidata solamente in caso di vittoria, sulla base di una percentuale del valore globale del risarcimento; questo istituto è stato poi modificato nel 2003 a fronte dei numerosi abusi e illeciti. Nell’ordinamento statunitense, allora, l’avvocato assume nella maggioranza dei casi la posizione di vero e proprio finanziatore della class action; possiamo quindi constatare che l’attività svolta dall’avvocato in occasione di queste azioni può essere definita imprenditoriale (managing lawyer). Ciò è il motore del successo della class action americana. In Italia il ruolo dell’avvocato è ben diverso. Non esistono, in modo diffuso, grandi studi legali con notevoli risorse economiche. Le associazioni tra avvocati e multidisciplinari (63) e l’esercizio della professione forense in forma societaria (64) non sono frequenti. Ricordiamo che la società tra avvocati non è soggetta a fallimento (art. 16, comma 3, D.L.vo 2 febbraio 2001, n. 96), anche perché in Italia gli avvocati -come tutti i professionisti intellettuali -non vengono considerati imprenditori (arg. ex art. 2238, comma 1, c.c. secondo cui “Se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II” , titolo quest’ultimo relativo all’imprenditore) (65). Tale stato di cose, all’evidenza, è di ostacolo al successo dell’attivazione delle azioni collettive su impulso sostanziale del difensore, alla stregua del modello americano. Tuttavia va osservato che, con la L. n. 31/2019, si è cercato di modificare (63) Art. 4 L. 31 dicembre 2012, n. 247 avente ad oggetto la “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”. (64) Art. 4 bis L. n. 247/2012. (65) Sulla circostanza che i liberi professionisti intellettuali non sono mai, in quanto tali, imprenditori: GIAN FRANCO CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. I, V edizione, Torino, UTET, 2006, pp. 42 e ss. Sulla società tra avvocati: GIAN FRANCO CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. II, VI edizione, Torino, UTET, 2006, pp. 22 e ss. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà questo stato di cose, di invogliare l’avvocato ad essere dinamico nell’esercizio della professione con la previsione -ma con molti limiti -di un compenso premiale, superiore agli ordinari valori, di cui alle tabelle dei parametri forensi allegate al D.M n. 55/2014 ( regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247). Posizione delle parti nei giudizi collettivi. Per quanto riguarda la regolazione delle parti del processo deve registrarsi -in sostanza -una analogia di disciplina, tanto con riguardo all’attore, quanto con riguardo al convenuto, tra il sistema americano e quello italiano. Difatti, in ambedue i sistemi è legittimato ad agire qualsiasi componente della classe (c.d parte rappresentativa). Ossia, non vi è nessuna limitazione soggettiva, per cui qualunque soggetto di diritto portatore di interessi omogenei può esercitare l’azione di classe; possiamo quindi affermare che la disciplina si basa su un sistema di legittimazione diffusa. Negli USA, viene definito “named o class representative” o “lead plaintiff” quel soggetto che esercita l’azione collettiva nell’interesse della classe stessa, ossia nell’interesse suo e di tutti gli altri danneggiati. In ambedue i sistemi l’attore, colui che promuove e segue la causa (lead plaintiff americano) deve avere determinati requisiti per garantire un esercizio consapevole ed efficace dell’azione collettiva. Si richiede che lo stesso appaia in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe (adequancy of representation) e che vi sia l’assenza di conflitti di interessi. Ed in ambedue i sistemi vi è il filtro, il controllo del giudice in limine litis sui requisiti soggettivi dell’attore (certification statunitense e ordinanza di ammissibilità della domanda italiana). Una differenza di disciplina, invero, tra il modello americano e quello italiano risulta dalla novella operata dalla L. n. 31/2019: nell’ordinamento italiano la legittimazione spetta anche ad organizzazioni o ad associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei diritti individuali omogenei, purché iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia. In ambedue i sistemi il convenuto è il soggetto contro cui l’azione è rivolta sulla affermazione (attorea) che ha tenuto un comportamento illecito. Posizione del componente della classe nei giudizi collettivi. Nettamente differenti sono le modalità con le quali il componente del- l’azione di classe -diverso dall’attore -partecipa al procedimento ed è coinvolto dagli effetti della decisione definitiva. Negli USA il sistema, nel caso più diffuso, ossia della damages class action, è quello dell’opt-out. Proposta la class action, il componente della classe RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 è ex lege coinvolto nel procedimento; la sentenza si estende a tutti i soggetti che rientrano nella definizione prevista per la classe. Il danneggiato, però, ha la possibilità di essere escluso dal giudizio esercitando il c.d. opt-out, che impedisce il formarsi del giudicato anche nei suoi confronti. Inoltre, il componente della classe ha il diritto di effettuare un vero e proprio intervento in senso pieno (intervention of right) allorché vi sia un difetto di adeguatezza della rappresentanza nei suoi riguardi. Meccanismo opposto opera in Italia. Difatti, il componente della classe non è ex lege coinvolto nel procedimento, ma per poter aderire all’azione collettiva lo stesso deve depositare un proprio atto di adesione. Non è ammesso l’intervento ma solo l’adesione, che non determina l’acquisto della qualità di parte processuale; l’adesione comporta semplicemente che l’effetto dei provvedimenti conclusivi delle fasi processuali si estende agli aderenti. Vige, cioè, il sistema dell’opt-in. Dagli osservatori, come si preciserà di seguito, si rileva che una delle ragioni decisive del successo delle azioni collettive negli USA è proprio il meccanismo dell’opt-out. oggetto dell’azione collettiva. Notevoli differenze nei due modelli sussistono in ordine alla tipologia di azioni esercitabili con la tutela collettiva. Difatti, il modello statunitense è molto più ricco ed articolato di quello italiano: negli USA con la class action è possibile esercitare sia azioni costitutive che di accertamento ed altresì di condanna (separatamente o congiuntamente); nell’ordinamento italiano è possibile la proposizione, purché congiunta, di azioni di accertamento e di condanna e -con modalità particolari e con un rito diverso dall’azione collettiva -di azioni inibitorie. La Rule 23 prevede tre categorie di class actions. La prima azione -Rule 23 (b) (1) -contempla due ipotesi di litisconsorzio necessario (66). La stessa, specialmente la prima ipotesi diretta ad evitare contrasti di giudicati, ha un carattere di azione costitutiva, ossia diretta a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici (art. 2908 c.c.) (67). È analoga ai nostri processi litisconsortili, con l’evidente differenza che nel nostro sistema (66) In primo luogo nel caso in cui l’eventuale proposizione di azioni individuali possa comportare un contrasto di giudicati e, di conseguenza, un convenuto sia costretto a tenere comportamenti non omogenei nei confronti dei componenti della classe. Inoltre nel caso in cui la risoluzione della lite nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti possa comportare un pregiudizio pratico per gli altri, rendendo estremamente difficile la tutela dei diritti di altri membri della classe rimasti estranei al giudizio (c.d. limited fund class actions: il rischio che il patrimonio del debitore comune non sia sufficiente per il soddisfacimento di tutti i danneggiati). (67) Sulle azioni costitutive ex plurimis: GIAMPIERO BALENA, Istituzioni di diritto processuale, I vol, cit., pp. 48 e ss.; CRISANTO MANDRIOLI, ANTONIO CARRATTA, Diritto processuale civile, I vol., XXV edizione, Giappichelli, 2016, pp. 82 e ss. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà il litisconsorzio necessario impone la partecipazione di tutti i titolari dei diritti oggetto del processo, mentre nell’ordinamento statunitense è permesso di procedere in forma rappresentativa. La seconda azione -Rule 23 (b) (2) -viene definita injunctive class action e può essere utilizzata per censurare quei comportamenti non uniformi tenuti, o che potrebbero essere tenuti, dal convenuto nei confronti dei membri della classe. Lo scopo di questa tipologia di azione è la pronuncia di provvedimenti inibitori (injunctions) oppure meramente dichiarativi, di mero accertamento (declaratory judgements) in favore di una classe (68). La terza e ultima azione -Rule 23 (b) (3) -di condanna (69), è definita damages class action e per poterla esercitare è necessario che sussista una pretesa di carattere risarcitorio in capo a tutta una serie di soggetti che vantano una coincidenza delle questioni di fatto o di diritto, prevalenti su ogni altra situazione di carattere strettamente individuale (70). Quanto all’ordinamento italiano si osserva quanto segue. Sia nella disciplina presente nel codice del Consumo, che in quella prevista dalla nuova legge n. 31/2019, l’oggetto dell’unica categoria di azione di classe è duplice: l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. La tipologia di azione è, quindi, analoga alla terza categoria delle class actions (damages class actions). Non vi una previsione in tema di azione costitutiva sul modello della prima categoria delle class actions. Invece, con un rito differenziato, autonomo e diverso da quello relativo (68) Sulle azioni di accertamento ex plurimis: GIAMPIERO BALENA, Istituzioni di diritto processuale, I vol, cit., pp. 34 e ss.; CRISANTO MANDRIOLI, ANTONIO CARRATTA, Diritto processuale civile, I vol, cit., pp. 71 e ss. (69) Sulle azioni di condanna ex plurimis: GIAMPIERO BALENA, Istituzioni di diritto processuale, I vol, cit., pp. 37 e ss.; CRISANTO MANDRIOLI, ANTONIO CARRATTA, Diritto processuale civile, I vol, cit., pp. 73 e ss. (70) Per ammettere questa tipologia di azione, è necessario che sussistano i requisiti della superiority e della predominance. Il requisito della “superiority” implica che la class action deve essere il mezzo processuale più idoneo per trattare in modo “fair and efficient” la controversia. Quello del “predominate criterion” richiede che le questioni (di fatto o di diritto) comuni alla classe siano prevalenti rispetto a ciascuna questione individuale. Possiamo avere vari tipi di fattispecie applicative delle damages class actions. Il primo caso (“individually unrecoverable claims”) è relativo a quelle situazioni in cui piccoli risparmiatori o consumatori avanzino delle pretese il cui valore è inferiore al costo del processo che il danneggiato dovrebbe affrontare in via individuale. In questo caso siamo di fronte alla class action come unico strumento che realmente garantisce la tutela del cittadino. Le damages class actions possono essere fatte valere anche a fronte di entità molto cospicue: sono i casi in cui è ragionevole che i soggetti agiscano anche in via individuale. È un caso di cumulo di azioni parallele presso una singola corte a fronte della comunanza di situazioni di diritto o di fatto al fine di garantire la miglior efficienza nell’utilizzo delle finanze destinate all’attività giuridica. Una terza categoria di ipotesi applicative sono i mass tort personal injury litigations. Possono essere esperite azioni dirette a tutelare le vittime di illeciti di massa causati dalla circolazione di prodotti industriali dannosi e pericolosi (product liability mass torts) o da vere e proprie catastrofi di impresa (mass accidents). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 alle azioni di classe, vi è una azione analoga alla injunctive. Trattasi dell’azione inibitoria collettiva, finalizzata ad ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva pregiudizievole, a favore di una pluralità di soggetti, indeterminati ed indeterminabili a priori. Tale azione è disciplinata nell’art. 140 del Codice del Consumo e, con miglioramenti, nell’art. 840 sexiesdecies c.p.c., all’esito della novella operata con la L. n. 31/2019. L’azione inibitoria collettiva, regolata dalla legge con una disciplina autonoma rispetto all’azione collettiva risarcitoria, non ha la natura giuridica di un’azione di classe, di un’azione rappresentativa. Da ciò deriva che alla stessa non si può applicare la disciplina in tema di azione di classe. Sicché, ad esempio, deve ritenersi che il meccanismo per il quale una volta pubblicizzata l’azione di classe non è possibile ai componenti della stessa proporre una successiva ed identica azione, non operi con riguardo all’azione collettiva inibitoria, atteso che per quest’ultima non è prevista una simile preclusione normativa. Ambito dei diritti tutelabili con l’azione di classe. Negli USA, tramite le tre tipologie di azioni indicate precedentemente, sono tutelabili tutti i tipi di diritti in via generale, purché aventi i requisiti fissati nella Rule 23, sottosezioni a) e b), a prescindere da un determinato ambito, da una determinata materia. La tutela ha un carattere di generalità. Nell’ordinamento italiano, nella vigente disciplina del Codice del consumo, la sfera dei diritti tutelabili è molto limitata. Difatti i diritti tutelabili con l’azione di classe sono limitati alla materia consumeristica, purché aventi il requisito della omogeneità. Ad agire possono essere solo i consumatori e gli utenti nelle tre tipologie di situazioni giuridiche soggettive protette descritte nel comma 2 dell’art. 140 bis del Codice del Consumo. Con la nuova disciplina contenuta nella legge n. 31/2019, si è ampliato l’ambito soggettivo ed oggettivo delle situazioni protette dall’azione rispetto alla disciplina contenuta nel Codice del Consumo, allineando -nella sostanza -la disciplina nazionale alla terza categoria (damages class action) del modello statunitense. La legge di riforma ha eliminato ogni riferimento a consumatori e utenti. La grande novità introdotta dalla detta legge è la portata generale dei diritti tutelabili, non più collegati alla tutela del consumatore. Nella nuova disciplina non vi è più -come nel comma 2 dell’art. 140 bis del Codice del Consumo la precisazione delle tre tipologie di situazioni giuridiche soggettive protette collegate, come detto, alla tutela del consumatore. La novella, conseguentemente, ha spostato l’istituto dal Codice di Consumo e lo ha inserito nel codice di procedura civile alla fine del libro IV dedicato ai procedimenti speciali. In continuità con la disciplina contenuta nel Codice del Consumo, è ri LEGISLAzIONE ED ATTUALITà chiesto il requisito della omogeneità delle situazioni giuridiche soggettive. Tale requisito richiama quello del “predominate criterion” delle damages class actions. L’azione di classe, con la novella operata nel 2019, è uno strumento processuale che può essere impiegato per fronteggiare tutti i tipi di “mass torts”, ad esempio permettendo alle persone che, per il fatto di abitare in un’area sottoposta a esalazioni tossiche ovvero a campi magnetici nocivi, abbiano risentito dei relativi pregiudizi di ottenere una decisione sulle loro istanze risarcitorie in un unico contesto, senza costringerle ad avanzare ciascuna la propria pretesa in tanti giudizi separati. Viene anche aperta la possibilità del- l’impiego della class action in tema di tutela dei diritti dei risparmiatori. Aspetti generali del procedimento nei due sistemi. A grandi linee -salva la fondamentale differenza circa il modo con il quale i componenti della classe partecipano al procedimento -le fasi essenziali del procedimento sono simili, con un primo momento dedicato alla valutazione della ammissibilità dell’azione ed un momento successivo relativo al giudizio sul merito. Tanto sulla falsariga della disciplina contenuta nella Rule 23. Va rilevato che i due momenti hanno una diversa complessità, nei due sistemi. Nel sistema statunitense è molto complesso ed elaborato il momento dedicato alla valutazione di ammissibilità della class action (fasi della “precertification” e della “certification”), mentre ha una minore complessità il giudizio sul merito, avente un carattere unitario. Nel sistema italiano, invece ha una minore complessità la fase di filtro, mentre è molto complesso e macchinoso il giudizio sul merito, addirittura con la novella del 2019 - strutturato in due distinti giudizi. Le caratteristiche del filtro di ammissibilità. In entrambi i paesi riscontriamo la presenza di una fase preliminare, che ha come scopo quello di filtrare le azioni di classe esercitate dagli attori, accertando che queste abbiano determinati requisiti, tra cui quello che non siano manifestamente infondate. La manifesta infondatezza riguarda una prognosi in iure, cioè la prospettazione in diritto posta a fondamento della pretesa e non la veridicità dei fatti costitutivi, a meno che questa non sia di per sé ragionevolmente esclusa dalle prove allegate agli atti introduttivi del giudizio. Tale vaglio preventivo è ispirato da regole di ragionevolezza. L’azione di classe -atteso il numero indeterminato di soggetti coinvolgibili nella lite -mette in moto un complesso apparato organizzativo, un notevole impegno degli uffici giudiziari, notevoli risorse economiche. Sicché, prima di attivare un meccanismo mastodontico, l’ordinamento opera degli accertamenti su determinati requisiti preliminari, il cui difetto preclude il prosieguo del procedimento. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Negli USA il filtro si articola nelle fasi della “precertification”, diretta all’esame delle questioni preliminari e preparatorie del giudizio e della “certification”, che consiste nella effettiva valutazione dell’ammissibilità della class action, ossia l’autorizzazione a procedere in forma rappresentativa. Già nella fase della “precertification” vi è una pubblicità dell’azione, all’esito della notifica “preliminare” ai membri della classe eseguita dal counsel ad interim nominato dal giudice in sede di pretrial conference. Ma il vero e proprio filtro del procedimento si ha nella fase, descritta come certification, della valutazione della ammissibilità o meno della class action, ossia l’autorizzazione a procedere in forma rappresentativa. In questa fase avviene l’individuazione della classe; se la “class definition” include soggetti con domande simili, ma interessi divergenti, il giudice può ordinare una divisione in subclasses e l’accertamento che i class representatives siano membri della classe. Quindi il giudice valuta la sussistenza dei requisiti per la certificazione indicati nella sottosezione a) della Rule 23 -cd. prerequisites ( numerosity; commonality; typicality; adequacy of representation) e nella sottosezione b) della Rule 23 (ossia la class deve ricadere in uno dei tre tipi indicati nella detta sottosezione). All’esito di un’udienza preliminare e con esame sommario, se sussistono tutti i requisiti per l’ammissibilità della class action, il giudice pronuncia la certification, ossia una sorta di atto di autorizzazione che non entra nel merito della controversia, produttivo di vari effetti, tra i quali la determinazione dei limiti soggettivi di efficacia della pronuncia, con il dichiarato obiettivo di massimizzare la possibilità di estenderli agli assenti. Difatti, la conseguenza più importante della certification è l’estensione degli effetti della sentenza a tutti i soggetti che rientrano nella definizione prevista per la classe, salva la facoltà di autoescludersi nelle categorie di class actions ex Rule 23 (b) (3). Il giudice riveste un potere centrale, come detto precedentemente. Difatti, nel procedimento statunitense il giudice gode di ampi poteri, tra i quali decidere sulle istanze riguardanti la giurisdizione, il valore della causa, l’ammissibilità della domanda e la richiesta di giudizio sommario, nominare un consuel ad interim, raccogliere informazioni sulla pendenza, di fronte ad altre corti federali o statali, di procedimenti collegati con la class action proposta e gli altri poteri indicati nel primo capitolo. La certification non è un atto definitivo, il giudice può emendarla, modificarla nel corso del procedimento, fino alla pronuncia del verdetto, o addirittura revocarla; la stessa può essere appellata. In Italia, con minore complessità procedimentale, viene seguito l’impianto del modello statunitense. Nel Codice del Consumo il filtro si ha in una fase preliminare del giudizio, che segue la disciplina della volontaria giurisdizione. Il Tribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità della domanda. La domanda è dichiarata LEGISLAzIONE ED ATTUALITà inammissibile quando: a) è manifestamente infondata; b) sussiste un conflitto di interessi; c) il giudice non ravvisa l’omogeneità dei diritti individuali tutelabili; d) il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe. Tali requisiti, nella sostanza, ricalcano quelli del modello americano. La manifesta infondatezza -attesa la sua generalità -ricalca l’assenza dei requisiti indicati nelle sottosezioni a) e b) della Rule 23. Più specificamente, poi, il requisito dell’omogeneità dei diritti individuali tutelabili ricalca il requisito della commonality ed il requisito della idoneità del proponente a curare adeguatamente l’interesse della classe ricalca il requisito della adequacy of representation. Al giudice sono riconosciuti ampi poteri di gestione processuale della controversia. Come la certification, anche l’ordinanza che dichiara l’ammissibilità non è un atto definitivo: essa è impugnabile con il reclamo ed è revocabile e modificabile dal giudice che l’ha pronunciata. La nuova legge n. 31/2019, nella sostanza, mantiene l’impianto del Codice del Consumo; ad esempio vengono iterati -con precisazioni -i quattro requisiti di ammissibilità fissati nel Codice del Consumo. Vi è, tuttavia, una significativa novità: il procedimento segue le regole del processo sommario di cognizione e non quelle della volontaria giurisdizione, circostanza che ha delle ricadute sul regime della ordinanza che pronuncia sulla ammissibilità dell’azione di classe. La detta ordinanza è reclamabile dinanzi alla Corte di Appello ed è ricorribile -in via straordinaria ex art. 111, comma 7, Cost. -dinanzi alla Corte di Cassazione. La sostanziale portata decisoria dell’ordinanza in esame esclude che la stessa sia revocabile e modificabile dal giudice che l’ha pronunciata. Pubblicità del superamento del filtro di ammissibilità e sistema dell’opt-out e dell’opt-in. Una volta superato il filtro dell’ammissibilità, per entrambi gli ordinamenti, è disposta la pubblicità; ovvero deve essere data comunicazione a tutti i membri della classe della pendenza del giudizio. Viene in rilievo, negli USA, la notice, la quale deve indicare: le modalità e il termine perentorio entro cui i destinatari possono far pervenire la propria dichiarazione di dissenso ed esclusione dal giudizio; l’avvertimento che, in mancanza, ogni pronuncia emessa nell’ambito del procedimento (favorevole o sfavorevole che sia) diverrà vincolante anche nei loro confronti; la comunicazione al componente della classe che potrà comparire in giudizio tramite un difensore. La pubblicità -per quanto riguarda le categorie di class actions di cui ai numeri 1) e 2) della sottosezione b) della Rule 23 -non è necessaria ma facoltativa, è rimessa alla discrezionalità del giudice. Difatti, anche in assenza di RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 notifica, coloro che rientrano nella definizione di classe, certificata dal giudice, saranno vincolati dalla sentenza (si parla infatti di mandatory classes, in quanto i membri non hanno il potere di escludersi dall’azione). In questi casi il sistema reputa prevalenti le esigenze di concentrazione e unitarietà del giudizio su quelle del due process of law. Nelle azioni ex Rule 23 (b) (3), invece, la notifica è obbligatoria e deve essere inviata a tutti i membri della classe, affinché essi possano scegliere di escludersi dall’azione esercitando il loro diritto di opt-out. Il singolo che scelga di non aderire alla classe in giudizio conserva il diritto di intraprendere successivamente un’iniziativa processuale a titolo individuale. Vi è un collegamento tra notice ed opt-out: per consentire all’interessato di autoescludersi è necessario che la certification gli venga notificata. Negli Stati Uniti, dunque, è stato adottato il sistema dell’opt-out. In Italia -tanto nel Codice del Consumo, quanto nella novella conseguente alla L. n. 31/2019 -la pubblicità si consegue con la divulgazione del- l’ordinanza ammissiva dell’azione di classe, la quale, tra l’altro, fissa un termine per l’adesione dei componenti la classe e definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l’inserimento nella classe. Nell’ordinamento italiano la pubblicità è un requisito necessario del procedimento e costituisce condizione di procedibilità della domanda, ossia un presupposto processuale. Ove non venga effettuata, il giudizio si dovrà concludere con una sentenza di rito che dichiara inammissibile l’azione. Essa ha una duplice funzione: -per chi vuole aderire all’azione, la pubblicità indica i caratteri del- l’azione e le modalità dell’adesione. L’adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, oltreché l’improponibilità di una autonoma azione di classe; -per chi non vuole aderire all’azione, la pubblicità della proposizione dell’azione di classe è importante perché preclude ai componenti la classe la proposizione autonoma della stessa azione di classe. Il componente la classe può agire solo con l’ordinaria azione individuale. Con la novella operata con la L. n. 31/2019 si è innovato alla disciplina della adesione, prevedendo un secondo termine per aderire. L’adesione è possibile, oltre che entro il termine indicato nell’ordinanza filtro, anche in seguito (una sorta di seconda finestra), ossia entro il termine indicato nella sentenza diretta all’accertamento della condotta plurioffensiva. Entro il termine perentorio indicato nell’ordinanza filtro (nel sistema del Codice del Consumo), oppure entro le due finestre previste con la novella di cui alla L. n. 31/2019, l’interessato può aderire all’azione collettiva, ossia chiedere la tutela delle proprie ragioni. Solo con l’adesione sarà coinvolto dall’efficacia soggettiva dell’azione collettiva e dal conseguente provvedimento definitorio del merito della lite. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà All’evidenza, in Italia è stato adottato il sistema dell’opt-in. Corollario di quanto detto è che una differenza fondamentale tra le due discipline, in tema di procedimento, sta proprio nella necessità o meno dell’atto di adesione. La scelta del sistema dell’opt-out o dell’opt-in non è neutra rispetto al successo dell’esperimento dell’azione collettiva. La chiave dell’efficacia, nell’ordinamento statunitense, delle class actions è proprio il sistema dell’opt-out, che si è rivelato capace di vincere l’indifferenza dei danneggiati, -che potrebbero non voler perdere tempo per avere piccolissimi risarcimenti -e di andare così a colpire gli enormi profitti che, in quel sistema economico, le grandi società della Top 500 Fortune (71) lucrano perpetuando micro-illeciti che coinvolgono decine di milioni di consumatori o stakeholders. I benefici dell’opt-out, prescelto nella class action americana rispetto all’opposto modello di opt-in, sono confermati da un recente studio svolto sull’esperienza americana dedicato alla comparazione tra i livelli di partecipazione in entrambi i modelli. Il dato di partenza di tale studio è che appare più alto il livello di inoperosità -la quale porta i privati, inclusi nella classe sulla base del sistema opt-out, a non esercitare la facoltà di autoesclusione dalla medesima rispetto a quello di dinamismo -il quale spinge il singolo consumatore ad attivarsi al fine della sua inclusione nell’azione di classe. Nell’analisi delle class actions attivate in un arco temporale di un decennio è, infatti, emerso che in media solo due individui su mille hanno deciso di esercitare l’opt-out, mentre per quanto riguarda le class actions modellate sul meccanismo di adesione, solo la metà dei membri dell’intera potenziale classe esercitano l’opt-in. Da tale studio si trae la conclusione che la scelta effettuata nel sistema statunitense garantisce una più estesa tutela a quelle categorie di soggetti che, nel subire un danno di modesta entità, sono forse intimoriti dal dispendio di tempo e di denaro e quindi inconsciamente più portati a rinunciare a qualsiasi tipo di azione piuttosto che ad intraprendere attivamente un’azione giurisdizionale (72). Per la piena efficacia dell’azione di classe sarebbe stato utile adottare, in sede di novella sfociata nella L. n. 31/2019, il modello americano. Autorevole dottrina ha rilevato che “l’adesione preventiva [...] -stante il ruolo inverso della razionale apatia del consumatore, che lo induce a evitare rischi, anche minimi e disagi connessi all’attivazione giudiziale -si traduce in bilanci desolanti [per l’azione di classe]. I risultati positivi latitano. Li si conta sulle (71) Fortune 500 è una lista annuale compilata e pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato. (72) Su tale studio: ELISABETTA CORAPI, in Liber amicorum Guido Alpa, Capitolo XXI, Appunti sull’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della class action nella legge di riforma, cit., p. 485, nota 10. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 punte delle dita di una mano (monca...)” (73). Si è altresì rilevata l’inefficienza del meccanismo dell’adesione e, quindi, dell’opt-in anche nel caso dell’azione di classe che in Italia ha contato il maggior numero di aderenti, ossia quella in tema di danno da emissioni di ossido d’azoto promossa avanti al Tribunale di Venezia nei confronti di una nota compagnia automobilistica tedesca, puntualizzandosi: “davanti al Tribunale di Venezia, l’azione di classe più grande numericamente mai proposta in Italia e che conta diverse decine di migliaia di class members, ha determinato enormi difficoltà di gestione della ricezione degli atti di adesione e di organizzazione dei documenti e dei fascicoli e ha richiesto misure organizzative straordinarie” (74). Tuttavia, i timori di una lesione del diritto di difesa conseguenti all’adozione del modello americano dell’opt-out e la decisa contrarietà del panorama industriale italiano hanno determinato il legislatore a perseverare nella scelta prudenziale di proseguire con la strada dell’opt-in, che troppo spesso si è rivelata incapace di raggiungere una massa critica di aderenti che scelgano di entrare nell’azione (75). I suddetti timori di una lesione del diritto di difesa sono fondati sul principio enunciato dall’art. 24 Cost., secondo cui “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. Nel processo civile, quindi, opera la regola della disponibilità dei diritti da parte del titolare (tutela dei propri diritti). Nell’azione collettiva con il meccanismo dell’opt-out accade che un soggetto (l’attore) dispone di un diritto altrui (il componente della classe non attore). Difatti, il componente della classe non attore potrebbe benissimo scegliere di non agire o agire con azione individuale, mentre il coinvolgimento nell’azione di classe lo priverebbe del potere di disporre in via esclusiva ed autonoma - in positivo e in negativo - del proprio diritto. A ben vedere, però, l’adozione del meccanismo del modello americano del- l’opt-out non appare lesiva di principi costituzionali, specie del diritto di azione. Deve ritenersi che la facoltà di autoescludersi, integrante un onere in capo al titolare del diritto (76), sterilizzi l’“intrusione” causata dall’esercizio del- l’azione altrui. Entra anche in gioco -nel reputare compatibile con la nostra Costituzione il meccanismo dell’opt-out -il bilanciamento degli interessi, dei valori costituzionali (77). Viene in rilievo il “giusto processo”, integrante un principio (73) ROBERTO PARDOLESI, La classe in azione. Finalmente, in Danno e Resp., 2019, p. 305. (74) ANGELO DANILO DE SANTIS, L'azione di classe a dieci anni dalla sua entrata in vigore, in Foro it., 2019, I, c. 2180. (75) RICCARDO FRATINI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 122. (76) Sull’onere, ex plurimis C. MASSIMO BIANCA, Istituzioni di diritto privato, Milano, Giuffré, 2014, p. 56; FERNANDO BOCChINI, ENRICO QUADRI, Diritto privato, VII edizione, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 142-143. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà costituzionale (art. 111, comma 1, Cost.), sicuramente più garantito dal meccanismo dell’opt-out rispetto a quello dell’opt-in, da bilanciare con il principio costituzionale della disponibilità della tutela giurisdizionale (art. 24, comma 1, Cost.). Nel bilanciamento è possibile dare prevalenza al principio del “giusto processo”, declinato con il meccanismo dell’opt-out, rispetto al principio della disponibilità della tutela, tenuto conto che il titolare del diritto può autoescludersi al fine di evitare che altri disponga delle proprie situazioni giuridiche soggettive (78). Incidenza della proposizione dell’azione di classe sulle azioni analoghe. Nell’ordinamento americano la proposizione di una azione di classe da parte di un soggetto non inibisce la proposizione di analoghe azioni di classe da parte di altri soggetti appartenenti alla classe. È previsto solo che nella seconda fase del procedimento -ossia nella precertification dedicata all’esame delle questioni preliminari e preparatorie al giudizio -è possibile esaminare le problematiche del rapporto tra domanda di certification ed altri procedimenti pendenti, per giungere agli opportuni raccordi. Qualora un giudice federale rilevi una litispendenza o continenza di azioni, le soluzioni possono essere molteplici: -se tutti i procedimenti sono stati avviati di fronte a corti federali, si può applicare la disciplina delle Multidistrict Litigations (MDL), attraverso cui le questioni di fatto e di diritto comuni vengono decise da un giudice unico; -se non si ricorre alla MDL e le diverse azioni sono tutte proposte di fronte a giudici federali, costoro possono coordinarsi fra loro attraverso procedure informali o formalizzate; -nel caso in cui i procedimenti pendano davanti a giudici di grado diffe( 77) Sul bilanciamento degli interessi: RICCARDO GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano, Giuffré, 2011, pp. 206-211. (78) Anche SILVIA MONTI, LUCIANO CASTELLI, opt-out e diritto italiano: non c'è incompatibilità, in Danno e Resp., 2019, p. 699, reputano compatibile il meccanismo dell’opt-out nel nostro ordinamento giuridico, con le seguenti argomentazioni: “(i) sotto il profilo tecnico, se accompagnato da adeguate forme di pubblicità volte a informare della pendenza del procedimento di tutela collettiva i vari componenti della classe, sembrerebbe ben lungi dall'essere incompatibile con i principi che caratterizzano il nostro sistema processuale, primo fra tutti il principio del contraddittorio; (ii) sotto il profilo pratico, sarebbe più idoneo a garantire la tutela dei diritti dei membri della classe (storicamente apatici rispetto alla prospettiva di una tutela giudiziale delle proprie ragioni e a favorire la definizione transattiva della controversia, consentendo al convenuto di stimare, in base al numero dei membri della classe, i costi di un'eventuale soccombenza; (iii) sotto il profilo sistematico, da un lato, sarebbe compatibile con la Raccomandazione 396/2013 UE della Commissione europea che, pur esprimendosi in linea generale a favore del meccanismo dell'opt-in, non ha escluso il ricorso al meccanismo dell'opt-out, e, dall'altro, sarebbe coerente con la tendenza -riscontrata in altri ordinamenti europei -di estendere gli effetti della sentenza o della transazione collettiva, in assenza di una loro contraria manifestazione di volontà, anche ai titolari di situazioni omogenee rimasti estranei rispetto all'iniziativa processuale”. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 rente, federali e statali, l’ordinamento consente l’elasticità necessaria a gestire le controversie in modo omogeneo. Nell’ordinamento italiano, diversamente da quello americano, è previsto che la proposizione di una azione di classe da parte di un soggetto inibisce la proposizione di analoghe azioni di classe da parte di altri soggetti appartenenti alla classe. Vi è una sorta di effetto di prevenzione. Tanto sia nella disciplina del Codice del Consumo che in quella contenuta nella novella del 2019. Sul punto, l’art. 140 bis, comma 14, D.Lgs. n. 206/2005, nei confronti della classe passiva prevede che “non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti”. Ciò significa che i consumatori appartenenti alla classe, ma che non aderiscono, perdono comunque la possibilità di agire in un secondo momento in via collettiva. Per chi non vuole aderire all’azione, la pubblicità della proposizione dell’azione di classe è importante, perché preclude ai componenti la classe la proposizione autonoma della stessa azione di classe. Il componente la classe può agire solo con l’ordinaria azione individuale. Analogamente dispone l’art. 840 quater c.p.c., secondo cui decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell’area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all’articolo 840 ter, secondo comma, non possono essere proposte ulteriori azioni di classe sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente e quelle proposte sono cancellate dal ruolo. Le azioni di classe proposte tra la data di deposito del ricorso e il termine di cui al primo periodo sono riunite all’azione principale. Conciliazione della controversia. In entrambe le discipline, nel corso del processo attivato con l’azione di classe la parte proponente ed il convenuto possono conciliare la controversia e la conciliazione va ratificata dal giudice. Negli Stati Uniti -dove la maggior parte, nell’ordine dell’80-90 %, delle class actions terminano proprio con una transazione -è possibile trovare la conciliazione, definita “Certification for settlement”, solo prima della sentenza definitiva. Il giudice deve approvare (certification) ogni settlement che venga raggiunto dalle parti, con valutazione sia formale che sostanziale; a quest’ultimo riguardo andrà valutato se il settlement proposto sia “fair, adequate e reasonable”. L’approvazione dell’accordo è vincolante per tutti i membri della classe. Nel 2018 è stata introdotta la previsione della Federal Rule of Civil Procedure 23(e)(2)(D), esplicitamente ostativa alla omologazione di conciliazioni iniquamente discriminatorie, generalizzando regole già contemplate dal Class Action Fairness Act del 2005. Anche in Italia -secondo la disciplina del Codice del Consumo -nel corso del processo attivato dall’azione di classe la parte proponente ed il convenuto possono conciliare la controversia. L’accordo bonario, ove abbia ad oggetto i LEGISLAzIONE ED ATTUALITà diritti individuali omogenei anche di tutti o parte degli aderenti all’azione collettiva, non pregiudica i diritti degli aderenti che non vi hanno espressamente consentito. Questo impianto è stato mantenuto con la novella operata con la L. n. 31/2019, con delle specificazioni e la possibilità che la definizione bonaria possa intervenire sia prima che dopo la sentenza diretta all’accertamento della condotta plurioffensiva ex art. 840 sexies c.p.c. Rimane tuttavia incerto, nel dettato dell’art. 840 quaterdecies c.p.c., in base a quali criteri l’approvazione debba o meno concedersi: è senz’altro indefettibile una valutazione dei presupposti di regolarità formale dell’atto e di conformità dello stesso alle norme imperative dell’ordinamento, ma non è chiaro se, come accade negli Stati Uniti, debba anche verificarsi che il contenuto dell’accordo non sia eccessivamente difforme dall’attualizzazione del valore delle pretese degli aderenti, e non sia iniquamente discriminatorio nei confronti di alcuni aderenti (79). Procedimento sul merito della controversia. Superato il filtro di ammissibilità, il procedimento giudiziario nei due sistemi è molto diversificato. Più compatto negli Stati Uniti (con le fasi della discovery e del Trial e Judgement), più complesso e frammentato, specie all’esito della novella del 2019, in Italia. Invero, la novella del 2019 da una parte ha complicato il procedimento, dall’altra parte, però, ha rafforzato i poteri istruttori del giudice, superando le lacune della disciplina contenuta nel Codice del Consumo. Negli U.S.A. dopo la discovery si apre il dibattimento, in cui prima l’attore e poi il convenuto presentano la loro prospettazione della causa e si raccolgono le dichiarazioni dei testimoni e dei periti e le altre prove. Normalmente (tranne che in ipotesi specifiche) il giudice è affiancato da una giuria popolare. All’esito del trial (in USA si tiene conto del verdetto della giuria), il giudice emette la sentenza (judgment). Il giudice ha un forte potere discrezionale. In Italia la disciplina contenuta nel Codice del Consumo delinea un procedimento che dovrebbe essere -salvo il rispetto del contraddittorio -rapido e snello, attribuendo a tal fine incisivi poteri al giudice. All’esito del giudizio, ove accolta la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna, con cui liquida in via equitativa le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione. Con tale statuizione il giudizio si chiude. Tuttavia vi può essere una frammentazione: la legge prevede che in alternativa alla sentenza di liquidazione definitiva -nel caso in cui non sia possibile condannare il convenuto al risarcimento del danno o alle restituzioni -la sentenza può limitarsi a (79) ANDREA GIUSSANI, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 158. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 stabilire il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione delle somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione. In quest’ultima evenienza, dopo la sentenza -se non si addivenga ad un accordo inter partes sulla liquidazione del danno -seguiranno giudizi di completamento individuali di liquidazione, che costituiscono l’ineludibile appendice di una unica vicenda di tutela collettiva. Con la novella del 2019 il quadro si è ulteriormente complicato. In prima analisi, come abbiamo già accennato in precedenza, è possibile aderire all’azione di classe anche in un secondo momento (oltre la fase nella quale l’azione è dichiarata ammissibile), ossia dopo la pronuncia della sentenza di accoglimento dell’azione di classe ex art. 840 sexies, lettere e) e c). Inoltre il procedimento è stato spezzato in due distinte fasi con autonomi provvedimenti definitori: a) giudizio diretto all’accertamento della condotta plurioffensiva, ovvero di questioni comuni alla classe, che termina con una sentenza che, quando accoglie in tutto o in parte la domanda dell’attore, pronuncia l’accertamento e la condanna dell’impresa o dell’ente resistente al risarcimento o alle restituzioni in favore del solo attore. L’istruttoria è caratterizzata dai notevoli poteri ufficiosi del giudice diretti all’accertamento dei fatti costitutivi dell’azione, sul presupposto che l’attore è la parte debole del rapporto processuale e che, pertanto, al fine di riequilibrare la posizione processuale delle parti e garantire la effettività dei diritti, è necessario un intervento in favore della parte attrice. Sotto questo profilo, circa il primo giudizio, due sono gli aspetti rilevanti: a) carico delle spese della C.T.U. in capo al convenuto; b) incisivo ordine di esibizione, con una sorta di discovery intesa a garantire anche nei procedimenti collettivi l’accesso alle prove che non sono nell’immediata disponibilità della parte che se ne vuole servire (80); b) ove superato positivamente il primo giudizio, vi sarà un secondo giudizio diretto all’accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti che termina con un decreto che, quando accoglie in tutto o in parte la domanda di adesione, condanna il resistente al pagamento delle somme o delle cose dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento o di restituzione. Alla luce dei caratteri del procedimento sul merito nei due sistemi, emerge che il modello americano appare più funzionale, in confronto al modello italiano, specie all’esito dell’ultima modifica, rispetto all’ordinato e sollecito svolgimento del giudizio. Tra l’altro, il meccanismo della doppia finestra potrebbe rendere difficile definizioni transattive che, sul modello americano, dovrebbero costituire la regola. Autorevole dottrina evidenzia -con riguardo alla seconda finestra, che “questo meccanismo temporale, allarga incredibilmente (80) Per tale rilievo: GIULIA MAzzAFERRO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 172. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà il numero dei membri della classe, potendo determinare la nascita di comportamenti opportunistici. L’esperienza nordamericana ci rivela che, anche in relazione a due centrali caratteristiche dell’american tort law (cioè la regola in virtù della quale ciascuna parte è gravata delle spese processuali, non essendo prevista una soccombenza e quella per la quale possono essere concessi i punitive damages), le class action sono quasi sempre oggetto di intese transattive (settlement out of court) e quasi mai sono decise. In Italia, con la previsione di una adesione successiva alla sentenza, questa strada si rivelerà più difficilmente percorribile, determinando un aggravamento delle incertezze collegate a questo contenzioso” (81). Quantum della condanna del convenuto nelle azioni collettive. Una delle più significative differenze tra la disciplina americana e quella italiana attiene alla ammissibilità o meno della condanna del convenuto, ove accolta la domanda di classe, ai c.d. danni punitivi, ossia ulteriori rispetto ai danni effettivamente subiti. Una caratteristica del sistema americano sono i punitive damages, atteso anche il legame che sussiste tra l’ammontare del risarcimento e gli onorari degli avvocati. La sentenza di condanna, definitoria della class action, può svolgere una funzione non solo riparatoria e risarcitoria (compensatory damages), ma anche punitiva con finalità deterrente (exemplary/punitive damages). Se viene constatato un comportamento socialmente e civilmente censurabile (dolo, colpa grave), il giudice può condannare il convenuto a pagare non solo il risarcimento in senso stretto ma anche i cd. danni punitivi. Circa i danni punitivi si è rilevato che -sulla premessa secondo cui a nessuno dovrebbe essere concessa la possibilità di trarre profitto dal compimento di una condotta illecita -“questa articolazione risarcitoria conferisce alla vittima dell’illecito l’opportunità di ottenere una sanzione esemplare nei confronti di chi ha commesso in mala fede un atto particolarmente grave e riprovevole” (82). (81) GIULIO PONzANELLI, La nuova class action, in Danno e resp., cit., pp. 306 e ss. (82) Così RICCARDO PARDOLESI, voce Danni punitivi, in Dig. disc. priv. (sez. civ. -Aggiornamento), Torino, UTET, 2007, I, pp. 452 ss., il quale individua delle specifiche ipotesi legislative riconducibili alle fattispecie di danni punitivi nel nostro ordinamento giuridico, quali l’ipotesi dell’art. 125 D.l.vo 10 febbraio 2005, n. 30 contenente il Codice della Proprietà Industriale (“1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione. […]”) e la riparazione pecuniaria ex art. 12 L. 8 febbraio 1948, n. 47 sulla stampa (“Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato”). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 I punitive damages svolgono una importante influenza sulle scelte del convenuto durante il processo. Per la presenza massiccia dei danni punitivi all’interno dell’ammontare dei risarcimenti, l’eventualità di una condanna al pagamento di ingenti risarcimenti incide non poco sulla valutazione del convenuto circa la convenienza di addivenire ad un accordo. Le aziende statunitensi sono ben consapevoli delle ripercussioni negative che i danni punitivi posso avere nel sistema economico e cercano di chiudere nel modo più immediato la controversia, con proposte di composizione amichevole. Diversamente dall’ordinamento americano, nell’ordinamento giuridico italiano la regola è che il danno risarcibile è determinato in via primaria dal principio di causalità: il debitore è tenuto al risarcimento del danno che è conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (art. 1223 c.c., disposizione richiamata, in materia di danno aquiliano, dall’art. 2056 c.c.). Alla base di questa regola sta il principio del danno effettivo: l’obbligo del risarcimento deve adeguarsi al danno effettivamente subito dal creditore, il quale non deve ricevere né più né meno di quanto necessario a rimuovere gli effetti economici negativi dell’inadempimento o dell’illecito. Non sono ammessi, pertanto, a legislazione vigente, i c.d. danni punitivi. Non è, cioè, ammesso il risarcimento in funzione punitiva del danneggiante. È infatti estranea al nostro ordinamento l’idea che il risarcimento del danno possa avere una funzione afflittiva per il danneggiante (83). Questa è la regola. L’ordinamento potrebbe tuttavia, con una legge ad hoc, introdurre -per la tutela di interessi costituzionalmente tutelati -ipotesi di danni punitivi. Al riguardo si evidenzia altresì, in dottrina, che il panorama legislativo che regola la tutela giurisdizionale dei diritti è disseminato di sanzioni processuali che si presentano caratterizzate da aspetti comuni, quali la provenienza da parte del giudice, l’irrilevanza dell’accertamento dell’elemento soggettivo della condotta, l’indifferenza dell’esistenza del danno e del nesso di causalità, la predeterminazione dell’entità nonché la loro “portata esemplare”. Rientrano in questa categoria la misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c. e la condanna alla responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., norme entrambe introdotte dalla legge del 18 giugno 2009, n. 69 e chiari indici della funzione deterrente, punitiva ed esemplare che vuole andare ad assumere il processo civile, poiché, rispettivamente oltre al risarcimento e alla reintegrazione in forma specifica, prevedono la comminatoria di una sanzione (84). Da ultimo, il Supremo consesso della Corte di legittimità, in occasione (83) Per tali aspetti: C. MASSIMO BIANCA, Diritto civile. 5. La responsabilità, II edizione, Milano, Giuffré, 2012, pp. 140-141. (84) GIULIA MAzzAFERRO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., pp. 176-177. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà della pronuncia sulla delibazione di sentenze statunitensi, ha riconosciuto non ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei risarcimenti punitivi, a condizione che la sentenza straniera da delibare, contenente una liquidazione dei danni a titolo di sanzione, “sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscono la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico” (85). Quindi, da un punto di vista sistematico nulla osterebbe ad accogliere anche nell’ordinamento giuridico italiano la previsione di danni punitivi, specie nelle fattispecie di danni arrecati con microlesioni da imprese in situazioni di monopolio od oligopolio. Una tale previsione, deve ritenersi, conferirebbe maggiore funzionalità al sistema delle tutele. Tuttavia va registrato che -con riguardo alle azioni collettive risarcitorie -né la disciplina prevista dal Codice del Consumo né la legge n. 31/2019 hanno introdotto questo istituto peculiare che caratterizza profondamente il funzionamento delle class actions statunitensi, e che anzi ne costituisce uno degli elementi principali, ossia la condanna ai punitive damages. Occorre rilevare che, nell’operare questa scelta preclusiva, il legislatore interno è stato probabilmente influenzato dalla normativa comunitaria in materia: infatti, la Raccomandazione 2013/396/UE suggerisce il divieto dei risarcimenti punitivi che hanno come conseguenza un risarcimento eccessivo a favore della parte ricorrente. Invece, nelle azioni collettive inibitorie -sia nella disciplina contenuta nel Codice del Consumo (art. 140, commi 7 ed 8) che nella legge n. 31/2019 (art. 840 sexiesdecies c.p.c.) -vi è la previsione di comminatoria di danni punitivi nella evenienza che l’ingiunzione venga disattesa dal destinatario. Anzi, con la novella del 2019 viene meglio disciplinata l’astraintes collegata all’accoglimento dell’azione, con l’applicazione della misura coercitiva generale dell’art. 614 bis c.p.c. Spese di lite. Notevolmente diversa è la disciplina delle spese di lite nei due sistemi in comparazione, conseguenza delle regole generali valevoli per i rispettivi processi civili. Il governo delle spese negli USA è uno dei fattori del successo della class action. In Italia, con la novella del 2019, proprio nella materia delle azioni collettive è stata introdotta una normativa che, alla lontana, richiama il modello statunitense, in chiara funzione di incentivo all’azione di classe. Negli USA il funzionamento del processo civile è fortemente influenzato da due regole peculiari che riguardano le spese e gli onorari degli avvocati. (85) Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 5 luglio 2017, n. 16601. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 La prima è l’American rule che riguarda la ripartizione delle spese della causa tra il vincitore e il soccombente. Questa regola implica che ognuna delle parti sopporta le spese processuali che ha incontrato, compresi gli onorari dei suoi avvocati, salvo che regole generali dicano qualcosa di diverso. Questo contrasta con i principi esistenti nella maggior parte degli altri ordinamenti, tra i quali quello italiano, per cui il soccombente deve rimborsare le spese processuali del vincitore, o una parte di esse. In Italia, sul punto l’art. 91 c.p.c. statuisce: “Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore del- l’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”, salvo che sussistano ragioni per compensare le spese di lite secondo la disciplina contenuta nell’art. 92 c.p.c. La seconda regola tipica del sistema americano -già evidenziata in precedenza -è che sono ammesse le contingent fees, ossia il “patto di quota lite”. Secondo l’accordo consentito da questa regola, il difensore non riceve alcun onorario per la sua attività, salvo una percentuale concordata delle somme che vengono recuperate dalla causa. Questo sistema è normale per l’attore nelle cause per risarcimento dei danni da lesioni personali, in certi tipi di cause in materia finanziaria o commerciale e nelle class actions, mentre è usato raramente dal convenuto. L’American rule, a parità di tutte le altre condizioni, tende a favorire gli attori che hanno limitate risorse, più di quanto accade secondo le regole che prevalgono negli altri sistemi. Un accordo sulle contingent fees consente al- l’attore di proporre la sua causa, con l’assistenza di un avvocato, senza rischiare di dover pagare l’avvocato se la domanda non viene accolta. L’avvocato investe il tempo necessario per preparare la causa e svolgere le attività di difesa; per consuetudine egli provvede anche a pagare le spese accessorie, come quelle relative alla discovery e agli esperti. L’accordo normale è che l’avvocato riceve un terzo della somma che recupera, oltre al rimborso delle spese di causa che ha anticipato. In realtà, l’accordo sulle contingent fees fa diventare l’avvocato una sorta di socio del cliente nello svolgimento della causa. È per questo che nella maggior parte degli ordinamenti esso è proibito, poiché l’avvocato finisce con l’avere un interesse economico personale nella causa. Di solito gli avvocati non accettano cause sulla base di contingent fees, a meno che vi sia una buona probabilità di ottenere somme elevate in rapporto all’investimento in tempo e in denaro che spetta all’avvocato (86). In Italia fino alla entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 233 (più noto come decreto Bersani), conv. L. 4 agosto 2006, n. 248, era nullo il patto (86) Sulle spese di lite negli USA: GEOFFREy C. hAzARD -MIChELE TARUFFO, La giustizia civile negli Stati Uniti, cit., pp. 114-116. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà di quota lite. Difatti il comma 3 dell’art. 2233 c.c. stabiliva “Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni”. La ratio del divieto del patto di quota lite era da individuarsi nella garanzia della piena estraneità alle sorti della lite del soggetto che, per quella lite, presta assistenza. Anche secondo la giurisprudenza il divieto del patto di quota lite tra l’avvocato ed il suo cliente si ricollegava essenzialmente all’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, che sarebbe risultata pregiudicata quando nella convenzione concernente il compenso era comunque ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli (87). L’art. 2 del decreto Bersani ha abolito, salva ovviamente l’applicazione dell’art. 1261 c.c. (88), il divieto del patto di quota lite, con la riformulazione dell’art. 2233, comma 3, c.c. il cui attuale testo è il seguente: “Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”. La modifica non è effettuata nel senso di sopprimere direttamente ed espressamente il divieto del patto di quota lite; la disposizione si riferisce infatti in generale ai patti sui compensi. Tuttavia, la sostituzione implica che viene meno il divieto esplicito e preciso concernente i patti “relativi a beni che formano oggetto della controversia”. Fatto salvo l’obbligo di dare all’accordo forma scritta, viene dunque meno il divieto di stabilire i compensi professionali a prescindere dalle griglie tracciate dal “tariffario forense” e di individuare nei beni e/o diritti in causa la fonte dalla quale attingere per soddisfare le pretese professionali dell’avvocato. Il decreto Bersani, dunque, elimina il divieto per i legali di convenire compensi parametrati ai risultati da conseguire, concedendo la facoltà di pattuire accordi “tra avvocati e praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscano i compensi professionali”, all’unica condizione che siano redatti in forma scritta. Il Consiglio Nazionale Forense, di conseguenza, ha modificato con delibera del 18 gennaio 2007 l’art. 45 del codice deontologico forense (che vietava il patto di quota lite). Il nuovo testo dell’art. 45 recita che “è consentito all’avvocato pattuire con (87) Così Cass. civ. Sez. II, 19 novembre 1997, n. 11485. (88) “I magistrati dell'ordine giudiziario, i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i procuratori, i patrocinatori e i notai non possono, neppure per interposta persona, rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l'autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni. La disposizione del comma precedente non si applica alle cessioni di azioni ereditarie tra coeredi, né a quelle fatte in pagamento di debiti o per difesa di beni posseduti dal cessionario”. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’articolo 1261 c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati all’attività svolta”. Anche la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense prevede che “la pattuizione dei compensi è libera”, con la precisazione che è ammessa la pattuizione, tra l’altro, “a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione” (art. 13, comma 3, L. n. 247/2012). L’ammissione, dall’anno 2006, del patto di quota lite nell’ordinamento italiano, tuttavia, non ha avuto nella pratica una evoluzione del tipo statunitense. Difatti, il patto di quota lite è raro nella pratica, anche a causa di vari limiti legislativi. In primo luogo un notevole limite di sistema è la regola secondo cui “L’esercizio dell’attività di avvocato deve essere fondato sull’autonomia e sulla indipendenza dell’azione professionale e del giudizio intellettuale” (art. 3, comma 1, L. n. 247/2012). Un patto di quota lite “all’americana” con la previsione che la terza parte della vittoria spetti al difensore -creando una evidente cointeressenza tra parte e difensore -rende “partigiana” e non autonoma ed indipendente l’attività difensiva. Inoltre il comma 4 del citato art. 13 L. n. 247/2012, attesa la vigenza del- l’art. 1261 c.c., stabilisce “Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”. Tale disposizione rende problematico il rapporto con le statuizioni di cui al precedente comma 3 dell’art. 13, rilevandosi in dottrina una limitazione del contenuto del patto di quota lite (89) o addirittura una reintroduzione parziale del divieto del patto di quota lite (90). Attesi i limiti sopraevidenziati del patto di quota lite, nell’evidente tentativo di individuare incentivi per rendere “interessato”, motivato, l’avvocato alla efficacia della proposizione dell’azione di classe è stata introdotta la disciplina contenuta nell’art. 840 novies c.p.c. L’art. 840 novies descrive la regolazione delle spese del procedimento per l’esclusivo esito di soccombenza del resistente, introducendo la figura del compenso c.d. quota lite, ossia la somma che l’impresa deve corrispondere al rappresentante comune degli aderenti e all’avvocato del ricorrente vittorioso. Ciò in aggiunta alla sorta capitale. Il legislatore interno, nel normare tale disciplina, sembra essersi ispirato alla normativa federale in materia, la quale, come innanzi precisato, riconosce (89) GIUSEPPE CONTE, La tormentata disciplina del "patto di quota lite" e le equivoche novità introdotte con la riforma forense, in Contratto e Impr., 2013, 4-5, pp. 1109 e ss. (90) UGO PEREFETTI, La nuova legge sulla professione forense. Riflessioni a margine del divieto del patto di quota lite, in Riv. Dir. Civ., 2013, 2, pp. 413 e ss. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà un ruolo predominante alla figura dell’avvocato (rectius, lead consuel), il quale, per mezzo del proprio studio legale, assume nella maggioranza dei casi la posizione di vero e proprio finanziatore della class action, con la disciplina della contingency fees. Negli Stati Uniti, se da un lato l’utilizzo di tale meccanismo consente di ottenere ingenti guadagni per i professionisti, dall’altro lato tali profitti derivano da una ripartizione tra cliente e avvocato della somma liquidata globalmente (91). Al contrario, la novella legislativa della disciplina delle azioni di classe nel nostro ordinamento, ai fini della liquidazione del compenso premiale del difensore, impone una voce aggiuntiva di spesa sulla controparte. Efficacia soggettiva ed oggettiva del procedimento. L’ambito soggettivo del procedimento è il corollario del diverso meccanismo -opt-out / opt-it -previsto. A grandi tratti, negli Stati Uniti l’efficacia della sentenza colpisce tutti i class members di una class action che non hanno esercitato l’opt-out. Tuttavia questi ultimi possono comunque evitare i vincoli del giudicato agendo in un autonomo giudizio nel caso che la sentenza che li pregiudichi sia affetta da gravi vizi processuali. Al contrario, nell’ordinamento italiano la sentenza pronunciata all’esito dell’azione di classe fa stato solo tra le parti e gli aderenti. Oggetto del giudicato è l’accertamento dell’esistenza (con conseguente condanna del convenuto) o meno dei diritti soggettivi individuali azionati. Negli Stati Uniti, come già accennato, la sentenza ha un contenuto più ampio di quello ammesso nell’ordinamento italiano: può avere tre tipi di effetti: accertamento, costitutivo e di condanna. Nell’ordinamento italiano non si ammette la sentenza costitutiva nelle azioni di classe. Finalità della azione di classe. Le finalità perseguite dai due ordinamenti sono analoghe: si punta a raggiungere l’effettività della tutela giurisdizionale, la deterrenza rispetto a condotte dannose e l’economicità processuale. Negli Stati Uniti, tuttavia, la class action -in specie quella riconducibile alla categoria di cui alla Rule 23 (b) (1) -consente di realizzare una finalità ulteriore, costituita dalla adeguata tutela dei litisconsorti necessari. Ciò è da ricollegare alla peculiarità della nozione di litisconsorzio necessario nell’ordinamento americano, risultante dalla disciplina introdotta dalla riforma del 1966 con la modifica della Rule 19 della Federal of Civil Procedure. Impatto pratico della disciplina dell’azione di classe. (91) GIULIA MAzzAFERRO, in Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, a cura di BRUNO SASSANI, cit., p. 165. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Si è evidenziato che le class actions sono un istituto di “successo” negli Stati Uniti. In Italia, invece, la normativa prevista dal Codice del Consumo -per le ragioni innanzi illustrate -non ha avuto molto successo, anzi possiamo definirla di impatto pratico fallimentare. Allo stato, non è possibile compiere un bilancio pratico sulle novità introdotte dalla legge n. 31/2019 visto che il procedimento deve ancora entrare in vigore, a causa della lunga vacatio legis prevista nell’art. 7, comma 1, della detta legge secondo cui “Al fine di consentire al Ministero della giustizia di predisporre le necessarie modifiche dei sistemi informativi per permettere il compimento delle attività processuali con modalità telematiche, le disposizioni di cui alla presente legge entrano in vigore decorsi dodici mesi dalla pubblicazione della medesima legge nella Gazzetta Ufficiale”. La pubblicazione della legge è avvenuta il 18 aprile 2019. Peraltro il legislatore, con l’art. 8, comma 5, D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, conv. L. 28 febbraio 2020, n. 8, ha portato a diciannove mesi il periodo di vacatio, sicché le disposizioni dovrebbero entrare in vigore il 19 novembre 2020. È tuttavia probabile che, tenuto conto dell’attuale contingenza sanitaria dovuta alla pandemia causata dall’infezione COVID 19, determinante disservizi e sospensione dei giudizi civili (art. 83 D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. L. 24 aprile 2020, n. 27), e della ostilità diffusa del mondo imprenditoriale, il termine di entrata in vigore verrà ulteriormente differito. In chiave di previsione sul successo del procedimento novellato, deve rilevarsi che la nuova disciplina migliora in più punti quella contenuta nel Codice del Consumo (ad esempio sul regime dell’ambito oggettivo e soggettivo dell’azione, delle prove e degli incentivi per gli avvocati), ma nel complesso non introduce quelle radicali novità -sul modello statunitense -necessarie per la diffusione operativa dell’istituto. Si intende far riferimento al meccanismo di efficacia per la classe. Solo il meccanismo dell’opt-out rende efficace il procedimento, consente la realizzazione delle finalità connesse alle azioni collettive. E tale meccanismo non è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano. Inoltre, il procedimento si presenta inutilmente complesso: la farraginosità viene addirittura aggravata dalla “doppia finestra” per le adesioni dei componenti la classe e la divisione del giudizio di merito in due distinte fasi: il giudizio diretto all’accertamento della condotta plurioffensiva, ovvero di questioni comuni alla classe e, superato positivamente questo, il giudizio diretto all’accertamento dei diritti individuali omogenei degli aderenti. Manca, poi, una disciplina sui danni punitivi, essenziale per la realizzazione della funzione di deterrenza rispetto a condotte dannose, funzione che costituisce uno dei connotati dell’azione collettiva risarcitoria. Un legislatore sensibile alla realizzazione delle finalità connesse all’eser LEGISLAzIONE ED ATTUALITà cizio dell’azione di classe, all’evidenza, in sede di novella della novella, dovrebbe: - introdurre il meccanismo dell’opt-out; - semplificare il procedimento; -prevedere i danni punitivi con riguardo all’azione collettiva risarcitoria. Infine, va tenuta nel debito conto l’incidenza dell’ambiente giuridico ruolo del giudice e degli avvocati - sulla dinamica delle azioni collettive. In un ambiente giuridico, come quello americano, in cui il giudice è molto politicizzato, giudici “progressisti” sicuramente contribuiscono al successo delle azioni di classe, essendo più disponibili a tutelare le istanze di parti deboli a fronte di monopolisti, oligopolisti o multinazionali. Inoltre -e questo è il punto veramente decisivo -è coessenziale al successo delle azioni di classe la presenza di avvocati dinamici, capaci di finanziarsi e di fiutare le occasioni favorevoli al fine di contribuire alla proposizione di azioni giudiziarie con probabilità di accoglimento nell’interesse dei componenti della classe e con un tornaconto proprio. In Italia l’aspetto relativo al ruolo dei giudici -indipendenti e non politici - è, a Costituzione vigente, immodificabile. Invece, la novella sul governo delle spese ex art. 840 novies c.p.c. potrebbe determinare la nascita di un nuovo modello di avvocato, più dinamico nel senso anzidetto, oppure attirare la venuta nel territorio nazionale di studi legali stranieri pronti a cogliere le opportunità aperte dalle previsioni dell’art. 840 novies c.p.c. Lo stimolo ad un diverso ruolo dell’avvocato, ovviamente, sarebbe maggiore, ove vi fosse una ampia modifica della legislazione sulle spese di lite sul modello del contingency fee statunitense. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Il contrasto al finanziamento del terrorismo: un duro compromesso tra esigenze di tutela e garanzie di offensività e determinatezza Massimiliano Stagno* L’autonoma incriminazione del finanziamento di condotte con finalità di terrorismo se da un lato, rappresenta la definita presa di coscienza circa l’importanza di contrastare un simile fenomeno, dall’altro, personifica -ancora una volta -la figura di un legislatore “debole” complice di un declino della legalità. L’articolo, dopo una breve analisi delle fonti sovranazionali e nazionali relative al finanziamento del terrorismo, si incentra, assunto come perno normativo l’art. 270-quinquies.1 c.p., sull’ennesimo sacrificio dei principi di offensività e determinatezza nelle scelte d’incriminazione, il quale favorisce sempre più lo sviluppo del c.d. diritto giurisprudenziale. SoMMARIo: 1. Considerazioni introduttive -2. Il paradigma criminale del finanziamento in ottica sovranazionale e nazionale -3. La multiformità dei metodi di finanziamento -4. Il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo: un ennesimo ricorso all’atto preparatorio come fonte d’incriminazione -4.1 L’anticipazione della tutela oltre i limiti dell’offensività 4.2 Ancora un esempio di fattispecie a tipicità mancata -5. Un compromesso coatto: l’ausilio della giurisprudenza per il recupero della legalità. 1. Considerazioni introduttive. Prescindendo da qualsivoglia riferimento normativo, per una prima definizione del concetto di terrorismo -su un piano più psicoanalitico -si potrebbero citare le parole di Luigi zoja secondo cui «[il terrorismo] è il maggior pericolo non per l’esistenza fisica, ma per l’equilibrio psichico del cittadino» (1). Va da sé che non è certo questa la nozione che può attribuirsi al fenomeno terroristico, per lo meno in termini giuridici. Ad onor del vero, non esiste, ad oggi, una vera e propria definizione univoca e comune: il terrorismo è fin dalle sue origini, un fenomeno -prima ancora che di difficile prevenzione -di ardua comprensione e definizione (2). Negli ultimi decenni, infatti, il terrorismo ha assunto connotati operativi sempre più incerti tanto da far tornare attuale il problema della prevenzione e della difesa dei singoli Stati dalle aggressioni delle organizzazioni terroristiche, mettendo in evidenza la necessità di un “piano comune” di contrasto, il quale (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. St. Luigi Simeoli). (1) Così, L. zOJA, Nella mente di un terrorista. Conversazione con omar Bellicini, Torino, 2017. (2) In merito alla definizione di terrorismo, v. tra tutti A. VALSECChI, Il problema della definizione di terrorismo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p. 1127. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà si presenta tanto più complesso se si pensa al fatto che, affinché un gruppo terroristico operi portando a termine i propri scopi, non è sufficiente che questo sia spinto da una comune ideologia di fondo; serve altro: in primo luogo, strumenti e mezzi idonei a reperire i fondi necessari per portare a compimento i propri propositi, manifestandosi per tale aspetto l’importanza del fenomeno del finanziamento, come principale canale di contrasto al più generale fenomeno del terrorismo, tanto da avere ‘necessitato’ in materia penale una sua autonoma incriminazione ai sensi dell’art. 270-quinquies.1 c.p. 2. Il paradigma criminale del finanziamento del terrorismo in ottica sovranazionale e nazionale. In un sistema normativo multilivello di contrasto al finanziamento del terrorismo, l’individuazione di una nozione pressoché univoca di “finanziamento” risulta un compito particolarmente complesso (3). Nel panorama internazionale, dapprima con la “Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo” (meglio nota come Convenzione di New york) del 9 dicembre 1999, e successivamente con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU n. 1373/2001 e la raccomandazione del Financial Action Task Force il finanziamento, da mera ipotesi di complicità o, comunque, di sostegno materiale alla realizzazione o programmazione di un atto terroristico, a prescindere dalla definizione di terrorismo accolta (art. 2 Convenzione financing) (4), ha assunto, nel nuovo millennio, il rango di fattispecie autonoma, rendendo il finanziatore responsabile anche laddove i fondi vengano destinati solo all’organizzazione e non ai singoli atti terroristici. Anche sul fronte comunitario, solo in risposta al noto attentato dell’11 settembre 2001, si avvertì l’esigenza di intervenire in maniera più incisiva per contrastare il terrorismo; così, dunque, il pur tardivo (5) intervento comunitario (3) Tale problematica viene ripresa da C. DI STASIO, La lotta multilivello al terrorismo internazionale. Garanzia di sicurezza versus tutela dei diritti fondamentali, Milano, 2010. (4) Così, G. DI VETTA, Nuove disposizioni penali di contrasto al terrorismo. La repressione del circuito di finanziamento, commento alla L. 153/2016, in LP, 5 ottobre 2017, p. 5; Cfr. anche V. ARAGONA, Il contrasto al finanziamento del terrorismo. Criticità e innovazioni della nuova disciplina italiana, in Dir. pen. cont., 2017, 1, p. 98. L’art. 2, par. 1, della Convenzione di New york 1999, individua il finanziamento come la volontaria attività di fornitura di fondi con qualsiasi mezzo diretto o indiretto (elemento oggettivo), unitamente alla consapevolezza che essi saranno usati per svolgere azioni illecite (elemento soggettivo) individuate in «a) un atto che costituisce reato ai sensi e secondo la definizione di uno dei trattati enumerati nell’allegato; b) ogni altro atto destinato ad uccidere o a ferire gravemente un civile o ogni altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato quando, per sua natura o contesto, tale atto sia finalizzato ad intimidire una popolazione o a costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere, un atto qualsiasi». (5) Sul punto, cfr. G. DI VETTA, Nuove disposizioni, cit., pp. 6 ss., secondo il quale dovrebbe rivestire «un particolare significato l’interrogativo intorno alle ragioni che hanno determinato un così considerevole ritardo nell’adozione a livello internazionale di una specifica strategia di contrasto al fenomeno del finanziamento». RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 è stato fin da subito caratterizzato -a differenza di quello internazionale -da una particolare attenzione anche al fenomeno del finanziamento, fornendone una concezione in termini di fattispecie autonoma (6), per poi intervenire tramite una serie di atti il cui obiettivo primario (da conseguirsi tramite attività di controllo e di congelamento dei fondi) era la prevenzione e la protezione di attività destinate a finanziare i gruppi terroristici (7). In un’ottica nazionale, l’estrema instabilità del fenomeno terroristico ha registrato un cospicuo intervento del legislatore tramite una stratificazione normativa, spesso al limite del c.d. “diritto penale d’autore” (8), caratterizzata dal frequente ricorso alla legislazione d’urgenza, sfociata in una “ipertrofia normativa” (9) resa più evidente dal diverso trend seguito in risposta agli interventi sovranazionali: solo a partire dal 2005 si inizia a privilegiare aspetti più preventivi che repressivi, tramite una incisiva anticipazione della tutela penale (10), per poi assumere, in tempi molto più recenti, una maggiore con (6) Segnatamente, con la decisione del Consiglio d’Europa n. 475/2002, è stata inclusa tra le varie condotte di partecipazione ad un gruppo terroristico anche quella di fornitura di risorse materiali o finanziarie, con la consapevolezza che tale partecipazione avrebbe contribuito all’attività terroristica del gruppo. (7) A titolo esemplificativo è possibile citare il regolamento n. 467/2001 (successivamente abrogato) il quale imponeva il congelamento di tutti i tipi di fondi appartenenti a persone fisiche o giuridiche specificatamente indicate in un apposito elenco; e, ancora, la dichiarazione sulla lotta al terrorismo adottata dal Consiglio Europeo del 25 marzo 2004. (8) La problematica è affrontata da F. FASANI, Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. pen. proc., 2015, 8, pp. 926 ss. Il rischio che il diritto penale del fatto, nella materia antiterrorismo, sfoci nella diversa forma del diritto penale d’autore sembra ormai nella prassi legislativa concretizzatosi proprio nelle disposizioni degli artt. 270-bis e ss. c.p. Con la formula “diritto penale d’autore” si allude, in termini equivalenti all’espressione “diritto penale del nemico”, ad una draconiana anticipazione della soglia della punibilità, sanzionando “il tipo di autore”. Tra gli altri, cfr. R. BARTOLI, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico, jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, 2008; G. FLORA, Verso un diritto penale del tipo d’autore? in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, pp. 559 ss.; M. DONINI, Lotta al terrorismo e ruolo della giurisdizione. Dal codice delle indagini preliminari a quello postdibattimentale, in Questione Giustizia (edizione speciale), 2016, pp. 113 ss.; F. MANTOVANI, Il diritto penale del nemico, il diritto penale del- l’amico, il nemico del diritto penale e l’amico del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 484. (9) Numerosi gli interventi del legislatore attuati mediante il sistema della “decretazione d’urgenza”, spesso oggetto di critiche da parte della più attenta dottrina. Si è passati, infatti, dal d.l. n. 374/2001, convertito dalla l. n. 438/2001, per transitare dal d.l. n. 144/2005, convertito dalla l. n. 155/2005, fino al d.l. n. 7/2015, convertito dalla l. n. 43/2015, adottati tutti all’indomani di clamorosi e famigerati attacchi terroristici. Sul punto, A. CAVALIERI, Considerazioni critiche intorno al D.L. antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015, in Dir. pen. cont., 2015, 3, pp. 228 ss. Per una ricostruzione dettagliata degli interventi comunitari cfr. S. SANTINI, L’Unione Europea compie un nuovo passo nel cammino della lotta al terrorismo: una prima lettura della direttiva 2017/541, in Dir. pen. cont., 2017, 7-8, pp. 14 ss. (10) Con l’intervento ad opera della l. n. 155/2005 il legislatore ha inserito nel codice penale i reati di cui agli artt. 270-quater (Arruolamento con finalità di terrorismo internazionale); 270-quinquies (Addestramento ad attività di terrorismo anche internazionale); 270-sexies (Condotte con finalità di terrorismo). A commento della riforma, v. R. WENIN, Una riflessione comparata sulle norme in materia di addestramento per finalità di terrorismo, in www.dirittopenalecontemporaneo.it , 23 gennaio 2017; A. VALESChI, Brevi osservazioni di diritto penale sostanziale, in Dir. pen. proc., 2005, p. 1228. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà sapevolezza circa l’opportunità di colpire le organizzazioni terroristiche sul piano del sostentamento economico, mediante disposizioni volte principalmente a “congelarne” i beni (11). Proprio in quest’ambito si inserisce l’intervento del legislatore tramite la l. n. 153 del 2016, recante “Norme per il contrasto al terrorismo”, con la quale il Parlamento ha ratificato cinque Convenzioni internazionali (12) (il cui baricentro orbita intorno al contrasto del terrorismo, ma che al contempo toccano temi quali riciclaggio, sequestro e confisca dei beni ad esso strettamente funzionali), assumendo tale novella legislativa fin da subito particolare rilievo per avere frattanto introdotto nel codice penale l’art. 270-quinquies.1, rubricato “Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo” (13). Nell’evoluzione più recente, il terrorismo (così come il finanziamento) è ormai slegato da un contesto prettamente nazionale e la dimensione interna è andata sovrapponendosi a quella internazionale in modo tale da rendere sempre più complessa l’individuazione della fonte della minaccia: «il rischio terroristico diventa per così dire ubiquitario» (14). 3. La multiformità dei metodi di finanziamento del terrorismo. Per completezza pare, inoltre, opportuna qualche ulteriore considerazione relativa ai sistemi maggiormente utilizzati dalle organizzazioni terroristiche per procurarsi i mezzi necessari alle loro attività. (11) Cfr. G. MARINO, Lo “statuto del terrorista”: tra simbolo ed anticipazione, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2017, 1, p. 46, secondo il quale «quest’ultima strategia [basata sul congelamento dei beni], chiaramente, esprime un minor grado di pericolosità rispetto all’anticipazione della soglia dell’intervento penale offerta dalla prima». Il diverso modo di operare del legislatore è rinvenibile nell’introduzione, ad opera della l. n. 153/2016, dei reati di cui agli artt. 270-quinquies.2 (Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo) e 270-septies (Confisca nel caso di condanna per delitto con finalità terroristica). (12) In particolare, si tratta della Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo, stipulata a Varsavia il 16 maggio 2005, unitamente a quella sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, e del relativo Protocollo addizionale, stipulato a Riga il 22 ottobre 2015, della Convenzione ONU per la oppressione di atti di terrorismo nucleare del 14 settembre 2005 e, infine, del Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, stipulato a Strasburgo il 15 maggio 2003. (13) L’intervento normativo si lascia ulteriormente apprezzare per l’attenzione posta al terrorismo nucleare tramite la previsione dell’art. 280-ter c.p., e per l’introduzione di una speciale ipotesi di confisca. Cfr. sul punto, F. FASANI, Un nuovo intervento di contrasto al terrorismo internazionale, in Dir. pen. proc., 2016, 12. L’attenzione verso il finanziamento non è nuova nel nostro ordinamento: si pensi, infatti, al d.lgs. 109/2007, attuativo della Direttiva 2005/60/CE. Per un’attenta analisi delle disposizioni del d.lgs. 109/2007 cfr. M. SAVINO, La disciplina italiana della lotta al finanziamento del terrorismo, in Giornale di diritto amministrativo, 2008, 5, pp. 497 ss. In tempi più recenti rileva il d.lgs. n. 90/2017, attuativo della c.d. Quarta direttiva. Per una compiuta analisi del contenuto del d.lgs. n. 90/2017, v. anche T. GIACOMETTI, O. FORMENTI, La nuova disciplina in materia di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo (D.lgs. 25 maggio 2017, n. 90), in Dir. pen. cont., 2017, 7-8, pp. 195 ss. (14) Così, V. MILITELLO, Terrorismo e sistema penale: realtà, prospettive e limiti, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2017, 1, p. 5. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Basti pensare, a tal proposito, alla diffusione su scala mondiale nei mercati ed alla facilità di utilizzo dei bitcoins, i quali, garantendo l’anonimato assoluto degli utenti, complice l’assenza di un quadro normativo regolatore, contribuiscono alla diffusione di meccanismi che mantengono le caratteristiche della moneta prescindendo da un supporto cartaceo, il che rende maggiormente complessa l’individuazione e il “congelamento” tramite le opportune misure ablatorie (15). Non è certo una novità che il terrorismo si alimenti coi proventi derivanti dalla realizzazione di reati, primo tra tutti il sequestro di persone a scopo di estorsione (16), ai quali si sommano fondi di provenienza lecita: la cultura islamica e lo zakat, terzo pilastro dell’Islam, inteso come “debito verso Dio”, impongono a determinati soggetti -in primis moschee ed enti di beneficienza (17) -il pagamento di somme di denaro come prezzo per la purificazione del- l’anima, le quali incombono nel rischio di essere stornate a favore di organizzazioni terroristiche. Sul diverso versante dei sistemi di smistamento, un ruolo di primaria importanza -senza, tuttavia, sottovalutare l’utilizzo di circuiti legali (18) -può assegnarsi a quel meccanismo definito comunemente Hawala, un sistema di “intermediazione umana” di denaro in contanti (e non solo), svincolato da qualsivoglia processo burocratico e fondato su una regola immutabile: «il denaro non lascia mai il paese in cui si trova» (19); a ciò affiancandosi fenomeni, (15) In generale sulla funzione del bitcoin, cfr. M. MANCINI, Valute virtuali e Bitcoin, in Analisi giuridica dell’economia, 2015, 1, p. 117. (16) Il sequestro a scopo di estorsione si è trasformato in un vero e proprio business che frutta, secondo le stime del GAFI, dai 20 ai 40 milioni di dollari, ma non è l’unica fonte di finanziamento derivante da attività illecite; ad esso si affiancano le più disparate attività che vanno dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al traffico di sostanze stupefacenti. Di recente, un’ulteriore fonte di finanziamento che è risultata dalle indagini svolte riguarda il commercio di auto rubate, a riprova del fatto che il fenomeno può sfuggire dall’ottica di prevenzione per poi rientrarvi solo dopo un’attenta analisi delle autorità competenti. (17) A. POPOLI, I canali di finanziamento al terrorismo e le strutture di contrasto, in Iura orientalia II, 2006, cit., p. 137 il quale afferma che «la raccolta delle donazioni ammonterebbe, nella sola Arabia Saudita, in media, ai 3-4 miliardi di dollari su base annua (spesso in contanti)». (18) Stando ai dati riportati nell’“Analisi nazionale dei rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo elaborata dal Comitato di sicurezza nazionale -aggiornato al 2018”, in www.dt.mef.gov.it, tra l’anno 2017 e il 2018 il ricorso a sistemi di money transfer come canale di finanziamento ha subito un notevole incremento che testimonia l’aumento della percezione del rischio al riguardo, dovuto anche al costante aumento degli operatori -compresi gli esercizi commerciali -che offrono servizi di money transfer. Sul funzionamento di tale meccanismo cfr. F. zAMPONI, Il finanziamento del terrorismo internazionale, fattispecie e strumenti di contrasto, in www.diritto.it, pp. 6 ss. (19) Così, A. POPOLI, I canali, cit., p. 137. Di seguito, si ripropone l’esempio fornito dall’Autore che consente di comprendere l’operare del meccanismo: «Da Islamabad un uomo chiama il suo “contatto”, a New york. Gli dice: verrà da te Khalid, dagli quello che gli serve. Il “contatto di New york” riceve, dunque, Khalid con cortesia. Poco dopo Khalid ha in tasca la cifra che gli occorre. A Islamabad, nel frattempo, qualcuno di al Qaida consegnerà ad un familiare dell’uomo di New york l’importo anticipato ». LEGISLAzIONE ED ATTUALITà 239 quali il riciclaggio, che vanno (o andrebbero) tenuti distinti in termini di strategie di contrasto; ciò nondimeno, molto spesso il legislatore comunitario è intervenuto prevedendo identici strumenti di tutela per contrastare i due fenomeni, sulla base di una sostanziale identificazione degli stessi (20), il cui intreccio risulterebbe ancor più evidente laddove si consideri che il finanziamento del terrorismo ben può rappresentare il reato presupposto del riciclaggio, il quale è a sua volta utilizzato dalle organizzazioni terroristiche per l’immissione nei circuiti legali di proventi illeciti (21). 4. Il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo: un ennesimo ricorso all’atto preparatorio come fonte di incriminazione. Come in precedenza osservato, l’intervento del legislatore con l. n. 153 del 2016, consapevole del rilievo pratico e materiale che ha il finanziamento nella crescita del terrorismo, ha assunto una portata dirompente nel nostro ordinamento prevedendo -in maniera apprezzabile quantomeno sul piano delle intenzioni -l’incriminazione autonoma di condotte di finanziamento del terrorismo (art. 270-quinquies.1 c.p.) indipendentemente dalla loro realizzazione nella cornice degli artt. 270-bis e 270-ter c.p. Segnatamente, la norma punisce al primo comma «chiunque, al di fuori dei casi di cui agli artt. 270-bis e 270-quater.1, raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati ad essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’art. 270-sexies […] indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte». Premessa la discutibile formulazione della norma, che lascia spazio a molti interrogativi e dubbi di legittimità (non certo nuovi alla materia antiterrorismo), sembra comunque possibile evidenziare alcuni elementi certi: innanzitutto, la clausola di riserva posta nell’incipit della norma esclude il concorso tra tale reato e le diverse fattispecie di “associazione con finalità di terrorismo” e di “finanziamento o propaganda di viaggi all’estero con finalità di terrorismo”, da ciò evincendosi che l’intenzione del legislatore era quella di punire il soggetto “estraneo” all’organizzazione, o meglio escludere la punibilità di chi «è già terrorista» (22). Quanto poi all’elemento soggettivo: si tratta di una fattispecie che, richiedendo il dolo specifico, concentra l’attenzione sulla figura del finanziatore e, di conseguenza, il riferimento esplicito alla destinazione dei fondi (“ad essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento di attività con finalità di terro (20) La stretta sovrapposizione tra i due fenomeni, secondo alcuni autori, rappresenta “la causa” del ritardo nella previsione di un’autonoma fattispecie del finanziamento del terrorismo. Sul punto, v. G. DI VETTA, Nuove disposizioni, cit., pp. 6 ss. (21) Così, V. ARAGONA, Il contrasto, cit., p. 97. (22) Così, V. ARAGONA, Il contrasto, cit., p. 102. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 rismo”) non può che essere interpretato come lo scopo che muove l’intenzione dell’agente, la finalizzazione teleologica della sua condotta (23); tanto è evidente nella misura in cui si consideri che -in maniera (forse) pleonastica -la norma non richiede espressamente il verificarsi di tale scopo ai fini della realizzazione del reato (24). Emerge sul punto il delicato problema, analizzato in dottrina e giurisprudenza, della c.d. “oggettivizzazione” del dolo specifico; in sintesi: nei reati a dolo specifico, per evitare che il disvalore penalmente sanzionato si esaurisca in un mero atteggiamento interiore, si imporrebbe che la finalità che muove l’atteggiamento psicologico del soggetto si rifletta, in termini oggettivi, sulla concreta idoneità degli atti a raggiungerla (25), con l’ulteriore precisazione, però, che questa interpretazione non consente di recuperare in relazione a tale fattispecie quell’offensività che manca in astratto, in ragione dell’incommensurabile distanza cronologica tra la condotta rilevante e l’oggetto della finalità. Una simile impostazione, dunque, consente di affermare che il dolo specifico non può rimanere circoscritto al paradigma dell’elemento soggettivo del reato; le peculiari formule rinvenibili nelle varie disposizioni penali (“al fine di”, “allo scopo di”) non identificano soltanto l’intenzione che muove l’agente, ma si legano ad un altro preciso elemento del reato, la condotta, costituendo l’oggettiva tendenza dell’azione. Si tratta di un’impostazione che, in altri termini, mira a ricercare la finalità di terrorismo non tanto nella mente del reo, quanto piuttosto nei suoi concreti atteggiamenti, attribuendo allo stesso un ruolo concorrente rispetto alla qualificazione giuridica di un fatto come penalmente rilevante. Del resto, tale oggettivizzazione del dolo specifico sembra aver trovato anche un riscontro legislativo nell’art. 270-sexies c.p., rubricato “condotte con finalità di terrorismo”, nel quale oltre alla descrizione delle finalità sono ricompresi anche elementi di carattere obiettivo che consentono di misurare la specifica offensività dei fatti contemplati. Se così stanno le cose, in relazione alle fattispecie che prevedono condotte lecite cui accedono fini illeciti, non si potrebbe ritenere configurato il reato a dolo specifico quando l’agente -pur essendo animato dallo scopo richiesto (23) Si sottolinea, però, che la formulazione della norma lascia impregiudicata la possibilità che il finanziatore possa rispondere a titolo di concorso nelle singole condotte di terrorismo realizzate; in tal caso sarà necessario dimostrare la consapevolezza del finanziatore di concorrere alla realizzazione dello specifico fatto di reato posto in essere. (24) Secondo taluni proprio in ragione della normale operatività del dolo specifico appare superfluo l’inciso conclusivo del primo comma «indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte». Sul punto, F. FASANI, Un nuovo intervento, cit., p. 1559. (25) Sul punto, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, 3a ed., Milano, 2001, p. 583. In giurisprudenza favorevole a questa impostazione dottrinale, con riguardo all’art. 270-bis c.p., v. Cass. pen., Sez. I, 10 luglio 2007, n. 34989; mentre, con riguardo all’art. 270-quinquies c.p., cfr. Cass. pen., Sez. VI, 25 luglio 2011, n. 29670. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà dalla norma -abbia realizzato una condotta inidonea al perseguimento di tale scopo. Se non è, dunque, necessario che il fine del dolo specifico si realizzi, sarà al più indispensabile che sul piano fattuale la condotta dell’agente abbia quantomeno generato un pericolo; in altre parole, i reati a dolo specifico in realtà si configurano come reati di pericolo concreto con dolo di danno (26). Dunque, l’ennesimo (e forse eccessivo) utilizzo del “diritto penale emergenziale” ha comportato la creazione di una fattispecie che, al pari di altre funzionali a contrastare il terrorismo, sanziona comportamenti fin troppo lontani dalla realizzazione di un fatto offensivo. Una legislazione, quella emergenziale, che per far fronte a istanze di preoccupazione sociale, attrae su di sé i caratteri di una vera e propria lotta contro l’individuo “criminale” verso i quali i tradizionali canoni punitivi non sembrano “appagare”; in altre parole, è noto che nella tradizione del diritto penale emergenziale si collocano fattispecie di tipo associativo e fattispecie che sanzionano i c.d. atti preparatori, entrambe fondate su una tecnica di incriminazione caratterizzata dall’anticipazione della tutela penale (27), ma che -a ben guardare -presentano differenze “qualitative” in termini di lontananza della condotta incriminata (28). Ciò premesso, tuttavia, il reato di cui all’art. 270-quinquies.1 c.p. non può essere ricondotto nel paradigma della fattispecie associativa. Si è detto, infatti, che la condotta, per espressa previsione legislativa, deve essere realizzata da un soggetto estraneo all’associazione punita ai sensi dell’art. 270-bis c.p. e, pertanto, non può ricondursi nel “programma criminoso” di reati che l’associazione si pone il fine di perseguire; anzi, la presenza di un’autonoma fattispecie associativa determina una marginale applicazione della norma incriminatrice del finanziamento risultando ciò tanto più evidente quanto più si concentra l’attenzione sulla prassi sviluppatasi intorno all’art. 270-bis c.p. Difatti, il rapporto interferenziale che intercorre tra la condotta autonoma di finanziamento e il finanziamento associativo di cui al primo comma della menzionata disposizione è rimarcata dalla presenza della clausola di sussidiarietà poc’anzi evidenziata. (26) Sul punto, cfr. G. MARINUCCI, Soggettivismo e oggettivismo nel diritto penale, uno schizzo dogmatico e politico-criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 1, pp. 49 e 115 s.; L. BRIzI, L’illecito penale costruito ex latere subiecti: la “finalità di terrorismo” alla prova del diritto penale del fatto, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2017, 1, p. 20 s.; in generale sulle plurime funzioni che l’elemento finalistico può svolgere nei reati a dolo specifico cfr. G. MARINO, “Il filo di Arianna”. Dolo specifico e pericolo nel diritto penale della sicurezza, in Dir. pen. cont., 2018, 1, pp. 41 ss. (27) Cfr. R. BARTOLI, Legislazione e prassi in tema di contrasto al terrorismo internazionale: un nuovo paradigma emergenziale?, in Dir. pen. cont., 2017, 3, pp. 233 ss. (28) In breve: l’incriminazione degli atti preparatori assume sempre come punto di riferimento la realizzazione di uno specifico reato storicamente determinato; pertanto, la specifica finalità criminosa rappresenta il perno intorno al quale attribuire rilevanza a fatti che costituiscono una manifestazione oggettiva e significativa di tale fenomeno. D’altra parte, invece, la fattispecie associativa ruota intorno al programma di reati, dove ciò che viene determinato è proprio il programma e non i singoli reati mentre il disvalore si ripercuote proprio sull’organizzazione di mezzi e persone. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 Il rapporto tra due le norme, dunque, si risolve nella “soccombenza” del- l’autonoma fattispecie di finanziamento tutte le volte in cui la condotta di sostegno economico -direttamente rivolto all’associazione in sé considerata sia posta in essere da un soggetto interno all’organizzazione; di contro, tuttavia, queste presentano un nucleo comune, rinvenibile sul piano dell’elemento oggettivo della condotta di finanziamento (raccolta, elargizione o messa a disposizione) ma, per il resto, la norma difetta del requisito dell’appartenenza del soggetto all’associazione e della destinazione dei fondi al sostentamento economico dell’associazione. V’è, tuttavia, chi riconosce che l’esiguo margine applicativo delle condotte delittuose di finanziamento sia dovuto anche alla possibile configurabilità, quantomeno in astratto, del concorso esterno nell’associazione con finalità di terrorismo, istituto dotato di incontrollabile capacità espansiva (29), ma pur ammettendolo -l’elemento di discernimento rispetto all’art. 270-quinquies. 1 c.p. sarebbe comunque rappresentato dalla circostanza che la condotta di finanziamento sia rivolta direttamente all’ente associativo (30). D’altronde, si afferma che in ragione di queste peculiari caratteristiche, l’ambito applicativo dell’autonoma fattispecie di finanziamento si rivolge ai casi in cui le condotte di supporto economico non siano dirette a favore di soggetti inquadrati nelle fila di un’associazione terroristica, ma avvenga, piuttosto, in favore di possibili “lupi solitari” intenzionati a commettere in proprio atti di terrorismo (31). In aggiunta, l’ulteriore problema di coordinamento dipende dalla circostanza che il finanziamento (sub specie la raccolta, l’elargizione o la messa a disposizione di denaro o beni) ben può integrare la condotta di partecipazione all’associazione di cui all’art. 270-bis, co. 2, c.p., specie in ragione di un inquadramento della struttura associativa (nelle ipotesi di terrorismo internazionale), basata su un’interpretazione «decisamente flessibilizzata» (32), la quale (29) M. DONINI, Il concorso esterno “alla vita dell’associazione” ed il principio di tipicità penale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 13 gennaio 2017, il quale fornisce in generale un’ampia riflessione sul rapporto tra i concorrenti interni e la fattispecie di concorso esterno nel reato associativo. (30) Cfr. G. DI VETTA, Nuove disposizioni, cit., p. 45. (31) Così, R. BERTOLESI, Ancora nuove norme in materia di terrorismo, in www.dirittopenalecontemporaneo. it, 19 ottobre 2016, secondo il quale l’ulteriore spazio applicativo autonomo della fattispecie riguarderebbe poi i casi in cui manchi la prova dell’inserimento del soggetto finanziato in un’associazione terroristica, o, in aggiunta, laddove sia il finanziatore a non conoscere il legame di affiliazione del soggetto finanziato all’associazione terroristica. (32) R. BARTOLI, Legislazione e prassi, cit., p. 239, mette in evidenza come la giurisprudenza tende ad accogliere un’interpretazione della fattispecie associativa fortemente destrutturata, evidenziando il diverso modo di concepire la struttura dell’organizzazione nelle diverse ipotesi di terrorismo interno e terrorismo internazionale: nel primo caso, infatti, si tende ad utilizzare criteri interpretativi particolarmente rigorosi; nel secondo, come detto, si tratta di un’interpretazione più flessibile. La ragione di ciò si rinviene nella circostanza che rispetto al terrorismo internazionale si «tende a imporsi una logica fortemente preventiva, potremmo dire a “rischio attentati zero”, sia in ragione del fatto che là dove gli at LEGISLAzIONE ED ATTUALITà comporta la conseguenza che la partecipazione risulti integrata a prescindere dall’effettivo incardinamento del singolo nel tessuto organizzativo di un’autonoma struttura associativa. Pertanto, assumono rilievo -tramite l’utilizzo di principi fin troppi elastici la cui applicazione tende ad anticipare “la soglia di partecipazione” dell’associazione terroristica (quasi escludendo la voluntas legis di prevedere condotte di assistenza, arruolamento e finanziamento in autonome fattispecie (33)) -in termini di partecipazione all’associazione ai sensi dell’art. 270-bis, co. 2, le condotte di supporto materiale, tra le quali quelle di finanziamento, realizzate dai singoli componenti di una “cellula” prestate a favore di altre organizzazioni terroristiche pacificamente riconosciute. Dunque, il rapporto interferenziale con l’art. 270-quinquies.1 si risolve ancora una volta in sfavore di quest’ultima norma nei casi in cui risulti provata “l’intraneità” associativa del soggetto attivo (34). Esclusa, dunque, la possibilità di individuare il referente normativo del- l’art. 270-quinquies.1 c.p. nella fattispecie associativa, essa può dirsi inquadrata in quella peculiare forma di tutela che incrimina e sanziona gli atti preparatori i quali, com’è noto, da un punto di vista strutturale si collocano in una fase anteriore rispetto a quella del tentativo punibile ai sensi dell’art. 56 c.p. (35) (per il quale è richiesta l’idoneità e la non equivocità della direzione degli atti) e la cui incriminazione si fonda sulla necessità di “fermare sul nascere” l’iter criminis. Dunque, se la ratio della loro incriminazione è quella di evitare che da tali condotte preparatorie possa poi derivare la realizzazione di ulteriori reati che determinino una compromissione dell’interesse tutelato, è stato osservato come le stesse non siano «sufficienti, di per sé sole, a sfociare nella lesione di tacchi terroristici sono stati realizzati, essi sono stati posti in essere da singole persone o da cellule le cui strutture sono davvero molto leggere, sia perché si tratta di attacchi particolarmente imprevedibili e indeterminati, andando a colpire persone innocenti e con la mera finalità di creare terrore nella popolazione ». (33) Così, L. D’AGOSTINO, I margini applicativi della condotta di partecipazione all’associazione terroristica: adesione psicologica e contributo causale all’esecuzione del programma criminoso, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2017, 1, p. 82. In giurisprudenza sul punto cfr. Cass. pen., Sez. V, 8 ottobre 2015, n. 2651. (34) Così, G. DI VETTA, Nuove disposizioni, cit., p. 46. (35) Per quanto concerne la possibilità di includere gli atti meramente preparatori nella fattispecie di cui all’art. 56 c.p. con relativi riferimenti giurisprudenziali v. E. MEzzETTI, Diritto penale, casi e materiali, 2a ed., edizione, Bologna, 2017, pp. 475 ss., il quale, sul punto, muove una critica all’orientamento giurisprudenziale che ritiene punibili anche gli atti meramente preparatori purché abbiano la capacità, sulla base di valutazioni ex ante ed in relazione alle circostanze del caso concreto, di raggiungere il risultato prefissato e ad esso siano univocamente diretti. L’Autore, infatti, mostra le sue perplessità in merito a tale impostazione tendente ad un’eccesiva anticipazione della tutela penale sul versante dell’individuazione del momento preciso dell’iter criminis rispetto al quale inizia a concretizzarsi il pericolo penalmente rilevante per gli interessi protetti dalla norma incriminatrice, rischiando di porre seri problemi rispetto all’offesa al bene giuridico. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 uno o più beni giuridici, ma semplicemente creano le condizioni perché in un momento successivo il medesimo soggetto o un terzo possa realizzare una condotta direttamente lesiva del bene giuridico» (36). In sostanza, la scelta in ordine alla meritevolezza dell’incriminazione degli atti preparatori si basa su una prognosi astratta di pericolosità della condotta, fondata sulla strumentalità della stessa per la realizzazione di ulteriori reati, a loro volta lesivi degli interessi tutelati; di per sé, infatti, il mero atto preparatorio non determina la lesione di alcun bene giuridico (37), da ciò l’inevitabile problema di accertare proprio il requisito dell’idoneità della condotta, per non incorre nel rischio di sanzionare condotte neutre in termini di adeguatezza rispetto al fine (terroristico in questo caso). Ed è proprio quanto accade nella materia di cui si discute: l’art. 270-quinquies. 1 c.p., a ben guardare, comporta una sostanziale rinuncia al principio di offensività che, com’è noto, impone di non attribuire rilevanza penale al modo di essere di una persona. 4.1 L’anticipazione della tutela penale oltre i limiti dell’offensività. Le condotte incriminate dall’art. 270-quinquies.1 c.p. risultano, infatti, neutre e prive di offensività rispetto agli interessi individuali oggetto di tutela, quali la vita e l’integrità fisica, dando per tale via luogo ad una presunzione di pericolosità della condotta di finanziamento; con l’ulteriore conseguenza che essendo sufficiente la “raccolta” di denaro con l’intenzione che un qualcuno la utilizzi per un atto di terrorismo, si anticipa notevolmente la soglia del tentativo punibile (38). Si tratta di un errore prospettico che accomuna le varie norme antiterrorismo: «voler attribuire al fatto un sostrato offensivo che non può strutturalmente appartenergli» (39). Ecco, dunque, che l’esigenza di incriminazione trascende dalle garanzie costituzionali per approdare sul piano di quel modello soggettivistico del diritto penale (conosciuto come “diritto penale d’autore”), addebitando la sanzione penale non sulla base di “quello che uno fa”, ma di “quello che uno è” (40), finendo col reprimere condotte neutre, basandosi sull’intenzione terrori (36) Cfr. F. VIGANò, Incriminazione di atti preparatori e principi costituzionali di garanzia nella vigente legislazione antiterrorismo, in ius17@unibo.it, 2009, 1, p. 174. (37) Sulla tendenza del legislatore antiterrorismo a sanzionare condotte preparatorie, significativamente distanti dalla soglia del tentativo punibile e perciò neutre rispetto a referente teleologico di tutela, v. F. FASANI, I martiri invisibili. Quale ruolo per il diritto penale nella lotta al terrorismo islamico?, in Criminalia, 2015, p. 490 s. La criminalizzazione degli atti preparatori nel diritto penale costituisce «un tema tra i più dibattuti nel diritto penale che ha portato i giuristi quasi alla disperazione», così F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, 16a ed., Milano, 2003, p. 486; v. anche R. GAROFOLI, Compendio di diritto penale, parte generale, 7a ed., 2019, p. 484; F. VIGANò, Incriminazione, cit., pp. 171 ss. (38) Così, F. FASANI, Un nuovo intervento, cit., p. 1561. (39) Cfr. G. DI VETTA, Nuove disposizioni, cit., p. 31. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà stica dell’agente e prescindendo dal concreto ed effettivo danno al bene giuridico (e, dunque, punendo il soggetto per la sua “indole criminale”). Sebbene l’idea del diritto penale del nemico (41) non sia agevolmente compatibile con i principi costituzionali, v’è, tuttavia, chi ritiene che non possa essere ignorato il fatto che gli autori degli atti terroristici esemplificano nel modo più chiaro il “delinquente per convinzione”, ponendo -come si è visto -delicati problemi in merito alla strategia politico criminale da seguire per contrastarli (42). È possibile, dunque, delineare quantomeno due modelli del diritto penale: da una parte, quello oggettivistico, nel quale l’attenzione è rivolta esclusivamente al fatto individuando il fondamento della sanzione nella realizzazione di un fatto concretizzatosi nell’offesa ad un bene giuridico, il cui punto di arrivo è il rango costituzionale del principio di offensività; dall’altro lato, il modello soggettivistico che, invece, si rivolge all’aspetto “interiore” del soggetto, al suo modo di essere come individuo pericoloso o nemico della società e dello Stato, nel quale, come visto, sembrano abbandonate le garanzie che il diritto penale dovrebbe offrire ad ogni cittadino per approdare ad una logica d’intervento meramente preventiva. Le fattispecie antiterrorismo, come detto, rappresentano uno degli esempi (40) Sul punto in maniera più approfondita, v. G. MARINUCCI, Soggettivismo, cit., pp. 2 ss. (41) Sul concetto di “diritto penale del nemico”, cfr. G. JAKOBS, Terroristen als Personen im Recht? in Zeitschrift für die gesamte Strafrechtswissenschaft, IV, 2005, pp. 117 ss. L’Autore classifica il delinquente in due distinte categorie: da una parte chi, nonostante delinqua, accetta l’esistenza della norma e dello Stato, dall’altra parte chi, nel realizzare la propria attività delinquenziale, non riconosce né l’una né l’altro. Ebbene, solo il primo criminale acquisisce il titolo di cittadino, ed in quanto tale, avendo egli sottoscritto il contratto sociale, merita la tutela e le garanzie previste dalla legislazione ordinaria. Diversamente, il secondo delinquente, non sottoscrivendo il contratto, non può essere qualificato come un cittadino, ma come un “nemico” dotato di particolare pericolosità; da ciò discende la sottoposizione ad una legislazione differenziata, connotata da forti restrizioni di diritti e garanzie. Il diritto penale del nemico, in una prospettiva più moderna, evoca, dunque, un concetto secondo cui ciò che viene punito non è più il fatto, ma il reo, in contrasto con un sistema improntato sul diritto penale del fatto. Viene punito un modo di essere del reo, ovvero l’aver informato la propria vita al crimine, trattandosi, secondo alcuni, «di uno strumento utile a decifrare le politiche penali avviate contro il terrorismo, ma non per legittimarle». Così testualmente M. PELISSERO, Contrasto al terrorismo internazionale e il diritto penale al limite, in Questione Giustizia (ed. speciale) 2016, p. 100. Sul punto, v. anche L. FERRAJOLI, Il diritto penale del nemico e la dissoluzione del diritto penale, in Questione Giustizia, 2006, 4, p. 797; M. DONINI, Diritto penale di lotta v. diritto penale del nemico, in A. GAMBERINI, R. ORLANDI (a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico. Nuovo revisionismo penale, Bologna, 2007, p. 131, evidenzia appunto come il concetto di “diritto penale del nemico” tende ad allontanare dal diritto penale dell’offesa, per perseguire l’obiettivo di neutralizzare gli autori pericolosi; ID., Il diritto penale di fronte al nemico, in Cass. pen., 2006, fascicolo speciale, pp. 735 ss.; F. PALAzzO, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e princìpi fondamentali, in Questione Giustizia, 2006, 4, pp. 666 ss.; F. VIGANò, Terrorismo, guerra e sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 648; F. FASANI, Terrorismo islamico e diritto penale, Milano, 2016, pp. 147 ss.; in senso critico sul ricorso al diritto penale del nemico, v. anche G. INSOLERA, Terrorismo internazionale tra delitto politico e diritto penale del nemico, in Dir. pen. proc., 2006, 7, pp. 897 ss. (42) Così, V. MILITELLO, Terrorismo, cit., p. 5. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 più lampanti di quest’eccessiva prevenzione, essendo una legislazione costellata dall’incriminazione di atti preparatori con momenti finalistici. Ma la casistica, in realtà, è molto più ampia, tanto da delineare una sorta di sistema normativo autonomo, un nuovo modello di diritto penale appunto, il cui baricentro ruota intorno ad una generalizzata frizione con i principi fondamentali del diritto penale: si tratta, in primo luogo, di ipotesi in cui il legislatore sembra aver svuotato del contenuto offensivo i fatti incriminati (reati di pericolo astratto, reati di pericolo indiretto, reati di sospetto); ipotesi in cui sembra concretizzarsi una vera e propria rinuncia alla necessaria offesa al bene (reati di attentato, reati a dolo specifico) in cui si punisce sulla base della mera volontà di offendere; ed, infine, in maniera discutibile secondo taluni, andrebbe ricompresa la categoria dei reati omissivi, in cui verrebbe sanzionata la disobbedienza in quanto tale (43). La scelta legislativa è, dunque, quella di incriminare atti che non hanno una diretta lesività rispetto al bene giuridico finale, ma che generano piuttosto un pericolo del pericolo, e per questo si pongono in netta contrapposizione con l’istituto del tentativo, posto che in quest’ultimo caso i requisiti dell’idoneità e inequivocità della condotta mostrano un connotato della stessa come adatto alla formazione di un pericolo diretto al bene. Non va dimenticato, inoltre, che il principio di offensività non esaurisce la sua portata garantista nello scrutinio sulla scelta di incriminazione (sul precetto penale), ma impone un rapporto di proporzionalità tra l’offesa arrecata e la sanzione irrogata (44). Anche in merito a tale profilo si manifestano alcune perplessità: fa riflettere, infatti, che il legislatore, tramite un’equiparazione in termini sanzionatori evidentemente sproporzionata, sanziona con la pena della reclusione da 7 a 15 anni tanto l’autore delle condotte di cui all’art. 270-quinquies.1 c.p. (estraneo al contesto associativo), quanto colui che dell’associazione ne risulti organizzatore o promotore, ai sensi dell’art. 270-bis, co. 1 c.p.; a ciò aggiungendosi, l’ulteriore evidente sproporzione che emerge dal raffronto con l’art. 270-quater.1 c.p., posto che colui che organizza il viaggio del terrorista o lo finanzia è punito con la pena da 5 a 8 anni (45). La messa a fuoco dell’art. 270-quinquies.1 c.p., pertanto, mette in luce la (43) La classificazione si basa esclusivamente sul rapporto tra la fattispecie e l’offesa e viene riproposta da G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., p. 595 s. (44) Sul punto, non sono mancate nel nostro ordinamento declaratorie di incostituzionalità di cornici sanzionatorie ritenute in contrasto con i principi di offensività (di proporzionalità della penale e rieducazione del condannato). Sul punto, si veda Corte Cost., 10 novembre 2016, n. 236 (concernente la pena prevista per il reato di alterazione di stato ex art. 567, co. 2, c.p.) o Corte Cost., 23 gennaio 2019, n. 40 (con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, co. 1 D.P.R. n. 309/1990, nella parte in cui, per effetto della pronuncia n. 32/2014 della Corte Costituzionale, prevede la pena minima edittale di otto anni anziché di quella di sei anni, introdotta con l’art. 4-bis d.l. n. 272 del 2005). (45) La problematica è affrontata anche da V. ARAGONA, Il contrasto, cit., p. 104 s. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà problematica riconducibilità della stessa ai caratteri tradizionali del diritto penale del fatto e dell’offesa, rendendo, dunque, legittimo l’auspicio fatto proprio da chi riteneva necessaria una maggiore tipizzazione degli elementi costitutivi della fattispecie, ancorando la condotta a parametri quantitativi, qualitativi o di idoneità rispetto al fine perseguito; tuttavia, nella realtà concreta, viene a delinearsi un sistema nel quale sembra non potersi rinvenire altra soluzione che quella di affiancare al “diritto penale del cittadino” il “diritto penale del nemico”, attraverso un’anticipazione massima della tutela penale che finisce col punire la sola finalità e la pericolosità del soggetto (46). In un simile contesto, dunque, il giurista è posto davanti ad un bivio: da un lato, accettare l’idea di un diritto penale flessibilizzato, in qualche misura caratterizzato da sistemi differenziati in ragione della gravità dei fenomeni da contrastare, ammettendo una tecnica fondata sull’anticipazione della tutela (47); dall’altro, rimanere fedele al sistema di garanzie tradizionali del diritto penale, senza rassegnarsi all’idea di un’indebita soppressione dei principi di offensività e materialità (48). Il nodo problematico è rappresentato dal fatto che il finanziamento di cui all’art. 270-quinquies.1 c.p. è governato, diversamente da quanto accade per altre fattispecie in materia antiterrorismo, dall’impossibilità di ricorrere a quel- l’interpretazione oggettivizzante del dolo specifico spesso valorizzata dalla giurisprudenza (49) a causa dell’estrema lontananza delle condotte ivi sanzionate rispetto alla concreta offensività del bene giuridico che rende arduo -se non addirittura impossibile -quel giudizio di idoneità della condotta al compimento di atti con finalità di terrorismo; questo si dovrebbe risolvere in una (46) Cfr. L. BRIzI, L’illecito penale, cit., p. 19 il quale parla di “necessitas non habet legem” riferendosi alla circostanza secondo cui in simili contesti (volti a fronteggiare il terrorismo) non vi sarebbe altro rimedio se non quello di attribuire al diritto penale un ruolo di neutralizzazione, di difesa e di sicurezza. Per un’analisi critica di questi ed altri temi legati allo stato di necessità, si rinvia naturalmente a E. MEzzETTI, Necessitas non habet legem? Sui confini tra “Impossibile” ed “Inesigibile” nella struttura dello stato di necessità, Torino, 2001. (47) F. VIGANò, Terrorismo, cit., p. 694 secondo cui è inevitabile lo spostamento «al paradigma della repressione di un fatto già commesso a quello della prevenzione di fatti non ancora commessi, al fine di assicurare una più efficace tutela della sicurezza della collettività». (48) Sul punto, R. BARTOLI, Legislazione e prassi, cit., p. 254. (49) La giurisprudenza in alcune occasioni ha ribadito l’oggettivizzazione del dolo specifico nel- l’ambito di alcuni delitti contro la personalità dello Stato. Sul punto, è possibile confrontare Cass. pen., Sez. I, 17 gennaio 2007, n. 1072; Cass. pen., Sez. I, 10 luglio 2007, n. 34989, in www.dejure.it, concernente l’art. 270-bis c.p., laddove si legge «è indubbio che la struttura organizzativa deve presentare un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione del progetto criminoso e da giustificare, quindi, la valutazione di pericolosità correlata alla idoneità della struttura alla realizzazione della serie indeterminata di reati per il cui compimento l’associazione è costituita»; più di recente, con riguardo al diverso reato di cui all’art. 270-quinquies c.p., cfr. Cass. pen., Sez. VI, 25 luglio 2011, n. 29670, secondo la quale «la consumazione anticipata nei reati a dolo specifico, perché il fatto non si esaurisca entro una fattispecie in cui assume un rilevo esorbitante l’elemento della volontà di scopo, che sussistano atti che oggettivamente rendano detta volontà idonea a realizzare lo scopo». RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 valutazione quantitativa delle risorse messe a disposizione con l’inconveniente, però, che anche un esiguo finanziamento può essere utilmente impiegato per il compimento di un atto terroristico. Il dolo specifico, pertanto, non può ritenersi selettivo rispetto all’entità del finanziamento. D’altronde, un giudizio in termini quantitativi del finanziamento non rispecchia il paradigma normativo in relazione al quale ciò che viene richiesto è la circostanza che le risorse vengano utilizzate per il compimento di atti con finalità di terrorismo; ciò significa che, in concreto, il giudice dovrà accertare unicamente che i fondi siano stati acquisiti o messi a disposizione per il generico compimento di attività terroristiche, prescindendo dall’entità del finanziamento. Dunque, è perfettamente lecito interrogarsi su come “salvare” la fattispecie prevista dall’art. 270-quinquies.1 c.p. recuperando quella offensività che consenta il rispetto dei limiti costituzionali del diritto penale. La soluzione -come già evidenziato da taluni -potrebbe transitare dal- l’attribuzione all’atto preparatorio del carattere plurisoggettivo, così da individuare quel programma criminoso assente, pretendendo dal giudice un’operazione volta a individuare l’inserimento dell’atto preparatorio in una relazione intersoggettiva, alla luce della quale la finalizzazione teleologica delle risorse raccolte assuma una sua evidenza (50): dunque, non paiono punibili i comportamenti di raccolta e generica messa a disposizione di denaro in quanto atti monosoggettivi. Quel che è certo è che sarà imprescindibile un lavoro giurisprudenziale che ponga un freno alla portata dirompente di tale norma (così come di altre in materia). 4.2 Ancora un esempio di fattispecie a tipicità mancata. Al di là delle frizioni con il principio di stretta offensività (51), la fatti (50) Tale soluzione è proposta da R. BARTOLI, Legislazione e prassi, cit., pp. 255 s. (51) In generale, G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., p. 560, mettono in evidenza come nel nostro ordinamento creano una forte tensione con il principio di offensività i c.d. reati di pericolo indiretto, tra i quali rientrano quelli con “finalità di terrorismo” e, dunque, anche il finanziamento ex art. 270-quinquies.1. c.p. Si tratta, infatti, di scelte incriminatrici in cui il legislatore anticipa notevolmente la soglia di punibilità arretrandola al pericolo di pericolo di lesione di un bene giuridico, ma, nonostante la riconosciuta frizione col principio di offensività, la dottrina in questione afferma anche la necessità di procedere con cautela senza dichiarare l’incompatibilità tout court con la Costituzione di simili fattispecie; F. VIGANò, Terrorismo, cit., p. 678 ss., il quale si mostra favorevole a forme di anticipazione notevole della tutela penale per la salvaguardia di beni quali la sicurezza pubblica, tuttavia, proprio in relazione alle fattispecie antiterrorismo, lo stesso propone l’uso del principio di offensività quale canone ermeneutico per recuperare un margine di apprezzabilità della norma; A. NAPPI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2010, pp. 78 ss., si interroga, più in generale, sul rapporto tra le varie ipotesi di anticipazione della soglia di punibilità e il principio di offensività, rinvenendone una parvenza di liceità mediante il ricorso al principio di precauzione. Di dubbia costituzionalità con i principi di offensività e materialità si pongono anche i c.d. reati di sospetto (compresi nel genus dei reati di pericolo indiretto), nei quali si incrimina il mero possesso di una LEGISLAzIONE ED ATTUALITà specie pone, inoltre, qualche interrogativo anche in relazione al principio di tassatività/determinatezza (52). Nel testo della norma vi è un evidente equivoco terminologico: nella prima parte, infatti, si fa riferimento al concetto di “beni” e “denaro”, per poi ricorrere alla diversa locuzione di “fondi” relativa alla loro destinazione (53) e, sul punto, le criticità da taluno evidenziate possono essere superate valorizzando la dimensione topologica del finanziamento, limitando le condotte rilevanti a quelle condotte che presentano, in relazione all’oggetto materiale, una connotazione economico-patrimoniale. Del resto, il legislatore già nella rubrica utilizza il generico concetto di “finanziamento”, alludendo probabilmente a tutte le varie modalità di sovvenzione economico-patrimoniale del terrorismo, aggiungendosi l’ulteriore circostanza che la fattispecie di cui si discute è stata introdotta proprio per far fronte a obblighi di carattere internazionale, nel quale, infatti, il finanziamento è inteso come forma di apprestamento di risorse economiche, sottolineando la natura patrimoniale delle stesse (54); ne discende il ricorso ad una nozione cosa sul sospetto che possa servire a commettere un reato; in altre parole, si tratta di condotte che lasciano presumere la commissione non accertata di reati. Si assiste, in sostanza, all’insorgere di un diritto penale “preventivo”. Sul punto E. MEzzETTI, Diritto penale, cit., p. 173; la problematica è affrontata anche da R. CALISTI, Il sospetto nei reati. Profili costituzionali e prospettive attuali, Milano 2003, pp. 25 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, cit., pp. 226 ss. il quale, mettendo in luce una sorta di funzione classificatoria dell’offensività, è solito parlare di “reati senza offesa” indicando una categoria generale che ricomprende i reati a dolo specifico, i reati di sospetto, i delitti di attentato e i reati c.d. ostativi. In senso critico verso ogni possibile forma di deroga e allontanamento dal principio di offensività, cfr. A. CAVALIERE, Riflessioni sul ruolo dell’offensività nella teoria del reato costituzionalmente orientata, in G. GIOSTRA, G. INSOLERA (a cura di), AA. VV. Costituzione, diritto e processo penale, Milano, 1983, pp. 156 ss. (52) Anche se con riferimento al precedente d.l. n. 7/2015, sul punto cfr. A. CAVALIERE, Considerazioni critiche, cit., p. 228, secondo cui «tale vaghezza corrisponde all’intento di consentire un’esasperata anticipazione della tutela ai più remoti atti preparatori e, in sostanza, a qualsiasi condotta sintomatica del mero atteggiamento interiore»; per ulteriori rilievi critici sui precedenti interventi legislativi in materia antiterrorismo cfr. V. MASARONE, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale, Napoli 2013, pp. 117 ss. In generale, per un’analisi specifica sul principio di tassatività e determinatezza è possibile confrontare tra gli altri F. PALAzzO, Legalità e determinatezza della legge penale: significato linguistico, interpretazione e conoscibilità della regola iuris, in G. VASSALLI (a cura di), Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, Napoli-Roma, 2006, pp. 49 ss.; ID., Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979; P. SIRACUSANO, Principio di precisione e definizione legislativa di parte speciale, in E. DOLCINI, C.E. PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, pp. 739 ss. (53) Le maggiori perplessità, ricollegate anche a possibili risvolti pratici, vengono manifestate da V. ARAGONA, Il contrasto, cit., p. 103, la quale, infatti, pone in evidenza il problema circa la possibilità di ritenere consumato il reato nell’ipotesi concreta in cui il fiancheggiatore metta a disposizione uno strumento tecnologico il quale può essere inquadrato nel concetto di “bene”, ma non in quello di “fondo”. (54) A livello internazionale di particolare interesse sul punto è la definizione di “fondi” fornita dall’art. 1 della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, secondo il quale vanno ricompresi «beni di ogni genere, materiali o immateriali, mobili o immobili, acquisiti con qualsiasi mezzo, nonché documenti o atti giuridici in qualsivoglia forma, compresa la forma elettronica o numerica, attestanti un diritto di proprietà o un interesse su questi beni, e in particolare crediti bancari, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 di “fondi” in senso tecnico: l’oggetto materiale rilevante è ogni utilità economica- patrimoniale che ben può incorporarsi in un “bene” (mobile o immobile) «facilmente monetizzabile» (55). L’indeterminatezza della fattispecie si riflette ulteriormente sulle condotte incriminate, sub specie “raccolta, erogazione e messa a disposizione”, provando a tipizzare le quali si può affermare: per “raccolta” si intende quell’attività con cui l’agente si procura, o comunque ottiene la disponibilità materiale, anche solo temporanea, di beni o denaro; “erogazione” è, invece, la condotta di chi corrisponde a terzi una somma di denaro o beni di cui ha la disponibilità; infine, similmente, la “messa a disposizione” consiste nel destinare o riservare una somma di denaro o beni affinché siano utilizzati per sostenere un attacco terroristico. Anche sotto tale profilo si manifesta l’irragionevolezza sanzionatoria della norma: premesso che -come visto -si tratta di condotte di fatto “neutre” rispetto alla lesione del bene giuridico, che di per sé determina un eccessivo trattamento sanzionatorio, l’irragionevolezza è ancora più evidente tramite il raffronto con il comma 2 della medesima fattispecie, il quale punisce con la reclusione da 5 a 10 anni «chiunque deposita o custodisce i beni o il denaro di cui al primo comma». Si tratta di condotte tra loro interferenti, in quanto quelle del primo comma implicano la realizzazione di quelle di cui al comma successivo (come è possibile raccogliere soldi senza custodirli? E viceversa, come si può custodire ciò che ancora non è stato raccolto?). Alla luce di ciò, dunque, in primis appare irragionevole la previsione di una così netta differenza sanzionatoria tra le condotte che si pongono come una progressione criminosa, cui si aggiunge, nella realtà concreta, il problema del possibile discernimento del titolo di reato nelle ipotesi in cui un soggetto dopo aver raccolto denaro o altri beni (co. 1), in un secondo momento si renda autore dell’autonoma condotta di custodia o deposito (co. 2). Sul punto, taluni ritengono che l’attività di conservazione, in quanto strumentale alla raccolta o messa a disposizione, risulterebbe in essa assorbita e, in ragione della logica sottesa a tale principio, la custodia o il deposito rappresenterebbero “antefatti” o “postfatti” non punibili, reputandosi concretamente applicabile la fattispecie più grave del primo comma (56). assegni di viaggio, assegni bancari, vaglia, azioni, titoli, obbligazioni, cambiali e lettere di cambio». Ed ancora, il recente d.lgs. 90/2017 fornisce una definizione di finanziamento nella quale rileva l’utilizzo del concetto di “fondi e risorse economiche”, anziché quello di “beni” utilizzato nel codice penale. Secondo taluni, infatti, si tratta di un elemento sistematico da non sottovalutare ai fini dell’interpretazione della formula codicistica per escludere una nozione più ampia di finanziamento. Sul punto, F. FASANI, Un nuovo intervento, cit., p. 1558. (55) Così, F. FASANI, Un nuovo intervento, cit., p. 1558. (56) Si ripropongono le considerazioni di G. DI VETTA, Nuove disposizioni, cit., p. 44. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà In una diversa prospettiva, invece, intesa a considerare le condotte di cui al comma primo con una consistenza fattuale autonoma rispetto alla conservazione delle utilità, sembrerebbe impossibile prescindere da un duplice titolo di responsabilità, configurandosi un’ipotesi di reato continuato ai sensi dell’art. 81, co. 2, c.p. Poste tali problematiche, può comunque ritenersi apprezzabile l’intento del legislatore di sanzionare tutte le condotte che connotano la catena di finanziamento, in qualche misura ponendo un intervento completo. Le considerazioni fino ad ora svolte pongono il giurista dinnanzi ad un interrogativo di fondo: si vuole davvero rinunciare alla stretta legalità ed alla necessaria chiarezza delle leggi penali? Il ricorso ad una sempre maggiore legislazione “caotica”, frutto di una legislazione d’emergenza -sempre più adoperata per fronteggiare istanze sociali e di natura politica indirizzate a una maggiore sicurezza -che difetta delle qualità tecniche (tassatività e determinatezza) imposte dalla Costituzione per le norme penali, sembrano condurre verso una risposta affermativa. La crisi della determinatezza, espressione di un diritto penale simbolico, può, dunque, dirsi dettata da un continuo “inseguimento” del diritto penale rispetto a fattispecie complesse che emergono a fronte di un continuo e rapido mutamento della realtà (economica e tecnologica), finendo col «condurre il legislatore verso una forzata abdicazione del suo ruolo fondamentale, lasciando alla giurisprudenza e alle fonti secondarie il ruolo di riempire le più o meno volute lacune del tessuto normativo» (57). Non sembra, tuttavia, corretto attribuire la causa dell’erosione di un simile corollario in via esclusiva all’attività legislativa, posto che la stessa Corte costituzionale ha affermato che la verifica circa il rispetto del principio di determinatezza va effettuata mediante il raffronto tra il singolo elemento descrittivo dell’illecito e gli altri costitutivi della fattispecie, cosicché, nonostante l’uso di espressioni sommarie, vocaboli polisensi o clausole generali, l’indeterminatezza della fattispecie è esclusa nella misura in cui «la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta al giudice […] di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato» (58). Ci si rende conto, dunque, che la presenza di un elemento indeterminato nella fattispecie non comporta tout court la sua illegittimità sul piano dei principi costituzionali, ma viene rimesso in seno alla giurisprudenza un lavoro -a questo punto fondamentale -d’interpretazione della norma, volto ad individuare in concreto i confini applicativi della fattispecie, rimanendo, tutt’al più, fedele agli obiettivi di politica criminale che hanno mosso l’intervento del le (57) Così, E. MEzzETTI, Casi e materiali, cit., p. 10; sulla crisi della determinatezza v. anche G. VASSALLI, I principi generali del diritto nell’esperienza penalistica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, p. 720 s. (58) Cfr. Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 gislatore, nonché allo specifico contesto normativo nel quale si inserisce la fattispecie. Al pari dell’offensività si può, dunque, distinguere tra determinatezza in astratto ed in concreto (59): la prima, riferita al momento della formulazione della norma, mentre la seconda rappresenta la regola individuata dall’interprete e applicata al caso concreto. Pertanto, nelle varie ipotesi -come accade nella materia antiterrorismo -in cui sembra legittimarsi, in astratto, il ricorso a concetti caratterizzati da una dose di indeterminatezza per tutelare beni ritenuti di primaria importanza e per far fronte ad esigenze sociali, non pare ugualmente possibile, in concreto, prescindere dal risultato interpretativo ragionevolmente prevedibile nei confronti del destinatario. Tuttavia, ciò che sembra delinearsi è proprio un intreccio di poteri che l’art. 25, co. 2 Cost. è volto a scongiurare; il c.d. nullum crimen sine lege, che trova compiuta attuazione in presenza di norme penali determinate e tassative, mira, da un lato, a garantire la separazione dei poteri per il tramite della riserva di legge, che impedisce al giudice di sostituirsi al legislatore nell’individuazione dei fatti penalmente rilevanti; dall’altro, consente la libera autodeterminazione del cittadino consentendogli di conformare il proprio comportamento alle condotte doverose sanzionate. Ciò nonostante, come si è visto, in relazione a quelle norme espressione della decretazione d’urgenza, non si fa altro che attribuire alla giurisprudenza un ruolo di prim’ordine nel- l’individuazione delle condotte penalmente rilevanti e, al contempo, si pone l’individuo in una situazione d’incertezza tramite la predisposizione di formule pressoché indeterminate. In ultima analisi, avuto riguardo all’inciso «in qualunque modo realizzati », riferito al denaro o ai beni oggetto della condotta, sembra potersi aderire al pensiero di chi ritiene che tale presupposto «nulla aggiunge alla condotta stessa». Tutt’al più, lo stesso manifesta l’intenzione del legislatore di specificare quanto già noto ai tecnici del settore antiterrorismo, ovvero l’origine lecita dei fondi (60). 5. Un compromesso coatto: l’ausilio della giurisprudenza per il recupero della legalità. L’esigenza di intervenire per arginare il dilagante fenomeno del terrorismo e del suo finanziamento, come si è cercato di dire, ha spinto il legislatore ad un intervento sempre più rivolto all’abbandono delle garanzie del diritto penale. Si può dire che, quantomeno nella materia del terrorismo internazionale, il legislatore, presa coscienza della criticità del fenomeno, si sia “arreso” al (59) Cfr. F. PALAzzO, Legalità e determinatezza, cit., p. 54. (60) Così, F. FASANI, Un nuovo intervento, cit., p. 1559. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà l’idea che questa sia l’unica forma di intervento possibile per contrastarne le conseguenze; a dimostrazione di ciò, le varie disposizioni del codice penale si basano -come più volte sottolineato -su un’eccessiva anticipazione della tutela penale, la cui conformità a Costituzione è fortemente discutibile. Si assiste, infatti, ad una sempre più frequente violazione del principio di materialità e offensività, non essendo richiesto un comportamento funzionale alla realizzazione di un programma criminoso; del principio di tassatività e determinatezza, con previsioni legislative dai contorni poco chiari e spesso indefiniti; del principio di proporzionalità e, conseguentemente del principio di rieducazione della pena, spesso elusi tramite cornici sanzionatorie eccessive rispetto alle condotte (neutre) incriminate. È pur vero che sembrano delinearsi all’orizzonte poche speranze per una diversa forma di intervento, sia perché la flessione della garanzia si giustifica con la necessità di contrastare questi fenomeni criminali estremamente pericolosi e complessi, sia perché a livello sovranazionale viene imposto un simile intervento. L’intervento correttivo di tali norme, in altre parole, potrebbe difficilmente transitare attraverso una riforma legislativa, ma piuttosto mediante un lavoro interpretativo della giurisprudenza che ne ridimensioni la loro portata dirompente; in altre parole, accettare un simile modello di diritto penale equivale a convivere con la consapevolezza che dinnanzi ad un “debole” esercizio del potere legislativo seguirà inevitabilmente l’attribuzione di un “forte” potere giudiziario. Si è già in più occasioni evidenziato come la giurisprudenza sia intervenuta aderendo a quell’interpretazione oggettivizzante del dolo specifico volta a recuperare l’offensività a prima vista assente in alcune fattispecie incriminatrici; in altre occasioni, invece, il contributo della giurisprudenza è stato funzionale all’inclusione, a certe condizioni, anche degli atti preparatori nel paradigma normativo del tentativo, per garantirne la punibilità; ed ancora, la casistica giurisprudenziale è ricca di pronunce volte a “salvare” norme in possibile contrasto con i canoni di determinatezza (61). Tali ipotesi non fanno altro che dimostrare la centralità del ruolo “sostitutivo” della giurisprudenza, la quale è chiamata a svolgere un compito che, a ben vedere, non le dovrebbe appartenere. Insomma, potremmo essere dinnanzi a un punto di non ritorno: il crollo del monopolio della legge nella materia penale ha comportato inevitabilmente (61) Sull’inclusione degli atti preparatori nel paradigma del tentativo, cfr. Cass. pen., Sez. II, 20 novembre 2012, n. 46776; Cass. pen., Sez. I, 11 febbraio 2013, n. 16612; in merito alla legittimità costituzionale delle norme sospettate di essere in contrasto con il principio di determinatezza cfr. Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 34; Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 5; Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327; Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 172. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2020 l’accrescere del potere normativo della giurisprudenza: il giudice, oggi, non è più soltanto mero esecutore della legge, ma è colui che la interpreta e nell’interpretarla svolge anche una funzione creativa (62). Ciò che ormai sembra un dato assodato è la nascita di una “nuova legalità” (63), intesa come valorizzazione dell’interpretazione giudiziale, nella quale, dunque, il ruolo del giudice va ben oltre quello di garante e mero applicatore della legge (non più) scritta e determinata dal legislatore, ma finisce per divenire parte integrante della produzione penale fornendone un peculiare apporto. E dunque le consuete difficoltà del potere politico di intervenire dinnanzi alle nuove emergenze sociali ed economiche incrementano sempre di più il ruolo di “supplenza” giudiziaria, quale forma di deresponsabilizzazione del potere legislativo, che non fa altro che favorire la divaricazione tra law in the books e law in action (64). Se da un lato, può fungere da “scriminante” per il legislatore la circostanza che non è sempre agevole riuscire a costruire un precetto chiaro e determinato in tutte le sue possibili forme, dovendo sempre fare i conti con la realtà concreta dei fatti e dei fenomeni in continua evoluzione, dall’altro, tale assunto non può certo essere invocato tutte le volte in cui l’organo legislativo, con piena consapevolezza e volontà di agire, rimette di fatto il proprio compito alla giurisprudenza, risultando per tale aspetto il principale artefice del declino della legalità. In altre parole, vi sono situazioni in cui il legislatore, per trascuratezza o per superficialità finisce col delineare fattispecie che presentano un livello minimo di determinatezza, che consenta loro di non incorrere in un’evidente declaratoria di illegittimità costituzionale ma che necessitano ugualmente di precisazione contenutistica; altre volte, invece, (probabilmente) conscio delle difficoltà d’intervento in relazione a una determinata materia o, nel delineare i tipi criminosi, adotta formule omnicomprensive e volutamente vaghe, esplicitando il necessario intervento dell’organo giurisprudenziale ai fini della loro determinazione (65). Icasticamente, si potrebbe dire che l’odierna (e quasi incessante) indeterminatezza delle norme penali dipende in alcuni casi da un atteggiamento ne (62) Sulla funzione creativa del giudice, cfr., tra gli altri, A. CADOPPI, Il valore del precedente nel diritto penale, 2a ed., Torino, 2014, pp. 107 ss. (63) Per una maggiore analisi del concetto di “nuova legalità” rapportato a quello di “vecchia legalità”, cfr. R. BARTOLI, Le garanzie della “nuova legalità”, in Sist. pen., 2020, 3, pp. 143 ss. (64) Su tali concetti, v. F.C. PALAzzO, Legalità fra law in the books e law in action, in Dir. pen. cont., 2016, 3, pp. 2 ss. (65) Un esempio di quanto detto è rinvenibile nei lavori preparatori della riforma sulle false comunicazioni sociali con l. n. 69/2015; segnatamente in relazione alla delicata questione del falso valutativo il legislatore espressamente ha assegnato alla Corte di Cassazione il compito di «dover valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all’interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti». Sul punto, E. MEzzETTI, La ricomposizione disarticolata del falso in bilancio, in LP, 2016, pp. 3 ss. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà gligente del legislatore (colpa?) e, in altri casi, da una consapevolezza del proprio agire e dall’accettazione delle relative conseguenze, cioè del necessario intervento dell’interprete per rimediare ai propri “errori” (dolo eventuale?). Certamente, l’idea di un legislatore al quale imputare una qualsiasi forma di responsabilità, sia essa colposa o dolosa, nel formulare un precetto penale indeterminato è ben lontana da quanto richiede la nostra Costituzione e dal- l’interpretazione tradizionale dei principi in essa contenuta; ma è innegabile che, così come il giurista, anche il legislatore deve fare i conti con la realtà, con la sua articolata complessità, con l’evoluzione dei fenomeni e delle esigenze di tutela. Ed è esattamente quanto accaduto con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 270-quinquies.1 c.p., in relazione alla quale il legislatore si è ancora una volta spogliato delle vesti di garante della legalità per far fronte ad istanze di protezione sociale. In qualche misura, sembra che il legislatore abbia agito con piena consapevolezza nella formulazione di una norma indeterminata e lontana dal paradigma classico dell’offensività, quasi “nascondendosi” dietro ad una giurisprudenza più volte intervenuta, proprio nella materia antiterrorismo, in sua sostituzione e pronta a farlo anche in tal caso. Riprendendo quanto detto poc’anzi, dunque, con riferimento all’autonoma fattispecie di finanziamento, si potrebbe azzardare attribuendo al legislatore una responsabilità a titolo di dolo eventuale, tutt’al più in qualche misura “scriminata” da uno stato di necessità diretto alla salvaguardia di beni di primaria importanza. Del resto, sembra ormai questo il trend seguito, quantomeno nella materia di cui si discute: un legislatore non tanto superficiale, quanto piuttosto perfettamente consapevole delle sue scelte di allontanarsi dai canoni tradizionali del diritto penale e ormai complice di un dilagante diritto giurisprudenziale. Ma se questo è il modus operandi che il legislatore intende seguire, non resta che affidare alla giurisprudenza il compito, nel suo ruolo di interprete, di non farsi assorbire da queste pressanti esigenze di prevenzione, evitando di mettersi al servizio di una politica di lotta, frutto di una visione sovranazionale, prima ancora che nazionale, per non incorrere nel rischio di distruggere definitivamente lo stato di diritto. ContrIbutIdIdottrIna Covid-19 e ordinanze del Governo. In particolare, i decreti del Presidente del Consiglio quali strumento necessario per far fronte alla pandemia Stefano Pizzorno* Sommario: 1. L’esercizio del potere di ordinanza -2. i DPCm del Governo e la Costituzione; l’inadeguatezza del decreto-legge come mezzo di gestione delle emergenze -3. Una proposta. Come noto, il Governo ha emesso una serie di ordinanze (soprattutto decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, ma anche del Ministero della Salute, solo ed in concerto con il Ministero dell’Interno) al fine di fronteggiare l’epidemia determinata di Covid-19. Queste ordinanze hanno stabilito gravi limitazioni a taluni diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, in particolare alla libertà di circolazione e al diritto di riunione, oltre a incidere comunque su molteplici rapporti etico-sociali, quali la libertà di culto e il diritto all’istruzione. Le basi normative che ne hanno costituito il fondamento sono stati il decreto-legge 23 febbraio 2020 n. 6 (1) (che ha fatto seguito alla dichiarazione, da parte del Consiglio dei Ministri, in data 31 gennaio, dello stato di emergenza nazionale), e il decreto-legge 25 marzo 2020 n. 19 (2), i quali hanno previsto espressamente che le misure necessarie per contenere l’epidemia venissero adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Il decreto-legge 6/2020 prevedeva alcune misure che potevano essere (*) Avvocato dello Stato. (1) Convertito dalla l. 5 marzo 2020 n. 13; abrogato quasi integralmente dall’articolo 5 del de- creto-legge 25 marzo 2020, n. 19, il quale, all’articolo 2, comma 3, ha fatto salve le ordinanze adottate in forza del precedente. (2) Convertito dalla l. 22 maggio 2020, n. 35. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 adottate con DPCM senza però fornirne un elenco tassativo (3), mentre il decreto 19/2020 ha eliminato le clausole aperte, determinando in modo più specifico le misure eventualmente oggetto dei futuri decreti (4). 1. L’esercizio del potere di ordinanza. I decreti del Presidente del Consiglio volti a gestire l’epidemia di coronavirus rientrano nella categoria delle ordinanze di necessità (5), la cui compatibilità con la Costituzione è stata affermata dalla Corte Costituzionale a condizione che vengano rispettati le norme costituzionali e i principi dell’ordinamento giuridico, vi sia adeguata motivazione e abbiano efficacia limitata nel tempo, in relazione alla necessità e all’urgenza (6). Secondo la Corte tali ordinanze non sono certamente ricomprese tra le fonti del nostro ordinamento giuridico; non innovano al diritto oggettivo; né, tanto meno, sono equiparabili ad atti con forza di legge, per il sol fatto di essere eccezionalmente autorizzate a provvedere in deroga alla legge stessa (7). nell’ultimo decennio si è verificato un ampliamento significativo dei settori in cui è ammesso l’utilizzo delle ordinanze di necessità, sia con riferimento a quelle del Sindaco, quale ufficiale del governo (8) e come rappresentante del Comune (9), sia in relazione alle ordinanze di protezione civile. (3) Infatti il comma 2 dell’art. 1 del D.L. stabiliva che tra le misure da adottarsi allo scopo di evitare il diffondersi del Covid-19 potevano essere adottate anche quelle successivamente elencate. Inoltre secondo l’art. 2 Le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell'epidemia da CoViD-19 anche fuori dai casi di cui all'articolo 1, comma 1. (4) Il decreto 19/20 ha abrogato il precedente decreto-legge, peraltro già convertito, facendo però salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi del d.l. 6/2020. (5) I dpcm emessi in occasione della pandemia sono di ampio respiro, presentano aspetti regolamentari, ma ciò nondimeno sono ordinanze. Così anche LuCIAnI, il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, www.rivistaaic.it, 2/2020. Sono invece regolamenti per FILICe -LoCAtI, Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio, in www.questionegiustizia.it. Sulle caratteristiche di tali atti v. tra le molte Cass. S.u. 12 gennaio 2011 n. 505; Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2015 n. 701. In dottrina la letteratura è ampia; si veda RAzzAno, Le ordinanze di necessità e urgenza nell’attuale ordinamento costituzionale, in Scritti in onore di michele Scudiero, napoli, 2008. (6) Sent. 8/1956. Vedi anche sentenze n. 4/1977, n. 617/1987, n. 32/1991, n. 418/1992, n. 127/1995. La sent. 26/1961 dichiarò l’illegittimità dell’art. 2 t.u. pubblica sicurezza R.D. 773/1931 nei limiti in cui la norma attribuiva ai Prefetti il potere di emettere ordinanze di necessità senza il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico. (7) V. sentenza 4/1977. Questa affermazione è da rivedere alla luce dello sviluppo che hanno assunto le ordinanze “emergenziali”. Al momento sembra più rispondente al vero quanto affermato dal Consiglio di Stato secondo cui le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri, in qualsiasi modo le si voglia collocare nella gerarchia delle fonti normative, sono certamente idonee a innovare l’ordinamento giuridico attraverso prescrizioni generali e astratte, v. Cons. Stato sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6050. Infatti seppure l’efficacia delle ordinanze è temporalmente limitata (almeno in astratto) sono spesso definitivi gli effetti giuridici da esse prodotte. (8) Ad opera del D.L. 92/2008, convertito nella legge 125/2008. (9) Per via del D.L. 14/2017 convertito nella legge 48/2017. ContRIbutI DI DottRInA In generale il potere di ordinanza vive, per così dire, una stagione d’oro, prendendo sempre più piede nell’ordinamento. I decreti del Presidente del consiglio concernenti il coronavirus, conosciuti dall’intera collettività nazionale per l’impatto che hanno avuto sulla vita delle persone, si inseriscono in un quadro che ha visto l’esercizio sempre più frequente del potere di ordinanza rispetto all’utilizzo del decreto-legge. In occasione della pandemia di coronavirus si è seguito un doppio binario. Da un lato si è seguito il procedimento indicato dal codice della protezione civile (d.lgs 2 gennaio 2018 n. 1) che, all’art. 24 (Deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale), prevede che al verificarsi degli eventi di cui all’art. 7, comma 1, lettera c) (10), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, anche su richiesta del Presidente della regione interessata e comunque acquisitane l'intesa, deliberi lo stato di emergenza, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con specifico riferimento alla qualità degli eventi e autorizzando l’esercizio del potere di ordinanza. Il successivo art. 25 precisa che le ordinanze possono essere adottate in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicate nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme del- l'unione europea. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei Ministri in data 31 gennaio 2020, con l’attribuzione al Capo del dipartimento della protezione civile del potere di emanare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, è comunque intervenuto il D.L. 6/2020 che ha previsto esso stesso l’emanazione di ordinanze nella forma di decreti del Presidente del Consiglio (11). In sostanza ad esempio per operare in deroga alla disciplina dei contratti pubblici, si è operato con ordinanze del Capo della protezione civile, mentre per gli interventi che coinvolgevano anche le libertà delle persone, con i DPCM previsti da decreti-legge (12). (10) Calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo. (11) Sull’intreccio tra ordinanze emergenziali e decreti legge v. ARCuRI, il Governo delle emergenze: i rapporti tra decreti-legge e ordinanze di protezione civile dal terremoto de L’aquila al crollo del ponte morandi, in osservatorio sulle fonti, n. 2, 2019, www.osservatorio sullefonti.it; CARDone, il rapporto tra ordinanze del Governo e decreti-legge alla luce della prassi più recente e delle modifiche ordinamentali del potere extra ordinem: alcune tendenze costanti che vanno oltre le “nuove” dinamiche della normazione al tempo della crisi economica, ibidem, 3/2016; zACCARIA -ALbAneSI, Le ordinanze di protezione civile “per l’attuazione” di decreti-legge (ed altri scostamenti dalla l. n. 225/92), in Giur. cost., 2009, n. 3; PIneLLI, Un sistema parallelo. Decreti-legge e ordinanze d’urgenza nell’esperienza italiana, in Diritto Pubblico, 2009, pp. 317 ss. (12) In realtà il sistema messo in atto è ancora più complesso; sono intervenute infatti anche ordinanze del Ministro della Salute ex art. 32 l. 833/1978. Inoltre il d.l. 18/2020 ha istituito il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 Le ordinanze del Capo del dipartimento della Protezione civile, seppure l’attenzione si è rivolta quasi esclusivamente sui decreti del Presidente del Consiglio, hanno svolto una funzione cruciale in occasione della crisi provocata dalla pandemia. Con esse tra l’altro sono stati stabiliti il divieto, per le imprese operanti in Italia, di esportazione dei dispositivi di protezione individuale, la sospensione del pagamento delle rate dei mutui, la distribuzione di risorse da destinare a misure urgenti di solidarietà alimentare e in generale molteplici misure relative alla gestione dell’emergenza. Senza pretese di trattazione anche solo parziale della materia (13), ci si limita qui a ricordare alcuni principi affermati dalla giurisprudenza, in particolare costituzionale, a proposito di questo tipo di ordinanze. La Corte Costituzionale ha precisato che, con riferimento agli eventi indicati ora nell’art. 7, comma 1, lettera c) del codice della protezione civile (14) ovvero le calamità che in ragione della loro natura devono essere fronteggiate immediatamente con poteri straordinari, le funzioni di intervento rientrano nella competenza dello Stato, avendo le medesime rilievo nazionale, in considerazione delle esigenze di unitarietà, coordinamento e direzione (15). Anche i Commissari Delegati dal Governo (16), devono considerarsi longa manus del Governo stesso (17) e i loro provvedimenti devono essere considerati quali atti dell’Amministrazione centrale dello Stato. D’altro canto, secondo la Corte, le norme che attribuiscono allo Stato i poteri di intervento con ordinanza a seguito di calamità non costituiscono una lesione delle attribuzioni regionali, in quanto sono espressione di un principio fondamentale della materia della protezione civile; ne consegue che lo Stato è legittimato a regolamentare, in considerazione della peculiare connotazione che assumono i “principi fondamentali” quando sussistono ragioni di urgenza che giustificano l’intervento unitario del legislatore statale, gli eventi di natura straordinaria di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992 (ora art. 7 comma 1, lettera c) del d.lgs 1/2018), anche mediante l’adozione di epidemiologica CoVID-19. D’altro canto anche in precedenti occasioni, come nell’epidemia di Sars nel 2003 e per quella di H1n1 nel 2009 le ordinanze di protezione civile concorsero con ordinanze del Ministro della Salute ex art. 32 l. 833/1978. (13) Per la quale si rinvia all’ampia dottrina, v. tra i molti MARzuoLI, il diritto amministrativo dell’emergenza: fonti e poteri, in annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, 2005, Milano 2006; CARDone, Le ordinanze di necessità e urgenza del Governo, osservatorio sulle fonti 2006, a cura di P. CARettI, torino 2007, 236 ss.; GAnDInI -MontAGnI, La protezione civile, Milano 2007; PeDRInI, Le ordinanze contingibili e urgenti in materia di protezione civile, in AA.VV., La prassi degli organi costituzionali, a cura di A. bARbeRA -t.F. GIuPPonI, bologna 2008, 183 ss. (14) Che ha sostituito con identica formulazione l’articolo 2, comma 1, lett. c) della legge 225/1992, abrogata dal Codice della protezione civile. (15) Sentenze 284/2006, 82/2006. (16) nominati in virtù dell’art. 25 comma 7 del d.lgs 1/2018, sostitutivo dell’art. 5 comma 4 della l. 225/1992. (17) ord. 92/2008, sent. 237/2007. ContRIbutI DI DottRInA specifiche ordinanze autorizzate a derogare, in presenza di determinati presupposti, alle stesse norme primarie (18). Le medesime disposizioni non comportano del resto un sacrificio illimitato dell’autonomia regionale, in quanto circoscrivono il potere di ordinanza in modo da non compromettere il nucleo essenziale delle attribuzioni regionali, sia attraverso il riconoscimento della necessità di un nesso di adeguatezza e proporzione tra le misure adottate e la qualità e natura degli eventi, sia mediante la previsione di adeguate forme di leale collaborazione e di concertazione (19). Le ordinanze emesse a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza hanno, in ogni caso, natura di provvedimenti amministrativi e sono sottoposte ai normali controlli giurisdizionali (20). Al riguardo la giurisprudenza ha ritenuto di poter sindacare la stessa dichiarazione dello stato di emergenza. Infatti, pur sostenendo che la medesima rientra nell’amplissima discrezionalità dell’Amministrazione (21), essa ha affermato che un margine di sindacabilità esiste relativamente all’esistenza ovvero alla gravità della situazione di fatto che giustificherebbe la declaratoria dell’emergenza; a tal fine il sindacato giurisdizionale può dispiegarsi anche in relazione all’istruttoria e alla motivazione che ne costituiscono il fondamento (22). non è comunque necessario che si tratti di una situazione nuova ed imprevedibile perché ciò che rileva è la necessità ed urgenza attuale di intervenire in difesa degli interessi da tutelare. D’altro canto, deve escludersi che il Governo non abbia il potere di reiterare il provvedimento emergenziale, atteso che il potere attribuito al Consiglio dei Ministri non si estingue per decorrenza del termine, ma perdura fino a quando sussista la situazione di emergenza (23). Con queste premesse ben si comprende come situazioni di emergenza, con il connesso potere derogatorio della normativa primaria, siano durate anni, fino al caso estremo dell’emergenza dei rifiuti in Campania, che si è prolungata per più di 15 anni. È vero che è stata introdotta una disposizione che disciplina (18) Sentenza 284/2006. (19) ibidem. (20) ibidem. Al riguardo l’art. 135 c.p.a. prevede la competenza funzionale del tar Lazio per le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell'articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992; tale disposizione è stata ritenuta conforme a Costituzione dal Giudice delle Leggi, sentenza 237/2007. (21) Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2006 n. 1270; Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 2000 n. 2361. (22) Cons. Stato 16 novembre 2001 n. 6050, che esclude che l’evento posto a base dell’emergenza dichiarata in alcune Regioni in relazione all’insediamento di alcune comunità nomadi, rientrasse nel- l’ambito dell’art. 2 lett. c) l. 225/1992. (23) Cons. Stato, sez. VI, 28 gennaio 2011, n. 654. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 la durata massima dello stato di emergenza (24), ma anche ammettendo che sia esclusa una nuova dichiarazione, visto che la normativa ha comunque carattere di legge ordinaria, è comunque sufficiente riattribuire i poteri di ordinanza facendo uso della decretazione d’urgenza. Le ordinanze emanate ai sensi dell’art. 24 d.lgs 1/2018 devono essere motivate e devono contenere l’indicazione esplicita delle norme di legge derogate (art. 25, comma 1) (25). Questi principi peraltro possono valere per le ordinanze del Capo della protezione civile o dei Commissari delegati, che hanno come fondamento la dichiarazione dello stato di emergenza e il d.lgs 1/2018, non per i dpcm che si fondano sui decreti-legge del Governo. Le ordinanze adottate sulla base del d.lgs 1/2018 sono anche sottratte al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti (26), a differenza dei dpcm previsti dai d.l. 6/2020 e 19/2020, che rimangono sottoposti al visto pur con termine ridotto alla metà. 2. i DPCm del Governo e la Costituzione; l’inadeguatezza del decreto-legge come mezzo di gestione delle emergenze. Se del potere di ordinanza si è fatto ampiamente uso negli ultimi anni, non se ne era però registrato l’utilizzo per limitare in modo così penetrante, ed inoltre su tutto il territorio nazionale, le libertà fondamentali, personali ed economiche, come avvenuto per fronteggiare l’emergenza determinata dal Covid-19. Si comprende quindi come da più parti siano stati sollevati dubbi sia sull’opportunità sia sulla legittimità delle ordinanze emesse, in particolare sui decreti del Presidente del Consiglio. La questione circa la legittimità costituzionale dell’utilizzo dello strumento dell’ordinanza va considerata sotto due distinti aspetti. Da un lato, la possibilità di incidere con limitazioni sul diritto alla libertà di circolazione e sugli altri diritti (27). Dall’altro la possibilità di far ricorso proprio allo strumento dell’ordinanza in sé considerato, ritenendosi che la Costituzione, nel prevedere l’utilizzo del decreto-legge per far fronte alle situazioni di emergenza, abbia escluso ogni altro strumento. Sotto il primo profilo, i dpcm emessi dal Governo possono ritenersi legittimi, in quanto l’art. 16 della Costituzione, secondo cui la legge stabilisce (24) Art. 24, comma 3, d.lgs 1/2018: La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi. (25) Cass. 1 ottobre 2019 n. 24490; Cass. 29 maggio 2018 n. 13482. (26) Sul punto criticamente v. CARDone, il rapporto tra ordinanze del Governo e decreti-legge alla luce della prassi più recente e delle modifiche ordinamentali del potere extra ordinem: alcune tendenze costanti che vanno oltre le “nuove” dinamiche della normazione al tempo della crisi economica, cit.; MARAzzItA, il conflitto tra autorità e regole: il caso del potere di ordinanza, in Forum di Quaderni costituzionali 5 dicembre 2009, www.forumcostituzionale.it. (27) Ad esempio, il diritto all’istruzione, alla libertà religiosa, di riunione, oltre alle libertà economiche. ContRIbutI DI DottRInA limitazioni alla libertà di circolazione per motivi di sanità e di sicurezza, pone una riserva di legge relativa (28), anche se resta qualche dubbio in relazione alle clausole aperte poste dal d.l. 6/2020 che potrebbe comportare l’illegittimità della sanatoria, ad opera del d.l. 19/20, degli effetti prodotti dalle ordinanze assunte sulla base di quelle medesime clausole (29). Per quanto riguarda il secondo aspetto, la questione è più delicata e su di esso si sono incentrate le critiche maggiori (30). Come è noto, nella nostra Costituzione non esiste alcun modo o speciale procedura che permetta al potere esecutivo di sospendere anche solo per un breve periodo diritti fondamentali previsti dalla Costituzione o in generale di derogare a norme e principi costituzionali. In sede di Assemblea Costituente se ne discusse e furono proposti emendamenti in modo da garantire che in situazioni eccezionali vi fosse questa possibilità (31). Prevalse però l’opinione di escludere in radice ogni ipotesi di questo tipo. Si scelse invece di introdurre, dopo molte discussioni e dubbi, l’istituto del decreto-legge, già conosciuto nel nostro ordinamento ed ampiamente utilizzato da tutti i Governi prerepubblicani, pur se lo Statuto Albertino non lo prevedeva. Proprio per l’abuso che ne era stato fatto all’epoca dello Statuto (32), molti non volevano (28) ALLeGRettI, il trattamento dell’epidemia di “coronavirus” come problema costituzionale e amministrativo, in Forum di Quaderni costituzionali, 25 marzo 2020, www.forumcostituzionale.it; CAn- DIDo, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del Covid-19, ibidem, 10 marzo 2020. La Corte Costituzionale ha sempre ritenuto la riserva posta dall’art. 16 come relativa, sentt. 2/1956, 68/1964; CARAVItA, L’italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana, in www.federalismi. it.; bIGnAMI, Chiacchiericcio sulle libertà costituzionali al tempo del coronavirus, in www.questionegiustizia. it. V. anche AzzARItI, Le misure sono costituzionali a patto che siano a tempo determinato, in www.repubblica.it; toDeRo, il governo per contenere il coronavirus limita alcune libertà dei cittadini. Può farlo? su il Foglio del 5 marzo 2020. (29) Come osservato da LuCIAnI, il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, cit. (30) tra gli altri, scusandomi per le omissioni, GuzzettA, La rincorsa alla paura che rischia di colpire al cuore la democrazia, il Dubbio, 20 marzo 2020 nonché Una democratica cultura dell’ordine, solo antidoto alla pandemia del diritto, ibidem, 21 aprile 2020. GuzzettA si è fatto anche promotore di un appello al Presidente della Repubblica con il quale chiedeva al Capo dello Stato di attivarsi per difendere la Costituzione; D’ALoIA, L’emergenza e …i suoi infortuni, www.dirittifondamentali.it; tRAbuCCo, Sull’(ab)uso dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri al tempo del Coronavirus: tra legalità formale e legalità sostanziale, in astrid rassegna, 5/2020; zuCCHeLLI, Lo stato di “eccezione” e i pericoli per la Costituzione che finisce violata, il Dubbio, 4 aprile 2020; AInIS, il bisticcio del potere, in La repubblica, 3 marzo 2020; CuoCoLo, intervista su Genova24.it, 11 marzo 2020; CLeMentI, Coronavirus, quando l’emergenza restringe le libertà meglio un decreto legge che un Dpcm, il Sole 24ore, 13 marzo 2020; CASARottI, L’emergenza per decreto, www.jacobinitalia.it, 13 marzo 2020; PLutIno, i decreti di Conte sul Coronavirus, il riformista, 14 marzo 2020; oLIVettI, Coronavirus. Così le norme contro il virus possono rievocare il «dictator», avvenire, 11 marzo 2020. (31) In particolare l’on. Crispo propose il seguente emendamento: l'esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo e dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato d'assedio. Nei casi suddetti le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato d'assedio e i provvedimenti relativi. (32) Intervento dell’onorevole Persico: onorevoli colleghi, la lucida e dotta orazione dell'onore RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 saperne del decreto-legge, ma prevalse l’opinione che esso dovesse essere conservato per i casi di necessità, visto che la necessità non si può prevedere né eliminare (33); si decise quindi di inserire l’istituto nella Costituzione, circondandolo di limiti e cautele, quali l’obbligo di immediata presentazione alle Camere, la previsione della riunione delle stesse entro cinque giorni nel caso in cui fossero sciolte e la cessazione dell’efficacia del decreto ex tunc in caso di mancata conversione in legge entro sessanta giorni. Peraltro, si escluse radicalmente che il decreto-legge potesse modificare le norme della Costituzione, in quanto al Governo veniva concessa la facoltà di intervenire, in casi straordinari di necessità e urgenza, ma con il solo potere di incidere nella legislazione ordinaria (34). I Costituenti non vollero quindi costituzionalizzare stato di eccezione e poteri straordinari, limitandosi alla previsione del decreto-legge che, oltre all’obbligo di presentazione immediata al Parlamento, alla previsione dell’immediata riunione delle Camere nel caso in cui queste siano sciolte, alla necessità di conversione entro sessanta giorni, comporta anche la deliberazione collegiale del Consiglio dei Ministri e la firma del Presidente della Repubblica. tutte queste garanzie non esistono nel caso dei dpcm. Si potrebbe allora sostenere che l’unico strumento possibile per far fronte alle situazioni di emergenza sia il decreto-legge, con esclusione di ogni fonte che non abbia rango legislativo (35). D’altro canto è vero che nella Costituzione non è comunque vietato l’uso vole Codacci Pisanelli ha spianato completamente la via, perché egli ha fatto tutta la storia dei decreti- legge, da quello primo del 1849 in occasione dello stato d'assedio di Genova fino alla legge del 31 gennaio 1926, n. 100, legge famosa del regime fascista, e ci ha dimostrato come l'istituto del decreto-legge, sorto per cause eccezionali e destinato ad essere applicato soltanto per cause eccezionali, fosse negli ultimi tempi diventato addirittura la normalità, cosicché le Camere vennero ad essere completamente esautorate, poiché a tutto si provvedeva con decreti-legge. (33) Calamandrei disse: ma, insomma, potrà avvenire che si verifichi la necessità e l'urgenza, di fronte alla quale il normale procedimento legislativo non sarà sufficiente: il terremoto, l'eruzione di un vulcano. Credete che si possa mettere nella Costituzione un articolo il quale dica che sono vietati i terremoti? Se non si può mettere un articolo di questa natura, bisognerà pure prevedere la possibilità di questi cataclismi e disporre una forma di legislazione di urgenza, che è più provvido disciplinare e limitare piuttosto che ignorarla. (34) Intervento onorevole bozzi: Naturalmente, questa possibilità di decretare di urgenza è limitata alle leggi ordinarie. in questo, io accetto il punto di vista dell'onorevole Codacci Pisanelli. Non so se sia il caso di dirlo espressamente; io penserei di no, ma non è configurabile che il Governo decreti di urgenza in materia costituzionale. in questa materia costituzionale vi è tutta una procedura speciale, per cui credo che nessuno potrebbe mai pensare che il Governo possa legiferare con ordinanza di urgenza in materia di questo genere. (35) Secondo una tesi presente in parte della dottrina che si è occupata delle ordinanze di protezione civile, cfr. MARAzzItA, L’emergenza costituzionale. Definizione e modelli, Milano, 2003; AGoStA, ruolo del Presidente della repubblica e ordinanze contingibili ed urgenti del Governo, in Forum dei Quaderni costituzionali, 8 febbraio 2011, www.forumcostituzionale.it; beRnAbeI, ordinanza di protezione civile e riserva di decretazione d'urgenza, in rassegna dell’avvocatura dello Stato, 2, 2015, pp. 280 ss. ContRIbutI DI DottRInA di strumenti diversi dal decreto-legge per far fronte alle emergenze e quindi, al di là delle intenzioni dei Costituenti, questi non possono essere esclusi. occorre anche tenere presente che nel nostro ordinamento esistono disposizioni che prevedono l’utilizzo di poteri straordinari in caso di situazioni di pericolo. oltre alle ordinanze di protezione civile, è possibile ricordare gli artt. 214, 216 e 217 del testo unico di Pubblica Sicurezza (R.D. 773/1931). In particolare è previsto che nel caso di pericolo di disordini il Ministro del- l'interno con l'assenso del Capo del Governo (da intendersi previa delibera del Consiglio dei Ministri, visto il mutamento nella forma di Governo), o i prefetti, per delegazione, possano dichiarare, con decreto, lo stato di pericolo pubblico (art. 214), e qualora la dichiarazione di pericolo pubblico si estenda all'intero territorio nazionale, il Ministro dell'interno possa emanare ordinanze, anche in deroga alle leggi vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza al- l'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica (art. 216). Qualora poi sia necessario affidare all'autorità militare la tutela dell'ordine pubblico, il Ministro dell'interno, con l'assenso del Capo del Governo, o i prefetti, per delegazione, possono dichiarare, con decreto, lo stato di guerra (interna, lo stato d’assedio) e, in tal caso, la facoltà di emanare ordinanze spetta all'autorità che ha il comando delle forze militari (art. 217). Queste disposizioni non sono mai state dichiarate incostituzionali e sono tutt’ora presenti nel nostro ordinamento. In dottrina se ne è sostenuta l’abrogazione per contrasto con la Costituzione repubblicana (36) ma in caso di crisi grave non è escluso che ad esse si faccia ricorso (37) e comunque il Governo con decreto-legge potrebbe assegnare alle autorità civili e militari poteri di ordinanza in deroga alle leggi, com’è avvenuto in occasione della pandemia. In realtà, al di là dei discorsi teorici, l’uso del potere di ordinanza, autorizzato dal decreto-legge, nelle circostanze concrete della prima fase emergenziale provocata dalla pandemia, era inevitabile. Vi era la necessità di uno strumento flessibile che non passasse dalla deliberazione collegiale, dalla firma del Presidente della Repubblica, andando a ingolfare un Parlamento che avrebbe avuto enormi difficoltà, per non dire che si sarebbe trovato nell’impossibilità, di convertire i decreti-legge che avessero preso il posto dei dpcm. In quella fase, del dpcm non si poteva fare a meno. Il decreto-legge ha mostrato in questa circostanza la sua fragilità come strumento per fronteggiare un’assoluta emergenza. Il disegno che avevano in mente i Costituenti si è rivelato debole. essi pensarono al decreto-legge (36) CuoCoLo, Gli atti dello Stato aventi forza di legge, Milano, 1961. Le disposizioni citate sono vigenti per MoDuGno e noCILLA, Stato d’assedio in Nov. Dig. it.; SAnDuLLI, manuale di diritto amministrativo, napoli, 1989. È da considerarsi certamente abrogato l’art. 215 per incompatibilità con l’art. 13 della Costituzione. (37) Cfr. DottoRI, L’italia alla prova dello stato d’eccezione, Limes, 4/20. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 come mezzo per far fronte ad avvenimenti gravi, come terremoti e pandemie, mentre per il resto si sarebbe provveduto con la legislazione ordinaria. Però l’assetto da essi costruito non ha retto alla prova dei fatti. Il decreto-legge è divenuto lo strumento principale di legislazione ordinaria a causa della farraginosità del procedimento legislativo. Allo stesso tempo esso si è rivelato inadeguato a far fronte alle vere emergenze, tanto è vero che, per gestire quest’ultime, non solo in occasione della pandemia causata dal Covid-19, da decenni si provvede con ordinanze (38). Il decreto-legge quindi non può sostituirsi al dpcm ma deve costituire il fondamento di legittimità di quest’ultimo. 3. Una proposta. È pur vero, pur non potendosi fare a meno in determinate circostanze del DPCM, che appare evidente la necessità di un maggiore coinvolgimento del Parlamento, al di là del controllo esercitato in sede di conversione del decreto- legge. Al riguardo la previsione originariamente contenuta nel d.l. 19/2020 secondo cui i provvedimenti concernenti le misure di contenimento della pandemia sono comunicate alle Camere entro il giorno successivo alla loro deliberazione, con l’obbligo del Governo di riferire ad esse ogni quindici giorni sulle misure adottate (art. 2, comma 5), non sembra sufficiente. Come non sembra sufficiente, al di là della situazione contingente, l’emendamento approvato in sede di conversione del d.l. 19/2020 secondo cui i provvedimenti sono illustrati preventivamente alle Camere dal Presidente del Consiglio al fine di tener conto degli indirizzi formulati dalle stesse, sempre che ciò non sia impedito dall’urgenza, nel qual caso si limiterà a riferire a posteriori. Al di là delle critiche che possono essere mosse al contenuto della disposizione (39), si tratta pur sempre di legge ordinaria mentre sarebbe opportuno agire con disposizioni di ordine costituzionale che mettano al sicuro il ruolo del Parlamento in eventuali crisi future, pur non impedendo la necessaria flessibilità delle misure. Al riguardo un riferimento potrebbe essere l’art. 116 della Costituzione spagnola che prevede tre ipotesi di emergenza, estado de alerta (40), estado de excepción e estado de sitio, che corrispondono grosso modo alle tre situa (38) Si veda MARAzzItA, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, in osservatorio sulle fonti 2/2011, www.osservatoriosullefonti.it. (39) GuzzettA, Le bugie di Conte orwell: il Parlamento ridotto a barboncino del Capo, il riformista, 12 maggio 2020. occorre peraltro osservare che finora le periodiche relazioni si sono svolte mediante ”informativa” (istituto non contemplato dai regolamenti parlamentari ma introdotto fin dai passati anni ’90 e disciplinato in via di prassi, che prevede un dibattito limitato a un oratore per gruppo e non consente votazione su atti d’indirizzo conclusivi). La possibilità di formulare “indirizzi” presuppone la procedura formale delle comunicazioni del Governo, con successivo dibattito, replica del Governo e possibilità di presentare atti d’indirizzo conclusivi da sottoporre al voto dell’Assemblea; cfr. CuRReRI e MAnnIno, Diritto parlamentare, Milano, 2019. ContRIbutI DI DottRInA zioni che esistono nel nostro ordinamento e che sono contemplate dagli artt. 24 d.lgs 1/2018, 216 e 217 tuPS. Per tutti i tre casi la Costituzione spagnola rinvia a una legge organica (41), ma stabilisce determinate garanzie, variabili a seconda dello stato di emergenza dichiarato, e alcune regole fondamentali comuni (42). Del resto occorre rimettere mano alle disposizioni contenute negli artt. 216 e 217 tuPS e stabilire delle garanzie (43). Proprio perché è necessario difendere le libertà, occorre conciliare l’utilizzo di strumenti flessibili con i necessari presidi, preparandosi ad ogni possibile scenario. (40) In occasione della pandemia in Spagna è stato dichiarato el estado de alerta. Sulle misure adottate all’estero per fronteggiare il coronavirus v. CuoCoLo, i diritti costituzionali di fronte all’emergenza Covid-19. Una prospettiva comparata, in www. federalismi.it. (41) Ley 4/1981. (42) Art. 116: una ley orgánica regulará los estados de alarma, de excepción y de sitio, y las competencias y limitaciones correspondientes. 2. el estado de alarma será declarado por el Gobierno mediante decreto acordado en Consejo de Ministros por un plazo máximo de quince días, dando cuenta al Congreso de los Diputados, reunido inmediatamente al efecto y sin cuya autorización no podrá ser prorrogado dicho plazo. el decreto determinará el ámbito territorial a que se extienden los efectos de la declaración. 3. el estado de excepción será declarado por el Gobierno mediante decreto acordado en Consejo de Ministros, previa autorización del Congreso de los Diputados. La autorización y proclamación del estado de excepción deberá determinar expresamente los efectos del mismo, el ámbito territorial a que se extiende y su duración, que no podrá exceder de treinta días, prorrogables por otro plazo igual, con los mismos requisitos. 4. el estado de sitio será declarado por la mayoría absoluta del Congreso de los Diputados, a propuesta exclusiva del Gobierno. el Congreso determinará su ámbito territorial, duración y condiciones. 5. no podrá procederse a la disolución del Congreso mientras estén declarados algunos de los estados comprendidos en el presente artículo, quedando automáticamente convocadas las Cámaras si no estuvieren en período de sesiones. Su funcionamiento, así como el de los demás poderes constitucionales del estado, no podrán interrumpirse durante la vigencia de estos estados. Disuelto el Congreso o expirado su mandato si se produjere alguna de las situaciones que dan lugar a cualquiera de dichos estados, las competencias del Congreso serán asumidas por su Diputación Permanente. 6. La declaración de los estados de alarma, de excepción y de sitio no modificarán el principio de responsabilidad del Gobierno y de sus agentes reconocidos en la Constitución y en las leyes (43) Inoltre, anche se l’argomento esula dagli argomenti trattati nel presente articolo, occorre prendere in considerazione l’ipotesi che il Parlamento, per una qualunque ragione, si trovi nell’assoluta impossibilità di riunirsi nelle forme ordinarie. Al riguardo sono stati presentati due disegni di legge costituzionale (Ac 2438 e Ac 2452) che prevedono, derogando al principio del bicameralismo, la formazione di un organo collegiale bicamerale, il cui regolamento possa prevedere, ove necessario, lo svolgimento delle riunioni e delle votazioni anche a distanza. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 Lo stato di emergenza da CoVId-19 e il diritto dell’immigrazione, nella cornice della Convenzione europea dei diritti dell’uomo Lorenzo D’Ascia* La pandemia da Covid-19 ha avuto sulle libertà delle popolazioni europee importanti conseguenze, attraverso le misure restrittive che gli Stati sono stati chiamati ad adottare e che hanno comportato degli effetti che hanno messo in discussione, tra gli altri, anche alcuni meccanismi operativi della disciplina del diritto degli stranieri. Mi soffermerei, a titolo esemplificativo, su alcune misure: -la chiusura temporanea degli uffici pubblici tra cui le Questure, chiamati a rilasciare permessi di soggiorno, e gli uffici giudiziari; -il divieto di recarsi in ospedale, in assenza di una prescrizione del medico di base o della guardia medica, quando si presentino sintomi di positività al Covid-19; -la chiusura temporea delle frontiere italiane interne ed esterne all’unione europea, anche a seguito delle decisioni di altri Stati di non accettare persone provenienti dall’Italia, e il conseguente blocco delle procedure di presa in carico e trasferimento dei cc.dd. dublinanti verso l’Italia e di rimpatrio degli stranieri espulsi dall’Italia; -la sospensione temporanea della classificazione di place of safety (luogo sicuro) dei porti italiani ai fini della convenzione di Amburgo, con l’adozione del decreto ministeriale 17 aprile 2020 n. 150 adottato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministeri dell’interno, degli affari esteri e della salute; -la chiusura di fabbriche ed esercizi commerciali, che ha determinato la perdita del lavoro e di reddito per il sostentamento per molte persone, ivi inclusi gli stranieri, alcuni dei quali senza permesso di soggiorno e presenti irregolarmente sul territorio italiano; -l’obbligo per i migranti appena giunti in Italia di sottoporsi allo screening da parte delle autorità sanitarie competenti e a un periodo di quarantena di quattordici giorni. Queste misure derogatorie, in qualche modo tutte riconducibili all’obbligo di confinamento della popolazione al fine di evitare ulteriori contagi, hanno avuto implicazioni per i diritti e le libertà dei migranti in Italia, sia in termini di misure restrittive delle loro libertà, sia in termini di adozione di necessarie misure protettive e ampliative, frutto di obbligazioni positive convenzionali (*) Avvocato dello Stato. ContRIbutI DI DottRInA legate principalmente agli articoli 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. tutto parte dalle forti misure restrittive adottate in via generale dall’Italia e dalla maggior parte dei Paesi europei, per lo più senza notificare al segretario generale del Consiglio d’europa la deroga di cui all’art. 15, CeDu. La CeDu prevede, da un lato, lo strumento della deroga generalizzata ex art. 15 (salvo i diritti del nucleo duro indicati nel suo par. 2) e, dall’altro, deroghe/ limitazioni/restrizioni contenute, in via esplicita o implicita, nelle singole norme convenzionali. Da un punto di vista astratto, queste ultime sono limitazioni interne alla Convenzione, quella di cui all’art. 15 è il prodotto di una decisione degli Stati. Le limitazioni interne alla Convenzione sono previste da singole norme, costituiscono dunque eccezioni e sono, pertanto, di stretta applicazione. Lo stesso non vale per la deroga notificata ai sensi dell’art. 15. Credo, tuttavia, che in entrambi i casi, sia nell’applicazione delle limitazioni interne alla Convezione che nella c.d. deroga emergenziale dell’art. 15, ciò che rileva, in concreto, è sempre l’applicazione del principio di proporzionalità, che consente di intervenire in maniera restrittiva più o meno spinta, a seconda del livello dell’emergenza in atto. Quando la pandemia è a un livello più elevato di contagio e di rischio per la collettività, la Corte dovrebbe applicare un controllo più elastico e flessibile; quando la pandemia sarà in declino, è ovvio che le misure dovranno proporzionalmente allentarsi e la Corte non tollererà il permanere di restrizioni non più giustificate. Si può quindi ritenere che la deroga notificata ai sensi dell’art. 15 possa non presentare differenze così sensibili con le eccezioni delle singole norme convenzionali, e che ben difficilmente la Corte tratterà in maniera diversa le stesse misure restrittive, se adottate da paesi che hanno -prudenzialmente notificato lo stato di emergenza convenzionale, o da tutti gli altri Paesi. Ricorrere all’art. 15 permette di ridurre i rischi giuridici sulla compatibilità convenzionale delle misure eccezionali, ma certo non consente di sospendere la convenzione: nessuna deroga può essere apportata ai diritti del nucleo duro, ma anche per i diritti derogabili (processo equo, libertà circolazione, proprietà) la Corte non può essere esonerata dai suoi poteri di controllo, anche se si tratterà di un controllo più attenuato, alla stregua di quanto succede con le limitazioni convenzionali interne alle varie disposizioni. tutto si giocherà sul test di proporzionalità delle misure derogatorie. ovviamente bisognerà attendere il responso della Corte, sappiamo tutti che la situazione in cui ci troviamo è senza precedenti, e questo è sicuramente un aspetto non da poco rispetto a un organo giudiziario come la Corte che lavora soprattutto sui propri precedenti. La Corte si fonda su un corredo di pre RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 cedenti e principi consolidati che rendono prevedibili le sue decisioni. Ma una situazione come questa non è stata mai affrontata e vi possono essere molti dubbi sul modo in cui i singoli casi saranno affrontati e decisi. La scelta della maggior parte dei Paesi della Convenzione, di non esercitare la deroga di cui all’art. 15, mi pare risponda a valutazioni circa la non necessità assoluta (in considerazione del tipo di misure adottate) di una formalizzazione della deroga, visto il limitato impatto che avrebbero nel quadro della Convenzione, e dall’altro lato, il rischio di impatto psicologico sulla collettività: proclamare una deroga ai diritti dell’uomo sarebbe stato, indubbiamente, un atto simbolicamente forte. bisognerà anche valutare se la notifica al Segretario generale del Consiglio d’europa dello stato di emergenza convenzionale di cui al terzo paragrafo dell’art. 15 costituisca -come pare in effetti -un presupposto costitutivo del- l’applicazione del primo paragrafo dell’art. 15, o se sia invece solo un obbligo convenzionale tutt’al più suscettibile di sanzione ma non dirimente ai fini dell’applicazione della deroga. Su questo punto la dottrina non è del tutto concorde, vi è una parte di essa che ha una posizione più elastica. Sappiamo che l’art. 15 indica alcuni presupposti sostanziali: la situazione di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione (1), l’imminenza e attualità del pericolo. Su quest’ultimo punto si è progressivamente precisato come questo non debba essere inteso in maniera così restrittiva da imporre allo Stato che voglia fronteggiare un’emergenza potenzialmente disastrosa «to wait for disaster to strike before taking measures to deal with it» (2). In altri termini, la valutazione di attualità e imminenza viene valutata in termini comunque potenziali e, anzi, un’eventuale inazione statuale può essere giudicata in senso opposto come presupposto per imputare allo Stato la situazione di emergenza che ha imposto l’adozione di misure in deroga della Convenzione. tale eventualità, che non riguarda l’Italia e la Francia -che hanno immediatamente adottato misure emergenziali analoghe e molto incisive, può semmai riguardare l’approccio attendista adottato da altri Stati contraenti quali, ad esempio, il Regno unito che, com’è noto, nei primi mesi dell’emergenza ha volutamente tardato l’adozione delle misure di contenimento per accelerare il raggiungimento dell’immunità di gregge. ebbene, indubbiamente la pandemia da CoVID-19 che l’europa ha dovuto (1) «an exceptional situation of crisis of emergency which affects the whole population and constitutes a threat to the organised life of the community of which the State is composed» Corte eDu, Lawless v. ireland (no. 3), 1 July 1961, p. 27, § 28, Series a no. 3. (2) Corte eDu, a. and others v. the United Kingdom [GC], no. 3455/05, § 177, ECHr 2009. ContRIbutI DI DottRInA fronteggiare rientra nella nozione di pericolo pubblico sopra richiamata: pur non trattandosi -come del resto molte definizioni contenute nella Convenzione -di un concetto rispetto al quale lo Stato possa godere di un assoluto margine di apprezzamento, appare incontestabile (e supportato dalla valutazione di autorevoli organizzazioni internazionali, come l’organizzazione mondiale della sanità (3)) come l’emergenza sanitaria abbia fin da subito acquisito un livello emergenziale tale da giustificare l’adozione di misure di contenimento straordinarie. Sotto il profilo procedurale, l’articolo 15 richiede che il diritto di deroga venga esercitato nel rispetto di alcune formalità. In particolare, lo Stato ha l’obbligo di informazione del Segretario generale del Consiglio d’europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate (art. 15, par. 3, CeDu). La ratio della norma è costituita dalla necessità di un’adeguata pubblicità della deroga in modo da consentire un adeguato controllo sulle relative misure. Pur in assenza di una formale notifica, la gran parte degli Stati europei (Italia, Francia, Spagna, Germania) ha dato sufficiente pubblicità della necessità di adozione di misure straordinarie (in Italia, ad esempio, con la dichiarazione dello stato di emergenza avvenuta con delibera del 31 gennaio 2020 da parte del Consiglio dei ministri (4)). Può essere considerata sufficiente ai fini dell’applicazione di una deroga più ampia quale quella che, secondo alcuni, connota l’art. 15? Circa la natura dell’obbligo di informazione quale presupposto costitutivo del diritto di deroga ovvero quale mera e autonoma obbligazione che non pregiudica l’operatività dell’art. 15, par. 1, la Corte non sembra avere ancora preso una posizione netta. La scheda tecnica presente sul sito della Corte sembra affermare la tesi del presupposto formale costitutivo del diritto di deroga. In passato, la Corte ha affermato che l’art. 15 richiede «some formal and public act of derogation, such as a declaration of martial law or state of emergency », e che ove questo atto non sia stato proclamato dalla parte contraente l’art. 15 non possa applicarsi (cfr. CeDu, Cyprus v. Turkey, nos 6780/74 and 6950/75, § 527, Commission report of 10 July 1976). (3) Cfr. la Comunicazione dell’organizzazione Mondiale della Sanità (oMS), WoRLD He- ALtH oRGAnIzAtIon, Statement on the second meeting of the International Health organization (2005) emergency Committee regarding the outbreak of novel coronavirus (2019-nCoV) 20 gennaio 2020 [https://www.who.int/news-room/detail/30-01-2020-statement-on-the-second-meeting-of-theinternational- health-regulations-(2005)-emergency-committee-regarding-the-outbreak-of-novelcoronavirus-( 2019-ncov), ultima consultazione 9 giugno 2020] che qualifica la crisi sanitaria come «Public Health Emergency of international Concern». In tal senso anche, L. ACConCIAMeSSA, CoViD19 e diritti umani: le misure di contenimento alla luce della CEDU, in ius in itinere [https://www.iusinitinere. it/covid-19-e-diritti-umani-le-misure-di-contenimento-alla-luce-della-cedu-26455 (ultima consultazione, 9 giugno 2020)]. (4) https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/02/01/20a00737/sg. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 È sufficiente allora un atto formale pubblico che sancisca l’esistenza di uno stato emergenziale corrispondente ai presupposti sostanziali dell’art. 15 par. 1 o è necessario che lo stesso sia seguito da un ulteriore atto formale ossia la notifica al Segretario generale del Consiglio d’europa? La notifica al Segretario generale è pacificamente un obbligo convenzionale, ma è anche un onere per poter beneficiare del regime di derogabilità di cui all’art. 15 par. 1? La finalità della notifica al Segretario generale è quella di consentire il controllo sullo Stato che sta ponendo in essere tali misure derogatorie. Ma è anche vero che in tutti i casi in cui uno Stato contraente ponga in essere atti derogatori della convenzione, per giunta di portata generalizzata, senza notificarli al Segretario generale, questi è comunque chiamato a effettuare un controllo della situazione, per accertarsi che non si stia verificando una violazione sistemica della convenzione, attivando il potere di inchiesta attribuitogli dall’art. 52 della Convenzione eDu. La sensazione è che in concreto il controllo della giustificazione, adeguatezza e proporzionalità della misura sarà analogo per tutti gli Stati contraenti, ai quali sarà riconosciuto un certo margine di apprezzamento nella scelta delle misure risolutive, con una differenza in astratto sul piano probatorio che vedrà facilitati i Paesi che hanno formalizzato lo stato di deroga convenzionale notificandolo al Segretario generale ai sensi dell’art. 15 par. 3. Dico in astratto perché la situazione epidemica dei vari Paesi è oggetto di un numero sterminato di rapporti e analisi di organismi anche internazionali terzi, da non poter escludere che possa configurarsi un appiattimento della situazione di tutti i Paesi sotto il profilo dell’attenuazione della severità del controllo da parte della Corte. Le misure adottate dal Governo italiano, che hanno inciso sulla posizione degli stranieri, hanno riguardato innanzi tutto la chiusura degli uffici pubblici, la sospensione dei procedimenti di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, la chiusura parziale degli uffici giudiziari. Questi provvedimenti non hanno determinato, in realtà, effetti pregiudizievoli per gli stranieri in attesa del permesso di soggiorno, dal momento che sono stati accompagnati e bilanciati dalla sospensione dei termini per la presentazione della richiesta di primo rilascio o di rinnovo del permesso, e della proroga al 15 giugno 2020 di tutti i permessi in scadenza nel periodo tra il 31 gennaio e il 15 aprile. Per quanto riguarda i richiedenti asilo, è stata registrata l’impossibilità di presentare e formalizzare la domanda di asilo e di protezione internazionale. È intervenuta l’autorità giudiziaria, adita dai singoli interessati, per ordinare alle Questure di provvedere alla formalizzazione dell’acquisizione della domanda di asilo che costituisce la condizione per beneficiare del si ContRIbutI DI DottRInA stema di accoglienza per i richiedenti asilo e dell’accesso per gli stessi ai diritti sociali. Il tribunale di Roma e quello di torino, ad esempio, hanno riconosciuto il diritto soggettivo dei migranti (e quindi la propria giurisdizione) a vedere formalizzata la loro domanda, accogliendo i relativi ricorsi ex art. 700. Dal punto di vista del diritto all’accesso alla giustizia, le misure emergenziali hanno determinato, nella prima fase (dal 9 marzo all’11 maggio) il differimento ex lege delle udienze (art. 83 co. 1, decreto legge n. 18/2020) e la sospensione dei termini processuali (art. 83 co. 2), ma questo non ha riguardato indiscriminatamente tutti i giudizi. Si può porre un problema di rispetto dell’articolo 6 della Convenzione eDu, sotto il profilo dell’equa durata (ma solo se la sospensione dovesse durare per un tempo superiore ad alcuni mesi) e sotto il profilo dell’accesso alla giustizia e della tutela dei diritti di cui agli articoli 2 e 3, quando vi sia la necessità di un provvedimento giurisdizionale urgente e non differibile a tutela di un diritto fondamentale (si veda il caso opuz c. Turchia, n. 33401/02, 9 giugno 2009). Anche qui il legislatore italiano ha operato un bilanciamento delle varie esigenze, escludendo dalla sospensione alcuni procedimenti che ex lege, o su valutazione del giudice, risultassero urgenti e indifferibili: le cause sui minori stranieri non accompagnati, la convalida di espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini stranieri. Sono rimasti sospesi i procedimenti di impugnazione dei provvedimenti di espulsione e allontanamento, in quanto giudizi ordinari e non di convalida, per i quali tutt’al più è stata esclusa dalla sospensione l’eventuale giudizio cautelare di sospensione dei loro effetti. Del pari sono rimasti sospesi i ricorsi avverso i provvedimenti di diniego o revoca della protezione internazionale, considerato che in questi casi l’instaurazione del giudizio determina di per sé effetti automaticamente sospensivi del provvedimento. Questo non è valso nei casi in cui il ricorso non ha effetti sospensivi, come quelli di declaratoria di inammissibilità della domanda di protezione internazionale. Sono stati celebrati dunque i processi di impugnazione d’urgenza ex art. 35 bis, d.lgs. n. 25/2008 e, come abbiamo accennato, i procedimenti ex art. 700, c.p.c. che si sono resi necessari per la tutela dei richiedenti asilo. Sotto il profilo del rito processuale, della equità del processi e della effettività del diritto di difesa, in relazione tanto alla seconda fase (dal 12 maggio al 31 luglio), quanto allo svolgimento delle attività già consentite nella prima fase, è stato previsto che i capi degli uffici giudiziari potessero adottare, insieme ad altri provvedimenti organizzativi, talune misure tipiche relative alla RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 fissazione e trattazione degli affari giudiziari, allo scopo di evitare assembramenti all’interno degli uffici e contatti ravvicinati tra le persone. L’art. 83 co. 7, lettere e), f), g) e h), decreto legge n. 18/2020 detta quattro diverse misure concernenti le udienze civili. Si badi che il legislatore non ha inteso imporre alcuna gerarchia tra questi strumenti, riservandone la scelta all’apprezzamento dei capi degli uffici giudiziari e, rispetto al singolo procedimento, del giudice istruttore della causa in relazione alla natura e specificità della stessa: sono incluse l’udienza da remoto e la trattazione solo cartolare con scambio e deposito telematico di memorie scritte. Con riferimento al tema che ci occupa, l’udienza da remoto può finanche favorire le opportunità di audizione del ricorrente (nei ricorsi in materia di protezione internazionale), purché si proceda in quella sede ad una seria identificazione dell’interessato e dell’interprete. Quando una simile partecipazione contestuale non sia necessaria, è la trattazione cartolare la modalità da favorire. non può infatti negarsi che anche un simile meccanismo consenta comunque il completo dispiegarsi del contraddittorio delle parti fra loro e fra queste e il giudice. La piena compatibilità di questa modalità con il parametro del giusto processo è tanto più testimoniata dalla decisione di esplicitare il ricorso alla trattazione cartolare con riguardo alla protezione internazionale nell’ambito dei Protocolli siglati nell’intesa tra uffici giudiziari e ordini degli avvocati. Per esempio, il Protocollo adottato tra il tribunale di Genova e il relativo ordine degli avvocati ha disposto il rinvio a data successiva al 30 giugno 2020 di tutti i procedimenti non urgenti e previsto che i procedimenti relativi alla c.d. protezione internazionale siano inerenti a diritti fondamentali della persona ma senza rientrare nelle cause urgenti di cui all’art. 83 comma 3 del decreto legge n. 18/2020. La trattazione di tali procedimenti può quindi avvenire esclusivamente con le modalità di cui all’art. 83, comma 7, lett. h), decreto legge n. 18/2020, cioè con la trattazione cartolare, fatta salva ogni successiva valutazione del Collegio circa la necessità di procedere alla audizione della parte ricorrente e l’espressa motivata richiesta della stessa parte. un’altra questione emersa per effetto delle misure di confinamento è quella del regime dei c.d. dublinanti, in un contesto nel quale la Commissione europea e i vari Stati dell’unione hanno previsto la chiusura delle frontiere interne, così rendendo impossibile le procedure di ricollocamento nei Paesi risultati come competenti ad esaminare la domanda di protezione internazionale. Si è verificata nei mesi del lock down una situazione di oggettiva impraticabilità del meccanismo di presa in carico e trasferimento di cui agli artt. 18 e 29 del Regolamento Dublino III, n. 604/2013. In primo luogo, in via generale, si è determinata una situazione di chiusura ContRIbutI DI DottRInA delle frontiere dei vari Paesi coinvolti nella pandemia, sia per loro iniziativa, sia per iniziativa dei Paesi verso cui dovrebbero avvenire i trasferimenti. La necessità di fronteggiare l’emergenza sanitaria ha portato la Commissione europea a sospendere temporaneamente l’esercizio della libera circolazione all’interno dell’unione. La limitazione del traffico nei confini interni tra Stati oltre che una più energica chiusura delle frontiere esterne sono avvenute attraverso strumenti di soft law, vale a dire atti privi di efficacia giuridica vincolante. La Commissione il 16 marzo 2020 ha adottato gli orientamenti “CoViD19 Guidelines for border management measures to protect health and ensure the availability of goods and essential services” (5), nonché la Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio “CoViD-19 Temporary restriction on Non-Essential Travel to the EU” (6). una comunicazione più dettagliata è stata resa il 30 marzo 2020 (7) con specifico riferimento alla circolazione dei lavoratori all’interno dell’unione europea, con l’obiettivo di continuare a garantire una circolazione transfrontaliera nei limiti in cui i singoli Stati la ritengano sicura sul piano sanitario e, al contempo, di garantire il libero transito di lavoratori che esercitano professioni critiche, ai quali la libertà di circolazione non può essere negata. Si tratta di provvedimenti atipici, di cui già in passato le istituzioni europee si sono avvalse per provvedere alla disciplina di talune situazioni di emergenza che non permettono di attendere l’emanazione dei tipici atti normativi europei. Il duplice scopo perseguito con queste linee guida è quello, da una parte, di proteggere la salute dei cittadini impedendo la diffusione del virus tra gli Stati europei e, dall’altra, di garantire la circolazione delle persone che devono viaggiare per motivi essenziali di lavoro o di ricongiungimento, nonché la disponibilità di beni e servizi essenziali. Solo con l’attenuarsi della contagiosità del virus, la Commissione ha provveduto ad allentare le suddette misure attraverso un approccio graduale. In risposta all’invito del Consiglio europeo del 26 marzo, il 15 aprile 2020, la Commissione ha presentato, in cooperazione con il presidente del Consiglio europeo, una “Tabella di marcia europea verso la revoca delle misure di contenimento del coronavirus”. Rispetto alle frontiere interne, agli Stati membri è stata attribuita la facoltà di «ripristinare i controlli di frontiera temporanei alle frontiere interne se ciò (5) Il testo degli orientamenti è reperibile al sito internet https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/ files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20200316_covid-19-guidelines-forborder- management.pdf. (6) Il testo è reperibile sul sito di euR-Lex https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=Com:2020:115:FiN. (7) Cfr. su euR-Lex https://eur-lex.europa.eu/legal-content/iT/TXT/HTmL/?uri=CELEX:52020XC0330(03)&from=EN. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 è giustificato da ragioni di ordine pubblico o di sicurezza interna […] in conformità del codice frontiere Schengen» (in particolare, cfr. Codice Schengen, Capo II, artt. 25 ss.). I controlli devono rispettare i principi di proporzionalità e non discriminazione. Per altro verso, il blocco sostanziale dei trasferimenti in Italia dopo la presa in carico dei dublinanti sconta il problema della possibile applicazione dell’articolo 3, par. 2 del Regolamento Dublino III n. 604/2013, secondo cui: “Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo iii per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente”. Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo iii o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente”. nel caso di specie nel periodo di massima espansione in Italia della pandemia, alcuni Paesi europei (in cui l’emergenza sanitaria era più lieve) non hanno potuto procedere al trasferimento dei dublinanti verso l’Italia, in considerazione anche dell’estrema pressione gravante sul sistema sanitario nazionale italiano e della impossibilità di assicurare agli interessati una condizione di adeguata assistenza e tutela sanitaria. Sappiamo che la Corte di Giustizia ue ha ritenuto che il divieto di trasferimento possa operare non solo in presenza di carenze sistemiche del sistema di accoglienza, ma di qualsiasi altra situazione che possa colpire i diritti fondamentali dell’individuo (sentenza 16 febbraio 2017, causa 578-16: il caso di un migrante con problemi psichiatrici per il quale il trasferimento stesso in altro Paese, ancorché privo di carenze sistemiche nell’accoglienza, poteva infliggergli un trattamento inumano e degradante). La Corte di Giustizia ha precisato che l’applicazione della norma non è giustificata da qualsiasi carenza dei sistemi di asilo e di accoglienza, ma solo in quei casi in cui l’interessato possa trovarsi, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale e di completa dipendenza dalla assistenza pubblica (sentenza 19 marzo 2019, causa 163-17). nel caso della pandemia, in cui uno Stato ha dovuto adottare misure stringenti di confinamento e chiusura della gran parte degli uffici, delle fabbriche, degli esercizi commerciali, vi può essere il rischio che il cittadino straniero ContRIbutI DI DottRInA trasferito si trovi in una grave situazione di emarginazione e deprivazione materiale che prescinde dalle sue scelte personali. L’art. 3 del Regolamento Dublino III potrebbe allora trovare applicazione impedendo il trasferimento dell’interessato. Questa temporanea impossibilità, per vari motivi, di procedere al trasferimento, potrebbe comportare il decorso del termine di sei mesi (dalla accettazione della presa in carico o dalla decisione definitiva su un ricorso) di cui all’articolo 29, Regolamento Dublino III, decorso il quale la competenza è trasferita allo Stato richiedente. Sappiamo come la Corte di Giustizia abbia ribadito più volte il carattere perentorio di detto termine. L’anomalia di questa situazione è che normalmente la decisione di dare applicazione o meno all’art. 3 spetta, in base al principio di sovranità, allo Stato richiedente (e alla sua autorità giudiziaria in caso di ricorso), mentre in questo caso anche la chiusura momentanea delle frontiere, unilaterale, da parte dello Stato competente alla presa in carico, può dar luogo al mancato trasferimento. non può peraltro escludersi, che per motivi analoghi, l’unione europea possa adottare nuove misure di ricollocamento generalizzato dei richiedenti asilo, in particolare adottando politiche straordinarie in nome del principio di solidarietà ed equa ripartizione di cui all’art. 80 tFue. Per quanto riguarda le frontiere esterne, l’indirizzo della Commissione consente agli Stati di sottoporre «tutte le persone, cittadini dell’UE e non, che attraversano le frontiere esterne per entrare nello spazio Schengen […] a controlli [sanitari] sistematici ai valichi di frontiera» nonché «la possibilità di rifiutare l’ingresso ai cittadini di paesi terzi non residenti qualora presentino sintomi rilevanti o siano stati particolarmente esposti al rischio di infezione e siano considerati una minaccia per la salute pubblica». Misure alternative al rifiuto d’ingresso, quali l’isolamento o la quarantena, possono essere applicate qualora siano considerate più efficaci. Qualsiasi decisione di rifiuto d’ingresso deve essere proporzionata e non discriminatoria. una misura è considerata proporzionata a condizione che sia stata adottata previa consultazione delle autorità sanitarie e che sia stata da queste considerata adeguata e necessaria per raggiungere l’obiettivo di sanità pubblica. Ma la questione delle frontiere esterne ha avuto un ulteriore sviluppo con l’adozione da parte del Governo italiano della sospensione temporanea della classificazione di place of safety (luogo sicuro) dei porti italiani ai fini della convenzione di Amburgo, con il decreto ministeriale 17 aprile 2020 n. 150 adottato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministeri dell’interno, degli affari esteri e della salute. Il decreto, che aveva una efficacia fino al 31 luglio, è stato impugnato dinanzi al tAR Lazio per violazione del diritto di soccorso in mare, del diritto di asilo e del divieto di refoulement. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 Il tAR Lazio (con ordinanza n. 3934-2020) ha respinto la domanda cautelare ritenendo che vi è la necessità di un bilanciamento degli interessi contrapposti, tipico della fase cautelare, poiché l’atto impugnato è motivato “mediante argomenti seri circa l’attuale situazione di emergenza da CoViD19, e la conseguente impossibilità di fornire un “luogo sicuro”, senza compromettere la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza impegnate nel contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti CoViD-19”. Inoltre il tAR Lazio ha osservato che “il pericolo per i migranti (attuali o potenziali) che siano esposti al rischio di naufragio in mare deve essere correttamente inquadrato nell’ambito di un articolato assetto normativo (nazionale ed internazionale) nel quale è, comunque, garantita assistenza alle persone eventualmente soccorse in mare, prestando misure adeguate rispetto a situazioni di minaccia per le loro vite, il soddisfacimento delle necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico”. Gli obblighi di soccorso in mare derivanti dalle convenzioni internazionali in materia (in primis la convenzione di Amburgo) presentano, per il singolo Stato, intensità differenziate a seconda della zona SAR in cui il soccorso avvenga. In particolare: -su tutti gli Stati aderenti al trattato grava un generalizzato dovere di cooperazione; -sullo Stato responsabile della zona di ricerca e salvataggio ovvero -in caso di mancata risposta di quest’ultimo -su quello che per primo abbia avuto contatto con le persone in mare grava, invece, il dovere di coordinare le operazioni di salvataggio e di individuare un luogo sicuro di sbarco. L’adempimento di tale ultimo obbligo può ritenersi soddisfatto allorché sia individuata una zona di sbarco in cui la vita dei sopravvissuti sia al riparo da ogni minaccia ed in cui sia assicurato il soddisfacimento delle necessarie cure mediche. Alla luce di quanto rilevato, qualora il soccorso avvenga al di fuori della propria zona SAR, lo Stato aderente alla Convenzione SAR non ha l’obbligo di fornire un PoS (porto sicuro) e tantomeno deve “auto-dichiararsi” PoS, ma è tenuto solo a cooperare con le altre Parti per la salvezza dei naufraghi. Il decreto non ha determinato una violazione degli obblighi assunti a livello internazionale ma ha solo attenuato parzialmente l’impegno di assumere la responsabilità del soccorso e di fornire un porto sicuro ai migranti soccorsi in mare in modo da renderlo non troppo gravoso per il sistema assistenziale e sanitario interno. Peraltro, considerata la situazione di eccezionale sovraccarico del sistema sanitario, il decreto ha limitato l’accesso ai porti ai soli casi di soccorsi effettuati in zona SAR italiana o comunque realizzati da navi battenti bandiera italiana o nei casi di “sbarchi autonomi”. In queste ipotesi, l’unico responsabile del soccorso ai profughi risulta es ContRIbutI DI DottRInA sere lo Stato italiano, cosicché l’unico epilogo possibile -nonostante il concreto rischio per la tenuta del sistema sanitario -risulta essere lo sbarco in territorio nazionale. Viceversa, nelle diverse ipotesi in cui le operazioni di salvataggio siano condotte in zona SAR non italiana, da navi battenti bandiera straniera, devono presentarsi alternative più idonee e meno rischiose per la salute stessa dei naufraghi tratti in salvo; alla individuazione di un porto sicuro sono tenuti, infatti, soggetti diversi dallo Stato italiano (ossia lo Stato nella cui SAR è avvenuto il salvataggio, o quello di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio). Con il decreto interministeriale, dunque, non si è prodotta né una generalizzata esclusione dell’obbligo di soccorso in mare gravante sullo Stato italiano, né una deroga al principio giurisdizionale di cui all’art. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, anche nella sua interpretazione più estensiva e funzionale affermata dalla Corte eDu. nel caso Hirsi c. italia (Grande Camera 23 febbraio 2012, ricorso n. 27765-2009) il link giurisdizionale era costituito dalla situazione di controllo dell’Italia dovuto al fatto che il salvataggio era avvenuto da parte di una nave battente bandiera italiana, esercitando così un controllo de jure o de facto. Ma il semplice coordinamento delle misure di soccorso non costituisce di per sé un link sufficiente a determinare l’obbligo di soccorso e la giurisdizione dello Stato italiano. Con riguardo al principio di “non respingimento” (art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati), lo stesso non è stato violato dal decreto ministeriale, dal momento che esso postulava il previo ingresso nel territorio dello Stato con conseguente respingimento/espulsione: circostanza che risulta assente nel caso di specie. La chiusura delle frontiere ha influito anche sulle possibilità di rimpatrio degli stranieri destinatari di misure di espulsione e allontanamento. Secondo alcuni tribunali, chiamati a convalidare la proroga della detenzione, ciò ha determinato l’applicazione dell’art. 15 par. 4 della direttiva rimpatri 2008/115 secondo cui: “Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Si è affermato anche che l’art. 15 par. 4 è norma immediatamente precettiva che consente di adire l’autorità giudiziaria per ottenere il rilascio dal centro di detenzione. Sul punto, si erano già pronunciate la Corte di Giustizia nel caso El Dridi e la Corte di Cassazione (n. 22932/2017). Questa giurisprudenza consente in primo luogo di comprovare, a livello di Convenzione eDu, che esiste un rimedio rapido ed effettivo per ottenere RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 la revoca della detenzione amministrativa nei centri di permanenza per il rimpatrio (anche ai fini della verifica del requisito del preventivo esaurimento dei mezzi di ricorso interni). Dall’altro, l’orientamento di questi tribunali (Roma, triste) avrebbe potuto portare ad affermare l’apertura generalizzata dei centri di permanenza per il rimpatrio, come in alcuni Paesi europei è stato fatto. Ciò non è avvenuto in Italia, sia per esigenze di confinamento, sia perché la durata della chiusura delle frontiere e dell’impossibilità di rimpatrio non è stata tale da escludere in via definitiva ogni prospettiva ragionevole, magari dopo qualche mese (e quindi prima della scadenza del termine massimo previsto dalla direttiva), di esecuzione dell’allontanamento. occorreva, dunque, verificare caso per caso, per lo meno, se la posizione dell’interessato fosse quella di un imminente scadenza del termine massimo di detenzione nei centri di permanenza per il rimpatrio. Per quanto riguarda, infine, gli obblighi solidaristici conseguenti alla crisi derivante dalla pandemia, con l’oCDPC n. 658/2020 sono stati stanziati fondi per buoni alimentari a favore delle persone che si trovano in stato di bisogno. Alcuni comuni hanno posto qualche limitazione o distinzione, precisando che si debba trattare di nuclei familiari residenti nel comune in cui si trovano e nel quale potranno utilizzare i buoni alimentari. Altri comuni hanno escluso dal novero dei beneficiari gli stranieri che si trovano irregolarmente sul territorio italiano. La questione è stata affrontata dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario. Il tAR Abruzzo, da un lato, ha puntualizzato che ogni diversificazione non trova fondamento nell’ordinanza n. 658, che pone come requisito solo quello dello stato di bisogno. Il tribunale di Roma, con ordinanza cautelare ex art. 700, c,p.c. ha del pari affermato che hanno diritto a questa misura di sostegno tutti coloro che ne hanno bisogno, senza possibilità di escludere gli stranieri irregolari, trattandosi di diritti fondamentali incomprimibili (alla salute, alla sopravvivenza, all’alimentazione) che rispondono a bisogni primari, e considerato che, come ripetutamente affermato dalla corte costituzionale, lo straniero gode di tutti i diritti fondamentali di cui all’art. 2 della Costituzione, che il criterio non è quello della cittadinanza o della residenza, ma unicamente quello personalistico (v. Corte Cost., sentenza n. 198/2000). Il problema si pone più un generale per tutte le situazioni di vulnerabilità che richiedano un intervento di tutela dello Stato. Ad esempio le cure mediche sono assicurate, ai sensi dell’art. 35, tuI, a tutti gli stranieri anche irregolari, sia pure con modalità diverse da quelli titolari di regolare permesso di soggiorno. ContRIbutI DI DottRInA La Corte eDu si è posta il problema della tutela dei minori non accompagnati ordinando, ad esempio, alla Francia, ai sensi dell’art. 39, di assicurare un alloggio, vitto e cure mediche a un minore che si trovava in stato di abbandono, fino a conclusione dello stato di emergenza sanitaria in Francia (ricorso 15457/2020). RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 La gestione delle emergenze sanitarie nell’ordinamento italiano Loredana Pileggi* Salvatore Paolo Putrino Gallo** Sommario: 1. Premessa -2. La normativa in materia di emergenza sanitaria: dal t.u. sulle leggi sanitarie ai decreti d’urgenza del governo Conte ii -3. il rapporto fra lo Stato e le regioni -3.1. (segue) La sussidiarietà amministrativa -3.2. (segue) La sussidiarietà legislativa -3.3. (segue) La sussidiarietà nella gestione dell’emergenza -4. Gli strumenti di attuazione delle disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 -4.1. (segue) i D.P.C.m. -4.2. (segue) Le o.P.G.r. -4.3. (segue) Le ordinanze comunali -5. La gestione della giustizia nel periodo emergenziale -6. Considerazioni conclusive. 1. Premessa. L’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 (di seguito anche «Coronavirus») offre spunti di riflessione sulle modalità di gestione della nota pandemia e, più in generale, delle emergenze sanitarie. Le principali questioni in ordine alla legittimità dell’azione pubblica nella gestione dell’attuale crisi sono sorte soprattutto in conseguenza del rapido susseguirsi di diverse disposizioni di differente natura (1), talvolta frammentarie, discordanti e prive di chiarezza (2), che hanno inciso su alcuni diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. In particolare, si è registrato un succedersi di decreti legge, decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, di ordinanze del Ministro della Salute, di quelle dei Presidenti delle regioni e, infine, di ordinanze sindacali volte alla regolamentazione delle attività economiche e sociali di tutta la nazione. In ambito statale, non sono mancate anche disposizioni che hanno inciso sul funzionamento del sistema giudiziario italiano, di cui si dirà sub 5. (*) Dottoressa in Giurisprudenza, abilitata all’esercizio della professione forense, già praticante presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro (avv. St. Alfonso Mezzotero). (**) Avvocato del libero Foro, già praticante presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro (avv. St. Alfonso Mezzotero). (1) Sul punto, si v. A. CeLotto, Emergenza e ordinanze comunali: l’«isola della ragione nel caos delle opinioni» (a prima lettura del parere 7 aprile 2020, n. 260/2020), in www.giustiziaamministrativa. it, 2020; cfr., inoltre, M. oRICCHIo, La questione istituzionale in italia al tempo della pandemia, in www.lexitalia.it, 2020. (2) Riguardo al processo amministrativo, si segnala, per il momento, F. VoLPe, ancora sulla disciplina emergenziale del processo amministrativo (commento all’art. 4, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28), in www.lexitalia.it, 2020, alle cui osservazioni si rinvia. ContRIbutI DI DottRInA 2. La normativa in materia sanitaria: dal t.u. sulle leggi sanitarie ai decreti d’urgenza del governo Conte ii. L’attuale situazione emergenziale ha determinato un corposo aumento delle disposizioni in materia sanitaria, con un progressivo spostamento delle competenze fissate dalle norme già vigenti. Ai fini di una ricognizione della normativa più rilevante in materia di competenze nella gestione delle emergenze sanitarie, occorre premettere che l’attività sanitaria qui in esame attiene specificamente all’azione volta alla prevenzione e al contenimento della diffusione di malattie infettive a carattere epidemico, rimanendo, pertanto, escluso dallo spettro della presente trattazione la materia sanitaria intesa come organizzazione del sistema assistenziale e di quello ospedaliero. una prima disciplina organica in materia è rappresentata dal t.u. sulle leggi sanitarie di cui al R.d. 27 luglio 1934, n. 1265, ove sono confermate le funzioni di tutela della salute pubblica del Ministro dell’Interno già attribuite dal R.d. 9 ottobre 1861, n. 255. La materia sanitaria, dunque, era genericamente ricondotta sotto la gestione degli affari interni dello Stato. Per l’istituzione del Ministero della Sanità, con al vertice un organo del Governo, infatti, si dovette attendere la l. 13 marzo 1958, n. 296. tuttavia, sebbene dal 1958 il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica è affidato al Ministero della Sanità, a livello nazionale, le competenze in materia sanitaria non sono state conferite in via esclusiva a quest’organo, in ragione del fatto che la stessa legge istitutiva di tale dicastero fa salve le disposizioni legislative attributive di tale potere in capo alle altre Amministrazioni dello Stato (3). La successiva l. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn), non ha mutato il quadro su indicato. Infatti, una volta ribadita la competenza statale in materia di profilassi delle malattie infettive (4), con delega alle regioni dell’esercizio delle relative funzioni amministrative (5), sebbene venga attribuito al Ministro della Sanità il potere di emissione di “ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio (3) Ai sensi dell’art. 1, comma 3, l. n. 296/1958, infatti, “qualora la legge non disponga diversamente, i provvedimenti in materia di sanità rientrano nella competenza del ministero della sanità”. Pertanto, la clausola di riserva di cui all’art. 1, comma 3, cit., la mancata abrogazione dell’art. 1 t.u. leggi sanitarie e l’assenza sempre in quest’ultimo articolo di una disposizione esclusiva di competenze in materia in capo ad altri organi comportano l’attribuzione in capo alle due Amministrazioni (Interno e Sanità) del medesimo potere. Contra, G. MARAzzItA, il conflitto tra autorità e regole: il caso del potere di ordinanza, in riv. aiC, n. 4/2010, secondo cui il potere conferito dall’art. 32, l. n. 833/1978 al Ministro della Salute “sembra per alcuni aspetti sovrapporsi, con effetti probabilmente abrogativi, alla disciplina del- l’art. 261 T.U.L.S.”. (4) Cfr. art. 6, l. n. 833/1978. (5) Cfr. art. 7, l n. 833/1978. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 nazionale o a parte di esso comprendente più regioni” (art. 32, comma 1, l. n. 833/1978), rimangono comunque “salvi i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell’ordine pubblico” (art. 32, comma 5, l. n. 833/1978), ossia quelli del Ministro dell’Interno (6). La giustificazione della salvezza del potere di intervento in questa materia del Ministro dell’Interno è da ravvisare nel concetto di ordine pubblico. A livello normativo, l’«ordine e sicurezza pubblica» (7) sono definiti come “il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché […] la sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni” (art. 159, comma 2, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), come quello alla salute, riconosciuto espressamente dall’art. 32 Cost. come fondamentale diritto del- l’individuo e interesse della collettività. Sempre in ragione dell’ampiezza concettuale di «ordine e sicurezza pubblica », anche i servizi di protezione civile (8) furono inizialmente incardinati presso il Ministero dell’Interno (9). Al Ministro dell’Interno, infatti, fu attribuito il potere di impartire “direttive generali in materia di protezione civile e, in caso di calamità naturali o catastrofe, assume[re: n.d.r.] la direzione ed […] il coordinamento di tutte le attività svolte nella circostanza dalle amministrazioni dello Stato, dalle regioni e dagli enti pubblici territoriali ed istituzionali” (art. 2, comma 2, l. 8 dicembre 1970, n. 996). Sebbene precedute da disposizioni particolari, finalizzate al superamento di specifiche situazioni emergenziali venutesi a creare a seguito di calamità di natura sismica (10), disposizioni effettivamente innovative in ordine ai soggetti (6) non risulta esercitata la delega di cui all’art. 62, l. n. 833/1978, che autorizzava il Governo a emanare, entro due anni dall’entrata in vigore della stessa legge, disposizioni volte a “modificare, integrare, coordinare e riunire in testo unico le disposizioni vigenti in materia di profilassi internazionale, ivi compresa la zooprofilassi, e di malattie infettive e diffusive”, chiarendo che “sino all’emanazione del predetto testo unico, si applicano, in quanto non in contrasto con le disposizioni della presente legge, le norme del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le altre disposizioni vigenti in materia”. (7) Sul quale V. LoPILAto, manuale di diritto amministrativo, 2018, Giappichelli, 1214, evidenzia che, in dottrina, i termini in esame sono considerati “un’endiadi e, cioè, non rappresent[a]no valori diversi, come dimostra la circostanza che la legislazione amministrativa «richiama ripetutamente le due locuzioni in maniera congiunta e mostra di volere esprimere un unico concetto per mezzo di due termini coordinati»”. (8) termine con il quale si definisce “l’insieme delle competenze e delle attività volte a tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo” (attualmente, si v. art. 1, comma 1, d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1 - «Codice della protezione civile»). (9) Art. 3, l. 8 dicembre 1970, n. 996: “ai fini di cui al precedente articolo è istituito, presso il ministero dell’interno, il Comitato interministeriale della protezione civile. il Comitato è costituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è presieduto dal ministro per l’interno e di esso fanno parte i ministri per il tesoro, per la difesa, per i lavori pubblici, per i trasporti e l’aviazione civile, per l’agricoltura e le foreste e per la sanità”. ContRIbutI DI DottRInA coinvolti in via ordinaria nella gestione delle emergenze sanitarie si rinvengono nella l. 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile. Con la l. n. 225 cit., infatti, le competenze in materia di protezione civile sono state trasferite al Presidente del Consiglio dei Ministri, al quale è stato affidato, dunque, il potere di promuovere e coordinare “le attività delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, delle regioni, delle province, dei comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale” (art. 1, comma 2, l. n. 225/1992), in precedenza gestite dal Ministro dell’Interno. Per lo svolgimento delle nuove funzioni, la stessa l. n. 225, inoltre, ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Dipartimento della protezione civile (11), struttura al vertice della quale è posto il Capo del Dipartimento della protezione civile. Da ultimo, la normativa in materia di protezione civile è stata riordinata a seguito dell’emanazione, in esercizio della delega conferita al Governo dalla l. 16 marzo 2017, n. 30, del codice della protezione civile di cui al d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1. una prima rilevante novità del codice della protezione civile è l’espresso riconoscimento dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà tra i vari livelli di governo nell’esercizio delle funzioni di protezione civile (12). Altra novità di rilievo è riscontrabile all’art. 16 cod. prot. civ., ove sono indicati in maniera analitica le tipologie di rischi in precedenza ricondotte dall’abrogato art. 2, l. n. 225/1992 sotto i concetti generici di «eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo» e di «calamità naturali, catastrofi o altri eventi» (13). In particolare, una volta rassegnate le attività storicamente riconducibili agli interventi della protezione civile (14), viene espressamente sancito che “l’azione del Servizio nazionale è suscettibile di esplicarsi, altresì, per […] i rischi: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario e da rientro incontrollato di oggetti e detriti spaziali” (art. (10) A titolo esemplificativo e non esaustivo, si fa riferimento a: d.l. 2 aprile 1982, n. 129, convertito, con modificazioni, in l. 29 maggio 1982, n. 303, in materia di interventi in favore delle popolazioni colpite dal terremoto del 21 marzo 1982 con epicentro nel Golfo di Policastro; d.l. 10 luglio 1982, n. 428, convertito, con modificazioni, in l. 12 agosto 1982, n. 428, concernente misure urgenti di protezione civile. Si segnala che nelle disposizioni citate la gestione delle emergenze è stata affidata ad un organo ad hoc: il Ministro per la protezione civile. (11) Si v. art. 1, comma 3, l. n. 225/1992. Si v., attualmente, anche art. 8, d.lgs. n. 1/2018. (12) Cfr. art. 1, l. n. 30/2017, il preambolo al cod. prot. civ. e l’art. 3 del medesimo codice. (13) L’art. 2, l. n. 225/1992 («tipologia degli eventi ed ambiti di competenze») è stato riprodotto all’art. 7 cod. prot. civ. («tipologia degli eventi emergenziali di protezione civile»). (14) ossia, quelli relativi ai rischi “sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologici avversi, da deficit idrico e da incendi boschivi” (art. 16, comma 1, cod. prot. civ.). RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 16, comma 2, cod. prot. civ.), con la specificazione che “non rientrano nel- l’azione di protezione civile gli interventi e le opere per eventi programmati o programmabili in tempo utile che possono determinare criticità organizzative” (art. 16, comma 3, cod. prot. civ.). Anche in questo caso, dunque, sono confermate “le competenze dei soggetti ordinariamente individuati ai sensi della vigente normativa di settore e le conseguenti attività” (art. 16, comma 2, cit.). Dal quadro normativo fin qui ricostruito emerge che, attualmente, in linea generale, hanno potere in materia sanitaria il Ministro dell’Interno (15) (16), il Ministro della Salute (17) e il Presidente del Consiglio dei Ministri, quest’ultimo nell’ipotesi in cui, in sede di deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, decida di non conferire il potere di ordinanza di protezione civile al Capo del relativo dipartimento (18). nonostante l’intervenuto esercizio dei poteri di protezione civile (19), si è deciso, comunque, di introdurre una disciplina ad hoc per far fronte alla diffusione del virus SARS-CoV-2 (20). Con d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, in l. 5 marzo 2020, n. 13, è stato attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di emanare “uno o più decreti […] su proposta del ministro della salute, sentito il ministro dell’interno, il ministro della difesa, il ministro dell’economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale” (15) Art. 261, l. n. 1265/1934: “il ministro per l’interno, quando si sviluppi nel regno una malattia infettiva a carattere epidemico, può emettere ordinanze speciali per la visita e disinfezione delle case, per l’organizzazione di servizi e soccorsi medici e per le misure cautelari da adottare contro la diffusione della malattia stessa”. (16) Contra, si v. nota 3. (17) Art. 32, l. n. 833/1978: “il ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni”. (18) Art. 5 cod. prot. civ.: “il Presidente del Consiglio dei ministri, per il conseguimento delle finalità del Servizio nazionale, detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, che può esercitare, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione di cui all’articolo 24, per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile”. (19) Si fa riferimento alla «Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili» di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (in Gazz. Uff., serie generale, n. 26 dell’1 febbraio 2020) e alla «Proroga dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili» di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 29 luglio 2020 (in Gazz. Uff., serie generale, n. 190 del 30 luglio 2020). (20) Sulla specialità delle disposizioni in materia di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, cfr. t.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, decr. 27 agosto 2020, n. 842, in www.giustizia-amministrativa. it. ContRIbutI DI DottRInA (art. 3, comma 1, d.l. n. 6/2020), al fine di adottare una o più misure di contenimento dell’epidemia indicate dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto. Lo stesso d.l., inoltre, fa salvo il potere di ordinanza di cui all’art. 32, l. n. 833/1978 del Ministro della Salute, da utilizzare, tuttavia, in via sussidiaria, “nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri” (art. 3, comma 2, d.l. n. 6/2020). Le disposizioni su indicate sono state riprodotte, con correttivi volti alla riconduzione a legittimità costituzionale delle relative norme (21), nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, in l. 22 maggio 2020, n. 35 (22). 3. il rapporto fra lo Stato e le regioni. La previsione di misure di contenimento e di contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2, da applicare uniformemente “su specifiche parti del territorio nazionale e, all’occorrenza, sulla totalità di esso” (23), ha costituito la principale risorsa nella lotta all’emergenza epidemiologica e ha trovato giustificazione nei principi che presidiano la ripartizione dei compiti amministrativi fra i diversi livelli di governo. 3.1. (segue) La sussidiarietà amministrativa. La distribuzione delle funzioni amministrative fra i diversi livelli di governo risponde al principio di sussidiarietà (24), menzionato nei trattati europei (25) e recepito nella Costituzione all’art. 118 con l. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante “modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”. Prima della modifica del titolo V della Costituzione, le funzioni amministrative erano allocate secondo il principio del parallelismo della funzione legislativa e amministrativa. tale principio, di matrice pretoria, rispondeva alla regola generale secondo cui, rispetto ad un ambito materiale prefissato dalla Costituzione, alla titolarità della funzione legislativa si accompagnava la tito (21) Sui dubbi di costituzionalità del d.l. n. 6/2020, si v. S. CASSeSe, La pandemia non è una guerra. i pieni poteri al governo non sono legittimi, in il Dubbio, 14 aprile 2020; G.L. GAttA, Corona- virus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in www.sistemapenale.it, 2020. (22) In argomento, G.L. GAttA, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza CoViD-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in www.sistemapenale.it, 2020. (23) Cfr. art. 1, comma 1, d.l. 25 marzo 2020, n. 19. (24) Ci si riferisce al principio di sussidiarietà verticale e non anche a quello di sussidiarietà orizzontale. (25) trattato u.e. di Maastricht del 7 febbraio 1992: cfr., in part., art. 3b, che ha formalmente riconosciuto a livello comunitario il principio di sussidiarietà. Sull’evoluzione del principio di sussidiarietà nel contesto europeo, v. S. PAPA, La sussidiarietà alla prova: i poteri sostitutivi nel nuovo ordinamento costituzionale, 2008, Giuffrè; ID., Sussidiarietà, primazia comunitaria e sovranismo, 2019, in www.federalismi. it, rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 larità della funzione amministrativa, sicché alla competenza di emanare le leggi corrispondeva la competenza a garantire la loro esecuzione attraverso l’adozione di atti amministrativi (26). tale ricostruzione trovava fondamento normativo nella lettura congiunta degli artt. 117 e 118 Cost. ante riforma, da cui emergeva come l’esercizio della funzione amministrativa fosse prerogativa delle Regioni e strettamente correlato alla competenza delle medesime di adottare, per le materie riportate nel- l’art. 117 (27), “norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. La titolarità generale delle competenze amministrative in capo alle Regioni incontrava, tuttavia, due correttivi a vantaggio degli altri enti territoriali. Per un verso, si riconosceva al Parlamento un’ampia discrezionalità nel- l’individuazione degli «interessi esclusivamente locali» da affidare alla cura di Province e Comuni e, per altro verso, si richiedeva alle Regioni di esercitare «normalmente» la funzione amministrativa nel senso della delegazione in favore delle realtà istituzionali di livello immediatamente inferiore (28). Come accennato, con la revisione, nel 2001, del titolo V della Costituzione sono state riordinate le competenze amministrative secondo il principio di sussidiarietà, recepito, unitamente ai corollari di adeguatezza e differenziazione (29), al comma 1 dell’art. 118 Cost. (30). Alla stregua del principio in discorso si delinea un sistema per cui, nella ripartizione dei compiti amministrativi, il Comune, quale livello di governo più vicino ai cittadini, e, come tale, più adeguato a rispondere alle esigenze della collettività amministrata, viene preferito nella titolarità ed esercizio delle funzioni amministrative agli organismi di livello superiore, cui si impone di intervenire solo se e nella misura in cui le finalità dell’azione prevista non possano essere sufficientemente realizzate a livello comunale (31) (32). In altri (26) Sul parallelismo delle funzioni, si v. M. CLARICH, manuale di diritto amministrativo, Quarta edizione, 2013, Il Mulino; si v. anche V. LoPILAto, Le funzioni amministrative, in il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, a cura di G. CoRSo e V. LoPILAto, 2006, Giuffrè e M. PICCHI, L’autonomia amministrativa delle regioni, 2005, Giuffrè. (27) Sul carattere tassativo delle attribuzioni amministrative regionali, si v. Corte Cost., 23 luglio 1974, n. 250 (in materia di assistenza scolastica); id., 20 maggio 1976, n. 126 (in materia di assistenza sociale). (28) Sulle deroghe al principio del parallelismo, per approfondimenti, si v. L. MACCARRone, Profili di riforma e controriforma nell’assetto delle funzioni amministrative locali, 2013, Giappichelli. (29) Per una puntuale descrizione dei criteri di adeguatezza e differenziazione, v. b.G. MAttA- ReLLA, Lezioni di diritto amministrativo, 2018, Giappichelli; A. D’AtenA, Diritto regionale, Seconda edizione, 2013, Giappichelli. (30) Il principio di sussidiarietà quale criterio generale di riparto nell’allocazione delle funzioni amministrative è stato introdotto nell’ordinamento italiano, a livello di normazione primaria, dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. Legge bassanini I). (31) In tal senso, S. CASSeSe, il diritto amministrativo e i suoi principi, in istituzioni di diritto amministrativo, a cura di S. CASSeSe, 2015, Giuffrè. ContRIbutI DI DottRInA termini, con la riforma del 2001 s’introduce un sistema basato sulla regola della generale preferenza dell’ente comunale, rispetto alla quale ogni diversa soluzione allocativa assume il carattere dell’eccezionalità, da giustificare in base ai criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (33). La ripartizione dei compiti amministrativi, così come tratteggiata nel primo comma dell’art. 118 Cost., non risulta più rispondente alla necessaria correlazione fra esercizio delle competenze legislative ed amministrative, propria del sistema previgente (34). Lo Stato e le Regioni, infatti, quali enti deputati alla produzione normativa, non risultano titolari di una “diretta e tendenzialmente statica attribuzione delle funzioni amministrative” (35), ma competenti in relazione alla loro allocazione. Depone in tal senso il dettato normativo di cui all’art. 118, comma 2, Cost., secondo cui lo Stato e le Regioni procedono con legge a regolamentare, ciascuno con riguardo al proprio ambito di competenza, l’esercizio delle funzioni amministrative, ovverosia ad individuare il livello territoriale preposto allo svolgimento dei compiti amministrativi. Più specificatamente, il riformato art. 118 prevede che il legislatore ordinario determini con legge statale o regionale, a seconda che la materia da regolamentare in via amministrativa ricada nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, concorrente dello Stato e delle Regioni o residuale regionale, l’ente territoriale di governo all’uopo competente (comma 2), con l’onere di “considerare come prima ipotesi la titolarità comunale, ed accedere ad una diversa collocazione ove risulti negativo per i Comuni il test condotto sulla base dei criteri enunciati dalla norma” (36). ne consegue che nella dimensione del- l’azione amministrativa il principio di sussidiarietà “presenta una valenza giuridica supportata dal principio di legalità”, sicché “occorre una legge statale di conferimento delle funzioni amministrative dello Stato alle regioni ed una legge della regione per il conferimento di relative funzioni amministrative agli enti infraregionali” (37) (38). (32) La sussidiarietà “termine che nasce fuori dall’ambito giuridico, nella dimensione sociale […] reca come significato il riferimento ad una operazione di ausilio, aiuto, sostituzione di un soggetto (sussidiante) rispetto ad un altro (sussidiato)” (così D. D’ALeSSAnDRo, il riparto costituzionale delle funzioni amministrative, in Diritto regionale e degli enti locali, II ed., a cura di S. GAMbIno, 2009, Giuffrè). (33) In tal senso, b.G. MAttAReLLA, La riforma del titolo V: bilancio e prospettive, in Giorn. dir. amm., 2015, 6, 731. (34) Si assiste, in altri termini, al superamento del principio del parallelismo delle funzioni. Al riguardo, A. D’AtenA, in Diritto regionale, op. cit., pag. 192, osserva che “L’abbandono di questo principio trova la sua espressione più eloquente nella circostanza che, mentre la legislazione è di spettanza dello Stato e delle regioni, le funzioni amministrative sono, in principio, attribuite ai Comuni, i quali, in base alla nuova disciplina, sono titolari di una competenza amministrativa residuale (analoga alla competenza legislativa residuale attribuita alle regioni)”. (35) Così V. LoPILAto, manuale, cit., 233. (36) Così S. bARtoLe, R. bIn, G. FALCon e R. toSI, Diritto regionale, 2005, Il Mulino. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 3.2. (segue) La sussidiarietà legislativa. Sebbene il nuovo assetto costituzionale abbia delineato un sistema di funzioni mobili e posto i criteri per la loro migrazione, l’effettiva distribuzione delle funzioni amministrative fra i diversi livelli di governo ha nella pratica incontrato non poche difficoltà, in gran parte riferibili all’individuazione dei soggetti legittimati ad allocare le funzioni nelle materie in cui sussiste la competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni. In relazione alla previsione normativa di cui all’art. 117, comma 3, Cost. e, dunque, all’ambito materiale ricadente nella potestà legislativa concorrente, si sono posti due interrogativi: i) chi, fra lo Stato e le Regioni, sia competente ad allocare le funzioni amministrative fra i diversi livelli di governo e ii) chi, fra lo Stato e le Regioni, sia deputato a regolamentarne l’esercizio in presenza di esigenze di carattere unitario. Dirimente, sul punto, l’intervento della Corte Costituzionale. Quanto al primo dei su indicati quesiti, la giurisprudenza costituzionale ha sostenuto che “in tali materie il legislatore statale debba limitarsi a fissare norme sulla allocazione e non norme di allocazione delle funzioni, non spettando, di regola, al legislatore statale la puntuale distribuzione delle funzioni amministrative” (39). In tale direzione, si richiama la sentenza 28 gennaio 2005, n. 50 (40), con la quale la Consulta ha valorizzato il ruolo dell’ente regionale nel procedimento di allocazione delle funzioni amministrative per le materie di legislazione concorrente, ammettendo la possibilità per la Regione, quale ente territoriale all’uopo competente, di disattendere le previsioni statali «di dettaglio » (41) e addivenire, con propria disciplina, ad una diversa allocazione delle funzioni amministrative. (37) Così R. DICkMAnn, Sussidiarietà e potere sostitutivo. osservazioni in occasione di una recente pronuncia del Consiglio di Stato (ad. Gen. n. 2 del 2002), in Foro amministrativo CdS, 3, 2002, 849. (38) La stessa Corte Costituzionale ha confermato, a più riprese, la previsione di riserva di legge per l’allocazione delle funzioni amministrative fra i diversi livelli territoriali di governo: ex multis, v. sent. 29 ottobre 2003, n. 324 e 11 giugno 2004, n. 172, entrambe in www.cortecostituzionale.it, ove si legge che: “la concreta allocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli di governo non può prescindere da un intervento legislativo (statale o regionale, a seconda della ripartizione della competenza legislativa in materia), che deve, di volta in volta, manifestare la prevalenza del criterio generale di allocazione al livello comunale ovvero la necessaria preminente considerazione di esigenze unitarie che impongono una allocazione diversa”. (39) Così C. nAPoLI, Le funzioni amministrative nel Titolo V della Costituzione, Contributo allo studio dell’art. 118, primo e secondo comma, 2011, Giappichelli, ove ulteriori riferimenti dottrinali. (40) In www.cortecostituzionale.it. (41) L’intervento normativo «di dettaglio» dello Stato nella dislocazione dei compiti amministrativi per le materie di legislazione concorrente viene giustificato alla stregua del suo carattere provvisorio (rectius: transitorio). Per approfondimenti, v. S. MuSoLIno, i rapporti Stato-regioni nel nuovo titolo V: alla luce dell’interpretazione della Corte costituzionale, 2007, Giuffrè. ContRIbutI DI DottRInA La soluzione al secondo dei su indicati quesiti viene, invece, offerta dalla Corte Costituzionale con la storica sentenza 1 ottobre 2003, n. 303 (42), con la quale la Consulta ha legittimato lo Stato a regolamentare con legge l’esercizio della funzione amministrativa per le materie ricadenti nelle ipotesi di potestà legislativa concorrente alla stregua della c.d. «chiamata in sussidiarietà», nota anche con il nome di «attrazione in sussidiarietà» (43). Muovendo dalla previsione normativa di cui al primo comma dell’art. 118 Cost. e, segnatamente, dalla natura dinamica del principio di sussidiarietà, che, come supra evidenziato, giustifica lo spostamento verso l’alto delle competenze amministrative in presenza di esigenze di carattere unitario (44), la Consulta ha attribuito allo Stato, unitamente alla titolarità ed esercizio della funzione amministrativa, anche il potere di regolamentare con legge l’esercizio della funzione amministrativa attratta, a livello centrale, per effetto del moto ascendente del principio di sussidiarietà, ovverosia il potere di introdurre norme di dettaglio in punto di allocazione delle competenze amministrative per le materie di cui al comma 3 dell’art. 117 Cost. (45). tanto sul rilievo che, per consentire l’esercizio centralizzato, “non basta che la funzione venga attratta a livello superiore; è altresì necessario una disciplina uniforme che regoli le modalità di esercizio della funzione attratta” (46) (47). (42) Sulla quale, ex pluribus, A. D’AtenA, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte Costituzionale e Q. CAMeRLenGo, Dall’amministrazione alla legge, seguendo il principio di sussidiarietà. riflessioni in merito alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, entrambe reperibili in www.forumcostituzionale.it; si v. anche R. DICkMAn, La Corte costituzionale attua (ed integra) il titolo V (osservazioni a Corte Cost., 1° ottobre 2003, n. 303), in www.federalismi.it, secondo cui “la più importante rivoluzionaria affermazione contenuta in tale sentenza è che il conferimento legislativo di funzioni amministrative, finora avvenuto solo verso il basso a partire dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, possa disporsi anche verso l’alto (attraendo temporaneamente allo Stato funzioni già conferite o di spettanza di regioni o province autonome) se ciò corrisponda all’esigenza di garantire il rispetto delle istanze unitarie”. (43) Sulla scorta del principio di sussidiarietà, e, più specificatamente, del c.d. moto ascendente della sussidiarietà, in combinato disposto con il principio di legalità, la Corte Costituzionale ha elaborato l’istituto della chiamata in sussidiarietà, quale espediente per il superamento del rigido schema di riparto legislativo delineato dall’art. 117 Cost. a seguito della modifica del titolo V della Costituzione. Sul- l’operatività della chiamata in sussidiarietà nella giurisprudenza della Corte costituzionale, v. Senato della Repubblica, Servizio Studi, La giurisprudenza costituzionale sulla novella del Titolo V di F. MAR- CeLLI e V. GIAMMuSSo, Quaderni di documentazione n. 44/2006, in www.senato.it. (44) Sulla giustiziabilità del principio di sussidiarietà, v. G. SCACCIA, Note sull’avocazione delle competenze in sussidiarietà, in Giur. cost., 2, 2008, 1555 e L.P. VAnonI, Fra Stato e Unione Europea: il principio di sussidiarietà sotto esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, in riv. it. dir. pubbl. comp., 6, 2004, 1457. (45) Sull’attrazione in sussidiarietà delle materie di competenza legislativa residuale, per un primo riconoscimento, si v. Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 6, in www.cortecostituzionale.it (46) Così R. CHIePPA e V. LoPILAto, Studi di diritto amministrativo, 2007, Giuffrè. In senso conforme, Q. CAMeRLenGo, Nota a sentenza Corte costituzionale 13 gennaio 2004, n. 6, in riv. giur. edilizia, 3, 2004, 793, secondo cui “allorquando, al di fuori delle materie di competenza esclusiva statale, i canoni generali della sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione determinano il conferimento delle funzioni amministrative alle autorità statali, la cornice normativa di origine regionale non è più suffi RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 3.3. (segue) La sussidiarietà nella gestione dell’emergenza. nel regolamentare l’esercizio della funzione amministrativa nel corso dell’emergenza epidemiologica derivante dalla diffusione del Coronavirus, i d.l. n. 6/2020 e n. 19/2020, prima, e il d.l. n. 33/2020, dopo, hanno attribuito al Governo centrale la competenza ad adottare misure di contenimento e di contrasto ai rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus. Segnatamente, i provvedimenti normativi ora richiamati nell’affermare la generale competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri nella previsione delle su indicate misure precauzionali (48), adottate secondo schemi procedurali predeterminati (49) e applicabili, all’occorrenza, sull’intero territorio nazionale, hanno configurato la centralità dello Stato nella lotta all’emergenza sanitaria (50). tale ruolo centrale ha trovato giustificazione nei principi che presidiano la ripartizione dei compiti amministrativi fra lo Stato e gli enti territoriali sub- statali, secondo i quali le funzioni amministrative possono essere allocate in favore di un livello di governo diverso da quello più prossimo ai cittadini in presenza di esigenze di carattere unitario che ne legittimino lo spostamento verso l’alto. La peculiarità del quadro emergenziale delineato dal Coronavirus, ovverosia il carattere internazionale della pandemia, il rapido e massiccio diffondersi del contagio, il necessario contemperamento di diversi valori costituzionali (dalla tutela del bene primario della salute alla salvaguardia dell’interesse pubblico alla tenuta dei bilanci), ha infatti legittimato l’accentramento al livello amministrativo unitario delle competenze atte ad arginare l’emergenza. ciente ed anzi, per certi versi, non ha più ragion d’essere. il principio di legalità esige che ogni manifestazione dell'azione amministrativa sia disciplinata da una fonte primaria. Tale condizione di legittimità permane anche allorché il potere amministrativo passi allo Stato. ma la legge regionale non può garantire razionalmente il soddisfacimento di tale condizione in quanto, per evidenti motivi, l’amministrazione statale non potrebbe operare applicando diversificate discipline legislative regionali”. (47) Sulla idoneità della fonte statale a dettare una disciplina uniforme circa l’esercizio della funzione amministrativa attratta, è sufficiente richiamare il Considerato in diritto n. 2.1 della sentenza citata nel testo in argomento, secondo cui: “Ciò non può restare senza conseguenze sull'esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto”. (48) Le misure precauzionali sono tassativamente elencate al comma 2 dell’art. 1, d.l. n. 19/2020 e all’art. 1, d.l. n. 33/2020. (49) Le modalità di adozione delle misure precauzionali sono descritte al comma 1 dell’art. 2, d.l. n. 19/2020, cui l’art. 1, d.l. n. 33/2020 fa espresso rinvio. (50) Sulla sovranità dello Stato al tempo del Coronavirus, v. F. FRACCHIA, Coronavirus, senso del limite, deglobalizzazione e diritto amministrativo: nulla sarà più come prima? Diritto e emergenza sanitaria, in www.ildirittodelleconomia.it. ContRIbutI DI DottRInA In disparte al merito delle misure precauzionali concretamente adottate, il potere governativo di introdurre misure di contenimento e di contrasto alla diffusione del virus ha trovato altresì avallo nelle disposizioni costituzionali inerenti all’esercizio della funzione legislativa e, in particolare, nell’art. 117 Cost., che, nel ripartire la competenza legislativa fra lo Stato e le Regioni, riconduce alla competenza esclusiva dello Stato la materia della “profilassi internazionale” e alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni la materia della “tutela della salute” e della “protezione civile” (51). Come già osservato, la circostanza che gli ambiti della tutela della salute e della protezione civile appartengano alla competenza legislativa di tipo concorrente non esclude ex se la possibilità per lo Stato di introdurre norme di dettaglio e, quindi, di intervenire attivamente nella regolazione dell’esercizio delle funzioni amministrative. Invero, lo Stato, che, in presenza di esigenze di carattere unitario, abbia attratto in sussidiarietà una data competenza amministrativa, diviene al contempo competente in relazione all’esercizio della corrispondente funzione legislativa, di modo da garantire l’uniforme applicazione della funzione amministrativa attratta (52). non sembra, infatti, contestabile che affidare alla normativa statale la regolamentazione dell’esercizio della funzione amministrativa abbia scongiurato il proliferare di interventi normativi locali disomogenei, assicurando l’efficacia dell’azione pubblica nella lotta all’emergenza epidemiologica e la certezza nei rapporti giuridici (53). Del resto, il sistema normativo delineato dai sopra citati decreti, auspicando una cooperazione fra Stato e autonomie territoriali, capace di meglio arginare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus e assicurare l’uniformità della tutela sul piano amministrativo, ha proceduto a regolamentare l’ingerenza degli enti territoriali sub-statali nella dimensione emergenziale, (51) Sul punto, si segnala la riflessione di t. ePIDenDIo, il diritto nello “stato di eccezione” ai tempi dell’epidemia da Coronavirus, secondo cui: “la normazione emergenziale trova sì la sua causa legittimante in una situazione extra-giuridica di emergenza, che giustifica, sotto il profilo della ragionevolezza e della accettabilità politica, una disciplina di particolare rigore che, tuttavia, non attribuisce poteri extra-ordinem, nel senso di poteri attribuiti a soggetti che normalmente ne sono privi e rispetto a quali non è possibile alcun controllo sul loro esercizio”, in www.giustiziainsieme.it. (52) Si v., t.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 9 maggio 2020, n. 841, in www.giustizia-amministrativa. it.: tale decisione è stata emessa a definizione del giudizio avente ad oggetto l’annullamento dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria n. 37/2020, recante, almeno in parte, misure precauzionali contrastanti con quelle individuate a livello centrale dal D.P.C.M. del 26 aprile 2020. Il t.A.R. calabrese, dopo aver richiamato l’istituto della chiamata in sussidiarietà, ha affermato come “l’avocazione della funzione amministrativa” da parte del Governo centrale (rectius: del Presidente del Consiglio dei Ministri) “si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina”. (53) Cfr., art. 3, d.l. n. 19/2020, la cui finalità è evitare che l’efficacia delle misure statali, dirette a contenere la diffusione del virus, possa essere ridotta dalla compresenza di altre iniziative istituzionali in contrasto. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 prevedendone un coinvolgendo nel procedimento di definizione delle misure precauzionali (54) e ammettendone, entro limiti prestabiliti, una partecipazione attiva alla stregua dell’emanazione di ordinanze contingibili e urgenti. Al riguardo, il d.l. n. 33/2020, sul presupposto della necessaria interazione fra «centro » e «periferia», ha riconosciuto agli enti regionali la possibilità di introdurre, limitatamente alle attività produttive, sociali ed economiche, misure derogatorie, ampliative e restrittive, rispetto a quelle individuate dal Presidente del Consiglio dei Ministri ex art. 2, d.l. n. 19/2020 (55). 4. Gli strumenti di attuazione delle disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. In ossequio ai principi su indicati, le disposizioni in materia di contenimento della diffusione del Coronavirus hanno attribuito un potere di intervento ai vari livelli di governo. 4.1. (segue) i D.P.C.m. La gestione dell’epidemia da SARS-CoV-2, dunque, è stata affidata, in via principale, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al quale è stato conferito il potere di adottare specifiche misure utili al contenimento della diffusione del contagio. tali provvedimenti hanno inciso su alcune libertà fondamentali garantite al cittadino, come il diritto di circolare e soggiornare nel territorio dello Stato di cui all’art. 16 Cost., il diritto di riunione di cui all’art. 17 Cost. o, ancora, il diritto di cui all’art. 20 Cost. di professare la propria religione in forma associata e di esercitarla in quest’ultima forma tanto in luoghi privati quanto in luoghi pubblici (56). Lo strumento scelto per l’adozione a livello nazionale delle misure concrete di contenimento del contagio è quello del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.). In generale, non è rinvenibile nell’ordinamento una normativa precisa su tale tipologia di atto. Dunque, deve essere “valutata, caso per caso, la natura del d.p.c.m. (se regolamentare, atto amministrativo generale, atto di alta amministrazione)” (57). (54) Sulla scorta dei commi 1 e 2 dell’art. 2, d.l. n. 19/2020, le Regioni sono chiamate ad esprimere un proprio parere (obbligatorio e non vincolante) circa le misure di contenimento e di contrasto alla diffusione del virus da adottare con D.P.C.M. (55) tale norma, contenuta al comma 14 dell’art. 1 del d.l. n. 33/2020, innova, almeno in parte, il sistema previgente, atteso che l’art. 3, d.l. n. 19/2020 riconosce(va) alle Regioni la sola possibilità di adottare misure derogatorie “ulteriormente restrittive” e, al contempo, preclude(va) loro di incidere sulle attività produttive. (56) In argomento, si segnala G.M. CAPoRALe e L. tRAPASSI, La libertà di esercizio di culto cattolico in italia all’epoca di CoViD-19. Una questione di diritto internazionale, in www.federalismi.it, 20 maggio 2020. ContRIbutI DI DottRInA Qualora si opti per la sua natura regolamentare, il D.P.C.M. è ascritto nella categoria delle c.d. «fonti secondarie» e il suo fondamento giuridico viene ricondotto nell’art. 17, comma 3, l. 23 agosto 1988, n. 400 (58), con la conseguenza che con tale tipologia di atto “possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza […] quando la legge espressamente conferisca tale potere” (art. 17, comma 3, cit.). È noto che i regolamenti costituiscono atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi (59), in quanto le relative disposizioni sono caratterizzate dai requisiti di innovatività, astrattezza e generalità (60). Stante la natura formalmente amministrativa, in giurisprudenza è stato chiarito che i regolamenti, pur condividendone il carattere della generalità, si differenziano dai provvedimenti amministrativi generali, in quanto “quest’ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili. i regolamenti, invece, sono espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano appunto i caratteri della generalità e dell’astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell’applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono” (61). Si condivide la tesi che ricostruisce in termini di atto amministrativo generale i decreti presidenziali che si sono susseguiti nella gestione dell’emergenza epidemiologica (62), considerando che sono “1) […] strettamente attuativi delle previsioni normative contenute nel decreto legge n. 19 del 2020, in considerazione delle valutazioni tecnico-politiche conseguenti dall’anda (57) o. RoSeLLI, La riforma della Presidenza del Consiglio dei ministri: problematiche inerenti alle fonti del diritto, in osservatorio sulle fonti 1999, Giappichelli, 1999, 54. (58) Cfr. C. GRISoLIA, osservazioni in tema di decreti del Presidente del Consiglio a contenuto regolamentare, in u. De SIeRVo (a cura di), il potere regolamentare nell’amministrazione centrale, Il Mulino, 1992, 155 ss. Contra o. RoSeLLI, cit. A conferma del primo, invece, si v., ad es., il preambolo all’abrogato D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40. I D.P.C.M. ad effetti interni aventi ad oggetto l’organizzazione degli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri trovano, invece, espresso fondamento nell’art. 9, comma 7, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303, il quale prevede, tra l’altro, che per tali decreti organizzativi non è applicabile “la disciplina di cui all’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400”. (59) Cfr. V. LoPILAto, manuale cit., 64. (60) Cfr. F. CARInGeLLA, manuale di diritto amministrativo, 2018, Dike Giuridica editrice, 444. (61) Cons. St., sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 823; Cons. St., ad. plen., 4 maggio 2012, n. 9, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it. (62) t.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 841/2020, cit., ove, in relazione al D.P.C.M. 26 aprile 2020 ma il principio è estendibile a tutti i decreti presidenziali emessi nel periodo emergenziale -si afferma che “non è un atto a carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale”. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 mento epidemiologico del virus; 2) perché non innovativi rispetto alle previsioni dei decreti-legge che ne costituiscono il presupposto giuridico […]; 3) perché volti a curare l’interesse pubblico in riferimento a fattispecie concrete e determinate e non a porre regole di comportamento destinate a ripetersi indefinitamente nel tempo; 4) soprattutto per l’obbligo di interpretazione costituzionalmente conforme, anche perché, diversamente, si ammetterebbe la possibilità di limitare diritti di libertà con atti normativi non dotati di forza di legge, sottratti ai presidi garantistici degli organi costituzionali (Parlamento, Presidente della repubblica, Corte costituzionale) (63) (64)” (65). La scelta dell’uso di atti amministrativi potrebbe, tuttavia, risultare confliggente con i principi fondamentali dell’ordinamento. Si osserva, al riguardo, che problemi sulla tipologia di atto da utilizzare non sorgono in ordine a quelle libertà non coperte da riserva di legge. Si fa riferimento al diritto di riunione o a quello di mero assembramento, quest’ultimo ricondotto all’art. 17 Cost. (66), o, ancora, alla libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., per i quali non è posta una riserva di legge in ordine alla loro limitazione (67), ma, anzi, in relazione ai primi è già riconosciuta dallo stesso dettato costituzionale all’autorità di pubblica sicurezza la possibilità, tramite l’esercizio di un potere amministrativo, di limitare tale diritto “per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Quindi, in assenza della garanzia della riserva di legge, ma sempre nel generale rispetto del principio di legalità, dunque, le limitazioni ad un diritto soggettivo costituzionalmente riconosciuto potrebbero avvenire, in astratto, (63) In senso difforme, Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2000, n. 9738, in DeJure, Giuffrè. (64) Al riguardo, sempre in senso difforme, M. CoRRADIno, il diritto amministrativo alla luce della recente giurisprudenza, 2007, CeDAM, 31-32, ricorda che “la giurisprudenza costituzionale, a partire dal 1994, ha introdotto un sistema che le consente il sindacato sui regolamenti illegittimi che danno esecuzione a norme di legge: il c.d. sindacato indiretto: «le leggi non vivono di vita propria ma hanno una vita effettiva nella realtà concreta per il tramite dei regolamenti attuativi (c.d. diritto vivente) e i principi fissati dalla legge trovano poi concreta e immediata applicazione nella specificazione e nell’esecuzione che ne danno i regolamenti» (Corte cost., sent. n. 456/1994 e successivamente anche Corte cost., 09/07/1999, n. 283). Secondo questa interpretazione, infatti, il vaglio di legittimità costituzionale sulle leggi non ha ad oggetto semplicemente la norma astratta, così come formulata dal legislatore, ma il modo concreto con cui questa si adatta all’ordinamento. a tal scopo assume un ruolo fondamentale il regolamento con cui viene data attuazione alla legge: il senso di quest’ultima può essere ricavato dal suo combinato disposto con il regolamento di attuazione. Pertanto se l’attuazione della norma primaria da parte dell’autorità amministrativa, attraverso il regolamento, si rivela in contrasto con i principi costituzionali, la corte può dichiarare l’illegittimità della norma nel suo concreto operare e, quindi, recuperare il vaglio sui regolamenti attraverso il sindacato sulla legge che ne ha previsto l’emanazione”. (65) Così A. SAIttA, F. SAIttA e F.F. PAGAno, il giudice amministrativo stoppa la ripartenza anticipata della regione Calabria: sul lockdown è lo Stato a dettare legge, in www.giustizia-amministrativa. it, 4 giugno 2020. (66) Cfr. L. MezzettI, manuale breve di diritto costituzionale, 2018, Giuffré, 516. (67) Cfr. t.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 841/2020, cit. Contra, A. SAIttA, F. SAIttA e F.F. PAGAno, cit. ContRIbutI DI DottRInA anche mediante un atto avente natura esclusivamente amministrativa (68), come le ordinanze. una definizione di «ordinanza» fornita dalla dottrina è quella secondo cui tali atti consistono in provvedimenti autoritativi espressivi di discrezionalità amministrativa con i quali vengono imposti, vietati o regolati determinati comportamenti (69). nel novero delle ordinanze su indicate rientrano anche quelle di necessità e urgenza, le quali si differenziano rispetto alle ordinanze in generale per l’atipicità e l’indeterminatezza del contenuto, per la provvisorietà e per la capacità di deroga alla legge. È pacifico che il potere di derogare alla legge delle ordinanze extra ordinem è limitato dal rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico e, in particolare, dei precetti costituzionali. Di contro, la limitazione di un diritto soggettivo di rango costituzionale garantito da riserva di legge, dunque, non potrebbe avvenire mediante l’uso di ordinanze di necessità e urgenza. La riserva di legge, infatti, è posta dal- l’ordinamento in funzione di garanzia dei diritti fondamentali da decisioni prese da organi diversi da quello rappresentativo del potere sovrano, privi di delega di quest’ultimo delle proprie funzioni. L’istituto della riserva di legge, tuttavia, si atteggia in modi diversi a seconda del diritto cui si riferisce. Al riguardo, in giurisprudenza si ritiene che il diritto di circolazione è garantito da una riserva di legge relativa. In particolare, si è osservato che “la riserva di legge statale di cui all’art. 16 cost. comporta che il legislatore ordinario, il quale ha l’obbligo di stabilire le ipotesi generali in cui è lecito limitare la libertà di circolazione dei cittadini, può demandare all’autorità amministrativa di specificare le dette ipotesi in forza di atti normativi secondari” (70). Pertanto, nell’emergenza epidemiologica da Coronavirus, una eventuale prolungata limitazione del diritto di circolazione di cui all’art. 16 Cost. mediante lo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente sarebbe stata viziata da illegittimità per violazione della riserva di legge posta dalla Costituzione. Profili ulteriori di illegittimità sarebbero ipoteticamente ravvisabili anche in ragione del rilievo che il potere extra ordinem può essere esercitato nell’ipotesi in cui non si possa fare ricorso agli ordinari strumenti tipizzati dalla legge (71) e per il tempo strettamente necessario affinché si possa intervenire in via ordinaria (72). In relazione a quest’ultimo aspetto, si osserva che, stante l’attuale insussistenza di certezze in ordine alla durata effettiva dell’epidemia in atto, (68) Cfr. t.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, n. 841/2020, cit. (69) Cfr. V. LoPILAto, manuale cit., 101-102. (70) Cass. civ., sez. III, n. 9738/2000, cit. (71) Cfr., da ultimo, t.A.R. Campania, napoli, sez. V, 6 febbraio 2020, n. 565, in www.giustiziaamministrativa. it. (72) Cfr., t.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 26 settembre 2016, n. 2268, in www.giustizia-amministrativa. it. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 l’eventuale reiterazione di ordinanze speciali si porrebbe contro i principi da ultimo indicati. La scelta di confinare tale forma di potere come strumento sussidiario (73), in attesa di un intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, dunque, risulta più coerente con i principi fondamentali dell’ordinamento. 4.2. (segue) Le o.P.G.r. Come osservato in precedenza, anche gli enti territoriali sub-statali sono stati coinvolti nella gestione dell’emergenza in esame. Il d.l. n. 19/2020, infatti, ha attribuito alle Regioni la possibilità di “introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”. Si tratta, tuttavia, anch’esso di un potere sussidiario, in ragione del fatto che lo stesso può essere esercitato “solo a condizione che si tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.m.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della regione interessata; che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella regione” (74). Quanto alla giustificazione dell’intervento regionale in questa materia, in un primo momento, tale potere di ordinanza ha trovato fondamento nell’art. 32, l. n. 833/1978, in quanto il d.l. n. 6/2020 -abrogato in parte qua dal successivo d.l. n. 19 cit. -sanciva la possibilità di adottare in via di urgenza le misure previste dagli artt. 1 e 2 “ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833” (art. 3, comma 2). tale ultimo articolo, a sua volta, conferisce -ma in via generale -in materia sanitaria al Presidente della Giunta regionale il potere di emettere “ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa […] alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni” (art. 32, terzo comma, l. n. 833/1978). Successivamente, come detto, l’art. 3, d.l. n. 19/2020 ha ribadito la possibilità di intervento delle Regioni nell’adozione delle misure di cui all’art. 1, (73) Si v. art. 2, comma 2, d.l. n. 19/2020. Si ritiene che il potere di ordinanza conferito dall’art. 2, comma 2, cit. al Ministro della Salute non sia quello extra ordinem, ma sia una duplicazione di quello attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri. In particolare, sebbene l’adozione delle ordinanze del Ministro della Salute non sia soggetta alla procedura di consultazione prevista per i D.P.C.M., tali ordinanze, essendo limitate nei contenuti alle stesse misure previste per i decreti presidenziali (ossia, quelle indicate all’art. 1 dello stesso d.l.), sono prive del carattere dell’atipicità contenutistica che connota, di contro, le ordinanze di cui all’art. 32, l. n. 833/1978. (74) t.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 841/2020, cit. ContRIbutI DI DottRInA comma 2, dello stesso decreto, tuttavia, non richiamando, come fatto in precedenza, l’art. 32, l n. 833/1978 e limitando l’ambito di intervento a “misure ulteriormente restrittive” rispetto a quelle già adottate a livello centrale (75). Pertanto, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 19 cit., durante il periodo emergenziale, il potere di ordinanza delle Regioni non trova più fondamento nell’art. 32, l. n. 833/1978, bensì nello stesso art. 3, comma 1. Ciò in quanto “i limiti al potere di ordinanza del Presidente della regione delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono, ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente” (76). In ordine alla natura giuridica delle ordinanze regionali, essendo sostanzialmente assimilabili ai D.P.C.M., vale quanto osservato in ordine ai decreti presidenziali e alle ordinanze emesse da altri organi in materia di cui sopra. 4.3. (segue) Le ordinanze comunali. Infine, anche i sindaci, inizialmente, hanno avuto un ruolo attivo nella gestione dell’emergenza epidemiologica, essendo il Comune, in quanto prossimo alla comunità locale, l’ente più adeguato a rispondere alle esigenze della stessa collettività amministrata. Anche in relazione a tale livello di governo si è avuta una successione di norme. Il potere sussidiario dei sindaci ha trovato un primo espresso fondamento -mediante rinvio -nell’“articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e [n]ell’articolo 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267” (art. 3, comma 2, d.l. n. 6/2020). L’art. 3, comma 2, d.l. n. 6/2020, pertanto, anche in relazione a questo livello di governo, non ha avuto portata innovativa, in considerazione del fatto che tanto l’art. 117 cit. quanto l’art. 50 t.u.e.l. già in via generale sanciscono che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale” (art. 117, comma 1, primo periodo, d.lgs. n. 112/1998 e art. 50, comma 5, primo periodo, d.lgs. n. 267/2000). tra l’altro, gli stessi artt. cit., in ossequio al principio di sussidiarietà, dispongono anche che “negli altri casi l’adozione dei provvedimenti (75) Anche in relazione ai provvedimenti delle Regioni, si richiamano le osservazioni di cui alla nota 73 sulla natura delle ordinanze ministeriali. Quanto ai contenuti, il potere delle regioni è ulteriormente delimitato a interventi “esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale” (art. 3, comma 1, d.l. n. 19/2020). (76) t.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 841/2020, cit. Cfr., anche, t.A.R. Sicilia, Palermo, n. 842/2020 cit. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione del- l’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali” (art. 117, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 112/1998 e art. 50, comma 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 267/2000). novità, invece, erano riscontrabili nelle disposizioni del d.l. n. 19/2020, ove era disposto che “i Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali e regionali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1” (art. 3, comma 2, d.l. n. 19/2020). In relazione ai sindaci, dunque, nel periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, il fondamento dell’attività provvedimentale era rinvenibile nel combinato disposto tra gli artt. 3 d.l. n. 19/2020, 117 d.lgs. n. 112/1988 e 50 d.lgs. n. 267/2000. nella c.d. «fase tre» dell’emergenza Coronavirus sembra prima facie che i sindaci siano stati estromessi dalla gestione dell’emergenza sanitaria. L’art. 18 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, infatti, ha abrogato l’art. 3, comma 2, d.l. n. 19/2020, ma ha prodotto come effetto la rimozione dei limiti contenutistici (77) fissati dallo articolo abrogato, attribuendo, quindi, nuovamente, ai sindaci il potere extra ordinem previsto, in linea generale, dagli artt. 117, d.lgs. n. 112/1988 e 50, d.lgs. n. 267/2000. Si rimanda anche in questo caso a quanto osservato al par. 4.1. in ordine alla natura giuridica delle ordinanze sindacali (78). 5. La gestione della giustizia nel periodo emergenziale. Sul crinale processuale l’emergenza sanitaria in discorso ha avuto un notevole impatto, potendosi rinvenire sia disposizioni aventi effetti temporanei limitati al periodo emergenziale sia interventi strutturali. tra gli interventi ad effetti temporanei più rilevanti, si evidenzia l’istituzione di un periodo straordinario di sospensione delle attività processuali e la creazione di un c.d. «rito emergenziale», articolato nelle due forme del- l’udienza in videoconferenza e del c.d. «contraddittorio cartolare». tale rito, “che non si tratta di una disciplina processuale autosufficiente” (79), trova necessaria applicazione in tutte le giurisdizioni in relazione alle attività processuali indicate negli artt. 83, 84 e 85, d.l. n. 18/2020, ferma restando per le altre la possibilità di differire le relative udienze a data successiva al 31 luglio 2020. (77) Consistenti: a) nell’adozione di una delle misure indicate dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto e b) nell’impossibilità che tali misure siano in contrasto con quelle statali e regionali. (78) In relazione alle ordinanze sindacali emesse in vigenza dell’art. 3, comma 2, d.l. n. 19/2020 valgono, ancora una volta, le osservazioni svolte in nota 73. (79) In questi termini, direttiva prot. n. 7400 del 20 aprile 2020 del Presidente del Consiglio di Stato, in www.giustizia-amministrativa.it. ContRIbutI DI DottRInA In ogni caso, fino al 31 ottobre 2020, in ambito civile, “il giudice può disporre che le udienze […] che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni” (art. 221, comma 4, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, in l. 17 luglio 2020, n. 77). Il mancato deposito delle note di trattazione scritta è considerato mancata comparizione all’udienza ai sensi dell’art. 181 c.p.c. (80). tuttavia, d’ufficio, nell’ipotesi in cui non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice e, comunque, previo consenso delle parti (81), o su istanza di parte (82), la partecipazione alle udienze civili può avvenire mediante collegamento audiovisivo da remoto. Quanto al citato periodo di sospensione straordinaria, inizialmente circoscritto ai soggetti residenti o operanti nelle c.d. «zone rosse» (83), “il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è [stato: n.d.r.] sospeso dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020” (art. 10, comma 4, d.l. 2 marzo 2020, n. 9; per la giustizia amministrativa si v. il successivo comma 17 dell’art. 10 cit.). Successivamente, con efficacia estesa a tutto il territorio nazionale, la sospensione dei termini processuali è stata fissata dal 9 al 22 marzo 2020 (84); termine prorogato, una prima volta, al 15 aprile (85) e, infine, all’11 maggio 2020 per la giurisdizione civile, penale, contabile, tributaria e militare (86). In ordine alla giustizia amministrativa, invece, si segnala che sono stati sospesi “dal 16 aprile al 3 maggio 2020 inclusi, esclusivamente i termini per la notificazione dei ricorsi” (art. 36, comma 2, d.l. n. 23/2020). Pertanto, dal 15 aprile 2020 è ripreso il decorso degli altri termini processuali previsti dal codice del processo amministrativo, tra i quali non vi rientrano quelli per la proposizione de “i motivi aggiunti, i ricorsi incidentali, tutte le impugnazioni, e cioè revocazione, opposizione di terzo, opposizione a perenzione, nonché la riassunzione del processo, la riproposizione a seguito di translatio, la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale” (87). (80) Cfr. art. 221, comma 4, ultimo periodo, d.l. n. 34/2020. (81) Art. 221, comma 7, d.l. n. 34/2020. (82) Art. 221, comma 6, d.l. n. 34/2020. (83) Come richiamato dallo stesso art. 10, comma 4, d.l. n. 9/2020, si tratta dei Comuni di cui all’allegato 1 al D.P.C.M. 1 marzo 2020, ossia: “1) nella Regione Lombardia: a) bertonico; b) Casalpusterlengo; c) Castelgerundo; d) Castiglione D’Adda; e) Codogno; f) Fombio; g) Maleo; h) San Fiorano; i) Somaglia; l) terranova dei Passerini. 2) nella Regione Veneto: a) Vò”. (84) Si v. artt. 1, comma 2, e 3, comma 1, d.l. 8 marzo 2020, n. 11. (85) Si v. artt. 83, comma 2, e 84, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, in l. 24 aprile 2020, n. 27. (86) Si v. art. 36, commi 1 e 4, d.l. 8 aprile 2020, n. 23. (87) Così la direttiva prot. n. 7400 del 20 aprile 2020 del Presidente del Consiglio di Stato, cit. Si RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 Sempre nella medesima giurisdizione, in accoglimento degli auspici contenuti nella direttiva prot. n. 7400 del 20 aprile del Presidente del Consiglio di Stato, inoltre, l’art. 4, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, ha esteso anche alla giustizia amministrativa la possibilità dello svolgimento dell’udienze tramite collegamento da remoto, attenuando, ma non eliminando (88), il c.d. “rito cartolare coatto” (89), inizialmente unica forma di trattazione dei giudizi innanzi al g.a. (90). L’art. 4, v., inoltre, in materia di tutela cautelare, n. DuRAnte, il procedimento cautelare ai tempi dell’emergenza, in www.giustizia-amministrativa.it, 2020, ove, in relazione alla tutela cautelare nel processo amministrativo, vengono identificati “quattro distinti regimi cautelari, vigenti a seconda del periodo intertemporale interessato”. Si v., anche, C. SALteLLI, Note sulla tutela cautelare dell’art. 84 del d.l. 27 marzo 2020 n. 18, in www.giustizia-amministrativa.it, 2020, ove si rileva che “la tutela cautelare derogatoria (delineata dal quarto, quinto e sesto periodo dell’art. 84, comma 1) costituisce ad un tempo, sotto il profilo sistematico, come l’eccezione e il rimedio al rinvio ex lege delle udienze, camerali e pubbliche, calendarizzate nel periodo tra l’8 marzo ed il 15 aprile 2020, ad una data successiva a quest’ultima data, e alla conseguente impossibilità, a causa dell’emergenza sanitaria, per il giudice di trattare in particolare i procedimenti cautelari fissati per la decisione nel predetto periodo. È stato così prescelto come strumento operativo il decreto monocratico cautelare, istituto già esistente, modificandone tuttavia la funzione e i presupposti e alterandone conseguentemente anche la natura giuridica”, che rimane pur sempre strumentale e ancillare, ma che “assume una connotazione speciale proprio per la diversità dei presupposti che la legittimano (rispetto a quelli della dell’art. 56 c.p.a.)”. (88) Rimangono, infatti, in vigore le disposizioni di cui all’art. 84, comma 5, d.l. n. 18/2020. (89) L’espressione è mutuata da Cons. St., sez. VI, ord. 21 aprile 2020, n. 2539, in www.giustiziaamministrativa. it. In argomento, in senso critico, F. SAIttA, Da Palazzo Spada un ragionevole no al «contraddittorio cartolare coatto» in sede cautelare. ma il successivo intervento legislativo sembra configurare un’oralità… a discrezione del presidente del collegio, in www.federalismi.it, 2020. I. LAGRottA, il contraddittorio cartolare coatto tra interpretazione conforme a Costituzione e dubbi di legittimità, in www.fedaralismi.it, 2020. Cfr., anche, F. VoLPe, op. cit., secondo cui “se le dotazioni tecniche non consentissero di celebrare l’udienza con modalità telematiche, la soluzione non dovrebbe essere -almeno per quanto concerne l’udienza di merito -quella di stabilire che la discussione non si celebri affatto”. (90) Si riporta l’art. 4, d.l. n. 28/2020, come emendato, in sede di conversione, dalla l. 25 giugno 2020, n. 70: “a decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell’udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati e comunque nei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici. L’istanza è accolta dal presidente del collegio se presentata congiuntamente da tutte le parti costituite. Negli altri casi, il presidente del collegio valuta l’istanza, anche sulla base delle eventuali opposizioni espresse dalle altre parti alla discussione da remoto. Se il presidente ritiene necessaria, anche in assenza di istanza di parte, la discussione della causa con modalità da remoto, la dispone con decreto. in tutti i casi in cui sia disposta la discussione da remoto, la segreteria comunica, almeno tre giorni [ante conversione in l., “un giorno”: n.d.r.] prima della trattazione, l’avviso dell’ora e delle modalità di collegamento. Si dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e la libera volontà delle parti, anche ai fini della disciplina sulla protezione dei dati personali. il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati e il personale addetto è considerato udienza a tutti gli effetti di legge. in alternativa alla discussione possono essere depositate note di udienza fino alle ore 12 del giorno antecedente a quello dell’udienza stessa [ante conversione in l., “fino alle ore 9 antimeridiane del giorno dell’udienza stessa”: n.d.r.] o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza. il decreto di cui al comma 2 stabilisce i tempi massimi di discussione e replica”. ContRIbutI DI DottRInA d.l. n. 28 cit., dunque, ha permesso di “tornare a quella forma di contraddittorio che postula la oralità tra presenti in aula” (91). Pertanto, durante il periodo di applicazione del processo emergenziale, “se è stata chiesta la discussione orale, si applica esclusivamente l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 28/2020 con tutte le sue previsioni “interne” in tema di discussione orale e di modalità alternative alla discussione orale; in particolare, se venga richiesta la discussione da una sola parte, nulla vieta che l’altra partecipi alla discussione o, “in alternativa alla discussione”, presenti note di udienza fino alle ore 9 del giorno di udienza […]; b) se nessuno ha chiesto la discussione orale, si applica esclusivamente l’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18/2020, e cioè il processo cd. cartolare (id est, passaggio in decisione sulla base degli scritti) con termine sino a due giorni liberi dall’udienza per il deposito di brevi note” (92). tra gli interventi strutturali, in materia di processo telematico, si segnala l’inclusione (93) del pubblico registro di cui all’art. 6-ter, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (c.d. «Indice PA» (94)) tra i domicili digitali presso cui è possibile effettuare validamente le notificazioni “alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale” (art. 16-ter, comma 1-ter, d.l. n. 179/2012 (95)). In materia tributaria era già prevista la possibilità di notificazione presso gli indirizzi indicati nel registro su indicato (96). nell’ottica di una maggiore efficienza della P.A. nella costituzione in giudizio, di particolare interesse è l’ulteriore previsione secondo cui “le amministrazioni pubbliche possono comunicare altresì gli indirizzi di posta elettronica certificata di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di (91) In questi termini la direttiva prot. n. 7400 cit. (92) Così le Linee Guida del Presidente del Consiglio di Stato del 25 maggio 2020 sulle udienze da remoto con la partecipazione degli avvocati ex art. 4, d.l. n. 28 del 2020, in www.giustizia-amministrativa. it. (93) In verità, reinclusione, in quanto “inizialmente annoverato nella tipologia dei “registri pubblici” ai sensi del comma 8 dell’art. 16 del d.l. n. 185/2008, ma poi improvvisamente scomparso alla stregua della disposizione di cui all’art. 16 ter del d.l. n. 179/2012, modificato dall’art. 45 bis, comma 2 lettera a) del d.l. n. 90/2014 che, non richiamando il succitato art. 16, ha espunto da quella tipologia proprio il registro iPa” (così F. SIGILLò, Notifica a mezzo PEC: la strana sorte del registro iPa, in www.altalex.it, 2019). Sulla validità delle notifiche ante d.l. n. 76/2020 presso gli indirizzi presenti sul c.d. «Indice PA», si v. t.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 24 marzo 2020, n. 545; Cons. St., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 1379 e Cons. St., sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7026, tutte in www.giustizia-amministrativa. it. (94) Da non confondere con il c.d. «Registro P.A.», disciplinato, invece, dall’art. 16, comma 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, in l. 17 dicembre 2012, n. 221. (95) Come introdotto dall’art. 28, d.l. 16 luglio 2020, n. 76. (96) Cfr. art. 16-bis, comma 3, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e artt. 2, comma 2, 5, comma 1, 7, comma 5, e 9, comma 1, D.M. economia e Finanze 23 dicembre 2013, n. 163. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale” (art. 16, comma 12, terzo periodo, d.l. n. 179/2012) e, dunque, la possibilità di eseguire le notificazioni presso tali domicili digitali (97). Inoltre, nel caso di “costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, le amministrazioni pubbliche possono altresì comunicare ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata, riportati in una speciale sezione dello stesso elenco di cui al presente articolo e corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio” (art. 16, comma 12, quarto periodo, d.l. n. 179/2012). Pertanto, nei procedimenti civili e in quelli amministrativi (98) sono nulle le comunicazioni e le notificazioni effettuate presso gli indirizzi di posta elettronica certificata indicati dai dipendenti nei propri scritti difensivi, nel caso in cui tali indirizzi non siano contenuti nel c.d. «Indice PA» o nel c.d. «Registro P.A.». Ciò in quanto “tutte le comunicazioni e le notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica comunicati a norma del comma 12” (art. 16, comma 7, secondo periodo, d.l. n. 179/2012). In materia di giustizia amministrativa, rileva, inoltre, la scelta politica, ormai consolidata in altri ambiti, di affidare la regolamentazione di materie connotate da elevato tecnicismo e/o da rapida mutevolezza a organi diversi e autonomi dal potere politico, in vista di una maggiore efficienza ed efficacia dell’azione pubblica. Infatti, l’art. 4, d.l. n. 28/2020 ha disposto: a) la modifica del comma 1 dell’art. 13 dell’allegato 2 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, trasferendo il potere di regolamentazione del processo amministrativo telematico dal Presidente del Consiglio dei Ministri al Presidente del Consiglio di Stato, sulla falsariga della disciplina in materia di processo contabile telematico (99); b) la conseguente abrogazione del regolamento di cui al D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40, recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, a decorrere dal quinto giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazz. Uff. del primo decreto adottato dal Presidente del Consiglio di Stato di cui al riformato comma 1 dell’articolo 13 cit., e c) l’attribuzione al Presidente del Consiglio di Stato del potere di emanare regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico anche in ordine al “procedimento per ricorso straordinario” (art. 4, comma 2, primo periodo, d.l. n. 28/2020), fornendo, in (97) Cfr. art. 16-ter, comma 1-ter, d.l. n. 179/2012. (98) Cfr. art. 16, comma 17-bis, d.l. n. 179/2012. (99) Cfr. art. 20-bis, d.l. n. 179/2012. ContRIbutI DI DottRInA quest’ultimo caso, ulteriori argomentazioni all’ormai consolidata opinione della natura giurisdizionale del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Si segnala, inoltre, che con D.P.C.S. n. 134 del 22 maggio 2020 (100) sono state emanate le nuove regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, entrate in vigore dal 2 giugno 2020. Sempre con riferimento al processo amministrativo, altra novità di rilievo consiste, infine, nell’abrogazione dell’art. 7, comma 4, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, in l. 25 ottobre 2016, n. 197 (101), il quale disponeva che “a decorrere dal 1° gennaio 2017 per i giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, con modalità telematiche deve essere depositata, anche a mezzo del servizio postale (102), almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico” (103). Pertanto, per tutti i ricorsi depositati dal 30 giugno 2020, anche una volta superato il periodo emergenziale, non è più previsto il deposito presso la Segreteria della copia cartacea “d’obbligo” (104) munita di attestazione di conformità. 6. Considerazioni conclusive. Rimettere la contrazione dei diritti e delle libertà fondamentali della persona ad un atto amministrativo scevro dal controllo politico dell’organo rappresentativo della volontà popolare e dal sindacato del Giudice delle leggi ha costituito uno degli aspetti più controversi della gestione dell’emergenza, sollevando seri dubbi circa la legittimità dell’operato del Governo in punto di osservanza delle garanzie che la Costituzione appronta alla limitazione dei diritti e delle libertà costituzionali. Di fronte ad eventi straordinari ed urgenti, che esigono una risposta immediata, incompatibile con le lungaggini dell’ordinario iter legislativo, l’ordinamento costituzionale reagisce, di regola, nelle forme della decretazione d’urgenza, riconoscendo all’esecutivo il potere di adottare atti normativi aventi forza di legge, vincolati al controllo preventivo di legittimità del Presidente della Repubblica, successivo del Parlamento ed eventuale della Corte Costituzionale. Sulla scorta di tale previsione, si è arrivati ad ipotizzare come indebita l’ingerenza dello Stato nella sfera individuale del cittadino, limitato nell’eser (100) In Gazz. Uff., serie generale, n. 135 del 27 maggio 2020. (101) Abrogato dall’art. 4, comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 28/2020, come emendato, in sede di conversione, dalla l. n. 70/2020. (102) Inciso inserito, inizialmente, dall’art. 3, comma 10, d.l. n. 11/2020, poi riprodotto nell’art. 84, comma 10, primo periodo, d.l. n. 18/2020. (103) Si segnala che, prima dell’abrogazione della disposizione in esame, inizialmente dall’art. 3, comma 10, d.l. n. 11/2020, e, successivamente, dall’art. 84, comma 10, secondo periodo, d.l. n. 18/2020, era previsto che “dall’8 marzo e fino al 31 luglio 2020 è sospeso l’obbligo di cui al predetto articolo 7, comma 4”. (104) Cfr. Cons. St., sez. VI, ord. 3 marzo 2017, n. 880. RASSeGnA AVVoCAtuRA DeLLo StAto -n. 1/2020 cizio delle libertà costituzionali in difetto di un atto normativo di rango primario e, pertanto, in spregio alle garanzie della riserva di legge e di giurisdizione che la Costituzione talora esige per la compressione, anche temporanea, dei diritti e delle libertà fondamentali. Ad una simile osservazione si potrebbe, tuttavia, obiettare che, per far fronte all’emergenza epidemiologica da Coronavirus, il Governo è ricorso allo strumento normativo della decretazione d’urgenza, facendo confluire nel d.l. n. 19/2020 l’individuazione astratta delle misure di contrasto ai rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus e l’espressa previsione della loro concreta esecuzione per effetto di un successivo atto amministrativo, il D.P.C.M. Sicché, il potere del Presidente del Consiglio dei Ministri di incidere, mediante atto amministrativo, sulla sfera individuale del cittadino, e, più in particolare, sulle libertà costituzionalmente garantitegli, ha trovato copertura costituzionale. In previsione di un’eventuale futura emergenza sanitaria, al fine di fugare possibili illegittimità e tenuto conto della mancanza di una disciplina costituzionale inerente alla fattispecie emergenziale tout court, risulterebbe utile un intervento legislativo (costituzionale e/o ordinario) organico volto alla regolamentazione in via generale: a) delle ipotesi di emergenza sanitaria e della relativa competenza alla loro dichiarazione e b) delle misure (tassative) applicabili in ogni emergenza sanitaria e della competenza in ordine alla loro attuazione. RECENSIONI ANTONIO MITROTTI (*), L’interesse nazionale nell’ordinamento italiano. Itinerari della genesi ed evoluzione di un’araba fenice. (COLLANA: RICERCHE GIURIDICHE, DIRETTA DA A. CELOTTO, F. LIGUORI, L. ZOPPOLI) (EDITORIALE SCIENTIFICA, 2020, PP. 428) Presentazione Il volume di Antonio Mitrotti sull’interesse nazionale nei rapporti fra Stato e Regioni reca un contributo importante, nel metodo e nel merito, allo studio della complessa materia. L’Autore esamina con attenzione il sistema normativo previgente rispetto alla riforma del 2001 e ripercorre le fasi della sua elaborazione non solo nei lavori preparatori della “Costituente”, nel suo progressivo slittamento a limite di pura legittimità, con obliterazione delle originarie valenze di merito, nella prassi e nella giurisprudenza della Corte costituzionale, sino alla famosa sentenza n. 177 del 1988 che tentò una prima sistemazione giuridica dell’istituto in questione (che, apparentemente, pone un limite negativo ma, in effetti, anche presenta non meno importanti valenze positive). L’interesse nazionale, non più esplicitamente menzionato nel testo della Costituzione dopo la riforma del 2001, riprende corpo in istituti solo apparentemente di settore, ma, in effetti, centrali: come la previsione di competenze legislative trasversali, che uniscono insieme una implicita clausola di supremazia con una definizione puramente teleologica della loro consistenza, la “chiamata in sussidiarietà legislativa” elaborata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003, che l’A. considera quasi parallela rispetto alla sentenza n. 177 del 1988, la previsione di un potere surrogatorio del Governo quando si riscontrino gravi inadempienze regionali, specificamente qualificate (*) Già Praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato, Dottore di ricerca in Diritto pubblico comparato - Univesità degli Studi di Teramo. RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 1/20120 (art. 120 Cost.), non solo in campo amministrativo ma, come l’A. finemente argomenta e documenta, anche a livello di normazione primaria. L’elaborazione della giurisprudenza è stata fondamentale nella configurazione di queste fattispecie a volte “enucleate” da un testo costituzionale laconico, altre volte “costruite” integrando con il sistema quel che la legge di revisione costituzionale del 2001 espressamente dice. E questa elaborazione è entrata in contatto con quella, del pari creativa, concernente il principio di leale collaborazione, variamente modulato con riguardo agli intrecci, talvolta inestricabili, fra materie, ai concorrenti “titoli di competenza” statali e regionali, oltre che con riguardo all’attrazione in sussidiarietà, alle competenze trasversali, ed alle normali intersezioni fra materie confinanti: intesa forte, intesa debole, parere, altri raccordi procedimentali, procedimento di intesa, etc. Tale principio si ripresenta, del resto, in forme proprie nell’ipotesi di intervento statale surrogatorio (art. 120 Costituzione). Forse il legislatore avrebbe dovuto sostenere la Corte in questa difficile elaborazione in misura maggiore di quanto non abbia fatto. Oltre alla giurisprudenza l’unico, ulteriore, riferimento è dato dalla esile legge n. 131 del 2003, che talvolta l’A. richiama nei suoi sviluppi argomentativi. Ma anche il principio di leale collaborazione, nelle sue varie forme, mostra elementi di sofferenza di cui è cenno in questo articolato e documentato contributo. Il quale si segnala, appunto, per la finezza dell’analisi giuridica (ricordo le pagine sui “poteri sostitutivi” e l’analisi della diversa disciplina dell’an, del quid, del quando e del quomodo, che consente di inserirli senza strappi nel sistema anche ad un livello legislativo), per l’accurata documentazione di giurisprudenza e dottrina, per l’impiego sagace dell’argumentum a comparatione. Lo studio del limite di interesse nazionale diviene quasi un prisma nel quale si riflette l’intero complesso dei rapporti fra Stato e Regioni, ma è anche un elemento dinamico che contribuisce a renderlo ragionevole se non razionale. L’argomentazione dogmatica è, inoltre, sovrastata da una consapevolezza sistematica più profonda, per cui il limite (negativo e positivo) dell’interesse nazionale deriva, prima ancora che da singoli istituti costituzionali o legislativi, dall’essere stesso di un sistema federale o regionale. L’esplicito riconoscimento di unità ed indivisibilità della Repubblica scolpito nell’articolo 5 della nostra Costituzione con parole, come sempre, semplici ed efficaci -forse aggiunge elementi normativi ad un principio che ha radice, prima ancora, nelle cose. Ciò ricorda alcune riflessioni di Santi Romano sulla consistenza giuridica e sulle valenze normative implicite del dato istituzionale, come anche avvalora uno dei possibili utilizzi della comparazione giuridica in questa sede sviluppata con riguardo all’esperienza della Germania federale, quasi fattore utile a di- svelare principi nascosti nelle pieghe del sistema (ricordo anche Biscaretti di Ruffia). RECEnSIOnI 309 Di qui il passo ad un’analisi economica delle istituzioni, utile in sede giuridica attraverso l’argomentazione dalle conseguenze, sembra davvero breve. Augusto Cerri RASSEGnA AvvOCATURA DELLO STATO -n. 1/20120 ANDREA CARBONE (*), Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo. I. Situazioni giuridiche soggettive e modello procedurale di accertamento. (GIAPPICHELLI EDITORE, 2020, PP. 560) Il presente volume rappresenta una prima sistemazione dell’elaborazione che ci si è prefissati di effettuare in ordine alle situazioni giuridiche che si rapportano con il potere amministrativo, e alla possibilità della loro considerazione quale oggetto del processo amministrativo, insieme alla declinazione in concreto del relativo giudizio. In questa prima parte, l’attenzione è dedicata soprattutto alla ricostruzione della situazione giuridica che assume rilievo sotto il profilo sostanziale; mentre, alla sua considerazione quale oggetto del processo amministrativo, alla struttura del relativo giudizio, così come all’elaborazione delle situazioni giuridiche da definirsi di carattere (prettamente) procedurale, sarà riservata la parte II del lavoro, ancorché talune considerazioni in proposito verranno effettuate già in chiusura del presente volume. La parte II sarà oggetto di un volume autonomo, ancora in fase di elaborazione (e rispetto al quale potrebbe anche procedersi ad una risistemazione di questo stesso volume, ora pubblicato fuori collana, laddove se ne ravvisi la necessità o l’opportunità). L’idea di pubblicare intanto questa prima parte è maturata -oltre che dalla volontà di prendere parte ad un dibattito sull’argomento che risulta molto vivo nell’attuale esperienza della scienza amministrativa -dalla circostanza che essa assume una sua compiutezza e autonomia, se posta in relazione con quanto si è già avuto modo di rappresentare in precedenti lavori (in particolare, L’azione di adempimento nel processo amministrativo, L’azione di condanna ad un facere e Il contraddittorio procedimentale). Le considerazioni effettuate sul punto in quelle occasioni, infatti, hanno potuto facilmente essere riprese, e adattate, nei loro termini fondamentali, alle conclusioni qui raggiunte, attraverso le precisazioni che si sono effettuate nelle considerazioni finali, le quali anticipano quanto appunto si verrà più compiutamente a rappresentare nella parte II del nostro studio. (*) Professore associato di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di Scienze giuridiche della Sapienza Università di Roma. Ha conseguito all’unanimità l’abilitazione di prima fascia nella medesima materia. È stato visiting Scholar presso il Max-Planck-Institut für ausländisches öffentliches Recht und völkerrecht di Heidelberg e ha svolto numerosi soggiorni di studio e ricerca all’estero; è membro dello European Group of Public Law dell’EPLO. Ha pubblicato saggi e contributi di diritto amministrativo e diritto processuale amministrativo, tra cui, per i tipi della Giappichelli, le monografie L’azione di adempimento nel processo amministrativo (2012) e Il contraddittorio procedimentale. Ordinamento nazionale e diritto europeo-convenzionale (2016). RECEnSIOnI 311 nel momento di licenziare questa parte, un sincero ringraziamento va a quanti, in questo periodo di emergenza generale, sono stati d’aiuto nel reperimento dei testi la cui consultazione è stata necessaria per la realizzazione del- l’opera; e a coloro che, con i loro preziosi consigli, hanno contribuito a chiarire dubbi e a fornire elementi che potessero consolidare la ricostruzione in questa sede effettuata. Roma, 4 maggio 2020 A.C. Finito di stampare nel mese di ottobre 2020 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma